Note di inizio capitolo:
Come al solito, ri-scusatemi per il ritardo! ormai credo di dover
ammettere che l'aggiornamento può slittare dal
venerdì al sabato molto spesso a causa degli impegni
universitari e del cambio d'orario che hanno applicato! me ne
dispiaccio, ma spero di riuscire sempre a pubblicare entro il weekend :)
In questo capitolo verrà introdotto il personaggio di Artie
con una certa particolarità. Vedrete che, tra l'altro,
sarà abbastanza funzionale alla storia.
Al solito, ringrazio chi mi segue, recensisce ed inserisce tra i
preferiti e ricordate.
Vi lascio al capitolo senza ulteriori chiacchiere ;)
Kurt non aveva assolutamente perso tempo: il ritrovamento di
quell’oggetto gli aveva subito fatto pensare a Blaine e lui
non poteva certo pensare che fosse stata solo una coincidenza.
Il destino a volte
lavorava in maniere strane e si manifestava con gli eventi
più straordinari, ma lui sapeva che niente avveniva per caso
e l’aver trovato quel dispositivo poteva voler dire qualunque
cosa, certo, e poteva essere di chiunque, ma poteva anche essere un
segno. Un segno chiaro e forte.
Non fece parola con
nessuno quando tornò a casa; aggiustò la spesa
dentro il frigo, salutò velocemente suo padre e Finn che
stavano finendo di riparare una vettura, e poi scappò in
camera pronto a controllare meglio quel piccolo oggettino tecnologico.
“B.A.
può essere chiunque…”
sussurrò tra sé e sé Kurt, leggendo
quella sigla.
Poteva essere davvero
di chiunque, ma sperava vivamente che fosse lui; se lo fosse stato, in
qualche modo avrebbe potuto risalire alla sua origine, magari avrebbe
potuto far analizzare il DNA ed accertarsene.
Provò ad
accenderlo ma lo schermo continuava a frusciare senza dare alcun segno
di vita. Sbuffò, rigirandoselo tra le mani.
Il modello era
senz’altro vecchiotto ma non per questo poco costoso. Kurt si
ricordava di aver visto uno di quei registratori in un negozio una
volta, ma forse era qualche modello successivo. Gli sembrava che il
prezzo fosse piuttosto alto, per cui anche il suo proprietario doveva
essere ricco.
Kurt pensò
per un attimo alla madre di Blaine.
La signora Anderson era
stata una forte attivista politica nel suo mondo – prima che
l’assassinassero – e se Blaine era suo figlio anche
in quella dimensione, forse poteva giungere ad un qualche modo per
incontrarlo, gli sarebbe bastato documentarsi su sua madre, in fondo
lui non ne sapeva poi molto.
Ma non c’era
alcuna garanzia; di fatto, nel presente Kurt non era imparentato con
Finn – altrimenti Finn sarebbe rimasto scandalizzato quanto
lui – e non aveva nemmeno avuto l’occasione di
conoscere l’altro se stesso.
Le sue teorie, a quel
punto, potevano essere tutto e niente. Ma sperava vivamente che
valessero almeno un qualcosa, che ci fosse una piccola
probabilità di ritrovare Blaine in quel mondo immenso.
Si rigirò il
dispositivo tra le dita, notando poi un piccolo pulsantino: lo
pigiò ed un ologramma sbiadito si formò da esso.
Era tremante e sembrava rappresentare la figura di una
donna… una donna dai tratti orientali e molto bella.
Era la madre di Blaine
e quello era un messaggio; purtroppo non era udibile perché
qualcosa sembrava essere danneggiato all’interno del
dispositivo e l’ologramma si spense esattamente qualche
secondo dopo.
Kurt scrutò
il vuoto di fronte a sé, perplesso; le sue teorie erano
giuste – o sembravano esserlo – avrebbe dovuto
“solo” trovare il modo di rintracciare Blaine.
Sapeva esattamente a
chi rivolgersi per necessità di questo tipo.
*
Blaine non si era
rassegnato, tutt’altro. La chiacchierata con sua madre era
servita da incoraggiamento e lo aveva spinto a fare qualche ricerca
partendo, banalmente, dalla sua ex scuola pubblica.
Non sapeva con che
coraggio si era ripresentato davanti al suo vecchio liceo, ma
sicuramente non era stata un’impresa facile. Il cuore gli si
stringeva e l’idea di rivedere quei volti che lo avevano
fatto soffrire così tanto non era certo allettante.
Erano passati due anni
da quando non aveva più messo piede là dentro e
Blaine doveva vederla solo come una benedizione: quella scuola era
stata un inferno, ma era anche un punto d’inizio.
Probabilmente Kurt frequentava una scuola pubblica, o forse no, poteva
essere ovunque e lo sapeva bene, ma avrebbe potuto chiedere in
segreteria se un certo Kurt Hummel fosse iscritto in
quell’istituto.
Mentre girava nei
corridoi della scuola alla ricerca di qualcuno che potesse essergli
d’aiuto, Blaine respirò di nuovo tutti quegli
odori che cercava ancora di dimenticare. Gli sembrava di esser tornato
a contatto con il passato e non era piacevole, non lo era per niente.
Sentiva qualcosa che gli premeva nel petto, un senso d’ansia
costante ed il bisogno di uscire da lì, subito, in
quell’istante.
Ma Blaine strinse i
denti e si fece coraggio, fino ad arrivare alla segreteria della scuola.
Una sorridente donna
con i capelli biondo cenere raccolti sedeva dietro la scrivania,
sembrava essere nuova di lì, o almeno non c’era
quando Blaine frequentava ancora quel liceo.
“Salve…”
disse Blaine timidamente, poggiando le mani sul tavolo. La donna
alzò lo sguardo verso di lui; era piuttosto giovane, non
dimostrava più di quarant’anni ed aveva degli
occhi estremamente azzurri, penetranti.
“Salve. Mi
dica,” disse, cortesemente.
“V-volevo
sapere se un certo Kurt Hummel studia o ha studiato in questa
scuola…”
La donna
cambiò improvvisamente espressione; sembrava rabbuiata,
crucciata. Era strano perché fino a qualche minuto prima,
sembrava avere un bel sorriso sulle labbra, stirato ma pur sempre un
sorriso.
Aggiustò i
fascicoli che aveva tra le mani e li ripose nella cassettiera
guardandolo con sospetto.
“E
tu… chi saresti?” chiese, squadrandolo.
“Non credo di averti mai visto nella scuola,”
aggiunse, sempre fredda, senza il tono colloquiale con il quale aveva
cominciato a parlare con Blaine.
Il ragazzo
indietreggiò di qualche passo.
“Sono Blaine
Anderson, un ex studente di questa scuola,” si difese, col
cuore stretto. Perché quella donna aveva reagito a quel
modo? Kurt era forse una sorta di male intenzionato? O magari aveva
fatto una brutta impressione con quella domanda? Blaine non riusciva
proprio a darsi una risposta.
“E
perché un ex studente dovrebbe tornare qui per cercare un
certo Kurt Hummel? Sei un suo parente?” chiese schiva,
guardandolo con sospetto.
Blaine
indietreggiò di qualche passo senza capire se avesse detto
qualcosa di sbagliato; sembrava parecchio irritata e non riusciva a
comprenderne il motivo. Era una semplice domanda, poteva farla senza
aver bisogno di essere ucciso seduta stante.
“M-mi
scusi… non volevo disturbarla,” rispose
l’altro, crucciato e scuotendo la testa, “non sono
un parente e forse è meglio che vada…”
rispose, aggiustandosi la borsa sulla spalla e voltandosi per scappare
verso l’uscita della scuola.
Non riusciva a capire
quella reazione, ma ne era rimasto davvero stupito.
Non metteva piede da
anni là dentro e probabilmente non ci sarebbe tornato mai
più.
Ma Blaine non aveva
visto che, non appena era fuggito via, la giovane donna si era portata
una mano sul cuore ed aveva abbassato lo sguardo, triste.
Accarezzò il
ciondolo della collana che stava indossando e tornò a
lavoro, aggiustando dei fascicoli che erano ancora sparsi sulla
scrivania.
*
“Kurt, qual
buon vento?” chiese un ragazzo con delle gambe meccaniche,
mentre stava cercando di riparare un oggetto di cui Kurt non riusciva a
capire il funzionamento. Sembrava una specie di vecchia scatola e gli
ricordava vagamente un “televisore”, ma forse non
lo era.
“Artie, avrei
bisogno di una mano con questo…” gli disse,
mostrandogli l’oggettino che aveva trovato e costudiva
gelosamente.
Artie inarcò
le sopracciglia prendendolo tra le mani.
“Sembra un
modello piuttosto vecchio di registratore… umh, ne esistono
di molti più avanzati oggi. Sarà di almeno otto
anni fa,” osservò, guardandolo con attenzione.
“Come mai
possiedi una cosa del genere? È ed era piuttosto
costoso…” gli disse, mentre camminava piano verso
il proprio banco del laboratorio, producendo un suono meccanico passo
dopo passo.
Kurt scosse le spalle.
“In
verità l’ho trovato oggi per terra e beh, sembra
essere rotto ma forse tu puoi ripararlo,” spiegò,
senza rivelare molto altro; non voleva spiegargli subito ciò
che sospettava.
Ma Artie si
girò, guardandolo da sotto gli occhiali e cercando di capire
cosa gli stesse passando per la testa. Notò poi le due
iniziali incise sul dispositivo e sorrise.
“Ha un
significato questo oggetto, o non ti saresti mai sprecato a venire fin
qui,” gli disse, con tono leggero.
Ed era vero. Artie
stava dall’altra parte della città e certo, era
facile da raggiungere con i mezzi che avevano a disposizione, ma Kurt
non amava il laboratorio Abrams, per qualche ragione gli metteva sempre
molta inquietudine.
Forse era a causa delle
pareti metalliche e buie, delle fievoli e tremolanti lampade presenti
in tutta la struttura, o forse era per colpa dei pezzi di robot sparsi
qua e là e dei fili gettati in dei box di latta.
Kurt non lo sapeva, ma
dietro quel laboratorio così pieno di scienza e tecnologia
si sentiva sempre rabbrividire. Gli faceva un po’ di paura.
“Non essere
intimorito Kurt, so cosa ti è successo ormai poco
più di un mese fa,” aggiunse, mentre cercava di
aprire il dispositivo senza danneggiarlo.
“Oh-“
“La tua
storia è famosa e mi sorprendo che tu non sia ancora stato
assalito dagli scienziati per le domande, sai? Ma forse stanno solo
aspettando il momento adatto o semplicemente non vogliono che il mondo
sappia” disse, aprendo finalmente il registratore.
Kurt si
accigliò.
“Che intendi
dire?” chiese, con voce bassa.
“Intendo
dire, Kurt,” Artie si riaggiustò gli occhiali sul
naso, “che la verità per molte persone
può essere scomoda. Tu sei arrivato dove nessuno di noi
è mai giunto. Hai visto ciò che gli scienziati
stanno studiando da anni tramite altre fonti. Tu hai visto tutto con i
tuoi occhi, Kurt. Hai toccato, gustato, visto…” il
ragazzo dalle gambe metalliche si fermò per qualche secondo
a riflettere, “oh, quanto t’invidio,”
sussurrò, piano, riprendendo a smontare il dispositivo.
L’altro lo
guardò stringendosi nelle spalle;
“Sono stato
fortunato ma ora ne ho nostalgia,” ammise.
Artie gli rivolse
un’occhiata, girandosi sulla sedia sulla quale si era
accomodato.
“Chi non la
sentirebbe? Chi vorrebbe vivere in questo mondo artificiale? Ma noi non
possiamo fare niente, Kurt. Non possiamo avvertirli di cosa li
aspetta,” disse, alzando le spalle, “è
una legge, sai, quella del tempo. Nessuna dimensione può
sconvolgere l’altra. Lo so persino io,” gli disse,
freddo, mentre toccava fili e sembrava combinarli con una qualche
logica.
“Tu cosa sai
esattamente, Artie?” chiese Kurt, prendendo uno sgabello
lì vicino.
“Più
di quanto non dovrei sapere: diciamo che sono sempre stato molto
curioso e conosco qualche teoria e rapporto tra il nostro mondo e le
altre due dimensioni.”
“Passato e
presente?”
“Passato e
presente.”
Kurt si
torturò ansiosamente le dita, intrecciandole con nervosismo.
“Mi chiedo
perché noi possiamo sapere di questa cosa e…
nelle altre due dimensioni no. Non hanno il diritto di sapere anche
loro che non esiste un solo modo di essere?”
Artie scosse la testa.
“Non so
risponderti, Kurt. Ci sono cose che sfuggono anche alla mia
comprensione,” ammise, mordendosi il labbro inferiore.
“Dovrei aver
quasi finito di riparare il tuo oggettino, qua. Ma queste
iniziali… B.A vogliono dire qualcosa per te?”
chiese, guardandolo con particolare interesse.
Kurt sorrise quasi
impercettibilmente.
“Sì,
diciamo di sì.”
“Qualcosa
collegato al presente?” chiese, ancora.
L’altro
annuì.
“Umh…
d’accordo. Non voglio sapere esattamente come sei legato a
questa faccenda, ma lo rispetto. Vorrei tanto fare un viaggio, andare
via da qui. Non ho niente se non questo laboratorio,” disse,
aprendo le braccia e volgendo gli occhi al cielo,
“è tutto ciò che mi resta.”
Kurt abbassò
la testa e rifletté.
Lui aveva persone che
lo aspettavano ovunque, Artie nemmeno una.
Sua madre e suo padre
erano morti in un incidente durante una rivolta politica, lui era
l’unico sopravvissuto della sua famiglia anche se aveva perso
l’uso delle gambe che poi aveva sostituito – con
l’aiuto di qualche medico – con quelle che si era
costruito lui personalmente; funzionavano, erano buone, ma non erano le
sue.
Kurt
s’impietosì di fronte alla sua condizione, mentre
lo vedeva lavorare con tristezza al suo dispositivo.
“Senti,
Artie… se vuoi… puoi venire un po’ da
me, sai, ogni tanto. Possiamo prenderci qualcosa da bere e
chiacchierare. Posso raccontarti qualcosa su ciò che ho
visto nel presente,” tentò, strusciando un piede a
terra, timido.
Non sapeva
perché avesse detto quelle parole, ma sentiva che poteva
fidarsi – e forse Artie poteva dargli una mano,
chissà. Era così bravo con la tecnologia e sapeva
che era molto richiesto in quel campo anche dagli scienziati stessi.
Il ragazzo
s’illuminò alzando di colpo la testa.
“Dici
davvero?”
“Ma
certo!” esclamò Kurt con un gesto pratico, alzando
un braccio, “voglio dire, mi stai facendo questo favore, che
è un favore davvero enorme… forse è il
minimo che io possa fare,” disse, sorridente.
“Ti ringrazio
Kurt,” gli rispose, toccandosi la gamba metallica forse un
po’ a disagio, “non sai quanto lo apprezzi.
E… ho quasi finito con questo, se vuoi rimanere un altro
po’ ed aspettare piuttosto che andartene.”
Kurt annuì e
rimase seduto sullo sgabello: quella poteva essere la sua unica
opportunità per ritrovare Blaine.
*
Blaine aveva bisogno di
dirlo a qualcuno.
Si teneva quel segreto
nel petto da così tanto tempo da fargli quasi male; aveva
mentito a sua madre, ai Warblers, a suo padre ed era quasi stato facile
ma cominciava a diventare una cosa del tutto opprimente.
Ma non poteva, sapeva
di non potere, avrebbe infranto qualcosa nell’equilibrio
naturale delle cose, qualcosa che, di fatto rischiava di essersi
già infranto dal momento in cui Kurt e Blaine si erano
incontrati per la prima volta al parco.
Sbuffò,
massaggiandosi le tempie mentre era al Lima Bean, da solo di fronte ad
un cappuccino caldo. Un vero e proprio a tu per tu con il proprio
spirito ed il proprio cervello.
Cosa doveva fare? Dove
doveva cercare? Chi gli garantiva che il Kurt del presente fosse
riconoscibile?
Troppe domande e
così poche risposte.
Alzò la
testa per caso e si stupì quando vide la ragazza della
segreteria scolastica appoggiata al bancone del Lima Bean mentre, con
tutta probabilità, attendeva la sua ordinazione.
Si fece piccolo
piccolo, un po’ ancora spaventato dal modo in cui aveva
reagito, sembrava una persona così serena di primo
impatto…
Si chiese se qualcosa
non avesse turbato il suo umore o se forse conoscesse realmente Kurt
Hummel. Magari lo conosceva e lo odiava, magari Kurt era un vero
stronzo in quella dimensione.
Blaine
non riusciva a capire e non si era mai sentito tanto confuso in vita
sua.
Note di fine capitolo:
Eccoci! Come al solito, sono a dir poco curiosa di sapere le vostre
teorie sulla donna che ha incontrato Blaine e, magari, anche un piccolo
parere sull'atteggiamento di Artie. Non è un personaggio che
"amo" particolarmente, mi piace e basta, però in questa
storia potrebbe davvero diventare fondamentale per alcune piccole cose
che vedrete in seguito!
Insomma, aspetto le vostre impressioni e, come sempre, vi invito nella
mia pagina di FB per news e per chiacchierare un po' nel caso vi
andasse: *QUI*
Alla prossima,
Flan
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