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Autore: Colonnello    23/02/2012    1 recensioni
Diecimila anni dalla Fondazione di Roma (circa 3000 d.C.). L'Impero Romano domina su più della metà dell'Europa e dell'Asia e su tutto il Nuovo Continente... ma la sua egemonia sta per essere messa in discussione...
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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9 Capitolo VIII

    Publius Iulius Scipio ad patrem suum salutem dicit
Mi dispiace di non aver più scritto regolarmente, ma dal giorno del trasferimento non ho avuto praticamente un solo momento per me stesso. Di a mia madre che sto bene e che sono al sicuro nelle retrovie. Per il momento non sembra che vogliano rimandarmi al confine. Sono stato assegnato alla II Coorte della XIV Legione Britannica, che è stata stanziata nell'Alasia Superior, poche miglia dietro il confine, in retroguardia. Non è il massimo, ma gli ordini sono questi e venivano da Valerio Massimo in persona. Quando riceverai questa lettera, probabilmente sarò già arrivato a destinazione. Forse avrò più tempo per scrivere una volta sistematomi.
Porta i miei saluti ad Aureliano e agli altri miei amici lì a Roma.
Tuo figlio,
Publio.
Post Scriptum, mentre ero a Castra Regellis ho potuto incontrare Decimo Valerio Massimo, che ti manda i suoi saluti.
Vale.

Publio sospirò mentre rileggeva la copia della lettera che aveva inviato a Roma qualche giorno prima. Come aveva scritto a suo padre, non era troppo soddisfatto dell'assegnazione che gli avevano dato dopo la breve permanenza a Castra Regellis. Non che gli dispiacesse di essere stato dislocato dietro il Vallo di Alasia, anzi; se non avesse più dovuto vivere all'interno di quella muraglia soffocante, sarebbe stato l'uomo più felice del mondo. Lui, Sesto, Furio Olennio e gli altri tribuni che Plauto Corinno aveva fatto trasferire avevano tutti tirato un sospiro di sollievo quando si erano lasciati alle spalle le fortificazioni di confine entro le quali avevano vissuto rinchiusi per più di un anno. Era stato così strano ritrovarsi improvvisamente all'aperto e Castra Regellis poteva anche essere un accampamento militare privo di ogni comodità, ma in confronto agli alloggi della guarnigione di confine era come una villa sull'Esquilino. Vi si respirava, inoltre, un'atmosfera meno opprimente e di gran lunga più rilassata. Il confine era abbastanza lontano da non destare preoccupazioni e anche la rivolta dei coloni e degli indigeni era guardata con aria di sufficienza, come un evento destinato ad estinguersi al più presto senza lasciare traccia. Pochi giorni lì erano bastati a far dimenticare a tutti loro le tensioni della vita di guarnigione e la violenza della battaglia contro i ronin.

Naturalmente, però, non poteva durare in eterno e infatti dopo pochi giorni ciascuno di loro aveva ricevuto un ordine di trasferimento per l'Alasia Superior, dove Decimo Valerio Massimo aveva mandato la XIV Legione Britannica. Ciascuno di loro aveva ricevuto una destinazione diversa, e così adesso erano tutti sparpagliati. Qualcuno aveva anche avuto l'amara sorpresa di essere stato riassegnato al confine. Da questo punto di vista, Publio si sentiva fortunato. Peccato che l'Alasia Superior fosse inospitale e ostile, soprattutto in quel periodo dell'anno. Era la regione più selvaggia e isolata di tutta la provincia, e anche la meno popolata. L'accampamento della II Coorte si trovava lontano dai pochi e minuscili centri abitati e i legionari, arrivati lì da meno di un mese, stavano già maledicendo il Senato di Roma in tutte le maniere conosciute nel variegato e multiculturale organismo militare romano. E Publio non poteva dare loro torto, visto che anche lui si trovava nella medesima situazione. In teoria, avrebbero dovuto prevenire atti di rivolta da parte di coloni e indigeni, ma di fatto non facevano assolutamente nulla dalla mattina alla sera. La noia e la paranoia erano dilaganti.

Come se non bastasse, Publio aveva ancora con se il palmare con il rapporto che lui stesso aveva scritto sul ritrovamento della spia romana uccisa dai ronin e che Plauto Corinno gli aveva ordinato di far avere al governatore dell'Alasia alla prima occasione. Purtroppo l'occasione non si era presentata, perchè Livio Druso si trovava ad Aleupoli e Publio non aveva avuto la possibilità di andarci. In teoria, avrebbe dovuto consegnare il palmare a Valerio Massimo; in fondo, era lui il comandante delle legioni romane in Alasia e quelle erano informazioni che avrebbero dovuto interessarlo, almeno per quanto riguardava il suo campo di competenza. Corinno, però, gli aveva ordinato specificamente di scavalcare l'autorità di Valerio Massimo e di consegnare il palmare personalmente e direttamente al governatore. Publio aveva la sensazione che Corinno non si fidasse molto di Valerio Massimo e, stando all'unica volta che aveva avuto occasione di incontrarlo e di parlarci, Publio non poteva biasimarlo.

Decimo Valerio Massimo non gli aveva fatto un'impressione troppo positiva. Era un uomo dai modi eleganti e dal tono di voce distinto e sofisticato, e proprio per questo a Publio aveva dato l'idea di un uomo incline al raggiro e alla manipolazione. Inoltre, dai suoi discorsi Publio aveva potuto dedurre che condivideva in buona parte gli ideali e le pretese dei coloni ribelli. Furio Olennio era immediatamente saltato alla conclusione che fosse uno smidollato pronto a vendersi ai ronin alla prima occasione, ma era del tutto improbabile che fosse stato lui a pagare quella spia per aiutare i ronin ad attaccare il Vallo di Alasia. L'uomo che lui e Sesto avevano trovato morto al villaggio arrivava da Roma, e Valerio Massimo non metteva piede a Roma da anni. Molto più semplicemente, Valerio Massimo si sentiva vicino alla gente vicino alla quale viveva da ormai molti anni, ne condivideva le aspirazioni e le rivendicazioni. Era inoltre in forte contrasto con la politica portata avanti dal Senato a Roma e, per questo motivo, se ne teneva lontano. E proprio per questo motivo, quindi, era la persona meno indicata per occuparsi del perseguimento di una probabile congiura che aveva radici che affondavano ben più in profondità che nella remota Alasia.

Sì, meglio esporre prima il problema al governatore della provincia, che con le autorità dell'Urbe aveva legami più saldi e sicuri. Purtroppo, però, Publio non aveva potuto allontanarsi più di tanto da Castra Regellis, e adesso era lì, all'estremità settentrionale dell'Alasia, lontanissimo da Aleupoli e con il palmare che giaceva inutilmente sul fondo della sarcina. Era una situazione a dir poco frustrante. Più tempo passa senza che queste informazioni vengano divulgate alle persone giuste, più il pericolo di questa possibile congiura aumenta, pensò mentre rileggeva per l'ennesima volta quel rapporto. A preoccuparlo di più era l'idea, tutt'altro che risibile, che potessero esservi altre spie, fra i ronin e anche fra i romani, oltre a quella morta nel villaggio.

-Tribuno, Marco Urbicio chiede di te- la voce di un legionario che si affacciava nella sua tenda lo distolse dalle sue preoccupazioni.

-Digli che arrivo fra un momento- rispose.

Il legionario sparì. Publio spese il palmare, assicurandosi di aver prima reinserito la chiave di cifratura che consentiva solo a lui l'accesso alle informazioni ivi contenute, poi lo rimise nella sarcina, nascondendolo sotto tutta l'altra roba.

Al contrario di quanto avveniva al Vallo, lì all'accampamento della II Coorte non era obbligatorio indossare l'armatura per tutto il giorno. Questo era un vantaggio, perchè l'armatura integrale in dotazione ai legionari aveva comunque il suo bel peso, ma era anche un grosso problema con il gelo che regnava in quella regione, perchè senza l'armaura si era costretti a rinunciare anche al comodo sistema di riscaldamento interno di cui questa era munita.  Pazienza, pensò Publio infilandosi  la pesante paenula impermeabile e tirandosi su il cappuccio.

Uscì dalla tenda e subito lo investì un veno gelido che spirava dalle montagne. Se non altro, si poteva dire che l'Alasia Superior godesse di un paesaggio assai meno monotono del resto della provincia. Lì, quanto meno, c'erano montagne, boschi, corsi d'acqua. E pochi giacimenti di petrolio, giacché l'estrazione era più difficile in montagna, quindi era anche un paesaggio non inquinato. Vivere lì, alla fine, era come tornare ai primordi della civiltà, con tutti i pregi e i difetti.

Alzatosi il bavero della paenula per coprirsi il volto, Publio attraversò a passo svelto le stradine dell'accampamento, ai margini delle quali era stata ammucchiata la neve caduta durante la notte, e raggiunse la tenda di Marco Umbricio, il comandante della II Coorte. Umbricio era un tribuno anziano, uno dei pochi ufficiali veterani la cui carriera non era andata avanti. Naturalmente Publio aveva accuratamente evitato di chiedergliene il motivo. Urbicio aveva circa quarantatre anni e una lunga esperienza nelle legioni, ma non era mai stato in Alasia. I due fattori combinati facevano sì che il tribuno fosse abbastanza maturo e accorto da mettere da parte un po' del suo orgoglio per affidarsi all'esperienza che Publio, pur giovane com'era, aveva della provincia. Da quando Publio era arrivato lì, andavano abbastanza d'accordo.

Nella tenda, con il tribuno, era presente anche un giovane centurione degli esploratori. Stava in piedi a fianco del tavolino pieghevole che Umbricio usava come scrivania e appena Publio entrò si batté il pugno destro sul petto in segno di saluto. Urbicio, invece, si alzò e strinse la mano al parigrado.

-Sei qui, Scipione, bene- disse- Siediti. Ci sono delle novità.

Publio e Urbicio si sedettero l'uno di fronte all'altro, mentre il centurione - Servio Curzio, sbirciò Publio sul titulus - rimase in piedi. Urbicio si schiarì la voce prima di parlare. Sembrava preoccupato.

-La scorsa notte abbiamo perso i contatti con il villaggio di Visernia- annunciò serio- Le trasmissioni sono cessate più o meno alla seconda veglia.

Publio e il centurione Curzio si scambiarono un'occhiata. Visernia era un piccolo centro abitato sperduto sulle montagne, a poche miglia dal confine, popolato da appena un pugno di indigeni dediti esclusivamente ad attività di sussistenza. Era l'ultimo posto dove aspettarsi che succedesse qualcosa del genere, si dubitava anzi che i locali fossero perfino a conoscenza della rivolta in corso nel resto della provincia.

-Forse la tormenta di stanotte ha danneggiato le apparecchiature della stazione di trasmissione- ipotizzò Publio, non volendo saltare immediatamente a conclusioni più serie e preoccupanti.

-È quello che ho pensato anch'io all'inizio- rispose Urbicio- Infatti stamattina ho inviato delle truppe per andare a dare un'occhiata... ma adesso risultano disperse anche loro.

Merda!, imprecò mentalmente Publio. Questo poteva escludere un semplice guasto. Forse, contro ogni aspettativa, i venti della rivolta erano arrivati anche a Visernia.

-E adesso intende mandare noi?- chiese il centurione Curzio, intuendo immediatamente il motivo della sua convocazione.

Urbicio annuì, quindi si rivolse a Publio.

-Vorrei che andassi anche tu, se te la senti- disse- So che parli la lingua dei locali, e un interprete potrebbe essere utile.

Publio scambiò un cenno affermativo con il centurione Curzio, che non era particolarmente ansioso di imbarcarsi in una ricognizione in un territorio a lui completamente sconosciuto senza almeno un elemento che sapesse comunicare e rapportarsi con gli indigeni. Sperando che questi fossero disposti a comunicare, ovviamente. Prima di partire, però, Publio voleva saperne di più su quello strano avvenimento.

-Ci sono state delle rivendicazioni circa questa interruzione?- chiese.

-Il legato della legione ritiene che si tratti di un'insurrezione locale- rispose Urbicio- Se non sbaglio è successo anche cinque mesi fa ad Aleupoli.

Publio fece una smorfia. Cinque mesi prima la rivolta non era ancora iniziata, ma nella capitale dell'Alasia se ne respirava già l'odore. Lui si trovava schierato al Vallo di Alasia quando si era verificato uno degli eventi premonitori dell'insurrezione, ma la notizia era arrivata al confine con tutti i dettagli. Un gruppo di ignoti criminali aveva fatto saltare in aria una centralina di trasmissione alla periferia di Aleupoli; lo scopo era stato quello di acceccare le autorità locali il tempo necessaio per permettere ai ribelli di contrabbandare armi in città; e il tentativo era riuscito. Che i ribelli stessero ora tentando di ripetere il colpo a Visernia? Certamente sembrava un buon modo per diffondere la rivolta anche lì. Bisognava impedirglielo a tutti i costi. Quanto più quella rivolta veniva contenuta, tanto più in fretta sarebbe stata sedata.

-La cosa non deve ripetersi- disse risolutamente, mentre si alzava- Centurione, prepara i tuoi uomini, partiamo immediatamente! Il trasmettitore di Visernia deve essere rimesso in funzione al più presto, o questo posto smetterà di essere così noioso come lo conosciamo!

Il centurione si voltò verso Urbicio, che assentì con un cenno del capo. Salutò militarmente e uscì per andare a preparare i suoi esploratori.

-Sarà meglio che vada ad equipaggiarmi anch'io- disse Publio.

Urbicio annuì e si alzò, tendendo di nuovo la mano.

-Che Marte ti accompagni, Giulio Scipione- disse- Spero di avere presto tue notizie.

-Considera pure il trasmettitore già funzionante a pieno regime- rispose Publio concedendosi un po' di boria- Spero invece di ritrovare vivi gli altri tuoi legionari. Stamattina nevicava ancora piuttosto forte lassù... è sempre possibile che il loro elicottero sia precipitato sulle montagne.

Tutto era possibile, ovviamente. E mentre tornava nella sua tenda per prepararsi, Publio si augurò che fra tutte le possibili alternative si fosse verificata la meno grave. Che il trasmettitore si fosse gustato a causa della tormenta. E che sempre a causa della tormenta i legionari che lo avevano preceduto fossero andati dispersi. Lui e gli altri della II Coorte non avevano fatto altro, negli ultimi giorni, che lamentarsi di come da quelle parti non succedesse assolutamente nulla, e adesso lui si ritrovava a desiderare che la situazione non cambiasse. E pensare che quando aveva messo piede in Alasia, fresco di addestramento, si era aspettato di vivere chissà quali straordinarie avventure e compiere chissà quali eroiche imprese. Ma quando era stato?

-Una vita fa- borbottò fra se e se.

**************

Poco dopo, di nuovo rinchiuso nell'armatura integrale e armato di tutto punto, Publio si presentava alla tenda della centuria di Servio Curzio. In realtà, chiamarla centuria era improprio, visto che era composta da solo cinque legionari scelti compreso il comandante, ma dal momento che i comandanti dei gruppi di esploratori all'interno delle legioni avevano il grado di centurione, per tradizione continuavano a chiamarli centurie.

Quando arrivò, i cinque legionari erano tutti equipaggiati come lui e pronti a partire. Il centurione Curzio si prese la briga di presentarglieli uno per uno. L'optio, il suo attendente, si chiamava Catulo ed era un vero e proprio residuato di guerra. Il suo volto, che in condizioni sarebbe stato bello a vedersi, femmineo addirittura, era deturpato da diverse cicatrici. Curzio glielo presentò mentre questi si apprestava ad infilarsi gli ultimi componenti dell'armatura e Publio fece appena intempo a vedere che una delle mani che l'optio stava per coprire con i guanti corazzati era a sua volta fatta di metallo: una mano artificiale. O forse tutto il braccio, pensò Publio.

Gli altri legionari erano Gario, una specie di gigante proveniente dalla Pannonia, il più anziano della centuria avendo la bellezza di cinquant'anni, trenta dei quali trascorsi sotto le armi; Gundahar, legionario di origine servile, dall'aria allegra e per nulla aggressiva come ci si sarebbe invece aspettati da un germano; infine, Spurio Emilio, un legionario cupo e dall'aria minacciosa che, quando Publio era entrato nella tenda, se ne stava seduto da solo in un angolo ad affilare un gigantesco khopesh, una spada corta egizia, che poi infilò nel fodero che teneva dietro la schiena. Complessivamente, comunque, Publio ebbe un'ottima impressione di quegli uomini. Erano tutti veterani, l'unica cosa che gli mancava era la conoscenza del territorio alasiano, e quella l'avrebbe fornita lui.

-Due elicotteri ci stanno già aspettando per portarci a destinazione- annunciò Catulo- Attendiamo i tuoi ordini.

-Andiamo- rispose semplicemente Publio.

Uscirono dall'accampamento. Nello spiazzo antistante, ancora all'interno del perimetro difensivo, due grossi elicotteri da trasporto e da combattimento stavano scaldando i motori e le pale in attesa di partire.

-Sarò sincero, tribuno- disse il centurione Curzio mentre s'incamminavano verso i velivoli- Non sono troppo felice di questa nuova assegnazione.

-Non è la stagione migliore per godersi l'Alasia questa, centurione- scherzò Publio.

-Non è questo. È... questa rivolta. Lei non ha la sgradevole sensazione di stare combattendo contro altri romani?

Publio sospirò e non rispose subito. Sì, anche lui si era posto più volte lo stesso dilemma negli ultimi tempi. I coloni alasiani e gli indigeni aleutini non godevano della cittadinanza romana, ma facevano parte dell'Impero di Roma e contribuivano alla sua vita e alla sua prosperità quanto e più dei cittadini romani stessi. E questo non li rendeva forse cittadini romani di fatto? Per certi versi, Valerio Massimo aveva ragione a disprezzare le politiche del Senato nelle province più remote dell'Impero. In fondo, i ribelli non avanzavano pretese irragionevoli, ma solo quella di vedersi riconosciuti i diritti corrispondenti agli oneri di cui erano già gravati. Ma tutto questo giustificava una rivolta in armi contro le amministrazioni e i funzionari di Roma? Di sicuro non giustificava l'aver appoggiato l'ennesimo attacco dei ronin al confine, cosa di cui ormai anche Publio era sempre più convinto.

-È una situazione molto complicata quella che si è venuta a creare qui- disse finalmente- I ribelli hanno le loro ragioni, ma il modo di perseguirle è certamente sbagliato.

Curzio sbuffò mentre salivano su uno dei due elicotteri.

-Avrei preferito di gran lunga essere mandato al confine a combattere contro i ronin- disse- Non avrei avuto alcuna remora a combattere contro di loro.

La spinosa discussione ebbe termine lì. Qualunque fossero le loro opinioni sulla guerra che si trovavano a combattere, adesso erano comunque dei legionari con degli ordini da eseguire.

Sull'elicottero, insieme al centurione e a Publio, salì anche Gundahar, mentre Catulo, Gario ed Emilio presero posto sull'altro. Publio fece cenno all'aviere di partire e i due velivoli si staccarono da terra, sollevandosi in volo.

*************

Ed ecco qui l'inizio della seconda parte della storia! Come se non bastasse un tentativo di invasione al confine, ci si mettono anche i disordini interni a complicare la vita dei legionari romani. Oh, quanto mi piace complicare le vite altrui! Muhahahahah! Sono una gran bastarda, lo so...
I capitoli più avanti, o forse già direttamente il prossimo, hanno in serbo una piccola sorpresina e tanta azione. Spero di cavarmela meglio che con il capitolo di Natale. Era il primo in cui provavo a raccontare una battaglia e ho incontrato non poche difficoltà.
Purtroppo sto anche andando un po' a rilento con gli aggiornamenti, ma questo semestre mi è capitata una materia bella tosta, sono in ritardo con gli appelli d'esame e di conseguenza ho qualche difficoltà a trovare il tempo per scrivere. Abbiate pazienza, quindi. Intanto, per rimettermi in carreggiata ho scritto questo capitolo di introduzione alla seconda parte. Non è molto lungo, ma mi lascia abbastanza soddisfatta, tranne forse per la lettera all'inizio... volevo cimentarmi nella scrittura epistolare romana che è leggermente più formale della nostra (non ce lo vedo proprio Publio a inserire emocotion in una lettera!).

Paenula: pesante mantello utilizzato per protteggersi dalle intemperie, equivalente romano del poncho.
Non ho latinizzato la parola elicottero, invece. Non ce n'era bisogno, visto che è una parola greca xD
  
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