Over and over

di Morgana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Over and over

 

 

 

 

 

 

 

 

A chi mi ha consigliato di giocare a Hidden Chronicles:

sappi che la mia vita sociale è morta.

 

 

 

 

 

 

 

 

«Rivedersi era come rinascere.»

Farewell, Francesco Guccini

 

 

 

 

 

 

 

 

La luce del sole autunnale penetrava fra le coltri di foglie ingiallite; illuminava le panchine scrostate dal susseguirsi delle stagioni e faceva socchiudere le palpebre alle persone che avevano deciso di passare un po’ di tempo ai Kensington Gardens. Una di queste era distesa su una panchina e, a occhi chiusi, cercava di arginare i rumori che aveva intorno: bambini che gridavano, donne che parlottavano, lo scalpitare dei più volenterosi che avevano deciso di fare un po’ di jogging, nonostante l’aria fredda.

Si stiracchiò e sbuffò.

Londra Babbana, una casa in un quartiere tranquillo e solo riposo! Gli avevano detto. Ma sapeva benissimo che gli Auror, pur di tenerlo fuori dai casini, lo avrebbero mandato anche in America. Draco era una fonte di informazioni troppo importante. Qualsiasi Mangiamorte avrebbe voluto ucciderlo, ma, lì, fra i Babbani, era ben mascherato. Ovviamente il Manor era stato sequestrato; gli Auror lo ispezionavano da mesi, ormai, convinti che ci fosse qualche indizio importante su dove potessero nascondersi gli altri Mangiamorte.

Il primo giorno che era approdato nella sua casa nel West End per poco non si era tostato una mano; la prima volta che era squillato il telefono, lo aveva distrutto con un Avada Kedavra e quando aveva, per sbaglio, acceso il televisore, sedendosi sopra il telecomando, era riuscito a trasformarlo in un piccione che enunciava l’ultima estrazione del lotto. D’altronde, non era mai stato bravo in Trasfigurazione.

Due giorni dopo, il Ministero si era degnato di mandare Harry Potter in persona a spiegargli che qualsiasi affare Babbano fosse presente in quella casa non doveva essere toccato.

Draco Malfoy si era sentito  in dovere di replicare che, se fosse stato per lui, non avrebbe nemmeno respirato aria Babbana. A quel punto, il Salvatore del Mondo Magico gli aveva chiesto se preferisse rimanere chiuso in una cella ad Azkaban in attesa di capire quanto fosse coinvolto nella Guerra Magica. Forse il silenzio era stata una risposta piuttosto eloquente, dato che Potter non aveva insistito.

Da quel giorno, Draco viveva nel West End, in mezzo ai Babbani. Sapeva che qualcuno lo controllava, due Auror, forse, ma era abbastanza tranquillo; lui non importunava i Babbani, gli Auror lo lasciavano in pace. Ogni martedì, sulla soglia di casa, trovava la spesa per tutta la settimana.

Le cose funzionavano così da due mesi.

Quel giorno gli era arrivata una lettera – consegnata da un postino! - da parte di Schaklebolt.  Egli gli comunicava che, purtroppo, i due Auror che avevano il compito di aiutarlo – ora si diceva così… - erano stati richiesti per una missione della massima importanza… leggasi: recuperare l’ennesimo Mangiamorte sfuggito a Potter il Grande. E che, quindi, sarebbero stati rimpiazzati.

Si era arrovellato tutta la mattina, domandosi chi avrebbero mandato per occuparsi di lui.

Troppi Auror erano impegnati nella caccia dei Mangiamorte rimasti in libertà e così buona parte della popolazione civile, desiderosa di rendersi utile nella lotta contro i seguaci dell'Oscuro Signore. Le alternative erano poche, gli venivano in mente nomi improbabili di gente che forse, dopo tutto quel tempo, era già morta e sepolta… forse qualcuno dell’Ordine della Fenice. D’altronde, lui se ne era andato da Hogwarts appena dopo la fine della guerra, e quando gli Auror erano piombati nel Manor, li avevano presi tutti – lui e i suoi genitori - e rinchiusi in una cella ad Azkaban in attesa di sapere cosa avrebbe serbato loro il futuro. La faccenda era finita abbastanza velocemente; suo padre condannato al Bacio del Dissennatore, mentre sua madre, tenuta sotto torchio per due misere ore di interrogatorio, era stata dichiarata colpevole, una decina d’anni ad Azkaban e tanti saluti. Infine lui, Draco, aveva ottenuto l'assoluzione in cambio della propria collaborazione, perché era un'arma utile, che il Ministero avrebbe potuto utilizzare contro i Mangiamorte: ci era voluto un po’ per far capire al Ministro che nessun seguace dell’Oscuro avrebbe chiesto indietro Draco offrendo in cambio informazioni. Quindi gli avevano chiesto se conoscesse il nascondiglio di qualche Mangiamorte e a lui era venuta in mente solo la Villa dei Nott.

Due giorni dopo, un Mangiamorte l’aveva quasi ucciso. Così era cominciata quella messinscena nella Londra Babbana. Draco ancora non aveva ancora capito il vero motivo per cui lo tenevano lì, ma sicuramente non poteva essere nulla di importante… o almeno nulla di importante per la sua sicurezza.

Si mise a sedere e tolse i frammenti di foglia che si erano posati sui suoi capelli chiari; osservò un bambino che si era fermato davanti alla statua di Peter Pan1 - sì, sembrava strano anche a lui quel nome - e la fissava, rapito. Non era la prima volta che Draco osservava uno spettacolo del genere; non aveva capito cosa ci trovassero: era solo la statua di un bambino, con un nome orrendo e socialmente imbarazzante.

Quando tirò una folata di vento e gli venne la pelle d’oca, Draco decise di tornare a casa.

Fece il giro largo dei Giardini, per godere un altro po’ di quel sole autunnale, poi raggiunse un’uscita e la imboccò.

Il tragitto fino a casa era breve. Il piccolo appartamento che gli era stato assegnato non era nemmeno la metà della casa in cui era cresciuto: le pareti erano color panna e c’erano pochi mobili, lo stretto necessario per vivere.

Quando arrivò davanti alla struttura in mattoni rossi, si accorse della figura femminile seduta sugli scalini di fronte alla porta di legno scuro.

La ragazza cercava invano di scostarsi i capelli ricci dal volto, resi particolarmente ribelli dal vento; indossava un lungo cappotto nero e stivali in pelle sintetica. Draco si avvicinò a lei e la osservò per qualche secondo, poi domandò:

- Tu, Granger?          

 

§

 

- Malfoy, ti ho già detto che non è stata una mia decisione - ribatté Hermione.

La discussione ormai andava avanti da quasi un’ora. Tra tutti, come avevano potuto mandargli lei? Cioè, non era con Potter e Lenticchia? Non era a salvare qualche Elfo Domestico? Maledizione! Era convinto che non l’avrebbe più vista, dopo la guerra, e invece eccola lì, con quello sguardo fiero che non l’abbandonava mai.

- So che preferiresti avere un Purosangue, ma…

- Non è per quello - borbottò Draco.

- Prego? - Hermione spostò di poco la sedia su cui era seduta. Lui era in piedi e camminava su e giù per il salottino.

- Non è per quello, Granger.

Lei alzò scettica le sopracciglia. – E allora, illuminami, per cosa?

- È… - non balbettò, i Malfoy non balbettavano. – Sei una donna e, uhm, non sei addestrata…

Hermione fece una smorfia ironica e si alzò dalla sedia – È perché sono una Mudblood, Malfoy, non fare l’altruista, non è da te.

Draco imprecò a voce alta. – Granger, sei la solita ottusa.

- E tu il solito razzista, è bello vedere che le persone non cambiano, vero?

A quel punto, il ragazzo le lanciò un’occhiata truce e non ribatté.

Hermione raccolse una copia della “Gazzetta del Profeta” che era a terra e la posò sul ripiano.

- Malfoy, non ti farò la spesa una volta a settimana e non ti pedinerò con discrezione. Andremo insieme ovunque, anche al mercato. E non fare quella faccia, la cosa non fa piacere nemmeno a me, ma, come hai detto tu, visto che non sono addestrata come un Auror, sarò la tua balia.

Avevo sorriso pronunciando l’ultima parola, sapeva quanto tutto ciò urtasse i nervi del ragazzo.

- Mi rimboccherai anche le coperte?

- Preferirei consegnarmi ai Mangiamorte. Per la nostra gioia, starò con te un paio di settimane. La tua scorta tornerà prima del previsto. Dormirò al piano di sopra.

- Al piano di sopra si ghiaccia - osservò Draco.

- Provvederò a riscaldare l’ambiente con qualche incantesimo - disse e portò il suo borsone al piano di sopra.

 

§

 

- Granger, che stai facendo?

- Spolvero, non lo vedi?

- Nella mia camera? Che diamine… sei qui da qualche ora e già combini danni.

- Non credo di aver ben capito.

- … Non è che sia una novità.

 

§

 

Il giorno dopo, Draco fu costretto a uscire di casa alle sette. Non si svegliava mai a quell’ora, neppure per andare in bagno.

Sì lavò con movimenti rallentati dal sonno e, quando scese per fare colazione, vide Hermione già vestita e all’opera in cucina. Il caffè era in una caraffa, il latte in un’altra. Hermione sporta in avanti a rovistare fra gli scaffali della credenza, imprecava, spostando le varie confezioni di cereali.

-Giorno - borbottò Draco, palesandosi vicino a lei.

Lei sobbalzò e la sua mano, istintivamente, corse alla bacchetta.

- Non mi hai sentito entrare? Sei pessima come balia.

- Malfoy…

- Sì?

- Malfoy, vorresti spiegarmi perché nella tua credenza ci sono solo e soltanto cereali?

- Uhm, di solito li mangio…

Hermione sbatté l’anta così forte che essa ritornò indietro. – Malfoy! Campi di cereali? Non hai altro da mangiare! – esclamò.

- Gli Auror mi avevano abbandonato, Granger - mormorò lui. – Non avevo altro di cui vivere… puoi farmene una colpa?

Lei assottigliò le palpebre e arricciò le labbra. –Ti facevano la spesa una volta a settimana! Per caso gli hai chiesto di comprarti solo cereali? – domandò, incredula.

- Ehm… sì, ma sono l’unico cibo decente che mi davano. Cioè, mi prendevano le cipolle, l’insalata, il pollo crudo, la pasta da cuocere e altra roba con cui non sarei mai sopravvissuto! - spiegò.

Draco fu quasi certo di vedere la mandibola della Granger schiantarsi al suolo.

- Sei un… - iniziò lei. – Un… un…

- Continua, ti prego. Sei deliziosa quando balbetti.

- Un borioso stronzo buono a nulla! - concluse.

- Ehi! - iniziò lui, ma Hermione fu lesta a interromperlo.

- Andremo a fare la spesa – dichiarò. – Mangia i tuoi amati cereali e vestiti, il mercato è aperto già da un pezzo!

 

 

Hermione pagò e ringraziò il fruttivendolo. Prese la busta con le mele, ma Draco gliela strappò via dalle dita, brontolando, e si diresse verso il primo banco che vide.

La ragazza sospirò e si mise dietro l’orecchio la ciocca che le era sfuggita dalla coda. Quando aveva ricevuto la lettera dal Ministero, per poco non era scoppiata a ridere, convinta che quello fosse uno scherzo di pessimo gusto. Purtroppo, qualche ora più tardi, il Ministro le aveva dato la conferma del suo incarico. Quando lo aveva comunicato a Harry, lui si era soffocato con la Burrobirra che stava bevendo. Per fortuna, l’incarico sarebbe durato solo due settimane. Nemmeno il tempo di ambientarsi.

Credeva che Draco Malfoy non le avrebbe reso facile la convivenza ma, fino a quel momento, lui era stato una sorpresa. Si era lamentato solo quando era entrata nella sua camera; per il resto, si comportava come se lei fosse una semplice conoscente; certo, non le aveva risparmiato una buona dose di sarcasmo, ma era sempre meglio che essere insultata costantemente, cosa che, doveva ammetterlo, si era aspettata.

- Granger, ti vuoi muovere? – la richiamò Draco, a qualche passo da lei.

Hermione si riscosse e, alzando il mento, si diresse verso lui.

- Cos’altro dobbiamo prendere? – domandò Draco.

Lei sbuffò. – Verdura, pesce, spezie, formaggio… - iniziò, ma Draco la interruppe: - Sì, sì, va bene. Ci aspetta una fantastica mattinata a fare la spesa, ho capito.

- Malfoy, non è colpa mia se nessuno si è degnato di insegnarti che non sarai sempre servito e riverito…

Lui fece una smorfia. – I piani erano questi, prima che condannassero la mia famiglia, Granger.

- Be’, non è che fossero proprio innocenti…

- Tu sai quello che la gente mormora, Granger. La verità te la sogni.

- Io so quello che ho visto, Malfoy.

- Se ti dovessi giudicare in base a quello che vedo… - si interruppe quasi subito.

- No, infatti, mi hai giudicata per ben altro, ma, ti prego, illuminami anche su quello che vedi – sbottò, inviperita.

Aveva sperato che la guerra lo avesse cambiato e invece non era così: Draco era rimasto sempre lo stesso.

Per quanto tempo Hermione aveva combattuto contro quei pregiudizi? Aveva addirittura preso le difese degli Elfi Domestici perché sapeva cosa volesse dire sentirti diversi, inferiori. Le armi non le erano mancate: era stata la studentessa più brillante del suo anno, ma c’era sempre qualcosa che la penalizzava. E pensare che ora la gente credeva che fosse raccomandata, che il lavoro al Ministero glielo avessero regalato perché era stata al fianco di Harry Potter per anni.

- Non era quello che volevo dire.

- Mmh, invece io penso di sì, ma ne è passata di acqua sotto i ponti. Quello che pensi mi importa meno di zero. Ora, per cortesia, possiamo finire di fare la spesa? – non attese la risposta, si allontanò da lui, diretta verso il banco della verdura.

Draco la seguì, digrignando i denti. Maledizione, lei, per prima, aveva accusato ingiustamente la sua famiglia; lui aveva solo voluto ribattere, per dimostrarle che si sbagliava, ma era riuscito a rovinare tutto. Come al solito, l’aveva insultata; volente o nolente, qualsiasi cosa dicesse, agli occhi di tutti – agli occhi di lei – era un insulto alla sua persona.

Si avvicinò a Hermione e la osservò mentre, con aria critica, sceglieva quali pomodori prendere.

- Mi dia quelli più verdi – disse, infine.

 

 

Dopo quasi un’ora, finirono di fare la spesa; carichi di sacchetti, si avviarono ai Giardini e, superato un gruppo di bambini che giocava, Hermione si fermò di fronte alla statua di Peter Pan.

- Era da tanto che non passavo di qui – constatò, con voce mesta.

Draco non poté evitare di domandarle:

- Sai chi è?

La ragazza si voltò verso di lui, sorpresa dalla domanda, ma, dopo qualche istante, mascherò lo sgomento con l’espressione imbronciata di prima.

- Peter Pan.

- So ancora leggere, con buona pace di molti.

- È il personaggio di un libro per bambini – spiegò lei. – La storia narra di lui che vive in un’isola, l’Isola che non c’è, insieme ad altri bambini che, come lui, si sono rifiutati di crescere.

Draco soppesò l’informazione, poi, con tono incolore, domandò:

- E quell’esserino lì? – disse, indicando quella che somigliava a una ragazza minuscola, munita di un paio d’ali.

- È la fatina amica di Peter Pan; lui, grazie alla sua polvere magica e ai pensieri felici, riesce a volare – disse Hermione e lo guardò, aspettando una sua reazione. Draco non la deluse.

- Polvere magica e pensieri felici?

- Ah-ha.

Lui ci pensò su ancora qualche istante. – Babbanidisse, qualche secondo dopo, liquidando la questione.

 

§

 

- Granger, che cos’è quel… coso?

- Pollo.

- Ha lo stesso odore di Potter dopo una partita di Quidditch.

- Ed è unto allo stesso modo!

 

§

 

La mattina seguente, Hermione uscì dall’appartamento alle nove e intimò a Draco di rimanere a casa e non uscire per nessun motivo. La dimora era intrisa di incantesimi che lo avrebbero protetto.

Lui ribatté che, dopo la cena del giorno prima, non sarebbe stato capace nemmeno di rotolare fuori dall’appartamento.

Lei, in risposta, sbatté forte la porta.

Draco approfittò dell’assenza della ragazza, salì nella sua stanza, e rimase sorpreso di non trovare nessun incantesimo a sigillare l’uscio. Entrò con cautela, osservando attentamente lo spazio circostante.

Il borsone era ancora mezzo pieno. Sopra il comò giacevano una spazzola – che non usava, era abbastanza certo di questo; i suoi capelli erano ingarbugliati anche per delle setole di legno – un libro e una sciarpa. Il letto era intatto, a terra non c’era nulla, tranne un pezzo di carta, che Draco non considerò; osservò, invece, le due cornici che occupavano la superficie del comodino accanto al letto.

La prima foto ritraeva Hermione con Harry Potter e Ron Weasley: di sicuro era stata scattata dopo la fine della Guerra. I loro volti erano sereni e tutti e tre sorridevano felici. Nell’altra c’erano Hermione e altre due persone che Draco identificò come i suoi genitori: la donna era la copia esatta di Hermione mentre l’uomo aveva trasmesso alla figlia lo stesso sorriso a metà bocca.

Chissà se i genitori della Granger sapevano dove si trovasse in quel momento la loro figlia.

Draco si riscosse dai suoi pensieri e decise di uscire da quella stanza. La ragazza gli aveva detto che sarebbe stata di ritorno abbastanza presto, quindi non voleva farsi trovare lì, a frugare fra le sue cose.

Tornò in soggiorno e accese il televisore, l'apparecchio era sintonizzato su un programma che parlava di come curare un furetto ferito. Draco fece una smorfia e cambiò canale, come gli aveva insegnato Potter. Tornò indietro di due o tre canali. Hermione, però, tornò prima che lui potesse interessarsi al contenuto della trasmissione.

- Granger, hai fatto presto – constatò lui.

Lei non gli rispose e lo osservò. – Dovrei scattarti una foto – disse, qualche secondo dopo.

- Prego?

- Il rampollo dei Malfoy con un telecomando in mano, mentre guarda… - Hermione si voltò verso la televisione e per poco non scoppiò a ridere. – Ero incinta e non lo sapevo!

Draco guardò, agghiacciato, lo schermo e, appena vide una donna con in braccio un bimbo, si affrettò a cambiare canale.

- Stavo facendo, ehm, zamping – spiegò.

- Zapping – lo corresse, ghignando.

- Sì, quello – borbottò. Purtroppo non si era appuntato tutte le parole che Harry Potter gli aveva detto… a dire la verità, non le aveva nemmeno ascoltate tutte.

Hermione lasciò la borsa vicino all’ingresso e si avviò in cucina, tra le mani teneva un libro voluminoso.

Draco spense il televisore e si affrettò a seguirla, sbirciando il titolo del volume che Hermione aveva appena posato sul tavolo.

- Cucinare non è mai stato così semplice? – domandò, guardandola.

Lei arrossì e si schiarì la voce. – Sì, ehm, ti sei lamentato che non so cucinare e, insomma, mmh, è vero, per cui…

- Oh.

- Già.

- Be’, nemmeno Hermione Granger sa fare tutto. Insomma, cucinare. Non te ne faccio una colpa, sai, c’è chi mi ha dato dello stronzo, borioso e buono a nulla perché non cucinavo, ti capisco – la scimmiottò.

- Io almeno ci provo.

- Il risultato è sempre lo stesso, anzi, se devo essere sincero, almeno il mio, di risultato, non rischia di uccidermi.

- Non esagerare – borbottò lei. – Era solo un po’…

- Velenoso? Ad alto contenuto cancerogeno? Concime per piante?

Lei alzò gli occhi al cielo. – Come sei drammatico. Ho mangiato di peggio.

- E io di meglio, ma non puoi punirmi in quel modo. È crudele.

Hermione sorrise, tamburellando le dita sulla copertina in cartone del libro.

- Va bene – disse, alla fine. – Mi impegnerò per farti mangiare qualcosa di commestibile, ma, sia chiaro, lo faccio per non sentirti più lamentare che il mio cibo ti procurerà eccessi di grasso o problemi al fegato.

- Grazie, Salazar – mormorò Draco.

 

§

 

- Granger, nella ricetta c’è scritto due manciate di sale. Tu ne hai messo tipo mezzo barattolo – notò Draco.

Hermione si asciugò le mani sul grembiule che indossava. – A me piace la roba salata, Malfoy. Se il tuo palato non gradisce, be’, me ne farò una ragione.

- Credo che tutto il resto del genere umano non gradisca. Weasley non ti dice niente sulle tue dosi di sale o ubbidisce come al solito? - Draco buttò lì la domanda, senza nemmeno accorgersi di aver nominato Lenticchia.

Hermione, però, se ne accorse e si lasciò scivolare dalle mani il cucchiaio di legno con cui stava mescolando la pasta. I suoi occhi si appannarono per un attimo. Hermione raccolse il cucchiaio da terra e lo sciacquò.

Fino a qualche secondo prima, la ragazza canticchiava una canzone delle Sorelle Stravagarie, mentre Draco leggeva distrattamente il volume di Pozioni del settimo anno. Ora, invece, si era zittita e fissava, senza vederla, la schiuma nella pentola in ebollizione

Draco cercò di capire perché lei avesse reagito così nel sentir nominare Weasley. Per quel che si ricordava, dopo la fine della Guerra e poco prima che lui entrasse ad Azkaban, i due stavano ancora insieme.

Si schiarì la gola, ma lei non si voltò né diede segno di averlo sentito: continuava a fissare con insistenza il contenuto della pentola.

- Granger?

 Hermione non rispose.

- Granger? – Draco alzò il tono della voce e lei sobbalzò.

- Sì? – domandò.

- La pasta.

- Ah, certo – mormorò lei e spense il fornello.

Prima di riuscire a prendere la pentola, le presine le scivolarono dalle mani due volte. Alla fine Draco si alzò e, dopo averle tolto dalle mani i pezzi di stoffa, scolò la pasta e la divise in due porzioni, poi aggiunse due cucchiai di sugo, come c’era scritto nel libro.

Quando ebbe preparato i piatti, si girò verso di lei e notò che si era seduta, con le mani in grembo.

- Allora, Granger, finita la trance? – le domandò, portando il cibo a tavola.

- Mmh? – lo guardò Hermione.

Draco sbuffò e spinse il piatto più vicino a lei. – Niente. Mangia.

 

§

 

 

Note:

1-    Peter Pan Statue

La os, ovviamente, non è finita  qui. Era troppo lunga, quindi ho deciso di dividerla in due parti. Massimo dieci giorni (spero che arrivi in molto meno, visto che è già finita!) posterò la seconda parte. Nel frattempo, spero che l’inizio vi sia piaciuto.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


All’alba del quinto giorno, Draco Malfoy si svegliò verso le quattro del mattino; il freddo si era insinuato sotto le coperte e quel misero plaid non bastava a proteggerlo. Potter gli aveva mostrato che nell’armadio in mogano situato nel corridoio poteva trovare i piumoni, quindi Draco si costrinse ad alzarsi e, dopo aver ripescato un maglione dal pavimento, scese le scale.

Si accorse che, nonostante il freddo, il suo stomaco pretendeva del cibo, perciò sorpassò l’armadio e si diresse in cucina. Hermione non gli faceva mangiare cereali da giorni; ogni volta che Draco provava ad afferrare la scatola, anche solo per fare merenda, lei gli diceva che poteva benissimo mangiare altro. Ormai a colazione mangiava pane imburrato o con la marmellata, lo stesso di cui si saziava lei; confezioni di burro e marmellata occupavano gran parte del frigorifero e non sembrava essere un problema.

Draco aprì piano la credenza e tirò fuori la scatola colorata, versò un po’ di cereali in una scodella e ci aggiunse del latte. Prese un cucchiaio, la ciotola e si avviò in soggiorno. Poteva sedersi sul divano e guardare un po’ di tv.

Si accomodò o almeno così pensò, dato che non quest'ultimo non avrebbe mai potuto cacciare un urletto. Lo aveva fatto la persona stesa su di esso.

- Maledizione, Malfoy! Quello è il mio sedere!

Draco si alzò con uno scatto. – Granger! Non essere indignata, il tuo deretano è comodo come il divano, sai…

- Stronzo.

- Questo lo avevamo già appurato. Di grazia, che diamine ci fai sul mio divano? – domandò, cercando tentoni l’interruttore della luce. Posò la scodella sul tavolino basso e continuò a tastare la parete.

- Tuo quando te lo compri… - borbottò l’altra. In quell’istante la luce illuminò la stanza, permettendo a Draco di vedere la ragazza, stesa sul divano, che si copriva il viso con un plaid a quadri.

- Insomma? – incalzò lui, qualche secondo dopo.

- Al piano di sopra fa freddo – mormorò lei, togliendosi la coperta dal viso e puntando gli occhi gonfi di sonno sopra la figura del ragazzo.

Draco ghignò. - Provvederò a riscaldare l’ambiente con qualche incantesimo ripetè le parole che Hermione aveva pronunciato qualche giorno prima.

Lei sbuffò e tornò a coprirsi la testa. – Adesso lasciami dormire, è ancora presto.

Il ragazzo non se lo fece ripetere e, afferrata la sua tazza colma di cereali, se ne tornò nella sua stanza.

 

§

 

- Malfoy, perché, mentre ero via, tutta la mia roba è stata spostata nella tua stanza?

- Perché, nonostante tu sia la strega più brillante del nostro anno, non sei in grado di produrre un incantesimo che riscaldi l’ambiente. Fra parentesi, non credo esistano incantesimi del genere.

- Ma…

- Niente ma, il tuo sedere non è davvero così comodo come ti ho detto.

 

§

 

Passata una settimana, un gufo picchiettò alla finestra di Draco Malfoy. Di sicuro era un gufo del Ministero, un pennuto così piccolo e così irritante poteva solo appartenere a esso. La totale prova di ciò si palesò quando, dopo aver sfamato il volatile, Draco si accorse che la lettera non era destinata a lui, bensì a Hermione Granger.

- Stupido pennuto – borbottò.

Prese la lettera e la posò sul tavolo, dove sarebbe rimasta se non si fosse accorto che portava il sigillo del Ministro: ergo, la lettera proveniva proprio da lui.

La prese fra le mani e, dopo averci pensato qualche minuto, si decise ad aprirla.

Era una lettera piuttosto lunga, dove l’aggiornava su Harry Potter e Ron Weasley - da quanto aveva capito, erano impossibilitati a contattarla - e sul suo ufficio. Saltò interamente quella parte e lesse le ultime righe.

 

In tono del tutto confidenziale ti chiedo: come stai? Ti trovi bene lì? So che la decisione di mandarti nella Londra Babbana è stata presa così in fretta che a malapena hai avuto il tempo di obbiettare, ma adesso ho degli Auror liberi. Non sono gli stessi che aveva prima Draco Malfoy, ma possono sempre sostituirti nel caso tu ne abbia bisogno.

Fammi sapere il più presto possibile!

 

Draco strinse le dita attorno alla carta e, mentalmente, imprecò.

Hermione non doveva andarsene. L’aveva appena ritrovata! Lui aveva passato anni a rincorrere quella stupida fantasia dove forse lei un giorno l’avrebbe visto. Come si vede una persona, come la si vede per quello che è davvero. Sei anni passati a camminare su un terreno fatto di chiodi, dove anche il minimo sbaglio doveva essere ripagato col suo stesso sangue.

Poi, alla fine del sesto anno, il declino. La sensazione di essere complice, la paura della morte, il terrore di non poter vivere serenamente nemmeno nella propria casa. Era stato certo di non poterla più vedere, di aver perso ogni possibilità, di averla persa. Invece, uno di quei giorni grigi – quei giorni tutti uguali, tutti caratterizzati dalla stessa paura di sottofondo – era comparsa insieme a Potter e Weasley nel Manor; per un momento, era stato contento: l’aveva vista; anche un solo sguardo alla sua figura pallida e scarna gli aveva sollevato il morale.

Qualche minuto dopo, Draco aveva desiderato solo morire: le grida di lei si erano propagate per tutta la casa e, come se avessero impregnato i muri, ogni volta che Draco camminava per quei corridoi riusciva ancora a udirne l’eco.

Ora lei era lì, con lui, e avrebbe fatto di tutto pur di non perderla, di nuovo.

Doveva far sparire quella lettera, subito. Hermione non doveva leggerla. Se il Ministro avesse mandato, in un futuro prossimo, un’altra lettera ove gli chiedeva della precedente, lei avrebbe detto che non l’aveva ricevuta. Fatto probabile, dato che quel gufo aveva consegnato la lettera a lui; poteva benissimo averla recapitata a qualcun altro, no?

 

§

 

La mattina dell’ottavo giorno, Draco trovò Hermione in cucina; stava scribacchiando su un foglio e un cipiglio concentrato le dava un aspetto fin troppo serio. Quando la ragazza si ritenne soddisfatta, raddrizzò le spalle e portò alcune ciocche dietro l’orecchio. Prese il foglio e con un pezzo di scotch magico lo attaccò alla parete.

Draco si avvicinò per vedere che cosa avesse scritto, la prima parola che attirò la sua attenzione fu: Dieta.

- Granger?

- Sì? – il rumore delle stoviglie accompagnò la sua risposta.

- Che cos’è questo coso?

- Oh, la mia dieta!

- Eh? – fu tutto quello che gli venne in mente per replicare.

- Mi serve per dimagrire, Malfoy. Vorrei poter indossare una gonna per la fine dell’inverno.

- Eh?

Hermione non gli rispose e posò sul tavolo il necessario per fare la colazione. Draco notò un barattolo scuro e lo prese fra le mani, se lo rigirò fra le dita chiare e poi si decise a domandare:

- E questo?

Lei si voltò e notò il barattolo che stringeva. – Marmellata senza zucchero – rispose.

Draco ebbe il buon gusto di non commentare, sollevò un sopracciglio e trattene in gola i dubbi che gli erano sorti.

Si era promesso che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe trovato il modo di farla rimanere lì. Contestare le sue decisioni non sarebbe stato d’aiuto.

Spalmò il burro sul pane in cassetta e si versò un po’ di caffè; finirono la colazione in assoluto silenzio, ma nessuno dei due osò alzarsi. Di solito, dopo aver bevuto l’ultimo sorso di caffè, Hermione era già in piedi, pronta per fare la spesa e qualche commissione. Quel giorno, invece, lei tentennava.

- Allora, oggi? – chiese Draco.

Hermione fece per aprire la bocca, ma esitò. Si morse pensierosa un labbro, con la punta dei polpastrelli carezzava il legno del tavolo.

- Credo che… rimarrò a casa – rispose infine.

- Ok – fu la prima risposta che gli venne in mente.

Un altro minuto di silenzio. Gli occhi di Hermione osservavano la stanza, come se fosse la prima volta che vedevano quell’abitacolo. Lo sguardo si soffermò sul frigorifero, poi tornò al tavolo e infine fissò insistentemente l’orologio appeso alla parete. La ragazza fra le mani stringeva il manico della tazza; premeva sul coccio scuro, le nocche quasi bianche per lo sforzo. Per un momento abbassò lo sguardo su Draco – uno sguardo attraversato da un lampo di colpevolezza che illuminò, proprio come una vera luce, i pensieri del ragazzo - poi tornò sull’orologio.

- Aspettiamo qualcosa? – fece lui.

Hermione si morse l’interno di una guancia.

- … Qualcuno? – ritentò.

- Non proprio – mormorò lei. Guardò l’orologio, poi Draco.

Draco aveva capito che Hermione cercava di guardare l’orologio per evitare qualcos’altro; d’altronde, aveva visto anche sua madre fare la stessa identica cosa. Narcissa non gli diceva mai nulla, lo proteggeva come se avesse ancora undici anni e quando alla fine era arrivato il momento di abbandonarlo, l’unica cosa che era riuscita a dirgli era stata: “Comportati bene”. Anche dopo una sentenza che l’aveva condannata, anche dopo la fine della guerra, anche dopo il declino di suo padre – di suo marito – lei manteneva quel suo contegno austero, lo stesso che le aveva permesso di non crollare mai, nemmeno una volta.

Draco si alzò, posò la tazza nel lavabo e si trascinò fino al divano. Non sarebbe resistita a lungo, da quello che aveva compreso su di lei, sapeva bene che l’ozio la faceva impazzire. Hermione doveva fare qualcosa, mai stare con le mani in mano.

Lui si stravaccò sul divano in pelle e attese.

Il televisore era accesso, ma il ragazzo non lo ascoltava veramente. Udiva a malapena i rumori di Hermione, che in cucina sistemava le stoviglie e chiudeva gli sportelli della credenza.

Qualche minuto dopo, la ragazza si palesò in soggiorno e si andò a sedere vicino a lui. Ritta, con le spalle contratte, fissava le immagini che il televisore le proponeva. Batteva la punta del piede sul parquet chiaro mentre chiudeva e apriva la mano destra.

- Ok, basta – esalò cinque minuti dopo. – Non posso farcela ancora per molto. Stare qui a non fare nulla mi sta uccidendo, ma, d’altronde, non posso uscire.

Draco si concentrò sullo schermo. Odiava quel coso Babbano, inutile e anche inopportuno.

- Perché?

- Aspetto una lettera.

Il corpo di lui si irrigidì. – Da chi? – domandò in un sussurro.

- Dal Ministero, il che non è nemmeno un problema, sapevo che prima o poi mi avrebbero contattata. Effettivamente, il problema non è la lettera – disse infine.

- Granger, stai forse impazzendo? – si voltò verso di lei, una smorfia dipinta in volto.

- Ok, allora, la lettera c’entra poco. Secondo te, se il Ministero dovesse mandare un Auror in questa zona per incontrare una persona, ecco, uhm, poi nello stesso giorno mandasse una lettera a una persona che vive in questo quartiere – non la stessa persona che doveva incontrare l’Auror - quante probabilità ci sono che l’Auror consegni la lettera a quella persona? Il Ministero sarebbe più sicuro della consegna, no? Insomma, due piccioni con una fava!

- Due piccioni con una fava? Granger, stai delirando, maledizione.

- È un modo di dire Babbano, Malfoy – lo liquidò. – Ecco, molto probabilmente questa lettera mi arriverà per mano dell’Auror, quindi non posso muovermi da casa. Devo rimanere qui e aspettare il suo arrivo. Non lo credi anche tu?

I matti vanno assecondati, gli aveva detto una volta sua madre.

- Fa’ un po’ come ti pare.

Tornò a fissare il televisore, conscio che quello fosse l’unico momento per porre quella domanda.

- Problemi in paradiso fra te e Weasel?

Lei sussultò e puntò i suoi occhi sgranati su di lui. – C-Come?  

- Oh, beh, insomma, Granger. Dopo la scenetta dell’altro giorno, mi pare ovvio che l’Auror di cui parli è Lenticchia.

Hermione aggrottò le sopraciglia per qualche secondo, spostò lo sguardo dall’altra parte della stanza, poi tornò su di lui.

- È vero, è Ron – ammise infine. – Il Ministro mi aveva detto che entro oggi avrei ricevuto una sua lettera e, beh, il resto della storia lo sai.

Entro oggi avrei ricevuto la lettera. Draco non si scompose dopo aver udito quelle parole; solo la vena sul suo collo pulsava, ma non per l’agitazione di esser scoperto, più per la rabbia che provava in quel momento.

- Allora… - si sforzò di non ringhiare. – Non vuoi incontrare Weasel?

Lei fece un segno di diniego.

- Posso chiederti il perché?

- Be’, diciamo che non ci siamo lasciati nel migliore dei modi… insomma, lui ha lasciato me e io ho fatto una scenata pazzesca, di cui mi vergognerò per i prossimi dieci anni o giù di lì – schioccò la lingua in segno di disapprovazione. – Mi sono comportata in modo patetico e sto continuando a farlo.

Quando finì di parlare, si voltò verso di lui, come per chiedere il suo parere.

- Vuoi sapere cosa ne penso?

- Se non è di troppo sforzo per le tue corde vocali – lo canzonò.

- Come mai ti ha lasciata? – domandò invece.

Hermione lo trafisse con un’espressione significativa; Draco, guardandola in volto, capì che lei aveva lo sguardo velato di angoscia repressa, quella che si sfoga da soli, quando si è a letto e nessuno può vedere o sentire. In quel momento, gli occhi di Hermione trasmettevano una tristezza rassegnata. Draco poteva quasi sentire il sapore agrodolce del sentimento tanto era magnetico il suo sguardo.

- Mi ha detto che era convinto di essere innamorato, poi però ha capito che l’affetto che provava per me era qualcosa di fraterno. Sai, tutta quella roba della guerra… La scusa migliore per scaricare una ragazza: dirle che quello che avete condiviso ha trasformato il tuo amore in amicizia. 

- Be’, la scenata non è stata una cosa molto ragionevole – osservò Draco, ghignando.

- Gli ho fatto una scenata perché il giorno dopo l’ho visto baciare la Patil!

- Quale delle due?

- Non ne ho idea e non mi interessa.

- Be’, Granger, se ci pensi bene la scenata è stata inappropriata comunque. Lui ti aveva detto che non era innamorato, quindi era libero di baciare chiunque.

- E i miei sentimenti?

- Non è che un ragazzo può sempre pensare ai sentimenti della sua ex, Granger.

- Malfoy, – lo richiamò lei. – Stai dando ragione a Ron Weasley.

Draco si bloccò, la mano che giocherellava col telecomando ferma a mezz’aria.

- Si è veramente meritato quella scenata – disse qualche secondo dopo il ragazzo.

§

 

 

 

Mancavano tre giorni.

Tre giorni e lei se ne sarebbe andata.

Dal giorno della chiacchierata su Weasley, non avevano più parlato di lei o di quello che le era accaduto dopo la guerra. A dire la verità, si erano parlati poco. Lei, agitata per la lettera che non l’era arrivata – qualcosa simile al senso di colpa aveva pizzicato Draco, ma lui l’aveva messo a tacere - aveva scritto al Ministro, ma lui non le aveva ancora risposto.

Si era arrovellata per giorni, fino a pensare che il Ministro fosse così occupato da non trovare il tempo di risponderle.

Quel giorno finirono di fare la spesa, poi tornarono a casa scegliendo di attraversare i Giardini. Il vento trasportava le foglie sul terreno e procurava un gradevole rumore di sottofondo, non il solito fischio impetuoso.

 I sacchetti colmi di cibo occupavano le mani di entrambi. Hermione non lo aveva detto esplicitamente, ma Draco era abbastanza certo che avesse fatto tutta quella spesa in previsione della sua partenza, sapendo che lui sarebbe tornato ai soliti cereali con qualche goccia di latte.

- Sediamoci un momento – esalò lei.

Si sedettero su una panchina, forse la stessa dove si era steso Draco molti giorni prima, visto che da lì potevano vedere la statua di Peter Pan.

Hermione cercò di spostare i capelli che le erano ricaduti sul viso a causa del vento, ma era inutile: i riccioli continuavano a infastidirla.

Draco osservò il suo profilo: il naso piccolo, le guance un po’ scavate, gli occhi socchiusi per impedire all’aria che soffiava di farli lacrimare. Non voleva azzardare troppo ma, rispetto alla figura scarna che aveva trovato davanti l’uscio dell’appartamento qualche giorno prima, quella era un’altra persona; sembrava più rilassata, serena… a suo agio con quello che la circondava.

Forse era stato il ritorno nel mondo Babbano.

Ma tanto se ne sarebbe andata.

Tre giorni.

Socchiuse gli occhi ed espirò bruscamente. Chi voleva prendere in giro? Si era convinto che far sparire quella lettera sarebbe bastato per farla restare e invece eccola lì, pronta ad andarsene il prima possibile.

Non sarebbe rimasta certo per lui: Hermione aveva la sua vita, più importante di qualsiasi compito o lavoro.

Lei non aveva un motivo reale per restare e di certo lui non era in grado di fornirglielo.

Hermione si voltò, poi mormorò:

Malfoy… - forse voleva dirgli qualcosa di importante o magari qualcosa di così futile che sarebbe stato inutile anche solo pensarlo, ma Draco non ebbe il tempo – la volontà - di udirla.

In mezzo secondo annullò la distanza che c’era fra lui e lei, posò le labbra su quelle di Hermione, morbide e fredde. Premette piano, ma con una punta di insistenza; le labbra di Hermione erano ancora socchiuse, memori di quelle parole non pronunciate. Draco provò l’impulso di alzare una mano e carezzarle quella guancia liscia, ma si contenne: capiva quanta distruzione – su se stesso – avrebbe recato quel bacio: un altro gesto, seppur di minore importanza, non avrebbe migliorato le cose.

Improvvisamente si scostò dal volto di lei, giusto in tempo per ricevere in pieno viso il suo schiaffo.

- Malfoy, ma che diamine fai? – gridò lei. Era sconvolta, la bocca semiaperta per lo stupore, le gote arrossate per la vergogna e gli occhi umidi per il vento.

Era bellissima.

Quel pensiero lo colpì come il dolore di quello schiaffo.

Gli occhi di lei lo fissavano frenetici, alla ricerca di una spiegazione che non ebbe. Draco chinò il capo, i sottili capelli biondi a nascondere lo sguardo agitato – agitato perché quel breve contatto aveva smosso qualcosa dentro di lui, come se tutti i suoi organi avessero cambiato posto.

Si alzò dalla panchina, con uno scatto si allontanò da lei, le voltò le spalle e si incamminò verso il più lontano possibile da quella panchina – e da quel bacio.

 

§

 

Si era maledetto più di una volta in quella vita che non aveva mai saputo sfruttare.

Si era maledetto perché aveva scelto il male.

Si era maledetto perché aveva scelto i pregiudizi.

Si era maledetto perché era nato nell’oro, ma aveva sempre dimostrato di meritare solo melma.

Si era maledetto perché aveva baciato Hermione Granger, senza spiegarle il motivo di quel gesto così avventato. Avrebbe dovuto dirle che non l’aveva mai dimenticata, che non l’aveva mai odiata per il sangue, ma perché lei si era mostrata più brava di lui, in quel mondo che a lei era stato donato e a lui solo impartito.

I tre giorni che rimasero li passarono a far finta che l’altro non esistesse; Hermione non aveva fatto domande – di sicuro sapeva che Draco non avrebbe trovato le risposte – e si era limitata a fare le commissioni senza di lui.

Quando, all’alba dell’ultimo giorno, un gufo si presentò alla finestra della ragazza, Draco fu indeciso se maledirsi di nuovo o maledire qualsiasi Dio esistesse. Il gufo recapitò una lettera da parte del Ministro della Magia, dove quest’ultimo le chiedeva se poteva rimanere un’altra settimana – al massimo dieci giorni – con Draco Malfoy, poiché tutti gli Auror erano stati richiesti in una missione della massima importanza.

Hermione Granger piegò il foglio con assoluta calma, lo infilò nella tasca posteriore dei suoi jeans e si sedette sul letto.

Un’imprecazione le irruppe dalle labbra, a voce alta, forse senza accorgersene, dato che la udì anche Draco. Incuriosito, si presentò alla porta della ragazza e non ebbe bisogno di chiederle il perché di quell’esclamazione.

- Rimarrò qui qualche altro giorno.

La vista di Draco si offuscò, per poi tornare normale. Evidentemente era destino: si meritava quella notizia. Era stato avventato nel baciarla così, senza alcuna parola che lasciasse intendere le sue intenzioni: ora ne pagava le conseguenze.

Guardò Hermione, che ricambiò lo sguardo, strinse i pugni e si graffiò i palmi con le unghie, cercando di arginare la rabbia che gli stava montando dentro. Se avesse visto quella scena dall’esterno, come spettatore, avrebbe riso di cuore; la verità era che quella situazione era surreale: lui l’aveva baciata, donandole un ricordo che non avrebbe mai avuto se avesse aspettato. Venire a sapere che era stato inutile farla adirare perché sarebbe rimasta ancora – giorni fra l’Inferno e il Purgatorio – lo faceva imbestialire.

Hermione si accorse del suo nervosismo e fraintese: - Tranquillo, chiederò al Ministro di farmi sostituire, troverà qualcuno.

- Come al solito non hai capito niente – pronunciò a bassa voce.

La ragazza inarcò le sopracciglia:

- Scusa?

- D’altronde non hai mai capito niente, maledizione!

- Ti ho detto che me ne andrò, smettila di insultarmi!

Draco serrò le palpebre e sbuffò spazientito. Quel suo tono gli faceva venire voglia di tirare un pugno a qualcuno.

- Secondo te perché ti ho baciata? – mormorò, ma Hermione la udì chiaramente.

Arrossì e strinse fra le mani il tessuto dei jeans. – Non lo so.

- Di solito perché le persone si baciano, Granger?

Stavolta lei boccheggiò, ma si riprese in fretta.

- Malfoy, cosa stai cercando di dirmi?

- Non voglio che tu te ne vada.

 

§

 

Nel momento stesso in cui Hermione Granger uscì dalla porta di quell’appartamento, Draco Malfoy provò una sensazione d’abbandono così forte che, d’istinto, si portò una mano sul cuore e strinse la stoffa che copriva la pelle. Per fortuna, quel dolore se ne andò in fretta e ne rimase solo l’eco: un ronzio basso nelle sue orecchie.

Entrò in cucina, carezzò il ripiano in alluminio finché la punta delle dita non incontrò la costa del libro che aveva comprato Hermione. Dopo averlo aperto, senza leggerlo realmente, lo scagliò con forza dall’altra parte della stanza.

Draco a malapena udì il tonfo che quello produsse finendo contro il muro. Il ronzio nelle sue orecchie – ancora dolore – era assordante.

 

 

§

 

Non riusciva più a fare nulla senza pensare a lui. La notte, quando si coricava in attesa che il sonno la staccasse per qualche ora dai suoi pensieri, si domandava cosa sarebbe successo se fosse rimasta. Alla fine, se ne era andata perché lui l’aveva baciata e non per altro: non aveva mai avuto l’intenzione, prima di quel gesto, di lasciarlo.

Si girò su un fianco. Le coperte erano maledettamente fredde.

Non voglio che tu te ne vada.

Nemmeno io l’ho mai voluto.

Quando una chiesa, in lontananza, fece suonare le campane per la messa della domenica mattina, Hermione era già in piedi, vestita e con la bacchetta in mano pronta a smaterializzarsi.

 

§

 

Tornare alla solita routine fu piacevole, sotto certi punti di vista. Il suo stomaco si oppose ai cereali, oramai abituato a carne e pesce; Draco fu sollevato di non doversi più svegliare alle sette e di poter stare tranquillo nel suo appartamento, riposandosi e facendo zapping.

Gli Auror che gli erano stati assegnati erano meno svegli di quelli precedenti, ma erano più inclini a lasciargli fare quello che voleva: forse, al Ministero, si erano resi conti che la sua vita valeva a malapena uno zellino.

Ripescò il libro di Pozioni, quello del settimo anno, e lo sfogliò svogliatamente, cercando di memorizzare qualcosa, con scarso successo. Con uno scatto del polso chiuse il tomo e si alzò, afferrò il giaccone che giaceva su una sedia e si chiuse l’uscio di casa alle spalle.

Con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, si allontanò lungo la strada e superò il cancello che si apriva sui Kensington Gardens. Non tirava vento e, strano a dirsi, c’era il sole e un cielo azzurro e limpido. Superò una scolaresca e svoltò a destra, diretto alla sua panchina; purtroppo, però, la trovò occupata e dovette accontentarsi di quella di fronte.

Sapeva benissimo che Hermione se ne era andata perché aveva avuto paura. Non di lui, ma di quello che sarebbe potuto succedere continuando a stare vicini; più di una volta aveva provato a sognare un futuro che coinvolgesse lei, ma non era riuscito a dargli una consistenza finché non aveva visto che Hermione, effettivamente, si trovava bene in quell’appartamento e che era rilassata nonostante il compito che doveva svolgere.

Dopo una settimana, Draco si chiedeva se fosse ancora possibile riuscire a vederla un’ultima volta, se lo chiedeva da giorni, ormai.

Il vento soffiava impetuoso, ignaro dei pensieri che si accumulavano nella mente del ragazzo: tanti forse, altrettanti se.

Forse avrebbe dovuto sorprendersi di vedere il suo cappotto e la sua figura esile che si avvicinavano, qualche minuto dopo. O forse, non ci credeva nemmeno lui a quello che vedeva.

Quando lei, infine, gli si parò davanti, lui fece un sorriso mesto.

- Sei tornata, Granger?

Lei non rispose, abbassò la sciarpa che le copriva la bocca e il naso e deglutì.

- Lo prendo per un sì?

- Non so se resterò, MalfoyDraco sapeva che non si riferiva al suo incarico, al tempo che doveva trascorrere con lui per lavoro. No, si riferiva ad altro.

Stavolta il suo sorriso fu sincero. – Ti sottovaluti?

- Non abbastanza, dato che sono tornata.

Draco si alzò e fece un passo avanti, accorciando le distanze fra loro.

- E tu resterai? – gli domandò Hermione.

Imparerai, Granger, che è una fossa dalla quale è difficile andarsene.

- Sono un Malfoy, io non mi sottovaluto mai.

Lei sorrise e si guardò intorno a loro. – Gli Auror si staranno chiedendo perché sono qui.

Draco posizionò le mani intorno al viso di lei, le scostò i capelli ricci dal viso e si avvicinò così tanto che le punte dei loro nasi si incontrarono.

- Dovremo dargli una risposta, allora – le rispose.

E la baciò, cosciente che lei non si sarebbe tirata indietro, che sarebbe rimasta.

 

§

 

Note:

 

- Il titolo è preso da un singolo dei Three Days Grace: Over and over

 

 

Ringraziamenti:

 

Bene, direi che è d’obbligo ringraziare per prima la mia Consulente narrativa, Anpuccia Senior (Padre ti chiama così, sei stata ribattezzata) che mi ha spronata a finire questa OS infinita. Grazie cucciola, ti devo questo e molto altro (pure dei soldi, già). Loviù!

Grazie alla mia Beta-Magnifica-Santa-Subito - per voi Venenum - che mi ha insegnato il valore dei lamantini e del fegato dei miei personaggi. E che ha associato un animale per ogni personalità di Hermione (Credo ti manchino i rettili e li hai usati tutti!). Thanks, honey .

E grazie anche a poison spring (non mi va di fare il collegamento ipertestuale, sarai nominata e basta U_U), perché è una vacca, perché ha un gatto bellissimo, perché non è più bionda e perché è mia MaTre.

Credo di aver finito, con questa OS non ho più creazioni in cantiere, quindi non mi farò sentire per un po’ XD. Ringrazio chi ha recensito la OS che ho postato qualche settimana fa (o forse mese? Non ricordo, lol): appena il mio deretano non mi peserà più avrete delle risposte decenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

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