Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. The Joker *** Capitolo 2: *** 2. The knave *** Capitolo 3: *** 3. The queen of hearts *** Capitolo 4: *** 3. The queen of hearts (ultima parte) ***
Comunicazioni di servizio: la storia è divisa in tre
capitoli ( ci tenevo a precisarlo in quanto dalle recensioni a
Under the Table ho capito che forse non ero stata molto chiara a riguardo…), i
primi due credo di pubblicarli così, visto che sono corti (relativamente, ma
per gli standard di Lady Bracknell lo sono), mentre l’ultimo o lo spezzo a
metà, o mi prendo qualche giorno in più e lo pubblico così com’è.
Colgo l’occasione per ringraziarvi delle numerosissime
recensioni a Under the Table, ci fa piacere che siate
stai contenti della storiatraduzione.
A Lady Bracknell,
che ci ha regalato queste storie
stupende…
A Little Fanny,
che deve sempre aspettare
quattro giorni per leggere i miei aggiornamenti,
adAlektos,
a cui spero questo capitolo
allieterà la giornata, domani.
House of Cards
Nota
dell’autrice: questo è il
finale alternative al quinto capitolo di Under the Table. Se non l’avete
ancora letto ( e volete ignorare i miei occhioni dolci che vi supplicano di
farlo immediatamente), tutto quello che avete bisogno
di sapere è che Tonks ha bevuto un po’ troppo la sera prima e che Remus ha
dovuto metterla a letto.
Questa Ficcy è
dedicata a MrsTater, per avermi suggerito di
scriverla. Non ho resistito alla tentazione (in effetti, non è che ci abbia
proprio provato...)
- Ecco...
l’autrice dedica la storia… io prima ho dedicato la
traduzione… (NdNonnaMinerva) -
1. Il
Jolly.
Dopo sei ore passate a
girarsi e rigirarsi in un letto che probabilmente era stato progettato per un
uomo che era la metà di lui senza sensibilità sulla
schiena, Remus rinunciò all’idea di dormire e si alzò in piedi, passandosi una
mano davanti agli occhi per ripararsi dai raggi di sole che filtravano dalle
tendine logore. Controllò l’orologio e si chiese a che ora Tonks dovesse essere al lavoro e, con decisamente meno ardore, se
si fosse trovata male nel suo letto.
Erano le nove. Pensò che
probabilmente avrebbe dovuto svegliarla, così scese di sotto e le preparò un caffé abbastanza forte prima di arrampicarsi di
nuovo su per le scale e bussare dolcemente alla porta.
Nessuna risposta. Bussò un
po’ più forte e giunse un gemito in risposta.
“Tonks?”
Lei gemette di nuovo.
Socchiuse lentamente la porta
e sbirciò nella stanza. Era stesa a pancia in giù sul letto, col cuscino
premuto sopra la testa. C’era qualcosa di decisamente
strano in quell’immagine anche se al momento non riusciva a definire
esattamente cosa. Il suo sguardo si posò sulle spalle
nude... sì, pensò, ecco cos’è.
Notò la scia di vestiti ai
piedi del letto e sorrise fra sé.
Era passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che aveva avuto abiti da donna sparsi per tutta la stanza, ed
aveva dimenticato quanto gli piacesse, la vista di
indumenti insoliti buttati qua e là a casaccio. La biancheria intima color arancio
cangiante era sicuramente il pezzo forte.
“Tonks?” tentò, appoggiando
il caffé sul comodino. Si accucciò a fianco del letto e la sfiorò sulla spalla,
chiedendosi come, se non era nemmeno in grado di far
le scale, fosse riuscita a spogliarsi completamente ed infilarsi sotto le
lenzuola. Lei gemette di nuovo, ma alla fine tirò fuori la testa da sotto il
cuscino e lo guardò assonnata.
“Cosa
ci fai qui?” chiese. I capelli non erano ordinati e pettinati all’insù, ma una
specie di groviglio scomposto e dovette trattenersi dall’impulso di allungare
il braccio e passarle una mano fra i cappelli spettinandoli ancora di più.
Adorabile, pensò. Attorno agli occhi quello che rimaneva del trucco, cosa che
pensò avrebbe dovuto attenuare l’effetto, ma che invece, ed era preoccupante,
non lo faceva.
“Sei nella mia stanza,
Tonks.” La informò. Lei si stropicciò gli occhi, pasticciando ancora di più coi resti del trucco.
“Oh,”
mormorò, sedendosi e coprendosi col lenzuolo. Sgranò gli occhi. Scostò il
lenzuolo di qualche centimetrosbirciò sotto di esso, e spalancò gli
occhi ancora di più.
“Pensò di non avere vestiti
addosso.”
“Apparentemente no.” Disse,
gettando lo sguardo sui vestiti abbandonati sul tappeto.
“Me li hai tolti tu?” chiese,
stringendo gli occhi in accusa.
“Non te lo ricordi?”
Lei deglutì.
“Direi di no.”
Era un’occasione troppo bella
per perderla – una giovane adorabile donna, nuda nel
suo letto, senza la minima idea di come vi ci fosse finita. Il Malandrino che
c’era in lui sorrise, o meglio fece un ghigno diabolico, al pensiero.
Remus mise su un’espressione
avvilita. Si era sentito così tante di quelle volte che pensava di essere in
grado di imitarla in modo accettabile.
“Cosa?”
chiese lei, la faccia pasticciata di trucco. Lui scosse la testa, e le fece un
sorriso evidentemente forzato, evitando il suo sguardo.
“No... solo che... beh,
dovresti.”
“Perché?
È successo qualcosa?”
Distolse ancora più
evidentemente lo sguardo e quindi si alzò, dandole le spalle voltandosi verso
la finestra prima di rispondere. Da una parte voleva evitare che vedesse quel
sorrisetto rivelatore che minacciava di sfuggirgli da un momento all’altro al
sentire che stava credendo a tutto quello che diceva, ma credeva anche che
qualcuno che si fosse trovato nella situazione in cui Remus voleva
farle credere di trovarsi, sarebbe stato senza dubbio un po’ imbarazzato. Mosse
alcuni passi verso la finestra e si mise a giocherellare con la vernice
scrostata del telaio, fingendo di spiare nel giardino attraverso le tendine
socchiuse, chiedendosi quali delle diverse possibilità di sviluppare la cosa avrebbe scelto.
Le soppesò tutte lentamente.
Convincerla che era la ragazza più focosa con cui era stato potrebbe essere
stato divertente... Oppure c’era sempre il vecchio discorso ‘non sapevi che quando i lupi mannari scelgo una compagna è per tutta la vita?’...
all’improvviso, però, gliene venne in mente una molto più intrigante, qualcosa
che era assolutamente perfetto per lei, qualcosa a cui avrebbe creduto senza
esitare perché probabilmente aveva già fatto quella supposizione per conto suo.
“Non è che ho vomitato
dappertutto, vero?” chiese lei, e lui notò, con sottile gioia, che il suo tono
di voce esprimeva più speranza che aspettativa. “E’ per questo che mi hai tolto i vestiti?”
“No,”
rispose. “Niente del genere.”
“Non ho fatto niente di
troppo imbarazzante, vero?” chiese, prudentemente. “Tendo a diventare un po’ –
come dire – amichevole, quando bevo un po’ troppo.”
Remus si morse il labbro per
fermare quel ghigno che disperatamente cercava di farsi
strada nelle sue labbra. Quando fu certo di poter controllare la voce, disse,
“Oh beh, questo spiega tutto.”
“Spiega cosa?”
“Non ti biasimo di non
ricordare,” commentò tristemente. “Probabilmente non
sono stato–
hai capito – molto bravo.”
Aveva sempre creduto che una
buona bugia fosse come una traccia lasciata con le briciole di pane. Dovevi
lasciarne abbastanza affinché la gente la seguisse, ma non troppo perché non si
accorgesse che era una trappola. Era un po’ arrugginito, fuori esercizio,e tuttavia sembrava
gli riuscisse ancora molto bene.
“Cosa?”
esclamò, alzando il tono di voce per la sorpresa. “Cosa
diavolo è successo?”
“Noi... beh, noi... Merlino, Tonks, è difficile. Vorrei tanto che tu ti
ricordassi.”
Fissò per un attimo il
davanzale, chiedendosi se avesse capito dove voleva portarla. La sentì muoversi
nel suo letto.
“Abbiamo per caso...” tentò.
“Sono nel tuo letto perché...”
“Sì,”
confermò lui velocemente. “Ma se non ti dispiace preferirei davvero non
parlarne.”
“Perché
no?”
“Beh,”
mormorò, fingendo estrema riluttanza. Era esattamente quello che sperava chiedesse. Deglutì di nuovo per rinforzare l’effetto
drammatico. “Per essere onesti, sono imbarazzato.”
Disse piano. “Non è che io avessi molta – beh, a dir
la verità nessuna – esperienza per questo genere di cose.”
Ci fu una pausa e Tonks
trattenne il fiato e lui la sentì mormorare qualcosa che assomigliava a ‘oh,
cavolaccio’. Serrò i denti nel tentativo disperato di non ridere.
“Vuoi dire
che noi...” Lui annuì. “... etu eri...” annuì di nuovo, serrando i
denti con tale forza che fu sorpreso che lei non si accorgesse che stava
fingendo.
Dietro di lui, Tonks
inspirava ed espirava profondamente per calmarsi e sentì il tonfo leggero dei
suoi piedi sul pavimento ed il lieve fruscio di lei che portava con sé il lenzuolo mentre si alzava per raggiungerlo. Quando gli appoggiò una mano sulla spalla, lui era riuscito a
ricomporsi.
“Remus?” disse esitante.
Incontrò brevemente il suo
sguardo, quanto gli bastava per capire che aveva abboccato in pieno e che tutto
quello che doveva fare era fingersi riluttante e imbarazzato.
“E’ tutto a posto,” disse. “Dimentica che sia successo.”
Corrugò la fronte. “Oh, beh... l’hai già fatto, quindi...”
Si voltò per andarsene,
evitando risolutamente di incrociare lo sguardo di lei,
ma aveva fatto appena un paio di passi verso la porta quando sentì di nuovo la
mano di lei sul suo braccio, che lo fermava. La sua intenzione era di giocare
lo scherzo e scappare, in quanto aveva scoperto che era sempre meglio tenere
corte queste cose, lasciando che la gente tirasse da sola le proprie
conclusioni, in quanto i loro peggiori timori li tormentavano più di qualsiasi
cosa colui che si stava prendendo gioco di loro
avrebbe potuto inventare. Ma Tonks non sembrava
proprio voler lasciarlo andare.
Abbassò lo sguardo, studiando
le assi del pavimento sotto i suoi piedi, e con la coda dell’occhio la vide
osservare la scena – l’evidenza – i suoi vestiti sparpagliati in un angolo
della stanza, il lenzuolo stropicciato che si stringeva addosso, la sua
espressione da cane bastonato. All’improvviso fu felice di avere indubbiamente
l’aspetto di uno che era rimasto in piedi tutta la
notte.
Si chiese se avesse notato
che indossava gli stessi abiti del giorno prima, e che
nessuno dei suoi era mescolato a quelli di lei sul pavimento, e temendo che
questo lo potesse smascherare. C’era tuttavia la possibilità, che avesse semplicemente pensato che lui si fosse alzato prima
per farle il caffé e che si fosse messo le prime cose che gli erano capitate in
mano.
“Remus?” tentò di nuovo.
“Giusto per essere chiari, mi stai dicendo che non
solo noi...” esitò un istante, e deglutì, Remus
suppose cercando di trovare la parola o la frase giusta.
“... l’abbiamo fatto,” disse, “Ma anche che io ero la prima ragazzo con cui tu
fossi mai...” fu percorsa da un brivido. “... andato a
letto?”
Remus si chiese se la sua
premurosa scelta delle parole fosse per lui, o se invece temesse che avrebbe potuto svenire se avesse detto la parola ‘scopato’.
Suppose di non poterla biasimare. Immaginò di averle dato
proprio quell’impressione.
“Preferisco non parlarne,
davvero,” rispose, pensando che fosse meglio giocare
la carta che gli aveva offerto.
“Remus...”
“Senti,”
la interruppe, “E’ già abbastanza imbarazzante per me, e lo so che
probabilmente vorresti solo farti una bella risata...”
“Io non...”
“Voglio solo dimenticare che sia successo.”
“Già, beh... perdere la
verginità è uno di quei ricordi che tendi a portarti dietro per tutta la vita.” Disse, “Quindi probabilmente sarebbe meglio se la
smettessi di comportarti così.”
Remus tirò su col naso nel
reprimere una risata che sperò lei interpretasse come qualcos’altro.
“Scusa,”
mormorò Remus. “E’ solo che...”
Esitò, ma lei sembrò non
averci fatto caso, così lui si lasciò guidare fino
alla sponda del letto e si sedette sull’angolo. Era sorpreso di quanto fosse gentile, preoccupata. Si sentì quasi in colpa per il
fatto che la stava prendendo in giro...
Tonks si sedette accanto a
lui, guardandolo così ansiosa che stava quasi per cedere e dirle
la verità, fino a quando non ricordò che l’unica ragione per cui si stava
comportando così era che probabilmente pensava davvero che fosse ancora vergine a trenta e qualcosa anni. E la cosa lo irritava, e non si sentì più in colpa per lo
scherzo che le stava giocando.
“Allora, cosa è successo?”
chiese Tonks. “Non ricordo nemmeno d’aver deciso di venire qui,
meno che meno... qualsiasi altra cosa.”
Rifletté velocemente, sapendo
di dover restare abbastanza vicino alla verità.
“Beh... era piuttosto tardi quando sei arrivata... avevi bevuto, e anch’io
precedentemente con Sirius,” disse,”Abbiamo parlato per un po’, e poi hai
detto... hai detto che ero come uno scarafaggio calamitante per te… e quindi
tu... beh, mi hai baciato, Tonks.”
“Davvero?”
“Sì,”
rispose. “E probabilmente avrei dovuto fermarti...”
“No, sono sicura che...”
“... ma
non volevo.”
Tonks sgranò gli occhi. “No?”
“No,”
sussurrò, “E’ stato bello, e dopo un po’ mi hai chiesto se volevo portarti di
sopra.” Incontrò di nuovo il suo sguardo, fingendo incertezza prima di
continuare. “Ho detto di sì, ma che non sapevo esattamente cosa fare, e tu hai detto che era ok perché me l’avresti mostrato tu. Quindi
siamo venuti qui, e , beh, le cose sono successe.”
Si mosse un po’ sul letto,
cercando di apparire nervoso, sperando di non esagerare.
“Cose, Remus?” domandò,
inarcando appena un sopracciglio.
“Beh, tutto,”
disse lui, fissando nervosamente il soffitto.
“Merlino,”
commentò Tonks, la voce poco più che un sussurro. “Quindi
in pratica quello che stai tentando di dirmi è che tu eri un po’ brillo e che
io ne ho approfittato, seducendoti?”
“No,”
la corresse, “Non è come se...” esitò, fingendo di
prendere in considerazione la cosa, “... beh, sì, suppongo. Ma... voglio
dire... non è che io abbia proprio provato a protestare.”
Le guance di Tonks si
colorarono di un colore molto simile a quello dei suoi capelli, e lui prese
mentalmente nota di tentare di farla arrossire più spesso, in quanto l’effetto
era decisamente attraente. Lei si schiarì la gola, si
raddrizzò appena, avendo evidentemente deciso che dal momento
che era lui quello da compatire, recentemente privato della sua
verginità, e lei la femme fatale della situazione, doveva tenere un certo
contegno.
“Com’è che non l’avevi mai
fatto prima?” chiese.
Remus alzò gli occhi al cielo
a se stesso.
“Lo so che è patetico...”
“Non è patetico.”
“Lo è,”
la corresse. “Se fosse stata un’altra, ora sarebbe piegata in due dalle risate
e mi starebbe dicendo che non aveva immaginato che io
fossi così noioso.”
Gli sorrise debolmente.
“Forse,”
disse. Remus emise un leggero sbuffo divertito che riuscì in qualche modo a
convertire in qualcosa di piùtimido e triste.
“Allora, com’è che – ieri
notte – perché hai deciso...?”
“Hai detto
che ti piaceva il mio viso,” rispose, “La gente – beh, le ragazze – non mi
dicono cose del genere molto spesso. Non sono Sirius – non è che le ragazze
facciano la fila per saltarmi addosso, anche prima di aver scoperto quello che sono, e quando lo fanno...”
“Vuoi dire
quando scoprono che non hai molta esperienza?”
Alla faccia del tatto, pensò.
“No, intendevo
il fatto che sono un lupo mannaro.”
“Oh,”
mormorò, spalancando gli occhi per la sorpresa. Lui realizzò improvvisamente,
che non le era passato per la testa nemmeno per un
secondo che lui si stesse riferendo a quello.
Decidendo che aveva infierito
più che abbastanza perchési crogiolasse nel senso di colpa fino
a che si sarebbe ricordata cosa era realmente accaduto, disse:
“Lo apprezzerei davvero se
non lo dicessi a nessuno.”
Incontrò il suo sguardo con
un’espressione di leggero panico che sperò fosse
convincente.
“Cero che non lo farò.” Lo
rassicurò lei.
“E’ solo – Sirius
diventerebbe insopportabile se lo sapesse, e...”
“Non lo dirò a nessuno.”
“Grazie.”
Le fece un altro sorriso
tirato e si alzò.
“Dovresti bere quel caffé prima che diventi freddo,” consigliò. “Ci – ehm –
vediamo più tardi, immagino.”
Lasciò una Tonks
apparentemente piuttosto stordita e confusa nella sua stanza, e si morse un
labbro per non scoppiare a ridere prima di essere fuori portata d’orecchio.
Mentre si appoggiava al muro, scosso da silenziose risate,
si chiese quanto avrebbe dovuto lasciarla cuocere nel suo brodo. Decise che se
non gli avesse mandato una Strillettera per urlargli
in faccia quanto bastardo era entro il termine della riunione quella sera, le
avrebbe detto la verità.
Forse.
Bravissimi come
sempre... siamo arrivati in fondo al primo capitolo...
Su, forza e
coraggio, che questa volta non mi avrete fra i piedi
per molto...
Commentino? Basta
poco a volte per farci felici...
I’m back!
E porto con me la bellezza di dieci pagine di
capitolo!
Ecco che
arriva la risposta di Tonks... in questo capitolo
ricorderà un particolare importante… Sarà sufficiente per dare il benservito ad
un vecchio Malandrino?
Adoro
questo capitolo, mi fa morire dal ridere, qui Lady
Bracknell ha dato sfoggio delle sue abilità con la penna ( o meglio, con la
tastiera ).
Se con la traduzione
riuscirò a strapparvi tutte le risate che la versione originale mi ha
suscitato, allora ho raggiunto il mio scopo.
2. Il Fante.
Remus non vide né sentì Tonks
per tutto il giorno. La Strillettera che si aspettava non arrivò, quindi quando scese per l’incontro dell’Ordine riusciva a
malapena a nascondere il suo divertimento al pensiero che ancora non aveva la
più pallida idea di quello che le aveva combinato. O è
così, pensò, oppure ha programmato una vendetta clamorosa durante l’incontro di
stasera.
Tonks era già seduta a tavola
e stava parlando con Kingsley e Sirius, quando Remus aprì la porta e mise piede
in cucina.
Lei alzò lo sguardo,
palesemente in attesa della sua apparizione, e lui le
offrì un veloce sorriso tirato che poteva essere interpretato come un sorriso
imbarazzato o di scuse, in base allo stato della sua memoria e dal fatto che
volesse lanciare una maledizione alle sue parti basse o meno. Lei rispose al
sorriso e lo salutò con un timido “Ehilà,” che gli
lasciò supporre che, in effetti, non ricordasse assolutamente niente. Serrò le
labbra per evitare di ridere, voltando appena la testa in modo che lei non
notasse quando gli stesse costando il mantenere
un’espressione neutrale.
“Tonks,”
rispose.
Si schiarì la gola per
dissipare la risata che minacciava di uscire da un momento all’altro, quindi
deglutì, in finto nervosismo, scivolando poi su una sedia dalla parte opposta
della tavola, categoricamente rifiutando di incontrare il suo sguardo.
Aveva pensato di dirle la verità – beh, non era del tutto vero. Aveva pensato
che avrebbe dovutodirle
la verità, ma ora che vedeva la sua espressione preoccupata e il desiderio di
rimediare che c’era dietro di essa... non voleva essere crudele, ma non poteva
fare a meno di pensare che, confessare in questo momento sarebbe stata
un’occasione sprecata. E ad essere onesti, era curioso
di vedere quanto sarebbe riuscito a tirarla avanti prima che lo scoprisse.
Remus evitò lo sguardo di
Tonks per tutto il tempo della riunione, rimuginando sulla prossima mossa da
fare. Si chiese se ci fosse ancora qualcosa da sfruttare per tormentarla...
Entro la fine dell’incontro,
aveva deciso che la cosa migliore era lasciarla fare, vedere come avesse
intenzione di comportarsi, e partire da lì.
Salutò
brevemente e garbatamente tutti, quindi si ritirò nel soggiorno. Scelse un libro, lo aprì e se lo posò in grembo,
tenendo un dito sul margine della pagina come se stesse per voltarla. E aspettò che lei venisse a cercarlo.
Non molto dopo, sentì Tonks
inciampare sull’ultimo gradino, imprecare fra sé a bassa voce quindi fermarsi
esitante fuori dalla porta. Aspettò qualche momento,
respirò a fondo e lasciò uscire l’aria in un sospiro, poi entrò.
“Ehilà,”
disse piano, entrando nella stanza e chiudendo la porta dietro di sé.
“Ciao.”
Con la coda dell’occhio la
vide fissarsi la punta dei piedi e smuovere appena con la scarpa
il bordo del tappeto, mentre fingeva – abbastanza palesemente - di
essere assorto nella lettura. Il silenzio crebbe, e quando lei infine parlò, la
tensione era così densa che le parole vi si facevano
strada a fatica.
“Come stai?” chiese.
“Bene, grazie.” le rispose. La sua risposta fu piuttosto fredda, come se
fosse decisamente imbarazzato, ma cercasse di non
darlo a vedere. Per coronare l’effetto, aggiunse un altro debole sorriso,
palesemente forzato, alzando a malapena lo sguardo dal libro che ovviamente fingeva
di leggere.
“Non mi sembra che tu stia
bene,” disse.
Remus tacque, fissando
attentamente una figura sul libro.
“Ti senti ancora strano per
ieri notte?” gli chiese. Lui alzò lo sguardo per trovarla a guardarlo con la
stessa espressione preoccupata di quella mattina, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, lei si raddrizzò e si fissò le spalle,
tentando ovviamente di mostrarsi per nulla scossa o fargli vedere che si
sentiva strana.
“Strano?”
“Sì.”
Scelse un’espressione di imbarazzata incredulità, decidendo che un altro po’ di
sensi di colpa non avrebbero guastato, e che forse avrebbe potuto far aumentare
ancora un po’ il suo sconforto.
“La scorsa notte ho diviso
con te qualcosa che non avevo mai diviso con nessun altro prima, e tu nemmeno te lo ricordi.” commentò piano,
torturando nervosamente i margini del volume che aveva fra le mani. “ ‘Strano’ riesce lontanamente a rendere l’idea.”
Lei aprì la bocca per dire
qualcosa, ma lui la interruppe prima che ne avesse la
possibilità.
“Sul serio, preferirei
davvero chiudere qui questa conversazione.” Disse,
lanciando l’esca.
“Non credo sia effettivamente
una possibilità, non credi?” rispose, cascandoci, come lui
sperava facesse. Dopo tutto, se lei l’avesse
assecondato e l’avesse lasciato solo, non sarebbe stato poi così divertente. “Se continuiamo a comportarci in modo strano davanti agli
altri, capiranno che è successo qualcosa. Dobbiamo cercare di risolvere la cosa
fra noi, se non altro.”
Remus si domandò cosa
intendesse con ‘se non altro’,
ma lei lo sollevò dal disturbo di pensare effettivamente a ciò in quanto Tonks
continuò.
“Tutti si sentono
un po’ strani dopo – lo sai – la prima volta.
Remus alzò gli occhi al cielo
per nascondere quel sorriso che voleva uscire nel vedere come lei cercava di farlo
sentire meglio. Ma naturalmente lui non si lasciava consolare
tanto facilmente.
“Ti prego non peggiorare le
cose trattandomi con condiscendenza,” si lamentò.
“Non ti stavo...”
“Mi sento già l’uomo più
clamorosamente patetico che sia apparso sulla faccia della terra... Voglio dire
non ho mai avuto questa grande autostima o
consapevolezza di me,” disse, “Ma questa è la prima volta che mi succede
qualcosa che mi fa sentire ancora peggio di quei livelli.”
Si chiese se si fosse spinto
troppo in là, parso troppo avvilito o possibilmente troppo melodrammatico,
ma Tonks attraversò la stanza e si accomodò sul divano, l’espressione
talmente indescrivibile che avrebbe potuto avvicinarsi comunque all’ansia. Si
appoggiò pesantemente al bracciolo del divano, coprendosi la bocca con una mano
e respirando profondamente contro le dita sperando che l’interpretasse come
imbarazzata costernazione, piuttosto che divertimento.
“Mi spiace davvero di non
ricordare.” Mormorò.
“E’ tutto a posto,” rispose, “Non hai bisogno di spiegare. Se avessi dormito
con me, pure io avrei voluto rimuovere tutto.”
“Non è assolutamente questo.
Sono sicura che è stato...”
Esitò, e lui si chiese fra
quali parole stesse decidendo. Bello? Divertente? Perfettamente adeguato? Come pensava sarebbe stato andare a letto con lui?
“Ma
non è questo il problema, no?” intervenne, decidendo che probabilmente non
voleva saperlo. “Tu non hai idea di come è stato, è
non è che non abbia elementi con cui fare il paragone.”
“Guarda,”
iniziò, posandogli timidamente una mano sul braccio. “Sono sicura che non è
niente di personale...”
“Niente di personale?”
domandò, incontrando il suo sguardo con una traccia di orrore
per averlo anche solo suggerito.
“Voglio dire... sono sicura
che non avrei ricordato nessuno.” Serrò i denti per
non scoppiare a ridere.
“E
questo dovrebbe farmi sentire meglio?” disse adottando un tono avvilito che si
abbinava alla sua espressione. Tonks, batté le palpebre un paio di volte,
evidentemente scossa.
“Beh, sì.” Rispose. Remus
sospirò e chiuse gli occhi, incapace di guardarla ancora se non voleva tradirsi.
“Penso di non volerne
parlare.” Ripeté.
Lei inspirò profondamente,
lasciando uscire l’aria lentamente, come se si stesse trattenendo dal dire
qualcosa che non avrebbe dovuto.
“Senti, Remus,” iniziò, abbassando nervosamente lo sguardo. “Sono
dannatamente inutile per questo tipo di cose. In effetti, sono probabilmente la
persona peggiore di questo emisfero con cui potessi
decidere di andare – non so mai cosa dire normalmente, figuriamoci in una – hai
capito – situazione delicata come questa...” il suo
tono di voce si affievolì, apparendo lei stessa avvilita mentre gesticolava con
le mani in segno di scusa.
Remus stava per dire qualcosa quando lei si raddrizzò, essendosi ovviamente
rimproverata mentalmente.
“Ma io – tu – intendo dire
noi – lo abbiamo fatto ed ora non possiamo fare altro che accettare la cosa.” Disse. Lui sorrise appena per la sua sincerità, sperando
che non lo notasse,e pensando che, se fosse successo
veramente, non avrebbe potuto scegliere una persona migliore.
“E sì, è delicato e
imbarazzante e un sacco di altre cose che
probabilmente non dovrebbero essere, ma, lo sai, è capitato, quindi...” Esitò
di nuovo. “Vuoi un abbraccio o qualcosa del genere?” offrì esitante.
Una mezza risata gli scappò
prima che potesse trattenersi e decise che fosse meglio annuire in modo da
sfuggire al suo sguardo per un momento. Lei lo tirò a sé e lui appoggiò la
testa sulla sua spalla, sperando che lei non riuscisse a percepire il suo
sorriso attraverso i vestiti. Lo strinse per rassicurarlo poi gli diede un paio
di colpetti sulla schiena e lo lasciò andare.
Lei le
sorrise incerta e lui per poco non mandò all’aria tutto per dirle la
verità.
“Scusa, sono stato un po’...”
iniziò, ma lei scosse la testa.
“E’ tutto a posto,” lo rassicurò. “Non è che abbia poi avuto queste grandi
idee per affrontare la cosa o di cosa dovremmo fare poi.”
Alla parola ‘poi’ il corpo di
Remus fu percorso da un brivido, ma lui praticamente
non se ne accorse mentre lei continuava.
“Voglio dire, non è che di
solito io vada a letto per caso con la gente...”
Si bloccò, si fece seria e lo
guardò dritto negli occhi. Gli occhi di lei erano
ridotti quasi a due fessure mentre lo squadrava e poi si portò una mano alla
bocca. Attraverso le dita lui riuscì ad intravedere una lontana traccia di
sorriso e capì d’essere stato scoperto. Le sue labbra si incresparono
in un ghigno divertito.
“Non lo faresti.” Affermò,
sebbene anche nel momento in cui pronunciò quelle parole, era chiaro dalla sua
espressione che non ne era affatto sicura. Sgranò gli
occhi, serrò la mascella ed inspirò profondamente attraverso un sorpreso
sorriso tirato. Lui le sorrise esitante, aspettando la
scenata che sicuramente stava per arrivare.
“Non lo farei?” chiese.
“Stavi scherzando,” mormorò, e lui annuì.
Per un minuto sembrò
contemplare una risposta adeguata. Immaginò che stesse soppesando le due
possibilità – sgridarlo e minacciarlo un po’ e poi buttarla sul ridere, oppure
coprirlo di maledizioni e non rivolgergli più la parola. Gli occhi le si offuscarono momentaneamente per la rabbia, ma le sue
labbra continuavano a curvarsi in un sorriso che stava disperatamente cercando
di trasformare in indignazione, lasciandogli credere che avesse scelto la
seconda opzione.
“Tu, bastardo!” esclamò, in
un tono di voce acutissimo, tremando di quello che lui sperò disperatamente
essere divertimento represso. Cercò di apparire
convenientemente pentito, nonostante volesse disperatamente scoppiare a ridere.
“Tu, brutto, assoluto, totale
bastardo!”
Afferrò un cuscino dal divano
ed iniziò a colpirlo, cogliendolo leggermente di sorpresa col primo colpo e
prendendolo sul lato della faccia.
“Hai la minima idea di quanto
io mi sia sentita in colpa oggi?” gridò, sottolineando
ogni parola con una cuscinata. Lui emise un suono
incuriosito prima di scoppiare a ridere mentre lei lo
colpiva, e si ritirò addosso al bracciolo del divano, cercando di evitare le cuscinate meglio che poteva. Alzò le braccia, difendendosi
con il libro che aveva fatto finta di leggere, ridendo come un matto. Gli occhi di lei si soffermarono sui suoi, notando il suo
divertimento. Lo guardò storto, sebbene lui non poté
fare a meno di pensare che l’effetto fosse un po’ attutito dallo scintillio
allegro dei suoi occhi.
“Ho praticamente
fatto un buco nel tappeto del mio ufficio mentre andavo avanti e indietro,
preoccupandomi per te!”
“Per me?” chiese. “Davvero,
non avresti dovuto.”
“Oh, beh, adesso lo so,” sbottò, e anche se adesso sorrideva, il tono di voce era
ancora severo. “Non riesco a crederci, tu, totale, completo bastardo,” borbottò e lo colpì un altro paio di volte in testa col
cuscino.
Lo colpì pure sulla spalla
per pareggiare i conti e si portò il cuscino al petto, abbracciandolo. Respirò
profondamente un paio di volte.
“In effetti,”
disse, “Sei talmente oltre il bastardo, che non hanno ancora inventato una
parola per quello che sei.”
Remus si chiese se avrebbe
potuto osare...
“A dir
la verità,” la corresse, mordendosi il labbro divertito. “Credo che la parola
che stai cercando sia Malandrino.”
Lei alzò il cuscino e lo
fissò molto storto, gli occhi ridotti a due fessure, un’espressione in volto
che immagino lei si aspettasse che lui trovasse
minacciosa. Remus abbassò la testa ma il colpo che si
aspettava non arrivò mai.
“Credevo te lo fossi
dimenticata,” aggiunse, abbassando lentamente il suo
libro scudo e sedendosi diritto, avvicinandosi un po’.
“No,”
rispose. “Solo pensavo tu fossi quello che lasciavano girovagare con loro così
da avere qualcuno che li aiutasse con i compiti.”
“Beh, adesso lo sai.” Disse.
“Sì, adesso lo so. Bastardo.”
Stava per scusarsi
quando lei lo interruppe.
“Ritiro l’abbraccio, comunque.” Disse arrabbiata. Abbracciò di nuovo il cuscino, praticamente tremando per le risate soppresse o per
l’irritazione, non riuscì a definire quale delle due. La lasciò sbollire per un
momento, se era questo quello che stava facendo,
sperando che alla fine riuscisse a vedere il lato divertente della cosa.
“Che
cosa mi ha tradito?” chiese, sorridendole esitante.
“A parte la tua espressione
irritantemente soddisfatta?”
“Sì, a parte quella.”
Tonks sospirò, e Remus
sospettò fosse piuttosto arrabbiata con sé stessa per
esserci caduta quanto lo era con lui per averla presa in giro.
“Quando ho detto
che di solito non vado a letto per caso con la gente, mi sono ricordata di
quello che hai detto quando eravamo dai Malfoy.”
“Ah,”
mormorò, “Quello che ho detto riguardo il fatto che non di solito vado a letto
con le persone di proposito.”
“Già,”
confermò, “Non è una risposta di uno che è vergine.”
Iniziò a torturare la federa
del cuscino, e lui si sentì leggermente male per lui, che veniva
punito per qualcosa che lui aveva fatto.
“Avrei
dovuto accorgermene subito,” commentò, “Se solo non fossi stata così
occupata a sentirmi in colpa...” si fermò per colpirlo
forte sulla spalla.
“Ahia!” esclamò lui, non
facendo in tempo a schivare il colpo.
“... riguardo l’averti derubato della tua innocenza o quello che è,
probabilmente l’avrei capito.”
Lui sorrise.
“Scusa,”
disse, “Quando ti sei svegliata e non ricordavi niente, non ho potuto
resistere.”
“La prossima volta ti
dispiace provarci più seriamente?”
Represse l’istinto di ridere,
pensando che il suo divertimento per l’irritazione di lei
non sarebbe stato apprezzato.
“Sei stata così gentile con
me,” disse.
“Per forza lo ero!” esclamò
lei. “Pensavo d’averti fatto ubriacare e praticamente
forzato a venire a letto con me!”
“Lo pensavo davvero...” si chiese se avrebbe dovuto dire quello che stava per
pronunciare, ma pensò, che dopo tutto quello che le aveva fatto passare, si
meritasse che le venissero risparmiati ulteriori commenti da parte sua, e non
che non fossero veri.
“Intendevo dire
che te la cavi bene in questo genere di cose, meglio di quanto tu creda. Molto
meglio.”
Lo osservò per un momento,
squadrando ogni dettaglio del suo viso, presumibilmente per capire se stesse
scherzando. Le sorrise, sperando di apparire sincero come si
sentiva. Lei alzò gli occhi al cielo e distolse lo sguardo.
“Meglio di quanto pensassi,” commentò, “Ma evidentemente non tanto scaltra quanto
credevo.”
Lui ridacchiò sommessamente,
ed a lui sembrò che anche lei stesse tentando di reprimere l’impulso di
sorridere, e seppe che gran parte della rabbia era svanita.
Scosse la testa e sospirò.
“Avrei dovuto immaginare una
cosa del genere.”
“Forse,”
confermò. Non seppe trattenersi dal tormentarla ancora un po’. “Magari questo ti insegnerà a fare supposizioni sulle persone.”
“Cosa?”
“Credo che adesso tu abbia
smesso di pensare che io sia noioso?”
“Oh, penso ancora che tu sia
noioso,” rispose, “Adesso però penso che tu sia noioso
e bastardo.”
Lui rise sommessamente.
“Pensò che sopravviverò.”
Tacquero entrambi per un istante,
poi guardò Tonks che giocherellava con un filo del cuscino e si chiese a cosa stesse pensando.
“Quindi
non è successo niente?” chiese.
Remus quasi
non riusciva a credere alla sua fortuna. Pensò velocemente a cosa dire, inarcando un sopracciglio ed
offrendole un sorriso d’intesa.
“Oh, qualcosa è successo,” la corresse, “Solo che non eri la prima.”
Tonks spalancò la bocca e
sgranò gli occhi. Gli ci volle un enorme sforzo per non ridere.
Non era certo che ci sarebbe
caduta un’altra volta, ma così era stato e non voleva sprecare l’occasione. Inarcò
le sopracciglia.
“E devo dire,” aggiunse. “Che è un peccato che tu non ricordi, perché sembravi
divertirti parecchio.”
“Sono certa che mi tornerà in
mente,” disse mogia, gli occhi ancora spalancati.
“Certo,”
convenne, coprendosi la bocca con la mano per nascondere il ghigno.
Sapeva che non avrebbe dovuto
farlo, che avrebbe dovuto confessare, ma non riusciva
a resistere. Lei era assolutamente facile da ingannare, e, d’altra parte, era estremamente curioso di vedere come avrebbe preso la
notizia. Non gli era sfuggito il suo sguardo incredulo
all’idea di essere andata a letto con lui.
Tonks serrò le labbra
soprapensiero per un attimo, e poi si appoggiò a l
bracciolo del divano, studiandolo con palesemente falsa casualità.
“Cosa
abbiamo fatto, quindi?” chiese, muovendosi a disagio sul posto.
“Non faccio la spia, Tonks.”
“Nemmeno con la ragazza in
questione?”
“Beh, in genere la ragazza in questione non ha bisogno
che io glielo dica.” Commentò, inarcando un
sopracciglio nella sua direzione. “Generalmente mi fa la cortesia di ricordare.”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Allora cos’è tutta questa
messinscena?” chiese, “Un modo per farmela pagare per aver intaccato il tuo
orgoglio maschile?”
Remus non rispose, sebbene le
fosse alquanto grato per averlo suggerito, in quanto aveva decisamente
molto più senso di tutte le possibili spiegazioni che gli stavano passando per
la mente.
“Senti, mi dispiace davvero
di non ricordare.” Disse. “Ero andata. Sono certa che
non è niente di personale.”
Lui sospirò, non
preoccupandosi di nascondere il suo divertimento.
“Allora, cos’è successo?”
chiese di nuovo, arrossendo appena.
“E’ praticamente
lo stesso di quello che ti ho detto stamattina.” Spiegò. Abbassò la testa e la
guardò negli occhi. “Solo che non avevo bisogno di essere istruito.” Aggiunse.
“Fantastico,”
sbottò, incrociando le braccia ed aggrottando la fronte. “Così ero ubriaca e ti
sono saltata addosso.”
“Non è stato...”
“E
non hai cercato di fermarmi?” chiese. Il leggero tono accusatorio nella sua
voce arrestò qualunque pensiero avesse avuto riguardo
il protestare. Non aveva mai voluto farle credere di essergli saltata addosso,
semplicemente di aver fatto la prima mossa, ma visto
che l’aveva suggerito... Era sempre meglio giocare con le carte che gli altri
ti passavano.
Remus abbassò lo sguardo e si
concentrò sui fili che si stavano staccando dalla copertina del vecchio libro
che stava tenendo. Tacque un istante e poi alzò di nuovo gli occhi.
“Sono vecchio,Tonks,” disse con un tono a metà fra la scusa e il
malizioso, “Non morto.”
Lei deglutì.
“E, beh, tu eri alquanto
insistente,” aggiunse, con tutta la nonchalance che
gli riusciva. Tonks deglutì di nuovo.
“Insistente?” chiese
debolmente.
“Sì,”
rispose ridacchiando sommessamente, “Ad un certo punto ho pensato che non
saremmo nemmeno riusciti ad uscire dalla cucina.”
“Davvero?”
“Beh, mi avevi inchiodato
alla porta.”
“Sul serio?”
Si massaggiò una spalla e le
offrì una falsa smorfia.
“A dir
la verità,” disse piano, “Penso verrà fuori un livido.”
Lei arrossì. Merlino, pensò
Remus, è adorabile quando lo fa.
“Scusa,”
mormorò.
“E’ tutto a posto,” la rassicurò, distogliendo lo sguardo e sorridendo fra sé.
“Non mi è dispiaciuto.”
“Oh,”
commentò lei lentamente.
Le aveva dato sufficienti indizi
per farne ciò che voleva, e per quanto gli sarebbe piaciuto stare lì ad osservarla mentre assimilava queste nuove informazioni,
pensò che questa era decisamente una situazione da menti e fuggi.
“D’accordo,”
disse. “”In ogni caso...”
Appoggiò il libro che l’aveva
aiutato sul bracciolo del divano e si alzò in piedi. Lei lo guardò, sorridendo
timida.
“Che
cosa hai intenzione di fare, adesso?”
“Riparlarne domani mattina?”
suggerì lui, e Tonks annuì. L’avrebbe lasciata cuocere nel
suo brodo tutta la notte, pensò, poi le avrebbe detto la verità.
Forse.
“Buonanotte,”
disse.
Riuscì a trattenere le risate
fino in camera, dove lanciò un incantesimo di silenziamento e scoppiò a ridere.
Non sono adorabili?!? Povera Tonks... ancora non è riuscita a capire che lui
si sta prendendo gioco di lei...
Ma state all’erta, perché la vendetta è vicina… e che
vendetta!
Al prossimo – e ultimo
– capitolo di questa storia.
Ecco a voi il link dove cerco di tenervi aggiornati sulle mie storietraduzioni:
Chiedo
perdono per questo abominevole ritardo, e, cosa che mi
spezza il cuore, devo deludervi ancora pubblicando un pezzetto minuscolo di
capitolo... D’altra parte non potevo tenervi ancora sulle spine quindi ho dovuto
farvi leggere almeno la vendetta di Tonks.
Quindi
godetevela, recensite, e io vi prometto che tornerò presto con l’ultima parte,
quella più piccante.
Baci, la vostra Nonna Minerva.
3. La Regina di Cuori.
Remus si era quasi
addormentato quanto sentì un leggero colpetto alla
porta.
Senza aspettare una risposta,
chiunque fosse dietro la porta la aprì e lui sbatté gli occhi un paio di volte mentre la luce del corridoio filtrava nella sua stanza
e poi sparire quando la porta fu richiusa. Sentì dei passi leggeri avanzare
verso di lui e, in qualche modo, ancora prima di vedere la sua faccia, seppe
che era lei. Cercò la bacchetta ed accese la lampada sul comodino, la luce che
creava ombre ondeggianti nella stanza. Si tirò su, facendo peso sui gomiti,
notando il suo pigiama decisamente più grande di lei,
nel quale appariva, naturalmente, adorabile.
“Tonks?” disse. “Che cosa ci fai qui? Credevo fossi tornata a casa ore fa.”
“E’ così.” Confermò. “Non
riuscivo a dormire così sono tornata.”
“In pigiama?” chiese,
inarcando un sopracciglio. Lei abbassò lo sguardo.
“Oh,”
mormorò, sorridendo come se non si fosse accorta prima di quello che indossava.
“Sì.”
Trascorsero alcuni minuti e
lui deglutì, cercando di scacciare quello strano presentimento. Guardò le ombre
danzare sul volto di lei, non sapendo esattamente come
interpretare la sua improvvisa apparizione nella sua stanza, a quell’ora della
notte. La maggior parte dei suoi pensieri era incentrata attorno alle parole
‘Tonks’, ‘camera da letto’ e
‘la mia’, che era ridicolo se pensava che vi aveva
dormito solo la notte precedente, anche se lui era, ovviamente, in un’altra
stanza.
Non che lei
ne fosse a conoscenza. Deglutì.
“Remus?” disse Tonks.
“Sì?” rispose, inarcando
debolmente un sopracciglio.
“Stavo pensando,” esordì.
“Bene.”
Lei lo guardò un po’
esasperata.
“Non vuoi sapere cosa?”
“Continua allora,” concesse.
Tonks si avvicinò, facendo il
giro del letto fino a dove era disteso lui.
“Stavo pensando che forse dovresti rinfrescarmi la memoria.”
“Sai, gli incantesimi per il
recupero della memoria sono molto complic...”
“Non mi riferivo ad un
incantesimo,” specificò, avvicinandosi ancora di più,
abbassando la voce. Lei incontrò il suo sguardo, probabilmente terrorizzato,
mentre con gli occhi che scintillavano maliziosi, scostò le coperte e vi si infilò sotto, a fianco di lui.
Remus deglutì, violentemente,
nel sentire la gamba di lei sfiorare la sua.
Pensò che probabilmente
avrebbe dovuto scostarsi, mettere un po’ di distanza fra loro due, ma pensò che
sarebbe stato un po’ scortese, per non parlare di poco convincente se la notte
prima erano stati più che vicini, in preda ad una
incontrollata frenesia.
D’altra parte, averla così
vicina era, beh, un po’ sconcertante, e pensò che l’ultima cosa di cui aveva
bisogno, se voleva avere qualche speranza di continuare questa cosa, era
apparire imbarazzato.
Mentre era preso dall’indecisione, lei si era ulteriormente
avvicinata, ormai si era comodamente sistemata addosso al suo fianco. Le fece
un sorriso forzato e lei lo guardò per un istante prima
di prendere il suo viso fra le mani ed iniziare a baciargli dolcemente la
mascella.
Sentiva la pelle prendere
fuoco al tocco dei suoi baci, facendosi lentamente
strada lungo il collo, tracciando lo stesso sentiero dall’altra parte con la
punta delle dita. Chiuse gli occhi assaporando la sensazione delle sue labbra e
del suo respiro sul collo e istintivamente si spostò
un po’ più vicino. I capelli di lei gli solleticavano
il viso e sussultò appena.
Riusciva a pensare soltanto a
due possibili soluzioni – uno, dirle la verità, o due,
lasciarla fare qualsiasi cosa avesse in mente. La sua coscienza gli diceva che probabilmente avrebbe dovuto scegliere la prima;
il suo corpo sembrava pensare che la seconda non fosse poi una cattiva idea,
specialmente se continuava a fargli quelle cose sul collo con la lingua.
In qualche modo, ritrovò la
voce.
“Tonks?” mormorò. “Cosa stai facendo?”
“Credevo, Remus,” gli sussurròcon
voce roca nell’orecchio, “Che fosse ovvio.” Sottolineò
le sue parole con i fatti, iniziando a mordicchiare il lobo del suo orecchio
prima di scendere di nuovo lungo il collo. Lui respirava pesantemente,
avvicinandosi ancora per godere dei suoi baci.
Tutt’ad un tratto tutto
sembrava avere senso. Lei aveva detto ‘risolvere la cosa fra noi, se non altro’, parlato di quello che avrebbero dovuto fare poi e capì di
avere drasticamente sbagliato a calcolare le conseguenze. Lei era già convinta
che avessero dormito insieme la notte precedente, dopo tutto,
e sembrava non volere che fosse una cosa da una notte soltanto. Rifletté
sull’idea che lei potesse veramente voler stare con
lui, ed il pensiero diventava ogni secondo tanto eccitante quanto la sensazione
delle labbra di lei sulla sua pelle.
Cercò di smettere di pensare,
di lasciare che la sua mente si concentrasse interamente sulle sensazioni che
lei provocava, ed era assolutamente facile dimenticare qualsiasi cosa che non fosse lei – sembrava sapere l’esatta pressione delle labbra
sulla pelle, e quando lei tornò al suo orecchio lui stava praticamente facendo
le fusa. Si fermò e riusciva a sentire il suo respiro sulla pelle.
“Credo che questo si
chiami...” sussurrò mantenendo lo stesso tono di voce.
“… render pan per focaccia!”
“Cosa?”
Aprì gli occhi, chiedendosi
se apparisse così disorientato come si sentiva.
Lei le
sorrise malefica per un attimo. Remus notò con una certa apprensione che
era ancora pericolosamente, dannatamente vicina e i suoi occhi brillavano
trionfanti, quindi tuffò la testa sul cuscino ridendo selvaggiamente.
“Ha funzionato, però, vero?”
Per un attimo rifletté sui
due modi in cui avrebbe potuto interpretare questa sua ultima affermazione, e
sul fatto che aveva perfettamente funzionato in entrambi i sensi.
Si accasciò sul cuscino a
fianco a lei, non senza notare che le loro braccia e spalle si sfioravano, e
desiderando di aver indossato qualcosa di più che una misera mogliettina ed un
paio di vecchi pantaloni del pigiama, attraverso i quali i
calore che emanava il corpo di lei si sentiva fin troppo bene.
Fissò ostinatamente il
soffitto.
“Ti sei ricordata cosa è
veramente successo?” domandò. La sua voce suonava stranamente roca e si schiarì
la gola.
“Quanto basta,” rispose, allegra.
Remus strinse a sé le lenzuola mentre il suo stomaco vibrava di delusione – non
perché aveva scoperto la sua messinscena, ma più perché era stata una
messinscena fin dall’inizio. Era decisamente
dispiaciuto che non stesse più facendo quelle cose sul suo collo.
“Non riesco a credere di
esserci cascata due volte!” disse, ridacchiando sommessamente, scuotendo la
testa. Punteggio pieno a tutta la storia della verginità però. Un vero colpo di
genio.”
“Grazie.”
Fissarono entrambi il
soffitto per un po’. Remus fremeva per l’ineluttabilità della situazione.
Sapeva che era niente meno quello che si meritava,
eppure...
Ancora più preoccupante,
sapeva che avrebbe dovuto trovare la cosa divertente. Il Malandrino che c’era
in lui avrebbe dovuto essere piegato in due dalle risate per il fatto di essere
stato così spettacolarmente smascherato, ma non lo trovava
affatto divertente. In effetti, lo trovava qualcosa di completamente
differente.
La sua mente correva a più
non posso, attraverso sensazioni sentimenti e pensieri che aveva
disperatamente bisogno di elaborare. Ignorò il suo cuore che batteva a mille, dal momento che non riusciva esattamente a capire di cosa
gli stesse parlando, decidendo di provare invece con qualcuno dei suoi
pensieri. Il più insistente sembrava essere il fatto che
era deluso. Questo voleva dire che, ad un certo punto,
aveva desiderato che qualcosa accadesse.
Questa però non era una
novità, giusto?
Si domandò come mai gli
apparisse come una sorpresa, e più che quello, una rivelazione.
Capitolo 4 *** 3. The queen of hearts (ultima parte) ***
“Ti sei mai chiesto
Perdonooooooooooooooo! Lo so ci ho messo un secolo, ma spero che leggendo il
capitolo mi perdonerete... ci sono stati alcuni passaggi abbastanza complicati,
spero di avere reso bene l’dea… ma questo me lo direte
voi nelle recensioni...
Mi è pure toccato
alzare il rating... beh, capirete anche perché...!
3. La Regina di Cuori
(ultimissima parte).
“Ti sei mai chiesto...”
Tonks interruppe i suoi
pensieri e poi si fermò.
“Mi sono mai chiesto cosa?”
le domandò, appoggiando la testa sul gomito per poterla guardare.
“Niente,”
rispose, evitando il suo sguardo mentre si sistemava sul cuscino.
“No,”
disse, incoraggiandola. “Vai avanti.”
Tonks alzò gli occhi al cielo
e sembrò poi prendere una decisione.
“Ti sei mai chiesto come
sarebbe stato se noi...”fece
una pausa, mordendosi appena il labbro prima di incontrare il suo sguardo.
“...l’avessimo fatto?”
Per un attimo fu preso dal
terrore che potesse leggergli nel pensiero.
“No,”
rispose, stendendosi di schiena e tornando a fissare il soffitto.
“Nemmeno io,”
affermò lei velocemente.
Tacquero entrambi per quello
che sembro un tempo infinito.
Remus intrecciò le dita e le
appoggiò sopra le lenzuola sullo stomaco, giusto sul punto in cui una colonia
di farfalle sembrava essersi stabilita in pianta stabile.
“Probabilmente sarebbe stato
terribile.” Disse, non del tutto sicuro di chi stesse
cercando di convincere.
“Probabilmente,” disse lei.
“Orribile.” Aggiunse Remus,
con più convinzione di quanta ne sentisse.
“Uno scompiglio.”
“Disastroso.”
“Assolutamente.” Confermò e
lui sentì muoversi il cuscino che stavano condividendo, mentre lei annuiva con
enfasi.
Remus lisciò appena il
lenzuolo sopra il suo stomaco.
“Voglio dire, noi non andiamo
nemmeno veramente d’accordo.”
“Meglio evitare,” disse.
“Niente in comune.”
“No,”
concordò. “Perché tu sei così razionale...”
“E
tu parli troppo.”
“E
tu sei noioso.”
“E
tu troppo allegra.”
“E tu sei davvero esasperante,” continuò lei.
Lui si fermò, incapace di
pensare a qualcos’altro di cattivo da dirle.
“Saremmo ridicoli insieme.”
Non ci fu nessuna rapida
risposta, solo una pausa, non più lunga di un battito di ciglia elei disse:
“Lo saremmo davvero?”
Voltò la testa, trovando lei
che lo guardava, i suoi grandi occhi scuri non molto lontano
dai suoi.
“Non lo saremmo?” chiese lui,
incerto, inarcando un sopracciglio verso di lei.
“Sì,”
disse lei, guardando il soffitto. “Totalmente. Un incubo.”
“Completo e totale.” Confermò
Remus.
Un’altra brevissima pausa.
“Sembra che siamo a letto
assieme, però.” Commentò lei.
“Hmm,”
mormorò, gli occhi che cercavano i suoi di loro completo accordo. “L’ho
notato.”
“Vuoi che me ne vada?” offrì.
Lui deglutì.
“Non particolarmente.”
“Non particolarmente?”
chiese.
“No.”
“Ok.”
Silenzio. Remus intrecciava
le dita e poi le scioglieva, sperando che questo potesse servire a rilasciare
un po’ della tensione che aveva in corpo. Non funzionò.
“Perché
no?” chiese lei alla fine, la sua voce mortalmente calma.
“Ehm...” non
riusciva a pensare ad una effettiva risposta. Beh, ci riusciva. Solo non era
sicuro...
“Senti,”
iniziò, scoprendosi inaspettatamente abbastanza
sicuro di sé. “Vorresti...”
Si bloccò, improvvisamente
incerto se quello che stava accadendo stava accadendo
davvero.
“Cosa?”
domandò lei tranquillamente, voltandosi appena verso di lui. le
lanciò un brevissimo sguardo prima di tornare a fissare il soffitto,
chiedendosi, fugacemente, se aveva davvero visto quello che pensava d’aver
visto nei suoi occhi.
“Niente. Solo...” sospirò, esasperato per il suo comportamento. Si chiese cosa
pensava di avere da perdere. “Vuoi uscire con me?”
“Uscire con te?” domandò a
voce alta, leggermente sorpresa. Tutti i muscoli nel suo corpo si tesero.
“Dimentica quello che ho
detto.” Disse velocemente.
“Non voglio farlo.”
“Uscire con me?” chiese, non
del tutto sorpreso al tono deluso della sua voce.
“Dimenticare quello che hai
detto.”
“Oh.”
Gli occhi si spalancarono di
loro accordo, quando un pensiero gli attraverso la testa. La guardò
interrogativo.
“Era un sì?” domandò, e lei
rise.
“Penso tu possa prenderlo
come tale.”
Remus lasciò andare il
respiro che non sapeva di trattenere e si appoggiò al gomito, guardandola.
“Ho pensato che era meglio essere sicuri.” Spiegò con un sorriso. Lei
sorrise, si morse un labbro ed annuì. “Ok,” iniziò,
pesando che, per quanto un sorriso a trentadue denti potesse essere
affascinante su di lei, lui probabilmente sembrava un idiota. “Vuoi andartene,
ora?”
“Vuoi che me ne vada?” gli
chiese, inarcando un sopracciglio.
“No,”
disse, “E’ solo che... beh, ho pensato che potesse essere strano.”
“Già,”
disse lei, “Io che mi trovo qui per fartela pagare per essere stato un enorme
bastardo non è strano, ma essere a letto con qualcuno con cui vuoi uscire lo
è?”
Lui sorrise fra sé e gli
venne in mente che questo sarebbe stato un aneddoto fantastico da raccontare
alla gente quando avrebbero chiesto loro come erano
finiti insieme.
“Beh,”
mormorò. “Se la metti così.”
Tonks poggiò la testa sul
gomito a sua volta, sembrando molto più vicina di quando
erano entrambi distesi.
“D’altra parte,” iniziò. La sua voce era bassa, tranquilla e provocante.
Il suo cuore iniziò a battere più veloce. Lei alzò la mano ed iniziò ad
accarezzargli delicatamente il viso, proprio come aveva fatto la sera prima,
solo che questa volta la lasciò fare, chiudendo gli occhi ed assaporando quella
splendida sensazione. “Se inizieremo ad uscire
insieme, probabilmente finiremmo comunque qui, prima o poi.”
Si domandò se stesse per
tentare di baciarlo di nuovo, sapendo che, questa volta, gliel’avrebbe lasciato fare.
“Probabilmente,” concordò, aprendo lentamente gli occhi. Per un istante
credette che anche quelli di lei fossero chiusi, ma dopo un’analisi più
attenta, vide che stava semplicemente guardando in basso, osservando le sue
labbra, aspettando, suppose, che lui facesse la prima mossa.
O la prossima mossa, poiché
gli venne improvvisamente in mente che stavano facendo queste piccole mosse
l’uno verso l’altra da settimane, mesi probabilmente, e che quello che stava
per succedere era solo l’ultimo di una lunga catena di eventi.
“Quindi, se alla fine comunque finiremmo qui...” ripeté
Tonks.
Tutto si mosse.
Quando le loro labbra si incontrarono, lui non riuscì decisamente a definire chi
dei due avesse chiuso la minuscola distanza fra loro, e a dire la verità, non
aveva molta importanza. Fu un breve bacio, un istante per comprendere che realmente
si stavano baciando, ma ugualmente Remus inspirò improvvisamente, colto di
sorpresa dall’intensità del momento, o più specificamente, per il fatto che non
l’aveva sorpreso. Gli ci volle un po’ per capire che il rumore che aveva
sentito veniva da Tonks che faceva esattamente la stessa cosa. Incontrò
brevemente il suo sguardo per vedere, per controllare, se quello che sentiva lo
provava solo lui.
Gli occhi
di lei brillavano di nervosa eccitazione, e seppe che si sentiva come
lui, così la baciò di nuovo, come si deve questa volta, prendendo il viso di
lei fra le mani ed abbandonandosi completamente alla sensazione del suo bacio.
Non gli ci volle molto per concludere che fosse una
buona cosa il fatto di essere disteso, in quanto il suo corpo aveva abbandonato
anche la minima apparenza di preoccuparsi di nient’altro che non fosse il tocco
delle labbra di lei sulle sue, la lingua che lentamente esplorava la sua bocca,
o le sue dita che gli solleticavano il collo. Era a malapena conscio che esistesse qualcos’altro al di fuori di questo; comunque
niente sembrava così importante a confronto.
Dopo un po’ si scostò, ma non
riuscì a smettere di toccarla, e lasciò che le sue dita le sfiorassero guancia,
per poi seguire i contorni del viso e fermarsi sul collo.
“Vedo che,”
iniziò, ma già le sue labbra protestavano per essere state separate da quelle
di lei, e già di nuovo le si stava avvicinando. “Quello che intendevi è che
sarebbe meglio...”non poté
trattenersi un secondo di più dal baciarla e lei rispose entusiasta.
“... andare
dritti al punto?” offrì Tonks, cercando di riprendere fiato. Remus
mormorò il suo assenso contro le labbra di lei.
“Saltare
tutti quei...” iniziò. Lei gli passò una mano fra i capelli e lui non fu
più in grado di formulare una frase coerente. Percorse col
dito il contorno del suo viso, riportando quello di lei al suo, per un dolce,
intenso bacio.
“... inutili passaggi nel
mezzo,” aggiunse lei, le sue parole poco più che un
sussurro sulle labbra fra i baci.
Non resistette un attimo di
più e la fece stendere sul letto, baciandola
ardentemente. Assaggiò la sua guancia, proprio come lei prima
aveva fatto prima con lui, spostandosi lentamente verso l’orecchio.
“Quindi in pratica quello che
stai dicendo è che preferisci...”sussurrò,
prima di scendere lungo il collo.
“Saltare completamente la
parte in cui mi porti fuori...”mormorò,
sospirando appena quando le baciò il punto alla base della gola.
“... e
continuare semplicemente con questo.”
Riportò le labbra alle sue, e , per un istante, il tempo sembrò fermarsi, o diventare
assolutamente irrilevante o assurdamente confuso, non ne era certo. La baciò
per quella che sembrò un’eternità, ma quando lei si scostò per degnare la sua
gola di qualche attenzione, gli sembrò che fosse durato meno di un secondo, e
quindi, fin troppo veloce. E tuttavia, non riuscì a trattenere un gemito quando lei poggiò le labbra sulla sua pelle – perché,
seriamente, era davvero molto, molto brava in questo – e quindi fece
riavvicinare il suo viso al suo, sentendo la mancanza del calore delle sue
labbra, desiderando che la sua bocca potesse essere dappertutto
contemporaneamente.
Le loro labbra si incontrarono in piccoli baci esploratori, che si fecero
più passionali, ardenti che lasciavano trasparire tutto quel desiderio rimasto
finora inespresso, fino a stabilizzarsi su un’alternanza dei due, tracciando un
lento sentiero di baci che facevano emettere a Tonks lievi gemiti di
approvazione e sussultare lo stomaco di Remus, o per via dei baci o per i suoi
mormorii, non ne era certo. Non resisteva all’impulso di toccarla – di sentire
i suoi capelli fra le dita o di tracciare i contorni del suo viso, di scoprire
il punto sul suo fianco dove la sua mano si posizionava
meglio. E pure lei non era poi tanto timida,
sfiorandogli la gamba col piede e solleticandolo con le dita dei piedi,
passandogli le mani fra i capelli e poi lungo la schiena.
I loro corpi iniziarono una insistente, appassionata danza, dove a turno ribaltavano
le posizioni, lottavano, cedevano, si muovevano in un modo che portava l’altro
a stringere la presa, ad interrompere i loro baci per lasciar scappare un
sospiro, ed ad ogni adattamento sentiva un brivido attraversargli il corpo.
Non aveva immaginato –
nemmeno nei suoi sogni più belli – che sarebbe stato così… meraviglioso, o così
giusto.
Remus non aveva avuto molte
ragazze, ma ne aveva passate abbastanza per sapere
che, possibilità del genere, sensazioni come queste, non si presentavano molto
spesso, e che fosse dannato se non avesse sfruttato al meglio questa occasione.
Quindi, quando Tonks lo atterrò sul letto ed iniziò a
baciarlo appassionatamente, passando le mani sotto la sua maglietta, non
protestò, come avrebbe fatto in altre circostanze, che stavano andando troppo
veloci.
Invece, la strinse a sé, e –
non era una cosa calcolata, ma – notando che l’orlo della sua maglia s’era un
po’ alzata, non poté resistere all’inebriante sensazione della sua pelle sotto
le dita. Tra il modo in cui il corpo di lei si curvava
al tocco delle sue mani, ed i lenti movimenti di lei sui suoi fianchi,
facendolo quasi sciogliere, era talmente distratto che qualsiasi pensiero che
rasentasse la razionalità era deliziosamente fuori portata.
Non protestò nemmeno quando gli tolse la maglia, interrompendo a malapena
i suoi bacinel farlo, meravigliato dal
modo in cui esplorava il suo corpo – non esitante, come avrebbe potuto
aspettarsi, ma come se fosse qualcosa che già le apparteneva, e quel solo
pensiero, senza contare le sensazioni che venivano da quello che gli stava
facendo, era sufficiente perché tutto dentro di lui danzasse deliziosamente.
Uno squisito, solleticante
calore si diffuse dalle sue mani nel suo corpo, ed era così incredibilmente
fantastico che si chiese come mai non avessero
trascorso ogni singolo secondo del loro tempo a fare questo. Il modo in cui si
muoveva contro di lui, in cui lo baciava, era...
Deglutì, incapace di pensare
alla parola esatta, o, in effetti ad una qualsiasi
parola. Mormorò incoerentemente, domandandosi se potesse
sentirlo sopra il pulsare del sangue nelle sue vene.
Pensò che non aveva importanza che non riuscisse a capire cosa lei pensava
– la sua posizione lasciava poco spazio per dubitare quanto le piacesse fare
quello che stava facendo e deliziato dal modo in cui il suo respiro si stava
facendo affannoso e si abbandonava ai suoi baci mentre lui rafforzava la presa
sui suoi fianchi e la guidava un po’ più verso di sé.
Quando arrivò a giocherellare
coi bottoni del suo pigiama e li sentiva sbottonarsi,
non ricordava già più quali potessero essere le sue obiezioni all’inizio, e si
concentrò piuttosto a sfiorarle la pelle con le labbra.
Fu solo
quando lei si scostò ed iniziò a posare una scia di baci sulla spalla e
poi sul petto che perse anche solo l’impressione di un pensiero coerente. Ed alla fine, l’unica cosa che il suo cervello riuscì a
mettere insieme era alquanto preoccupante.
“Non ti stai ancora
vendicando per il mio scherzo, vero?” le chiese, inarcando un sopracciglio,
leggermente sorpreso per quanto suonasse brusca la sua voce, ma non del tutto
sorpreso del fatto di desiderare ardentemente che la
sua risposta fosse no.
“Tu che ne pensi?” lo
interrogò, incontrando lo sguardo e sorridendogli maliziosamente da suo
ombelico. Le sue labbra seguivano un percorso invisibile lungo il suo stomaco,
ogni bacio ed ogni tocco della sua lingua incendiavano
la pelle su cui passavano. Deglutì.
“Penso che se è così non sia
niente meno di quello che merito,” rispose con un tono
di voce molto più leggero e divertito di quello che avrebbe immaginato di
assumere in un momento del genere. Scivolò di nuovo lungo il suo petto e lo
guardò inarcando un sopracciglio.
“No,”
rispose, “Probabilmente no.”
Lui sorrise e invertì le
posizioni, sistemandosi sopra di lei. Lei emise una risatina sorpresa, e lui
strofinò leggermente il naso lungo il collo di lei,
fece scivolare lentamente le labbra lungo esso, mordicchiando la pelle e
facendole emettere i più intriganti mormorii, che lo fecero sentire al settimo
cielo, più del fatto di essere così vicino a lei. Infilò una mano sotto la sua
maglietta, sfiorandole le costole, mentre lei inspirava profondamente contro la
sua bocca, e poi il seno, giocherellando con le dita con il gancio del suo
reggiseno verde acido. Tonks inarcò la schiena al suo tocco e il contrarsi del
suo stomaco alla risposta di lei gli fecero trattenere
il respiro.
“E tu non ti stai vendicando,
vero,” chiese lei, senza fiato, “Per il fatto di
essere venuta qui?”
Lui si scostò appena e non
riuscì a trattenere un sorriso malizioso, tanto per le dita che le sfioravano
il seno, quanto per l’idea non del tutto – sperava – seria
che uno dei due stesse scherzando.
“Tu cosa ne pensi?”
“Non ne saresti capace,” disse, sorridendo e mordendosi un labbro, quindi
chiudendo brevemente gli occhi quando il capezzolo che lui stava accarezzando
si irrigidì sotto le sue dita.
“Hmm. Interessante,” commentò Remus. Non riuscì a trattenere un sorriso e lei
rise, passandogli le mani sulle spalle e attorno al collo, guardandolo in un
modo che faceva deviare altrove tutto il sangue che avrebbe
dovuto arrivargli al cervello. “Ti ho chiesto di uscire, però.”
“Potrebbe far parte del tuo
piano.”
“E
mi hai risposto di sì.”
“Potrebbe far parte del mio piano,”
disse lei, e ridacchiò.
“Potrebbe essere.”
Acconsentì. “Sei disposta ad ammettere che questo non è altro che uno
stratagemma per punirmi in modo spettacolare?”
“Tu lo sei?” domandò,
sfidandolo scherzosamente. Remus scosse la testa anche se
probabilmente il suo sorriso lo stava tradendo.
“Come la mettiamo, allora?”
chiese, inarcando un sopracciglio e muovendosi sotto di lui, mentre Remus
abbassava la mano ed iniziava a tracciare movimenti circolari sul suo stomaco.
“Beh,”
mormorò abbassando le labbra all’incavo del suo collo, “Se tu non vuoi
ammettere che non stai scherzando e io non voglio ammettere che non sto
scherzando...” Tacque per un istante per riflettere, e poi mormorò la risposta
contro la sua pelle. “Allora mi fermerò solamente quando
tu mi dirai di farlo.”
Prese il collo
di lei fra le mani, adorando il modo in cui i suoi muscoli si muovevano
sotto le sue labbra mentre la baciava. Si mosse sotto di lui, le dita che
riportavano il viso al suo, incontrando le sue labbra in un bacio che gli tolse
il respiro, incendiando all’istante tutto il sangue che aveva abbandonato il
suo cervello. Le tolse la maglietta e sospirò al contatto della pelle nuda di
lei con la sua.
Merlino. Si domandò se avesse
la più pallida idea di quello che gli stava facendo.
La baciò intensamente prima
di cedere all’impulso si scostarsi e guardarla. I capelli rosa erano tutti in
disordine, ciocche in ogni direzione, e non poté reprimere un brivido al
pensiero di essere stato lui a spettinarglieli. Abbassò lo sguardo,
contemplando il reggiseno di pizzo, color verde acido, che indossava ed il
bordo degli slip dello stesso colore che spuntava dai pantaloni del pigiama.
Assommati alla carnagione chiara ed i capelli rosa, non poteva negare che fosse
una vista strabiliante. Sentì un ampio sorriso increspargli le labbra, ed
appoggiò le labbra alla sua pelle, che sembrava sapere
di mattino, cospargendole lo stomaco di baci, passandole le mani dietro la
schiena, avvicinandola alle sue labbra.
Tutto questo – loro, insieme
– sembrava così innegabilmente giusto che subito gli parve
assurdo – completamente ed assolutamente assurdo – che non lo stessero facendo
già da mesi. Sentì il suo respiro farsi incostante mentre
guidava le labbra lungo la vita di lei, concentrandosi particolarmente su un
punto sensibile proprio sul suo fianco e quando lei emise un leggero gemito
strozzato, alzò lo sguardo per vedere il suo sorriso soddisfatto.
Iniziò a risalire.
“Indossi sempre della
biancheria intima così vistosa?” chiese, provocante,
mentre le mani prendevano il posto delle labbra e queste ultime si occupavano
del collo di lei.
“Cosa?”
“Niente,”
disse, baciandole la guancia, prima di passare all’orecchio. “Solo... se è così
e se fra noi dovesse diventare una cosa ripetitiva, forse dovrei pensare ad un
paio di occhiali da sole.”
Lei ridacchiò,
solleticandogli l’orecchio.
“Beh,”
iniziò, premendo delicatamente la guancia contro la sua prima di passargli una
mano fra i capelli ed allontanarlo quanto bastava per poterlo guardare in
faccia, un sorriso malizioso sulle labbra. “Se non ti
piacce, puoi sempre toglierla!”
Emise un vago suono strozzato
per la sorpresa, ma il Malandrino che c’era in lui pensò che avesse ragione e
che non fosse assolutamente una cattiva idea.
E al momento che il Malandrino in lui l’aveva condotto
fino lì, Remus decise di dargli ascolto.
“Non ho detto
che non mi piaccia,” affermò. Inarcò le sopracciglia e la baciò lentamente
prima di fare esattamente quello che lei aveva suggerito, e quando il suo
reggiseno non fu altro che un vago, verde ricordo, si risistemò sopra di lei.
Lei si inarcò contro di lui, e lui le tracciò una scia
di frenetici baci lungo il collo ed il seno, sentendo la passione ed il
desiderio crescere nel momento in cui le sfiorava il capezzolo con la lingua.
La riposta di lei non gli
lasciò alcun dubbio che sentisse esattamente la stessa cosa. Lo fece mettere di
fianco mentre reclamava le labbra di lui sulle sue e
muovendosi contro di lui al tempo dei baci mentre la accarezzava.
Le mani di Tonks erano
dappertutto ed erano decisamente senza pietà nel
continuare la loro esplorazione e Remus trattenne il respiro quando iniziò a
sbottonargli i bottoni dei pantaloni del pigiama. Sbottonò il primo abbastanza
velocemente infilandovi brevemente la mano e ridacchiando contro la sua gola
mentre lui inspirava e deglutiva, profondamente, al contatto. Gli sfilò
definitivamente i pantaloni, lasciandoli cadere sul pavimento, quindi fece
scivolare la mano lungo la coscia, facendo leggera pressione con le unghie
dando come l’impressione di un graffio. Remus si lasciò scappare un gemito poco
dignitoso, nonostante tutti i suoi sforzi per trattenerlo, e la vide sorridere
– o più probabilmente ghignare – contro la sua pelle. Afferrò
l’orlo dei suoi pantaloni – dopotutto potevano giocare entrambi allo
stesso gioco. Mentre lui iniziava ad abbassarli, lei
sgusciò fuori, ridacchiando e ancora prima di avere avuto il tempo di lanciarli
da una parte lei era già tornata a premere il suo corpo contro il suo,
catturando le sue labbra in un tenero, provocante bacio che non fece niente per
nascondere l’intensità del momento.
Questa volta la felicità
dentro di lui giunse fino alla sua anima e seppe di essere completamente perso,
perso in lei, e che era prevedibile. Separò le labbra dalle sue,
sorprendentemente, meravigliosamente conscio del fatto che presto, non sarebbe
più stato in grado di allontanarsi, di fermarsi, di lasciare non dette quelle
cose che il suo corpo bramava disperatamente di confessare.
“Non hai ancora detto quando,” mormorò, la voce roca mentre incontrava il
suo sguardo alla ricerca del minimo segno che gli facesse capire che lei
desiderava questo con la stessa intensità con cui lo desiderava lui. Lei
sorrise e poco alla volta capì di essersi smarrito molto tempo prima, quindi
gli baciò il mento, la mascella, richiamando le labbra di lui
sulle sue.
Remus si svegliò trovando una
scomposta, spettinata massa di capelli rosa sul cuscino a fianco a lui, e due
pigiami e un set di biancheria di un verde acido alquanto appariscente buttati
a casaccio sul pavimento. Ridacchiò sommessamente fra sé, non volendo che lei
si svegliasse. Appariva particolarmente adorabile quando
era addormentata.
Non era del tutto certo di
cosa questa donna – questa brillante, sexy,
assolutamente perfetta donna – ci facesse nel suo letto, ma non poté fare a
meno di sorridere per il fatto che c’era.
Sapeva che avevano corso un
po’ troppo, ma immaginò che lei avesse ragione – sarebbero comunque
finiti lì, prima o dopo, e se doveva essere sincero con se stesso, aveva sempre
preferito prima piuttosto che dopo.
Si chiese da
quando, accanto a lei fosse diventato l’unico posto in cui si sentiva a
casa.
Tonks si mosse accanto a lui
e Remus si mise di fianco appoggiandosi al gomito, ed il suo sguardo incontrò
il suo quando aprì gli occhi. Un lento sorriso
assonnato le si dipinse in volto.
“Ehilà,”
mormorò.
“Allora non hai altre
espressioni di saluto,” le disse, “Me l’ero sempre
domandato...”
“No,”
rispose, “Solo ehilà – una parola che si adatta a tutte le occasioni.”
Si mosse di nuovo, portando
un braccio sotto la testa ed avvicinandosi un po’ a lui. Sorrise e i suoi occhi
scuri scintillavano.
“Allora,”
disse lui.
“Allora cosa?”
“Hmm. O sei la migliore
attrice del mondo e stai per urlarmi in faccia ‘fregato!’ prima di scappare con
quello che resta della mia dignità,” iniziò, inarcando
un sopracciglio, “O noi due abbiamo bisogno di fare una piccola conversazione.”
“Una conversazione?” chiese.
“Riguardo cosa?”
“Riguardo il
fatto che l’ultima conversazione che abbiamo avuto, comprendeva niente più che
respiri pesanti, qualche leggera imprecazione ed il mormorare i rispettivi
nomi.”
Tonks rise, e lui abbassò lo
sguardo, una leggerissima traccia di un ghigno sul volto. La ragazza si issò a sua volta sul gomito.
“Sei sexy
quando sorridi così,” commentò in tono leggero e provocante.
“Stiamo escludendo l’opzione della recitazione quindi?”
“Sei bello così,” disse, giocherellando con una ciocca dei capelli di lui,
spostandogliela dietro l’orecchio. Gli mancò il respiro e i suoi occhi
scrutarono il viso di lei, memorizzando ogni dettaglio,
assaporando il momento.
“Così come?” chiese tranquillo, sorridendo.
“Arruffato,”
rispose, “Come se non avessi buone intenzioni.”
“Io non avevo buone
intenzioni,” la corresse, incontrando il suo sguardo
ed inarcando un sopracciglio. “Ricordi?”
“Hmm,”
mormorò lei. Prese il suoi viso fra le mani ed
incominciò a baciargli lentamente la mascella. Lei si spostò
più vicino, voltò la faccia seguendo i suoi baci, trattenendo il
respiro. “Certi particolari sono un po’ sfuocati,”
sussurrò. “Magari potresti rinfrescarmi la memoria.”
“Pensavo dovessimo iniziare
una conversazione!”
“Oh, stiamo per iniziarla,” lo corresse in tono diabolico e provocante che sembrò
incendiargli il corpo. “E’ solo che sarà del genere respiri pesanti ed
imprecazioni mormorate.”
Chinò leggermente la testa,
tentando disperatamente di non cedere al ghigno che minacciava di uscire.
“Bene.”
“Mmmh.”Mormorò.
“Sembra che tu abbia tutto
sotto controllo,” commentò Remus, “Non valeva nemmeno
la pena svegliarmi.”
“Non direi,”
replicò, premendolo sul letto, baciandogli il collo.
“No?” chiese mentre lei si
sistemava sopra di lui. Remus appoggiò le mani sui suoi fianchi, e per un
istante si meravigliò di quanto sembrassero nel posto
giusto.
“No,”
rispose, baciandogli il petto. “Credo che fra un po’ penserai che sia valsa
davvero la pena di esserci svegliati.”
“Oh,”
mormorò con una leggera risatina.
Si mosse lentamente verso la
sua bocca e quando catturò le labbra di lui con le sue
fu tutto quello che riuscì a dire prima di rispondere al bacio.
“Ce la caviamo molto meglio
in questo tipo di conversazioni, non credi?” chiese fra un bacio e l’altro.
“Oh sì,”
rispose.
Le sfiorò
la schiena con la mano, stringendola a sé e baciandola appassionatamente,
sinceramente. Lei si scostò
appena, e lui approfittò dell’opportunità per occuparsi della sua gola.
“Solo una cosa,” disse lei.
“Cosa?”
mormorò lui nell’incavo del suo collo.
“Non chiamarmi Ninfadora
questa volta, Remus.”
Lei si contorse
quando lui rise ed il suo respiro le solleticava il collo.
“Sei così irritante,” mormorò proprio contro la sua pelle, fra i baci.
Non ci credo... abbiamo finito anche questa! Eh, sì, avete capito
bene… abbiamo, e non ho. Perché senza di voi, i vostri commenti, apprezzamenti
e sollecitazioni non sarei mai arrivata in fondo.
Quindi GRAZIEEEEE!!
Ora mi rivolgo a coloro che leggono in lingua... avete letto “On paper”, sempre della mitica Lady Bracknell? Che ne dite? Può essere una possibile traduzione? Fatemi
sapere.
E a tutti gli altri…
Ce lo lasciate un commentino? ( PICCOLO PICCOLO… )
Eddai… era l’ultimo...
Quanto a me, non so
fra quanto tornerò con una traduzione… sto preparando un esame, ma di sicuro ci
sarò il 18 dicembre con un primo capitolo.