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Autore: Midnight Sun_    05/02/2012    2 recensioni
E' il 1989. Bella ha diciassette anni quando una sua amica la presenta ad un gruppo di ragazzi che sono i componenti di una band in cerca di un batterista. Bella ama suonare la batteria. E' una ragazza dell'Upper East Side, ricca, ma non ha nulla di cui ha bisogno. Ha delle grosse divergenze con sua madre e sua sorella maggiore, e suo padre è il suo unico amico, peccato che i suoi siano divorziati.
Edward ha vent'anni ed ha fatto della musica una ragione per cui continuare. E' inglese e si è trasferito all'East Village quando aveva diciassette anni per scappare da sua madre e dalla sua vita. E' abbastanza misognino.
Lui e Bella si Incontreranno quando Bella decide che è il caso di cambiare vita ed entrare nel gruppo in cui lui suona. Ma l'inizio è al quanto turbolento!
Ma vi avverto, questa non è la solita storia romantica!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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<< Ciao Bella >>, mi voltai a guardare chi fosse il ragazzo che mi aveva salutato. << E' così che ti chiami, vero? >>, era un ragazzo che non conoscevo, ma quel giorno non era il primo che mi salutava.
<< Sì, mi chiamo così. Ma io non ti conosco >>, non gli lasciai il tempo per proferire altra parola, anche perché stavo andando a casa e nessuno poteva disturbarmi in un momento fatidico come quello, dopo una giornata a scuola.
Sembrava che improvvisamente mi conoscessero tutti. Quella mattina, quando ero arrivata, mi guardavano tutti, alcuni mi salutavano e alcuni parlavano nell'orecchio dell'amico o amica accanto. Sembrava che il gesto del giorno prima, ovvero dare del cornuto al professore, fosse stato epico, come se qualcuno volesse farlo da un po'. Anche se una ragazza, Madison, era abbastanza contraria, tanto da venire con un gruppo di altre ragazze, a darmi della stronza. Ma si poteva biasimare, dato che era la prima in lista per la borsa di studio milionaria. Anche il professore la pensava in maniera diversa: Quando quella mattina entrai in classe mi guardò e mi trucidò, ma non disse niente, forse per non alzare altri polveroni, era già un miracolo che fossi andata a scuola quel giorno. Infondo mi interessava andare a scuola e i miei voti non erano male, a parte matematica, ma quella era una cosa a parte.
La cosa positiva di tutta la storia era che non mi avevano sospesa. La cosa negativa erano tutte quelle attenzioni, da parte di gente che non conoscevo e che non sopportavo! Ma sarebbe durata poco, il tempo di finire la settimana scolastica e puff, improvvisamente Bella e la storia della cornificazione sarebbero stati solo un ricordo lontano!
Uscii dall'istituto e raggiunsi la mia adorata macchina, che mi faceva dimenticare di tutto quello che mi turbava. E durante il tragitto gli occhi indiscreti mi accompagnarono fino a quando entrai e chiusi la portiera, e li sentivo ancora addosso quando partii. Un'altra cosa che mi sollevava il morale era che tra tre ore avrei iniziato a suonare la batteria. Anche se il mio incontro con quei ragazzi non era stato poi così esaltante, non c'era stato il "colpo di fulmine", ma grazie a loro avrei potuto fare continuamente una cosa che amavo fare. Forse col passare del tempo sarebbe andato meglio, magari si poteva instaurare un rapporto, o forse no. Ma ero in grado di sopportare qualsiasi cosa pur di suonare regolarmente la batteria.
Una cosa a cui avevo pensato continuamente però era che quel ragazzo, Edward, o era un vero maschilista o aveva qualcosa contro di me.
La prima opzione era più probabile, dato che non mi conosceva affatto e non poteva avere nulla contro di me. Ma io potevo avere qualcosa contro di lui. Mi aveva trattato malissimo, senza alcun rispetto per il mio sesso e per quello che noi ragazze eravamo in grado di fare. Sarebbe stato un motivo per prenderlo di mira, e a me piaceva farlo.
Mi fermai ad un semaforo rosso e fu questione di un attimo, quando sentii il mondo crollarmi addosso. O meglio, quando sentii il rumore di una carrozzeria che veniva distrutta e l'urto insistente che mi fece sobbalzare.
<< Fa che non sia vero, fa che sia solo frutto della mia immaginazione >>, dissi con il viso appoggiato sul volante, disperata e speranzosa. Pensavo al di dietro della mia povera e amata auto, al fatto che poteva essere seriamente danneggiato. L'immagine che mi si piazzò nella mente mi fece scattare. Scesi dalla macchina, con gli occhi quasi rossi di rabbia. Le mie mani iniziavano a prudere e a farsi dominare dalla rabbia che stava annebbiando ogni altro sentimento, e soprattutto la ragione. La mia Mustang non si tocca!! Guardai prima la mia macchina, per controllare i danni. La carrozzeria posteriore era completamente rovinata, i fanali distrutti... Il responsabile l'avrebbe pagata! Mi diressi proprio verso l'autista che stava per morire per mezzo delle mie manine. Scese dalla macchina e quando lo vidi la rabbia prese ancora di più il sopravvento.
<< Tu?! >>, dissi spalancando gli occhi e con le mani sospese. Se non ci fosse stato nessuno l'avrei colpito con tutta la forza.
<< Oh, cazzo! No! >>. Il metro e ottanta davanti a me aveva la mia stessa espressione sorpresa e sconvolta. Edward e i suoi occhi azzurri erano quasi impauriti.
<< Ma cosa diavolo ti passa per la testa mentre guidi?! >>, urlai dimenandomi verso la mia auto.
<< Mi ero distratto un attimo! >>. Si appoggiò col gomito sullo sportello aperto della sua macchina. Già il fatto che non mi avesse chiesto scusa era un motivo per arrabbiarmi di più.
<< Sappi che ti odierò per tutta la mia vita! >>, dissi tornando verso si lui e puntandogli il dito in pieno viso. Intanto le auto dietro insistevano con il clacson per poter passare, e io, già arrabbiata di mio, feci dei gestacci a tutti loro e gli suggerii, con gli stessi gestacci, di passare accanto. << Ora cosa hai intenzione di fare? >>, io una mezza idea ce l'avevo.
<< Non lo so, pensavo di andare a casa >>, rispose sfacciatamente e improvvisamente tranquillo, come se non gli importasse niente.
<< Ascoltami bene, grandissima testa di rapa >>, per non dire altro, << questa macchina è la cosa migliore che possiedo, quindi se tu ora non mi accompagni da un meccanico e non paghi i danni che hai causato, ti posso assicurare che ti rovino, è chiaro il concetto? >>. La sua espressione non era cambiata, e mi fece andare su tutte le furie. << Ok, vuoi che usi le maniere forti? Edward, non ti libererai di me, quindi o mi porti da un meccanico o chiamo subito la polizia! >>. Alla parola polizia trasalì, forse non aveva un buon rapporto con la legge.
<< No, tu non lo farai! >>, si avvicinò verso di me, con lo sguardo minaccioso. Avevo toccato il tasto giusto.
<< Sì che lo farò, se mi costringi a farlo >>. Lui non sapeva di cosa ero capace di fare se veniva toccato qualcosa a me caro.
<< Tu stu... >>, non terminò la frase, o forse lo fece, ma si voltò e quindi non riuscii a sentirlo. << Ascolta, io non ho tempo da perdere con una ragazzina viziata, non mi interessa della tua macchina! >>. Lui era su di giri, mentre io ero tranquillissima, perché sapevo che non sarebbe andato da nessun'altra parte se non da un meccanico.
<< Anche io avevo delle cose da fare, ma tu hai rovinato la mia giornata, la colpa è la tua, quindi non fare storie e accompagnami da un maledetto meccanico! >>, dissi l'ultima frase urlando e con l'enfasi giusta per fargli capire quanto mi stava disturbando.
Chiuse gli occhi e sospirò, forse cercava di far sbollire la rabbia, come se lui avesse appena subito un danno del genere. << Va bene! Entra in quella maledetta auto e seguimi! Ne conosco uno bravo da queste parti >>. Si voltò e si passò le mani tra i capelli.
<< Vedi che ragionando si arriva sempre ad una soluzione? >>, dissi sorridendo, e come volevo, si innervosì. Andai nella mia macchina e chiusi lo sportello, misi in moto e aspettai che partisse anche lui per seguirlo. Mi fece un'occhiataccia per il poco tempo che mi affiancò. Forse quando aveva visto che ero io la sua "vittima" aveva pensato che avrei lasciato correre. Ma lo conoscevo da meno di ventiquattro ore e niente mi ostacolava dal rovinarlo per aver graffiato la mia macchina. Iniziai a seguirlo pensando continuamente all'urto. Non potevo crederci che il caso fosse così incredibile. Stavo pensando proprio a lui durante il tamponamento, e non stavo pensando affatto cose belle. Era... Spaventoso.
E di sicuro quella non era affatto la mia giornata. Prima il ritorno a scuola, poi la mia macchina... Mancava solo un meteorite sulla mia casa e sarei potuta morire!
Continuai a seguirlo, non lo persi un attimo di vista, e dopo aver svoltato un paio di volte a destra e un paio di volte a sinistra, ci fermammo di fronte ad un garage in una stradina. Edward scese dalla macchina e venne verso di me. Scesi anche io prima che mi raggiungesse.
<< Questo le sta bene signorina? >>, disse indicando il garage e con un tono di voce fastidioso e penetrante.
<< Basta che sia bravo. La mia Mustang merita i trattamenti migliori >>, lui pensava che io fossi viziata? Io avrei fatto il suo gioco fino a farlo esasperare. Avevo capito che non era un'impresa difficile.
<< La tua Mustang non è meglio della mia Aston Martin, che anche è rovinata! >>. Quello era un vero affranto: dire che la sua macchina fosse meglio della mia... Era un sfida ormai.
<< Prima di tutto se tu fossi stato più attento ora nessuna delle due macchina sarebbe rovinata, ma tu a chissà cosa diavolo pensavi e mi ci sono dovuta ritrovare proprio io davanti a te! Secondo... Cosa?! Ti sembra il caso di paragonare le nostre macchine? No ma dico, tutti sanno che una Mustang è meglio di una Aston Martin! >>, non svegliare il can che dorme!
<< Ma stiamo scherzando?! >>, strabuzzò gli occhi. Sembrava che tenesse alla sua macchina come io tenevo alla mia. << Una Mustang non potrà mai fare quello che fa una Aston Martin! >>, era seriamente convinto di quello che diceva. Non aveva capito nulla della vita!
<< Amico, amico >>, dissi mettendo le mani davanti al suo viso, come per bloccarlo. << Hai mai guidato una Mustang? >>. Se non si provava non si poteva sapere!
<< Certo che l'ho guidata! E tu invece? Tu hai mai guidato una Aston Martin? Ne dubito >>.
<< Mi dispiace deluderti, ma ho guidato una Aston Martin, e per questo posso dire per certo che la Mustang è di gran lunga migliore! >>, insistetti con la mia tesi, giusta, ovviamente.
Si passò una mano sul viso, esasperato e io sorrisi senza farmi vedere. << Ok, dobbiamo aggiustare una macchina giusto? E' già un miracolo il fatto che io ti abbia portato qui, ora possiamo procedere senza fare troppe storie? >>. Ok, aveva avuto la sua dose, per poco però.
<< Ok, andiamo >>.
<< Oh, ma grazie signorina >>, disse l'ultima parola con un tono insopportabile. Pensava seriamente che io fossi una bambina capricciosa e viziata! Andò avanti dandomi le spalle e io lo seguii. Entrammo dentro al garage che doveva essere un'officina. Andò incontro ad un uomo buffo. Era basso, grasso, capelli neri e ricci - quei pochi capelli che gli erano rimasti -, e una salopette blu sporca di olio. Il classico meccani, forse. Edward alzò la mano per salutarlo e appena il meccanico lo vide gli sorrise e venne verso di noi.
<< Ehi ragazzo! Hai di nuovo un problema alla macchina? Sei stato qui già tre volte in un mese >>.
<< L'Aston Martin >>, dissi a bassa voce e risi. Misi la mano sulla bocca per non farmi sentire. Ma Edward mi sentì e sbuffò. Infondo era lui che se la vantava tanto quella macchina, io gli avevo detto che non valeva niente.
<< No in realtà sono qui per la sua macchina >>, fece segno verso di me con un dito, e io dietro di lui salutai l'uomo con una mano.
<< Mi hai portato una cliente! Bravo! >>, mi salutò di rimando. Aveva una voce che si adattava molto al suo fisico. Sembrava davvero simpatico, con le guance rosse e il naso piccolo.
<< No, veramente avrei evitato, solo che ha insistito tanto. Ecco, diciamo che ad un semaforo rosso mi sono distratto un attimo e ho tamponato la sua macchina. Solo un graffio, niente di che, ma mi ha messo alle strette e sono dovuto venire qui >>. Era anche abbastanza prepotente. Ogni volta che apriva bocca era come se la colpa fosse la mia.
<< Ha fatto benissimo! >>. Ecco uno che la pensava come ogni persona umana che era stata appena tamponata.
<< Sì ma le avevo specificato che avevo da fare, e visto che sono costretto a vederla tutti i giorni da ieri, poteva anche aspettare! >>. Poteva essere più antipatico di così? Forse. Ma visto che anche io ero costretta a doverlo vedere tutti i giorni lo avrei scoperto. Per fortuna non ero costretta a dovergli parlare dopo avergliela fatta pagare.
<< Be', non rimandare a domani quel che può essere fatto oggi >>, disse saggiamente il meccanico. Lui invece era molto simpatico.
<< Giusto >>, dissi muovendo la testa su e giù.
<< Nessuno ti ha interpellato >>, Edward mi bloccò con un tono ancora più antipatico dei precedenti. Eh no caro! Con chi credeva di parlare?!
<< Mi sembrava che stesse parlando di me e della mia macchina, quindi mi avete interpellato e comunque posso parlare quando mi pare! >>, se c'era una cosa che non sapevo fare era tenermi i pensieri per me, ma di questo avevo già dato dimostrazione.
<< Ooook... Mi fate vedere questa macchina >>, il meccanico bloccò subito una possibile lite.
<< Certo, vieni >>. Edward lo accompagnò fuori e come stavo facendo ormai dal nostro incontro/scontro, li seguii. << Ecco, questo è il piccolo graffio che ha fatto spaventare la signorina >>, disse mostrando la mia macchina.
<< Ah, bella macchina! Non si vedono molte ragazze che guidano una Mustang! >>, disse prima di guardare il "piccolo graffio" che quella testa di rapa aveva fatto. Quando lo disse guardai Edward e sorrisi. Risi soprattutto della sua reazione nervosa. Avevo ragione, doveva solo convincersi della realtà.
<< Be' sì... E' la migliore! >> Dissi le ultime parole con il tono di voce un po' più alto e soprattutto orgoglioso.
<< Bene... Vediamo questo graffio... >>, quell'uomo simpaticissimo - aveva acquistato altri punti con il complimento alla mia macchina - si abbassò e analizzo il graffio. Restò un minuto a toccare i punti in cui era rovinata e poi si alzò. << Se non avrò troppo lavoro nei prossimi giorni ci metterò una settimana. Alcuni graffi sono profondi e hanno bisogno di più cura se vuoi un lavoro soddisfacente >>. Che colpo al cuore.
<< Una settimana?! >>, dissi disperata. Come avrei fatto una settimana senza la mia macchina? Sarei dovuta andare a scuola con l'autobus, avrei dovuto camminare a piedi, e come avrei fatto per andare alle prove?
<< E' il massimo che posso fare >>, il meccanico era dispiaciuto, ma non era colpa sua.
<< Senti, prendere o lasciare, ma vedi di prendere una decisione altrimenti te la vedrai da sola >>, ecco che rientrò in scena lui. Lo guardai con un'espressione che lasciava trapelare tutta la rabbia nei suoi confronti, Era solo colpa sua se ero lì in quel momento, ed era colpa sua se sarei dovuta stare una settimana senza macchina.  
<< Potresti per favore restare in silenzio?! >>, dissi con gli occhi chiusi e a denti stretti. Era meglio se non lo guardavo. Restai ancora un po' con gli occhi chiusi per pensare. Quel signore mi sembrava molto affidabile, e infondo non avevo alternative. << Ok, la lascerò qui. Però mi raccomando, io ci tengo tanto a questa macchina >>, dissi al meccanico con le mani intrecciate.
<< Ma dici sul serio? Quest'uomo ha anni e anni di esperienza! >>, ancora lui.
Alzai gli occhi al cielo e strinsi le dita più forte. << Ancora non ti è chiaro il concetto sul silenzio? >>, dissi poi guardandolo. Ormai la sua voce penetrava nelle mie orecchie come il rumore fastidioso si una posata che viene strusciata su un pitto.
<< Ok, poi verrò a controllare in settimana >>, disse velocemente, poi ci diede le spalle e andò verso la sua macchina, entrò dentro e mise in moto. Tutto molto velocemente.
Andai verso di lui. << Ehi ma che fai mi lasci qui?! >>, dissi vicino al finestrino. Lui lo abbassò e fece un ghigno insopportabile.
<< Be'... Prima di tutto non ti piace la mia macchina, e poi mi sembrava che non volessi sentire più la mia voce >>, con lo stesso ghigno mi fece l'occhiolino e partì. Io restai a bocca aperta, senza realizzare che ero rimasta da sola come una cretina, a guardare il vuoto, senza sapere nemmeno precisamente dove mi trovavo.
<< Stupido ragazzo prepotente, stronzo, maschilista, testa di rapa, insensibile e imbecille >>, imprecai ancora qualcos'altro mentre mi dirigevo verso la mia macchina per prendere la borsa e quello che non dovevo lasciare incustodito nelle mani di un meccanico a me sconosciuto. Sbattevo anche i piedi a terra per la rabbia. Era incredibilmente sfacciato. Se fosse stato di fronte a me probabilmente l'avrei preso a schiaffi.
<< tenga, queste sono le chiavi >>, le diedi al meccanico, anzi forse per la rabbia le avevo lanciate. << Ci vediamo tra una settimana >>, senza guardarlo o salutarlo andai via con passi spediti, anche se non sapevo dove andare, non ero mai stata lì. Iniziai a guardare i nomi delle strade e se fossi stata fortunata avrei trovato una fermata di un autobus da qualche parte, o una stazione della metropolitana. << Stupido, rimbecillito, citrullo >>, intanto continuavo a ripetere insulti a bassa voce. Mi fermai un attimo e guardai il cielo. Stava iniziando a farsi buio e quel quartiere sembrava un labirinto. Mi sedetti sui gradini di una casa e abbassai la testa bloccandola tra le gambe. Sfregai un po' le mani sulle braccia. faceva freddo con quella stupida divisa. Sentii un clacson insistente che rimbombava nella testa. Alzai gli occhi e vidi che c'era una macchina ferma sul ciglio della strada. Una parte di me diceva che non avrei dovuto dargli retta, un'altra diceva che forse mi avrebbe portata a casa. La seconda parte prevalse e alzai la testa. restai basita quando vidi che era Edward. Aveva il barbaro coraggio di farsi rivedere.
<< Cosa diavolo vuoi?! >>, dissi urlando.
<< Sono stronzo, ma non fino a questo punto. Questo quartiere non è raccomandabile per una ragazza vestita così a quest'ora >>. Scossi la testa. Quel ragazzo non aveva più nessun neurone sano in quel cervello inutile.
<< Mi hai lasciato un'ora a vagare qui, con il freddo, e con il pericolo che mi accadesse qualcosa, e tu hai pensato solo adesso al fatto che mi sarebbe potuto succedere qualcosa? Be' adesso puoi anche andare via >>, poteva anche andarsene, non avevo bisogno di lui. Abbassai di nuovo la testa.
<< Andiamo, sono passati appena venti minuti e sono rimasto qui intorno tutto il tempo. Non fare la melodrammatica, l'ho fatto solo per darti una lezione >>.
Lui che voleva dare una lezione a me? Mi alzai di scatto e andai verso di lui. << E' colpa mia se sei venuto a scontrarti contro di me?! Dimmi, è forse colpa mia?! E' illecito essere arrabbiata con chi ha rovinato la mia macchina? La stessa persona che per giunta sembra odiarmi dal primo momento in cui mi ha vista? >>, restò in silenzio, senza guardarmi.
<< Per favore... Potresti entrare in macchina e farti accompagnare nel posto in cui devi andare? >>, non mi guardò, restò a fissare il volante e a batterci su con un dito.
<< Sai che potresti risolvere tutto chiedendo semplicemente scusa? >>. Avevo dimenticato che non gli era passato nemmeno un attimo per la mente di chiedermi scusa. Questo faceva di lui non solo un prepotente e tutte le cose che avevo elencato prima, ma anche un testardo orgoglioso.
La sua reazione non cambiò, e soprattutto non chiese scusa. Chiusi gli occhi e l'unico rumore che sentivo era il ticchettio del suo dito sul volante. Lui non sembrava intenzionato a dirmi scusa e nemmeno ad andarsene, io volevo andare a casa e mettermi qualcosa che mi facesse sentire a mio agio. Quindi sospirai, aprii gli occhi e entrai in macchina, senza che nessuno dei due dicesse niente. La macchina era calda, ma c'era puzza di fumo. C'erano cartacce sul cruscotto e una chitarra sui sedili posteriori. Guardai dritto, senza provare nemmeno a guardarlo e lui fece lo stesso. La tensione era percepibile, tanto che si poteva quasi toccare con mano. Con la coda dell'occhio mi accorsi che era accigliato e stringeva forte il volante, infatti aveva le nocche delle dita bianche. L'unica cosa che avrei voluto chiedergli era perché ce l'avesse tanto con me, come se io fossi arrivata a distruggere qualcosa a cui teneva particolarmente. Forse odiava il fatto che una semplice ragazza fosse arrivata a distruggere un mondo che lui considerava essere fatto solo per gli uomini. Ma se era per quello non aveva capito nulla della vita. E confermava la mia testi, cioè che fosse un maschilista.
Alla fine non gli chiesi niente. Forse non mi interessava davvero perché sapevo che non ero costretta a parlargli. Restammo in silenzio finché non mi chiese dove abitavo. Gli diedi le informazioni e fino a quando arrivammo.
<< Non avevo dubbi che abitassi nel quartiere più ricco della città... E' come se ce lo avessi scritto in faccia >>. Perché doveva dire sempre le cose meno opportune nel momento meno opportuno?
<< Nessuno ti ha chiesto se pensavi dove abito >>, dissi troncando l'argomento.
<< Ok >>, forse finalmente aveva capito che doveva stare zitto.
Però c'era una cosa che balenava nella mia mente. << Davvero pensi che io sia una ragazzina viziata? >>, dissi guardandolo, dopo tanto tempo, mentre parcheggiava la macchina.
<< non saresti diversa da tutti quelli che vivono qui >>, sì, lo pensava.
<< Non tutti sono uguali, sai? Ma comunque io non devo dimostrarti niente, io so cosa sono >>. Quella era una risposta più che matura.
Scesi dalla macchina, prima che mi allontanassi mi fermò. << Hai intenzione di venire alle prove? >>.
<< Certo che ci vengo >>, non potevo perdere l'occasione di sfogare tutto lo stress della giornata con l'unica cosa che mi rendesse possibile farlo.
<< Ok, allora ti aspetto qui >>.
<< Ok >>, chiusi lo sportello e andai verso l'entrata. Forse era il suo modo per chiedermi scusa non esplicitamente. Entrai nell'enorme portone e salutai Jerry, il portiere, ma lui subito mi fermò.
<< Signorina, aspetti! >>, disse con un tono allarmato. Tornai subito indietro. << Sua madre la cerca da tutto il pomeriggio, ha chiamato almeno mille volte >>, e cosa mai voleva mia madre da me? << Hanno portato d'urgenza suo padre in ospedale e sua madre voleva diglielo >>, restai in silenzio, a guardarlo. Sentii in un attimo la sudorazione avanzare, i brividi salire su dai piedi, tremore ovunque e il respiro che mancava. << Signorina si sente bene? >>, Jerry mi riportò con il cervello a quel momento.
<< Qual è l'ospedale? >>.
<< Il Medical Center >>. Senza rispondere iniziai a correre, uscii fuori e andai in macchina.
<< Dobbiamo andare al Medical Center, subito! >>, dissi fissando Edward con un certo terrore. Avevo appena saputo che mio padre era ricoverato d'urgenza. Mio padre, la persona che più mi sosteneva. Era un colpo duro da incassare. E la parola "urgenza" non era per niente rassicurante. Presi l'inalatore nella borsa. Soffrivo di attacchi d'asma, soprattutto in momenti come quelli. Spruzzai dentro la bocca e respirai profondamente.
<< Stai bene? Cos'è successo >>, Edward mi ascoltò, iniziò a sfrecciare nel traffico, rischiando un'incidente. Forse pensava che fossi io a stare male. Aspettai un po' per rispondere, perché per un attimo il mio sistema nervoso non sembrava voler funzionare, non pensavo, non riuscivo a proferire parola, ma per fortuna avevo ricominciato a respirare. Feci un paio di respiri profondi. Edward cercava di guardare un po' me e un po' la strada. << Bella non hai una bella cera... Puoi dirmi cos'è successo? >>, sembrava davvero preoccupato, il che era strano, anche se probabilmente ogni essere umano non voleva che una persona morisse nella sua macchina, qualsiasi persona fosse.
<< Io... sto bene >>, dissi con un po' di fatica. << Mio padre... Mio padre!! >>, dissi poi alzando un po' il tono della voce.
<< Cosa? Tuo padre è in ospedale? >>.
Feci ancora qualche respiro con l'inalatore. << Sì, lo hanno ricoverato d'urgenza, non so per cosa, è la prima volta che succede >>. Quando ripresi a respirare regolarmente e forse il mio sistema nervoso riprese funzionalità, mi accorsi che ero in lacrime, le asciugai e mi calmai un po', senza smettere di tremare però. Stringevo il sedile e iniziavo a sentire il dolore alle dita. << Non so cos'è successo, ma qualsiasi cosa sia lo hanno ricoverato d'urgenza e mia madre è davvero preoccupata, e di solito non lo è mai quindi non è niente di buono >>. Edward era davvero veloce, aveva capito la gravità della cosa che arrivammo davvero in un attimo all'ospedale nonostante fosse davvero lontano. Edward parcheggiò ma non spense la macchina, quello era segno che voleva andare via. << Edward non andartene, per favore. Ho bisogno di qualcuno che mi sostenga, e non importa che sia tu o qualcun altro, ma almeno tu non sei un totale sconosciuto. Il fatto è che non posso contare su mia madre o mia sorella maggiore, perché qualsiasi sia la diagnosi mi porterebbe entrambe ad odiarle di più e non posso nemmeno contare o farmi vedere dalla mia sorellina che ha solo dieci anni, lei non può vedermi in questo stato, quindi per favore, vieni con me >>. Non lo guardavo mentre parlavo, ma lui guardava me. Dopo un po' che avevo finito di parlare spense la macchina e scese. Io sospirai e mi sentii improvvisamente più sollevata, come se sapevo che sarebbe stata una spalla sicura. Scesi anche io e andai qualche passo avanti a lui, ero veloce, qualsiasi cosa mi aspettava doveva essere affrontata subito. E non mi interessava che fosse proprio Edward ad accompagnarmi, purtroppo era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato, l'importante era che non fossi sola, perché se ci fossero state solo mia madre e mia sorella, be', allora sarei rimasta sola. La presenza di mia madre era solo un'ipocrisia, come quella di mia sorella Sharon. Entrammo in ospedale e andai subito verso la segreteria. << Scusi, sto cercando Charlie Swan, sono la figlia, è urgente >>. Un'infermiera, bassa e bionda, cercò tra i fascicoli che ava a portata di mano.
<< Neurologia, secondo piano >>. Senza guardarla ancora o dirle grazie andai di corsa verso le scale, stando attenta alle informazioni sui cartelli.
<< Neurologia... Sai che significa? >>, dissi ad alta voce, ma non sapevo se Edward mi stava ascoltando e se almeno mi stava seguendo, quindi per un attimo girai la testa sena fermarmi, era dietro di me, cercando di tenere il mio passo. << Significa che... Ha qualcosa a che fare con... >>, portai il dito destro su una tempia, << Con il il cervello... Il... Sistema nervoso >>, mi passai una mano nei capelli e di nuovo il respiro venne a mancare. << Non è nulla di buono >>, continuavo a ripeterlo da quando avevo saputo della notizia. Arrivammo al secondo piano e corsi lungo il corridoio in cerca della stanza in cui avrei trovato mio padre. Da lontano vidi mia madre e mia sorella in piedi, che parlavano. Corsi subito verso di loro e quando arrivai lì avevo il fiato corto per la corsa. << Sì può sapere cosa diavolo è successo? >>, dissi con fatica, ma con la giusta enfasi.
<< bella si può sapere dove sei stata?! >>. Guardava Edward dalla testa ai piedi con un'aria poco convinta e poco soddisfatta. Sapevo che non le piaceva, per lei un vero ragazzo doveva essere vestito perennemente con completi eleganti e avere i capelli ordinati. Ma soprattutto un patrimonio abbastanza alto da superare il suo. Praticamente si parlava di un piccolo George.
<< Mamma ti sembra il momento di rimproverarmi? >>, sembrava sempre inopportuna. << Dov'è Erika? >>.
<< E' dentro, dovresti entrare anche tu, ti cerca da tutta la giornata >>. Sembrava che non volesse dirmi niente.
<< Ok >>, mi voltai verso Edward. << Vuoi... Entrare con me? >>, non era costretto, era una cosa grossa, però sarebbe stato meglio se fosse entrato.
<< Sì >>, rispose senza pensarci un attimo. Forse non era così stronzo come voleva sembrare. Entrammo dentro, la stanza era illuminata da una luce fioca sul letto di mio padre che era l'unico paziente in quella stanza, però c'era mia sorella a fargli compagnia. Era seduta accanto a lui e parlavano, ridevano entrambi. Chissà se mia sorella sapeva la verità. Mio padre sorrise di più quando mi vide entrare e sorrisi anche io, ma in realtà volevo piangere. L'ultima volta che avevo visto mio padre era stato il giorno prima, era sorridente e sembrava che non avesse nessun problema. Invece in quel momenti era visibile a chiunque la frustrazione sul suo viso. Sembrava dimagrito, sembrava avere più rughe e più occhiaie pronunciate.
<< Eccoti, ti ho aspettata così tanto >>, allungò una mano verso di me, io feci un passo e l'afferrai, era fredda e tremava un po'.
<< Lo sai che mi faccio sempre attendere >>, feci qualche altro passo fino a raggiungere mia sorella, le misi una mano sulla testa. << Puoi lasciarci un attimo da soli? >>.
<< Va bene >>, disse scocciata. Le amava passare del tempo con mio padre e sembrava che valesse anche se si trovava in una stanza di ospedale. Diede un bacio sulla guancia a mio padre e uscì.
<< Chi è questo ragazzo? >>, disse facendo segno verso Edward. Era strano il fatto che anche se non proferisse mai parola e cercasse di tenere le distanze da me, riuscivo a sentire la sua presenza. Edward fece qualche passo verso di noi.
<< Lui è Edward, mi ha dato un passaggio fin qui >>.
<< Come diavolo è vestito >>, disse sorridendo, non aveva molte forze.
<< Sai lui è uno dei componenti del gruppo che ti dicevo ieri, ho avuto un... problema con la macchina e mi ha accompagnata >>. Un problema provocato da lui.
<< Salve signore, piacere di conoscerla >>, disse con un tono gentile, un tono che non mi aspettavo. E mi accorsi che aveva uno strano accento... Un accenno di... Inglese. Risi un po', forse perché mi aveva ricordato George, e alla descrizione del ragazzo ideale per mia madre. Forse aveva molto in comunque con lui, magari se avessi detto a mia madre che aveva l'accento inglese avrebbe recuperato qualche punto. Edward mi affiancò.
<< Edward... Trattala bene altrimenti ti prendo a calci ovunque mi trovo >>. Oh mamma, ma che cosa aveva capito. Restai un attimo allibita, con la bocca aperta.
<< Sì, papà, basta. Vuoi dirmi cos'è successo o devo andare a cercare un dottore? >>. Tornò improvvisamente serio e mi accorsi che iniziò a tremare di più e mi strinse la mano più forte.
<< Siediti >>, mise anche l'altra mano sulla mia. Aveva una flebo su quella mano. Lo ascoltai e mi sedetti sulla sedia che era proprio accanto a me. << Bella... Ormai è un anno, più o meno, che va avanti questa storia >>, si bloccò e abbassò la testa.
<< Quale storia? >>, sembrava davvero difficile parlarne per lui.
<< Ho un cancro, Bella... Al cervello >>, disse l'ultima parola con una specie di sorriso sulle labbra. Mollai un po' la presa della mano, chiusi gli occhi e alzai di poco la testa. Sentivo già gli occhi bruciare per le lacrime e le guance riscaldarsi. Iniziai di nuovo a tremare e dopo poco tempo sentii la prima lacrima varcare la soglia dell'occhio sinistro e dopo quella ne scesero tante altre insieme. Ancora non ero caduta in una crisi di spasmi e singhiozzi, perché doveva ancora dirmi la frase definitiva.
<< Perché me lo dici solo adesso? >>, tornai a guardarlo, ma in un certo senso ero delusa, mi sentivo tradita dal fatto che non me lo avesse detto.
<< Perché non sapevo come dirtelo, è difficile anche adesso, ma adesso dovevo proprio dirtelo >>, stava per lanciare la bomba che avrebbe fatto scoppiare tutto.
<< Perché? Perché è così necessario adesso >>, volevo che me lo dicesse, volevo che mi dicesse che gli rimaneva poco, glielo si leggeva negli occhi.
<< Perché non vorrei che un giorno ti svegliassi e qualcuno ti dicesse che sono morto! >>, urlò, per quel che poteva. Mi abbassai sulla sue mani, le bagnai con le mie lacrime. << Bella, mi resta poco tempo >>.
<< Quanto? >>, chiesi senza alzare la testa.
<< Un mese, forse due >>. Mi strinse di più la mano, fino a farmi male.
<< No >>, mi alzai in piedi, lasciandogli la mano e dandogli le spalle. << Tu non puoi >>, cercavo di asciugarmi le lacrime ma non cessavano nemmeno un attimo di scendere.
<< Bella io non posso farci niente >>.
Mi rigirai a guardarlo. non sapevo di preciso quali fossero i miei sentimenti, se si trattasse di rabbia, dolore, delusione, se avessi la sensazione di cadere in un baratro e se mi girasse la testa. O se li percepissi tutti nello stesso momento. << Io non sono pronta! Un mese è troppo poco, tu dovevi dirmelo! Dovevi dirmelo! >>, cercavo di non urlare per non farmi sentire dal resto dei pazienti presenti nelle vicinanze e soprattutto per non farmi sentire da mia sorella. << Tu mi lascerai da sola e potrebbe succedere tra un mese, dovevo prepararmi prima! >>, come avrei potuto farmene una ragione se avevo così poco tempo per godermelo ancora.
<< Bella tu non sei sola, c'è tua madre e le tue sorelle... >>.
<< Cosa? >>, lo bloccai subito, << Mia madre continuerà a non niente, mia sorella nemmeno ti considerava fino ad oggi! >>, cosa avrebbero potuto fare loro? Niente, come non avevano mai fatto.
<< Loro sono la tua famiglia >>.
<< No tu sei la mia famiglia! >>, iniziai a piangere di più, era come se volesse trovare un motivo valido nella mia vita per andare avanti dopo la sua morte, ma non aveva capito che per me era la cosa più importante per andare avanti già adesso.
<< Devi prenderti cura di Erika >>.
<< Io mi prendo cura di lei tutti i giorni... Papà, non cercare di convincermi >>, restai a guardarlo un po', mentre lui sembrava non avere il coraggio di guardarmi. Mi voltai di nuovo e corsi fuori scansando Edward. Guardai un attimo la mia sorellina, lei forse l'avrebbe presa peggio di me. Speravo solo che sapesse la verità, doveva saperlo, perchè era un modo per crescere. Poi iniziai a correre, cercando la prima uscita in vista. Correvo, correvo e intanto piangevo. Trovai un'uscita e mi ci avventai, uscii fuori con tutta la forza che avevo dentro di me e con la stessa forza chiusi la porta facendola sbattere forte. restai bloccata, immobile quando mi accorsi che scendevano dal cielo un sacco di fiocchi di neve, soffici e freddi. Alzai la testa e lasciai che i fiocchi mi cadessero sul viso, sospesi anche le mani e lasciai cadere i fiocchi anche sui palmi. Poi ricominciai a piangere, abbassai la testa e feci cadere tutti i fiocchi dal mio viso eliminando completamente la magia che per un attimo si era creata, non c'era magia in quel momento, e la neve non poteva alleviare il dolore che era scoppiato in ogni cellula del mio corpo. Non volevo altro che piangere, per il resto potevo anche essere sommersa dalla neve. Andai verso un muretto, appoggiai la schiena e mi feci scivolare a terra fino a sedermi. Sentivo tanto freddo con quella divisa, ma non mi importava, era l'ultima cosa che sentivo. Portai le ginocchia al petto e le avvolsi con le braccia appoggiandoci il viso, le lacrime uscivano ancora ininterrottamente.
Un attimo dopo però, sentii una mano sulla spalla, una mano calda e grande. Era delicata, ma non troppo sicura del gesto che aveva appena fatto. Sapevo chi era, e sapevo anche che mi bastava un solo movimento per toccarlo, o meglio, per abbracciarlo. Forse era l'unica cosa di cui avevo bisogno. Un abbraccio caldo e confortante, qualcosa che smettesse di farmi piangere. << Mi dispiace per tuo padre >>. Non so perché stesse facendo tutto questo, e non sapevo se fosse servito a cambiare qualcosa, però già pensavo a lui in modo diverso. Ma più di tutto non riuscivo a capire perché mi sentivo così al sicuro.
<< Sai... Avevamo un sacco di progetti... Voleva portarmi a visitare il Grand Canyon, è una cosa che dice da quando sono nata >>, tra le mille lacrime che bagnavano il viso spuntò un lieve sorriso. << Avevamo deciso che ci saremmo andati per il mio diciottesimo compleanno... Adesso so per certo che non ci sarà per i miei diciotto anni >>. Guardai il vuoto. Non avevo mai capito la sua mania per quel posto, era stato lì a diciotto anni e aveva detto che voleva portarmi lì per i miei diciotto anni, così avrei visto con i miei occhi la sua magnificenza.
<< Sono sicuro che tutte le cose che volevi fare con lui le farai >>.
<< Che senso avrebbe farle senza di lui... >>. Andare in posto in cui sarei dovuta andare con lui, senza di lui... Era come provare a fare una torta al cioccolato... Senza cioccolato. Inutile.
<< Io non lo conosco, ma penso che lui vorrebbe solo che tu sia felice, anche quando non ci sarà più >>, era bello vedere che almeno qualcuno provava a consolarmi, non ero sicura che mia madre o mia sorella lo avrebbero fatto meglio di lui.
<< Certo che vuole che io sia felice, ma quando non ci sarà più non sarò mai felice come dovrei >>, mi accorsi che il pianto era diventato meno fastidioso e riuscivo a parlare tranquillamente. << lui per me è importante... Molto importante >>.
<< Immagino >>. Lo sentii sospirare. Notai che non aveva tolto la mano dalla mia spalla, e sentii che la presa era forte.
<< Mi dispiace se ti ho fatto saltare le prove oggi, io volevo solo fartela pagare per la storia della macchina all'inizio >>.
<< Figurati... Se per un giorno salto le prove non è la fine del mondo >>. Aveva un tono diverso da quando lo avevo incontrato quel pomeriggio, era più gentile. Forse quel cambiamento dipendeva solo dalla situazione. << Senti... Qui fa molto freddo, se vuoi ti accompagno a casa >>.
<< Posso andare anche con mia madre >>, non volevo fargli perdere ancora tempo e mi aveva sopportato anche abbastanza.
<< A quanto ho capito non ti va molto di stare con tua madre. E poi io posso portarti subito a casa >>.
<< Sei molto perspicace >>, asciugai un po' il viso con la giacca della divisa e mi alzai, e solo in quel momento la sua mano lasciò la mia spalla. << Ok, è una proposta più attraente questa >>. Si alzò anche lui. Vicino a noi c'era un lampione acceso che mi permise di guardare il suo viso, era sempre serio e accigliato, i suoi occhi erano verdi, un bel verde, che prima non avevo notato. Restai un po' a fissarlo
<< Andiamo? >>, mi chiese distogliendomi.
<< Sì, andiamo >>, mi precedette aprendomi la porta e facendomi entrare. C'era luce e caldo, ma l'odore che c'era negli ospedali non lo sopportavo, forse perché da bambina per via del mio asma ci passavo molto tempo, e forse dopo quella giornata lo avrei odiato anche di più.
<< Non vuoi avvisare? >>.
Mi fermai un attimo a guardare il corridoio su cui c'era la stanza di mio padre. << No >>, non me la sentivo di rivederlo in quel momento, soprattutto perché ero in quello stato, e non volevo che nemmeno mia madre mi vedesse così. Senza dire niente andò verso le scale, io restai ancora un po' a guardare in quella direzione, ma poi lo seguii. Scesi le scale molto più lentamente rispetto a quando andavo nel senso opposto.
Io e Edward restammo in silenzio mentre camminavamo in ospedale e anche mentre raggiungevamo la macchina, cos'altro c'era da dire? Entrammo in macchina, era un po' fredda, ma appena mise in moto si riscaldò. Partimmo e anche lui andava molto più lentamente rispetto a prima.
<< Quanti anni ha tuo padre? >>, mi chiese dopo un po' con una certa indecisione, forse aveva paura che non volessi parlare di lui.
<< Ha quarant'anni... Strano quando dicono che la vita inizia a quarant'anni, vero? Anche io ci credevo fino a prima >>, sorrisi un po'. Era un sorriso amaro perché non c'era nulla da ridere. << Sai non ho mai pensato a quanti modi può morire una persona, soprattutto per mio padre, ma penso che questo sia il modo più doloroso, e lui non lo merita >>, per niente. Mio padre nella sua vita aveva sempre fatto del bene, era un uomo umile.
<< Lui e tua madre sono divorziati? >>, non mi spiegavo il motivo di certe domande da parte sua.
<< Sì, da un paio di anni... Dopo il divorzio mia madre è diventata una specie... Di arrampicatrice sociale, sai, sempre in cerca degli uomini più ricchi. Per questo e per altri motivi non andiamo molto d'accordo >>, forse gli avrei raccontato tutta la mia vita prima di arrivare a casa.
<< Posso darti un parere personale? >>, non sapevo se fosse una domanda retorica ma feci segno di sì con la testa. << Non so cosa si prova in queste situazioni, ma secondo me dovresti passare tutto il tempo che gli resta con lui, se tu sei così importante per lui e lui è molto importante per te sarà difficile da parte di entrambi perdere l'altro, e dovrete sfruttare ogni attimo >>.
<< Certo, lo so >>.
<< E allora perché non sei voluta tornare da lui? >>.
<< Perché... non volevo che mi vedesse in questo stato. Lui sa che sto soffrendo ma non voglio che mi veda >>.
<< Capisco >>. Restammo di nuovo in silenzio. Fissavo il parabrezza e vedevo la neve che si posava sopra. La neve era arrivata presto, ma era bella. Mi era sempre piaciuta, mi faceva sentire ancora bambina. Ogni anno, quando arrivava, uscivo con mio padre, ci divertivamo parecchio. Avrei voluto farlo anche quell'anno, ma probabilmente non sarebbe stato possibile. Girai il viso e posai lo sguardo sulla strada. Mi chiedevo quanta gente in quella città, in quel momento soffriva di cancro, e quanta di quella gente aveva una figlia o più di una che soffrivano come stavo soffrendo io. Fino a quel giorno il problema non era mai apparso nella mia mente, anche perché non mi ero accorta del minimo sintomo. E mi ritrovai a pensare alla cosa più banale. La vita era strana. Chissà quante volte al giorno lo ripetevo. Mi sembrava sempre così surreale, come il significato delle parole, o i motori delle macchine, o il vento, o la neve. Qualsiasi cosa che vedevo e che toccavo, ma anche che non toccavo, mi sembrava surreale. Come il cancro. Esisteva qualcosa di più incredibile? Niente distruggeva una persona come quella malattia, nemmeno le guerre. Arrivava all'improvviso senza che qualcuno se ne potesse accorgere. Distruggeva i corpi e distruggeva la felicità, tutto in modo proporzionale: più cresceva e più disintegrava la parte del corpo colpita, più cresceva e più disintegrava la felicità di chi lo viveva. E mi chiedevo qual era il motivo della sua esistenza. A cosa serviva un cancro, o qualsiasi altra malattia, se portava solo dolore. E soprattutto... Dio sapeva dell'esistenza di quella malattia? Anzi, Dio esisteva? Quando avevo cinque anni mia nonna morì, era malata di cuore, mia madre mi disse che Gesù mandava le malattie alle persone che voleva accanto a sé, ma già a cinque anni quel ragionamento non mi filava molto. Perché Gesù voleva far soffrire una persona che voleva accanto a sé? Perché se la voleva accanto a sé voleva dire che forse credeva che quella persona fosse buona. Ma se era buona perché farla soffrire? In realtà dal quel momento mi ponevo sempre dei quesiti sulla religione, in particolare sull'esistenza di Dio, e se qualcuno mi avesse chiesto in quel momento se credevo nell'esistenza di Dio avrei risposto categoricamente di no. Andiamo! Qualsiasi persona che parlava di Dio lo descriveva come un'entità buona, che voleva la pace e il bene di tutti. Ma volevamo parlare delle migliaia di guerre che c'erano state nel mondo, o delle malattie, appunto. Se esisteva un Dio di sicuro non voleva il bene di tutti.
<< Bella... Siamo arrivati >>, Edward aveva capito che ero persa nei miei pensieri. Mi guardai attorno, e sì, era proprio casa mia.
<< Bene >>, presi la borsa e aprii la portiera, << Be', grazie >>, dissi prima di scendere.
<< Ehi, se non te la senti di venire domani non preoccuparti, avviserò io i ragazzi >>.
<< No, verrò, ho bisogno di suonare un po' >>.
<< Ok, allora a domani >>.
<< A domani >>, chiusi la portiera e andai verso casa, affrettai il passo per non stare troppo sotto la neve. Entrai dentro e salutai il portiere, forse dall'espressione voleva chiedermi cosa era successo ma io non mi fermai e andai subito su. Entrai in casa e la prima cosa che feci fu andare sotto l'acqua calda della doccia, era una bellissima sensazione, dopo tutto il freddo della giornata. Indossai un pigiama caldo e quando ero completamente ripulita mi preparai una tazza di tè caldo, mi avrebbe fatta rilassare un po'. Mi misi seduta di fronte alla finestra, a guardare i fiocchi di neve che scendevano interrottamente, ero al buio e mi piaceva, era rilassante. Solo dopo molto tempo sentii la porta che si aprì e le tre ragazze entrare. Qualcuno accese la luce e le vidi arrivare insieme nel salone. Mi alzai in piedi in attesa di Erika.
<< Bella! Eccoti! Potevi almeno avvisare che saresti tornata a casa! >>, ignorai completamente mia madre, andai da mia sorella e mi misi in ginocchio, senza dire niente l'abbracciai. L'abbraccia forte, più forte che potevo, anche se le faceva un po' male. Tra poco tempo sarebbe rimasta solo lei per me, e io le avrei dato tutta me stessa, più di quanto facevo già. E immaginavo quanto avrebbe sofferto quando avrebbe saputo che il suo papà non c'era più, e pensavo che non lo meritava per niente, soprattutto perché si erano scoperti da poco, e lei aveva ancora tanto da fare con lui, più di quanto avrei dovuto fare io. Trattenni le lacrime per far sembrare quel momento meno drammatico.
<< Papà è molto malato, vero? >>, anche lei mi abbracciava, e come pensavo nessuno le aveva detto niente, o almeno non le avevano detto tutta la verità.
<< sì, sta molto male >>, non importava quanto questo le avrebbe fatto male, lei era una bambina molto intelligente e avrebbe capito. Anche se in quei casi l'intelligenza non contava molto, ma doveva saperlo, per non doversi svegliare un giorno qualunque e sapere e che suo padre era morto. Sciolsi l'abbraccio e la guardai, le accarezzai le guance. << Tu però non devi preoccuparti, perché ci sono io con te >>, aveva gli occhi lucidi e tratteneva le lacrime. Non disse niente e andò in camera sua. Mi alzai e mi ritrovai mia madre di fronte.
<< Cosa ti salta in mente, Bella?! Nessuno glielo aveva detto per non farla soffrire! >>. Quanto era chiusa la mente di quella donna!
<< Mamma lei soffrirà lo stesso, ma ha il diritto di sapere come sta suo padre! >>.
<< L'hai traumatizzata adesso! >>.
<< Ma per favore, sarebbe rimasta traumatizzata anche tra un mese o forse due quando avrebbe saputo che suo padre è morto >>, stavo ripetendo quella frase troppe volte. << Lei non crederebbe mai alla storia che Gesù manda le malattie a chi vuole accanto a sé, quindi risparmiatela >>. Scosse un attimo la testa, poi andò verso la sua camera indignata. Non saremmo mai andate d'accordo.
<< Sai, papà l'ha presa male quando sei scappata >>. Oh, la mia dose non era ancora finita.
<< Davvero Sharon? Ti interessa? >>, andai a prendere la tazza del tè che avevo lasciato sul davanzale della finestra e la portai sul tavolo.
<< Bella è mio padre! Anche se il rapporto non è più lo stesso mi interessa se mio padre ha il cancro >>. Restai in silenzio a guardarla e era convinta di quello che diceva. << Comunque esce domani, vuole tornare a casa e vorrebbe vederti >>. Infondo aveva ragione. Probabilmente non lo vedeva da mesi, ma era comunque suo padre, sangue del suo sangue, ci credevo se mi diceva che era dispiaciuta. Lo sarebbero tutti. << Comunque... Quel ragazzo che era con te chi era? Era il tuo ragazzo? E' carino! >>. Restai a guardarla a bocca aperta. Era facile per lei distrarsi da una situazione simile. Forse avevo parlato troppo presto.
<< Ma vaffanculo! >>, dissi urlando e andando verso la mia camera. Non sapeva pensare altro che ai ragazzi, anche in quelle situazioni! Non si smentiva mai! Prima di andare in camera mia mi fermai davanti alla porta della camera di Erika, quando non sentii niente l'aprii. Era nel letto e sentivo i singhiozzi provocati dal pianto. Mi avvicinai e le accarezzai i capelli. << Ehi... >>.
<< Perché deve stare male? >>, alzai le coperte e mi sdraiai accanto a lei.
<< Sai, queste non sono scelte che una persona può fare, sono cose che capitano >>.
<< Perché doveva capitare proprio a lui >>, avevamo le stesse domande senza risposta.
<< Perché a volte capita anche ai migliori >>.
<< Io non voglio che va via >>, trattenni a fatica le lacrime.
<< Lui non andrà via se tu non lo vorrai. Anche se non potrai più vederlo lui sarà sempre accanto a te e ti proteggerà, e se tu vorrai parlargli potrai farlo anche se non ti risponderà ma ti ascolterà >>, cercavo di convincere più me stessa che lei.
<< Davvero? >>, mi guardò e si asciugò le lacrime, sembrava rincuorata da quello che le avevo appena detto.
<< Certo >>.
<< Ok >>. Riappoggiò la testa sul cuscino e continuai a stringerla e ad accarezzarla finché non si addormentò, poi mi alzai dal letto e andai in camera mia, mi sdraiai e provai a dormire, anche se era davvero difficile se continuavo a pensare a mio padre. Ma la giornata era stata pesante e la stanchezza prevalse sui pensieri, così dopo un po' chiusi gli occhi e mi addormentai, senza sognare e senza mai svegliarmi.


Ok, ci ho messo un po' per scrivere questo capitolo, ma ho passato un periodo di totale stress con la scuola per la chiusura del quadrimestre...
Comunque, questo capitolo è un po' drammatico, ma non saranno tutti così xD
Diciamo che devo dare alla storia qualcosa per farla andare avanti...
Ho trattato un argomento delicato e spero che vi piaccia! Non fatevi ingannare dalla gentilezza di Edward, c'è da vedere ancora taaaanto! xD

   
 
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