CAPITOLO 4
“Mostri”
La notte era la stessa in cui i
nostri ragazzi hanno avuto la loro vita cambiata irrimediabilmente. Un uomo
stava scalando un dirupo affacciato sull’ormai addormentata cittadina di Faring
Town. Ma, a parte l’orario, c’è qualcos’altro di davvero curioso in questa
impresa. Infatti la persona stava scalando la parete rocciosa senza l’ausilio di
alcun equipaggiamento specifico per tali iniziative. Si arrampicava con estrema
naturalezza su ogni parte del percorso, anche nelle zone in cui la parete non
presentava appigli di nessun genere. Utilizzava una particolare tecnica che
ricordava molto la scalata di un muro da parte di una lucertola. E, come una
lucertola, quest’uomo era completamente nudo.
Una volta arrivato sulla cima,
l’essere si girò per contemplare adeguatamente il panorama. Egli aveva il viso
forte e aquilino, con un naso sottile e narici arcuate. I capelli diradavano
sulle tempie e sull’alta fonte sporgente, ma crescevano folti sul capo. Le
sopracciglia erano molto fitte. Sul viso presentava inoltre dei lunghi baffi
bianchi. La bocca era immobile, dalla piega piuttosto crudele e denti
eccezionalmente appuntiti che spuntavano dalle labbra, molto rosse e fresche per
un uomo della sua età. Aveva orecchie pallide e appuntite, il mento largo e
forte, le guance magre ma ferme. Il viso aveva un pallore straordinario. Le mani
infine erano piuttosto rozze, larghe e tozze. Le unghie erano lunghe e molto
appuntite.
“Ipotizzerei che questa non è
affatto Londra” ruppe il silenzio della natura.
Ma un’altra presenza stava
facendo lentamente la sua entrata in scena…
“Però è il 4 maggio. La data
ideale per iniziare il tutto…” continuò nel suo monologo l’individuo.
Il nuovo venuto fece riconoscere
la sua presenza emanando un feroce ruggito.
L’uomo si voltò, con flemmatica
calma, e quasi sorrise alla belva, che si avvicinava sempre più alla sua preda
umana. ”Un giovane Bersicker…” aggiunse e poi, d’improvviso, spalancò le
braccia. Il lupo grigio, che digrignava ferocemente le bianche ed aguzzi zanne,
abbassò subito le labbra superiori e quasi s’inchino alla persona che aveva di
fronte. Poi, finita questa breve cerimonia, si girò e rientrò velocemente nella
foresta vicina al dirupo.
La sinistra figura tornò a
scrutare il paesaggio urbano che si trovava davanti. Tante luci che ricreavano
quasi l’atmosfera diurna. Ciò infastidiva in maniera apparentemente lieve
l’essere.
Egli tornò a parlare “Siamo ben
lontani dall’oceano. Ciò non può che farmi piacere: Non avrò impedimenti nei
miei poteri e, questa volta, non mi occorreranno più trasporti in nave di casse
ed avere a che fare con l’ignobile gente di porto. No, questa volta sarà
differente!”.
Dopo qualche attimo di silenzio
l’individuo riprese a ricordare “Non mi accontenterò più di una semplice
“bloofer lady”…come quella sognante camminatrice di Lucy. E neppure di quel
povero pazzo zoofago di Renfield. Erano più degni di me quelle mosche e quei
ragni che si dilettava ad attirare con lo zucchero per poi ingoiarli senza un
minimo di ritegno!” un minimo scatto d’ira comparse in lui, per poi placarsi
momentaneamente e ricordare altri eventi e personaggi spiacevoli “Questa volta
non metterò in mezzo stupidi notai per l’acquisto di inutili immobili, come
quel…quel…Jonathan Harker…” nel sillabare tale nome il suo labbro superiore
vibrò mostrando pienamente gli aguzzi canini bianchi “E tutti quegli stolti dei
suo compagni, con a capo quel vecchio professore olandese, che rinnegò i suoi
stessi studi per poter avere la meglio su di me. Con le sue luride ostie
consacrate…” e nel dire questo sputò nel terreno erboso. Poi il suo viso si
rasserenò di colpo “Però c’era lei…Mina…” piegando indietro la testa con gli
occhi socchiusi “sento ancora in me l’eccitazione nel sentire la sua tenera
bocca sul mio petto ferito…” a questo punto sulla sua fronte si posò un insetto
particolare, l’Acherontia Atropos della Sfinge, e la sua bocca si piegò in un
satanico sorriso.
Luna piena.
Dietro il cespuglio di una
particolate pianta, l’aconito, qualcosa stava vivendo. Ed era affamata. Non era
solo una sua semplice esigenza, era un qualcosa che doveva fare.
Poi arrivò la preda. Un esemplare
femminile di razza umana con capelli biondi, arricciolati per l’umidità presente
nel posto, e una tipologia di abbigliamento che lasciava pochi dubbi sulla sua
attuale professione: Stivali in cuoio con tacchi a spillo di almeno 15
centimetri, minigonna estremamente ristretta in jeans, maglietta bianca che
dalle spalle terminava poco sotto i suoi rotondi seni, che anche grazie a questo
risaltavano molto, e sopra di essa un giubbotto di pelle per dare un minimo di
calore almeno al suo corpo.
Nonostante lo spettacolo di certo
eccitante per qualsiasi esemplare maschile di razza umana, qualcos’altro attirò
l’attenzione dell’essere. Infatti, sul palmo della mano di quella triste donna
era ben visibile una stella a cinque punte. O meglio, era ben visibile da
esso.
Quel pentacolo era il segnale che
la caccia poteva cominciare.
La preda era intenta a fumarsi
una sigaretta, forse stava cominciando a pensare che per quella notte ne aveva
avuto veramente abbastanza, subito si girò di scatto verso il cespuglio. Uno
scricchiolio come tanti lì per lì pensò. Poi osservò meglio e riconobbe
distintamente, tra i vari rametti di aconito, due bagliori come occhi
fiammeggiare nell’oscurità.
“Che sia un maniaco? Ma no
figurati qui a Faring Town, tutt’al più sarà qualche guardone lussurioso…” pensò
mentre continuava l’osservazione, poi si decise.
“Tesoro puoi vedere anche più di
così…” accennando pure un sorriso alla fine di quel discreto invito, che
difficilmente un umano avrebbe rifiutato, qualsiasi fosse il prezzo da pagare.
Ma la cosa dietro il cespuglio non era umana. Si eresse in piedi.
La giovane donna strinse un po’
gli occhi per mettere bene a fuoco la figura che aveva davanti, dato che la luce
del lampioni poco distante da lei non era di particolare aiuto. Era davvero
enorme e decisamente molto pelosa: un licantropo.
Lei, appena compresa la reale
situazione in cui si trovava, cominciò a trasfigurare il suo volto per emettere
un grido di terrore, ma allo stesso tempo aveva già effettuato il primo passo
laterale per tentare un improbabile fuga. Il mostro, con un semplice balzo, gli
era già addosso. Il braccio sinistro della donna lasciò il suo corpo nettamente,
mentre, con il suo arto superiore sinistro, il lupo mannaro ridusse a brandelli
la candida maglietta mostrando i suddetti rotondi seni tutti dilaniati,
capezzoli e areole scure compresi. Ora toccava alle fauci agire. Il collo della
giovane fu in un attimo azzannato, mostrando una semplice catenina dorata, il
cui crocifisso attaccato ad essa nulla poteva contro quella creatura. La caccia si era conclusa.
Qualcosa nello sguardo dell’uomo
lupo cambiò, lasciò la presa mandibolare da quel che rimaneva del collo di una
donna e, ancora grondante sangue sul suo corpo muscoloso e peloso, cominciò la
ricerca di qualcosa. La trovò. Si trattava apparentemente di un cespuglio simile
al precedente, ma la cui pianta aveva un diverso fiore. mariphasa lupina lumina
era il nome scientifico.
Il lupo si avvicinò ad essa e ne
strappò via un rametto, lo osservò un attimo e, con la parte spezzata dal suo
cespo originale, si punse la mano sinistra facendo fuoriuscire, questa volta, un
po’ del suo sangue. Il suo fisico cominciò a mutare: I peli cominciarono a
diradarsi, la sua massa muscolare si sgonfiava a poco a poco, il muso si
appiattì e i denti tornarono più lineare, ma sempre sporchi di emoglobina
altrui.
Ora era presente solo un giovane
uomo nudo, con dentro di se tanta tristezza ed amarezza per ciò che era
costretto a causa di qualcosa che non poteva considerarsi una semplice malattia
genetica, ma una vera e propria maledizione.
“Oh signore perché deve essere
così?” chiese alzando le braccia al cielo, nell’attesa di una risposta che non
sarebbe di certo arrivata, per poi inginocchiarsi a terra quasi senza forze e
sussurrare appena ad occhi chiusi “Almeno dammi un po’ di argento”. Mentre,
attorno a lui, si radunarono le anime delle sue vittime, con un membro femminile
in più.
Un classico cimitero di
periferia. Con la presenza anche di lapidi la cui identità delle spoglie
custodite non è dato sapere. Il luogo ideale dove poter far affrontare la prova
di coraggio al membro più giovane di una compagnia di adolescenti. Ma quella
notte non vi era nessuno tranne il silenzio in quelle lande.
Poi accadde un fenomeno davvero
particolare in natura: Un fulmine a ciel sereno, anche se in questo caso il
cielo era completamente scuro, data l’ora della notte. Un’immensa scarica si
abbatté proprio sopra una delle suddette tombe anonime. La lapide si spezzò a
metà e cadde sull’erba bagnata di rugiada. Poi il terreno cominciò a smuoversi
fino a che non uscì fuori una mano, poi un braccio, una testa e, a poco a poco,
un’intera figura umana.
L’aspetto della creatura era
davvero inquietante: pelle sottile e giallastra, occhi di ghiaccio e
inespressivi, il volto dai lineamenti forti era tuttavia ingentilito da lunghi
capelli neri e denti bianchi perfetti. Infine le braccia e le gambe era
sproporzionatamente lunghe, tanto che l’essere in altezza misurava all’incirca
due metri e mezzo.
Poi, d’un tratto, il mostro
cominciò a ricordare. Un bagliore e, dopo, di nuovo la vita. Quello strano
dottore da cui era sfuggito, la gente che lo squadrava terrorizzata dal suo
aspetto, la sua fuga nel bosco. A questo ricordo cominciò a guardarsi intorno.
Cominciò a ricordarsi gli alberi, il vento, i versi dei molti animali che
popolavano quell’ambiente ed i sassi. Ma, proprio osservando la ruvidità della
superficie di uno di questi, ricordò anche le molte pietre che gli vennero
scagliate contro dalla popolazione di quella piccola cittadina a cui lui
chiedeva soltanto affetto. Inutilmente.
Attiguo al camposanto vi era un
tranquillo laghetto. La creatura se ne accorse e lo raggiunse per poi
specchiarsi sul suo specchio liquido. Non emise parole ma il suo sguardo
comunicava l’infinita tristezza che aveva dentro di sé. S’inginocchiò per bere
pochi sorsi di quella fresca acqua e, nel frattempo tornò a rimembrare che non
tutti gli erano stati ostili. Vi era stata infatti quella piccola famiglia,
formata da tre persone, il cui padre cieco lo aveva aiutato donandogli i pochi
viveri che possedevano e che lui stesso aveva ripagato procurandogli scorte di
cibo e legna da ardere. Purtroppo anche quei pochi giorni di serenità finirono,
sempre per il solito motivo che non lo aveva fatto accettare al resto delle
persone. Il suo viso. Il suo viso specchiato nell’acqua.
Inaspettatamente sentì le urla di
aiuto di una ragazza che stava annegando. Per poi accorgersi che si trattava
solo di un miraggio, portandosi inconsciamente la mano destra sul braccio
sinistro e, nel fare ciò, fermarsi a contemplare le sue enormi e forti mani.
Mani che avevano ucciso e rubato.
D’un tratto, una macchina
sfrecciò velocemente nella strada vicino alla vecchia necropoli e, dal
finestrino parzialmente aperto del veicolo, uscì l’allegra risata di una donna e
ciò fece tornare in mente al mostro la speranza di un amore, che però lo stesso
uomo di scienza che gli aveva dato vita aveva drasticamente tolto. Tornò ad
osservare le sue mani e dei nomi si materializzarono nella sua mente.
“William…Henry…Elizabeth…”
l’essere, per la prima volta, parlò.
Gli ultimi suoi ricordi erano
accumunati dal colore bianco che lo circondava. Le vaste distese di ghiaccio
presenti nei territori antartici, su cui aveva mosso gli ultimi passi della sua
fuga dal mondo. Con l’aiuto solo di una slitta e di pochi cani coraggiosi.
Successivamente ci fu l’arrivo della baleniera che, all’insaputa degli stessi
marinai che ne formavano l’equipaggio, si sarebbe rivelata il capezzale del suo
ideatore morente.
L’ultimo pensiero della creatura
andò al capitano Walton. Quella persona che, rifiutandosi di accettare una
promessa omicida da giurare al dottore, gli aveva permesso di vivere i suoi
ultimi anni in solitudine. Nonostante la sua enorme forza il mostro era stato
battuto dall’intolleranza umana. Dalle persone a cui lui chiedeva soltanto amore
e a cui era in grado di donargliene altrettanto. Lo stesso uomo impietoso che
gli aveva concesso la vita, si era poi rifiutato di concedergli almeno un altro
essere in grado di donargli affetto.
Il mostro smise di ricordare e
mosse i suoi pesanti passi nuovamente verso il cimitero. Incuriosito, si mise a
leggere i nomi presenti nelle pietre tombali per poi fermarsi davanti ad uno in
particolare: VICTOR.
La prova del coraggio,
affrontando una valle di serpenti e scorpioni per poi giungere alla lama con cui
tagliare infine il ricciolo dell’infanzia, davanti gli sguardi soddisfatti di
mio padre e del mio tutore.
La fuga di nascosto dal Kap per
visitare Menfi, con addosso una tunica di scarsa qualità, per giungere infine
alla famosa casa della birra del quartiere della scuola di medicina. E
l’indomani subire la prova della solitudine, proprio in piena stagione
dell’inondazione, con gli altri compagni fuori a divertirsi.
Una splendida quindicenne, già
donna, m’invito ad una festa a casa sua. Quella sera persi la verginità. Lo
scontro con sei palafrenieri armati che, vigliacchi, se la prendevano contro un
semplice apprendista. Mia madre che mi abbraccia, in maniera totalmente
differente di come fa con i miei viziati fratelli, sotto i salici e i melograni
presenti nel nostro giardino personale, mentre gli ittiti premevano a nord. Una
battuta di caccia, insieme ad un vecchio soldato, con preda finale un agile
stambecco del bezoar. La prima volta che uccisi un uomo: un ladro che trovò la
morte trafitto dal corno di una statua taurina. La visita alle cave di gres per
ammirare l’affascinante lavoro operato dai cavatori e tagliapietre reali. In
molti speravano in un mio esilio. Utilizzando anche le più meschine frodi pur di
raggiungere tale scopo. La visita al mio fidato scriba contuso, cadendo aveva
battuto violentemente la testa contro un masso. Il dominio di Sekhmet, gli
ultimi 5 giorni dell’anno quando il dio malefico ci scagliava contro le
malattie. La festa della piena, quando la diga principale veniva aperta e la
gente buttava nel Nilo delle statue di Hapy. Una noiosa gara di pesca alla lenza
con un treppiede e una canna da pesca in legno di acacia. La visita all’harem
reale di Merut, attorniato dalle movenze sinuose di tante giovani danzatrici
profumate. Una nuova guerra con gli ittiti si faceva sempre più vicina, con la
memoria rivolta agli achei e a Troia. Sicuro portainsegna del re, affrontai
comunque la corsa delle mura con sacchi di pietra sulle spalle. A guerra
conclusa, mi trovai a difendere proprio un vecchio ittita che stava subendo
delle torture ingiuste. Grazie al severo addestramento militare ora maneggiavo
perfettamente spade, lancie, scudo e arco.
La spedizione per poi giungere a
Serabit el-Khadim, il dominio della dea Hator, sovrana delle turchesi. Una
strenua lotta contro un beduino ladro di turchesi, che terminò la sua vita dopo
un volo dal pendio. Dopo un’estenuante corsa, il dolce canto di una giovane
donna dagli occhi verdazzurri, all’ombra di un salice. La morte di un parente a
me caro a causa di un improvviso, quanto misterioso, infarto. Dopo una
convocazione d’urgenza del consiglio allargato, durata più di 15 ore, fu
dichiarata la guerra alla Nubia. La maestosità della nave a forma di mezzaluna.
Le mura della fortezza di Muhen alte 11 metri e spesse 5. L’incontro con un
enorme elefante che, una volta mostratogli le mani, mi permise di sedermi sulla
sua testa. La guerra nella splendida e selvaggia regione della Nubia durò solo
pochi minuti. Il ritorno a casa con in dono un cucciolo di leone e, in Egitto,
un letto donatomi dalla mia amata in attesa di nozze. Il viaggio alla Valle dei
Re, paralizzato dalla sua magnificenza e dalle dicerie sui geni armati di
coltelli. Il duello con il dio Anubi avvenuto in sogno, al termine del quale la
stessa divinità mi donò la sua forza. Sotto le stelle del cielo di Karnak, ebbe
luogo la festa di Opet, con una solenne processione fino a Luxor. La visita ad
Heliopolis, terzo luogo sacro d’Egitto insieme a Menfi e Tebi, dove effettuai il
taglio della prima pietra per la costruzione di un futuro altare. Le noiose
feste di compleanno di mia sorella. L’arrivo ad Assuan per controllare lo stato
delle cave di granito utilizzato per gli obelischi. I polmoni che bruciavano
durante una traversata del deserto con le scorte d’acqua terminate, mentre a
corte tutti temevano che fossi rimasto vittima dei demoni del deserto divoratori
di cercatori d’oro. La prima lite violenta tra me e la mia amata, che pretendeva
per la mia persona ancora più potere. Un giorno come altri, una nave greca
attraccò al porto di “Buon viaggio”, portando con se una lana dorata, sebbene
sembrasse la loro una mentalità antiquata, si instaurarono per un breve periodo
nelle nostre terre. Quando ripartirono donai a loro delle clessidre portatrici
di buona sorte. Fui infine iniziato ai misteri di Osiride, e durante una di
queste celebrazioni, mio padre fu ucciso. Nello sconforto, mi tornarono in mente
le parole di Giasone e, dopo aver riaffrontato la prova del coraggio, tornai a
casa e cominciai il mio nuovo cammino sposando la mia amata. Mio padre sarebbe
di certo stato fiero di me. Dopo poco nacque mio figlio. Ero realmente diventato
uomo. Passato qualche mese ebbi il dono anche di una figlia, ma gli dei decisero
che per lei qualche mese di vita sarebbe bastato. La mia prima battaglia da
faraone contro dei pirati che avevano occupato la zona costiera. Infine, in un
periodo di secca del Nilo, anche la mia vita si seccò e lasciai il ruolo di
faraone troppo prematuramente. Per poi ritrovarmi ora in un luogo e in un tempo
che non mi appartengono.
La location era la più ideale per
un film horror: Un antico cimitero indiano.
Accanto ad esso, rendendo
l’ambiente ancora più lugubre, vi era una piccola laguna, la cui superficie
liquida era più scura della notte stessa. Rifiuti facenti parte di discariche
abusive ed anni di maltrattamento ambientale non avevano di certo reso più
ospitale questo ambiente. Nel contempo non vi era la minima increspatura su di
essa, finché qualcosa non comincio ad emergere. Il mutante ricordava nettamente
nell’aspetto le nuove sembianze assunte da Bill. Il suo corpo era dunque formato
da caratteristiche presenti negli animali marini: Dita palmate su tutti gli
arti, meno che sul braccio sinistro dove compariva invece un violaceo tentacolo,
una pinna più da delfino che da squalo che gli si ergeva sulla schiena e
branchie poste subito sotto l’attaccatura del collo con il mento.
Una volta emerso completamente,
proseguì la sua marcia sulla terraferma, lasciando dietro di sei una scia
bagnata sulla poca erba secca presente nel terreno del cimitero. Poi si arrestò.
Ruotando i suoi occhi umidi riconobbe in breve tempo le figure di fronte a lui:
Una creatura della notte, un uomo dagli istinti bestiali, un faraone millenario
ed un malinconico non-morto. I cinque mostri si osservavano attentamente a
vicenda. Nessuno provava ad attaccare l’altro perché sapeva che non era questo
il suo compito, erano stati richiamati lì per altri motivi da un potere
sconosciuto ma che era ben presente nelle loro menti.
Dopo attimi di silenzio, quello
che aveva maggiormente l’aspetto umano dei presenti scoppiò in lacrime “Di nuovo
altre morti no…”.
“Morte” ripeté in maniera
infantile la grigia creatura.
“Che Anubi mi abbia concesso una
nuova opportunità?” si chiedeva mentalmente l’egiziano.
Il Conte tornò a piegare la sua
bocca in un nuovo macabro sorriso e sentenziò “Che abbia inizio…”.
N.D.A.: Ed ecco che finalmente
fanno la comparsa anche i veri antagonisti di questa storia.
Pensate che per scrivere questo
singolo capitolo mi ci sono voluti dei mesi, per la maggior parte per leggermi
le fonti dai cui ottenere le giuste informazioni, poiché volevo che questi
stessi mostri fossero credibili, per quanto possibile ovviamente.
Dunque le principali fonti, da
cui ho tratto tutte le informazioni presenti nei ricordi dei mostri, sono
rispettivamente: Il libro “Dracula” di Bram Stoker (di cui potete ovviamente
trovare qualche rimando anche nel film “Dracula di Bram Stoker” di Francis Ford
Coppola), il film “L’uomo lupo” del 1941 (ed anche, seppur lievemente sul
finale, un altro film “Un lupo mannaro americano a londra”), il libro
“Frankenstein, o il moderno Prometeo” di Mary Shelley (Ovviamente il nome
presente nella tomba, Victor, è un rimando al nome dello scienziato creatore
della Creatura), ed infine la biografia del faraone Ramses, in cui ho scelto di
utilizzare volontariamente (perdonatemi se non ve l’ho detto prima) una
narrazione in prima persona, con i vari ricordi più importanti della sua vita
che scorrevano veloci uno dopo l’altro.
Purtroppo non ho avuto
particolare ispirazione per quanto riguarda il Mostro della Laguna Nera, anche
se la sua breve parte mi è servita per riunire le 5 creature.
X camomilla17: Ora capisci
finalmente chi sono i veri mostri della vicenda.
Infine ringrazio ancora chi sta
seguendo la mia storia, anche senza lasciare un commento ma dandogli una veloce
occhiata, e spero di ritrovarvi tutti per il prossimo lunedì con il quinto
capitolo, giungendo così a metà del nostro percorso.
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