Capitolo
6
Ritornai
a casa, quel giorno, che non riuscivo più a respirare.
Tutto
quello che mi frullava in testa era Shade
è innamorato di me quando invece avrebbe dovuto esserlo di
mia sorella.
Però,
lui non l’aveva confermato, giusto? Era stata Altezza che
aveva detto
quell’assurdità. Era passato. Non presente. Una
volta lui era innamorato di me.
Adesso no. Sicuramente.
Ma,
allora, perché diamine avrebbe voluto fare quella scommessa?
Per
testarmi.
Per
infastidirmi.
Per
rendermi la vita più difficile.
Per
distrarmi.
Qualunque
fosse stato il motivo, c’entravo, in qualche modo, sempre io.
Quella era la
verità, e non sapevo come fare per cambiarla. Il cuore mi si
stava spezzando in
mille pezzi, non sarei più riuscita a guardare in faccia
né Altezza, né Shade.
Tantomeno Fine, la mia amata sorella che avrei supposto di dover amare
e
proteggere da ogni male del mondo, quando il male ero diventata io stessa.
Non
sapevo come fare, cosa fare.
Mi
sedetti sul letto e fissai prima l’orologio, poi il cellulare
che avevo
appoggiato poco prima sul comodino. Avrei voluto chiamare qualcuno, ma
chi? Non
avevo nessuno con cui confidarmi. Altezza era fuori discussione, ad
ogni modo:
non potevo di certo rivolgermi a qualcuno che conosceva tanto bene
Shade da
portarmi disgrazie come quelle, anche se sapeva tutto quello che era
successo.
Lione o Mirlo? No, troppo dolci ed ingenue per capire la situazione.
Auler e
Sophie erano decisamente allegri, avrebbero preso tutto con ottimismo
senza
considerarne le conseguenze. Tio era troppo piccolo.
La
risposta arrivò quando il cellulare squillò,
facendomi sobbalzare. «Sì,
pronto?» feci, appoggiandomi al comodino: ero ancora un
po’ spossata e non mi
sentivo molto bene. Dall’altra parte della linea la voce di
Bright, in qualche
modo, mi suonò come una campana di salvezza, una corda a cui
aggrapparmi anche
se non sapevo ancora come fare: «Rein? Sono Bright».
«Ciao»
feci, cercando di nascondere la mia emozione: lui conosceva Shade e
sicuramente
mi avrebbe dato delle risposte. Così mi sarei decisa sul da
farsi. «Stai bene?
Oggi avevi proprio una brutta cera.»
«Sono
ok,» risposi, «è solo che ieri sera non
sono riuscita a dormire bene, tutto
qui. Grazie per avermelo chiesto e per avermi portata in infermeria
– immagino
sia stato tu a farlo.»
«Fa
nulla,
così avrei avuto una scusa se fossi stato via per
più tempo» rise, così come
feci pure io. Mi sedetti sul letto, tirando un sospiro.
«Piuttosto» cominciai,
cercando in fretta le parole adatte, «sai per caso cosa sta
succedendo a Shade
in questi giorni? Fine mi ha riferito che si sta comportando in modo
strano.»
Non avevo alcuna intenzione di rivelare a Bright che cosa quel testone
del ragazzo
di mia sorella mi avesse proposto, né cosa avessi scoperto
quel giorno. Volevo
solo… che confermasse le mie teorie e le parole di Altezza,
tutto qui.
«In
che
senso?» chiese con un tono leggermente perplesso, e mi
aspettai quella domanda.
«Non saprei, Fine non mi ha detto nulla in proposito. In
effetti avevo notato
pure io che, in questi ultimi tempi, a volte se ne vada di soppiatto a
casa.
Insomma, qualcosa del genere, credo.» Non seppi se quel
“credo” fosse fuori
posto o meno, ma fatto stava che Bright fece un
“Mmh” pensieroso. Ciò mi fece
chiedere se mi stesse nascondendo davvero qualcosa.
Avevo,
più che altro, paura che mi confermasse le parole della
sorella: non avrei
sicuramente saputo dove sarei andata a sbattere la testa.
«Glielo
chiederò» fu la sua risposta, alla fine. Non seppi
se ridere per non piangere o
piangere per non ridere. «No, senti, lascia stare,»
dissi in tono sbrigativo,
«non ce n’è bisogno.» Sapevo
benissimo che Bright era capace di chiedere una
cosa del genere a Shade: anche lui, molto spesso, era uno che non aveva
peli
sulla lingua.
«Ad
ogni modo, se noti qualcosa, ti prego di dirmelo» gli
raccomandai, «ovviamente,
senza dire niente a Shade. Ti prego davvero di non farlo,
quest’ultimo punto.»
Sperai di convincerlo senza che mi chiedesse spiegazioni,
perché altrimenti non
avrei saputo come rispondergli senza sfociare nella paranoia o
confusione (o
senso di colpa). Ringraziai il cielo perché Bright fosse una
persona semplice e
di poche parole, senza che voglia complicarsi la vita perché
mi rispose:
«Certo, non c’è nessun
problema».
Dall’altro
capo della linea sentii sua sorella urlare qualcosa del tipo aiutarla a
fare
chissà cosa. «Vuoi parlare un po’ con
Altezza? A dirla tutta, ti ho chiamata
solo per chiederti se stessi bene, niente di più»
disse il mio amico. Ci pensai
per qualche secondo, forse avrei davvero dovuto parlarle di quello che
era
successo quel giorno. Sapevo che sarei finita comunque a fare un
po’ di
certezza, non ero una tipa che lasciava le cose a metà ed a
cui non piaceva
nemmeno il fatto di non poter chiarire le cose quando si poteva
benissimo
chiarirle. «Perché no?» risposi allora,
e, dopo aver salutato Bright, sentii la
sua voce chiamare la sorella e i tipici rumori di quando si passa il
telefono
ad un’altra persona.
«Sì,
Rein?» rispose Altezza, sbuffando con fare indaffarato. Mi
morsi la lingua per
non riferirle cosa avevo davvero
pensato in quel momento, e mi limitai ad un indifferente (?)
«Ti devo parlare».
Lei
sembrò pensarci un po’ su, e poi mi rispose:
«Su cosa? Non credo di aver fatto
qualcosa di male, oggi». Il tono della sua voce era di una
sincerità disarmante
ed io, in tutti gli anni che l’avevo conosciuta, sapevo
riconoscere quando
stava mentendo e quando era così dannatamente ingenua da
farti chiedere se
fosse veramente la stessa Altezza che adorava esercitare il proprio
sadismo
(più o meno) sulle altre persone innocenti. Così
mi voltai verso la finestra
per vedere se stesse succedendo qualcosa di interessante o meno, ed
invece ci
fu solo un piccione con le ali spiegate che scendeva verso terra e le
foglie
che continuavano a cadere dagli alberi. Sospirai, «Non ti eri
accorta che ero,
uhm, sveglia, oggi in infermeria?»
«Oh»,
ed un silenzio calò su di noi. «Ops»
fece, «scusa».
Fu
allora che esplosi, nel senso letterale del termine. «Mi dici
che diamine ti è
saltato in testa?! Dio cristo, come diamine fai a dire con
così leggerezza che
– argh! – Shade era innamorato di me?!»
Non sapevo più che pesci pigliare con
la mia compagna, tanto era esasperante ed istintiva. Ringraziai il
cielo perché
Fine fosse andata a casa di Lione, altrimenti si sarebbe preoccupata
sicuramente (soprattutto dal momento che avevo detto ad alta voce
ciò che avevo
sentito uscire dalla bocca di Altezza!). Presi un respiro prima di
ricominciare
a parlare, prendendo a camminare per la casa a passi pesanti.
«La prossima
volta che fai una cosa del genere, giuro che non la
pass—»
«Frena,
bellezza» m’interruppe lei, con tono poco
amichevole e minaccioso, «non è mica
colpa mia se non eri svenuta in quel momento. E poi, tanto per
puntualizzare, io
non ho detto che Shade è innamorato
di te. Ho solo chiesto se, magari,
nutrisse
ancora qualche sentimento nei tuoi confronti.»
«Oh,
potevi benissimo parlargli fuori dall’infermeria!»
«Certamente,
così tutti ci avrebbero sentito e addio alla tua scommessa e
al suo segreto.
Rein, seriamente, ti pensavo più intelligente.»
Mi
morsi il labbro. Aveva effettivamente ragione, anche se ero
così cocciuta da
non voler riconoscere che quella era stata una mossa astuta, degna di
Altezza.
«Ok, ok. Senti, parliamone domani, sto cominciando a sentirmi
male di nuovo.» E
non era una scusa. Un po’ mi faceva male qualcosa
all’altezza del petto, ed ero
sicura che era il cuore. Un dolore insopportabile.
Allora
era vero che Shade era stato innamorato di me, una volta.
«Mmh,
come vuoi» disse lei, con un tono che mi fece pensare che
avesse voluto fare
apposta tutto quello, anche se ero sicura che fosse stato completamente
involontario – la conoscevo troppo bene, lei
mi voleva troppo bene, ne ero consapevole. «Ad ogni
modo» fece per dire, ma
ritirò subito le sue parole. «No, anzi, nulla. Te
lo dico domani. Cerca di
riposarti bene.»
Riattaccò.
«Sai
cosa c’è di buffo?»
Mi
voltai a fissare i capelli biondissimi – mi ero sempre
chiesta se per caso se
li tingesse/schiarisse oppure se fosse il suo colore naturale
– della mia
compagna, raccolti in una coda alta per agevolare le azioni durante
l’ora di
economia domestica.
Eravamo
finite, come al solito, in gruppo insieme, e non c’era niente
di meglio:
Altezza era una fantastica cuoca, al contrario di me che ero solamente
capace
di far bollire l’acqua. «Mmh, cosa?»
chiesi, forse ancora un po’ arrabbiata per
la conversazione del giorno prima.
«Beh,
il fatto che tu ti sia cacciata in un guaio del genere» mi
rispose,
appoggiandosi al bancone ed aspettando che i restanti 7 minuti di
cottura in
forno passassero. Mi fissò con una piccola smorfia disegnata
sulla bocca. Incrociai
le braccia e la fissai perplessa con un sopracciglio alzato,
«Beh, dovevo pur
difendere la mia reputazione.»
«Sarà»
mi disse di rimando, «ma se fossi stata in te avrei
semplicemente messo da
parte il mio orgoglio per non peggiorare le cose.» Sospirai.
«Altezza, sappiamo
benissimo entrambe che sei perfino più istintiva di
me» la stuzzicai io, con un
lieve sorriso sulle labbra. Lei alzò le mani in segno di
resa, «Probabilmente.
Volevo solo fare la parte dell’amica consigliera. Comunque,
credo che…» si
fermò. Le diedi uno sguardo interrogativo, a cui lei rispose
con una scrollata
di capo. «Niente.» Passammo un po’ di
tempo in un beato silenzio.
«Volevo
chiederti, non ti penti?» ruppe il silenzio tra noi,
prendendo una ciocca di
capelli e rigirandosela fra le mani studiandone le punte, ed io non
risposi.
Restammo qualche secondo in un secondo silenzio; il brusio delle altre
nostre
compagne che parlavano e il “ciak ciak” e
“tling tling” dei diversi utensili da
cucina che sbattevano gli uni contro gli altri riempivano
l’aula. Lei alzò lo
sguardo per fissarmi negli occhi, io invece lo abbassai a guardare le
scarpe e lisciarmi
il grembiule verde: non mi piacevano quel genere di conversazioni.
«Voglio
dire» fece, «non ti penti di aver lasciato andare
tutto?»
«Quando
intendi?» chiesi, alzando di nuovo gli occhi con fare
perplesso. Lei sembrò
pensarci su, cercando le parole giuste, probabilmente.
«Quando eri ancora
innamorata di…» e cercò di farmi capire
con lo sguardo di chi si trattasse.
Colsi l’eloquenza dopo poco. «Ah»
mormorai. Era passato così tanto tempo che
quasi me n’ero dimenticata. «Beh, diciamo che sto
ancora sperando di fare la
cosa giusta» azzardai.
«Se
non
avessi mollato, sono sicura che a quest’ora stareste insieme
a ridere come
degli idioti» mi disse, sospirando e smettendo di torturare i
suoi capelli.
Feci un mezzo sorriso, alzai leggermente le spalle. Sembrava che ogni
mio
movimento fosse debole e senza vita, forse perché era
così che mi sentivo.
Altezza
aveva ragione; a quest’ora sarei stata ancora con lui.
«Scusa
se te lo dico» ricominciò,
«perché probabilmente questa cosa non ti
farà
piacere.» Feci un cenno per dire che poteva continuare a
parlare. Era come se
il mio cuore fosse così scalfito dalla realtà che
niente, oramai, avrebbe
potuto lasciargli altri segni. «Credo che tu non abbia
più la forza di volontà
di una volta, tutto qui. E poi – rise – sembra
proprio che il destino voglia
giocarti brutti tiri continuamente.» Sorrisi
anch’io, «Sembra proprio di
sì».
Altezza
era formidabile. Riusciva a capire come mi sentivo quando ce
n’era bisogno
senza che io debba trovare un modo per dirglielo. Mi chiesi se avesse
qualche
sorta di potere psichico di cui io non sapevo nulla. Parlare con lei mi
rendeva
così serena che sperai che rimanessimo amiche per davvero
sempre.
«Ad
ogni modo, Rein, non ti sto dicendo di mollare proprio ora o di
rimpiangere
tutte quelle cose che non hai fatto in passato. Vorrei solo che
ripensassi a
cosa avresti potuto ottenere se non ti fossi arresa allora.»
Fece un piccolo
sorriso. «Magari, in questo modo, anch’io potrei
capire cosa sta succedendo
nella tua testa. Sei sempre stata così enigmatica!»
E
il
“ding” del forno pose fine alla nostra
conversazione.
«Diamine,
diamine, diamine!» strillai, in
preda al panico, quando vidi che mancavano solo 10 minuti
all’appuntamento ed
io ero ancora sotto le coperte.
Non potevo
crederci. Ero. Di. Nuovo. In.
Ritardo. E proprio il giorno in cui, magari, avrei conosciuto
l’amore della mia
vita!
Mi vestii
velocemente – ringraziai il cielo
di aver preparato i vestiti e la borsa il giorno prima – e
corsi praticamente
fuori dalla mi stanza. Se non fosse stato per mia madre, che mi disse
di lavare
i denti prima, me ne sarei sicuramente dimenticata.
Nella mia mente,
mentre correvo verso la
fermata dell’autobus, continuavo a rimproverarmi,
perché ogni volta, ogni benedettissima
volta, ero in un mostruoso ritardo. Ma ora che mi apprestavo a
cominciare le
superiori, non avrei di certo potuto svegliarmi 10 minuti prima che
fosse
suonata la campanella!
Sperai solo che
Berry non se la prendesse di
nuovo con me. Sembrava così
eccitata nel
volermi presentare quel ragazzo! Da quello che mi aveva raccontato
avevo capito
che era l’amico di un cugino che aveva rivisto dopo tanto
tempo, quando
quest’ultimo era venuto a trovarla nella nostra
città. E sembrava anche che
fosse davvero un sacco simpatico. “Un amico in più
fa sempre bene” pensai,
sebbene poco prima lo avevo considerato come l’amore della
mia vita. Di certo
ero troppo ottimista.
Mi piaceva
pensare che c’era qualcosa di
bello in ogni cosa – una piccola parte che si nasconde, per
essere scoperta
nello stupore della quotidianità. Per questo ero
così felice di ogni evento
della mia vita, a meno che non fosse davvero un fatto di cui essere
tristi. Perché
ci sono cose che è meglio viverle all’istante, per
le altre, invece, è una
buona idea lasciarla nel cassetto dei ricordi per poi ritirarla fuori
al
momento giusto, quando ci si sente un poco più pronti.
«Diamine,
Rein! Non è possibile che tu sia
sempre in ritardo!»
A meno che non
si tratti di Berry. Era un
milione di volte più esuberante ed attiva di me che viveva
sempre la vita al
presente, senza pensare al passato e costruendo inconsapevolmente il
futuro nel
migliore dei modi.
Era tanto
esuberante da essere a volte
troppo facilmente irritabile.
«Scusa,
scusa!» dissi, alzando le mani in
segno di resa e cercando di respirare in modo normale. Quella corsa mi
aveva
così frastornata (e stancata, soprattutto), che non avevo
visto quel ragazzo
dai capelli neri come la pece dietro alla mia amica, che sorrideva
leggermente
guardando quanto Berry poteva essere spaventosa (?). «Non
è possibile» ripeté
sbattendo a terra i piedi, «E pensare che speravo che, almeno
questa volta, di
vederti puntuale! Argh, non posso credere di aver fatto una figura del
genere!»
«Ahem,
Berry, non c’è bisogno di essere
così arrabbiati» intervenne il ragazzo, salvandomi
dalla (sicuramente) lunga
predica che aveva intenzione di farmi la mia amica dai capelli color
nocciola. Lei
lo guardò, «Oh, andiamo, devo pur dirle
qualcosa!» si lamentò. «Va tutto bene,
davvero» rispose, per poi guardarmi. «Tu devi
essere, uhm, Rein, giusto? Sono Gray,
piacere di conoscerti.»
Mi
piaceva pensare che c’erano delle cose che dovevano essere
vissute all’istante
ed altre che venivano lasciate da parte per poi viverle un
po’ di tempo dopo.
Avrei
voluto
vivere bene, senza aver alcun tipo di rimpianto o cose del genere. Mi
piaceva
pensare che ogni storia d’amore finisse bene, sorridendo
delle cose felici se
per caso ci si dovesse separare.
Mi
piaceva la vita, tutto
qui. Non desideravo cose troppo grandi come la felicità
assoluta, ero felice di
quello che avevo e mi bastava solo che durassero per sempre.
N/A:
KEEP CALM AND AVGVHFHRDNKS.
So
benissimo di essere più che tremenda.
Ho
esattamente 4 cose di cui parlare:
la prima riguarda le mie scuse, la seconda di questo fandom, la terza
delle mie
fan fiction, e la quarta… la quarta non la ricordo
più. Cioè, ci ho pensato
mentre facevo la doccia, ma adesso non la ricordo.
Mi
scuso tantissimo. Sì, potete dirmene
di tutti i colori. Sono terribilmente dispiaciuta per questi due mesi
di
non-update (sto leggendo così tante fan fiction in inglese
che non ricordo più
le parole italiane, sono terribile) dei capitoli, ma proprio non sono
riuscita
a trovare l’ispirazione – questo si collega alla
seconda cosa di cui devo
parlare. Ultimamente non riesco più a scrivere in questo
fandom. Cioè, non che
la mia voglia di scrivere sia completamente sparita, solo che trovo
tantissima
difficoltà ora come ora: infatti sono riuscita a finire il
questo capitolo
giusto qualche minuto fa, non ho nemmeno voglia di controllare se ho
fatto
qualche errore (mi scuso anche per questo). Non so cosa mi succede.
Molto probabilmente
questa sarà l’ultima fan fiction che
scriverò nella sezione di Twin Princess.
Ma sono molto soddisfatta di un risultato: qualche giorno fa sono
andata nelle
storie più popolari di questa sezione e, TADAAAA!, Blue String of
Destiny era
tra quelle. Mi sembrava fosse l’unica SheRei dentro, e
ciò mi fa sentire assai
onorata. Vorrei ringraziare tutti quelli che l’hanno apprezzata ed aggiunta alle
preferite, non sapete quanto significhi per me una cosa del genere.
Grazie,
grazie, grazie! Ho inserito un tributo qui dentro, il ritorno di Berry!
Scusate
per il nome del ragazzo, ma proprio faccio schifo nel sceglierli
*laughs*
Terzo:
ho intenzione di entrare
completamente nel fandom Bleach, ed ho in serbo una piccola serie
composta da
due oneshot nella sezione Romantico. Sarà qualcosa di
spettacolare, m’impegnerò
affinché siano le due migliori storie che abbia mai scritto!
Grazie
per supportarmi, sempre, anche
se ritardo ogni volta l’inserimento dei capitoli! Vi lovvo
(?!) troppo.
Ho
una vaga idea di come sarà il
prossimo capitolo, ma vi dirò già che Rein
troverà la seconda ragione – o forse
sarà al prossimo ancora? – e una piccola
verità verrà a galla! Dopo ci sarà un
evento che cambierà le cose, so stay tuned!
Noth/Rainy/Ameshiri.
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