Miracle In My Pocket

di LibertySun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Waking Nightmare ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Eternal Night ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Dreamlike Reality ***
Capitolo 4: *** AVVISO! ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Waking Nightmare ***


titolo: Miracle in My Pocket (Un Miracolo nella Mia Tasca)
autrice: LibertySun
traduttrice: Kyelenia
pairing: B/J (ovviamente ;))
link alla storia: QUI

Capitolo 1. Un incubo ad occhi aperti

Se ieri gli aveste chiesto chi idolatrava, Brian Kinney avrebbe prontamente detto James Dean. Un uomo che aveva vissuto intensamente ed era morto velocemente e ancora giovane. Piuttosto letteralmente se n'era andato in un lampo di gloria. 'Il povero bastardo'.

Fategli adesso la stessa domanda, e risponderebbe che non ha nessun mito. Che non crede in niente.

Richiamò alla memoria la paura e l'ansia che aveva provato all'approssimarsi del suo trentesimo compleanno. Era stato certo senza alcuna possibilità di equivoco che quella fosse la fine della sua vita. In verità non aveva idea di una sola dannatissima cosa. Ora, a quasi trentasette anni, sentiva di essere appena rinato grazie alle esperienze e ai traguardi della vita.

'No. Non era pronto'. Aveva appena cominciato a farsi andar giù l'intera stronzata della 'vita', quando il peso della morte gli era stato scaricato addosso così duramente. 'Dannate scadenze.'

Attraverso occhi affaticati e pensieri spiacevoli, guardava la neve volteggiare giù dal cielo. Un ricordo felice assalì la sua mente e lui accolse l'attacco. Riuscì ad immaginarsi la scena con assoluta facilità.

I coriandoli del Babylon piovevano giù,ma ironicamente non erano in grado di lavar via il suo raggio di sole. I suoi contorni sfocati e la pelle di porcellana apparentemente irradiati da ogni mossa fluida. Cosa non avrebbe dato per un solo altro ballo con lui. Sentì il corpo dolere per il desiderio mentre ricordava senza sforzo come loro due si erano sempre incastrati insieme.

Brian Kinney avrebbe sostenuto con convinzione che Justin Taylor era fatto precisamente allo scopo di incastrarsi con lui. Il pezzo mancante, le due metà di un'unica anima e tutte quelle assurdità lesbioniche.

Insensatezze che erano diventate sentimenti quando Brian aveva consentito a se stesso di amare lui.

Un dolore intenso inondò il suo corpo. Questa volta non aveva niente a che fare con la polmonite batterica che infettava i suoi polmoni o con le setticemie che avvelenavano il suo flusso sanguigno. Entramb3 quelle bastarde stavano malignamente combattendo contro di lui.

Quel giorno segnava il quattordicesimo trascorso nell'ampia stanza dell'imprevedibile. Per i primi giorni aveva disperatamente provato a ringiovanire la campagna sulla mortalità di Brian Kinney. Aveva stravolto tutto, rimodellato, elegantemente mentito. 'Dannazione, era questo che aveva fatto, no?'. Però velocemente aveva scoperto che nessuna apparenza esteriore opportunamente ritoccata avrebbe potuto nascondere la spaventosa realtà.

Evidentemente la mano del dottore aveva avuto il desiderio di firmare il suo certificato di morte. Otto prima gli era stata presentata la notizia a cui non si era preoccupato di credere.

Gli era stato diagnosticato un linfoma. 'Dannato cancro al sangue. Lo sapeva no? Qualche merda così'. Due anni prima aveva affrontato il cancro ai testicoli sul ring e gli aveva rotto il culo. Adesso quello.

Per un minuscolo momento aveva maledetto il vecchio Jack. Non era andata persa l'ironia del fluido che scorreva dentro di lui. Stava letteralmente annegando nella piscina del suo gene contaminato.

Anni prima, quando aveva cominciato la chemioterapia, aveva primeggiato (come in molte altre cose) anche in quella. La malattia era stata sconfitta, la vita era andata avanti, il mondo aveva continuato a girare.

Questa volta le cose erano andate in modo leggermente diverso. Per mesi la chemioterapia non aveva avuto effetto. Troppo presto si era trovato a temere che il mondo avrebbe finito col fermarsi definitivamente. Per il momento era ancora in movimento, per quanto lento.

Due settimane prima gli era stato concesso il regalo di più domani. Il trattamento era stato efficace, aveva distrutto il tumore.

Una settimana prima si era trovato ad essere degente nell'ala di ricovero mentre il suo debole (ma ancora meraviglioso) corpo andava graziosamente accettando la sconfitta dell'intruso che aveva tentato di privarlo  della vita.

Quarantotto ore prima era stato trasferito al reparto Intensivo e collocato in una stanza sterile subito dopo che i suoi inesistenti linfociti T avevano distrutto il suo sistema immunitario e lui aveva contratto la polmonite.

Quasi quindici minuti prima era andato in shock settico. Con una possibilità del cinquanta percento di sopravvivere, e nient'altro che una vasta gamma di medicine sperimentali a prevenire ulteriori danni agli organi. 'Beato lui.'

Aveva chiesto al medico soltanto di informare Justin e i Novotny del nuovo ostacolo che gli si era presentato. Era piuttosto sicuro che non avrebbe avuto la forza per superarlo. Le reazioni della sua famiglia pesavano profondamente sul suo cuore.

In meno di venti minuti, ogni cosa era diventata pietra pesante e aveva cominciato ad affondare troppo velocemente verso il fondo della sua anima che aveva appena cominciato ad esistere.

La neve cristallizzata che ricopriva il vetro della finestra era assolutamente ipnotica. Le sue palpebre erano affaticate dalla presenza di un peso. Era esausto. Aveva perfino troppa paura per chiudere gli occhi.

Quella camera grigia era destinata ad essere la sua fine? Sarebbero stati i mobili rotti, una vecchia infermiera e quella vista banale dalla camera 214 le ultime cose che avrebbe visto nella sua vita? "Col cazzo!"

Sunshine quella mattina era con il suo Sonnyboy, e aspettava il loro arrivo al più presto. I due più bei sorrisi al mondo. 'Quella cosa, sarebbe stata l'ultima visione che i suoi occhi nocciola avrebbero portato con sé. Al di là di qualsiasi fosse la sua maledetta destinazione.'

Avrebbe usato ogni millesimo della forza che si andava precipitosamente deteriorando per rimanere sveglio. Per aspettare.

Odiava aspettare. Odiava l'impossibilità di controllare. Odiava non sapere quando la fine sarebbe coincisa con l'inizio. Justin e Gus, che avevano segnato il momento in cui la vita di Brian Kinney era davvero cominciata in quella notte fatale di quasi sette anni prima.

Erano cambiate così tante cose da quel momento, tra lezioni imparate e quant'altro. I due ragazzi avevano radicalmente cambiato ogni cosa che Brian Kinney pensava di sapere. Soprattutto riguardo a se stesso.

Aveva finalmente detto a Justin Taylor quelle tre (affatto piccole) parole, illuminando la vita già felice del suo delizioso biondo. Ad esser sinceri, quell'anno e da quel momento, quella dichiarazione aveva illuminato la vita di Brian allo stesso modo.

Un fatto per cui lui era grato, nel momento in cui si trovava ad indugiare sull'oscurità eterna. Aveva disperatamente bisogno di quella luce in quell'esatto momento. 'Brian Kinney si dispera. Brian Kinney ama'.

Rabbrividì, un gelo rivale della neve invernale si era fatto strada nelle ossa di Brian. Aveva bisogno del calore del suo Raggio di Sole. Il moro aveva appreso molto tempo prima che non c'era niente di più caldo dell'intensità del sorriso di Justin. Ad eccezione forse del sedere di Justin.

Sospirò pesantemente, deglutì e respinse il bisogno impellente di urlare. Non c'era altro che il dolore fin troppo reale. Ogni rapido respiro scorreva attraverso i suoi polmoni malati con un lieve tormento.

'Cristo'. Maledì il suo corpo per la sua debolezza. 'Non lo sapeva con chi aveva a che fare? Col fottutissimo Brian Kinney, indistruttibile figlio di puttana.'

Si concesse un sorriso (non lo poteva vedere nessuno) al pensiero di Gus. Almeno il suo Sonnyboy continuava a pensare che lui era forte. In effetti più forte di qualsiasi supereroe di Mickey. Gus adorava suo padre, anche se neanche lontanamente quanto Brian ammirava il bambino.

'Okay. Chiedetegli di nuovo chi è il suo mito, risponderebbe Gus Peterson e che crede in Justin Taylor.'

Trasaliva ad ogni respiro profondo che inalava. L'aria combatteva contro il flusso inaspettato nei suoi polmoni e sporadicamente si trasformava in un colpo di tosse doloroso. Ogni spasmo sembrava bruciare i suoi organi fin nell'anima. Il sapore ferroso del sangue gli si depositò sulla lingua, il gusto della 'resa'.

'Non avrebbe pianto. Anche se non aveva mai voluto così tanto fare qualcosa. Neanche il delizioso Mr. Taylor.'

Non voleva rimanere lì steso e pensare ininterrottamente a come stavano le cose. "No". Voleva sognare. Voleva sperare. Voleva desiderare. Voleva baciare, leccare, fottere, voleva amare. Vivere.

Al momento era costretto a rimanere entro i confini della sua camera sempre sigillata; determinato a rimanere cosciente fino alla fine (un impegno che si stava rivelando decisamente troppo difficile).

Focalizzò la sua attenzione sulla moltitudine di fili e tubi e rifletté sul modo in cui entrambi lo collegavano alla e lo tenevano imprigionato dalla... vita. La claustrofobia era in piena azione. L'ossigeno puro riversato nelle sue vie respiratorie non stava facendo niente per ridurre il soffocamento della sua anima.

Un'aggressiva irruzione nel suo respiro causò un altro colpo di tosse incontrollabile, intollerabile.

"Oh caro!" l'esclamazione di Deb spaventò Brian ma il suo tono dolce era confortante. Si sentì grato per quell'intrusione nel suo rimuginare interiore.

Combatté con fervore contro la corda di mortalità che lo stava strangolando senza pietà. Vinse, quel round. Mentre lottava per sedersi, quattro mani zelanti si allungarono verso di lui per evitargli quella fatica. Voleva protestare, voleva urlare 'Brian Kinney non ha bisogno di aiuto!' ma sapeva che quelle erano solo stronzate.

"Cristo" fu tutto quello che riuscì a dire ad alta voce. Era insicuro su cosa esattamente stesse maledicendo. 'Le loro attenzioni nei suoi confronti? La sua debolezza? Il prurito incessante di quel camice appiccicoso? La viscosità? La tosste? L'infermiera brutta? La neve? Quella dannata situazione al completo?'

"Cristo" disse di nuovo, a tutte le cose sopracitate.

"Hai mangiato?" chiese Deb (più per abitudine che in attesa di una reale risposta) svuotando la borsa che aveva portato con sé.

Brian non aveva bisogno di guardare per sapere cosa conteneva. Brodo di pollo. Quattordici giorni. Quattordici ciotole di brodo di pollo. Ne aveva mangiato il gran totale di tre.

"Lo so, lo so," ribatté Deb all'espressione di protesta che Brian si era stampato sul visto "ma tesoro dovresti provare a mettere qualcosa nello stomaco" concluse.

Il moro si era quasi aspettato di sentirle dire 'pancino' in accordo con la maniera infantile con cui gli si era rivolta. Voleva sentirsi infastidito. Ma non lo fece. Non poteva.

"Sì mamma." lottò per farlo uscire in tono giocoso. Si sentiva molte cose in quel momento. Giocoso non era una di quelle.

Per un breve momento sperò di poter tornare al tempo in cui non aveva investito così tanto sui sentimenti. Dopo aver realizzato che quel tempo era prima di Justin, abbracciò le proprio emozioni. Ogni. Singola. Dannata. Emozione.

Un luccichio umido bagnò gli occhi di Deb prima che lei potesse arrestarlo. Sapeva che Brian non voleva la compassione di nessuno o, che il cielo potesse impedirlo, la pietà di nessuno.

'Beh, peggio per te bastardo cocciuto. Io sono triste per te figlio di puttana. Io ti voglio bene e mi farò un pianto per questo' provò a dire a Brian telepaticamente.

Era quasi convinta che lui l'avesse sentita, perché non si era ancora accorto delle sue lacrime offensive.

Lei incrociò gli occhi di Michael e si accorse che anche i suoi stavano luccicando dietro un mare di incredulità.

Non volevano credere all'incredibile. Eppure non potevano evitare l'inevitabile.

Ogni secondo che passava andava ferocemente consumando il tempo prezioso di Brian Kinney. Ogni momento vissuto, crudelmente si trasformava in un momento sempre più vicino al suo respiro finale.

Quel ragazzo ne aveva passate così tante. Per la prima volta in troppi anni, Deborah Novotny stava mettendo in discussione l'esistenza di Dio.

L'"Onnipotente odiatore dei froci" a cui Joan Kinney avrebbe detto di credere a chiunque ascoltasse. Al pensiero di "Santa Joan" (che ogni volta le ricordava un quattordicenne Brian Kinney chiamare scherzosamente la donna) Debbie sentiva un travolgente senso di prevalenza. 'Joan non era sua madre. Lei lo era'. Una constatazione che non aveva avuto problemi a dire a quella fedele ipocrita un settimana prima.

                        

Era finalmente andata in ospedale a visitare suo figlio una settimana dopo che questi era stato ricoverato. 'Madre di merda dell'anno'. Brian non aveva avuto bisogno di lei. Non l'aveva voluta e aveva gentilmente concesso a Debbie di riferire il messaggio.

Guardare Michael era duro quasi quanto guardare al sempre più debole e a pezzi Kinney. Non era così sicura che difatti non fosse possibile sentire un cuore frantumarsi. Represse un singhiozzo e si scusò per andare nel bagno delle donne. In verità stava dando al proprio figlio un momento per (non riusciva a processare il pensiero) 'Dire Addio'.

Stavano condividendo lo stesso fottutissimo incubo. Comunque, un seme di negazione radicato ben a fondo non poteva evitar loro di aspettare di svegliarsi.

Lei era disperatamente speranzosa.                                                            

 


"Smettila con tutti i piagnistei adesso, regina del melodramma, il tuo mascara comincerà a colare," lo avvertì Brian.

Michael respirò rumorosamente e si asciugò gli occhi. "Fanculo," gli disse attraverso una risata.

"Scusa Mickey, non posso farlo. E' già stato deciso per me." Strascicò le parole con un accento del sud, allo stesso modo in cui il suo biondo parlava in un'immagine che gli era balenata in mente. 'Sperava che Justin sarebbe arrivato in fretta.'

"Io continuo ad aspettare di svegliarmi." Michael praticamente bisbigliò.

'Sapeva che Brian non voleva ascoltare la sua merda sdolcinata, ma cosa poteva fare?' Sembrava che ogni parte dentro di lui fosse stata sciolta. Sparita insieme alla sua razionalità e al senso della realtà. Con tutti gli intenti e la fermezza, tutto quello che Michael Novotny si trovava ad essere, era 'merda sdolcinata'. La suddetta merda stava cominciando a filtrare dalla breccia di Brian dentro di lui, che non si sarebbe mai più ripreso.

Occhi color nocciola osservavano il suo migliore amico con attenzione, stava disperatamente cercando parole perse che non era mai riuscito a trovare.

"Cosa posso dire Mickey?" chiese con onestà. La sua domanda si scontrò con un silenzio che sembrava non avere fine. Provò ancora. "Questa volta pensò che andrò con Deb invece di Joan. Sono piuttosto impaziente di ricevere qualche pompino angelico, magari scoperò un santo o due," provò a scherzare. Non funzionò. Michael appariva più triste di prima.

A Michael sembrava che anche i suoi piedi stessero per essere inghiottiti. Interamente bloccati nel pavimento. Non si poteva muovere. Il mondo si stava richiudendo attorno a lui... piega per piega. Lacero e frantumato pioveva sul pavimento... pezzo per pezzo.

'Tutto quello non era giusto. A dispetto delle sue implacabili argomentazioni a favore del contrario, Brian Kinney era troppo giovane. Troppo buono. Troppo necessario nella vita. Nella sua vita. Nella vita di Justin, in quella di Gus.'

"Dio è un figlio di puttana" proclamò Michael. Brian sorrise debolmente ed annuì. Gli faceva male farlo. Tese la mano e indicò al suo amico di sedersi accanto a lui sul letto.

Gli servì ogni energia che aveva per muoversi, ma ce la fece. Michael si posizionò tra le braccia di Brian. 'Si era trovato in quella posizione così tante volte. Così tante volte si era sentito protetto, amato'. Si maledisse perché anche in quel momento voleva stare così, perché si stava lasciando consolare da Brian. Si sentì egoista e codardo. Ma si sentì ancora amato. Si augurò soltanto di poter proteggere Brian in quel momento.

"Questa non è la fine della Straordinaria Avventura di Brian e Michael, lo sai" bisbigliò Brian in cima ai capelli di quest'ultimo. "Stiamo soltanto prendendo una piccola deviazione, andando a guardare panorami diversi."

"Che profondità" ridacchiò Michael e si odiò per averlo fatto. 'Come poteva sorridere in un momento come quello.' Guardò il bel viso dell'altro uomo e rispose alla sua domanda. 'Brian lo faceva sempre sorridere.'

"Possiamo solo pregare per un po' di confusione nel copione, e che qualche angelo informato male ti dia un paio di ali." disse.

"Ah, sì, così posso volare come FURORE," Michael poteva avvertire il sorriso di Brian e incrociò i suoi occhi, Brian continuò "dopo sarò realmente in grado di scopare a mezz'aria," e fece un cenno d'approvazione col capo.

Notando le lacrime non versate negli occhi color nocciola, Michael fu costretto ad allontanare lo sguardo. I suoi sogni infranti e le avventure non ancora vissute crollarono miseramente.

"Ti voglio bene Brian." bisbigliarono ugualmente il suo cuore e le sue labbra.

Sentì le braccia di Brian stringersi, deboli ma ancora sue. "Anche io Mickey. Anche io. L'ho sempre fatto, lo farò sempre."

I due uomini accettarono il silenzio e lasciarono la loro amicizia ad avvolgere la stanza.

 

Man mano che la neve cadeva più intensamente, il cuore di Justin annegava più a fondo. Doveva portare Gus a visitare suo padre 'che presto sarebbe stato dimesso, guarito dal tumore, pronto a tornare perfettamente in forma'. Invece, il freddo di Febbraio si stava facendo strada nelle sue vene al pensiero che quella poteva essere davvero l'ultima volta che lui o Gus vedevano Brian.

La sua mente stava facendo del proprio meglio per elaborare la telefonata di quella mattina da parte del medico. 'Siamo terribilmente dispiaciuti, c'è stato un drastico peggioramento- Shock settico. Continuiamo ad assicurarci che stia comodo. Potrebbe esserci il bisogno di cominciare a sistemare le cose.' quelle parole turbinavano in una frammentaria nebbia di incredulità.

Negli ultimi trenta minuti la sua mente aveva continuato a mandare 'Come? Come? Come?' ripetutamente seguiti da 'Perché? Perché? Perché?'.

Era rimasto sveglio per quella che gli era sembrata un'eternità. Aveva trascorso la maggior parte delle notti al fianco del letto di Brian. Comunque, Lindsay e Mel avevano mandato Gus su un aereo la notte precedente. Si sentiva così orgoglioso di sé per aver volato da solo come un ragazzo grande.

Justin aveva trascorso quella notte a guardare suo figlio dormire. Augurandosi di potersi svegliare davvero da quell'incubo senza fine. Non aveva voluto addormentarsi nel suo letto, nel loro letto senza Brian. Sapeva che avrebbe trascorso soltanto un'altra notte senza sogni senza avere dietro di sé l'uomo che gli consentiva di sognare. No, non si sarebbe permesso di dormire sapendo che si sarebbe svegliato da solo.

La notte prima, almeno, aveva avuto ancora qualcosa che ormai non possedeva più. Aveva avuto la Speranza. Quel giorno invece la sua anima stava meramente sopravvivendo. Era stata ridotta a brandelli, lasciando soltanto lembi di sconfitta.

Se pensava a Gus sapeva di dover essere forte per il piccolo. Avrebbe attinto la forza direttamente dall'amore per il bambino. Si sarebbe sforzato di trovare una luce tra le ombre.

Acqua salata si agitava nel mare dei suoi occhi ma non le concesse l'opportunità di cadere. Aveva pianto abbastanza da allagare il mondo. Troppe lacrime l'avevano inzuppato fino alle ossa. 'Cosa succede dopo che le lacrime diventano secche e scende solo vuota speranza?' Sarebbe stata la tempesta di quel maledetto secolo.

'Era possibile vivere con soltanto la metà di un cuore?' Era una domanda a cui aveva sperato di non dover trovare mai risposta. Justin non voleva vivere in un mondo dove Brian Kinney non esisteva più. Cazzo, erano finalmente insieme. Totalmente incondizionatamente uniti, con tanto di monogamia e il minimo di cazzate.

Anche se non si erano mai sposati, Brian gli aveva promesso che sarebbe stato per sempre. Si sentiva offeso. 'Dannazione, perché per sempre doveva arrivare così presto? Le eternità non erano più così lunghe come una volta.'

Mise la 'Vette in un posto del parcheggio dell'ospedale, si concesse un'occhiata al ragazzino che aveva trascorso il tragitto in macchina col fucile a piombini. 'Come l'avrebbero spiegato alla sua mente da bambino di sei anni, al suo cuore da bambino di sei anni?'

Si chiese con egoismo come avrebbe fatto lui a sopportare lo sguardo di Brian che abbandonava il volto di suo figlio.

"Pronto per andare a trovare papà?" chiese con stampato sul viso il suo sorriso da raggio di sole più falso. Sembrava più che altro un tramonto che non aveva la forza di brillare.

"Sì. Non vedo l'ora di dargli il più grande abbraccio che abbia mai ricevuto!" sorrise.

"Lo adorerà." confermò Justin. 'Per piacere non lasciarlo andare mai, Gus.' Pensò mentre seguiva il bambino nell'atrio e si sentì invidioso della sua innocenza.

 

Di sicuro papà appariva diverso dall'ultima volta che l'aveva visto a Natale. Era più magro, e molto più pallido. Gli faceva ripensare a quando lui aveva avuto l'influenza l'anno prima; sì, papà appariva decisamente in quel modo.

Sapeva che era davvero ammalato. Mamma e mamy gliel'avevano detto, ma Gus era lo stesso turbato dai drastici cambiamenti nell'aspetto di Brian. Specialmente adesso, dato che l'infermiera simpatica aveva fatto indossare ad ognuno di loro stupide maschere bianche sulla bocca. 'Come doveva fare a parlare con suo papà, sorridergli e baciarlo?'

Corse il più vicino possibile al letto e consegnò a suo padre l'abbraccio più enorme che avesse mai ricevuto, come promesso.

Brian gli spiegò dei vari macchinari che li circondavano e Gus notò che anche la sua voce era un po' diversa. In ogni caso non gli importava, perché era ancora il miglior papà in tutto il mondo.

Gus non si ricordava l'ultima volta che era stato in un ospedale. Probabilmente il giorno che era nato ma ovviamente non poteva ricordarlo. Il suo migliore amico Ryan una volta gli aveva raccontato di quando sua nonna era stata in ospedale e poi era morta ed era andata in paradiso. Lui sapeva che anche suo zio Vic era in paradiso.

Gus pensava che sembrava un gran bel posto, ed era davvero figo ottenere le ali una volta che arrivavi lì. Il pensiero gli ricordò del suo volo in aereo e si appollaiò sul letto per guardare suo padre negli occhi.

"Guarda!" sorrise, e indicò la spilla sulla sua maglietta "Ho fatto il viaggio in aereo tutto da solo ed avevo le ali." si fermò per un istante e si perse nel sorriso di Brian. 'Sì. Almeno il sorriso di papà non era cambiato affatto.'

"Che figliolo incredibile. Quando sei cresciuto così tanto?"

"Col mio ultimo compleanno." replicò come dato di fatto, dopo disse qualcosa che fece versare le lacrime da ogni occhio nella stanza 214. "Se vai in paradiso, anche tu avrai le ali. Soltanto che le tue saranno vere." sorrise con un cenno di approvazione verso se stesso.

Ryan gli aveva detto che quando sua nonna era andata in paradiso lui aveva continuato a volerle bene ma ne sentiva sempre la mancanza. Quel pensiero lo fece sentire triste. Suo papà già gli mancava ogni volta che si trovava in Canada ma questo sarebbe stato diverso. Non ne era sicuro ma era alquanto probabile che una volta che una persona fosse andata in paradiso sarebbe passato molto tempo prima che la sua famiglia la vedesse di nuovo.

Addolcì la voce e alzò a stento gli occhi sul viso di Brian. "Papy?" lo chiamò dolcemente, anche se non aspettò una risposta prima di continuare. "Da domani dovrò sentire la tua mancanza per molto tempo?"

La risposta di Brian si rifiutò di uscire dalle sue labbra. La vulnerabilità del suo unico figlio aveva congelato la sua mente riguardo la funzione della bocca.

"Sinceramente non lo so, Sonnyboy." riuscì a replicare alla fine con così tanta verità che faceva fisicamente male. E dopo ancora, il suo corpo stava cominciando a fare più male da solo.

Gus tenne suo padre ancora più stretto, "Soltanto nel caso che ci voglia un po' prima della prossima volta." spiegò il suo abbraccio.

Tra tutti gli adulti presenti, era stato il bambino di sei anni che si era confrontato con la situazione. Ognuno si era raccontato versioni frammentarie della verità. In tutta onestà, nonostante rimanesse sempre presente, la verità cominciava a serpeggiare nell'aria. L'inevitabile era collocato in una nebbia pesante di realtà non affrontata. 'Vita. Nessuno la capisce da vivo.'

"Hey Gus, cosa dici se io e te andiamo a saccheggiare il distributore automatico?" disse Deb rimuovendo la maschera dal viso e sorridendo in modo più luminoso possibile. Non era granché il risultato. Notò il cortese 'grazie' che usci della bocca di entrambi i papà del bambino. Tutte quelle emozioni la stavano soffocando, poteva limitarsi ad immaginare le difficoltà che Brian e Justin stavano passando.

"OK!" esclamò Gus e si sporse e ridacchiò un poco dei tubi divertenti nel naso di suo papà prima di lasciargli un bacio sulla punta di quello attraverso la mascherina. "Tornerò" gli disse con fare rassicurante dopo aver cominciato a catalogare senza interruzione tutte le merendine deliziose che voleva prendere.

Dopo che ebbero finito di mangiucchiare, la nonna Deb era voluta venire lì, nella Cappella. A Gus sembrava una miniatura in formato casa delle bambole delle chiese che aveva visto in TV. Anche se lui non aveva molta familiarità con posti come quello, la nonna aveva sentito davvero il desiderio di sedersi lì.

Gus si sentiva a disagio. I sedili duri non avevano cuscini. Lui aveva sempre pensato che la casa di Dio fosse arredata meglio. Si sentiva inquieto anche perché c'era semplicemente troppo silenzio. Gus amava il rumore. Amava farlo. Amava sentirlo.

"Che stiamo facendo?" sussurrò anche se non era sicuro del perché lo stesse facendo. C'erano soltanto loro lì. Zio Mickey era fuori a chiamare la zietta Em e lo zio Ted. Gus pensava lo stesse facendo per potergli dire che probabilmente avrebbero sentito per un po' la mancanza del suo papà. 'Grandioso. Adesso era triste di nuovo.'

Lui sicuramente non voleva che suo papà lasciasse la sua casa per trasferirsi in paradiso. Era stato a casa sua la notte prima, non aveva impacchettato ancora niente.

Debbie sorrise. "Preghiamo piccolo. Parliamo con Dio".

"Oh." Gus rispose anche se non era sicuro che Dio con tutta quella distanza li avrebbe sentiti dal cielo.

"Per cosa preghiamo?" chiese, con maggior interesse.

Deb aprì le braccia in modo invitante, e anche se Gus pensava di essere decisamente troppo grande, si arrampicò sul suo grembo. Lei gli baciò la cima della testa. "Un miracolo Gus. Tuo papà ha bisogno di un miracolo."

Gus prese le sue parole seriamente come qualsiasi altra cosa che gli era mai stata detta. 'Se papà aveva bisogno di un miracolo allora l'avrebbe avuto.'

"OK. Andiamo a procurargliene uno. C'è quel bel negozio di regali che abbiamo superato. Scommetto che ne avranno uno!" esclamò in tono eccitato spingendo la nonna verso la porta.

Debbie simultaneamente soffocò un sospiro, una risata e un singhiozzo. 'Come poteva aiutare il bambino a comprendere?'

"Oh no tesoro," cominciò "ho paura che non possiamo semplicemente comprarlo un miracolo. Vedi, è qualcosa che è necessario che tu trovi, o che ti venga dato da un Angelo. Anche se è abbastanza difficile, perché non è sempre possibile vederli." finì.

'Cristo. (scusa) Era sicura che stava confondendo il bambino ancora di più.'

Gus si trovò a non essere d'accordo. Infatti, aveva già un piano.

"Zio Vic è un Angelo." affermò con semplicità e incrociò i propri occhi con quelli di Deb. "Per piacere possiamo andare nel giardino dove ha dormito per molto tempo prima di andare in paradiso?" chiese.

Questa volta il sospiro e il singhiozzo riuscirono a sfuggire. Si abbassò e avvolse con le braccia il nipote. "Certo che possiamo." confermò prima di piazzare un enorme bacio sulla sua guancia.

La mano di Gus si mosse prontamente a togliere le lacrime finite sul suo viso, e si incamminò fuori alla ricerca del miglior miracolo che fosse mai stato trovato.

 

sssssss

Mi ritaglio alla fine il tipico angolino autrice. Bene. Questa storia è formata da tre capitoli. Mi sembra giusto avvertire che NON è una death-fic, come e perché lo scoprirete. Se lo fosse sarebbe tra gli avvertimenti.

Ho dedicato una sola ff da quando scrivo, questa traduzione la dedico ad un'altra persona. E' per BritinLover, perché è lei che ha insistito così tanto per farmela pubblicare in fretta e perché l'ho conosciuta  grazie alla nostra passione (o è meglio dire ossessione? XD) per Queer As Folk e ho scoperto una persona con cui mi piace un sacco parlare. Spero te la possa godere cara :)

Alla prossima :)

 

N.A. 28/04 ADESSO questo capitolo ha avuto una beta, e permettetemi di dire che la differenza si nota, eccome *___* Dunque ringrazio con tutta la gratitudine del mondo Lyrael!!

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Eternal Night ***


titolo: Miracle in My Pocket (Un Miracolo nella Mia Tasca)
autrice: LibertySun
traduttrice: Kyelenia
pairing: B/J (ovviamente ;))
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Capitolo 2. Notte Eterna

Per un'eternità incalcolabile, Brian si scaldò al calore del suo Raggio di Sole. La sensazione di Justin premuto contro il suo corpo era più efficace di qualsiasi medicina.

Stavano così in quel momento, stesi, i cuori in gara per quale fosse in grado di emettere più amore. Era un vincolo.

Anche se non sul pavimento del Babylon, o tra le nuvole, i due uomini stavano inequivocabilmente danzando dentro di loro.

Brian portò il dito esile sulla gola deliziosa del biondo. Lentamente e con delicatezza i suoi polpastrelli tentarono di memorizzare quel bellissimo viso. La pelle di Justin sembrava velluto caldo al suo tocco gelido. Tracciò la linea delle labbra, delle guance, ritraendo prontamente i lineamenti che avrebbe portato con sé dall'altra parte dell'eternità.

Più leggero di un sussurro, il suo dito tracciò le ciglia dorate del suo compagno. Sorrise quando l'uomo ridacchiò e aprì gli occhi più belli che secondo Brian esistessero. Nei sogni di chiunque.

Aveva visto così tante volte il suo futuro in quegli occhi azzurri. Ora vedeva così tanto passato che gli faceva fisicamente male. Mentre veniva catturato nel vortice di quegli oceani blu, si trovò costretto ad ammettere di avere qualche rimpianto.

'Perché non aveva mai sposato quell'uomo?'

Tutti i ragionamenti precedentemente fatti sembravano ridicoli in quel momento. 'Già, se solo avesse potuto rifare tutto daccapo... No. Non ci sarebbe stata la possibilità di rifare nulla. Nessun'altra occasione.'  Tirò suo 'marito' (in ogni senso che in verità aveva importanza) il più vicino possibile a sé. Provò il desiderio di fondersi con il suo compagno, fino a divenire un'unica entità.

Dita trovarono di nuovo labbra deliziose, le mascherine ormai dimenticate da un pezzo. 'Non era pensabile che lui coprisse di nuovo quella bocca che non sarebbe mai stato in grado di baciare a sufficienza.'

Brian rievocò il loro primo bacio, così tanti ricordi prima. Quella notte e le numerose successive si era detto che ogni bacio sarebbe stato l'ultimo. 'Come aveva mai potuto desiderarlo?' Le sue labbra adesso fremevano per il disperato bisogno di un ultimo bacio finale, un lento assaporarsi.

Ogni singola cosa di lui era l'unica cosa di cui avrebbe sentito la mancanza.

Per la maggior parte della sua patetica vita il suo cuore era rimasto aggrovigliato in un disordine intricato di lacci. Finché Justin Taylor li aveva sciolti pian piano, consentendogli di amare.

Mentre era aggrappato all'amore della sua vita, Justin si sforzava di ignorare la vita che stava disperatamente provando a lasciar andare quell'amore.

Lasciò che gli occhi accarezzassero Brian. Anche se gli occhi nocciola dell'uomo più grande lo tenevano incatenato con il loro calore, il biondo non poté negare il velo freddo di lontananza che minacciava di coprirli. Quella dannata malattia aveva scacciato la sua deliziosa faccia di bronzo e infiacchito la sua arroganza. Eppure, a Justin l'uomo non era mai apparso più attraente. Non era mai stato più bello.

L'odore insopportabile di medicinali permeava l'aria, ma non era in grado di coprire del tutto il profumo unico di Brian Kinney. Justin chiuse gli occhi e respirò profondamente. Era un profumo che gli arrivava ogni volta dritto al cuore.

"Mi ami cooooooooosì tanto." canticchiò scherzosamente al suo sogno fatto persona.

"Davvero?" Brian sollevò un sopracciglio. Justin andò in estasi.

"E' vero" confermò Justin, avvicinandosi al viso del moro.

Brian sussultò leggermente di fronte all'intensità nello sguardo di Justin. Sapeva che il biondo aveva pressoché la stessa espressione quando era sul punto di finire un capolavoro. Brian si era sempre sentito bruciare dal piacere nel guardare Justin e l'arte. Che la stesse creando o ammirando, in lui c'era un'esuberanza che faceva innamorare Brian.

Aveva sempre pensato che era dato dal fatto che in quei momenti c'era un barlume del Justin diciattettenne.  Così entusiasta, così innocente, così senza speranze affascinato da Brian. Il moro sorrise dell'ironia che il biondo in persona continuava ad essere l'opera d'arte più sensazionale che avesse mai visto.

Cercando di incontrare quegli occhi blu, Brian trovò dentro di essi la fonte della passione. Sapeva con certezza selvaggia che il desiderio del suo compagno era di poter prendere il suo posto.

Una fitta di rabbia lo attraversò. 'Non c'era alcuna fottutissima possibilità che lui lo avrebbe mai permesso. Il solo pensiero di Justin che non viveva più la sua meravigliosa vita lasciava al moro un sentimento di annegamento che gli risultava impossibile da sopportare.

Un ricordo attraversò la superficie della sua mente lasciata vagare a briglie sciolte. 'Raggio di Sole, come potrei mai vivere senza di te? Tu non l'hai fatto'.  La verità assoluta.

Brian Kinney non era mai stato un uomo di preghiera. Poteva ricordarsi soltanto di una volta in troppi anni in cui l'aveva fatto. Il ballo. Non aveva neanche sprecato la preghiera per se stesso. Era stata solamente e interamente per lui.

Ancora una volta si trovò affidato alla pietà di chiunque (SE c'era qualcuno) stesse ascoltando. Ancora una volta si ritrovò a pregare per Justin, per Mickey, per Gus.

Poteva esser stato molte cose per molte persone, ma egoista non era mai stata una di quelle.

'Cosa non darei per prendere il suo posto.'  Imploravano gli occhi di Justin. 'Prendi la mia vita affinché lui possa vivere.'

Un ricordo attraversò la superficie della sua mente lasciata vagare a briglie sciolte. ' Raggio di Sole, come potrei mai vivere senza di rte? Tu non l'hai fatto'.  Niente di così vero. Brian era decisamente stato l'aria di cui Justin aveva bisogno per vivere. Era più che convinto che il respiro finale di Brian avrebbe finito col rivelarsi anche il suo.

"Baciami." Disse Brian in un estremo tentativo di allontanare il biondo dai pensieri in cui era perso.

Justin scosse la testa, esitò, dopo parlò dolcemente,  "Cazzo quanto lo vorrei. Non voglio farti del male. Sai, col tuo respiro?" sembrava disperato.

"Ah, adesso Raggio di Sole" sorrise Brian "non c'è differenza. Tu mi togli sempre il respiro." Sbatté le palpebre in una maniera dozzinalmente teatrale. Anche se era dolorosamente consapevole di quanta verità fosse contenuta in quell'affermazione.

"Adesso. Smetti di pensare, stai zitto e baciami." ordinò. Justin sorrise e obbedì.

Le loro labbra si unirono perfettamente come molte altre volte in passato. Una connessione che era sempre stata da un lato troppo intensa e dall'altro mai soddisfacente.

La fragranza squisita di Justin stordì la mente di Brian. Una nuvola di euforia si librava sopra di loro, gocce di delizia piovevano giù. Circondò con una mano il collo snello di Justin e approfondì il bacio. Incredibilmente felice di sentirsi intossicato.

Poteva assicurare che il suo compagno si stava trattenendo. 'Il piccolo idiota iperprotettivo.' Brian stesso non avvertiva più il dolore nei polmoni.  Era stato superato da un dolore appena nato al centro del suo petto.  Una necessità di assaporare il 'vero amore' dolorosa, eppure che gli faceva venire l'acquolina in bocca. Qualcosa che sapeva avrebbe trovato soltanto lì. Lì nel bacio con Justin.

Dita lunghe intrecciate con i fili d'oro. Fili di seta, che Brian aveva sempre pensato avessero ricucito la sua vita.

Il gemito di Justin solleticò e fece vibrare la gola di Brian. Quasi tossì, ma non permise al suo corpo di farlo. Invece deglutì, trascinando la lingua del biondo in una deliziosa suzione, strappando un altro gemito di piacere a quella gola. Quello spezzò il cuore del moro per il desiderio di poter fare di più.

La passione che avvertiva quasi eguagliava la tristezza. Non avrebbero mai più fatto l'amore.

Quando inclinò la testa alla ricerca della migliore posizione per divorare l'altro uomo, i suoi occhi si aprirono per un istante. Rivolgendo un rapido sguardo ai macchinari attaccati a lui, quasi li derise. Al momento erano superflui. Justin Taylor era la sua sola e unica fonte di vita. Il suo ossigeno. Il suo battito. La sua anima.

Justin si preoccupava che Brian stesse esagerando. Tuttavia, non riuscì a trovare la forza per allontanarsi. Il peso della realtà gli stava crollando addosso, lo stava facendo discendere lungo tutto il percorso alla volta del luogo che avrebbe potuto essere l'inferno vero e proprio.

Veniva spinto con forza a trovare un nome più adatto ad un mondo senza Brian.

Non smise di godersi l'abilità di quell'uomo di fargli sentire ancora le farfalle svolazzare nello stomaco. Non le avrebbe mai lasciate andare. Nel sentire il sapore di ferro nel bacio di Brian, una nausea quasi invisibile si unì ai malinconici battiti d'ali nel suo stomaco.

Maledì il sangue che contaminava il sapore più delizioso al mondo. Si augurava di poterlo lavare via con quel bacio. Stava disperatamente provando a fare proprio quello.

Posizionò la propria bocca per incontrare la lingua di Brian, che era disperatamente alla ricerca di qualcosa; si chiese cosa potesse ancora cercare che non avesse già trovato. Non smise di accogliere quella ricerca. Qualunque cosa fosse l'avrebbero trovata, insieme.

Avvertendo un indebolimento del respiro del suo compagno, Justin chiese la collaborazione dei propri respiri. Mentre il suo cuore si riversò dalle sue labbra, direttamente dentro Brian affinché l'altro non si dimenticasse di portarlo con sé, i suoi polmoni con impegno zelante provarono a respirare per sempre direttamente dentro di lui.

Il moro ansimò e Justin si allontanò a malincuore. I suoi occhi incontrarono quelli di Brian. Vi lesse una delusione che gli fece scuotere la testa. Si piegò in avanti, portando le sue labbra a distanza di un sussurro dal nocciola meraviglioso.

Sorrise con affetto. Comprendendo il desiderio del biondo, Brian abbassò le palpebre. Justin posò un bacio delicato su ciascuno, straziante. La promessa al suo compagno che quel bacio era stato abbastanza. Che quel bacio era stato ogni cosa.

Justin si rannicchiò contro il corpo che conosceva meglio del proprio e chiuse gli occhi. Sentì la mano di Brian carezzare delicatamente il suo viso, non riuscì ad arrestare le lacrime calde che pungevano dietro gli occhi per sfuggirgli.

"Ti amo." bisbigliarono i due uomini all'unisono. Dopo non ci furono più parole.

Avvolti l'uno nel calore dell'altro, ascoltavano i loro cuori battere, la loro tristezza, la loro disperazione, la loro felicità, i loro desideri di un domani diverso, i loro ricordi... che galleggiavano nell'aria come le stelle sulle quali avevano espresso desidere.

Secondi silenziosi divennero muti minuti, un'ora passò in quiete armoniosa.

Brian aveva finalmente permesso al sonno di sopraffarlo, adesso che il suo sogno era rannicchiato di fianco a lui.

Un suono inaspettato perforò l'atmosfera con precisione tagliente. Justin scattò a sedere e guardò Brian prima di analizzare il monitor alla ricerca della fonte del fischio improvviso.

Ebbe a malapena il tempo di concentrarsi prima di essere allontanato dal letto da due infermiere. La pressione del sangue di Brian continuava a crollare in sincronia col battito in precipizio del biondo.

Rimase in piedi, e si allontanò leggermente dal letto; nonostante continuasse volontariamente a tenere la mano intrecciata con quella del suo compagno. Il panico lo avvolse in un bozzolo di incredulità.

Non poneva in modo cosciente la moltitudine di domande che uscivano dalle sue labbra, e allo stesso modo non aveva idea delle risposte che gli venivano date. Ogni cosa era sbiadita. Non vedeva e sentiva niente ad eccezione di lui. Brian Kinney, i cui occhi adesso erano spalancati per la meraviglia e la preoccupazione.

Un uomo appena arrivato (Justin non se n'era accorto) stava preparando un qualche tipo di tubo.
'No. Non avrebbe guardato. Sarebbe rimasto concentrato sul suo amante.'

"Brian", bisbigliò a malapena attraverso le lacrime che scorrevano e la paura che non dava cenno di diminuire.

Per Brian respirare diveniva sempre più difficile. Non riusciva a dire tutto quello che avrebbe voluto in quel momento. Cazzo, non era neanche sicuro di cosa esattamente fosse. Deglutì con forza, sobbalzando per il dolore intenso, e sbatté le palpebre.

"Non farlo," disse con tono strozzato e sorrise il più luminosamente possibile. Il color nocciola incontrò il blu. "A dopo" fu tutto quello che disse, tutto quello che poté dire. Si stupì per com'era sembrata cupa ed estranea la sua voce. Tenne gli occhi fissi in quelli di Justin e provò disperatamente a far sentire all'uomo tutto il resto che non era stato detto.

"A dopo." ripeté Justin dopo di lui e provò con altrettanta onestà a trasmettergli la sua dichiarazione eterna attraverso gli occhi più blu che Brian avesse mai visto.

Lasciando la sua mano per permettere al medico di inserire un tubo nella gola di Brian, si rifiutò di rompere il contatto tra i loro sguardi.

'A dopo' un'eco senza fine che si ripeteva nella mente di entrambi gli uomini.

Era stato abbastanza. Era stata ogni cosa.

Venti minuti dopo erano loro due insieme ancora una volta. Anche se Brian non era più cosciente e non respirava più autonomamente.

Il biondo sapeva con totale certezza, che l'altro uomo avvertiva ancora la sua presenza. Avvertiva ancora il suo tocco.

Dopo aver posato un bacio sulla guancia del compagno sospirò, poi uscì a chiamare Michael.

- - - - -

Il calore delle sue lacrime era in contrasto con la temperatura gelida. Sbatté le palpebre per allontanare il fastidio e seguì con gli occhi Gus che stava camminando per tutto il cimitero. Il bambino si fermava ogni pochi secondi e guardava il terreno. Micheal non ne era certo ma sembrava proprio che Gus fosse alla ricerca di qualcosa in particolare.

Premette lievemente una mano sulla spalla di sua mamma e la lasciò da sola di fronte la tomba di Vic, poi si avvicinò al piccolo detective. Prima di essere in grado di parlare, il respiro gli rimase bloccato in gola. 'Cristo. Perché il bambino doveva somigliare così tanto a suo padre? Era quasi doloroso guardarlo.'

Una lieve brezza soffiò, sussurrando ricordi che non avrebbe mai dimenticato.

"Ehi amico, stai cercando qualcosa?" chiese.

Gus scosse la testa e Michael notò che un luccichio istantaneo aveva catturato l'attenzione del bambino. "Uh huh zio Mickey! Sto cercando un miracolo." disse come dato di fatto. "Ho detto a zio Vic (indicò la lapide senza neanche voltarsi) di darmene uno. Sai, per papà." L'intensità della speranza presente nelle sue parole spezzò il cuore di Michael.

"Gus," cominciò prime di essere interrotto dalla voce del ragazzino. "Amico! Pensi che forse è questo?" chiese abbassandosi a prendere una piuma bianca che giaceva solitaria sulla neve.

"Zio Mickey, penso che forse è caduta dall'ala di un Angelo! Pensi che potrebbe essere vero?" chiese mentre esaminava con attenzione la piuma.

A Michael sembrava che fosse una normale piuma d'uccello. Forse di una delle colombe più belle di Pittsburgh. "Potrebbe essere, ragazzo." disse per non distruggere il sogno del bambino. 'Dannazione, era lui il primo a desiderare che fosse vero."

Sentì il telefono squillare nella tasca, ancora in modalità "vibrazione" da quando era stato in ospedale. La paura prese possesso di ogni terminazione nervosa dentro di lui. Con mani tremanti e un peso sul cuore guardò l'ID chiamante, Justin. La paura si intensificò ed ebbe timore di aver perduto la capacità di parlare. Reprimendo il desiderio di poter sfuggire, rispose al telefono.

- - - - -

Deb sorrise a suo nipote (in ogni senso che in verità aveva importanza) mentre questi correva verso di lei. Le sembrò giusto sorridere, ultimamente ce n'erano stati così pochi motivi.

Era così preoccupata per il piccolo uomo adesso dinanzi a lei, per l'uomo che parlava al telefono di fronte a lei e per l'uomo (aveva capito chi fosse dalla crescente tristezza di Michael) che era dall'altra parte del telefono.

Per loro tre, Brian Kinney era stato un dono di Dio, un angelo, il loro paradiso nella vita. 'Presto avrebbe dovuto trovarsi anche nel Paradiso del Paradiso." pensò quando sentì l'angoscia avvolgere tutto ciò che aveva intorno come la coltre di neve sotto i suoi piedi.

Sentì la mano di Gus cercare la sua e la strinse. Colse lo sguardo intenso del bambino e lo ricambiò con  altrettanta intensità.

Il suo sorriso e il suo calore si spensero velocemente quando incrociò lo sguardo di suo figlio che si stava avvicinando a loro. Occhi pieni di paura senza speranza, le lacrime che cadevano apparentemente senza arrestarsi, e lo sguardo spento e vuoto.

- - - - -

Quando suo zio e la nonna Deb lo condussero di fretta alla macchina, Gus avvertì una sensazione negativa dentro di sé. Sapeva che gli adulti non gli dicevano mai come le cose stavano in realtà, come se lui fosse stato un bambino, come JR. Ma dato che tutti erano già così tristi, e non vedeva l'ora di vedere di nuovo suo padre, non disse niente e camminò a passo veloce.

Aveva chiesto a zio Vic di mandargli un miracolo, e l'aveva cercato con impegno fino a quel momento. Aveva trovato un penny (dal lato della testa), e la piuma che poteva oppure no esser caduta dall'ala di un Angelo. Non era certo che l'uno o l'altra fossero davvero un miracolo, ma per sicurezza li aveva conservati in tasca.

Sollevando lo sguardo, osservò le nuvole alla deriva con più interesse che mai. Non si era mai fatto tante domande su di esse prima di quel giorno. Il giorno in cui aveva appreso che suo padre avrebbe potuto trasferirsi lì. 'Per vivere sulle nuvole e danzare tra le stelle’ aveva immaginato. Sembrava abbastanza divertente, ma di sicuro desiderava poter andare col suo papà. Quando l'esile velo di bianco passò sulla sua testa, allungò istintivamente il collo, sperando di catturare una lieve traccia di quei cancelli bianco perlacei.

Quando allontanò la sua testa dalle nuvole e tornò alla realtà, un altro potenziale miracolo catturò la sua attenzione.

Un bellissimo fiore, apparentemente impossibile, si ergeva e fioriva nella lieve brezza. 'Un fiore primaverile in mezzo alla neve?'

Ancora una volta, non era sicuro che quello fosse il miracolo, però lo colse e lo mise con attenzione nella tasca, giusto in caso.

Con una tasca piena di miracoli, salì in macchina. Non vedeva l'ora di darli a suo papà.

- - - - -

Gus si era sentito triste nel trovare suo padre già addormentato quando erano tornati in ospedale; ma papà Justin gli aveva detto che poteva stare seduto sul letto con lui. Gus era super fermo e super calmo così da non svegliare il padre. Si ricordava che quando era stato malato era sempre assonnato, quindi pensò che suo padre avesse bisogno di riposarsi.

C'erano nuovi tubi e anche una nuova macchina nella stanza. Gli avevano fatto paura all'inizio, ma dopo che gli era stato spiegato che aiutavano suo padre a respirare meglio aveva dato loro la propria approvazione.

Aveva appena finito di raccontare a papà Justin della sua conversazione con zio Vic e gli stava facendo vedere tutti i possibili miracoli che aveva messo da parte.

Justin guardò i due uomini che preferiva al mondo, e lottò (con più forza di quanta credeva di possedere) per non crollare definitivamente.

Dopo aver finito di parlare con Michael era andato direttamente al negozio di regali al piano di sotto. Dopo che l'amico gli aveva spiegato perché Gus aveva chiesto di andare a trovare Vic, il cuore di Justin non era stato in grado di decidere se scoppiare per l'amore o frantumarsi per la tristezza. Aveva acquistato una piccola scatola da regalo argentata e in coordinato un fiocco argentato.

Aveva incartato un miracolo.

"Gus", bisbigliò. Il bambino aveva parlato in tono pacato così da non svegliare Brian, poco importava il fatto che sapesse che non era più possibile. Con l'intenzione di mantenere le apparenze anche Justin si limitava a bisbigliare. In tutta onestà, non era più sicuro che sarebbe stato anche soltanto in grado di parlare a voce più alta.

"Guarda qua, ho trovato qualcosa." quasi odiò fornire al bambino una falsa speranza, ma cazzo, in quel momento valeva la penna di accogliere qualsiasi speranza.

Gus spalancò gli occhi e si fece più vicino. L'argento luccicava quando prese la scatola in mano. Sollevò il coperchio e guardò all'interno. Il suo corpo chiamava e il suo cuore si alzò in volo. "Il miracolo." sussurrò.

Anche se molte persone avrebbero detto che la scatola era vuota, Gus ne sapeva di più.

Sapeva che anche se non poteva vederlo, era esattamente ciò che stava cercando. Velocemente prese gli altri oggetti dalla sua tasca e li mise dentro la scatola. Pensò che non era possibile avere troppa magia.

'E' qualcosa che è necessario che tu trovi, o che ti venga dato da un Angelo. Anche se è abbastanza difficile, perché non è sempre possibile vederli.' Le parole di nonna Debbie riecheggiarono nella sua mente.

'Papà Justin era un Angelo?'

Non ebbe abbastanza tempo per pensare perché uno dei macchinari di papà aveva cominciato a fischiare come un pazzo. Improvvisamente si sentì davvero preoccupato perché sembrava che papà Justin fosse sul punto di piangere. Saltò su dal letto, finendo soltanto col trovare le mani di nonna Deb che cercavano disperatamente di farlo uscire dalla stanza. Lontano dal suo papà.

"Aspetta." protestò ma venne ignorato mentre inutilmente tentava di liberarsi dalla stretta. 'Non gli aveva ancora dato il suo miracolo.'

- - - - -

Justin si stava riscaldando dal freddo che avvertiva con il calore del sorriso di Gus. Stava anche ascoltato il ritmo con cui il cuore di Brian danzava il suo ultimo thumpa thumpa quando la cadenza del monitor si era progressivamente indebolita, dissolvendosi in un'unica nota di disperazione. La sua canzone era giunta alla fine, e le lacrime punsero gli occhi di Justin per uscire appena capì che non ci sarebbe stato alcun bis.

Il bip sembrò amplificarsi mentre riecheggiava attraverso il suo cuore distrutto. Lo assaliva da ogni direzione. Non c'era una via di fuga al suono della fine eterna. Il suono di un'anima che si frammentava in infinite schegge di desolazione.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Dreamlike Reality ***


titolo: Miracle in My Pocket (Un Miracolo nella Mia Tasca)

titolo: Miracle in My Pocket (Un Miracolo nella Mia Tasca)
autrice: LibertySun
traduttrice: Kyelenia
pairing: B/J (ovviamente ;))
link alla storia: QUI


Capitolo 3. Una realtà da sogno

Un immenso abisso di oscurità lo circondava da tutte le parti. Si sentiva inghiottito ininterrottamente da quella cosa sconosciuta mentre si sforzava di ascoltare.

Un'esclamazione angosciosa fu emessa da una voce facilmente riconoscibile. Quella di Gus. "Aspetta!" gridò.

Finché non aveva sentito la supplica di suo figlio, Brian non si era accorto di non essere in grado di vedere. Un brivido di terrore percorse il suo corpo. Scosse la testa parecchie volte prima di realizzare che non era lui, ma piuttosto era la stanza a non essere visibile.

Stranamente, era in piedi, non più a letto. Non più collegato a nessun dispositivo medico.

'Cosa cazzo sta succedendo?'

"Sono morto?" bisbigliò.

"Qualcosa del genere." disse una voce familiare che Brian non aveva sentito per anni.

E improvvisamente l'oscurità, come era arrivata, sparì. Brian adesso era in piedi nella stanza 214. Con un'illuminazione sorprendente, si accorse che nello stesso momento era anche sdraiato sul letto.

Non riuscì a spiegarselo. Si girò per chiedere all'altra cosa una spiegazione.

"Cosa cazzo sta succedendo, Vic?" chiese con preoccupazione "Perché sei qui? Dov'è questo qui? Cosa sta facendo Gus?" le sue domande vennero sparate in una raffica serrata.

"Sono qui perché il bambino mi ha invitato. Qui è nel mezzo, e lui sta mettendo il suo miracolo nella tua tasca." le risposte di Vic vennero sparate allo stesso modo.

Entrambi guardarono il ragazzo superare tutti quanti, salire sul letto di Brian e infilare una piccola scatola argentata nella tasca del camice di suo padre.

Brian guardò nuovamente Vic, "Nel mezzo?" chiese non appena ebbe registrato l'affermazione.

"Sembra che fossero tutti pronti per lasciarti andare," cominciò, poi scosse la testa con ammirazione, "questo finché tuo figlio non ha chiesto un miracolo. Tutto merito del piccolo uomo d'affari che hai come figlio."sorrise Vic.

La mente di Brian stava vorticando. Non sapeva se stava sognando, soffrendo gli effetti collaterali delle medicine, o se in qualche modo quello (qualunque cosa fosse) stava realmente accadendo.

Vide Justin piangere e avrebbe voluto consolarlo. Avrebbe voluto dirgli che lui era lì. Ma non era in grado di fare una sola dannatissima cosa.

Se possibile sarebbe morto per il cuore in frantumi, mentre guardava Justin e suo figlio salire sul letto al suo fianco ognuno da un lato.

Se stava sognando voleva davvero svegliarsi. Proprio. In quel cazzo. Di momento.

"Cosa succederà adesso?" chiese all'altro uomo.

"Ora vai nel posto a cui sei sempre appartenuto." Vic rispose in modo alquanto criptico.

Brian deglutì. "L'inferno?" bisbigliò a malapena.

Gli occhi di Vic si sollevarono, sembrava... arrabbiato.

"Dannazione Brian! Non dire una cosa del genere. Te l'ho detto da quando avevi quattordici anni che la tua anima è buona. Fidati di me, quando sarà il momento sarai decisamente diretto verso il Nord."

"Quando è il momento? Adesso?"

Vic roteò gli occhi. "Non mi hai ascoltato ragazzo? Gus ha richiesto una visita, Ta-da! Eccomi!" Vic indicò se stesso e agitò i fianchi.

Brian si limitò a sbattere le palpebre. 'Quegli antidolorifici producevano sogni pericolosamente vividi.'

"Quei ragazzi non sono pronti per lasciarti andare, tu non sei pronto per lasciare andare loro. La tua anima non appartiene più interamente a te. Sia Justin che Gus ne posseggono un pezzo. Se morissi adesso, uccideresti anche una parte di loro. Ora, che Angelo sarei se ignorassi il desiderio di un bambino? sorrise e sembrò sparire. Portando quella realtà onirica con sé.

Brian si strinse la radice del naso e ascoltò. Un'oscurità infinita e un silenzio assordante lo avvolsero nuovamente.

- - - - -

Quando i dottori lasciarono libera la stanza, Justin lo notò a malapena. Ormai senza di lui niente era degno della sua attenzione.

La solitudine trapelò attraverso i pori nella sua anima e si riversò fuori attraverso le ferite del suo cuore.

Non era giusto. Quella non era la fine che secondo lui meritava Brian, che secondo lui meritavano entrambi. 'La Storia di Noi Due' scritta per sempre, letta per sempre. Le parole incise sui loro cuori.

Sessanta secondi. Il tempo che era passato da quando l'anima di Brian era stata baciata dalla fine eterna. 'Era finito tutto?'  Justin avrebbe voluto credere diversamente. Era certo che quell'indescrivibile angoscia sarebbe stata presente per tutta la vita.

Quel dolore apparentemente senza fine che stava viaggiando attraverso il vuoto apparentemente senza fondo della sua esistenza vuota.

Cinquanta-nove secondi prima Justin Taylor era stato ancora intero. Un. Fottutissimo. Secondo. Un mero lampo di tempo. Si era ritrovato frantumato. Distrutto. Ridotto in polvere. Evaporato.

Maledì il mondo per essere andato avanti. Come osava continuare a girare senza di lui.

Justin voleva farlo fermare. Fermare ogni cosa per un dannato secondo cosi avrebbe potuto semplicemente respirare.

Non sapeva se si sarebbe mai sentito di nuovo bene. 'Perché avrebbe dovuto continuare a respirare una volta che Brian non poteva più.'

Gli sembrava egoista, in un certo qual modo. Gli sembrava come se lo stesse tradendo.

La sua tristezza crebbe maggiormente quando Gus dichiarò ad alta voce che lui era 'Arrabbiato a morte col suo Miracolo'.

Non sapeva cosa dire. In verità, non c'era niente da dire. Nessuna parola avrebbe mai alleviato il dolore. Né di Gus, né il suo.

Non poteva più distinguere tra i momenti prima e quelli dopo il respiro finale di Brian. Ogni ricordo sempre avvelenato dalla sua perdita, anche quelli che riscaldavano il cuore. La felicità era riuscita a trasformarsi in disperazione.

Anche se aveva provato senza tregua, non era capace di amarlo a tal punto da riportarlo in vita. Immaginò che fosse perché il suo cuore non era più vivo.

Non voleva ascoltare le parole di Debbie (o di chiunque altro) 'E' ancora qui nel tuo cuore'. Stronzate. No. Se n'era andato, e aveva portato il battito del cuore del biondo con sé.

Aveva cominciato a malapena a piangere per il suo compagno; non aveva pensato un secondo di più alla morte del suo cuore.

 - - - - -

Gus sentiva una pletora di emozioni mentre stava steso con le gambe al petto di fianco a suo padre. Sentiva rabbia e tristezza, confusione e sconforto.

'Perché non aveva funzionato?' Lui aveva fallito. 'Stupidi miracoli rotti.'

Il suo papà si stava ancora trasferendo in Paradiso. Aveva appena cominciato il suo lungo sonno. Gus si chiese se suo padre l'avrebbe sognato.

Prese la mano di Brian nella sua e desiderò che potesse muoversi, soltanto un poco. Come quella volta quando lui e papà Justin avevano fatto il solletico a suo papà con una piuma mentre dormiva, soltanto per guardarlo agitarsi. 'Quello sarebbe stato sicuramente divertente.'  Tracciò delicatamente con i polpastrelli un disegno sul braccio di suo padre. Non si muoveva. Il suo sonno era davvero profondo.

Ascoltò Justin singhiozzare lievemente e il rumore lo rese triste. Gus non aveva ancora pianto. No. Ogni volta che papà Justin era triste il suo papà lo faceva sentire meglio. Suo papà era forte, allora lo sarebbe stato anche lui.

Il bambino allungò amorevolmente la mano verso il biondo, e scostò i capelli che gli erano caduti sugli occhi umidi. (Aveva visto suo papà farlo un migliaio di volte).

Quando Justin incrociò gli occhi di Gus, il bimbo sorrise. "Andrà tutto bene, Raggio di sole," sussurrò. (Aveva sentito un migliaio di voltesuo papà dirlo).

Gus si sentì felice ancora una volta. Era stato d'aiuto, papà Justin stava sorridendo.

Sospirò con soddisfazione e mise la testa sul petto di suo papà. Gus poteva quasi sentirlo respirare. Poteva quasi sentire il suo battito.

Áspetta, NON QUASI. Lui POTEVA.'

"Ascolta!" il suo urlo fece trasalire gli occupanti ammutoliti della stanza. "Il cuore di papà, i respiri nel sonno di papà fanno sicuramente un suono bizzarro." dichiarò notando il leggero raspare che li accompagnava.

Justin spalancò gli occhi e subito poggiò l'orecchio sul petto di Brian.

"Brian?" riuscì a dire Justin in sillabe strozzate.

Si guardò attorno, il suo partner non era più attaccato al respiratore o al cardiofrequenzimetro. Non aveva alcuna prova medica che lui e suo figlio non stessero soltanto condividendo una delusione causata dal dolore.

Allora lo sentì. Evidente come un dannato giorno. Chiaro come il dannato crystal.

"I miei ragazzi," sospirò la voce più bella.

Un sollievo incredibile si dispiegò come i petali in primavera.

"Brian!" "Papà!" esclamarono contemporaneamente le due voci.                                                           

Nell'emergere lentamente dal suo velo di solitudine, Brian seguì il suono della vita. Dell'amore.

Quando i suoi occhi si aprirono di nuovo per la prima volta, sorrise. Brian Kinney era tornato a vivere. La sua anima appena purificata si era ricollegata con le sue controparti. Questa volta sarebbe vissuto per loro. Abbracciò quella inconsueta sensazione di pienezza.

L'infermiera carina entrò nella stanza con uno sguardo incredulo. Quando si avvicinò al letto scuoteva continuamente la testa da un lato all'altro.

"Signor Kinney?" chiese delicatamente "Come si sente" chiese ma non aspettò una risposta. "O mio Dio. Non riesco a crederci." continuò senza rivolgersi a nessuno in particolare, "E' un miracolo." concluse, mentre cominciava a controllare i segni vitali di Brian

Brian si era reso acutamente conto degli sguardi saputi e dei sorrisi da togliere il respiro che si erano scambiati suo figlio e il suo compagno alla menzione della parola 'Miracolo'.

Aveva così tanto da dire, ma la gola gli doleva e il suo corpo stava lottando contro la sonnolenza. Lasciò che gli occhi trovassero la finestra.

Mentre osservava la vista ispirante che si godeva dalla stanza 214, sospirò. Non riusciva più a capire se si trattasse di neve o di stelle che cadevano dal Paradiso, sebbene avesse sentito sufficiente magia perché fossero le seconde.

Il Medico gli si avvicinò e per l'ennesima volta sentì la parola 'Miracolo'.

Istintivamente, tirò le due persone che aveva a fianco il più vicino possibile, per quanto riusciva a fare fisicamente. Non erano state vicine abbastanza. Da quel momento in avanti, loro erano l'unica cosa, erano tutto ciò che esisteva di importante.

'Ogni parola che avrebbe mai pronunciato, avrebbe contenuto un alito di loro due, ogni pensiero, un barlume.'

Mentre la sua mano incontrava la piccola scatola argentata, le lacrime trovarono i suoi occhi.

Il miracolo che aveva in tasca era nulla se paragonato ai due che teneva stretti tra le braccia.

FINE

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Capitolo 4
*** AVVISO! ***


AVVISO

Ho ripubblicato tutti i capitoli betati e con alcune parti che avevo dimenticato...So che è passata una vita ma la RL ultimamente ha decisamente preso il sopravvento! Ad ogni modo, così è decisamente più bella e rende giustizia alla bellezza della storia originale! :D Spero che chi la conosce già abbia voglia di rileggerla e magari così qualcuno che non è andato a frugare nel database di EFP nota una storia che vale decisamente la pena leggere :)

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