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Capitolo VIII
Publius Iulius Scipio ad patrem suum salutem dicit
Mi dispiace di non aver più
scritto regolarmente, ma dal giorno del trasferimento non ho avuto
praticamente un solo momento per me stesso. Di a mia madre che sto bene
e che sono al sicuro nelle retrovie. Per il momento non sembra che
vogliano rimandarmi al confine. Sono stato assegnato alla II Coorte
della XIV Legione Britannica, che è stata stanziata nell'Alasia
Superior, poche miglia dietro il confine, in retroguardia. Non è il massimo, ma gli ordini sono questi
e venivano da Valerio Massimo in persona. Quando riceverai questa
lettera, probabilmente sarò già arrivato a destinazione.
Forse avrò più tempo per scrivere una volta sistematomi.
Porta i miei saluti ad Aureliano e agli altri miei amici lì a Roma.
Tuo figlio,
Publio.
Post Scriptum, mentre ero a Castra Regellis ho potuto incontrare Decimo Valerio Massimo, che ti manda i suoi saluti.
Vale.
Publio sospirò mentre rileggeva la copia della
lettera che aveva inviato a Roma qualche giorno prima. Come aveva
scritto a suo padre, non era troppo soddisfatto dell'assegnazione che
gli avevano dato dopo la breve permanenza a Castra Regellis. Non che
gli dispiacesse di essere stato dislocato dietro il Vallo di Alasia,
anzi; se non avesse più dovuto vivere all'interno di quella
muraglia soffocante, sarebbe stato l'uomo più felice del mondo.
Lui, Sesto, Furio Olennio e gli altri tribuni che Plauto Corinno aveva
fatto trasferire
avevano tutti tirato un sospiro di sollievo quando si erano lasciati
alle spalle le fortificazioni di confine entro le quali avevano vissuto
rinchiusi per più di un anno. Era stato così strano
ritrovarsi improvvisamente all'aperto e Castra Regellis poteva anche
essere un accampamento militare privo di ogni comodità, ma
in confronto agli alloggi
della guarnigione di confine era come una villa sull'Esquilino. Vi si
respirava, inoltre, un'atmosfera meno opprimente e di gran lunga
più rilassata.
Il confine era abbastanza lontano da non destare preoccupazioni e anche
la
rivolta dei coloni e degli indigeni era guardata con aria di
sufficienza, come un evento destinato ad estinguersi al più
presto senza lasciare traccia.
Pochi giorni lì erano bastati a far dimenticare a tutti loro le
tensioni della vita di guarnigione e la violenza della
battaglia contro i ronin.
Naturalmente, però, non poteva durare in eterno e infatti dopo
pochi giorni ciascuno di loro aveva ricevuto un ordine di trasferimento
per l'Alasia Superior, dove Decimo Valerio Massimo aveva mandato la XIV
Legione Britannica. Ciascuno di loro aveva ricevuto una destinazione
diversa, e così adesso erano tutti sparpagliati. Qualcuno aveva
anche avuto l'amara sorpresa di essere stato riassegnato al
confine. Da questo punto di vista, Publio si sentiva fortunato. Peccato
che l'Alasia Superior fosse inospitale e ostile, soprattutto
in quel periodo dell'anno. Era la regione più
selvaggia e isolata di tutta la provincia, e anche la meno
popolata. L'accampamento della II Coorte si trovava lontano dai pochi e
minuscili centri abitati e i legionari, arrivati lì da meno di
un mese, stavano già maledicendo il Senato di Roma in tutte le
maniere conosciute nel variegato e multiculturale organismo militare
romano. E Publio
non poteva dare loro torto, visto che anche lui si trovava nella
medesima situazione. In teoria, avrebbero dovuto prevenire atti di
rivolta da parte di coloni e indigeni, ma di fatto non facevano
assolutamente nulla dalla mattina alla sera. La noia e la paranoia
erano dilaganti.
Come se non bastasse, Publio aveva ancora con se il palmare con il
rapporto che lui stesso aveva scritto sul ritrovamento della spia
romana uccisa dai ronin e che Plauto Corinno gli aveva ordinato di far
avere al governatore dell'Alasia alla prima occasione. Purtroppo
l'occasione non si era presentata, perchè Livio Druso si trovava
ad Aleupoli e Publio non aveva avuto la possibilità di andarci.
In teoria, avrebbe dovuto consegnare il palmare a Valerio Massimo; in
fondo, era lui il comandante delle legioni romane in Alasia e quelle
erano informazioni che avrebbero dovuto interessarlo, almeno per quanto
riguardava il suo campo di competenza. Corinno, però, gli aveva
ordinato specificamente di scavalcare l'autorità di Valerio
Massimo e di consegnare il palmare personalmente e direttamente al
governatore. Publio aveva la sensazione che Corinno non si fidasse
molto di Valerio Massimo e, stando all'unica volta che aveva avuto
occasione di incontrarlo e di parlarci, Publio non poteva biasimarlo.
Decimo Valerio Massimo non gli aveva fatto un'impressione troppo
positiva. Era un uomo dai modi eleganti e dal tono di voce distinto e
sofisticato, e proprio per questo a Publio aveva dato l'idea di un uomo
incline al raggiro e alla manipolazione. Inoltre, dai suoi discorsi
Publio aveva
potuto dedurre che condivideva in buona parte gli ideali e le pretese
dei coloni ribelli. Furio Olennio era
immediatamente saltato alla conclusione che fosse uno smidollato pronto
a vendersi ai ronin alla prima occasione, ma era del tutto improbabile
che fosse stato lui a pagare quella spia per aiutare i ronin ad
attaccare il Vallo di Alasia. L'uomo che lui e Sesto avevano trovato
morto al villaggio arrivava da Roma, e Valerio Massimo non metteva
piede a Roma da anni. Molto più semplicemente, Valerio Massimo
si sentiva vicino alla gente vicino alla quale viveva da ormai molti
anni, ne condivideva le aspirazioni e le rivendicazioni. Era inoltre in
forte contrasto con la politica portata avanti dal Senato a Roma e, per
questo
motivo, se ne teneva lontano. E proprio per questo motivo, quindi, era
la persona meno
indicata per occuparsi del perseguimento di una probabile congiura che
aveva radici che affondavano ben più in profondità che
nella remota Alasia.
Sì, meglio esporre prima il problema al governatore della
provincia, che con le autorità dell'Urbe aveva legami più
saldi e sicuri. Purtroppo, però, Publio non aveva potuto
allontanarsi più di tanto da Castra Regellis, e adesso era
lì, all'estremità settentrionale dell'Alasia,
lontanissimo da Aleupoli e con il palmare che giaceva inutilmente sul
fondo della sarcina. Era una situazione a dir poco frustrante. Più
tempo passa senza che queste informazioni vengano divulgate alle
persone giuste, più il pericolo di questa possibile congiura
aumenta, pensò mentre rileggeva per l'ennesima volta quel
rapporto. A preoccuparlo di più era l'idea, tutt'altro che
risibile, che potessero esservi altre spie, fra i ronin e anche fra i romani, oltre a quella morta nel villaggio.
-Tribuno, Marco Urbicio chiede di te- la voce di un legionario che si
affacciava nella sua tenda lo distolse dalle sue preoccupazioni.
-Digli che arrivo fra un momento- rispose.
Il legionario sparì. Publio spese il palmare, assicurandosi di
aver prima reinserito la chiave di cifratura che consentiva solo a lui
l'accesso alle informazioni ivi contenute, poi lo rimise nella sarcina,
nascondendolo sotto tutta l'altra roba.
Al contrario di quanto avveniva al Vallo, lì all'accampamento
della II Coorte non era obbligatorio indossare l'armatura per tutto il
giorno. Questo era un vantaggio, perchè l'armatura integrale in
dotazione ai legionari aveva comunque il suo bel peso, ma era anche un
grosso problema con il gelo che regnava in quella regione,
perchè senza l'armaura si era costretti a rinunciare anche al
comodo sistema di riscaldamento interno di cui questa era munita.
Pazienza, pensò Publio infilandosi la pesante paenula impermeabile e tirandosi su il cappuccio.
Uscì dalla tenda e subito lo investì un veno gelido che
spirava dalle montagne. Se non altro, si poteva dire che l'Alasia
Superior godesse di un paesaggio assai meno monotono del resto della
provincia. Lì, quanto meno, c'erano montagne, boschi, corsi d'acqua. E pochi
giacimenti di petrolio, giacché l'estrazione era più
difficile in montagna, quindi era anche un paesaggio non inquinato. Vivere
lì, alla fine, era come tornare ai primordi della
civiltà, con tutti i pregi e i difetti.
Alzatosi il bavero della paenula per coprirsi il volto, Publio
attraversò a passo svelto le stradine dell'accampamento, ai
margini delle quali era stata ammucchiata la neve caduta durante la
notte, e raggiunse la tenda di Marco Umbricio, il comandante della II
Coorte. Umbricio era un tribuno anziano, uno dei pochi ufficiali
veterani la cui carriera non era andata avanti. Naturalmente Publio
aveva accuratamente evitato di chiedergliene il motivo. Urbicio aveva
circa quarantatre anni e una lunga esperienza nelle legioni, ma
non era mai stato in Alasia. I due fattori combinati facevano sì
che il tribuno fosse abbastanza maturo e accorto da mettere da parte un
po' del suo orgoglio per affidarsi all'esperienza che Publio, pur
giovane com'era, aveva della provincia. Da quando Publio era arrivato
lì, andavano abbastanza d'accordo.
Nella tenda, con il tribuno, era presente anche un giovane centurione
degli esploratori. Stava in piedi a fianco del tavolino pieghevole che
Umbricio usava come scrivania e appena Publio entrò si
batté il pugno destro sul petto in segno di saluto. Urbicio,
invece, si alzò e strinse la mano al parigrado.
-Sei qui, Scipione, bene- disse- Siediti. Ci sono delle novità.
Publio e Urbicio si sedettero l'uno di fronte all'altro, mentre il centurione - Servio Curzio, sbirciò Publio sul titulus - rimase in piedi. Urbicio si schiarì la voce prima di parlare. Sembrava preoccupato.
-La scorsa notte abbiamo perso i contatti con il villaggio di Visernia- annunciò
serio- Le trasmissioni sono cessate più o meno alla seconda
veglia.
Publio e il centurione Curzio si scambiarono un'occhiata. Visernia era
un piccolo centro abitato sperduto sulle montagne, a poche miglia dal
confine, popolato da appena un pugno di indigeni dediti esclusivamente ad
attività di sussistenza. Era l'ultimo posto dove
aspettarsi che succedesse qualcosa del genere, si dubitava anzi che i
locali fossero perfino a conoscenza della rivolta in corso nel resto
della provincia.
-Forse la tormenta di stanotte ha danneggiato le apparecchiature della
stazione di trasmissione- ipotizzò Publio, non volendo saltare
immediatamente a conclusioni più serie e preoccupanti.
-È quello che ho pensato anch'io all'inizio- rispose Urbicio-
Infatti stamattina ho inviato delle truppe per andare a dare
un'occhiata... ma adesso risultano disperse anche loro.
Merda!, imprecò
mentalmente Publio. Questo poteva escludere un semplice guasto. Forse,
contro ogni aspettativa, i venti della rivolta erano arrivati anche a
Visernia.
-E adesso intende mandare noi?- chiese il centurione Curzio, intuendo immediatamente il motivo della sua convocazione.
Urbicio annuì, quindi si rivolse a Publio.
-Vorrei che andassi anche tu, se te la senti- disse- So che parli la lingua dei locali, e un interprete potrebbe essere utile.
Publio scambiò un cenno affermativo con il centurione Curzio,
che non era particolarmente ansioso di imbarcarsi in una ricognizione
in un territorio a lui completamente sconosciuto senza almeno un
elemento che sapesse comunicare e rapportarsi con gli indigeni. Sperando che questi
fossero disposti a comunicare, ovviamente. Prima di partire,
però, Publio voleva saperne di più su quello strano
avvenimento.
-Ci sono state delle rivendicazioni circa questa interruzione?- chiese.
-Il legato della legione ritiene che si tratti di un'insurrezione
locale- rispose Urbicio- Se non sbaglio è successo anche cinque
mesi fa ad Aleupoli.
Publio fece una smorfia. Cinque mesi prima la rivolta non era ancora
iniziata, ma nella capitale dell'Alasia se ne respirava già
l'odore. Lui si trovava schierato al Vallo di Alasia quando si era
verificato uno degli eventi premonitori dell'insurrezione, ma la
notizia era arrivata al confine con tutti i dettagli. Un gruppo di
ignoti criminali aveva fatto saltare in aria una centralina di
trasmissione alla periferia di Aleupoli; lo scopo era stato quello di
acceccare le autorità locali il tempo necessaio per permettere ai ribelli di
contrabbandare armi in città; e il tentativo era riuscito. Che i
ribelli stessero ora tentando di ripetere il colpo a Visernia?
Certamente sembrava un buon modo per diffondere la rivolta anche
lì. Bisognava impedirglielo a tutti i costi. Quanto più
quella rivolta veniva contenuta, tanto più in fretta sarebbe
stata sedata.
-La cosa non deve ripetersi- disse risolutamente, mentre si alzava-
Centurione, prepara i tuoi uomini, partiamo immediatamente! Il
trasmettitore di Visernia deve essere rimesso in funzione al più
presto, o questo posto smetterà di essere così noioso
come lo conosciamo!
Il centurione si voltò verso Urbicio, che assentì con un
cenno del capo. Salutò militarmente e uscì per andare a
preparare i suoi esploratori.
-Sarà meglio che vada ad equipaggiarmi anch'io- disse Publio.
Urbicio annuì e si alzò, tendendo di nuovo la mano.
-Che Marte ti accompagni, Giulio Scipione- disse- Spero di avere presto tue notizie.
-Considera pure il trasmettitore già funzionante a pieno regime-
rispose Publio concedendosi un po' di boria- Spero invece di ritrovare
vivi gli altri tuoi legionari. Stamattina nevicava ancora piuttosto forte
lassù... è sempre possibile che il loro elicottero sia
precipitato sulle montagne.
Tutto era possibile, ovviamente. E mentre tornava nella sua tenda per
prepararsi, Publio si augurò che fra tutte le possibili
alternative si fosse verificata la meno grave. Che il trasmettitore si
fosse gustato a causa della tormenta. E che sempre a causa della
tormenta i legionari che lo avevano preceduto fossero andati dispersi.
Lui e gli altri della II Coorte non avevano fatto altro, negli ultimi
giorni, che lamentarsi di come da quelle parti non succedesse
assolutamente nulla, e adesso lui si ritrovava a desiderare che la
situazione non cambiasse. E pensare che quando aveva messo piede in
Alasia, fresco di addestramento, si era aspettato di vivere
chissà quali straordinarie avventure e compiere chissà quali eroiche imprese. Ma quando era stato?
-Una vita fa- borbottò fra se e se.
**************
Poco dopo, di nuovo rinchiuso
nell'armatura integrale e armato di tutto punto, Publio si presentava
alla tenda della centuria di Servio Curzio. In realtà, chiamarla
centuria era improprio, visto che era composta da solo cinque legionari
scelti compreso il comandante, ma dal momento che i comandanti dei
gruppi di esploratori all'interno delle legioni avevano il grado di
centurione, per tradizione continuavano a chiamarli centurie.
Quando arrivò, i cinque legionari erano tutti equipaggiati come
lui e pronti a partire. Il centurione Curzio si prese la briga di
presentarglieli uno per uno. L'optio, il suo attendente, si chiamava
Catulo ed era un vero e proprio residuato di guerra. Il suo volto, che
in condizioni sarebbe stato bello a vedersi, femmineo addirittura, era
deturpato da diverse cicatrici. Curzio glielo presentò mentre
questi si apprestava ad infilarsi gli ultimi componenti dell'armatura e
Publio fece appena intempo a vedere che una delle mani che l'optio
stava per coprire con i guanti corazzati era a sua volta fatta di
metallo: una mano artificiale. O forse tutto il braccio, pensò Publio.
Gli altri legionari erano Gario, una specie di gigante proveniente
dalla Pannonia, il più anziano della centuria avendo la bellezza
di cinquant'anni, trenta dei quali trascorsi sotto le armi; Gundahar,
legionario di origine servile, dall'aria allegra e per nulla aggressiva
come ci si sarebbe invece aspettati da un germano; infine, Spurio
Emilio, un legionario cupo e dall'aria minacciosa che, quando Publio
era entrato nella tenda, se ne stava seduto da solo in un angolo ad
affilare un gigantesco khopesh, una spada corta egizia, che poi
infilò nel fodero che teneva dietro la schiena.
Complessivamente, comunque, Publio ebbe un'ottima impressione di quegli
uomini. Erano tutti veterani, l'unica cosa che gli mancava era la
conoscenza del territorio alasiano, e quella l'avrebbe fornita lui.
-Due elicotteri ci stanno già aspettando per portarci a destinazione- annunciò Catulo- Attendiamo i tuoi ordini.
-Andiamo- rispose semplicemente Publio.
Uscirono dall'accampamento. Nello spiazzo antistante, ancora
all'interno del perimetro difensivo, due grossi elicotteri da trasporto
e da combattimento stavano scaldando i motori e le pale in attesa di
partire.
-Sarò sincero, tribuno- disse il centurione Curzio mentre
s'incamminavano verso i velivoli- Non sono troppo felice di questa
nuova assegnazione.
-Non è la stagione migliore per godersi l'Alasia questa, centurione- scherzò Publio.
-Non è questo. È... questa rivolta. Lei non ha la sgradevole sensazione di stare combattendo contro altri romani?
Publio sospirò e non rispose subito. Sì, anche lui si era
posto più volte lo stesso dilemma negli ultimi tempi. I coloni
alasiani e gli indigeni aleutini non godevano della cittadinanza
romana, ma facevano parte dell'Impero di Roma e contribuivano alla sua
vita e alla sua prosperità quanto e più dei cittadini
romani stessi. E questo non li rendeva forse cittadini romani di fatto?
Per certi versi, Valerio Massimo aveva ragione a disprezzare le
politiche del Senato nelle province più remote dell'Impero. In
fondo, i ribelli non avanzavano pretese irragionevoli, ma solo quella
di vedersi riconosciuti i diritti corrispondenti agli oneri di cui
erano già gravati. Ma tutto questo giustificava una rivolta in
armi contro le amministrazioni e i funzionari di Roma? Di sicuro non
giustificava l'aver appoggiato l'ennesimo attacco dei ronin al confine,
cosa di cui ormai anche Publio era sempre più convinto.
-È una situazione molto complicata quella che si è venuta
a creare qui- disse finalmente- I ribelli hanno le loro ragioni, ma il
modo di perseguirle è certamente sbagliato.
Curzio sbuffò mentre salivano su uno dei due elicotteri.
-Avrei preferito di gran lunga essere mandato al confine a combattere
contro i ronin- disse- Non avrei avuto alcuna remora a combattere
contro di loro.
La spinosa discussione ebbe termine lì. Qualunque fossero le
loro opinioni sulla guerra che si trovavano a combattere, adesso erano
comunque dei legionari con degli ordini da eseguire.
Sull'elicottero, insieme al centurione e a Publio, salì anche
Gundahar, mentre Catulo, Gario ed Emilio presero posto sull'altro.
Publio fece cenno all'aviere di partire e i due velivoli si staccarono
da terra, sollevandosi in volo.
*************
Ed
ecco qui l'inizio della seconda parte della storia! Come se non
bastasse un tentativo di invasione al confine, ci si mettono anche i
disordini interni a complicare la vita dei legionari romani. Oh, quanto
mi piace complicare le vite altrui! Muhahahahah! Sono una gran
bastarda, lo so...
I capitoli più avanti, o forse già direttamente il
prossimo, hanno in serbo una piccola sorpresina e tanta azione. Spero
di cavarmela meglio che con il capitolo di Natale. Era il primo in cui
provavo a raccontare una battaglia e ho incontrato non poche
difficoltà.
Purtroppo sto anche andando un po' a rilento con gli aggiornamenti, ma
questo semestre mi è capitata una materia bella tosta, sono in
ritardo con gli appelli d'esame e di conseguenza ho qualche
difficoltà a trovare il tempo per scrivere. Abbiate pazienza,
quindi. Intanto, per rimettermi in carreggiata ho scritto questo
capitolo di introduzione alla seconda parte. Non è molto lungo,
ma mi lascia abbastanza soddisfatta, tranne forse per la lettera
all'inizio... volevo cimentarmi nella scrittura epistolare romana che
è leggermente più formale della nostra (non ce lo vedo
proprio Publio a inserire emocotion in una lettera!).
Paenula: pesante mantello utilizzato per protteggersi dalle intemperie, equivalente romano del poncho.
Non ho latinizzato la parola elicottero, invece. Non ce n'era bisogno, visto che è una parola greca xD
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