<< Ciao Bella >>, mi voltai a
guardare chi fosse il ragazzo
che mi aveva salutato. << E' così che ti
chiami, vero?
>>, era un ragazzo che non conoscevo, ma quel giorno non
era il
primo che mi salutava.
<< Sì, mi chiamo così. Ma io non ti
conosco
>>, non gli lasciai il tempo per proferire altra parola,
anche
perché stavo andando a casa e nessuno poteva disturbarmi in
un
momento fatidico come quello, dopo una giornata a scuola.
Sembrava che improvvisamente mi conoscessero tutti. Quella mattina,
quando ero arrivata, mi guardavano tutti, alcuni mi salutavano e alcuni
parlavano nell'orecchio dell'amico o amica accanto. Sembrava che il
gesto del giorno prima, ovvero dare del cornuto al professore, fosse
stato epico, come se qualcuno volesse farlo da un po'. Anche se una
ragazza, Madison, era abbastanza contraria, tanto da venire con un
gruppo di altre ragazze, a darmi della stronza. Ma si poteva biasimare,
dato che era la prima in lista per la borsa di studio milionaria. Anche
il professore la pensava in maniera diversa: Quando quella mattina
entrai in classe mi guardò e mi trucidò, ma non
disse
niente, forse per non alzare altri polveroni, era già un
miracolo che fossi andata a scuola quel giorno. Infondo mi interessava
andare a scuola e i miei voti non erano male, a parte matematica, ma
quella era una cosa a parte.
La cosa positiva di tutta la storia era che non mi avevano sospesa. La
cosa negativa erano tutte quelle attenzioni, da parte di gente che non
conoscevo e che non sopportavo! Ma sarebbe durata poco, il tempo di
finire la settimana scolastica e puff, improvvisamente Bella e la
storia della cornificazione sarebbero stati solo un ricordo lontano!
Uscii dall'istituto e raggiunsi la mia adorata macchina, che mi faceva
dimenticare di tutto quello che mi turbava. E durante il tragitto gli
occhi indiscreti mi accompagnarono fino a quando entrai e chiusi la
portiera, e li sentivo ancora addosso quando partii. Un'altra cosa che
mi sollevava il morale era che tra tre ore avrei iniziato a suonare la
batteria. Anche se il mio incontro con quei ragazzi non era stato poi
così esaltante, non c'era stato il "colpo di fulmine", ma
grazie
a loro avrei potuto fare continuamente una cosa che amavo fare. Forse
col passare del tempo sarebbe andato meglio, magari si poteva
instaurare
un rapporto, o forse no. Ma ero in grado di sopportare qualsiasi cosa
pur di suonare regolarmente la batteria.
Una cosa a cui avevo pensato continuamente però era che quel
ragazzo, Edward, o era un vero maschilista o aveva qualcosa contro di
me.
La prima opzione era più probabile, dato che non mi
conosceva
affatto e non poteva avere nulla contro di me. Ma io potevo avere
qualcosa contro di lui. Mi aveva trattato malissimo, senza alcun
rispetto per il mio sesso e per quello che noi ragazze eravamo in grado
di fare. Sarebbe stato un motivo per prenderlo di mira, e a me piaceva
farlo.
Mi fermai ad un semaforo rosso e fu questione di un attimo, quando
sentii il mondo crollarmi addosso. O meglio, quando sentii il rumore di
una carrozzeria che veniva distrutta e l'urto insistente che mi fece
sobbalzare.
<< Fa che non sia vero, fa che sia solo frutto della mia
immaginazione >>, dissi con il viso appoggiato sul
volante,
disperata e speranzosa. Pensavo al di dietro della mia povera e amata
auto, al fatto che poteva essere seriamente danneggiato. L'immagine che
mi si piazzò nella mente mi fece scattare. Scesi dalla
macchina,
con gli occhi quasi rossi di rabbia. Le mie mani iniziavano a prudere e
a farsi dominare dalla rabbia che stava annebbiando ogni altro
sentimento, e soprattutto la ragione. La mia Mustang non si tocca!! Guardai
prima la mia macchina, per controllare i danni. La carrozzeria
posteriore era completamente rovinata, i fanali distrutti... Il
responsabile l'avrebbe pagata! Mi diressi proprio verso l'autista che
stava per morire per mezzo delle mie manine. Scese dalla macchina e
quando lo vidi la rabbia prese ancora di più il sopravvento.
<< Tu?! >>, dissi spalancando gli occhi e
con le mani
sospese. Se non ci fosse stato nessuno l'avrei colpito con tutta la
forza.
<< Oh, cazzo! No! >>. Il metro e ottanta
davanti a me aveva
la mia stessa espressione sorpresa e sconvolta. Edward e i suoi occhi
azzurri erano quasi impauriti.
<< Ma cosa diavolo ti passa per la testa mentre guidi?!
>>, urlai dimenandomi verso la mia auto.
<< Mi ero distratto un attimo! >>. Si
appoggiò col
gomito sullo sportello aperto della sua macchina. Già il
fatto
che non mi avesse chiesto scusa era un motivo per arrabbiarmi di
più.
<< Sappi che ti odierò per tutta la mia vita!
>>,
dissi tornando verso si lui e puntandogli il dito in pieno viso.
Intanto le auto dietro insistevano con il clacson per poter passare, e
io, già arrabbiata di mio, feci dei gestacci a tutti loro e
gli
suggerii, con gli stessi gestacci, di passare accanto. <<
Ora
cosa hai intenzione di fare? >>, io una mezza idea ce
l'avevo.
<< Non lo so, pensavo di andare a casa >>,
rispose
sfacciatamente e improvvisamente tranquillo, come se non gli importasse
niente.
<< Ascoltami bene, grandissima testa di rapa
>>, per non
dire altro, << questa macchina è la cosa
migliore che
possiedo, quindi se tu ora non mi accompagni da un meccanico e non
paghi i danni che hai causato, ti posso assicurare che ti rovino,
è chiaro il concetto? >>. La sua espressione
non era
cambiata, e mi fece andare su tutte le furie. << Ok, vuoi
che usi
le maniere forti? Edward, non ti libererai di me, quindi o mi porti da
un meccanico o chiamo subito la polizia! >>. Alla parola
polizia
trasalì, forse non aveva un buon rapporto con la legge.
<< No, tu non lo farai! >>, si
avvicinò verso di me,
con lo sguardo minaccioso. Avevo toccato il tasto giusto.
<< Sì che lo farò, se mi costringi
a farlo
>>. Lui non sapeva di cosa ero capace di fare se veniva
toccato
qualcosa a me caro.
<< Tu stu... >>, non terminò la
frase, o forse lo
fece, ma si voltò e quindi non riuscii a sentirlo.
<<
Ascolta, io non ho tempo da perdere con una ragazzina viziata, non mi
interessa della tua macchina! >>. Lui era su di giri,
mentre io
ero tranquillissima, perché sapevo che non sarebbe andato da
nessun'altra parte se non da un meccanico.
<< Anche io avevo delle cose da fare, ma tu hai rovinato
la mia
giornata, la colpa è la tua, quindi non fare storie e
accompagnami da un maledetto meccanico! >>, dissi
l'ultima frase
urlando e con l'enfasi giusta per fargli capire quanto mi stava
disturbando.
Chiuse gli occhi e sospirò, forse cercava di far sbollire la
rabbia, come se lui avesse appena subito un danno del genere.
<<
Va bene! Entra in quella maledetta auto e seguimi! Ne conosco uno bravo
da queste parti >>. Si voltò e si
passò le mani tra
i capelli.
<< Vedi che ragionando si arriva sempre ad una soluzione?
>>, dissi sorridendo, e come volevo, si
innervosì. Andai
nella mia macchina e chiusi lo sportello, misi in moto e aspettai che
partisse anche lui per seguirlo. Mi fece un'occhiataccia per il poco
tempo che mi affiancò. Forse quando aveva visto che ero io
la
sua "vittima" aveva pensato che avrei lasciato correre. Ma lo conoscevo
da meno di ventiquattro ore e niente mi ostacolava dal rovinarlo per
aver graffiato la mia macchina. Iniziai a seguirlo pensando
continuamente all'urto. Non potevo crederci che il caso fosse
così incredibile. Stavo pensando proprio a lui durante il
tamponamento, e non stavo pensando affatto cose belle. Era...
Spaventoso.
E di sicuro quella non era affatto la mia giornata. Prima il ritorno a
scuola, poi la mia macchina... Mancava solo un meteorite sulla mia casa
e sarei potuta morire!
Continuai a seguirlo, non lo persi un attimo di vista, e dopo aver
svoltato un paio di volte a destra e un paio di volte a sinistra, ci
fermammo di fronte ad un garage in una stradina. Edward scese dalla
macchina e venne verso di me. Scesi anche io prima che mi raggiungesse.
<< Questo le sta bene signorina? >>, disse
indicando il garage e con un tono di voce fastidioso e penetrante.
<< Basta che sia bravo. La mia Mustang merita i
trattamenti
migliori >>, lui pensava che io fossi viziata? Io avrei
fatto il
suo gioco fino a farlo esasperare. Avevo capito che non era un'impresa
difficile.
<< La tua
Mustang non
è meglio della mia Aston Martin, che anche è
rovinata!
>>. Quello era un vero affranto: dire che la sua macchina
fosse
meglio della mia... Era un sfida ormai.
<< Prima di tutto se tu fossi stato più
attento ora
nessuna delle due macchina sarebbe rovinata, ma tu a chissà
cosa
diavolo pensavi e mi ci sono dovuta ritrovare proprio io davanti a te!
Secondo... Cosa?! Ti sembra il caso di paragonare le nostre macchine?
No ma dico, tutti sanno che una Mustang è meglio di una
Aston
Martin! >>, non svegliare il can che dorme!
<< Ma stiamo scherzando?! >>,
strabuzzò gli occhi.
Sembrava che tenesse alla sua macchina come io tenevo alla mia.
<< Una Mustang non potrà mai fare quello che
fa una Aston
Martin! >>, era seriamente convinto di quello che diceva.
Non
aveva capito nulla della vita!
<< Amico, amico >>, dissi mettendo le mani
davanti al suo
viso, come per bloccarlo. << Hai mai guidato una Mustang?
>>. Se non si provava non si poteva sapere!
<< Certo che l'ho guidata! E tu invece? Tu hai mai
guidato una Aston Martin? Ne dubito >>.
<< Mi dispiace deluderti, ma ho guidato una Aston Martin,
e per
questo posso dire per certo che la Mustang è di gran lunga
migliore! >>, insistetti con la mia tesi, giusta,
ovviamente.
Si passò una mano sul viso, esasperato e io sorrisi senza
farmi
vedere. << Ok, dobbiamo aggiustare una macchina giusto?
E'
già un miracolo il fatto che io ti abbia portato qui, ora
possiamo procedere senza fare troppe storie? >>. Ok,
aveva avuto la sua dose, per poco però.
<< Ok, andiamo >>.
<< Oh, ma grazie signorina
>>, disse l'ultima parola con un tono insopportabile.
Pensava
seriamente che io fossi una bambina capricciosa e viziata!
Andò
avanti dandomi le spalle e io lo seguii. Entrammo dentro al garage che
doveva essere un'officina. Andò incontro ad un uomo buffo.
Era
basso, grasso, capelli neri e ricci - quei pochi capelli che gli erano
rimasti -, e una salopette blu sporca di olio. Il classico meccani,
forse. Edward alzò la mano per salutarlo e appena il
meccanico
lo vide gli sorrise e venne verso di noi.
<< Ehi ragazzo! Hai di nuovo un problema alla macchina?
Sei stato qui già tre volte in un mese >>.
<< L'Aston Martin >>, dissi a bassa voce e
risi. Misi la
mano sulla bocca per non farmi sentire. Ma Edward mi sentì e
sbuffò. Infondo era lui che se la vantava tanto quella
macchina,
io gli avevo detto che non valeva niente.
<< No in realtà sono qui per la sua macchina
>>,
fece segno verso di me con un dito, e io dietro di lui salutai l'uomo
con una mano.
<< Mi hai portato una cliente! Bravo! >>,
mi salutò
di rimando. Aveva una voce che si adattava molto al suo fisico.
Sembrava davvero simpatico, con le guance rosse e il naso piccolo.
<< No, veramente avrei evitato, solo che ha insistito
tanto.
Ecco, diciamo che ad un semaforo rosso mi sono distratto un attimo e ho
tamponato la sua macchina. Solo un graffio, niente di che, ma mi ha
messo alle strette e sono dovuto venire qui >>. Era anche
abbastanza prepotente. Ogni volta che apriva bocca era come se la colpa
fosse la mia.
<< Ha fatto benissimo! >>. Ecco uno che la
pensava come ogni persona umana che era stata appena tamponata.
<< Sì ma le avevo specificato che avevo da
fare, e visto
che sono costretto a vederla tutti i giorni da ieri, poteva anche
aspettare! >>. Poteva essere più antipatico di
così? Forse. Ma visto che anche io ero costretta a doverlo
vedere tutti i giorni lo avrei scoperto. Per fortuna non ero costretta
a dovergli parlare dopo avergliela fatta pagare.
<< Be', non rimandare a domani quel che può
essere fatto
oggi >>, disse saggiamente il meccanico. Lui invece era
molto
simpatico.
<< Giusto >>, dissi muovendo la testa su e
giù.
<< Nessuno ti ha interpellato >>, Edward mi
bloccò con un tono ancora più antipatico dei
precedenti. Eh no caro!
Con chi credeva di parlare?!
<< Mi sembrava che stesse parlando di me e della mia
macchina,
quindi mi avete interpellato e comunque posso parlare quando mi pare!
>>, se c'era una cosa che non sapevo fare era tenermi i
pensieri
per me, ma di questo avevo già dato dimostrazione.
<< Ooook... Mi fate vedere questa macchina
>>, il meccanico bloccò subito una possibile
lite.
<< Certo, vieni >>. Edward lo
accompagnò fuori e
come stavo facendo ormai dal nostro incontro/scontro, li seguii.
<< Ecco, questo è il piccolo graffio che ha
fatto
spaventare la signorina >>, disse mostrando la mia
macchina.
<< Ah, bella macchina! Non si vedono molte ragazze che
guidano
una Mustang! >>, disse prima di guardare il "piccolo
graffio" che
quella testa di rapa aveva fatto. Quando lo disse guardai Edward e
sorrisi. Risi soprattutto della sua reazione nervosa. Avevo ragione,
doveva solo convincersi della realtà.
<< Be' sì... E' la migliore!
>> Dissi le ultime parole con il tono di voce un po'
più alto e soprattutto orgoglioso.
<< Bene... Vediamo questo graffio... >>,
quell'uomo
simpaticissimo - aveva acquistato altri punti con il complimento alla
mia macchina - si abbassò e analizzo il graffio.
Restò un
minuto a toccare i punti in cui era rovinata e poi si alzò.
<< Se non avrò troppo lavoro nei prossimi
giorni ci
metterò una settimana. Alcuni graffi sono profondi e hanno
bisogno di più cura se vuoi un lavoro soddisfacente
>>.
Che colpo al cuore.
<< Una settimana?! >>, dissi disperata.
Come avrei fatto
una settimana senza la mia macchina? Sarei dovuta andare a scuola con
l'autobus, avrei dovuto camminare a piedi, e come avrei fatto per
andare alle prove?
<< E' il massimo che posso fare >>, il
meccanico era dispiaciuto, ma non era colpa sua.
<< Senti, prendere o lasciare, ma vedi di prendere una
decisione
altrimenti te la vedrai da sola >>, ecco che
rientrò in
scena lui. Lo guardai con un'espressione che lasciava trapelare tutta
la rabbia nei suoi confronti, Era solo colpa sua se ero lì
in
quel momento, ed era colpa sua se sarei dovuta stare una settimana
senza macchina.
<< Potresti per favore restare in silenzio?!
>>, dissi con
gli occhi chiusi e a denti stretti. Era meglio se non lo guardavo.
Restai ancora un po' con gli occhi chiusi per pensare. Quel signore mi
sembrava molto affidabile, e infondo non avevo alternative.
<<
Ok, la lascerò qui. Però mi raccomando, io ci
tengo tanto
a questa macchina >>, dissi al meccanico con le mani
intrecciate.
<< Ma dici sul serio? Quest'uomo ha anni e anni di
esperienza! >>, ancora lui.
Alzai gli occhi al cielo e strinsi le dita più forte.
<<
Ancora non ti è chiaro il concetto sul silenzio?
>>, dissi
poi guardandolo. Ormai la sua voce penetrava nelle mie orecchie come il
rumore fastidioso si una posata che viene strusciata su un pitto.
<< Ok, poi verrò a controllare in settimana
>>,
disse velocemente, poi ci diede le spalle e andò verso la
sua
macchina, entrò dentro e mise in moto. Tutto molto
velocemente.
Andai verso di lui. << Ehi ma che fai mi lasci qui?!
>>,
dissi vicino al finestrino. Lui lo abbassò e fece un ghigno
insopportabile.
<< Be'... Prima di tutto non ti piace la mia macchina, e
poi mi
sembrava che non volessi sentire più la mia voce
>>, con
lo stesso ghigno mi fece l'occhiolino e partì. Io restai a
bocca
aperta, senza realizzare che ero rimasta da sola come una cretina, a
guardare il vuoto, senza sapere nemmeno precisamente dove mi trovavo.
<< Stupido ragazzo prepotente, stronzo, maschilista,
testa di
rapa, insensibile e imbecille >>, imprecai ancora
qualcos'altro
mentre mi dirigevo verso la mia macchina per prendere la borsa e quello
che non dovevo lasciare incustodito nelle mani di un meccanico a me
sconosciuto. Sbattevo anche i piedi a terra per la rabbia. Era
incredibilmente sfacciato. Se fosse stato di fronte a me probabilmente
l'avrei preso a schiaffi.
<< tenga, queste sono le chiavi >>, le
diedi al meccanico,
anzi forse per la rabbia le avevo lanciate. << Ci vediamo
tra una
settimana >>, senza guardarlo o salutarlo andai via con
passi
spediti, anche se non sapevo dove andare, non ero mai stata
lì.
Iniziai a guardare i nomi delle strade e se fossi stata fortunata avrei
trovato una fermata di un autobus da qualche parte, o una stazione
della metropolitana. << Stupido, rimbecillito, citrullo
>>,
intanto continuavo a ripetere insulti a bassa voce. Mi fermai un attimo
e guardai il cielo. Stava iniziando a farsi buio e quel quartiere
sembrava un labirinto. Mi sedetti sui gradini di una casa e abbassai la
testa bloccandola tra le gambe. Sfregai un po' le mani sulle braccia.
faceva freddo con quella stupida divisa. Sentii un clacson insistente
che rimbombava nella testa. Alzai gli occhi e vidi che c'era una
macchina ferma sul ciglio della strada. Una parte di me diceva che non
avrei dovuto dargli retta, un'altra diceva che forse mi avrebbe portata
a casa. La seconda parte prevalse e alzai la testa. restai basita
quando vidi che era Edward. Aveva il barbaro coraggio di farsi rivedere.
<< Cosa diavolo vuoi?! >>, dissi urlando.
<< Sono stronzo, ma non fino a questo punto. Questo
quartiere non
è raccomandabile per una ragazza vestita così a
quest'ora
>>. Scossi la testa. Quel ragazzo non aveva
più nessun
neurone sano in quel cervello inutile.
<< Mi hai lasciato un'ora a vagare qui, con il freddo, e
con il
pericolo che mi accadesse qualcosa, e tu hai pensato solo adesso al
fatto che mi sarebbe potuto succedere qualcosa? Be' adesso puoi anche
andare via >>, poteva anche andarsene, non avevo bisogno
di lui.
Abbassai di nuovo la testa.
<< Andiamo, sono passati appena venti minuti e sono
rimasto qui
intorno tutto il tempo. Non fare la melodrammatica, l'ho fatto solo per
darti una lezione >>.
Lui che voleva dare una lezione a me? Mi alzai di scatto e andai verso
di lui. << E' colpa mia se sei venuto a scontrarti contro
di me?!
Dimmi, è forse colpa mia?! E' illecito essere arrabbiata con
chi
ha rovinato la mia macchina? La stessa persona che per giunta sembra
odiarmi dal primo momento in cui mi ha vista? >>,
restò in
silenzio, senza guardarmi.
<< Per favore... Potresti entrare in macchina e farti
accompagnare nel posto in cui devi andare? >>, non mi
guardò, restò a fissare il volante e a batterci
su con un
dito.
<< Sai che potresti risolvere tutto chiedendo
semplicemente
scusa? >>. Avevo dimenticato che non gli era passato
nemmeno un
attimo per la mente di chiedermi scusa. Questo faceva di lui non solo
un prepotente e tutte le cose che avevo elencato prima, ma anche un
testardo orgoglioso.
La sua reazione non cambiò, e soprattutto non chiese scusa.
Chiusi gli occhi e l'unico rumore che sentivo era il ticchettio del suo
dito sul volante. Lui non sembrava intenzionato a dirmi scusa e
nemmeno ad andarsene, io volevo andare a casa e mettermi qualcosa che
mi facesse sentire a mio agio. Quindi sospirai, aprii gli occhi e
entrai
in macchina, senza che nessuno dei due dicesse niente. La macchina era
calda, ma c'era puzza di fumo. C'erano cartacce sul cruscotto e una
chitarra sui sedili posteriori. Guardai dritto, senza provare nemmeno a
guardarlo e lui fece lo stesso. La tensione era percepibile, tanto che
si poteva quasi toccare con mano. Con la coda dell'occhio mi
accorsi che era accigliato e stringeva forte il volante, infatti aveva
le nocche delle dita bianche. L'unica cosa che avrei voluto chiedergli
era perché ce l'avesse tanto con me, come se io fossi
arrivata a
distruggere qualcosa a cui teneva particolarmente. Forse odiava il
fatto che una semplice ragazza fosse arrivata a distruggere un mondo
che lui considerava essere fatto solo per gli uomini. Ma se era per
quello non aveva capito nulla della vita. E confermava la mia testi,
cioè che fosse un maschilista.
Alla fine non gli chiesi niente. Forse non mi interessava davvero
perché sapevo che non ero costretta a parlargli. Restammo in
silenzio finché non mi chiese dove abitavo. Gli diedi le
informazioni e fino a quando arrivammo.
<< Non avevo dubbi che abitassi nel quartiere
più ricco
della città... E' come se ce lo avessi scritto in faccia
>>. Perché doveva dire sempre le cose meno
opportune nel
momento meno opportuno?
<< Nessuno ti ha chiesto se pensavi dove abito
>>, dissi troncando l'argomento.
<< Ok >>, forse finalmente aveva capito che
doveva stare zitto.
Però c'era una cosa che balenava nella mia mente.
<<
Davvero pensi che io sia una ragazzina viziata? >>, dissi
guardandolo, dopo tanto tempo, mentre parcheggiava la macchina.
<< non saresti diversa da tutti quelli che vivono qui
>>, sì, lo pensava.
<< Non tutti sono uguali, sai? Ma comunque io non devo
dimostrarti niente, io so cosa sono >>. Quella era una
risposta
più che matura.
Scesi dalla macchina, prima che mi allontanassi mi fermò.
<< Hai intenzione di venire alle prove? >>.
<< Certo che ci vengo >>, non potevo
perdere l'occasione di
sfogare tutto lo stress della giornata con l'unica cosa che mi rendesse
possibile farlo.
<< Ok, allora ti aspetto qui >>.
<< Ok >>, chiusi lo sportello e andai verso
l'entrata.
Forse era il suo modo per chiedermi scusa non esplicitamente. Entrai
nell'enorme portone e salutai Jerry, il portiere, ma lui subito mi
fermò.
<< Signorina, aspetti! >>, disse con un
tono allarmato.
Tornai subito indietro. << Sua madre la cerca da tutto il
pomeriggio, ha chiamato almeno mille volte >>, e cosa mai
voleva
mia madre da me? << Hanno portato d'urgenza suo padre in
ospedale
e sua madre voleva diglielo >>, restai in silenzio, a
guardarlo.
Sentii in un attimo la sudorazione avanzare, i brividi salire su dai
piedi, tremore ovunque e il respiro che mancava. <<
Signorina si
sente bene? >>, Jerry mi riportò con il
cervello a quel
momento.
<< Qual è l'ospedale? >>.
<< Il Medical Center >>. Senza rispondere
iniziai a correre, uscii fuori e andai in macchina.
<< Dobbiamo andare al Medical Center, subito!
>>, dissi
fissando Edward con un certo terrore. Avevo appena saputo che mio padre
era ricoverato d'urgenza. Mio padre, la persona che più mi
sosteneva. Era un colpo duro da incassare. E la parola "urgenza" non
era per niente rassicurante. Presi l'inalatore nella borsa. Soffrivo di
attacchi d'asma, soprattutto in momenti come quelli. Spruzzai dentro la
bocca e respirai profondamente.
<< Stai bene? Cos'è successo >>,
Edward mi
ascoltò, iniziò a sfrecciare nel traffico,
rischiando
un'incidente. Forse pensava che fossi io a stare male. Aspettai un po'
per rispondere, perché per un attimo il mio sistema nervoso
non
sembrava voler funzionare, non pensavo, non riuscivo a proferire
parola, ma per fortuna avevo ricominciato a respirare. Feci un paio di
respiri profondi. Edward cercava di guardare un po' me e un po' la
strada. << Bella non hai una bella cera... Puoi dirmi
cos'è successo? >>, sembrava davvero
preoccupato, il che
era strano, anche se probabilmente ogni essere umano non voleva che una
persona morisse nella sua macchina, qualsiasi persona fosse.
<< Io... sto bene >>, dissi con un po' di
fatica. <<
Mio padre... Mio padre!! >>, dissi poi alzando un po' il
tono
della voce.
<< Cosa? Tuo padre è in ospedale?
>>.
Feci ancora qualche respiro con l'inalatore. <<
Sì, lo
hanno ricoverato d'urgenza, non so per cosa, è la prima
volta
che succede >>. Quando ripresi a respirare regolarmente e
forse
il mio sistema nervoso riprese funzionalità, mi accorsi che
ero
in lacrime, le asciugai e mi calmai un po', senza smettere di tremare
però. Stringevo il sedile e iniziavo a sentire il dolore
alle
dita. << Non so cos'è successo, ma qualsiasi
cosa sia lo
hanno ricoverato d'urgenza e mia madre è davvero
preoccupata, e
di solito non lo è mai quindi non è niente di
buono
>>. Edward era davvero veloce, aveva capito la
gravità
della cosa che arrivammo davvero in un attimo all'ospedale nonostante
fosse davvero lontano. Edward parcheggiò ma non spense la
macchina, quello era segno che voleva andare via. <<
Edward non
andartene, per favore. Ho bisogno di qualcuno che mi sostenga, e non
importa che sia tu o qualcun altro, ma almeno tu non sei un totale
sconosciuto. Il fatto è che non posso contare su mia madre o
mia
sorella maggiore, perché qualsiasi sia la diagnosi mi
porterebbe
entrambe ad odiarle di più e non posso nemmeno contare o
farmi
vedere dalla mia sorellina che ha solo dieci anni, lei non
può
vedermi in questo stato, quindi per favore, vieni con me
>>. Non
lo guardavo mentre parlavo, ma lui guardava me. Dopo un po' che avevo
finito di parlare spense la macchina e scese. Io sospirai e mi sentii
improvvisamente più sollevata, come se sapevo che sarebbe
stata
una spalla sicura. Scesi anche io e andai qualche passo avanti a lui,
ero veloce, qualsiasi cosa mi aspettava doveva essere affrontata
subito. E non mi interessava che fosse proprio Edward ad accompagnarmi,
purtroppo era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato,
l'importante era che non fossi sola, perché se ci fossero
state
solo mia madre e mia sorella, be', allora sarei rimasta sola. La
presenza di mia madre era solo un'ipocrisia, come quella di mia sorella
Sharon. Entrammo in ospedale e andai subito verso la segreteria.
<< Scusi, sto cercando Charlie Swan, sono la figlia,
è
urgente >>. Un'infermiera, bassa e bionda,
cercò tra i fascicoli che ava a portata di mano.
<< Neurologia, secondo piano >>. Senza
guardarla ancora o
dirle grazie andai di corsa verso le scale, stando attenta alle
informazioni sui cartelli.
<< Neurologia... Sai che significa? >>,
dissi ad alta voce,
ma non sapevo se Edward mi stava ascoltando e se almeno mi stava
seguendo, quindi per un attimo girai la testa sena fermarmi, era dietro
di me, cercando di tenere il mio passo. << Significa
che... Ha
qualcosa a che fare con... >>, portai il dito destro su
una
tempia, << Con il il cervello... Il... Sistema nervoso
>>,
mi passai una mano nei capelli e di nuovo il respiro venne a mancare.
<< Non è nulla di buono >>,
continuavo a ripeterlo
da quando avevo saputo della notizia. Arrivammo al secondo piano e
corsi lungo il corridoio in cerca della stanza in cui avrei trovato mio
padre. Da lontano vidi mia madre e mia sorella in piedi, che parlavano.
Corsi subito verso di loro e quando arrivai lì avevo il
fiato
corto per la corsa. << Sì può
sapere cosa diavolo
è successo? >>, dissi con fatica, ma con la
giusta enfasi.
<< bella si può sapere dove sei stata?!
>>. Guardava
Edward dalla testa ai piedi con un'aria poco convinta e poco
soddisfatta. Sapevo che non le piaceva, per lei un vero ragazzo doveva
essere vestito perennemente con completi eleganti e avere i capelli
ordinati. Ma soprattutto un patrimonio abbastanza alto da superare il
suo. Praticamente si parlava di un piccolo George.
<< Mamma ti sembra il momento di rimproverarmi?
>>,
sembrava sempre inopportuna. << Dov'è Erika?
>>.
<< E' dentro, dovresti entrare anche tu, ti cerca da
tutta la giornata >>. Sembrava che non volesse dirmi
niente.
<< Ok >>, mi voltai verso Edward.
<< Vuoi... Entrare
con me? >>, non era costretto, era una cosa grossa,
però
sarebbe stato meglio se fosse entrato.
<< Sì >>, rispose senza pensarci
un attimo. Forse
non era così stronzo come voleva sembrare. Entrammo dentro,
la
stanza era illuminata da una luce fioca sul letto di mio padre che era
l'unico paziente in quella stanza, però c'era mia sorella a
fargli compagnia. Era seduta accanto a lui e parlavano, ridevano
entrambi. Chissà se mia sorella sapeva la verità.
Mio
padre sorrise di più quando mi vide entrare e sorrisi anche
io,
ma in realtà volevo piangere. L'ultima volta che avevo visto
mio
padre era stato il giorno prima, era sorridente e sembrava che non
avesse nessun problema. Invece in quel momenti era visibile a chiunque
la frustrazione sul suo viso. Sembrava dimagrito, sembrava avere
più rughe e più occhiaie pronunciate.
<< Eccoti, ti ho aspettata così tanto
>>,
allungò una mano verso di me, io feci un passo e l'afferrai,
era fredda e tremava un po'.
<< Lo sai che mi faccio sempre attendere
>>, feci qualche
altro passo fino a raggiungere mia sorella, le misi una mano sulla
testa. << Puoi lasciarci un attimo da soli?
>>.
<< Va bene >>, disse scocciata. Le amava
passare del tempo
con mio padre e sembrava che valesse anche se si trovava in una stanza
di ospedale. Diede un bacio sulla guancia a mio padre e uscì.
<< Chi è questo ragazzo? >>,
disse facendo segno
verso Edward. Era strano il fatto che anche se non proferisse mai
parola e cercasse di tenere le distanze da me, riuscivo a sentire la
sua presenza. Edward fece qualche passo verso di noi.
<< Lui è Edward, mi ha dato un passaggio fin
qui >>.
<< Come diavolo è vestito >>,
disse sorridendo, non aveva molte forze.
<< Sai lui è uno dei componenti del gruppo che
ti dicevo
ieri, ho avuto un... problema con la macchina e mi ha accompagnata
>>. Un problema provocato da lui.
<< Salve signore, piacere di conoscerla >>,
disse con un
tono gentile, un tono che non mi aspettavo. E mi accorsi che aveva uno
strano accento... Un accenno di... Inglese. Risi un po', forse
perché mi aveva ricordato George, e alla descrizione del
ragazzo
ideale per mia madre. Forse aveva molto in comunque con lui, magari se
avessi detto a mia madre che aveva l'accento inglese avrebbe recuperato
qualche punto. Edward mi affiancò.
<< Edward... Trattala bene altrimenti ti prendo a calci
ovunque
mi trovo >>. Oh mamma, ma che cosa aveva capito. Restai
un attimo
allibita, con la bocca aperta.
<< Sì, papà, basta. Vuoi dirmi
cos'è
successo o devo andare a cercare un dottore? >>.
Tornò
improvvisamente serio e mi accorsi che iniziò a tremare di
più e mi strinse la mano più forte.
<< Siediti >>, mise anche l'altra mano
sulla mia. Aveva una
flebo su quella mano. Lo ascoltai e mi sedetti sulla sedia che era
proprio accanto a me. << Bella... Ormai è un
anno,
più o meno, che va avanti questa storia >>, si
bloccò e abbassò la testa.
<< Quale storia? >>, sembrava davvero
difficile parlarne per lui.
<< Ho un cancro, Bella... Al cervello >>,
disse l'ultima
parola con una specie di sorriso sulle labbra. Mollai un po' la presa
della mano, chiusi gli occhi e alzai di poco la testa. Sentivo
già gli occhi bruciare per le lacrime e le guance
riscaldarsi.
Iniziai di nuovo a tremare e dopo poco tempo sentii la prima lacrima
varcare la soglia dell'occhio sinistro e dopo quella ne scesero tante
altre insieme. Ancora non ero caduta in una crisi di spasmi e
singhiozzi, perché doveva ancora dirmi la frase definitiva.
<< Perché me lo dici solo adesso?
>>, tornai a
guardarlo, ma in un certo senso ero delusa, mi sentivo tradita dal
fatto che non me lo avesse detto.
<< Perché non sapevo come dirtelo,
è difficile
anche adesso, ma adesso dovevo proprio dirtelo >>, stava
per
lanciare la bomba che avrebbe fatto scoppiare tutto.
<< Perché? Perché è
così necessario
adesso >>, volevo che me lo dicesse, volevo che mi
dicesse che
gli rimaneva poco, glielo si leggeva negli occhi.
<< Perché non vorrei che un giorno ti
svegliassi e
qualcuno ti dicesse che sono morto! >>, urlò,
per quel che
poteva. Mi abbassai sulla sue mani, le bagnai con le mie lacrime.
<< Bella, mi resta poco tempo >>.
<< Quanto? >>, chiesi senza alzare la testa.
<< Un mese, forse due >>. Mi strinse di
più la mano, fino a farmi male.
<< No >>, mi alzai in piedi, lasciandogli
la mano e
dandogli le spalle. << Tu non puoi >>,
cercavo di
asciugarmi le lacrime ma non cessavano nemmeno un attimo di scendere.
<< Bella io non posso farci niente >>.
Mi rigirai a guardarlo. non sapevo di preciso quali fossero i miei
sentimenti, se si trattasse di rabbia, dolore, delusione, se avessi la
sensazione di cadere in un baratro e se mi girasse la testa. O se li
percepissi tutti nello stesso momento. << Io non sono
pronta! Un
mese è troppo poco, tu dovevi dirmelo! Dovevi dirmelo!
>>,
cercavo di non urlare per non farmi sentire dal resto dei pazienti
presenti nelle vicinanze e soprattutto per non farmi sentire da mia
sorella. << Tu mi lascerai da sola e potrebbe succedere
tra un
mese, dovevo prepararmi prima! >>, come avrei potuto
farmene una
ragione se avevo così poco tempo per godermelo ancora.
<< Bella tu non sei sola, c'è tua madre e le
tue sorelle... >>.
<< Cosa? >>, lo bloccai subito,
<< Mia madre
continuerà a non niente, mia sorella nemmeno ti considerava
fino
ad oggi! >>, cosa avrebbero potuto fare loro? Niente,
come non
avevano mai fatto.
<< Loro sono la tua famiglia >>.
<< No tu sei la mia famiglia! >>, iniziai a
piangere di
più, era come se volesse trovare un motivo valido nella mia
vita
per andare avanti dopo la sua morte, ma non aveva capito che per me era
la cosa più importante per andare avanti già
adesso.
<< Devi prenderti cura di Erika >>.
<< Io mi prendo cura di lei tutti i giorni...
Papà, non
cercare di convincermi >>, restai a guardarlo un po',
mentre lui
sembrava non avere il coraggio di guardarmi. Mi voltai di nuovo e corsi
fuori scansando Edward. Guardai un attimo la mia sorellina, lei forse
l'avrebbe presa peggio di me. Speravo solo che sapesse la
verità, doveva saperlo, perchè era un modo per
crescere.
Poi iniziai a correre, cercando la prima uscita in vista. Correvo,
correvo e intanto piangevo. Trovai un'uscita e mi ci avventai, uscii
fuori con tutta la forza che avevo dentro di me e con la stessa forza
chiusi la porta facendola sbattere forte. restai bloccata, immobile
quando mi accorsi che scendevano dal cielo un sacco di fiocchi di neve,
soffici e freddi. Alzai la testa e lasciai che i fiocchi mi cadessero
sul viso, sospesi anche le mani e lasciai cadere i fiocchi anche sui
palmi. Poi ricominciai a piangere, abbassai la testa e feci cadere
tutti i fiocchi dal mio viso eliminando completamente la magia che per
un attimo si era creata, non c'era magia in quel momento, e la neve non
poteva alleviare il dolore che era scoppiato in ogni cellula del mio
corpo. Non volevo altro che piangere, per il resto potevo anche essere
sommersa dalla neve. Andai verso un muretto, appoggiai la schiena e mi
feci scivolare a terra fino a sedermi. Sentivo tanto freddo con quella
divisa, ma non mi importava, era l'ultima cosa che sentivo. Portai le
ginocchia al petto e le avvolsi con le braccia appoggiandoci il viso,
le lacrime uscivano ancora ininterrottamente.
Un attimo dopo però, sentii una mano sulla spalla, una mano
calda e grande. Era delicata, ma non troppo sicura del gesto che aveva
appena fatto. Sapevo chi era, e sapevo anche che mi bastava un solo
movimento per toccarlo, o meglio, per abbracciarlo. Forse era l'unica
cosa di cui avevo bisogno. Un abbraccio caldo e confortante, qualcosa
che smettesse di farmi piangere. << Mi dispiace
per tuo padre >>. Non so perché stesse facendo
tutto
questo, e non sapevo se fosse servito a cambiare qualcosa,
però
già pensavo a lui in modo diverso. Ma più di
tutto non
riuscivo a capire perché mi sentivo così al
sicuro.
<< Sai... Avevamo un sacco di progetti... Voleva portarmi
a
visitare il Grand Canyon, è una cosa che dice da quando sono
nata >>, tra le mille lacrime che bagnavano il viso
spuntò
un lieve sorriso. << Avevamo deciso che ci saremmo andati
per il
mio diciottesimo compleanno... Adesso so per certo che non ci
sarà per i miei diciotto anni >>. Guardai il
vuoto. Non
avevo mai capito la sua mania per quel posto, era stato lì a
diciotto anni e aveva detto che voleva portarmi lì per i
miei
diciotto anni, così avrei visto con i miei occhi la sua
magnificenza.
<< Sono sicuro che tutte le cose che volevi fare con lui
le farai >>.
<< Che senso avrebbe farle senza di lui...
>>. Andare in
posto in cui sarei dovuta andare con lui, senza di lui... Era come
provare a fare una torta al cioccolato... Senza cioccolato. Inutile.
<< Io non lo conosco, ma penso che lui vorrebbe solo che
tu sia
felice, anche quando non ci sarà più
>>, era bello
vedere che almeno qualcuno provava a consolarmi, non ero sicura che mia
madre o mia sorella lo avrebbero fatto meglio di lui.
<< Certo che vuole che io sia felice, ma quando non ci
sarà più non sarò mai felice come
dovrei >>,
mi accorsi che il pianto era diventato meno fastidioso e riuscivo a
parlare tranquillamente. << lui per me è
importante...
Molto importante >>.
<< Immagino >>. Lo sentii sospirare. Notai
che non aveva
tolto la mano dalla mia spalla, e sentii che la presa era forte.
<< Mi dispiace se ti ho fatto saltare le prove oggi, io
volevo
solo fartela pagare per la storia della macchina all'inizio
>>.
<< Figurati... Se per un giorno salto le prove non
è la
fine del mondo >>. Aveva un tono diverso da quando lo
avevo
incontrato quel pomeriggio, era più gentile. Forse quel
cambiamento dipendeva solo dalla situazione. << Senti...
Qui fa
molto freddo, se vuoi ti accompagno a casa >>.
<< Posso andare anche con mia madre >>, non
volevo fargli
perdere ancora tempo e mi aveva sopportato anche abbastanza.
<< A quanto ho capito non ti va molto di stare con tua
madre. E poi io posso portarti subito a casa >>.
<< Sei molto perspicace >>, asciugai un po'
il viso con la
giacca della divisa e mi alzai, e solo in quel momento la sua mano
lasciò la mia spalla. << Ok, è una
proposta
più attraente questa >>. Si alzò
anche lui. Vicino
a noi c'era un lampione acceso che mi permise di guardare il suo viso,
era sempre serio e accigliato, i suoi occhi erano verdi, un bel verde,
che prima non avevo notato. Restai un po' a fissarlo
<< Andiamo? >>, mi chiese distogliendomi.
<< Sì, andiamo >>, mi precedette
aprendomi la porta
e facendomi entrare. C'era luce e caldo, ma l'odore che c'era negli
ospedali non lo sopportavo, forse perché da bambina per via
del
mio asma ci passavo molto tempo, e forse dopo quella giornata lo avrei
odiato anche di più.
<< Non vuoi avvisare? >>.
Mi fermai un attimo a guardare il corridoio su cui c'era la stanza di
mio padre. << No >>, non me la sentivo di
rivederlo in quel
momento, soprattutto perché ero in quello stato, e non
volevo
che nemmeno mia madre mi vedesse così. Senza dire niente
andò verso le scale, io restai ancora un po' a guardare in
quella direzione, ma poi lo seguii. Scesi le scale molto più
lentamente rispetto a quando andavo nel senso opposto.
Io e Edward restammo in silenzio mentre camminavamo in ospedale e anche
mentre raggiungevamo la macchina, cos'altro c'era da dire? Entrammo in
macchina, era un po' fredda, ma appena mise in moto si
riscaldò.
Partimmo e anche lui andava molto più lentamente rispetto a
prima.
<< Quanti anni ha tuo padre? >>, mi chiese
dopo un po' con
una certa indecisione, forse aveva paura che non volessi parlare di lui.
<< Ha quarant'anni... Strano quando dicono che la vita
inizia a
quarant'anni, vero? Anche io ci credevo fino a prima >>,
sorrisi
un po'. Era un sorriso amaro perché non c'era nulla da
ridere.
<< Sai non ho mai pensato a quanti modi può
morire una
persona, soprattutto per mio padre, ma penso che questo sia il modo
più doloroso, e lui non lo merita >>, per
niente. Mio
padre nella sua vita aveva sempre fatto del bene, era un uomo umile.
<< Lui e tua madre sono divorziati? >>, non
mi spiegavo il motivo di certe domande da parte sua.
<< Sì, da un paio di anni... Dopo il divorzio
mia madre
è diventata una specie... Di arrampicatrice sociale, sai,
sempre
in cerca degli uomini più ricchi. Per questo e per altri
motivi
non andiamo molto d'accordo >>, forse gli avrei
raccontato tutta
la mia vita prima di arrivare a casa.
<< Posso darti un parere personale? >>, non
sapevo se fosse
una domanda retorica ma feci segno di sì con la testa.
<<
Non so cosa si prova in queste situazioni, ma secondo me dovresti
passare tutto il tempo che gli resta con lui, se tu sei così
importante per lui e lui è molto importante per te
sarà
difficile da parte di entrambi perdere l'altro, e dovrete sfruttare
ogni attimo >>.
<< Certo, lo so >>.
<< E allora perché non sei voluta tornare da
lui? >>.
<< Perché... non volevo che mi vedesse in
questo stato.
Lui sa che sto soffrendo ma non voglio che mi veda >>.
<< Capisco >>. Restammo di nuovo in
silenzio. Fissavo il
parabrezza e vedevo la neve che si posava sopra. La neve era arrivata
presto, ma era bella. Mi era sempre piaciuta, mi faceva sentire ancora
bambina. Ogni anno, quando arrivava, uscivo con mio padre, ci
divertivamo parecchio. Avrei voluto farlo anche quell'anno, ma
probabilmente non sarebbe stato possibile. Girai il viso e posai lo
sguardo sulla strada. Mi chiedevo quanta gente in quella
città,
in quel momento soffriva di cancro, e quanta di quella gente aveva una
figlia o più di una che soffrivano come stavo soffrendo io.
Fino
a quel giorno il problema non era mai apparso nella mia mente, anche
perché non mi ero accorta del minimo sintomo. E mi ritrovai
a
pensare alla cosa più banale. La vita era strana.
Chissà
quante volte al giorno lo ripetevo. Mi sembrava sempre così
surreale, come il significato delle parole, o i motori delle macchine,
o il vento, o la neve. Qualsiasi cosa che vedevo e che toccavo, ma
anche che non toccavo, mi sembrava surreale. Come il cancro. Esisteva
qualcosa di più incredibile? Niente distruggeva una persona
come
quella malattia, nemmeno le guerre. Arrivava all'improvviso senza che
qualcuno se ne potesse accorgere. Distruggeva i corpi e distruggeva la
felicità, tutto in modo proporzionale: più
cresceva e
più disintegrava la parte del corpo colpita, più
cresceva
e più disintegrava la felicità di chi lo viveva.
E mi
chiedevo qual era il motivo della sua esistenza. A cosa serviva un
cancro, o qualsiasi altra malattia, se portava solo dolore. E
soprattutto... Dio sapeva dell'esistenza di quella malattia? Anzi, Dio
esisteva? Quando avevo cinque anni mia nonna morì, era
malata di
cuore, mia madre mi disse che Gesù mandava le malattie alle
persone che voleva accanto a sé, ma già a cinque
anni
quel ragionamento non mi filava molto. Perché
Gesù voleva
far soffrire una persona che voleva accanto a sé?
Perché
se la voleva accanto a sé voleva dire che forse credeva che
quella persona fosse buona. Ma se era buona perché farla
soffrire? In realtà dal quel momento mi ponevo sempre dei
quesiti sulla religione, in particolare sull'esistenza di Dio, e se
qualcuno mi avesse chiesto in quel momento se credevo nell'esistenza di
Dio avrei risposto categoricamente di no. Andiamo! Qualsiasi persona
che parlava di Dio lo descriveva come un'entità buona, che
voleva la pace e il bene di tutti. Ma volevamo parlare delle migliaia
di
guerre che c'erano state nel mondo, o delle malattie, appunto. Se
esisteva un Dio di sicuro non voleva il bene di tutti.
<< Bella... Siamo arrivati >>, Edward aveva
capito che ero
persa nei miei pensieri. Mi guardai attorno, e sì, era
proprio
casa mia.
<< Bene >>, presi la borsa e aprii la
portiera, << Be', grazie >>, dissi prima di
scendere.
<< Ehi, se non te la senti di venire domani non
preoccuparti, avviserò io i ragazzi >>.
<< No, verrò, ho bisogno di suonare un po'
>>.
<< Ok, allora a domani >>.
<< A domani >>, chiusi la portiera e andai
verso casa,
affrettai il passo per non stare troppo sotto la neve. Entrai dentro e
salutai il portiere, forse dall'espressione voleva chiedermi cosa era
successo ma io non mi fermai e andai subito su. Entrai in casa e la
prima cosa che feci fu andare sotto l'acqua calda della doccia, era una
bellissima sensazione, dopo tutto il freddo della giornata. Indossai un
pigiama caldo e quando ero completamente ripulita mi preparai una
tazza di tè caldo, mi avrebbe fatta rilassare un po'. Mi
misi
seduta di fronte alla finestra, a guardare i fiocchi di neve che
scendevano interrottamente, ero al buio e mi piaceva, era rilassante.
Solo dopo molto tempo sentii la porta che si aprì e le tre
ragazze entrare. Qualcuno accese la luce e le vidi arrivare insieme
nel salone. Mi alzai in piedi in attesa di Erika.
<< Bella! Eccoti! Potevi almeno avvisare che saresti
tornata a
casa! >>, ignorai completamente mia madre, andai da mia
sorella e
mi misi in ginocchio, senza dire niente l'abbracciai. L'abbraccia
forte, più forte che potevo, anche se le faceva un po' male.
Tra
poco tempo sarebbe rimasta solo lei per me, e io le avrei dato tutta me
stessa, più di quanto facevo già. E immaginavo
quanto
avrebbe sofferto quando avrebbe saputo che il suo papà non
c'era
più, e pensavo che non lo meritava per niente, soprattutto
perché si erano scoperti da poco, e lei aveva ancora tanto
da
fare con lui, più di quanto avrei dovuto fare io. Trattenni
le
lacrime per far sembrare quel momento meno drammatico.
<< Papà è molto malato, vero?
>>, anche lei
mi abbracciava, e come pensavo nessuno le aveva detto niente, o almeno
non le avevano detto tutta la verità.
<< sì, sta molto male >>, non
importava quanto
questo le avrebbe fatto male, lei era una bambina molto intelligente e
avrebbe capito. Anche se in quei casi l'intelligenza non contava molto,
ma doveva saperlo, per non doversi svegliare un giorno qualunque e
sapere e che suo padre era morto. Sciolsi l'abbraccio e la guardai, le
accarezzai le guance. << Tu però non devi
preoccuparti,
perché ci sono io con te >>, aveva gli occhi
lucidi e
tratteneva le lacrime. Non disse niente e andò in camera
sua. Mi
alzai e mi ritrovai mia madre di fronte.
<< Cosa ti salta in mente, Bella?! Nessuno glielo aveva
detto per
non farla soffrire! >>. Quanto era chiusa la mente di
quella
donna!
<< Mamma lei soffrirà lo stesso, ma ha il
diritto di sapere come sta suo padre! >>.
<< L'hai traumatizzata adesso! >>.
<< Ma per favore, sarebbe rimasta traumatizzata anche tra
un mese
o forse due quando avrebbe saputo che suo padre è morto
>>, stavo ripetendo quella frase troppe volte.
<< Lei non
crederebbe mai alla storia che Gesù manda le malattie a chi
vuole accanto a sé, quindi risparmiatela >>.
Scosse un
attimo la testa, poi andò verso la sua camera indignata. Non
saremmo mai andate d'accordo.
<< Sai, papà l'ha presa male quando sei
scappata >>. Oh, la mia dose non era ancora finita.
<< Davvero Sharon? Ti interessa? >>, andai
a prendere la
tazza del tè che avevo lasciato sul davanzale della finestra
e
la portai sul tavolo.
<< Bella è mio padre! Anche se il rapporto non
è
più lo stesso mi interessa se mio padre ha il cancro
>>.
Restai in silenzio a guardarla e era convinta di quello che diceva.
<< Comunque esce domani, vuole tornare a casa e vorrebbe
vederti
>>. Infondo aveva ragione. Probabilmente non lo vedeva da
mesi,
ma era comunque suo padre, sangue del suo sangue, ci credevo se mi
diceva che era dispiaciuta. Lo sarebbero tutti. <<
Comunque...
Quel ragazzo che era con te chi era? Era il tuo ragazzo? E' carino!
>>. Restai a guardarla a bocca aperta. Era facile per lei
distrarsi da una situazione simile. Forse avevo parlato troppo presto.
<< Ma vaffanculo! >>, dissi urlando e
andando verso la mia
camera. Non sapeva pensare altro che ai ragazzi, anche in quelle
situazioni! Non si smentiva mai! Prima di andare in camera mia mi
fermai davanti alla porta della camera di Erika, quando non sentii
niente l'aprii. Era nel letto e sentivo i singhiozzi provocati dal
pianto. Mi avvicinai e le accarezzai i capelli. << Ehi...
>>.
<< Perché deve stare male? >>,
alzai le coperte e mi sdraiai accanto a lei.
<< Sai, queste non sono scelte che una persona
può fare, sono cose che capitano >>.
<< Perché doveva capitare proprio a lui
>>, avevamo le stesse domande senza risposta.
<< Perché a volte capita anche ai migliori
>>.
<< Io non voglio che va via >>, trattenni a
fatica le lacrime.
<< Lui non andrà via se tu non lo vorrai.
Anche se non
potrai più vederlo lui sarà sempre accanto a te e
ti
proteggerà, e se tu vorrai parlargli potrai farlo anche se
non
ti risponderà ma ti ascolterà >>,
cercavo di
convincere più me stessa che lei.
<< Davvero? >>, mi guardò e si
asciugò le
lacrime, sembrava rincuorata da quello che le avevo appena detto.
<< Certo >>.
<< Ok >>. Riappoggiò la testa
sul cuscino e
continuai a stringerla e ad accarezzarla finché non si
addormentò, poi mi alzai dal letto e andai in camera mia, mi
sdraiai e provai a dormire, anche se era davvero difficile se
continuavo a pensare a mio padre. Ma la giornata era stata pesante e la
stanchezza prevalse sui pensieri, così dopo un po' chiusi
gli
occhi e mi addormentai, senza sognare e senza mai svegliarmi.
Ok,
ci ho messo un po' per scrivere questo capitolo, ma ho passato un
periodo di totale stress con la scuola per la chiusura del
quadrimestre...
Comunque, questo capitolo è un po' drammatico, ma non
saranno tutti così xD
Diciamo che devo dare alla storia qualcosa per farla andare avanti...
Ho trattato un argomento delicato e spero che vi piaccia! Non fatevi
ingannare dalla gentilezza di Edward, c'è da vedere ancora
taaaanto! xD
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