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Autore: J85    19/03/2012    1 recensioni
Un gruppo di ragazzi, tutti e cinque grandi appassionati di film horror, si troverà, improvvisamente, con il proprio grande sogno trasformato in realtà: Diventando loro stessi dei mostri del loro genere cinematografico preferito. Purtroppo la realizzazione di questo particolare desiderio comporterà anche il presentarsi, nella loro città, di oscure creature.
Genere: Avventura, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                        CAPITOLO 4

“Mostri”

 

 

 

La notte era la stessa in cui i nostri ragazzi hanno avuto la loro vita cambiata irrimediabilmente. Un uomo stava scalando un dirupo affacciato sull’ormai addormentata cittadina di Faring Town. Ma, a parte l’orario, c’è qualcos’altro di davvero curioso in questa impresa. Infatti la persona stava scalando la parete rocciosa senza l’ausilio di alcun equipaggiamento specifico per tali iniziative. Si arrampicava con estrema naturalezza su ogni parte del percorso, anche nelle zone in cui la parete non presentava appigli di nessun genere. Utilizzava una particolare tecnica che ricordava molto la scalata di un muro da parte di una lucertola. E, come una lucertola, quest’uomo era completamente nudo.

Una volta arrivato sulla cima, l’essere si girò per contemplare adeguatamente il panorama. Egli aveva il viso forte e aquilino, con un naso sottile e narici arcuate. I capelli diradavano sulle tempie e sull’alta fonte sporgente, ma crescevano folti sul capo. Le sopracciglia erano molto fitte. Sul viso presentava inoltre dei lunghi baffi bianchi. La bocca era immobile, dalla piega piuttosto crudele e denti eccezionalmente appuntiti che spuntavano dalle labbra, molto rosse e fresche per un uomo della sua età. Aveva orecchie pallide e appuntite, il mento largo e forte, le guance magre ma ferme. Il viso aveva un pallore straordinario. Le mani infine erano piuttosto rozze, larghe e tozze. Le unghie erano lunghe e molto appuntite.

“Ipotizzerei che questa non è affatto Londra” ruppe il silenzio della natura.

Ma un’altra presenza stava facendo lentamente la sua entrata in scena…

“Però è il 4 maggio. La data ideale per iniziare il tutto…” continuò nel suo monologo l’individuo.

Il nuovo venuto fece riconoscere la sua presenza emanando un feroce ruggito.

L’uomo si voltò, con flemmatica calma, e quasi sorrise alla belva, che si avvicinava sempre più alla sua preda umana. ”Un giovane Bersicker…” aggiunse e poi, d’improvviso, spalancò le braccia. Il lupo grigio, che digrignava ferocemente le bianche ed aguzzi zanne, abbassò subito le labbra superiori e quasi s’inchino alla persona che aveva di fronte. Poi, finita questa breve cerimonia, si girò e rientrò velocemente nella foresta vicina al dirupo.

La sinistra figura tornò a scrutare il paesaggio urbano che si trovava davanti. Tante luci che ricreavano quasi l’atmosfera diurna. Ciò infastidiva in maniera apparentemente lieve l’essere.

Egli tornò a parlare “Siamo ben lontani dall’oceano. Ciò non può che farmi piacere: Non avrò impedimenti nei miei poteri e, questa volta, non mi occorreranno più trasporti in nave di casse ed avere a che fare con l’ignobile gente di porto. No, questa volta sarà differente!”.

Dopo qualche attimo di silenzio l’individuo riprese a ricordare “Non mi accontenterò più di una semplice “bloofer lady”…come quella sognante camminatrice di Lucy. E neppure di quel povero pazzo zoofago di Renfield. Erano più degni di me quelle mosche e quei ragni che si dilettava ad attirare con lo zucchero per poi ingoiarli senza un minimo di ritegno!” un minimo scatto d’ira comparse in lui, per poi placarsi momentaneamente e ricordare altri eventi e personaggi spiacevoli “Questa volta non metterò in mezzo stupidi notai per l’acquisto di inutili immobili, come quel…quel…Jonathan Harker…” nel sillabare tale nome il suo labbro superiore vibrò mostrando pienamente gli aguzzi canini bianchi “E tutti quegli stolti dei suo compagni, con a capo quel vecchio professore olandese, che rinnegò i suoi stessi studi per poter avere la meglio su di me. Con le sue luride ostie consacrate…” e nel dire questo sputò nel terreno erboso. Poi il suo viso si rasserenò di colpo “Però c’era lei…Mina…” piegando indietro la testa con gli occhi socchiusi “sento ancora in me l’eccitazione nel sentire la sua tenera bocca sul mio petto ferito…” a questo punto sulla sua fronte si posò un insetto particolare, l’Acherontia Atropos della Sfinge, e la sua bocca si piegò in un satanico sorriso.

 

Luna piena.

Dietro il cespuglio di una particolate pianta, l’aconito, qualcosa stava vivendo. Ed era affamata. Non era solo una sua semplice esigenza, era un qualcosa che doveva fare.

Poi arrivò la preda. Un esemplare femminile di razza umana con capelli biondi, arricciolati per l’umidità presente nel posto, e una tipologia di abbigliamento che lasciava pochi dubbi sulla sua attuale professione: Stivali in cuoio con tacchi a spillo di almeno 15 centimetri, minigonna estremamente ristretta in jeans, maglietta bianca che dalle spalle terminava poco sotto i suoi rotondi seni, che anche grazie a questo risaltavano molto, e sopra di essa un giubbotto di pelle per dare un minimo di calore almeno al suo corpo.

Nonostante lo spettacolo di certo eccitante per qualsiasi esemplare maschile di razza umana, qualcos’altro attirò l’attenzione dell’essere. Infatti, sul palmo della mano di quella triste donna era ben visibile una stella a cinque punte. O meglio, era ben visibile da esso.

Quel pentacolo era il segnale che la caccia poteva cominciare.

La preda era intenta a fumarsi una sigaretta, forse stava cominciando a pensare che per quella notte ne aveva avuto veramente abbastanza, subito si girò di scatto verso il cespuglio. Uno scricchiolio come tanti lì per lì pensò. Poi osservò meglio e riconobbe distintamente, tra i vari rametti di aconito, due bagliori come occhi fiammeggiare nell’oscurità.

“Che sia un maniaco? Ma no figurati qui a Faring Town, tutt’al più sarà qualche guardone lussurioso…” pensò mentre continuava l’osservazione, poi si decise.

“Tesoro puoi vedere anche più di così…” accennando pure un sorriso alla fine di quel discreto invito, che difficilmente un umano avrebbe rifiutato, qualsiasi fosse il prezzo da pagare. Ma la cosa dietro il cespuglio non era umana. Si eresse in piedi.

La giovane donna strinse un po’ gli occhi per mettere bene a fuoco la figura che aveva davanti, dato che la luce del lampioni poco distante da lei non era di particolare aiuto. Era davvero enorme e decisamente molto pelosa: un licantropo.

Lei, appena compresa la reale situazione in cui si trovava, cominciò a trasfigurare il suo volto per emettere un grido di terrore, ma allo stesso tempo aveva già effettuato il primo passo laterale per tentare un improbabile fuga. Il mostro, con un semplice balzo, gli era già addosso. Il braccio sinistro della donna lasciò il suo corpo nettamente, mentre, con il suo arto superiore sinistro, il lupo mannaro ridusse a brandelli la candida maglietta mostrando i suddetti rotondi seni tutti dilaniati, capezzoli e areole scure compresi. Ora toccava alle fauci agire. Il collo della giovane fu in un attimo azzannato, mostrando una semplice catenina dorata, il cui crocifisso attaccato ad essa nulla poteva contro quella creatura. La  caccia si era conclusa.

Qualcosa nello sguardo dell’uomo lupo cambiò, lasciò la presa mandibolare da quel che rimaneva del collo di una donna e, ancora grondante sangue sul suo corpo muscoloso e peloso, cominciò la ricerca di qualcosa. La trovò. Si trattava apparentemente di un cespuglio simile al precedente, ma la cui pianta aveva un diverso fiore. mariphasa lupina lumina era il nome scientifico.

Il lupo si avvicinò ad essa e ne strappò via un rametto, lo osservò un attimo e, con la parte spezzata dal suo cespo originale, si punse la mano sinistra facendo fuoriuscire, questa volta, un po’ del suo sangue. Il suo fisico cominciò a mutare: I peli cominciarono a diradarsi, la sua massa muscolare si sgonfiava a poco a poco, il muso si appiattì e i denti tornarono più lineare, ma sempre sporchi di emoglobina altrui.

Ora era presente solo un giovane uomo nudo, con dentro di se tanta tristezza ed amarezza per ciò che era costretto a causa di qualcosa che non poteva considerarsi una semplice malattia genetica, ma una vera e propria maledizione.

“Oh signore perché deve essere così?” chiese alzando le braccia al cielo, nell’attesa di una risposta che non sarebbe di certo arrivata, per poi inginocchiarsi a terra quasi senza forze e sussurrare appena ad occhi chiusi “Almeno dammi un po’ di argento”. Mentre, attorno a lui, si radunarono le anime delle sue vittime, con un membro femminile in più.

 

Un classico cimitero di periferia. Con la presenza anche di lapidi la cui identità delle spoglie custodite non è dato sapere. Il luogo ideale dove poter far affrontare la prova di coraggio al membro più giovane di una compagnia di adolescenti. Ma quella notte non vi era nessuno tranne il silenzio in quelle lande.

Poi accadde un fenomeno davvero particolare in natura: Un fulmine a ciel sereno, anche se in questo caso il cielo era completamente scuro, data l’ora della notte. Un’immensa scarica si abbatté proprio sopra una delle suddette tombe anonime. La lapide si spezzò a metà e cadde sull’erba bagnata di rugiada. Poi il terreno cominciò a smuoversi fino a che non uscì fuori una mano, poi un braccio, una testa e, a poco a poco, un’intera figura umana.

L’aspetto della creatura era davvero inquietante: pelle sottile e giallastra, occhi di ghiaccio e inespressivi, il volto dai lineamenti forti era tuttavia ingentilito da lunghi capelli neri e denti bianchi perfetti. Infine le braccia e le gambe era sproporzionatamente lunghe, tanto che l’essere in altezza misurava all’incirca due metri e mezzo.

Poi, d’un tratto, il mostro cominciò a ricordare. Un bagliore e, dopo, di nuovo la vita. Quello strano dottore da cui era sfuggito, la gente che lo squadrava terrorizzata dal suo aspetto, la sua fuga nel bosco. A questo ricordo cominciò a guardarsi intorno. Cominciò a ricordarsi gli alberi, il vento, i versi dei molti animali che popolavano quell’ambiente ed i sassi. Ma, proprio osservando la ruvidità della superficie di uno di questi, ricordò anche le molte pietre che gli vennero scagliate contro dalla popolazione di quella piccola cittadina a cui lui chiedeva soltanto affetto. Inutilmente.

Attiguo al camposanto vi era un tranquillo laghetto. La creatura se ne accorse e lo raggiunse per poi specchiarsi sul suo specchio liquido. Non emise parole ma il suo sguardo comunicava l’infinita tristezza che aveva dentro di sé. S’inginocchiò per bere pochi sorsi di quella fresca acqua e, nel frattempo tornò a rimembrare che non tutti gli erano stati ostili. Vi era stata infatti quella piccola famiglia, formata da tre persone, il cui padre cieco lo aveva aiutato donandogli i pochi viveri che possedevano e che lui stesso aveva ripagato procurandogli scorte di cibo e legna da ardere. Purtroppo anche quei pochi giorni di serenità finirono, sempre per il solito motivo che non lo aveva fatto accettare al resto delle persone. Il suo viso. Il suo viso specchiato nell’acqua.

Inaspettatamente sentì le urla di aiuto di una ragazza che stava annegando. Per poi accorgersi che si trattava solo di un miraggio, portandosi inconsciamente la mano destra sul braccio sinistro e, nel fare ciò, fermarsi a contemplare le sue enormi e forti mani. Mani che avevano ucciso e rubato.

D’un tratto, una macchina sfrecciò velocemente nella strada vicino alla vecchia necropoli e, dal finestrino parzialmente aperto del veicolo, uscì l’allegra risata di una donna e ciò fece tornare in mente al mostro la speranza di un amore, che però lo stesso uomo di scienza che gli aveva dato vita aveva drasticamente tolto. Tornò ad osservare le sue mani e dei nomi si materializzarono nella sua mente.

“William…Henry…Elizabeth…” l’essere, per la prima volta, parlò.

Gli ultimi suoi ricordi erano accumunati dal colore bianco che lo circondava. Le vaste distese di ghiaccio presenti nei territori antartici, su cui aveva mosso gli ultimi passi della sua fuga dal mondo. Con l’aiuto solo di una slitta e di pochi cani coraggiosi. Successivamente ci fu l’arrivo della baleniera che, all’insaputa degli stessi marinai che ne formavano l’equipaggio, si sarebbe rivelata il capezzale del suo ideatore morente.

L’ultimo pensiero della creatura andò al capitano Walton. Quella persona che, rifiutandosi di accettare una promessa omicida da giurare al dottore, gli aveva permesso di vivere i suoi ultimi anni in solitudine. Nonostante la sua enorme forza il mostro era stato battuto dall’intolleranza umana. Dalle persone a cui lui chiedeva soltanto amore e a cui era in grado di donargliene altrettanto. Lo stesso uomo impietoso che gli aveva concesso la vita, si era poi rifiutato di concedergli almeno un altro essere in grado di donargli affetto.

Il mostro smise di ricordare e mosse i suoi pesanti passi nuovamente verso il cimitero. Incuriosito, si mise a leggere i nomi presenti nelle pietre tombali per poi fermarsi davanti ad uno in particolare: VICTOR.

 

La prova del coraggio, affrontando una valle di serpenti e scorpioni per poi giungere alla lama con cui tagliare infine il ricciolo dell’infanzia, davanti gli sguardi soddisfatti di mio padre e del mio tutore.

La fuga di nascosto dal Kap per visitare Menfi, con addosso una tunica di scarsa qualità, per giungere infine alla famosa casa della birra del quartiere della scuola di medicina. E l’indomani subire la prova della solitudine, proprio in piena stagione dell’inondazione, con gli altri compagni fuori a divertirsi.

Una splendida quindicenne, già donna, m’invito ad una festa a casa sua. Quella sera persi la verginità. Lo scontro con sei palafrenieri armati che, vigliacchi, se la prendevano contro un semplice apprendista. Mia madre che mi abbraccia, in maniera totalmente differente di come fa con i miei viziati fratelli, sotto i salici e i melograni presenti nel nostro giardino personale, mentre gli ittiti premevano a nord. Una battuta di caccia, insieme ad un vecchio soldato, con preda finale un agile stambecco del bezoar. La prima volta che uccisi un uomo: un ladro che trovò la morte trafitto dal corno di una statua taurina. La visita alle cave di gres per ammirare l’affascinante lavoro operato dai cavatori e tagliapietre reali. In molti speravano in un mio esilio. Utilizzando anche le più meschine frodi pur di raggiungere tale scopo. La visita al mio fidato scriba contuso, cadendo aveva battuto violentemente la testa contro un masso. Il dominio di Sekhmet, gli ultimi 5 giorni dell’anno quando il dio malefico ci scagliava contro le malattie. La festa della piena, quando la diga principale veniva aperta e la gente buttava nel Nilo delle statue di Hapy. Una noiosa gara di pesca alla lenza con un treppiede e una canna da pesca in legno di acacia. La visita all’harem reale di Merut, attorniato dalle movenze sinuose di tante giovani danzatrici profumate. Una nuova guerra con gli ittiti si faceva sempre più vicina, con la memoria rivolta agli achei e a Troia. Sicuro portainsegna del re, affrontai comunque la corsa delle mura con sacchi di pietra sulle spalle. A guerra conclusa, mi trovai a difendere proprio un vecchio ittita che stava subendo delle torture ingiuste. Grazie al severo addestramento militare ora maneggiavo perfettamente spade, lancie, scudo e arco.

La spedizione per poi giungere a Serabit el-Khadim, il dominio della dea Hator, sovrana delle turchesi. Una strenua lotta contro un beduino ladro di turchesi, che terminò la sua vita dopo un volo dal pendio. Dopo un’estenuante corsa, il dolce canto di una giovane donna dagli occhi verdazzurri, all’ombra di un salice. La morte di un parente a me caro a causa di un improvviso, quanto misterioso, infarto. Dopo una convocazione d’urgenza del consiglio allargato, durata più di 15 ore, fu dichiarata la guerra alla Nubia. La maestosità della nave a forma di mezzaluna. Le mura della fortezza di Muhen alte 11 metri e spesse 5. L’incontro con un enorme elefante che, una volta mostratogli le mani, mi permise di sedermi sulla sua testa. La guerra nella splendida e selvaggia regione della Nubia durò solo pochi minuti. Il ritorno a casa con in dono un cucciolo di leone e, in Egitto, un letto donatomi dalla mia amata in attesa di nozze. Il viaggio alla Valle dei Re, paralizzato dalla sua magnificenza e dalle dicerie sui geni armati di coltelli. Il duello con il dio Anubi avvenuto in sogno, al termine del quale la stessa divinità mi donò la sua forza. Sotto le stelle del cielo di Karnak, ebbe luogo la festa di Opet, con una solenne processione fino a Luxor. La visita ad Heliopolis, terzo luogo sacro d’Egitto insieme a Menfi e Tebi, dove effettuai il taglio della prima pietra per la costruzione di un futuro altare. Le noiose feste di compleanno di mia sorella. L’arrivo ad Assuan per controllare lo stato delle cave di granito utilizzato per gli obelischi. I polmoni che bruciavano durante una traversata del deserto con le scorte d’acqua terminate, mentre a corte tutti temevano che fossi rimasto vittima dei demoni del deserto divoratori di cercatori d’oro. La prima lite violenta tra me e la mia amata, che pretendeva per la mia persona ancora più potere. Un giorno come altri, una nave greca attraccò al porto di “Buon viaggio”, portando con se una lana dorata, sebbene sembrasse la loro una mentalità antiquata, si instaurarono per un breve periodo nelle nostre terre. Quando ripartirono donai a loro delle clessidre portatrici di buona sorte. Fui infine iniziato ai misteri di Osiride, e durante una di queste celebrazioni, mio padre fu ucciso. Nello sconforto, mi tornarono in mente le parole di Giasone e, dopo aver riaffrontato la prova del coraggio, tornai a casa e cominciai il mio nuovo cammino sposando la mia amata. Mio padre sarebbe di certo stato fiero di me. Dopo poco nacque mio figlio. Ero realmente diventato uomo. Passato qualche mese ebbi il dono anche di una figlia, ma gli dei decisero che per lei qualche mese di vita sarebbe bastato. La mia prima battaglia da faraone contro dei pirati che avevano occupato la zona costiera. Infine, in un periodo di secca del Nilo, anche la mia vita si seccò e lasciai il ruolo di faraone troppo prematuramente. Per poi ritrovarmi ora in un luogo e in un tempo che non mi appartengono.

 

La location era la più ideale per un film horror: Un antico cimitero indiano.

Accanto ad esso, rendendo l’ambiente ancora più lugubre, vi era una piccola laguna, la cui superficie liquida era più scura della notte stessa. Rifiuti facenti parte di discariche abusive ed anni di maltrattamento ambientale non avevano di certo reso più ospitale questo ambiente. Nel contempo non vi era la minima increspatura su di essa, finché qualcosa non comincio ad emergere. Il mutante ricordava nettamente nell’aspetto le nuove sembianze assunte da Bill. Il suo corpo era dunque formato da caratteristiche presenti negli animali marini: Dita palmate su tutti gli arti, meno che sul braccio sinistro dove compariva invece un violaceo tentacolo, una pinna più da delfino che da squalo che gli si ergeva sulla schiena e branchie poste subito sotto l’attaccatura del collo con il mento.

Una volta emerso completamente, proseguì la sua marcia sulla terraferma, lasciando dietro di sei una scia bagnata sulla poca erba secca presente nel terreno del cimitero. Poi si arrestò. Ruotando i suoi occhi umidi riconobbe in breve tempo le figure di fronte a lui: Una creatura della notte, un uomo dagli istinti bestiali, un faraone millenario ed un malinconico non-morto. I cinque mostri si osservavano attentamente a vicenda. Nessuno provava ad attaccare l’altro perché sapeva che non era questo il suo compito, erano stati richiamati lì per altri motivi da un potere sconosciuto ma che era ben presente nelle loro menti.

Dopo attimi di silenzio, quello che aveva maggiormente l’aspetto umano dei presenti scoppiò in lacrime “Di nuovo altre morti no…”.

“Morte” ripeté in maniera infantile la grigia creatura.

“Che Anubi mi abbia concesso una nuova opportunità?” si chiedeva mentalmente l’egiziano.

Il Conte tornò a piegare la sua bocca in un nuovo macabro sorriso e sentenziò “Che abbia inizio…”.

 

 

 

N.D.A.: Ed ecco che finalmente fanno la comparsa anche i veri antagonisti di questa storia.

Pensate che per scrivere questo singolo capitolo mi ci sono voluti dei mesi, per la maggior parte per leggermi le fonti dai cui ottenere le giuste informazioni, poiché volevo che questi stessi mostri fossero credibili, per quanto possibile ovviamente.

Dunque le principali fonti, da cui ho tratto tutte le informazioni presenti nei ricordi dei mostri, sono rispettivamente: Il libro “Dracula” di Bram Stoker (di cui potete ovviamente trovare qualche rimando anche nel film “Dracula di Bram Stoker” di Francis Ford Coppola), il film “L’uomo lupo” del 1941 (ed anche, seppur lievemente sul finale, un altro film “Un lupo mannaro americano a londra”), il libro “Frankenstein, o il moderno Prometeo” di Mary Shelley (Ovviamente il nome presente nella tomba, Victor, è un rimando al nome dello scienziato creatore della Creatura), ed infine la biografia del faraone Ramses, in cui ho scelto di utilizzare volontariamente (perdonatemi se non ve l’ho detto prima) una narrazione in prima persona, con i vari ricordi più importanti della sua vita che scorrevano veloci uno dopo l’altro.

Purtroppo non ho avuto particolare ispirazione per quanto riguarda il Mostro della Laguna Nera, anche se la sua breve parte mi è servita per riunire le 5 creature.

 

X camomilla17: Ora capisci finalmente chi sono i veri mostri della vicenda.

 

Infine ringrazio ancora chi sta seguendo la mia storia, anche senza lasciare un commento ma dandogli una veloce occhiata, e spero di ritrovarvi tutti per il prossimo lunedì con il quinto capitolo, giungendo così a metà del nostro percorso.

  
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