titolo: Miracle in My Pocket (Un Miracolo nella Mia Tasca)
autrice: LibertySun
traduttrice: Kyelenia
pairing: B/J (ovviamente ;))
link alla storia: QUI
Capitolo 1. Un incubo ad occhi aperti
Se ieri gli
aveste chiesto chi idolatrava, Brian Kinney avrebbe
prontamente detto James Dean. Un uomo che aveva vissuto intensamente ed era
morto velocemente e ancora giovane. Piuttosto
letteralmente se n'era andato in un lampo di gloria. 'Il povero bastardo'.
Fategli
adesso la stessa domanda, e risponderebbe che non ha nessun mito. Che non crede
in niente.
Richiamò alla
memoria la paura e l'ansia che aveva provato all'approssimarsi del suo
trentesimo compleanno. Era stato certo senza alcuna possibilità di equivoco che
quella fosse la fine della sua vita.
In verità non aveva idea di una sola dannatissima cosa. Ora, a quasi
trentasette anni, sentiva di essere appena rinato grazie alle esperienze e ai
traguardi della vita.
'No. Non era pronto'. Aveva appena
cominciato a farsi andar giù l'intera stronzata della 'vita', quando il peso
della morte gli era stato scaricato addosso così duramente. 'Dannate scadenze.'
Attraverso
occhi affaticati e pensieri spiacevoli, guardava la neve volteggiare giù dal
cielo. Un ricordo felice assalì la sua mente e lui accolse l'attacco. Riuscì ad
immaginarsi la scena con assoluta facilità.
I coriandoli
del Babylon piovevano giù,ma ironicamente non erano in
grado di lavar via il suo raggio di sole. I suoi contorni sfocati e la pelle di
porcellana apparentemente irradiati da ogni mossa fluida. Cosa non avrebbe dato
per un solo altro ballo con lui. Sentì il corpo dolere per il desiderio mentre
ricordava senza sforzo come loro due si erano sempre incastrati insieme.
Brian Kinney avrebbe sostenuto con convinzione che Justin Taylor
era fatto precisamente allo scopo di incastrarsi con lui. Il pezzo mancante, le
due metà di un'unica anima e tutte quelle assurdità lesbioniche.
Insensatezze
che erano diventate sentimenti quando
Brian aveva consentito a se stesso di amare lui.
Un dolore
intenso inondò il suo corpo. Questa volta non aveva niente a che fare con la
polmonite batterica che infettava i suoi polmoni o con le setticemie che
avvelenavano il suo flusso sanguigno. Entramb3 quelle bastarde stavano
malignamente combattendo contro di lui.
Quel giorno
segnava il quattordicesimo trascorso nell'ampia stanza dell'imprevedibile. Per
i primi giorni aveva disperatamente provato a ringiovanire la campagna sulla
mortalità di Brian Kinney. Aveva stravolto tutto,
rimodellato, elegantemente mentito. 'Dannazione,
era questo che aveva fatto, no?'. Però velocemente aveva scoperto che
nessuna apparenza esteriore opportunamente ritoccata avrebbe potuto nascondere
la spaventosa realtà.
Evidentemente
la mano del dottore aveva avuto il desiderio di firmare il suo certificato di
morte. Otto prima gli era stata presentata la notizia a cui non si era
preoccupato di credere.
Gli era stato
diagnosticato un linfoma. 'Dannato cancro
al sangue. Lo sapeva no? Qualche merda così'. Due anni prima aveva
affrontato il cancro ai testicoli sul ring e gli aveva rotto il culo. Adesso quello.
Per un
minuscolo momento aveva maledetto il vecchio Jack. Non era andata persa
l'ironia del fluido che scorreva dentro di lui. Stava letteralmente annegando
nella piscina del suo gene contaminato.
Anni prima,
quando aveva cominciato la chemioterapia, aveva primeggiato (come in molte
altre cose) anche in quella. La malattia era stata sconfitta, la vita era
andata avanti, il mondo aveva continuato a girare.
Questa volta
le cose erano andate in modo leggermente diverso. Per mesi la chemioterapia non
aveva avuto effetto. Troppo presto si era trovato a temere che il mondo avrebbe
finito col fermarsi definitivamente. Per il momento era ancora in movimento,
per quanto lento.
Due settimane
prima gli era stato concesso il regalo di più domani. Il trattamento era stato
efficace, aveva distrutto il tumore.
Una settimana
prima si era trovato ad essere degente nell'ala di ricovero mentre il suo
debole (ma ancora meraviglioso) corpo andava graziosamente accettando la
sconfitta dell'intruso che aveva tentato di privarlo della vita.
Quarantotto
ore prima era stato trasferito al reparto Intensivo e collocato in una stanza
sterile subito dopo che i suoi inesistenti linfociti T avevano distrutto il suo
sistema immunitario e lui aveva contratto la polmonite.
Quasi
quindici minuti prima era andato in shock settico. Con una possibilità del
cinquanta percento di sopravvivere, e nient'altro che una vasta gamma di
medicine sperimentali a prevenire ulteriori danni agli organi. 'Beato lui.'
Aveva chiesto
al medico soltanto di informare Justin e i Novotny
del nuovo ostacolo che gli si era presentato. Era piuttosto sicuro che non
avrebbe avuto la forza per superarlo. Le reazioni della sua famiglia pesavano
profondamente sul suo cuore.
In meno di
venti minuti, ogni cosa era diventata pietra pesante e aveva cominciato ad affondare
troppo velocemente verso il fondo della sua anima che aveva appena cominciato
ad esistere.
La neve
cristallizzata che ricopriva il vetro della finestra era assolutamente
ipnotica. Le sue palpebre erano affaticate dalla presenza di un peso. Era esausto.
Aveva perfino troppa paura per chiudere gli occhi.
Quella camera
grigia era destinata ad essere la sua fine? Sarebbero stati i mobili rotti, una
vecchia infermiera e quella vista banale dalla camera 214 le ultime cose che
avrebbe visto nella sua vita? "Col
cazzo!"
Sunshine
quella mattina era con il suo Sonnyboy, e aspettava
il loro arrivo al più presto. I due più bei sorrisi al mondo. 'Quella
cosa, sarebbe stata l'ultima visione
che i suoi occhi nocciola avrebbero portato con sé. Al di là di qualsiasi fosse
la sua maledetta destinazione.'
Avrebbe usato
ogni millesimo della forza che si andava precipitosamente deteriorando per
rimanere sveglio. Per aspettare.
Odiava
aspettare. Odiava l'impossibilità di controllare. Odiava non sapere quando la
fine sarebbe coincisa con l'inizio. Justin e Gus, che avevano segnato il
momento in cui la vita di Brian Kinney era davvero
cominciata in quella notte fatale di quasi sette anni prima.
Erano cambiate
così tante cose da quel momento, tra lezioni imparate e quant'altro. I due
ragazzi avevano radicalmente cambiato ogni cosa che Brian Kinney
pensava di sapere. Soprattutto riguardo a se stesso.
Aveva
finalmente detto a Justin Taylor quelle tre (affatto piccole) parole,
illuminando la vita già felice del suo delizioso biondo. Ad esser sinceri,
quell'anno e da quel momento, quella dichiarazione aveva illuminato la vita di
Brian allo stesso modo.
Un fatto per
cui lui era grato, nel momento in cui si trovava ad indugiare sull'oscurità
eterna. Aveva disperatamente bisogno di quella luce in quell'esatto momento. 'Brian Kinney si
dispera. Brian Kinney ama'.
Rabbrividì,
un gelo rivale della neve invernale si era fatto strada nelle ossa di Brian.
Aveva bisogno del calore del suo Raggio di Sole. Il moro aveva appreso molto
tempo prima che non c'era niente di più caldo dell'intensità del sorriso di
Justin. Ad eccezione forse del sedere di Justin.
Sospirò
pesantemente, deglutì e respinse il bisogno impellente di urlare. Non c'era
altro che il dolore fin troppo reale. Ogni rapido respiro scorreva attraverso i
suoi polmoni malati con un lieve tormento.
'Cristo'. Maledì il suo corpo per la sua
debolezza. 'Non lo sapeva con chi aveva a
che fare? Col fottutissimo Brian Kinney,
indistruttibile figlio di puttana.'
Si concesse
un sorriso (non lo poteva vedere nessuno) al pensiero di Gus. Almeno il suo Sonnyboy continuava a pensare che lui era forte. In effetti
più forte di qualsiasi supereroe di Mickey. Gus adorava suo padre, anche se
neanche lontanamente quanto Brian ammirava il bambino.
'Okay. Chiedetegli di nuovo chi è il
suo mito, risponderebbe Gus Peterson e che crede in
Justin Taylor.'
Trasaliva ad
ogni respiro profondo che inalava. L'aria combatteva contro il flusso
inaspettato nei suoi polmoni e sporadicamente si trasformava in un colpo di
tosse doloroso. Ogni spasmo sembrava bruciare i suoi organi fin nell'anima. Il
sapore ferroso del sangue gli si depositò sulla lingua, il gusto della 'resa'.
'Non avrebbe pianto. Anche se non
aveva mai voluto così tanto fare qualcosa. Neanche il delizioso Mr. Taylor.'
Non voleva
rimanere lì steso e pensare ininterrottamente a come stavano le cose. "No". Voleva sognare. Voleva
sperare. Voleva desiderare. Voleva baciare, leccare, fottere, voleva amare. Vivere.
Al momento era
costretto a rimanere entro i confini della sua camera sempre sigillata;
determinato a rimanere cosciente fino alla fine (un impegno che si stava
rivelando decisamente troppo difficile).
Focalizzò la
sua attenzione sulla moltitudine di fili e tubi e rifletté sul modo in cui
entrambi lo collegavano alla e lo
tenevano imprigionato dalla... vita.
La claustrofobia era in piena azione. L'ossigeno puro riversato nelle sue vie
respiratorie non stava facendo niente per ridurre il soffocamento della sua
anima.
Un'aggressiva
irruzione nel suo respiro causò un altro colpo
di tosse incontrollabile, intollerabile.
"Oh
caro!" l'esclamazione di Deb spaventò Brian ma
il suo tono dolce era confortante. Si sentì grato per quell'intrusione nel suo
rimuginare interiore.
Combatté con
fervore contro la corda di mortalità che lo stava strangolando senza pietà. Vinse,
quel round. Mentre lottava per
sedersi, quattro mani zelanti si allungarono verso di lui per evitargli quella
fatica. Voleva protestare, voleva urlare 'Brian
Kinney non ha bisogno di aiuto!' ma sapeva che
quelle erano solo stronzate.
"Cristo"
fu tutto quello che riuscì a dire ad alta voce. Era insicuro su cosa
esattamente stesse maledicendo. 'Le loro
attenzioni nei suoi confronti? La sua debolezza? Il prurito incessante di quel
camice appiccicoso? La viscosità? La tosste?
L'infermiera brutta? La neve? Quella dannata situazione al completo?'
"Cristo"
disse di nuovo, a tutte le cose sopracitate.
"Hai
mangiato?" chiese Deb (più per abitudine che in
attesa di una reale risposta) svuotando la borsa che aveva portato con sé.
Brian non
aveva bisogno di guardare per sapere cosa conteneva. Brodo di pollo.
Quattordici giorni. Quattordici ciotole di brodo di pollo. Ne aveva mangiato il
gran totale di tre.
"Lo so,
lo so," ribatté Deb all'espressione di protesta
che Brian si era stampato sul visto "ma tesoro dovresti provare a mettere
qualcosa nello stomaco" concluse.
Il moro si
era quasi aspettato di sentirle dire 'pancino' in accordo con la maniera
infantile con cui gli si era rivolta. Voleva sentirsi infastidito. Ma non lo
fece. Non poteva.
"Sì
mamma." lottò per farlo uscire in tono giocoso. Si sentiva molte cose in
quel momento. Giocoso non era una di
quelle.
Per un breve
momento sperò di poter tornare al tempo in cui non aveva investito così tanto
sui sentimenti. Dopo aver realizzato che quel tempo era prima di Justin, abbracciò le proprio emozioni. Ogni. Singola.
Dannata. Emozione.
Un luccichio
umido bagnò gli occhi di Deb prima che lei potesse
arrestarlo. Sapeva che Brian non voleva la compassione di nessuno o, che il
cielo potesse impedirlo, la pietà di
nessuno.
'Beh, peggio per te bastardo cocciuto.
Io sono triste per te figlio di puttana. Io ti voglio bene e mi farò un pianto
per questo' provò a
dire a Brian telepaticamente.
Era quasi
convinta che lui l'avesse sentita, perché non si era ancora accorto delle sue
lacrime offensive.
Lei incrociò
gli occhi di Michael e si accorse che anche i suoi stavano luccicando dietro un
mare di incredulità.
Non volevano
credere all'incredibile. Eppure non potevano evitare l'inevitabile.
Ogni secondo
che passava andava ferocemente consumando il tempo prezioso di Brian Kinney. Ogni momento vissuto, crudelmente si trasformava in
un momento sempre più vicino al suo respiro finale.
Quel ragazzo
ne aveva passate così tante. Per la prima volta in troppi anni, Deborah Novotny stava mettendo in discussione l'esistenza di Dio.
L'"Onnipotente
odiatore dei froci" a cui Joan Kinney avrebbe
detto di credere a chiunque ascoltasse. Al pensiero di "Santa Joan"
(che ogni volta le ricordava un quattordicenne Brian Kinney
chiamare scherzosamente la donna) Debbie sentiva un
travolgente senso di prevalenza. 'Joan
non era sua madre. Lei lo era'. Una
constatazione che non aveva avuto problemi a dire a quella fedele ipocrita un
settimana prima.
Era
finalmente andata in ospedale a visitare suo figlio una settimana dopo che questi era stato ricoverato. 'Madre di merda dell'anno'. Brian non
aveva avuto bisogno di lei. Non l'aveva voluta
e aveva gentilmente concesso a Debbie di riferire
il messaggio.
Guardare
Michael era duro quasi quanto guardare al sempre più debole e a pezzi Kinney. Non era così sicura che difatti non fosse possibile
sentire un cuore frantumarsi. Represse un singhiozzo e si scusò per andare nel
bagno delle donne. In verità stava dando al proprio figlio un momento per (non
riusciva a processare il pensiero) 'Dire
Addio'.
Stavano
condividendo lo stesso fottutissimo incubo. Comunque, un seme di negazione
radicato ben a fondo non poteva evitar loro di aspettare di svegliarsi.
Lei
era disperatamente speranzosa.
"Smettila con tutti i piagnistei adesso,
regina del melodramma, il tuo mascara comincerà a colare," lo avvertì
Brian.
Michael respirò rumorosamente e si asciugò gli
occhi. "Fanculo," gli disse attraverso una
risata.
"Scusa Mickey, non posso farlo. E' già
stato deciso per me." Strascicò le parole con un accento del sud, allo
stesso modo in cui il suo biondo parlava in un'immagine che gli era balenata in
mente. 'Sperava che Justin sarebbe
arrivato in fretta.'
"Io continuo ad aspettare di
svegliarmi." Michael praticamente bisbigliò.
'Sapeva che Brian non voleva ascoltare la sua merda sdolcinata, ma cosa
poteva fare?' Sembrava che ogni parte
dentro di lui fosse stata sciolta. Sparita insieme alla sua razionalità e al senso
della realtà. Con tutti gli intenti e la fermezza, tutto quello che Michael Novotny si trovava ad essere, era 'merda sdolcinata'. La suddetta merda stava cominciando a
filtrare dalla breccia di Brian dentro di lui, che non si sarebbe mai più ripreso.
Occhi color nocciola osservavano il suo migliore
amico con attenzione, stava disperatamente cercando parole perse che non era
mai riuscito a trovare.
"Cosa posso dire Mickey?" chiese con
onestà. La sua domanda si scontrò con un silenzio che sembrava non avere fine.
Provò ancora. "Questa volta pensò che andrò con Deb
invece di Joan. Sono piuttosto impaziente di ricevere qualche pompino angelico,
magari scoperò un santo o due," provò a scherzare. Non funzionò. Michael
appariva più triste di prima.
A Michael sembrava che anche i suoi piedi
stessero per essere inghiottiti. Interamente bloccati nel pavimento. Non si
poteva muovere. Il mondo si stava richiudendo attorno a lui... piega per piega.
Lacero e frantumato pioveva sul pavimento... pezzo per pezzo.
'Tutto quello non era giusto. A dispetto delle sue implacabili
argomentazioni a favore del contrario, Brian Kinney
era troppo giovane. Troppo buono. Troppo necessario nella vita. Nella sua vita. Nella vita di Justin, in
quella di Gus.'
"Dio è un figlio di puttana" proclamò
Michael. Brian sorrise debolmente ed annuì. Gli faceva male farlo. Tese la mano
e indicò al suo amico di sedersi accanto a lui sul letto.
Gli servì ogni energia che aveva per muoversi,
ma ce la fece. Michael si posizionò tra le braccia di Brian. 'Si era trovato in quella posizione così
tante volte. Così tante volte si era sentito protetto, amato'. Si maledisse
perché anche in quel momento voleva stare così, perché si stava lasciando
consolare da Brian. Si sentì egoista e codardo. Ma si sentì ancora amato. Si augurò soltanto di poter
proteggere Brian in quel momento.
"Questa non è la fine della Straordinaria
Avventura di Brian e Michael, lo sai" bisbigliò Brian in cima ai capelli
di quest'ultimo. "Stiamo soltanto prendendo una piccola deviazione,
andando a guardare panorami diversi."
"Che profondità" ridacchiò Michael e
si odiò per averlo fatto. 'Come poteva
sorridere in un momento come quello.' Guardò il bel viso dell'altro uomo e
rispose alla sua domanda. 'Brian lo
faceva sempre sorridere.'
"Possiamo solo pregare per un po' di
confusione nel copione, e che qualche angelo informato male ti dia un paio di
ali." disse.
"Ah, sì, così posso volare come
FURORE," Michael poteva avvertire il sorriso di Brian e incrociò i suoi
occhi, Brian continuò "dopo sarò realmente in grado di scopare a
mezz'aria," e fece un cenno d'approvazione col capo.
Notando le lacrime non versate negli occhi color
nocciola, Michael fu costretto ad allontanare lo sguardo. I suoi sogni infranti
e le avventure non ancora vissute crollarono miseramente.
"Ti voglio bene Brian." bisbigliarono
ugualmente il suo cuore e le sue labbra.
Sentì le braccia di Brian stringersi, deboli ma
ancora sue. "Anche io Mickey.
Anche io. L'ho sempre fatto, lo farò sempre."
I due uomini accettarono il silenzio e lasciarono
la loro amicizia ad avvolgere la stanza.
Man mano che la neve cadeva più intensamente, il
cuore di Justin annegava più a fondo. Doveva portare Gus a visitare suo padre 'che presto sarebbe stato dimesso, guarito
dal tumore, pronto a tornare perfettamente in forma'. Invece, il freddo di
Febbraio si stava facendo strada nelle sue vene al pensiero che quella poteva
essere davvero l'ultima volta che lui o Gus vedevano Brian.
La sua mente stava facendo del proprio meglio
per elaborare la telefonata di quella mattina da parte del medico. 'Siamo terribilmente dispiaciuti, c'è stato
un drastico peggioramento- Shock settico. Continuiamo ad assicurarci che stia
comodo. Potrebbe esserci il bisogno di cominciare a sistemare le cose.' quelle parole turbinavano in una frammentaria
nebbia di incredulità.
Negli ultimi trenta minuti la sua mente aveva
continuato a mandare 'Come? Come? Come?' ripetutamente
seguiti da 'Perché? Perché? Perché?'.
Era rimasto sveglio per quella che gli era
sembrata un'eternità. Aveva trascorso la maggior parte delle notti al fianco
del letto di Brian. Comunque, Lindsay e Mel avevano mandato Gus su un aereo la
notte precedente. Si sentiva così orgoglioso di sé per aver volato da solo come
un ragazzo grande.
Justin aveva trascorso quella notte a guardare
suo figlio dormire. Augurandosi di potersi svegliare davvero da quell'incubo
senza fine. Non aveva voluto addormentarsi nel suo letto, nel loro letto senza Brian. Sapeva che
avrebbe trascorso soltanto un'altra notte senza sogni senza avere dietro di sé
l'uomo che gli consentiva di sognare. No, non si sarebbe permesso di dormire
sapendo che si sarebbe svegliato da solo.
La notte prima, almeno, aveva avuto ancora
qualcosa che ormai non possedeva più. Aveva avuto la Speranza. Quel giorno invece la sua anima stava meramente
sopravvivendo. Era stata ridotta a brandelli, lasciando soltanto lembi di
sconfitta.
Se pensava a Gus sapeva di dover essere forte
per il piccolo. Avrebbe attinto la forza direttamente dall'amore per il
bambino. Si sarebbe sforzato di trovare una luce tra le ombre.
Acqua salata si agitava nel mare dei suoi occhi
ma non le concesse l'opportunità di cadere. Aveva pianto abbastanza da allagare
il mondo. Troppe lacrime l'avevano inzuppato fino alle ossa. 'Cosa succede dopo che le lacrime diventano
secche e scende solo vuota speranza?' Sarebbe stata la tempesta di quel
maledetto secolo.
'Era possibile vivere con soltanto la metà di un cuore?' Era una domanda a cui aveva sperato di non dover trovare mai risposta.
Justin non voleva vivere in un mondo dove Brian Kinney
non esisteva più. Cazzo, erano finalmente insieme. Totalmente
incondizionatamente uniti, con tanto di monogamia e il minimo di cazzate.
Anche se non si erano mai sposati, Brian gli
aveva promesso che sarebbe stato per sempre. Si sentiva offeso. 'Dannazione, perché per sempre doveva
arrivare così presto? Le eternità non erano più così lunghe come una volta.'
Mise la 'Vette in un posto del parcheggio
dell'ospedale, si concesse un'occhiata al ragazzino che aveva trascorso il
tragitto in macchina col fucile a piombini. 'Come
l'avrebbero spiegato alla sua mente da bambino di sei anni, al suo cuore da
bambino di sei anni?'
Si chiese con egoismo come avrebbe fatto lui a
sopportare lo sguardo di Brian che abbandonava il volto di suo figlio.
"Pronto per andare a trovare papà?"
chiese con stampato sul viso il suo sorriso da raggio di sole più falso.
Sembrava più che altro un tramonto che non aveva la forza di brillare.
"Sì. Non vedo l'ora di dargli il più grande
abbraccio che abbia mai ricevuto!" sorrise.
"Lo adorerà." confermò Justin. 'Per piacere non lasciarlo andare mai, Gus.' Pensò mentre seguiva il bambino
nell'atrio e si sentì invidioso della sua innocenza.
Di sicuro papà appariva diverso dall'ultima
volta che l'aveva visto a Natale. Era più magro, e molto più pallido. Gli
faceva ripensare a quando lui aveva avuto l'influenza l'anno prima; sì, papà
appariva decisamente in quel modo.
Sapeva che era davvero ammalato. Mamma e mamy gliel'avevano detto,
ma Gus era lo stesso turbato dai drastici cambiamenti nell'aspetto di Brian.
Specialmente adesso, dato che l'infermiera simpatica aveva fatto indossare ad
ognuno di loro stupide maschere bianche sulla bocca. 'Come doveva fare a parlare con suo papà, sorridergli e baciarlo?'
Corse il più vicino possibile al letto e
consegnò a suo padre l'abbraccio più enorme che avesse mai ricevuto, come
promesso.
Brian gli spiegò dei vari macchinari che li
circondavano e Gus notò che anche la sua voce era un po' diversa. In ogni caso
non gli importava, perché era ancora il miglior papà in tutto il mondo.
Gus non si ricordava l'ultima volta che era
stato in un ospedale. Probabilmente il giorno che era nato ma ovviamente non
poteva ricordarlo. Il suo migliore amico Ryan una volta gli aveva raccontato di
quando sua nonna era stata in ospedale e poi era morta ed era andata in
paradiso. Lui sapeva che anche suo zio Vic era in
paradiso.
Gus pensava che sembrava un gran bel posto, ed
era davvero figo ottenere le ali una volta che
arrivavi lì. Il pensiero gli ricordò del suo volo in aereo e si appollaiò sul
letto per guardare suo padre negli occhi.
"Guarda!" sorrise, e indicò la spilla
sulla sua maglietta "Ho fatto il viaggio in aereo tutto da solo ed avevo
le ali." si fermò per un istante e si perse nel sorriso di Brian. 'Sì. Almeno il sorriso di papà non era
cambiato affatto.'
"Che figliolo incredibile. Quando sei
cresciuto così tanto?"
"Col mio ultimo compleanno." replicò
come dato di fatto, dopo disse qualcosa che fece versare le lacrime da ogni
occhio nella stanza 214. "Se vai in paradiso, anche tu avrai le ali.
Soltanto che le tue saranno vere." sorrise con un cenno di approvazione
verso se stesso.
Ryan gli aveva detto che quando sua nonna era
andata in paradiso lui aveva continuato a volerle bene ma ne sentiva sempre la
mancanza. Quel pensiero lo fece sentire triste. Suo papà già gli mancava ogni
volta che si trovava in Canada ma questo sarebbe stato diverso. Non ne era
sicuro ma era alquanto probabile che una volta che una persona fosse andata in
paradiso sarebbe passato molto tempo prima che la sua famiglia la vedesse di
nuovo.
Addolcì la voce e alzò a stento gli occhi sul
viso di Brian. "Papy?" lo chiamò
dolcemente, anche se non aspettò una risposta prima di continuare. "Da
domani dovrò sentire la tua mancanza per molto tempo?"
La risposta di Brian si rifiutò di uscire dalle
sue labbra. La vulnerabilità del suo unico figlio aveva congelato la sua mente
riguardo la funzione della bocca.
"Sinceramente non lo so, Sonnyboy."
riuscì a replicare alla fine con così
tanta verità che faceva fisicamente male. E dopo ancora, il suo corpo stava
cominciando a fare più male da solo.
Gus tenne suo padre ancora più stretto,
"Soltanto nel caso che ci voglia un po' prima della prossima volta."
spiegò il suo abbraccio.
Tra tutti gli adulti presenti, era stato il
bambino di sei anni che si era confrontato con la situazione. Ognuno si era
raccontato versioni frammentarie della verità. In tutta onestà, nonostante
rimanesse sempre presente, la verità cominciava a serpeggiare nell'aria.
L'inevitabile era collocato in una nebbia pesante di realtà non affrontata.
'Vita. Nessuno la capisce da vivo.'
"Hey Gus, cosa
dici se io e te andiamo a saccheggiare il distributore automatico?" disse Deb rimuovendo la maschera dal viso e sorridendo in modo
più luminoso possibile. Non era granché il risultato. Notò il cortese 'grazie'
che usci della bocca di entrambi i papà del bambino. Tutte quelle emozioni la
stavano soffocando, poteva limitarsi ad immaginare le difficoltà che Brian e
Justin stavano passando.
"OK!" esclamò Gus e si sporse e
ridacchiò un poco dei tubi divertenti nel naso di suo papà prima di lasciargli
un bacio sulla punta di quello attraverso la mascherina. "Tornerò"
gli disse con fare rassicurante dopo aver cominciato a catalogare senza
interruzione tutte le merendine deliziose che voleva prendere.
Dopo che ebbero finito di mangiucchiare, la
nonna Deb era voluta venire lì, nella Cappella. A Gus
sembrava una miniatura in formato casa delle bambole delle chiese che aveva
visto in TV. Anche se lui non aveva molta familiarità con posti come quello, la
nonna aveva sentito davvero il desiderio di sedersi lì.
Gus si sentiva a disagio. I sedili duri non
avevano cuscini. Lui aveva sempre pensato che la casa di Dio fosse arredata
meglio. Si sentiva inquieto anche perché c'era semplicemente troppo silenzio. Gus amava il rumore.
Amava farlo. Amava sentirlo.
"Che stiamo facendo?" sussurrò anche
se non era sicuro del perché lo stesse facendo. C'erano soltanto loro lì. Zio
Mickey era fuori a chiamare la zietta Em e lo zio
Ted. Gus pensava lo stesse facendo per potergli dire che probabilmente
avrebbero sentito per un po' la mancanza del suo papà. 'Grandioso. Adesso era triste di nuovo.'
Lui sicuramente non voleva che suo papà
lasciasse la sua casa per trasferirsi in paradiso. Era stato a casa sua la
notte prima, non aveva impacchettato ancora niente.
Debbie sorrise. "Preghiamo piccolo. Parliamo con Dio".
"Oh." Gus rispose anche se non era
sicuro che Dio con tutta quella distanza li avrebbe sentiti dal cielo.
"Per cosa preghiamo?" chiese, con
maggior interesse.
Deb aprì le braccia in modo invitante, e anche se Gus pensava di essere decisamente troppo grande, si arrampicò
sul suo grembo. Lei gli baciò la cima della testa. "Un miracolo Gus. Tuo
papà ha bisogno di un miracolo."
Gus prese le sue parole seriamente come
qualsiasi altra cosa che gli era mai stata detta. 'Se papà aveva bisogno di un miracolo allora l'avrebbe avuto.'
"OK. Andiamo a procurargliene uno. C'è quel
bel negozio di regali che abbiamo superato. Scommetto che ne avranno uno!"
esclamò in tono eccitato spingendo la nonna verso la porta.
Debbie simultaneamente soffocò un sospiro, una risata e un singhiozzo. 'Come poteva aiutare il bambino a
comprendere?'
"Oh no tesoro," cominciò "ho
paura che non possiamo semplicemente comprarlo un miracolo. Vedi, è qualcosa
che è necessario che tu trovi, o che ti venga dato da un Angelo. Anche se è
abbastanza difficile, perché non è sempre possibile vederli." finì.
'Cristo. (scusa) Era sicura che stava
confondendo il bambino ancora di più.'
Gus si trovò a non essere d'accordo. Infatti,
aveva già un piano.
"Zio Vic è un
Angelo." affermò con semplicità e incrociò i propri occhi con quelli di Deb. "Per piacere possiamo andare nel giardino dove ha
dormito per molto tempo prima di andare in paradiso?" chiese.
Questa volta il sospiro e il singhiozzo
riuscirono a sfuggire. Si abbassò e avvolse con le braccia il nipote.
"Certo che possiamo." confermò prima di piazzare un enorme bacio
sulla sua guancia.
La mano di Gus si mosse prontamente a togliere
le lacrime finite sul suo viso, e si incamminò fuori alla ricerca del miglior
miracolo che fosse mai stato trovato.
♥s♥s♥s♥s♥s♥s♥s♥
Mi ritaglio alla fine il
tipico angolino autrice. Bene. Questa storia è formata da tre capitoli. Mi
sembra giusto avvertire che NON è una death-fic, come
e perché lo scoprirete. Se lo fosse sarebbe tra gli avvertimenti.
Ho dedicato una sola ff da quando scrivo, questa traduzione la dedico ad
un'altra persona. E' per BritinLover, perché è lei
che ha insistito così tanto per farmela pubblicare in fretta e perché l'ho
conosciuta grazie alla nostra passione
(o è meglio dire ossessione? XD) per Queer As Folk e
ho scoperto una persona con cui mi piace un sacco parlare. Spero te la possa
godere cara :)
Alla prossima :)
N.A. 28/04 ADESSO questo capitolo ha avuto una beta, e
permettetemi di dire che la differenza si nota, eccome *___* Dunque ringrazio
con tutta la gratitudine del mondo Lyrael!!