I'm always with you

di StregaSenzaCuore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pain and cinnamon muffins ***
Capitolo 2: *** I take to work ... and to live ***
Capitolo 3: *** Letter to Trent ***
Capitolo 4: *** Tombs and illusions ***
Capitolo 5: *** Scents and memories ***
Capitolo 6: *** Strange visions ***
Capitolo 7: *** Tell me about her ***
Capitolo 8: *** Unexpected news. ***
Capitolo 9: *** Kiss on the cheek. ***
Capitolo 10: *** I hope you can wait. ***
Capitolo 11: *** You wanna come with me? ***
Capitolo 12: *** Who is he? ***



Capitolo 1
*** Pain and cinnamon muffins ***


Urlavo.
Mentre la bara veniva lentamente coperta di terra, mi disperavo come non avevo mai fatto.
Nessuno osava dire nulla. Nessuno che mi mettesse una mano sulla spalla, che mi abbracciasse, o che semplicemente mi facesse le condoglianze.
Il silenzio, al cimitero, interrotto dalle mie urla e dal mio pianto incontrollabile.
Altre cento persone dietro di me, e solo due, di cui un morto, davanti. Il vivo lanciava acqua benedetta sopra la terra che a poco a poco copriva la bara del mio defunto marito.
L’uomo che ho amato con tutta me stessa per soli sette anni.
Con cui avrei voluto avere un figlio, una casa, un cane, e tanta felicità. Solo l’ultima di queste cose siamo riusciti ad avere.
Ma adesso che se n’è andata pure quella, cosa mi è rimasto con Duncan? Cosa mi è rimasto di tutto l’amore che ho sempre provato per lui e per lui solo? A cosa mi ha portato l’amore nei suoi confronti? Perché ho dovuto amarlo con tutta me stessa per poi vederlo sparire?
Chissà per quale ragione, sarà stata la disperazione, sarà stato il dolore che mi riempiva fino a farmi male cominciai a urlargli brutte parole.
-Bastardo! Come hai potuto lasciarmi così? Che n’è del nostro futuro? Come vivrò adesso? Bastardo egoista! Non hai pensato a me? Alla tua famiglia, ai tuoi amici? Perché Duncan? PERCHE’?- Caddi in ginocchio e ripresi a urlare, portando le mani sul volto, forse per coprire gli occhi e le orecchie e proteggermi da quello che mi stavano comunicando. Forse per fingere che fossero le sue mani, a rassicurarmi. Forse perché non trovavo nulla che potesse farmi sentire meglio.
Perché Duncan? Perché hai appeso quella corda? Perché hai fatto un cappio e gli hai infilato la testa? Perché hai mollato un calcio allo sgabello? Perché non ti ho trovato in tempo, abbastanza da fermarti?
Perché ho dovuto amarti tanto, quando di me non ti importava niente, almeno non abbastanza da voler vivere per me?
Queste domande mi rimbombavano nella testa, mentre il prete faceva l’ultimo saluto a mio marito, che se n’era andato, lasciandomi vedova.

 

                                                                                                        …
 

-Gwen, sono passati due mesi, non puoi restare chiusa in casa per sempre. Prima o poi il proprietario verrà e ti caccerà fuori se non trovi al più presto un lavoro.- Diceva Bridgette, al telefono. Ormai telefonava ogni giorno, tentando di convincermi a farmi uscire.
Una volta ci avevo provato. Ero arrivata in edicola per comprarmi il giornale, e la prima cosa che il venditore mi ha detto è stata “come sta, signora Nelson?”, con uno sguardo triste, pronto ad aiutarmi. Non potevo sopportare tutta quella tristezza nei confronti della povera e giovane vedova. Non ero pronta per quel tipo di sguardi. L’unico sguardo che avrei voluto incrociare era quello di un uomo che stava metri e metri sottoterra. Difficilmente l’avrei rivisto.
-Bridgette, non so cosa dirti. Non sono pronta, punto. Appena me la sentirò, cercherò lavoro.- Risposi arrabbiata. Perché non se ne andava dal suo fidanzato perfetto, quello che probabilmente non si sarebbe suicidato impiccandosi nella sua camera da letto?
-Precisamente Gwen, quando te la sentirai? Mi dici così da due mesi, e ancora niente, dì semplicemente che non vuoi sentirti pronta per una nuova vita. Sei rimasta bloccata a quel cavolo di giorno dove l’hai trovato mor…-
-Magari ti dico così da due mesi perché ancora non sono pronta! Bridgette, non puoi chiedermi di dimenticarlo dopo due mesi. Ho passato sette anni della mia vita con lui, non puoi chiedermi di scordarlo già da ora! Ci vorranno altri dieci mesi, come minimo, prima che cominci ad uscire di nuovo da casa. Smettila di dire stronzate, lo sai pure tu che non posso.- Dissi fra le lacrime.
-No Gwen, non è che non puoi. Tu non vuoi dimenticarlo. Ti stai impegnando fino all’inverosimile pur di tenerti aggrappata ai suoi ricordi. Devi impegnarti Gwen, non puoi ottenere risultati se nemmeno ci provi. Devi provare a vivere. Anzi no, devi provare a esistere. A vivere ci pensiamo dopo. Prometti che ti impegnerai.-
Unica cosa che odiavo, e amavo, di Bridgette era il suo fottuto sesto senso. Capiva tutto anche senza guardarti, capiva tutto di tutti in meno di niente. In quel momento il suo dono mi stava urtando i nervi terribilmente.
Ma sapevo che aveva ragione. Sospirai.
-Prometto. Anche se non so cosa intendi per esistere. Che differenza c’è fra vivere ed esistere?- Chiesi retoricamente.
-Allora, tu in questo momento sei un vegetale. Privo di mostrare emozioni, che non si muove dal suo posto e praticamente inutile…-
-Ma veramente i vegetali serv…-
-Zitta. Io, invece, sono una persona, capace di mostrare emozioni, che riesce a muoversi, eccetera eccetera. Il vegetale, in questo caso tu, c’è ma non esiste. Io, persona, anzitutto esisto perché faccio qualcosa. E poi vivo, perché riesco a godere della mia vita, e non la passo sdraiata su un divano a guardare il filmino di matrimonio del mio defunto marito.-
Rimasi scioccata dalle sue ultime parole.
Non doveva nemmeno rischiarsi ad accennarle.
-Forse, e sottolineo forse, perché tu non hai un defunto marito! Forse perché tu non sei mai stata sposata, o perché hai il tuo caro Geoff vicino e potete limonare quanto cazzo vi pare! IO ho perso mio marito, Bridgette. Si è suicidato nella stanza in cui dormo, merda. E forse guardo il filmino del matrimonio perché sono gli unici ricordi felici che mi legano ancora a lui. Ma tu che ne vuoi sapere? Tu non hai perso nessuno che amavi più della tua stessa vita!- Sbraitai in preda ad una crisi di pianto.
-Gwen, dopo che ti sono stata tanto vicina, come puoi dirmi…-
-Bridgette? Fanculo.- Chiusi la chiamata e buttai il cordless sopra qualche comodino.
Chi era lei, per farmi la ramanzina? Era forse una vedova, magari di un uomo che si è suicidato in casa sua? No di certo.
Era solo un’altra i quelle persone che viene a dirti come affrontare le varie situazione senza mettersi davvero nei tuoi panni.
Lo so, lo fa per il mio bene.
Ma fare il mio bene, specie ora, è starmi alla larga e farmi crogiolare nel mio dolore.
                                                              …
-Merda Gwen, sono passati quattro, fottutissimi, mesi. Quando ti deciderai a trovare lavoro? Sono ancora sconvolta dal fatto che il padrone non ti abbia cacciato di casa!- Urlava Bridgette, sempre più preoccupata.
Dopo quell’ultima litigata non ci siamo sentite per circa una settimana, Finchè non si è presentata a casa mia con un cestino pieno di muffin alla cannella.
I nostri muffin… quanti ricordi.

 
 
Nota:
prima di tirarmi una scarpa in testa, cari TxG, DxC e fan di Duncan, fatemi dire qualche parolina *mi metto in ginocchio pregandovi*
Allora, come vi ho già detto, ci sono sia DxG sia TxG in questa FF, quindi non disperate ^^ per quanto riguarda il vecchio Duncan, bhè… è morto e non ho voglia di cercare le sfere del drago per farlo resuscitare ù.ù
Che dire, ora potete lanciarmi tutte le scarpe che volete *mi copro gli occhi*
PS: se avete qualche cosa da dirmi, che sia quanto mi abbiate detestato per aver fatto Duncan morto, o magari dirmi che la storia vi è piaciuta *parte risata generale del pubblico* potete lasciare una recensione ^^ a presto per il prossimo capitolo (chi vuole leggerlo, chiaramente T.T)
Bacetti,
Gwen TD 

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Capitolo 2
*** I take to work ... and to live ***


Ero al corso di arte. Stava per iniziare l’ultimo compito del liceo, il più importante di sempre. Stavo per iniziare, quando…
-Scusate il ritardo!- Urlò una ragazza bionda, con i capelli legati in una coda disordinata, una felpa azzurra e un cesto pieno di… dolcetti, credo.
-Scusi, lei è…?- Chiese il professore, sorpreso, come noi ragazzi del resto, di vedere quel volto nuovo nella sua classe.
-Perri, Bridgette Perri.- Il professore cominciò a scorrere il dito sull’appello. La ragazza intanto si guardava intorno, confusa.
-Mi dispiace, ma non c’è nessuna Bridgette Perri, in questa classe.-
-Ma come è possibile? Siamo sempre stati nella quinta F, ieri il professor Atchet ci ha insegnato a fare i muffin…- Il professore alzò un sopracciglio.
-Muffin? Dubito che in questa scuola si insegni cucina.- Scoppiò una risata generale. La ragazza sbarrò gli occhi.
-Oh merda, ditemi che non ho sbagliato scuola!- Urlò, provocando ulteriori risate. Non attese alcuna risposta, si mise direttamente a correre verso l’uscita.
Riprendemmo da dove eravamo stati interrotti, e cominciammo il compito. All’una lo consegnammo e uscimmo dall’istituto.
Seduta su uno scalino, triste, c’era Bridgette che mangiucchiava un muffin. I ragazzi le passavano accanto e ridevano.
Senza una ragione precisa, mi sedetti accanto a lei.
Inizialmente mi guardò sospettosa, come a dire “ma che vuole questa qui?”. Io le sorrisi. Ricambiò.
Mi offrì un muffin. Assaggiai.
Muffin alla cannella.
Era l’inizio della più dolce delle amicizie.

-Bridgette, smettila di rompere. Cercherò lavoro quando me la sen…-
-Non ricominciare con la storia del “ci penserò quando me la sentirò”. Fosse per te non te la sentiresti mai. Probabilmente fra sei mesi saremmo allo stesso punto di ora. Ora vengo da te con un giornale e cerchiamo tutti i lavori che potresti fare.-
-Bridgette, ma non vo…-
-Oh sta zitta Gwen. Non c’è niente che potrebbe fermarmi.- Attaccò il telefono e io rimasi a urlare parolacce a nessuno.
Ma cosa dovevo fare con quella ragazza che mi ritrovavo per migliore amica?

-Allora… baby-sitter?-
-No, non mi ci vedo…-
-Tecnico del computer?-
-E’ un miracolo se riesco ad accenderne uno!-
-Chef in un ristorante?-
-Finirei par dare fuoco alla cucina!-
-Barista?-
-Non so nemmeno fare un caffè!-
-Cavolo, c’è qualcosa che ti va bene?!?- Urlò esasperata.
-Non vedo niente che mi attiri… devo fare un lavoro che mi piace o diventerò depressa…-
-Intanto cerca qualcosa per fare un po’ di soldi! Poi appena riuscirai a mantenerti ne cerchi uno che ti piace! Gwen, ti prego, mi sto impegnando più di te…- Sbuffò frustata.
Alzai gli occhi al cielo. Poi posai lo sguardo sul giornale, magari avrei trovato qualcosa di interessante.
Poi notai un annuncio.
Cercasi urgentemente segretaria. E’ richiesta professionalità.” Continuai a leggere. Il riassunto più o meno era “qualcuno mi aiuti a sistemare i miei spartiti!” e che tipo di professionalità ci vorrà mai per sistemare quattro fogli?
-Come ti pare questo?- Chiesi a Bridgette. Le si illuminarono gli occhi.
-E’ perfetto!-
-Ma se non l’hai nemmeno visto…-
-Sono abbastanza sicura che è perfetto! Fare… la segretaria ti riuscirà perfettamente!- Disse lei, buttando un occhio sul giornale.
Sorrisi. L’abbracciai.
-Grazie.- Sussurrai, con gli occhi lucidi.
-Di niente, Gwenny.-
E rimanemmo in quella posizione, gioendo dell’amicizia dell’altra.

Non sapevo cosa aspettarmi dal mio nuovo lavoro. Né dal mio nuovo capo, né dalla mia vita che, lentamente, ricominciava a scorrere.
-Bene Gwendolyne, il tuo lavoro più o meno è sistemare le mie scartoffie, rispondere al telefono e, te ne prego, darmi la tua sincera opinione sulla mia musica, va bene?- Ricapitolò un’ultima volta il mio capo. Il signor Smith sembrava una persona decisa, sorridente, allegra e dolce. Non era quel tipo di capo ciccione e cattivo che ti rende la vita impossibile come quelli che si vedono nei film.
Altro che ciccione: era magro, muscoloso. Grandi occhi verdi erano sul suo viso, con una folta chioma di capelli neri e lisci a incorniciarlo.
Decisamente un bell’uomo.
Questo, probabilmente, era quello che avrei pensato se fossi stata una dolce donzella single che non era appena uscita da un rapporto lungo sette anni a causa del presunto suicidio del coniuge.
-Certamente signor Smith. Quando posso cominciare?- Chiesi, ansiosa di riprendere a lavorare dopo sette anni.
Dopo essermi sposata con Duncan, avevamo deciso che io sarei rimasta in casa a pensare alle pulizie e a cucinare, e lui avrebbe portato i soldi a tavola. Non mi era andata a genio quella trovata, ma l’alternativa era vedersi una volta ogni quattro giorni, presi com’eravamo ognuno dal proprio lavoro. E quindi ho dovuto stringere i denti e sopportare.
-Non chiamarmi signor Smith, ti prego. Sono Trent. E dammi del tu, per favore. Sono a disagio quando mi danno del lei.- Sorride imbarazzato, mettendosi una mano fra i capelli.
-Emmh… ok, Trent. Quando posso iniziare?-
-Oh, anche subito, direi! A meno che non vuoi la giornata libera e preferisci venire domani…-
-No, no, perfetto. Comincio subito! Da dove inizio?- Chiedo, sorridente ed elettrizzata.
-Potresti cominciare col sistemare il mio studio. Io intanto vado nella stanza accanto, devo cominciare a comporre.- Risponde, infilando nuovamente la mano fra i capelli, e abbassando la testa. Credo sia un tic.
-Sei hai bisogno di qualsiasi cosa, non farti problemi a chiedere, e… buon lavoro.- Dice infine imbarazzato.
-Grazie mille, buon lavoro anche a le… te, Trent.- Mi correggo subito. Sorride un’ultima volta, mi fa un cenno col capo e mi mostra la porta dello studio e si avvia verso un’altra stanza.
Faccio un respiro profondo.
Chissà cosa penserebbe di me Duncan in quel momento. Sicuramente avrebbe odiato Trent, era sempre stato geloso. Forse mi avrebbe scongiurato di lasciare il lavoro e tornare a casa, ma l’avrebbe fatto indirettamente, con parole ben studiate che mi convincessero senza farmi credere che sia stato realmente lui a chiedermelo. O forse avrebbe sbuffato per casa, lamentandosi su quanto fosse ingiusto che anche io, donna, andassi a lavorare. O forse, mi avrebbe semplicemente sorriso e convinto a scappare dentro l’auto a fare l’amore.
Una lacrima mi rigò il viso. L’asciugai velocemente e mi decisi ad entrare.
Non l’avessi mai fatto.

 
Nota:
ma salve :D allora… il precedente capitolo non l’ha recensito nessuno, quindi dubito fortemente che sia minimamente interessato a qualcuno T.T ma sta di fatto che volevo scrivere, e così… Voilà :D
Se vi piace, recensite. Se non vi piace, recensite comunque e fatemi sapere dove potrei migliorare.
Insomma, non vi cadono mica le mani se scrivete qualcosa ù.ù
Bhè… buona lettura ^^
Gwen TD 

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Capitolo 3
*** Letter to Trent ***


Uno spettacolo atroce, davanti i miei occhi.

Il pavimento era completamente coperto da miriadi di fogli, la maggior parte bianchi, altri colorati. Cataste di libri agli angoli della stanza, sulle sedie e sulle librerie, completamente piene. Sulla scrivania, centinaia di penne e fogli accartocciati, più una maglietta appallottolata all’angolino. E sorprendentemente, un cappello appeso al lampadario.
Rimasi allibita davanti quello spettacolo a dir poco osceno.
Di certo non ero la persona più ordinata del pianeta, ma mai avevo visto qualcosa del genere. Poi sentii un botto.
Una catasta di libri sporgente dalla libreria, era caduta a terra, quasi a darmi conferma del mio stato d’animo. Feci un respiro profondo e cominciai a raccogliere i fogli da terra.
Erano quasi tutti spartiti di innumerevoli canzoni, alcune famose altre completamente sconosciute. In altri fogli c’erano disegni, poesie o testi, forse di canzoni. Ma un foglio colpì la mia attenzione. Era azzurro chiaro, con i lati tutti bruciati, come se qualcuno avesse voluto distruggerlo ma ci avesse ripensato all’ultimo secondo.
 
Trent,
perché non mi rispondi? Ti ho spedito cento e più lettere, e nessuna di queste ha avuto risposta. Forse non ti interessa più nulla di me, ma fin quando non ne avrò la certezza, continuerò a scriverti.
Sai, sono di nuovo incinta. Dovevi veder Sam, era davvero scioccato! Stava per avere un infarto! Immagina, già abbiamo problemi con Luke e Kevin, figurati con un terzo frugoletto! Ma sono contenta. L’amore per Sam è abbastanza forte da farmi vedere tutto in positivo, e aggiunto all’amore per i miei figli, non mi fa che credere di avere una vita perfetta.
O quasi.
Manchi tu, Trent. Quel tenero ragazzo della porta accanto che mi è sempre stato vicino. E che vorrei  lo fosse anche ora.
Ti prego, rispondimi questa volta. Manchi come l’aria.
La tua cara, dolce e un po’ svitata,
Kate <3

 
Lessi e rilessi quella lettera più volte, finchè…
-Gwendolyne, ti ho portato un caffè, ho pensato che avessi se…- Trent si bloccò vedendomi inginocchiata con quel foglio in mano. Lasciò cadere la tazzina per terra, facendola rompere in mille pezzi, e creando un’enorme pozza scura che a poco a poco bagnava gli spartiti.
Mi guardava con gli occhi sbarrati, come se in mano non avessi un foglio, ma un organo umano o il Sacro Graal. Rimanemmo a fissarci, lui con un’aria a dir poco sbalordita, io con aria colpevole.
-Dove l’hai trovata?- Chiese infine, con un volto indecifrabile.
-Stavo sistemando i fogli e mi è capitata questa per puro caso, giuro! Non stavo frugando in giro, me la sono ritrovata in mano senza volerlo, e non l’ho letta di proposito, ma avevo letto solo una riga, e pensando che fosse spazzatura l’ho letta ma non volevo, lo giuro, la prego non mi licenzi!- Urlai tutto d’un fiato. Se prima aveva un’aria sbalordita, ora sembrava decisamente traumatizzato.
-Certo che non ti licenzio, ma ti prego dammi quel foglio…- Disse, esasperato. Gli porsi la lettera. Lui la prese, l’osservò per qualche attimo con aria triste.
Poi, chissà perché, quella scena mi ricordò me, quando, due anni prima, ero stata costretta a separarmi da Duncan per una settimana per lavoro. Credo che avevo la sua stessa espressione quando leggevo da casa i suoi SMS, che mi mandava dall’altra parte del mondo.
Sospirai.
Trent tornò in sé, e posò lo sguardo su di me. Sembrava contento e allo stesso tempo triste. –Grazie Gwendolyne, ti sono debitore.- Disse, sorridendomi.
-Emmh, si figuri Trent. E mi chiami Gwen, la prego.- Ricambiai il sorriso, un po’ stranita dalla sua affermazione, che, a dirla tutta, mi sembrava priva di senso.
-Certo Gwen. E tu dammi del tu, però.-Si mise una mano fra i capelli (prima o poi glielo dirò che ha questo tic).
-Certamente. Me ne ricorderò Trent.- Risposi. La curiosità mi stava mangiando viva. Chi era Kate? Perché non le rispondeva? Perché ha avuto quella reazione quando mi ha vista con quella lettera?
-Trent, posso chiederti una cosa?- Mi sorpresi a dire. Ma che stavo facendo? Già mi aveva graziato non licenziandomi, perché stavo tentando la fortuna fino all’ultimo?
-Certamente Gwen. Quello che vuoi.- Sorrise nuovamente. Non poteva sapere che sarebbe durato poco il suo splendido sorriso.
Dopo attimi di silenzio imbarazzato, riuscii a parlare.
-Chi è Kate?-
Come immaginavo, gli angoli della sua bocca si piegarono verso il basso, formando così un’espressione addolorata e triste. Sembrava che lo stessero bruciando vivo.
Ero imbarazzata, oltre al fatto che mi sentivo tremendamente in colpa. Come ho fatto a fargli cambiare umore così velocemente?
-Scusami, sono solo un’impicciona, non sono affari miei, non c’è alcun bisogno che tu mi risponda, sta tranquillo.- Dissi girandomi, sperando che non mi cacciasse. Lui tirò un sospiro di sollievo. Rimanemmo in silenzio per un po’, io girata e imbarazzata, lui addolorato e forse sollevato dal fatto che non volessi sapere nulla.
-Non è che non voglio parlarne. Vorrei farlo, ma non ci riesco Gwen. Vorrei davvero tanto riuscirci.- Sospirò nuovamente, portandosi due dita alle tempie. Io mi girai. Sembrava più rilassato, il peggio doveva essere passato.
-Non mi devi alcuna spiegazione. Sono stata maleducata, non avrei dovu…-
-No, Gwen. La tua curiosità è più che giustificata. E una spiegazione te la devo, dato che hai trovato una cosa che cercavo da mesi. E te la darò, prima o poi. Stanne certa.- Mi sorrise. Era un uomo davvero… dolce? Ma si, diciamo dolce. Ricambiai il sorriso.
Che uomo Trent Smith.

Trent decise di aiutarmi a risistemare lo studio, e riuscimmo a dargli un aspetto decente dopo tre ore e mezzo. Eravamo riusciti a togliere tutti i fogli da terra (con cui abbiamo riempito cinque sacchi per l’immondizia), tolto le cataste di libri da terra e spostato temporaneamente sulla scrivania, ormai talmente piena che sembrava stesse per cadere a pezzi, abbiamo pulito il pavimento e spolverato in giro, e abbiamo tolto la maglia dalla scrivania e il cappello dal lampadario. Dopo tutto quel lavoro estenuante ci buttammo letteralmente sul divano.

Ero sudata fradicia, con il fiatone, e stavo decisamente morendo di caldo. E Trent sembrava messo come me, forse un po’ meno sudato.
-Mamma mia, che stanchezza!- Disse col fiatone.
-Non potrei essere più d’accordo!- Risposi io, con voce stanca. Guardai il lampadario, pensando a cosa avevo trovato lì appena arrivata.
-Come c’era finito il cappello sul lampadario?- Chiesi, con aria sospettosa e divertita.
Rimase in silenzio.
Poi scoppiò a ridere.
-Non immagini che storia ci sia dietro!- Disse, fra una risata e l’altra. Aspettai che si calmasse un attimo. Dopo una decina di minuti, finalmente smise di ridere e respirò profondamente.
-Mamma, quanti ricordi…- disse, asciugandosi una lacrima. –Questa è una di quelle cose che prima o poi ti racconterò. Un giorno o l’altro ci fermeremo un attimo, ci siederemo su questo divano e ti racconterò tutto. Sempre che tu voglia ascoltarmi, in futuro.- Aggiunse. Se prima sembrava divertito (usando un eufemismo), ora era abbastanza serio.
-Non vedo il motivo per cui non dovrei volerti sentire.- Dissi, sorridendo.
Ricambio il sorriso. Spostò lo sguardo sull’orologio.
-Oh cacchio, sono le sette! Il tuo orario di lavoro termina alle sei!- Disse, mortificato. –Domani puoi uscire prima, ti ho tenuto qui più del dovuto… sono dispiaciutissimo…- Aggiunse, visibilmente imbarazzato.
-Non preoccuparti, non è stato brutto. Mi sono divertita molto, anzi.- Lo rassicurai. Non sembrava convinto, ma riassunse l’espressione allegra di prima.
-Bhè, meglio così. Ora puoi andare Gwen, non voglio trattenerti oltre.- Disse infine.
Ci salutammo, ci augurammo una buona serata ed uscii dall’edificio.
Salii in macchina sospirando di sollievo.
Non male come primo giorno.

-Da come mi hai detto, sembra proprio un uomo perfetto questo Trent.- Disse Bridgette, sorseggiando la sua tazza di caffè. Alzai gli occhi al cielo.

-Non c’è male… ho visto di meglio.- Risposi. Mi fissò negli occhi. Avevamo capito entrambe a chi mi riferivo. Questa volta fu lei a buttare gli occhi al cielo. La ignorai. Meglio non commentare.

-Quindi, ricapitolando: è alto, occhi verdi, capelli neri come la pece, muscoloso, dolce, simpatico, disponibile… single?- Chiese lei, interessata.
-Non saprei. Non aveva alcuna fede, quindi non è sposato. Ma oggi mi ha visto con la lettera di una certa Kate, ed è rimasto scioccato. Mi sa che è innamorato.- Risi, come un teenager.
-Stupida Kate! Manco la conosco e già la voglio morta!- Ringhiò lei. Alzai un sopracciglio.
-… Non sarà che sei interessata a lui, vero?- Chiesi sorpresa.
Mi guardò come a dire “ti sembro una che s’innamora di un tizio che manco conosce?”
-Ovviamente no, ma mi sembrava giusto per te… - La congelai con lo sguardo, tanto che non finì la frase.
Odiavo quando diceva certe assurdità. L’uomo giusto per me l’avevo conosciuto, amato, sposato e perso.
C’era poco da girarci attorno.
Sospirai. Mi rassegnai all’idea di avere una stupida e adorabile ragazza per migliore (e forse unica) amica, e riprendemmo la conversazione come se nulla fosse successo.
Come al solito, del resto.

 
Nota:
Ma salve ^^ rieccomi con un capitolo nuovo di zecca, che ve ne pare? *Si sente in lontananza un lupo ululare*
Emmh… passiamo avanti.
Cominciamo col dire che ci sono stata giorni a scrivere questo capitolo, e mi farebbe piacere se voi apprezzasse il mio lavoro ù.ù insomma, vi sforno un capitolo dopo giorni e non lasciate neanche un recensionuccia piccola piccola? Dov’è la gratitudine? ç____ç

Ok, sono tornata in me (forse…) Avrete ovviamente capito che è la stanchezza a farmi parlare e che non sono cosciente di quanto dico xD
Vabbè, vi lascio, prima di sparare altre cretinate e uccidere qualcuno xD

NO, MA CHE TRISTEZZA ._. NON POSSO LAVORARE IN QUESTE CONDIZIONI! IO ME NE VADO!
No cervello aspetta!!!
Si sono impegnata al momento ragazzi (oltre che completamente ammattita) ci sentiamo al prossimo capitolo ^^
Bacetti,
Gwen TD 

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Capitolo 4
*** Tombs and illusions ***


Avevo passato la giornata seguente da Trent, a finire di sistemare lo studio. Sorprendentemente, riuscii a sistemarlo da sola nel giro di poche ore, accompagnata dalla musica del mio capo. Era rilassante lavorare con quel dolce sottofondo di chitarra.
Il tempo passò velocemente senza che me ne rendessi conto, tanto che, alle cinque, Trent venne a chiamarmi e mi disse che potevo andare. A malincuore abbandonai quello studio confortevole e mi infilai in macchina.
Rimasi a guardare il vuoto per qualche attimo.
E adesso?
Ero sola. Avevo finito il lavoro. Bridgette era occupata nel suo negozio a quell’ora. Cosa avrei dovuto fare?
Improvvisamente, mi resi conto di come la mia vita fosse vuota. A colmarla vi erano solo Bridgette e, da poco, il lavoro. Senza queste cose ero perduta.
Ripensai a com’era la mia vita prima. Quando ancora avevo Duncan e non passavo i pomeriggi in auto a rimuginare su quello che avrei potuto fare.
Una lacrima scesa lenta sul mio volto.
Poi venne un’idea.
L’unica cosa che era cambiata d’allora era la presenza di Duncan. Magari mi sarei sentita meglio se fossi andata a trovarlo.
Non ero mai tornata dopo il funerale.
Mi asciugai gli occhi.
Misi in moto l’auto e mi avviai verso il cimitero
.

Cercai per qualche minuto la tomba di mio marito. E la cosa mi metteva terribilmente a disagio.
Alla fine trovai quel che cercavo.

Una grande lapide portava a grandi caratteri la scritta:
 

”qui giace Duncan Stinson,

nato il 22 ottobre 1984
morto il 17 maggio 2011”


 

Leggere quelle parole mi fece stringere il cuore. Fino a pochi mesi fa ci giuravamo amore eterno. Ora vengo a trovarlo sulla sua tomba.
Caddi in ginocchio sulla lastra di marmo sotto la quale giaceva mio marito. Mi feci un male atroce. Nulla paragonato a quello che stava succedendo dentro me.

 

Se prima ero solo cosciente della sua morte, ora avevo la sicurezza che non l’avrei mai più rivisto. Sapevo che non sarebbe tornato, che non mi avrebbe consolato e che non mi avrebbe più sorriso. E a rendere le cose più reali, c’era la stele di marmo che portava il nome e le sue date di nascita e morte.
 

Piansi lacrime amare sotto quella sicurezza che, lentamente, mi stava sotterrando viva.
 

Non so quando e soprattutto come, ma alla fine ripresi un minimo di controllo. E con quello venne anche la pazzia.
Cominciai a parlare con Duncan. Presi a chiacchierare su quanto mi mancasse, su come lentamente riprendevo a vivere, del mio nuovo lavoro e del mio capo, parlai di come piangevo quando vedevo il filmino del nostro matrimonio e su come la notte mi svegliavo dopo aver sognato il suo corpo appeso nella nostra camera da letto.
Poi ci fu il silenzio.
Ripresi a singhiozzare sommessamente.

-Ho passato ore a parlare con del marmo. Sono messa male.- Dissi, cercando di fermare le lacrime.
Poi sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.
Il cuore mi si fermò.
Solo una persona faceva quel gesto, cogliendomi sempre di sorpresa.

-Duncan…- Sussurrai, quasi spaventata. Mi girai lentamente.
Ma ovviamente non vidi Duncan.

In piedi dietro di me un uomo con gli occhi verdi e i capelli neri.
-Cosa ci fai…?- Chiesi, confusa e imbarazzata. Sperai che non avesse sentito i miei discorsi da pazza.
-Ero venuto a trovare una persona.- Rispose, ironicamente lugubre. Indicò  con il capo un tomba vicina.
 Sulla lapide vi era inciso il nome di Kate Hummel, insieme alle sue date di nascita e morte.
Che fosse quella Kate?
-Kate? Vuoi dire…-

-Si. Ma non è il momento di parlare di lei. Come stai?- Disse, interrompendomi. Evidentemente non voleva parlarne.
-Beh, sto bene, per quanto possa stare bene una donna che parla con una tomba.- Risposi, con lo stesso tono che aveva usato lui pocanzi.
-Non stavi parlando con una tomba. Parlavi con… Duncan Stinson.- Disse, leggendo il nome.
Mi si strinse il cuore.

Restammo un attimo in silenzio, io a contemplare il mio dolore, lui a guardare alternativamente me e la tomba di Kate.
-Va da lei.- Gli consigliai. Mi guardò momentaneamente sorpreso.
-Non fare il mio errore. L’ho lasciato solo per quattro mesi.- Continuai, con aria pentita.

Mi sorrise tristemente.
-Troppo tardi. Io per sette anni.- Mi mise una mano sulla spalla. Continuava a fissare la lapide.
-Non è mai troppo tardi. Ti starà aspettando impazientemente.- Lo incoraggiai.
Mi guardò riconoscente e si avviò, lentamente, da Kate.
Sospirai.
Cercai di concentrare le mie attenzioni nuovamente su Duncan. Ma ormai quelle erano tutte per Trent e la sua Kate. Chi era quella donna? La sua ragazza? Sua madre, sorella, nonna, nipote? O solo un’amica?
Le mie riflessioni vennero interrotte da Trent, che si era accasciato sulla tomba.
-TRENT!- Urlai, correndo in direzione del mio capo.

Mi chinai su di lui e gli presi il volto fra le mani.
-Trent? Ti prego rispondimi, Trent, mi senti? Tutto bene?- Vidi i suoi occhi riaprirsi lentamente. Mi guardò come se avesse visto un fantasma.
Mi guardai attorno, in cerca di qualcuno che mi aiutasse a portarlo via, magari al suo studio per farlo riposare.

Lo lasciai un attimo, per guardarmi meglio attorno. Ma non appena poggiai la sua testa sul marmo mi bloccò il polso.
-Kate… non andare.- Mi guardò con aria spaventata e supplichevole.
Rimasi paralizzata. Lo fissai in volto.
E chissà perché, quegli occhi verde prato, lentamente, presero sfumature azzurre, finchè non divennero gli occhi che avevo bramato per tanto tempo.
Sapevo che era solo frutto della mia fantasia.

Ma al diavolo. Me la sarei goduta fino alla fine.
Decisi di assecondarlo. La sua Kate sarebbe tornata fra le sue braccia, e io avrei sentito un’ultima volta il calore di Duncan.

La magia di quel momento era palpabile. Seduta sul marmo abbracciavo Trent Duncanizzato, e lui abbracciava una Gwen Kateizzata.
Quella illusione comune, quel desiderio di vedere qualcuno che non c’era, quel calore che emanavamo insieme, rendeva tutto perfetto, forse meglio di quando stessi con il reale Duncan.
-Sei tutto quel che mi rimane…- Sussurrò Trent. E quelle parole mi distrassero da quella magia.
 Lui non era Duncan. Non era l’uomo che avevo amato con tutta me stessa. Lui era solo un uomo disperato che, come me, cercava rifugio da una realtà fin troppo dura.
 Ma così non andava.
Non potevamo continuare a scappare dalla realtà. Non potevamo illuderci a vicenda in quel modo.

Così feci la cosa che ritenni più saggia. E più crudele.
-Io non sono Kate.- Dissi, fredda e addolorata.

Lui si paralizzò, e fece una smorfia addolorata, come chi riceve una pugnalata allo stomaco.
Rimanemmo in un silenzio addolorato per chissà quanto tempo.
Finalmente, almeno lui, si riprese.
-Scusami. E’ stato un attimo di debolezza.- Disse, con lo sguardo perso in chissà quale ricordo o pensiero.
-Non scusarti. Non avrei dovuto illuderti.- Risposi, quasi meccanicamente.
-Ma l’ho fatto anch’io.- Continuò.
Non controbattei, non ne avevo né la voglia né la forza.

Si alzò. Mi porse la mano.
-E’ tardi. Dobbiamo andare.- Disse, con un sorriso un po’ forzato, porgendomi una mano.
Ce la stava mettendo tutta pur di tirarmi su il morale.
Ricambiai il sorriso e gli presi la mano.
Ci avviammo verso il parcheggio e finalmente giunsi alla mia auto.
-Beh, direi che è ora di andare. A domani.- Si girò e fece per andarsene.
-Trent?- Lo fermai.
-Si?-
-Grazie.- Sembrò sorpreso e forse anche imbarazzato. Mi sorrise.
-A te.- Ricambiai il sorriso e lo vidi allontanarsi verso la sua auto.
Infine entrai nella mia e tornai a casa, emotivamente distrutta da quella giornata
.

 
 
 

Nota:
Salve lettori :D scusate il ritardo con il capitolo, ma non avevo molte idee a dir la verità  ^^’’
Spero vi sia piaciuto ;)
Mi raccomando, lasciatela una recensione, bella o brutta che sia, devo sapere cosa ne pensate ;)
Al prossimo capitolo :D
Bacetti,
Gwen TD 

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Capitolo 5
*** Scents and memories ***


Non mi bastava aver pianto per tutto un pomeriggio. Non mi bastava essere tornata a casa con un milione e più di domande. Non mi bastava aver passato un’intera serata sdraiata sul mio divano a rimuginare su quella giornata.
No, volevo essere masochista fino all’ultimo.
Entrai nella mia camera da letto.
Ogni volta che accendevo la luce avevo il terrore di vedere il corpo di Duncan dondolare, appeso a una corda.
Era un sollievo vedere che non vi era traccia né della corda né del suo corpo.
E, forse, sapere che era sepolto al cimitero mi aiutava a superare quella paura.
Ma non era il momento di pensare a quelle cose.
L’unica cosa che, irrazionalmente, volevo in quel momento era una sua maglia.
Volevo sentirmelo addosso.
Aprii il suo cassetto, e cominciai a cercare una sua vecchia felpa. Mi ritrovai fra le mani maglioni, magliette, camicie e quant’altro, finché non trovai quello che cercavo.
Mi tolsi la mia camicetta nera e infilai quella felpa grigia con la scritta I <3NY che gli avevo regalato prima di sposarci. Non aveva mai osato buttarla, nonostante ormai gli venisse piccolissima.
Presi il colletto fra le mani e lo portai al naso. Odorai.
Aveva ancora lo stesso odore di sempre, di lui. Quel misto di dopobarba e cannella che mi mandava in tilt. Era l’odore migliore del mondo.
Eppure, c’era un odore altrettanto buono. Quello di Trent sapeva di vaniglia e caffè.
Mi fermai un attimo.
Stavo annusando la felpa di Duncan e pensavo a Trent?
Scossi la testa. Quell’uomo, con il suo modo di fare e la sua misteriosa Kate, si era infilato nella mia mente.
Sospirai.
Mi sentivo tremendamente in colpa per come ci eravamo comportati al cimitero. Anche se forse ci aveva aiutato. Avevamo bisogno di tornare ad essere felici per almeno qualche minuto, e quell’illusione a dir poco perfetta ci aveva mandato in paradiso.
Il problema è nato quando siamo scesi da lì e siamo tornati sulla terra.
Scossi la testa. Volevo pensare a tutto ma non al mio capo. Spostai i miei pensieri su quella felpa che mi arrivava appena sopra la coscia e mi copriva quasi completamente le mani. Mi strinsi fra le mie braccia.
Chiusi gli occhi e sorrisi. Immaginai di abbracciare il vero Duncan, come ero solita fare ogni volta prima di andare a letto.
Dio, quanto mi mancava. Non so cosa avrei dato perché potesse abbracciarmi veramente un’ultima volta.
Lasciai cadere le braccia. I miei pensieri mi avevano fatto tornare alla realtà. Alla crudele, triste realtà, aggiungerei.
In quel momento sentii suonare alla porta.
Sbuffai. Chi era l’idiota che aveva interrotto il mio dolore?
Mi avviai svogliatamente ad aprire.
Mi ritrovai davanti Bridgette che, prima sorridente, mutava la sua espressione puntando gli angoli della bocca verso il basso. Doveva aver notato il mio abbigliamento.
Rimase un attimo in silenzio.
-Quella… è la sua felpa.- Disse lei, con tono di rimprovero.
Chinai il capo, colpevole.
Non ebbe bisogno di risposta.
Sospirò.
-Tesoro, lo sai che dovrai liberarti dei suoi abiti, prima o poi, vero?- Aggiunse, più dolcemente, carezzandomi la guancia.
Deglutii al solo pensiero. Annuii con la testa, mentre l’ennesima lacrima mi rigava il volto. Lei mi abbracciò.
-Dai, cara, fammi entrare, mettiamoci comode davanti la tv e mangiamo un po’ di gelato. Ti va? Oggi fanno un horror coi controfiocchi!- Propose sorridente, mettendomi le mani sulle spalle.
Quanto era bello sapere che qualcuno, nonostante le diversità, i difetti e le avversità, ci sarebbe stato sempre e comunque. Quella certezza mi riempiva il cuore e mi commoveva.
Ma non diedi a vedere quanto la cosa mi rendesse felice. Ero pur sempre l’orgogliosa Gwen, anche se l’avevo nascosta sotto le spoglie di una vedova depressa.
La feci entrare, e mentre prendevo la vaschetta di gelato e un paio di cucchiai, lei accendeva la tv e cercava il canale giusto. Appena fu tutto pronto, ci sedemmo comodamente sul divano, una stretta all’altra.
-Ehi Bridg.- Sussurrai, mentre uno zombie staccava la testa a morsi a un uomo.
-Si?- Rispose lei, sussultando e coprendosi gli occhi.
-Menomale che ci sei.- Dissi, stringendomi più stretta a lei. La sentii sorridere.
-Non dirlo nemmeno, tesoro.- Ribatté, dandomi un bacio sulla fronte e carezzandomi i capelli, quasi maternamente.
E continuammo a goderci gli sgozzamenti come se non fosse successo nulla.

Due mesi più tardi…

Mi ero un po’ ripresa. Adesso potevo pensare a lui senza mettermi necessariamente a piangere, potevo uscire con Bridgette e Geoff senza sentirmi uno schifo, e potevo guardare il video del mio matrimonio senza piangere, ma ricordarlo con un sorriso.
Si, stavo decisamente meglio. Certo, a volte mi svegliavo nel bel mezzo della notte urlando in preda agli incubi, e durante il giorno capitava di versare qualche lacrimuccia innocente contemplando i vecchi tempi, ma per lo più scuotevo la testa e riprendevo con la mia vita. Il merito andava senz’altro a Bridgette che mi è stata vicina come nessun altro avrebbe mai fatto, e Trent.
Molto intelligentemente non ha mai proferito parola su quanto successo al cimitero, ma continuavamo comunque a lavorare serenamente, fra uno scherzo e l’altro, facendo a volte pause lunghe per riprendere subito con le nostre faccende.
Lavorare con Trent era la cosa migliore che mi fosse capitata da mesi. Specie se per lavorare s’intende sistemare uno studio, rispondere a qualche telefonata e sentirlo suonare. Non potevo desiderare di meglio.
Inoltre, il nostro rapporto era diventato più intimo. Non era più formale e leggermente imbarazzato, non sembrava neanche un capo, Trent. Era come lavorare con un amico, uno dei più simpatici, dolci e sinceri che hai.
Ma con lui rimaneva ancora aperta una questione.
Non mi aveva ancora parlato di Kate. Mi rodevo il fegato al solo pensiero, volevo sapere di più, scoprire che rapporto avevano, il perché di quella misteriosa lettera e tutto il resto. I miei pensieri erano per lo più riservati, oltre che a Duncan, ovviamente, a Trent e alla sua Kate, alla natura del loro rapporto, al perché di quella distanza di circa sette anni, alla lettera e così via dicendo.
Era un vero tormento.
Mentre facevo quei pensieri, Trent entrò nello studio.
-Dio, quanto sono distrutto.- Annunciò, buttandosi sul divano.
Sorrisi.
-Sentiamo un po’, cos’hai fatto per essere così stanco?- Chiesi, sarcastica.
Mi fece un linguaccia.
-Ho passato il pomeriggio a scrivere canzoni, mi sono scervellato tanto e non ho concluso proprio niente! E a forza di pensare mi è venuto un mal di testa assurdo…- Rispose, portandosi due dita alle tempie.
-Ti preparo un’aspirina?- Chiesi, gentilmente.
-Si, grazie Gwen, mi faresti proprio un favore.- Rispose, sorridendo.
-Arriva l’aspirina!- Andai nella stanza accanto, presi un bicchiere e versai l’aspirina dentro. Mescolai con un cucchiaino e la portai al mio capo.
-Grazie Gwen, sei un angelo.- Disse dopo aver bevuto di corsa. Sorrisi.
-Non sono un angelo. Riposati, intanto finisco le mie faccende.- Risposi, facendo la scorbutica per scherzare.
-Oh, non preoccuparti, va pure. Oggi non c’è quasi niente da fare.- Disse sorridendo.
-… Sei sicuro? Se stai così male resto…- Ma non non riuscii a terminare la frase.
-Non blaterare, adesso. Vattene, divertiti, non pensare a me! Via!- Disse scherzando.
-Va bene, va bene! Se proprio non mi vuoi me ne vado!- Risposi ridendo. Mi accompagnò alla porta, ma a metà strada mi girai.
-Chiama se ti senti peggio!-
-Certamente, sarai la prima a saperlo! Ciao!-  Rispose, con un cenno della mano, sorridente.
Ricambiai il sorriso e mi avviai svogliatamente verso casa.
 
Nota:
Salve a tutti, lettori ^^ Piaciuto il capitolo? Spero di sì ;) mi scuso per il ritardo ^^” ma una serie d’impegni che non sto qui a elencarvi mi hanno trattenuta :( beh, almeno l’ho pubblicato ù.ù
Mi raccomando, recensite in tanti :D
Bacetti, LadyWrite 

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Capitolo 6
*** Strange visions ***


Entrata dentro casa, lasciai cadere la borsa sul divano, e mi avviai verso la camera da letto, dove mi buttai con la grazia di un elefante sul materasso.
Rimasi per un paio di minuti con la faccia schiacciata sulla coperta, poi decisi di girarmi a pancia su.
Osservai il soffitto, o meglio, il vuoto davanti il soffitto.
Poi la noia prese il sopravvento.
Che avrei dovuto fare lì, sola, a casa?
Mentre rimuginavo su quanto fossi patetica, venne il lampo di genio.
Aprii l’armadio.
Il lato sinistro era occupato dai miei vestiti, per lo più quelli da cerimonia. Il lato destro, invece, ero pieno dei vecchi vestiti di Duncan.
Con la mano un po’ tremante, presi la cruccia con una giacca nera appesa, usata si e no un paio di volte in cinque anni, e lo posai sul letto, seguita da numerosi altri vestiti.
Finito con l’armadio, mi avviai verso il suo cassetto e uscii fuori le sue felpe e maglie e le misi con l’altra sua roba.
Alla fine ottenni un mucchio di abiti sul mio letto. Mi sedetti vicino a quella montagnola e cominciai a prendere i vestiti uno ad uno.
Se dovevo darli via, non volevo che trovassero le cose del mio Duncan, no?
Frugai in mezzo alle tasche e trovai chewingum, spiccioli e fazzolettini in quasi tutti i vestiti.
Eccetto in uno.
In un paio di vecchi jeans trovai un foglio tutto sgualcito, evidentemente vecchio e maltrattato.
Ero indecisa se aprirlo o no. Avrei violato la sua privacy se l’avessi letto? Ma un morto, del resto, aveva privacy? Decisi che avrei letto solo le prime due parole, e se avessi ritenuto ingiusto continuare, l’avrei conservato da qualche parte al sicuro.
Ma non appena vidi il mio nome risaltare sulla prima riga, decisi che era il caso di leggere.


Mia Gwen,
quando leggerai questo biglietto, io non ci sarò più ormai da tempo. Spero che tu non mi odi troppo.
Sono sicuro che sono stati giorni, settimane, forse mesi, difficili per te, e ne sono immensamente dispiaciuto. A meno che tu non abbia trovato già un altro uomo e te la stia spassando alla grande.
Sono abbastanza sicuro che vorrai delle spiegazioni, e quindi eccole qui.
Devo dirti con dolore che ti ho mentito.
Non sono capo di un’importante azienda come ti ho fatto credere.
Sono un agente della CIA. Sorpresa? Immagino di si.
Ti chiedo scusa per averti mentito, ma era per il tuo bene.
Diciamo che se te l’avessi detto, saresti nelle mie stese condizioni, che di certo non sono ottime mentre stai leggendo.
Mi hanno assegnato una missione.
Purtroppo sono stato preso e torturato.
Sono riuscito a scappare prima che mi uccidessero definitivamente, ma sapevo che sarebbe successo presto, molto presto. Se mi avessero trovato a casa avrebbero ucciso anche te.
Sapendo qual’era il mio destino, ho preferito farla finita subito.
Mi dispiace che tu venga a saperlo solo ora, ma era per il tuo bene.
Sappi che non avrai notizie né della CIA né dei miei presunti torturatori, me ne sono occupato personalmente.
Voglio che tu sappia un’ultima cosa.
Io sono sempre con te. Non sentire la mia mancanza, non desiderarmi, non pensarmi. Fa come se io fossi accanto a te.
GUAI A TE SE TI TROVI UN ALTRO UOMO!!! TI TORMENTERò DALL’ALDILà OGNI SING
Sii felice. La tua vita non è finita con la mia. Troverai qualcuno che saprà amarti come ti ho amata io, e quando arriverà non allontanarlo. Ricomincerai ad amare, e sarei felice tanto e anche più di quando eravamo insieme.
Ricordati di me. Ricordati dell’uomo che t’ha amato come nessun altro.
Ricordati che ti sono vicino. Ricordati che io sono sempre con te.
L’ultimo saluto,

il tuo Duncan

PS: non ricordarmi come un mollaccione dopo questa lettera… sono sempre il punkettone ribelle del resto, no?
 
Rimasi paralizzata.
Mi ero persa decisamente qualche passaggio.
Duncan, era stato torturato? Era un agente della CIA?
Era morto per me?
Il mondo aveva cominciato a girare al contrario.
Cominciai a versare lacrime. Scappai nella altra stanza con il foglio ancora stretto in mano, presi la borsa e mi diressi in auto.
Volevo andare solo in un posto in quel momento.
 

*

 
Arrivai davanti la porta. Cominciai a bussare forte.
-Chi è?- Chiese una voce da dentro.
-Apri Trent.- Risposi, ancora scossa.
Trent aprì di fretta e furia e mi guardò sorpreso. Mi buttai fra le sue braccia e il suo petto raccolse tutte le mie lacrime. Ancora stupito, mi strinse a sé, mi portò dentro il suo studio e si chiuse la porta alle spalle.
 

*

 
-E questo è tutto.- Dissi infine, dopo avergli raccontato per un’ora di tutto il casino con Duncan.
Trent rimase con un volto allibito per tutto il tempo, e alla fine riuscì solo a sillabare un debole “oh”.
-Già.- Concordai, seduta sul divano con lui, con lo sguardo perso nel vuoto. Mi sentivo decisamente più leggera.
Dopo qualche attimo di silenzio, Trent decise di dire qualcosa di più sensato.
-Gwen, cavolo, mi dis…-
Lo interruppi posandogli un dito sulle labbra.
-Non. Dire. Nulla.- Replicai, scandendo bene ogni parola. Lui annuì, probabilmente rincuorato dal fatto che non dovesse dire nulla.
Poi mi ricordai che stava male.
-Scusami. Sono venuta a disturbarti nonostante il tuo mal di testa. Vado a casa, riposati.- Dissi di malavoglia, convinta di averlo annoiato e, probabilmente, aver peggiorato il suo male.
-No!- Urlò, guardandomi con occhi sbarrati. Mi allontanai di scatto da lui, appiccicandomi al bracciolo del divano, spaventata dalla sua reazione.
Dopo un attimo di silenzio, Trent arrossì di botto.
-Non… intendevo, cioè, voglio dire, non sei affatto di disturbo, se vuoi puoi rimanere…- Disse, più calmo, passandosi una mano fra i capelli.
Era arrossito di botto.
Come me, del resto.
-Oh, ehm, ok…- Risposi, spostando lo sguardo velocemente intorno alla stanza. Finché non si fermo su Trent, nell’esatto momento in cui il suo si fermò su di me.
Ci guardammo per un momento negli occhi.
Poi Trent scoppiò a ridere.
-Dio, sono un idiota.- Disse, scuotendo la testa.
Io rimasi in silenzio. E Trent probabilmente lo notò.
-Gwen… Mi dispiace tanto. Non so cosa fare. Vorrei… vorrei poterti aiutare. Ma so che in questi casi bisogna fare due cose: o ci si piange addosso finché non si sono finite le lacrime, o si cerca una distrazione. Cosa preferisci fare?- Chiese, prendendomi la mano.
E senza una ragione precisa, il battito del mio cuore eccellerò.
Ma che diavolo…?!?
E come se non fossi già confusa, appena spostai lo sguardo altrove, sulla scrivania vidi Duncan, che giocherellava con il suo amato coltellino svizzero e mi guardava deluso e furente, seduto sulla sedia di Trent.
Sbattei le palpebre un paio di volte, e come per magia la scrivania tornò vuota.
Fissai intensamente il punto in cui fino a poco fa c’era il mio defunto marito.
Perfetto, ero del tutto ammattita.
-Ehm, Gwen? Tutto a posto?- Chiese Trent, stringendomi lievemente la mano.
Altro che idiota, l’unica con problemi mentali in quella stanza ero io.
-Oh, si, si, va tutto bene!- Dissi io, sorridente. Inizialmente  alzò un sopracciglio, poi ricambiò il sorriso.
Ed ecco una delle poche persone che mi voleva bene che mi considera una pazzoide degna di ricovero.
-Beh, credo che sia meglio distrarti.- Aggiunse lui.
-Che vorresti fare?- Chiesi io, curiosa.
-Ecco, dato che ti sei fidata di me tanto da venirmi a raccontare di Duncan… credo di doverti ripagare in qualche modo.-
Il mio cervello cominciò a ragionare velocemente.
-Vuoi dire che…?- Chiesi, sgranando gli occhi.
Sorrise.
-Ebbene si, ti racconterò di me e Kate.-
 
 
 
 
 
 
Nota:
voilà il nuovo capitolo :D che ve ne pare?
*parte un coltello dal pubblico che scanso appena in tempo*
Ok, ok, bastava dire che non è piaciuto! T.T
Mi dispiace per avervi lasciato con questo finale x3 ciò significa che non potete perdervi il prossimo capitolo :D aspetto qualche recensione ;)
Bacetti,
LadyWrite 

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Capitolo 7
*** Tell me about her ***


Sgranai gli occhi. Ormai neanche ci speravo più che mi raccontasse tutto.
-Chiaramente solo se ti va… Non vorrei annoiarti.- Disse Trent, portando nuovamente la mano ai capelli.
-Certo che mi va! Mi tormento da mesi su questa storia.- Risposi, sorridente.
Ricambiò il sorriso e fece un respiro profondo.
-Va bene. Prima di cominciare però, devo dirti che non è una storia molto allegra.- Mi guardò serio negli occhi. Annuii con il capo, incitandolo a cominciare.
-Bene. Allora, come iniziare… oh si. Kate era la mia vicina, dall’età di 8 anni fino ai miei 19 anni. Inizialmente eravamo molto timidi, quasi non ci parlavamo, ed è stato così fino ai miei 10 anni. Poi un giorno suo padre si sentì male, e lo portarono all’ospedale. Sua madre lo accompagnò e la lasciò a casa nostra.-
Sorrise, pensando a chissà quale lontano ricordo.
-Mia madre decise di passare all’ospedale, e mio padre era immerso nel lavoro. Così ero rimasto solo con lei, pallida come un lenzuolo, chiaramente preoccupata per il suo papà. L’accompagnai in camera mia per cercare di distrarla, presi un puzzle e cominciammo a ricomporlo insieme. Ma lei era assente, quasi non toccava i pezzi.
E improvvisamente cominciò a piangere. A dirotto, un fiume in piena.- Aveva lo sguardo assolutamente perso nei suoi pensieri, mentre io ascoltavo rapita il racconto.
-Le provai tutte. Presi ogni tipo di gioco, cercai di confortarla a parole, l’abbracciai… niente. Era inconsolabile. Alla fine, stufo di tentare, presi la mia chitarra, e cominciai a strimpellare per i fatti miei. Ero così preso dal suonare che non mi accorsi che lei si era avvicinata lentamente per sentire meglio e aveva smesso di piangere. Me ne resi conto quando, sfiorata l’ultima corda, lei prese ad applaudire.- Rise lievemente, ma non sembrava allegro.
-Ero imbarazzatissimo, ero diventato rosso come un peperone. Stavo per posare la chitarra, quando lei prese a supplicarmi di continuare. E pur di non rivederla triste, continuai a strimpellare. Andò avanti così per ore, finché, verso l’ora di cena, mia madre non entrò in camera mia, con gli occhi vuoti, addolorati. Kate, la mamma vuole parlarti… vieni? Le chiese, con le lacrime agli occhi. Lei accettò, sospettosa. Mi rivolse un sorriso e se ne andò nella stanza accanto. Mia madre richiuse la porta, ma, silenziosamente, mi avvicinai senza farmi vedere al salotto, dove sua madre, Annabeth, era occupata a piangere a dirotto, come faceva la figlia pocanzi. La bimba le corse incontro e l’abbracciò e le chiese cosa fosse successo al suo papà. Calò un silenzio interminabile, finché Annabeth disse che suo padre aveva cominciato un lungo viaggio, e che non sarebbe tornato presto. Era partito con un angelo.-
Rimase un minuto intero in silenzio, immerso nei ricordi.
-Ma lei non era mai stata come le altre bambine. Nonostante avesse solo 8 anni, sapeva benissimo che voleva dire sua madre. E prima che chiunque potesse fare nulla, lei aveva già aperto la porta d’ingresso ed era scappata via, per strada. I miei genitori e Anna la rincorsero, ma io fui più veloce e presto li superai e sparii dalla loro vista. Alla fine riuscii a trovarla nel parco vicino, rannicchiata dietro una panchina di pietra che piangeva più di prima. E non sapendo cosa fare, mi sedetti accanto a lei e le misi un braccio sulle spalle. E lei continuava a piangere sommessamente, e io restavo in silenzio, accarezzandole il braccio. Alla fine i nostri genitori ci trovarono, ma non ci rimproverarono, sapevano che lei era distrutta, e io volevo solo aiutarla. Così, tornammo ognuno a casa propria, e tentammo di addormentarci. Io non ci riuscii. Il giorno seguente i miei dovevano aiutare Anna con i preparativi del funerale, ed io e lei rimanemmo a casa da soli per tutto il giorno. All’inizio siamo rimasti in silenzio, ognuno nei propri pensieri, poi all’improvviso mi chiese mi suoni qualcosa, Trent? E pur di vederla sorridere, le dissi di si. E poi il resto e storia.- Uscì da quella sua trans, e mi sorrise.
-Ed è così che diventammo amici per la pelle, come fratello e sorella, quello che mancava all’altro.-
Si fermò a fissarmi per un attimo, sorridente.
Aspettai che continuasse, ma non fece nulla.
-… e poi?- Chiesi, stranita.
-Vuoi sapere troppo, Gwen.- Rispose, scherzando.
-Come “voglio sapere troppo”??? Ora devi raccontarmi tutta la storia! Questa notte non riuscirò a chiudere occhio se non so come finisce!- Ero decisamente irritata e delusa.
-Era più o meno quello il mio obbiettivo. La seconda parte te la dico domani. O la settimana prossima, dipende da come mi gira.- Sorrise. Io incrociai le braccia sul petto, imbronciata.
-Oh, andiamo Gwen, pensa che forse avrai dei dettagli piccanti la prossima volta!- Rise, alzandosi e stiracchiandosi. Sbuffai.
-Ti conviene che ci siano, se devo aspettare devo trovare informazioni interessanti.-
-Così le pubblicherai sul tuo blog stile Gossip Girl?- Chiese ironico.
-Ovviamente! E che ci sto a fare se no? In realtà sono un’inviata speciale e devo raccogliere più informazioni possibili su un comune uomo di città.- Dissi io, ridendo.
-Cielo, che idiota! Come ho fatto a non accorgermene? Ti prego, dimmi che non mi hai pedinato!- Aggiunse, sempre ridendo.
-Mica posso svelarti i segreti del mestiere!-
E continuammo la serata così, a scherzare sul mio lavoro segreto e sulla sua indignazione verso il mio comportamento “squallido e opportunistico”.
-Senti chi parla! Chi è il tizio che sta notte non mi farà dormire perché non vuole dirmi come finisce la storia?-
E il tempo volava, volava, volava…
-Gwen, stai praticamente dormendo con gli occhi aperti.- Disse Trent, sorridendo sotto i baffi.
-Mi sa che hai ragione. Penso che andrò a casa.- Mi alzai dal divano e mi stiracchiai, cercando di azionare il cervello.
-Ti accompagno.-
-Non pensarci nemmeno. Solo stando qui a farmi ridere hai fatto una cosa meravigliosa. Grazie, Trent.- Gli sorrisi, e lo abbracciai. Lui rimase un attimo immobile, come paralizzato, poi ricambiò.
-Oh, di nulla. Quando vuoi sono qui.- Sciolse l’abbraccio e mi accompagnò all’uscita.
Mi diressi verso la mia auto e vi entrai.
-Buonanotte, Gwen!- Urlò lui dalla finestra.
-Sogni d’oro!- Risposi io, ridendo.
E mi avviai verso casa.

*

Stavo decisamente uno schifo. Mi sentivo come se un mostro mi stesse divorando le viscere dall’interno, gli stesse dando fuoco e si divertisse a contorcermele.
Ovvio effetto del sentirsi in colpa.
Mio marito muore per salvarmi la vita, e io vado a scherzare con il mio capo.
Il mostro morse il fegato di nuovo.
Quella sensazione di puro benessere che Trent mi aveva fatto provare poco prima era sparita del tutto. Erano rimasti solo disprezzo per me stessa e tante, tante domande.
Com’era possibile che Duncan facesse parte della CIA? Perché l’avevano torturato? Perché lo volevano morto? Come ha fatto a convincerli a non presentarsi a casa mia? Come si era convinto a lasciarmi vivere felice?
E poi quella frase che mi tormentava, che rimbombava nella testa.
Sono sempre con te, sono sempre con te…
Per quanto lui avesse tentato di spronarmi a trovarmi un altro uomo, sapevo che lui non avrebbe approvato, che avevo scritto quelle parole solo per confortarmi.
Sapevo che sotto quella frase ci fosse una sarcastica minaccia. Sono sempre con te, quindi attenta a cosa fai…
Era stato così… premuroso. Aveva sacrificato tutto pur di salvarmi.
Cominciai a piangere a dirotto, mentre il mostro dentro di me saltellava e spaccava tutto quello che trovava, eccetto un cuore già distrutto.
Mi sdraiai di fianco, sul divano di casa mia, strinsi le ginocchia al petto e aspettai che il sonno s’impadronisse di me.
 

 



Nota:
buon salve ^^ probabilmente  starete pensando di uccidermi per non aver messo l’intera storia di Kate…
*dal pubblico si alza un incitamento assai volgare di andare a farmi friggere*
Ok, ok, mi dispiace ç_ç Vedrò di saziare la vostra curiosità al più presto ;)
*il pubblico alza in sincrono un sopracciglio*
Va bene, accontenterò la mia voglia di scrivere, contenti? T.T  e per oggi la mia autostima è andata a farsi friggere…
A presto con il prossimo capitolo ;)
Baci, LadyWrite 

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Capitolo 8
*** Unexpected news. ***


-Tsk, di me non ti è mai importato niente,  questa la verità.-
Duncan mi fissava con occhi gelidi, scuotendo la testa.
-Come puoi dire questo? Certo che m’importa di te! Mi è sempre impor…-
-Smettila di mentire, puttana!- Urlò, avvicinandosi e stringendomi forte le spalle. Facevano male.
-Non aspettavi altro, tu! Volevi solo che morissi per andare a fare festa con un bastardo qualunque!-
Le lacrime mi rigavano il viso, il cuore batteva forte.
-N-no, io…- Balbettai.
-Ah, no? E che mi dici di quel fottuto chitarrista?-
Rimasi paralizzata. Già, e il chitarrista?
Lui mi fissava, con occhi carichi d’ira, in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata.
-Ho dato la vita, per te!- sbraitò –Tutti i nostri baci, gli abbracci, tutte le volte che abbiamo fatto sesso, cazzo! erano solo una botte di stronzate! La nostra storia era solo una balla per te!- Aveva gli occhi fuori dalle orbite, quasi ringhiava.
Mi lasciò le spalle, e si voltò. Prese a camminare.
-Duncan! Aspetta!- Urlai, con tutte le mie forze.
Ma lui non voleva sentire. Continuava imperterrito a camminare.
Lo inseguii. Mi misi a correre più veloce che potevo, ma lui rimaneva distante.
E presto sparì nell’oscurità che ci circondava sin dall’inizio.
Caddi in ginocchio, e mi sdraiai in posizione fetale, coprendo il volto bagnato con le mani, continuando a gridare il suo nome con tutto il fiato che avevo in gola.

*

-Gwen! Gwen, svegliati!- Diceva Bridgette, scrollandomi per le spalle.
Aprii gli occhi. Ero ancora nella mia stanza.
-Ch-che è successo?- Chiesi, frastornata.
-Sono venuta a trovarti, sono entrata con la copia delle tue chiavi che mi hai dato per farti uno scherzo, e ti ho trovata mentre… mentre…-
-Mentre…?- Chiesi, sempre più confusa.
All’improvviso immaginai cosa potevo aver fatto. Mi toccai il volto.
Umido. E la gola faceva male.
Ricordai.
-Oh. Gridavo.- Conclusi, spostando lo sguardo, timorosa di permettere nuovamente alle mie lacrime di rigarmi il viso.
-Oh tesoro, vieni qui.- Disse lei, abbracciandomi.
Poggiai la testa sulla spalla, bagnandole la camicia con altre nuove lacrime.
Non avevo alcun tipo di autocontrollo. Mi odiavo in quel momento.
-Vuoi parlarne? Ti va di raccontarmi cos’è successo, mmh? Magari ti senti meglio dopo.- Consigliò, accarezzandomi la schiena. Acconsentii.
-C-c’era Duncan e-e diceva che gli ho mentito sempre, e-e che sono una puttana, e appena ha-ha nominato Trent e non ho risposto, ha urlato che gli avevo detto solo bugie e se n’è andato e io volevo raggiungerlo ma… ma…- Alla fine le lacrime uscirono incontrollate e scoppiai in un pianto disperato.
Bridgette intanto mi cullava affettuosamente, accarezzandomi i capelli.
A un certo punto si bloccò.
-Bridg?- Chiesi, preoccupata.
-Ha nominato Trent?- Mi fissò negli occhi, perplessa e preoccupata.
Confermai chinando il capo, senza capire dove voleva arrivare.
-A cosa non hai risposto?-
Mi asciugai gli occhi col palmo della mano.
-Prima ha detto che non aspettavo altro che morisse per andare a spassarmela, o qualcosa del genere, ho risposto che non era vero e lui ha detto “E che mi dici di quel fottuto chitarrista?” E qui non ho risposto.-
Abbassai la testa per la vergogna.
Bridgette sgranò gli occhi. Non sapeva se sorridere o no.
Alla fine lo fece, e poggiò una mano sulla mia spalla.
-Gwen, credo che tu abbia una crisi interiore.-
Alzai lentamente il capo, confusa.
-Spiegati meglio, Bridg.-
Sospirò.
-Sei innamorata di lui. Ma credi che in qualche modo tradiresti Duncan se ti lasciassi andare.-
Mi paralizzai. L’idea che fossi innamorata di Trent non mi aveva mai sfiorato la mente. Certo, gli volevo un bene dell’anima, e a volte mi capitava di portare i miei pensieri alternativamente da lui a Duncan senza rendermene conto, ma… ero davvero innamorata? No, impossibile. L’unico amore della mia vita era e sarebbe rimasto Duncan.
-Non essere ridicola, Bridg, io amo…-
-No, ti prego, non dirlo!- Disse, quasi urlando.
-Non dire cosa?-
-Non cominciare con la storia sono-ancora-innamorata-di-un-cadavere!-
Sbarrai gli occhi.
-Cosa?- Non credevo alle mie orecchie.
Bridgette rimase un attimo immobile dopo essersi alzata dal letto, dubbiosa sul da farsi. Decise di continuare.
-Hai capito benissimo, Gwen! Smettila di sentirti ancora legata a Duncan, è morto! Ricomincia a vivere, riprenditi,apriti di nuovo!- Urlò, per davvero questa volta.
-Non ci credo che stai parlando sul serio… Non sei… seria… vero?- Chiesi, quasi supplicandola. Le sue parole tagliavano come coltelli, e speravo con tutta me stessa che stesse scherzando.
Ma la sua espressione diceva tutto il contrario.
-Sono passati sei mesi, Gwen. Io ti sono stata vicino, ti ho aiutata, ti ho abbracciata, eccetera, eccetera, eccetera. E l’ho fatto perché ti possa riprendere. Ma non vedo i risultati, io m’impegno ma continui a piangere e… e a deprimerti… Io… io non so cosa devo fare.- Portò due dita alle tempie e cominciò a massaggiarle.
E mille, milioni, di lacrime, continuavano a scendere silenziose sulle guancie.
-Te l’ho detto chissà quante volte, ho solo bisogno di tem…-
-NO! NON DIRLO!- Urlò furiosa Bridg. –Dimmi quello che vuoi, ma non dire che hai bisogno di tempo. Hai avuto sei mesi, Gwen. Lo sai che vuol dire sei mesi? Centottanta giorni, ecco che vuol dire. Ne hai avuto abbastanza di tempo!- Rimanemmo in silenzio per un po’, a guardarci in cagnesco.
Bridgette sospirò.
-Credevo che l’avessi superata, che Trent ti avesse aiutata a superare la cosa, ma è tutto punto a capo. Che è successo?- Chiese, forse retoricamente. Di certo non lo era per me.
-Vuoi sapere che è successo? Ecco che è successo.- Presi la lettera che tenevo sempre in tasca e gliela lanciai. Lei la prese.
-Cos’è?-
-L’ultima lettera del cadavere.- Dissi, dura e fredda, citando le sue parole.
Prese a leggere, e lentamente i suoi occhi si sbarravano, le mani cominciavano a tremare.
Il foglio cade a terra lentamente.
Lo sguardo di lei si posò prima per terra e infine su di me.
-Gwen, io non sapevo, io…- Fece per avvicinarsi e mi abbracciò.
Decisi di lasciarla fare e dimenticare quello che aveva detto. Infondo, era comunque la persona che più mi voleva bene al mondo. Ricambiai l’abbraccio.
-Perché non me l’hai detto prima?- Chiese, anche lei fra le lacrime.
-L’ho saputo ieri sera, e sono corsa da Trent a dirglielo.-
Lei rimase un attimo in silenzio, poi sospirò.
-Non voglio altre discussioni inutili. Ma sai già cosa penso del triangolo amoroso Duncan-tu-Trent.-
-Esatto. Lo so e credo che tu abbia torto marcio.- Risposi, ridendo debolmente.
Si unì anche lei alla mia risata. Sciogliemmo l’abbraccio.
-Sai che ti dico? Ora vado ad esplorare la cucina e prepariamo dei muffin alla cannella.- Disse lei risoluta.
-Pienamente d’accordo, milady.- E come due sciocche che si volevano un bene dell’anima, ci prendemmo a braccetto e ci avviamo verso la cucina.

*

Bridgette mescolava un impasto in una ciotola con un cucchiaio di legno. Indossava un grembiule bianco per non sporcarsi e aveva le maniche della camicia azzurra tirate fino al gomito. Io invece giravo per la cucina alla ricerca di pirottini di carta, con un grembiule verde completamente pulito perché inutilizzato.
Intanto ascoltavamo la radio a tutto volume e cantavamo a squarciagola.
-Rah-rah-ah-ah-ah!
Mum-mum-mum-mum-mah!
GaGa-oo-la-la!
Want your bad romance
Rah-rah-ah-ah-ah!
Mum-mum-mum-mum-mah!
GaGa-oo-la-la!
Want your bad romance!-
E giravamo per casa ballando e sculettando come due teenager.
-Gwen, servono i pirottini!- Urlò Bridgette mentre faceva una giravolta con la ciotola in mano.
Aprii l’ultimo cassetto rimasto e finalmente li trovai.
Mi avvicinai ballando e li poggiai sul tavolo, e li riempimmo con l’impasto.
-I want your loving
And I want your revenge
You and me could write a bad romance
I want your loving
All your love is revenge
You and me could write a bad romance!-
Bridgette prese il cucchiaio e l’usò a mo’ di microfono.
Scoppiai a ridere e mi passò il “microfono”.
-Oh-oh-oh-oh-oooh!
Oh-oh-oooh-oh-oh!
Caught in a bad romance
Oh-oh-oh-oh-oooh!
Oh-oh-oooh-oh-oh!
Caught in a bad romance!-
Alla fine riuscimmo a infornare i muffin e la canzone venne interrotta.
-Perché si è fermata la musica?- Chiese Bridgette un po’ delusa, ma ancora sorridente e col fiatone.
-Probabilmente sono le batterie scariche. Non le cambio da… da mai, direi.-
-Complimenti!- Disse ironica. Sentimmo squillare un cellulare.
-Scusa. E’ Geoff.-
Bidgette si allontanò dalla cucina, mentre diceva -Pronto, tesoro?- con voce debole e impaurita.
Alzai un sopracciglio.
Di solito non rispondeva in quel modo quando parlava al telefono con Geoff, era allegra, come se non avesse aspettato altro tutto il giorno, ed elencava una serie di nomignoli zuccherosi e vomitevoli.
Sospettosa, mi avvicinai alla camera accanto dove Bridg discuteva col suo amato animatamente.
-Non parlarmi in questo modo! Io volevo dirglielo ma…-
Venne interrotta, e ascoltava sbalordita e arrabbiata.
-Stammi a sentire, non potevo dirglielo! Potremmo aspettare ancora un po’, un paio di settimane magari, e glielo diremo… Lo so che è difficile Geoff! Lo sai anche tu che vorrei farlo anche oggi stesso, ma lei sta male, dovevi vederla, questa mattina era…-
Bridgette spalancò la bocca.
-Forse a te non importa nulla! Ma non posso farle questo ora! Geoff… è importante per me.-
Aspetto un attimo, mordendosi il labbro inferiore.
-Dammi una settimana. Una, sola , misera settimana e lo saprà, e finalmente lo faremo.-
Sorrise.
-Grazie, Geffy. Ti amo tanto. A dopo.- Chiuse la chiamata.
Fece per tornare in cucina, ma mi vide lì.
-Allora… c’è qualcosa che dovrei sapere?- Chiesi, girandole attorno.
Lei deglutii, immobile.
-Non si origlia, dalle mie parti.- Rispose lei, cercando di fare la scaltra. Tentativo vano.
-Si, ma qui siamo a casa mia e questa regola non vale. Che mi nascondi?- Mi fermai davanti a lei, incrociando le braccia.
Lei mi guardò supplichevole. La ignorai.
Sospirò.
Prese la borsa che aveva lasciato sul divano e la aprii.
Si mise a frugare lì dentro. Poi fermò la mano. Mi fissò.
-Questo me l’ha regalato Geoff.-
Uscì fuori una scatolina rivestita di velluto blu, e la aprii.
Mi avvicinai per vedere meglio, e vidi un anello d’oro bianco, con una serie di piccoli diamanti che formavano un cuore, il cui contorno era segnato da piccoli zaffiri.
Spalancai la bocca. La guardai negli occhi.
-Quindi voi…?-
Chinò il capo in segno di conferma.
La mia espressione cambiò, da sbalordita a stupida agazzina iper-contenta.
L’abbracciai e mi misi a saltellare come un’idiota con lei, ridevamo e lanciavamo urla di gioia.
-Tesoro, sono così felice per te! Perché non me l’hai detto prima?- Chiesi, mentre le stampavo un bacio sulla guancia.
Rimase in silenzio e capii.
-Non dovevi farti tutti questi problemi. Sto bene!- Sorrisi. Ricambiò.
-Prendo lo champagne!- Urlai, avviandomi in cucina.
Aprii il frigo e presi la bottiglia che riservavo per le occasioni speciali, presi due bicchieri e tornai nell’altra stanza.
Facemmo schizzare il tappo per la stanza, versammo lo champagne e brindammo.
-Ai promessi sposi!- Gridai.
Ridemmo, e continuammo a bere fino ad ubriacarci. 




Nota:
Buon salve :D spero che il capitolo vi sia piaciuto :) mi scuso per il ritardo, ma di recente ho avuto quello che viene detto "blocco dello scrittore" :S
a presto ;)
baci,
LadyWrite

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Capitolo 9
*** Kiss on the cheek. ***


-Giornataccia?- Chiese Trent.
Altroché, se era una giornataccia. Dopo la sbronza con Bridgette (dovuta alla grande notizia del suo fidanzamento), ero entrata nella fase post-sbronza esattamente pochi minuti prima di andare in ufficio. E mi ritrovavo per questo motivo con un mal di testa terribile e un senso di nausea che non voleva andare.
-Puoi dirlo forte. Anzi no, mi fa male la testa.-
Sorrise.
-Si può sapere che hai combinato?- Domandò lui, curioso, immaginando chissà quale stramberia avessi fatto.
-Bridgette si sposa. Abbiamo brindato. Con troppo champagne.-
-Oh, ora capisco. Ricordi niente di quello che hai fatto mentre eri ubriaca?-
-No. So solo di essermi svegliata sotto il tavolo della cucina con il telefono accanto all’orecchio. Prego di non aver chiamato nessuno, a dirla tutta non lo so perché non ho ancora controllato…-
Trent intanto si mordeva le labbra, divertito.
Alzai un sopracciglio. Lui continuava.
Il più terribile dei pensieri mi attraversò la mente. E notai in ritardo un’altra cosa.
-Perché non mi hai chiesto chi è Bridgette?- Chiesi, terrorizzata.
A questo punto portò una mano davanti la bocca,come per fermare il flusso di risate che usciva dalla sua bocca.
Stavo realizzando di aver fatto un casino, ma volevo cercare una qualsiasi testimonianza di quello che, speravo con tutta me stessa, non avevo fatto.
Presi il cellulare. Cercai fra le chiamate effettuate.
E vidi con tanto orrore il nome del mio capo risaltare in cima alla lista.
-O mio Dio.- Mormorai fra me e me, con tutto l’imbarazzo del mondo.
In tutto questo Trent continuava a tapparsi la bocca per celare le risate ormai fuori controllo.
-Si. Terribilmente divertente. Esilarante.- Dissi, seccata e rossa in viso, mentre tornavo alle mie solite faccende.
Trent ritrovò un minimo di contegno.
-Concordo in pieno. Eri davvero divertente.- Annunciò sorridente.
Lo guardai un momento in cagnesco, poi ripresi ad ignorarlo.
-Oh andiamo Gwen, avresti dovuto sentirti!- Mi toccò il braccio.
- Illuminami allora, ricordami!- Dissi ad alta voce, spostando il braccio, furiosa.
-Sei sicura di volerlo sentire? Potrebbe traumatizzarti.- Disse Trent, ancora col sorriso sulle labbra.
L’ennesima occhiataccia lo convinse a parlare senza prendermi ancora in giro.
-Allora… stavo strimpellando tranquillamente per i fatti miei, quando, verso le due del pomeriggio sento squillare il cellulare.-
-Continua.- Lo incitai, ancora fredda.
-Guardo il display e vedo il tuo nome. Rispondo. E sento delle risate, che mi hanno ricordato delle scimmie, a dirla tutta, e delle voci abbastanza confuse che farneticano sul colore della tua auto. Dopo un po’ mi hai presentato Bridgette, la quale si è messa ad urlare che era fidanzata. A quanto pare la cosa ti ha infastidito perché ti sei messa ad urlare quanto fosse egoista a fare le nozze mentre eri ancora in lutto. Allora lei, sempre urlando, ha detto che non è colpa sua se non riesci a riprenderti dopo tutto questo tempo e, a quanto ho capito, si è rifugiata sul tuo letto. E dopo di questo ti sei messa a piangere e a disperare perché non ti capiva nessuno, tranne una certa “Megan” che volevi rivedere al più presto. Da come me l’hai descritta credo parlassi di un peluche o un cuscino. Infine ti sei messa a farneticare sulla nazionalità della fata Turchina. Credevi fosse turca. Poco originale a dir la verità, l’ha detto anche Marge in una puntata dei Simpson.-
Del discorso di Trent avevo seguito solo qualche parola, ma credo fossero le più importanti.
Fidanzata. Nozze. Lutto. Disperare.
Mi ero decisamente umiliata.
Ormai dovevo sapere che effetto mi faceva l’alcool. Assoluta verità e continue idiozie.
Mi ero tenuta chiaramente per me quello che provavo riguardo il matrimonio di Bridgette: non potevo dirle di non sposarsi, non me lo sarei perdonato. Speravo soltanto che non ricordasse nulla, altrimenti, conoscendola, avrebbe annullato le nozze e Geoff l’avrebbe lasciata, e io avrei dovuto fare la parte dell’amica paziente che l’aiuta … e “paziente” non era decisamente fra l’elenco delle mie qualità.
Così l’unica cosa che riuscii a dire è: - Cavolo.-
Trent rimase in silenzio.
Presi a sbattere alternativamente le dita sulla scrivania, in preda alla vergogna.
-Gwen, basta.-
Ignorai Trent e continuai imperterrita.
Posò la sua mano sulla mia, fermando le dita. Prese a fissarmi con espressione neutra, in attesa che alzassi lo sguardo verso il suo.
Evitai, poiché sapevo, forse inconsciamente, che se l’avessi fatto mi sarei persa là dentro.
-Gwen, senti … se vuoi parlarne sono qui, ok? Ormai ti conosco come un libro aperto, so quando stai male, e non ci riesco a vederti così. Appena te la senti, fammi sapere. Sono disposto ad ascoltarti quando e quanto vuoi. Io sono nella stanza accanto.- Detto questo stette un attimo in silenzio, forse aspettando che rispondessi.
Feci un cenno col capo, che in quel caso indicava non solo che avevo capito, ma anche che gli ero grata delle sue continue attenzioni e della sua amicizia.
Si chino versò di me e, inaspettatamente, mi diede un leggero bacio sulla guancia.
Rimasi immobile, incapace di fare nulla, se non osservarlo mentre se ne andava e sfiorare con la punta delle dita il punto dove, fino a pochi attimi prima, aveva posato le labbra.

 
 
 
 
 
 
Nota:
Ehm… salve, lettori… *si nasconde pateticamente dietro un albero per evitare colpi di fucili e armi varie*
Lo so, lo so, ho pubblicato l’ultimo capitolo tipo… un mese fa ^^” ma avevo il blocco dello scrittore ( di nuovo T.T ) ...
cavolo è venuto pure corto...
Mi dispiace tanto! *scappa urlando e piangendo in preda alla disperazione*
LadyWrite

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Capitolo 10
*** I hope you can wait. ***


Non so voi, ma a volte mi capita di desiderare con tutta me stessa qualcuno. Non un qualsiasi qualcuno, ma il qualcuno, quella cosa, persona, animale o chicchessia capace di farti sentire meglio.
Credo che l’abbiano tutti.
La gente si rifugia da qualcuno, o da qualcosa, che la conforti: un amico, un parente, un hobby, anche il proprio animale domestico può farlo.
Io stessa avevo il mio qualcuno.
Prima, qualsiasi dolore, incertezza, delusione, trovava soluzione fra le braccia di Duncan. Lì dimenticavo tutto, e appena dovevo affrontare ciò che, in qualche modo, mi feriva, trovavo una soluzione.
Ma dopo tutto quel che era successo, non avevo nessun qualcuno.
Ero circondata da continue pugnalate, una peggio dell’altra, e non avevo alcun modo per fuggire, anche temporaneamente, da quell’inferno di sangue. E rimanevo, perciò, fissa nel mio dolore mentre il mondo continuava a girare, lasciandomi sempre indietro.
Finché nella mia vita non è entrato Trent.
Lui, con le sue gentilezze, il suo modo di fare, il suo sorriso che illuminava la stanza, il suo costante tentativo di aiutarmi senza mai perdere la pazienza, era diventato un sostegno indispensabile nella mia vita. Certo, continuavo a cadere e a farmi male, ma sapevo che, per quanto la ferita fosse profonda, lui sarebbe giunto a porgere la sua mano per aiutarmi, pronto a portarmi sulle sue spalle  per chilometri e chilometri finché non fossi guarita.
Mi chiedevo cosa avrebbe fatto quando si sarebbe stancato di correre ad aiutarmi, e già sapevo la risposta. Sarebbe andato via, annoiato dalla frignona di vedova che doveva soccorrere puntualmente ad ogni minimo male.
E quando quel momento sarebbe arrivato, avrei potuto dire addio ad ogni sorta di sanità mentale e benessere. Perché Trent era arrivato come un salvagente quando stavo per toccare il fondo, era stata la medicina che mi ha curata miracolosamente in punto di morte. Anzi, era la mia droga. Ero assuefatta da Trent, dipendente da lui e dalla sua presenza. Senza di lui sarei affondata, morta.
Mi chiedevo se potesse diventare il mio nuovo qualcuno.
Forse non sarebbe stato lo stesso che con Duncan, anzi, sicuramente. Mai e poi mai sarei riuscita ad amarlo, e forse, in un futuro il più lontano possibile, avrebbe preteso più della mia amicizia. Ma in quel momento, mentre pensavo alla mia migliore amica che presto avrebbe avuto a che fare con quello che ho desiderato con tutta me stessa, ovvero famiglia, figli, recite scolastiche, pianti, bimbi da curare, rimproverare e, soprattutto, amare, sempre al fianco dell’uomo dei suoi sogni, non potevo fare a meno di tornare nel mio mondo sicuro, sfogarmi e stare al fianco del mio qualcuno, che, speravo con tutta me stessa, fosse Trent.

*

Aprii uno spiraglio della porta del suo ufficio, silenziosamente.
Guardai con l’occhio sinistro l’interno della stanza. Trent era sdraiato su un tappeto, con le gambe piegate e incrociate, le mani dietro la testa e la sua fedele chitarra al suo fianco. Il suo sguardo ero fisso sul soffitto, immerso in chissà quali pensieri.
Sembrava concentrato, preso dalle sue riflessioni, quasi in un altro pianeta, e allo stesso tempo sereno, come se avesse raggiunto uno stato di trance.
Spostai un altro po’ la porta per vedere meglio, e cigolò.
Trent tornò, per così dire, sulla Terra. Balzò a sedere in una frazione di secondo, distese le gambe in avanti e spostò lo sguardo su di me.
Appena mi vide tirò un sospiro di sollievo e mi sorrise.
-Vuoi parlare?- Chiese, gentilmente.
Annuii, e lui mi fece segno di avvicinarmi. Obbedii.
-Siediti.- M’invitò lui, battendo piano la mano sul tappeto.
Nuovamente feci come disse. Incrociai prima le gambe e poi mi adagiai al suo fianco.
Si spostò un po’ per guardarmi meglio, e attese che iniziassi.
Ma non lo feci.
Rimanemmo qualche istante in silenzio, poi cominciò lui.
-Ho notato che, dopo averti detto cosa ci siamo detti al telefono, sei rimasta parecchio scossa.-
Annuii nuovamente.
Rimase di nuovo in silenzio, mentre tenevo lo sguardo basso sul tappeto.
-Gwen?-
Alzai gli occhi verso i suoi, preoccupati.
-E’ per il matrimonio di Bridgette?-
E allora non riuscii a trattenere le lacrime.
Rimasi ferma a fissarlo, mentre le lacrime scendevano e i singhiozzi mi smuovevano il corpo.
Lui, senza esitare,si mise sulle ginocchia e portò la mia testa sul suo petto, cullandomi dolcemente, incurante della maglietta che lentamente si bagnava e della mia consapevolezza di aver trovato il mio nuovo qualcuno.

*

-Io le voglio bene, molto più di quanto do a vedere. Non potrei mai e poi mai dirle di non sposarsi perché mi metterebbe tristezza. Almeno questo glielo devo.-
Trent intanto annuiva e mi passava dei fazzoletti.
-Quindi me la terrò per me, questa cosa. Anche se sono curiosa di sapere cosa farò durante la cerimonia.- Aggiunsi sarcasticamente, triste al solo pensiero.
Trent rifletté un attimo.
-Secondo me hai fatto male.-
-Ho fatto male cosa?- Chiesi confusa.
-A costruire la tua vita intorno a Duncan e Bridgette. Ora ti ritrovi distrutta per la morte di uno e triste perché non puoi parlarne con l’altra.-
Capii dove voleva arrivare.
-So cosa intendi. Me ne rendo conto anch’io.- sospirai. –Ma non è facile, per me, fidarmi. Quando incontro una persona, è come se la inquadrassi sin da subito. E le possibilità sono tre: entrare nelle mie grazie, passare nella categoria “indifferenti”, essere registrato sulla mia lista nera.-
Sorrise del mio strano modo di pensare.
-Capisco.- Assunse un’aria seria. –Ma così ti isoli da tutti. Forse non saresti in questo stato se avessi avuto più gente intorno a te. Magari non saresti la segretaria di uno pseudo cantante-musicista da strapazzo, e andresti al matrimonio contenta per lei e non triste per te.-
-Ho da ridire su parecchie delle cose che hai detto in quest’ultima frase.- Dissi, acida.
Alzò gli occhi al cielo. Lo ignorai.
-Anzitutto, sarei triste in ogni caso. Duncan è stato l’uomo della mia vita, un matrimonio dopo appena sei mesi mi metterebbe tristezza in ogni caso, non credi?-
Sospirò.
-Uno a zero per te. Cos’altro ho sbagliato?- Chiese, interessato.
-Non sei uno “pseudo cantante-musicista da strapazzo”.-
Mi guardò con aria eloquente.
-E’ un pareggio.- Concluse.
-Non ho finito. E quello era un punto per me.-
Sorrise, lievemente rosso in viso.
-Io sono contenta per lei. È il suo sogno segreto da non so quanti anni sposarsi, non potrei non esserlo. M’intristisce solo l’idea che, di tutto quel che ho desiderato, non sono riuscita a realizzare che un solo progetto, andato per giunta in fumo. E lei ora li realizzerà tutti uno dietro l’altro, mentre io rimango sola a… guardarla mentre vive la sua felicità. Ed allora non avrà più tempo per stare dietro una… triste, vedova addolorata.-
Mi coricai di colpo sul tappeto, sbuffando e fissando il soffitto.
Trent continuava a scrutarmi.
-Prima o poi tutti si stancheranno di me. Lei, tu… Megan.- Ridacchiai. –Rimarrò sola. Sarà una cosa lenta e graduale. E fra qualche mese, mentre guarderò il filmino del mio matrimonio, mi accorgerò dell’assenza di qualcuno che lo guardi con me. E sarà una cosa corretta, la gente non può fermare la propria vita per aggiustare la mia, del resto.- Sospirai.
Voltai la testa di lato, senza guardare nulla in particolare.
Rimanemmo in silenzio, ognuno preso dalle sue riflessioni. O meglio, entrambi presi dalle mie riflessioni.
-Quindi… è davvero questo quello che pensi?- Chiese, ferito.
Confusa, mi girai a guardarlo.
Sembrava addolorato, triste, e in qualche modo offeso.
-Si, Trent. La gente, volontariamente o no, si allontanerà da me e dalla mia… aura negativa.-
Il suo sguardo si caricò d’ira. Mi issai a sedere.
-Trent? Che ti prende?-Chiesi, un po’ in ansia.
-Secondo te entro qualche mese ti abbandoneranno tutti?- La furia stava dominando il suo volto.
Feci “si” con un cenno del capo.
I suoi occhi si fecero di ghiaccio. Ormai era un miscuglio di ferocia e dolore.
Si avvicinò di scatto e mi prese le spalle.
-Come puoi anche solo pensare che me ne andrò?!? Credi davvero che ti lascerei da sola ad affrontare i miei stessi dolori? Cosa ti fa pensare una cosa simile?-
Non so come descrivere quello che vidi. Posso solo dirvi con certezza che avevo davanti un uomo, forse ferito, forse rabbioso, a causa di un’idea, a quanto pare, sbagliata che mi ero fatta di lui. Solo poco dopo capii chi avevo davvero davanti.
Il mio silenzio, dovuto più alla sorpresa che da altro, non fece che accrescere quel sentimento negativo che aveva preso dominio di Trent.
-Non ci credo, Gwen. Come puoi pensare che, dopo aver vissuto la tua stessa situazione, dopo averla praticamente vissuta con te, io possa abbandonarti? È… è assurdo. Cosa ti fa credere che sia anche solo capace di fare una cosa simile?-
Mentre parlava, vidi la durezza dei suoi occhi sciogliersi per svelare una tristezza immensa.
Lasciò cadere le braccia dalle mie spalle, e restò a fissarmi, in attesa di una spiegazione.
-Io… io non lo so.- Dissi infine, abbassando lo sguardo sul pavimento.
-E’ una sensazione, la mia.- Aggiunsi.
Mi fissò intensamente.
-Gwen, io non potrei mai, mai, farti del male. Non ne sarei capace.- Affermò in un sussurro, accarezzandomi dolcemente la guancia.
Il cuore si fermò un istante. Riprese a battere dopo pochi secondi, ad un ritmo veloce e scombinato.
Presi a fissarlo intensamente, confusa e spaventata. Lui ricambiava con uno sguardo penetrante.
Ma cosa stava succedendo?
Nella mia testa era iniziata una confusione immensa. Cosa dovevo fare? Allontanarmi? Abbracciarlo? Voltarmi, urlare, scappare, ringraziarlo?
E mentre mi chiedevo cosa era meglio fare, una parte di me fece qualcosa di inatteso.
Consigliò di baciarlo.
Nella mente già affollata di pensieri e incertezze, iniziò il subbuglio.
Era o non era corretto? Certo che non era corretto, io ero ancora innamorata di Duncan e lui di me, non potevo fargli questo. Ma Duncan era morto, del resto. Non era stato lui stesso a dirmi di trovarmi un altro uomo? Certo, per come l’avevo scritto nella sua lettera non sembrava esattamente entusiasta all’idea… per non parlare del suo “sono sempre con te”. Cosa voleva dire? Era una sorta di avvertimento minaccioso? O intendeva dire di non preoccuparmi, di vivere tranquillamente perché era come se fosse presente?
Mentre quei pensieri giravano vorticosamente nella mia testa, Trent staccò la mano dalla mia guancia e si alzò.
Allungò la stessa verso di me, sorridente. Confusa, la presi e mi alzai con il suo aiuto.
-Grazie, Trent.- Dissi, dopo un breve attimo di silenzio.
-Non essere sciocca. Non potrei mai lasciarti sola.- Rispose, serio.
Sorrisi, un po’ imbarazzata.
-Beh, credo che riprenderò le mie faccende.- Annunciai, dirigendomi verso la soglia della stanza.
Trent rimase immobile mentre uscivo. Ma, poco prima che chiudessi la porta alle mie spalle mi fermò.
-Gwen?- Disse, insicuro.
-Sì?- Risposi.
Si morse il labbro, incerto.
-Aspetterò. Sono molto paziente.- Annunciò infine, rosso.
Il cuore, che aveva ripreso a battere normalmente, si fermò nuovamente. Avevo capitò benissimo che voleva dire, e la cosa mi spaventava tremendamente.
-… Spero tu possa aspettare a lungo, Trent. Lo spero tanto.-
E detto ciò mi avviai nell’altra stanza.
 
 
 
 
 
 
Nota:
Sono tornata ^^ questa volta non ci ho messo così tanto per il capitolo, contenti? *un coro di “no!” si leva dalla folla*
Oh… beh, allora credo che andrò via… *si va a deprimere in un angolino*
A presto!
LadyWrite 

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Capitolo 11
*** You wanna come with me? ***


Spero tu possa aspettare.
Con questa frase avevo davvero toccato il fondo.
Fare la parte della povera vedova depressa era già sufficientemente umiliante. Ma dover interpretare una donnicciola innamorata che combatte coi propri sentimenti era a dir poco patetico.
E, oltretutto, con quelle parole stavo illudendo Trent profondamente. Io non potevo stare con lui, né in quel momento, né nei giorni avvenire, né mai. Io ero ancora legata a Duncan. E anche se ormai era morto, non significava che non potessi tradirlo.
Mentre riflettevo, nella testa rimbombavano ancora le parole della lettera.
“Sono sempre con te” era la frase che più era rimasta impressa nella mente. Con ogni probabilità, il motivo era che non riuscivo a interpretarle. Non capivo se Duncan le avesse scritte per incoraggiarmi a farmi una nuova vita, o se stesse tentando di riguardarmi dal trovare un altro uomo. E bisogna mettere in conto se pensasse davvero cosa aveva scritto. Ahimè, la mente di quell’uomo era sempre stata un dilemma. Non riuscivo mai a capire se stesse mentendo, se nascondesse qualcosa, il suo stato d’animo … difatti, era riuscito a nascondermi la sua vera professione per tutto l’arco della sua vita. E, in fin dei conti, sapevo che era questo che mi attirava, in lui: quella sua aura di fascino e mistero, quei suoi occhi che celavano cosa gli passava per la mente … Non fraintendete, non era solo questo, ciò che amavo di Duncan. Di lui amavo tutto, dal suo più grande pregio al peggiore dei suoi difetti. Del resto, quando si ama qualcuno, non si resta impalati a chiedersi cosa piace di quella persona. Semplicemente si ama, senza alcuna domanda, timore o perplessità.
L’amore, alla fine, è terribilmente semplice.
Siamo noi uomini, con i nostri errori e i nostri limiti terreni (come la morte, ad esempio) che rendiamo le cose terribilmente difficili.
Ma tralasciando certi pensieri, dentro di me rimaneva ancora aperto un conflitto che andava avanti ormai da tempo: che fare con Trent?
Era corretto desiderarlo? O dovevo lasciar perdere, e vivere sola? E alla fine, sarei davvero rimasta sola? Duncan non era sempre con me? Ma in quel periodo, e, a dirla tutta, da quando era morto, non l’aveva mai sentito realmente vicino. Ero semplicemente rimasta senza nessuno, abbandonata al mio dolore. Senza contare, chiaramente, i momenti in cui Bridgette mi era stata vicina e quelli trascorsi col mio caro chitarrista.
Ero arrivata alla conclusione che la solitudine, prima o poi, mi avrebbe spinto dritto dritto fra le sue braccia. E l’idea mi spaventava tremendamente.
Del resto, prima o poi, avrei dovuto affrontare quegli strani sentimenti opposti che regnavano in me.
Ma la vera domanda era se sarei stata pronta quando sarebbe arrivato il momento.

*

-Gwen?-
Alzai lo sguardo. Ero talmente presa dalle mie riflessioni da essermi dimenticata dov’ero. Intanto Bridgette mi guardava frustrata.
-Gwen, te lo chiedo per favore!- Cominciò, lagnandosi. –Oggi, solo per oggi, concentrati!- Concluse, con un tono vagamente minaccioso.
-Ok, ok, scusa tesoro, non volevo. Allora, stavamo dicendo?- Chiesi, più per gentilezza che per vero interesse.
-Ti ho chiesto se è meglio farlo il quattordici febbraio, per San Valentino, o per il diciotto marzo, il nostro mesiversario di fidanzamento. O forse è meglio il due marzo, quando siamo usciti insieme la prima volta? O magari, è meglio il ventotto febbraio, quando mi ha presentato ai suoi genitori? Eh, Gwen, eh, eh, eh?- Chiese, istericamente.
Un po’ impaurita, alzai le braccia come per difendermi.
-Anzitutto, respira profondamente e rilassati.- Le intimai. Lei fece come le avevo detto, chiudendo gli occhi.
Le presi le spalle con le mani. –Meglio?-
Annuì.
-Bene.- Sorrisi. –Ora, vediamo un po’… A febbraio è meglio di no, magari farà freddo. Che ne dici di fine marzo, magari, inizio aprile? Così non farà troppo freddo, e non comincerai a sudare come un maiale per il caldo. Che te ne pare?-
Sul suo volto apparve un sorriso immenso.
-Oh Gwen, tu si che sei un genio! Visto, basta poco a farmi contenta!- Urlò entusiasta, saltellando verso il tavolo di casa sua, ormai straripante di riviste per spose e appunti vari, per segnare il mio consiglio con una penna.
Aveva ragione. Ci voleva poco a rallegrarla.
Bridgette posò la penna, prese il foglietto dove aveva scritto e lo mise in mezzo ad un quadernetto.
-Perché l’hai messo lì?- Chiesi. Sollevò la testa e sorrise, radiante.
-Qui dentro metto tutti i consigli migliori e le cose  già programmate. Così posso organizzarmi meglio.- Rispose. –Sempre che l’isteria non mi porti al suicidio.- Commentò infine, lugubre e ironica.
Alzai un sopracciglio.
-Suicidio? Meglio un omicidio! Così poi arrivi all’altare col vestito macchiato di sangue e un’ascia sporca in mano!- Consigliai io.
-Certamente! E magari facciamo una strage fra gli ospiti, dopo.-
-Tu si che mi capisci, ragazza.- Conclusi scherzando, posandole una mano sulla spalla.
Lei accennò un altro sorriso nella mia direzione, e poi sospirò.
-Gwen, ancora non so come ringraziarti per esserti presa un giorno libero per aiutarmi con i preparativi … se non ci fossi stata tu avrei dovuto passare la mattina e anche il pomeriggio con Samantha.-
Samantha era la suocera di Bridgette. Non era una donna cattiva, affatto. Purtroppo era parecchio irritante a causa della suo essere tremendamente logorroica e tradizionalista, e per la mia cara e giovane amica stare con lei non era esattamente piacevole.
-Figurati, quando vuoi.- Scrollai le spalle. -Allora … cos’altro manca per la preparazione?- Chiesi.
-Oh, soltanto abito, bouquet, luogo, torta, invitati, buffet, luogo del buffet, trucco, luna di miele e prete.- Rispose, sarcastica.
-Meno male, pensavo peggio!- Risposi ironica. Lei sbuffò.
-Dai, tirati su! C’è tempo da qui a fine marzo! Siamo ancora al ventitre novembre, per allora sarà tutto pronto, vedrai!- La confortai.
-Hai ragione.- Sorrise. –Allora … il tuo abito di che colore sarà? Pensavo ad un bell’azzurro cielo, o color lavanda … -
Alzai un sopracciglio.
-Credi che già sappia cosa metterò? Come minimo ci penserò il giorno prima.-
Allargò il suo sorriso.
-Come il giorno prima? La mia testimone deve essere elegante almeno quanto me, quel giorno, non permetterò che tiri fuori un qualsiasi straccetto dall’armadio!-
Sbarrai gli occhi.
No, non poteva infliggermi questo!
-Non accetto un rifiuto, te lo dico prima!- Aggiunse, quasi minacciosamente.
-Andiamo, Bridg!- Supplicai. –Non posso farlo! Non ho voglia di essere fissata da quella marea di gente mentre firmò un foglio! Per l’imbarazzo diventerò rossissima, e ti garantisco che cadrò, ne sono certa! Farò una figuraccia colossale! Sai quanto odi stare al centro dell’attenzione, non puoi …-
-Gwen?- M’interruppe. -Posso.-
Cercai di pregarla con gli occhi, senza risultato.
-Dai, vedrai che sarà divertente!- Cercò di rallegrarmi.
Sospirai.
-Oh, si. Quanto una corsa in un tappeto di aghi. A piedi nudi.-
-Significa che lo farai?- Chiese, speranzosa.
-Ho scelta?-
-No.-
-Allora si, ma lo faccio con dolore.-
-Che bello, sono così contenta!- Disse, abbracciandomi gioiosamente.
-Si. Anch’io lo sono.- Risposi, mettendoci più enfasi possibile.
-Allora, che colore sarà il tuo abito?- Poi le venne l’illuminazione. –Che ne diresti di un bel rosa pesca?-
-NO, PESCA NO!-Urlai, terrorizzata alla sola idea di ciò che mi aspettava.

*

Il giorno dopo avevo ripreso a lavorare.
Stavo raccontando a Trent della “deliziosa” idea di Bridgette riguardo il mio abito.
-Vuole farmi indossare un vestito color pesca lungo fino al ginocchio, con un nastro rosa intorno alla vita e trampoli alti dieci centimetri … - Rabbrividii, mentre lui sghignazzava sotto i baffi.
-E tu cosa le hai detto?- Chiese, curioso.
-Che non avevo intenzione di umiliarmi fino a quel punto, ovviamente!- Risposi, sorridendo. –Alla fine, abbiamo deciso che, se devo fare la testimone, sceglierò io l’abito, basta che non sia nero o deprimente, o entrambe le cose. - Alzai gli occhi al cielo.
-Non capisco cos’abbia la gente verso il colore nero. Perché lo trova lugubre?- Chiesi, retoricamente.
-Forse perché ricorda l’oscurità, e nell’oscurità troviamo ciò che non si conosce.- Rispose, mentre sorseggiava del caffè da una tazza.
-Come siamo profondi, oggi!- Commentai scherzosamente, mentre mi  preparavo del tè. –Da dove vengono queste risposte filosofiche?-
Scrollò le spalle. –Non saprei. A volte mi sveglio e ho la testa colma di perle di saggezza.- Mi sorrise.
Ricambiai.
-Hai risolto il problema della cerimonia?- Chiese.
-Quale problema?- Mi aveva un po’ confusa.
-Dicevi che non sapevi come avresti fatto, durante il matrimonio. Ti avrebbe messo tristezza.- Rispose, impassibile, portando nuovamente la tazza alle labbra.
Non ci avevo pensato. Mi era passato del tutto di mente quel “problemino”.
-No. Non ho risolto proprio nulla.- Dissi, frustrata.
-Oh. Mi dispiace, Gwen. Non dovevo prendere l’argomento, perdonami.- Si avvicinò verso di me, e mi abbracciò da dietro.
Io mi immobilizzai, e feci cadere la bustina di tè zuppa d’acqua sul piano da cucina.
Dopo quel breve momento di sorpresa, fui invasa da una sensazione di calore.
Forse sarei dovuta essere confusa da quei miei sentimenti per Trent. Ma la cosa non mi stupiva più già da un po’.
Sospirai.
-Non preoccuparti. Hai fatto bene a ricordarmelo.-
-Non vedo cosa ho fatto di buono. Ti ho solo intristito.- Mi liberò dal suo abbraccio e si appoggiò sul piano, dal quale stavo togliendo la bustina.
-Non prendertela con te stesso. Non fa nulla, davvero.- Gli sorrisi, e cominciai a bere il mio tè caldo.
Poi si accese una lampadina. Che non doveva certamente accendersi.
-Mi è venuta un’idea. – Dissi, nonostante la testa mi dicesse di tenere chiusa la bocca.
-Che idea?-
-Che ne diresti di accompagnarmi al matrimonio?- La mia mente intanto mi malediva con insistenza.
Lui arrossì, sorpreso, ma alla fine sorrise gaiamente.
-Certo, perché no? Ma credi che saranno d’accordo Geoff e Bridgette?-
-Certo! Perché non dovrebbero?-

*

-Oh, già ti dai da fare, Gwen! Però se vedo che vi allontanate in qualche camera da letto, sarò costretta a ferm… -
-Non continuare, ti prego. Davvero, non ce n’è bisogno.-
Chiusi la telefonata (fatta dal bagno dello studio), imbarazzata fino al midollo.
E si, anche emozionata per le nozze.
 
 
 

 
 
 
 
 
 

Nota:

eccomi qua :) alla fine ce l’ho fatta a scrivere il capitolo!

*Il pubblico alza le spalle indifferente*

… Non vi vedo particolarmente entusiasti. Vabbè, allora non scriverò più nulla!

*Il pubblico continua ad essere indifferente*

Ma so che in fondo (mooooooolto in fondo) vi mancherei! Quindi continuerò a scrivere **

*Il pubblico sbarra gli occhi e scappa urlando*

Si, anch’io vi amo tanto <3

La Strega
 

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Capitolo 12
*** Who is he? ***


-Allora, che ti ha detto?- Chiese Trent, vedendomi rientrare in cucina ancora con il telefono in mano.
Anticipai la mia risposta con un sorriso.
-Come ti avevo già detto, non ci sono problemi.-
Il mio capo mi fissava con un’espressione gioiosa, i denti bianchi risaltavano sul suo viso tanto quanto le sue iridi verde prato.
Ci guardammo per un attimo eterno, finché non cominciai ad arrossire. Lui spostò lo sguardo altrove, e portò un mano ai capelli come suo solito.
Io intanto stringevo il gomito destro con la mano sinistra, imbarazzata almeno quanto lui.
I secondi passavano, e l’atmosfera rimaneva tesa come una corda di violino.
-Cosa indosserò al matrimonio?- Chiese, invitandomi a sedere accanto a lui al tavolo da pranzo.
Ringraziai il cielo per avergli dato la capacità di tirarmi fuori da quelle situazioni imbarazzanti.
-Mmmh … - Finsi di pensarci un po’ su, con un mano che strofinava il mento, intenta a ragionare. –Credo che uno smoking andrà più che bene.-
Imitò la mia espressione malamente, annuì fra sé e sé, e infine rispose: -Eccellente proposta, milady.-
Sorrisi e scossi la testa, davanti quell’espressione tanto buffa, ma comunque … bella. Quel volto rimaneva affascinante, fresco come quello di un bambino senza alcun pensiero al mondo. Non per questo era un bambino in tutti i sensi, anzi. Il dolore di una perdita l’aveva fatto crescere, l’aveva reso l’uomo forte e saggio che era.
Improvvisamente lo scorrere dei pensieri si fermò. Un’altra idea era venuta a farmi visita, ma questa volta non mi dispiaceva affatto.
-Trent?- Lo chiamai io, con un tono che non prometteva nulla di buono.
-Sì?- Rispose lui, attento a non farsi prendere in giro dall’espressione da angioletto che avevo assunto.
-Pensavo … che io sono stata molto … cortese, ad invitarti al matrimonio della mia migliore amica … -
-Certo che sei stata cortese, Gwen. Continua pure.- Mi incitò lui, con un sorriso lieve che cercava di mascherare (inutilmente) un grande sospetto.
Davanti il suo volto, non seppi più come continuare. Avrebbe pensato di essere stato invitato solo per un mio tornaconto, di certo. Non volevo sembrare un tipo calcolatore, soprattutto perché non lo ero!
Solo io riesco a cacciarmi in certe situazioni! Pensai fra me e me, mentre tentavo disperatamente di trovare una soluzione.
-Gwen …? Non … non ci credo!- Disse lui, indignato.
Probabilmente aveva capito dove volevo andare a parare. Non osai alzare lo sguardo dalla vergogna.
-Quindi mi hai invitato solo per questo?- Chiese, con lo stesso tono di prima.
-No!- Risposi, alzando lo sguardo di colpo. –Non pensarlo nemmeno, Trent! Io voglio che tu venga al matrimonio perché … -
Non avevo idea di come concludere la frase. Mi ero impantanata da sola.
Abbassai nuovamente lo sguardo, sconfortata, e con quello tutto il capo.
Trent mi mise un dito sotto al mento e cercò di alzarlo. Lo lasciai fare, ma non osai guardarlo in viso.
-Gwen?-
Feci finta di niente, gli occhi ancora puntati verso il basso.
-Gwen, guardami.-
Un po’ di malavoglia, obbedii. I suoi, di occhi, erano davvero ansiosi.
-Gwen, io stavo scherzando.-
Un fulmine a ciel sereno. Ecco cos’era quell’affermazione.
Ero tanto presa dai sensi di colpa, da non capire il vero stato d’animo di Trent?
-Ah.- Riuscii a dire dopo qualche attimo interminabile.
-Se volevi sentire la storia bastava dirlo. Io credevo che non ti interessasse più!- Si alzò dalla sedia e versò dell’acqua in un bicchiere.
-E come potrebbe non interessarmi? Sono rimasta a quando siete diventati amici! Ancora non ho idea di chi sia realmente, cosa sia successo … io pensavo che tu non volessi più parlarne.-
-E perché non dovrei volerlo?-
-E perché non dovrebbe interessarmi?-
Non rispose alla domanda, come io non avevo risposto alla sua.
-Dovremmo smetterla di fare ipotesi e dichiararle vere senza testarle.- Commentò lui, dopo aver sorseggiato dal bicchiere.
-Concordo in pieno, Messer.-
Ci sorridemmo a vicenda.
-Per un istante solo, ho creduto che volessi che ricambiassi il favore invitandoti da qualche parte!- Scosse la testa fra sé e sé, divertito.
Non compresi in fondo che volesse dire. Intendeva che fosse assurdo, per lui, uscire con me, o era assurdo che io volessi uscire con lui?
Era opportuno chiederglielo? Alla fine la mia impulsività scelse per me.
-Perché quella faccia?-
Alzò un sopracciglio, confuso.
-Quale faccia?-
-Quella di prima. Sorridevi all’idea che potessi aver pensato di voler uscire con te!- Risposi, fingendomi irritata.
-Oh Gwen, cosa hai capito? Int…-
-Cosa c’è? Non mi trovi alla tua altezza, per caso? Non sono degna di uscire con te?-
-Ma … Gwen! Che stai …?- Trent s’interruppe.
I suoi occhi si illuminarono per un momento.
-Gwen, ti dimostrerò che per me sei più che degna! Questa sera, alle otto e mezzo, torna in ufficio. Ti porto fuori.-
Rimasi, usando un eufemismo, alquanto sorpresa. Non credevo che la cosa avrebbe preso questa piega.
Tuttavia, evitai di dargli a vedere ciò, così, come se la sapessi lunga, risposi: -Vedremo cosa mi dimostrerai, Trent, vedremo.-
E con nonchalance e naturalezza, mi diressi verso il suo ufficio per mettere finalmente in ordine e cominciare a lavorare.

*

-Bridgette, secondo me è meglio sposarsi in municipio.-
-Gwen, so come la pensi tu, ma la cara Samantha non è d’accordo. Lei è talmente credente d’aver pensato di diventare suora, ci credi?-
-Wao, hai poco da fare con la nuova Madre Teresa di Calcutta.- Dissi, alzando le sopracciglia.
-Lo so! Il punto è che non le va bene nessuna Chiesa, oggi ne avremo visitate una ventina in tutta la città, e non so quante in chissà quali paesini sperduti! Quella donna mi farà impazzire, con la sua esigenza, le sue Chiese e la sua onnipresenza! Ho passato più tempo con lei in questi ultimi giorni che da quando conosco suo figlio.- Sbuffò infine, seccata.
Conoscendola da un sacco di tempo, sapevo già che, in quel momento, stava battendo il piede sul pavimento dal nervosismo, teneva la cornetta fra l’orecchio e la spalla, e stava mescolando qualche impasto con un grosso cucchiaio di legno dentro la sua amata ciotola di ceramica verde, regalata dal suo amato Geoff un paio di compleanni fa.
-Bridg, dille chiaro e tondo cosa pensi! È il tuo matrimonio, accidenti, scegli da sola cosa è meglio per il tuo giorno.-
-Oh, magari fosse così semplice, Gwenny cara! Ma se lo faccio il suo caro figliuolo correrà da lei a difenderla, io passerò per la cattiva della situazione e si farebbe lo stesso a modo suo! Meglio evitare, ti pare?- Rispose, sospirando.
-Allora parlane prima con Geoff,  no? Non puoi permettere che il tuo matrimonio vada a rotoli per colpa di tua suocera! Io … non lo permetterò!- Conclusi infine, con un velo di ironia.
-Ma davvero?- Chiese lei, scherzando. –E cosa hai intenzione di fare? Sentiamo.-
-Beh, potrei sempre rapirla e rinchiuderla dentro uno sgabuzzino. Funziona sempre.- Risposi io, mentre mi sedevo sul divano di casa con un pacchetto di patatine.
-L’idea mi alletta, ma non mi pare il caso di torturare la povera gente che passerà vicino allo sgabuzzino. Continuerà a parlare e a frignare di continuo, te lo assicuro. Lo fa anche quando non è rinchiusa.-
Risi al pensiero di cosa doveva sopportare la mia povera amica, e lei con me, probabilmente più per la disperazione che per altro.
-E a te come vanno le cose? Con il tuo bel capo come sta andando?- Chiese lei, maliziosa.
Alzai gli occhi al cielo e ingoiai la patatina che avevo in bocca.
-Non farti strane idee! Comunque è tutto ok, e questa sera mi porta fuori.-
-Come osi dirmi che non devo farmi strane idee, quando mi dici che uscirete insieme?!-
Sbuffai sonoramente, ficcando l’ennesima patatina in bocca.
-Oh Gwen, come sono contenta! E dove andrete? Ti ha detto come devi  vestirti? Racconta!-
-Sembri una di quelle teenager sceme! Non è il mio primo appuntamento, Bridg, e non è nemmeno un appuntamento, tra l’altro!-
-Punto primo: l’hai usata tu la parola appuntamento; punto secondo: è un appuntamento;  punto terzo: vuoi dirmi cosa è successo di preciso o hai intenzione di mugugnare tutta la serata?-
Alla fine le raccontai l’accaduto, con tono annoiato e fra una patatina e l’altra.
-In parole povere glielo hai chiesto tu. -
-Cos …?!- Alzai le sopracciglia, sbalordita. –No! Certo che no! Stavamo scherzando, e lui me lo ha chiesto, stop. -
-Gwen, probabilmente è convinto che tu volessi uscire con lui, e ha preso l’occasione al volo! Davvero non lo capisci?-
-Oh, non dire stupidaggini, Bridg! Non è il tipo che approfitta di certe situazioni così, lo conosco bene ormai.-
-Sarà … -
-Non “sarà”. È. -
-Ok, se dici che non è il tipo allora ti credo. Cambiando argomento, cosa hai intenzione di mettere?-
-Jeans, maglietta scura e scarpe da tennis.- Risposi, quasi automaticamente. Cosa dovrei mettere?
-Stai scherzando, spero.-
Alzai un sopracciglio.
-No, non scherzo affatto.-
Bridgette rimase un attimo in silenzio, come allibita.
-Ma … Gwen! È il vostro primo appuntamento! Sembri pronta per andare ad un funerale così, non ad uscire con lui!-
-E cosa dovrei mettere, sentiamo?-
-Anzitutto potresti mettere un vestito, anziché i tuoi jeans … -
Rabbrividii all’idea.
-No, proposta bocciata. Altre idee brillanti?-
-Sei incontentabile!- Disse sbuffando. –Almeno una gonna?-
-Non ne ho nemmeno.- Sospirai, rassegnata.
-Sai cosa potresti mettere? Quel vestito nero con un copri spalle … quello che hai messo per lo scorso Natale!- Propose, allegra.
-Oh, ti prego no!- Ero terrorizzata. Se avessi messo il vestito, avrei dovuto indossare anche dei tacchi. E non ci tenevo a cadere per strada davanti un Trent che si sbellicava dalle risate.
-No Gwen, ti prego io, piuttosto! Stavi benissimo, è una delle poche cose che puoi mettere per certe occasioni.-
E su questo aveva ragione. Ripensandoci, non potevo mettere dei jeans e le scarpe da ginnastica. Anche se avrei voluto tanto …
Rassegnata, sospirai rumorosamente.
-Va bene. Credo che tu abbia ragione. Vado a prepararmi, a domani.-
-Quando capirai che ho sempre ragione?- Chiese, scherzosa. –Un bacio.-
Chiusi la chiamata, ed entrai nel panico.
Non mettevo quel vestito da tanto tempo. Da prima che Duncan morisse, per la precisione.
E l’avevo comprato per lui, il giorno del suo compleanno …
Mi diressi verso il mio armadio, lo aprii e tirai fuori l’abito.
Non era molto lungo, era ad altezza-ginocchio. Non aveva le spalline, e aveva un sottile nastro intorno alla vita, dello stesso colore di tutto l’indumento.
La domanda che ormai mi facevo da molto, troppo tempo, tornò in mente.
Era giusto?
Un po’ tentennante, mi costrinsi a rispondere: -Sì. Lo fai per te, Gwen.-
Così lo posai sul letto, seguito da un copri spalle bianco e un collant, mentre mi spogliavo per andare a fare una doccia.

*

Dopo essermi asciugata i capelli, vestita, indossato quelli che, per me, erano dei veri e propri trampoli, e truccata, preparai velocemente una borsa e uscii di casa.
Entrai in auto e, una volta arrivata in ufficio, scesi.
Feci un paio di passi in direzione del  cancello, un po’ tentennante. Ma come cresceva la mia sicurezza, più sicuro diveniva il mio camminare.
Sì, era davvero la cosa giusta. Niente avrebbe potuto convincermi del contrario.
Suonai al citofono, con un sorriso grande in volto.
-Sì?- Rispose il mio capo.
-Sbaglio o devi dimostrarmi che sono degna di te?- Chiesi, ironica.
-Certo! Sali pure!-
Il cancello si aprì, e mi avviai verso l’ascensore, sicura di me, senza sapere cosa aspettarmi del futuro, ma contenta dell’uomo che me l’avrebbe fatto conoscere.

*

-Ciao Gwen!- Trent mi salutò sulla soglia dell’ufficio e mi fece entrare.
Indossava dei pantaloni neri e una camicia bianca, e ai piedi delle scarpe nere di cuoio. Ringraziai mentalmente Bridgette per il consiglio.
Non avevo notato che Trent mi stava guardando dalla testa ai piedi.
Arrossii di botto.
-Ch … che c’è? Ho … qualcosa che non va?- Balbettai, cercando di ricordare se avessi indossato tutto l’essenziale o magari avessi aggiunto qualcosa di inutile.
Lui fermò lo sguardo sul mio volto.
-Non hai assolutamente niente che non va.- Sorrise, con gli occhi allegri come non mai.
Io intanto curvavo appena in su le labbra, tanto ero imbarazzata. Eppure, ero appagata. Sì, era piacevole vedere che agli occhi di un uomo non ero più uno zombie depresso, ma una donna quantomeno apprezzabile.
-Prendo la giacca e andiamo.- Disse Trent, prima di entrare nella sua stanza.
-Tranquillo, aspetto qui.- Risposi, ancora con il sorrisetto sulle labbra.
Ero rimasta sola nella stanza principale. Mi avvicinai alla finestra e respirai dell’aria fresca ad occhi chiusi.
Poggiai i gomiti sul davanzale e osservai la strada semibuia.
Mentre guardavo le altre auto posteggiate, vidi una figura alquanto sospetta avvicinarsi alla mia auto.
Aveva dei jeans, un cappotto nero e, sebbene fosse sera, degli occhiali da sole. Aveva i capelli neri e la pelle scura, sicuramente un uomo.
Si guardò attorno e scattò una foto alla mia targa. Dopodiché puntò la macchina fotografica contrò il palazzo dove vi era l’ufficio. A quel punto l’uomo mi vide, e, senza pensarci scappò via a gambe levate.
La scena mi aveva lasciata senza parole.
Tante domande si aggiravano nella mente, ma una, in particolare, non trovava alcuna risposta.
Chi era?

 
 
 
 
 
 
Nota:
ragazzi, da quanto tempo! ^^”
Mi dispiace avervi lasciati così per due mesi, ma incolpate la poca ispirazione e la scuola u.u

Ok, incolpatemi pure.
Però ora ce l’ho l’ispirazione, altroché se ce l’ho!
Come andrà l’appuntamento? E chi è lo strano uomo misterioso? Cosa vuole da Gwen?
Le risposte nel prossimo capitolo :D
(se ve lo state chiedendo, si, ho scopiazzato di brutto la mia socia e il buon Chris u.u) 

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