The Lying Game di Ariel Winchester (/viewuser.php?uid=140705)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** This Is War ***
Capitolo 3: *** Confusion ***
Capitolo 4: *** Closer To The Light ***
Capitolo 5: *** Shadow ***
Capitolo 6: *** Fight ***
Capitolo 7: *** Fast And Furious ***
Capitolo 8: *** Shot In The Dark ***
Capitolo 9: *** If You Were Me ***
Capitolo 10: *** What Happened To Us? ***
Capitolo 11: *** Trying To Help ***
Capitolo 12: *** Do You See Me Now? ***
Capitolo 13: *** Killer Love ***
Capitolo 14: *** Promise Me ***
Capitolo 15: *** In The White Light ***
Capitolo 16: *** The End Of The Affair ***
Capitolo 17: *** Watch Over You ***
Capitolo 18: *** Anthem Of The Angels ***
Capitolo 19: *** New Dawn ***
Capitolo 20: *** Beyond Redemption ***
Capitolo 21: *** What Lies Beneath ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
-Prologo-
Alyssa
era rimasta per ore seduta sul primo gradino della scalinata ad
ascoltare il vento soffiare gelido fuori dall'edificio e aspettando
che Wammy tornasse.
Quando
la porta della Wammy's cigolò, lei balzò in piedi
stringendosi al suo orsacchiotto di peluche e correndo verso
l'entrata. Si fermò di colpo quando vide che l'uomo non era
solo ma teneva per mano un altro bambino: era più grande di
lei, aveva forse sugli otto o nove anni e appena la vide abbassò
timidamente lo sguardo nascondendo il mento sotto la sciarpa.
La
bambina strinse più forte il peluche a sé come se
volesse proteggersi dallo sguardo di quello sconosciuto. Wammy si
chiuse la porta alle spalle e con una mano pulì i capelli e il
giaccone del bambino dalla neve, quando vide Alyssa osservarli
intimorita gli fece segno di avvicinarsi.
Per
come era timida, la bambina non lo avrebbe mai fatto. Ma Wammy con
lei si comportava sempre in maniera così affettuosa e gentile
che non riusciva a non dargli retta.
“Alyssa,
questo bambino si chiama Elle” disse chinandosi sulla piccola
quando fu abbastanza vicina. “È orfano proprio come te.
Non essere timida e cerca di fare amicizia con lui, ok?”
Alyssa
si portò il pollice tra le labbra, guardò Elle che
continuava a fissare il pavimento e provò uno strano senso di
solidarietà nei suoi confronti: alla Wammy's erano tutti
orfani e soli come lei ma c'era qualcosa in quel bambino, nei suoi
occhi neri che le infondeva una sensazione di sicurezza.
Wammy
le baciò la testa e lasciò la piccola sola con Elle,
dopo diversi attimi di silenzio si avvicinò a lui chiedendosi
perché non la guardasse nemmeno. Forse era più timido
di lei?
“Ciao,
io sono Alyssa” si presentò allungando la mano verso di
lui e tenendo il peluche con l'altra mano.
Elle
alzò lo sguardo su di lei e parve studiarla a lungo. Poi,
lentamente, le prese la mano sentendo un piacevole senso di calore
passargli attraverso il guanto che copriva la sua pelle.
Fu
così, in quella giornata nevosa, che tutto ebbe inizio.
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Capitolo 2 *** This Is War ***
-This
Is War-
“Ecco
qui come al solito!”
Alyssa
sorrise lasciando la lista delle ordinazioni sul bancone, il
pasticciere la guardò come sempre con aria sorpresa
chiedendosi perché quella ragazza così mingherlina
ordinasse tutti quei dolciumi quasi ogni giorno. L'uomo le sorrise
divertito “ Un giorno mi dirai per chi sono questi dolci, vero
Alyssa?” le chiese iniziando a riempire delle buste di
biscotti, gelatine di frutta e quant'altro.
La
ragazza fece spallucce “Diciamo che ho un elefante da sfamare!”
disse con un sorriso, se quell'uomo avesse saputo chi divorava tutti
quei dolci non ci avrebbe creduto.
Nel
giro di pochi minuti Alyssa si ritrovò con due enormi buste da
trasportare e il portafoglio improvvisamente vuoto “Grazie,
buona giornata!” disse salutando l'uomo con un cenno del capo.
“Buona
giornata a te, Alyssa!” rispose lui.
Quando
la ragazza uscì in strada, venne investita dal vento gelido di
Tokyo. Attraversò velocemente la strada per raggiungere
l'hotel in cui lei e il suo capo risiedevano. Non avevano mai
lavorato ad un caso del genere, l'assassino in questione veniva
chiamato Kira ed era capace di uccidere le sue vittime a distanza
facendole morire di attacco cardiaco. La prima delle sue vittime
sembrava essere stato un folle che aveva preso in ostaggio diversi
bambini di un asilo e che, improvvisamente, si era accasciato a terra
privo di vita.
Da
lì a seguire c'erano state altre morti simili e coinvolgevano
solo criminali sia in libertà che in prigione. I network e
Internet si erano riempiti di pagine in onore di questo assassino o
giustiziere a seconda dei punti di vista e i suoi numerosissimi fans
gli avevano affibbiato addirittura il nome, appunto, di Kira.
Il
capo di Alyssa era arrivato a diverse conclusioni ma, come al solito,
la teneva sulle spine, perché prima di parlargliene voleva
delle prove concrete e verificabili. La ragazza non lo aveva mai
visto così preso da un caso: lavorava giorno e notte pur di
avvicinarsi all'identità di Kira. L'aveva presa come una
sfida, non sopportava che molta gente si affidasse più alla
giustizia di quell'assassino che delle autorità.
Quando
raggiunse la camera dove risiedevano, trovò tutto come lo
aveva lasciato: il suo capo sedeva di fronte al televisore con le
dita sulle labbra, le luci erano spente e le finestre chiuse.
“Ehilà,
eccoti il pranzo!” disse lei lasciando la busta sul tavolino
accanto alla poltrona su cui era seduto, si tolse il cappotto
rabbrividendo. Anche se era di origine russa e aveva vissuto per anni
in una paese freddo come l'Inghilterra, odiava il freddo e spesso
arrivava quasi a sperare che quei casi si svolgessero in un ambiente
più caldo. Magari le Hawaii.
Il
capo prese la busta “Sei in ritardo” disse un po' seccato
“Lo sai che se non assumo zuccheri non ragiono bene!”
Alyssa
sospirò sedendosi accanto a lui “E tu sai che esiste una
cosa chiamata diabete, Elle?” gli chiese divertita, vide il
ragazzo afferrare la busta di biscotti di marzapane con gioia. Lo
conosceva da quando lei aveva quattro anni e lui otto, non riusciva a
ricordare un momento della sua vita in cui lui non fosse stato
presente. A sedici anni aveva deciso di seguirlo nel suo lavoro e
avevano lavorato a diversi casi da Los Angeles a Parigi.
E
allora si trovavano a Tokyo ad affrontare il caso che Elle definiva
il più duro e difficile di tutti.
“È
tutto pronto?” chiese Alyssa guardando lo schermo preoccupata,
per tutto quel tempo non aveva fatto altro che essere il tramite tra
Elle e le autorità locali insieme a Watari. Un ruolo che non
si addiceva alla ragazza: mente e corpo, ecco come si definivano loro
due e in quel caso Alyssa si era trovata anche a fare da mente in
diverse occasioni, malgrado sapesse che non era il suo forte.
“Sì,
ci siamo quasi” rispose Elle a bocca piena “Tra un po'
sarai anche tu partecipe delle mie ipotesi”
Alyssa
lo sperava seriamente, in quei giorni Elle era più taciturno e
sopra le nuvole del solito e non le aveva rivelato praticamente nulla
sui suoi piani per portare allo scoperto Kira.
Lei
invece si era fatta un idea alquanto fantasiosa di chi potesse essere
quell'assassino: un angelo vendicatore che puniva i peccatori e
difendeva i giusti.
Quel
pensiero un po' la fece vergognare, sopratutto se fosse venuto a
saperlo Elle.
Forse
alcuni avvenimenti che aveva vissuto in passato non la facevano
ragionare lucidamente.
Ad
un certo punto il televisore mostrò quella che sembrava una
specie di conferenza. Alyssa riconobbe Lind. L Taylor con il quale
Elle le aveva chiesto di mettersi in contatto, o meglio aveva chiesto
di mettersi in contatto con il suo avvocato, visto che per quell'uomo
era prevista la pena di morte.
Tutto
il resto poi era toccato, in gran segreto, ad Elle.
Alyssa
si voltò a guardare il capo con aria interrogativa, si chiese
quale fosse il piano elaborato nella sua testolina contorta e perché
avesse coinvolto un criminale in procinto di essere giustiziato.
Quando
quello iniziò a parlare, calò un profondo silenzio
“Salve a tutti, io sono Elle” disse.
Alyssa
sussultò e lanciò un occhiata preoccupata al ragazzo,
ma lui teneva gli occhi fissi sullo schermo.
“Ci
troviamo di fronte ad una serie di crimini senza precedenti,
effettuati da questo fantomatico Kira che crede di agire in nome
della giustizia” disse l'uomo con voce dura e decisa “Kira,
tu non sei superiore a coloro che uccidi: sei uguale se non peggio.
Non sei giusto, sei malvagio. E io ti fermerò”
“Porca
miseria, Elle! Così lo farai incazzare sul serio!”
esclamò Alyssa preoccupata. Perché aveva deciso di
sfidare così apertamente quel Kira? Era forse riuscito a
capire come riusciva ad uccidere le sue vittime? Oppure era solo così
folle da sfidare un pazzo pericoloso rischiando la propria vita?
“Calma,
Aly. Ho tutto sotto controllo” rispose il ragazzo pensieroso.
Alyssa
non parve convinta. Per come se l'era immaginato lei, Kira era
alquanto presuntuoso e credeva ciecamente in quello che faceva, come
ogni giustiziere, e quindi non gli o le sarebbe piaciuto essere
definito malvagio.
“E
se potesse ucciderti lo stesso?” chiese la ragazza preoccupata.
Le sue parole restarono sospese in aria quando Taylor gemette di
dolore, lo vide portarsi una mano al petto e contorcersi in preda ai
crampi al cuore. Poi si accasciò sulla scrivania a cui era
seduto e calò un profondo silenzio.
Alyssa
si portò una mano alla bocca e fissò il cadavere
dell'uomo sconvolta. Pensando che poteva esserci Elle al posto di
quell'uomo, si voltò verso di lui e vide le sue labbra
allargarsi in un sorriso.
“Lo
sapevo!” disse quasi entusiasta mentre il corpo di Taylor
veniva trasportato via.
Il
logo dell'Interpol alle spalle della scrivania venne sostituito dal
logo di Elle: la lettera L dell'alfabeto latino. Il ragazzo allungò
la mano verso il microfono accanto al computer e premette il pulsante
destro sottostante sotto lo sguardo ansioso della sua compagna.
“Immaginavo
che sarebbe accaduta una cosa simile” disse la sua voce,
modificata talmente tanto da risultare metallica. Alyssa scattò
in piedi preoccupata, ma non emise alcun rumore per non disturbare il
lavoro del ragazzo “Kira, sono io il vero Elle. Quello era solo
un detenuto nel braccio della morte che ha preso il mio posto,
sarebbe stato giustiziato oggi stesso. Grazie al tuo intervento mi si
sono chiarite molte cose...”
Alyssa
deglutì e guardò lo schermo, s'immaginò decine e
decine di spettatori che ascoltavano la voce sicura e forte di Elle
che sfidava il potere silenzioso di Kira. Anche a loro si sarebbe
accapponata la pelle come succedeva sempre a lei, mentre Elle parlava
in quel modo?
Il
ragazzo si prese un attimo di pausa poi continuò a parlare “
Ma prima di tutto voglio avere un ennesima prova delle mie
teorie....perché non mi uccidi Kira? Sono qui che aspetti,
uccidimi!”
Alyssa
aveva la pelle d'oca, si aspettava da un momento all'altro che il
ragazzo si accasciasse a terra privo di vita. In preda al panico gli
diede uno schiaffo sulla spalla ma lui la ignorò.
Attese
a lungo, come se stesse aspettando che il suo cuore smettesse di
battere e poi riprese a parlare.
“Allora ci sono
delle persone che non puoi uccidere eh? Grazie per il prezioso
indizio” continuò “Sospettavo che tu potessi
uccidere solo coloro di cui conosci il nome e il volto ma ora ne ho
avuto la conferma. E inoltre volevo avvisarti che questo video è
stato trasmesso solo nella regione del Kanto. Ho avuto da subito il
dubbio che tu fossi giapponese, precisamente da quando hai ucciso
quel sequestratore dell'asilo, Shiniji Iro. Quindi ho avuto un altra
schiacciante prova alle mie ipotesi.”
Alyssa
si portò le mani tra i capelli corvini, si aspettava ancora da
un momento all'altro che il ragazzo avesse un attacco cardiaco.
Credeva fermamente nelle sue teorie sempre ben provate ma il terrore
che ,ogni tanto, si potesse sbagliare era sempre vivo in lei. Tornò
a sedersi accanto a lui e gli prese il polso, come a pregarlo di
porre al più presto fine a quella roulette russa.
“Ti
dico un ultima cosa: io sono la giustizia e ti fermerò ad ogni
costo!”
Il
suo dito si staccò dal pulsante del microfono e il silenzio
calò sugli schermi di chiunque avesse ascoltato quel guanto di
sfida appena lanciato. Finalmente Alyssa poté dare sfogo alle
sue paure: gli diede una violenta spinta e il ragazzo per poco cadde
dalla poltrona.
“Ma
sei scemo?!” chiese con voce stranamente stridula “Provi
le tue teorie rischiando di farti ammazzare?!”
Elle
tornò a sistemarsi sulla poltrona nella sua solita posizione
da “gallina”, come la definiva la ragazza “Stai
calma Alyssa...sono vivo no?”
“E
se ti fossi sbagliato? E se questo Kira avesse potuto comunque
ucciderti?” insistette la ragazza “Potrebbe avere i
poteri tipo di...un X-man!”
Elle
la guardò sconvolto “Non puoi aver detto un X-man...”
disse allibito.
“Sì
, l'ho detto” rispose lei spalancando le braccia “Tutto
questo è assurdo e per quanto ne sappiamo, non mi stupirei
nemmeno se si trattasse di un pokemon!”
Si
strinse le braccia la petto sconvolta e fissò il pavimento ,
quella sfida di poco prima l'aveva fatta rabbrividire non solo di
paura, ma anche di strano entusiasmo : era tipico di Elle saper
smuovere gli animi delle persone con le sue parole, sopratutto quando
si trattava di giustizia.
Il
ragazzo sospirò e si alzò in piedi, non indossava né
scarpe né calzini perché odiava coprirsi i piedi ed
evitava di farlo almeno quando non poteva “Non ti avevo mai
vista così spaventata per un caso” le fece notare, ma
Alyssa non rispose “Comunque ci stiamo avvicinando sempre di
più a Kira , sono ancora fermamente convinto che si tratti di
uno studente e che risieda proprio a Tokyo”
La
teoria che fosse uno studente non era nuova alle orecchie di Alyssa ,
Elle le aveva già fatto notare che la maggior parte degli
omicidi avveniva in orari in cui non si tenevano lezioni. Era l'unica
cosa di cui l'aveva tenuta al corrente.
“Senti,
Elle...” cercò di dire “Questo Kira è il
più pericoloso criminale che ci siamo trovati a fronteggiare!
Dobbiamo essere più che cauti...”
“Perché?
Non sono stato più che cauto?”
Alyssa
gli lanciò un occhiataccia “Cauto? Chiedergli di
ammazzarti con quel tono vuol dire essere cauti per te?”
“Usiamo
nomi falsi , credo che sia il massimo della prudenza , tu non credi?”
La
ragazza non replicò , prese un lungo respiro e fissò lo
schermo bianco. Restò di stucco quando vide Elle sorridere di
gusto , faceva sempre così quando sentiva la vittoria ad un
passo da lui.
“
Non preoccuparti”
le disse con tono sicuro “Riusciremo a fermare quel criminale
il più presto possibile. Perché noi siamo la
giustizia!”
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Capitolo 3 *** Confusion ***
Confusion-
Dopo
la sfida lanciata da Elle nei confronti di Kira, gli omicidi non
diminuirono, ma aumentarono.
Kira
aveva continuato ad uccidere criminali in libertà e non, ma
sembrava aver deciso anche di improvvisare con il suo “potere”.
Diversi uomini si erano uccisi in vari carceri, dopo aver scritto
una lettera d'addio spesso priva di senso. Elle non era convinto che
quelli fossero semplici suicidi da parte di persone che temevano il
potere di Kira, era convinto che fosse Kira stesso a manipolare le
loro azioni prima di farli morire. Alyssa era riuscita ad ottenere
delle foto e dei file riguardanti la morte di un detenuto che, prima
di impiccarsi, aveva scritto una lettera e si era poi tagliato un
dito per disegnare uno strano simbolo sul muro con il proprio
sangue. Restò seduta sul portabagagli della sua macchina
mentre guardava, dall'altro lato della strada, l'entrata del
carcere, gremita di persone accorse a vedere l'ennesima vittima di
Kira. Alcuni di loro, armati di cellulare, speravano di poter
fotografare qualcosa di compromettente.
“Che
succede laggiù?” chiese una signora anziana quando le
passò accanto, teneva faticosamente una busta della spesa in
mano e portava enormi occhiali da vista che le rendevano gli occhi
il doppio più grandi.
“Un
uomo si è ucciso” rispose lei lanciando un occhiata
alla folla che circondava l'edificio. La donna annuì “Era
un detenuto?” chiese curiosamente.
“Sì,
lo era” rispose la ragazza, quell'uomo ,per quanto lei ne
sapeva, aveva ucciso una donna e i suoi due bambini per motivi che
ancora non erano chiari. Detestava ammetterlo ma era contenta che
fosse morto, suicidio o no.
“Ed
è stato Kira?” aggiunse la vecchietta.
Alyssa
alzò le spalle, non poteva dire nulla al riguardo “Non
lo so.” rispose.
“Spero
che sia opera sua. Un altro assassino maledetto in meno, no?”
replicò la donna, Alyssa si voltò verso di lei
sorpresa da quelle parole. Non si sarebbe mai aspettata parole così
piene di rabbia da una vecchietta all'apparenza innocua. “Non
capisco perchè la polizia gli dia la caccia! Uccide persone
malvagie, ci libera dal loro pericolo....sta facendo del bene per la
società e loro gli stanno mettendo i bastoni tra le ruote!”
Quelle
parole non erano nuove alle orecchie della ragazza, aveva sentito
così tante persone sostenere che Kira era solo un “bene”
per la società, che i suoi omicidi erano più che
giustificati e spesso anche lei si trovava in parte d'accordo.
“Kira
è un pericoloso assassino che vuole sostituirsi ad una cosa
che già abbiamo chiamata giustizia.” rispose Alyssa
freddamente, tanto che la donna mutò la sua espressione
amichevole “Le sue azioni non sono giustificate e lo rendono
uguale alle sue vittime.”
Il
cellulare le squillò, vide sullo schermo la scritta “numero
sconosciuto” e capì subito di chi si trattava “Se
vuole scusarmi..” si congedò dallo sguardo stupito della
donna e salì in auto, in modo che nessuno ascoltasse la loro
conversazione.
“Dimmi
gioia.” rispose ridacchiando.
“Non
chiamarmi in quel modo.” la rimproverò Elle, rimase
turbato dal tremore nella voce della ragazza: anche se cercava di
fare la simpatica, qualcosa l'aveva scossa.“É successo
qualcosa?”
Alyssa
non rimase sorpresa da quella domanda, il ragazzo si accorgeva sempre
se qualcosa mutava nel suo stato d'animo, persino quando erano al
telefono. Sospirò “Nulla.” rispose “Una
vecchietta pro-Kira mi ha fatto innervosire.”
Guardò
la donna che si stava allontanando lungo la strada e deglutì
“Ti ha innervosito perchè non la pensi come lei o il
contrario?” chiese Elle dall'altra parte del telefono.
“Senti,
invece che cercare di psicoanalizzarmi, hai guardato i file che ti ho
inviato?!” esclamò lei nervosamente, anche lui spesso e
volentieri le faceva quei fastidiosi giochetti mentali in cui
riusciva a far cadere il suo interlocutore. Ma con lei non avrebbe
funzionato, lo conosceva abbastanza bene da sfuggire ai suoi
trucchetti,anche se era indubbiamente più intelligente di lei.
“Sì,
li ho visti...cosa ne pensi al riguardo?” rispose lui.
“Io?”
ripeté Alyssa incredula restando seduta davanti al volante
“Perchè ultimamente vuoi sapere cosa ne penso io? È
il tuo lavoro, mica il mio!”
“Un
giorno forse non ci sarò più, no? E mi piacerebbe
saperti al mio posto, sarebbe una bella cosa alla fine, concordi?”
Quei
discorsi la innervosivano, spesso Elle parlava della sua vita come se
fosse una terza persona a cui non importava nulla del destino che gli
toccava “Hai solo venticinque anni e ci pensi ora? Ne
riparliamo tra sessant'anni, che ne dici?” rispose seccata,
prese il suo portatile e guardò le immagini della cella in cui
quell'uomo si era suicidato “Comunque...vuoi sapere che ne
penso? Beh, per me può essere stato un semplice suicidio.”
“E
se fosse opera di Kira? Perchè credi che lo abbia fatto?”
chiese Elle, lui era già arrivato alla sua conclusione: lei lo
capì dal tono della sua voce.
Sospirò
e guardò la lettera del detenuto, un insieme di parole sensate
ma non ben relazionate “Forse...vuole sperimentare. Se sa
manipolare le azioni che precedono la morte, può aver chiesto
a quell'uomo non di disegnare quel simbolo...ma qualcosa di cui
l'uomo non era affatto a conoscenza e che non poteva disegnare. Forse
il tuo vero nome o il tuo viso, magari!”
“Perchè
sei arrivata a questa conclusione?”
Alyssa
restò diversi secondi in silenzio, guardò attentamente
la lettera e si rese conto che c'era qualcosa di insolito “Ecco...”
rispose distrattamente “Il pentacolo è un simbolo che
solitamente raffigura il male. Kira non si sente cattivo, lui si
sente un dio. Giusto ma crudele. Perchè avrebbe dovuto fargli
disegnare quel simbolo allora?”
Elle
restò in silenzio, la ragazza se lo immaginava mentre
camminava avanti e indietro dentro la loro stanza d'albergo “Hai
notato anche tu quella cosa
nella lettera, vero?” chiese analizzando il suo lungo silenzio.
Alyssa
sospirò “Sono piuttosto brava nei messaggi criptati.”
rispose, forse era l'unica cosa di cui era capace visti i suoi giochi
trascorsi alla Wammy's house “Credo che ci sia un messaggio per
te: “Lo sai, Elle, che gli shinigami mangiano solo mele?””
Seguì
un lungo silenzio di tomba, Alyssa arrossì temendo di aver
fatto una figuraccia “Ho sbagliato vero?” chiese.
“No,
hai visto giusto....che ne pensi di questa storia degli Shinigami?”
“Gli
Shinigami sono gli dei della morte?”
“Esatto.”
rispose Elle.
“Mi
sembra di entrare sempre di più in un film Horror” disse
Alyssa a denti stretti, tornando a guardare l'immagine della lettera
“Forse lui si sente un dio della morte?”
“Non
credo, per come l'ho inquadrato lui si sente, sì un dio, ma
della luce”
“Ma
gli dei della morte non esistono? Vuoi forse dire che, Kira crede di
averne uno al suo fianco che lo protegge o cosa?”
“Perchè?
Una persona a cui, per uccidere, basta semplicemente conoscere solo
il nome e il volto di qualcuno è meno insolito di questo
vero?”
Alyssa
arrossì, in effetti era inutile tralasciare qualsiasi ipotesi:
quel caso era diverso da tutti quelli che avevano affrontato e non
potevano più stupirsi di nulla. “Non fare il sapientone
con me, nerd”lo rimproverò la ragazza.
“Il
bastardo ci sta sfidando, non sa però con chi ha a che fare”
La voce di Elle si era fatta più profonda e dura di quanto non
fosse. Alyssa rabbrividì, il modo in cui lui parlava quando si
trattava di Kira, la faceva rabbrividire. Per lui era una sfida
troppo importante da vincere e non gli importava di rischiare troppo
per arrivare al nemico.
“Capo,
devi stare più calmo con questo Kira...” gli disse
preoccupata. Ma lui la interruppe prima che potesse aggiungere
dell'altro “Torna qui, abbiamo del lavoro da sbrigare”
disse e chiuse la conversazione. Alyssa guardò il cellulare
preoccupata, non sapeva spiegarsi perchè ma aveva un
bruttissimo presentimento riguardo quel caso.
“Non
è possibile...” sussurrò Alyssa.
Rilesse
più volte la notizia, sbarrando lo sguardo ad ogni parola:
dodici agenti dell' FBI, giunti in Giappone per indagare sul caso
Kira, erano morti tutti nel giro di un giorno. In America c'era il
record di omicidi compiuti da Kira, perciò Elle riuscì
a convincere il quartier generale dell' FBI ad inviare alcuni agenti
per indagare sui membri della polizia giapponese. Dopo che Elle aveva
ipotizzato che Kira potesse essere una studente e successivamente
questi aveva cambiato l'orario degli omicidi, iniziò a
sospettare un legame tra lui e la polizia.
Ma
ora quegli agenti erano tutti stati uccidi da Kira e l 'FBI si era
ritirata dal caso . Successivamente, molti poliziotti giapponesi
fecero lo stesso.
Tra
chi lodava e chi temeva Kira, erano rimasti solo loro a volerlo
fronteggiare.
“Sei
agenti di polizia non hanno desistito” le disse Elle in piedi
di fronte alla finestra che affacciava su Tokyo “Non siamo
soli”
“Credi
che sia questo il problema, Elle?” esclamò la ragazza,
in realtà era più preoccupata per lui che per il resto
del mondo. Lui aveva sfidato apertamente Kira e questi aveva appena
fatto fuori ben dodici federali, cosa gli faceva credere che non
sarebbe arrivato anche a lui?
Elle
si voltò verso di lei, la studiò attentamente con i
suoi occhi scuri e notò qualcosa di diverso in lei: aveva
paura e non era da lei. Era sempre stata intrepida e coraggiosa, da
piccola nei giochi e tale era rimasta una volta cresciuta. Quel caso
la stava cambiando lentamente, senza che lei nemmeno se ne
accorgesse. “Hai paura.” le disse.
Alyssa
lo guardò incredula, come poteva capire lo stato d'animo delle
persone semplicemente guardandole? Lei non riusciva quasi mai a
capire come si sentisse lui “Non dire cavolate!” rispose,
chiuse il giornale di scatto e guardò il ragazzo.
Lui
si avvicinò lentamente a lei “Non mentire, non lo sai
fare...sopratutto con me” disse affondando le mani dentro le
sue tasche.
La
ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata “Io ho paura, è
vero. Ma non per me, per te!” esclamò “Ricordi
come gli hai gridato di ucciderti a quel super psicopatico? Sembrava
un invito a nozze!”
“Le
tue paure sono anche altre.” la zittì Elle, la ragazza
lo guardò sorpresa “Posso...chiederti cosa ne pensi di
Kira?”
Alyssa
non ci mise molto a capire che stava per prendere parte, di nuovo, ad
uno dei giochetti mentali e psicologici di Elle “Che noia!”
esclamò, portandosi le mani sui fianchi “Penso che sia
uno schifosissimo killer da sbattere in galera...non te l'ho già
detto o no?”
“Pensi
che sia giusto dargli la caccia?”
A
quella domanda, Alyssa non riuscì a rispondere subito. Come
aveva detto Elle, non era brava a mentire e sopratutto non era brava
a farlo quando si trattava di cose così difficili da
nascondere. Prese un lungo respiro “Sì, è più
che giusto.” rispose, cercando di sembrare il più sicura
possibile.
Elle
si avvicinò di più a lei, le occhiaie sotto i suoi
occhi erano più profonde del solito: già solitamente
non dormiva molto, ma quel caso gli strappava via anche quelle poche
ore di sonno che si concedeva. Ma, in tutti quegli anni, non si era
mai lamentato di quella mancanza.
“E
se lui uccidesse William? Come reagiresti?” chiese ancora,
continuando a studiarla con attenzione.
Alyssa
sentì il cuore battere all'impazzata, al pensiero di sapere
che William era morto dentro la sua lurida cella ,ma cercò di
non mostrarlo ad Elle. Se avesse saputo i veri pensieri che le
passavano per la testa, ci sarebbe rimasto male. “William sta
già scontando la sua pena” rispose “La giustizia
ha fatto e sta facendo il suo corso, non c'è bisogno di Kira.
Nessuno ha bisogno di lui”
Seguirono
lunghi attimi di silenzio, Elle sapeva benissimo che la compagna gli
stava tenendo segreto qualcosa, perchè aveva paura di ferirlo,
ma preferì non insistere. Non voleva che Alyssa soffrisse più
di quanto avesse fatto in passato. D'altra parte, Alyssa si chiese
cosa stesse pensando di lei il ragazzo in quel momento.
“Gli
unici agenti di cui possa fidarmi stanno arrivando in hotel.”
disse Elle, cambiando totalmente discorso. Con quelle parole, le fu
chiaro il motivo per cui avessero di nuovo cambiato albergo “Puoi
andarli ad accogliere all'atrio?”
“Certo,
adesso faccio anche la guida turistica!” esclamò Alyssa,
il ragazzo la ignorò e tornò a guardare fuori dalla
finestra. La ragazza sbuffò stancamente “Ok, vado!”
Appena
fu fuori dalla stanza, la sua mente venne invasa da mille pensieri.
Si avvicinò all'ascensore e lo chiamò premendo
ripetutamente il pulsante, era giusto che mentisse ad Elle? Forse se
gli avesse parlato dei suoi dubbi, lui avrebbe potuto aiutarla e
farle capire che le sue erano solo idee momentanee causate da un
trauma passato. Lei si sforzava di pensarla così, eppure si
ritrovava sempre a non odiare Kira come avrebbe dovuto. Salì
sull'ascensore e ripensò alle parole di gioia e rabbia di una
ragazzina che, su un social network, aveva festeggiato la morte per
arresto cardiaco di un suo zio, apparentemente ucciso da Kira. L'uomo
aveva molestato lei e altre ragazzine, ma nonostante le varie denunce
a suo carico, non fu mai condannato. Era giustificabile che, in quei
casi, Kira venisse acclamato quasi come un eroe. Quelle parole
l'avevano fatta rabbrividire, perchè una ragazzina di dodici
anni, non meritava di subire certe cose e non meritava nemmeno di
essere divorata dalla rabbia espresso in quelle sue frasi. Se Kira
non avesse ucciso quell'uomo, cosa le sarebbe accaduto?
“Ma
se è così giusto, allora perchè uccidere dodici
agenti dell' FBI?” penso tra sé e sé, come se
volesse darsi un motivo per odiare quel giustiziere senza volto che
sembrava stesse cambiando il mondo. In meglio o in peggio, lei non
sapeva dirlo: molte persone pericolose erano morte ma non si erano
mai lette e sentite tante parole di odio da parte di persone
ordinarie e innocenti, come quella ragazzina.
Quando
giunse nell'atrio, aspettò vicino all'ascensore l'arrivo dei
cinque poliziotti a cui Elle aveva dato fiducia per la loro tenacia
nel caso. Li riconobbe subito quando li vide entrare, non solo perchè
erano cinque uomini che entrarono nello stesso momento, ma anche
perchè conosceva i loro volti grazie alle immagini di Watari.
Riconobbe il sovrintendente Yagami ma non ricordava i nomi degli
altri agenti. Quando Yagami la vide vicino all'ascensore, la guardò
attentamente: forse pensava addirittura che potesse essere lei Elle.
“Sovrintendente
Yagami?” La ragazza si avvicinò a lui e gli porse la
mano, allargando le labbra in un sorriso professionale. Gli agenti la
guardarono un po' sorpresi, come facevano tutti solitamente quando
venivano a scoprire che una ragazza così giovane lavorasse con
Elle. Uno di loro, quello con i capelli lunghi e scuri, arrivò
persino ad arrossire.
“E
lei chi sarebbe?” chiese il sovrintendente confuso.
“Alyssa.
Sono qui per portarvi da lui. Seguitemi.” disse e fece
segno loro di seguirla in ascensore, gli uomini si guardarono
titubanti ma poi salirono insieme a lei. Era logico che non si
fidassero ciecamente di lei, con uno come Kira in giro, non ci si
poteva fidare di nessuno al mondo.
“Scusa,
ma tu chi saresti? La ragazza di...”
“Non
dire il suo nome” Yagami zittì il ragazzo dai capelli
lunghi con un occhiataccia ,che lo fece arrossire ulteriormente,
prima che pronunciasse nome di Elle. Non era la prima volta che
veniva scambiata per la fidanzata di Elle e la cosa l'aveva sempre
fatta sorridere: essere la “fidanzata” di Elle era
impossibile, visto il continuo lavoro che lo teneva costantemente
impegnato. Eppure, tutti pensavano che fosse lei, la sua donna.
“Trattenete
le vostre curiosità fino a quando non saremo da lui”
disse trattenendo il sorrisetto che le parole del poliziotto le
avevano provocato. Quando le porte dell'ascensore si spalancarono
sull'ultimo e lussuoso piano, uscì per prima per fare loro
strada. Raggiunsero la porta della camera in cui si trovava Elle ma,
prima di aprirla, Alyssa si voltò verso di loro “Sarò
franca.” disse “Quello che vedrete, non è ciò
che vi aspettate.”
Yagami
e gli altri la guardarono confusi, quando lei aprì la porta e
li fece entrare, le sue parole acquistarono un senso. Tutti i pochi
che avevano visto Elle in faccia erano rimasti sorpresi: tutti se lo
aspettavano più vecchio, più alto, più muscoloso
e più elegante. E invece la realtà era ben diversa,
Elle era un ragazzo di quasi venticinque anni, all'apparenza un po'
tonto e trasandato.
Alyssa
si chiuse la porta alle spalle mentre i poliziotti guardavano il
ragazzo , in piedi di fronte a loro, sorpresi: Elle si stava
grattando il piede destro nudo con l'altro e li guardava con aria
quasi assonnata. Doveva essere imbarazzante per lui, non amava stare
in mezzo a tanta gente e quei cinque uomini dovevano essere pure
troppi per lui. Infatti “gioiva” solo della compagnia di
Alyssa e di Watari.
“Io
sono Elle” disse poco entusiasta.
Alyssa
rise silenziosamente delle espressioni sui visi degli agenti e,
lentamente, si avvicinò al ragazzo mentre lui si grattava la
nuca. “So che non sembra ma...questo ragazzo è davvero
un genio!”
I
poliziotti si ripresero dalla sorpresa iniziale e a rotazione
mostrarono il loro distintivo: il sovrintendente Yagami, Matsuda, il
ragazzo dal capelli lunghi, Aizawa, Mogi e Ukita. Dopo aver
professionalmente detto i loro nomi, Elle li guardò e piegò
le dita della mano destra in modo che assumessero la forma di una
pistola “Bang!” disse poi puntandogliela contro.
Alyssa
lo guardò con la coda dell'occhio mentre gli altri restarono
stupiti da quel gesto, capire le azioni, all'apparenza insensate, di
Elle era difficile per chi lo aveva appena conosciuto. Lei e Watari
erano abituati a gesti simili e, anche se non ne capivano subito il
significato, non ne rimanevano scioccati.
“Cos'è
uno scherzo, per caso?!” esclamò il sovrintendente.
“Che
significa?” ripeté Aizawa.
“Se
fossi stato Kira, sareste già tutti morti” spiegò
loro il detective, ritraendo la mano. Alyssa si portò una mano
sulle labbra per non ridere. “Mostrarmi così facilmente
i vostri nomi, non è stata una mossa intelligente”
Il
modo in cui lo disse spinse i poliziotti a guardarsi tra loro
imbarazzati, Alyssa guardò Elle “Evviva il tuo poco
tatto, caro!” disse.
Il
ragazzo la ignorò “D'ora in poi, mi dovrete chiamare
Ryuzaki” disse, poi fece segno loro di accomodarsi attorno ad
un tavolino nel salotto e di sedersi su delle comode poltrone. Alyssa
iniziò a ripetere il nuovo nome di Elle per memorizzarlo, ne
aveva sentiti così tanti che aveva paura di confondersi.
Sobbalzò, quando sentì la mano di Elle sulla sua spalla
“Potresti preparare del caffè per noi, per favore?”
le chiese gentilmente. La ragazza annuì prontamente, dopo aver
preparato del caffè e dopo aver visto Elle versarci
all'interno un quintale di zollette di zucchero, prese anche lei
parte alla riunione. Elle non disse cose che lei già non
sapesse, vietò i poliziotti di prendere appunti sul caso e li
mise al corrente delle sue teorie su Kira e sul fatto che sembrasse
riuscire a prendere informazioni in mano alla polizia giapponese.
Poi, con l'aiuto di Watari, diede loro dei distintivi falsi e delle
cinture capaci di inviare un messaggio di SOS premendo un bottone
frontale.
Gli
agenti di cui Elle si fidava, sembravano davvero motivati a voler
catturare Kira e per un attimo, il pessimismo cosmico di Alyssa si
placò: non erano completamente soli contro quel nemico. E il
sorriso di Elle quando, durante la riunione aveva detto “La
giustizia prevarrà”, le sarebbe rimasto impresso per
moltissimo tempo.
Naomi
Misora era scomparsa.
Quando
il padre della ragazza, aveva chiamato Elle per informarlo
dell'accaduto, sia lui che Alyssa rimasero di stucco: avevano
lavorato insieme alla donna durante il caso BB a Los Angeles, quando
Alyssa era ancora troppo giovane per prendere parte a delle vere e
proprie missioni per conto di Elle. Ma ricordava che Misora, era
stata un punto di riferimento per lei: forte e decisa, aveva risolto
il caso BB quasi senza l'aiuto di Elle. Ed era parecchio
professionale, tanto che, quando Alyssa venne a sapere che aveva
smesso di lavorare nell'FBI, ne era rimasta parecchio sorpresa.
Inoltre era grazie a Misora se Alyssa ed Elle avevano imparato la
capoeira.
Studiando
le ultime azioni di Misora, vennero a scoprire che la donna stava
indagando sulla morte del fidanzato Ray Penber, un agente dell' FBI
,ucciso da Kira insieme agli altri undici agenti.
Trovarono
un video di Penber su una metro della linea Yamanote, era salito con
una busta in mano ed era poi sceso qualche fermata dopo, senza busta
ma accasciandosi a terra privo di vita. Elle sosteneva che avesse
incontrato Kira su quella metrò e che lui lo avesse ucciso.
Perciò decise di indagare a fondo sulle persone che Penber e
gli altri stavano pedinando: tra questi c'era la famiglia del
direttore generale Kitamura e anche la famiglia Yagami. Quando il
sovrintendente venne a sapere che il detective voleva far installare
delle telecamere in casa sua, mandò giù un boccone più
che amaro: voleva catturare Kira quasi quanto Elle, anche se era
convinto che non si trattasse di qualcuno della sua famiglia, e
quindi avrebbe obbedito agli ordini del detective. Le famiglie su cui
indagava Penber avevano la priorità rispetto a quelle in cui
indagavano gli altri undici agenti, perchè Kira aveva
avvicinato lui, perciò Alyssa spese un intera giornata a
montare telecamere nelle due case, senza nemmeno tralasciare i bagni.
“Se
vuoi sapere la mia, è assurdo” gli fece sapere la
ragazza mentre varcava la soglia di casa Yagami. Il sovrintendente
aveva una moglie e due figli, una ragazza di quattordici anni e un
altro ragazzo dell'età di Alyssa. Erano tutti e tre fuori, chi
per scuola, chi per lavoro.
“Non
voglio sapere la tua, Alyssa.” rispose Elle attraverso il
microfono che lei portava all'orecchio.
Alyssa
inizio a installare microspie e microfoni in salone, per verificare
che funzionasse inviò un segnale ad Elle.
“Mi
vedi?” gli chiese salutando verso la telecamera con la mano.
“Sì,
in tutto il tuo splendore!” rispose lui.
Alyssa
sorrise “Ma come sei galante e gentile oggi!” ironizzò.
“La
gentilezza è una forma di intelligenza, non lo sapevi?”
“Ecco
perchè io sono poco gentile....” rispose lei, dopo
essersi occupata del salone, dei bagni e delle camere da letto dei
genitori e della figlia, si diresse verso la camera di Light Yagami.
“Come
puoi sospettare che Kira sia un membro di questa famiglia? Sembrano
tutti delle normalissime persone!” disse.
“Mica
vanno in giro con la scritta “Sono Kira” sulla fronte...”
rispose lui.
Alyssa
alzò gli occhi al cielo “Anche l'ironia è una
forma di intelligenza?” chiese quando giunse davanti alla porta
della camera.
“Per
alcuni sì, per altri è solo stupidità gratuita.”
Alyssa
si ammutolì, notò subito un foglietto di carta posto in
mezzo alla porta, come se il ragazzo volesse evitare che qualcuno
entrasse in camera sua. Un altra cosa insolita, era la maniglia
abbassata pochi millimetri più in basso rispetto alla
posizione orizzontale.
“Accidenti!”
esclamò lei sorpresa.
“Che
succede, Aly?” domandò Elle.
“Il
giovane Yagami è uno che ci sa fare, a quanto pare!”
rispose Alyssa, continuando ad osservare la maniglia “Ha
elaborato diversi metodi per verificare se qualcuno entra nella sua
stanza. O è molto riservato, o ha qualcosa da nascondere....”
“Forse
è lui Kira”
Alyssa
entrò in camera “Per qualcosa da nascondere posso
intendere riviste compromettenti o fumo cioè vizi che un
ragazzo si potrebbe concedere! Non per forza chissà quale arma
assassina!” esclamò. “E poi certi metodi li
adottavamo pure noi alla Wammy's House, ricordi?”
“Sì,
perchè eravamo circondati da bambini rompiscatole! Lì
che pericolo ci sarebbe?” rispose Elle.
Alyssa
sospirò, la stanza di Light era piccola e ordinata. Quando
anche lei ed Elle avevano una cameretta del genere, era sempre in
completo disordine.
“Forse
la sorellina è un po' impicciona...” optò lei.
“Lascia
stare, osservandolo forse ci si chiarirà ogni cosa....”
replicò Elle.
Alyssa
si mise all'opera e nel giro di un oretta riuscì ad installare
tutte le videocamere nei punti che Elle le aveva indicato. Appena
terminò, prese un lungo respiro e si sgranchì la
schiena. I suoi occhi caddero su una foto sopra la scrivania,
ritraeva un ragazzo in veste universitaria: alto, bello e ben curato.
Aveva i capelli chiari e un sorriso serio sul volto.
Prese
la cornice e la osservò a lungo “Hai fatto, Alyssa?”
chiese Elle.
La
ragazza non rispose subito, continuò ad osservare la foto e in
particolare gli occhi scuri del ragazzo. C'era qualcosa in loro che
le faceva venire i brividi, come se stesse nascondendo qualcosa...
“Alyssa?”
Quando
sentì una voce alle sue spalle, la ragazza sobbalzò e
per poco fece cadere la cornice fotografica: guardò il
sovrintendente Yagami con occhi sbarrati e si portò la mano al
petto. Per un attimo aveva pensato di essere stata scoperta.
“Che
stai facendo?” le chiese l'uomo.
“Già,
ricordati che io ti vedo...” aggiunse Elle, Alyssa lanciò
un occhiataccia verso le telecamere e mise al suo posto la foto di
Light “Suo figlio...sembra uno studente modello” disse.
Soichiro
annuì orgogliosamente, sembrava davvero fiero di quel ragazzo
così perfetto “Già, lì è al suo
primo giorno di università.” disse.
Alyssa
annuì, guardò di nuovo la foto “Beh complimenti,
è anche un bel ragazzo” disse.
Sentì
Elle mormorare qualcosa che lei non riuscì a comprendere,
Yagami la ringraziò “Se hai finito, ti conviene
andare...la mia famiglia potrebbe tornare a momenti” disse.
“Giusto!”
rispose lei, prendendo le sue cose.
“Già,
forse è meglio...” aggiunse Elle osservando dalle
telecamere la ragazza che usciva fuori dalla stanza insieme a Yagami.
Scesero al piano di sotto e il sovrintendente le aprì la porta
“Grazie per il lavoro svolto.” disse. Ma in realtà,
quella situazione lo infastidiva parecchio: non doveva essere bello,
vivere osservato da delle telecamere perchè qualcuno
sospettava che Kira vivesse nella sua famiglia. In più c'era
la difficoltà nel mentire ai suoi cari.
Alyssa
cercò di tranquillizzarlo “Non si preoccupi, si tratta
solo di una questione di giorni per far sì che Ryuzaki si
convinca che Kira non è tra i suoi familiari...” disse.
“Beh
io un sospetto già ce l'ho...” disse Elle all'orecchio
della ragazza, fortunatamente il sovrintendente non poteva sentirlo.
Alyssa lo salutò e si diresse verso la sua auto.
Chissà
come avrebbe reagito se avesse saputo che Elle sospettava di suo
figlio.
E
come avrebbe reagito se avesse poi scoperto che il detective aveva
ragione.
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Capitolo 4 *** Closer To The Light ***
-Closer
To The Light-
“Scusa,
ma dove vuoi arrivare?” chiese Alyssa addentando una patatina
fritta.
A
differenza di Elle non impazziva per i dolci, ma per tutto ciò
che fosse legato ad un bell'hamburger. Era sicura che, se non fosse
stato per l'attività fisica che regolarmente svolgeva, sarebbe
diventata grassa come un tacchino.
Matsuda
continuò a guardare la strada di fronte a sé,
stringendo forte il volante, l'aveva accompagnata sia a casa di
Takimura che a casa di Yagami, dopo che si era offerto di farlo anche
con troppo entusiasmo. “Cioè...da come ho capito,
Ryuzaki non ha incontrato molta gente fin'ora, eccetto te e Watari.
Escludendo Watari, a lui non è mai capitato...con te
di...ecco...”
Alyssa
non ci mise molto a capire dove volesse arrivare il ragazzo, non era
intelligente quanto Elle ma per arrivare a certe cose, bastava anche
un solo neurone ben funzionante. Per poco si strozzò con una
patatina e lanciò un occhiata incredula verso Matsuda “Ma
che ti salta in mente? Credi che abbiamo il tempo per certe cose,
anche se fosse?!”
Matsuda
arrossì “E che ne so? Mi sembrate parecchio uniti!”
rispose.
“Ci
conosciamo da ben sedici anni, è un po' normale che siamo
uniti sai?” replicò lei.
Matsuda
arrossì di nuovo, in quel momento il cellulare della ragazza
squillò. Lei si pulì le mani e lasciò le
patatine sul cruscotto “Tu pensa a guidare, genietto.”
gli disse poi rispose.
“Dimmi,
boss.”
“Ho
fatto il conto del tempo necessario per percorrere il tragitto da
casa Yagami fino a qui. Ci vogliono venti minuti, voi fin'ora ce ne
avete messi ben venticinque minuti. Non pensate di essere un po'
lenti?” disse la voce profonda di Elle.
Alyssa
e Matsuda si guardarono “Beh, al volante c'è un bradipo
curioso!” ridacchiò lei, il giovane poliziotto arrossì
di nuovo e lei gli diede una leggera pacca sulla spalla, per fargli
capire che stava scherzando. “E comunque...perchè hai
così tanta fretta?” aggiunse poi, guardando fuori dal
finestrino.
“Il
tuo bello impossibile ha appena rincasato.” rispose il
detective. “Pensavo ci tenessi a vederlo, sai si è pure
messo a torso nudo per pochi istanti...”
Alyssa
percepì una punta di fastidio nella sua voce, era raro che
lasciasse trasparire qualcosa come in quel caso. Quel Light doveva
aver davvero smosso qualcosa in lui :in fondo, aveva adottato un modo
davvero originale e ingegnoso per difendere la sua camera da
intrusioni esterne, nessuno avrebbe pensato a delle tecniche simili.
Forse
solo uno come Elle.
Il
detective doveva aver preso l'intelligenza del ragazzo come una sorta
di sfida con lui, Alyssa aveva scoperto che Light Yagami era il
miglior studente del Giappone e che eccelleva in qualsiasi cosa
facesse. Proprio come Elle.
“Ma
lo sai che per me il più bello sei tu!” lo prese in giro
Alyssa “E poi...non sapevo che ci tenessi a vederlo mezzo
nudo!”
“Non
sei per niente divertente.” la rimproverò il ragazzo.
“Appena è rientrato, ha controllato la sua camera, come
se si fosse accorto di qualcosa...”
“È
impossibile.” rispose la ragazza, scuotendo la testa “Ho
lasciato tutto come lo avevo trovato...”
Sentì
in sottofondo la voce del sovrintendente Yagami, che diceva a Ryuzaki
di stare esagerando, con lei, ma sopratutto con suo figlio. Era
chiaro che avesse percepito i sospetti di Ryuzaki su suo figlio,
chiunque se ne sarebbe accorto.
“Ne
sei sicura?” insistette il detective, ignorando i richiami del
poliziotto.
Alyssa
sospirò infastidita, non sopportava quando lui la rimproverava
per cose che non aveva fatto. “Vuoi rimproverami per forza?”
chiese infastidita. Matsuda la guardò, studiando la sua
espressione improvvisamente seria.
“Non
ti sto rimproverando, ti sto solo facendo una domanda...”
“Quella
non era una domanda, quella era LA domanda, per farmi ammettere di
aver sbagliato qualcosa!”
Calò
il silenzio, sia Elle che Alyssa non trovarono più nulla da
dire al riguardo.
“Arriviamo
tra cinque minuti, a dopo.” concluse lei, chiuse la
conversazione e chiese a Matsuda di accelerare. Almeno non voleva
arrivare troppo tardi, così non le sarebbe stato rimproverato
un altro errore.
Mentre
Aizawa, Mogi e Ukita avrebbero tenuto d'occhio la casa di Takimura da
un altro albergo, Elle, il sovrintendente, Alyssa e Matsuda si
sarebbero occupati di casa Yagami. Era logico che il sovrintendente
avesse deciso di lavorare con loro, piuttosto che con l'altro gruppo:
voleva sentire cosa pensasse Elle riguardo alla sua famiglia e cosa
sospettasse di loro, sopratutto di Light.
Quando
Alyssa e Matsuda rientrarono, trovarono i due seduti di fronte a
degli schermi, raffiguranti Light: il ragazzo stava disteso sul
proprio letto e leggeva delle riviste per adulti.
Alyssa
rimase sorpresa che un ragazzo all'apparenza così perfetto,
potesse leggere riviste di quel tipo. Ma, pensò acidamente, in
fondo tutti gli uomini erano uguali e si interessavano a quel genere
di cose.
“Bene,
ora sappiamo perchè adottava certe tecniche per proteggere la
sua camera...” disse, andandosi a sedere accanto ad Elle, a
gambe conserte. Matsuda era rimasto, per un istante, imbambolato a
guardare le immagini sulle pagine, sfogliate da Light.
“Chi
ti dice che non sia solo una copertura?” le rispose freddamente
il detective.
“Chi
ti dice che lo sia? Ha circa vent'anni, è anche normale che si
interessi a certe cose!” replicò lei.
Il
sovrintendente restò in silenzio, fissava intensamente gli
schermi, un po' deluso. Si aspettava un figlio perfetto in tutto e
quella piccola crepa nella sua perfezione, l'aveva lasciato un attimo
interdetto.
“Io
dico, che sta cercando di depistarci, per farci intendere che ha
adottate certe misure di protezione, per nascondere quel tipo di
riviste.” ripeté Elle.
“Questo
significherebbe che lui sa delle telecamere, perchè io ho
sbagliato qualcosa, vero?” replicò infastidita Alyssa,
battendo le mani sopra le ginocchia.
“Esatto,
è quello che penso...” rispose il ragazzo con sincera
freddezza. La ragazza mise il broncio ma restò in silenzio,
non sopportava proprio quando faceva così.
“Vuoi
sapere la mia: voi uomini siete tutti porci e guardare certe
immagini, vi fa sentire chissà cosa!” esclamò
indicando Light che continuava a girare pagine.
“Ehi,
non generalizziamo! Non siamo tutti porci!” esclamò
Matsuda, che però non riusciva a distogliere lo sguardo da
quelle pagine.
“Io
non sono un porco.” aggiunse il detective.
“Certo,
perchè sei mentalmente asessuato, tu!”
“Scusate
se vi interrompo...” La voce del sovrintendente pose fine a
quell'assurda conversazione che si era appena creata. Alyssa lo
guardò dispiaciuta, sembrava davvero pendere dalle labbra di
Elle: sperava che non sospettasse davvero di suo figlio, che
considerava, sicuramente, il suo orgoglio. “Ma davvero sospetti
di Light, Ryuzaki?”
Elle
rispose, senza farsi troppi problemi “Sì, altrimenti
perchè avrei fatto installare delle telecamere in casa sua?”
chiese.
L'uomo
lo guardò a lungo, ma non aggiunse altro. Intanto Light
interruppe la sua “lettura” e scese in cucina,
raggiungendo sua madre e sua sorella per la cena. La ragazzina stava
guardando la replica di un concerto di un certo Ryuga Hideki mentre
la madre stava tranquillamente preparando la tavola.
Niente
lasciava presupporre che tra loro ci fosse un pazzo, quasi
invincibile, come Kira.
Elle
si accertò che anche in casa Takimura stessero guardando la
televisione, scrisse una frase su un foglietto e lo passò ad
Alyssa. “Fai in modo che il messaggio sia trasmesso in sovra
impressione su tutta la rete...” le chiese.
Alyssa
lesse il messaggio più volte, era chiaro che, così
facendo, il ragazzo volesse studiare la reazione di un ipotetico Kira
di fronte a quel messaggio. La ragazza si mise superò
all'opera e, dopo varie telefonate, il messaggio apparve sugli
schermi.
“Al
fine di fermare Kira, l'Intepol invierà millecinquecento
agenti dai paesi del G8”
La
signora Yagami e la figlia reagirono sorprese a quel messaggio, Light
invece restò impassibile, mentre masticava lentamente. Poi
ridacchiò, come se quella notizia fosse divertente.
“Non
può essere vero, dodici agenti dell'FBI erano sotto copertura
e sono stati uccisi da Kira. E annunciare questo loro arrivo così
apertamente, è una mossa troppo stupida per partire da alte
cariche come quelle. Secondo me è una bufala, non farebbero
mai saltare in questo modo la copertura dei loro agenti! Se Kira è
intelligente come sembra, non ci cascherà mica!” disse.
Alyssa
restò stupita da quel discorso, che non faceva una piega: se
lei fosse stata Kira, almeno un po' di preoccupazione, l'avrebbe
lasciata trasparire.
Ma
Light non aveva mostrato alcun tipo di emozione.
Elle
sorrise, erano più o meno le stesse parole che avrebbe detto
lui e la cosa non fece che accrescere il senso di sfida che provava
nei suoi confronti.
“Suo
figlio è molto sveglio, sovrintendente. Complimenti.”
disse, continuando a fissare lo schermo.
L'uomo
lo ringraziò, anche se freddamente: ancora non gli andava giù
quel “Grande Fratello” con la sua famiglia. Continuarono
a tenerli d'occhio , sopratutto Light che, dopo cena, andò
filato in camera sua, fece i compiti e poi si mise a dormire. Non usò
né televisione, né computer.
L'indomani
però, Watari lì avviso che c'erano state altre morti
durante la notte, tutte dovute ad arresto cardiaco. E Light non aveva
avuto alcuna possibilità di conoscere i volti di quelle
vittime, tutte apparse nei notiziari locali, negli orari in cui lui
era in camera sua a studiare.
Pochi
giorni dopo, Elle tenne una riunione, in cui disse ai presenti che
non c'erano sospetti né nella famiglia Takimura, né in
quella Yagami. Il sovrintendente riprese finalmente a respirare.
“Ma...”
Elle rovinò l'atmosfera con una semplice parola.
Alyssa,
seduta accanto a lui, non si aspettò quel cambio di programma:
era stata informata dal detective riguardo le sue intenzioni, e non
c'era nessun “ma”.
L'aveva
tenuta all'oscuro di qualcosa?
“Credo
di volere altre prove. La morte di Penber, il fatto che è
stato avvicinato da Kira...non mi convince. Voglio verificare
meglio.” spiegò.
“Ma
hai detto che avresti tolto tutte le telecamere!” esclamò
Yagami.
“Perchè
non sospetti più di loro.” aggiunse Aizawa.
Elle
scosse la testa, guardò la tazzina di caffè sul
tavolino di fronte a sé e restò per pochi istanti in
silenzio. Alyssa lo studiò con attenzione, avrebbe tanto
voluto sapere che cosa gli passasse per la mente.
“Non
sono sospettati ma nemmeno persone di cui ho la certezza che non
siano Kira. Perciò....farò seguire Light Yagami da un
agente sotto copertura.” rispose.
Il
sovrintendente scattò in piedi, non riuscì a nascondere
lo sdegno che provava, proprio come gli altri agenti, e lo guardò
infastidito. “Ryuzaki, mio figlio è innocente e tu lo
sai!” disse.
“No,
non lo so. Per questo voglio assicurarmene.” rispose lui.
“E
che agente manderai a tenerlo d'occhio? Siamo rimasti solo noi a
seguirti e Light ci conosce tutti!” esclamò Matsuda. Gli
agenti iniziarono a parlare tra loro, in effetti nessuno di loro
riusciva a capire dove volesse arrivare il detective.
Nemmeno
Alyssa, che li guardava confusa. Quando si voltò verso Elle,
notò il suo sguardo fisso su di lei e un brivido di paura gli
corse lungo la schiena.
“Oh
no, te lo sogni!” disse scuotendo la testa, i poliziotti
posarono lo sguardo su di lei e calò un profondo silenzio.
“Sì,
invece.” rispose Elle annuendo “Ti iscriverai
all'università frequentata da Light Yagami. Lo avvicinerai e
lo studierai il più possibile....dovresti essere contenta,
visto che è un bel ragazzo.”
Bevve
un sorso di caffè, mentre Alyssa lo guardava a bocca aperta.
“Non
puoi chiedermi una cosa simile!” esclamò.
“Perchè
no?”
“Perchè
non so mentire così a lungo!” rispose lei. “E se
poi fosse Kira? Penber è finito al camposanto per questo!”
“Light
non è Kira.” precisò Yagami, irritato da quelle
parole. “Ma se Ryuzaki crede che questo piano possa
funzionare...ebbene sia.”
Lui
ed Elle si guardarono, per la prima volta si trovavano davvero
d'accordo su qualcosa. Alyssa non rappresentava alcun pericolo per
Light e non avrebbe violato la sua privacy, come invece facevano le
telecamere poste in casa. Ed Elle avrebbe avuto una prova più
che concreta, che Light non era Kira.
“Per
me è una buona idea...” disse Matsuda, rompendo il
silenzio.
Alyssa
lo fulminò con lo sguardo “Ti prego, non parlare.”
gli disse, facendolo arrossire per l'imbarazzo. Poi tornò a
guardare Elle che continuava a bere il suo caffè, come se non
gli importasse nulla della rabbia della ragazza.
“Il
mio lavoro non è fare la babysitter!” precisò.
Il
ragazzo sospirò “ E io che pensavo di farti
piacere...non lo trovi attraente?” disse.
“Ancora
con questa storia? Sembra che piaccia più a te invece!”
esclamò la ragazza.
Non
capiva perchè andasse sempre a parare su quell'unico commento
che lei aveva fatto, solo una volta. Si alzò in piedi e si
strinse le braccia al petto, per calmarsi.
“Dì
la verità, speri che lui sia Kira, così da liberarti di
me!” disse. Ma non aveva paura che lei potesse mandare a monte
tutto quanto? Non aveva mai fatto una cosa del genere e, se Light era
Kira, l'avrebbe ammazzata in due secondi. Le avrebbe letto in faccia
che era un agente sotto copertura.
Ma
ad Elle non importava, sembrava davvero deciso a seguire quel piano.
Non aveva però precisato i motivi, per cui era arrivato ad una
decisione simile.
Alzò
lo sguardo su di lei e abbozzò un sorriso.
“Prepara
la cartella, Aly. È ora di tornare sui libri” le disse.
E
per la prima volta in vita sua, Alyssa desiderò colpirlo con
un pugno.
“Sei
pronta Aly?” disse Elle, restò seduto al tavolo della
cucina, con una tazza di the riempita di zollette di zucchero. Alyssa
fese capolino nella stanza, aveva assunto un look tipicamente da
“scolara”: un semplice maglione nero con scollo a v,
jeans chiari e scarpe da ginnastica.
I
capelli erano sciolti sulle spalle e il viso leggermente truccato.
“Voglio
che tu sappia, che se Light è Kira e mi ammazza, il mio
spirito verrà a torturarti per l'eternità!”
disse, portandosi le mani sui fianchi.
Elle
si alzò in piedi. “Mi tormenti già da viva, non
cambierebbe nulla” rispose, si avvicinò al bancone della
cucina e prese una scatola di legno “E comunque, gli spiriti
non penso esistano”
Si
avvicinò a lei e le scostò delicatamente i capelli
dalla spalla sinistra.
“Non
pensi?” chiese la ragazza. “Non ha sempre detto che non
credi a cose del genere?”
Elle
continuò a liberarle la spalla dai capelli “Dopo che ho
scoperto che si può uccidere di attacco cardiaco, credo che
non mi chiuderò più a nulla.” disse.
Le
sue dita sfiorarono il collo nudo della ragazza, che si sentì
percorrere da un brivido. Sentiva improvvisamente caldo, non ne
capiva il motivo.
Quando
Elle aprì la scatola, Alyssa vide all'interno una microcamera
e strinse il polso del ragazzo, appena avvicinò la mano alla
sua maglietta.
“Che
cos'è quella?” chiese.
“Non
lo vedi?” rispose lui freddamente.
“Appunto
perchè lo vedo...se mi chiedi di fare una cosa, posso almeno
farla da sola? Non ho bisogno sempre di una balia!”
“Ti
rendi conto che potresti trovarti di fronte a Kira?”
Alyssa
restò in silenzio, un brivido di paura gli corse lungo la
schiena. Ma fu solo una questione di attimi, lei non aveva alcun
sospetto su Light e non credeva che lui fosse veramente Kira.
“Sì,
me ne rendo conto” rispose.
“Non
è vero.” la bloccò il detective, Alyssa lo guardò
confusa “Tu non sospetti minimamente di quel ragazzo, perciò
non hai davvero paura.”
Come
aveva fatto a capirlo? Possibile che da ogni sua parola, lui riusciva
a tirare fuori un altra verità? La ragazza deglutì,
Elle iniziò a trafficare con quella microspia, per appigliarla
sulla scollatura della ragazza.
Le
sue dita sfiorarono la pelle di lei, che provò nuovamente una
vampata di calore su tutto il viso. “E se, lui dovesse
accorgersene?” chiese.
“Non
lo farà, a meno che tu non ti spogli...” rispose lui.
Lei
rise, ma lui no. Lo guardò, mentre teneva lo sguardo fisso
sopra la microspia e si morse le labbra.
“Sei...preoccupato
per me?” gli chiese, poteva essere che quella microspia
servisse davvero per studiare le reazioni di Light. Ma anche per
poterla proteggere, in caso le capitasse qualcosa.
Lui
alzò lo sguardo per un breve istante su di lei, come se stesse
studiando le parole giuste da dirle.
“No,
sai badare a te stessa anche da sola.”rispose.
La
ragazza abbassò lo sguardo delusa.
Quando
Elle terminò con la microspia, si allontanò da lei.
“Ora vai, Watari ha preparato uno scooter tutto per te.”
disse. La ragazza restò immobile, guardò le spalle del
ragazzo, rivolte verso di lei e indossò il cappotto.
“Andrà
tutto bene.” gli disse, anche se probabilmente lui, non aveva
bisogno di quelle parole. Ma aveva sentito il bisogno, comunque, di
dirgliele.
Uscì
dalla stanza, non sapeva che Elle invece necessitava proprio di
parole del genere.
“Lo
spero.” sussurrò.
Alyssa
odiava i posti affollati, era stato così fin da piccola.
Preferiva
la tranquillità e il silenzio di una stanza, rispetto al
trambusto e al baccano di un intera folla. Per questo aveva deciso di
non frequentare mai un università: troppa gente e sopratutto
troppa competizione.
Quando
giunse di fronte all'entrata dell'edificio, dove un cartellone di
benvenuto per i nuovi studenti sventolava sopra le loro teste, fu
tentata dal tirarsi indietro. Non sopportava dover mentire così
a lungo ad una persona, sopratutto se era costretta ad averla così
vicino. Si era iscritta alla maggior parte dei corsi che frequentava
Light Yagami, eccetto qualche corso più specifico, per non
insospettirlo, e quel giorno la sua prima lezione sarebbe stata
quella di matematica. Era brava in quella materia, adorava il modo in
cui i numeri potessero essere combinati e associati.
Forse
era l'unica al mondo a trovarla divertente, come un gioco.
Raggiunse
l'aula in cui si sarebbe tenuta la lezione e sbuffò quando
vide che era piena di gente, i lunghi banchi di legno posti
parallelamente l'uno dall'altro, erano occupati da ragazzi e ragazze
che parlottavano e chiacchieravano tra loro. Con lo sguardo, scorse
tra le teste degli studenti, alla ricerca di Light Yagami. Lo vide
seduto in una delle prime file, con il capo chino su un libro che
doveva trovare più interessante delle chiacchiere dei suoi
compagni e delle occhiate maliziose che le ragazze, spesso e
volentieri, gli lanciavano. Vide un posto vuoto, poche file dietro di
lui, e lo raggiunse. Passandogli accanto, lui non si accorse di lei.
Elle
le aveva chiesto di cercare di attirare la sua attenzione, nel modo
più semplice possibile: sfruttando il fatto che fosse carina.
Ma non era da Alyssa fare la gattamorta e rifiutava di farlo per
prendere in giro una persona.
“Scusa
Elle, ma mi inventerò qualcos'altro...” pensò tra
sé e sé, mentre si sedeva al suo posto.
Continuò
a tenere d'occhio Light che, a sua volta, continuava a leggere in
silenzio.
Sembrava
semplicemente un ragazzo annoiato, non un killer da attacco cardiaco.
Come
se si sentisse osservato, Light si guardò attorno lentamente e
Alyssa abbassò gli occhi imbarazzata, pregando che lui non
l'avesse vista. Avrebbe però potuto pensare che lei lo stesse
osservando, perchè era carino.
Come
sarebbe potuto arrivare alla conclusione che lavorava per Elle?
Alyssa
notò che Light la guardò a lungo, fino a quando il
professore non entrò in aula. Appena la lezione ebbe inizio,
la ragazza finse di mostrarsi interessata e prese appunti, come se
fosse una normalissima studentessa universitaria. Ma con la mente era
fissa su Light e Kira, non riusciva a credere che un ragazzo così
perfetto, potesse nascondere un potere simile.
Elle
non prendeva mai un granchio e quando sospettava di qualcuno, quello
era davvero colpevole. Ma in quel caso, la ragazza non riusciva
proprio a dare credito alla teoria del detective.
Più
guardava Light Yagami, più lo vedeva lontano da Kira.
Il
professore scrisse una formula alla lavagna e ne chiese la
risoluzione, Alyssa la trovò banale: presso l'istituto in cui
aveva vissuto per anni, quelle cose gliele avevano insegnate fin da
piccoli. Ma in aula nessuno sembrava saper conoscere la risposta.
Lei
alzò la mano e contemporaneamente lo fece Light, il professore
scelse lei e rimase stupito quando la giovane diede la risoluzione
corretta del quesito. Si sentì osservata dagli altri studenti,
che la fissavano increduli.
In
fondo, era pur sempre la nuova arrivata.
Anche
Light la guardava attentamente.
Per
il resto della lezione, Alyssa evitò il più possibile
di mettersi in mostra e, quando la campanella suonò, scattò
in piedi pronta a ridare movimento alle gambe. Passò accanto a
Light, che stava mettendo in ordine dei libri dentro la sua cartella,
e i due si lanciarono una lunga occhiata.
Era
riuscita ad attirare la sua attenzione a modo suo.
Alyssa
avrebbe voluto chiamare Elle, per chiedergli come stava andando ma
farlo sarebbe stato pericoloso. Se Light era Kira e avesse scoperto
le sue vere intenzioni, avrebbe potuto morire come quei dodici
federali. Restò così seduta ad una tavolo nei giardini
dell'università, sfogliando un testo scolastico che trovò
troppo semplice per essere universitario.
“Tu
sei la ragazza nuova?”
Alyssa
alzò lo sguardo e vide Light Yagami in piedi di fronte a sé,
le sorrideva gentilmente, tenendo la cartella sulla spalla. Restò
immobile a guardarlo, pensando al da farsi.
“Ehm...credo
di sì. Odio essere la nuova.” rispose con un sorriso.
Lui
le porse la mano “Sono Light Yagami.” si presentò
educatamente.
“Alyssa
Monroe.” rispose lei, ricambiando la presa. Persino la sua mano
era perfetta, la pelle era liscia e fredda, come se fosse fatta di
marmo. La ragazza gli fece segno di sedersi di fronte a lei e Light
lo fece.
Poteva
essere Kira, così gentile ed educato?
“L'apparenza
inganna.” le parve di sentire la voce di Elle che la
rimproverava e rabbrividì.
“È
chiaro che tu non sei giapponese!” ridacchiò Light. “Da
dove vieni?”
“Nata
e cresciuta in Inghilterra. Ma sono di origine russa.” Alyssa
per poco si morse la lingua, quando si accorse di aver dato sbocco
alla sua sincerità. Se Light fosse stato Kira, sarebbe potuto
risalire al suo vero nome, partendo dalle sue origini? Il problema
era, che nemmeno lei le conosceva perfettamente, quindi come poteva
farlo lui?
“Russa?
Non mi meraviglio, le russe sono tra le donne più belle al
mondo.” disse Light.
Alyssa
lo fissò stupita e si sentì il viso andare in fiamme,
non era abituata a quel genere di complimenti. A volte passava così
tanto tempo in mezzo agli uomini, che temeva la considerassero una di
loro.
“Senti
chi parla, qui il bel ragazzo sei tu!” rispose, mostrandosi
sicura. “E non è per il mio aspetto fisico che sei
qui...”
Light
si piegò sul tavolo e le sorrise “E perchè sarei
qui altrimenti, se non per i tuoi occhioni verdi?”
“Sei
qui, perchè in matematica sono più brava di te!”
rispose lei, si rese conto troppo tardi che stava flirtando con il
ragazzo. Ma forse stava facendo bene, Elle in fondo le aveva chiesto
di avvicinarlo in quel modo. Light sorrise “Diciamo allora, che
mi hanno colpito la tua bellezza e il tuo talento con i numeri.”
disse.
“Ma
ho solo risposto ad una domanda! Non penso di meritare tutto questo
interesse...”
“Infatti,
ho precisato che non mi ha colpito solo il fatto che sei brava in
matematica..” precisò lui.
Ne
seguì una discussione normale e civile, di due persone che si
stavano conoscendo. Alyssa più gli parlava, più si
convinceva dell'estraneità del ragazzo dal loro caso.
Era
solo incappato in uno dei giochetti di Elle, per colpa della sua
innata intelligenza. Niente lasciava intendere, che lui fosse un
assassino.
Successivamente
i due di salutarono, ma quando Alyssa raggiunse il suo motorino, ebbe
una brutta sorpresa: il motore era improvvisamente morto.
“Eh
no! Non abbandonarmi ora!” esclamò, girando più
volte la chiave all'interno della fessura.
Niente,
quello rimase immobile proprio come lo aveva trovato.
Il
cellulare le squillò, era un sms di Elle in cui le chiedeva di
prendere la metropolitana. Non poteva che obbedire, altrimenti le
sarebbe toccato aspettare là da sola, come un idiota.
Mentre
si dirigeva verso la stazione della metropolitana, scoppiò un
violento temporale e la pioggia la bagnò dalla testa ai piedi.
Arrivò come un pulcino bagnato alla stazione e si accorse
subito che, tra i passeggeri che attendevano sotto la tettoia, c'era
Light Yagami.
“Non
è possibile...” sussurrò, fermandosi sotto la
pioggia. Le arrivò un altro sms, sempre da parte di Elle dove
c'era scritto:
“Scusa,
ma dovevo.”
Era
tutto calcolato: Elle voleva che passasse più tempo possibile
con il sospettato.
Alyssa
si morse le labbra per non gridare parolacce al cielo, se Light
l'avesse denunciata per stalking, non se ne sarebbe stupita. Si
avvicinò noncurante, alla mappa della stazione e Light si
accorse subito di lei. Le si avvicinò lentamente e la ragazza
si rese conto di avere ben poche idee per la mente.
“Alyssa?”
disse Light confuso “Che ci fai qui? Pensavo avessi il
motorino.”
La
ragazza sospirò “Il motorino mi ha appena lasciata.”
rispose ridacchiando. Ed era tutta colpa di Elle,per fortuna nella
mappa c'era una fermata vicina all'hotel in cui risiedevano.
“Sei
tutta zuppa, tieni!” Light si tolse la giacca e la posò
sulle spalle della ragazza, Alyssa restò stupita da quel
gesto. Lo guardò, con indosso una semplice camicia, e arrossì.
“Non
devi, tu...”
“Non
preoccuparti, ho la pellaccia dura!” rispose lui, Alyssa si
sistemò imbarazzata la giacca sulle spalle. Quando salirono
sulla metropolitana, venne investita dall'aria calda e di chiuso del
vagone.
Fortunatamente
non era molto pieno e lei e Light trovarono posto visino alle porte
scorrevoli.
Nessuno
dei due parlò per tutto il tempo e nel vagone c'era solo
silenzio.
Fino
a quando quattro ragazzi salirono poche fermate prima di quella di
Alyssa, parlavano a gran voce e iniziarono ad importunare alcune
ragazze che erano sedute da sole.
Chinarono
tutti il capo spaventati, solo Light e Alyssa non lo fecero.
“Non
preoccuparti, non verranno qui.” cercò di
tranquillizzarla Light, anche se lei non era affatto intimorita. “Sei
con me, perciò quei vigliacchi non ti diranno nulla.”
Improvvisamente,
la ragazza si rese conto che quella era la situazione ideale per
verificare le reazioni di Light su Kira. Elle lo avrebbe fatto.
Si
schiarì la voce e guardò, con odio, i quattro “Vorrei
tanto che Kira uccidesse certa gente...” disse.
Light
la guardò in silenzio, lei avrebbe tanto voluto sapere cosa
stesse pensando in quel momento.
“Sei
dalla parte di Kira?” le chiese.
Annuì
prontamente. “Certo! Sta uccidendo dei criminali, mica delle
povere verginelle! Ed è di grande aiuto alla società,
non pensi anche tu?” gli chiese. Lo guardò, se fosse
stato Kira, avrebbe criticato duramente il suo operato, per non
destare sospetti.
Però
avrebbe anche potuto osannarlo, puntando sul fatto che lei sembrava
essere schierata dalla sua parte.
“Sarei
un ipocrita a non dire che, gli omicidi di Kira alla fine stiano
aiutando molte persone. Ma la giustizia già esiste e non
abbiamo bisogno di un criminale che la macchi di sangue.”
rispose.
La
sua risposta stava nel mezzo e da quello era impossibile capire se
fosse Kira o no.
Alyssa
restò amareggiata, aveva sperato che quella farsa durasse solo
una giornata e invece era ancora senza alcuna prova.
“Forse
hai ragione.” insistette “Ma spesso la giustizia non
basta...”
Irrimediabilmente,
anche se non voleva, rivisse delle immagini del passato. Strinse i
pugni sopra le ginocchia e deglutì rumorosamente. Light si
accorse dell'espressione sul suo viso e le strinse una mano per
calmarla. “Scusa, non immaginavo che...”
“Cosa?”
lo interruppe lei, si era di nuovo lasciata andare ai suoi
sentimenti. Non capiva perchè ma sentiva di potersi aprire con
quel ragazzo. Lo sentiva così...simile a lei.
“Devi...aver
subito un trauma in passato per dover parlare così...”
disse lui.
Alyssa
non rispose subito, distolse lo sguardo dai suoi occhi castani e li
posò verso il basso “Ho avuto giustizia, ma non
vendetta.” rispose. Non aggiunse altro, si era persino
dimenticata che Elle la stava ascoltando, non avrebbe preso molto
bene quel suo mezzo sfogo. Ne era certa.
Giunse
alla sua fermata e ridiede a Light la sua giacca “Grazie di
tutto, ci vediamo domani.” gli disse.
Light
annuì “Spero di non averti offesa con le mie parole su
Kira...”
Alyssa
scosse la testa e si alzò in piedi “Ma no figurati,
ognuno la pensa come vuole!”rispose.
Si
guardarono a lungo, quando la metrò si fermò, la
ragazza si avvicinò alle porte scorrevoli.
“Ci
vediamo, allora” le disse Light.
La
ragazza annuì “Certo.” disse. Ne era obbligata,
anche se doveva ammettere di aver avuto obblighi peggiori.
Non
ricordava che la vita da studentessa fosse così dura, voleva
solo buttarsi sotto le coperte e farsi una bella dormita. Aveva preso
un autobus per raggiungere l'albergo e, quando entrò in
camera, aveva trovato solo Elle, intento come al solito a lavorare al
computer.
Stava
analizzando altre morti, avvenute in quella giornata.
Alyssa
non si ricordò subito che doveva essere in collera con lui,
per averla lasciata a piedi come una stupida.
“La
prossima volta che devi manomettermi il motorino, avvisami chiaro?”
gli disse, togliendosi la giacca.
Elle
non la degnò di uno sguardo, restò a fissare lo
schermo, divorando caramelle a forma di animali “Mi pareva che
ti trovassi più che bene...” gli disse.
“Mi
hai detto tu di stargli vicino no? Beh, ho finto di stare bene...”
replicò lei, sistemandosi i capelli arruffati con una mano.
“Non
hai mai finto.” rispose lui, sembrò più freddo
del solito. Come se un brivido di emozione, gli avesse attraversato
la voce in quel momento. Alyssa lo guardò attentamente, pensò
che fosse infastidito da qualcosa che lei aveva fatto. Ma cosa? Lei
aveva fatto tutto quello che le era stato chiesto di fare.
“Cosa
ho fatto, Ryuzaki?” gli chiese. Il ragazzo non rispose, le
lanciò una lunga occhiata e poi tornò a guardare di
fronte a sé.
“Lui
stava palesemente recitando con te. I commenti sul tuo aspetto
fisico, il suo improvviso interessamento a te....e tu te la sei
bevuta in pieno, solo perchè non sospetti minimamente di
lui...” disse poco dopo.
“È
vero, non sospetto di lui attualmente!” ammise la ragazza “Non
abbiamo prove per poterlo accusare di nulla, perciò trovo
questa tua ramanzina un po' esagerata!”
Elle
si alzò in piedi di scatto, la colse di sorpresa, perchè
un gesto così veloce e violento non era da lui. I suoi occhi
neri si posarono su di lei e Alyssa non riuscì a sostenerli.
“Ti sei aperta con lui, nonostante lo conoscevi a malapena. Gli
hai parlato delle tue origini e di William....perciò, scusami
se mi spaventa pensare che potresti essere morta, se ti fossi aperta
di più con Light e se lui fosse veramente Kira...”
rispose con tono duro.
La
ragazza non trovò le parole per replicare, Elle sembrava
davvero arrabbiato con lei, come poche volte lo era stato. Lo vide
sedersi di nuovo sulla poltrona e tornare a fare quello che stava
facendo “Ora lasciamo solo, ho del lavoro da fare.”
disse, riacquistando il suo tono di voce freddo e privo di qualsiasi
emozione.
La
ragazza si sentì mortificata e non sapeva dove guardare,
pensava di essere stata utile ad Elle, quel giorno, e invece si era
rivelata solo un peso.
Come
sempre.
E
non poteva replicare in alcun modo, perchè si sentiva una
totale stupida.
Così,
si voltò lentamente e uscì dalla camera, nel silenzio
più totale.
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Capitolo 5 *** Shadow ***
-Shadow-
Dopo
il rimprovero, Elle non le rivolse quasi più la parola.
Alyssa
fu costretta a frequentare ancora Light, come se fosse una normale
studentessa.
Dovette
anche prepararsi per un test universitario e so in quell'occasione
Elle le parlò, chiedendole di non prepararsi tanto: doveva
restare abbastanza anonima, ma non troppo.
Ormai
aveva dato un idea ben precisa a Light e doveva mantenere quella
linea, a cui aveva dato inizio durante la lezione di matematica.
Anche
quelle uniche parole che gli rivolse, erano di rimprovero.
Per
il resto, Elle passava sempre tempo con gli agenti della polizia
giapponese, ad analizzare le varie morti, avvenute per mano di Kira.
La ragazza non sopportava più quella situazione, ma doveva
subirla in silenzio: aveva capito di aver esagerato ad aprirsi con
Light ma, d'altra parte, non capiva tutta questa lotta che Elle aveva
instaurato, mentalmente e in lontananza, con quel ragazzo.
Più
lei passava il tempo con Light, più si rendeva conto che
sembrava solo un normalissimo ragazzo, molto studioso.
Il
giorno del test, quando arrivò in aula, si sedette in prima
fila. Come le aveva detto di fare il detective, non aveva aperto
molto i libri. Si guardò indietro, alla ricerca di Light, e
lo vide seduto poche file più indietro. Non doveva stargli né
troppo vicino, né troppo lontano: doveva essere la sua ombra,
ma lui non doveva rendersene conto. Il ragazzo teneva il capo chino
su dei manuali e, sentendosi osservato, alzò la testa verso di
lei e la salutò con un cenno della mano.
Alyssa
rispose con un sorriso.
Quando
il professore entrò in classe, ordinò loro di lasciare
solo una penna sul banco e, successivamente, dei suoi assistenti
passarono tra le varie file, per consegnare loro dei fogli.
Alyssa
diede una veloce occhiata alle domande, erano più che
semplici, persino per una come lei che non era un genio come Elle e
Light. Quando partì il tempo per poter iniziare a rispondere,
si sentì umiliata al pensiero di dover sbagliarne qualcuna di
proposito.
Finse
di concentrarsi sul foglio.
Ad
un certo punto, il professore le passò velocemente accanto,
diretto, forse, a rimproverare un alunno più indietro.
“Per
favore, si metta seduto come si deve.” disse con voce dura.
Alyssa
non diede importanza a quella frase, fino a quando, non pensò
che solo una persona era capace di sedersi in una maniera talmente
scomposta, da attirare l'attenzione. Alzò lo sguardo
lentamente e, con occhi sgranati, si voltò verso il
professore. Anche Light era girato, a guardare lo strano ragazzo che
sedeva con le gambe alle ginocchia e i piedi nudi sopra il sedile.
Elle.
La
ragazza lo guardò incredula, ecco perchè non lo aveva
affatto incrociato quella mattina: era troppo impegnato a prepararsi
per andare con loro a fare quel test. Ma perchè? Per tenere
d'occhio Light oppure, non era da escludere, per tenere d'occhio
anche lei insieme a Light?
Elle
non la guardò nemmeno, i suoi occhi neri erano fissi su Light
mentre Alyssa stringeva i pugni per la rabbia. Non sopportava quando
lui la teneva all'oscuro di qualcosa, come aveva fatto quella volta.
Era pure vero che, se Elle le avesse parlato del suo piano, lei
avrebbe di certo cercato di impedirglielo. Non si era mai messo in
gioco così tanto, mostrando la sua faccia ad una persona di
cui sospettava, perchè sapeva quanto fosse pericoloso.
Ma
non quella volta, per Kira era davvero disposto a rischiare tutto e
lei non lo tollerava.
E,
in aggiunta, non sopportava che lui non le avesse parlato di quel
piano.
Tutti
i suoi pensieri svanirono, mentre fissava sia Light che Elle: era
come se avessero percepito le rispettive mentalità e che in
quel preciso momento di stessero sfidando.
Anche
in lontananza, si riusciva a vedere la sottile linea che li univa: la
vera sfida era appena iniziata.
Alyssa
aveva mandato un messaggio ad Elle, chiedendogli di raggiungerla
subito davanti al bagno delle donne. Lei si assicurò che fosse
vuoto: quando lo vide passare davanti alla porta, con aria stralunata
e disattenta, allungò un braccio e lo tirò dentro. Lo
condusse in uno dei bagni liberi, senza lasciargli il tempo di
replicare in alcun modo, e si chiuse la porta alle spalle.
“Era
questo il posto in cui nessuno ci avrebbe potuto sentire? Il bagno
delle donne? Molto ingegnoso davvero.” Elle si guardò
attorno, anche se non sembrava, era parecchio attaccato al proprio
igiene e quel bagno, dall'aspetto poco pulito, non lo metteva a suo
agio.
La
ragazza scosse la testa incredula. “Ryuga Hideki? No,
dimmi...fai sul serio?” gli chiese,sussurrando.
“Senti,
questo non è il momento adatto per parlare. Possiamo farlo in
un posto sicuro, in cui non possono smascherarci?”
“Penseranno
che stiamo facendo altro, non preoccuparti.” lo zittì la
ragazza.
Elle
distolse lo sguardo. “Il tuo fidanzato potrebbe scoprirci e
farci fuori, non ci hai pensato?”
“Ok,
adesso mi hai rotto con questa storia. Lui è ancora in classe
e non verrà di certo nel bagno delle donne per soddisfare i
suoi bisogni.”
“E
chi te lo dice? A me sembra abbastanza effeminato a dir la verità...”
“Ma
come sei diventato spiritoso, tesoro. Smettila e spiegami il motivo
di questo piano suicida...”
“Se
tu fossi stata più attenta, forse non sarei qui ora.”
Alyssa
strinse i pugni, trattenendosi dall'alzare la voce e urlargli
addosso. “Tu non vedevi l'idea di scendere in campo, Ryuga. Non
aspettavi altro, era dal principio che lo volevi sfidare!”
“Senti,
non ne possiamo parlare qui!”
“E
quando ne parliamo? Io devo sempre stare dietro ad una certa persona,
ricordi? E non credere che non sappia perchè hai scelto quel
nome omonimo...” disse. Sapeva che lo aveva fatto, affinché,
se Light fosse stato Kira e avesse provato ad ucciderlo, non sarebbe
morto lui ma il famoso cantante giapponese di cui tutti conoscevano
il volto e il nome. Elle non lo aveva fatto per mancanza di
sensibilità, ma perchè sapeva che Kira non era così
stupido da provare ad ucciderlo, rischiando di ammazzare un
personaggio così noto.
Era
solo un altro segno di sfida.
Elle
restò impassibile. “Posso andare ora, o vuoi mettere i
manifesti, per far capire a tutti che ci conosciamo?” chiese
freddamente.
Alyssa
non poteva trattenerlo ancora, aveva ragione e quella chiacchierata
poteva farli venire entrambi allo scoperto. “Un ultima cosa..”
disse, alzando il dito per promettergli che era davvero un ultima
cosa. “Perchè non Justin Bieber? Almeno, avresti
permesso a tu sai chi di compiere una buona azione!”
Elle
abbozzò un sorriso, ma non disse nulla al riguardo. Si
assicurò che fuori non ci fosse nessuno e si preparò ad
uscire. “Piacere di averti conosciuto, tipa del bagno.”
disse ironico.
Alyssa
lo guardò uscire, con aria amareggiata. Sperò che lui
avesse capito, quanto tutta quella storia la stava spaventando.
Alyssa
ottenne un risultato pietoso al test, almeno per le sue capacità,
ma non le importava più di tanto. Light e Ryuga, come era
costretta a chiamarlo nella sua mente, avevano ottenuto invece un bel
pari merito. La cosa non la sorprese, quei due erano più
simili di quanto lasciassero intendere: entrambi intelligenti, anche
se le loro mentalità viaggiavano su binari opposti, entrambi
desiderosi di eccellere in tutto, cosa che non risultava loro
difficile e sopratutto, entrambi odiavano perdere.
E
la prova stava nel fatto che Elle aveva deciso di proposito di
risultare primo in classifica insieme a lui, Kira era parecchio
infantile e, pur di mostrarsi superiore, non aveva pensato e aveva
ucciso Taylor credendo che fosse Elle, più per capriccio che
per ingegno.
E
se Light era davvero Kira, non sarebbe stato molto contento di tenere
il discorso di apertura della cerimonia, insieme ad un altro genio.
Alyssa
si presentò parecchio in anticipo alla cerimonia, pur di
sedersi alle prime file e ascoltare il discorso che i due avrebbero
intrattenuto insieme. Immaginarseli vicini la fece sorridere, erano
all'apparenza così diversi, che le sarebbe sembrato davvero
strano vederli fianco a fianco, a leggere un discorso. La ragazza si
guardò attorno, Light ed Elle arrivarono poco dopo di lei e
andarono a sedersi in prima fila, proprio davanti al palco in cui si
sarebbe tenuto il discorso di apertura.
Elle
l'aveva subito notata, ma fece finta di nulla, come se non la
conoscesse. Light invece, appena la vide in lontananza, la salutò
con un cenno della mano, a cui lei rispose con un sorriso. Si
sforzava di non guardare Elle, ma le risultava difficile.
Nel
giro di pochi minuti, l'aula magna si riempì di studenti, che
iniziarono a parlottare tra loro. Alyssa sentì alcune ragazze
dietro di lei, che speravano che quel Ryuga Hideki che aveva quasi
scalzato Light Yagami, fosse davvero il noto cantante giapponese. Le
loro aspettative vennero deluse, quando il direttore dell'università,
diede inizio alla cerimonia, chiamando sul palco i due migliori
studenti dell'istituto.
I
commentini su Elle non si risparmiarono, Alyssa dovette stringere i
pugni per non alzarsi in piedi e urlare contro due idioti che aveva
alle sue spalle e che commentavano l'abbigliamento e l'aspetto di
Elle. Doveva far finta di non conoscerlo, perciò dovette
restare, suo malgrado, in silenzio. Una ragazza affianco a lei
affermò di trovarlo parecchio carino, rispetto a Light e la
sua amica la rimproverò. Alyssa non vedeva l'ora di dirlo ad
Elle, s'immaginò la sua faccia quando gli avrebbe detto che
aveva fatto colpo su una ragazza, e rise sotto i baffi.
Il
discorso venne diviso in due parti, la prima parte fu letta da Light,
vestito perfettamente, quasi da figlio di papà, che parlò
con maestria e precisione. Della seconda parte invece si occupò
Elle, vestito con abiti semplici e, sempre all'apparenza, quasi
trasandato: teneva in alto il foglio, reggendolo per gli angoli
superiori, e leggeva lentamente e con aria annoiata.
Lo
faceva solo perchè, stare di fronte a tutta quella gente, lo
metteva in imbarazzo.
Ma
solo lei lo sapeva.
Durante
il resto della cerimonia, dopo che Light ed Elle tornarono a sedersi,
Alyssa li seguì con lo sguardo. Li tenne d'occhio senza farsi
vedere, i due si rivolsero poche volte la parola e, solo un gesto di
Elle riuscì a sorprenderla: lo vide voltarsi verso di Light e
dirgli qualcosa a fior di labbra.
Sussultò,
pensò di sbagliarsi, ma le parve che Elle gli avesse rivelato
la verità: cioè, di essere la L che tanto perseguitava
Kira. Se ne fregò di essere vista e posò lo sguardo su
Light, dalla sua reazione non sembrava né spaventato, né
sorpreso: forse non credeva alle parole di Elle.
In
effetti, in apparenza, Elle non sembrava così intelligente.
E
rivelargli la sua vera identità, non era nemmeno molto
intelligente., almeno per qualcuno che non conosceva bene la mente di
Elle. C'era per forza qualcosa sotto.
Ignorando
la vocina nella sua mente, che le diceva di obbedire ad Elle, la
ragazza provò a raggiungerli, appena terminata la cerimonia. I
due erano scomparsi dai loro posti, dovevano essere usciti,
immergendosi nel mucchio di persone che stavano abbandonando l'aula.
Alyssa
non chiamò Elle al telefono, se lo avesse fatto, avrebbe
davvero destato sospetti in Light. Perciò, decise di uscire
anche lei all'esterno e trovò i due, vicino all'entrata,
intenti a parlarsi.
Che
si stessero sfidando? Non era semplice capirlo dai loro occhi,
entrambi sembravano nascondere qualcosa all'altro, come in un gioco
di astuzia.
Alyssa
camminò a larghi passi, per arrivare a loro il prima
possibile.
“Se
quello che mi hai detto è vero, hai tutta la mia stima...”
stava dicendo Light e alla ragazza, per poco si gelò il
sangue. Allora Elle gli aveva davvero rivelato la sua identità,
non aveva interpretato male il suo labiale.
“Bellissimo
discorso di apertura, Light.” esordì lei, rompendo la
strana atmosfera che vigeva tra i due. “ È stato davvero
impressionante, non c'è che dire!”
Fece
finta di non conoscere Elle, ma dubitava che lui avesse apprezzato il
modo in cui lei si era avvicinata a loro. Ma la ragazza non poteva
fare altrimenti, era troppo preoccupata per l'incolumità di
Elle, ora che si era esposto così tanto.
“Oh,
grazie Alyssa. Ma è stato anche merito di Ryuga, anche lui è
stato molto bravo.” disse Light, indicando il ragazzo di fronte
a sé. Aveva un sorriso enigmatico sul viso, Alyssa pensò
che, in fondo, la concorrenza con quello strano ragazzo, lo
infastidiva. Ma non lo avrebbe mai dato veramente a vedere. Ecco
perchè Elle era entrato in gioco, solo lui sarebbe riuscito a
“smascherarlo” se lui fosse stato Kira.
Lui
e Alyssa si guardarono, fare finta di non conoscerlo, dopo ben sedici
anni, era difficile per lei. Ma non per lui, era sempre così
freddo che sarebbe stato impossibile capire che la conosceva da anni
ormai. “Ryuga, lei è Alyssa. Alyssa, Ryuga.” li
presentò Light.
“Piacere.”
disse Elle, i due si strinsero la mano ma Alyssa gli rivolse solo un
sorriso. Non riusciva a trattenere la rabbia nel vederlo là
fuori, come se non fosse abbastanza pericoloso. “È la
tua fidanzata?” chiese poi a Light.
Alyssa,
senza farsi vedere, gli strinse la mano in una presa letale. La
lasciò, quando Elle iniziò a dare segni di dolore.
“No,
è solo una compagna d'università.” rispose Light.
“Già,
Ryuga.” concluse Alyssa, lanciandogli un'occhiata complice.
Elle
non disse nulla, in quell'istante una limousine nera lucida
parcheggiò di fronte all'ingresso. Il detective si avvicinò
al veicolo, appena un uomo gli aprì la portiera.
Light
e Alyssa fissarono increduli il veicolo, il primo sembrava sorpreso
che un tipo come Ryuga, avesse una limousine. La seconda invece, non
si aspettava che il ragazzo avrebbe “approfittato” di
tali lussi per avvicinare un sospettato, era un altra tecnica forse
per sfidare Light?
Stava
di fatto, che lei era stata costretta ad andare in motorino, pur di
recitare la parte della studentessa. Ma Elle non si era presentato
come uno studente, ormai era chiaro.
“Ci
si vede, ragazzi.” li salutò Elle prima di salire in
auto.
I
due risposero al saluto, poi la limousine partì lentamente,
tra la sorpresa generale degli altri studenti che la seguirono con lo
sguardo. Alyssa tirò un sospirò di sollievo, quando
vide il veicolo scomparire dietro l'angolo: preferiva sapere che Elle
stava nella loro camera d'albergo, piuttosto che fuori.
“Che..che
tipo strano!” esclamò, per rompere il silenzio. Si voltò
verso Light per studiare la sua reazione, il ragazzo sembrava
tranquillo mentre fissava il punto in cui la limousine aveva appena
svoltato.
“Hai
ragione...” rispose, tornò poi di nuovo il silenzio.
Alyssa pensò ad un modo per restare il più possibile
accanto a Light, sempre per cercare di fare un favore ad Elle.
“Andiamo
a mangiare qualcosa, ti va?” disse entusiasta.
“Mi
sa che a Ryuga piaci?”
Alyssa
distolse lo sguardo del televisore che, dietro le spalle di Light,
mostrava immagini del notiziario locale e lo posò sul ragazzo.
“Come scusa?” gli chiese, mandando giù un boccone.
Avevano
deciso di mangiare in un piccolo ristorante semi vuoto, poco lontano
dall'università.
Forse
aveva fatto bene ad invitarlo a mangiare proprio a quell'ora, i
notiziari trasmettevano sempre notizie riguardanti le morti per mano
di Kira. Se fosse morto qualcuno in quel momento, si sarebbe potuto
provare l'estraneità dai fatti di Light. Forse, perchè
Elle non avrebbe desistito facilmente dal tenere sotto controllo il
ragazzo.
“Ryuga...secondo
me gli piacevi fisicamente.” disse.
Alyssa
per poco si strozzò, mandò giù un altro boccone
e bevve un sorso di cola. “Davvero? Da cosa lo hai intuito?”
chiese divertita.
Elle
non era interessato a lei fisicamente, era così freddo che, in
certi atteggiamenti, era difficile da immaginare. Sopratutto con lei,
si conoscevano da così tanto tempo che non si erano mai
guardati in quel modo.
“Non
lo so, lo conosco da pochissimo devo dire, però....ti ha
guardata, come non ha guardato la altre persone che lo
circondavano...” le spiegò Light.
Alyssa
lo fissò in silenzio, provò una strana sensazione di
calore che le bruciò stranamente il petto. Non sapeva
spiegarla, ma non era propriamente una cosa piacevole ma che, allo
stesso tempo, la faceva bene.
“Ti
sarai sbagliato, a me sembrava un po' rimbambito.” rispose.
Alzò
lo sguardo sul televisore, stavano mandando in onda notizie riguardo
le vittime di Kira, ma quelle del giorno precedente: un numero
relativamente alto, se si contavano anche le vittime degli altri
paesi. Light si accorse della concentrazione della ragazza su un
punto dietro di lui, si voltò e guardò il televisore.
“Parlano sempre di Kira, eh?” le disse.
Alyssa
abbassò lo sguardo su di lui, doveva continuare a seguire la
linea “fan di Kira”. Almeno avrebbe potuto verificare se
Light fosse effettivamente quello psicopatico assassino, se lo
spremeva un po' con quella storia.
“Fanno
bene, Kira merita attenzione per tutto quello che fa.” disse.
Light
non disse nulla, restò in silenzio ad osservarla, mentre lei
teneva gli occhi puntati sullo schermo. Un altra cosa che lui ed Elle
sembravano avere in comune, era il modo in cui guardavano le persone:
come se cercassero di penetrare nella loro mente, per captare i loro
pensieri. E infatti, il modo in cui lui la guardava la innervosiva,
però cercò di non darlo a vedere.
“Posso
farti una domanda? Tu mi sembri una ragazza più che
giudiziosa...e mi sembra strano che tu sia dalla parte di una persona
che compie simili atti.” disse chinandosi in avanti per
avvicinarsi di più a lei. Alyssa posò lo sguardo su di
lui, attendendo che continuasse. “Che genere di trauma devi
aver vissuto in passato?”
“Non
mi va di parlarne.” replicò lei prontamente, ricordava
quanto avesse dato fastidio ad Elle, sentirla aprirsi in quel modo
con Light e non voleva ricadere nello stesso errore. Preferì
perciò tacere e non dire nulla. Un rumore esterno colse la
loro attenzione, vide un vagabondo, ubriaco e barcollante, che
attraversava la strada, gridando parolacce a squarciagola. Light
sospirò quando lo vide. “Tokyo è piena di gente
matta...” disse amareggiato.
Alyssa
non rispose, continuò a guardare l'uomo e si accorse che aveva
un aspetto davvero familiare, come se lo avesse visto, in qualche
foto segnaletica. Restò a bocca aperta, quando una macchina lo
falciò in pieno. Il suo corpo venne spinto lontano, come se
non fosse fatto di carne e sangue ma di plastica. Anche Light era
rimasto incredulo, mentre delle persone si radunavano attorno al
luogo dell'incidente. “Oh dio...”
Alyssa
si fiondò fuori dal locale e Light la seguì, dicendole
che forse non doveva vedere uno spettacolo del genere. Non sapeva che
lei ci era abituata., a vedere cadaveri e morte.
Si
fece largo tra la folla, fino a raggiungere l'uomo. Qualcuno era già
chinato su di lui per soccorrerlo, ma non c'era nulla da fare: stava
riverso in una posizione contorta, in un enorme pozza di sangue.
Aveva la testa rivolta da un lato e gli occhi semi dischiusi.
Fu
allora che lei lo riconobbe.
Light
le si avvicinò per tirarla via. “Alyssa, vieni. Non
dovresti vedere certe cose.” le disse con fare protettivo.
“È
stato Kira.” sussurrò lei, il ragazzo la guardò
confuso.
“È
stato un incidente.” replicò. Ma lei era certa che fosse
stato Kira, perchè quell'uomo era un pregiudicato.
“Che
coincidenza, eh? Tu sei a pranzo con lui e una vittima di Kira muore
sotto i vostri occhi...”
stava
dicendo Elle, seduto come al suo solito, di fronte a mucchi di fogli
su cui doveva lavorare.
Era
tarda notte e solitamente Alyssa stava già dormendo a
quell'ora, a differenza del suo capo, ma quella sera non ci riuscì.
Se ne stava seduta sulla poltrona a studiare i dati di quell'uomo,
morto da poche ore. Non sapeva perchè, ma gli era rimasto
impresso, quell'orribile volto.
In
passato, era stato accusato di stupro e rapina, ma non era mai stato
condannato.
La
vita però lo aveva punito, visto che poco dopo le accuse,
aveva perso tutto: casa, lavoro e moglie.
Forse
le era rimasto impresso per quel motivo, perchè, anche se la
giustizia non aveva fatto il suo corso, era stato qualcuno lassù
a fargliela pagare. Prima di Kira.
“Io
so che tu non credi alle coincidenze, Ryuzaki.” disse Alyssa
stancamente. “Perciò, finiscila con le battute e dillo
chiaramente che pensi l'abbia ucciso Light.”
Elle
si voltò verso di lei, roteando sulla sedia girevole. “Ok,
penso che sia stato Light ad ucciderlo, per dimostrarti che lui non è
Kira.”
“Ma
se non ha fatto nulla! Stava solo mangiando...e poi può
essersi trattato di un semplice incidente stavolta!” esclamò
Alyssa, sbuffò poi quando diede un senso alle ultime parole di
Elle. “Inoltre, perchè avrebbe dovuto mostrarmi di non
essere Kira? Per lui sono solo la compagna russa d'università!”
“Quel
ragazzo non è tonto, tutta la sua galanteria verso di te è
dovuta al fatto che ha capito che c'entri qualcosa con me, o con la
polizia.” le spiegò Elle.
“Sono
stanca di sentirti parlare come se non mi si può filare nessun
ragazzo...”
“Non
ho detto questo, travisi sempre tutto...”
Alyssa
balzò in piedi. “Beh, se Light ha capito qualcosa, è
perchè tu gli hai rivelato la tua vera identità!”
esclamò, voleva dare la colpa a lui, più che altro per
fargli capire che, la cosa che lui fosse uscito allo scoperto, non le
andava proprio giù.
“Perchè
adesso è colpa mia, scusa?” chiese lui freddamente.
“Hai
messo in gioco la tua faccia, usando uno pseudonimo che anche un
idiota capirebbe che è finto...e per cosa? Per scoprire che
Light non è poi Kira?” continuò lei.
“In
verità, lo faccio perchè penso che lui sia Kira, a
differenza di qualcuno di mia conoscenza.”
“Non
fare l'idiota, non ti riesce.” lo rimproverò lei, calò
un profondo silenzio in cui i due si guardarono senza proferire
parola.
“Ma
ti stai preoccupando per me o sono il tuo capo espiatorio per coprire
la tua incapacità nell'essere obiettiva?” chiese il
ragazzo.
Alyssa
lo fissò scuotendo la testa, mai gli aveva fatto così
rabbia, come in quegli ultimi giorni. “Rettifico: sei davvero
un idiota se non lo capisci!” rispose, non aggiunse altro e si
allontanò verso la sua camera, mentre Elle la seguiva con lo
sguardo, in totale silenzio.
Solo
quando lei sbatté la porta, ebbe la conferma che era solo
preoccupata per lui.
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Capitolo 6 *** Fight ***
Il
telefono squillava di continuo.
Alyssa,
però, ci aveva fatto l'abitudine: accanto ad Elle, spesso e
volentieri, aveva dovuto occuparsi di rispondere al telefono, per
intrattenere la “parte civile” in ogni caso. Ogni volta,
era stata indetta una linea telefonica apposta, in modo che i civili
potessero chiamare e dare informazioni o avere notizie concernenti il
caso. Ma mai come con Kira, il telefono aveva squillato così
tanto.
Alyssa
aveva passato parecchio tempo in quella stanza, sempre accompagnata
da uno dei poliziotti giapponesi, e quel giorno era toccato ad Ukita,
che aveva le mani tra i capelli per la disperazione. Elle si era
rifiutato di dargli incarichi più “eccitanti” da
quando aveva deciso di mettersi in gioco e lei non poteva fare altro
che obbedire: se fosse entrata in guerra con Elle, ne sarebbe di
certo uscita sconfitta. E poi, non ne aveva alcuna voglia.
“Ma
voi poliziotti, non dovreste essere abituati a situazioni simili?”
gli chiese Alyssa, Ukita sedeva di fronte a lei, ad una scrivania
grande quanto quella che aveva la ragazza. Il settore della linea
telefonica, era una stanzetta in cui ci si girava a malapena.
“Sì,
ma non così! Insomma, sembrano tutti matti! Avrò
sentito centinaia di persone, sostenere di essere Kira....non era mai
successa una cosa simile!” rispose lui.
E
non aveva tutti i torti, mai come in quel caso, la gente aveva perso
la testa. Kira era un criminale talmente diverso da tutti i
precedenti, che la gente non riusciva nemmeno a dargli un vero volto.
E
arrivavano a pensare che fossero loro stessi, per quanto fossero
dalla loro parte.
Certe
chiamate poi, non arrivavano solo dal Giappone, ma praticamente da
tutto il mondo. Alyssa conosceva sette lingue, forse per quello Elle
le aveva affidato un compito simile: solo in quel campo, forse, lei
poteva batterlo.
Il
telefono squillò di nuovo, Alyssa e Ukita si guardarono
afflitti. “Rispondo io.” disse lei, alzò la
cornetta. “Pronto, questa è la linea della squadra di
ricerca del killer dei criminali, chi parla?”
Al
telefono, non pronunciavano mai il nome di Kira: era un nome
fittizio, datogli dai fans, perciò così facendo
avrebbero evitato di “umanizzarlo”.
“P-pronto?
Chiamo perchè credo di essere Kira...” disse una voce
maschile dall'altra parte del telefono. Alyssa lanciò un
occhiata ad Ukita, come per dirgli “Ci risiamo”, si portò
la cornetta sulla spalla e su un foglio, gli scrisse di andare pure a
prendersi un caffè. Sembrava potesse scoppiare da un momento
all'altro.
“E
perchè lo crede, signore?” rispose poi la ragazza, ormai
era anche arrivata a dire le stesse frasi. Avevano ricevuto parecchie
telefonate, di gente che sosteneva di essere Kira: una volta, chiamò
persino una bambina di dodici anni.
“Ecco,
stamane ho visto uno stupratore in televisione e ho desiderato così
tanto vederlo morire. E poche ore dopo, è morto di attacco
cardiaco!” replicò l'uomo, sembrava sulla quarantina.
Alyssa
sospirò. “Kira uccide consapevolmente le sue vittime.
Non si preoccupi, non è lei. Buona giornata!” rispose e,
prima che quello potesse aggiungere dell'altro, riagganciò il
telefono.
Si
stiracchiò, era stanca morta e voleva solo placare quel
terribile mal di testa che l'attanagliava. Ma il telefono non le
lasciò tregua e riprese a suonare. Ukita non era ancora
tornato.
“Pronto?
Sono spiacente, ma non so parlare giapponese!” disse in
francese, una voce femminile dall'altra parte del telefono.
“Non
si preoccupi, conosco il francese. Mi dica pure.” rispose
Alyssa, Ukita tornò, giusto in tempo per sentire il francese
della ragazza. L'aveva sentita parlare fluidamente diverse lingue e
ogni volta ne restava sorpreso. Rimase in piedi di fronte a lei e la
guardò attentamente. Intanto, Alyssa pregò che quella
donna non se ne uscisse con la storia di essere Kira.
Avrebbe
potuto perdere il controllo di sé.
“Volevo
dirvi una cosa che riguarda Kira...”
“Certo,
mi dica tutto.” rispose lei, prendendo una matita e
rigirandosela tra le dita.
“Dovete
lasciarlo stare.” disse quella voce, più dura di prima.
La ragazza perse il suo sorriso di circostanza e fissò il
vuoto, credette di aver capito male.
“Come
scusi?” chiese.
“Mi
chiamo Marie Laroche, sono una suora di un convento parigino. Ieri
una delle persone che frequenta la nostra chiesa, è stata
uccisa da Kira!”
“E...questa
notizia la rende felice?”
“Quell'uomo
era un mostro! Aveva rovinato la vita a parecchie ragazzine con le
sue perversioni, una di loro si è persino tolta la vita l'anno
scorso!” esclamò la donna. “Quando ieri, durante
la messa, si è accasciato a terra privo di vita, ho pregato e
ringraziato Dio per aver dato giustizia a quelle povere ragazze. L'ho
fatto, nonostante fosse contro i miei principi di suora.”
Alyssa
strinse i pugni, lei era sempre stata atea, fin dalla nascita e
perciò certi principi non li riusciva a comprendere in pieno.
Ma era certa, che se esisteva un Dio, quello non era un assassino e
non tutelava chi uccideva.
“Avete
provato a denunciarlo?” chiese, si sentì stupida
nell'aver posto quella domanda.
“Crede
che non l'abbiamo fatto, signorina? Quello era uno degli uomini più
ricchi della città, è riuscito sempre a scamparla. Ma
ora Kira, ci ha dato giustizia...e se voi continuerete a mettergli i
bastoni tra le ruote, verrete puniti dalla sua rabbia.”
Alyssa
non sopportava più quelle parole piene di fanatismo, sembrava
che tutti i principi che reggevano il mondo si stessero ribaltando.
Ma lei non riusciva a dir nulla, perchè anche lei, spesso, si
era ritrovata a pensare che Kira fosse davvero una specie di
giustiziere divino.
“Kira
non è Dio, sorella. Mi dispiace che abbia visto così
tante persone soffrire...ma non bisogna mai, affidarsi e ringraziare
un assassino simile.” disse, a denti stretti.
Ukita
non si era lasciato sfuggire il repentino cambio di espressioni che
avevano caratterizzato il viso di Alyssa. Prima aveva un sorriso di
circostanza sulle labbra, che poi si era spento per lasciare spazio
alla confusione. Poi erano arrivati il dolore e la rabbia. Anche se
non aveva capito nulla di ciò che lei aveva detto, certe cose
era riuscito a comprenderle.
Alyssa
sembrava più arrabbiata con sé stessa, che con quella
donna.
Ci
fu un attimo di silenzio, poi Marie sospirò. “Se lei
avesse idea del dolore che certe persone hanno provato, mi
capirebbe.” disse.
Alyssa
si sentì colpita in pieno con quella frase. “Mi creda,
conosco certi dolori.” disse e chiuse il telefono. Le sembrò
di non avere più fiato nei polmoni, fissò il vuoto
stringendo così forte la matita che avevo in mano, fino a
farsi male. Ukita la guardava con aria interrogativa.
“Chi
era?” le chiese.
La
ragazza non rispose subito, continuò a guardare un punto fisso
di fronte a sé, chiedendosi perchè quelle parole le
facevano tale effetto. Ukita le scoccò le dita di fronte al
viso. “Tutto bene, Alyssa? Chi era al telefono?” domandò,
appena lei alzò lo sguardi su di lui.
Alyssa
non seppe cosa rispondere “Non...non era nessuno.” disse.
Anche
se le parole di quella donna, continuavano a ronzare nella sua mente.
“Ahia,
mi fai male!”
“Zitto
Matsu, o prendo a cazzotti anche te!”
Elle
aveva avuto una bellissima idea, a comprare una baracca dove
potessero fare attività fisica. Mai come quel giorno, Alyssa
sentiva il bisogno di prendere a pugni il mondo.
Dopo
quella telefonata, non si era data pace: si sentiva ribollire di
rabbia, ma il motivo non sarebbe riuscito a spiegarlo. Matsuda aveva
avuto la buona o cattiva idea, a seconda dei punti di vista dei due,
di restare con lei, sperando di distrarsi un po' dal caso Kira. Fu
solo peggio per lui.
Nonostante
avesse indossato degli enormi guantoni che Alyssa doveva colpire con
i pugni, lei riuscì lo stesso a fargli male.
Matsuda
se li tolse e posò le mani sulle ginocchia per riprendere
fiato. “Posso sapere...perchè sei così fuori di
testa?” le chiese con il fiatone. “Hai le tue cose per
caso?”
Alyssa
si portò le mani sui fianchi, anche lei prendendo lunghi
respiri per la fatica. “Sei piuttosto molliccio, Ryuzaki è
la metà di te e sono sicura che resiste di più!”
gli disse.
“Se
la pensi così, perchè scegli sempre me come tuo
partner?” Matsuda si rimise in piedi e allargò la labbra
in un sorriso malizioso. “È perchè sono troppo
carino, vero?”
Alyssa
lo guardò severamente, poi lo colpì con un leggero
pugno allo stomaco, riuscendo però a fargli lo stesso male.
Matsuda si piegò in due dal dolore. “Scelgo te, perchè
hai una faccia che ispira violenza!” gli rispose.
Il
ragazzo gemette di dolore. “Mi ero dimenticato che sei attratta
dagli intellettuali...” disse in un sospiro e Alyssa decise di
volerlo colpire di nuovo.
“Ok,
mi arrendo!” Matsuda alzò le mani, prima che un colpo si
avvicinasse al suo viso.
La
ragazza si fermò, abbassò lo sguardo e lentamente si
sedette a terra. Aveva la testa che le scoppiava, di domande e di
dubbi: non le era mai successo prima e la colpa era tutta di Kira.
Le
parole cariche di odio della suora continuavano a martellarle la
testa.
“Matsuda,
posso farti una domanda?” gli chiese.
Il
ragazzo la guardò, sorpreso dal modo in cui la sua espressione
era mutata. Si sedette di fronte a lei e sorrise. “Se vuoi
uscire con me, ti dico subito di sì!”
La
ragazza lo fulminò con lo sguardo. “Ma tu il distintivo
lo hai trovato nel pacchetto delle patatine?!” esclamò
infastidita.
Matsuda
arrossì imbarazzato. “Ah giusto, mi ero dimenticato che
ti piacevano i tipi mingherlini e un po' pallidi...” disse.
“Fai
un'altra allusione e ti sfondo la faccia!”
“Ok,
scusa! Domanda pure.” si difese Matsuda.
Alyssa
prese dei lunghi respiri, non sapeva se porgli o no quella domanda.
Perchè la risposta che lei avrebbe pensato, la spaventava
parecchio.
“Se
tu avessi i poteri di Kira, come li useresti?” gli chiese.
Matsuda
distolse lo sguardo imbarazzato, si portò le ginocchia al
petto e sospirò. “Ecco, io...non saprei...” disse.
“Non
è vero.” lo interruppe lei, il poliziotto la guardò
allibito e lei abbassò gli occhi. Stava per dire parole, che
avrebbero potuto urtare Elle se le avesse sentite. Lui non era lì
in quel momento, ma Alyssa non poté fare a meno di sentirsi
come una traditrice, nei confronti del detective e della sua causa.
“Se
avessi i poteri di Kira, anche io farei quello che sta facendo
lui....escludendo gli agenti federali ovviamente. A volte penso...che
Kira in fondo abbia salvato molte persone, che in futuro avrebbero
potuto soffrire, no? La giustizia spesso non fa il suo corso e quando
lo fa, non sempre garantisce la serenità alle vittime. Spesso
l'unica cosa più giusta, è la vendetta.” disse,
abbassò gli occhi, sentendosi una perfetta traditrice. “Non
riesco...ad odiarlo e a volergli dare la caccia come dovrei...”
Matsuda
la guardava in silenzio, capì subito che era combattuta, tra
la sua fedeltà ad Elle e i suoi pensieri. Non lo avrebbe mai
intuito, se non le avesse rivolto quelle parole: spesso era così
vicina ad Elle, che diventava difficile tradurre l'espressione sul
suo viso.
“Ma,
come hai detto tu, Kira ha ucciso anche quegli agenti, Alyssa.”
le ricordò.
“Sì,
lo so. Ed è per questo che continuo lo stesso a dargli la
caccia: è un bastardo fuori di testa.” rispose la
ragazza. “Ma non posso negare, che stia facendo anche del bene,
in parte.”
“Ah,
eccovi qui!” disse una voce alle loro spalle.
Alyssa
si girò di scatto, quando vide il detective, entrare con la
sua solita postura imperfetta, balzò in piedi e lo guardò
con occhi sbarrati. Se avesse sentito qualcosa, non se ne sarebbe
stupita: per come era fatto, avrebbe potuto studiare le sue parole
per capire cosa voleva dire e poi fare irruzione nella stanza, per
interromperla. In effetti, lui sembrava irritato, perchè
nemmeno la guardava.
“Ecco
perchè Watari mi ha fatto comprare questo capannone, lo ha
fatto per accontentare te. Come sempre.” disse guardandosi
attorno.
“Ryuzaki,
che ci fai qui? Non dovevi essere con Light?” gli chiese
Matsuda.
Il
ragazzo si avvicinò a loro. “Sì, tra un po' lo
devo incontrare all'università. Ma prima, devo parlare in
privato con Alyssa, se non ti crea disturbo.”
Matsuda
e Alyssa si guardarono, la ragazza deglutì, aspettandosi
parole di rimprovero. Tanto, ultimamente non facevano che discutere
sempre.
E
sempre per colpa di Kira.
Quando
il poliziotto se ne andò, i due si guardarono a lungo. Alyssa
attese che lui parlasse e tenne lo sguardo basso.
“Come
ben sai, ho rivelato a Light la mia identità. Oggi giocheremo
una partitella di tennis.” iniziò a dire lui.
“Tennis?
Non sapevo foste entrati così in sintonia!” ridacchiò
Alyssa, Elle era stato un campione juniores in Inghilterra, persino
nello sport riusciva ad eccellere al massimo.
“Veramente
non lo trovo molto simpatico Light. Lo faccio solo perchè so
che Kira non vuole perdere, vediamo che succede se lo sconfiggo...”
“Ma
è logico che lo sconfiggerai, Light forse non sa nemmeno
giocare a tennis!”
Elle
alzò l'indice della mano destra, come per zittirla. Cosa che
le fece prontamente. “Sbagliato, ha vinto un campionato
scolastico alle medie.”
Alyssa
si strinse le braccia al petto. “Non è al tuo livello
comunque, non lo sai?”
“Sì
che lo so, ma non m'interessa.” rispose lui. “Volevo
anche dirti di non venire, non voglio che tu rischi troppo facendoti
vedere con me. Light potrebbe farti fuori subito, basta che scopra il
tuo vero nome.”
“Tu
invece hai il diritto di metterti in gioco come ti pare?”
esclamò la ragazza turbata, ancora non era riuscita ad
accettare che Elle avesse deciso di uscire così facilmente
allo scoperto, senza seriamente pensare ai rischi che avrebbe potuto
correre.
“Non
sono affari tuoi.” rispose lui freddamente, le diede le spalle
e cercò di lasciare la stanza. Alyssa lo seguì con lo
sguardo, mostrandosi confusa: si aspettava qualche rimprovero e
invece, Elle si era limitato a dirle quelle quattro parole, con la
sua solita freddezza.
“Non
devi dirmi nient'altro?” gli chiese.
Elle
si voltò verso di lei, ma non la guardò. “Riguardo
a cosa, scusami?”
“Non
fare il finto tonto, hai sentito tutto quello che ho detto a
Matsuda.” Alyssa fece dei passi verso di lui. “E non vuoi
dirmi nulla?”
“Lo
hai fatto per attirare la mia attenzione allora?” le chiese
lui, Alyssa ebbe così la conferma che Elle aveva davvero
“origliato”, anche se quel verbo non faceva di certo per
lui, la loro conversazione.
“Allora
hai sentito tutto!” disse puntandogli il dito contro. “E
non mi dici nulla? Guarda, che so che sei arrabbiato.”
“Non
sono arrabbiato, forse un po' disgustato.” replicò il
ragazzo, continuando a sviare il suo sguardo. “Ma sono i tuoi
pensieri e io non posso farci nulla...”
“Per
una volta, mi piacerebbe sapere cosa ti passa per quella testolina
bacata!” esclamò Alyssa.
Elle
la guardò a lungo, ma come sempre, lasciò che fosse il
silenzio a parlare. Cercò di lasciare la stanza e Alyssa si
sentì ribollire di rabbia. Strinse i pugni e corse verso di
lui, cercò di colpirlo con un calcio sui fianchi ma lui si
difese prontamente.
Alyssa
si aspettava che lui aveva previsto la sua mossa e un sorriso di
sfida le attraversò il volto.
Cercò
poi di colpirlo con un pugno e lui glielo strinse in una mano, la
guardò con il capo leggermente chinato. Come se fosse davvero
disposto a combattere con lei.
Cercò
di colpirla con un calcio e Alyssa si piegò per evitarlo. Lo
colpì così alle caviglie con il piede, e lui riuscì
a schivarlo. Quando la ragazza si rimise in piedi per colpirlo con le
mani, lui la spinse a terra.
Si
ritrovò così sopra di lei, stringendole i polsi contro
il pavimento per impedirle di muoversi. Alyssa non sentiva più
nulla, mentre si disperdeva negli occhi neri di lui: l'unico rumore
che le parve udire, era quello del suo cuore che le martellava nel
petto. Una strana sensazione di calore le pervase il viso.
“Quello
che ho sentito, mi ha fatto davvero schifo, Alyssa.” disse in
un sussurro, la ragazza distolse lo sguardo, provando un profondo
senso di vergogna, unito all'imbarazzo di quella situazione. “Ma,
per una volta, hai detto quello che volevi dire e non quello che io
volessi sentirmi dire. Perciò, non ho nulla da rimproverarti.
Voglio solo che tu sappia, che Kira potrebbe uccidere me, te,
Matsuda, il sovrintendente...e tutti coloro che credono fermamente
nella giustizia. Credi che non sia giusto dargli la caccia?”
Alyssa
non rispose, si morse il labbro e tenne lo sguardo fisso sul
soffitto. Era così distruttivo per lei, deludere Elle. Ma non
poteva farci nulla, aveva mille dubbi per la testa e non poteva
tenerli assopiti a lungo. Eppure, lui era comunque riuscito ad
arrivarci.
Il
ragazzo si alzò in piedi, le porse la mano per aiutarla e lei
la prese saldamente. “Io so quanto hai sofferto, Aly. Ma
voglio che tu sappia una cosa: non serve Kira a proteggerti.”
aggiunse ancora Elle, evitando il suo sguardo come se cercasse di
nascondere dell'altro. “Basto solo io a farlo.”
Alyssa
non poté credere a quelle parole, la sua mano restò in
quella di Elle e lo guardò con aria distratta, per cercare di
dare un vero senso a quella frase. Che le fece battere il cuore.”
Il
cellulare di Alyssa interruppe quella strana atmosfera che si era
creata, la ragazza lo prese dalla tasca e lesse il messaggio che le
era appena arrivato. “È di Light” disse al
detective “Dice che deve giocare una partitella di tennis
contro un certo Ryuga e vorrebbe che andassi a vederla.”
Alzò
lo sguardo su Elle che sospirò amareggiato. “Credo che
tu debba partecipare per forza, allora.” disse. “Ma, mi
raccomando, fai attenzione a chi tifi.”
Alyssa
sedette sugli spalti vicino al campo da tennis, in modo che potesse
vedere la sfida senza troppe difficoltà. All'inizio era sola,
ma pian piano la gente iniziò a riempire le varie file.
Erano
sopratutto ragazze, accorse a vedere il più bello
dell'università che si scontrava con il suo rivale. Scoprì
così che anche Elle, alias Ryuga, aveva le sue fans.
Una
di loro, una ragazza con un caschetto nero che aveva detto alla
cerimonia di trovarlo carino, sembrava particolarmente attratta da
lui.
“Devo
dirglielo, che ha un fanclub!” pensò tra sé e sé.
Vide
i due ragazzi raggiungere il campo, Light indossava abiti sportivi
mentre Elle aveva addosso sempre la sua solita maglietta e il suo
solito jeans. Come avrebbe fatto a fare certi movimenti con i jeans
indosso, lei non lo sapeva. Li vide parlarsi e poi mettersi nelle
loro rispettive metà campo, il gioco ebbe subito inizio e un
punto andò ad Elle. Si muoveva con maestria e eleganza, Alyssa
lo aveva visto giocare solo una volta e non ci aveva mai fatto caso,
come quel giorno.
La
partita andò avanti, con continui pareggi che sembravano non
finire.
Ad
un certo punto, la partita sembrò ferma. La pallina non si
fermò più e continuo a balzare ripetutamente dal campo
di Elle, a quello di Light. Sembrava che nessuno dei due volesse
lasciar vincere l'altro, Elle sembrò aver avuto la conferma
che Light era davvero uno che odiava perdere.
Come
Kira.
Alla
fine, Elle lasciò vincere Light. Alyssa lo capì, perchè
vedeva il detective stanco e provato da quella tremenda partita. E lo
stesso valeva per Light.
La
gente che si era radunata, ed era parecchia per una partitella tra
due studenti, iniziò a battere le mani e a parlare tra loro.
Alyssa li raggiunse, i due sembravano due pezze zuppe di sudore.
“Bravo
Light, bellissima partita!” disse, avvicinandosi a lui.
Lanciò
un occhiata ad Elle, che si stava asciugando i capelli bagnati dal
sudore. Evitava di guardarla, per mantenere il distacco che vigeva
tra loro. “Grazie Alyssa, ho vinto per pura fortuna. Ryuga
sembra un asso del tennis.” rispose lui, sorridendole
calorosamente.
“Ho
vinto diversi premi in Inghilterra!” rispose Elle, sedendosi
sulla panchina.
Alyssa
lo guardò, voleva dirgli qualcosa, perchè non riusciva
ad essere così fredda con lui. “Infatti sei molto bravo,
volevo farti i miei complimenti!” disse.
Elle
prese una bottiglietta d'acqua dalla sua borsa e le lanciò
un'occhiata veloce. “Ti ringrazio.”
Alyssa
non disse nient'altro. Ad un certo punto, le arrivò un
messaggio: era da parte di Watari, le diceva di raggiungere il
sovrintendente Yagami, per far sì che Elle e Light restassero
soli.
A
parlare del caso.
“Chi
è?” le chiese Light, prendendo anche lui una
bottiglietta d'acqua.
Alyssa
alzò lo sguardo su di lui, disorientata. Elle teneva il capo
chino, facendo finta di nulla.
“Nulla,
è una mia amica. Dovevo uscire con lei e me ne sono
dimenticata. Ci vediamo ragazzi.” disse, Light la salutò
posandole una mano sulla spalla.
E
lei li lasciò soli, con la preoccupazione di ciò che
sarebbe potuto accadere ad Elle.
Alyssa
raggiunse Yagami, presso l'ufficio del direttore generale Takimura.
Da come aveva capito, i due non avevano avuto una chiacchierata
pacifica, per via della stretta collaborazione professionale che
legava una parte del dipartimento di polizia con Elle.
La
ragazza non lo aveva mai visto così arrabbiato, era pallido in
viso e con gli occhi infossati. Il caso Kira sembrava lo stesse
deteriorando, in effetti, andava a dormire solo se costretto da lei
ed Elle. Altrimenti sarebbe rimasto a lavorare per tutta la notte.
In
quel momento si trovavano entrambi in macchina, Yagami guidava e lei
guardava fuori dal finestrino con aria pensierosa. Si stava
chiedendo, come stesse andando tra Elle e Light, era preoccupata che
potesse succedere qualcosa al detective, da un momento all'altro,
dopo la sua uscita allo scoperto.
“A
che pensi?” le chiese Yagami, sembrava che volesse distrarsi
per sbollire l'arrabbiatura. E, da bravo poliziotto, sapeva che il
modo migliore era parlare di un altro argomento, che non riguardasse
quello che aveva fatto esplodere la rabbia.
Alyssa
fece spallucce. “Nulla di che, mi stavo chiedendo quando questo
benedetto caso Kira sarà terminato.” rispose, tornò
a guardare la strada e l'auto si fermò ad un semaforo.
“A
chi lo dici, anche io vorrei chiudere quel bastardo in galera, il
prima possibile.” rispose l'uomo.
“Non
so da quanto, non ceno insieme alla mia famiglia.”
“So
cosa si prova.” disse Alyssa girando la testa verso di lui.
“Io, Ryuzaki e Watari non sappiamo nemmeno cosa sia una cena
tutti e tre insieme. Ryuzaki lavora di continuo, finito un caso, ne
comincia un altro. Watari è sempre in giro con il suo
travestimento e io li seguo entrambi senza fiatare.”
Calò
un lungo silenzio, rotto poi dalla risata di Yagami. L'auto ripartì,
appena scattò il verde e Alyssa cercò di decifrare
quello strani scoppio di divertimento. “Perchè ride?”
gli chiese.
“Perchè,
non mi aspettavo che consideravi Ryuzaki e Watari come la tua
famiglia,,,”
La
ragazza restò in silenzio, in realtà nemmeno si era
accorta di aver parlato di loro come della sua famiglia. Le era
venuto spontaneo parlare in quel modo, in fondo loro due erano state
le uniche persone che non l'avevano mai abbandonata. Elle,
sopratutto, aveva riposto così tanta fiducia in lei, da
sceglierla come sua “collega” durante i suoi casi.
Avrebbe
potuto scegliere persone più qualificate, ma invece aveva
preso lei.
E
come lo stava ripagando? Elogiando Kira. Si sentì di nuovo
piccola come un insetto.
“Beh,
Watari mi ha vista nascere e conosco Elle da quando ho quattro
anni...credo che li possa davvero definire come la mia famiglia.
Quella che mi lega con il sangue, mi ha abbandonata, perciò
non si offenderà nessuno.” spiegò, si sforzò
di sorridere ma il dolore prese facilmente largo sul suo viso.
Ricordare l'abbandono, anche se non aveva presente alcun viso dei
suoi familiari, le arrecava sempre un grande rammarico.
Yagami
se ne accorse, perchè la ragazza era, in certi casi, un libro
aperto. “I tuoi genitori sono morti?” le chiese
curiosamente.
“Per
quanto ne so mio padre, sì. Mia madre può anche
darsi...Watari mi ha solo detto che aveva a malapena sedici anni
quando mi ha messa al mondo. Non mi ha nemmeno presa in braccio
appena nata, che già mi aveva lasciata. Non mi sono nemmeno
presa la briga di cercarla per tutta la Russia, non m'importa.”
Yagami
guardò fisso la strada e non disse nulla, all'improvviso la
ragazza lo sentì gemere di dolore. Si era portato una mano al
petto e aveva un'espressione dolorante sul viso. “Signor
Yagami?” chiese lei preoccupata. L'uomo lanciò un
piccolo grido di dolore e si riversò sul volante.
Alyssa
imprecò e prese il voltante prima che fosse troppo tardi, ma
non riuscì ad evitare che la macchina andasse fuori strada.
Yagami
stava bene, aveva solo avuto un lieve infarto dovuto alla stanchezza
e qualche livido causato invece dall'incidente. Alyssa si era
rimediata solo un bernoccolo in fronte e, dopo aver avvisato Elle
dell'accaduto, si fece portare a casa, contro il volere dei medici,
per non incontrarsi con Light. Sarebbe stato difficile spiegargli,
perchè era in auto con suo padre.
In
quel momento, la ragazza si trovava da sola, seduta sul letto della
sua camera, a fissare il vuoto. Per un attimo, aveva pensato di
morire insieme al sovrintendente. Ma non per via dell'incidente, alla
fine la macchina si era fermata contro un albero fortunatamente,
bensì per via di Kira: quell'assassino non guardava in faccia
a nessuno e, se fosse risalito a loro, li avrebbe uccisi pur di non
farsi mettere i bastoni tra le ruote. Elle aveva pienamente ragione,
era una stupida.
La
porta della sua stanza si spalancò ed Elle entrò, non
l'aveva mai visto camminare così rapidamente. Si fermò
di fronte a lei, con lo sguardo fisso sul cerotto che le copriva la
parte destra della fronte. “Tu stai bene?” le chiese.
Alyssa
lo guardava sorpresa. “Mi hai davvero posto questa domanda, o
il trauma della botta mi fa sentire cose strane?” chiese.
Elle
la guardò di nuovo con la sua solita freddezza. “Perchè
devi sempre fare domande così stupide?” le chiese. “Stai
bene o no?”
“Sì,
credo di sì.” rispose lei. “Yagami come sta?”
“Non
benissimo, ma nemmeno tanto male. Ha bisogno di riposarsi e di
staccare un po' la spina.” rispose Elle, si sedette accanto a
lei sul letto ed entrambi fissarono il vuoto, in preda ai loro
pensieri. Alyssa voleva anche chiedergli come avesse reagito Light a
quella notizia, ma era troppo stanca e turbata per muovere le labbra.
“Ho
pensato...che fosse stato Kira.”disse ad un certo punto lei,
quelle parole non poteva evitarle.
Elle
si voltò verso di lei, tenendosi le ginocchia strette al petto
e un dito tra le labbra. “L'ho pensato anche io, pensavo
anche...che avesse preso te.” disse.
Alyssa
lo guardò, non si era mai resa conto di quanto si preoccupasse
per lei. Kira era un nemico talmente forte e, in apparenza,
imbattibile, che Elle aveva paura potesse farle del male in qualsiasi
istante.
“Avevi
ragione Elle, Kira potrebbe davvero uccidere persone innocenti come
Yagami...o come te. Lo ha già fatto con quegli agenti
federali, che erano tutto fuorché colpevoli di qualche
crimine.” disse lei con tono grave. “Io voglio
combatterlo, non voglio che il mio passato, i miei pensieri contorti,
mi impediscano di capire cosa sia davvero giusto.”
Elle
abbassò lo sguardo. “E...hai capito cosa è
davvero giusto?” le chiese.
La
ragazza annuì, cogliendolo di sorpresa lo prese per mano e lui
sembrò evitare il suo sguardo imbarazzato. “Tu.”
rispose semplicemente. “E combatterò al tuo fianco, non
mi arrenderò più. Non ti abbandonerò mai,
Ryuzaki. Davvero.”
I
due si guardarono in un lungo interminabile silenzio, Elle non riuscì
a trattenere un sorriso. “Non hai detto quello che volevo
sentirmi dire, ma quello che realmente pensi.” disse. “Ne
sono contento.”
Alyssa
ricambiò il sorriso, lasciò la sua mano quando si rese
conto di averla stretta troppo a lungo.
“Sei
troppo bravo a capire le persone.” disse. Lui si alzò in
piedi, le posò una mano sul cerotto e tornò freddo,
come si era sempre mostrato.
“Ora
riposati, mi servi in forze almeno tu.” disse e la lasciò
sola. Alyssa lo guardò andare via, mai come allora, era stata
sicura di voler combattere per qualcosa.
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Capitolo 7 *** Fast And Furious ***
Quella
sera Alyssa non riusciva proprio a prendere sonno.
Guardò,
con angoscia, la sveglia sul suo comodino che segnava le tre del
mattino e si rizzò a sedere. Lanciò uno sguardo verso
la finestra, dove le luci di Tokyo illuminavano il cielo buio della
notte. Ormai nessun cielo sembrava avere più lo stesso
aspetto: da quando Kira si era affacciato sull'umanità, le
sembrava di vivere in un altro, nuovo e quasi spaventoso mondo.
Le
vittime non accennavano a diminuire, in tutte le parti del mondo i
criminali morivano di arresto cardiaco o di vari incidenti. Ormai,
sembrava che Kira avesse preso le redini della vite di ogni singolo
essere umano. Sbuffò, non sapeva come fare per allontanare
quei maledetti pensieri dalla sua testa. Uscì dalla stanza e
si diresse in cucina, per prendersi una bella camomilla calda. Ma non
si ritrovò sola come avrebbe pensato.
Elle
era seduto su una poltrona, con le ginocchia strette al petto. Non
stava lavorando, ma non stava nemmeno riposando come avrebbe dovuto.
Fissava
fuori dalla vetrata, come se stesse riflettendo attraverso le poche
stelle che illuminavano la notte. Alyssa si rese conto, di non averlo
mai visto realmente dormire come avrebbe dovuto.
Passava
tutto il tempo a lavorare o a mettersi a pensare come stava facendo
quel momento.
Non
lo poteva nascondere, era arrivata a preoccuparsi anche per la salute
del ragazzo.
“Non
lo sai che... si potrebbe anche morire di sonno?” gli disse,
fermandosi sulla soglia della porta. La sua voce non lo fece
sobbalzare, Elle sembrava essersi già accorto della sua
presenza “Bene, allora tu sei fuori pericolo. Sei sempre stata
una dormigliona.” disse.
Alyssa
non rispose, si avvicinò a lui e gli posò una mano tra
i capelli. Glieli accarezzò lentamente, come faceva quando
erano bambini. “Sei preoccupato per Yagami o stai solo pensando
a Kira?” gli chiese. Si rese conto troppo tardi, che quella
mano nei capelli poteva risultare un gesto dal significato diverso,
ora che erano cresciuti. Elle si ritrasse lentamente, imbarazzato
come non le avrebbe mai mostrato, e continuò a guardare un
punto fisso di fronte a lui.
“Entrambe
le cose.” disse. “Fortunatamente Yagami si riprenderà
presto, ma Kira potrebbe mostrare il suo punto debole da un momento
all'altro. Anche domani....e Yagami era uno dei migliori uomini con
cui lavoravamo in questo momento. Inoltre, mi sono reso conto di non
avere una vera pista da seguire.”
“Come
no? E Light Yagami?” Alyssa si portò i capelli da un
lato e si gettò a capofitto sopra una poltrona, incrociò
le gambe e lo guardò curiosamente. “Pensavo che
sospettassi di lui.”
“Tra
sospettare e avere prove certe, c'è di mezzo il mare.”
rispose lui, guardandola negli occhi, per la prima volta da quando
era entrata nella stanza. “E comunque, se lui è Kira,
potrei scoprirlo presto. Gli ho chiesto di unirsi alle indagini per
constatarlo.”
Alyssa
sbarrò lo sguardo, mai come in quel periodo, le decisioni di
Elle la lasciavano basita. Lo guardò, come se aspettasse che
le rivelasse fosse tutto uno scherzo, ma non era così.
“Ma
i tuoi sono lampi di genio, mascherati da demenza...o sei diventato
semplicemente scemo?” gli chiese, il detective sbuffò.
“Se lo fai lavorare con noi ed è veramente Kira, saprà
in anticipo tutto quello che scopriremo su di lui!”
“Stai
calma, non lavorerà precisamente con noi....ma ci darà
una mano. È molto intelligente il tuo amico, per un paio di
secondi mi sono pure sentito uno scemo in confronto.”
“Ok,
non voglio indagare ulteriormente sul motivo per cui hai preso questa
scelta. Ma io? Dobbiamo rivelargli che lavoro con te, se voglio
continuare ad essere attiva nel caso!” Alyssa indicò sé
stessa ed Elle le lanciò una lunga e fredda occhiata.
“Lui
non saprà di te.” disse fermamente.
“Allora
non potrò più fare tranquillamente il mio lavoro!”
La ragazza sentì che stava per perdere le staffe, era già
nervosa di suo e il detective non le era di alcun aiuto. “Spesso
penso che tu voglia farmi fuori dalle indagini, per chissà
quale motivo...”
“Sono
solo tue paranoie.”
“Non
mi pare, le stai studiando tutte per relegarmi ad un ruolo pressoché
marginale!” Lei balzò in piedi e iniziò a
torturarsi i capelli. Elle non la guardò nemmeno, come al
solito riuscì a controllarsi senza troppi problemi, a
differenza della ragazza. “Perchè lo stai facendo?”
“Non
lo sto facendo, voglio solo che, per Light, continui ad essere la sua
graziosa compagna universitaria. Niente più, il ruolo della
ragazzina con gli occhi a cuoricino ti riesce bene.”
“Tu
sei proprio un cretino.” Alyssa lo disse a denti stretti,
attirò così l'attenzione di Elle, che però non
parve per nulla colpito. Sapeva di non essere un cretino.
“Il
mio quoziente intellettivo dice il contrario.” rispose
freddamente.
“Ma
vuoi dirmi perchè stai facendo così? Il caso è
duro, va bene, ma io posso esserti di aiuto e lo sai!” esclamò
lei, s'impuntò sulle punte dei piedi, come una bambina
capricciosa. Non se ne rese nemmeno conto, ma con Elle bisognava fare
i capricci per essere ascoltati. Pensò che, se il ragazzo
avesse avuto dei figli in futuro, quei poveretti avrebbero dovuto
sempre fare così per ottenere qualcosa dal padre.
“Io
voglio solo proteggerti.” replicò Elle, dopo un lungo
momento di silenzio. La ragazza si ammutolì, chissà
perchè, ma quelle parole le creavano sempre un effetto assurdo
e incomprensibile.
“Beh,
anche io vorrei proteggerti.” rispose. “Ma questo non ti
ha impedito di mettere la tua faccia in questo caso, rischiando di
farti ammazzare.”
Elle
non disse nulla, oramai era arrivato il punto in cui lui non avrebbe
più risposto ad alcuna delle sue domande o frecciatine
pungenti. Sarebbe rimasto in silenzio, perchè si era reso
conto di aver detto anche più del dovuto. Ma Alyssa non aveva
mai capito, quell'evolversi delle loro chiacchierate e sbottava con
rabbia, senza rendersene conto.
Come
fece in quel momento.
“La
verità, Ryuzaki, è che a te non importa nulla di
proteggere né te stesso, né tanto meno me.”
disse, stringendosi le braccia al petto. “Mettendoti in gioco
in questo modo, hai messo in pericolo anche me e Watari. Tu vuoi solo
fermare Kira, chi ci rimette la pelle non è un problema. E se
provi che Kira è Light, tanto meglio, vero?”
Elle
non le diede alcuna risposta, ascoltò i suoi passi
allontanarsi e si tenne tutti i suoi pensieri per sé. Quella
sera però, non riuscì a tenerseli fino alla fine. “La
cretina sei tu.” disse, prima che Alyssa si chiudesse la porta
alle spalle. Lei restò immobile, con la mano sulla maniglia e
lo sguardo rivolto davanti a sé. “Inizio a pensare che
tu non sia adatta per questo lavoro. Non riesci a capire veramente le
persone che ti stanno attorno, ecco perchè hai sempre bisogno
di essere protetta. Sei una mocciosa ingenua.”
Alyssa
non disse nulla, si sentì ferita ma non poteva in alcun modo
replicare. Si allontanò in silenzio ed era sicura che non le
bastava più una camomilla per dormire.
“Accendete
sulla Sakura TV!”
Watari
fece irruzione nella stanza, dove Elle e i poliziotti stavano
studiando altre morti per mano di Kira. Alyssa, che stava distesa su
un divanetto in segno di sfida ad Elle, scattò in piedi e
accese il televisore. Non aveva mai visto Watari così
preoccupato, doveva essere davvero una cosa seria.
E
infatti, il canale stava trasmettendo uno speciale su Kira. Come al
solito, ne trasmettevano uno ogni giorno a quell'ora.
“Informo
i gentili telespettatori che questa non è una messinscena.
Siamo stati presi in ostaggio da Kira.” disse il presentatore,
parlava nello studio televisivo, ma con il volto oscurato per
difendersi dal potere di Kira.
“Dev'essere
una bufala, quel ciccione di Demegawa, riempe il canale di speciali
su Kira per alzare l'audience.” disse Matsuda.
“Questo
anche perchè voi date loro materiale di Kira su cui
parlare....” lo rimproverò nervosamente la ragazza.
Aizawa le diede una rispostaccia che avrebbe sicuramente portato ad
un a discussione tra i due. Bastò che Elle alzasse la mano,
per riportare il silenzio dentro la stanza. Il presentatore, per
provare che quella situazione era davvero così critica, diede
la prova ai telespettatori che tutto quello che stava accadendo era
reale: Kira aveva anticipato la morte di due carcerati che erano
morti quel pomeriggio e aveva ordinato di mandare il primo messaggio
alle 18.00 precise. L'immagine del presentatore, oscurata dal buio,
venne sostituita da uno sfondo bianco, arrecante la scritta Kira con
gli stessi caratteri che usava Elle.
Un
chiaro e palpabile segno di sfida.
“Sono
Kira.” esordì una voce fuoricampo, dal suono metallico.
“Se questo messaggio è stato mandato alle 18.00, ora
dovrebbero essere le sei e sette,otto, nove secondi...”
“Non
può essere davvero lui!” esclamò Ukita.
Alyssa
la pensava allo stesso modo, Kira si era sempre mostrato un tipo
“riservato”, restio a farsi sentire e vedere in
televisione. La prova stava nel fatto, che aveva ucciso Taylor da
presentatore e non da protagonista. Doveva esserci qualcosa sotto...
La
ragazza guardò Elle, studiò la sua espressione
concentrata e cercò di capire, cosa gli passasse per la mente.
“Per
darvi un ulteriore prova che non sto mentendo, cambiate canale su
Taiyo tv. Il presentatore Tore Kazuhiko Hibima morirà di
arresto alle sei e un minuto.”
Alyssa
prese al volo il telecomando e cambiò sul canale nominato da
Kira, sullo schermo apparve un altro studio televisivo: un uomo era
accasciato sopra la scrivania, sotto lo sguardo incredulo delle due
giornaliste che lo affiancavano.
Nella
loro stanza calò un terrificante silenzio e Elle ordinò
a Watari di portargli altri televisori. “Ritorna alla Sakura
Tv.” ordinò poi ad Alyssa, la ragazza obbedì
prontamente.
“Questa
è la sua punizione per avermi definito un assassino. Ma questo
non basta a confermarvi che sono realmente Kira, perciò
ucciderò altri presentatori che hanno avuto la sfrontatezza di
definirmi un criminale o addirittura di sostenere che non sono altro
che un invenzione.”
Kira
disse altri nomi, di altri noti presentatori delle televisioni
locali, Alyssa cambiava rapidamente canale e, ogni volta, un nuovo
cadavere ben vestito appariva di fronte agli schermi.
Il
nemico aggiunse inoltre, che chiunque si fosse avvicinato alla porta
d'entrata della sede di quell'emittente televisiva, sarebbe stato
ucciso.
“Bastardo...”
sussurrò Elle portandosi un dito tra le labbra. Gli agenti si
guardarono un attimo nel pallone, Alyssa pensò che, facendo
interrompere il programma, forse sarebbero riusciti a risolvere la
situazione. Ma appena digitò il numero della Sakura Tv, la
linea risultò occupata.
“Non
risponde nessuno...” sussurrò, quando sentì lo
sguardo dei suoi colleghi su di sé.
Non
si sarebbe stupita, se Demegawa avesse fatto alzare tutti i telefoni
apposta.
“Ci
penso io.” Ukita si fiondò, coraggiosamente, fuori dalla
porta. Forse voleva sfruttare la sua posizione da poliziotto, per far
smettere il programma. I tentativi di Aizawa e Matsuda di fermarlo,
furono vani.
“Con
questo video, voglio lanciare un messaggio alla polizia: non vi
considero nemici, ma miei alleati.” continuò Kira.
Alyssa si portò le mani tra i capelli, voleva solo non sentire
più quella voce e che quella situazione giungesse al più
presto a termine. Andò a sedersi accanto ad Elle, nessuno
osava interrompere i suoi pensieri: il ragazzo fissava lo schermo con
aria concentrata, probabilmente chiedendosi cos'era meglio fare. Era
certo però, che non si era mai trovato così tanto in
difficoltà.
“Vi
chiedo così di collaborare con me, se accetterete il mio
invito, mandate un video messaggio a questa emittente.”
continuò a dire Kira.
“Lavorare
con lui?! Questo è davvero pazzo!”esclamò
indignato Matsuda.
“Ma
voglio che sia Elle a farsi vedere in video.” continuò
Kira.
A
quel punto, Alyssa scattò in piedi “Che cosa?!”
esclamò. Non riusciva a credere che Kira fosse arrivato a
proporre una cosa del genere, doveva per forza esserci qualche
motivazione sotto.
Guardò
Elle, non era così stupido da accettare una proposta simile,
ma era comunque così pazzo da poterla anche solo prendere in
considerazione.
“Perchè
vuole vederti in video? Tanto non conosce il tuo nome e non può
far nulla, vero Ryuzaki?” domandò Matsuda, mentre il suo
collega Aizawa cercava di contattare Ukita. Erano tutti così
confusi e fuori di testa, che si erano dimenticati dell'atto semi
eroico dell'uomo.
Elle
non rispose, continuò a maciullarsi il dito tra i denti e a
fissare lo schermo. Ad un certo punto, lo scenario cambiò:
venne mostrato l'ingresso della Sakura tv, dove un uomo giaceva a
terra, apparentemente privo di vita.
Era
Ukita.
Nella
stanza calò un profondo silenzio, nessuno dei presenti
riusciva a credere all'immagine che si stagliava davanti ai loro
occhi: Kira aveva mantenuto la parola, aveva ucciso qualcuno che
aveva provato a fare irruzione. Ma non conosceva il suo nome, Ukita
utilizzava un distintivo con un nome fittizio e, anche se Kira avesse
preso informazioni dai database della polizia, non sarebbe mai
risalito al suo vero nome.
Eppure
lui era appena stato ucciso.
“Vado
da lui!” esclamò Aizawa sconvolto, Matsuda cercò
inutilmente di farlo ragionare, ma bastò solo una frase di
Elle a fermare l'uomo dei suoi intenti.
“Aizawa,
la prego, non lasci questa stanza.” disse.
“Come?
Ukita è stato appena ucciso, Ryuzaki! E tu vuoi che ce ne
stiamo con le mani in mano?!” esclamò Aizawa con voce
dura, si era fermato a metà strada tra la porta e la poltrona
di Elle.
Alyssa
non poté che restare in silenzio e studiare l'evolversi della
situazione, ormai era rimasto Elle ad avere in mano le redini di
quello che stava accadendo.
“Non
dico questo. Dobbiamo studiare un piano per fermare tutto questo. Se
lei esce da quella stanza, farà la stessa fine di Ukita.”
disse Elle.
Aizawa
lo guardava incredulo, respirava profondamente e un espressione di
rabbia si accese sul suo volto. “Studiare un piano? Credo che
abbiamo anche studiato abbastanza...e nel modo sbagliato.”
disse furioso, si avvicinò al ragazzo e Alyssa lo tenne
d'occhio in caso decidesse di fare qualcosa di stupido. Tipo, anche
solo sfiorare Elle.
“Ci
avevi assicurato che, usando dei nomi falsi, saremmo stati immuni dal
potere di Kira! Invece non è così, un mio collega è
appena morto!”
“Parli
come se fosse colpa sua, fai solo perdere tempo!” lo rimproverò
Alyssa.
“Tu
non ti intromettere, mocciosa.” la zittì Aizawa, la
ragazza dovette contare fino a dieci per non colpirlo. Se la
situazione non fosse stata già di per sé critica, non
ci avrebbe pensato due volte a mettersi a discutere con lui. Era
normale che fosse sconvolto, ma prendersela con l'unica persona
capace di fermare Kira, era assurdo.
“Lo
so e mi dispiace. Ma dobbiamo continuare ad elaborare un piano da
qui, perciò di sieda.” continuò Elle, sempre
fissando lo schermo. A quel punto, Aizawa lo prese per il colletto
della maglietta e lo strattonò.
“Aizawa,
calmati!” esclamò Matsuda, sorpreso da quel suo gesto.
Alyssa strinse i pugni, riprese a contare fino a dieci, ma sapeva che
non le sarebbe bastata nemmeno una scaletta fino a mille.
“Ukita
è sulla tua coscienza, Ryuzaki. È morto, perchè
non hai fatto bene i tuoi calcoli!” diceva il poliziotto. “E
ora, vuoi impedirmi di correre là a soccorrere un mio collega?
Ma non eri tu il primo, a voler rischiare la vita per questo caso?!”
Le
parole di Aizawa gli morirono in gola, quando sentì la punta
fredda di una pistola sulla sua fronte. Alzò lo sguardo e vide
il sguardo freddo di Alyssa mentre teneva saldamente l'arma contro di
lui.
Matsuda
si sentiva come un bambino disperso. “Ragazzi, ora state dando
tutti fuori di testa!” esclamò.
“Aly,
calmati.” le disse Elle con tono pacato.
Ma
la ragazza non lo ascoltò nemmeno. “Lascialo andare, o
ti ammazzo io al posto di Kira.” disse, lentamente e con una
freddezza che non la contraddistingueva.
Aizawa
la guardò in malo modo, il suo sguardo cadde poi su di Elle:
non si era accorto di quanto stesse tremando, per la rabbia, ma anche
per il dolore di sentire il peso di una morte sulla coscienza. Alyssa
abbassò la pistola, sentì il cellulare vibrarle nella
tasca dei jeans e lo afferrò prontamente.
“Non
voglio altri morti sulla coscienza, perciò si sieda, Aizawa.
Ho bisogno del vostro aiuto per fermare tutto questo.” stava
dicendo Elle.
Alyssa
lesse più volte il messaggio che le era arrivato, approfittò
delle domande di Matsuda e dei sospironi di Aizawa, per lasciare la
stanza.
Alyssa
raggiunse l'ospedale, si diresse verso il retro dell'edificio e vide
Soichiro Yagami attenderla vicino all'uscita dall'obitorio. Era
visibilmente affaticato e stanco, non si era ancora ripreso per bene
dal recente infarto, che già era pronto a rimettersi
all'azione.
“Non
poteva scegliere un punto d'incontro meno...macabro?” gli
chiese la ragazza appena lo raggiunse, stava cercando di essere
simpatica per non pensare alla valanga di problemi che si erano
abbattuti sulla sua mente. Yagami respirava a fatica, si teneva una
giacca sulle spalle per ripararsi dal freddo che lo attanagliava.
Alyssa temette che potesse accasciarsi da un momento all'altro.
“Ho
visto Ukita morire...” disse l'uomo.
Alyssa
sospirò, si portò le mani sui fianchi e annuì.
“Quel bastardo di Kira va assolutamente fermato.” disse.
“Ma perchè ha mandato a me quel messaggio, invece che ad
uno dei suoi uomini?”
Lo
guardò con aria interrogativa, avrebbe potuto contattare
Matsuda, Aizawa o anche Mogi e invece aveva deciso di chiamare lei.
Ma perchè?
Lui
sorrise. “Perchè sei folle abbastanza da voler aiutarmi
a fare irruzione. Sei l'unica che avrebbe accettato...”
rispose.
“Che
soddisfazione...” ridacchiò Alyssa, si guardò
attorno: la zona era completamente vuota. “Ha qualche idea?”
“No,
tu sei più fantasiosa di me. Pensaci, ragazzina.”
La
ragazza tornò a guardarsi attorno, non aveva alcuna idea di
come dare vita ad un folle piano simile. Finché non scorse una
fila di ambulanze parcheggiate in fondo alla strada.
E
un sorrisetto furbo le attraversò il viso. “Ha mai
visto...il film fast & furious?” gli chiese.
Rubare
una di quelle ambulanze non fu difficile, le bastò un po' di
manualità e una forcina per capelli. Yagami le ricordò
che una detective non doveva fare certe cose, alimentando così
il già forte senso di colpa.
“In
questo caso, faccio finta di non esserlo...” rispose lei,
appena riuscì ad aprire lo sportello. “E poi, l'ho fatto
solo due volte in tutta la mia vita...che c'è di male?!”
Pochi
secondi dopo, l'ambulanza sfrecciava a tutte velocità sulle
strade di Tokyo, con le sirene accese in modo che le corsie venissero
prontamente liberate al loro passaggio.
“Mettiti
questo in testa.” disse Yagami, posandole un panno ospedaliero,
fortunatamente pulito, sopra la testa.. “Così Kira non
ti vedrà in volto...”
“Grazie
per avermelo ricordato, mi ero dimenticata che ormai quel verme può
uccidere senza sapere in nostri nomi...” rispose, in quel
momento il suo cellulare squillò. Lesse sullo schermo la
scritta “numero sconosciuto” e capì che Elle si
era accorto della sua improvvisa sparizione.
“Se
è Ryuzaki, non rispondere. Gli spiegheremo tutto dopo...”
le disse Yagami.
Alyssa
non sopportava preoccuparlo così inutilmente, ma il loro piano
poteva realmente funzionare. Sapeva che poi lo avrebbe fatto
arrabbiare, ma non poteva più tirarsi indietro ormai.
“Li
saluteremo con la manina, appena arriveremo!” ridacchiò,
rifiutando la chiamata.
Intanto
l'ingresso della Sakura tv si fece sempre più vicino, Alyssa
premette il piede sull'acceleratore e, in un secondo, il veicolo si
schiantò contro l'ingresso: la vetrata andò in frantumi
e i due vennero sballottati da un lato e dall'altro. Il finestrino di
Alyssa si ruppe e la ragazza riuscì a trovare la costanza
necessaria per fermarsi prima di investire il poliziotto di guardia.
L'adrenalina
della corsa venne sostituita da un profondo senso di disorientamento
e un forte dolore al braccio. La ragazza abbassò lo sguardo e
vide del sangue macchiarle la manica che copriva il braccio destro.
Doveva essersi ferita nell'impatto, quando il finestrino si era rotto
in mille pezzi.
“Su,
andiamo!” la chiamò Yagami, balzando giù dal
veicolo, come se non avesse mai avuto un infarto.
“Sì,
arrivo.” sussurrò Alyssa, gemendo di dolore. Prese una
pezza dal cassetto delle emergenze e si bendò la profonda
ferita, il minimo indispensabile, affinché il sangue non
uscisse troppo.
Si
avvicinarono al poliziotto di guardia, che era rimasto sorpreso e
“traumatizzato” dalla loro entrata in scena. Si fecero
dire dove si trovasse lo studio dove veniva trasmesso il programma su
Kira. Yagami impugnò la pistola, ma non per minacciare quel
povero uomo, bensì quel porco di Demegawa, che non avrebbe
fermato i video così facilmente.
La
guardia glielo indicò, era lo studio numero otto e si trovava
al penultimo piano dell'edificio.
I
due iniziarono a correre, più veloce che poterono. Yagami però
era stanco e affaticato e Alyssa si teneva il braccio ferito con una
mano, le bruciava e ogni tanto lasciava gocce di sangue dietro di sé.
Appena giunsero allo studio indicatogli, trovarono la porta chiusa.
Yagami
forzò più volte il pomello, ma era tutto inutile: la
porta era sigillata e lui era troppo fisicamente provato, per poter
sperare di aprirla così facilmente.
Alyssa
fissò la porta scura di fronte a loro, non voleva arrendersi
proprio quando erano arrivati a destinazione. “Si sposti.”
disse a Yagami, toccandogli la spalla delicatamente. L'uomo annuì
e Alyssa impiegò tutte le sue forze, per sfondare la porta con
un calcio. Non ci riuscì al primo colpo, ma al terzo sì.
Si
ritrovarono addosso gli occhi di diverse persone, la voce camuffata
di Kira faceva da sottofondo al loro silenzio. Videro subito
Demegawa, che sembrava più irritato, che preoccupato
dall'irruzione di quei due nel suo studio. Sapeva cosa stava per
succedere e, interrompere il servizio favorendo così il calo
di audience, doveva essere un puro colpo per lui.
Alyssa
si aspettò che si mettesse a frignare come un bambino,
affinché loro non gli chiedessero di interrompere il
programma.
“Game
Over, Demegawa. Questa volta avete davvero esagerato.” disse
Alyssa, mentre l'uomo li osservava con occhi sbarrati.
“Chi
siete? Che volete?” disse, con voce tremante.
Alyssa
e Yagami si guardarono, l'uomo sembrava sul punto di cadere giù
a terra ma qualcosa lo faceva resistere: il desiderio di “fregare”
Kira.
“Poche
domande, interrompa subito la trasmissione!” ordinò la
ragazza.
“Ma
se lo facciamo, Kira ci uccide tutti!” esclamò Demegawa,
stava davvero per mettersi a frignare come un grasso bambino che
vuole il suo gelato.
Yagami
perse la pazienza, gli puntò la pistola contro e lui iniziò
a tremare come una foglia e a sudare freddo. “Potrei ucciderti
prima io, se non lo fai.”
A
quel punto, l'uomo obbedì. Yagami richiese anche i video che
Kira aveva loro inviato, promettendogli che li avrebbero riavuti una
volta esaminati. Non li avrebbero più mandati in onda, era
solo una scusa che Yagami aveva usato per farseli dare senza troppi
problemi. Demegawa cercò lo stesso di fregarli, senza dar loro
i video modificati e che erano stati mandati in onda.
“Ehi,
furbacchione...dacci anche i video modificati o ti sparo in quell
grosso promontorio che chiami pancia!” lo minacciò
Alyssa e Demegawa non poté che obbedire.
Quando
i due lasciarono lo studio, si fermarono per qualche istante sulla
scalinata. Yagami appoggiò la schiena sul muro, prendendo
lunghi e profondi respiri. Tutto quel trambusto non aveva fatto bene
al suo già provato cuore.
“Problema:
ora come usciamo? Se Kira ci vede, ci ammazza sicuramente!”
esclamò Alyssa, tenendosi il braccio sanguinante. Il dolore si
fece più intenso e iniziò anche a girarle la testa,
aveva perso troppo sangue.
Yagami
scosse la testa. “Non lo so, l'ambulanza l'hai distrutta....”
le ricordò.
“Se
non la distruggevo, non saremmo mai entrati e quel ciccione si
starebbe godendo l'alzarsi dell'audience....” rispose lei.
Il
suo telefono iniziò a squillare. Era Elle, gli doveva molte
spiegazioni, dopo avergli praticamente chiuso in faccia il telefono.
“Qui
l'A-team, con chi ho l'onore di parlare?” chiese, sforzandosi
di risultare simpatica, nonostante il dolore lancinante che la stava
affliggendo.
“Stavo
guardando la televisione, quando all'improvviso, un'ambulanza si è
schiantata contro l'ingresso della Sakura tv. Non so perchè,
ma ho pensato subito che tu c'entrassi qualcosa. Povera pazza.”
disse la voce fredda del ragazzo.
Alyssa
rise. “Anche Yagami era con me.” precisò. “Ma
non sappiamo come uscire, un aiutino?”
“A
differenza tua, io penso prima di agire....uscite, troverete una
sorpresina.” disse Elle.
Alyssa
corrugò la fronte confusa, prese poi Yagami sotto braccio e
gli disse che Ryuzaki aveva trovato un modo per tirarli fuori da
quella situazione.
“Mi
chiedo cosa tu ti sia inventato...”
Alyssa
restò per un attimo immobile, vide Watari davanti
all'ingresso, che teneva lo sportello di una limousine aperto.
Sorrideva e indicava loro di entrare.
Attorno
a loro, diversi veicoli di poliziotti e uomini in divisa, con il
volto coperto da dei caschi, li circondavano. Kira non avrebbe mai
potuto vedere i loro volti e sarebbero stati salvi.
Una
voce al megafono, diceva loro che ormai erano salvi.
Alyssa
non poté non stupirsi del genio di Elle, in sedici anni che lo
conosceva, riusciva sempre a sorprenderla. “Mi congratulo con
tutti e due, avete fatto un ottimo lavoro.” disse Elle,
all'orecchio della collega. Alyssa si lasciò andare ad un
sorriso vittorioso, sentì la linea del telefono chiudersi e
condusse Yagami alla macchina. Lo fece accomodare prima di lei.
“Il
merito è tutto suo. Lei è un eroe, signor Yagami.”
disse e la limousine sfrecciò via.
Alyssa
si rifiutò di andare in ospedale.
Dopo
aver spedito a casa Yagami, che era più che stanco, e i suoi
colleghi, Watari iniziò a medicarle la brutta ferita al
braccio. La ragazza gemeva di dolore, ma riusciva lo stesso a
lanciare un occhiata ad Elle, che stava osservando i video di Kira.
Non aveva idea di cosa stesse pensando, ma da come fissava gli
schermi, era chiaro che stava elaborando una sua teoria al riguardo.
“Giochi
a troppi videogames, lo sai questo?” le disse Watari,
ridacchiando sotto i grandi baffi bianchi. Alyssa sorrise “Beh,
in questo caso i videogames sono stati molto utili, no? Dovrebbero
farci giocare i bambini più spesso, potrebbero trovarsi in una
situazione simile alla mia, da grandi!” rispose.
Watari
rise di nuovo, quando finì di medicarle la ferita, le
scompigliò i capelli e tornò in piedi. “Devo fare
alcune telefonate, mi raccomando vai a riposarti dopo, Aly.” le
disse, con premura. Era sempre stato così, fin da quando lei
era bambina: le scompigliava i capelli corvini e la invitava ad
essere più attenta. La giovane annuì, lanciò poi
un occhiata ad Elle che, pochi istanti dopo, terminò quella
lunga serie di video.
“C'erano
due messaggi di Kira: uno in caso avessimo accettato di collaborare
con lui e un altro in caso avessimo rifiutato...ma dicono entrambi la
stessa cosa, più o meno.”
Sembrava
arrabbiato con lei, o forse no. Alyssa non riusciva a capirlo,
guardandolo di spalle.
“Sai
come la penso io?” disse, per rompere il silenzio. “Che
questo sia un altro Kira.”
Elle
si voltò sorpreso verso di lei, la scrutò attentamente
e attese che continuasse a parlare.
La
ragazza distolse lo sguardo. “Kira avrebbe dovuto indire questa
“cerimonia” all'inizio delle sue azioni, non adesso. Si è
sempre rivelato parecchio riservato, quindi perchè ora
esplodere così? E perchè uccidere dei giornalisti di
gossip?”
“Vuoi
dire...che questo secondo Kira è una donna?” chiese lui.
La
ragazza alzò le spalle. “Boh.” disse, non era
sicura di quello che sosteneva. Erano solo pensieri che aveva avuto,
vivendo una situazione simile. “Tu che ne pensi?”
Il
ragazzo non rispose, si alzò in piedi e fece per allontanarsi.
“Ne parliamo domani. Ora devi solo dormire, se non vuoi cadere
a terra da un momento all'altro.” rispose.
Da
quando era tornata, non aveva detto nulla riguardo all'impresa di
quel pomeriggio. Forse, il fatto che gli aveva disobbedito, lo
bloccava dal farle almeno un complimento?
“A
proposito, Aly.” La sua voce arrivò da lei, rompendo il
silenzio che si era creato attorno a loro. Proprio quando aveva perso
la speranza di poter sentire qualche buona parola da lui, ecco che
Elle la sorprendeva. “Sei la migliore, sono davvero fiero di
te.”
Alyssa
restò senza parole, fissò le sue spalle curve e sentì
un sorriso allungarsi sulle sue labbra. Non lo aveva mai sentito dire
parole del genere, per una volta, era sicuro di averlo davvero reso
orgoglioso di una sua azione. “No, il migliore sei tu.”
rispose lei.
Restarono
poi in silenzio, Alyssa non poté vederlo, ma Elle stava
sorridendo.
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Capitolo 8 *** Shot In The Dark ***
Alyssa
non ci credeva, ma Elle ci aveva preso ancora.
Le
erano stati appena inviati i risultati della scientifica, riguardo le
buste e le cassette che il secondo Kira aveva inviato alla sede della
Sakura tv e le impronte e le ciglia ritrovate corrispondevano ad un
dna femminile. Perciò, il secondo Kira era una donna e, molto
probabilmente, era una grandissima fan dell'unico vero Kira.
Ma
con un potere più vasto, aveva ucciso Ukita senza conoscerne
il nome.
Nonostante
il pressante desiderio di correre subito da Elle e rivelargli ciò
che la scientifica aveva scoperto, o meglio che lui aveva già
capito molto prima, Alyssa era costretta ad aspettare dentro la sua
auto. Elle era riuscito a convincere Light ad inviare un messaggio
registrato al secondo Kira, per indurlo a smetterla di compiere
omicidi al suo posto. Era una cosa che avrebbe potuto fare anche lei,
o chiunque altro. Ma Elle aveva scelto Light, facendo leva sul fatto
che il ragazzo si fosse offerto per collaborare alle indagini.
In
realtà il detective ormai non sospettava più, era
convinto che Light fosse Kira e stava testando ogni occasione
possibile, per verificarlo. Alyssa decise di ammazzare il tempo
andando in pasticceria, il frigo era ghiotto di dolci e lei sapeva
quanto potesse diventare irritabile Elle se non mangiava qualcosa di
zuccherato e calorico.
E
per irritabile, s'intendeva più apatico del solito.
Circa
un'ora dopo, Matsuda le inviò un messaggio per avvisarla che
poteva rientrare al quartier generale e la ragazza non perse un
minuto di più. Da quel che aveva capito, ci sarebbe stato uno
scambio di messaggi tra Light in versione Kira e la donna che agiva
come il secondo Kira. Aveva paura solo al pensiero di quello che
avrebbe potuto sentire in quei video.
“Chi
vuole dei biscotti?” disse appena entrò nella stanza,
con un sorriso radioso sulle labbra.
Colse
però l'atmosfera sbagliata, tutti si voltarono verso di lei e
la guardarono con aria turbata.
Si
sentì come se aveva appena interrotto una veglia funebre,
contò le teste dei presenti nella stanza per accertarsi che
non ci fosse scappato un altro morto.
Il
primo che cercò con lo sguardo fu ovviamente Elle, seduto
sulla sua poltrona rivolta con le spalle verso la porta d'ingresso.
Non riusciva a vederlo in viso, ma la sua postura era più
curva del solito.
Alyssa
si chiuse la porta alle spalle, la stanza era sempre stata buia, ma
quel giorno lo sembrava più del solito. “Cos'è
successo, da quando me ne sono andata? Abbiamo i risultati della
scientifica, gioite!” disse poi, ma non riuscì proprio a
sorridere. Cercava di capire cosa stesse succedendo, ma non avrebbe
trovato la risposta nei volti cupi dei suoi colleghi.
“Abbiamo
appena ascoltato un messaggio di risposta del secondo Kira...”
disse Yagami, il più turbato di tutti. Non si era ancora
ripreso da tutta l'adrenalina vissuta nell' ”assalto”
alla Sakura Tv, ma nessuno era riuscito a distoglierlo dal suo
intento di non restarsene a casa a riposo.
“Beh,
che ha detto? Sono una sgualdrina con manie di grandezza?”
ridacchiò lei, lasciò la busta di dolciumi sul tavolo e
si avvicinò ad Elle. Perse la voglia di scherzare quando vide
il volto del ragazzo: sembrava sconvolto. Anche se la sua espressione
era sempre la stessa, Alyssa riuscì a capire che qualcosa lo
aveva davvero scosso.
“Oh
dio...Ryuzaki!” disse, si chinò di fronte a lui e gli
cinse le spalle. Elle evitò il suo sguardo, forse per orgoglio
o forse perchè era troppo provato da qualcosa che lei ancora
non sapeva. Non sopportava di vederlo così. “Mi dite che
caspita è successo?”
Guardò
i poliziotti attorno a loro, Aizawa si schiarì la voce. “Il
secondo Kira ha parlato dell'esistenza degli shinigami, di qualcosa
riguardante gli occhi e altre diavolerie varie....” disse.
La
storia degli shinigami era già venuta fuori nei messaggi in
codice che Kira inviava ad Elle, attraversi i suoi macabri
esperimenti di morte ma né lei e né tanto meno il
detective avevano davvero creduto che un dio della morte esistesse e
affiancasse, addirittura, Kira.
Entrambi
credevano in cose che solo la ragione umana, seguendo un ragionamento
logico, poteva spiegare. Ma un assassino che poteva uccidere in quel
modo, aveva una spiegazione logica?
No,
per questo Elle sembrava davvero sconvolto per ciò che aveva
appena sentito: stava iniziando a credere a cose a cui non avrebbe
mai dato credibilità. Alyssa si trattene dall'abbracciarlo,
non lo faceva più da quando era bambina e non aveva mai
provato di nuovo il desiderio di farlo.
Solo
allora sembrò quasi sentirne il bisogno.
“Ryuzaki,
shinigami o no, questo non cambia il fatto che potremmo essere più
vicini a Kira di quanto crediamo!” disse, quasi per incitarlo.
Ma non ne aveva molto bisogno, Elle si stava riprendendo già
molto velocemente: non era da lui cedere all'emotività troppo
a lungo, non era del tutto umano.
Gli
sventolò di fronte una busta da lettera e gliela porse.
“Prendiamo quella stronza e saremo più vicini a Kira.”
Elle
guardò la busta, la fissò per pochi secondi e poi un
mezzo sorriso gli illuminò il volto pallido. Fu quasi una
gioia per lei, rivederlo finalmente come Elle, apatico ma a versi
ottimista, pronto a tutto pur di catturare Kira. “Shinigami,Buddha,
Ra,Zeus.....non c'è dio che potrà fermarci dal
catturarlo. Kira ormai è ad un passo da noi.” disse. E
come farebbe il migliore dei generali, Elle riuscì a smuovere
gli animi dei suoi uomini, togliendo dai loro visi la paura e il
dubbio di non potercela fare.
Sentivano
Kira più vicino di quanto mai lo avessero percepito, mai come
allora la vittoria sembrava forse vicina.
Nonostante
i grandi passi su cui stavano procedendo le indagini, Alyssa era
ancora costretta a stare vicino a Light. Non che la cosa la
infastidisse molto alla fine, ma preferiva continuare a seguire i
risvolti delle indagini ed arrivare a capire chi era il secondo Kira
e da cosa scaturiva il suo potere, ancora più agghiacciante
del primo Kira.
Quello
che faceva più paura.
Il
tempo quella mattina era freddo, il sole brillava in cielo ma il
calore che doveva trasmettere si diffondeva nel gelido vento che
soffiava. Le fronde degli alberi si muovevano, in una danza in
compagnia del vento, che creava una specie di soave silenzio attorno
a lei.
Alyssa
si strinse di più nel cappotto, continuò a camminare e
a tenere lo sguardo fisso sul terreno. Il pensiero dello shinigami,
anche se era una cosa che si era obbligata di archiviare nella sua
mente, continuava lo stesso a tormentarla. Possibile che esistesse
una cosa del genere? Lei continuava a non crederci, ma quel caso
riservava loro solo delle sovrannaturali sorprese.
Tirò
un calcio ad un sassolino, lo seguì mentre rotolava, fino a
quando finì contro un paio di scarpe, abbandonate sotto una
panchina. Alyssa alzò lo sguardo, Elle era seduto sulla
panchina e teneva un libro tra le mani. Come al solito, si era tolto
le scarpe, che considerava solo un ostacolo per la sua libertà
motoria.
“Pensavo
che non venissi...” gli disse, quando fu abbastanza vicina per
farsi sentire da lui. Elle si girò lentamente verso di lei,
stava leggendo un libro di economia che non doveva interessargli
parecchio. Nessun argomento giungeva nuovo alla sua testa.
“Mi
sono dimenticato di dirtelo.” disse lui, quasi scusandosi. Si
guardò attorno, eccetto qualche studente che passeggiava in
compagnia, erano soli. Alyssa si sedette accanto a lui, superando le
scarpe semplicemente allungando la gamba.
“Che
novità! Quando mi dici le cose, tu?” lo rimproverò.
Elle
tirò un sospiro. “E tu quando eviterai di essere così
noiosamente pressante?”
“Lo
sarò, quando questa storia sarà finita e la tua
maledetta faccia sarà di nuovo al sicuro...”
I
due si guardarono, Alyssa provò un lungo e fastidioso brivido
che le corse lungo la schiena. Erano stati gli occhi di Elle a
provocarglielo e lei non sapeva spiegarsi perchè.
“Io
so badare a me stesso.” le ricordò.
“Non
è così, Ryu. E tu lo sai.”
“Da
quando ti preoccupi così per me?”
Quelle
parole restarono sospese nell'aria, finché il vento non decise
di trasportarle via, lontano da loro. Il viso di Alyssa venne coperto
dai suoi capelli, li scostò con la mano e fissò il sole
in cielo.
“Io
mi sono sempre preoccupata per te.” ammise, più a sé
stessa, che al ragazzo. “Da quando sei arrivato alla Wammy's
house, ricordi?”
Come
poteva non ricordarlo? Entrambi avevano ben fisso il ricordo di quel
giorno nelle loro menti, anche se spesso arrivavano a considerarlo
un giorno come un altro, era stato l'inizio della loro amicizia. O di
qualsiasi altra cosa li legasse.
Dopo
il caso Kira lei non lo capiva più. Sapeva solo che aveva
bisogno di restargli accanto il più possibile. Ma il
perchè era tutto da scoprire, almeno per la sua mente.
“Non
capisco perchè ti dia fastidio che io mi preoccupi. Tu fai lo
stesso con me, o no?”
“Per
me è diverso. Io ho il dovere di proteggerti...”
“E
da dove arriva questo dovere? Dalla nostra amicizia?”
“Qui
non si tratta solo della nostra amicizia, Aly.” la interruppe
lui.
“Allora
cosa?” Quelle parole arrivarono dure e decise alle orecchie di
Elle, lui distolse lo sguardo e lo posò in un punto lontano,
un punto che probabilmente nemmeno esisteva e che il ragazzo si era
creato nella sua mente. “Io credo proprio che sia questo il
motivo per cui io voglio proteggerti e tu vuoi fare lo stesso...”
disse lei, colmando il silenzio che era calato tra loro.
“Forse
è così per te, ma non per me.”
Alyssa
non capiva il senso delle sue parole, era sempre stato enigmatico, ma
lei era comunque riuscita lo stesso a penetrare nelle sue frasi e a
percepirne il vero significato. Quel giorno però, Elle
sembrava diverso. Continuava a non guardarla, come se temesse di non
poter sostenere i suoi occhi verdi.
“Che
intendi?” gli chiese.
Allora
lui si voltò verso di lei, ma i suoi occhi neri restarono
comunque lontano dal suo viso. “È difficile da spiegare,
non capiresti comunque.” disse solo. E non volle aggiungere
altro, Alyssa restò a fissarlo in silenzio, quasi pregando che
quelle non fossero le sue ultime parole.
Una
voce lontana attirò la loro attenzione, i due si voltarono
giusto in tempo per vedere Light in compagnia di Kiyomi Takada, la
ragazza più bella dell'università. Alyssa non sapeva
che uscissero insieme, Light non sembrava aver mostrato mai alcun
interesse nei confronti di quella tipa, così superba e
presuntuosa, ma doveva ammettere che formavano davvero una bella
coppia. Almeno dal punto di vista estetico.
“Quella
chi è?” chiese Elle, Alyssa si voltò verso di lui
e si accorse, con suo stupore, che il detective stava squadrando
attentamente la ragazza che accompagnava Light. Takada portava dei
tacchi altissimi, rispetto cui le converse malridotte che indossava
Alyssa, sembravano davvero orripilanti. E lo erano secondo Elle, ma
la ragazza non aveva mai dato retta al suo gusto in fatto di moda.
“La
miss dell'università. Cos'è ti piace?” gli
chiese.
Elle
fece spallucce e continuò a guardarla. “A differenza di
qualcuno, io non perdo tempo in queste cose.” disse, quasi con
celata altezzosità. Alyssa inarcò le sopracciglia
sentendosi colpita. “Bella coppia del cavolo, sembrano Barbie e
Ken. Belli ma vuoti.” concluse Elle.
La
ragazza trattenne un sorriso. “Secondo me sei solo geloso.”
disse, Light sembrava essersi accorto della loro presenza e si era
fermato. Parlava con la moretta al suo fianco e sembrava che la
stesse salutando.
“La
gelosia è un sentimento stupido e nocivo. Poi perchè
dovrei essere geloso di quei due? Francamente, mi fanno un po'
pietà.” rispose lui.
Alyssa
si portò le mani sulle ginocchia, iniziò a dondolare
nervosamente le gambe e continuò a guardare verso quei due.
“Io un po' gelosa lo sono.” ammise. “Almeno possono
uscire con chi vogliono, noi siamo costretti a non avere una vita
sociale per colpa del nostro lavoro...”
Elle
la guardò, ma lei non se ne accorse. Non aveva mai pensato a
quanto potesse pesarle il fatto che non potesse godersi la vita come
ogni ragazza di venti anni. “Beh, a me piace la mia vita. Ho
tutto quello che ho alla fine, che m'importa se non posso andare in
discoteca a sbronzarmi o uscire con la più bella
dell'università?”
Light
iniziò a camminare verso di loro, fece un cenno con la mano ad
Alyssa e lei rispose con un sorriso. “Dove hai imparato il
termine sbronzarsi?” chiese poi, tornando a guardare Elle.
“L'ho
inserito nel mio vocabolario, dopo che ho guardato per sbaglio un
fotogramma di uno stupido reality show, quelli che ti piace tanto
guardare. Credo che questa sarà la prima e ultima volta che lo
userò.”
“Bene,
perchè ubriaco non ti ci vedo proprio!” esclamò
lei divertita.
Elle
trattene un sorriso, lo faceva sempre con fatica quando vedeva
quell'espressione sul viso della ragazza.
“Ciao
ragazzi, che ci fate qui?” chiese Light quando li raggiunse.
Alyssa si chiese se fosse stata una buona idea farsi trovare insieme,
il ragazzo avrebbe pure potuto sospettare qualcosa.
Elle
non ne sembrò preoccupato. “Sia chiaro, non voglio
fregarti la ragazza.” disse e Alyssa si morse il labbro per non
inveirgli contro. “Ci siamo incontrati per puro caso.”
“Ryuga,
come devo dirtelo che siamo solo amici?” disse Light, divertito
però dalle parole del ragazzo. Alyssa invece avrebbe voluto
solo colpirlo in faccia con un pugno.
Calò
il silenzio, la ragazza sapeva a cosa era dovuto: Light e Elle
dovevano parlare solo ed esclusivamente del caso quando erano soli e
lei, che teoricamente non doveva essere coinvolta, creava una strana
atmosfera.
“Io
e Alyssa pensavamo di andare a pranzare, ti va di unirti a noi?”
disse Elle. Alyssa aveva un buco allo stomaco però, dovuto al
nervosismo che quella copertura le provocava sempre.
Light
non ci mise molto a pensarci. “Sì, ci sto. C'è un
ristorante proprio qui vicino.” disse e indicò il fondo
del viale. Elle si rimise velocemente le scarpe e Alyssa si alzò
subito in piedi, affiancando Light. Non iniziarono nemmeno a
camminare, che una voce stridula ruppe il silenzio.
Alyssa
non aveva mai sentito una persona parlare in quel modo così
fastidioso, gridava il nome di Light e la sua voce cresceva e
diminuiva, come se fosse uno strumento musicale mal funzionante. Odiò
la proprietaria di quella voce, ancor prima di vedere a chi
appartenesse.
“Light!
Avevo un set fotografico qui vicino e sono venuta a fare un salto!”
Una
ragazza bionda li raggiunse. Era davvero bellissima, sembrava una
modella: i capelli dorati erano raccolti in due ciuffi laterali, gli
occhi erano di un marroncino brillante e le labbra carnose erano
truccate di un rosso vivo. Indossava abiti in stile gothic, che
Alyssa aveva indossato quando aveva quindici anni, in una delle tante
fasi di moda che aveva attraversato.
Light
la guardò un po' stupito, mentre Alyssa ed Elle la studiavano
attentamente. La ragazza si pentì di essersi vestita in
maniera così sportiva: dopo Takada, anche quella biondina
sembrava uscita dalla copertina di una rivista di moda.
“Misa...ciao!” disse Light dopo un attimo di esitazione.
Lei si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia,
allora Elle e Alyssa capirono che quella Misa era la fidanzata di
Light. Anche se lui sembrava un po' rigido nei confronti di lei.
“Lui
chi è? Un tuo amico? È originale!” disse Misa
facendo dei passi verso Elle, ignorò categoricamente Alyssa.
Anzi le riservò una lunga occhiata di fuoco, come se volesse
ucciderla all'istante solo per trovarsi vicino a Light.
La
cosa non la toccava minimamente, anche lei non ricambiava la simpatia
di quella gallina.
“Misa,
loro sono Ryuga Hideki e Alyssa Monroe.”li presentò
Light. “Ragazzi, lei è Misa Amane.”
“La
ragazza di Light.” ci tenne a precisare lei, lanciò di
nuovo un occhiata ad Alyssa e inarcò le sopracciglia. Per poco
la mora le scoppiò a ridere in faccia, per quanto la trovava
esageratamente gelosa e frivola.
Elle
si era portato un dito tra le labbra e rimase a fissare la bionda,
mentre quest'ultima e Alyssa si lanciarono un fintissimo sorriso che
lasciò intendere ben altro.
Alyssa
notò una cosa nello sguardo di Misa: era fisso sulle loro
teste, sembrava che stesse leggendo qualcosa di invisibile nell'aria
e che quello che stava vedendo la turbasse.
Alyssa
pensò di sbagliarsi, lanciò un occhiata verso Elle per
vedere se anche lui l'aveva notato.
Infatti
il ragazzo aveva una strana luce negli occhi, probabilmente aveva
capito qualcosa che lei non aveva percepito.
“Sai
che ti invidio, Yagami?” Elle ruppe il silenzio con quelle
parole, parlò in una maniera così insolita per lui che
fece sobbalzare Alyssa e Light. “Sono un tuo fan dal numero di
agosto di A*teen, Misa.”
Alyssa
si sentì cadere le braccia, guardò l'espressione
inebetita sul volto di Elle e sperò di aver sentito male.
Intanto Misa sembrava tutta entusiasta per le parole del ragazzo e lo
ringraziò con calore. Quelle parole si ripeterono nella mente
di Alyssa, mentre una folla di giovani ragazze li circondava per
chiedere un autografo alla biondina.
Non
riusciva a credere che Elle trovasse attraente una ragazza simile e
che, per di più, leggesse certe riviste stupide. Si strinse le
braccia al petto e si voltò dall'altra parte quando si sentì
andare il viso in fiamme. Come poteva piacergli una tipa così
stupida?
Un
movimento del ragazzo, impercettibile nella baraonda generale, attirò
la sua attenzione. Quando lo vide allungare la mano verso il didietro
di Misa, non ci vide più. Dovette contare fino a cento per non
saltargli addosso e riempirlo di botte.
Non
era possibile che stesse assistendo ad una scena simile, da parte sua
poi.
“Ehi,
qualcuno mi ha toccato il sedere!” esclamò Misa,
voltandosi di scatto. Ma non parve molto infastidita, guardò
Elle che dietro di lei assumeva un espressione innocente, ma non
disse nulla.
Non
aveva capito che era stata proprio la sua, la mano che l'aveva
toccata?
Alyssa
si sentiva esplodere, come un vulcano pronto a investire ogni cosa
con la sua lava. Non capiva perchè reagiva così, voleva
solo che finisse quel momento.
“Che
sbruffone! Qualcuno deve aver approfittato del caos
generale...smaschererò io il colpevole!” disse poi,
parandosi velocemente davanti alla bionda, che parve divertita.
Alyssa
e Light assisterono in silenzio alla scena, la ragazza li trovò
due buffoni, ma non poteva dirlo apertamente come avrebbe voluto. A
salvare la situazione, giunse una donna dall'aspetto austero: si fece
avanti tra la folla a tentoni e raggiunse Misa prendendola per il
polso.
Era
la sua manager e le ricordò che doveva essere sul set da circa
mezz'ora. Misa si lasciò trascinare via controvoglia “Light,
ti chiamo dopo io! Ciao!”
Furono
le ultime parole che Misa riuscì a dire, mentre quella donna
la trascinava via.
Sembrò
improvvisamente che l'aria fosse tornata respirabile, la folla si
dileguò lentamente e la voce di Misa si fece sempre più
lontana. Alyssa prese un lungo respiro e guardò freddamente
Elle.
“Sei
fortunato ad avere una modella per ragazza. Complimenti.” disse
Elle, con la mancanza di entusiasmo che sempre lo caratterizzava.
Light
non rispose, sembrava pensieroso. “Sì, certo....”
rispose, guardando verso il punto in cui Misa e la sua manager erano
scomparse. “Mi sono ricordato che devo fare una cosa e quindi
non posso pranzare con voi. Vi dispiace se facciamo un altro giorno?”
disse.
“Certo
che no.” rispose, troppo frettolosamente Alyssa. Non vedeva
l'ora di restare sola con Elle per prenderlo a calci, si era
dimenticata di tutto il resto e un lieve rossore apparì sulle
sue gote. “Cioè...se non puoi, faremo un altro giorno.
Io e Ryuga potremmo andare lo stesso, se non ci sono problemi.”
si corresse lei, quando sentì i loro occhi sulla sua figura.
Elle
annuì e Light li salutò, allontanandosi dalla parte
opposta.
Alyssa
si guardò indietro, per assicurarsi che Light non li stesse
osservando. E infatti, il ragazzo stava componendo un numero sul suo
cellulare.
Si
voltò di scatto e diede un pizzicotto sul braccio ad Elle: non
lo diede molto forte, ma abbastanza deciso per provocargli almeno un
po' di dolore. Ma lui, oltre che alle emozioni umane, doveva essere
immune anche al dolore fisico.
“Se
ti dico che mi fai schifo, ti offendi?” disse a denti stretti.
Elle
continuava a guardare di fronte a sé, la sua bocca assunse una
smorfia simile a quella di un broncio. “Mi ha detto cose ben
peggiori...” disse.
“No,
ti assicuro che questa è la cosa peggiore che io ti potrò
mai dire!” esclamò lei, si sentiva davvero esplodere.
Era sempre stata una persona molto impulsiva, a differenza di Elle, e
in quel momento lo era più del solito. Avrebbe voluto davvero
picchiarlo, non riusciva a credere che si fosse comportato in quel
modo. La suoneria di un cellulare riuscì a placarla, i due
smisero di camminare ed Elle infilò la mano nella tasca dei
suoi jeans.
“Perchè
hai una suoneria del genere ora?” domandò confusa
Alyssa, era una musichetta dal suono prettamente femminile. Ed Elle
era solito lasciare sempre il silenzioso, perchè considerava
la suoneria solo una fastidiosa musichetta che poteva distrarlo dal
lavoro. Elle estrasse un cellulare rosa dalla tasca, lo prese per
l'antenna e lo guardò con aria furba.
“E
hai pure un cellulare rosa...mi devo iniziare a preoccupare?”
chiese Alyssa, ma in realtà iniziava ad avere delle idee
chiare su quello che stava succedendo: Elle aveva preso il cellulare
di Misa, approfittando della baraonda generale e facendolo passare
per tutt'altro gesto. La ragazza si sentì un po' più
sollevata, anche se non capiva perchè Elle avrebbe dovuto
rubare il cellulare a quella ragazza. “Che sta succedendo?”
gli chiese, lanciò un occhiata rapida a Light e lo vide
voltarsi verso di loro, con il cellulare all'orecchio.
“Cosa
credi che stavo facendo prima?” le rispose Elle, aprì il
portatile e lesse il nome di Light, seguito da una miriade di
cuoricini, sullo schermo.
“Credevo
che le stessi toccando il sedere!”
“Perchè
avrei dovuto toccarle il sedere? Non ne vedo proprio l'utilità...”
le disse velocemente, poi finalmente rispose al cellulare, ponendo
fine a quella fastidiosa suoneria, impossibile da ascoltare come la
voce della proprietaria. “Sì, pronto?”
Alyssa
non sapeva dove guardare, era curiosa di leggere l'espressione di
Light ma temeva che, se si fosse voltata, avrebbe potuto far
sospettare qualcosa. “Perchè hai il cellulare di Misa?”
chiese la voce metallica di Light, sembrava irritato e non aveva
tutti i torti ad esserlo. Però Alyssa stava per scoppiare a
ridere, la faccia di Elle aveva un espressione troppo divertente per
riuscire a trattenersi.
“Ah
è il suo cellulare? L'ho trovato per terra e volevo
riconsegnarlo al suo proprietario, appena possibile...” rispose
lui, continuando a dare le spalle a Light. Ma quest'ultimo aveva
capito che Elle aveva “rubato” volontariamente il
cellulare di Misa, anche se il motivo non era ancora chiaro.
Almeno
per Alyssa.
“Va
bene, glielo ridò io allora..” concluse Light, si voltò
verso di Elle e il detective fece lo stesso. Gli ridiede il
cellulare, con un espressione innocente sul volto. I due si
lanciarono degli sguardi carichi di messaggi nascosti che solo loro
potevano capire. “Grazie.”
Appena
fecero per allontanarsi di nuovo, il vero cellulare di Elle vibrò.
Alyssa e Light lo osservarono rispondere, non disse nulla e si limitò
a fare solo dei versi di assenso. Solo alla fine, concluse con un
deciso “Ok.”
Si
voltò a guardare Light, la sua espressione era tranquilla, ma
stava per dire qualcosa di davvero importante. Alyssa lo capì
da quella luce nei suoi occhi neri. “Non so se la notizia ti
farà piacere oppure no” iniziò a dire. “Ma
abbiamo arrestato Misa Amane con l'accusa di essere il secondo Kira.”
“E
la copertura è saltata.”
Erano
nella loro camera d'albergo, nella stanza dove avevano fatto
installare monitor e computer per poter lavorare al caso. Era buio,
Elle aveva chiuso le verande e aveva acceso un unica lampada al neon
per illuminarli. Alyssa camminava avanti e indietro, mostrandosi
nervosa e inquieta.
“Ora
che abbiamo le prove che Misa è il secondo Kira, non vedo il
motivo per cui tu dovevi continuare con quella farsa....”
rispose lui, tenendo lo sguardo fisso sugli schermi spenti.
Alyssa
non sopportava di essere sempre l'ultima a sapere le cose, aveva
chiamato a tutti i poliziotti che lavoravano con loro al caso e tutti
erano a conoscenza che le impronte rilevate appartenevano a Misa
Amane e che, proprio nell'appartamento della ragazza, erano stati
trovati altri elementi riconducibili al secondo Kira. E trovò
ironico che a dirle tutta la storia fosse stato Matsuda.
“Non
ti chiedo nemmeno perchè non me lo hai detto, tanto non me lo
spiegheresti...” disse lei.
“Appunto,
vedo che sei tornata a capirmi finalmente...”
La
ragazza sbuffò, non riusciva a credere che un oca come Misa
Amane fosse il secondo Kira. Non sembrava così intelligente e
sveglia per compiere delle azioni così ben studiate: era pure
vero che il secondo Kira non era stato furbo quanto il primo, ma non
era stato nemmeno stupido.
Chissà
dov'era stata condotta Misa in quel momento e come Light stesse
prendendo la cosa.
Anche
se non sembrava davvero innamorato di Misa. Ma non poteva essere così
insensibile da fregarsene.
“A
proposito...” Alyssa posò i gomiti sullo schienale della
poltrona di Elle. “Ti piace Misa Misa?”
La
ragazza aveva fatto delle ricerche su di lei, in quei pochi minuti di
libertà che le erano stati concessi dopo l'arresto della
ragazza: faceva la modella e adorava farsi chiamare con l'appellativo
di Misa Misa, si chiamava così anche da sola. Aveva fatto
diversi spot e in molti esibiva solo il suo fisico statuario. Forse
non la facevano parlare perchè aveva la voce di una gallina.
Elle
la guardò con la coda dell'occhio. “È la prima
cosa che ti è venuta in mente di chiedermi adesso?”
“Tanto
se ti dovessi chiedere qualcosa che riguarda il caso, non me la
diresti.” gli ricordò lei, continuò a fissarlo
dall'alto. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi e lui non
aveva alcuna intenzione di alzare la testa per guardarla.
“Quindi..rispondi. Ti piace Misa Amane?”
“È
molto bella, non si può negare l'oggettività”
Alyssa
sorrise nervosamente. “Non riesco a credere che tu legga certe
riviste...e sopratutto che ti piaccia una tipa del genere!”
disse. Andò a sedersi accanto a lui e allungò le gambe
per distenderle sulla superficie di fronte a lei. Iniziò a
giocherellare con un ciuffo di capelli e guardò di fronte a
sé.
“Ci
tengo a ricordarti, cosa che spesso tu dimentichi, che sono un uomo
anche io.” rispose il ragazzo.
“Infatti
non mi stupisco che ti piacciano le donne! Mi stupisco che ti piaccia
una...bionda, con la voce e il cervello da gallina!” disse lei,
la voce le uscì praticamente stridula. Si vergognò di
sé stessa per reagire in quel modo.
Elle
allora la guardò, il modo in cui lei torturava i suoi capelli
gli era nuovo. “Ma sei gelosa per caso?” le domandò.
Anche nell'oscurità, vide il suo viso diventare rosso e i suoi
occhi cercare un punto che fosse lontano dalla visuale di Elle.
“Gelosa?
Di te? Ma per favore!” esclamò. “Sono solo stupita
del perchè...a te piaccia una del genere, pensavo puntassi più
in alto!”
Elle
la osservò a lungo e in silenzio, Alyssa non riusciva proprio
a capire cosa gli passasse per la testa in quel momento. “Ti
rendi conto che sei arrivata a conclusioni tutte tue?” le fece
notare. “Io ho solo detto che è bella, non ho mai detto
che mi piace.”
Premette
un pulsante sulla tastiera del monitor di fronte a lui, Alyssa seguì
il suo braccio compiere quel movimento e si schiarì la voce.
“Arrivo a conclusioni tutte mie, solo perchè non ho idea
di che genere di donna ti attragga...almeno fisicamente.” gli
spiegò e tornò a guardarlo in viso. “Non che
m'interessi, ma mi incuriosisce. Tutto qui.”
“Non
ho un prototipo preciso di donna, Alyssa.” rispose Elle. “Ma
preferisco le more.”
Alyssa
smise di giocherellare con quel ciuffo di capelli che stava
massacrando da minuti. Lo guardò, come se si fosse dimenticata
di avere anche lei i capelli scuri e una vampata di calore le investì
il viso. Elle sembrava impassibile come sempre, forse quella frase
non significava nulla di importante. Da quando lei si faceva delle
paranoie del genere?
Cercò
di avvicinarsi a lui, solo per guardare la sua espressione e
studiarla, quando lui accese i monitor. Alyssa si bloccò,
sullo schermo apparve l'immagine di Misa: si trovava in una stanza
dalle pareti bianche, bendata e legata con una specie di camicia di
forza e seduta su una sedia. Aveva un espressione terrificata: non si
riuscivano a scorgere i suoi occhi, ma era evidente quanto fosse
spaventata. Il suo viso sembrava bagnato dalle lacrime, visibili alla
luce dei fari che aveva puntati contro.
“Cosa...cos'è
questa roba, Ryu?” chiese Alyssa, appena riuscì a
riprendere fiato. Elle non aveva mai adottato misure simili, sembrava
che per catturare Kira fosse disposto a ricorrere a mezzi che non
avrebbe mai nemmeno preso in considerazione.
“Misa
resterà così, fino a quando non mi dirà tutto
quello che sa su Kira.” Elle rispose con una freddezza fuori
dal comune, lei rabbrividì di fronte alla naturalezza con cui
parlava.
“È
solo una ragazza.” gli ricordò, ma sapeva che Elle non
lo aveva dimenticato.
“Lo
so.”
“E
per arrivare a Kira, sei disposto a rinchiuderla lì dentro
come un animale?!”
“È
un assassina e io devo sapere il più possibile sui suoi poteri
e su Kira.”
Alyssa
restò a guardarlo con occhi sbarrati, Elle invece continuò
a fissare lo schermo e l'immagine che vedeva non lo turbava affatto.
“Ma
cosa sei disposto a fare per arrivare a lui, Elle?” disse lei,
con voce tremante. Scattò in piedi, sentiva di non riuscire
più a sostenere l'atmosfera all'interno della stanza e si
preparò ad uscire.
“E
ora dove vai?” le chiese lui, guardandola freddamente.
“Me
ne vado, lascio risolvere questa cosa a te e ai tuoi amici
poliziotti!” esclamò lei, fermandosi sulla soglia della
porta. “Io mi rifiuto di prendere parte ad una cosa del
genere!”
“Misa
è il secondo Kira.”
“Ma
è pur sempre una ragazza, in carne ed ossa, rinchiusa e legata
come carne da macello!”
I
due si guardarono, Elle sembrò infastidito dal comportamento
di lei, ma cercò di trattenersi.
“Va
bene. Se la pensi così, puoi pure andartene allora.”
disse e tornò a guardare la figura di Misa.
Alyssa
si morse il labbro, come al solito lui non le aveva dato dei buoni
motivi per farle cambiare idea. “Se fossi stata io il secondo
Kira, tu mi avresti rinchiuso lì dentro...non è vero?”
gli domandò.
Lui
non rispose, Alyssa sperò che quel silenzio che incombeva tra
loro venisse riempito dalle sue parole. Ma non fu così.
Se
loro due non fossero amici...se in un altro universo, lei ed Elle non
si conoscevano e lei era il secondo Kira, il ragazzo sarebbe stato
capace di rinchiudere anche lei in quelle condizioni. O lo avrebbe
fatto anche se erano amici?
“Lo
sospettavo..passeresti sopra pure a questo.” disse lei, uscì
sbattendo la porta e i suoi occhi si velarono di lacrime.
Misa
non spiccicò una parola per tutto il tempo.
Nonostante
Alyssa avesse deciso di non prendere parte a quella “pagliacciata”,
com'era arrivata a definirla, non voleva nemmeno restare all'oscuro
di quello che stava accadendo. Perciò si era studiata gli
orari di Elle e dei poliziotti: mentre loro restavano dentro la
stanza ad interrogare Amane, lei se ne stava seduta in corridoio ad
origliare le loro conversazioni. Poi, quando era ora che i poliziotti
rincasassero, lei sgattaiolava in camera e faceva finta di esserci
rimasta da sempre.
Nel
frattempo, faceva anche ricerche sul conto di Misa Amane: aveva
scoperto che i suoi genitori erano stati uccisi anni prima durante
una rapina e che il loro assassino era stato rilasciato da qualche
mese, quando si accasciò sul pavimento di casa sua, a causa di
un attacco cardiaco.
Era
logico che venerasse Kira e che lo volesse proteggere, ma questo non
significava che li conoscesse.
Quel
giorno qualcosa nei calcoli di Alyssa andò storto, Elle sbucò
fuori dalla camera prima dell'orario previsto e la ragazza cercò
di rintanarsi velocemente in camera, prima che lui la vedesse.
“Ferma
lì.” le ordinò il ragazzo.
Alyssa
imprecò, l'aveva beccata proprio quando stava per svoltare
l'angolo e sparire nel corridoio. Si morse il labbro e restò
con le spalle rivolte verso di lui. Lo sentì avvicinarsi
lentamente, i suoi piedi nudi strisciarono sul pavimento e il suo
respiro si fece sempre più vicino.
“Non
sono stupido, Aly. So che te ne stai sempre qui fuori ad ascoltare
quello che succede.”
Alyssa
si voltò verso di lui, il ragazzo posò la spalla sullo
stipite della porta e la guardò.
“Invece
sei stupido, perchè non è così.” lo
rimproverò, anche se con una menzogna.
Gli
occhi del ragazzo si abbassarono sul pavimento e lei si strinse le
braccia al petto per il nervosismo. Doveva essere arrabbiata con lui,
eppure non riusciva ad assumere una posa o un espressione facciale
che glielo lasciasse intendere.
“Se
neghi l'evidenza, mi deludi.” disse lui.
“Mi
deludi?!” ripeté Alyssa sconvolta. Ecco, come sempre
Elle era riuscito a premere il pulsante per farla sbottare. Sembrava
quasi che lo facesse apposta, per farla svuotare di tutta la sua
rabbia. “Tu rinchiudi una ragazza in una specie di mini bunker
e io ti deludo? Sei tu che mi ha deluso, Ryuzaki!”
“Quella
ragazza è il secondo Kira, questa cosa ti sfugge per caso?”
le ricordò il detective, affilando lo sguardo.
“Può
anche essere il diavolo in persona! Quello che stai facendo...è
orribile.” esclamò Alyssa, indicando la porta in cui si
trovavano i monitor, spettatori del supplizio di Misa.
“Se
vogliamo prendere Kira, dobbiamo purtroppo ricorrere a questi mezzi.”
“La
persona che conoscevo, non voglio nemmeno pronunciare il tuo nome,
non avrebbe mai fatto una cosa del genere.”
“Tu
non mi hai mai veramente conosciuto, Alyssa. Visto che molte cose non
ti sono ancora chiare!”
Le
parole di Elle erano uscite dure, taglienti dalla sua bocca.
Portarono solo un lungo silenzio, in cui lui distolse gli occhi da
quelli di Alyssa e la ragazza lo fissò senza capirne il
significato.
Come
erano arrivati a quel punto? Non gli era mai successo di discutere in
quel modo, da quando erano bambini, ma con il caso Kira sembrava che
tutto stesse cadendo a pezzi.
“Io...non
voglio solo che tu ti sporchi le mani. È per questo che mi
preoccupo.” sussurrò la ragazza.
“Bugiarda.
Tu ti preoccupi solo perchè quella è la ragazza di
Light Yagami che, credimi, inizio a pensare che sia davvero Kira.”
rispose Elle, più freddo del solito. Aveva pronunciato quelle
parole quasi con cattiveria. Ma non aveva tutti i torti, era strano
che Elle sospettasse di un ragazzo che era fidanzato con il presunto
secondo Kira. Troppe coincidenze, lei non credeva alle coincidenze ma
non credeva nemmeno ai pregiudizi.
“Non
siamo ancora certi che Light sia Kira. O vuoi rinchiudere lì
dentro pure lui?”
“Parli
solo perchè sei attratta da lui.”
“Io
parlo perchè sono oggettiva, il fatto che sia attratta da lui
non significa nulla!”
Calò
di nuovo il silenzio, Elle restò a fissarla a lungo e Alyssa
capì cos'era appena successo: aveva ammesso di essere attratta
da Light, ma non era quella la sua intenzione. Aveva usato male le
parole, solo perchè Elle l'aveva fatta innervosire. Lei era
così, non pensava mai a ciò che diceva quando aveva la
collera dentro.
“Non...dai,
hai capito cosa volevo dire.” cercò di rimediare la
ragazza.
“Non
sapevi nemmeno tu cosa volevi dire.” replicò Elle, si
girò dall'altro lato come per andare via. “E comunque
non m'importa da chi sei attratta, m'importa solo che tu non intralci
le indagini con le tue cottarelle da adolescente troppo cresciuta.”
Cercò
di rientrare nella stanza. Nonostante continuava ad essere freddo,
Alyssa capì di averlo ferito, in qualche modo, con le sue
parole. “Se non ti importa, allora perchè ti comporti
così?” gli chiese.
Elle
si fermò, alzò la testa dal pavimento e l'alzò
sul soffitto. I capelli gli coprivano gli occhi, forse gli unici
elementi che non riuscivano a restare impassibili alla presenza di
Alyssa.
La
ragazza lo raggiunse, gli posò una mano sulla spalla e lo fece
voltare verso di lei. “Io non intendevo dire che sono attratta
da Light, hai capito benissimo cosa volevo dire...”
Le
sue parole vennero interrotte da un gesto di Elle: afferrò il
suo polso e allontanò così la mano dalla sua spalla.
Nonostante la rudezza del gesto, Alyssa non si fece male: anzi, il
ragazzo era rimasto comunque freddo anche nella sua improvvisa
impulsività.
“Come
devo dirtelo che non m'importa se sei attratta da lui?” le
chiese.
“Per
una volta, ammetti le tue emozioni, Elle!” esclamò
Alyssa, era così furiosa da non essersi accorta di averlo
chiamato Elle e di avere gli occhi lucidi per la rabbia. Elle restò
in silenzio, i suoi occhi si abbassarono sui loro piedi distanti
pochi centimetri. “Perchè non dici quello che pensi e
basta? Invece di usare queste scuse patetiche e infondate?”
“Vuoi
la verità? Bene. Ti dico allora che ti stai solo rivelando un
peso ultimamente!” rispose Elle.
Quelle
parole la ferirono, lui non era mai riuscito a farlo, perchè
non ci aveva mai nemmeno provato. Invece, quella volta, sembrava aver
scelto le parole più adatte per farle del male. Con la sua
solita apparente freddezza che lei però riusciva a scalfire.
“Da
quando mi consideri un peso adesso?” gli chiese, con tono
grave.
Elle
alzò lo sguardo, ma non rispose. I suoi occhi si abbassarono
su un punto del viso di Alyssa che lei riconobbe come le sue labbra.
Attendendo invano che lui negasse quella frase, la ragazza decise di
tornarsene in camera, prima di scoppiare in lacrime.
Ma
lui non glielo permise.
Gli
tenne saldamente il polso, stavolta con meno delicatezza e la tirò
a sé: Alyssa finì contro il suo petto, i loro visi si
ritrovarono a pochi centimetri di distanza e entrambi sentivano il
respiro dell'altro sfiorare le loro labbra. Nessuno dei due di
accorse di quello che stava succedendo, quando la distanza iniziò
ad accorciarsi sempre di più.
“Ryuzaki?”
La
voce di Light li colse di sorpresa, si trovava alle spalle di Elle e
li guardava con aria quasi irritata. I due si separarono prontamente
e il detective guardò il ragazzo con aria interrogativa.
“Che
ci fai qui, Light?” gli chiese.
Gli
occhi di Light slittarono verso Alyssa, erano delusi e allo stesso
tempo increduli. Forse aveva sperato fino in fondo che lei non fosse
coinvolta. La ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata.
“Sono
qui...” iniziò a dire Light. “Per chiederti di
rinchiudere anche me, come Misa. Per quanto ne so, Kira potrebbe
anche uccidere senza rendersene conto e quindi potrebbe essere
chiunque, persino io. E tu non hai mai sbagliato...perciò,
voglio essere imprigionato anche io, in modo che sia io che te
abbiamo delle prove sulla mia colpevolezza o innocenza. Non puoi
rifiutarti.”
Dopo
che Light si era fatto rinchiudere, successe una specie di mini
tragedia familiare.
Il
sovrintendente pretese di farsi imprigionare anche lui, malgrado la
sua salute cagionevole e Misa continuò a non parlare. Anzi, un
giorno arrivò pure a cercare di mordersi la lingua, pur di non
rivelare nulla sul primo Kira. Alyssa continuò a non prendere
parte alle indagini, i suoi pensieri erano focalizzati su tre
argomenti principali: la storia di Misa, il fatto che Light si fosse
fatto rinchiudere e quello che era successo, o meglio quasi successo,
in corridoio con Elle. E si vergognava del fatto che non riusciva
proprio a smettere di pensare alle sensazioni che aveva provato
quando aveva sentito il respiro di Elle sulle sue labbra. Sensazioni
troppo forti e contraddittorie per poterle capire. Quella sera decise
di andare da Elle, per potergli parlare a quattr' occhi e terminare
la conversazione che avevano lasciato in sospeso. Lui stava ancora
lavorando, lo sguardo fisso verso i monitor e l'espressione
concentrata: Misa era seduta, in una posizione quasi innaturale e il
viso solcato dalle lacrime.
Ripeteva
solo una parola, una parola che impedì ad Alyssa di varcare
quella soglia.
“Uccidimi.”
Non
era una richiesta, era una supplica: sembrava che la ragazza stesse
implorando Elle di porre fine alla sua vita. O magari, lo stava
chiedendo a qualcun' altro.
Elle
non restò impassibile a quella parola, ma restò
immobile a fissare l'immagine di Misa. Alyssa invece avrebbe voluto
entrare e spegnere quel monitor, solo per non vedere tale sofferenza.
Fu
allora che successe una cosa strana, che entrambi notarono malgrado
si trovassero a distanze diverse: qualcosa sollevò la
frangetta di Misa, forse uno spiffero o una mano invisibile di
qualcuno che voleva darle conforto. Nessuna delle due cose era
veritiera, perchè la stanza in cui si trovava Misa era
praticamente sbarrata e non esistevano angeli,demoni o altri esseri
invisibili che potessero fare una cosa simile.
Pochi
secondi dopo, Misa alzò la testa, come se avesse ripreso parte
del suo vigore. Si guardò attorno malgrado la benda che le
copriva gli occhi. “Ehi, dove sono?!” chiese con la sua
voce stridula.
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Capitolo 9 *** If You Were Me ***
-If
You Were Me-
8
years before
“Come
hai detto che ti chiami?”
Alyssa
non lo aveva detto, era da quando era stata portata in quella umida e
spoglia cella che non parlava. Restò nell'angolo più
buio, con le mani sulle orecchie e le ginocchia strette al petto.
Nonostante
le urla fossero cessate, non riusciva a muovere le mani lontano dalla
sua testa. Il suo esile corpo tremava, per il freddo e per la paura e
fermarlo le sembrava impossibile.
Judith
le stava sorridendo dolcemente, malgrado il dolore fisico che
l'affliggeva da giorni. Se ne stava seduta di fronte a lei, con gli
abiti sporchi del suo stesso sangue e le gambe distese sul terreno.
La testa ciondolante era rivolta verso Alyssa e i suoi occhi azzurri
erano spenti.
Se
non avesse parlato, chiunque avrebbe pensato che fosse morta.
“Ehi,
non avere paura...se parliamo passa il tempo, no?” le disse la
ragazza, con voce piatta e tremante.
Alyssa
la guardò. Judith aveva più o meno vent'anni, era una
bella ragazza con capelli biondi e un fisico slanciato. Era
meravigliosa anche in quelle condizioni drammaticamente terribili.
“Se
passa il tempo, lui arriverà prima...” rispose la
bambina, trattenendo a stento dei singhiozzi che la scuotevano
dentro.
“Quel
bastardo potrebbe pure non arrivare più. Cerchiamo di essere
ottimiste e speriamo che qualcuno lassù gli faccia venire un
colpo...” rispose Judith.
Non
era seria, parlava in quel modo solo perchè era stordita per
via della schiena sanguinante e tutte le botte che aveva preso in
faccia. Alyssa non sapeva cosa quell'uomo facesse loro, a lei aveva
sempre detto che sarebbe toccato dopo Judith. E prima di Judith,
c'era stata un'altra ragazza di cui nemmeno ricordava il volto.
Il
pomeriggio in cui lei venne rapita, quella ragazza venne portata via
da William. Ricordava ancora come scalciava e gridava pietà
nonostante il suo corpo visibilmente provato.
Le
sue grida riecheggiarono sopra le loro teste, dove William doveva
dare sfogo alla sua follia.
Poi
seguì il silenzio, che sia Alyssa che Judith trovarono
spaventoso quasi quanto quelle urla.
E,
poche ore dopo, videro William trasportare pesantemente un sacco
dell'immondizia, facendolo strisciare sul pavimento. Dietro di sé
segnò una leggera scia rossa, che poco lasciava
all'immaginazione.
Alyssa
tornò a guardare Judith, non le aveva mai rivolto la parola
prima di allora: si era limitata a restare in silenzio e a piangere,
chiamando il nome dei suoi familiari. Da come aveva capito, Judith
doveva avere una sorella maggiore che amava alla follia.
Lei
invece non aveva nessun familiare da rimpiangere, solo due nomi, di
due persone che erano troppo lontane per poterla sentire.
“M-mi
chiamo Alyssa. Ma non è il mio vero nome.” rispose la
bambina.
Judith
la guardò e sorrise di nuovo dolcemente, forse non era nemmeno
consapevole di farlo per quanto era priva di forze. “E qual'è
il tuo vero nome?” le chiese.
Alyssa
scosse ripetutamente la testa. “Non posso dirtelo.”
rispose, anche se successivamente si sentì in colpa. Che senso
aveva non dirle il suo vero nome, visto che stavano per morire?
Judith
non insistette, alzò lo sguardo verso la lampadina che
brillava sulle loro testa. Era talmente piccola che illuminava solo
il centro di quell'enorme stanza. Ma forse era un bene, Alyssa non
sarebbe riuscita a sostenere una visuale migliore del corpo
martoriato di Judith.
“E
quanti anni hai?” le chiese ancora la ragazza.
“Ne
compio dodici tra dieci giorni.” rispose tremante. Tra sé
e sé pensò che forse tra dieci giorni nemmeno sarebbe
stata ancora in vita. Scoppiò di nuovo in lacrime, affondò
la testa sopra le ginocchia e si lasciò andare alle proprie
paure. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e non aver mai
lasciato di nascosto la Wammy's house, quella sera maledetta.
Aveva
attraversato i giardini tranquillamente, per poi finire nelle mani di
un'ombra che l'aveva afferrata alle spalle. C'era stato il buio e
quando i suoi occhi si erano riaperti, si era ritrovata in quella
cella puzzolente e troppo buia.
Il
suo rimpianto più grande sarebbe stato quello di non rivedere
più Elle, lui aveva lasciato l'istituto mesi prima e le aveva
promesso che, una volta cresciuta, sarebbe tornato a riprenderla.
E
invece non sarebbe più tornato, perchè lei
probabilmente non ci sarebbe più stata.
Odiava
sé stessa per non aver obbedito a Roger quella volta, odiava
sé stessa per essere così debole da non poter
sopportare una situazione simili e odiava sé stessa per non
aver potuto dire addio ad Elle. Il centro di tutti i suoi pensieri.
“Alyssa,
hai un ragazzo?” le domandò ancora Judith, la sua voce
era talmente inumana, da non risultare reale in quell'oscurità.
Il dolore rispecchiato nelle sue parole era troppo palpabile per non
poterlo percepire. “Io alla tua età avevo un
fidanzatino...”
A
quelle parole, Alyssa riuscì a sorridere. Si asciugò le
lacrime con il dorso della mano e scosse la testa. “No.”
rispose, con voce che lasciava trasparire solo un po' di gioia. Ma
solo perchè quella domanda le aveva fatto pensare al suo Elle.
Peccato
che il tempo in cui aveva una cotta per lui, quando era solo una
bambina di otto anni, era velocemente passato. In uno dei suoi
giochi, Alyssa ricordava che gli aveva promesso che lo avrebbe
sposato una volta cresciuti. Elle aveva risposto con la sua solita
freddezza, sostenendo che il matrimonio era una cosa stupida e noiosa
e che non avrebbe mai sposato una “mocciosa” come lei.
Diversi
momenti che aveva passato con lui, ovvero tutta la sua vita, le
passarono velocemente davanti agli occhi. Scoppiò di nuovo in
lacrime e si portò le mani tra i capelli per la disperazione.
Non
voleva morire, non era giusto che la sua vita e quella di Judith
dovessero venire spezzata in quel modo. Avevano ancora tutta la vita
davanti e mille tipi di gioie, problemi, dolori, sorrisi da
sperimentare. Perchè quel mostro di William doveva soffocare
il loro futuro in quel modo?
Judith
si fece seria, trovò la forza di strisciare lentamente verso
di lei. Il suo viso divenne visibile sotto la luce della lampada: era
pallido, troppo pallido e gli occhi erano gonfi di lividi e tagli.
Alyssa
riuscì a guardarla, solo perchè vide qualcosa in quegli
occhi blu che le diede forza.
Coraggio.
“Alyssa,
usciremo vive di qui. Te lo prometto.” le disse, con tono più
vivo rispetto a poco prima. “Non lascerò che una bambina
come te muoia qui dentro. Sconfiggeremo quell'orco insieme, ma tu
devi essere forte e sicura per potermi aiutare. Vuoi farlo?”
Alyssa
la guardò a lungo, ripensò subito ad Elle e al suo modo
di infonderle coraggio nelle situazioni più critiche. Le
sembrò di sentirlo accanto in quel momento, proprio come lo
era sempre stato.
Annuì
lentamente. “Sì, voglio farlo.” rispose.
Judith
sorrise di fronte all'espressione quasi combattiva della ragazzina.
“Bene, allora ascolta con attenzione quello che sto per
dirti...” disse.
E
Alyssa ascoltò con attenzione tutto quello che Judith le
disse.
Alyssa
si risvegliò di soprassalto.
Il
sole stava da poco sorgendo, rilasciando la luce dei suoi raggi
solari lungo le candide lenzuola del suo letto. Aveva il volto sudato
e si sentiva priva di polmoni per respirare.
Prese
lunghi e profondi respiri, ma la sensazione di angoscia e paura che
le stringeva il petto in una morsa, non si attenuò. Ogni anno,
nel giorno di quel macabro anniversario di dolore, Alyssa si sentiva
come morta.
Come
doveva essere in realtà.
Scattò
in piedi e si avvicinò alla finestra, sperando che il panorama
di Tokyo servisse a tranquillizzarla. Ma non fu così, il suo
corpo era scosso tra tremori provenienti dal petto.
Le
venne da vomitare. Corse velocemente verso il bagno e si chinò
sulla tavoletta, durò tutto pochi minuti, abbastanza per farla
scoppiare in lacrime di dolore. Nonostante erano passati quasi dieci
anni, quella ferita era ancora aperta e ogni ricordo era come sale su
di essa. Si sedette sul bordo della vasca vicino al water e pianse
con il viso tra le mani.
Quell'esperienza
era uno dei motivi per cui aveva deciso di seguire Elle: prima
pensava solo di seguirlo e fargli da segretaria o magari da cuoca
personale anche se non era brava a cucinare, ma dopo quella
drammatica vicenda aveva deciso che voleva impedire che altri fatti
segnassero le vite di altre ragazze e bambine, come lo erano lei e
Judith. Per quello aveva deciso di mettersi più in gioco,
scegliendo di fungere da braccio destro di Elle.
Era
per quel motivo, che aveva faticato tanto per diventare non al pari
del ragazzo, quello era impossibile per un normale essere umano, ma
almeno abbastanza in gamba da risultargli utile.
“Alyssa?”
La
ragazza alzò la testa di scatto, quando sentì la voce
di Elle provenire dalla soglia della porta. Il ragazzo stringeva il
pomello e la guardava con aria visibilmente preoccupata.
La
cosa non lo stupiva: ogni anno, in quel preciso giorno, Alyssa non
era più sé stessa. Si svegliava in lacrime e passava
tutta la giornata a fissare il vuoto, con aria assente.
Diventava
un'altra persona, una persona che Elle non avrebbe più voluto
incontrare, perchè lo faceva sentire impotente. Strinse i
pugni, quando pensò di non essere di nuovo riuscito ad
asciugare via per sempre le lacrime dal volto della ragazza.
Alyssa
voltò lentamente la testa da un lato, per nascondere agli
occhi di Elle il suo volto solcato dalle lacrime. Non voleva passare
per la frignona della situazione, odiava piangere e sopratutto odiava
farlo davanti ad Elle. Non voleva che pensasse fosse davvero una
palla al piede.
“Sto
bene. Non è niente.” mentì, la sua voce tremante
non poteva nascondere nulla.
Elle
sospirò, la guardò mentre cercava malamente di
nascondere la sua mano che asciugava le lacrime e i suoi capelli che
le ricadevano sul viso. Credeva di innervosirlo con le sue lacrime,
ma non era così: esse gli procuravano solo un immenso dolore e
un forte desiderio di starle accanto.
“Vieni
qui.” Elle prese un asciugamano posato sul lavandino alla sua
destra e si diresse verso di lei. Alyssa cercò di
allontanarlo, ma il ragazzo non desistette. La prese per un polso e
la trascinò verso il lavabo. Lei non poteva più
nascondere il suo viso sofferente.
Elle
la portò di fronte alle specchio e la fece voltare, per
poterla far appoggiare al mobile del lavabo. Bagnò l'orlo
dell'asciugamano con un po' di acqua tiepida e si avvicinò di
nuovo a lei, le asciugò lentamente le lacrime che bagnavano le
sue guance delicate e le sue labbra a cuoricino, che lei tanto
detestava.
Per
Elle erano perfette invece e non poteva vederle bagnate da quelle
gocce di sale.
“Non
farti strane idee.” le disse, cercando nel suo repertorio di
freddezza una frase che potesse anche solo lontanamente farla
sorridere. “Lo faccio solo perchè sei brutta quando
piangi.”
Riuscì
a strapparle un sorriso da quelle tenere labbra, Alyssa lo lasciò
fare nella sua buona opera di altruismo, malgrado la cosa la
imbarazzasse parecchio.
“Mi
spiace, non solo creo problemi ma ti rovino pure al giornata con il
mio aspetto orribile!” disse, sforzandosi di ridere.
Elle
abbozzò un sorriso, in una maniera adorabile che lo portava ad
innalzare le labbra un po' verso destra. “La mia era solo una
battuta, tu non saresti mai brutta.” le disse.
Alyssa
lo guardò sorpresa, i profondi occhi del ragazzo erano fissi
sulla pelle di lei, mentre cercava di bagnare via le lacrime da essa.
Si chiese se era sincero o se diceva quelle cose solo per farle
piacere. Stava di fatto, che riusciva a farla sentire più
piccola ed inutile di quando già non pensasse.
Si
ritrovò a piangere di nuovo, serrò le labbra per
trattenere i singhiozzi e abbassò la testa. Elle allontanò
le mani dal suo viso, ma non lo sguardo.
“Perdonami,
sono davvero diventata un disastro.” si scusò lei. Ma
non capiva che non aveva nulla di cui scusarsi? Elle detestava
vederla in quello stato, non sapeva cosa fare e nemmeno cosa dire per
farla stare meglio. Appena sentiva che si stava aprendo un po' di più
con lei, rinchiudeva subito tutte quelle emozioni che lo
attraversavano in un posto lontano, nella sua mente.
E
non nel suo cuore, dove invece avrebbero dovuto trovarsi.
“Aly,
devi smetterla di pensare cose del genere. Se è per quello che
ti ho detto l'altra volta, ho parlato solo per rabbia.” disse,
gesticolando come non aveva mai fatto prima. Non erano movimenti
esagerati o veloci, ma insoliti per lui. “E non devi nemmeno
scusarti per aver subito un trauma terribile. Io non posso nemmeno
lontanamente immaginate quanto odi questa data...”
Alyssa
abbassò lo sguardo, il giorno prima era tranquilla come al
solito: non aveva ancora ripreso parte attivamente al caso, anche se
aveva saputo che Misa sembrava essersi completamente ripresa ed era
tornata a parlare, sopratutto per accusare Elle di essere un
pervertito. Light e suo padre invece si comportavamo magistralmente
bene per trovarsi in quelle condizioni, erano calmi e non davano
segni di impazienza come Misa. La sera prima era andata a dormire con
l'intenzione di parlare a Light l'indomani e scusarsi per averlo
preso in giro, se così la si poteva definire la loro
situazione. Il pensiero di William, del suo corpo lurido e grasso che
ormai giaceva dietro una cella da anni non l'aveva nemmeno sfiorata.
Fino
a quella mattina.
Elle
riprese ad asciugarle il viso e Alyssa alzò lo sguardo
lentamente su di lui. Ripensò al momento in cui aveva quasi
sentito posare le labbra sulle sue e avvertì il pressante
desiderio di vivere di nuovo quell'attimo. Era come se la sua mente
avesse smesso di farla pensare e che il suo cuore le ordinasse di
trovare conforto nell'unica cosa in cui poteva trovarlo.
Lui.
Gli
accarezzò il viso, partendo prima dalla tempia per poi
scendere lentamente lungo la guancia. Elle la guardò sorpreso
da quel suo gesto, i suoi movimenti si arrestarono di colpo. Osservò
il sorriso sghembo che apparve sulle labbra dell'amica, un sorriso di
una persona la cui mente era troppo lontana dal corpo per poterlo
controllare. Alyssa era sempre fuori di testa ogni anno, in quel
preciso giorno, ma allora sembrava davvero diversa.
“Lo
sai che da piccola avevo una cotta per te?” gli chiese.
Elle
deglutì, sentì la mano di Alyssa scendere sempre di più
verso le sue labbra. Qualcosa le diceva che la doveva fermare,
qualcos'altro invece gli ordinava di lasciare che il tocco della
ragazza lo facesse rabbrividire. Restò impassibile, mentre gli
occhi di Alyssa scendevano e salivano sul suo viso.
“Hai
sempre avuto il gusto per l'orrido.” le ricordò.
Alyssa
sorrise, un'altra lacrima scese lungo la sua guancia. Elle restò
immobile quando la vide avvicinare il viso al suo, fu lei a fermarsi,
passando un dito lungo il suo labbro superiore.
Sembrava
che nemmeno si rendesse conto di quello che stava facendo.
Voleva
solo ritrovare la forza in colui che era stato la sua spalla, la sua
pietra per tutti quegli anni. Non le importava di quello che sarebbe
successo dopo, ma a lui sì. Quello che stava per accadere,
avrebbe cambiato tutto: li avrebbe coinvolti in qualcosa di troppo
grande e di difficile da affrontare vista la tempesta che già
li circondava. Anche se lui in primis, era stato vicino a perdere il
lume della ragione quella volta in corridoio.
“L'orrido
non ti appartiene, Elle..” disse lei in un sussurro. Alzò
lo sguardo sugli occhi neri del ragazzo, lui non riusciva a compiere
alcun movimento che potesse lasciarle capire se voleva o no dare
sfogo alla sua pazzia.
Perchè
Alyssa si sentiva pazza in quel momento, si era ritrovata a
desiderare le sue labbra per poter combattere quello che la lacerava
dentro.
Avvicinò
le labbra alle sue, Elle chiuse gli occhi e trovò la forza di
parlare. “Alyssa, fermati.” le disse con tono pacato. La
ragazza lo ignorò e continuò a cercare di annullare
ancora di più le distanze tra loro. Quando oramai i loro
respiri erano fusi in una cosa sola, Elle le posò le mani
sulle spalle e l'allontanò.
“Smettila.”
le disse, tenendo gli occhi chiusi. La ragazza lo guardò con
occhi sbarrati, fu come se si fosse appena destata da un bellissimo
sogno e che fosse ricaduta nella realtà che la circondava. Il
dolore e la confusione si impadronirono di nuovo di lei, mentre
guardava il viso di Elle.
Lui
stava lentamente riprendendo fiato. “Non possiamo farlo. Sei
sconvolta lo so, ma non...” si bloccò, per la prima
volta non riusciva a trovare le frasi necessarie per risolvere quella
situazione. Distolse lo sguardo e sperò che Alyssa fosse
tornata abbastanza in sé per poter parlare al suo posto.
“Sì,
scusami.” si scusò lei, anche se non voleva farlo. “Non
so cosa mi abbia preso in realtà.”
Elle
la guardò chinare il capo e posarlo sulla punta dei suoi
piedi. Non sapendo cos'altro aggiungere, il ragazzo lasciò
l'asciugamano sul lavabo e si voltò lentamente.
“Prenditi
un giorno di riposo oggi. Non voglio che tu lavori in questo stato.”
le disse, mentre si avvicinava sempre di più alla porta.
Alyssa non lo guardò andare via, rimase a fissare il vuoto
attorno ai suoi piedi e prese un lungo respiro.
Elle
si chiuse la porta alle spalle e rimase con la schiena poggiata sopra
di essa. Si passò inconsapevolmente una mano sulle labbra,
prima di dirigersi verso il corridoio.
Come
sempre, nelle ore che dovevano seguire la cena, William scese nello
scantinato.
Il
modo in cui lo faceva era terribile, canticchiava fastidiosamente una
musichetta irritante, che doveva appartenere alla sigla di qualche
programma televisivo che era solito guardare.
Alyssa
sentì i suoi passi pesanti mentre scendeva le scale, la sua
ombra era ben visibile nonostante l'oscurità: sembrava un
enorme macchia scura, ancor più del buio che la circondava,
che si muoveva verso la luce. Alyssa se lo immaginò, mentre un
sorriso beffardo gli attraversava il volto e i suoi piccoli occhi
scuri cercavano nell'oscurità gli oggetti della sua violenza.
La
ragazzina lanciò un occhiata verso Judith, la quale sembrava
parecchio debole per poter mettere in atto il piano che le aveva
introdotto poche ore prima. Non si perse d'animo, trattenne le
lacrime di paura, che le pesavano sugli occhi ad ogni passo più
vicino di William, e guardò quell'ombra che si avvicinava
sempre di più alle loro sbarre.
Il
viso di William fece capolino sotto la luce, il suo orribile volto
era ulteriormente distorto dall'ubriacatura a cui si era appena
sottoposto. Alyssa si rese conto di non averlo mai visto veramente in
faccia come allora.
Lui
le sorrise, strinse le sbarre con le sue mani sudice e posò
gli occhi su di lei. La ragazza si sentì percorrere diversi
brividi lungo la schiena. “Buonasera mio piccolo fiorellino!”
le disse, in una maniera terribilmente squallida. “Sono quasi
tentato dal saltare il turno...”
Alyssa
tremò più forte, si strinse le ginocchia al petto e
lanciò un'occhiata a Judith. La ragazza si alzò in
piedi con una lentezza e una debolezza inumana. Restò un
attimo immobile, come a cercare di trovare con lo sguardo un punto
fisso nel vuoto che l'aiutasse a restare in piedi. Alyssa la guardò,
mentre si avvicinava a William. Come faceva ad avere il coraggio di
andargli così vicino?
Non
doveva pensarci, il loro piano doveva andare avanti e doveva avere
successo.
Judith
strinse le sbarre tra le mani e guardò in faccia il loro
carceriere. “Ci sono prima io...” gli disse, in un
flebile sussurro che sembrava lontano dal sembrare una voce. Sembrava
più un debole spiraglio di vento, che soffiava su una roccia
senza riuscire a scalfirla.
William
sorrise, era così perso nella sua perversione che non si era
accorto che la ragazza lo stava prendendo in giro. “Va bene
allora...non pensavo ti facesse così tanto piacere stare con
me..”
Aprì
le sbarre e prese con rudezza il braccio di Judith, la tirò a
sé e si voltò poi a guardare Alyssa. “Domani sarà
il tuo giorno fortunato.” le disse. La ragazzina tremò
di nuovo, guardò Judith e la vide lanciarle quel segnale con
gli occhi di cui le aveva parlato. Un cenno con la testa le fece
capire che era arrivato il momento.
L'espressione
di Judith assunse una forma quasi animalesca, lanciò un grido
e si liberò della presa di William con tutta la forza che gli
era rimasta. L'uomo restò stupito da quel gesto così
violento, Alyssa scattò in piedi e corse verso l'uscita delle
cella mentre i due giacevano ancora a terra.
Judith
cercò di tenere William fermo, mentre gridava alla ragazzina
di scappare.
“Vai,
ora ti raggiungo!” le gridò.
Alyssa
non riuscì però ad avvicinarsi alle scale, sentì
la voce di Judith che emetteva un grido e si girò verso di
lei. William si era rialzato in piedi, dopo aver colpito la ragazza
con un calcio allo stomaco.
“Maledetta
bastarda!” gridò. Iniziò di nuovo a colpirla,
Judith assorbiva i colpi in silenzio, senza poter fare nulla per
impedirlo. Alyssa avrebbe potuto scappare, William era così
fuori di testa che non si era accorto della sua quasi fuga, ma
preferì non farlo.
Non
poteva abbandonarla.
Con
tutta la rabbia e l'odio che aveva in corpo, si gettò alle
spalle dell'uomo. Lui gridò, mentre la piccola restava
attaccata alla sua schiena e cercava di graffiargli il volto con le
unghie.
Judith
sembrava aver perso i sensi, giaceva a terra supina e aveva il volto
più pallido del solito.
Il
vantaggio di Alyssa sull'uomo durò ben poco, William la colpì
al viso con un pugno e la fece cadere a terra. La ragazza si sentiva
il sangue bagnarle il naso, sentiva William dietro di lei che
annaspava e imprecava e cercò quindi di strisciare verso le
scale.
Lui
le fu addosso nel giro di pochi secondi, la fece voltare verso di sé
e le serrò le mani al collo. Alyssa provò a combattere
contro la sua forza, ma fu tutto inutile. L'uomo sembrava davvero
intenzionato ad ucciderla, nella sua mente malata si era dimenticato
che quella che aveva di fronte era una delle sue perversioni.
“Non
ti lascerò andare mai!” gridò.
Alyssa
non sentiva più il respiro, i polmoni gridavano aria e sentiva
il collo come se si stesse spezzando lentamente.
E
perse i sensi.
Passarono
altri giorni, ma niente mutò.
Solo
una cosa: gli omicidi di Kira, che si erano apparentemente interrotti
con la cattura di Light e Misa, erano ripresi.
E
alla grande. Il numero dei morti al giorno era notevolmente
aumentato, proprio come se nulla fosse cambiato.
Alyssa
pensò a come doveva sentirsi Elle in quel momento, lui era
praticamente certo di aver incastrato i due Kira ma i fatti
sembravano dire il contrario. Inoltre, la ragazza aveva saputo da
Matsuda che il detective si era rifiutato di dire ai tre detenuti
come stavano le cose. Forse voleva studiare bene la situazione, prima
di informarli di quanto stava accadendo.
Alyssa
aveva deciso di andare a parlare con Light, sapeva che Elle non
gliene avrebbe fatto una colpa, ma non sarebbe comunque stato
contento di quello che avrebbe visto.
Lei
voleva solo chiarire la sua posizione con il ragazzo.
Almeno
avrebbe allontanato il pensiero di William e della ricerca di
conforto nelle labbra di Elle dalla sua mente. Al ricordo del
desiderio di posare le sue labbra su quelle di Elle, le faceva
bollire la faccia.
Si
diresse velocemente verso gli armadietti di Watari e prese le chiavi
che conducevano alla “prigione” di Light. I suoi passi
risuonarono nel corridoio stretto e silenzioso, appena svoltò
l'angolo notò subito il ragazzo, seduto sul pavimento con le
braccia dietro la schiena e le caviglie legate.
Aveva
alzato lo sguardo verso il punto in cui lei era appena apparsa, i
suoi passi veloci dovevano essere stati un valido segnale per
informarlo che lei stava arrivando. La sua espressione si fece dura,
mentre guardava il viso della ragazza.
“Non
sapevo che ci fosse un orario di visite...” disse, cercando di
essere ironico.
Alyssa
serrò le labbra, ci mancava solo la delusione di Light ad
accrescere il numero di pensieri che gli invadevano la mente.
“Infatti non c'è alcun orario di visite teoricamente...”
rispose, fece un passo verso di lui ma restò a debita
distanza. Gli occhi dorati di Light sembravano volessero bruciarla in
quel momento. “Sono solo qui per spiegare come stanno le cose.”
“Cosa
c'è da spiegare? Lavori per Elle, mi hai preso in giro per
tutto questo tempo, fingendoti una studentessa russa che mi trovava
simpatico?” le chiese.
“Non
ho finto, io sono davvero russa.” precisò Alyssa. Non
aveva alcuna voglia di farsi accusare anche da lui, aveva già
fin troppi pensieri preoccupanti che le assillavano la mente.
Light
abbozzò un sorriso nervoso. Volse la testa dall'altra parte e
scoccò la lingua.
“Beh...il
fatto che tu non mi abbia mentito su questo, mi rende più
contento. Davvero.” le disse, con sarcasmo.
Alyssa
si grattò la fronte, chiuse gli occhi per un istante, cercando
di assimilare la pazienza necessaria per non mandare al diavolo il
mondo.
“Senti,
ne ho le scatole piene di gente che mi fa sentire in colpa. Ti ho
mentito, lavoro per Elle...mi dispiace! Che vuoi, che mi metta in
ginocchio e implori il tuo perdono?” gli chiese spalancando le
braccia.
“Non
ho nulla da perdonarti. Puoi anche solo andartene e lasciarmi in
pace.”
“Mi
sembra che tu te la stia prendendo un po' troppo, non credi?”
Calò
un profondo silenzio, Light distolse lo sguardo e Alyssa lo osservò
attentamente. Le sembrava diverso da come lo aveva sempre visto, a
volte pensava che il ragazzo indossasse una maschera di perfezione
che nascondesse dell'altro. E per altro, s'intendeva qualcosa che
doveva davvero rimanere nascosto.
In
quei momenti, anche lei aveva pensato che potesse essere Kira. Perchè
indossare una maschera se non si aveva nulla di terribile da
nascondere? Poi si ricredeva e pensava che potesse solo nascondere
dei semplici segreti, come ogni essere umano.
Allora
perchè in quel momento lo vedeva sotto un'altra ottica? Come
se fino ad allora non lo avesse mai visto così....umano?
“Perchè
hai deciso di sacrificarti a questa vita?” le chiese Light,
parlando del suo lavoro e delle lunghe giornate che passava accanto
ad Elle, come se fossero un sacrificio. Per lei non lo era, lo erano
stati gli anni in cui aveva sofferto per William e per la
consapevolezza di non poter servire ad Elle.
“Sei
innamorata di lui, solo questo ti ha portato a lavorare al suo
fianco?” continuò Light.
Alyssa
alzò le mani imbarazzata. “Ehi, io non sono innamorata
di nessuno, che sia chiaro!”
“Da
quello che ho visto giorni fa, non mi sembrava.”
Alyssa
si ammutolì per un istante, si inumidì le labbra
improvvisamente troppo secche e alzò lo sguardo verso la luce
al neon sopra le loro teste.
“Non
sono qui per discutere di cose inesistenti...” disse. “Sono
qui per chiederti scusa per averti preso in giro, ma non l'ho fatto
per un mio capriccio.”
La
ragazza si morse la lingua, cosa aveva da chiedere scusa? Nulla, lei
si era avvicinata a Light per lavoro, non perchè aveva voglia
di prenderlo per i fondelli. Poi non capiva perchè lui se la
prendesse così tanto a male, si erano avvicinato ma non fino
al punto da considerare la copertura di Alyssa come un tradimento.
“Ok,
posso almeno sapere perchè lavori per lui.” insistette
il ragazzo.
“Perchè
mi poni questa domanda?!” esclamò la ragazza, non voleva
parlare dei motivi che l'avevano spinta a decidere di lavorare con
Elle. Le motivazioni erano legate a ricordi troppo dolorosi che non
avrebbe potuto sopportare.
Light
la guardò seriamente, non aveva mai notato quanto i suoi occhi
potessero assumere un aspetto così sincero e innocente.
“Non
so se hai notato, ma non faccio altro che starmene legato qui tutto
il giorno...quale modo migliore per passare il tempo, chiedendoti di
rivelarmi una cosa vera di te?” rispose.
Alyssa
serrò le labbra, non sapeva cosa dire e nemmeno cosa fare. Si
ricordò sempre che le telecamere erano puntate su di loro e
che Elle stava assistendo a tutta la loro chiacchierata.
Prese
un lungo respiro, una verità sulla sua vita non la poteva
negare a Light.
Non
dopo averlo preso in giro per tutto quel tempo.
Si
inginocchiò a terra e posò le mani sopra le gambe.
“Anni fa, sono stata rapita da un maniaco.” iniziò
a raccontare, rompendo il lungo silenzio che li aveva preceduti.
Distolse lo sguardo, lo posò sul pavimento e sperò di
riuscire ad andare avanti con il racconto di quel terribile fatto.
“Una
sera decisi di scappare dall'istituto in cui vivevo e incappai
proprio in lui. Si chiamava William, era un meccanico di circa
cinquant'anni con seri problemi mentali.”
Rise,
una risata nervosa e che lasciava trapelare troppo dolore. “Problemi
mentali..” ripeté. “Era solo un folle con manie
perverse e omicide!”
Si
arrestò di nuovo, Light avrebbe voluto interromperla ma vide
che lei ce la stava mettendo tutta per continuare quel racconto. Come
se lo stesse facendo più per sé stessa, che per
accontentare il desiderio del ragazzo.
“Nel
frattempo aveva rapito altre due ragazze. Una venne uccisa appena
arrivai, con l'altra rimasi nell'oscurità per intere giornate.
Si chiamava Judith e se non fosse stato per lei sarei morta. Fu lei a
salvarmi, infondendomi un coraggio che non avevo mai avuto. Una sera,
quando William scese nello scantinato dove ci teneva rinchiuse, usò
tutta la forza che aveva nel suo corpo, ormai provato dalle percosse,
per permettermi di scappare.”
Sentì
le lacrime salirle agli occhi, le asciugò prontamente con il
palmo della mano, ma non riuscì di nuovo a nasconderle agli
occhi della persona che aveva di fronte. Con Light si sentiva più
libera, a lei non importava se si fosse rivelata debole con lui.
Era
con Elle che avrebbe dovuto sempre mostrarsi forte, per sostenerlo
nel suo duro lavoro.
“Però
non funzionò purtroppo. Judith era già parecchio
indebolita e William si faceva forza della sua stessa pazzia. La
colpì con una violenza inaudita e si scagliò su di me.
Stava per strangolarmi...se poi non fosse arrivata la polizia.”
Light
corrugò la fronte, aveva notato il piccolo sorriso che si era
acceso sulle sue labbra quando aveva concluso con quella frase. Durò
pochissimo, ma abbastanza per riportare un po' di luce sul suo bel
viso.
“Fu
Elle a mandarli. Aveva preso subito parte al caso, appena saputo che
io ero coinvolta. Ci mise solo due giorni per risolverlo e mi salvò
la vita. Judith però non si salvò purtroppo, morì
per una grave emoraggia prima che arrivassimo in ospedale.”
continuò. “William finì in carcere, dove risiede
tutt'ora, con l'accusa di violenza sessuale, sequestro di persona e
omicidio. Non vedrà mai più la luce del sole.”
E
lì calò un profondo silenzio. Alyssa pensò di
nuovo ad Elle e sorrise, quello era uno dei tanti motivi per cui
aveva deciso di lavorare con lui. L'altro era perchè credeva
fermamente nella giustizia, credeva che lui fosse la giustizia. E con
lui avrebbe impedito che ci fossero altre Judith, ragazze morte per
poter salvare una vita. Erano i loro carnefici che dovevano pagarla,
non loro.
“E
a te basta pensare che sia in carcere?” le chiese Light.
Alyssa
alzò lo sguardo su di lui, sorpresa da quella domanda. In
realtà, spesso pensava che una morte dolorosa sarebbe stata la
via più giusta per punire una persona come William.
Ecco
perchè il caso di Kira l'aveva confusa così tanto: se
lui avesse ucciso colui che le aveva rovinato la vita, come poteva
dargli poi la caccia?
Ma
la presenza di Elle accanto a lei, le bastava per credere che la
giustizia era solo nella sua persona e nelle autorità
competenti. Non in Kira.
Non
fece in tempo a rispondere, che le squillò il telefono. Sullo
schermo apparve un numero sconosciuto, si alzò in piedi e si
scusò con Light.
Rispose
e quello che sentì la lasciò sconvolta.
“Aly?”
Alyssa
cercò di aprire le palpebre, ma qualcosa glielo impediva.
Sentiva come un qualcosa di freddo e liscio che le sfiorava la pelle.
Poi un tocco caldo, come di una mano amorevole che le sfiorava la
guancia.
Era
morta? Forse quella era la mano del suo papà, che le diceva
che finalmente il dolore era finito.
Non
poteva essere della sua mamma, perchè lei era ancora viva da
qualche parte.
Non
voleva essere morta però, lei non poteva abbandonare Elle e
non voleva andarsene senza averlo almeno salutato.
Nonostante
gli occhi chiusi, sentì le lacrime che scivolarono lungo la
sua pelle.
“Aly,
siamo qui.” disse di nuovo quella voce, non riusciva a darle un
tono e una forma, sembrava una voce troppo lontana dal suo corpo per
poterla considerare reale. Forse era davvero morta.
Riuscì
ad aprire gli occhi, ormai gonfi di lacrime, e si guardò
attorno.
Elle
era lì accanto a lei, affiancato da Watari che le accarezzava
dolcemente il viso. L'uomo le sorrise, come farebbe un padre di
fronte alla sua bambina ferita.
“Alyssa,
come stai?” le chiese.
La
ragazzina si guardò attorno, si trovava in un tipica stanza
d'ospedale, dalle pareti bianche e priva di odore. C'erano delle
macchine attorno a lei, collegate a dei tubi che le passavano sotto
pelle. Non ricordò subito tutto quello che era successo, le ci
vollero diversi secondi e gli occhi preoccupati di Elle per
ricordare. Lui se ne stava in piedi, la sua mano era vicino a quella
di lei ma non la sfiorava.
“Dov'è...dov'è
Judith?” chiese, con voce flebile. Non la riconobbe nemmeno
come sua.
Watari
sospirò, lanciò un'occhiata verso Elle che si sforzava
di restare impassibile. Ma, per la prima volta in tutta la sua vita,
parve non riuscirci. “Non ce l'ha fatta.” rispose
sinceramente, tornando a guardare la piccola. “È morta
qualche ora fa.”
Alyssa
non riuscì a credere alle sue parole, iniziò a
singhiozzare e i movimenti troppo rapidi nel suo petto furono una
pena per lei. “No...” disse.
“Il
bastardo che vi ha fatto questo è già in galera. Non
saprà più cosa sia la libertà.” disse Elle
con troppa freddezza, lasciando trasparire un odio che non gli era
mai appartenuto.
Alyssa
posò gli occhi su di lui, lo vide subito distogliere
l'attenzione da lei per nascondere quello che c'era nel nero del suo
sguardo. La ragazzina si sentì in colpa, nel pensare che la
galera non sarebbe bastato a quel verme.
Avrebbe
voluto ucciderlo con le sue mani.
Un
pensiero che durò nemmeno un secondo, Alyssa non voleva più
rivedere William ,nemmeno cadavere. Perdere la libertà era una
cosa più dura della morte e più giusta.
Si
muore in un secondo, si soffre per un intera vita.
E
quello meritava William.
“Appena
sarai più grande, ti porterò con me.” disse ad un
certo punto Elle, Watari si voltò verso di lui sconvolto. “Non
voglio più ricevere una telefonata, per sapere che sei in
pericolo. Voglio essere lì, accanto a te in caso dovesse
succedere di nuovo.”
Alyssa
lo guardò, non sapeva definire le emozioni che la sfiorarono
in quel momento. Erano troppe e troppo forti per lei.
Elle
non si era mai rivolto a lei in quel modo, sarebbe stata anche
l'ultima volta forse, perciò decise di imprimere ogni singola
parola di quella frase nella sua mente stanca.
“Perciò,
comportati bene fino ai sedici anni e studia molto. Così non
sarai in difficoltà quando lavorerai ai miei casi.”
continuò il ragazzo, con tono più vivo. “E così
sperimenterai la giustizia vera con le tue stesse mani. Salveremo
altre Judith, insieme.”
Con
quelle parole, non si era accorto di aver avvicinato la sua mano a
quella della ragazza. Alyssa sentì il suo mignolo sfiorarle il
pollice e un brivido gli corse lungo la schiena.
Sorrise,
anche lei voleva proteggere Elle, come aveva fatto lui in quel
momento. Voleva davvero poter essere la giustizia, aiutare il suo
migliore amico e salvare altre persone.
In
onore di Judith.
“Ci
sarò Elle. Perchè tu sei la giustizia.” disse
quelle semplici parole. E sulle labbra di Elle, vide il suo primo
vero sorriso.
Alyssa
si era allontana a passo svelto dalla cella di Light.
Quando
Elle non la vide più insieme al ragazzo, per poco tirò
un sospiro di sollievo. I poliziotti attorno a lui erano così
concentrati nell'osservare il sovrintendente e nel rispondere alle
calunnie di Misa, che non avevano ascoltato la conversazione tra i
due.
Ma
Elle non si era perso una singola parola del dolore di Alyssa. Aveva
visto il suo debole sorriso illuminarle il volto, quando fece un
accenno su di lui, e si era sentito strano. Vederla soffrire e
vederla sorridere erano due cose che gli facevano sentire delle
strane e potenti sensazioni che non aveva mai provato.
Ma
poi era arrivata quella chiamata, la ragazza gli sembrò
parecchio sconvolta.
La
vide entrare a passo svelto dentro la stanza del quartier generale,
fece roteare la sedia per guardarla in volto. Lei era ancora troppo
lontana affinché potesse scorgere i suoi occhi color smeraldo
nell'oscurità della stanza.
“Finita
la terapia di coppia con Yagami?” le chiese.
Quando
lei gli fu abbastanza vicino, si accorse che c'era qualcosa che non
andava nel suo viso.
Era
sconvolta e respirava a fatica, sembrava in preda ad un attacco di
panico.
Piangeva,
ma non di dolore. Di rabbia.
Elle
riconobbe indistintamente quell'espressione sul viso della collega.
Ma
era diversa da come l'aveva sempre conosciuta.
“Alyssa,
che hai?” le chiese, balzando in piedi.
Matsuda
e Aizawa, che fino ad allora erano stati a discutere tra loro su che
rispostaccia dare a Misa, si voltarono verso di loro.
Alyssa
continuava a respirare pesantemente, sembrava che potesse cadere a
terra da un momento all'altro.
“William...”
disse in un sussurro, che Elle non sarebbe riuscito nemmeno a capire
se non avesse osservato attentamente le labbra della ragazza che si
muovevano. “È morto.”
Aizawa
e Matsuda si lanciarono un'occhiata confusi, non avevano assistito
alla discussione tra Alyssa e Light nella cella e quindi non erano a
conoscenza dell'ombra di dolore che giaceva nel passato della
ragazza.
Alyssa
prese lunghi respiri, Elle la fissò in silenzio senza sapere
che cosa fare. Un gesto, una parola non potevano bastare per aiutarla
e lui lo sapeva bene.
“Morto?”
ripeté, guardò lei annuire lentamente e prese un lungo
respiro. “Come?”
Aveva
paura a porre quella domanda, aveva visto gli occhi di Alyssa mutare
dopo quella semplice parola. Le lacrime le rigarono il viso e le
labbra si serrarono come se avessero paura a riaprirsi.
“Attacco
cardiaco.” disse semplicemente.
Elle
restò immobile, trattene il respiro mentre la consapevolezza
di quello che stava per succedere prese il sopravvento.
Stava
per perdere Alyssa. La sua convinzione nel voler catturare Kira era
sempre stata in bilico, era sempre stato lui il baricentro di tutto,
colui che la riportava sul giusto equilibrio.
Ma
quella volta, era diverso.
Quella
volta sentiva davvero che l'avrebbe persa.
La
guardò, mentre respirava quasi a fatica per l'ansia e i suoi
occhi verdi erano sgranati.
“Kira
lo ha ucciso, Elle.” disse, era così sconvolta che
dimenticò persino di chiamarlo con il suo appellativo. “Io
non posso...non posso ripagarlo così...”
Non
capiva più nemmeno lei ciò che stava dicendo. Elle la
fermò prima che dicesse qualcosa di cui avrebbe potuto
pentirsi: le strinse le spalle e la spinse contro la parete. Non lo
fece con violenza o rudezza, ma con la decisione necessaria per farla
uscire da quel labirinto mentale di confusione, rabbia e dolore in
cui si era appena persa.
“Ehi,
guardami. Guardami.” le disse più volte, fino a quando
lei non alzò lo sguardo su di lui. I loro occhi rimasero a
fissarsi per diversi istanti. “Non dirlo, non devi cedere a
quello che ti sta passando per la testa.”
Aizawa
e Matsuda nel frattempo si erano alzati in piedi, il primo fissava
con sospetto la ragazza mentre il secondo era preoccupato per il modo
in cui il viso di lei si fosse deformato in una maschera di dolore.
“No,
Elle. Tu non capisci.” disse lei, quasi ringhiando. Era il
momento della rabbia a parlare, quella che aveva tenuto dentro di sé
per troppo tempo.
“Alyssa,
Kira non ti ha salvata da nulla.” continuò a ripetere
lui, scuotendola delicatamente. “L'ho fatto prima io.”
La
ragazza scuoteva la testa lentamente, le mancava l'aria e si sentiva
che stava davvero perdendo il controllo dei suoi pensieri. Lei non
voleva più dare la caccia a Kira, non se la sentiva di
braccare come un cane, qualcuno che aveva liberato il mondo dalla
presenza di uno come William.
“Lo
sai che cosa mi ha fatto quel bastardo.” disse. “Lo sai
quante ragazze ha ucciso...ci voleva Kira per spedirlo all'inferno?”
Elle
la scosse di nuovo. “Ce l'ho spedito prima io all'inferno,
Alyssa. Sono stato io quello che ti ha salvata, ricordi?” le
chiese. Elle era consapevole di come il moto del suo cuore in quel
momento stava lasciando trasparire un'umanità a cui non
permetteva mai di fuoriuscire.
Per
Alyssa però era disposto a tutto.
“Kira
è solo uno spietato assassino, proprio come lui.”
Aizawa
affilò lo sguardo, si strinse le braccia al petto e attese il
momento giusto per parlare.
“No,
no...lui mi ha dato ciò di cui avevo davvero bisogno!”
replicò lei, con più durezza.
A
quel punto Elle si sentì scoppiare, non sopportava sentirla
parlare in quel modo del loro nemico.
Non
sopportava il pensiero che si affidasse a Kira e non a lui.
“Io
ti ho dato quello di cui avevi bisogno: giustizia.”
disse, a denti stretti.
“Io
non avevo bisogno di giustizia, ma di vendetta.”
replicò lei, quasi rabbiosamente. Ormai aveva perso il
controllo, non riusciva più a trattenere i pensieri che le
affollavano la mente e lasciava che ogni parola di questi pensieri
attraversasse le sue labbra.
Elle
non riusciva a trovare il modo per ritrovarla, prima che fosse troppo
tardi.
“Ma
la senti come parla, Ryuzaki?” disse Aizawa, approfittando del
silenzio che si era creato all'interno della stanza. Alyssa voltò
la testa verso di lui, Elle invece chiuse un attimo gli occhi per
infondersi la calma necessaria che avrebbe potuto perdere in quel
momento.
“Aizawa,
ne stia fuori.” disse freddamente.
“No,
Ryuzaki!” replicò Aizawa. “Gli omicidi di Kira non
si sono arrestati nonostante Light e Misa siano in cella da quasi un
mese. E Alyssa parla proprio come parlerebbe Kira.”
“E
tu che cazzo ne sai di come parlerebbe Kira eh?” sbottò
la ragazza nervosamente.
Elle
abbassò lo sguardo e non disse nulla, voleva solo che
tacessero tutti e che lo lasciassero ragionare su cosa fare. Ma
Alyssa ormai era andata.
“Potresti
essere tu Kira. Avevi tutti i moventi per poter iniziare, avevi tutti
i mezzi per poter prendere informazioni dalla polizia e hai
l'intelligenza necessaria per poter mandare avanti tutti gli omicidi.
Light e Misa potevano essere Kira, perchè non puoi esserlo
anche tu?”
“Perchè
io non lo sono!” esclamò Alyssa nervosamente, era così
infuriata che avrebbe voluto saltargli alla gola e fargli pentire di
accusarla.
“E
chi ce lo dice?!” ripeté Aizawa. “Non ti sei vista
mentre parlavi forse!”
“Su,
ragazzi. Non saltiamo a conclusioni affrettate!” esclamò
Matsuda, cercando di riportare la calma all'interno della stanza. Ma
non ci riuscì.
“Ryuzaki,
devi essere coerente. Tu sospettavi di Light, sospettavi di Misa e
abbiamo acconsentito a rinchiuderli lì dentro per avere le
prove necessarie per provare la loro colpevolezza.” Aizawa
riprese a parlare, tenendo lo sguardo fisso su Elle. Alyssa e Matsuda
non facevano parte della scena per lui, fingeva di ignorarli e si
soffermava solo a fissare il volto assorto nei pensieri del
detective. “Bene, abbiamo le prove che loro non sono colpevoli.
Io sospetto che Alyssa possa essere coinvolta con questa storia e che
abbia solo perso il controllo della situazione con la storia di
questo William...”
“Questo
è assurdo!” esclamò Alyssa. “Abbiamo
lavorato fianco a fianco per tutti questi mesi e ora arrivi a dire
che io sono Kira, solo perchè lo difendo per aver ammazzato un
mostro? Tu hai problemi mentali seri, mio caro..”
“Alyssa,
sta zitta.” La voce di Elle giunse più fredda del
solito. La ragazza si voltò verso di lui lentamente, non si
aspettava di guardarlo negli occhi e di vederli privi di quella luce
che aveva sempre quando la guardava. Non poteva dare credito alle
parole di Aizawa, non poteva credere che lei potesse essere coinvolta
in tutto quel vortice di morte.
Infatti
lui non sospettava di lei, detestava solo il fatto che fosse ormai
arrivata a difendere Kira in quel modo per via di William. Doveva
essere lui il suo scudo per i mali del mondo, non Kira.
L'espressione
sul viso della ragazza si fece più tesa. “Elle?”
disse con voce tremante.
Si
aspettava che da un momento all'altro dicesse qualcosa ad Aizawa e
invece rimase in silenzio. Distolse lo sguardo e lo posò sul
pavimento.
Un'altra
lacrima scivolò lungo la guancia della ragazza e la sua bocca
si allargò in un sorriso nervoso. “Ah stanno così
le cose?” chiese, si liberò duramente delle mani di Elle
sulle sue spalle e si asciugò le lacrime. “Allora,
voglio scegliere io la cella che mi spetta.”
Fece
per allontanarsi, si aspettò di nuovo che Elle la fermasse ma
non fu così. Cercò invece di farlo Matsuda, la seguì
mentre si dirigeva rapidamente verso la porta.
“Alyssa,
non fare qualcosa di cui potresti pentirti. Te ne prego!”
disse.
“No,
qui qualcuno vuole delle prove.” disse lei, soffermandosi però
sulla figura di spalle di Elle. Riusciva a percepire la sua rabbia e
la sua pena, solo che lui non riusciva ad esternarla.
E
a lei dispiaceva essere la causa di tutto quel suo soffrire.
“E
io darò al detective e al poliziotto capellone le prove di cui
hanno bisogno.” concluse, guardando poi Matsuda.
E
lasciò la stanza. Elle non riuscì a voltarsi per
guardarla un'ultima volta.
Sentiva
che ormai l'aveva persa del tutto.
Ciao
a tutti! :)
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto!
Ci
tenevo a ringraziare chi legge e recensisce e i lettori silenziosi!
E
ringrazio infinitamente coloro che hanno inserito questa storia tra
le seguite, preferite e ricordate!
Buona
giornata! :)
|
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Capitolo 10 *** What Happened To Us? ***
-What
happened to us?-
“Alyssa
è chiusa là dentro da più di una settimana
ormai!” esclamò Matsuda. “Gli omicidi di Kira non
si sono arrestati nemmeno per un giorno, perciò perchè
lasciarla lì? È ormai evidente che non è lei
Kira!”
Elle
guardava tutti gli schermi, eccetto uno: osservava Misa Amane che
continuava a gridare frasi senza senso, osservava il silenzio di
Light Yagami e la sofferenza fisica del sovrintendente.
Ma
non riusciva a guardare lo schermo che rappresentava la prigionia di
Alyssa.
Come
lei aveva anticipato giorni prima , la ragazza si era scelta da sola
la cella: una stanza dalle pareti bianche con un semplice letto
singolo sulla parete destra. L'aveva scelta perchè era una
stanza molto ampia e, essendo una persona che odiava i posti
particolarmente chiusi, preferiva rimanere imprigionata in uno
spazio meno stretto. In quel momento era seduta sul letto, con le
ginocchia strette al petto e lo sguardo che vagava nel vuoto.
Aizawa
si passò una mano tra i ricci capelli scuri e si tirò
indietro sulla sedia. “Mi sa che ho preso davvero un
granchio...quasi mi sento in colpa.” disse.
Elle
volse lentamente lo sguardo verso lo schermo di Alyssa.
La
luce bianca del monitor illuminava il volto pallido del ragazzo, che
fino ad allora sembrava esser stato immerso nell'oscurità.
Si
sforzò di osservarla: Alyssa ogni tanto lanciava un'occhiata
alle telecamere, come se sperasse di vedere il volto di Elle
attraverso l'obiettivo. Era ancora scossa per la morte di William e
per il ruolo che Kira aveva avuto in essa, ma il detective aveva ben
capito che quello che turbava di più la ragazza era, in quel
momento, il comportamento che lui aveva assunto nei suoi confronti,
non proteggendola dalle parole di Aizawa.
Lui
non aveva mai pensato che lei fosse Kira, Alyssa aveva una purezza
dentro di sé che spesso racchiudeva in un angolo nascosto del
suo cuore e non lasciava trasparire, perciò era certo che non
sarebbe mai stata capace di uccidere una persona. Non era nemmeno
capace di mentire per una buona causa.
Ma
Elle si era sentito di rimanere in silenzio, non per punirla, ma per
non perderla.
In
quel momento lui la stava guardando, ma non riusciva a riconoscere la
ragazzina che era cresciuta e maturata insieme a lui. La Alyssa che
non aveva più paura del buio, grazie alla sua presenza.
Ora
lei non temeva più il buio, si stava quasi per far avvolgere
da esso.
Per
colpa di Kira.
Strinse
i pugni, Alyssa nel frattempo si era alzata in piedi e cominciò
a camminare attorno alla stanza con una pallina da tennis in mano che
Watari le aveva procurato. Sembrava una di quei carcerari che si
vedevano nei film americani. Faceva rimbalzare la palla a terra
ripetutamente per poi accoglierla nuovamente nel palmo della sua
mano.
“È
colpa tua se si trova lì dentro, Aizawa!” esclamò
Matsuda voltandosi verso il collega. “Io lo sapevo da sempre
che lei non era Kira!”
“Ma
chi si fida della tua opinione da idiota? Non sei obiettivo e la
difendi solo perchè è carina!”
Elle
non ne poteva più di sentire la loro discussione. Non ne
poteva più persino di guardare quei tre soggetti sugli
schermi, quando Alyssa attendeva delle risposte e delle certezze.
Lei
aveva bisogno di lui, o almeno il ragazzo se lo augurava.
Gli
bastò alzarsi lentamente in piedi, per interrompere la
conversazione tra i due poliziotti. Lo osservarono mentre si
allontanava verso la porta, con la schiena curva e lo sguardo basso
sul pavimento.
“Ryuzaki,
dove vai?” chiese Matsuda, fissando con confusione la schiena
del detective.
Non
si aspettava una risposta da parte sua e, infatti, il detective
lasciò la stanza in silenzio.
Voleva
rispondere solo alle domande di una certa persona.
Alyssa
sbuffò.
Camminava
attorno alla stanza con aria annoiata e facendo rimbalzare la pallina
a terra. Osservò il suo movimento, mentre
saliva e scendeva nell'aria velocemente, ma non bastò a
placare il senso di vuoto che sentiva dentro di sé. Le pareva
che il corpo, la mente stessero sprofondando nel nulla.
Kira
l'aveva di nuovo gettata nell'oscurità e stavolta sembrava che
ci sarebbe rimasta per troppo, troppo tempo affinché potesse
risalire facilmente in superficie.
William
era morto e lei aveva sentito i brividi correrle lungo la schiena per
tutti i primi giorni in cui quella notizia era stata il fulcro di
tutti i suoi pensieri. Ma dopo un po', Alyssa iniziò a sentire
il vuoto dentro di sé, le bastava ripensare al modo in cui
Elle non riusciva a guardarla, per sentirsi priva di consistenza,
come se fosse solo aria.
Si
stupì di sé stessa, quando si rese conto che, la cosa
che la premeva di più, non era non poter gioire per la morte
dell'uomo che aveva segnato la sua esistenza o perchè aveva
ancora dei dubbi riguardo quello che la “legava” a Kira.
L'unica
cosa che la faceva sentire vuota era l'aver deluso Elle.
Lanciò
violentemente la pallina contro il muro, quando pensò che lei
non doveva porsi quei problemi. Doveva essere in collera con lui, per
averla abbandonata nel momento in cui avrebbe potuto dimostrare che
si fidava realmente di lei.
Eppure,
qualcosa le diceva che Elle non era rimasto in silenzio perchè
sospettava di lei.
Era
rimasto in silenzio per qualche suo motivo in particolare, che lei
non sarebbe mai riuscita a capire. Guardò la pallina rotolare
a terra e tornare ai suoi piedi, la lasciò là e prese
un lungo respiro.
Sentì
la porta della sua cella aprirsi e si voltò lentamente, rimase
di stucco quando vide Elle entrare e chiudersi la porta alle spalle.
Le si bloccò il respiro in gola e dimenticò, anche se
solo per un secondo, che doveva essere in collera con lui.
“L'orario
delle visite è terminato.” gli disse con durezza. “Torna
pure a fare il big brother
con i tuoi degni compari!”
“Non
ti sono stato a guardare tutto il tempo, non credere.” rispose
Elle, premendo sulla sua stessa freddezza. In quel momento gli veniva
spontaneo essere più duro del solito, detestava il modo in cui
lei lo stava guardando.
Quasi
fosse un estraneo.
Alyssa
lo osservò a lungo, rimase immobile e diversi passi da lui.
C'era un enorme distanza che li separava e che nemmeno Elle sembrava
aver intenzione di scavalcare.
Entrambi
non ne avevano il coraggio.
“Perchè
sei qui? Ho detto chiaramente a Watari che l'unico che voglio vedere
era lui...” disse lei, con tono duro.
“Gli
omicidi di Kira sono continuati ininterrottamente, nonostante sia
passata ben una settimana da quando sei qui.” la interruppe
Elle, prima che lei desse inizio al suo monologo di rabbia.
Alyssa
non ne parve sorpresa, lei non era Kira e lo sapeva per certo. Come
lo sapeva lui.
“E
ti stupisci?”
“No,
mi stupisco che tu voglia ancora restare qua dentro, malgrado siamo
entrambi consapevoli che Kira non sei tu.”
Alyssa
arretrò di qualche passo, alzò gli occhi verso le luci
bianche che illuminavano la stanza e prese un lungo respiro. “Diciamo
che voglio prendermi una vacanza, qui almeno non devo lavorare come
un mulo...” disse, con un sorrisetto sulle labbra.
Tornò
a guardarlo, sperando di averlo sciolto almeno un po'. Non ci riuscì,
lui la fissava intensamente e con una strana luce nello sguardo.
La
ragazza tornò lentamente seria, chissà perchè
non riusciva proprio a sostenere i suoi occhi, mentre erano soli in
quella stanza.
“A
che gioco stai giocando? Cosa vuoi dimostrare?” le chiese Elle,
spalancando le braccia.
“Io
cosa voglio dimostrare? Vorrai dire tu cosa mi vuoi dimostrare? Ho
visto il tuo sguardo, quando Aizawa mi ha accusato di essere
Kira...tu non hai fatto nulla.” sbottò la ragazza,
stringendo i pugni lungo le gambe.
“Non
so se quel giorno ti sei sentita mentre parlavi...sembravi pazza.”
replicò Elle.
“Oh
scusami, se ho dato di matto! Io sono umana a differenza tua...e
pretendevi che non sbottassi almeno un po' dopo quello che avevo
saputo?”
“Io
non sopporto che tu parli in quel modo di Kira!” Elle si
accorse di aver parlato con troppa emotività, ma la vista
della ragazza dopo giorni in cui non era nemmeno riuscito ad
osservarla attraverso i monitor, gli faceva scattare qualcosa che lui
non poteva tollerare e capire.
Lei
sospirò stancamente, passandosi una mano tra i capelli
corvini.
“Io
capivo il tuo dolore, la tua angoscia...ma non capisco il perchè
tu alla fine devi sempre affidarti a Kira!”
“Tu
non capisci nulla, Ryu. È questo il tuo problema...certe cose
non si capiscono facendo lavorare solo il cervello!” replicò
lei, la sua voce era diventata talmente alta da risultare quasi
stridula.
Il
modo in cui la presenza dell'altro li faceva innervosire, aveva
davvero dell'incredibile.
Elle
non seppe cosa rispondere alle parole di lei e rimase a guardarla,
studiando le diverse emozioni che le attraversavano il viso in quel
momento.
“Mi
dispiace per aver difeso di nuovo Kira, ma puoi darmi torto? Ha fatto
fuori uno dei miei incubi peggiori!” continuò la
ragazza.
“Io
non la vedo così: William avrebbe passato tutta la vita in
galera, avrebbe vissuto privo di libertà, di affetti e di
sentimenti in una cella spoglia e umida.” replicò Elle,
fece un passo verso di lei e riuscì ad attirare la sua
attenzione. “Kira gli ha reso tutto più facile
uccidendolo. Non lo ha punito, gli ha solo impedito di pagare a pieno
il male che vi aveva fatto.”
Alyssa
abbassò lo sguardo, non l'aveva mai pensata sotto quel punto
di vista. Solo perchè lei, a differenza di Elle, non si
soffermava a far scattare esclusivamente i meccanismi del cervello.
Dava sopratutto adito ai battiti del proprio cuore e forse quella era
la sua più grande debolezza.
La
mente ti impedisce di sbagliare, il cuore ti getta invece in una
miriade di errori.
“Si
soffre in un secondo con la morte. Nella vita invece si soffre per
molto più tempo. Cos'ha pagato William con la sua morte?
Nulla, ha solo ottenuto più velocemente la pace che si trova
in essa.” concluse Elle, il volume della sua voce era sceso
sempre più lentamente fino a diventare un flebile sussurro.
Notò che quelle parole stavano facendo riflettere la ragazza,
la quale fissava un punto di fronte a sé in silenzio.
Le
diede le spalle, ma rimase immobile, in attesa che lei le dicesse
qualcosa, qualsiasi cosa.
La
sentì sospirare. “Io avevo bisogno di te.” disse
solo lei, sembrava aver perso ogni sentimento di lotta. “Ma tu
non c'eri. Eri lì davanti a me, ma mi hai abbandonata lo
stesso.”
“Sei
tu che hai abbandonato prima me..e lo hai fatto da molto tempo.”
le ricordò il ragazzo.
Alyssa
sentì gli occhi divenirle lucidi, ma non poteva negare la
frase che Elle aveva appena detto. Lei si era allontanata da lui
dall'inizio del caso, aveva lasciato che il suo passato le giocasse
brutti scherzi e si era così ritrovata in un bivio,
lasciandosi Elle alle spalle.
Non
se n'era mai accorta fino ad allora. Aveva abbandonato la roccia
della sua forza, nel momento in cui aveva iniziato a sospettare che
dare la caccia a Kira non fosse giusto.
Ma
la vera persona che l'aveva salvata era stata Elle, non Kira. Si
sentì sporca, al pensiero di aver dato sfogo a tutto ciò
che si portava dentro, nel modo peggiore possibile: prendendosela con
Elle.
“Come
siamo arrivati a questo punto, Aly? Cosa ci è successo?”
chiese Elle.
Una
domanda a cui nessuno dei due sapeva rispondere, il ragazzo volse
lentamente la testa verso di lei e fissò gli occhi nei suoi.
Lei deglutì, gli occhi erano bagnati ma non lasciavano cadere
le lacrime.
“Ci
siamo sempre fidati l'uno dell'altra e ora? Tu non ti fidi più
di me e io devo provare la tua lealtà in questo modo?”
chiese lui.
“Io
di te mi fido! Sei tu che non ti fidi di me, altrimenti avresti detto
qualcosa quella sera!”
Elle
non disse nulla, si voltò di nuovo trattenendosi dal desiderio
di dirle che aveva paura che, se avesse detto qualcosa, l'avrebbe
davvero persa. L'idea di rinchiuderla lì dentro l'aveva quasi
tranquillizzato, come se temesse che lei avrebbe potuto andarsene da
un momento all'altro.
Alyssa
sentiva che lui non le stava dicendo qualcosa di importante, lo
raggiunse di corsa e lo fece voltare verso di lui, posandogli
delicatamente una mano sulla spalla.
Quando
lui si ritrovò il viso di lei così vicino, trattenne un
attimo il respiro.
Nessuno
dei due parlò per qualche secondo, l'aria intorno a loro
sembrava quasi irrespirabile.
“Cosa
hai provato in quel momento?” gli chiese lei.
Elle
la guardò a lungo, chiedendosi dove volesse arrivare Alyssa.
Per certi aspetti, lei era più misteriosa di lui.
“Ma
che vuoi dire?” le chiese.
“Per
una volta fai parlare il cuore e dimmi...cos'hai provato quando ti ho
tradito.” Alyssa pronunciò quelle parole con dolore,
riuscì solo a trovare la parola tradimento, per definire
quello che era appena successo tra loro: lo scoppio di un amicizia,
di due vite che erano sempre state legate e che ad un certo punto
erano divenute estranee. Sentiva che stava per piangere, lui restava
freddo come al solito e teneva lo sguardo basso sulle mani tremanti
di lei.
Non
voleva sostenere quel discorso, non se la sentiva dopo tutto quello
che aveva passato in quei giorni. Aveva perso la concentrazione
necessaria per lavorare al caso, non aveva fatto altro che pensare a
lei.
“Almeno
puoi dirmi cosa provi ora?” insistette Alyssa, appena capì
che il ragazzo non avrebbe risposto alla sua questione. Elle guardò
i suoi occhi lucidi, quei piccoli smeraldi incastonati in due
splendide fessure.
Allungò
la mano verso la sua e la strinse delicatamente, Alyssa seguì
il polso di Elle che portava la mano sul proprio petto. Sotto la
pelle, nella gabbia toracica del ragazzo, il cuore batteva
all'impazzata. Era strano sentire quel rumore così forte e
guardare l'espressione fredda sul viso del ragazzo. Elle guardò
il volto stupito di Alyssa.
“Ti
basta come risposta?” le chiese poi freddamente.
La
ragazza abbassò lo sguardo, allontanò la mano dal suo
petto e la strinse al suo. Le pareva ancora di sentire quei battiti
sul palmo di essa. “Il mio batteva ancora più forte
quando ho perso i tuoi occhi.” disse.
Elle
non rispose, sentendo che la situazione stava diventando qualcosa di
irrazionale, qualcosa che lui non poteva
gestire, decise che era il momento di
andarsene. Alyssa non lo avrebbe ancora seguito, sapeva che avrebbe
dato inizio ad una specie di cammino di redenzione restando lì
dentro.
“Vuoi
ancora restare qui?” le chiese, prima di varcare la porta di
uscita.
Alyssa
lo fissò in silenzio, si grattò la spalla e annuì.
“Credo sia la cosa migliore. Ancora non siamo pronti entrambi a
quanto pare...” disse. “E poi, dobbiamo essere corretti.
Nei confronti di Misa e Light.”
Elle
annuì di fronte a quelle parole, uscì lentamente.
Chiudere quella porta non fu facile quanto aprirla.
Passarono
altri venti giorni, Alyssa non vide né sentì più
Elle per tutto quel tempo. Watari le portava regolarmente da mangiare
tutti i giorni: lui non le disse nulla riguardo Elle e lei,
nonostante la tentazione di voler sapere, non gli domandò
nulla.
Una
mattina, probabilmente non era nemmeno l'alba, Alyssa venne svegliata
di soprassalto: qualcuno le mise un sacco in testa, le legò
polsi e caviglie e la trascinò via di peso. Ogni tentativo di
ribellione o di lotta fu inutile, la ragazza era così
psicologicamente e fisicamente stanca che non aveva la forza e il
vigore che solitamente le appartenevano. Si limitò a lanciare
un paio di insulti al tipo che la stava così pesantemente
portando in braccio, sapeva che sotto a quella storia c'era lo
zampino di Elle: intrufolarsi lì dentro era impossibile anche
per un espertissimo agente segreto.
Chissà
cos'aveva in mente di fare, quella era una delle tipiche azioni
inspiegabili che ogni tanto gli passavano per la testolina.
Quando
quel qualcuno le tolse il cappuccio, si ritrovò seduta dentro
un auto. Non vide granché, il posto in cui era parcheggiata
era buio e riuscì solo a scorgere delle ombre che si
allontanavano velocemente nell'oscurità. Sentì i loro
passi muoversi velocemente sul pavimento.
“Ehi!
Io stavo dormendo, bastardi!” gridò furiosa la ragazza.
“Lo
stavo facendo anche io se è per questo.”
La
ragazza per poco lanciò un grido, quando sentì quella
voce provenire dalle sue spalle. Vide Light seduto sui sedili
posteriori del veicolo, anche lui era legato ai polsi e alle caviglie
e aveva il volto scavato per la stanchezza causata dalla prigionia.
Alyssa
non si stupì di vederlo ridotto in quello stato, lei era stata
rinchiusa per soli venti giorni ed era ridotta ad una schifezza: si
sentiva priva di forze e anche un po' fuori di testa. Non le piaceva
restare chiusa troppo a lungo, sopratutto dopo l'esperienza di
William.
“Light?
Anche tu qui?” gli chiese, lei era seduta vicino al posto di
guida. Avrebbe potuto provare ad avvicinarsi al volante o al freno e
a far eseguire qualche manovra all'auto per fuggire. Ma era tutto
inutile, lei era troppo legata e non c'era possibilità di far
partire il veicolo senza chiavi.
Il
ragazzo scosse la testa. “E chi lo capisce Ryuzaki?”
disse. “E poi...perchè tu sei qui piuttosto? Non sei la
sua collega?”
Alyssa
alzò gli occhi al cielo, non le andava proprio di discutere di
quell'argomento con il cuore che le batteva a mille nel petto per lo
spavento del momento. Si voltò a guardare il nero di fronte a
lei.
“Qualcuno
ha creduto che io potessi essere Kira.” rispose solo. “Ma
non è stato Ryuzaki.”
Pensò
che se dietro a quella storia ci fosse Elle, in quella macchina
dovevano esserci telecamere e microfoni, in modo che lui ascoltasse
tutto ciò che stavano dicendosi. Ma con quell'oscurità,
non sarebbe riuscita mai a trovarli.
“Anche
tu Kira? Ma quanti pensano che ce ne siano?” chiese Light,
abbozzando un sorriso per rompere l'atmosfera tetra che si era
creata. Alyssa si voltò a guardarlo, provò di nuovo la
sensazione di trovarsi di fronte ad un'altra persona, un altro Light
più raggiungibile ed umano. Non si era mai accorta di vederlo
come una specie di copione di Elle, solo un po' meno freddo.
Dei
rumori ruppero il silenzio, si sentì una voce gracchiante che
gridava e inveiva contro qualcuno. Nonostante Alyssa l'avesse sentita
solo una volta e per pochi minuti, la riconobbe subito.
“Oh
no, almeno il silenzio era l'unica cosa positiva di tutto questo...”
sussurrò, con un espressione disgustata sul volto.
Sia
lei che Light, seguirono due ombre che passarono accanto al lato
destro della macchina: qualcuno lasciò sedere una figura
incappucciata accanto a Light per poi toglierle il cappuccio dalla
testa. Misa continuò a gridare come una forsennata, contro
l'ombra che l'aveva trascinata di peso là dentro. Gridava con
una tale foga, che nessuno avrebbe pensato fosse stata rinchiusa in
una cella per ben cinquanta giorni. Non si rese nemmeno conto di non
essere sola e che il suo fidanzato le era seduto proprio accanto.
Se
ne accorse solo, quando Alyssa chinò la testa verso di lei e
le lanciò un'occhiata fredda. Questo bastò a zittirla,
almeno per due secondi.
“Ehi,
e tu che ci fai qui? Sei finita anche tu nel mirino del pervertito?”
le chiese, con una punta di acidità nella voce. Misa non la
trovava simpatica solo perchè l'aveva vista accanto a Light e
Alyssa, di rimando, non la sopportava per motivi più specifici
ed evidenti, che le provocavano il nervoso al solo ricordo.
“Misa,
ti prego sta un po' calma...” disse Light stancamente.
Misa
si voltò verso di lui, sorpresa della sua presenza: cercò
di abbracciarlo, lanciando un grido di pura gioia, ma si dimenticò
di avere i polsi legati. Alyssa alzò gli occhi al cielo, lei
avrebbe voluto avere le mani libere per potersi tappare le orecchie.
“Oh
Light, amore mio, mi sei mancato così tanto!” gridò
Misa, posando la guancia sinistra sulla spalla di un imbalsamato
Light. Era così stanco, che non voleva né zittire la
ragazza, né ricambiare in qualche modo il suo affetto per
farla poi stare zitta. Ad un certo punto, Misa cambiò
espressione e puntò lo sguardo su Alyssa. “E tu che ci
facevi in auto da sola con lui, eh? Lo sai che è il mio
fidanzato e ci vuoi provare lo stesso?!”
Alyssa
la guardò incredula, non riusciva a credere che fosse così
stupida. “Sì, ci volevo provare. Con i polsi e le
caviglie legati ad entrambi....ma sei scema o ci fai?” esclamò.
“E
che ne so? A voi russe forse piace il sadomaso!”
“Misa,
zitta...” sussurrò Light, quando si accorse che anche
Alyssa si stava infuocando.
“Senti
bella, siamo in una situazione alquanto critica!” Alyssa si
sporse oltre il sedile per guardarla meglio. “Perciò,
puoi chiudere quel becco da papera per favore!”
Misa
non ebbe il tempo di replicare, che qualcuno entrò in auto e
si sedette al posto di guida. Riconobbero il sovrintendente Yagami,
respirava affannosamente e stringeva con forza il volante nonostante
l'auto non fosse in moto. Non riuscirono a vederlo bene in viso, per
via del buio.
“Ecco,
lui è il pervertito di prima!” esclamò Misa,
puntandogli le mani legate contro.
“Papà?
Ma che sta succedendo?” chiese Light sconvolto.
A
quelle parole, Misa rimase allibita. Cercò di scusarsi e di
presentarsi come la ragazza di Light, malgrado la brutta situazione
in cui si trovavano tutti e tre. Alyssa osservava il profilo del
sovrintendente, il fatto che non si voltasse a guardare nessuno di
loro la preoccupava.
Yagami
non rispose, mise in moto il veicolo e sfrecciò sulla strada.
Le domande di Light e di Alyssa non servirono a nulla, la ragazza si
accorse che l'uomo stava sudando freddo e che non schiodava lo
sguardo dalla strada di fronte a loro. Come se stesse per fare
qualcosa di folle e tragico.
“Ok,
ora basta...” disse lei, stancamente. “Ryuzaki, so che ci
sei! Che cavolo hai in mente, idiota?!”
Non
ottenne risposta, calò solo un lungo silenzio rotto solamente
dal pesante respiro del sovrintendente. La macchina continuò a
correre lungo la carreggiata, seguendo una guida a dir poco
spericolata per essere un poliziotto al volante. Pochi minuti dopo,
la macchina venne fermata in una specie di vasto prato, vicino ad un
parco deserto, Yagami parcheggiò in un punto abbastanza
nascosto, che fece preoccupare ulteriormente Alyssa.
Quando
lo vide prendere la pistola e puntarla contro la testa del figlio,
sobbalzarono tutti e tre per la sorpresa e lo spavento. Alyssa non
riusciva a credere che stesse davvero per succedere, un padre stava
per uccidere il proprio figlio. Possibile che non fosse opera di Elle
e che il sovrintendente avesse semplicemente perso la testa? Non
sapeva cosa pensare, stava di fatto che lei e i due ragazzi seduti
sui sedili posteriori la stavano sicuro per perdere.
Misa
scoppiò a piangere disperatamente, mentre l'uomo teneva la
pistola tremante puntata contro la fronte di Light. Quest'ultimo
tremava come una foglia, ma aveva un controllo di sé
abbastanza forte, affinché non scoppiasse subito a in lacrime.
Un altro tratto che aveva in comune con Elle: la capacità di
sapersi controllare anche nelle situazioni più critiche.
Alyssa invece era più impulsiva e non riusciva a trattenere le
proprie emozioni, né in positivo, né in negativo.
Perciò,
guardò Soichiro con occhi sbarrati e il respiro le
attraversava le labbra troppo rapidamente per poterlo controllare.
“Sovrintendente,
questa cosa non è affatto divertente!” disse, senza
nemmeno rendersi conto del gioco di parole a cui si era appena
sottoposta. L'uomo la ignorò, continuò a tenere puntata
l'arma contro il figlio, mentre il suo viso si riempiva di sudore.
“Papà,
che stai facendo?!” esclamò Light, stava per cedere alla
paura e la sua voce tremante ne era la prova. Guardò l'uomo
che lo aveva messo al mondo, quasi con la certezza che sarebbe stato
il suo carnefice.
“Light,
io sospetto che tu sia Kira.” disse l'uomo, con voce dura e
decisa. La sua presa si fece più tremante ad ogni parola che
pronunciava. Misa continuava a piangere e gridare come una
forsennata.
“Ok,
ora basta!” esclamò Alyssa, si guardò attorno e
cercò nell'oscurità il punto in cui potesse essere
stata nascosta la telecamera. “Ryuzaki, finiscila con questa
horror candid camera e facci uscire di qui!”
Le
sue urla si unirono a quelle di Misa e Light, all'interno del veicolo
era scoppiato il panico unito ad un frastornante baccano. Solo il
sovrintendente restava in silenzio, con gli occhi fissi sul figlio e
la pistola stretta tra le mani, che nel frattempo si erano fatte più
tremanti.
“Papà,
guardami! Non sono Kira e tu lo sai!” lo implorò Light,
iniziando a piangere come un bambino indifeso e spaurito. “Ti
prego, non fare qualcosa di cui tu possa pentirti!”
Alyssa
cercò di avvicinarsi al sovrintendente. Se fosse stata una
farsa, Elle sarebbe probabilmente intervenuto da un pezzo. Allora
voleva dire che l'uomo aveva davvero perso la testa e stava per
uccidere il proprio figlio.
“Yagami,
la smetta per favore!” gridò la ragazza, quando si
accorse che le corde le impedivano di muoversi verso di lui.
“No,
Light. Ora io ti ucciderò e poi mi toglierò la vita
subito dopo...” Yagami ignorò le parole della ragazza
vicino a sé e si preparò a premere il grilletto. Light
pianse più forte, Misa continuava a gridare e anche Alyssa
sentiva che stava per perdere il controllo e cadere in un mare di
isteria.
Le
suppliche di Light toccavano il cuore, nessuno si sarebbe mai
aspettato che il suo viso così impassibile potesse essere
solcato da quei lacrimoni. Alyssa gridò di nuovo verso Yagami,
per impedirgli di sparare.
Ma
lui sembrava fermo sulla sua decisione, nei suoi occhi si era spenta
quella luce di razionalità che aveva sempre avuto. “Ci
vediamo all'inferno, figliolo.” concluse l'uomo, come se fosse
l'ultima frase di una tragedia messa in scena.
Alyssa
volse la testa dall'altra parte per non assistere allo spettacolo,
Misa singhiozzò più forte e Light pregò
un'ultima volta il padre di fermarsi.
Ma
il grilletto venne premuto.
E
seguì solo un lungo silenzio.
Fu
come se il tempo si fosse fermato, nell'attesa che il proiettile
segnasse la morte di Light. Ma quel momento sembrò non
giungere mai.
Alyssa
tornò a guardare il sovrintendente, Misa era rannicchiata
contro il sedile per non assistere alla scena e Light fissava la
pistola con gli occhi sbarrati dalla paura.
“Ora
può bastare, signor Yagami.” disse una voce fredda, che
Alyssa riconobbe subito. Il suo viso si fece lentamente rosso per la
rabbia, mentre il suo sguardo individuava la telecamera nascosta
sopra lo specchietto retrovisore dell'auto.
“Sì,
Ryuzaki.” disse stancamente il sovrintendente, si accasciò
sopra il sedile e prese dei lunghi respiri per riprendersi da quella
sceneggiata che doveva essergli costata dieci anni di vita.
Misa
alzò lo sguardo sull'uomo e poi su Light, chiedendosi cosa
stesse succedendo.
“Chi
è Ryuzaki?!” chiese allarmata.
Light
fissò Alyssa incredulo. “Era tutta una finta? Era opera
del tuo amico?” chiese con voce tremante e riprendendo
lentamente colore.
La
ragazza avvicinò il viso alla telecamera, non curandosi di
regalare un primo piano di metà del suo viso a chi stava
dall'altra parte. “Dopo tutto questo, non credo proprio che
saremo più amici...” disse a denti stretti.
“Scusate
per la scena, ma era necessaria ai fini di scoprire se Kira era
davvero uno di voi.” rispose Elle, ignorando la frecciatina di
Alyssa. “Se così fosse stato, il sovrintendente sarebbe
già morto. Perciò questo prova che nessuno di voi
attualmente è Kira.” Il detective calcò la parola
attualmente, lasciando intendere che i suoi sospetti non erano del
tutto caduti.
“Cioè
me la sono quasi fatta addosso perchè tu stanotte invece di
dormire hai pensato ad un piano del genere?!” esclamò
Alyssa sconvolta e continuando a guardare in camera con sguardo
accigliato.
Elle
ci mise un pò per risponderle. “Mi conosci, sai che i
miei piani sono sempre efficaci.” disse. “Sopratutto se
li penso la notte, invece di dormire.”
“Se
dormissi di più, sarebbe meglio!” esclamò la
ragazza.
“Un
attimo...e se fosse stata Alyssa Kira?” chiese Light. “Avrebbe
potuto lasciarmi morire e basta, non credi? Non sono io quello a cui
tiene!”
“Mi
credi così meschina?” chiese la ragazza, voltandosi
verso di lui.
“Bugiarda
lo sei.”
Alyssa
restò a bocca aperta, stava per rispondergli quando Elle
interruppe il continuo della loro conversazione. “Alyssa non è
mai stata sospettata. È finita là dentro per un suo
capriccio.” disse Elle, evitando di arrestarsi quando la
ragazza scoccò la lingua. “E comunque, smettetela di
discutere come delle suocere e tornate subito qui.”
Il
detective salutò il signor Yagami, la quale rispose
stancamente al suo saluto. Alyssa trovò i coraggio di alzare i
piedi e di colpire la telecamera di Elle con un colpo. Ridusse a
pezzi anche lo specchietto retrovisore.
“Questa
te la faccio pagare!” disse, rendendosi buffa senza nemmeno
accorgersene.
Quando
rientrarono al quartier generale, i tre ragazzi e il signor Yagami
avevano un aspetto a dir poco spaventoso. Sembravano appena usciti da
un campo di guerra.
Aizawa
e Matsuda erano seduti ad un tavolo a studiare dei documenti, Elle
era seduto sulla sua poltrona a studiare le notizie che stavano
trasmettendo ai documentari.
I
due agenti smisero di lavorare e alzarono lo sguardo su di loro
sollevati, Matsuda particolarmente sembrò rilassato nel
rivedere i quattro finalmente liberi.
Elle
si alzò lentamente in piedi con una lentezza smisurata e
guardò Alyssa che andò dritta sparata verso di lui. Il
detective cercò di evitare il suo sguardo.
“Eccovi
qua finalmente, devo dirvi una cosa...” disse, ma non terminò
mai la frase perchè Alyssa gli tirò un ceffone. Rimase
in piedi davanti a lui e lo osservò mentre si massaggiava la
guancia colpita. Misa le batté le mani, mentre Light e il
sovrintendente erano così scossi e stanchi che nemmeno si
accorsero di quello che stava succedendo.
“Ti
sei sfogata?” chiese Elle pochi secondi dopo l'arrivo dello
schiaffo.
Guardandola
negli occhi, finalmente la riconobbe: la piccola Alyssa che faceva
ridere quando era infuriata. Non quella disperata che stravedeva per
Kira.
“Non
ancora.” precisò lei alzando l'indico e lo colpì
con un altro schiaffo, sull'altra guancia. Elle alzò gli occhi
al cielo e notò che lei alzò le spalle. “Ora sto
meglio, grazie.”
La
ragazza andò a sedersi sulla poltrona di Elle e per ripicca
iniziò a divorargli tutti i dolci che aveva lasciati
incustoditi sul ripiano vicino ai monitori. Distese le gambe sopra la
superficie e si riempì la bocca.
Il
detective fece finta di nulla e osservò il volto scavato di
Yagami e quelli furiosi di Misa e Light. “Cos'altro ci devi
dire?” chiese Light, con tono duro.
Elle
prese un lungo respiro. “Siete liberi.” disse
semplicemente. “Ma lo sarete a modo mio.”
Alyssa
si voltò di scatto verso di lui, aveva paura della prossima
idea che il ragazzo aveva elaborato. “Oh oh, prevedo guai!”
sussurrò a bocca piena.
E
infatti, fu una delle idee più malsane che il ragazzo avesse
mai avuto.
Alyssa
sentiva il bisogno di una bella doccia fresca, dopo aver passato
tutti quei giorni chiusa dentro quella cella. Lasciò scorrere
l'acqua calda su di sé, si portò le mani al viso e
lasciò che il calore le pervadesse le gote. Non avrebbe mai
creduto che rivedere Elle l'avrebbe fatta sentire in quel modo:
doveva essere in collera, ma quando si era avvicinata a lui per
colpirlo con uno schiaffo, non era per vendicarsi dei giorni in cui
era stata rinchiusa o per vendicarsi per la sceneggiata di quella
mattina. Ma solo perchè voleva evitare di fare dell'altro
e per altro intendeva un gesto che sarebbe stato nocivo quanto
insolito per entrambi.
Non
capiva cosa era cambiato in lei da quando il caso Kira si era evoluto
di più, e dubitava che anche lui ci avesse capito qualcosa,
ma sapeva per certo che era una cosa che probabilmente avrebbe
cambiato il modo di porsi di entrambi se si fosse evoluta.
Uscì
dalla doccia e indossò un lungo asciugamano rosso per
coprirsi, si strizzò i capelli in una mano e li lasciò
lisci sulle spalle. Lasciò il bagno dopo aver riposto tutto in
ordine, tenendo il capo chino sul pavimento mentre la sua testa era
persa in una lunga riflessione.
Una
riflessione da cui non riusciva a trovare né un capo, né
una coda.
Raggiunse
la propria camera e sussultò quando vide una figura seduta sul
bordo del suo letto: Elle si teneva le mani tra le ginocchia, le
gambe erano distese di fronte a sé, in una posizione troppo
normale per lui. Alzò lo sguardo su di lei, i suoi occhi neri
mostrarono un lieve imbarazzo quando si accorse che lei indossava
unicamente un asciugamano.
Alyssa
si strinse le braccia al petto. “Ryu, che ci fai qui a
quest'ora?” gli chiese in un sussurro, era chiaro che il
ragazzo non aveva ancora messo in atto il piano di quella sera. Elle
distolse lo sguardo, quando si accorse che i suoi occhi non
riuscivano a restare fermi sul volto della ragazza.
“Scusa,
non sapevo che eri andata a farti una doccia. Ne riparliamo dopo
semmai...”
“No.”
I due si guardarono quando quella semplice parola uscì dalle
labbra di Alyssa, la ragazza arrossì visibilmente rendendosi
conto di essere stata troppo frettolosa. Il fatto era che voleva
sentir dire qualcosa da Elle, il fatto che non rispettasse la sua
compostezza insolita nel sedersi, la faceva preoccupare. “Cioè....sei
qui ormai. Dì quello che devi dire senza troppi problemi...”
Elle
sospirò, volse lo sguardo verso il cielo scuro fuori dalla
finestra e si soffermò a guardare i lampioni che illuminavano
dei punti lontani. Ci mise un po' per pronunciare quella semplice
frase, non avrebbe mai creduto che dire quelle due semplici parole
potesse essere così difficile.
“Mi
dispiace, Aly.” disse Elle, lasciandola di stucco.
Quando
tornò a guardarla, i suoi occhi verdi erano spalancati per la
sorpresa.
Il
detective restò a guardarla. “Se è successo
quello che è successo, è solo ed esclusivamente colpa
mia.”
“Ryu,
lascia perdere...”
“No,
fammi finire.” Elle balzò in piedi, quando la vide fare
un passo verso di lui per impedirgli di continuare a parlare. La
velocità con cui compì quel gesto, stupì
ulteriormente la ragazza.
Il
ragazzo dovette prendere un lungo respiro per poter riprendere il
filo del discorso.
“Se
ti sei affidata a Kira, anche solo per un secondo, è stata
colpa mia. Per tutti questi anni, ho pensato di proteggerti ma non è
stato così...”
“Se
non ci fossi stato tu, io non sarei qui.” lo interruppe la
ragazza, con voce rotta dall'emozione. Non riusciva nemmeno a credere
che stava per scoppiare in lacrime, ma le parole di Elle le
giungevano così nuove e dolorosamente belle che si trattenne a
stento.
Il
“mi dispiace”, così come altre affermazioni che
potevano risultare normali per qualsiasi altra persona, non facevano
parte del suo vocabolario.
Elle
scosse la testa. “Ti ho privata di tutto, non negarlo.”
disse.
“Di
cosa mi hai privata?” esclamò lei, facendo un passo
verso di lui. “Di una serata in discoteca con degli amici? Di
discutere di gossip dal parrucchiere? Di preoccuparmi di cosa farò
domenica sera prima che torni il lunedì con i suoi impegni?”
“E
ti pare poco?”
Alyssa
scosse la testa, fece un altro passo verso di lui ed Elle sembrò
non riuscire a sostenere quella vicinanza. “Tu mi hai dato
molto di più di una vita normale, mi hai dato una vita
straordinaria. Una vita che sognavo.” rispose in un sussurro,
il ragazzo abbassò gli occhi e affondò le mani dentro
le tasche dei jeans. “Ti mi hai dato la possibilità di
vendicare Judith, di farla rivivere attraverso i tuoi casi dove
salvavi persone come lei. Mi hai permesso di perdere parte alla tua
vita, malgrado sono solo un peso che ti intralcia. Ti pare poco?”
Elle
scosse la testa di nuovo, alzò lo sguardo su di lei. “Non
è così, Aly.”
Alyssa
prese un lungo respiro, non aveva mai visto un'espressione del genere
sul volto pallido del ragazzo. Era una cosa che la stava uccidendo.
“Anche
io ti devo delle scuse...per aver difeso Kira. Lui non è nulla
in confronto a te...e per capirlo mi ci sono voluti venti giorni in
quella cella.” rispose.
Calò
il silenzio, entrambi non trovarono più parole per riempire
quel momento. Sarebbero potute passare ore, in cui uno si incolpava
di qualcosa e l'altro lo rassicurava. Erano così ormai le loro
vite.
Elle
si grattò la fronte. “E ora che ci siamo scusati
entrambi...come funziona?” chiese, spalancando le braccia.
“Cioè, si ricomincia così e basta?”
Alyssa
scoppiò a ridere: in quei casi troppo emozionali, Elle
sembrava davvero un bambino che doveva conoscere la vita. Quando in
realtà, era un gigante che la conosceva fin troppo bene.
“Vieni
qui.” ridacchiò e, senza pensare, gli mise le braccia al
collo e lo abbracciò. Il modo in cui i loro corpi si
incontrarono, creò una scarica elettrica in entrambi.
Elle
ci mise un po' per decidere cosa fare, il suo corpo voleva rispondere
a quell'abbraccio ma la sua testa gli ordinava di stare fermo
immobile. Si limitò così ad ascoltare in parte uno e in
parte l'altro e diede una leggera pacca sulla spalla della ragazza.
Alyssa
non si offese per il mancato abbraccio, era già tanto che
l'avesse toccata così semplicemente.
Restò
con il viso tra i capelli di Elle per diversi minuti, il tempo
necessario per capire che ciò che era accaduto tra loro, ciò
che li aveva allontanati in quella maniera, non si sarebbe mai più
ripetuto.
Buon
pomeriggio!
Il
capitolo mi è venuto abbastanza corto rispetto ai precedenti,
ma spero che vi sia piaciuto lo stesso!
Ci
tengo di nuovo a ringraziare tutti coloro che hanno inserito questa
storia tra le seguite, preferite e ricordate!
Ringrazio
anche coloro che mi regalano le loro stupende recensioni e coloro che
leggono in silenzio.
Ciao
a tutti! :)
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Capitolo 11 *** Trying To Help ***
-Trying
To Help-
“Da
quando Brad Pitt e Angelina Jolie stanno insieme?”
A
quelle parole, Misa distolse lo sguardo dalla rivista che stava
leggendo, si voltò a guardare Alyssa che invece stava seduta
in posizione più composta sul divano. Oramai passava così
le sue giornate, in compagnia della bionda, a leggere stupide riviste
di gossip che la catapultavano in un mondo che non voleva conoscere,
ma era costretta a farlo per far passare il tempo.
Elle
le aveva affidato il compito di sorvegliare la biondina per tutto il
tempo, questa poteva uscire e svolgere il suo lavoro come meglio
poteva, ma poi doveva rincasare in quell'appartamento che il ragazzo
le aveva affidato. Alyssa considerava restare con lei una tortura
immane.
“Cos'hai
detto? I Brangelina stanno insieme da moltissimo tempo e sono la
coppia più cool di Hollywood! Ma dove hai vissuto fino ad
ora?!” esclamò Misa, restando distesa a pancia sotto ma
trovando comunque il modo di voltare completamente la testa per
guardarla con sguardo di rimprovero.
Elle
la rimproverava per come svolgeva il suo lavoro e Misa la
rimproverava per essere un ignorante in gossip. Ci mancava solo che
Light la rimproverasse per qualcos'altro e avrebbe incontrato un bel
trio di idioti.
“Dove
ho vissuto fin'ora? Ma lo sai che lavoro svolgo o no? Non ho tempo
per interessarmi delle coppie di Hollywood!” replicò la
ragazza, chiudendo di scatto la rivista e gettandola sul tavolino di
fronte a loro. L'appartamento di Misa affacciava su un bellissimo
panorama di Tokyo, sulla destra c'erano diverse finestre che
lasciavano entrare la luce del sole. Un camino riscaldava l'aria
vicino ai due divani posti l'uno di fronte all'altra e separati da un
tavolino di vetro. La stanza era caratterizzata da colori sul giallo
e sul bianco, i colori preferiti di Misa, ed era stata arredata con
tutto lo stretto necessario affinché la modella si mantenesse
in forma e non andasse fuori di testa.
Aveva
i suoi trucchi, diverse riviste da leggere, la televisione e persino
un tapis roulant rivolto verso la finestra. Elle aveva fatto le cose
in grande per la bionda, probabilmente si era stancato di farsi dare
del pervertito. Alyssa alzò lo sguardo sulle telecamere, Elle
li aveva fatti nuovamente traslocare in un quartiere generale più
sofisticato dal punto di vista di macchinari e computer.
Nemmeno
i membri più specializzati dell'FBI sarebbero riusciti a
penetrare in quel luogo senza farsi scoprire. La ragazza non aveva
ancora visto la stanza dei monitor che Elle considerava come il suo
primo letto praticamente, il secondo era quello normale e che lui mai
usava; ed era curiosa di vedere quanto avesse speso Watari per
soddisfare i problemi patologici che il detective aveva nei confronti
di Kira.
“Uffa!”
Misa ripeté quella parola una decina di volte, facendo
desiderare ad Alyssa di essere sorda. “Quando arrivano Light e
Ryuzaki?”
La
ragazza prese un lungo respiro, si alzò in piedi e iniziò
a camminare avanti e indietro davanti al camino. “Stai zitta.
Ora arrivano.” le disse, stringendosi le braccia al petto.
Misa
però non desistette, si rizzò a sedere sul divano e
accavallò le gambe. Indossava dei tacchi vertiginosi, che
Alyssa non riusciva a guardare senza provare dei brividi lungo la
schiena.
Si
era accorta che la ragazza vestiva sempre così, persino quando
andava a dormire indossava qualcosa che faceva venire i brividi,
perchè era impossibile che una persona normale sopportasse
certi aggeggi per un intera giornata.
“Secondo
me...Ryuzaki è gay.” disse.
Alyssa
si fermò di colpo e la guardò, non riuscì a
trattenere un sorriso divertito di fronte all'affermazione della
ragazza. “Lo conosco da una vita e ti assicuro che non è
gay.” disse con fermezza. “Ma non posso nemmeno
assicurarti che sia etero. Quello non è umano.” aggiunse
poi.
Misa
la guardò con sospetto. “Hai avuto la prova che sia
così? Cioè...sei stata con lui?”
“Ma
per favore, vuoi stare un po' zitta?” disse Alyssa, sentendosi
avvampare in viso nell'udire quelle parole. Le diede le spalle per
cercare di nascondere quel rossore che non poteva trattenere.
Misa
ridacchiò. “E ha avuto altre donne prima?” chiese.
Alyssa
si bloccò, si accorse di aver considerato fino a quel momento
Elle come un essere indefinito e addirittura asessuato. Il pensiero
che fosse stato con altre donne gli risultava possibile e
terribilmente fastidioso.
“Non
lo so.” rispose decisa.
“Non
lo sai o fai finta di non saperlo?”
“Non
lo so e basta! Ora stai zitta?”
“Mi
annoio qui e tu sei la mia unica valvola di sfogo.” le ricordò
Misa.
“Sono
nella tua stessa condizione, capelli tinti!” replicò
Alyssa voltandosi nervosamente verso di lei. “Ma non mi sfogo
torturandoti!”
Misa
sorrise di nuovo sotto i baffi. “Le domande su Ryuzaki ti
innervosiscono?” le chiese. Allora Alyssa si accorse di essersi
fatta fregare dalla bionda, guardò il sorrisetto furbo sulle
labbra rosse di lei e il modo in cui alzava le sopracciglia, come per
ricordarle che Elle era il suo punto debole.
Se
si era fatta scoprire in quel modo dalle domande di una come Misa,
voleva dire che doveva preoccuparsi seriamente per le sue facoltà
intellettive.
“Mi
innervosisci tu a dire la verità. E le tue domande idiote.”
disse, cercando di rimediare la brutta situazione in cui si era
cacciata. Misa continuava a guardarla divertita, non la stava
sfidando ma stava scoprendo un lato quasi infantile di lei che le
piaceva punzecchiare.
Era
la prima volta che le due erano sullo stesso livello, Alyssa,
nonostante fosse più giovane di Misa, sembrava sempre la più
matura. In quel momento invece, era semplicemente una ragazza
confusa. “Ti si illuminano gli occhi quando si parla di
lui...te ne sei accorta?” le chiese.
“Ne
ho le scatole piene delle tue cavolate. Io non sono come te che
guardi il tuo amato con quegli occhi da pesce lesso!” replicò
Alyssa.
Misa
spalancò la bocca incredula e si mise dritta sulla schiena.
“Beh io almeno ammetto di esserne innamorata e lo dimostro. Tu
invece? Quando ti deciderai a saltargli addosso prima che sia troppo
tardi?” pronunciò quelle parole fastidiose con una
decisione che lasciò stupita Alyssa.
Quest'ultima
la guardò a lungo, prima di rendersi conto che doveva scuotere
la testa per tornare in sé. “Ma perchè perdo
tempo con te? Non lo so nemmeno io...”
Misa
alzò le spalle e sorrise, posando le mani sopra le sue
ginocchia coperte da delle calze a rete.
“Ti
serviva un'amica femmina!” disse.
“Avevo
un'amica femmina e si chiamava pazienza. Tu me l'hai fatta perdere,
grazie!” replicò Alyssa, continuando a sentire il calore
fluire lungo la sua pelle. Le parole di Misa rimbombavano nella sua
mente, il che era una cosa insopportabile vista la tonalità
con cui parlava la bionda, e non poteva fare nulla per impedirlo.
Ripensò ad Elle e alle uniche due volte in cui le loro labbra
si erano quasi toccate e si chiese cosa sarebbe successo se si
fossero davvero toccate.
Loro
lo volevano? Alyssa sapeva di aver desiderato le labbra di Elle in
quel momento di distruzione che l'aveva pervasa giorni prima, ma in
quel momento non sapeva dire se avrebbe di nuovo voluto baciarlo o
no. Il rumore della porta che si apriva la riportò alla
realtà, vide Elle camminare spedito verso il divano, tirando
Light attraverso le manette che li legavano. Alyssa aveva trovato
quell'idea folle quanto imbarazzante, quei due dovevano essere uniti
sempre e in qualsiasi momento.
Ventiquattro
ore su ventiquattro.
Pure
quando dormivano e andavano in bagno probabilmente.
Non
avrebbe voluto essere al posto di nessuno dei due. Elle le aveva
proposto di fare lo stesso con Misa, ma lei aveva affermato che
preferiva morire piuttosto che rimanere legata intere giornate a
quella ragazza.
“Brava
Aly che hai preso la torta con la panna! Ne avevo davvero bisogno!”
esclamò il ragazzo, quando si sedette sul divano nella sua
solita posizione. La ragazza aveva disposto quattro piattini con
grandi pezzi di torta per tutti loro, ma in particolare lo aveva
fatto per Elle.
Lo
vedeva depresso da quando era venuto fuori che né Light e
nemmeno Misa era legati a Kira. Immaginò come si era sentito
perso, nel momento in cui aveva scoperto di essersi sbagliato per la
prima volta in tutta la sua vita. E in un caso che gli stava costando
parecchia energia, forza e anche fiducia in sé stesso a quel
punto. Light e Alyssa si lanciarono una lunga occhiata e lui le
riservò un sorriso sghembo che non poteva appartenere al viso
di marmo che aveva conosciuto tempo prima.
Le
era sempre parso che i suoi sorrisi fossero più una forzatura,
ma in quel caso le parve sincero.
Si
sedettero, le due donne su un divano e i due uomini su quello di
fronte. Elle divorava la sua torta quasi con foga, come se potesse
trovare conforto solo in essa.
Intanto
Alyssa si divertiva a torturare la ciliegina sopra la panna, senza
riuscire a distogliere il pensiero delle parole di Misa dalla sua
mente. Light alzò lo sguardo su di lei e la osservò a
lungo.
“Tutto
bene, Alyssa?” chiese, con un tono che si sforzava di non
essere freddo.
La
ragazza alzò lo sguardo su di lui, nello stesso istante Elle
aveva alzato la testa e l'aveva guardata a lungo. Si era accorto che
la sua collega era alquanto pensierosa, se n'era accorto subito da
quando era entrato nella stanza, ma non si era soffermato a lungo a
studiare il suo viso perchè si era reso conto che in qualche
modo era il suo sguardo a renderla ancora più pensierosa.
Aveva pensato di sbagliarsi, ma ne ebbe la prova quando Alyssa
abbassò lo sguardo e si schiarì le voce.
“Sì,
sono solo un po'...stanca.” disse e lanciò un'occhiata
complice a Misa, che le rispose con un sorriso a trentadue denti.
Sapeva di essere lei la causa di tutto quello che ronzava nella mente
della ragazza.
“Ne
sei sicura?” azzardò Elle e se ne pentì subito.
Era una delle poche volte in cui pensò che non aveva fatto
bene a parlare, sentì gli occhi di Alyssa su suo viso e si
portò la forchetta alla bocca, fingendo interesse per la torta
alla panna che aveva di fronte a sé.
“Sì,
sto benissimo, Ryuzaki. Non preoccuparti.” rispose la ragazza,
stringendosi le mani tra le ginocchia e alzando le spalle. Gli regalò
un sorriso fintissimo che anche qualcuno che non era un genio come
Elle avrebbe facilmente smascherato. Ma era colpa dell'ingenuità
che faceva parte della personalità di Alyssa, per lei mentire
era davvero impossibile.
Calò
un profondo silenzio, rotto dall'improvviso battere le mani di Misa
che fece sobbalzare tutti e tre gli altri presenti. Alyssa si strinse
le braccia al petto, per non mostrare segni di intolleranza nei
confronti della bionda.
“Io
so cosa cosa non va in Lysa-Lysa.” disse entusiasta.
“Per
l'amor di dio, non dirmi che quella roba che ti è appena
uscita da quelle labbra maledette, era riferita a me?” esclamò
Alyssa, voltandosi verso di lei. Intanto Elle continuò a
mangiare voracemente, aveva già adocchiato i piattini
immacolati degli altri tre ragazzi, con l'intenzione di sfogarsi
anche su quelli. Intanto, per un solo istante, Alyssa gli riservò
una lunga occhiata.
Sembrava
davvero depresso: non lo aveva mai visto sfogarsi sui dolci in
quella maniera così esagerata, doveva essere sicuramente per
il caso e per il fatto che avesse puntato tutto sulla colpevolezza di
Light e Misa.
E
ora si ritrovava con un pugno di mosche in mano.
“Alyssa
vuole restare sola con te, Ryuzaki!” esclamò Misa.
Alyssa
sbarrò lo sguardo e la guardò a bocca aperta, mai come
allora desiderò colpire qualcuno con tutta la forza possibile.
Light alzò le sopracciglia perplesso, mentre Elle guardò
le due ragazze con la bocca piena e un'espressione disinteressata sul
viso. Il modo in cui Alyssa divenne rossa, lo fece quasi sorridere.
“Cosa
voglio io?!” chiese incredula.
Misa
si voltò verso di lei, annuendo più volte come se fosse
una di quei pupazzi a cui la testa dondolava ripetutamente se la si
toccava. Il contenuto della testa di Misa e di uno di quei pupazzi
era uguale. “Possiamo arrivare ad un accordo: tu mi lasci sola
con Light così tu e Alyssa potete fare i vostri porci comodi,
non trovi?” chiese.
“La
smetti di parlare come se fossimo i protagonisti di un porno, Misa?!”
esclamò Alyssa, ci mancava solo la gallinella che non se ne
teneva una a completare l'opera.
Elle
scosse la testa. “Non se ne parla. Io e Light staremo insieme
ventiquattro ore su ventiquattro...che ti piaccia o no.”
rispose e riprese a mangiare. Il modo in cui sviò la battuta
di Misa riguardo la sua collega, fu deprimente per la stessa Alyssa.
Light,
vedendo l'atmosfera che si era creata e vedendo che Misa non aveva
intenzione di restarsene zitta, decise di prendere in mano la
situazione.
“Mi
sembri abbattuto, Ryuzaki. Che cos'hai?” gli chiese, volgendo
la testa verso di lui e stringendosi le braccia al petto. Visto così
vicino ad Elle, faceva impressione: Light era composto e fermo, Elle
invece era seduto nella sua solita posizione e divorava velocemente
l'ultimo pezzo di torta rimasto.
“Sì,
sono abbattuto.” rispose sinceramente e puntò gli occhi
sui pezzi di torta di Alyssa e Misa. “Ragazze, se non le volete
quelle fette, le mangio io.” disse, indicandole con la
forchettina da dolce.
“Ti
darò il mio pezzo di torta, solo se mi lascerai sola con
Light!” esclamò Misa, come una bambina capricciosa che
voleva avere qualcosa in cambio per comportarsi bene.
Alyssa
sospirò e fece scivolare il piattino verso di lui. “Tieni,
ingozzati!” disse.
Elle
nemmeno la ringraziò e riprese a sfogarsi su quella fetta.
Light ripeté di nuovo la domanda, non accettava di non
ricevere risposta perchè l'espressione sul viso di Elle era
terribilmente fastidiosa ai suoi occhi. Perchè, sotto sotto,
lui immaginava il motivo per cui fosse depresso.
“Io
non sopporto sbagliare, anche se sono umano e quindi cado anche io in
certe trappole, e con te e Misa sembra che mi sono sbagliato.”
rispose il ragazzo, parlò con i denti della forchetta tra le
labbra e lo sguardo rivolto verso un punto in alto.
Alyssa
storse la bocca. “Sembri il tipo dell'urlo di Munch, Ryuzaki.
Togliti quella faccia!” gli disse.
Elle
prese un lungo respiro e continuò ad ignorare la ragazza.
“Non
ho più la voglia che avevo prima nel lavorare a questo caso.
Mi ritrovo con un pugno di mosche in mano, dopo aver puntato tutto su
un ipotesi di cui ero certo...” continuò il ragazzo e
passò alla ciliegina che aveva lasciato da parte. Alyssa
gliela aveva rovinata con la forchetta e lui non riusciva a
mangiarla. La lasciò sul lato del piattino e sospirò di
nuovo.
Light
e Alyssa si lanciarono un'occhiata. “Non dice sul serio,
lascialo perdere.” disse la ragazza, quando notò una
ruga di quella che doveva essere irritazione, sulla fronte del
ragazzo.
“E
invece sono serio, Aly.” la riprese Elle, ma senza guardarla.
“Sembra quasi che stavolta abbia avuto ragione tu...”
La
ragazza alzò le sopracciglia, perchè Elle aveva parlato
del fatto che lei aveva avuto forse ragione, come se fosse una cosa
irrealizzabile. Ma non disse nulla, il fatto che lui fosse abbattuto
era la cosa che le premeva di più in quel momento.
“Sei
depresso...perchè ti sei sbagliato?” chiese Light
freddamente, voltando di nuovo la testa verso di lui. “Dopo che
io e Misa abbiamo passato tutti quei giorni chiusi come animali in
gabbia per le tue teorie, ora sei demoralizzato nel voler catturare
Kira?”
“Per
colpa tua, ho le doppie punte...” disse Misa, giocherellando
con un ciuffo dei suoi biondissimi capelli.
Elle
fece un cenno con la testa, che doveva essere un segno di assenso.
“Diciamo di sì.” rispose.
Quel
suo modo di fare era insolito per Elle: era pur vero che non aveva
sbagliato mai, in nessuno dei suoi casi, ma il ragazzo non era il
tipo da demoralizzarsi e gettare la spugna.
Alyssa
lo osservò a lungo, sentiva che lui sapeva che lo stava
guardando, eppure gli occhi neri di Elle rimanevano fissi sulla
torta. Era chiaro che stesse evitando di incrociare quelli della
ragazza.
Light
sospirò, come se dovesse darsi forza per compiere il gesto
successivo. Si alzò in piedi, muovendo così la catena
che lo univa al detective e quel movimento causò un suono
cristallino che ruppe il silenzio. Le due ragazze lo guardarono
confuse, ma Alyssa percepì un campanello di allarme quando
vide Light stringere i pugni davanti al suo petto.
“Ryuzaki?”
lo chiamò.
Elle
alzò il suo sguardo allucinato sul suo volto e lo osservò
con attenzione. Nemmeno lui si aspettava di ricevere quel pugno in
pieno viso, Alyssa scattò in piedi troppo tardi, quando ormai
il ragazzo era stato scaraventato dall'altra parte del divano.
Misa
iniziò a sbraitare, si alzò in piedi e quasi si nascose
dietro ad Alyssa, quest'ultima si avvicinò rapidamente ad Elle
per vedere come stava. Lui si stava lentamente rizzando sulla
schiena, teneva il capo basso mentre con il dorso della mano strisciò
sopra le labbra, come per verificare il risultato del colpo di Light.
“Light,
fallo di nuovo e ti prendi a calci dove non batte il sole!”
esclamò Alyssa, restando alle spalle di Elle e tenendogli una
mano sopra la schiena.
Light
la osservò con freddezza. “Tu stanne fuori. È una
cosa tra me e lui.” le intimò, facendola così
andare su tutte le furie.
“Io
non ne sto fuori, Yagami!” rispose Alyssa, si alzò
lentamente in piedi e Light la osservò, alzando il mento
quando la vide farsi sempre più vicina. “Ti ripeto..tu
fallo di nuovo e prenderai parte a queste indagini con un braccio in
meno, chiaro?” lo minacciò, a denti stretti. Light la
guardò dall'alto in basso, era così più bassa
rispetto a lui e aveva un viso così pulito, che gli risultava
difficile intimidirsi o comunque infastidirsi per quelle parole.
“Alyssa,
stanne fuori. So badare a me stesso.” disse Elle alle sue
spalle, si rimise a sedere nella sua solita posizione e guardò
la schiena della ragazza. Non la sopportava quando desiderava
invertire i ruoli, come se dovesse essere lei quella che doveva
proteggerlo. Quando avrebbe capito che doveva essere il contrario? La
ragazza gli lanciò un'occhiata fredda. “Che vi siete
coalizzati nel volermi tenere fuori, adesso?” esclamò,
ma appena terminò la frase, Light la scansò e lei finì
addosso ad una terrorizzata Misa.
“Da
come parli, Ryuzaki, sembra che tu saresti stato davvero soddisfatto
solo se io e Misa fossimo stati il primo e il secondo Kira, non è
così?” gli chiese, fermandosi a qualche passo da lui.
“Sì,
è esatto. Non lo nego.” rispose prontamente il
detective, senza pensarci su due volte.
Il
modo in cui lo fece, mandò su tutte le furie Light: si
avvicinò a lui e lo prese per il colletto della maglia.
“La
volete piantare?!” esclamò Alyssa sconvolta, non sapeva
se avvicinarsi di nuovo o meno. Non voleva ferire di nuovo l'orgoglio
di Elle, avvicinandosi in quel modo a lui. Eppure, allo stesso tempo
aveva paura che potesse farsi male. Ma lo stesso poteva valere per
Light.
“Tu
non puoi demoralizzarti proprio ora. Io e Misa ne abbiamo passate
tante per colpa tua e ora tu non vuoi più prendere Kira con la
stessa decisione di prima? Non puoi permettertelo, non dopo quello
che ci hai fatto passare ad entrambi!”
Elle
si lasciò quasi sollevare da terra, ma il modo in cui faceva
sì che i capelli gli ricadessero sugli occhi, dimostrava che
aveva in mente di reagire. E anche se non pareva, il ragazzo era
esperto pure nella lotta, malgrado la sua stazza esile.
“Pensala
come vuoi. Ma prima di tutto, realizza questo concetto...”
sussurrò, con una voce talmente profonda che fece venire i
brividi ad Alyssa. E, troppo velocemente, il ragazzo si piegò
sulle ginocchia, posò la mano destra a terra e allungò
la gamba sinistra andando a colpire il viso di Light. Le due ragazze
osservarono Light che veniva scaraventato quasi addosso a loro.
“Non
c'è colpo che non renda.” Elle pronunciò quelle
parole, nei pochi secondi che anticipavano il gesto di replica di
Light: quest'ultimo lo tirò verso di sé e finirono
entrambi a terra, ribaltando il divano.
“Questi
due non stanno bene con la testa!” esclamò Alyssa, si
voltò a guardare Misa alle sue spalle e si accorse che la
bionda era più concentrata a pulirsi i piedi sporchi della
torta che era finita a terra, piuttosto che occuparsi della
situazione. I due si rialzarono in piedi e ripresero a darsele di
santa ragione. Ad Alyssa sembrava di essere entrata in uno di quei
telefilm comici muti, dove i protagonisti erano dei veri idioti.
Si
avvicinò a loro rapidamente e si intromise tra i loro pugni
prima che venisse colpita. Fortuna per loro che lo fecero, perchè
se Alyssa avrebbe sentito i loro colpi sulla pelle, era sicura che
gliela avrebbe fatta pagar loro davvero cara.
Elle
e Light posarono lo sguardo su di lei. “La volete finire o
no?!” esclamò Alyssa, rompendo il silenzio che si era
creato tra di loro. L'imbarazzo sul viso dei due era palpabile anche
per un cieco. Abbassarono lentamente i pugni, così vicini al
viso di Alyssa che potevano quasi sentire il calore emanato dalla sua
pelle. “Siamo tutti nella stessa barca e Kira è ancora
là fuori. Inoltre, voi due volete liberarvi di queste manette
e io voglio liberarmi del pollaio in cui sono stata messa a forza!”
continuò a dire la ragazza, riferendosi chiaramente a Misa che
percepì la provocazione solo poco dopo. “Perciò,
volete collaborare alle indagini o vi devo riempire di schiaffi ad
entrambi?!” Alyssa guardò prima l'uno poi l'altro, Light
e Elle si lanciarono un'occhiata e poi distolsero lo sguardo.
La
ragazza prese un lungo respiro, sentiva il cuore a mille ed era
felice di sentire quel silenzio circondarla. “Brava
Lysa-Lysa....” sussurrò Misa sollevata, battendo
lentamente le mani e sedendosi sul divano che non era stato colpito
dall'uragano che si era scatenato poco prima.
Alyssa
alzò gli occhi al cielo.
“E
ora, perchè non pulite? Mi rifiuto di coinvolgere Watari in
questo disastro!” aggiunse lei, portandosi le mani ai fianchi.
Quando entrambi provarono a replicare, il suo sguardo si fece
tagliente. “Fatelo, visto che siete due bambocci, comando io
per oggi.” disse. “E poi, ci metteremo tutti al lavoro
sul caso.”
Elle
scosse la testa, mosse le catene e tirò Light verso di sé.
Stranamente, decise di dare corda alla ragazza. “Lo facciamo
solo perchè è giusto che siamo noi a pulire. Ma togliti
quell'aria da padrona perchè non la sopporto.” le disse
freddamente Elle. Alyssa abbozzò un sorriso. “Ah e fate
in fretta eh?” disse loro e sorrise quando si allontanò
e sentì le loro occhiatacce sulla schiena.
Passarono
altri giorni e vennero fuori dei legami tra Kira e una impresa
chiamata Yotsuba Corporation. Era una cosa insolita, che avevano
riscontrato lavorando sulle ultime vittime: molte di loro erano
elementi chiave di compagnie avversarie che avrebbero potuto creare
problemi alla Yotsuba, dal punto di vista economico e finanziario.
All'inizio avevano pensato che fosse un puro caso, anche se insolito
dato che nessuno di loro era un criminale, ma poi gli omicidi nei
confronti degli avversari di quella azienda si era incrementata
sempre di più, fino a diventare relativamente sospetta. Elle
aveva deciso di indagare più a fondo sull'entità di
quella società, tanto che aveva deciso di rivolgersi ad altri
due aiutanti che erano stati davvero importanti nella risoluzioni di
casi precedenti.
Aiber
e Wedy, il primo era un truffatore professionista e la seconda era
una biondina più odiosa di Misa che svolgeva il ruolo di
ladra, molto brava a scassinare e mettere fuori uso tutte le
telecamere che voleva. Alyssa non la sopportava, la trovava una gatta
morta e se n'era accorta subito quando ci aveva persino provato con
Elle. Non si era mai accorta di quanto fastidio le avesse sempre dato
quella ragazza.
“A
che pensi?”
La
voce di Light penetrò tra i suoi pensieri, quasi
prepotentemente. Alzò lo sguardo su di lui, era seduto al suo
fianco e osservava dei dati al computer che anche lei avrebbe dovuto
studiare. Alzò leggermente il capo dal pugno su cui l'aveva
appoggiato e scosse la testa per tornare con i piedi per terra. Light
attese la sua risposta, il suo polso era leggermente tirato verso
Elle che lavorava a pochi metri da loro, in quel momento stava
discutendo con il sovrintendente riguardo l'identità di alcune
vittime, i cui dati erano riflessi sui grandi monitor. Alyssa lo
guardò con la coda dell'occhio, nonostante il quartier
generale fosse il doppio più grande di quello che avevano
utilizzato fino ad allora, Elle lo lasciò risiedere
nell'oscurità come suo solito.
I
monitor e i macchinari erano più complicati e più
sofisticati rispetto ai precedenti, doveva essere una vera pacchia
per il detective.
“Pensavo
che ne ho le scatole piene di Kira e dei suoi giochetti...”
rispose. In realtà, non vedeva l'ora di finire quel caso e
prendersi una bella pausa. Ma lavorando con Elle, dubitava di
riuscirci.
“Ma
non sei più combattuta sul catturarlo per via della storia di
William?” le chiese il ragazzo.
Alyssa
scosse la testa, sbadigliò e si portò una mano sopra la
bocca. Ripensare a William non le procurava più un dolore al
cuore, saperlo morto era stata una liberazione per lei.
Però,
aveva deciso da quale parte stare e non avrebbe più esitato.
“No,
ora lo voglio catturare e basta. Non ne posso più, non dormo
nemmeno la notte...” disse, aveva i tipici occhi a pesce lesso
mentre osservava lo schermo di fronte a loro.
Light
decise così di cambiare discorso, ma venne bloccato dalla
suoneria del suo telefono. Sospirò, quando riconobbe uno dei
tipici messaggini di Misa. Lo ignorò e lasciò
nuovamente il telefono dentro la tasca.
Sembrava
che non la tollerasse più di tanto, ad Alyssa quella ragazza
faceva un po' tenerezza.
“Ma
se non la sopporti, perchè state insieme?” gli chiese,
poggiando il gomito sulla superficie e la mano sopra la guancia.
Light le lanciò un'occhiata fugace e abbozzò un
sorriso, lei provò di nuovo quella sensazione di trovarsi di
fronte ad un altro Light Yagami.
Quel
sorriso non c'entrava molto sul suo bel volto, freddo come il marmo.
“Non
è complicato da capire. Cioè...lei è bellissima,
ma non la trovo giusta per me. Però ha sempre dato prova di
amarmi davvero e io non voglio ferirla.” disse.
Alyssa
non lo capiva quel discorso, ma più da parte di Misa che da
parte di Light. Quest'ultimo era in parte giustificabile, perchè
non voleva ferirla ma, d'altra parte, la stava solo prendendo in
giro.
Misa
invece non era possibile che non si fosse accorta della freddezza con
cui Light rispondeva al suo amore, doveva far finta di nulla perchè
sapeva che, in caso avesse preso di petto la situazione, forse
avrebbe perduto per sempre Light. Alyssa non era esperta in amore,
non aveva mai avuto una relazione con qualcuno, ma non comprendeva il
perchè qualcuno dovesse farsi così male.
Il
suo sguardo si rivolse verso Elle e qualcosa le disse che anche lei
si stava facendo male.
“Io
troverei più giusto che la lasciassi andare e che cercassi la
donna più giusta per te. Misa merita qualcuno che l'ami, non
qualcuno che provi pietà per lei...” disse.
Light
alzò le spalle. “Forse hai ragione, ma in fondo anche io
ci tengo a lei e lasciarla andare via le farebbe solo male.”
disse, poi si voltò verso Alyssa. “Ma non eri tu quella
che non la sopportavi?”
“Non
più, ora che mi ha insegnato come leggere una rivista di
gossip, la considero quasi seria.”
Light
sorrise, allungò le mani verso la tastiera del computer e
digitò diverse parole che la ragazza vide rappresentarsi
velocemente sullo schermo. I loro gomiti si sfiorarono, ma nessuno
dei due li spostò.
“Poi,
un discorso del genere mi sembra un po' strano detto da te...”
disse Light.
Alyssa
lo guardò attentamente, comprese che una delle discussioni che
non voleva mai avere, stava per avere inizio. “Che intendi?”
chiese, interrogativa.
“Tra
te e Ryuzaki c'è qualcosa, anche un cieco se ne accorgerebbe.”
Alyssa
sospirò, sembrava che Light e Misa si erano messi d'accordo
per farle andare la luna storta in quei giorni. “Dopo che
conosci una persona da sedici anni, qualcosa ci deve per forza
essere.” rispose, poi si accorse che avrebbe potuto confermare
la teoria di Light. Lo guardò con la coda dell'occhio e si
corresse. “Cioè..un legame affettivo c'è sicuro.
Ma non quello che intendete voi.”
“Ah
no?” insistette Light e un sorriso furbo gli attraversò
il volto.
“Ti
preferivo quando eri presuntuoso e impossibile, sai?” lo sfidò
Alyssa e lo fece sorridere tra sé e sé ancora una
volta. Lo vide piegare la testa da un lato e rivolgere lo sguardo al
computer, dove la ragazza stava cliccando diversi nomi di altre
vittime di Kira.
“Ti
dirò una cosa...tu sei sprecata per Ryuzaki.” disse, la
ragazza si voltò di scatto verso di lui e lo guardò
stupita. Forse doveva essere un complimento verso di lei, ma non le
piacque affatto sentirlo. Come se volesse sminuire Elle, la sua
persona e il ruolo che aveva avuto nella sua vita da quando si erano
incontrati. “Non fraintendermi, Ryuzaki è un grande,
anche se mi costa ammetterlo. Ma....sei così diversa da lui,
non avete nulla in comune. Siete come il sole e la luna, mi stupisco
già tanto che siate così amici.”
“Ryuzaki
è tutto per me.” Quelle parole uscirono dalle labbra di
Alyssa, senza che lei potesse controllarle. Il viso di Light s'indurì
e lei non cercò di rimediare alla frase equivoca che aveva
appena pronunciato. Distolse gli occhi e li abbassò sulla
tastiera del pc di fronte a loro.
“Anche
se non lo dimostra, anche lui ha un cuore. Ma non lo esprime, solo
perchè ha paura a farlo e perchè il suo ruolo non
gli consente di farlo.” disse in un sussurro. “Non è
lui ad essere sprecato per me, sono io ad esserlo per lui.”
Alzò
lo sguardo e lo lasciò vagare nel vuoto, quando si accorse che
tutto dentro di lei stava cambiando. Mentre parlava di Elle, si
sentiva piccola e stupida. Aveva sempre saputo di non essere al suo
livello, allora perchè quella consapevolezza la stava ferendo
in quel modo in quel momento?
Light
attese che terminasse il discorso. Ma lei preferì tagliare
corto, perchè le stava facendo troppo male. “Quindi, per
favore, non parlare di lui come se fosse un alieno. Lui non lo è
e lo dimostra il fatto che per me è la persona più
importante della mia vita. Come hai detto tu, io non meriterei
nemmeno le sua amicizia.” Si rese conto che il suo aveva
assunto l'aspetto di un discorso sconclusionato, ma non le importava.
Aveva odiato iniziarlo e finirlo le era sembrato peggio.
Prese
un lungo respiro, ma si bloccò quando sentì la mano di
Light posarsi sulla sua. Il suo tocco era caldo e delicato, le bastò
per attenuare il freddo che aveva iniziato a sentire improvvisamente
dentro di sé. “Non ho mai detto questo.” precisò,
sorridendole dolcemente. “Dico solo che tu, come Misa, meritate
qualcuno che sappia amarvi. Forse sono l'ultimo a dover fare un
discorso simile, ma...con te, mi sento quasi in dovere.”
Alyssa
lo trovò strano, il vecchio Light, quello che le aveva messo
la giacca sulle spalle per farla riparare dalla pioggia, non le
avrebbe mai preso la mano in quel modo. Anche se si sforzava di
essere carino, le sue parole le stavano facendo male sul serio.
“Che
succede qui?”
La
ragazza ritrasse la mano, quando vide Elle apparire dietro di loro.
Il ragazzo non si era lasciato sfuggire la mano di Light sopra quella
di Alyssa e per un istante si ritrovò a stringere
inconsapevolmente i pugni. Light si girò verso di lui e
incontrò il suo sguardo penetrante.
“Stavate
facendo salotto o stavate lavorando? No, perchè se volete vi
faccio portare pasticcini e caffè...” disse Elle,
sforzandosi di risultare sarcastico. Ma non gli riusciva bene.
“I
pasticcini saranno finiti tutti nel tuo stomaco tanto..”disse
la ragazza, restando a guardare lo schermo di fronte a sé.
Calò il silenzio, Light decise di romperlo mostrando dei fogli
ad Elle.
“Come
pensavamo...ci sono altre prove che sembrano confermare il
coinvolgimento della Yotsuba con gli omicidi di Kira.” disse
Light e indicò diverse foto che erano apparse sullo schermo.
“Altri possibili ostacoli per i loro affari, sono tutte figure
di spicco di importanti società...ma non mi è chiara
una cosa. Kira non è mai stato così...avventato nelle
sue mosse, non ha mai fatto nulla per darci anche solo un indizio
sulla sua identità e ora ci porta così facilmente da
lui?”
Elle
alzò le sopracciglia, posò le mani sopra lo schienale
della poltrona su cui era seduta Alyssa e piegò la testa da un
lato. La ragazza sentì le sue dita vicino ai capelli.
“Forse
perchè prima eri tu Kira...” disse.
Sia
Alyssa che Light lo guardarono seccati, ma lui non se ne curò
e continuò a guardare dritto davanti a sé. In realtà,
non sopportava che Alyssa lo stesse guardando con quell'espressione
sul viso in quel momento.
“Ancora
con questa storia? Ma quando ti rassegni?” chiese il ragazzo,
mostrando una punta di fastidio nel tono della voce.
Alyssa
invece restò in silenzio, dubitava che Elle si sarebbe mai
schiodato dall'idea che Light fosse stato comunque legato a Kira.
C'era qualche meccanismo nella sua testa che glielo faceva credere,,
ma che in qualche modo se lo fosse dimenticato. Magari, decidendo di
cedere il suo potere a qualcun altro.
Era
un ragionamento che filava e non poco, visto che era stato lo stesso
Light a chiedere di venir rinchiuso per provare di non essere
l'assassino più ricercato del momento. La ragazza guardò
con la coda dell'occhio Light, il suo sguardo era di fuoco mentre
osservava il volto di Elle.
Quest'ultimo,
invece, rimase impassibile come al solito.
“Il
fatto che ti abbia coinvolto in queste indagini, non vuol dire che mi
fida al cento per cento di te. Anzi, le uniche persone di cui mi fido
sono due e le conosco da quando sono bambino.” gli rispose Elle
e affilò per qualche secondo lo sguardo. “Non so se hai
ben intuito quale sia il mio parametro di fiducia...”
Light
balzò in piedi, ma lo fece con una lentezza e una freddezza in
volto, che mise in allarme Alyssa. Lei balzò in piedi e si
avvicinò ai due, temendo che potessero prendersi a cazzotti di
nuovo.
“Non
vorrete ricominciare spero!” esclamò, guardando prima
l'uno poi l'altro.
Ma
i due ragazzi la ignorarono, come se fosse parte dell'oscurità
che avvolgeva la stanza. Una cosa che Alyssa non sopportava, era
essere ignorata, sopratutto quando si trovava di fronte a due idioti
pronte a suonarsele per niente. Elle guardò Light in viso,
dovette alzare la testa per farlo poiché il ragazzo risultava
qualche centimetro più alto di lui.
Probabilmente
perchè Elle se ne stava sempre curvo sulla schiena.
“Io
so di non essere mai stato Kira, Ryuzaki.” disse Light,
marcando ogni singola parola. Elle però non ne parve convinto
e quasi lo sfidò con gli occhi, alzando le sopracciglia e
spalancandoli su di lui. Light si trattenne a stento dal colpirlo con
un pugno. “Perciò, siccome penso di poterti essere
d'aiuto in queste indagini, metti da parte queste teorie ormai
evidentemente campate per aria e collaboriamo civilmente.”
Alyssa
analizzò in silenzio la proposta di Light, si voltò poi
a studiare il viso di Elle ma restando sempre vigile a possibili
movimenti bruschi da entrambe le parti. La ragazza attese la risposta
di Elle, che però non arrivò mai.
Il
rumore di uno dei computer collegati ai dispositivi di sicurezza
posti nelle cinture dei poliziotti, segnalò l' SOS inviato da
uno di loro. Nessuno si stupì quando capirono che si trattava
di Matsuda, non solo perchè era l'unico poliziotto a mancare
nella stanza, visto che gli era stato affidato il ruolo di manager di
Misa e in quel momento si trovava proprio con lei, ma anche perchè
nessuno dei poliziotti aveva mai usato quel segnale.
E
chi meglio di uno come Matsuda poteva dare inizio a tutto?
“Idiota
di un Matsuda....” sussurrò Elle, quando si avvicinarono
tutti a quel computer che segnalava il pericolo con un rumore
fastidioso. Alyssa cercò di farlo smettere e digitò
velocemente sulla tastiera del computer per capire da dove provenisse
il segnale. E lo trovò prontamente.
“Si
trova nella sede centrale della Yotsuba.” disse amareggiata,
Matsuda doveva aver deciso di fare l'eroe e trovare da solo delle
prove riguardo il legame tra l'azienda e Kira.
E
si era cacciato in guai seri.
“Idiota
di un Matsuda...” ripeté Elle, si sedette sulla poltrona
di fronte al monitor e parve studiare il dà farsi nel giro di
pochi secondi. “Ok, Alyssa tu vai a prendere Misa e riportala
al suo appartamento, ci occupiamo noi di tutto.”
Quella
parole rimasero prive di significato per un po', Alyssa abbassò
lo sguardo su di Elle e tradusse così le intenzioni del
ragazzo. Guardò anche Light, il sovrintendente, Aizawa e Mogi:
nessuno sembrava voler ribattere all'intenzione del ragazzo di
tagliarla fuori dal caso.
Di
nuovo.
“Misa
può pure aspettare, preferisco cercare di tirare fuori Matsuda
da questo pasticcio.” rispose decisa la ragazza e parve non
mostrare alcuna intenzione di smuoversi dal fianco di Elle. Lui la
guardò freddamente, facendole così capire che se avesse
protratto la discussione troppo a lungo, avrebbe solo ostacolato il
piano che si era messo in testa di fare.
“Non
se ne parla, pazza come sei ti farai ammazzare insieme a Matsuda...”
disse frettolosamente e fece un gesto con la mano come se stesse
richiamando un cagnolino. “Fai come ti dico e basta.”
Alyssa
però non sopportò quel suo modo di trattarla, anche se
lo faceva solo perchè aveva paura di perdere i tempi del suo
piano. “Non parlarmi come se fossi il tuo robot, Ryu!”
disse, sperando che qualcuno le desse corda. Ma l'unico che lo faceva
era Matsuda e quell'idiota si era messo nei guai. Alyssa sbuffò
e rapidamente si allontanò verso la porta di uscita, mentre lo
faceva inveiva sottovoce contro Elle. Nessuno dei presenti in stanza
osò parlare, fino a quando la ragazza non sbatté con
violenza la porta.
“Ora,
possiamo mettere in atto il nostro piano.” disse Elle,
sembrando improvvisamente sollevato.
Misa
l'accolse con un gridolino con entusiasmo e con un gridolino di pura
gioia, era seduta su una di quelle sedie da set di film di Hollywood,
mentre torturava una truccatrice per farsi dire che ore erano e per
farsi portare il cellulare. Era calata la sera e un fresco venticello
soffiava su di loro, Misa indossava un leggero abito di scena simile
a quello di un angelo. Come faceva a non avere freddo, solo lei lo
sapeva.
Alyssa
si strinse le braccia al petto, mentre attraversava il parco per
raggiungere Misa che stava correndo a braccia aperte verso di lei.
La ragazza guardò alle spalle della bionda, il set doveva
essere composto da quella semplice fontana, la cui acqua cristallina
sembrava riflettere le luci dei macchinari da scena e il cielo blu
illuminato di diverse stelle. Il regista, un uomo grasso che
somigliava lontanamente a Demegawa, stava parlando con un giovane di
bell'aspetto che doveva essere il partner di scena di Misa.
“Finalmente
sei arrivata! Ma dov'è finito Matsu?” chiese Misa,
quando la raggiunse.
Alyssa
sospirò. “In un mare di guai.” rispose seccata,
non aveva ancora mandato giù il fatto che fosse stata tagliata
fuori da quella situazione solo perchè Elle aveva qualcosa di
malato nella testa.
“Ti
porto a casa, a quanto pare ho il tempo necessario affinché tu
possa tradurmi la trama di in “Beautiful” qualche ora...”
La
prese per mano e la tirò verso l'auto, Misa la seguì ma
non in silenzio: intanto la tempestò di domande riguardo a
Light, a come stava e se le era stato troppo vicino.
Non
le era mai successo di affidare la propria salvezza alla suoneria di
Misa, che squillò fastidiosamente interrompendo il flusso
degli interrogativi della ragazza. Alyssa si fermò e la vide
rispondere velocemente quando riconobbe il numero di Light.
Rispose
con un gridolino che doveva aver privato il ragazzo dell'utilizzo di
un orecchio.
“Amore,
cosa succede? Come stai? Dimmi tutto!” esclamò la
ragazza, ma smise di sorridere quando, probabilmente, Light le disse
di ascoltarlo. “Sì, ti ascolto.” disse, quasi
seriamente.
Alyssa
avrebbe voluto poter sentire quello che i due si stavano dicendo, ma
dovette accontentarsi di vedere Misa annuire per poi concludere con
un “Ok, amore, lo farò.” e chiudere la
conversazione.
Aly
la guardò con aria interrogativa. “Farai cosa?”
chiese, preparandosi ad esplodere in un mare di rabbia al pensiero
che Elle potesse aver deciso di coinvolgere Misa ma di tenere fuori
lei.
La
bionda scosse la testa. “Light mi ha detto di non dirtelo, ma
mi ha detto che Ryuzaki desidera che tu mi porti alla Yotsuba e
aspetti in macchina per tutto il tempo necessario...”
“Sì,
e nel frattempo mi limo le unghie....andiamo Misa! Qualsiasi sia il
piano di Ryuzaki, ne voglio far parte e non mi farò mettere i
bastoni tra le ruote anche da te!” esclamò rudemente
Alyssa, stringendo le spalle di Misa come per spingerla a dirle
tutto.
Cosa
troppo facile da fare, anche se Misa era fedelissima a Light, avrebbe
comunque detto qualcosa che l'avrebbe fatta scoprire. Infatti la
ragazza non sapeva dove rivolgere lo sguardo.
“Ne
sei davvero sicura?” le chiese.
“Questo
piano è disgustoso, sessista e patetico! Perchè mi sono
fatta coinvolgere?!”
Alyssa
si guardava allo specchio e non si riconosceva, indossava un
minidress color verde che le copriva poco davanti e sopratutto poco
dietro. Misa le aveva legato i capelli in due ciuffi che ricadevano
sulle spalle e l'aveva truccata in maniera non pesante, ma comunque
parecchio evidente. Misa restò affianco a lei, dietro di loro
c'erano altre ragazze che si erano vestite come loro, ma con colori
diversi.
“E
poi...perchè proprio io il verde vomito?” chiese poi,
spalancando la braccia.
“Hai
deciso tu di farti coinvolgere, Lysa-Lysa.” le ricordò
Misa, osservandola attraverso il riflesso dello specchio. “Ryuzaki
voleva solo che tu restassi in auto.”
La
ragazza si pentì di essere andata contro il volere del suo
capo. Avrebbe dovuto aspettare Misa in auto, mentre si presentava ad
una specie di provino per diventare la sponsor della Yotsuba, un
piano alquanto intelligente per essere stato messo in atto, in parte,
da uno come Matsuda. Il resto era stato deciso da Elle, ma Alyssa non
aveva idea di cosa avesse deciso di fare per salvare il poliziotto.
Il fatto che Matsuda non avesse dato il suo vero nome ai dipendenti
dell'azienda, era comunque un bene visto che Kira poteva nascondersi
tra loro.
“Perchè
organizzare una festicciola vestite così poi?”
insistette Alyssa, quello era uno dei tanti motivi per cui non capiva
che piano avesse Elle.
Misa
alzò le spalle. “Dovevamo distrarre quegli otto. Non sai
come funzionano gli uomini? La carne distrae parecchio!”
rispose e sorrise a trentadue denti. “Poi...sei sexy così!
Se Ryuzaki ti dovesse vedere, sono sicura che ti salterebbe addosso.”
“Se
a Ryuzaki piacciono certi prototipi, vuol dire che non ho capito
nulla di lui...” precisò Alyssa, tirandosi la minigonna
ancora più giù per portarla almeno alle ginocchia. Ma
causò un effetto a dir poco drastico sulla scollatura.
Qualcuno
bussò all'appartamento e Misa andò ad aprire,
fingendosi entusiasta. Anche se era innamorata follemente di Light,
sapeva giocare bene la carta della provocazione.
Alyssa
restò più nascosta, dietro alle altre ragazze e osservò
otto uomini entrare rapidamente nell'appartamento. Alcuni di loro,
uno in particolare di nome Higuchi, avevano delle facce che stavano
bene abbinate alla parola “maiali”. Alcuni di loro, si
avventarono subito su alcune ragazze e si lasciarono corteggiare da
loro, lasciandosi spingere verso i divanetti allestiti attorno a
tavolini ricolmi di alcolici. Alyssa sapeva che, se avesse sentito la
mano di uno di quelli sul proprio corpo, gliela avrebbe segata con
una semplice manata.
L'ultimo
ad entrare fu Matsuda, Alyssa lo guardò quasi con odio mentre
varcava la soglia della porta e lanciava un'occhiata complice a Misa
che, era rimasta ancora vicino alla porta. La ragazza camminò
spedita verso di lui e ignorò uno di quegli uomini che la
chiamò “begli occhi.”.
“Alyssa?”
chiese Matsuda quando la vide raggiungerlo rapidamente.
Lei,
istintivamente, lo prese per il colletto della camicia e lo spinse
contro il muro.
Nessuno
si accorse di loro, eccetto Misa, che la guardava allarmata. Matsuda
intanto continuò a studiare l'abito di Alyssa, quasi divertito
poiché non l'aveva mai vista in quella veste.
“Ti
rendi conto che indosso un vestito che mi sta segando le cosce perchè
sei un incapace?” sussurrò a denti stretti la ragazza,
nessuno li guardò, erano tutti troppo impegnati a farsi
abbindolare dalle smancerie di quelle ragazze. Intanto qualcuno aveva
abbassato le luci, rendendo l'atmosfera più maledettamente
“calda” di poco prima. Peccato che Alyssa odiava quel
posto e lo considerava solo un disgustoso ammasso di porci.
“Ryu,
ha detto che tu non dovevi essere coinvolta...” replicò
Matsuda.
Misa
si avvicinò a loro. “Lysa, così ci faremo
scoprire...” sibilò all'orecchio della mora.
“Penseranno
che ci sto provando, credi che questi ci vedano con tutto quello che
sta succedendo?!” replicò Alyssa. Quella situazione era
a dir poco odiosa: lei era mezza nuda, circondata da porci di cui uno
poteva essere Kira e, inoltre, Elle l'aveva di nuovo tenuta fuori
dalle indagini. E lei aveva dovuto ricorrere a quella pagliacciata
per non rimanere fuori.
“Tutto
bene qui?”
Una
voce alle spalle di Alyssa, attirò la loro attenzione. La
ragazza guardò il bell'uomo dietro di sé, forse era
l'unico decentemente presentabile in quella miriade di vecchi
sporcaccioni. Misa intanto si allontanò, quando Higuchi la
richiamò. Alyssa e Matsuda si guardarono e lei sfoderò
un finto sorriso sensuale, accarezzò i capelli di Matsuda,
lasciando scorrere la mani sulla pelle del suo viso. Il ragazzo
deglutì, visibilmente imbarazzato.
“Sì,
tutto a posto.” replicò lei e lanciò un sorriso
all'uomo. Era parecchio alto, aveva lunghi capelli neri che gli
circondavano il viso pallido e aveva un sorriso che una donna della
sua età avrebbe trovato irresistibile. Alyssa doveva avere
almeno dieci anni meno di lui.
“Come
ti chiami?” le chiese l'uomo.
Alyssa
sbarrò lo sguardo, sperava che vederla incollata al corpo di
Matsuda potesse servirgli per allontanarsi da loro. Matsuda intanto
era ancora in brodo di giuggiole. La ragazza continuava a tenere le
mani tra i suoi capelli, ma non sapeva cosa fare.
“Lysa.”
rispose e abbozzò un sorriso. Non sapeva come comportarsi in
situazione del genere e lo detestava, non era affatto il suo campo.
“Il
mio nome è Namikawa.” rispose l'uomo, porgendo la mano
verso di lei e stringendogliela delicatamente. Anche se era
affascinante, Alyssa stava per vomitare a causa del disgusto.
“Se
ti va, possiamo berci...”
“No,
lui mi ha già prenotata.” disse Alyssa, quando sentì
il cellulare di Matsuda vibrare nella tasca dei pantaloni del
ragazzo. Anche il ragazzo l'avvertì e sforzò di
sorridere per non lasciare intendere nulla: doveva essere Elle,
probabilmente aveva lasciato installare delle telecamere nella stanza
per poterli tenere d'occhio. “E ora dobbiamo andare, ci
vediamo.”
Alyssa
trascinò Matsuda tra la folla, dirigendosi verso il bagno di
servizio che si trovava in fondo all'appartamento. Sentiva che
Namikawa li stava seguendo con lo sguardo, perciò spinse
Matsuda dentro il bagno e si chiuse la porta alle spalle. Chiunque
avrebbe pensato che lì dentro sarebbe successo di tutto.
“Non
la sai fare la poco di buono..” le fece notare Matsuda, quando
si ritrovarono dentro quella stanzetta maleodorante e stretta come
solo un bagno poteva essere. Alyssa lo spinse contro la parete. “Non
fare il cretino e rispondi!” sussurrò.
Il
ragazzo obbedì, accostò il portatile all'orecchio e
sibilò un debole sì che nemmeno Alyssa riuscì a
sentire. Matsuda alzò subito lo sguardo su di lei e, dopo un
attimo di esitazione, le passò il telefono. Alyssa sapeva che
Elle stava per farle una ramanzina che si sarebbe ricordata per il
resto dei suoi giorni.
Deglutì
e prese il telefono. “Senti, non puoi tagliarmi fuori in questo
modo e quindi ho deciso di prendere in mano la situazione e....”
iniziò a parlare a raffica, tenendo lo sguardo fisso su
Matsuda che non riusciva a cogliere una sola parola di quello che la
ragazza stava dicendo.
“Smettila,
non voglio nemmeno sapere che ti è passato per la testa
vestendoti da ragazza squillo...ti dico solo che, la prossima volta
che non mi obbedisci, ti faccio chiudere a chiave in una camera.”
le rimproverò Elle e la ragazza capì che si sarebbe
limitato a dirle solo quello. Doveva tirare fuori Matsuda da quella
situazione il prima possibile.
“Ma
io...”
“Passa
il telefono a Matsuda e lascia il bagno per favore.”
La
freddezza della sua voce era palpabile nonostante il telefono.
Serrando le labbra per il nervosismo, Alyssa cedette il telefono a
Matsuda e obbedì. Si fiondò fuori dal bagno e cercò
di non dare sfogo alla sua rabbia.
Per
fortuna, c'erano ragazze più audaci di lei che attiravano
maggiormente l'attenzione.
Alyssa
attese diversi minuti, seduta sul divano e sperando che Matsuda
uscisse dal bagno il prima possibile. Chissà cos'aveva in
mente di fare Elle per salvarlo.
Si
portò un bicchiere di spumante alle labbra e ne sorseggiò
un solo goccio, lanciò un'occhiata a Misa che, seduta sul
divano di fronte a lei, sembrava disgustata dal modo in cui Higuchi
le teneva il braccio sulle spalle. Avrebbe voluto andare a
soccorrerla, ma non aveva alcuna idea di come fare senza destare
sospetto.
In
fondo, doveva essere anche lei una di quelle ragazze mezze nude che
intrattenevano gli uomini della Yotsuba. Alzò lo sguardo,
quando vide Namikawa apparirle davanti per poi sedersi accanto a lei.
“Pensavo
che tu e il manager stesse insieme...” disse in un sussurro, le
offrì una sigaretta che lei rifiutò cordialmente. La
ragazza lo osservò con la coda dell'occhio, pensò che
poteva trovarsi vicino a Kira: quello sembrava il tipo più
razionale di tutti i presenti nella stanza.
Eppure
il suo sesto senso, diceva che invece era l'unico di cui non si
poteva sospettare. Ma non era lei quella che doveva elaborare teorie
ed ipotesi riguardo alla colpevolezza o meno di qualcuno.
Poi,
non pensava ad altro che togliersi quei fastidiosi stracci e tornare
a casa.
“Misa
ha detto che sei una sua collega. Ti sembrerò indiscreto se ti
dico...che non mi sembri come le altre ragazze in questa stanza?”
le chiese Namikawa, accendendosi la sigaretta che lei aveva
rifiutato. Alyssa non seppe se vederla dal punto di vista positivo o
negativo del termine, poco prima aveva fatto proprio la figura di
quella facile con Matsuda.
“Sì,
sono peggio.” disse, ridacchiando sotto i baffi.
Namikawa
sorrise. “No, in realtà intendevo in senso
positivo...non mi sembri questo tipo di ragazza.” disse e le
indicò l'abito corto che indossava.
La
ragazza sospirò e lasciò scorrere lo sguardo
imbarazzata lungo il proprio corpo. “Mi conosce da pochi minuti
e già ha provato la teoria che l'apparenza inganna?”
chiese, pensò tra sé e sé che l'apparenza poteva
ingannare anche in quel caso. Lui poteva essere Kira, forse proprio
perchè sembrava quello più umano rispetto agli altri
sette che sembravano maiali da fattoria.
Lo
osservò a lungo, lui le sorrise sghembo e fissò gli
occhi in quelli della ragazza. “Fare business non è una
cosa facile. Bisogna essere svegli, decisi e bisogna saper
riconoscere i tratti dei propri concorrenti con una sola occhiata.”
le disse. “E questo, può servire anche nella vita di
tutti i giorni. E a me, sembri una ragazza parecchio sveglia per
puntare su una carriera del genere.”
Un
brivido le corse lungo la schiena, e se Namikawa fosse davvero il
Kira del momento e l'avesse smascherata? Alyssa cercò di non
pensarci, doveva restare calma e tranquilla, senza lasciare intendere
nulla. In fondo, che ne poteva sapere quell'uomo di lei? Nulla, aveva
usato un altro nome falso per coprire il suo nome già fittizio
e trovare cose su di lei, sul suo passato e sul suo vero nome era
praticamente impossibile. Perciò perchè preoccuparsi?
Sussultò,
quando vide Matsuda uscire dal bagno, barcollando come se fosse
ubriaco. Si era tolto la giacca dello smoking e stava camminando
verso il bancone, con una espressione stralunata sul volto. Alyssa
sapeva che era solo una finta, Matsuda non aveva bevuto niente ed era
stato per tutto il tempo al telefono con Elle. Che fosse parte del
piano? Namikawa lo guardò allontanarsi verso il balcone e
abbozzò un sorriso.
“Il
tuo amico è piuttosto ubriaco e siamo solo agli inizi.”
disse.
La
ragazza continuò a guardare Matsuda con aria interrogativa,
s'inumidì le labbra ma non smise di seguire con lo sguardo il
ragazzo. “Sì, ci va giù piuttosto pesante lui...”
disse e lasciò il bicchiere di spumante sul tavolino di fronte
a loro. Matsuda ebbe la completa attenzione su di sé, quando
salì sulla ringhiera del balcone.
“Ehi,
ma che fai!” esclamò uno degli uomini della Yotsuba,
balzando in piedi e allontanando le due ragazze che aveva vicino. Si
allarmarono tutti i presenti, Misa e Alyssa si lanciarono un'occhiata
complice per poi alzarsi in piedi anche loro ed osservare la scena.
Matsuda si mise in piedi sulle mani e iniziò a camminare sopra
la ringhiera con fare vacillante.
Alyssa
era allarmata, ma era certa che fosse un piano messo in moto dalla
testa di Elle, perciò si sforzò di mostrarsi spaventata
fuori ma tranquilla dentro. Namikawa gridò di nuovo a Matsuda
di scendere, ma successe l'irreparabile: il ragazzo perse
l'equilibrio e cadde giù dalla balconata, nella parte che si
affacciava verso il vuoto. Scoppiò il panico: Alyssa e Misa
non si aspettavano una cosa simile, si affacciarono rapidamente dal
balcone e videro il cadavere di Matsuda riverso sulla strada. Le due
ragazze pensarono per un attimo che fosse tutto vero, ma poi Alyssa
riconobbe la ragazza bionda che stava gridando aiuto, vicino al corpo
di Matsuda. Sospirò, se quella era Wedy, allora l'uomo che si
spacciava per il cadavere di Matsuda, doveva essere Aiber.
“È
morto?” Higuchi si intromise tra le due ragazze e guardò
verso il basso. Si portò le mani tra i capelli, quando vide il
cadavere sulla carreggiata. Allora Alyssa decise che era ora di
finirla con quella sceneggiata. “Dovete andarvene!”
esclamò, fingendosi terrorizzata a morte. “Se scoprono
che c'era questo genere di festa in ballo, potreste finire tutti nei
guai!”
Higuchi
e i suoi colleghi non se lo fecero ripetere due volte e uscirono
rapidamente dall'appartamento, prendendo alla rinfusa le loro cose e
lasciandosi promettere da Misa che avrebbero messo a posto tutto loro
e le sue amiche. Quando restarono solo le ragazze nella stanza e Misa
si chiuse la porta alle spalle, Alyssa tirò un sospiro di
sollievo. Abbassò lo sguardo verso la strada, un mucchio di
persone si era radunata attorno ad un ambulanza, giunta in soccorso
di Matsuda o meglio di Aiber. Non capì come il vero Matsuda si
fosse messo in salvo.
Però
il piano di Elle aveva, come sempre, funzionato.
Anche
se lei, come sempre, lo aveva odiato dall'inizio alla fine.
Alyssa
si tolse subito quell'orrido vestito e indossò una semplice
canotta blu sopra dei pantaloncini neri. Era stanca morta, l'unica
cosa di cui aveva bisogno era di mettersi sotto le coperte e dormire
per diverse ore filate.
Elle
e Light non erano ancora rientrati, dovevano trovarsi ancora
sull'ambulanza. Non era difficile capire che si erano finti
infermieri per l'occasione, Elle era a corto di uomini e doveva aver
preso l'odiata decisione di assumersi quel ruolo, con molta fatica.
Le venne da sorridere, al pensiero di immaginarselo con il cappellino
da paramedico e magari anche l'uniforme.
Matsuda
stava bene, la sua caduta faceva parte del piano e quindi era caduto
sopra un materasso posto nel balcone sottostante al loro dal
sovrintendente. Alyssa non si era resa conto che la scelta di
quell'appartamento all'ultimo piano non era stato casuale.
Intanto,
piegò il vestito con poca cura sul letto e pensò al
fare misterioso di Namikawa.
Aveva
pensato che potesse essere lui Kira, ma le pareva troppo scontato.
Forse si sbagliava, Kira poteva essere chiunque di quegli otto,
malgrado gli altri sette sembrassero dei depravati mentali.
“Io
e te dobbiamo parlare.”
Alyssa
sussultò, non aveva sentito la porta della sua camera aprirsi
e vide Elle sulla soglia. Light se ne stava, obbligato quasi, dietro
di lui e osservava le spalle del detective preoccupato.
La
ragazza capì che era arrabbiato, tradurre il tono della sua
voce ancora più fredda, non era una cosa difficile. Si portò
le mani sui fianchi, come per portare la rabbia che doveva realmente
provare, verso il suo cuore e la sua testa. Ma non le riusciva più
bene da tempo con Elle.
“Voglio
dormire, Ryuzaki.” disse, non le andava di sentire la sua
ramanzina.
Elle
la ignorò si voltò verso Light e prese una chiave dalla
tasca, la usò per slegarsi la manetta dal polso e ordinò
al ragazzo di attenderlo là. Non che potesse andare molto
lontano, visto che uscire da quella struttura senza essere scoperti,
era praticamente impossibile.
Alyssa
rimase stupita da quel gesto e osservò il ragazzo chiudersi la
porta alle spalle. Light aveva provato a replicare, ma Elle glielo
aveva impedito, sbattendogli praticamente la porta in faccia.
“Pensavo
che dovesse starti attaccato ventiquattro ore su ventiquattro...”
disse Alyssa, Elle si voltò lentamente verso di lei e il suo
sguardo profondo le fece scorrere diversi brividi lungo la schiena.
Non
riuscì a sorreggerlo e lo abbassò sul pavimento.
“Per
questi dieci minuti in cui devo parlarti e in cui voglio tenerlo
lontano, non credo che succeda nulla.” rispose freddo e si
massaggiò il polso con cui era stato ammanettato a Light per
giorni.
Come
al solito, li separava una lunga distanza che nessuno dei due sembrò
voler colmare con i loro passi. “Di che volevi parlarmi?”
chiese Alyssa, continuando a stringersi le braccia al petto.
Nonostante
si fossero chiariti, nonostante un abbraccio sembrava aver risolto
tutti i loro dissapori, la ragazza sentiva che qualcosa continuava a
bloccare Elle nei suoi confronti, ma non capiva cosa.
Come
se quell'abbraccio ,in realtà, avesse solo peggiorato le cose.
“Se
io ti dico di fare una cosa, ti prego falla e non prendere iniziative
che possano essere nocive per il caso.”
“Se
tu mi dici di non fare nulla, io non ci sto, Ryu.” precisò
Alyssa, la ragazza lo guardò con sguardo tagliente e le
braccia premettero di più sul suo petto. “Mi hai già
tagliato fuori una volta, ricordi? E a cosa è servito?”
“Ora
sono certo che l'attuale Kira si nasconda tra i membri della
Yotsuba.” la interruppe Elle.
Alyssa
non capì dove volesse arrivare con quella frase, alzò
le spalle e attese che lui le desse una spiegazione. “E con
ciò?” chiese.
Elle
la guardò a lungo, per un attimo sembrò che nemmeno lui
riuscisse a sostenere il suo sguardo. Fece un passo verso di lei, poi
un altro e la distanza si fece sempre più minima.
“Io
non voglio più coinvolgerti più di tanto in questo
caso.” disse solo, ma non valse come spiegazione.
Alyssa
iniziò ad indisporsi. “Perchè? Ho preso parte a
quella maledetta festa e non è accaduto nulla di brutto mi
sembra! Certo, a parte la finta morte di Matsuda!”
“Stare
nella stessa stanza con un possibile Kira, non mi sembra poco
brutto.”
“Beh,
era colpa tua se stavo lì. Io volevo solo aiutarti.”
“Ogni
volta...” Elle calcò quelle parole con quello che
sembrava un pizzico di rabbia, unito poi alla sua freddezza
naturale che quasi lo faceva sembrare umano. Si bloccò un
attimo, non amando quel suo sfogo di sensibilità che ogni
tanto sbucava fuori. “Ogni volta che cerchi di aiutarmi,
facendo di testa tua, fai esattamente il contrario. Mi crei solo
problemi.”
Quella
frase la ferì, anche se non era la prima volta che gliela
rivolgeva. Ma in quel caso, dopo quel gesto che era successo tra
loro, non se l'aspettava.
Abbassò
lo sguardo e si morse le labbra. “Sei sempre il solito stronzo,
non cambi mai.” disse e gli diede le spalle, fingendo che il
panorama fuori dalle finestra, le interessasse di più. Fece un
passo in avanti e guardò il riflesso di Elle che appariva sul
vetro: sembrava così piccolo in confronto a lei. Colpa del
gioco d'illusione a cui quel vetro sottoponeva coloro che guardavano.
“Non
mi definirei con quella parola, visto che sto solo facendo tutto
questo per tenerti lontana dai guai.” rispose Elle, ma lo disse
con quella sua solita freddezza che non lasciava intendere il vero
significato che quelle parole rappresentavano. Alyssa si voltò
lentamente verso di lui, fissò il suoi occhi neri, stralunati
come al solito, e fece diversi passi verso di lui.
Si
fermò a pochi piedi da lui.
“Mi
stai di nuovo proteggendo? Quante volte ne abbiamo parlato?”
gli chiese.
Elle
abbassò lo sguardo, ecco un altro dei pochi momenti in cui non
sapeva come spiegare quello che stava succedendo. “Questa volta
è diverso.” disse.
“No,
non è diverso.” precisò lei. “Ho lavorato
sotto copertura quando sospettavi di Light e ti sei preoccupato. È
vero....ma non come questa volta. Stavolta vuoi davvero tenermi in
disparte.”
“Ti
sei chiesta il perchè?” chiese Elle.
“Sì
e non lo capisco.”
“Allora
sei stupida.”
Alyssa
corrugò la fronte, lo osservò interrogativa e lasciò
vagare lo sguardo sopra l'enigmatico volto del ragazzo. Allora per un
attimo capì, forse l'abbraccio non aveva cambiato le cose solo
per lei.
Sbarrò
lo sguardo e prese un lungo respiro. “Ammettilo...” gli
disse.
Elle
la guardò a lungo, anche lui lasciò creare delle rughe
di espressione sulla sua fronte. “Ammettere cosa?”
chiese. Ma sapeva dove voleva arrivare la ragazza, come al solito lei
stava cercando di tirare fuori il cuore di Elle e di farlo prevalere
sulla sua mente.
Peccato
che il ragazzo lasciava sempre vincere la mente.
“Ammetti
che quell'abbraccio sta cambiando le cose e che non lo avverto solo
io.” ribadì Alyssa, fece un altro passo verso di lui. Ma
il ragazzo ne fece uno indietro, non sopportava di averla così
vicina e si lasciò andare all'impulsività.
I
suoi occhi si socchiusero, mentre la ragazza osservava in silenzio la
sua pelle chiara.
“Ryuzaki,
dillo ti prego.” insistette, continuando a premere su quel
bottone che, probabilmente, il ragazzo non avrebbe mai voluto
accendere. Non perchè non voleva, ma perchè ne aveva
paura.
“Cosa
vuoi che ti dica?” rispose, alzando le spalle. “ Che puoi
aiutarmi solo seguendo i miei ordini? Ecco, te l'ho detto.”
Ma
perchè doveva sempre essere così freddo? Alyssa sapeva
per certo che quello che stava cambiando lei, stava cambiando
anche lui. Solo che nessuno dei due era davvero pronto ad
ammetterlo: Elle non sarebbe mai stato davvero pronto ad ammetterlo.
Lui
la stava proteggendo, perchè aveva davvero capito quanto lei
contasse nella sua vita. Fuori dal caso Kira e dal loro lavoro. Lei
contava di più nella quotidianità, quando erano soli
seduti fianco e fianco e si stuzzicavano per passare le ore.
O
almeno, lei si stava convincendo che era così, perchè
lei lo vedeva in quel modo.
Ed
erano molto più simili di quanto pensassero, solo che
premevano su forze diverse.
Mente
e cuore.
E
queste loro forze diverse, causava loro troppe divergenze. La ragazza
ne era convinta, eppure dentro di sé sentiva un qualcosa
chiamato insicurezza che le faceva credere si trattasse solo
di un sogno notturno che non si sarebbe mai realizzato. Ed era
quello, il momento in cui decideva di desistere dallo smascherare
Elle.
“Grazie
per essere sempre così umano.” lo schernì la
ragazza, Elle la fissò allontanarsi di qualche passo e dargli
le spalle. Si chiese perchè la cosa la ferisse sempre in quel
modo, ma in fondo era una risposta che conosceva da tempo e che
preferiva tenere lontana dai suoi pensieri.
Lui
non disse nulla, preferì lasciarle il silenzio come ricordo di
quella loro discussione. Uscì dalla stanza, chiudendosi la
porta alle spalle, e tornò da Light che era rimasto ad
attenderlo.
“Non
dirmi che l'hai rimproverata....” le disse, restando con la
schiena appoggiata sulla parete di fronte alla porta. Elle non
rispose, si piegò per riprendere la catena e si chiuse di
nuovo la manetta sul polso.
“Posso
almeno avere una risposta?” chiese Light, quando vide Elle
proseguire lungo il corridoio.
“Devi
starne fuori.” Quelle furono le uniche parole che il detective
gli rivolse, continuando a non guardarlo negli occhi e proseguendo
secondo il cammino che i suoi passi avevano deciso di intraprendere.
Era già tanto che gli avesse rivolto la parola, non ne aveva
alcuna voglia in quel momento.
Intanto,
qualcosa di molto profondo scattò dentro di lui e gli ricordò
che forse, in quel momento, Alyssa stava soffrendo per la sua
sconfitta.
Buon
pomeriggio!
Mi
sono accorta solo adesso di aver commesso un errore in uno dei
precedenti capitoli, dove veniva nominato un personaggio noto che non
era ancora conosciuto all'epoca in cui è ambientato il
manga/anime...perciò ,visto che il danno è stato già
fatto, ho preferito continuare facendo finta che la storia sia
ambientata più recentemente (chiedo scusa per l'errore, ma non
ci avevo proprio pensato.)
Detto
questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Ringrazio
infinitamente tutti coloro che leggono questa storia, chi la
recensisce e chi la legge in silenzio. Ci tengo a ringraziare anche
coloro che l'hanno inserita tra le seguite, preferite e ricordate!
Ciao
a tutti! :)
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Capitolo 12 *** Do You See Me Now? ***
-Do
you see me now?-
Sperando
probabilmente di farla contenta, Elle affidò un nuovo compito
ad Alyssa: quello di divenire la manager di Misa. La ragazza accettò
senza troppi preamboli, non le andava di discutere con Elle e, visto
che era stata costretta a rimanere fuori dal caso, almeno avrebbe
passato il tempo a seguire le riprese di Misa.
In
quel momento, mentre sedeva sotto un albero su una delle sedie da set
cinematografico, pensò che fosse stata una pessima idea. Misa
era abbastanza brava a recitare, ma le ci volevano mille moine per
farle finire decentemente una scena, sopratutto se era una scena
romantica.
Alyssa
sospirò, prese la bottiglietta d'acqua che aveva nascosto
sotto la sedia e se la portò alle labbra. Il tempo era
stranamente caldo quella giornata, il sole splendeva in un cielo più
che azzurro e tirava solo qualche lieve folata di vento che li
investiva dolcemente. Il set era stato sistemato in un parco
pubblico, rovinato unicamente dalla presenza della strada a pochi
metri di distanza da quel luogo naturale e dai veicoli che la
precorrevano. La ragazza si portò una mano sul volto, quando
Misa si rifiutò di nuovo di baciare il suo compagno di scena,
come se Light si fosse indispettito al pensiero di vederla baciare
per finta un altro. Primo, lui non la vedeva e secondo, se tutti si
fossero offesi per un bacio di scena, gli attori sarebbero rimasti
single a vita.
Le
squillò il cellulare, la sua suoneria le parve una benedizione
per le orecchie. Aspettava da ore che qualcuno si degnasse di darle
informazioni riguardo al caso.
Cercò
di non restarci male, quando sullo schermo apparve il nome di Light e
non il “numero sconosciuto” che lei sapeva ormai
riconoscere. Ma avevano discusso di nuovo la sera prima, quindi
perchè prendersela?
“Era
ora!” esclamò, rispondendo al telefono, intanto Misa
batté i piedi a terra capricciosamente, l'altro attore non ne
poteva più di lei e aveva tutta la considerazione di Alyssa.
“Scusa,
ma siamo stati per ore a seguire le riunioni dei membri della
Yotsuba...” si scusò Light, in sottofondo la ragazza
riconobbe la voce di Elle che stava dettando direttive agli altri
poliziotti. La sua voce profonda le provocò dei brividi
nonostante la sentisse dall'altra parte del telefono. Il detective
aveva fatto installare delle telecamere nella sala riunioni della
Yotsuba, si era occupata di tutto Wedy e, fortunatamente, la ragazza
l'aveva vista poco in quei giorni a causa della presenza costante di
Misa e del suo lavoro. ”Lì come va?” chiese poi
Light.
Alyssa
guardò Misa, che stava facendosi truccare velocemente da una
donna dello staff. “Più che un film, mi pare che stiano
girando sempre la stessa scena solo che con un urlo finale di Misa
diverso...” disse, facendolo ridere. “Non vuole baciare
il compagno di scena perchè lo considera un tradimento nei
tuoi confronti!”
Light
per poco scoppiò a ridere. “Non dirmi...ma davvero?”
le chiese.
Alyssa
si morse il labbro, Misa si accinse di nuovo a girare la scena del
bacio in mezzo al parco, ma non lasciò nemmeno che le labbra
dell'attore provassero ad avvicinarsi, che riprese ad urlare contro
il regista che quella scena non si poteva fare. “Scusa un
attimo..” disse la mora a Light, poi accostò il telefono
alla spalla in modo che lui non sentisse. “Misa, dagli questo
bacio e falla finita!” gridò, attirando l'attenzione di
tutti su di sé. Misa fece il broncio e tutti tornarono a
guardarla, sperando che lo sbocco di innata “femminilità”
di Alyssa fosse servito a qualcosa.
“Problema
risolto. Dicevi?” chiese la mora, portandosi di nuovo il
cellulare all'orecchio.
Light
rise divertito, del modo in cui la ragazza aveva risolto il problema.
“Ma che bell'urlo che hai!” la provocò.
“Ci
voleva...” rispose lei, lanciando poi un'occhiata verso Misa
che stava discutendo con l'attore di scena. “Avete scoperto
qualcosa di importante riguardo alla Yotsuba?”
Le
parve di immaginare Light annuire di fronte a quelle parole, il
ragazzo sospirò e alzò lo sguardo. “Beh, abbiamo
spiato una delle loro riunioni e hanno fatto capire benissimo che
avevano intenzione di uccidere qualcuno dei loro
avversarsi...studiando le loro mosse, le loro parole e tutto il
resto, siamo arrivati alla conclusione che Namikawa è l'unico
che non può essere Kira.”
Quella
parte lasciò stupita Alyssa, fortunatamente non era lei quella
che doveva riconoscere i colpevoli, perchè altrimenti avrebbe
sempre preso dei granchi più grossi di sé stessa.
Quando aveva parlato con Namikawa, si era mostrata indecisa riguardo
il fatto che potesse essere o meno Kira.
Ma
poi aveva deciso che poteva davvero trattarsi di lui, ma se Elle e
Light lo avevano identificato come l'unico non sospetto, non poteva
fare altro che crederci.
Si
grattò la fronte. “E che altro avete scoperto? Avete
qualche idea di chi possa essere Kira?”
“No,
però hanno deciso di rivolgersi ad un detective privato che
potesse smascherare Elle e farlo poi fuori...” rispose il
ragazzo. “Un certo Coil, lo conosci?”
Lo
chiese sotto forma di provocazione, Alyssa si lasciò sfuggire
un sorriso perchè entrambi sapevano la verità: Coil era
un altro degli pseudonimi di Elle, così come anche il
detective Deneuve. Elle era tutti e tre i detective più famosi
al mondo, quindi i membri della Yotsuba si stavano inconsapevolmente
affidando all'uomo che stava indagando su di loro e su Kira.
Non
si chiese nemmeno come mai Light lo sapesse, doveva averglielo
riferito sicuramente Elle.
“No,
non lo conosco...che faccia ha?” chiese lei, posando i gomiti
sulle ginocchia e fissando divertita un punto a terra.
“Somiglia
vagamente ad un certo A...” rispose lui, facendole così
capire che Aiber avrebbe finto di essere Coil con i membri della
società. Per come lo conosceva, Alyssa era certa che tutto
quel piano gli avrebbe fruttato un sacco di soldi.
“Ah
perfetto..ma siete quindi certi che lui sia l'unico di cui non
avere sospetti?” chiese ancora Alyssa.
“Mi
sono spacciato per Elle al telefono con lui, l'ho messo un po' sotto
torchio e siamo giunti a questa conclusione.” le rispose Light,
cogliendola di nuovo di sorpresa. Il ragazzo si era di nuovo
immedesimato in un'altra figura difficile da imitare: quella di Elle,
anche se la sua voce veniva camuffata al computer, era difficile
scendere nei suoi panni.
Per
tutti, ma non per Light Yagami.
Quel
ragazzo la sorprendeva sempre di più.
Lo
sentì prendere fiato, come per dire dell'altro, ma venne
interrotto dalla voce di Elle che lo stava richiamando. La ragazza
ascoltò il suono delle parole del detective in silenzio, non
riuscì a coglierle nel loro significato ma la sua semplice
voce, le risultò essere un pugno in pieno petto.
Intanto
Misa si stava avvicinando a lei. “Devo andare, se la tua
fidanzata mi becca a parlare con te al telefono, mi stacca la testa a
morsi.” disse Alyssa, portandosi il cellulare vicino alla bocca
e chiuse ancora prima che il ragazzo potesse salutarla.
Misa
si fermò a pochi passi da lei, quando la vide sorriderle in
maniera piuttosto sospetta. Ma non sarebbe mai arrivata alla
conclusione che era al telefono con il suo ragazzo, anche se farne
una tragedia sarebbe stato stupido.
“Stai
lavorando anche da qui?” le chiese la ragazza, sedendosi
accanto a lei e prendendo la bottiglietta d'acqua della ragazza.
“Diciamo
di sì..andiamo che altrimenti facciamo tardi e Ryuzaki si
imbestialisce.” le ricordò Alyssa.
Attese
un quarto d'ora affinché Misa si cambiasse velocemente, poi le
due si avvicinarono all'auto parcheggiata vicino all'entrata del
parco. Alyssa tolse un volantino di una lavanderia dai
tergicristalli, lo appallottolò e se lo mise nella borsa.
Quando
si avvicinò alla portiera dell'auto, si accorse che Misa,
dall'altra parte dell'auto, la stava guardando di sottecchi. Si
chiese se avesse capito che stava parlando con Light fino a poco
prima, ma il suo sguardo non lasciava trasparire un sospetto in senso
negativo. Doveva aver avuto una delle sue tipiche illuminazioni da
ragazza che legge riviste rosa.
“Che
vuoi?” le chiese, alzando le spalle.
“Perchè
sei triste? Hai litigato con Ryuzaki?” le chiese Misa, delle
volte Alyssa si sentiva in colpa nel considerarla una stupida, perchè
non lo era. Le bastava un semplice sguardo per capirla, perchè
conosceva bene certe pene e certi sentimenti. La mora sbatté
violentemente la portiera dell'auto e alzò gli occhi al cielo,
ma non per Misa, ma perchè aveva definito quel peso che aveva
sul suo corpo come un sentimento.
“Non
sono triste e non ho litigato con nessuno.” replicò,
portandosi poi le mani sui fianchi.
Misa
scosse la testa, restando dall'altro lato dell'auto, quel giorno
indossava un abito più gothic del solito, arricchito con un
fiocco nero in testa che posava sul lato destro della sua testa.
“Sei
più che triste, ne vuoi parlare?” le chiese.
Alyssa
riaprì la portiera dell'auto, cercò di non guardare
Misa perchè le faceva venire voglia davvero di parlare.
“Non sono triste.” ribadì.
“Ma
perchè non vuoi sfogarti? Guarda che anche l'amore è un
problema, non solo Kira!” esclamò Misa. Alyssa richiuse
di nuovo la portiera, la guardò con rimproverò cercando
di non pensare alla parola che iniziava per “a” che la
ragazza aveva appena pronunciato.
“Urlalo
più forte, non ti hanno sentito bene...” le disse,
soffermandosi sull'espressione riguardo Kira.
Misa
le si avvicinò a passo rapido e le si parò davanti,
Alyssa ritrasse la testa quando lei gettò i pugni indietro e
si piegò in avanti verso di lei. La guardò come se
fosse pazza, aggettivo più che azzeccato per Misa. “Senti,
io e te siamo costrette a diventare amiche.”
“Non
è vero, possiamo pure starcene per conto nostro e basta. Sei
tu che vuoi rompere.” le ricordò Misa. La bionda scosse
la testa, appurando però la veridicità di quelle
parole.
“Beh
io voglio aiutarti lo stesso, quindi..parlami.” le disse,
facendole un gesto con la mano come se fosse una seduta psichiatrica.
Alyssa la guardò confusa e incredula, perchè sentiva
che doveva darle retta?
“Non
mi va di parlarne.” rispose, calcando ogni singola parola che
uscì dalle sue labbra.
“Sei
innamorata di Ryuzaki e lui ti ha fatto arrabbiare...e sfogati, dai!”
A
quelle parole, Alyssa aprì di nuovo la portiera dell'auto. Non
che desse loro tanta importanza, ma le erano bastate per decidere che
quello era un argomento che non voleva assolutamente affrontare. Misa
la guardò amareggiata, mentre faceva finta di nulla.
“Io
non sono innamorata di Ryuzaki, la prossima volta che mi dici una
cosa del genere, ti stacco la testa dal collo.” le disse,
sforzandosi di risultare tranquilla. Ma qualcosa nella sua voce la
tradiva.
E
Misa se ne accorse, ma non ebbe il tempo di dire nulla che qualcosa,
alle spalle di Alyssa, attirò la sua attenzione. Vide due
uomini camminare verso di loro, i due erano vestiti in giacca e
cravatta e stavano parlando tra di loro.
Namikawa
e Higuchi.
E
quest'ultimo si accorse subito di Misa. Alyssa la sentì
imprecare, ma non capendo cosa stesse succedendo, si voltò
mostrando così anche il suo viso.
“Porca
miseria..” disse poi, quando sentì gli occhi dei due
uomini su di sé. Lei e Misa si ritrovarono con le spalle
rivolte a loro e lo sguardo fisso sul tetto dell'auto.
“Che
facciamo?” chiese la bionda.
Era
chiaro cosa dovessero fare, ormai loro le avevano viste e le due
ragazze non potevano fare altro che stare al gioco, altrimenti
avrebbero solo destato sospetti. Alyssa si voltò verso di loro
e Misa compì lo stesso gesto, ma mostrando una espressione più
titubante in viso, rispetto a quella della compagna. Ad Alyssa non
sfuggì il modo in cui Higuchi le aveva squadrate dalla testa
ai piedi, Misa in particolar modo. Lei indossava un semplice paio di
jeans e una t-shirt nascosta sotto la giacca, quello sguardo
malizioso che giunse pure a lei, era particolarmente fuori luogo e
inappropriato.
“Buongiorno
signore.” disse Namikawa, riservò loro un lungo sorriso
e Alyssa per poco non alzò le sopracciglia in segno di
disapprovazione, poi ricordò che Elle lo aveva individuato
come l'unico non sospettabile del gruppo e perciò di lui
poteva, almeno in parte, fidarsi. Il suo sorriso era diverso da
quello di qualche sera prima: era visibilmente nervoso e stanco,
colpevole forse la telefonata che Light gli aveva fatto. Higuchi
invece sembrava tranquillo, il suo sguardo slittava dalla mora alla
bionda per poi soffermarsi a lungo su quest'ultima.
Misa
faceva di tutto per evitare di incrociare il suo sguardo, la sera del
party non l'aveva lasciata in pace un solo attimo e lei avrebbe
portato sempre un brutto ricordo di quella brutta faccia.
“Buongiorno
signori, come va?” chiese Alyssa, fingendosi rilassata, anche
se non lo era affatto.
“Noi
stiamo bene, grazie. Siamo appena usciti da una lunga e noiosa
riunione...” rispose Higuchi, indicando con il pollice la sede
della Yotsuba alle loro spalle. Intanto dei veicoli nella strada
dietro di loro passarono velocemente sulla carreggiata.
“Bello.”
disse Misa, con una voce stridula e fastidiosa che le fece rimediare
un'occhiataccia da Alyssa. I due la guardarono un attimo confusi, poi
posero loro delle domande sul loro lavoro e riguardo la tragica
“morte” del manager Matsu. Peccato che lui era vivo e
vegeto a loro insaputa e pronto a compiere ulteriori danni.
Alyssa
si presentò come la nuova manager, anche se alla festa aveva
fatto la figura della poco di buono e sembrava più una
spogliarellista. Ma quelli erano dettagli.
“C'è
una festa domani sera in onore della crescita della nostra
azienda...vi va di venire?” propose loro Higuchi. Namikawa lo
guardò a lungo, come se si stesse trattenendo dal ricordargli
che non era tempo di fare festa. C'era pure sempre Kira tra di loro e
la minaccia di Elle era costantemente presente, ad Alyssa parve di
leggere quel pensiero nella mente dell'uomo.
Stava
per rifiutare nel modo più cordiale che potesse riuscirgli, ma
Misa non pensò prima di aprire la bocca e allargò le
labbra scarlatte in un sorriso. “Perchè no? Sarebbe
carino!”
Alyssa
la guardò incredula, stava per partirle una di quelle gomitate
che nei cartoni animati fanno girare la testa ai personaggi colpiti.
Ma si trattenne, la sua impulsività con Misa si era parecchio
attenuata.
“Veramente
non possiamo, Misa-Misa... abbiamo da fare, ricordi?” le
rispose tranquillamente, ma Misa non sapeva che quel “ricordi”
era stato usato solo per farle ricordare in che situazione si
trovavano. Perciò non capì che non c'era nulla da
ricordare, se non il fatto che doveva tapparsi la bocca una volta per
tutte.
Higuchi
non desistette, prese un tesserino dalla sua giacca e ci scrisse
sopra indirizzo e numero di telefono, poi lo porse ad Alyssa. “Se
cambiate idea, inizia domani alle nove...” disse, con un
sorriso che faceva venire i brividi per quanto era disgustoso. I suoi
occhi neri si posarono di nuovo su Misa, in una maniera viscida che
fece venir voglia ad Alyssa di difendere la bionda da quello sguardo.
Per la prima volta in vita sua, ringraziò il cielo per essere
stata ignorata.
Guardò
il tesserino tra le sue dita, poi lanciò un'occhiata a
Namikawa che le sorrise di rimando.
“Ci
penseremo, buona giornata!” disse lei, lanciando loro intendere
che dovevano salire in auto e tornare a casa. Anche i due non se lo
fecero ripetere due volte, Namikawa in particolar modo sembrava
davvero avere fretta di allontanarsi il più possibile da quel
posto.
La
voce metallica di Elle, anche se era stato Light a parlare, doveva
incutere davvero timore a qualcuno sottoposto a tale ascolto. Lei non
ci aveva mai fatto caso, rabbrividiva quando la sentiva ma non ne era
mai stata inquietata, perchè non era mai stata soggetto di
quella voce penetrante.
I
due si allontanarono e le due ragazze entrarono rapidamente in auto.
Prima
di mettere in moto, Alyssa non si trattenne dal guardare in malo modo
Misa. “Ma come ti è venuto in mente?” la
rimproverò, stringendo il volante saldamente, nonostante
l'auto fosse ancora ferma. Misa la guardò con aria innocente,
alzò le spalle e sbarrò i suoi grandi occhi scuri.
“Pensavo
fosse una buona idea per arrivare a Kira!” disse, come se fosse
una cosa ovvia.
Ma
cosa pensava di capire in una festa? Non ci sarebbero stati solo
quegli otto, ma moltissime altre persone e scoprire chi era Kira, era
praticamente impossibile in una circostanza simile.
O
meglio, lei sperava fosse così: non avrebbe sopportato
un'altra situazione come quella di qualche sera prima. “Misa...tu
non pensi, perciò non fingere di farlo.” le disse e la
ragazza mise il broncio, offesa come se fosse una bambina.
“E
ora torniamo a casa, non vedo l'ora di vedere qualcun altro.”
concluse poi Alyssa, mettendo in moto la sua auto. Ogni riferimento
era puramente casuale.
Quando
rientrarono al quartier generale, Alyssa perse subito la poca voglia
che aveva di tornarci.
Erano
tutti in pausa, tranne Elle ovviamente, ma vicino a lui sedeva Wedy
con le gambe nude accavallate e il viso posato sulla mano destra.
Alyssa non aveva mai capito se lei fosse attratta da Elle o meno,
stava di fatto che non sopportava a prescindere che si comportasse da
gatta morta con lui. Si fermò davanti alla porta scorrevole,
Misa ruppe il silenzio con un gridolino e attirò tutta
l'attenzione su di loro.
Elle
fu l'unico a non voltarsi, Light ruotò di scatto la sedia
girevole, distogliendo l'attenzione da uno schermo che stava fissando
intensamente e lasciò che la bionda gli corresse incontro e
andasse a sedersi sulle sue ginocchia. I poliziotti erano seduti su
dei divani, poco distanti dai monitor dei computer e stavano parlando
per fatti loro. Il sovrintendente sembrava essersi addormentato sullo
schienale del divano, teneva le dita sopra gli occhi e cercava di
trarre riposo d quel gesto.
Alyssa
restò immobile, il suo sguardo rimase fisso su Wedy e sulle
sue lunghe gambe troppo vicine ad Elle. Camminò spedita verso
di loro e si parò tra i due, colpendo i piedi di Wedy con le
proprie ginocchia.
“Ehi,
non mi hai vista per caso, ragazzina?” la rimproverò
lei, con il suo forte accento inglese. Stranamente Alyssa adorava
quel tipo di accento, ma per Wedy avrebbe pur fatto un eccezione.
Elle
alzò lo sguardo su di lei, il suo movimento fu
inequivocabilmente incomprensibile per il ragazzo: in effetti, i due
avevano discusso e non si erano parlati per giorni, era strano che
lei gli si avvicinasse in quel modo all'improvviso. La ragazza si
accorse solo dal suo sguardo di aver compiuto un gesto così
stupido e impulsivo, lei non voleva parlare con Elle ma il modo in
cui si era avvicinata per separarlo da Wedy, l'avrebbe praticamente
costretta a farlo.
Altrimenti
lui avrebbe capito cosa realmente si nascondeva dietro quella
mossa.
“Vuoi
qualcosa?” chiese il detective, restando con il busto rivolto
verso gli schermi e lo sguardo fisso sul viso di Alyssa. Per fortuna,
l'oscurità nascondeva il suo volto rosso come un peperone.
“No,
voglio solo sapere se ci sono novità...” rispose lei,
assumendo un tono tranquillo che però non ingannò
nessuno.
Sopratutto
Elle.
Wedy
inclinò la testa, in modo che la schiena di Alyssa non la
coprisse. “Sei ancora più fuori di testa dell'ultima
volta...quando avevi i capelli rosa e il piercing al naso.” le
disse.
Light
e Misa restarono in silenzio, il ragazzo in particolar modo rimase
stupito dalla reazione di poco prima di Alyssa. Elle invece rimase
immobile a fissare la mora e il modo in cui evitava il suo sguardo.
Se era arrabbiata, era strano che gli avesse rivolto la parola, anche
a scopo informativo riguardo al caso.
Alyssa
si voltò verso Wedy. “Tu invece sei più nuda
dell'ultima volta..” la provocò. La bionda la guardò
con sfida da sotto gli occhiali da sole che indossava, nonostante si
trovassero in un posto buio e chiuso come quella stanza.
“Siamo
state invitate ad una festa, lo sapete? Alyssa ha fatto colpo su
Namikawa e io su Higuchi!” disse Misa entusiasta. Poi si rese
conto che forse non era una cosa davvero positiva, sopratutto per
lei. “Però a te è andata meglio,
Lysa-Lysa...Namikawa è un bell'uomo almeno!”
Alyssa
sospirò, avrebbe preferito che la storia della festa non fosse
venuta fuori perchè qualcuno avrebbe potuto farci un
pensierino. E lasciarla fuori da tutto.
Light
e Elle guardarono Misa nello stesso istante, la bionda non capì
cos'aveva detto di così strano. Guardò il detective e
notò che stava riflettendo, ma non sul fatto della festa, ma
sul fatto che Alyssa aveva attirato l'attenzione di un altro uomo.
La
cosa non lo stupiva, ovviamente, ma lo infastidiva.
Solo
che cercò di non darlo a vedere come al solito, lanciò
solo un'occhiata veloce ad Alyssa e la vide stringersi le braccia al
petto, con lo sguardo rivolto verso Misa.
“Perchè
su tutto quello che succede devi fare pubblicità? Non puoi
stare zitta per un solo minuto?” la rimproverò ed Elle
non poté fare a meno di pensare che adorava quel suo lato così
infantile. Sempre di più.
Approfittò
del fatto che lei non lo stesse guardando e abbozzò un
sorriso.
“Ryuzaki,
io penso che questa festa potrebbe esserci utile per scoprire chi è
Kira, non pensi?” Misa ignorò la ramanzina della ragazza
e si rivolse al detective, che posò nuovamente l'attenzione su
di lei. La bionda fece girare la sedia sotto di loro, facendo forza
sulle ginocchia di Light che intanto alzava gli occhi al cielo.
Alyssa non aveva mai pensato che Misa facesse quelle proposte assurde
e fastidiose, per fare in modo che le manette liberassero al più
presto il polso di Light, in modo che potesse restare sola con lui.
Era
un pensiero egoistico ma a dir poco comprensibile. Anche lei voleva
che tutta quella storia di Kira terminasse il prima possibile, ma non
si lasciava certo andare ad assurdità del genere.
Anche
se di assurdo, purtroppo, c'era ben poco: alla fine poteva essere un
idea non buona, ma abbastanza utile al fine di avere un disegno
chiaro del nuovo Kira.
Guardò
Elle, lui si passò un dito tra le labbra e assunse la sua
tipica espressione pensierosa. L'idea di lasciarle andare a quella
festa lo sfiorò per un solo istante, necessario per fargli
credere che forse gli sarebbe servito a qualcosa. Ma poi, il pensiero
di voler continuare a difendere Alyssa s'impadronì di nuovo di
lui.
Lanciò
un'occhiata alla ragazza, che si era messa a battibeccare con Wedy
usando un forte accento inglese che le riusciva davvero bene da
imitare. Notò, però, che con lo sguardo continuava a
guardare ogni tanto verso di lui.
“Tu
vuoi prendere parte a questa festa, Aly?” le chiese.
Quella
domanda lasciò per un attimo basita la ragazza, guardò
a lungo Elle e poi rivolse uno sguardo a Misa che stava già
sorridendo a trentadue denti per la sua vicina vittoria. Alyssa pensò
che andare a quella festa non sarebbe stato utile davvero, ma
provarci non costava nulla.
Lei
e Misa erano comunque fuori dal pericolo di essere uccise da Kira.
“Non
lo so...tu che ne pensi? Io posso prendere pure parte a quella festa,
dopo lo schifoso abitino verde vomito dell'altra volta..non mi
spaventa più nulla.” rispose lei, decidendo di sentire
prima il parere di Elle piuttosto che il suo. Si portò le mani
sui fianchi, intanto Light li guardava in silenzio, come se
attendesse l'esito di quella discussione.
Elle
rimase a fissare gli schermi davanti a sé, in quei giorni
aveva preso in seria considerazione la possibilità di aver
sbagliato tutto con Alyssa, solo per dare retta ad una delle tante
voci che circolavano nella sua mente. Aveva solo sminuito le capacità
della sua collega e si rese conto solo allora che era un grande
errore.
Decise
così di ignorare quella forza che lo spingeva a rinchiudere la
ragazza in una teca di cristallo e si voltò verso di lei. “C'è
una piccola probabilità che questa cosa si possa rivelare
minimamente utile, ma elaborerò un piano solo se tu vuoi
farlo.” le disse.
I
due si guardarono a lungo, entrambi avevano un pensiero diverso che
gli occupava la mente, ma nessuno dei due riusciva a percepirlo.
Alyssa trattenne il fiato per tutto il tempo in cui quegli occhi neri
rimasero a fissarla.
Poi,
senza che nemmeno se ne rendesse conto, le sue labbra si aprirono in
una semplice frase.
“Va
bene, ci sto.”
“Ne
sei davvero sicura, Aly?”
Alyssa
si voltò verso Light, si trovavano in cucina e il ragazzo,
come al solito, era attaccato ad Elle che sedeva a pochi passi da lui
al tavolo.
Era
stato costretto a prendersi la pausa caffè, solo perchè
Light aveva deciso di farla. L'espressione sul suo viso in quel
momento, lasciava intendere tutto il fastidio che il non avere la
testa indaffarata gli provocava. Guardò i due, che stavano in
piedi, con le spalle rivolte a lui vicino alla macchina del caffè.
Il
modo in cui Alyssa guardava il ragazzo, come se nutrisse estrema
fiducia in lui, non lo comprendeva e lo considerava ingenuo da parte
sua.
“È
una festa..e poi mi occuperò io di Misa.” gli disse,
osservando il caffè che fuoriusciva dalla macchinetta per poi
cadere dentro il bicchiere.
“Non
è solo per Misa, l'ultima volta abbiamo dovuto far morire
Matsuda per risolvere la cosa..” obiettò Light,
guardandola attentamente negli occhi. La ragazza rimase ulteriormente
stupita da quello sguardo, aveva gli occhi che trasmettevano tutti i
suoi pensieri che un tempo sembravano impercettibili. Non si sarebbe
mai schiodata dalla mente l'immagine di un altro Light che
conosceva.
Anche
se era una cosa difficile e inverosimile da spiegare.
“Non
preoccuparti, so come devo comportarmi.” gli rispose, lanciò
un'occhiata ad Elle alle loro spalle e si accorse che li stava
osservando di sottecchi. Trangugiò poi il suo caffè e
fece finta di nulla. Ma non riuscì a rimanere in silenzio.
“Yagami,
non fingere di preoccuparti...Alyssa sa badare a sé stessa e
io mi fido ciecamente di lei.”
Light
si voltò verso di lui, analizzò la freddezza con cui
aveva parlato e percepì il tono di sfida racchiuso in esso.
Succedeva sempre così, quando i due si trovavano a
fronteggiare due argomenti ben precisi: Kira e Alyssa. La cosa era
incomprensibile per entrambi, riguardo la seconda opzione.
“Ma
non eri tu quello che le ha fatto la ramanzina l'altro giorno?”
gli chiese.
“Io
sono su un altro piano rispetto a te, posso permettermi di
preoccuparmi per la mia collega. Tu non ha alcun ruolo in tutto
questo.” precisò Elle, portandosi di nuovo la tazzina di
caffè alle labbra come segno di sfida.
Alyssa
stava sull'attenti, sentiva che la tensione in quella stanza avrebbe
preso, prima o poi, fuoco. Light si voltò completamente verso
di lui. “Per colpa tua, è anche una mia collega,
ricordi?” gli disse, sorridendogli con un cenno di sfida.
Elle
alzò lo sguardo su di lui. “Sì, ma tu eri Kira,
perciò non hai alcun diritto di fingere di preoccuparti con la
mia collega.” lo sfidò di nuovo.
Light
fece un passo verso di lui, accettò il suo sguardo che celava
davvero del desiderio di provocare e decise di restare al gioco.
Alyssa fece un passo verso di loro, preparandosi alla possibilità
di dover separare quei due appena fosse divampato l'incendio.
“Ancora
con questa storia? È la seconda volta che la tiri fuori, alla
terza non lo sopporto più.”
“Anticipiamo
il momento allora? Tu eri Kira e lo proverò non preoccuparti.”
A
quell'ennesimo lancio di sfida, Light alzò il pugno ed Elle la
gamba, si colpirono in pieno viso e con la stessa forza, nello stesso
preciso momento.
“E
basta!” esclamò Alyssa, scattando verso di loro e
separandoli: Elle restò seduto sulla sedia, mentre Light
rimase dietro le spalle della ragazza, massaggiandosi il volto
colpito. “Quando la smetterete di fare gli idioti?”
“Quando
qualcuno la smetterà di provocare...”rispose Light.
“La
verità brucia più di una bugia.” Elle si
risistemò sulla sedia e afferrò nuovamente la tazzina
che aveva abbandonato sul tavolo poco prima dello scontro con Light.
“Ok,
ora basta. Datevi una calmata.” Alyssa si parò
completamente di fronte a Light e lo guardò come per
implorarlo di stare fermo. “Dobbiamo elaborare un piano per la
festa...”
“Io
il mio piano ce l'ho già: vai alla festa e studi le azioni dei
membri della Yotsuba.” rispose Elle, evitando il loro sguardo.
“E poi io ti terrò d'occhio attentamente, non c'è
bisogno che qualcuno continui a fingere di tenerci a te.”
“Sono
un essere umano io, mica una macchina priva di emozioni come te.”
lo sfidò di nuovo Light.
Alyssa
lo fulminò con lo sguardo. “Ma la smettete di fare le
galline? Non vi si regge più, davvero!”
“Ok,
ma Alyssa? Ti avviso, io preferisco saperti in un posto sicuro
piuttosto che in mezzo a dei possibili sospettati...perciò, se
vuoi rifiutati ora, io lo accetterò senza problemi.” le
disse Elle, la ragazza si voltò verso di lui e lo guardò
stupita. Non riusciva ad incontrare gli occhi del ragazzo, li teneva
bassi come se volesse evitare di farli entrare in contatto con lei.
Si
sentì avvampare, al pensiero che lui la stesse lasciano libera
ma allo stesso tempo la volesse proteggere. Era una cosa che non
capiva, ma che la faceva sentire strana.
Light
li osservò, sentì come se fosse appena diventato
invisibile di fronte a loro.
“Rifiutarmi?
Io?” ridacchiò la ragazza. “Mai!”
“E
se mi rifiutassi adesso?”
Elle
alzò gli occhi al cielo, lasciandosi andare a quella debolezza
chiamata fastidio.
Alyssa
era chiusa nel bagno della sua camera da minuti, intenta a mettersi
il vestito che Watari le aveva fatto recapitare per andare al party
della Yotsuba. Frasi come l'ultima che aveva pronunciato, avevano
rotto il silenzio troppe volte.
“Sei
stata tu a dire che eri d'accordo...” ci tenne a ricordarle per
l'ennesima volta il ragazzo.
Si
era di nuovo separato da Light solo per quella occasione, il ragazzo
stava aspettando fuori dalla stanza, sorvegliato da Matsuda e dal
sovrintendente. Alyssa sbuffò e il ragazzo sentì il
rumore dei suoi tacchi a spillo che toccavano il pavimento. Rimase
appollaiato sulla poltrona vicino alla parete, sperando che la
ragazza prima o poi si decidesse ad uscire da quella maledetta porta.
“Sì,
lo so ma...Watari non poteva scegliere un vestito meno..elegante?”
disse lei, con voce leggermente incrinata come se volesse simulare
l'inizio di una serie di capricci.
Elle
sbuffò di nuovo, mai come quel giorno lo aveva fatto. “Aly,
si tratta di una festicciola di poche ore, dove tutti chiederanno
l'autografo a Misa....nessuno si accorgerà di te.” le
disse, non analizzando per bene il lato offensivo che quella frase
avrebbe potuto mostrare.
Infatti
Alyssa si ammutolì per un attimo, almeno quelle parole però
la spinsero finalmente ad uscire dal bagno. “Ah sì? Ma
quanto sei gentile e sensibile, dico sul serio!” disse.
Elle
rimase basito quando la vide camminare verso di lui e trovò
che la sua frase di poco prima fosse a dir poco inappropriata. Alyssa
indossava un tubino nero, che metteva in risalto il suo fisico esile
e allo stesso tempo allenato, i piedi s'innalzavano su vertiginosi
tacchi che la ragazza doveva detestare ma che la rendevano più
alta ed elegante. La cosa che lo colpì di più però
furono i capelli: Alyssa non li aveva mai portati così mossi,
le circondavano il viso delicatamente e mettevano quasi in risalto la
forma dei suoi occhi chiari.
Non
aveva mai pensato che Alyssa fosse brutta, ma non si era mai
soffermato realmente a guardare quanto fosse bella, come in quel
momento. Considerava la bellezza esteriore una cosa troppo materiale
e finita per poterla davvero apprezzare: le idee della mente possono
perdurare nel tempo, anche dopo la morte, e la prova stava
nell'evolversi della conoscenza grazie a grandi menti che si erano
poi spente. La bellezza invece poteva durare solo per un certo
periodo della propria vita, per poi spegnersi lentamente nella
vecchiaia e morire.
Per
quel motivo non aveva mai dato peso a quel lato troppo fisico e anche
materialista, da un lato, della vita umana.
Perchè
apprezzare delle cose simili?
In
quel caso però, mentre Alyssa camminava lentamente per non
cadere sui tacchi e mentre sbarrava lo sguardo mentre si osservava la
vita, non poté fare a meno di pensare che anche la bellezza,
in parte, fosse una cosa che poteva durare all'infinito.
Dubitava
che avrebbe mai dimenticato quell'immagine negli anni avvenire.
“Dillo...sono
orribile? Ho le cosce grosse e non mi esprimo sul didietro...”
disse lei, cercando di mettersi in equilibrio sui tacchi.
Elle
distolse un attimo lo sguardo, quando si accorse che i suoi pensieri
stavano assumendo una forma troppo umana, semplice e quindi
fastidiosa nella sua mente.
“No,
sei carina.” le disse semplicemente, sforzandosi di non andare
oltre.
La
ragazza rimase comunque stupita da quelle parole, troppo fredde ma
stranamente sincere nella bocca del ragazzo. “Oh grazie.”
rispose titubante, si avvicinò poi allo specchio di fronte ad
Elle per osservarsi meglio. Il ragazzo si accorse che la cerniera
sulla schiena della ragazza si era parecchio abbassata, ma che lei
non se n'era accorta.”Io comunque continuo a dire che Watari ha
esagerato.”
Alyssa
iniziò a parlare a vanvera, elencando una serie di difetti
fisici che solo lei aveva notato e di cui solo lei conosceva
l'esistenza. Elle sentiva invece di dover allacciare quella
cerniera, non sapeva perchè ma i suoi occhi si erano
soffermati troppo a lungo sulla spaccatura sulla schiena della
ragazza. Si alzò lentamente in piedi, lei continuava a parlare
senza senso e si bloccò solo quando sentì le dita del
ragazzo sfiorarle la pelle. Una serie di brividi le corsero lungo la
schiena, mentre la zip saliva sempre di più fino a chiudersi.
Si
sentì per un attimo soffocare, ma non doveva essere per il
fatto che il vestito fosse di una taglia più piccola della
sua, ma per il fatto che, per un solo misero secondo, le dita di Elle
le avevano sfiorato la pelle.
“Che
figura avresti fatto se fossi andata in giro con la cerniera aperta?”
le chiese Elle, abbassando il capo e parlando con una freddezza
ancora più glaciale. Alyssa lo guardava dallo specchio, erano
sempre stati quasi pari in altezza e ora lei lo superava di pochi
centimetri. Non riusciva a vedere il suo volto oltre le sue spalle,
ma solo la miriade di capelli sopra la sua testa troppo piena.
Dovette
sospirare, per ricordare che i suoi polmoni avevano bisogno di
ossigeno.
“Grazie,
non me n'ero accorta.” rispose, non riconoscendo nemmeno la sua
stessa voce.
Elle
si allontanò, le diede le spalle e fece dei passi verso la
poltrona su cui fino a poco prima era rimasto seduto. “Watari
dopo provvederà a metterti delle microspie nel vestito...”
le disse.
“Ma
non sono necessarie! Sarà una festa che porterà a
niente, tanto già lo sappiamo...” rispose lei e maledì
il momento in cui aveva accettato di dare credito ad un altra delle
idee di Misa. Si girò verso il ragazzo, lui aveva affondato le
mani nelle tasche e si era di nuovo girato verso di lei.
“Ci
sarà Kira a quella festa probabilmente, lo sai no?” le
disse.
Alyssa
spalancò lo braccia, intanto, per poco, inciampò sui
tacchi e cadde a terra. “So difendermi da sola...e poi, Kira
non arriverà mai a quell'orrendo e vero nome che ho!”
esclamò e si lasciò andare ad un sorriso.
Elle
non rispose, abbassò lo sguardo e osservò i piedi di
Alyssa che combattevano con la forza di gravità. Si avvicinò
a lei e le porse le mani, in modo che potesse trovare così un
equilibrio.
Lei
le posò sulle sue, quelle di entrambi erano freddissime ma
trovarono calore l'una in quella dell'altra. La ragazza tenne lo
sguardo basso, strinse per qualche secondo i palmi del ragazzo e
riuscì finalmente a ridimensionarsi sui tacchi.
“Delle
converse erano più sostenibili come cosa.” sbuffò
lei, guardandosi i piedi vicini alle punte nude di quelli di Elle. Il
ragazzo fece lo stesso.
“L'eleganza
è un concetto che apprezzo, non rovinarlo con il tuo essere
mascolina..” le rimproverò.
“Ma
parli tu che indossi jeans più grossi di te e che non usi
quasi mai le scarpe?”
La
sentì ridere, un suono che lo riportava sempre ai vecchi
tempi, quelli in cui erano solo due bambini soli che cercavano
compagnia l'uno nell'altra. Poi erano diventati amici e colleghi, che
si aiutavano reciprocamente e si rendeva utili ai fini di soddisfare
i bisogni e le necessità dell'altro.
Ma
in quel momento che cos'erano? Era difficile da definire quello che
si consideravano in quel preciso istante, il caso Kira aveva cambiato
molte cose.
Anche
loro.
Ma
nessuno dei due sapeva dire se era una cosa positiva o meno.
“Tornando
al discorso di prima...io so difendermi da sola.” disse Alyssa,
alzando poi lo sguardo su di lui. Gli sorrise con sfida, il ragazzo
allora decise di metterla alla prova.
Le
strinse il polso e glielo storse appena, sforzandosi di non farle
male. Lei allora colse subito al volo la sfida lanciatele, replicò
al colpo di Elle e cercò di farlo girare sulla schiena.
Non
ci riuscì, poiché lui le oppose resistenza.
“Sai
difenderti da sola eh?” la provocò il ragazzo.
Lei
gli sorrise “Ringrazia che mi hai colta alla sprovvista.”
gli disse.
Cercarono
di colpirsi di nuovo, era strano il modo in cui quei due si
divertivano a punzecchiarsi e poi a sfidarsi reciprocamente e
all'improvviso. Come se fosse un gioco.
Elle
alzò la gamba e fece in modo che lei avesse il tempo
necessario per pararsi, alzando le braccia per difendersi. Alyssa ci
riuscì, poi usò il braccio destro per replicare al
colpo.
Ma
qualcosa andò storto: la ragazza non riuscì più
a stare in bilico sui tacchi e cadde in avanti, finendo addosso ad
Elle. Il ragazzo si ritrovò con al schiena sul pavimento, lei
cadde distesa sopra di lui e allungò le mani in avanti per non
finire con il suo viso contro quello di Elle.
I
due si ritrovarono a pochi millimetri di distanza, le mani di lei
rimasero affianco al viso del ragazzo che fissò a lungo quegli
occhi verdi che tanto adorava. Alyssa trattenne il fiato, perchè
un solo flebile respiro che fosse uscito dalle sua labbra avrebbe
sfiorato quelle di Elle.
Desiderò
ardentemente potersi alzare in piedi, ma quei dannati tacchi le
impedivano di trovare l'equilibrio necessario. “S-scusa...”
disse imbarazzata.
Elle
nemmeno la sentì, si ritrovò ad accarezzarle il viso
senza che nemmeno si rendesse conto di quel movimento della sua mano.
La ragazza abbassò lo sguardo, inevitabilmente lo posò
in quel punto sopra il suo mento e sotto il suo naso. Anche Elle non
riusciva a guardarla negli occhi.
Si
accorse troppo tardi di quel gesto di improvvisa impulsività
umana, la ritrasse e si schiarì la voce, come per destarsi da
un sogno.
“Alzati,
mi stai schiacciando tutto.” le disse.
Cercò
di rizzarsi a sedere, le posò le mani sulle spalle nude e la
spinse delicatamente, in modo che trovasse l'equilibrio necessario
per potersi alzare. Elle si tirò le ginocchia verso il petto e
restò con le mani affianco a sé, lei si portò
una mano tra i capelli e rimase inginocchiata malgrado la punta delle
scarpe le impedisse di stare ferma.
Elle
non la stava guardando, ma lei stava guardando lui.
Il
modo in cui le aveva toccato il viso non era da Elle. Perciò
voleva dire che era scattato qualcosa in lui, come era successo in
lei, nel momento in cui si erano ritrovati così vicini.
Ma
come sempre, si era bloccato quando il suo cervello gli aveva
ricordato che non lo stava più ascoltando. Alyssa però
era stanca di quella situazione, era stanca di seguire la testa del
ragazzo ma voleva seguire qualcos'altro.
Qualcosa
che era suo e che la spingeva ad affrontare il cambiamento.
Era
sempre stata quella la paura più grande che bloccava entrambi,
ma era una paura dettata da una forza che Elle non sapeva
fronteggiare. La sua mente gli impediva di riconoscerla, invece
Alyssa la conosceva bene e si sentì pronta ad affrontarla.
Senza
che nemmeno se ne rendesse conto, scattò in avanti e posò
le labbra su quelle di Elle.
Seguì
un lunghissimo silenzio, entrambi lo sentirono attorno a loro mentre
le loro labbra restavano unite.
Alyssa
posò la mano sul mento del ragazzo e chiuse gli occhi,
assaporando quel momento che tanto aveva aspettato. Elle restò
immobile, aveva chiuso gli occhi e non riusciva a valutare la
situazione in cui si trovava.
Non
riusciva a pensare, era la prima volta in tutta la sua vita che
qualcosa gli impediva di lasciar scorrere i suoi pensieri.
Il
bacio durò diversi secondi, che parvero durare un'eternità.
Alyssa
si separò lentamente e guardò l'espressione di Elle per
studiarne i sentimenti. Lui aveva abbassato la testa e si era portato
la mano alle labbra, come se volesse di nuovo avvertire il tatto di
quelle delle ragazza che sfioravano le sue.
Lei
attese in silenzio, non sapeva perchè lo stava facendo, ma
sentiva che avrebbe trovato la risposta solo quando lo avrebbe di
nuovo baciato. Cosa che fece prontamente, quando lui alzò lo
sguardo su di lei: le loro labbra si unirono di nuovo, ma con più
passione.
Cogliendola
di sorpresa, Elle si lasciò andare. Le passò una mano
sulla nuca e premette la sua testa di più verso la sua. Alyssa
gli posò le mani sulle guance e lasciò che il bacio
divenisse sempre più appassionato.
Elle
non pensava in quel momento, sentì che tutta la sua forza
proveniva da un punto nel suo petto che lo spingeva sempre di più
a volere Alyssa.
Non
gli importava di nulla in quel momento, non aveva mai capito che il
bisogno che sentiva di lei era cambiato così tanto. Ma poi il
pensiero tornò in lui, il pensiero che viste le circostanze
pericolose in cui si trovavano, non era necessario lasciarsi andare a
quelle piccole, potenti forze chiamate emozioni.
Cosa
poteva dargli lui in tutta quella vita? Si rispose subito: nulla. Lei
era troppo diversa da lui e stava già pagando tutto per
essergli stata semplicemente solo amica.
Cosa
che non si considerava più da tempo ormai.
Si
separò un po' da lei, la ragazza aprì gli occhi ma li
lasciò posati sulle labbra di Elle, le sfiorò di nuovo
ma capì che qualcosa non andava.
“Smettiamola
qui..non era necessario.” disse lui, tornando freddo e
impassibile in un solo secondo.
La
ragazza lo osservò incredula, mentre si alzava in piedi
lentamente e le porgeva la mano.
Dopo
vari secondi di silenzio, lei alzò gli occhi per guardarlo in
viso, rifiutò il suo aiuto e fece da sola. “Necessario?”
ripeté incredula. “Ci siamo baciati e tu dici che non
era necessario?”
“Il
contatto fisico non è mai necessario, sono solo bisogni che
possono essere ignorati.” rispose lui. “Non è come
il cibo o il dover andare in bagno.”
“Ma
ti ascolti? Io sento ancora il sapore delle tue labbra e tu mi fai un
discorso sull'importanza o meno del contatto fisico nella vita di una
persona? Me sei scemo o ci fai?” esclamò lei incredula.
Elle
abbassò lo sguardo, odiò profondamente l'essersi
trovato in una situazione simile e che lui stesso aveva voluto.
Sentiva anche lui ancora il sapore delle labbra di Alyssa sulle sue,
ma stava facendo di tutto per ignorarlo.
Non
voleva che una cosa simile accadesse. Sapeva che non sarebbe
riuscito a sopportarla.
Alyssa
lo guardava incredula, il ragazzo si passò una mano tra i
capelli e distolse lo sguardo. La ragazza non riusciva a credere che
quel momento potesse essere rovinato dai troppi ragionamenti,
contorti e in quel caso inconcludenti di Elle.
“Non
mi sono baciata con l'aria, anche tu hai ricambiato.” ci tenne
a precisare.
“Me
ne sono reso conto.” rispose lui, desiderando solamente uscire
al più presto da quella stanza.
“Allora,
perchè ora ti blocchi di nuovo se lo volevi anche tu?”
“Io
non lo volevo.”
Alyssa
restò a bocca aperta di fronte a quelle parole, pronunciate
con una freddezza che in quel caso non sopportava. Elle si accorse
solo dopo un po' di essere stato frainteso, lui il bacio lo voleva
ma allo stesso tempo non voleva cedervi.
Non
poteva sostenere quel cambiamento nella sua vita. Ma Alyssa sembrava
davvero pronta a farlo.
Era
lei la più forte tra i due in quel momento.
Spalancò
le braccia e si morse le labbra. “Ok, come sempre hai vinto tu
allora.” disse e cercò di superarlo.
Elle
le prese il polso e la fece fermare. “Aspetta.” le
ordinò.
Senza
che lo volesse, lei obbedì. Ma sentiva già qualcosa
premere nei suoi occhi.
“Affrontare
una cosa simile, con la bufera scatenata da Kira là fuori, non
è davvero il caso e lo sai bene. Devi accettare che sia stato
un errore.” le disse, guardando i capelli di Alyssa.
Incredibile,
le stava dicendo persino di accettare la sua teoria.
Ma
lei non lo avrebbe mai fatto, non dopo quello che aveva provato in
quel bacio. Anche se era una cosa a senso unico.
“Sei
un vigliacco, Elle.” disse, continuando a dargli le spalle.
Intanto lui lasciò lentamente la presa sul suo polso. “Non
lo avevo mai pensato prima, ma adesso invece sì. A me della
bufera non m'importa nulla, se vivo una cosa forte come l'ho vissuta
poco prima.”
Elle
sospirò, abbassò gli occhi e lasciò che lo
sguardo di Alyssa lo immobilizzasse. “Ma tu non puoi essere
umano nemmeno con me, vero?”
Attese
una risposta che sapeva non sarebbe mai arrivata, osservò i
capelli di Elle coprirgli gli occhi e si sentì le lacrime
salirle.
“Ora
vado, tanto sono qui solo per lavoro, no?” gli disse.
Non
attese nemmeno una risposta che si allontanò, Elle sentì
la porta spalancarsi per poi chiudersi di colpo. E rimase in
silenzio, nemmeno la voce dei suoi pensieri parlava in quel momento.
Buon
pomeriggio! :)
E
finalmente in questo capitolo qualcosa si è smosso tra L e
Alyssa....ma quanti di voi mi hanno mandato mille colpi quando ho
fatto finire il capitolo in questo modo? Eh lo so, forse me li
merito!
Intanto,
spero di non essere uscita dal personaggio di L, perchè
immaginarmelo in certe situazioni mi risulta piuttosto difficile e la
paura di renderlo OOC è sempre parecchio costante...spero di
essere rimasta fedele al suo carattere, anche se purtroppo ne dubito.
Detto
questo, come sempre, ringrazio tutti i lettori, chi recensisce e
coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, ricordate e
preferite!
Ciao
a tutti! ^^
|
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Capitolo 13 *** Killer Love ***
Partecipare
ad un maledetto party con quello stato d'animo, non era praticamente
possibile.
Alyssa
non sopportava quei tacchi assurdi, non sopportava quella gonna che
le stringeva troppo sulle cosce e non sopportava sopratutto che tutti
i suoi pensieri fossero rivolti ad un unico soggetto che si sforzava
di allontanare dalla sua testa.
Subito
dopo la discussione con Elle, la ragazza andò da Watari per
farsi mettere delle microspie sul vestito. L'uomo non si fece fuggire
l'espressione sul viso della ragazza ma, come sempre, riuscì a
percepire che lei non voleva parlarne e quindi non fece domande.
Subito
dopo, Alyssa dovette sorbirsi i mille complimenti di Matsuda e le
varie raccomandazioni di Light sul stare attenta a lei e a Misa. Le
due lasciarono successivamente il quartiere generale, per dirigersi
nella villa in cui si sarebbe tenuta la festa: una villa dalle pareti
bianche, circondata da macchine di lusso parcheggiate con eleganza
davanti ad essa, un immenso guardino dove risiedevano diverse persone
intente a conversare tra loro circondava l'abitazione.
Alyssa
non amava la troppa eleganza, la trovava troppo lontana dal suo modo
d'essere e il fatto che non si trovasse a proprio agio in un abito
simile, ne era la prova. Quando entrò nella villa affiancata
da Misa, sperò di incontrare un ambiente un po' meno
sofisticato rispetto a ciò che aveva visto all'esterno.
Ma
dovette ricredersi, appena sentì della musica classica suonare
dal vivo. Dall'ampio corridoio che anticipava il salone, riuscì
a scorgere in fondo due violinisti che suonavano su un alto ripiano
vicino alle finestre sulle pareti. Se si fossero avvicinate di più,
avrebbero visto anche il resto del gruppo che stava suonando.
“Che
fico!” esclamò Misa, guardandosi attorno meravigliata.
La
bionda aveva deciso di osare più di Alyssa: indossò un
lungo abito rosso a singola spallina, i capelli erano raccolti in una
coda di cavallo attraverso un elastico a forma di rosa rossa. Il
volto era pesantemente truccato, le ciglia allungate con il mascara e
le labbra colorate di un rosso intenso. Alyssa si chiese come mai
dovesse ridursi il viso in quel modo, al naturale era molto più
bella e non si mostrava sopratutto più grande d'età.
Un
cameriere si avvicinò a loro per prendere le giacche, Alyssa
guardò il ragazzo stupita e gli porse la sua giacca solo
quando capì qual'era il suo ruolo in quella scena.
“Che
esagerazione...” sussurrò nervosamente, quando il
ragazzo si allontanò. Misa si stava guardando attorno
affascinata, come se non avesse mai preso parte a feste del genere,
prese Alyssa per il polso e la trascinò verso la sala.
Il
suono della musica si fece più vicino e intenso, man mano che
si inoltravano sempre di più verso la sala. Un buffet
variegato era stato allestito su dei lunghi tavoli posti ai lati
della stanza, illuminata da un enorme candelabro appeso al soffitto.
Malgrado la bellissima melodia che risuonava nell'aria, nessuno stava
ballando: erano tutti intenti a parlare tra di loro, con un bicchiere
di spumante tra le mani.
Alyssa
guardò uno di quei calici in mano ad una signora grassa che
rideva languidamente di fronte alla battuta di un altro uomo. Aveva
proprio bisogno di un bel drink.
“Andiamo
a cercare Higuchi e Namikawa?” chiese Misa, si voltò
verso la mora e si stupì nel vederla fermare un cameriere con
un vassoio pieni di bicchieri sulla mano.
Prese
uno dei calici e sorrise, ringraziando il giovane ragazzo.
“Che
fai? Bevi?” le chiese Misa, posandole una mano sulla spalla.
Alyssa
fece spallucce e si portò il bicchiere alle labbra. “Solo
un bicchiere. Non mi metterò a ballare la samba sul tavolo.”
rispose, si guardò attorno e cercò di sopprimere quel
maledetto pensiero che la stava assillando da ore, da quando aveva
lasciato la stanza in cui aveva preso in mano la situazione con Elle.
Provò
vergogna nell'averlo fatto, visti i risvolti che la situazione aveva
preso.
Ma
poi ricordò che lui aveva ricambiato e si sentì
pervadere dalla rabbia, perchè non comprese quello che era
successo dopo.
Misa,
come suo solito, volle indagare a fondo sullo sguardo di Alyssa e
cercò di guardarla in viso, nonostante lei si stesse guardando
attorno proprio per nascondersi agli occhi della bionda.
“È
successo qualcosa?” le domandò con la sua solita voce
squillante.
Alyssa
alzò gli occhi al cielo e non lo nascose alla non voluta
compagna che si era trovata per quella festa. Posò il vetro
del bicchiere sulle labbra e la osservò cercando di mostrarsi
serena.
Cosa
impossibile, per una persona impulsiva ed emotiva come lo era lei.
“Non
ho nulla.” rispose, trangugiò velocemente lo spumante,
buttandolo giù con una rapidità innaturale che quasi
spaventò Misa. Alyssa sentiva il bisogno di un altro drink,
magari avrebbe smesso di dare importanza a ciò che la sua
testa le stava dicendo?
Lasciò
il bicchiere sul tavolo del buffet e fu tentata dal togliersi quei
maledetti tacchi e buttarli per aria. “Misa, trovami un altro
cameriere con dei bicchieri pieni...” disse, guardandosi
intorno.
La
bionda aveva una espressione a dir poco sconvolta sul viso. “Ti
sei dimenticata perchè siamo qui? Vuoi ubriacarti nel bel
mezzo della festa?” chiese, spalancando le braccia.
I
ruoli si erano invertiti, toccava a Misa fare la ragazza ragionevole
e ad Alyssa quella scapestrata. Ma lei non voleva ubriacarsi, voleva
solo bere lo stretto necessario per non pensare. Tanto a quella festa
non avrebbero scoperto nulla di buono, quindi poteva anche
approfittarne.
E
pensare che lei odiava quei vizi nocivi come il bere e il fumo.
La
musica si arrestò per pochi secondi, alcuni applaudirono ai
musicisti che poi ripresero ad eseguire un'altra melodia, più
lenta di quella di poco prima. Alyssa si portò una mano tra i
capelli e si guardò di nuovo attorno, scorse diversi membri
della Yotsuba tra la folla di gente elegante che occupava la sala.
Mancava solo Namikawa, evidentemente non se la sentiva di festeggiare
dopo la chiacchierata con Light in veste di Elle.
Guardò
oltre la testa di Misa e notò che Higuchi che stava
interagendo con altre persone al di fuori dell'azienda. “Misa,
non sei mia madre.” la rimproverò la ragazza, tornando
al discorso di poco prima. “E non voglio ubriacarmi.”
Misa
la guardò stupita, mentre lei teneva d'occhio Higuchi. Si
accorse che lui alzò lo sguardo su di loro e sembrò
voler affrettare il discorso che stava tenendo con altri due uomini.
Il suo sguardo si era focalizzato particolarmente sulla bionda, che
però teneva le spalle rivolte verso di lui.
“A
me sembri un po' fuori di testa, sinceramente. Sembra quasi che tu
stia cercando di non pensare...” le disse Misa, Alyssa volse lo
sguardo verso di lei e posò le mani sulla superficie del
tavolo alle sue spalle. Le dispiacque pensare che la ragazza fosse
davvero insopportabile, ma era furiosa e non poteva fare a meno di
detestare il modo in cui lei s'imponeva di esserle amica.
Non
in quel momento almeno, quando avrebbe voluto solo starsene in
silenzio e invece era costretta a fingere di prendere parte a quella
maledetta festa.
Quando
Higuchi salutò uno degli uomini con cui stava parlando con una
pacca sulla spalla e si diresse verso di loro, Alyssa fissò
intensamente la bionda e parlò con le labbra quasi serrate.
“Lascia
perdere, il tuo fan numero uno sta arrivando.” disse.
Misa
non capì subito, fino a quando Higuchi non fu loro molto
vicino. Aveva indosso uno smoking molto elegante e i capelli scuri
erano tirati all'indietro con troppo gel.
L'unica
cosa positiva che Alyssa notò in lui, fu che aveva ben due
bicchieri di spumante tra le mani e dovevano essere per loro due.
“Buonasera
signorine, sono felice che alla fine abbiate deciso di prendere parte
alla festa.” disse lui e porse loro i bicchieri, Alyssa prese
il suo al volo e se lo portò alle labbra.
Sia
Misa che Higuchi la guardarono sorpresi.
“Non
potevamo mancare a questa festa, non dopo che ci hanno invitato due
uomini così affascinanti.” disse Misa, appena riuscì
a distogliere lo sguardo dal viso di Alyssa e lo posò
sull'uomo di fronte a loro. La mora per poco scoppiò a ridere,
Namikawa poteva anche essere considerato un uomo affascinante, ma
Higuchi era lontano da essere definito tale.
Anche
in smoking sembrava solo un maiale, forse era colpa della sua faccia
che Alyssa trovava stranamente disgustosa. Si portò il
bicchiere alle labbra e ne bevve il contenuto a sorsi.
“Mi
fa davvero piacere avervi entrambe qui.” rispose Higuchi, ogni
tanto si soffermava anche su Alyssa ma era chiaro che preferisse, per
qualche strano motivo, la bionda. “Siete entrambe bellissime.”
“Molto
gentile.” risponde Alyssa, quando vide che Misa si stava
limitando a sorridere all'uomo.
I
due si misero a parlare del lavoro da testimonial di Misa per
l'azienda e Alyssa prese parte alla conversazione in maniera passiva.
Rimase con la schiena posata sul tavolo alle sue spalle e con il
bicchiere vicino alle labbra.
“Non
temere, andrà benissimo.” la rassicurò Higuchi,
dopo essersi lasciato andare ad una risata gutturale che lasciò
perplessa persino la stessa Misa. “A nessuno importa se tu sei
stata indagata con l'accusa di essere il secondo Kira.”
Lo
disse con un ghigno che aveva un suono parecchio nervoso, Alyssa lo
osservò mentre non distoglieva lo sguardo da Misa e si portava
il bicchiere di spumante alle labbra.
Forse
si sbagliava, ma trovava alquanto insolito che quell'argomento
venisse menzionato nel bel mezzo di una festa. Poi, l'espressione di
Higuchi era a dir poco sospetta.
Misa
si innervosì, ma solo per brevi secondi. Era un'attrice e
quindi sapeva nascondere bene certi disagi. Lo mascherò con un
sorriso, che aveva del sensuale e del divertito al tempo stesso.
“Si
è trattato solo di un malinteso, sono stata rilasciata subito
poi perchè Elle ha compreso l'errore fatto.” rispose,
forse aveva capito anche lei che quella era la carta giusta da
giocare con Higuchi. Elle le aveva detto di parlare in quel modo in
riferimento al colloquio di lavoro che avrebbe tenuto pochi giorni
dopo per la Yotsuba e dove Aiber avrebbe preso parte nei panni di
Coil.
Ma
fece bene ad anticipare quel momento, dato che Higuchi aveva assunto
uno sguardo inquietante appena aveva pronunciato le parole “secondo
Kira”.
Alyssa
smise di studiare con attenzione il volto di Higuchi quando sentì
il suo cellulare squillare nell'orribile pochette che Misa le aveva
prestato. La bionda e Higuchi si voltarono verso di lei e la ragazza
vide l'icona di un messaggio sullo schermo. Non aveva mai visto quel
numero, il che significava che poteva essere solo opera sua.
Strinse il telefono nel palmo della mano e cliccò per
leggerlo.
“Sta
attenta.” c'era
scritto. Alyssa trattenne il fiato mentre leggeva quelle due parole,
se Elle le aveva detto una cosa simile, voleva dire che si era
accorto di qualcosa di strano nel comportamento di Higuchi. O,
semplicemente, si era preoccupato per lei.
La
ragazza scartò subito la seconda opzione, perchè la
considerò la meno razionale, dal punto di vista di Elle
almeno. Alzò lo sguardo distrattamente sui due di fronte a
lei, notò che Higuchi in particolar modo la stava studiando
con attenzione. Lei nascose il tutto con un sorriso.
“Ho
una madre piuttosto apprensiva.” disse loro. Misa era l'unica
che poteva riconoscere il vero mandante di quel messaggio, così
decise di prendere in mano la situazione ed invitò Higuchi a
ballare, porgendogli lentamente la mano, coperta da un guanto rosso.
Higuchi
non se lo fece ripetere due volte, il suo sguardo scorse lungo la
figura esile di Misa e prese la sua mano. Alyssa non poté fare
a meno di pensare che Misa sapeva giocare davvero bene la carta della
seduzione, nonostante odiasse farlo per non mancare di rispetto a
Light.
“Tu
resti qui, Lysa?” chiese Higuchi e la ragazza pensò
divertita che magari l'uomo volesse fare un ballo a tre perchè
una non gli bastava. Scosse la testa e usò tutta la sua
sincerità nel farlo.
“Questi
tacchi mi stanno uccidendo.” disse, indicandosi i piedi che
stavano soffocando dentro quelle strette scarpe. “Andate pure,
io resto qui.”
Sorrise,
ma non smise di guardare Higuchi con attenzione. Il modo in cui aveva
nominato il secondo Kira non le era ancora ben chiaro. Vide i due
allontanarsi, Higuchi stringeva delicatamente la mano di Misa e la
conduceva verso il centro della sala, dove ballavano pochissime
coppie. La ragazza restò posata sul tavolo retrostante,
dondolando il bicchiere e facendo muovere il liquido dorato
all'interno.
Si
ripromise di tenere d'occhio Higuchi, sperando che i suoi sospetti
non fossero infondati.
“Io
credo che da questa festa ne trarremo ben poco.” disse Light,
restando al fianco di Elle mentre osservavano i monitor dove stavano
assistendo a tutto ciò che vedeva Alyssa. Il detective stava
divorando dei biscotti di marzapane che la collega gli aveva comprato
quella mattina, se ne portò uno alle labbra e si tenne le
ginocchia al petto.
Alyssa
in quel momento si era allontanata per andare nella toilette, il suo
passo era irregolare e frettoloso per via del fastidio che quei
tacchi dovevano procurarle. Si era allontanata subito dopo aver visto
Misa e Higuchi ballare un lento a suon di musica classica e aveva
finalmente rinunciato a bersi il terzo bicchiere di spumante che era
riuscita a prendere dal vassoio di un cameriere.
Odiava
vederla cedere a certe debolezze che non la rispecchiavano, lei
odiava gli alcolici e aveva bevuto quei tre bicchieri solo per
annullare tutti i suoi pensieri.
Pensieri
che lui le aveva causato e che lui stesso non riusciva a far
assopire.
“Alyssa
si è voluta prestare a questo piano e quindi non vedo perchè
tu abbia da ridire qualcosa.” gli disse freddamente, allungando
il braccio e cercando un altro biscotto dentro la busta di plastica
di fronte a sé.
Light
volse la testa verso di lui, girando sulla sedia e tenendo il gomito
posato sul ripiano di fronte a lui. Erano soli, uniti come al solito
da quelle maledette manette che li costringevano a passare tutta la
giornata insieme, malgrado non si sopportassero più di tanto.
Quando
lavoravano mettevano da parte i loro dissapori, ma quando si
trovavano ad affrontare situazioni più normali, quelle
divergenze non potevano fare a meno di venire a galla.
“Hai
coinvolto pure Misa in questo piano, quindi evita di parlare come se
fosse una cosa solo tua.” lo rimproverò.
Elle
sbuffò qualcosa che lui non capì “A te di Misa
non te ne importa nulla...” gli disse poi.
Light
non accettò quel suo modo di parlargli, si era ripromesso più
volte di non cedere alla freddezza del detective, ma gli risultava
difficile.
Ogni
parola che gli rivolgeva nascondeva sempre una punta di sospetto.
“E
a te non importa nulla di Alyssa.” lo provocò, osservò
il modo in cui Elle alzò lo sguardo dai biscotti di fronte a
sé e ne dedusse che aveva premuto un bottone emotivo che il
ragazzo raramente lasciava premere. Un bottone che scattava
sopratutto quando sentiva il nome di Alyssa.
“Stai
attento a ciò che dici.” pronunciò quelle parole
con la sua solita freddezza, ma quella freddezza celava qualcosa che
di freddo aveva ben poco. La rabbia.
“No,
stai attento tu a ciò che dici. Hai detto che non c'è
colpo che non renda, giusto?” replicò Light,
stringendosi le braccia al petto e analizzando il profilo di Elle.
“Bene, quindi devi saper accettare una provocazione se ne lanci
una prima.”
“La
mia non era una provocazione, ma una reale constatazione. La tua
invece di provocazione era basata sul nulla.” replicò
Elle, volgendo lo sguardo verso di lui.
Light
ne rise e distolse l'attenzione da lui, per posarlo nell'oscurità
che li circondava. “Sbagli.” gli disse. “Probabilmente
le nostre provocazioni sono entrambe basate su delle reali
constatazioni.”
Elle
lo guardò attentamente, il pallore del suo viso veniva messo
in risalto dalla luce dello schermo dei computer di fronte a sé.
Lo lasciò parlare, perchè era curioso di sentire ciò
che il ragazzo aveva messo in atto di dire. Stranamente, sentiva che
Light avrebbe detto qualcosa a cui lui non avrebbe saputo replicare.
“Io
non amo Misa e lo ammetto. Provò affetto per lei, ma non
ricambiò ciò che prova per me.” disse con un tono
di voce più tranquillo rispetto a quello usato poco prima. “Tu
invece pensi solo al tuo lavoro e tendi a razionalizzare ogni cosa,
nonostante sai perfettamente che ci sono cose che non puoi lasciare
alla ragione. Ma non t'importa e continui a ferirla.”
Elle
non capì il motivo per cui non pronunciò il nome di
Alyssa: non lo aveva fatto per non ferirlo, ma perchè, celando
il nome della ragazza dietro un banale pronome, sarebbe riuscito a
premere con più forza quel bottone che sempre scattava dentro
di lui.
Light
si aspettò una risposta, ma notò che Elle si limitava
semplicemente a continuare a guardarlo con quel suo modo di fare, che
sembrava volergli scavare dentro.
Decise
così di continuare il suo discorso.
“Tu
lo sai che lei non prova più semplice amicizia nei tuoi
confronti. E probabilmente se n'è resa conto da quando il caso
Kira è iniziato e tu hai davvero messo in gioco, per la prima
volta, la tua vita. La consapevolezza di perderti le ha fatto aprire
gli occhi, tu quando li aprirai?”
Elle
abbassò un attimo lo sguardo, non si sarebbe mai aspettato che
Light Yagami, il ragazzo freddo di cui aveva sospettato da subito,
potesse parlargli in quel modo. Ma non si sarebbe mai fidato di lui e
non voleva permettergli di confonderlo con la finta simpatia che il
ragazzo provava per Alyssa.
Entrambi
volsero lo sguardo, quando sul monitor apparve l'immagine di Alyssa
che osservava il proprio riflesso allo specchio. Si passò le
mani tra i capelli e se li sistemò sulle spalle, poi si guardò
con una espressione tesa sul viso. I pensieri che la stavano
tormentando in quel momento, erano ben chiari ad Elle.
“Se
io metto sempre la mente prima di tutto, è proprio per
questo.” disse in un sussurro, abbassando gli occhi sui
biscotti, ma solo perchè non riusciva a guardare né
Light e né tanto meno Alyssa. La ragazza doveva essersi
dimenticata che loro la stavano osservando, in quel momento si stava
lavando le mani sotto l'acqua del lavandino di fronte a lei.
Light
volse lo sguardo verso di lui, non si sarebbe stupito se avesse
chiuso il discorso in quel modo, perchè era tipico suo. Ma
Elle sembrava parlare più a sé stesso che al ragazzo.
“Il
caso Kira è il più difficile che ho mai affrontato e so
che la mia vita può essere in serio pericolo contro di lui.”
continuò il detective. “E se permetto ad Alyssa
di provare quello che prova e poi dovessi morire...non osò
immaginare il dolore che lei possa provare. Ci è già
passata con William e, per come la conosco, so per certo che non
supererebbe una pena come quella che la mia morte potrebbe
procurarle.”
Light
lo osservò in silenzio, rimase probabilmente colpito dal modo
in cui il ragazzo parlasse della propria possibile morte e del dolore
che Alyssa avrebbe potuto trarne. Stava reprimendo tutto, persino sé
stesso, perchè aveva messo in conto una tragica fine per lui,
ma si preoccupava solo di quello che sarebbe potuto succedere alla
persona a cui teneva di più al mondo.
Non
si preoccupava di morire, si preoccupava solo di quello che sarebbe
stato di Alyssa.
E
quella era una chiara dimostrazione di cosa aveva dentro di sé,
qualcosa che la sua mente non sarebbe riuscita ad elaborare sotto
forma di pensieri.
“Lei
ne soffrirà comunque.” gli rispose Light e in quel
preciso momento, come se avesse udito il loro dialogo, Alyssa lasciò
il bagno e tornò in corridoio. “Non hai permesso tu che
lei provasse qualcosa per te, è una cosa che è nata
probabilmente senza che voi ve ne accorgeste. Ma combatterla è
stupido, perchè la fiamma è già scoppiata.”
Elle
non accettò che lui gli parlasse in quel modo, ma non poteva
replicare in alcun modo.
Non
sopportava il fatto che avesse ragione, ma sopratutto non
accettava che fosse stato il primo a lasciar penetrare un pensiero
simile nella sua mente non era stato Light, ma lui stesso.
Solo
che non era riuscito a seguirlo.
Abbassò
lo sguardo e decise che era arrivato il momento di lasciare che il
silenzio li circondasse.
Odiava
ammetterlo, ma per una volta dovette ammettere che la sconfitta era
stata dalla sua parte.
E
che il suo avversario aveva avuto ragione su di lui.
L'unica
vera vittoria però aveva un altro nome e lui lo sapeva.
Alyssa
tornò in salone, giusto in tempo per vedere Misa circondata da
diverse persone che le stavano chiedendo degli autografi e le stavano
facendo delle foto. Erano passate un paio di ore dall'inizio della
festa e la ragazza non vedeva l'ora di tornare a casa.
Era
stanca, non si sentiva più i piedi e le girava leggermente la
testa. Colpa di quei maledetti tre bicchieri che aveva bevuto
all'inizio del party.
Guardò
la bionda che, in mezzo alla sala, si pavoneggiava per tutte quelle
attenzioni. Higuchi se ne stava vicino al tavolo del buffet, con lo
sguardo ricco di malizia rivolto verso la giovane ragazza. Alyssa lo
trovò repellente: Misa aveva la metà dei suoi anni,
come poteva anche solo provare attrazione per una ragazza così
giovane? Poi ricordò che aveva altri problemi, ripensò
al modo in cui l'uomo aveva parlato del secondo Kira e il sospetto si
fece largo tra la miriade dei pensieri che ballavano nella sua testa.
Si
avvicinò a lui lentamente e gli si mise affianco, osservando
con attenzione il modo in cui l'uomo si portava il bicchiere alle
labbra, ma manteneva lo sguardo costante sulla bionda.
“Finiti
i balli?” chiese.
A
quel punto Higuchi si voltò verso di lei e la scrutò
con attenzione. Doveva essere un po' brillo, il modo in cui squadrò
dalla testa ai piedi Alyssa ne era la prova.
“Sì,
credo che la festa sia giungendo al termine.” rispose lui, con
voce roca e tornò a concentrarsi su Misa. Alyssa fece lo
stesso, si strinse la pochette sul grembo e guardò la bionda
fingendosi interessata al modo in cui stava firmando gli autografi e
facendosi fare foto.
Ripensò
al modo in cui l'uomo aveva menzionato la storia del secondo Kira.
Forse sbagliava, ma le era parso parecchio sospetto il modo in cui ne
aveva parlato di fronte a loro.
Ma
poteva essere davvero uno come Higuchi l'assassino che da tempo
cercavano di catturare? Era pur vero che l'apparenza ingannava, ma
Higuchi sembrava quello che si poteva riassumere in una sola parola:
un'idiota.
“Siete
ancora interessati a far fare il provino a Misa per la vostra
azienda?” chiese ancora la ragazza, stringendosi le braccia al
petto e sperando di non risultare troppo sospetta nel porre quelle
domande. Higuchi alzò di nuovo lo sguardo su di lei e, per un
attimo, Alyssa si sforzò di non storcere il naso di fronte a
quegli occhi. Higuchi doveva essere talmente ubriaco da trovarla
appetibile quanto Misa probabilmente.
“Sì,
sono sicuro che lei verrà scelta.” rispose
semplicemente. “Potresti farlo anche tu, una bella bionda e una
bella mora sono sempre uno spettacolo meraviglioso da vedere.”
Alyssa
non seppe dire cosa la trattenne dal colpirlo in faccia con la sua
pochette, forse il fatto che quella fosse troppo piccola e leggera
per potergli realmente fare male.
“Ora
che sono sua manager, non ho più tempo per fare cose del
genere.” rispose, emulando un sorriso che in realtà
nascondeva una smorfia di disgusto. “Ed essendo sua manager c'è
una cosa che mi preoccupa....”
Higuchi
si voltò nuovamente verso di lei e la guardò con aria
interrogativa. Alyssa s'inumidì le labbra, sforzandosi di
trovare le parole giuste, nonostante fosse parecchio nervosa per
tutta quella situazione. “Siamo sicuri che quella brutta
faccenda sul caso Kira non influirà negativamente sulla
carriera di Misa? Non voglio che venga tagliata fuori da tutto, solo
perchè c'è stato un malinteso con quel detective
pazzoide.”
Usò
il termine pazzoide con una punta di sarcasmo nella voce, si era
dimenticata che era in collera con il ragazzo. Prese nervosamente un
bicchiere dal tavolo dietro le loro spalle e ne bevve un lungo sorso
per calmarsi.
Higuchi
la guardò curiosamente. “Si trattava di un errore, no?”
le chiese, pochi istanti dopo.
Alyssa
per poco scoppiò a ridere, quella domanda era stata posta come
se l'uomo avesse bisogno di una ulteriore conferma riguardo
l'innocenza di Misa. Forse i suoi sospetti non erano infondati quella
volta. “Certo che si trattava di un errore. Ma la gente può
comunque sospettare.” rispose, guardando distrattamente lungo
la sala.
“Su
questo hai ragione, ma noi sappiamo che la verità è
un'altra.”
Calò
il silenzio, Alyssa guardò l'uomo con la coda dell'occhio e
ripensò ad uno dei tanti insegnamenti che Elle le aveva dato:
se qualcuno continua a marciare sullo stesso argomento in quel modo,
probabilmente ha qualcosa da nascondere.
Sospirò,
chiedendosi se Elle e Light stessero sospettando di Higuchi quanto
lei. Perchè se era lei l'unica a porsi quei dubbi, purtroppo
poteva sbagliarsi: si era visto più volte, che lei non era
portata per smascherare i veri sospettati.
In
quel preciso istante, le giunse un altro messaggio al cellulare. Lo
prese rapidamente da dentro la borsa e lo lesse.
“Non
fargli più domande. Torna qui.”
Breve
e coinciso come solo Elle poteva essere. Alyssa si sentì
bloccare il respiro per un attimo, poi chiese il telefono e lanciò
un sorrisetto verso Higuchi che, probabilmente, avrebbe ingannato
anche il più intelligente dei criminali. Cosa che Higuchi non
sembrava essere.
“Devo
riportare Misa a casa, domani si deve alzare presto per fare le
riprese.” disse.
Higuchi
annuì, allungò la mano verso di lei e la salutò
con il suo solito fare da viscido. “Allora, alla prossima.”
disse e sorrise, era davvero più alticcio di quanto sembrasse.
Alyssa
si sforzò di sorridere. “Sì, ci conto.”
disse e sperò che, se Higuchi fosse stato davvero Kira, la
prossima volta lo avrebbe probabilmente visto dietro delle sbarre.
Rimasero a sorridersi per altri svariati secondi e, quando lei si
allontanò per raggiungere Misa e strapparla via dalle grinfie
dei fans, tirò un sospiro di sollievo.
“Questo
vestito era a dir poco odioso, Watari. Alla prossima festa vado in
jeans e in maglietta, al diavolo tutti i convenevoli!”
Alyssa
si sentì nuovamente umana dopo essersi tolta quello stupido
tubino nero, indossò una semplice t-shirt a maniche corte
bianca e un paio di pantaloni da felpa color beige. Si era tolta il
trucco dal volto, ma ne erano comunque rimasti diversi residui sulla
pelle e i capelli mossi erano legati in un elastico. Nessuno avrebbe
detto che poco prima quella ragazza camminava su dei tacchi da
dodici.
Uscì
dal bagno e raggiunse Watari che stava piegando il vestito della
festa con cura, lasciandolo poi sul letto della ragazza. “Invece
ti stava proprio bene, lo pensava anche Ryuzaki.” disse.
Sentendo
quel nome, la ragazza provò una morsa al petto e si strinse le
braccia al petto, facendo finta di nulla. Watari era un uomo
intelligente e sveglio e se si fosse accorto che era successo
qualcosa in quella stanza con il detective prima della festa, lei non
se ne sarebbe certo stupita.
“Sì,
come no...” rispose con una punta di sarcasmo. Dopo aver
lasciato Misa nel suo appartamento, era stata tentata dall'idea di
andare da lui e discutere puramente di lavoro, ma il suo
orgoglio femminile la bloccava: in fondo, era stata rifiutata da
lui, le pesava ammetterlo ma era così.
Anche
se, prima che il cervello di Elle si mettesse in moto, era certa che
lui non volesse respingerla. Watari si voltò verso di
lei, continuando a piegare altri abiti che la ragazza aveva lasciato
sparsi a terra. Non era da lei essere disordinata, ma quella giornata
era stata molto stressante per lei e il concetto di ordine le era
lontano anni luce.
“Ne
vuoi parlare?” le chiese l'uomo.
Quella
domanda le fece venire i brividi, perchè le fece ripensare
alle domande assillanti di Misa. Anche se, ovviamente, Watari le
poneva in una maniera più accettabile e sopratutto
sopportabile.
Rise,
quando ricordò che quell'uomo non si lasciava mai sfuggire
nulla di ciò che la turbava, nemmeno quando era piccola.
Scosse la testa e abbassò lo sguardo.
“Purtroppo
non c'è nulla di cui parlare.” rispose e si rese conto
di aver detto troppo attraverso la prima parola di quella frase.
Colpa del sonno, dello spumante e dell'attanagliante delusione che le
stringeva il cuore in una morsa. Watari la osservò, mentre si
passava una mano tra i capelli raccolti e arrossiva in volto.
Malgrado
si sforzasse di comportarsi da adulta, sotto sotto era ancora una
bambina spaventata dal mondo e dai sentimenti. Le posò una
mano sulla nuca, come faceva sempre quando lei era piccola e si
sentiva sola e sperduta in una realtà che non accettava, una
realtà in cui non aveva una famiglia. Poi l'arrivo di Elle
aveva cambiato molte cose, era bastato un solo sguardo tra i due
affinché si legassero indissolubilmente. Era stata una
scintilla incomprensibile ma che aveva creato un rapporto tra i due
che Watari aveva sempre amato.
E
lui aveva sempre saputo che sarebbero arrivati a quel punto, forse un
po' troppo tardi ma certe forze nascono molto lentamente e loro ne
erano la prova.
“Devi...comprenderlo,
Alyssa. Anche lui ha le sue paure, è pur sempre umano.”
le disse, Alyssa alzò lo sguardo su di lui. I suoi occhi
smeraldo erano ancora leggermente contornati di nero, era una delle
tante cose che non era cambiata in vent'anni che la conosceva.
Erano
rimasti sempre grandi, puri e curiosi.
“Io
so che spesso lui ferisce per seguire la propria ragione. Sbaglia è
vero, ma in certe cose sei più forte tu di lui.”
continuò Watari e la ragazza lo guardò, mentre un
sorrisetto si allargò lentamente sulle sue labbra. Era un
sorrisetto imbarazzato, un altro dei tanti aspetti rimasti immutati
nel suo essere in quegli anni. “Perciò...sconfiggilo,
perchè da quella sconfitta ne ricaverà una vittoria ben
più grande.”
Alyssa
abbassò lo sguardo e si grattò la guancia, mantenendo
il sorriso sulle sue labbra. Un lieve rossore le colorò le
guance, era inutile che trovasse delle motivazioni contrarie da dare
all'uomo.
Era
troppo attento alle loro condizioni, su certe cose non lo si poteva
ingannare.
“Ma
perchè capisci sempre tutto più di noi due tu? Su certi
argomenti sembri più informato delle principesse Disney.”
lo prese in giro.
Watari
rise sotto i suoi spessi baffi bianchi. “Lo prenderò
come un complimento.” rispose. “Ma seguilo per davvero il
mio consiglio, perchè la paura, se la si affronta, può
davvero portare a qualcosa di straordinario.”
Alyssa
fissò il vuoto, mentre Watari continuava a piegare vestiti
sopra il letto. La ragazza non si era mai capacitata di come quel
vecchietto dai capelli bianchi e gli occhiali spessi potesse farla
sentire meglio con poche ma semplici parole. E non solo, riusciva
anche a spronarla a fronteggiare tutti i suoi problemi con estrema
facilità. Grazie a quelle semplici frasi, la ragazza sentì
il desiderio di andare a parlare con Elle, cosa che prima non le era
quasi passato in mente di fare. “Grazie Watari.” disse e
si voltò verso di lui, incrociando i suoi piccoli occhi
azzurri. “Se non ci fossi tu, io spesso non saprei cosa fare.”
Watari
sorrise e le diede un leggero buffetto sulla guancia, che allargò
il suo sorriso. “Io e Ryuzaki ci saremo sempre per te. Non ti
lasceremo mai sola.” disse.
Alyssa
lo guardò amorevolmente, voleva davvero bene a quell'uomo. Era
stato praticamente padre, maestro e amico per tutta la sua vita fino
ad allora e lei gli poteva essere solo riconoscente.
Anche
perchè era stato lui a portare Elle nella sua vita.
Il
silenzio della stanza venne rotto da un lieve bussare, Alyssa e
Watari si guardarono stupiti ed entrambi pensarono che dietro quella
porta non potesse che nascondersi una certa persona.
La
ragazza andò di corsa ad aprire, ma quando aprì si
ritrovò di fronte un'altra persona, che non si sarebbe mai
aspettata di vedere in quel momento: Light teneva la mano posata
sulla parete accanto alla porta e l'altra mano su fianco. Era libero
del vincolo materiale che lo legava ad Elle, Alyssa abbassò lo
sguardo sul suo polso libero e non trattenne la delusione.
Sperava
che si trattasse di un'altra persona.
“Ti
devo parlare, Aly.” disse freddo Light, tornando quasi ai
vecchi tempi, dove ogni suo gesto sembrava celare ben altro. La
ragazza lo guardò a lungo, poi lanciò un'occhiata a
Watari che decise di lasciare la stanza, rivolgendo prima un cordiale
sorriso ad entrambi.
Alyssa
restò sulla soglia della porta, non sapendo se lasciar entrare
o meno il ragazzo. La delusione di non essersi ritrovata davanti Elle
era ancora viva.
Spalancò
la porta, ma decise di lasciarla comunque aperta lasciando entrare
Light.
“Non
dirmi di voler parlare della festa, perchè sono stanca e lo
faremo domani.” disse, con voce tagliente. Si sentì in
colpa, perchè non voleva rivolgersi così a lui ma quel
suo comportamento nasceva da problemi tutti suoi di cui Light,
probabilmente, non era a conoscenza.
Si
girò verso di lui, il ragazzo non parve esserci rimasto male
dal suo modo di parlare.
“Scusa,
sono solo molto stanca.” si scusò, passandosi una mano
dietro il collo nudo e abbassando lo sguardo. Non era proprio quello
il motivo per cui reagiva così, ma una buona percentuale
poteva essere davvero causata dalla stanchezza.
Light
scosse la testa. “Non preoccuparti, posso capire.” disse
e alzò le spalle. “In realtà volevo solo dirti
una semplice cosa.”
Alyssa
alzò lo sguardo su di lui e lo osservò a lungo, Light
aveva qualcosa di strano che la faceva sentire strana. Sembrava
nascondere qualcosa, proprio come il vecchio Light che aveva
conosciuto mesi prima e che ancora non aveva capito che fine avesse
fatto. Annuì, per incitarlo ad andare avanti con il suo
discorso.
Light
prese un lungo respiro, poi si grattò quasi la fronte
nervosamente. “Non so da dove cominciare, è un po'
strano.” disse e abbozzò un sorrisetto. “Volevo
solo dirti che mi dispiace vederti così. Mi dispiace vederti
abbattuta come ti sei mostrata questa sera.”
Non
le andava di affrontare quel discorso, non dopo quella serata e non
in quel momento sopratutto. Non con lui poi.
“Senti,
ero solo stressata. Non pensare chissà cosa.” gli disse,
alzando le mani e scuotendo la testa più volte. Lo sguardo lo
tenne sui loro piedi, come se non volesse sostenere quello del
ragazzo.
“So
che non era per quel motivo. Credo che sia successo qualcosa con
Ryuzaki, non sono stupido.”
Alyssa
sbuffò, si voltò di spalle e guardò verso la
finestra che mostrava il solito spettacolo notturno di Tokyo. Si
chiese se lei fosse un libro troppo aperto e se tutti gli altri,
persino Misa, fossero più svegli di lei. Non sopportava che
tutti volessero fare i maestri di vita con lei.
Eccetto
Watari, non sopportava più nessuno di loro.
“Light,
non sono affari tuoi e io penso che tu debba tornare da...”
Appena
si voltò, le sue parole vennero soffocate. Si ritrovò
le labbra di Light sulle sue, le sue mani le avevano alzato il mento
in modo che il suo viso rimanesse alto verso di lui e chiuse gli
occhi.
Dopo
un attimo di stordimento, Alyssa lo respinse subito e lo guardò
come se fosse pazzo.
Light
fece diversi passi indietro, la osservò privo di espressione,
come se fosse in attesa di una vera reazione da parte della ragazza
che, invece, si limitò a guardarlo a bocca aperta per la
sorpresa.
“Non
permetterti mai più....” gli disse, quasi con minaccia.
“Io
non mi faccio problemi a baciarti, perciò non vedo perchè
tu debba soffrire se qualcun'altro non lo apprezza.” la
interruppe lui, quasi come se la ragazza gli dovesse un favore per
quel gesto.
Alyssa
lo guardò sconvolta: capì di essere stata baciata solo
perchè Light aveva sfidato nella sua mente Elle, dimostrando
che lui riusciva a sostenere quello che avrebbe causato un bacio. Non
lo aveva fatto nemmeno perchè lei gli piacesse, era stato solo
e semplicemente un gioco messo in atto dalle loro menti. Anzi, forse
Elle nemmeno sapeva di quella cosa.
“Sei
solo uno stronzo. Non hai alcun diritto di farmi entrare nella tua
stupida sfida con Ryuzaki, dopo quello che è successo con
lui!” esclamò furibonda.
“Volevo
solo farti capire che tu non meriti qualcuno che ti fa star male con
la sua sola presenza.”
“Oh
davvero? Perchè non applichi questo concetto per Misa e mi
lasci in pace?” sbottò lei furibonda. Light continuava a
guardarlo impassibile, sembrava quasi che la reazione di Alyssa non
fosse stata quella che si aspettava. Che voleva, un ringraziamento?
Un sorriso? O magari che addirittura ricambiasse?
“La
tua situazione e quella di Misa non sono paragonabili.” ci
tenne a precisare il ragazzo.
“Ah
no? Tu Misa non l'ami ma la tieni come un cagnolino dietro di te,
perchè la sua adorazione per te ti è molto utile.
Ryuzaki almeno non mi usa come fai tu con lei.” ringhiò
la ragazza furiosa.
“Ma
non ti ama come lo ami tu.” replicò il ragazzo,
decidendo di proposito di ferirla.
E
ci riuscì nel migliore dei modi, Alyssa si morse le labbra e
si ordinò di non dare retta nemmeno ad una di quelle parole.
Anche se erano lame che colpivano ripetutamente la stessa ferita.
“Perciò
io e Ryuzaki siamo simili, come tu e Misa lo siete. Siamo tutti sulla
stessa barca.” le disse poi a denti stretti e lasciando
velocemente la stanza, quando vide che Alyssa non voleva più
affrontare quel discorso. La ragazza lo guardò svoltare
l'angolo velocemente e si sedette sul bordo del letto lentamente. La
batosta finale da parte di Light le ci voleva per concludere bene la
giornata.
Elle
si era deciso ad andare da lei. Non si era nemmeno preparato un
discorso da farle, voleva solo guardarla negli occhi e poi avrebbe
deciso cosa fare. Anche se dubitava che si sarebbe potuto
razionalmente controllare di nuovo se fosse scoccato un altro bacio.
Si
sentì uno stupido, il pensiero di un momento privo di
razionalità lo faceva sentire troppo umano per i suoi gusti.
Più
si avvicinava alla stanza di Alyssa, la cui porta era aperta, e più
sentiva la voce di Alyssa che si faceva man mano più forte. Ma
con chi stava parlando?
Poi
calò un silenzio improvviso, il ragazzo si avvicinò di
più e si affacciò verso l'interno della stanza.
Vide
solo le spalle di Light e il viso di Alyssa troppo vicino a quello
del ragazzo.
Un
bacio.
Sentì
un sussulto al cuore di fronte a quella scena, non si chiese nemmeno
perchè i due si stessero baciando e, sinceramente, non voleva
nemmeno saperlo.
Non
voleva nemmeno provare a scavare a fondo nel significato di quel
gesto.
Si
allontanò a passo svelto lungo il corridoio, senza aspettare
di vedere quello che sarebbe successo dopo. Odiava ammetterlo ma ne
era quasi spaventato.
I
pensieri e la ragione tornarono in un baleno, velocemente proprio
come li aveva scacciati.
Ma
non servirono lo stesso a nascondere la paura e la delusione che
l'immagine di poco prima aveva fatto nascere in lui.
Ciao
a tutti! :)
Ringrazio
Elyforgotten per il collage ad inizio capitolo.
Perdonate
se il capitolo è un po' noioso, per via della mancanza di
pochi colpi di scena e di poca azione, ma nel prossimo cercherò
di rifarmi certamente, dato che è molto più “attivo”
di questo!
Come
sempre, ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono questa
storia, chi in silenzio e chi lo fa lasciando poi una recensione!
E
ringrazio ancora infinitamente coloro che hanno inserito questa
storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Alla
prossima! ^^
|
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Capitolo 14 *** Promise Me ***
-Promise
Me-
Alyssa
li detestava.
Odiava
il modo in cui lo prendevano in giro, odiava il modo in cui lo
trattavano nonostante fosse da poco arrivato e avesse passato lo
stesso dolore di tutti i bambini presenti in quella mensa.
Restò
seduta al suo solito tavolino, sola come lo era sempre.
Il
nuovo arrivato, aveva detto di chiamarsi Elle, se ne stava
appollaiato su una sedia su un tavolo poco distante da lei. Dopo il
loro primo incontro i due non si erano parlati più di tanto,
quel bambino era taciturno, solitario e lasciava trasparire poco
quello che provava.
Si
voltò a guardarlo, i capelli scuri gli ricoprivano gli occhi e
sembrava che stesse fissando con poco interesse il piatto di zuppa di
fronte a lui. Due bambini, due idioti come li avrebbe definiti Alyssa
usando quella parola che Wammy le aveva imposto di non usare mai,
ridacchiavano animatamente e lo offendevano per il modo in cui
sedeva, in cui stava silenzio e lo deridevano persino per le sue
occhiaie che Alyssa tanto aveva adorato appena le aveva viste.
Cercò
di trattenersi, era una bambina timida e silenziosa e non si lasciava
andare spesso a scatti di ira o di rabbia ma con quel ragazzino, più
grande di età ma probabilmente piccolo come lo era lei
nell'anima, sentiva che avrebbe conosciuto emozioni che, fino ad
allora, le erano ignote.
La
rabbia in primis, voleva proteggerlo ma non sapeva come fare.
Fece
dondolare il cucchiaio dentro la zuppa, mordendosi il labbro
confidando in quel gesto che, forse, le sarebbe servito per mantenere
la calma. Ma quelli continuavano a ridere, a parlare ad alta voce in
modo che lui li sentisse e potesse soffrirne.
Anche
se sul volto di Elle c'era l'amarezza, Alyssa dubitava che fosse
causata dalle parole di quei due bulletti da quattro soldi. Il
bambino stava combattendo un dolore più intenso, un dolore che
nasceva dal pulsare del suo cuore e dai ricordi che dovevano
pervadergli la mente in quel momento.
Aveva
perso da poco i suoi genitori e lei poteva capire come si sentisse
nell'aver perso per sempre il loro abbraccio.
Anche
se Alyssa non poteva nemmeno conoscere il significato che risiedeva
in un abbraccio materno, sapeva che sua madre l'aveva abbandonata
quando era ancora in fasce e che probabilmente non l'aveva stretta a
sé nemmeno per un solo istante, ma aveva visto molti bambini
giungere in quell'orfanotrofio dopo la morte dei loro genitori e
aveva visto le lacrime sui loro visi.
Non
aveva vissuto in prima persona quel dolore, ma lo aveva visto nei
volti di così tanti suoi simili da riconoscerlo subito.
Elle
restò ancora zitto, con le ginocchia strette al petto e lo
sguardo che vagava in un mare invisibile di ricordi che erano solo ed
esclusivamente suoi.
Il
silenzio da parte di quei due idioti non arrivò mai e lei non
sopportò più di sentirli.
Lasciò
affondare il cucchiaio dentro la zuppa, ormai fredda e praticamente
immangiabile, e si avvicinò al ragazzino. Si fermò
accanto a lui, Alyssa sentì di essere diventata anche lei
l'oggetto dello scherno dei due bambini ma non se ne curò.
Spostò
la sedia che si trovava accanto ad Elle e solo in quel caso lui la
guardò con curiosità. La bambina non si perse in
spiegazioni e si fece spazio in modo da sedersi.
Calò
il silenzio, finalmente aveva trovato il modo per zittire quei due
idioti una volta per tutte.
Alyssa
si sedette nella stessa posizione di Elle, lo fece con estrema
difficoltà visto che indossava una gonna e aveva pochissimo
equilibrio sulle punte dei piedi.
Cercò
un po' di abilità nel suo corpo e ritrovò in poco tempo
la sua dimensione.
Con
quel gesto voleva dire una cosa sola, si voltò verso Elle che
la guardava stranito e un sorrisetto le si allargò sulle
labbra.
Non
sei solo.
“Sveglia!!”
Alyssa
si svegliò di soprassalto e per poco diede una testata a Misa
che si era chinata su di lei, la bionda si ritrasse giusto in tempo,
prima che il suo viso venisse colpito dal capo della mora.
“Che...cavolo
urli, stupida oca giuliva?!” esclamò Alyssa,
massaggiandosi la testa come se cercasse di allontanare l'eco
dell'urlo gracchiante di Misa dalla sua mente.
Non
riusciva a credere di essersi addormentata sul divano: ricordò
di aver raggiunto l'appartamento di Misa come ogni mattina, ma la
bionda era troppo impegnata sul tapis roulant per prestarle un po' di
attenzione. Così, Alyssa si era distesa sul divano cercando di
scacciare i pensieri causati dal giorno prima, pensieri che voleva
allontanare dalla sua mente da quando si era coricata nel letto dopo
la visita indesiderata di Light e che non l'avevano fatta dormire.
E
aveva recuperato così il sonno perduta sul divano di Misa, la
quale dopo la seduta di fitness aveva bisogno di una persona con cui
superare la noia che era sovrana in quell'appartamento.
Si
mise a sedere sul divano e si stiracchiò la schiena,
allungando le braccia verso l'alto. Si lasciò andare ad un
lungo sbadiglio, fregandosene del fatto che Misa l'avrebbe
rimproverata per non aver messo la mano davanti.
“Stavi
sognando qualcosa di bello?” La bionda si sedette accanto a
lei, indossava degli abiti da palestra multicolore che avrebbero
fatto concorrenza all'arcobaleno. Una spessa cuffia verde le tirava i
capelli all'indietro e indosso portava una canotta rosa e dei
leggings gialli più che aderenti.
Si
portò la bottiglia di una bevanda energetica alle labbra e ne
bevve un lungo sorso, provocando un rumore fastidioso mentre il
liquido le scendeva in gola.
Alyssa
si sistemò i capelli da un lato che erano ancora mossi dalla
messa in piega del giorno prima, segno che, probabilmente, non
avrebbe mai potuto togliersi dalla testa quella tremenda giornata.
Ripensò
poi al suo sogno, chissà perchè aveva riportato alla
mente uno dei tanti momenti che aveva passato con Elle quando erano
piccoli.
Si
ritrovò a sorridere da sola come una stupida al ricordo di
quell'avvenimento.
Era
un peccato che non ci fossero foto della loro infanzia, le sarebbe
piaciuto poter ricordare quando voleva, osservando semplicemente
un'immagine. Era triste dover ricordare solo quando la mente ordinava
cosa sognare, i sogni non si potevano controllare e portavano a galla
fantasie, ricordi e illusioni che da svegli non sarebbero mai stati
raggiunti.
Misa
la guardò confusa. “Sogno erotico?” le chiese,
beccandosi un occhiataccia. Continuò ad osservare lo sguardo
tagliente della mora mentre sorseggiava ancora la bevanda energetica.
“Perchè
il Mosè di Michelangelo non parla, ma tu sì?”
replicò Alyssa sconvolta e scosse la testa, chiedendosi perchè
non avesse compiuto ancora un omicidio nei confronti della modella.
Misa
allungò un braccio lungo lo schienale del divano e le lanciò
un'occhiata furba, mentre le labbra rimanevano attaccate alla
bottiglietta. “Non lo conosco questo stilista italiano.”
disse.
Dopo
quell'affermazione, era sicura che lo avrebbe uccisa.
Ma
qualcuno spalancò la porta con una forza e una velocità
inaudita, le due si voltarono giusto in tempo per vedere Elle che
camminava spedito verso Misa, con le mani affondate nelle tasche e la
schiena più curva di quanto non fosse mai stata.
Se
fosse stato buio, Alyssa lo avrebbe preso per un killer da film
horror, dato il modo in cui procedeva verso di loro.
Light
lo seguiva di malavoglia, facendosi tirare dalle manette che tutti
maledettamente odiavano.
E
il suo sguardo si posò su Alyssa la quale si sentì
salire l'amaro alla sua vista, ricordò la sceneggiata del
bacio e tutte le belle parole che lui le disse dopo e si morse il
labbro con rabbia.
Guardò
poi Elle: il detective si parò davanti a Misa e ignorò
categoricamente la mora che non poté fare a meno di chiedersi
cosa avesse combinato per non essere nemmeno guardata. Poi pensò
che quello che era successo prima della festa potesse bastare per
ottenere quel comportamento da lui, aveva ancora chiaro il concetto
che dovesse parlargli come le aveva consigliato Watari, ma
stranamente non sapeva come affrontare la cosa. Ne era parecchio
imbarazzata.
“Dimmi
un po' Misa, tu sei innamorata di Light?” esordì Elle,
senza abbassarsi a nessuna forma di saluto prima di parlare.
Elle
fissava Misa senza battere le palpebre e quest'ultima si era tirata
indietro il più possibile per non scontrarsi con il respiro
del ragazzo. Alyssa restò seduta accanto a lei, provando a
studiare il volto di quel ragazzo con cui conviveva da una vita ma
che ancora non aveva imparato a conoscere.
La
domanda per Misa era alquanto ovvia, quanto era ovvio il fatto che
Elle l'avesse posta per arrivare ad una conclusione tutta sua.
“Sì,
lo amo da morire.” Misa si rivelò scontata, ma nessuno
si aspettava altrimenti.
Però
di fronte a quelle parole, Alyssa si sentì un po' tesa visto
che il ragazzo di cui la bionda era innamorata aveva baciato lei,
anche se per pura sfida nei confronti di Elle.
I
due si guardarono, con un'occhiata carica di significato e Alyssa fu
la prima a distoglierlo.
“E
faresti qualsiasi cosa per lui, vero?” chiese ancora il
detective.
“Sì,
certo!”
“Ma
hai anche una venerazione per Kira, no?”
A
quel punto Misa si ammutolì un attimo, Alyssa restò
seduta accanto a loro e poi alzò lo sguardo su Light che parve
infastidito da quello che stava accadendo. Evidentemente era stato
trascinato lì di peso, come al solito, senza capire il motivo
che avesse spinto Elle a raggiungere Misa.
A
quelle parole, la bionda balzò in piedi e si gettò
accanto a Light, gli stritolò un braccio e lo tirò a sé
come se volesse tenerlo vicino a sé per sempre.
Come
al solito, lo sguardo di Misa era adorante mentre fissava il ragazzo
di cui era innamorata immensamente e Alyssa si sentì in colpa
ancora più di prima.
Ma
non fu solo quello il motivo per cui non riusciva a guardare quei
due: era inutile che si sforzasse di nasconderlo, ma l'amore che Misa
nutriva per Light le faceva male per ovvi motivi.
Il
primo era che Misa era come innamorata del nulla ma non sembrava non
accorgersene o non farci caso e il secondo era che lei era libera.
Libera di comportarsi in quel modo con la persona che voleva al suo
fianco, mentre lei doveva rassegnarsi probabilmente a passare il
resto della sua vita a dover reprimere i suoi sentimenti per Elle.
Alzò
lo sguardo proprio su di lui e lo vide analizzare a fondo il sorriso
da bambina di Misa. “Questo non prova nulla. Io amo Light e tra
lui e Kira sceglierei sempre lui!” disse, con voce stridula ma
chiaramente carica di emozione.
Elle
parve soddisfatto di quella risposta e Alyssa si chiese cosa avesse
in mente di fare ponendo quelle domande così banalmente
scontate. Perchè Elle non sapeva nemmeno dove stava di casa la
banalità, ci doveva per forza essere qualcosa sotto quella
specie di interrogatorio.
“Quindi
faresti qualsiasi cosa per Light?” chiese ancora.
Ecco
la domanda che avrebbe segnato l'inizio di tutto: erano le famose
parole che avrebbero portato a comprendere il piano che Elle aveva
ben impresso nella sua mente prima di tutti gli altri.
E
Alyssa non poteva che attendere per scoprire cosa aveva messo in atto
il ragazzo.
Misa
lo guardò come se la cosa fosse ovvia, Light intanto faceva
scorrere lo sguardo dalla ragazza al detective sforzandosi di non
farsi staccare il braccio dall'amorevole forza della fidanzata.
“Sì,
qualsiasi cosa.” Misa calcò le ultime due parole,
necessarie per mostrare la forza del suo amore.
Elle
allora si voltò, camminò di qualche passo verso la
finestra aumentando così l'ansia che Alyssa e Light provavano.
Era un suo tipico tratto, quello di lasciare in sospeso qualche sua
azione in modo che chi gli stesse accanto trattenesse il fiato mentre
lui pensava.
Perchè
lui pensava sempre, in ogni singolo momento, ma era così
enigmatico che non si poteva sperare di leggere la sua mente
guardandolo semplicemente in faccia.
“Ryuzaki,
cos'hai in mente di fare?” chiese Light, mostrandosi alquanto
irritato.
Anche
se non amava Misa, ci teneva comunque a lei e sapere se Elle aveva
preparato una scacchiera nella sua mente e se Misa ne era una pedina.
E
la regina su cui fare scacco matto rimaneva sempre Kira.
“Sospetto
di Higuchi, il suo modo di parlare con Alyssa di ieri sera è
stato alquanto trasparente. Ma necessitiamo di prove per affermare
con certezza che possa essere lui l'attuale Kira.” rispose
Elle, voltandosi di scatto verso la coppia e portandosi di nuovo le
mani dentro le tasche mentre li osservava con quella sua solita aria
stralunata. Lasciò di nuovo che il silenzio li circondasse,
quasi volesse verificare che qualcuno fosse giunto alla sua stessa
conclusione.
Ma
probabilmente solo Light ci si avvicinava: Misa era troppo persa
nell'adorare Light con lo sguardo, mentre Alyssa era ancora intontita
dalla notte insonne passata nel suo letto.
“Perciò...Misa
farà quel provino per diventare testimonial della Yotsuba e
Aiber ne prenderà parte. In quanto detective incaricato di
arrivare a me, lo useranno sicuramente per mettere in difficoltà
Misa e capire cosa sa sul mio conto.” disse allora, portando
tutti a conoscenza di quel piano.
“Se
è per aiutare Light, ci sto.”
“Non
se ne parla, Ryuzaki.”
Misa
e Light parlarono all'unisono e con quasi la stessa intensità
nella loro voce, le loro parole però si accavallarono fino a
risultare incomprensibili.
Alyssa
li fissò, facendo ciondolare la gamba che teneva accavallata
sopra l'altra.
“Non
se ne parla, Misa. Non voglio che tu venga coinvolta in tutto
questo.” aggiunse poi Light, quando si voltò verso la
ragazza. Le strinse le esili spalle per farla voltare verso di lui e
guardarla negli occhi. Allora Misa iniziò a sostenere con
forza che voleva aiutarli, perchè sapeva che così
sarebbe stata apprezzata di più dall'uomo che amava.
Sarebbe
morta per lui, Alyssa ebbe quel drammatico pensiero mentre la
guardava rivolgersi in quel modo a Light. Un altro aspetto di quella
strana storia d'amore che le faceva male, morire per proteggere chi
si ama era una cosa eroica, un eroismo in cui pochissimi si sarebbero
cimentati.
Misa,
per quanto l'avesse considerata sempre una stupida, l'avrebbe fatto e
lei non poteva che apprezzare quell'enorme e profonda capacità
di amare. Si chiese se lei sarebbe mai morta per proteggere colui che
amava e la risposta venne oscurata dalla paura : lei dopo un bacio
finito male si era spaventata di fronte all'amore. E non era la sola,
qualcuno le aveva fatto compagnia.
“Tu
vuoi proteggere Alyssa ma vuoi spedire Misa quasi al martirio? Da
quando sei incoerente?”
chiese
Light, lanciandogli un'occhiata truce.
In
quel frangente Alyssa si voltò a guardare Elle e il detective
fece lo stesso con lei. Gli occhi neri di lui si fissarono in quelli
verdi di lei, ma la sottile linea che li univa si ruppe subito.
“Alyssa
ha preso parte a più missioni pericolose di quanto tu creda,
Yagami. È stata in prima fila in molti casi, credimi.”
disse. “Ma Higuchi ha messo gli occhi su Misa. Misa è
stata sospettata di essere il secondo Kira. Lei è l'unica che
può portarci alla verità, non Alyssa.”
“Sei
comunque il quadro dell'incoerenza, Ryuzaki.” replicò
freddamente Light, abbandonando le braccia di Misa che non la
smetteva di fissare con emozione il ragazzo. Il fatto che volesse
proteggerla le garantiva una gioia che aveva dell'infinito.
Proprio
come lo era Alyssa quando Elle la voleva difendere, anche se da un
altro punto di vista.
“Smettetela
di discutere come bambini.” li zittì Aly, balzando in
piedi e stringendosi le braccia al petto. Era lei la causa del loro
momentaneo battibeccare e la cosa non le faceva piacere. “La
decisione penso che spetti a Misa. Nessuno deve decidere per lei.”
E
ogni chiaro riferimento alla sua condizione con Elle venne recepito
da entrambe le parti.
Misa
schioccò le dita e fece l'occhiolino verso la ragazza. “Ben
detto Lysa-Lysa!” esclamò. “Noi donne sappiamo
cavarcela da sole!”
Light
lanciò un'occhiataccia verso Alyssa, che invece si sforzava di
non guardare verso Elle. Si sentiva ridicola nel voler cercare
costantemente il suo sguardo. “Potrebbero farti del male sul
serio, anche ucciderti..” precisò il ragazzo,
appositamente per far desistere la fidanzata dal suo intento quasi
“suicida”.
Ma
la bionda non si arrese, alzò le braccia verso l'alto
mostrando la palese intenzione di non volersi tirare indietro per
nulla al mondo. Avrebbe subito qualsiasi tortura inflittagli pur di
proteggere Light ed essergli di aiuto. Elle lo sapeva benissimo,
visto che aveva assistito all'agonia di Misa quando l'aveva
imprigionata.
Si
era lasciata sconfiggere, pur di non dire nulla sul conto di Kira.
“Devi
fidarti di Misa, Light. Lei è una brava attrice e saprà
arrivare all'attuale Kira senza farsi scoprire.” aggiunse
ancora Elle. “Lo dico perchè nel suo ultimo film è
stata bravissima.”
Alyssa
per poco scoppiò a ridere, s'immaginò il detective
seduto davanti ad un televisore a guardare una delle smielate
commedie interpretate da Misa e non poté fare a meno di
pensare che sarebbe stata una scenetta comica. Ma si trattenne, la
situazione era alquanto testa dentro quell'appartamento.
Light
avrebbe difficilmente rinunciato al suo intento di voler proteggere
Misa a tutti i costi.
“Poi
se ti preoccupi per la vita di Misa, dovresti preoccuparti anche
della nostra: se io muoio per mano di Kira, muori anche tu. Vuoi
lasciare da sola Misa e farla soffrire per il resto della sua vita?”
chiese ancora Elle, premette quel tasto perchè sapeva che
avrebbe totalmente coinvolto Misa in quella decisione.
Ma
quella provocazione fece venire i brividi ad Alyssa, perchè
anche lei sarebbe rimasta sola se Kira fosse riuscito a colpire Elle.
Un brivido gelido le corse dentro il petto, bloccandole quasi il
respiro. Si immaginò la sua vita senza il detective ma vide
solo un enorme buco nero.
Il
detective le lanciò un'occhiata, quando la vide tremare per un
solo secondo. Non aveva menzionato il fatto che anche lei sarebbe
rimasta sola, solo per non farle vivere quel terribile pensiero.
Come
al solito però Alyssa arrivava da sola alle conclusioni che
avrebbero potuto farle più male.
A
quel punto Misa non volle sentire più storie e prese la
decisione che Light le stava inutilmente ordinando di non prendere.
“Ci sto, vi aiuterò a catturare Kira!” esclamò,
con un entusiasmo che poco c'entrava in quell'atmosfera così
tesa.
Alyssa
però si lasciò prendere da un attimo di confusione,
forse coinvolgere Misa poteva davvero essere pericoloso. Le sue doti
da attrice non potevano essere messe in atto in un piano per
catturare il serial killer. “Cosa ti dice che Misa possa
effettivamente riuscire in questo piano, Ryuzaki?” chiese la
ragazza, voltandosi verso Elle che continuava ad evitare il suo
sguardo.
Il
detective però la stava guardando con la coda dell'occhio. “Mi
sono basato su una cosa semplicissima.” disse. “Io ammiro
il grande amore che Misa prova per Light e penso che non ci siano
nemici che possano ostacolarlo. Ciò che lega questi due è
molto più grande di quanto pensiamo e quindi mi fido della
forza d'animo di Misa.”
Alyssa
sorrise di fronte a quelle parole, perchè le trovò
stranamente divertenti mentre uscivano dalla bocca di una persona che
parlava d'amore con quella freddezza. Misa lo guardò con occhi
sognanti, come se si trovasse di fronte al finale di una romantico
film d'amore.
I
suoi occhioni era sgranati e le mani le congiunse sotto il mento,
come se fosse rimasta meravigliata dalle parole di Elle. La collega
del detective si chiese come mai la bionda non avesse mai assunto
quell'espressione ad ogni singolo discorso di Elle, a lei ci mancava
poco per fare quella faccia ogni volta che lo sentiva parlare.
E
quello di poco prima era stato il discorso meno affascinante del
ragazzo.
“Oh
Ryuzaki, io ti credevo un pervertito, ma forse mi sbagliavo!”
esclamò Misa, Light rimase in silenzio, disorientato quanto
Alyssa da tutto quello che stava succedendo. “Le tue parole
sono state bellissime. In realtà tu riesci a capirmi meglio di
Lysa-Lysa!”
“Infatti
io non ti capisco affatto.” ci tenne a precisare Alyssa, ma la
bionda la ignorò e si avvicinò rapidamente a Elle.
“Grazie
Ryuzaki!” esclamò e posò le sue labbra rosse
sulla guancia sinistra di Elle.
Alyssa
restò pietrificata da quel gesto e si ritrovò ad
inarcare le sopracciglia mentre una fiamma le bruciava dentro il
petto. Se non aveva mai voluto ammazzare Misa, in quel caso si
ritrovò a desiderarlo ardentemente.
Elle
restò sorpreso quanto lei da quel gesto, alzò lo
sguardo verso l'alto e si passò la mano sulla guancia. “Guarda
che così m'innamoro di te...” le disse, mentre la bionda
tornava ad avvinghiarsi al braccio destro di Light.
A
quelle parole, Alyssa prese un cuscino dal divano e glielo lanciò
addosso, senza nemmeno rendersi conto di averlo fatto. Lo colpì
al fianco destro, Elle si stava ancora sfiorando la guancia e lanciò
alla collega un'occhiata interrogativa che in realtà aveva ben
poco da domandare.
“Sapete
che vi vedo bene insieme? Al circo sareste un'ottima coppia!”
esclamò Alyssa, buttandosi di peso sul divano dietro di lei e
lanciando un'occhiata di fuoco a Misa.
Quest'ultima
le lanciò un'occhiata furba. “Non c'è rischio che
ti innamori di me, Ryuzaki!” disse.
E
il doppio senso di quella frase molto alla Misa fu chiaro a tutti.
Il
piano andò come previsto.
Alyssa
condusse Misa al provino per diventare testimonia della Yotsuba e
attese per tutto il tempo fuori. La bionda rispose a tutte le domande
che Aiber le rivolse con facilità, si era esercitata con Elle
la sera prima e quindi sapeva già le domande che le sarebbero
state rivolte e le relative risposte da dare. Alyssa assistette alle
loro “prove” e le sembrò di essere in un set
cinematografico: Elle era tremendo anche nelle vesti di regista,
battibeccò Misa più volte di quanto avesse mai fatto
con lei in tutta la loro vita.
Quando
però Misa uscì dalla stanza in cui si era svolto il
provino, Alyssa notò che la bionda si comportava in modo
strano: sembrava distante, fredda e spesso non riconosceva le
espressioni sul suo viso che sembrava più duro di quanto non
fosse mai stato.
Ma
non ci prestò molta attenzione, probabilmente la ragazza era
stanca e lei aveva pochissima voglia di starsi a preoccupare per cosa
nettamente senza senso. Misa poi raccontò tutto quello che era
successo ad Elle, ma non disse nulla di nuovo se non che era più
convinta che Higuchi fosse Kira. Allora il detective si ripromise di
elaborare un piano per farlo uscire allo scoperto, facendo sempre
leva sulla cotta di quell'uomo per Misa.
Quando
calò la notte, Alyssa avvertì un terribile mal di testa
che sembrò volerle far scoppiare il cervello. Lasciò
Misa nel suo appartamento e notò con piacere che la ragazza
non avesse pretese da soddisfare e che voleva solo dormire. Lei
invece sentiva che doveva fare una cosa: erano due giorni che si era
ripromessa di parlare con lui ma sempre per colpa del lavoro
non ci era riuscita.
Spense
le luci nell'appartamento di Misa e poi si chiuse la porta alle
spalle. Quando rivolse lo sguardo verso il fondo del corridoio,
sobbalzò.
Si
ritrovò Light di fronte a sé, aveva le braccia strette
al petto e lo sguardo fisso su di lei. Un sorrisetto odioso parve
nascondersi dietro le fossette ai lati della sua bocca, Alyssa alzò
gli occhi al cielo. “Che cosa vuoi, Yagami? Sappi che ti prendo
a calci se vuoi giocarmi qualche altro giochetto.” lo minacciò,
gli passò accanto sfiorandogli la spalla con la sua in modo da
fargli capire che non era in vena di giochetti.
“In
realtà, sono qui per scusarmi e perchè ti devo
parlare.” Light la seguì, si mise al suo fianco e cercò
il contatto visivo con lei.
“Scusarti?”
Alyssa era allibita, dopo tutte le parole che le aveva detto dopo
quell'insensato bacio, scusarsi era ben poco. Se Light ed Elle
avevano qualcosa in comune, era il fare discorsi che sapevano
colpire. Anche se in maniera diversa: con quella sua voce, Elle
sapeva colpire meglio.
Ma
lei era così poco scaltra da cadere nelle trappole di
entrambi.
“Nemmeno
se mi paghi un milione di dollari ti potrei scusare ora come ora...”
disse ancora.
Light
sospirò. “Va bene, allora posso almeno dirti una cosa?”
chiese. Vedendo che la ragazza camminava spedita e non sembrava avere
intenzione di fermarsi, allora si parò davanti a lei e la fece
fermare di colpo. Alyssa chiuse gli occhi un attimo per non gridargli
di spostarsi, poiché la sua sola vista gli dava fastidio.
“Se
devi dirmi qualcosa su Misa, non ti sprecare. Mi sto prendendo più
cura io di lei di quanto abbia mai fatto tu.” Alyssa cercò
di capire di cosa gli volesse parlare e pensò subito alla
bionda, l'unica che potesse avvicinarsi ad essere una piccola
debolezza per Light.
Il
ragazzo scosse la testa. “Volevo parlarti di te invece. E credo
che la base del discorso sia più o meno quella che hai inteso
tu.” rispose.
Alyssa
lo guardò senza capire, piegò la testa da un lato e lo
guardò cercando di trovare il significato di quelle parole
nello sguardo di lui. “Beh?”
“Tu
sei una debolezza per Ryuzaki.” Quelle parole uscirono dalle
labbra di Light con una freddezza che sapeva penetrare nel cuore.
Calò un profondo silenzio, Alyssa sembrò risentirle di
nuovo, mentre riecheggiavano tra le pareti di quello stretto
corridoio poco illuminato e guardò gli occhi di Light. “Il
bacio è nato dal fatto che, per la prima volta da quando lo
conosco, sono riuscito a scorgere una debolezza in lui. Ma non sarei
mai arrivato a questa sua debolezza se non fosse stato per te. Se non
l'avessi vista riflettersi nel suo volto, non l'avrei mai scoperta.”
Alyssa
si sentì ribollire di rabbia, prima le diceva che voleva
scusarsi e poi le diceva che era una debolezza per Elle? Avrebbe
tanto voluto colpirlo in faccia con tutta la forza possibile.
“Sei
un bastardo, Yagami. E io che ho sempre creduto che non lo fossi...”
gli disse.
Il
ragazzo la ignorò. “Tu sai benissimo che ho ragione:
Ryuzaki non lascia trasparire nulla e persino per una persona
intelligente come me, è difficile scoprire le sue debolezze,
le sue paure..” disse ancora. “Ne ho scoperta solo una ed
è solo perchè ho visto le tue debolezze.”
Alyssa
non rispose, strinse i pugni e cercò di restare il più
calma possibile per non scattare di rabbia. Quella parole erano come
lame, tagliavano la pelle e la facevano sanguinare nel dolore.
Perchè
avevano, purtroppo, un fondo di verità probabilmente, solo la
verità ferisce e uccide in quel modo e lei si era sempre
sentita un peso per Elle, anche se si sforzava di non darlo a vedere.
E
Light che sosteneva di essere riuscito a scalfire per un solo istante
il detective per colpa sua, la faceva stare ancora peggio.
“Perchè
mi stai dicendo queste cose? Vuoi ferirmi? Oppure vuoi semplicemente
che ti metto le mani addosso?!” esclamò Alyssa furiosa,
sentendo di stare per perdere l'autocontrollo.
Light
la fissò a lungo e battendo più volte le palpebre. “È
una mia pura constatazione di cui volevo renderti partecipe. Perchè
sono umano anche io e mi dispiace che tu stia male.”
“A
te non importa di nessuno se non di te stesso, Light.” La voce
di Alyssa si fece tremante per la rabbia, lo guardò fisso
negli occhi e fece dei passi verso di lui per sfidarlo. “Non
t'importa di Misa, non t'importa di me...e non mi meraviglierei se
non t'importasse persino della tua famiglia. Perciò smettila
di parlarmi in questo modo, mi basta Ryuzaki a psicoanalizzarmi e ti
assicuro che lo sa fare meglio di te.”
Continuò
a guardarlo con sfida, avvicinando il viso al suo. Light ricambiò
quel modo di guardare con un'espressione fredda e piegò la
testa da un lato. “Hai mai pensato all'opportunità di
lasciare tutto?”
Quella
domanda la sorprese, il sorriso di sfida che era apparso sul suo
volto si spense lentamente, lasciando poso ad un'espressione
dubbiosa. Non capì subito dove volesse arrivare Light, ma poi
ricordò di essersi posta quella domanda più volte:
lasciare tutto, l'Elle detective, le indagini e tutto quello che
comportava era un pensiero che aveva avuto spesso in quegli anni.
Ma
non lo aveva mai fatto, perchè voleva mantenere la sua
promessa.
Con
quelle parole, però, si sentì pervadere di nuovo dai
dubbi. “Saresti meglio, no? Visto come stanno andando le
cose...”
“Smettila.”
Alyssa esordì con quella semplice parola, voleva che la
smettesse lui e voleva che la smettessero anche i suoi pensieri di
tormentarla. Si disse che lei non era il riflesso delle debolezze di
Elle e sperò di trarre forza da quella convinzione, ma senza
successo. “Smettila con queste frasi da quattro soldi e
lasciami in pace. Io e te abbiamo chiuso ormai.”
Lo
superò, dandogli una violenta spallata e proseguì lungo
il corridoio.
Sentì
il suo sguardo su di lei, ma non se ne curò.
E
cercò di rimuovere dalla sua mente quelle parole.
Si
diresse verso camera di Elle, continuando ad ignorare i richiami dei
ricordi riguardanti le parole di Light.
Appena
fece per avvicinarsi alla porta della sua stanza, la vide aprirsi
velocemente e uscirne Wedy, con indosso una tuta nera che metteva in
risalto le sue atletiche forme.
Alyssa
si bloccò di scatto e osservò l'abbondante scollatura
che la bionda metteva in mostra con disinvoltura, sotto braccio
teneva un casco da moto e la mora si chiese come facesse a cavalcare
una moto con quegli abiti così aderenti.
E
poi perchè si trovava in camera di Elle? Non si fece molti
scrupoli al riguardo, il ragazzo non era il tipo da rimanere
affascinato da una ragazza che metteva in risalto il proprio corpo in
quella maniera a dir poco patetica. Ma, sotto sotto, anche a lui
poteva succedere di avere gli ormoni in subbuglio e anche se non lo
diceva a voce, magari qualche pensiero su Wedy lo aveva fatto.
Si
sentì ridicola come non mai, di fronte a quei pensieri a dir
poco inutili.
Wedy
si chiuse la porta alle spalle e appena la vide allargò le
labbra scarlatte in quello che era un sorriso, gli occhi chiari erano
mascherati da spessi occhiali da sole che poco c'entravano in quel
corridoio così scuro. “Hey brunette, abbiamo
deciso di rimetterci al lavoro per caso?” le chiese.
Si
avvicinò a lei, Alyssa notò che aveva anche dei
vertiginosi tacchi che la rendevano almeno una spalla più alta
di lei. “Primo, mi chiamo Alyssa. Secondo...lo sai che le prime
parole inglesi che ho imparato sono state le parolacce? E ne ho due o
tre che mi verrebbero spontanee in questo momento...” rispose
acidamente.
Wedy
sorrise e abbassò la testa. “Metti a freno la tua
acidità, io e Ryuzaki stavamo parlando delle telecamere che ho
posto nelle abitazioni dei dipendenti della Yotsuba...Higuchi
incluso.” disse.
Alyssa
si strinse le braccia al petto, domandandosi se fosse così
evidente che nutrisse della gelosia.
Ma
come le avevano detto in molti, il suo viso era lo specchio delle
emozioni che provava.
“Bene
mi fa piacere,Catwoman. Ora puoi pure andare e non
infastidirmi con la tua presenza. Grazie.” Alyssa la superò
e entrò nella stanza del detective senza bussare.
Trovò
il ragazzo accovacciato di fronte alla scrivania, nella penombra
della sua piccola camera stava studiando dei fogli con attenzione.
Il
modo in cui Alyssa irruppe nella stanza lo fece deconcentrare, ma era
ciò che lei voleva: se aveva perso la concentrazione, poteva
parlargli meglio.
Restò
con la schiena posata sulla porta e osservò lo sguardo di Elle
quando si soffermò su di lei. Come al solito era freddo ma il
fatto che fossero rimasti soli in una camera da letto doveva
imbarazzare non solo lei. Però Alyssa non trovò altre
alternative per parlargli se non quella.
“Io
e te dobbiamo parlare, cervellone.” gli disse, portandosi le
mani sui fianchi.
Elle
rimase a fissarla a lungo, i suoi occhi scesero lentamente verso il
pavimento per poi tornare al foglio che aveva in mano. “Ho da
fare.” disse semplicemente.
Sentiva
di non riuscire a guardarla in viso, malgrado la sua mente avesse
razionalizzato il concetto che, dietro il bacio con Light, non c'era
nulla di sentimentale. Non poteva essere altrimenti.
Il
problema era che non aveva ancora razionalizzato cosa ci fosse dietro
il bacio che lui si era scambiato con lei, o meglio lo aveva fatto ma
aveva paura di riuscire a definirlo.
Alyssa
non accettò che lui continuasse ad ignorarla così, si
avvicinò a passo svelto a lui e, cogliendolo di sorpresa, gli
strappò il foglio dalle mani. Quando il detective si voltò
verso di lei per capire cosa avesse in mente, la ragazza se lo portò
dietro la schiena e lo guardò con sfida.
“Ora
non hai più nulla da fare.” gli disse furbamente e con
un sorriso da bambina che lo riportò indietro con la memoria.
Quando si concedevano di stare insieme, senza il lavoro di mezzo.
Quando
era chiaro che ciò che li legava era semplice amicizia.
“Alyssa,
ti prego. Non ho voglia di stare a giocare con te..” Elle si
alzò lentamente in piedi e sperò che la ragazza cedesse
subito al suo intento di provocarlo in quel modo.
Ma
lei continuò a tenere il foglio dietro la schiena e ad
arretrare, tenendo la testa piegata da un lato e un sorriso di sfida
sulle labbra. “Ma io non voglio giocare, dobbiamo parlare di
una cosa.”
“Ne
possiamo parlare quando non sono occupato a lavorare, per favore?”
chiese lui, allungò il braccio verso di lei per riprendersi il
foglio ma quella non desistette.
Continuò
ad arretrare. “Kira può aspettare per qualche minuto,
non ha fretta.” disse.
Elle
si sentì ridicolo quando provò a riprendersi di nuovo
il proprio foglio, Alyssa era più brava di lui a mettere in
atto quei giochetti un po' infantili.
“Aly,
per favore.” Il detective chiuse un attimo gli occhi, per
allontanare il senso di fastidio che quella situazione gli causava.
“Dammi quel foglio e ne parliamo domani.”
“Ci
siamo baciati, Ryu. E ho aspettato fin troppo per parlarne...”
precisò lei, finì contro la parete alle sue spalle ma
continuò a mantenere il foglio nascosto dietro la sua schiena.
Elle
si bloccò di fronte a quelle parole. “Pensavo che ci
fossimo già chiariti..” disse e una parte di lui sperò
che lei gli parlasse del bacio con Light. Anche se era sicurissimo
che Aly non ne fosse stata in qualche modo coinvolta, sentiva che
quello era un argomento che voleva comunque affrontare. Ma non in
quel momento, non mentre lei lo guardava con quegli occhi e gli
sorrideva in quel modo dolcissimo.
“Chiariti?
No, tu avevi bisogno di chiarirti con te stesso...ora è con me
che devi chiarire.” rispose la ragazza, lui provò a
riprenderle il foglio ma lei era più che ostinata a continuare
quell'insensato giochetto. “Voglio che tu mi dica di nuovo,
guardandomi negli occhi, che non hai provato nulla.”
“Non
ho provato nulla.”
“Se
si risponde troppo velocemente, si sta dicendo una bugia.”
Elle
dovette darle conto, quella frase nasceva da uno dei tanti
insegnamenti che lui stesso le aveva dato. Alyssa sorrise, come se
godesse di quella piccola ma poco utile vittoria.
“Se
mi baciasse qualcun'altro, come reagiresti?” gli chiese, come
se volesse vantarsi di qualcosa che lui non conosceva.
Ma
che purtroppo sapeva benissimo invece, Elle tentò di nuovo di
riprendersi il foglio ma inutilmente e lo fece con un gesto così
lento e intercettabile che non si stupì di non esserci
riuscito.
“Light
mi ha baciata per motivi tutti suoi, io l'ho respinto. Hai vinto
anche questa sfida.” gli disse ed Elle valutò la sua
ovvia sincerità. Era certo che lei lo avesse respinto dopo che
lui se ne fosse andato, ma avere una conferma a quella sua sensazione
lo fece stranamente sentire sollevato.
Alyssa
sorrise e lo guardò a lungo, nel più totale silenzio.
“Per
me non ci sono sfide in gioco, se ci sei di mezzo tu.” disse
Elle, facendo fare le capriole al cuore della ragazza. Aveva
pronunciato quella parole con la solita freddezza, eppure la ragazza
non poté fare a meno di fermare il suo cuore dal battere in
quel modo.
Calò
un profondo silenzio, dove Elle non si lasciò sfuggire la
lentezza con cui il sorriso scomparve dalle labbra della ragazza, per
lasciare posto ad un'espressione sorpresa.
“Ora
dimmi quello che mi devi dire e poi ridammi quel foglio per favore.”
disse allora, allungando il braccio per chiedergli di cedergli
nuovamente il foglio.
Alyssa
abbassò lo sguardo, rendendosi conto di non avere preparato un
vero discorso da dirgli. Non c'erano parole per quello che voleva
affrontare con lui in quel momento, ma se ne rese conto troppo tardi.
Elle
la guardò in attesa di una risposta che sapeva benissimo non
sarebbe mai arrivata, almeno non sotto forma di parole. Per paura di
affrontare quel momento, allungò il braccio dietro la schiena
di Alyssa e riprendersi il foglio, ma la ragazza lo anticipò
in una maniera che riuscì lo stesso a sorprenderlo, nonostante
lo avesse messo in conto.
Il
foglio cadde a terra, mentre Alyssa alzava le mani per prendere il
viso di Elle e tirarlo a sé. Posò delicatamente le
labbra su quelle di lui, mentre le dita sfioravano gli zigomi di lui.
Una vampata di calore le incendiò il viso, mentre le loro
labbra continuavano a rimanere posate le une sulle altre nel silenzio
di quella stanza.
In
quel caso fu Elle il primo a lasciarsi andare, passò una mano
tra i corvini capelli di lei e portò con gentilezza il corpo
di Alyssa più vicino al suo.
Il
bacio si fece man mano più appassionato, le braccia di Alyssa
gli circondarono il collo mentre la mano di Elle che non era rimasta
tra i capelli di lei, scese sul suo fianco destro in maniera da
portarla ancora più vicina a sé.
Ad
un certo punto, la ragazza si tirò indietro con la schiena
portandosi insieme Elle. Si ritrovò con le spalle al muro,
mentre le sue mani iniziarono ad esplorare i capelli del ragazzo.
Il
primo dei due che si lasciò andare fu anche il primo che pose
fine a tutto: Elle si ritrasse di pochi centimetri dal viso di lei,
mentre la ragazza si tese in avanti per riprendergli le labbra tra le
sue.
“Odio...quando
fai così.” le disse Elle, ritrovandosi a non riuscire a
distogliere lo sguardo dalla bocca di lei che, lentamente, si allargò
in un sorriso.
“Perchè
non puoi controllarti, lo so.” rispose lei ed era la pura
verità: Elle sentiva di non avere più il controllo di
sé quando lei gli era così vicino. Le posò le
mani sulle spalle, appena vide che Alyssa si era fatta di nuovo più
vicina per poterlo baciare ancora.
“Ho
del lavoro da svolgere.” la freddò con poche e semplici
parole, prese da terra il foglio, sgualcito dall'arretrare dei piedi
di Alyssa durante il bacio, e ignorò lo sguardo sconvolto di
lei.
“Lavoro?”
ripeté la ragazza quando lo vide darle le spalle. “Ti
prego dimmi che non lo stai rifacendo...”
“Rifare
cosa?” chiese lui, anche se la risposta l'aveva già ben
chiara in mente. Si avvicinò alla scrivania e posò il
foglio sulla superficie in legno, non si voltò a guardarla
perchè sapeva che i suoi occhi verdi erano sbarrati per la
sorpresa e probabilmente le sue labbra erano morsicate dai suoi
denti. “Ti ricordo che non ho tempo da perdere, non ora che la
cattura di Kira è così vicina.”
“Allora,
quando beccherai Kira, perchè non baci lui?!” esclamò
la ragazza furiosa.
Elle
si voltò verso di lei, Alyssa si allontanò dalla parete
alle sue spalle e avanzò verso di lui. Ma restò
abbastanza lontana, quanto bastava per lasciare il volto nascosto
nell'oscurità.
La
lampada accesa sulla scrivania creava un cerchio di luce tra di loro
che sembrava dividerli, Elle ne era completamente illuminato ma
Alyssa no.
Lei
rise nervosamente e si portò una mano sul viso, scuotendo più
volte la testa. “Ok, tanto mi hai fatto sentire più
ridicola di quanto non fossi e completiamo l'opera.” disse,
fece un passo verso di lui in modo che i suoi occhi fossero visibili
alla luce della lampada. Elle socchiuse lo sguardo e lo scorse lungo
il bel viso di lei, sentiva che stava per dirle qualcosa che avrebbe
avuto paura di sentire.
Alyssa
fissò gli occhi in quelli di lui, per un momento pensò
di non dire nulla ma qualcosa nel suo petto batteva troppo forte per
farla rimanere in silenzio. “Ti amo.” disse solo,
pensando che qualsiasi altra parola sarebbe stata superflua in quel
caso. Non aveva mai pronunciato prima quelle due parole e sentirle
dire dalla sua stessa voce le procurò un'ondata di gioia che
difficilmente riuscì a contenere.
Elle
avvertì qualcosa scattare in lui, un qualcosa che gli
procurava una immensa gioia che, però, non voleva mostrare.
Abbassò lo sguardo e non disse nulla, aveva una risposta da
dargli ma non riuscì ad esprimerla in parole.
Perchè
se l'avesse detta, avrebbe rotto la promessa fatta a sé stesso
di proteggerla a qualsiasi costo.
Alyssa
rimase pietrificata, quando ottenne come unica risposta a quelle due
parole il nulla.
Scosse
la testa incredula. “Io ti dico che ti amo e tu resti in
silenzio?” insistette e Elle chiuse gli occhi, privandola così
anche della loro presenza.
“Ne
possiamo parlare quando il caso Kira sarà risolto?” Fu
quella la risposta che lei ottenne.
Lo
fissò incredula, avrebbe preferito ottenere il silenzio
piuttosto che quelle stupide parole.
Definirsi
delusa, umiliata, incredula era ben poco. Scosse la testa, evitando
che le lacrime salissero ai suoi occhi e la umiliassero ancora di
più. “Sia che ti dico? Ne ho le scatole piene di questo
tuo comportamento. Io non ci sto a farmi trattare in questo modo,
come se fossi un robot!” esclamò la ragazza stringendo i
pugni, fece un passo verso di lui e lo guardò con rabbia.
“Io
non vedo solo il detective in te, ma anche quello uomo. E tu
dovresti imparare a vedere in me una donna, oltre che la collega che
ti porti sempre dietro...” continuò e la sua voce si
fece incrinata verso le ultime parole. Elle alzò lo sguardo su
di lei, la vide trattenere a stento le lacrime di rabbia e non seppe
che cosa dire. “È il detective quello che ti protegge,
non l'uomo” le ricordò, parlando dei lati della sua
anime che la ragazza aveva diviso poco prima.
“Già,
mi protegge... e mi uccide.” precisò la ragazza,
serrando la mascella e scuotendo la testa. “E io non ci sto più
a lasciarmi ammazzare in questo modo da lui.”
Fece
un passo verso di lui e si strinse le braccia al petto. “Quando
il caso Kira sarà finito, io non ci sarò.” gli
disse ed Elle valutò attentamente quella parole sperando che
non fossero veritiere. La ragazza ripensò a ciò che le
aveva detto Light, odiava ammetterlo ma la stava dando vinta a lui.
Lei
perdeva sempre nei loro giochetti mentali. “Ormai la situazione
è troppo cambiata per poterla sostenere. E tu non hai bisogno
di me quanto io di te.”
Elle
non seppe cosa dire, perchè qualsiasi parola non sarebbe
riuscita ad essere razionalizzata dalla sua mente. Non con l'immagine
di lei che la guardava in quel modo.
Alyssa
non riuscì più a trattenersi e gli diede le spalle,
uscì dalla stanza e non si chiuse nemmeno al porta dietro di
sé.
Elle
rimase immobile. Solo allora, mentre stringeva quel foglio tra le
mani, pensò che per proteggerla, forse, l'aveva davvero persa.
“Mi
devi aiutare.”
Alyssa
alzò lo sguardo su Misa, erano sul set di una pubblicità
e la ragazza indossava un vestito di scena vagamente somigliante a
quello che portavano le geishe. La mora era seduta in una posizione
poco elegante sulla sedia del regista, con un pugno sotto il mento e
le gambe accavallate. Profonde occhiate nere segnavano l'insonnia che
l'aveva afflitta la notte prima, colpa del viso di Elle e dei suoi
occhi che non la fissavano: un'immagine che si era sempre fatta largo
tra i suoi sogni per tutta la notte.
“Che
vuoi Misa? Se vuoi una cola, vattela a prendere...” le disse e
posò lo sguardo alle spalle della bionda, dove alcuni uomini
del set stavano allestendo la scena.
Misa
seguì lo sguardo della ragazza e sbuffò. “Mi devi
aiutare con la faccenda di Higuchi.” ripeté, con un tono
tale da attirare l'attenzione della ragazza completamente su di lei.
Alyssa
aveva le palpebre degli occhi quasi completamente chiuse mentre la
osservava, sembrava come se stesse dormendo in piedi e che non
volesse vedere nulla di quello che la circondava.
“Ryuzaki
si occupa della tua cosa con Higuchi, io sono solo la sua palla al
piede, ricordi?” si rese conto solo più tardi di aver
manifestato la sua momentanea debolezza a Misa.
Poi
si disse che anche un cieco avrebbe capito che era a pezzi, distolse
lo sguardo e non se ne preoccupò. Misa si inginocchiò
di fronte a lei, le posò i gomiti sulle ginocchia e la guardò
come se volesse spronarla a reagire. “Sei tu che ti senti una
palla al piede, nessuno te lo ha mai detto questo.” le disse,
sembrava una madre che stesse parlando con la sua triste bambina.
“Hai sempre dimostrato di non esserlo.”
“Ti
prego non psicoanalizzarmi anche tu perchè non lo
sopporterei.” la rimproverò Alyssa, abbassando lo
sguardo e continuando a parlare in flebili sussurri, il solo sentire
la propria voce la faceva sentire male.
Misa
sospirò. “Senti, perchè non fai quello che fai
sempre e cioè combattere? Ora non so cosa ti sia successo...ma
non puoi buttarti giù! Ho un piano per beccare Higuchi con le
mani nel sacco ma ho bisogno del tuo aiuto! E la tua occasione per
avere la rivincita su tutto, no?” le disse, le prese una mano
tra le sue e la guardò con un'espressione seria che non era
mai apparsa sul suo viso perfetto.
Alyssa
inarcò le sopracciglia confusa di fronte a quello che sembrava
uno strano cambiamento in Misa: come era successo con Light, sembrava
che anche in lei qualcosa fosse mutato. Ma capire cosa era
impossibile. Prese un lungo respiro e pensò che, forse, l'idea
della bionda non era una cattiva cosa: tanto aveva deciso di
ribellarsi ad Elle una volta per tutte, ma starsene lì seduta
e con lo sguardo perso nel vuoto non sarebbe servito a nulla.
Incredibile
che a spronarla fosse stata proprio Misa.
“E
va bene...cosa vuoi che faccia?” disse e la sua voce tornò
quasi forte come quella che aveva sempre avuto.
Il
piano di Misa era stupido in apparenza ma efficace.
Alyssa
attese per tutto il tempo dentro la propria auto, mentre osservava la
bionda attendere sul marciapiede, nel punto in cui si sarebbe dovuta
incontrare con Higuchi. Misa gli aveva dato appuntamento vicino
all'ospedale, aveva indossato un abito molto provocante, puntando sul
fatto che lo avrebbe distratto di più. Alyssa invece doveva
limitarsi a seguire i due con la sua auto, in caso che Higuchi avesse
fatto del male alla bionda, quest'ultima poi aveva intenzione di
registrare la sua conversazione con l'uomo attraverso il suo
cellulare.
Avrebbe
preferito poter ascoltare anche lei la loro conversazione ma se
avesse provato a prendere dei microfoni o delle microspie senza il
consenso di Elle, si sarebbe fatta scoprire.
E
lui non gli avrebbe permesso una cosa simile.
“Quando
cavolo arriva?” si chiese nervosamente, mentre le mani sudate
stringevano il volante.
Pochi
secondi dopo, vide una decapottabile rossa sfrecciare a tutta
velocità accanto alla sua auto e fermarsi con una sgommata
davanti a Misa che si finse estasiata alla vista di quel veicolo
molto costoso.
E
Higuchi era visibilmente compiaciuto da quello sguardo.
“Patetico...”
sussurrò Alyssa, mentre affilava lo sguardo per osservare Misa
salire in auto, saltando dentro il veicolo con un agile salto sopra
lo sportello.
Vide
i due parlottare tra loro, mentre Misa si infilava la cintura di
sicurezza. Era certa che Higuchi stesse facendo degli apprezzamenti
sul vestito di Misa, era così scontato e disgustoso quell'uomo
da farle venire i brividi. Poi l'auto sfrecciò velocemente
lungo la strada, Alyssa dovette seguirli a distanza sostenuta ma non
troppo: quella fiamma rossa percorreva la strada ad una velocità
incredibile, tanto che rischiò di perderla di vista più
di una volta.
“Ah...ma
qui dovrebbero sequestrarti anche la patente. Altro che Kira...”
si disse con un sorriso sulle labbra, mentre osservava le teste di
Misa e di Higuchi che si muovevano nel vento. Il sole stava
tramontando, Alyssa lo riuscì a scorgere all'orizzonte mentre
colorava il cielo di sfumature rosee e arancioni che si mescolavano
alle nuvole che viaggiavano davanti a lui.
Raggiunsero
la statale e stare dietro ad Higuchi fu pressoché difficile:
l'uomo faceva a zig e zag tra il traffico intenso sulla strada, con
velocità e una maestria unica al volante. Alyssa deglutì,
quando si rese conto che li stava perdendo di vista, imprecò e
batté un pugno sul volante.
Come
se non bastasse ci si mise anche il semaforo, che scattò sul
rosso appena lei giunse di fronte ad esso, e il cellulare che iniziò
a squillare ripetutamente. Alyssa abbassò lo sguardo sul
sedile accanto al suo dove vi era posato e lesse la scritta “numero
sconosciuto” con freddezza.
Elle
doveva essersi accorto che erano in nettissimo ritardo.
Tornò
a guardare la strada e lo lasciò suonare, malgrado quella
maledetta musichetta le stesse facendo venire i nervi. Con lo sguardo
cercò l'auto di Higuchi che stava superando un incrocio poco
oltre il semaforo, lo vide sfrecciare via e farsi più lontano.
Allora
lei guardò il suo semaforo, attendendo con ansia che si
accendesse la luce verde. Appena quella apparì, ponendo fine a
tutte le sue ansie, partì a tutta velocità e superò
una piccola auto davanti a sé, guidata da un uomo molto
anziano, e sfrecciò a tutta velocità.
Il
cellulare continuava a squillare, per poi arrestarsi improvvisamente
per sollievo della ragazza.
Superò
altre auto sempre sempre troppo velocemente, troppo per accorgersi
del camion che stava venendole incontro dall'altra parte
dell'incrocio.
Senza
nemmeno rendersene conto, sentì un violento colpo sul suo
fianco dell'auto.
Il
vetro del finestrino si frantumò in mille piccole schegge
mentre tutto iniziò a girare.
Avvertì
diversi dolori in tutto il corpo, mentre il mondo vorticava
velocemente davanti a lei.
Non
ebbe nemmeno il tempo di urlare, di dire qualcosa o almeno di
riconoscere che, probabilmente, quello che stava esalando era il suo
ultimo respiro.
La
sua auto finì violentemente sulla banchina della strada,
l'ultima cosa che vide fu il mondo a testa in giù.
Poi
il nulla.
“Che
cosa vuoi?”
Alyssa
si fermò di colpo, il piccolo Elle rimase accovacciato sulla
sedia della sua piccola e umile stanza, arredata unicamente da quella
sedia e da un letto singolo posto contro la parete. Non aveva chiesto
di più, sembrava essersi accontentato di avere quel poco per
sé, come se sapesse che nulla avrebbe colmato la profonda
tristezza che provava.
Aveva
un occhio nero, aveva di nuovo fatto a pugni con uno dei bulletti che
lo infastidivano e, come sempre, Alyssa si era presentata in silenzio
nella sua camera con in mano una piccola brioche che aveva rubato
dalla dispensa. Sapeva che gli piacevano molto i dolci, lo aveva
visto mentre li mangiava e le era sembrato così deliziato da
apparire anche meno triste.
Lui
prendeva sempre quelle brioche nel più totale silenzio che li
accompagnava quando erano insieme. Ma quel giorno parve non
sopportare la presenza di quella bambina nella sua stanza, lei rimase
in piedi accanto a lui e con in mano il suo dono sperando di
portargli un po' di serenità.
“Non
voglio lasciarti solo.” rispose semplicemente, pronunciando
l'ultima parola come se fosse una blasfemia, una bestemmia che
nessuna bocca dovrebbe pronunciare.
“Ma
io voglio stare solo.” ribatté lui, guardandola con la
coda dell'occhio e rimanendo seduto in quella posizione.
Alyssa
però sapeva che il ragazzino non voleva davvero rimanere da
solo, credeva di poter sfogare così il suo dolore, trafiggendo
con le sue sole forze le barriere che circondavano il suo cuore e la
sua mente, ma non poteva riuscirci. E lo sapeva.
Si
fece più vicina a lui e continuò a tenere la brioche
impacchettata tra le mani. “La solitudine è una cosa
troppo grande per noi.” disse con voce flebile ed Elle si voltò
lentamente verso di lei, scrutandola con una freddezza tale da farla
un attimo ammutolire.
Le
pallide gote di lei si tinsero di un rosso intenso. “Io sono
troppo piccola e non conosco molto della vita. Ma mi hanno insegnato
che certe cose si devono affrontare in due per poterle capire,
sconfiggere o per potersi semplicemente arrendere senza soccombere. E
la solitudine è tra queste.”
Elle
rimase stupito dal suo modo di parlare, sembrava che non fosse solo
una bambina di cinque anni ma un'adulta rinchiusa in un piccolo
corpicino che non poteva contenere la sua anima troppo grande.
Abbassò
lo sguardo sulle scarpette di lei e lasciò che la sua mente si
concentrasse su quelle parole da lei appena pronunciate. “Anche
i miei genitori mi hanno sempre promesso che saremmo stati insieme
per sempre. Ma non l'hanno fatto...perchè tu dovresti allora,
che nemmeno mi conosci?”
Alyssa
scosse la testa e un sorrisetto apparve sulle sue labbra. “La
tua mamma e il tuo papà sono stati portati via dalla vita, è
diverso.” precisò, sapeva bene cosa significava essere
abbandonati perchè era quello che sua madre aveva fatto con
lei.
Lei
non era morta, aveva deciso spontaneamente di lasciarla sola.
Se
n'era andata, rifiutando di riconoscere il piccolo fagotto che aveva
messo al mondo e decidendo di non prendere mai parte alla sua vita.
“Poi
non è vero che non ti conosco. Conosco il tuo dolore e questo
mi rende vicina a te.” disse ancora timidamente ed Elle giurò
di non averla mai sentita parlare così, anzi era certo di non
averla mai sentita parlare proprio.
E
stranamente le sue parole gli furono di lieve conforto.
La
guardò in quei teneri occhi verdi che aveva e si chiese se
sarebbero rimasti tali una volta cresciuta. Sapeva che nel tempo si
cambiava ma sarebbe stato un peccato se quei piccoli gioielli
avessero perso quella bellezza.
“Perchè
hai scelto me per sconfiggere la tua solitudine?” le chiese,
non l'aveva vista molto in sintonia con gli altri bambini. Anzi, se
ne stava sempre attaccata alle gambe di Wammy, come se volesse con
lui pararsi dal mondo che la circondava.
Eppure
a lui si era avvicinato quasi subito e senza timidezza.
Alyssa
alzò le spalle. “Non lo so. Ma ho aspettato a
lungo...prima di trovarti. Quando ti ho visto per la prima volta, ho
sentito come se tu potessi essere l'unico in grado di....” si
bloccò di nuovo, quella semplice parola non riuscì a
varcare la barriera della sua voce.
“In
grado di?” ripeté Elle, confuso da quella improvvisa
interruzione.
La
bambina sorrise. “Di proteggermi. Di aiutarmi ad affrontare il
mondo.” rispose e i suoi occhi sorrisero con le sue labbra.
Il
bambino rimase abbagliato dalla bellezza di quella innocenza e sentì
qualcosa scattare in lui, come se quelle parole avessero rievocato in
lui il ricordo del loro primo incontro.
E
si rese conto di aver percepito anche lui quella sensazione.
Restò
un attimo in silenzio, voleva davvero proteggere quell'essere così
piccolo dal mondo.
“Promettimi
che non mi lascerai mai solo. Io farò la stessa promessa con
te.” le disse, sempre con freddezza.
La
bambina sorrise di nuovo e gli posò con decisione una mano sul
ginocchio. “Te lo prometto.” disse. “Non ti lascerò
mai solo.”
Ciao
a tutti! :)
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto! (anche se sono certa che qualcuno
vorrà spararmi dopo questo finale!)
E
scusate se è troppo lungo, il prossimo sarà decisamente
più corto!
Alyssa
e la fortuna sono sempre state molto amiche, come avete notato, e
credo che in questo capitolo si noti più che negli altri! XD
Spero
che anche i flashback vi siano piaciuti, li ho riportati all'inizio e
alla fine di questo capitolo per mettere in risalto la brutta
situazione in cui si è trovata Alyssa e che potrebbe rompere
la promessa fatta da lei ad L....
E
ora passo ai ringraziamenti: ringrazio chi legge questa storia in
silenzio e chi recensisce, i vostri commenti mi aiutano ad andare
avanti con questa fanfic e a farmi capire in cosa devo migliorarmi!
Ringrazio
anche coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite,
preferite e ricordate!
Alla
prossima!
Buon
fine settimana a tutti voi! ^^
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Capitolo 15 *** In The White Light ***
-In
The White Light-
Più
dolce sarebbe la morte se il mio ultimo sguardo avesse come
orizzonte il tuo volto.
E
se così fosse, mille volte vorrei nascere per mille volte
ancor morire.
William
Shakespeare
“Siamo
spiacenti, il numero da lei chiamato non è al momento ragg...”
Elle
chiuse il telefono e lo posò sulla superficie davanti a sé.
Il suo sguardo tornò a concentrarsi sugli schermi dei monitor
accesi di fronte a lui, mentre ordinava alla sua mente di non
arrabbiarsi con Alyssa.
“Non
ti ha ancora risposto? Anche Misa non risponde al suo telefono...”
disse Light dall'altra parte della stanza mentre usava il telefono
fisso sulla scrivania.
Volse
il suo sguardo verso il detective e analizzò il suo profilo:
come al solito era freddo e impassibile, ma c'era qualcosa di diverso
nel suo sguardo, come se l'ombra della preoccupazione avesse velato i
suoi occhi scuri.
Elle
non rispose, guardò di nuovo il cellulare vicino al suo
computer e pensò che Alyssa non avrebbe mai spento il
cellulare durante l'orario di lavoro. Anche se era infuriata con
tutti, non avrebbe mai compiuto una mancanza simile per fargli un
dispetto.
Poi
si sentiva strano.
Aveva
avvertito una specie di dolore al petto poco prima e che stava ancora
perdurando fastidiosamente.
E
non gli dava tregua.
Si
portò la mano sopra di esso, chiedendosi perchè
avvertisse quello strana e grave sensazione pesare su di sé.
Lo
definì come un brutto presentimento, anche se non aveva
mai creduto in niente del genere.
Gli
sembrava di sentire come se fosse successo qualcosa di terribile.
Riprese
il telefono e digitò nuovamente il numero di Alyssa. Si
ritrovò ad essere arrabbiato con lei, ma solo perchè la
voleva vedere rientrare subito da quella porta e soffocare l'angoscia
che si era creata dentro di lui.
Quel
peso sul suo petto si fece più pressante, quando la voce
registrata annunciava di nuovo che il numero non era raggiungibile.
Prese un lungo respiro e lasciò di nuovo il telefono davanti a
sé.
Che
si stesse costruendo solo delle paranoie? Non era da lui, farsi dei
complessi basati sul nulla era un tipico comportamento che mal
sopportava e che non gli era mai appartenuto.
“Forse
stanno tornando..” disse Light, abbassando la cornetta del
telefono e avvicinandosi poi ad Elle. Si sedette sulla sedia girevole
poco distante da lui e la catena dell manette cadde fragorosamente a
terra. In quel momento entrò Watari, con un carrello dove
aveva posato dei biscotti e delle tazze di thé, da offrire ai
due ragazzi e ai poliziotti che stavano invece seduti sui divani
lontani dai monitor e stavano analizzando dei fogli che Elle aveva
loro ordinato di studiare con attenzione.
La
voce di Matsuda ogni tanto rompeva il silenzio mentre se la prendeva
con Aizawa per i suoi continui rimproveri, Soichiro Yagami invece
guardava ogni tanto verso il figlio e il detective con
preoccupazione.
“Bevete
un po' di thé.” disse loro Watari, indicando gentilmente
le tazze di porcellana sul suo carrello. Elle sentì davvero il
bisogno di abusare di quei biscotti, sperò così di
alleggerire il suo petto da quello strano peso inspiegabile che
ancora sentiva premere sul suo cuore.
Si
girò rapidamente sulla sua poltrona, in modo da ritrovarsi di
fronte il carrello di Watari e
si
accorse che l'uomo aveva preparato anche quella di Alyssa.
Stonava
con il resto del servizio di tazze che l'uomo aveva preparato:
rappresentava una faccia blu sorridente, con una scritta in cinese
che significava “Buongiorno!” e che metteva allegria al
solo sguardo.
Proprio
come lei.
Il
fatto che fosse là, di fronte a lui, lo risollevava un po' da
quella inquietudine che lo stava consumando dentro.
“Oh
ne avevo proprio bisogno!” esclamò Matsuda, alzandosi in
piedi insieme ai suoi colleghi e Aizawa lo rimproverò di non
aver fatto proprio nulla di esorbitante per meritarsi una pausa.
Elle
lanciò un'occhiata al cellulare dietro di sé e pensò
che forse si stava facendo davvero dei problemi inutili, intanto
squillò quello di Light che si era alzato in piedi per
avvicinarsi a Watari.
Il
detective lo guardò mentre dava loro le spalle per parlare con
qualcuno, probabilmente con Misa e la cosa bastò a
tranquillizzarlo ulteriormente.
Allungò
il braccio per raggiungere i biscotti posti vicino alle tazze...
Non
seppe come, ma successe.
Urtò
involontariamente la tazza di Alyssa e il tempo parve fermarsi.
Il
thé che si trovava all'interno si infranse sul pavimento, la
tazza sembrò rimanere sospesa nell'aria prima che l'impatto la
distruggesse in diversi frammenti. Il sorriso allegro su di essa
scomparve, venne spezzato in varie piccole forme che si
sparpagliarono sopra la pozza di thé.
Calò
qualche attimo di silenzio, mentre Elle fissava intensamente ciò
che restava di quell'oggetto.
Watari
si chinò per pulire con un panno che aveva con sé,
sostenendo che non fosse successo nulla.
Ma
non poteva essere nulla.
Non
poteva essere che quell'avvenimento potesse essere spiegato
razionalmente con il termine incidente. Non con quello che gli
stava succedendo dentro da pochi minuti a quella parte, era come se
il cuore pulsasse più lentamente e che ogni suo battito si
scontrasse con la gabbia toracica che avrebbe dovuto contenerlo.
Light
chiuse di colpo il telefono e si voltò verso di loro, Elle si
ritrovò ad alzare lo sguardo su di lui.
Riconobbe
l'angoscia sui tratti delicati del suo viso, un'espressione che non
aveva mai visto prima di allora e che lo colpì talmente tanto
da allontanarlo da tutto ciò che lo circondava.
Capì
allora che non si stava sbagliando.
“Era
Misa.” disse loro, la sua voce tremante portò
l'attenzione di tutti sul suo viso. Prendeva dei lunghi respiri, come
per trovare coraggio nell'ossigeno di quella stanza. “È...successa
una cosa grave..”
Rivolse
il suo sguardo poi su Elle, che avvertì quel peso sul suo
petto trasformarsi in un qualcosa di tagliente e penetrante, qualcosa
che smetteva di premere sul suo cuore ma che aveva iniziato a farlo
sanguinare.
Alyssa...
Una
lunga serie di luci bianche si susseguirono rapidamente davanti ai
suoi occhi.
Le
sembrava di essere leggerissima, come una piuma sollevata nel vento.
Il
suo corpo era come dissolto nell'aria e sentiva di non avere più
una forma e un peso, era come se la sua anima si fosse liberata dalla
sua gabbia di carne e stesse librandosi verso quelle bellissime luci.
Socchiuse
le palpebre, quando udì delle voci che sembravano lontane ma
di qualcuno che era troppo vicino a lei.
Improvvisamente
le sembrò di avvertire un grosso peso sul suo corpo, come se
un macigno fosse piombato su di lei e le stesse schiacciando gli
arti.
Il
dolore si faceva intenso per brevi ma intensi tratti che volevano
farla gridare, ma poi scompariva di nuovo quando tutti i suoi
pensieri parvero annullarsi.
“Resisti,
piccola. Ce la farai.”
L'irrealtà
di quelle luci bianche mutò, affilò ancora di più
lo sguardo e riconobbe in loro qualcosa di artificiale. Non erano
naturali, erano solo abbaglianti luci al neon che si rincorrevano
davanti al suo sguardo.
Volse
la testa da un lato, qualcosa premuto sulla sua bocca parve
obbligarla a respirare. Scorse diverse figure accanto a lei e non ne
riconobbe nessuna, parlavano ma le loro parole sembravano dileguarsi
nel silenzio mentre il dolore tornava a farsi sentire.
Si
accorse allora che si stava muovendo con loro, anzi erano proprio
loro che la stavano trasportando su qualcosa di morbido, ma che
sembrava lo stesso un letto di spine per la sua schiena.
Ordinò
alla propria mano di alzarsi, ma non trovò il suo braccio. Le
parve di non sentirlo nemmeno attaccato al resto del suo corpo.
Perchè
non aveva più un corpo. E se così era, voleva
dire che era arrivata alla fine.
Cercò
l'aria con tutta sé stessa, ma quella ricerca le procurò
solo un forte dolore al petto. Non lo sopportava, ma voleva dire che
la sua anima era ancora incatenata alla sua prigione di sangue e che
la sua vita non era ancora giunta al termine.
Gettò
la testa all'indietro, non voleva entrare nella luce bianca.
Aveva
tante cose da fare prima di lasciare quel mondo.
Prima
che le sue labbra lasciassero spazio al loro ultimo respiro.
Prima
di ascoltare l'ultimo battito del proprio cuore.
Le
lacrime le salirono agli occhi quando provò a gridare, la voce
le si smorzò in gola e quell'urlo parve annullarsi nel dolore
che la stava stringendo a sé.
“Un
nome. Concedimi almeno di pronunciare un nome.”
Riconobbe
la sua voce, che nessuno però poté sentire se non la
sua mente.
Non
voleva morire, non era giusto. Era troppo giovane e non aveva ancora
sperimentato a fondo la vita, non l'aveva conosciuta così bene
per dirsi soddisfatta e lasciarla andare per sempre.
Aveva
molti sogni da raggiungere, molti rimpianti da cancellare, molti
sorrisi da concedere alle sue labbra, molti pianti da regalare ai
suoi occhi...
Ma
se proprio era stato deciso, se proprio doveva lasciare quella terra
prima del tempo dovuto, pregò di
rivederlo almeno un'ultima volta.
Non
credeva nella religione, ma doveva per forza esserci un luogo da
raggiungere dopo la morte.
Anche
se quel luogo si chiamava nulla, lei
non poteva permettersi di andarsene senza aver impresso nella sua
mente il viso della persona che aveva amato più al mondo.
Si
arrese alle lacrime, quelle scesero pesanti sulle sue guance,
segnandole il viso con delle lunghe strisce di fuoco che valevano
come sale sulle ferite.
Tornò
a guardare quelle luci bianche che si susseguirono troppo velocemente
e si ritrovò a percorrere le tappe della sua vita.
Le
sembrò di rivedere il volto di Wammy, quello era un ricordo
immediatamente successivo alla sua nascita e che era rimasto assopito
dentro la sua mente per tutti quegli anni.
La
morte che sembrava così vicina in quel momento, lo riportò
a galla in un oceano di ricordi perduti e poi ritrovati.
Le
sembrò di sentire ancora le braccia di Wammy che la
stringevano con delicatezza, come per regalare un bellissimo inizio a
quella che sarebbe stata poi definita la sua vita.
Sei
un essere speciale , piccola mia, ed io avrò cura di te.
Erano
quelle le parole che riconobbe negli occhi blu dell'uomo, mentre le
regalava il primo sorriso della sua esistenza.
Le
riaffiorò alla mente anche un altro ricordo che la sua mente
aveva perduto nel tempo: rivide sé stessa sola, sopra
un'altalena nel cortile del suo istituto mentre guardava un'altra
bambina fuori dal cancello del giardino, mentre stringeva la mano
della sua mamma e la guardava sorridente.
Alyssa,
la sua mamma, non l'aveva mai vista.
Era
uno dei suoi sogni poterla incontrare, anche solo una volta
per guardarla negli occhi e
chiederle perchè non le avesse voluto abbastanza bene da
prendere parte alla sua vita.
Aveva
sempre desiderato pronunciare la frase “ti voglio
bene, mamma”, ma questo
non le era mai stato concesso e nemmeno la morte che aleggiava sul
suo essere parve volerglielo consentire.
I
ricordi successivi furono tutti legati a lui.
Da
quando lo aveva incontrato in quella fredda notte inglese, non c'era
stato un momento in cui non fosse stato presente. Quando gli aveva
preso la mano per la prima volta, aveva capito da subito che era lui,
quel bambino, la persona che cercava da sempre.
Era
proprio quella creatura piccola come lei, colei che le avrebbe
mostrato i colori della vita.
E
non si sbagliava: fiducia, amicizia, amore,
erano tutte gioie che lui le aveva insegnato e che lei aveva
sperimentato sulla sua pelle.
Un
singhiozzo uscì dalle sue labbra. “Elle...”
sussurrò lentamente quel nome, mentre un'altra lacrima
scorreva lungo la sua guancia, sentì quel movimento sulla sua
pelle e pensò che non lo avrebbe mai dimenticato.
Quanto
avrebbe voluto disegnare sull'ultima pagina della sua vita,
l'immagine del suo viso.
Le
palpebre si fecero pesanti, quelle bianche luci si unirono in un
unico bagliore che le colpì gli occhi. Comprese allora che
l'epilogo della sua vita sarebbe stata segnata da una pagina bianca.
Poi
il buio.
“Ti
ho detto di no!”
“È
per i capelli rosa? Guarda che me li tingo, non c'è
problema!”
Elle
si voltò verso di lei, Alyssa si fermò di colpo davanti
a lui e si ritrasse per non scontarsi con il suo corpo. “Non è
solo per i capelli rosa, Aly. È anche per i piercing, per i
tuoi abiti poco ordinari...e per il fatto che non voglio.”
precisò Elle, portandosi le mani dentro le tasche dei jeans e
restando fermo davanti a lei lungo il corridoio.
Le
pareti non erano più come le ricordava, era state ridipinte di
un color ocra che trovò fastidioso per gli occhi. L'unica cosa
che non era mutata era la sua vecchia camera, che si trovava chiusa
in fondo a quel lungo corridoio, uno dei tanti della Wammy's House.
La
sedicenne Alyssa si portò le mani sui fianchi e storse la
bocca in un modo che solo lei sapeva fare. “Tesoro mio, in
quanto a stranezza tu non puoi proprio dire nulla.” disse e lo
squadrò dalla testa ai piedi.
Elle
fece lo stesso con lei, osservò la sua t-shirt e i suoi
pantaloni neri. I capelli erano a caschetto e di un rosa chiarissimo,
che nemmeno una persona miope avrebbe potuto non notare, sul labbro
superiore pendeva un vistoso piercing a forma circolare, battuto in
grandezza da quello che aveva sulla lingua.
Elle
non riusciva a credere che si fosse rovinata il viso in quel modo,
solo per mostrare la sua ribellione alla società. Alyssa era
brava nel compiere quei colpi di testa, solo per soddisfare i suoi
capricci e per mostrarsi diversa da tutti gli altri.
Ma
non servivano marchi di riconoscimento, lei lo era anche senza.
“E
comunque...perchè non vuoi che lavori con te!? chiese poi la
ragazza, spalancando le braccia. “Insomma, non sono un genio,
ma posso esserti d'aiuto più di molte altre persone. Ricordi
la promessa? Io voglio mantenerla.”
“La
voglio mantenere anche io.” precisò Elle, si zittì
per un attimo quando scorse alcuni bambini svoltare l'angolo del
corridoio e superarli rapidamente.
Alyssa
sorrise e accarezzò la testa di uno di loro con dolcezza,
tanto che quell'immagine lo colpì parecchio.
“Ma,
dopo quello che è successo con William, dubito che tu possa
lavorare con me con la serenità necessaria.” concluse,
dopo un lungo attimo di silenzio.
A
quel nome, il volto della ragazza s'incupì. Lo vide farsi
serio e trasformarsi in una maschera di angoscia, dovuto a ricordi
che non facevano propriamente parte del passato, visto che si
riflettevano anche nel presente.
Bastava
una sola parola, un solo nome per riportarli a galla e renderli parte
della realtà presente.
Elle
provò a rimediare, ma l'amica glielo impedì. “Io
voglio seguirti.” gli disse solo, facendosi seria. “Ma
non voglio farlo in vesti di cuoca, di badante o di mocciosa con cui
giocare a monopoli quando hai tempo libero! Io voglio aiutarti, lo
voglio davvero.”
Elle
aveva un attimo sorriso quando la ragazza aveva citato il gioco del
monopoli, alzò lo sguardo su di lei e studiò a lungo il
suo volto tremendamente determinato.
Aveva
alzato le sopracciglia e il ragazzo pensò che se avesse posto
un piercing anche su di esse rovinando così la bellezza di
quello sguardo, non l'avrebbe mai perdonata.
“La
vita che faccio non è facile: ti priva di libertà, di
scegliere e ti costringe a mettere da parte tutto per sacrificarti al
lavoro. Vuoi davvero seguire le orme di una vita simile?” le
chiese.
Si
aspettò di vederla tentennare nel analizzare le prospettiva di
quella vita a cui aveva deciso di prendere parte.
Ma
non fu così.
Alyssa
restò ferma nella sua convinzione, allungò le mani
verso di lui e gliele prese.
Come
facevano da piccoli, quando lei lo costringeva a fare il girotondo
insieme. Ma in quel momento era lei che voleva gettarsi nel suo
girotondo, decidendo di prendere parte alla sua vita.
“Tu
mi hai detto che sei la giustizia, una volta.” gli ricordò,
facendo riferimento a quando era andato a trovarla in ospedale dopo
l'aggressione di William. “Quel discorso non l'ho mai
dimenticato, mi ha accompagnato per tutti questi anni e mi ha aiutato
ad affrontare il fantasma di William. Quelle parole mi hanno
accompagnata anche quando sono andata a trovare Judith al cimitero.
Più leggevo il suo nome, più pensavo che volessi essere
anche io parte della giustizia.”
Elle
ascoltò le sue parole con attenzione, mentre le loro mani
erano ancora strette. La ragazza ogni tanto le stringeva di più,
mentre pronunciava i nomi dei protagonisti della sua tragedia.
“Non
devono esserci più inizi come quello di William e fini come
quella di Judith...e penso che non sia giusto che tu voglia
impedirmi di decidere della mia vita...non credi?”
Alyssa
concluse ,con quel chiaro tentativo di farlo sentire in colpa, il suo
discorso.
In
apparenza poteva sembrare una ragazza come tutte le altre, forse
troppo esuberante, ma come tutte le altre. Invece aveva una
sensibilità e una forza d'animo che la portava ad essere
davvero più grande degli altri.
Anche
lei era fuori dall'ordinario e il fatto che non lo sapesse,
sottolineava ancora di più il pensiero del detective.
Elle
pensò alle sue parole e se la immaginò al suo fianco
mentre lavorava con lui in nome della giustizia. Non poteva scegliere
alleata migliore, ma poteva essere così egoista da privarla di
avere una vita normale? La guardò negli occhi, Alyssa lo
guardava intensamente e facendogli capire che ormai aveva preso lei
quella scelta.
Abbozzò
un sorriso e le lasciò le mani. “Tu l'hai presa proprio
a cuore quella promessa, non credi di esagerare?” le chiese.
Alyssa
rise e alzò le spalle. “Io le promesse le mantengo
sempre e nei migliori dei modi.” rispose, portandosi le mani
sui fianchi. “Non ti libererai di me così facilmente.”
Non
vorrai rompere la promessa?
Elle
non riusciva a credere di trovarsi di nuovo in una situazione del
genere. Ripercorse con la mente degli avvenimenti del suo passato,
legati a quelle pareti ospedaliere che tanto aveva odiato. Ricordare
era una cosa che odiava fare in quei casi, perchè quei
demoni maledetti che si facevano largo nella sua mente, lo
addoloravano solamente.
Il
ricordo della felicità non era più felicità, il
ricordo del dolore era ancora dolore.
Quando
ricordava della sua infanzia con Alyssa, ai giochi che aveva passato
con lei, ai sorrisi che aveva condiviso con lei, provava solo un
senso di nostalgia per quella gioia ormai appassita e che sarebbe
rimasta solo un ricordo.
Quando
invece ricordava la morte dei suoi genitori, l'aggressione di Alyssa
e i suoi occhi spenti mentre la sua bocca si sforzava di sorridergli
dicendogli che credeva in lui, sentiva un atroce dolore al petto che
lo riportava a vivere con lo stesso intenso dolore quegli attimi.
Alzò
la testa e fissò la luce bianca della lampada al neon che
brillava fuori dalla cabina del bagno e che si rifletteva sul
soffitto color panna. Pensò che anche Alyssa, probabilmente,
doveva essere in balia di una luce simile, aveva sentito dire che la
si vedeva sempre quando si varcava la soglia tra la vita e la morte.
Morte.
No,
lui voleva pensare alla vita di Alyssa, a tutti i momenti che aveva
condiviso con lei, ma nel farlo si sentì morire
lui stesso. Perchè non conosceva il futuro di Alyssa, se l'era
immaginato molto spesso perchè lo vedeva simile al suo per
certi versi, ma in quel momento, mentre si portava una mano sugli
occhi e restava con la schiena sulla ruvida parete del bagno, vide
solo una serie di immagine ripercorse a ritroso, come se la vita di
Alyssa fosse diventata un film il cui finale era appena stato
cancellato.
Lei
non poteva morire.
Quando
aveva sentito il dottore dire loro che la stavano operando di urgenza
e che le sue condizioni erano gravi, lui si era davvero sentito
morire. Prese dei
lunghi respiri e ritrovò il ricordo di sé stesso che,
in balia di quella che doveva essere la disperazione, pochi minuti
prima si diresse in quel bagno per restare solo.
Lei
non doveva morire.
Tirò
un pugno sulla parete, avvertì un intenso dolore alle nocche
delle mani ma quello non servì a sopportare la pena che
portava dentro. Avrebbe voluto colpire quella parete fino a rompersi
la mano pur di sconfiggere quel mostro che lo stava divorando dentro
sempre di più.
Lei
non poteva abbandonarlo, glielo aveva promesso.
Smise
di cercare dolore sulla parete e si portò la mano, ormai
completamente rossa, sopra gli occhi. Alzò la testa verso
l'alto e mise da parte tutte le sue convinzioni, dove non poteva
esserci nessuno oltre quel cielo che ascoltasse le preghiere di tutti
i piccoli esseri umani.
In
quel momento però, Elle decise di credervi, perchè la
ragione lo avrebbe solo portato a credere che avrebbe perso per
sempre lei. Aveva bisogno di sperare che ci fosse giustizia
anche in una vita ultraterrena e che qualcuno concedesse ad Alyssa di
mandare avanti la sua vita, di mantenere quella promessa.
“Se
ci sei, se esisti, se ascolti...ti prego non portarmela via.”
ascoltò il sussurro della propria voce, flebile come non era
mai stata prima. “Se sei giusto, se se magnanimo come tutti
sostengono, non puoi portarmela via. Lei deve vivere. Se la
porti con te, saranno anche altre persone a morire.”
Penso
a lui. Penso a Watari.
Quest'ultimo
si mostrò visibilmente distrutto alla notizia dell'incidente
di Alyssa, l'ultima immagine che aveva di lui era seduto su una sedia
in sala d'aspetto, con il volto tra le mani e un evidente dolore che
si impadroniva nel più profondo di lui. Era stato il primo a
prendere in braccio Alyssa appena nata, l'aveva stretta a sé e
le aveva promesso che l'avrebbe difesa per sempre. Non era giusto che
quelle braccia che l'avevano accolta alla nascita, dovessero
accoglierla così presto anche nella morte.
Per
Elle poi, il primo incontro con Alyssa era ancora vivo nella sua
mente, quando lei lo prese per mano e lo condusse verso quella che
sarebbe stata la loro vita insieme.
Se
quello doveva essere l'epilogo di tutto, qualcuno lassù non
poteva permettergli di prendere un'ultima volta quella mano?
Si
sedette sul pavimento, quando decise di non voler pensare più
a nulla.
Ogni
parola che la sua mente gli dettava, valeva quanto una pugnalata in
pieno petto.
Decise
di rimanere là, nella speranza che le sue preghiere da persona
non credente venissero comunque accolte.
“Dov'è
Ryuzaki?”
Light
guardò in fondo al corridoio della sala d'aspetto, ma non lo
vide rientrare.
Misa,
disperata e in lacrime, rimase con la testa adagiata sopra la spalla
di lui. Si stava torturano le labbra con la mano, aveva
quell'espressione sul viso da quando erano giunti di corsa in
ospedale dopo la sua chiamata. La bionda si accusò di essere
colpevole di quello che era successo alla povera Alyssa, l'aveva
coinvolta in un piano per smascherare Higuchi e si disse che, se non
l'avesse mai fatto, lei a quell'ora sarebbe stata sana e salva.
Le
parole di conforto di Light e del sovrintendente valsero a poco, Misa
sembrava davvero distrutta.
Nessuno
poi ebbe il coraggio di chiedere nulla riguardo l'andamento di quel
piano.
In
quel momento importava poco.
Matsuda
e Aizawa rimasero al quartier generale per tenere d'occhio la
situazione, ma il primo riempì la casella vocale del
sovrintendente di messaggi per sapere delle condizioni di Alyssa.
Watari
era invece seduto in una sedia di fronte a Light, il suo era il
tipico sguardo di un padre che non poteva fare nulla per salvare la
figlia che giaceva tra la vita e la morte.
Restò
sorpreso dalla forza d'animo di quell'uomo e di Elle, entrambi non
piangevano perchè attraverso le lacrime tutta la speranza
sarebbe scivolata via dal corpo e dall'anima.
“Non
lo so, forse sta prendendo aria...” rispose il sovrintendente
guardandosi alle spalle, mentre camminava avanti e indietro tra loro.
Light
restò con le mani tra le ginocchia, mentre Misa lasciò
ancora la testa sopra la sua spalla. L'odore di medicinali era
insostenibile, ricolmava completamente l'aria di quello stretto
corridoio e sembrava che racchiudesse in sé la morte che aveva
accompagnato diverse anime tra quelle mura.
Tutti
sperarono che Alyssa non sarebbe stata una di quelle anime.
Quanto
era passato dal loro arrivo? Light alzò lo sguardo
sull'orologio e si accorse che erano lì da ore. Era notte
fonda, eppure il sonno e la stanchezza non si erano posate su nessuno
di loro.
“Il
dottore!” esclamò Soichiro, a quelle parole balzarono
tutti in piedi come delle molle, mentre guardavano il piccolo uomo in
camice bianco avvicinarsi rapidamente a loro.
Watari
fu il primo ad alzarsi e si avvicinò al medico, prima che lui
li raggiungesse.
“Come
sta? Sta bene?” chiese, quel timbro così gentile e
docile era leggermente incrinato nel dolore. Sembrava un lamento
angosciante, di una persona che aveva paura di ottenere una risposta.
Il
medico sospirò, si strinse una cartella clinica al petto e si
tolse gli occhiali. Quei gesti durarono pochi secondi che valsero
un'eternità, resero la risposta a quella domanda troppo
distante da loro.
Ma
dov'era Elle? Light si guardò di nuovo indietro e non lo vide
da nessuna parte.
“La
ragazza non è più in pericolo di vita, l'abbiamo curata
giusto in tempo prima che fosse troppo tardi.” rispose il
dottore e l'aria tornò improvvisamente respirabile, come se
fino ad allora non ci fosse stato abbastanza ossigeno per tutti.
Watari sorrise debolmente, il suo anziano viso riprese un po' di
colorito e i suoi occhi azzurri sembrarono riaccendersi di una nuova
luce. “Ha però una spalla lussata, una mano rotta e un
lieve trauma cranico, dovrà restare in coma farmacologico per
qualche giorno.”
Misa
batté le mani entusiasta e gettò le braccia al collo di
Light, che restò immobile guardando il viso del dottore. Volse
poi il suo sguardo verso suo padre che stava dando una pacca sulla
spalla di Watari, gli occhi chiari dell'uomo si erano bagnati di
lacrime, nella gioia di non dover essere uno dei tanti padri
costretti a seppellire uno dei propri figli.
“Vado
a dirlo a Ryuzaki.” disse Light, rivolto più a sé
stesso che alle persone che erano con lui.
Camminò
lungo il corridoio con un sorriso di sollievo sulle labbra e, non
seppe perchè, ma sentiva che avrebbe trovato Elle proprio in
quel posto. Spalancò la porta del bagno degli uomini e lo
trovò intento a lavarsi il viso davanti allo specchio,
sembrava che avesse annullato tutti i pensieri e che la sua mente
stesse vagando in uno spazio vuoto dove ricordi e dolore non lo
avrebbero raggiunto.
“È
salva!” disse, lasciandosi la porta aperta alle spalle.
Elle
alzò lo sguardo su di lui, tenendo le mani sopra il lavabo.
Una goccia d'acqua rimase sospesa sotto il suo mento, per poi cadere
quando il detective diede un senso a quella due parole.
Un
sorriso si allargò sulle sue labbra e per poco si ritrovò
a ridere per la gioia di non averla persa.
Abbassò
la testa, mentre Light sorrideva con lui.
Senza
rendersene conto, entrambi non diedero peso alla ragione e credettero
che un vero miracolo avesse avuto luogo nelle loro vite.
Passarono
giorni e giorni e Alyssa si sarebbe potuta risvegliare da un momento
all'altro.
Elle
non volle abbandonarla, voleva essere lì quando lei avrebbe
riaperto gli occhi.
Doveva
sapere che non sarebbe stata più sola.
In
quei pochi momenti che si era concesso per dedicarsi totalmente a
Kira, Elle scoprì che Misa aveva ottenuto effettivamente una
confessione da parte di Higuchi. Quest'ultimo sosteneva di voler
interrompere gli omicidi per mostrare alla ragazza di essere il vero
Kira così che lei lo avrebbe poi sposato.
E
le morti si arrestarono per davvero.
Il
detective insieme a Light e ai membri della polizia che collaboravano
con lui, misero in atto un piano per poter cogliere Higuchi con le
mani nel sacco. Fortunatamente ci volevano un po' di giorni per
metterlo in pratica, così che lui avesse il tempo di restare
accanto ad Alyssa e attendere che si risvegliasse.
Restò
seduto sulla sedia accanto al suo letto e la guardava, la ragazza
aveva un enorme livido violaceo sull'occhio destro, una benda le
circondava la testa e i capelli e il braccio era ben fasciato e
stretto contro il petto. Un rumore metallico e fastidioso accanto a
lei segnava il regolare battito del suo cuore.
Elle
si alzò in piedi, erano ore che se ne stava seduto là
con lo sguardo rivolto verso il televisore appeso in alto, dove stava
andando in onda un vecchio film americano in bianco e nero che trovò
noioso e smielato. Si avvicinò a lei e rimase in piedi accanto
al suo letto a guardarla, le sue labbra a cuoricino erano leggermente
dischiuse in un respiro lieve, silenzioso come il battito di una
farfalla.
“Mi
hai lasciato solo per ben otto giorni...” sussurrò,
continuando ad accarezzare con lo sguardo i tratti del suo viso.
“Quando ti decidi a tornare?”
Non
ottenne risposta, si sentì poi in colpa perchè aveva
letto di una teoria in cui le persone in coma potevano sentire tutto
ciò che le circondava. Magari, con quelle parole, Alyssa
avrebbe frainteso pensando che lui ce l'avesse con lei?
Deglutì,
se quella teoria era vera allora doveva fare altro.
Si
sedette sul bordo del letto, posò le mani accanto alla sua
testa e continuò a guardarla. La trovò sempre
bellissima, per lui non c'erano quelle bende, non c'era quel livido
sulla sua pelle e non c'era quel pallore che privava il suo volto del
suo naturale colore.
Lei
era Alyssa ed era sempre bella come il sole per lui.
“Se
puoi sentirmi, voglio che tu sappia quanto debba ringraziarti per
aver mantenuto la promessa.” le disse, ottenne come risposta il
rumoroso silenzio di quella stanza. Osservò le palpebre chiuse
di lei e il rumore della macchina accanto a loro continuò ad
intromettersi nell'atmosfera che si era creata tra loro.
Chinò
il viso su di lei.
Se
lei poteva sentirlo, doveva allora sapere una cosa.
Posò
le labbra sulla sua fronte e lo fece con delicatezza, la delicatezza
che si usa nei confronti di un oggetto troppo prezioso, da trattare
con cura per non romperlo. Quando le sue labbra si separarono dalla
fronte fredda di lei, abbassò lo sguardo sulle sue palpebre e
sperò quasi che, come nelle fiabe, lei aprisse gli occhi in
quel momento.
Si
sentì stupido nel pensarlo, ma si concesse di esserlo solo per
lei.
Piegò
la testa da un lato e alzò la mano, le sfiorò
delicatamente la testa con la mano e seguì la linea dei suoi
capelli corvini che ricadevano dolcemente sulla spalla.
Senza
rendersene conto, avvicinò repentinamente il viso al suo e
dischiuse le labbra sulle sue.
Erano
fredde, immobili ma lui cercò di trasmettergli il calore
necessario per far sì che tornasse a lui. La sua
fronte sfiorò quella di lei e i loro capelli neri si
incontrarono diventando un tutt'uno.
Sentì
il lieve respiro di lei entrare dentro di lui, mentre le loro labbra
rimasero a lungo legate in quel bacio. Quando si separò da
lei, si accorse di non aver mai respirato per paura che il soffio del
suo respiro potesse disturbarla. La guardò a lungo e un
sorriso si allargò sulle sue labbra.
“Non
farmelo dire, Aly. Già lo sai.” sussurrò,
osservando ancora il suo pallido volto. Non aveva ancora il coraggio
di pronunciare quelle due parole così belle e semplici, anche
troppo per lui.
Le
considerava quasi troppo grandi per farle uscire dalla sua bocca.
Le
palpebre di Alyssa si mossero lentamente. Elle restò di stucco
quando la vide mugugnare qualche verso per poi girare la testa, gli
occhi erano ancora chiusi ma trovarono la forza di aprirsi poco dopo.
Li posò su di lui, sembrò per un attimo non
riconoscerlo ma poi tutti i ricordi di una vita che aveva quasi
perduto riaffiorarono in lei.
“Ryu-Ryuzaki?”
chiese, la sua voce era un debole sussurro, le labbra restarono quasi
chiuse mentre pronunciava quelle parole. I suoi occhi chiarissimi
ripresero lentamente il loro colore mentre cercavano qualcosa in
quelli color petrolio di lui.
Elle
provò una immensa felicità nel vederli di nuovo posarsi
su di sè, abbassò la testa per un attimo e abbozzò
un sorriso. “Sono qui.” disse.
La
ragazza si mostrò confusa, si guardò attorno e
riconobbe le pareti di una camera d'ospedale. “Oh no..”
sussurrò, cercò di rizzarsi a sedere ma lui glielo
impedì. Già lesse il dolore che tale movimento le causò
nell'espressione di lei. “Non dirmi che ho combinato un casino
del genere!”
Elle
per poco scoppiò a ridere, di nuovo. Si grattò la nuca,
doveva andare a chiamare il medico per avvertirlo del risveglio di
Alyssa ma sentiva ancora il bisogno di restare un po' da solo con
lei.
“Non
hai combinato alcun casino, non cominciare.” le disse a suon di
rimprovero, ma con una punta di sarcasmo che la ragazza trovò
incredibilmente affascinante nella sua voce.
Si
guardarono a lungo, Elle le strinse delicatamente la mano, proprio
come nel loro primo incontro. “Hai mantenuto la promessa, per
davvero...” le disse.
Alyssa
lo guardò a lungo, tutti i pensieri e le paure che l'avevano
accompagnata nella morte tornarono prepotentemente a lei. Turbini di
dolore e malinconia si infransero contro il suo cuore mentre le
lacrime di gioia, tristezza, spavento bagnarono i suoi occhi.
Alzò
la mano per accarezzare il viso di Elle, trattenendo i singhiozzi che
rimasero intrappolati nella sua gola. “Stavo per infrangerla,
Ryuzaki.” disse, con voce tremante.
Elle
istintivamente si ritrovò a stringere il viso di lei tra le
mani, la fredda pelle del palmo di lei rimase adagiata sulla sua
guancia, mentre le sue dita giocavano con dei ciuffi dei capelli
scuri di lui. “Non stavi per infrangerla per volere tuo...e
fortunatamente tu sei qui ora. L'hai davvero mantenuta, hai lottato
per farlo e ci sei riuscita.”
Alyssa
storse le labbra in un broncio, calde lacrime scesero lungo la pelle
del suo viso ed Elle le cercò per asciugarle via prima che le
macchiassero le gote. Possibile che con quel dolore fisico e dopo
esser scampata alla morte, lei pensava sempre e solo a lui?
La
ragazza interruppe i mille interrogativi che gli invasero la mente,
abbracciandolo forte a sé.
Le
sue esili braccia gli circondarono la vita e posò l'orecchio
sul suo petto, come per ascoltare il battito di quel cuore che
sembrava freddo, ma non lo era. In quel momento batteva più
forte di quanto gli fosse mai stato concesso.
“Mi
dispiace per tutto, Ryu!” disse lei, piangendo sommessamente.
Elle
decise di non pensare, di allontanare qualsiasi pensiero gli
impedisse di cedere ai propri sentimenti e di ricambiare il gesto di
Alyssa. Le posò una mano sulla testa e l'altra sulla schiena,
facendola scorrere lungo la schiena di lei.
Il
silenzio li circondò di nuovo, divenendo partecipe del loro
nuovo rincontro dopo che la morte aveva quasi posto fine a tutto.
Restarono
così per diversi minuti, il tempo necessario affinché
Elle si convincesse che anche lui doveva mantenere la sua promessa.
Ciao
a tutti! ^^
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, malgrado sia pura depressione
dall'inizio alla fine, e che siate giunti fin qui senza
addormentarvi!
Mi
rendo conto che L è risultato parecchio OOC in questo
capitolo, ma vista la situazione alquanto drammatica me lo sono
immaginata in questi atteggiamenti ma temo lo stesso di averlo
interpretato male.
Altre
citazioni presenti nel capitolo, oltre quella iniziale dell'Amleto di
Shakespeare, ce ne sono altre:
-“Sei
un essere speciale, piccola mia, ed io avrò cura di te.”
è una rivisitazione della frase di una celebre canzone di
Franco Battiato “La cura”
-“Il
ricordo della felicità non è più felicità.
Il ricordo del dolore è ancora dolore.” è invece
una citazione di Albert Einstein.
E
lo so, mi vergogno nell'aver usato queste splendide parole per il mio
piccolo disastro! xD
Ringrazio
tutti coloro che leggono, sia i lettori silenziosi che coloro che
recensiscono.
Un
grazie anche a tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra
le seguite/ preferite e ricordate.
Ora
la smetto finalmente e vi auguro una buona giornata!
Alla
prossima e buona domenica! ^^
|
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Capitolo 16 *** The End Of The Affair ***
-The
End Of The Affair-
“Alyssa
smettila di fare i capricci e apri la bocca!”
Alyssa
non avrebbe mai pensato che Misa Amane avrebbe assunto le vesti di
mamma per tutto il periodo di convalescenza che avrebbe passato in
quello squallido ospedale. Volse le testa dall'altra parte, pur di
evitare la traiettoria di quel cucchiaino che conteneva quel
repellente budino. Doveva sapere di fragola, ma sapeva davvero di ben
altro.
“Misa
ti prego, non puoi procurarmi un bell'hamburger e farmi contenta?”
la implorò la mora, voltandosi verso di lei. Ma in quel gesto
le permise di approfittarne per rifilarle quel cucchiaino tra le
labbra, Alyssa sentì il sapore plastico di quella sottospecie
di cibo che si attaccava al suo palato e chiuse gli occhi per
mantenere la calma necessaria e non sputarlo sulle lenzuola che la
coprivano. Non sopportava più quella stanza d'ospedale, quel
odore nauseabondo di medicine e morte e quel cibo che le veniva
offerto ad ogni pasto e che sapeva di tutto fuorché di da
mangiare.
“Smettila
di fare la bambina e mangia questa roba. Almeno è più
leggera di quello che mangiavi solitamente...” le disse Misa,
restando seduta accanto al suo letto e guardando l'amica che scuoteva
la testa, dopo aver inghiottito quel disgustoso budino.
“Quello
che mangiavo solitamente non aveva il gusto di cacca di topo.”
rispose disgustata.
Alzò
lo sguardo sul televisore che pendeva sopra le loro teste, era
l'unica cosa che la salvava dalla noiosa routine in cui viveva da un
paio di giorni a quella parte. Ogni tanto la andavano a trovare
Watari e Matsuda, ma gli altri sembravano essere tutti impegnati con
la risoluzione del caso Kira.
Le
dissero che non c'era niente di importante in atto, ma Alyssa non lo
credeva: Elle aveva elaborato un qualche piano per beccare in
flagrante Higuchi, ma non le avrebbe sicuramente rivelato nulla
perché sapeva per certo che, se gliene avesse parlato, lei
avrebbe deciso di prendere parte al piano a tutti i costi. Anche con
la faccia piena di lividi, il braccio malandato e le gambe
intorpidite a causa della lunga permanenza a letto.
Aveva
pensato di programmare un piano di fuga dall'ospedale, ma era stata
anche messa sotto sorveglianza da Elle, attraverso Mogi che se ne
stava sempre fuori dalla stanza, attento che Alyssa non ne uscisse di
nascosto. Aveva programmato tutto, come al solito.
Afferrò
il telecomando accanto a sé e iniziò a cambiare
rapidamente canale, superando tutti i programmi di soap opera che
Misa le aveva rifilato per intere giornate. Si fermò un attimo
su un canale di musica e si voltò verso la bionda che in quel
momento stava annusando il contenitore di plastica da cui aveva preso
il budino e stava storcendo il naso disgustata.
Alyssa
le era riconoscente, era rimasta accanto a lei per intere giornate,
magari ne era anche obbligata, ma si vedeva che lo faceva anche per
farla stare meglio. Le aveva insegnato tutti i noiosi gossip
possibili, fatto vedere i telefilm più sdolcinati mai esistiti
ma le aveva asciugato le lacrime quando gli antidolorifici non
bastavano ad alleviare la pena fisica che spesso la raggiungeva.
Non
poteva che dirle solo grazie, anche se standole così vicino si
era accorta di molte cose.
Misa
era cambiata.
Era
una cosa che aveva notato dopo l'interrogatorio con la Yotsuba, ma
aveva pensato che fosse semplicemente sconvolta per essere stata così
vicina ad un ipotetico Kira. Però quel comportamento era
perdurato a lungo, anche in quei giorni passati insieme in ospedale,
sembrava come se Misa indossasse una maschera di cera, pronta a
sciogliersi alla prima fiamma che l'avrebbe sfidata.
A
quel punto, si ritrovò ad associare quella strana impressione
ad una delle tipiche conclusioni affrettate e incomprensibili che la
sua testa ogni tanto le regalava. Abbassò il telecomando e
prese un lungo respiro, sentendosi in dovere di dire una cosa a Misa.
“Grazie.”
pronunciò quella parola con voce bassa, tanto che persino a
lei giunse sconosciuta.
A
quel punto la bionda alzò lo sguardo su di lei, studiò
a lungo quelle iridi verdi che la stavano fissando e si schiarì
la voce. “P-per cosa, scusa?” le domandò sorpresa.
Alyssa
corrugò la fronte, la Misa che aveva conosciuto non se ne
sarebbe importata del motivo per cui lei la stesse ringraziando, ne
avrebbe gioito e basta. Sembrava come se sperasse di aver sentito
male, come se non volesse affrontare un qualcosa che la turbava.
Senso
di colpa? Perché
avrebbe dovuto provarlo in fondo?
“Non
ho mai avuto un'amica donna prima d'ora. L'unico amico che ho mai
avuto è stato Ryuzaki e lui mi ha insegnato tantissime cose,
pure troppe.” abbassò lo sguardo e lo posò sulle
lenzuola bianche che la rivestivano, mentre la voce di un attrice
alla televisione faceva da sottofondo alla loro conversazione. Al
pronunciare il nome di Ryuzaki, un lieve rossore le salì alle
gote e le colorò la pelle ancora troppo pallida per sembrare
naturale. “Però anche tu mi hai insegnato qualcosa, se
non fosse per te non saprei nemmeno come finiva il film del “Titanic”
per esempio...il che forse sarebbe stato un bene, perché mi ha
messo l'angoscia quel film..”
Alyssa
sorrise, ma Misa no. Rimase ad osservarla in silenzio, con quella
strana espressione sul volto che la mora non riuscì a
decifrare.
Perché
non riusciva a scacciare la sensazione che si trovasse di fronte ad
un'altra persona? “Quindi...arigatou per
essermi stata così vicino. E gomenasai se
sono stata poco carina con te qualche volta.” concluse,
sentendosi in completo imbarazzo. Non era da lei fare certi discorsi,
li considerava un po' smielati e fuori dal suo modo di comportarsi,
ma non poteva fare altrimenti. Le doveva un po' di gratitudine.
Misa
abbassò lo sguardo dopo quell'ultima frase, trattenne il
respiro tra le labbra scarlatte e deglutì. “Non devi
ringraziarmi di nulla, anche tu mi sei stata molto d'aiuto di questi
tempi.” rispose, ma la sua voce non lasciava trasparire
emozione alcuna. I suoi occhi color nocciola erano sinceri, ma
sembravano comunque nascondere qualcosa al loro interno che
disorientava Alyssa. Magari stava solo nascondendo il piano che Elle
e gli altri avevano messo in atto?
“Sai
che ti dico, oggi sei troppo melodrammatica per i miei gusti e vado a
prenderti una cola, sperando che i medici non mi becchino con le mani
nel sacco.” Misa riprese il sorriso, troppo velocemente
affinché risultasse sincero. Alyssa la guardò scattare
in piedi con un balzo ed evitare deliberatamente il suo sguardo,
prima di fiondarsi sulla soglia della porta e scomparire dietro di
essa.
Scosse
la testa confusa, ogni pensiero valeva quanto una martellata per la
sua testa ancora dolorante e decise di annullare tutto e tornare a
concentrarsi su quella ancora di salvezza che poteva scacciare la
noia. Cambiò velocemente canale, fino a quando giunse alla
Sakura tv, dove stava andando in onda uno dei soliti speciali su
Kira.
Solo
che in quel caso sembrava diverso, sul messaggio in sovrimpressione
vi era scritto che sarebbe stata rivelata l'identità di quel
famigerato assassino alla fine del programma.
Alyssa
corrugò la fronte confusa, pensò che si trattasse di
una solita bufala, ma quelle figure nascoste dietro a quei pannelli e
le cui ombre si muovevano nell'oscuro silenzio di quello studio non
la convincevano.
Anzi,
una delle due ombre aveva un profilo che le parve di conoscere e che
si ritrovò ad associare a quello di Matsuda. Ma non poteva
dirlo con certezza: Matsuda non era l'unico ad avere dei capelli a
caschetto come quelli e inoltre la sua voce era camuffata al computer
per far sì che non si riconoscesse. Si chinò in avanti
e guardò con più attenzione, trovò insolito che
un programma del genere andasse in onda proprio in quei giorni,
quando avevano scoperto chi fosse il vero Kira.
Sussultò
quando il pannello cadde e l'identità di una delle due ombre
fu chiara a tutti: Matsuda rivolse lo sguardo verso la telecamera, la
sua espressione era a dir poco sconvolta e con le mani cercava di
coprirsi il volto, mentre due tecnici accorrevano a rialzare il
pannello che lo tenne nascosto fino ad allora.
Alyssa
rimase per tutto il tempo con la mano sulle labbra e il cuore che
batteva all'impazzata. Era chiaro che quello era un piano di Elle e
che anche la caduta di quel pannello non era stata casuale, ma se
Kira lo avesse fatto fuori? Prese un lungo respiro per calmarsi,
Matsuda non poteva morire perché Higuchi conosceva solo il suo
nome da manager e non quello reale. Inoltre credeva che Misa fosse il
secondo Kira e che quindi avesse lei il potere più forte, ciò
significava che non poteva uccidere senza conoscere il vero nome di
una persona.
Sobbalzò,
quando sentì dei passi correre lungo il corridoio silenzioso e
vide Misa affacciarsi alla porta con un'espressione affannata sul
viso e il fiatone. “Ti prego...dimmi che non hai messo sulla
Sakura tv!” la implorò.
Alyssa
la guardò sconvolta, lanciò un'occhiata verso il
televisore e poi di nuovo verso Misa. “Che sta succedendo,
Misa?” le chiese. La bionda guardò verso lo schermo e
riconobbe una pubblicità di rossetti che lei stessa aveva
girato, si fiondò sul telecomando e lo strappò di mano
ad Alyssa con facilità per poi spegnere la televisione. “Non
posso dirtelo, mi spiace.” disse e sembrava realmente desolata
nel doverle mentire.
Alyssa
la guardò a bocca aperta, non poteva credere che fossero
giunti quasi alla fine e che lei non potesse prenderne parte per
colpa della sua condizione fisica. Cercò di alzarsi dal letto
di scatto, intensi e dolorosi brividi le corsero lungo tutta la
schiena e le fecero gemere. Deglutì, fermandosi prima che quel
dolore divampasse su tutto il corpo.
“Stai
ferma, Aly. Non puoi ancora muoverti.” Misa le si avvicinò
lentamente e le posò le mani sulle spalle per bloccarla. “Non
preoccuparti, ci penseranno Light e Ryuzaki a tutto.”
“Tu
non capisci Misa...voglio esserci quando lo prenderanno. Ho assistito
all'inizio di questa storia, perché non posso vederne la
fine?” cercò di replicare Alyssa, ma la sua voce era
leggermente incrinata per via del dolore fisico che provava. Misa
continuò a tenerla ferma, usando pochissima forza nelle sue
mani dato che la ragazza era già indebolita di suo.
“Non
preoccuparti. È tutto finito, Aly.” le disse per
confortarla, sorridendole dolcemente affinché si rendesse
conto che la parola fine stava davvero per essere segnata in
tutta quella faccenda.
Alyssa
la guardò immobile, per poco non mosse nemmeno le palpebre
quando udì quelle parole. Serrò le labbra e pensò
a cosa stesse facendo Elle in quel momento, magari stava già
mobilitandosi per andare a prendere Higuchi.
E
lei non c'era.
Gettò
la schiena sui cuscini dietro di sé e abbassò gli
occhi, pensando che quella situazione fosse irreale. Possibile che
stesse tutto per finire davvero?
Misa
restò accanto a lei e la guardò preoccupata ma Alyssa
restò con gli occhi persi nel vuoto. Le dispiaceva solo che
lei non potesse prendere parte a quell'epilogo che tanto aveva
aspettato.
*
* * *
“Chi?”
Era
assurdo che quel nome fosse divenuto così famoso in poco
tempo, quelle quattro lettere dovevano simboleggiare solo morte,
violenza, terrore e invece per molti si erano trasformati in un
simbolo di eroismo e giustizia.
Giustizia.
Molti
forse nemmeno conoscevano il significato di quella parola se la
associavano all'artefice di quei misfatti. Alyssa si voltò
verso Elle e guardò il suo viso nascosto nell'oscurità
che sempre vigeva su di loro quando si trovavano in quella stanza.
Si
portò un biscotto alle labbra, attenta a non compiere alcun
rumore nel l'addentarlo. Il silenzio che li circondava era
innaturale, ogni tanto veniva solo rotto dal rumore delle dita di
Elle che premevano sulla tastiera del computer. Non riusciva a
vederlo in volto, i capelli gli nascondevano gli occhi e il loro
colore corvino veniva risaltato dalla pallida luce del computer che
rifletteva su di essi. “Kira.” rispose lui, pronunciando
quel nome con voce fredda, tanto che lei rabbrividì.
Restò
seduta accanto a lui, sul pavimento freddo di quella stanza piccola e
spoglia e rimase a fissarlo. “E fa morire le sue vittime di
arresto cardiaco? È assurdo, Elle.” gli disse incredula,
sperava quasi che fosse uno scherzo ma così non sembrava.
I
giornali, i notiziari e internet avevano reso quel nome quasi come
una divinità che si ergeva sulle teste degli umani. Una cosa
che mandava in bestia Elle anche se non lo dava a vedere come al
solito.
Alyssa
invece ne era spaventata, quando seppe che quella figura dal volto
oscuro uccideva spietati criminali, non sapeva cosa pensare. La sua
mente tornò al passato, quando avrebbe tanto voluto che il
mostro della sua storia fosse stato spazzato via con la brutalità
che Kira sembrava saper usare benissimo.
Dio,
angelo della morte, giustiziere.
Kira
era stato definito in tutti i modi possibili, le divinità si
veneravano e si temevano allo stesso tempo e prostrarsi, affidarsi e
riconoscersi in loro era una delle cose che gli umani sapevano fare
meglio. Ma Kira era umano, anche se aveva qualche potere che usava
ingiustamente, era per forza mortale. Nessuno dei due credeva alla
teoria che tutti sostenevano, anche se Alyssa sentiva una parte di sé
che la confondeva e la disorientava di fronte a quel nome.
“Accetterai
il caso?” gli chiese un po' timorosa.
Elle
mosse il capo lentamente, volse lo sguardo verso di lei e posò
i suoi occhi scuri nei suoi. “Tu non vorresti, scusa?” le
domandò.
Alyssa
abbozzò un sorriso, aveva preso a pochi dei casi che Elle
aveva affrontato ma in nessuno di quei casi si era sentita come
allora: spaventata da quello che avrebbero ricavato da esso.
Kira
era un nemico diverso da tutti gli altri, la scacchiera non poteva
essere disposta con le solite pedine, perché la regina da
abbattere era troppo forte.
“Non
spetta a me decidere, quindi perché me lo chiedi?” gli
domandò.
“Perché
mi sembri troppo spaventata per i miei gusti.” le fece notare
Elle, che non si era fatto sfuggire quel bagliore di paura nello
sguardo di lei. Alyssa distolse lo sguardo imbarazzata, non si era
ancora abituata alla capacità del ragazzo di saperle leggere
dentro in quel modo. “Questo è uno dei motivi per cui
non volevo che prendessi parte al mio lavoro. Il passato torna sempre
a galla.”
“Pensi
che questo caso possa confondermi?” chiese lei con voce dura,
tornando a guardarlo.
“Me
ne hai appena dato la prova.”
Calò
un glaciale silenzio, i due rimasero a guardarsi a lungo e Alyssa fu
la prima ad interrompere quella linea invisibile che aveva unito i
loro occhi. Volse la sua attenzione verso il computer, dove Elle
stava leggendo alcune informazioni riguardo a quel caso che era in
procinto di accettare.
“Tu
lo sai che per me sei solo tu la giustizia, no?” gli disse e
tornò a guardarlo.
Gli
occhi neri di Elle erano rimasti fissi sul volto di lei e lo stavano
studiando a lungo e con attenzione. “Me lo hai detto spesso.”
disse, stava per aggiungere dell'altro ma la ragazza glielo impedì.
“Beh
la giustizia non muore mai e non viene certamente imprigionata in una
cella. Alla fine di questa storia, sono certa che il destino di Kira
terminerà in uno di questi due modi.” disse con voce
ferma e sicura, ignorando quella parte di lei che le ricordava quanto
avesse desiderato vedere morto il suo carnefice. Una parte che
comunque Elle vedeva, ma che non voleva farle notare perché
Alyssa stava in tutti i modi cercando di fronteggiarla. “Quindi...non
parlarmi come se Kira fosse capace di confondermi su questo, perché
io so qual'è la giustizia che vorrei.”
Calò
un profondo silenzio, i due rimasero di nuovo a guardarsi
nell'oscurità mentre sprazzi di luce giocavano sulle loro
pelli.
Elle
distolse lo sguardo per primo, avverti però ancora la
pressione che quello di Alyssa esercitava su di lui. “Allora
preparati.” le disse. “Perché spetta a me, a noi
scrivere il finale di questa storia e lo faremo nel migliore dei
modi.”
Alyssa
ascoltò quelle ultime parole con attenzione, come sempre ne
rimase colpita. Il detective era capace di mettere insieme parole
semplici e far provare grandi emozioni a chi lo ascoltava.
Però
uno strano senso di terrore la attanagliò, perché per
la prima volta sentiva che quel caso avrebbe davvero cambiato tutto.
Più pensava alla fine di esso, più non lo riusciva a
disegnare.
Ma
scacciò quel pensiero e abbozzò un sorriso: tutto
sarebbe finito al più presto e nel migliore dei modi.
Perché
Elle era la giustizia.
*
* * *
Era
finita.
Lo
sentì impercettibilmente, mentre le luci che illuminavano il
cielo scuro di Tokyo si susseguivano rapidamente fuori dal finestrino
dell'auto.
Quella
sfrecciava lungo la strada deserta diretta verso il palazzo del
quartiere generale, dopo che Alyssa riuscì a escogitare un
piano per corrompere Misa e Mogi e portarla fuori da quel maledetto
ospedale.
Sentì
di nuovo l'ossigeno fluire lentamente dentro di lei: come se fino ad
allora non aveva mai respirato in realtà, come se la sua vita
fosse stata alimentata da una forza esterna da cui era dipesa fino ad
allora e di cui poi si era liberata. Misa accanto a lei non si
accorse di quel cambiamento, mentre Mogi parlava al telefono e
ascoltava in silenzio le parole sussurrate da qualcuno dall'altra
parte del telefono. La sua mano stringeva saldamente il volante,
Alyssa lo vide annuire ripetutamente ed emettere versi di assenso più
e più volte.
Era
finita.
Assaporò
di nuovo quella parola, la sentì prendere consapevolezza
dentro di lei e un sorriso incomprensibile si allargò sulle
sue labbra, mentre guardava fuori dal finestrino quelle luci che
combattevano contro l'oscurità. Il cielo scuro era più
forte, più imponente eppure Alyssa vedeva solo quelle piccole
luci che continuavano a splendere nonostante la forza della notte.
Quella
notte era stata la luce a vincere: Higuchi era Kira ed era stato
finalmente catturato.
Ancora
non lo credeva possibile.
Ricordò
l'inizio di tutta quella faccenda, vide sé stessa e vide Elle,
i suoi occhi scuri che coglievano la sfida lanciatagli da quel nemico
così fuori dalla norma. Da una sfida poteva nascere solo una
vittoria oppure una sconfitta: per questo molti uomini erano soliti
non accettarle, perché la paura di venire abbattuti era sempre
troppo grande da sopportare .
Elle
era conscio di poter perdere, ma come sempre aveva creduto in una sua
vittoria e l'aveva ottenuta.
E
lei con lui.
Respirò
a grandi polmoni, chiudendo per un attimo le palpebre e sentendo quel
peso che gravava su di lei sparire sempre di più, man mano che
la consapevolezza di quell'epilogo prendeva largo dentro di lei.
Ancora non lo credeva vero: era cambiato tutto dall'inizio di quel
caso, lei per prima.
E
non le sembrava ancora possibile che, dopo un percorso così
oscuro e pericoloso, ci fosse la luce.
Una
luce lontana però, ancora attenuata da quel poco di oscurità
che la circondava.
Non
aveva mai pensato al possibile finale di quella storia ed esservi
giunti le arrecò un sollievo che non conosceva da tempo.
Che
sarebbe successo dopo?
Si
volse a guardare Mogi davanti a loro, mentre continuava a parlare al
telefono.
Il
futuro non era altro che un immagine della propria vita astratta e
lontana, da raggiungere passo per passo attraverso il presente. Molti
lo programmavano e rimanevano delusi nel non raggiungere quel loro
ipotetico avvenire, altri lo lasciavano al caso e accettavano o
meglio si arrendevano a quello che spettava loro. Ma lei non voleva
fare nessuna delle due cose, non in quel momento in cui si era resa
conto di non aver mai pensato al suo futuro ma di averlo immaginato
così tante volte da renderlo un sogno.
In
quel momento aveva quasi la possibilità di concedersi di
pensarlo e non voleva perderlo.
“Cosa
sta succedendo?” la voce allarmata di Mogi ruppe
quell'atmosfera di silenzio che si era creata all'interno dell'auto.
Misa e Alyssa sobbalzarono e si chinarono verso di lui per capire
cosa stesse succedendo. “Mogi, che hai?” chiese la
bionda, smettendola di guardarsi allo specchietto che stringeva tra
le mani.
L'agente
non rispose subito, lasciò che quel velo di angoscia pesasse
su di loro e poi chiuse il telefono. Guardò le due ragazze
dallo specchietto retrovisore e in particolar modo Alyssa.
“Higuchi
è stato ucciso.” disse con un filo di voce.
Alyssa
restò inebetita a guardare gli occhi scuri dell'uomo che si
rivolgevano a lei, sentiva che qualcosa non andava con quell'assurda
morte. Mogi raccontò loro che lo avevano catturato e che era
improvvisamente morto di arresto cardiaco mentre lo stavano
conducendo verso un auto della polizia. Poteva essersi suicidato o
magari il secondo Kira aveva deciso di colpirlo, erano tante le
opzioni.
Non
era ancora finita.
Alyssa
si buttò con la schiena all'indietro e prese un lunghissimo
respiro, Misa si voltò verso di lei preoccupata e osservò
il suo volto ancora cereo con apprensione. La mora non disse nulla,
guardò fuori dal finestrino e in quel momento entrarono in una
galleria.
Vide
il proprio viso riflettersi sul finestrino, disegnarsi nel nero di
esso e non lo riconobbe.
Vide
solo che l'oscurità lo circondava.
Le
luci si erano spente di nuovo nel buio.
Perché
non era ancor finita?
*
* * *
Alyssa
entrò nella stanza dei monitor e trovò là tutta
la squadra che aveva lavorato al caso, Elle era seduto sulla sua
solita poltrona e stava sfogliando un quaderno dalla copertina scura,
l'arma che Higuchi usava per mietere le sue vittime.
Aveva
saputo che, se lo si toccava, si poteva vedere il dio della morte che
lo accompagnava.
Erano
nozioni così talmente assurde, che le lasciò in un
angolo della sua mente mentre fissava quello strano quaderno. Non
aveva mai creduto nell'esistenza di quegli dei della morte eppure, da
come aveva saputo, in quel momento poteva proprio esserle accanto
senza che se ne accorgesse.
Light
era vicino ad Elle ma non era legato a lui da quelle maledette
manette che per mesi li avevano uniti.
Fu
proprio Yagami il primo ad accorgersi della sua presenza. Quando i
suoi occhi si posarono su di lei, Alyssa si fermò sulla soglia
della porta. Li trovò diversi, sembravano celare qualcosa che
la faceva rabbrividire, proprio come era successo quando lo aveva
appena conosciuto.
Come
se Light si fingesse sincero, ma non conoscesse affatto il valore
della sincerità. “Che ci fai qui, Aly? Non dovresti
ancora essere in ospedale?” le chiese, anche la voce era sempre
la stessa ma sembrava nascondere qualcosa che lei non avrebbe mai
potuto cogliere.
In
quel momento Elle si voltò verso di lei, la ragazza rimase
avvolta nell'oscurità come era sempre stata e lei decise di
accendere la luce dei lampadari al neon che pendevano sul soffitto.
Era ora di apportare qualche taglio con il passato, quella stanza era
stata troppo buia durante il caso Kira e dopo la sua morte, bisognava
permettere alla luce di prendervi parte.
“Mi
sono auto dimessa.” rispose, con un finto sorriso tranquillo
sulle labbra. Il suo sguardo era fisso sul quaderno che Elle teneva
in mano, deglutì e proseguì verso di loro.
“Perché
devi sempre fare di testa tua? Lo vedi come sei ridotta?” le
chiese il detective, con tono freddo ma lasciando trasparire una
punta di rimprovero che Alyssa cercò di evitare.
“Sto
bene.” precisò lei. “Anche se avrei preferito
prendere parte anche io al vostro piano ma cause di forza maggiore me
lo hanno impedito purtroppo.”
Guardò
Elle, la sua espressione era poco più rilassata, ma troppo
poco per poterne gioire.
Lui
abbassò di nuovo gli occhi sul quaderno, sfogliò
diverse pagine e malgrado la lontananza riuscì a scorgere
diverse parole scritte su di esso. I nomi di tutte le persone che
Higuchi aveva ucciso.
“Quindi....Kira
uccideva con quel quaderno?” chiese lei, facendo un passo verso
di lui.
Elle
alzò lo sguardo su di lei, la vedeva seriamente abbattuta e
non era difficile capire il perché.
“Sì,
un quaderno della morte. Se sopra si scrive un nome, la persona
designata muore dopo quaranta secondi di arresto cardiaco, a meno che
non si specifichino le cause del decesso. Ma bisogna conoscerne il
volto per poterlo fare.” fu Light a rispondere restando in
piedi accanto ad Elle.
Alyssa
lo guardò, quella maschera fredda che lui portava sul viso
parve di nuovo farsi troppo evidente ai suoi occhi. Abbassò lo
sguardo sul suo polso libero e sospirò.
“Ho
saputo anche che Misa lascia l'edificio. È finalmente venuto
fuori che siete innocenti?” chiese, anche se dopo le sensazioni
che provava nei loro confronti, trovò quel finalmente fuori
luogo.
“C'è
una regola secondo cui, una volta cominciato, dopo tredici giorni si
muore, se non si scrive il nome di un'altra vittima.” le
rispose Elle.
Misa
e Light erano stati in sua prigionia per ben cinquanta giorni e
quindi tutte le accuse loro rivolte cadevano.
Erano
quelle le parole che Elle stava nascondendo dietro quel discorso,
Alyssa guardò Light poi il detective e il quaderno che teneva
tra le mani. “Posso vederlo?” chiese, allungando la mano
verso di esso.
Non
ne sfiorò la copertina, un po' per timore e un po' perché
Elle allontanò il quaderno dalla sua traiettoria.”Non
hai bisogno di un ulteriore shock per ora dopo quello che ti è
accaduto.” le disse.
Alyssa
sorrise divertita, lo shock aveva avuto inizio da quando avevano
preso in mano il caso Kira e sembrava essersi arrestato solo allora.
“Andiamo,
ho sempre sognato di vedere un dio della morte!” ridacchiò,
anche se non c'era nulla di divertente in quella faccenda. Non aveva
mai creduto che creature simili
esistessero e non avrebbe mai pensato che fosse costretta a
riconoscerle e accettarle.
Light
abbassò lo sguardo su Elle e lo vide porgere, con titubanza,
il quaderno alla ragazza. “Stai attenta, è dietro di
te.” disse lui, per prepararla a ciò che avrebbe visto.
A
quel punto, la mano di Alyssa si fermò prima che giungesse a
toccare il quaderno.
Ne
osservò la copertina nera a lungo, poi lanciò
un'occhiata dietro di lei e vide solo il vuoto.
Prese
coraggio e poi strinse il bordo del quaderno.
Pensò
di avvertire qualcosa: un brivido, un improvviso tremore, una
sensazione di gelo che la pervadeva dentro e invece non provò
nulla.
Eccetto
la presenza di un altro respiro, oppure di qualcosa che si avvicinava
a definirlo tale, che proveniva da un punto dietro di lei.
Si
girò lentamente e vide una figura sospesa in aria alle sue
spalle.
Le
si bloccò il fiato in gola mentre osservava quegli occhi
gialli e quella pelle bianca. Le braccia erano lunghissime e
pendevano accanto al corpo esile. Quella creatura ricambiava il suo
sguardo, mentre Alyssa sentiva il cuore battere troppo forte nel suo
petto.
“È
normale che tu reagisca così. Io ho urlato per esempio.”
disse Light e Elle lo guardò con la coda dell'occhio e una
punta di sospetto. Se non fosse stato preoccupato per la reazione di
Alyssa, si sarebbe soffermato molto di più a guardarlo in quel
modo.
“Oh
mamma...” disse Alyssa, stringendosi il quaderno al petto.
“Ciao, dio della morte.”
Light
abbozzò un sorriso, mentre Elle guardava le spalle tremanti
della ragazza e allargò per un solo istante le labbra in
un'espressione un po' divertita.
“Mi
chiamo Rem.” rispose la creatura, con voce dura e fredda al
tempo stesso, che penetrò nella mente di Alyssa facendola
rabbrividire ancora di più. I suoi occhi erano fissi sul volto
della ragazza, che restava immobile con le gambe che vibravano
leggermente.
“Ma
sei maschio, femmina o entrambi?” chiese poi curiosamente.
Elle
si alzò in piedi e le impedì di porre altre domande al
dio della morte, era troppo sconvolta e si reggeva a malapena in
piedi. “Va a riposarti, ne hai bisogno credimi.” le
disse.
Le
tolse il quaderno dalle mani e si parò tra lei e Rem.
Alyssa
lo guardò poco convinta. “Io in realtà volevo
parlare del caso.” ci tenne a precisare, ma il detective non
volle sentire storie.
“No,
lo facciamo domani. Abbiamo tutti bisogno di riposo.” disse,
anche se non era vero. Lui non sentiva il bisogno di riposarsi ma
solo di lavorare ancora di più su quel quaderno e giungere al
vero epilogo di quella faccenda.
Alyssa
non osò replicare, guardò a lungo gli occhi scuri di
Elle e poi la figura del dio della morte alle sue spalle e annuì
lentamente. Lanciò un'occhiata a Light alle sue spalle e si
avvicinò lentamente alla porta d'uscita.
Aveva
avuto la conferma, non era ancora finita.
*
* * *
Come
poteva dormire sapendo che quella notte aveva qualcosa di diverso?
Rimase
stesa su un fianco, con la testa rivolta verso la finestra sulla
parete dove le luci di Tokyo avevano iniziato a spegnersi lentamente.
Le stelle brillavano nel cielo scuro e sembravano scontrarsi con
l'oceano nero su cui erano poste.
Si
bloccò, quando sentì qualcuno bussare alla porta della
sua stanza.
Rimase
sul letto, guardando verso la porta alle sue spalle e chiedendosi chi
potesse essere a quell'ora della notte. Si alzò lentamente in
piedi, gemendo di dolore quando il braccio sfiorò casualmente
il bordo del materasso e si diresse lentamente verso la porta.
Elle.
“Ryuzaki?”
Alyssa guardò il ragazzo di fronte a sé, lui aveva le
mani nelle tasche dei pantaloni e la guardava con aria seria. Il
pallore della sua pelle veniva messo in risalto dalle luci deboli che
illuminavano il corridoio, mentre la ragazza restava nella penombra
della sua camera buia.
Si
guardarono a lungo, il silenzio parve rumoroso mentre i due si
guardavano negli occhi in quella strana atmosfera. “Scusa se
vengo a quest'ora, ma necessitavo di dirti una cosa.” fu lui il
primo a parlare, la sua voce profonda scacciò il silenzio e
Alyssa per un attimo sobbalzò.
Lo
guardò confusa, chiedendosi cosa si celasse dietro quella
strana espressione che aveva sul volto.
“S-sì,
dimmi pure.” disse, scuotendo la testa quando si accorse di
essere rimasta troppo a lungo a fissarlo in silenzio.
Elle
però non parlò subito, rimase a guardarla negli occhi e
a cogliervi tutte le emozioni che trovava al loro interno. “È
finita, Aly.” disse con un filo di voce.
La
ragazza sentì il cuore sobbalzarle nel petto, mentre quelle
parole che aveva detto a sé stessa per un intera giornata
balzavano dentro la sua mente. Corrugò la fronte e incatenò
lo sguardo a quello di Elle, cercando di capire il perché
avesse detto una cosa simile quando sapeva che non era reale.
Cercò di chiederglielo, ma il ragazzo la anticipò
ancora prima che la sua voce si espandesse nell'aria.
“Il
grosso del caso è già stato risolto. Del resto mi
occupo solo io.” disse, la sua voce più dura
occupò il silenzio e le sue parole penetrarono nella mente di
Alyssa che non sapeva cosa dire al riguardo. “Manca davvero
pochissimo, ma sarò io quello che porrà il vero punto
al finale di questa storia. Non voglio che tu ti affanni ancora per
questo caso....”
“Perché
mi stai dicendo quello che voglio sentirmi dire?”
La
domanda di Alyssa interruppe il suo discorso, il ragazzo guardò
a lungo quegli occhi smeraldo che lo fissavano increduli e trattenne
il respiro. Lesse sul volto della ragazza tutta la fatica e il dolore
che il caso Kira le aveva arrecato. Aveva trattenuto tutto dentro di
sé, per poi lasciar trasparire quelle sensazioni solo quando
pensava di essere giunta alla fine della storia.
“Non
ti sto dicendo che è finita e che possiamo vivere tutti felici
e contenti.” le ricordò, mentre la ragazza continuava a
fissarlo con aria interrogativa. Una mano stringeva con forza la
porta, mentre il braccio fasciato tremava lievemente sopra il petto.
“Ma voglio che tu sappia che non manca molto e che non
permetterò che tu soffra ancora per questa faccenda.”
Senso
di colpa.
Alyssa
rimase sorpresa quando, per la prima volta, riconobbe un'emozione in
quel volto di marmo che stava conoscendo da una vita. Ne restò
così basita, che le ci volle un po' per capire che doveva in
qualche modo rispondere. “Ryu, io ho preso parte volentieri a
queste indagini dall'inizio alla fine.” disse, lasciò la
porta e fece un passo verso di lui lentamente. Le gambe ancora le
dolevano e una fitta di dolore le attraversò il corpo, ma non
volle darci peso. “E sarò presente fino alla vera
fine. Non devi preoccuparti per
me, perché io non...”
Si
bloccò,quando si rese conto che nell'emozione di parlare per
poco si era lasciata sfuggire una frase dettata dal suo cuore. Ma
perché doveva trattenerla? Gli aveva già detto quello
che realmente provava per lui, lo aveva covato dentro per troppo
tempo e non voleva più lasciarlo più assopito dentro di
sé, nella paura di poterlo perdere.
Elle
la guardò in silenzio, attendendo che terminasse quella frase
che, sicuramente, avrebbe fatto scattare qualcosa in lui. Ma non
voleva forzarla, nel buio di quella camera vide i suoi occhi color
smeraldo illuminarsi come mai avevano fatto.
“Non
ti abbandonerò mai.” Alyssa trovò la forza di
dare lei una fine a
quella frase che tanto la spaventava. Però non riuscì a
guardare lui negli occhi. “Quindi non preoccuparti. Inizio o
fine che sia, io ti starò sempre affianco in qualsiasi
occasione.”
Calò
il silenzio, Alyssa rimase con gli occhi fissi su un punto del
pavimento, in mezzo ai loro piedi.
Non
riusciva a fare altro, se non ascoltare la musica della notte che
suonava nella quiete scesa tra loro. Pensò che, in quei
momenti, le voci e le parole fossero solo cose superflue.
“Tu
meriti solo un nuovo inizio.
Lo hai sempre meritato.” disse il ragazzo, la sua voce era
ridotta ad un sussurro da cui però trasparì la sua
solita innaturale freddezza.
Alyssa
ricevette la forza di alzare lo sguardo su di lui dopo quelle parole,
guardò quelle iridi scure che la fissavano e non seppe cosa
rispondere.
Se
non in un modo.
Lo
tirò a sé, usando la mano del braccio sano e posò
le labbra sulle sue. Ne assaporò la morbidezza, mentre la mano
che aveva usato per portare Elle da lei salì al viso di lui e
si posò sulla sua guancia fredda. Rimasero un attimo immobili,
con le loro labbra unite in quel soffice bacio che nessuno dei due
osava mutare.
Alyssa
si separò poi da lui di pochi centimetri e rimasero a fissarsi
in silenzio, non c'erano parole con cui rispondere dopo quel dolce
bacio che si erano scambiati.
Una
fine portava solo ad un nuovo inizio.
E
spesso si iniziava qualcosa che non era poi così diverso da
ciò che si era appena concluso.
Si
avvicinarono contemporaneamente e si scambiarono un altro bacio. Più
coinvolgente, più passionale e più forte
di quello che lo aveva preceduto, come se solo in quel momento si
fossero resi conto di quanto avessero bisogno l'uno dell'altra.
Lentamente
Alyssa si mosse indietro, portando Elle con sé nell'oscurità
della sua stanza.
La
porta si chiuse dietro di loro.
Era
quello il nuovo inizio che Alyssa aveva sempre atteso.
I'll
be there When the world stops turning I'll be there When the
storm is through In the end I wanna be standing At the
beginning with you
(At
the beginning- Donna Lewis & Richard Marx)
Salve!
Lo
so, sono un disastro!
Non
solo ho aggiornato tardissimo, ma mi presento anche con questa
(scusate il termine poco fine) “caccola” di capitolo.
Sicuramente sarà risultato noioso e molto scontato e mi
preparo a ricevere lanci di pomodori e uova marce perché so di
meritarlo!
Spero
però di rifarmi con il prossimo su cui ho molte più
idee e che sarà meglio elaborato di questo.
Ringrazio
tutte le splendide persone che leggono la mia storia, sia chi
recensisce, che i lettori silenziosi.
Un
grazie di cuore anche a chi ha inserito questa storia tra le seguite/
preferite e ricordate.
Alla
prossima, buon fine settimana! ^^
|
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Capitolo 17 *** Watch Over You ***
-Watch
Over You-
And
who's gonna save you when i'm gone?
Quel
suono.
Ruppe
il silenzio, pervase l'aria gelida di quella sera e si unì
alla magnificenza di quei fiocchi di neve che cadevano dal cielo
attraverso la sua soave melodia.
Alzò
gli occhi verso il cielo scuro, lasciando che quei fiocchi gli
baciassero la pelle e tendendo l'orecchio verso quella musica che
continuava a suonare attorno a lui e che sembrava rendere sempre più
profondo quell'abisso in cui si sentiva risucchiare sempre più.
Per
cosa suonavano?
Un
funerale.
Pensò
subito a quella ricorrenza.
Non
era la prima volta che le aveva sentite, ogni loro rintocco aveva
accompagnato l'ultimo saluto che gli era stato concesso dare ai suoi
genitori tempo prima.
Fine.
Era
stato quello il loro significato allora e non poteva che esserlo
anche in quel momento.
Abbassò
lo sguardo sul cancello di fronte a sé e non lasciò mai
quella mano che avvolgeva la sua. Quegli occhi azzurri continuarono
ad osservarlo sotto la visiera del cappello scuro, solcando i tratti
di quel giovanissimo viso che aveva conosciuto troppo presto i dolori
che la vita era solita regalare.
Il
cancello si aprì lentamente, il suo rumore cigolante si unì
a quello del vento, che accompagnava la melodia di quelle campane
attraverso il suo respiro freddo.
“Vieni,
non temere.” gli disse quel signore dagli occhi azzurri,
tirandolo delicatamente verso di sé in modo che lo seguisse
verso l'edificio di fronte a loro. Ma il bambino era troppo intento
ad ascoltare le campane, attendendo che smettessero di rompere il
silenzio con la loro voce e di insinuarsi in ogni suo singolo
pensiero.
Trovava
già difficile elaborarli con quella confusione che pervadeva
la sua mente ma, se ci riusciva, quelle campane glielo demolivano con
il loro diabolico suono.
Diabolico,
non trovava nulla di divino in esse.
“Elle?”
Guardò
l'uomo che si era spostato di fronte a sé, il suo cappotto
nero venne leggermente mosso dal vento tagliente e un sorriso
confortante si allargò sotto i suoi spessi baffi bianchi.
“Su,
vieni.” disse ancora, indicando con un cenno della testa
l'istituto alle sue spalle.
Ma
quel suono non si arrestava.
Lo
strappava dalle braccia della realtà e lo buttava in un
vortice di ricordi e dolori che avrebbe tanto voluto cancellare dalla
sua mente.
Guardò
Wammy, chiedendosi come fosse possibile che lui sopportasse quel
suono così troppo assordante e per un attimo si convinse che
solo lui le udisse, che la chiesa accanto a quell'edificio fosse in
realtà silenziosa.
Lo
seguì dentro l'istituto e quelle continuarono imperterrite a
suonare. Appena la porta d'entrata si spalancò, vide un oscuro
corridoio di fronte a sé: in fondo alla parete era visibile il
cielo grigio fuori dalla finestra che si stagliava sopra le loro
teste. Una scalinata sembrava immergersi nell'oscurità, come
se il buio avvolgesse tutto ciò che si trovava oltre quei
gradini.
Wammy
si chiuse la porta alle spalle e il bambino si sentì pervadere
da un intenso calore.
Nascose
di più il viso sotto il colletto della sua giacca beige e
affondò le mani dentro le tasche, per allontanare gli ultimi
brividi gelidi che avevano deciso di correre sul suo corpo.
Le
campane continuarono a suonare, la loro musica venne attenuata dalle
pareti che lo circondavano ma la loro voce giungeva ancora troppo
penetrante alle sue orecchie.
Wammy
gli disse qualcosa, posandogli una mano tra i capelli con delicatezza
e sorridendogli dolcemente, come solo un padre nei confronti del
proprio figlio saprebbe fare.
Poi
il bambino la vide.
E
le campane tacquero.
Una
piccola ombra si allungò sul pavimento, unicamente illuminato
dalla luce della luna, ottenebrata dalle spesse nuvole che la
coprivano e che lasciavano cadere le loro lacrime di ghiaccio sul
terreno.
Quell'ombra
prese forma, in una minuta bambina che stava timidamente avanzando
verso di loro, con un orsacchiotto stretto al petto e lo sguardo
timido rivolto verso il bambino.
Wammy
giunse da lei, mentre il piccolo continuava a guardarla intensamente,
perdendosi in quei teneri occhi verdi che lo stavano studiando con
attenzione.
Le
campane avevano taciuto da interminabili secondi.
Il
loro suono aveva abbandonato anche la sua mente, ricolma di pensieri
che erano rivolti unicamente a quella piccola figura che aveva
sfidato e sconfitto quel canto di sirena, senza nemmeno saperlo.
Sentì
Wammy pronunciare il suo nome, era un nome strano ma che aveva un
qualcosa che trovava davvero tenero, proprio come gli occhi di quella
piccola che stava tornando a guardarlo.
Quelle
campane erano fine, ma la loro fine era il loro inizio.
E
il suo inizio era lei.
*
* * *
And
who'll watch over you when i'm gone?
Riaprì
gli occhi.
Gocce
di pioggia attraversavano i vetri della sua stanza, il vento le
faceva schiantare contro di esso con la sua forza, disegnando delle
scie invisibili che Elle si ritrovò a seguire con lo sguardo.
Venne colpito da una delle più piccole, scese lungo il vetro
seguendo un movimento non rettilineo e si schiantò sulla fine
di esso.
Chissà
perché le stava fissando così.
Chissà
perché le sentiva di nuovo suonare.
“Caffè?”
Una
voce melodiosa ruppe il silenzio. Elle si voltò verso il viso
sorridente di Alyssa che fece capolino dalla stanza con in mano un
vassoio. Lo teneva con poco equilibrio e rischiando di far cadere le
due piccole tazze adagiate sulla sua superficie. Si chiuse la porta
alle spalle con una leggera pedata, cercò di accendere le luci
ma con quella pioggia sembrava che diverse stanze fossero destinate a
rimanere nell'oscurità.
Però
riuscivano a vedersi lo stesso, illuminati dalla luce dei pochi
lampioni che lasciavano penetrare il loro chiarore dentro la stanza.
Elle
la guardò attentamente. Alyssa sorrideva radiosa.
I
suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo, gli occhi color
smeraldo sorridevano insieme alle labbra e un colorito roseo apparve
sulle sue gote mentre lo guardava.
Ma
quelle continuavano a fare da sottofondo alla
sua bellissima immagine.
Alyssa
sorrideva, loro suonavano.
“Da
quando hai la mania di preparare caffè?” le chiese,
guardandola adagiare il vassoio su un tavolino di fronte al letto.
“Da
quando le tue occhiaie sono diventate grandi quando l'oceano
pacifico.” rispose lei, portandosi le mani sui fianchi e
guardandolo con un sorriso sulle labbra. “Poi..è ora che
il povero Watari si prenda una pausa. Faccio io la cameriera.”
Elle
allargò le labbra in un sorrisetto, Alyssa si avvicinò
lentamente a lui e glielo spense con un leggero bacio.
Dolce
e delicato, come lo era lei.
Elle
si abbandonò ad esso, per quanto breve e intenso fosse stato,
non poteva fare a meno di assaporare secondo per secondo quelle
labbra che si erano posate sulle sue. La ragazza lo strinse a sé,
facendo salire una mano tra i suoi capelli e stringendoglieli come se
fossero erba di un prato in cui voleva immergersi.
Lo
fece un po' dondolare, portando poi le labbra alla sua guancia
sinistra e riempendogliela di baci.
Elle
ricambiò l'abbraccio, fissando un punto fisso davanti a sé
mentre la sua mano accarezzava la schiena della ragazza.
Ma
lei non le sentiva?
“Qualcosa
non va?” Alyssa tornò a guardarlo preoccupata,
continuando però a circondare il collo di Elle con le braccia.
I suoi occhi scorsero lungo la sua pelle pallida, cercando di
tradurre le emozioni che lo attraversavano in quel momento.
Non
ne colse nessuna, ma ciò che vedeva le faceva crescere dentro
uno strano senso di inquietudine.
Elle
scosse la testa, preoccuparla in quel giorno di pioggia non era sua
intenzione.
Mai
come in quel momento, desiderò vederla sempre sorridente.
“Pensavo
alla faccenda Kira.” rispose, alzando le spalle mentre le mani
scendevano sui fianchi stretti di lei. “Al fatto che le morti
di criminali hanno ripreso così rapidamente.”
Alyssa
abbassò lo sguardo e, con le mani dietro la testa di Elle,
iniziò a giocherellare con un ciuffo dei suoi capelli scuri.
“Manca poco, Ryu.” disse, anche se un brivido di tensione
corse anche sulla sua schiena. “Beccheremo quest'altro Kira e
il suo maledetto quaderno e lo sbatteremo dentro.”
Un
sorriso si allargò sulle sue labbra, nello stesso istante in
cui un boato ruppe il silenzio.
Il
rumore della pioggia si fece più assordante e insieme ad essa
il loro suono.
La
risata di Alyssa venne occultata da quel fastidioso frastuono che
aveva interrotto il loro momento.
“Poi
andiamo in vacanza in un paese più caldo...non so, tipo
Bahamas o le Hawaii!” disse entusiasta, affilando lo sguardo e
sorridendo furbamente come una bambina.
Elle
le regalò un sorriso sghembo, nato da quella sua affermazione.
Sorridere
gli risultava difficile con quella pioggia, che sembrava stesse
lasciando cadere le sue gocce anche sulla sua anima, ma con Alyssa
gli sembrava di poter fare qualsiasi cosa, anche con le intemperie
più violente. “Andiamo, mi ci vedi con una camicia a
fiori?” le chiese.
Lei
rise. “Ti ci vedo anche super abbronzato, su una tavola da
surf...” disse divertita. “No, non è vero. Non
saresti poi il cervellone pallidone che piace a me!”
Lo
baciò sul mento, continuando a guardarlo come se ci fosse solo
lui.
Quella
stanza, quella pioggia che batteva sui vetri della finestra per lei
non c'erano.
Nemmeno
loro esistevano per lei.
“Oh
andiamo...ma si può sapere che hai oggi?” Alyssa si
separò da lui e batté i piedi sul pavimento come una
bambina che voleva più attenzioni.
Elle
tornò a guardarla più intensamente, quasi tentato
dall'idea di rivelarle ciò che gli stava succedendo.
Ma
non voleva turbarla, quindi optò per un diverso argomento.
“Non è strano che questi omicidi siano
ricominciati...proprio ora che Misa Amane è libera?” le
domandò, scostandole un ciuffo ribelle dalla fronte.
“Ryuzaki,
Misa è innocente...quella regola sul quaderno lo prova.”
“E
se fosse un falso?”
Alyssa
piegò la testa da un lato, guardando a fondo gli occhi neri
del ragazzo. “Tu sei ancora convinto che Light sia stato Kira,
non è così?” gli chiese.
“Dirmi
convinto è ben poco. Ma senza prove, non posso fare proprio
nulla purtroppo...” rispose lui.
“Dai,
non posso credere che pensi ancora una cosa simile! Insomma...perché
continuare a prendere parte a delle indagini che ricondurrebbero a
lui, allora?” Alyssa abbassò le braccia dal collo di lui
e le spalancò con aria interrogativa.
“Il
tuo problema Alyssa, è che non riesci mai a comprendere quanto
certe persone siano brave a mentire.” le rispose Elle, si andò
a sedere sulla poltrona alle sue spalle e volse lo sguardo verso le
nuvole che oscuravano il cielo oltre quella finestra. “C'è
gente che, nella propria vita, non ha mai detto una sola volta la
verità.”
Alyssa
non rispose, il pensiero che Light fosse un bugiardo l'aveva
avuto anche lei.
Anche
in quei giorni, quando la sua presenza non era sempre così
costante al quartier generale, lei aveva sempre notato quella
maschera che tanto la spaventava. Ma non era lui che turbava Elle e
nemmeno Misa o Kira.
C'era
qualcos'altro che lo inquietava.
o
guardò a lungo e con attenzione e si accorse che lui sembrava
essere preso da altro in quel momento, da qualcosa che solo lui
poteva percepire. Come una presenza che per lei era invisibile.
“Sicuro
che sia questo il problema? Guarda che con me puoi parlarne.”
gli disse, avvicinandosi lentamente a lui ma restando a pochi passi
di distanza.
Elle
si rivolse di nuovo verso di lei, un forte lampo illuminò il
suo viso di una luce bianchissima che lo nascose alla sua vista per
qualche secondo.
La
luce gliel'aveva portata via, anche se per un solo secondo.
“E
non ti pare abbastanza, Aly?” le chiese.
Lei
lo guardò poco convinta, cercò di trovare risposte alle
sua domande guardando quegli occhi scuri ma si arrese. Quella
freddezza celava bene i suoi sentimenti e le sue emozioni e lei
voleva scioglierla.
“Hai
bisogno di distrarti.” gli fece notare, avvicinandosi a lui con
un sorriso suadente sulle labbra.
“Non
ci vado alle Hawaii, Alyssa. Nemmeno se ci dovesse essere un caso
importantissimo da risolvere, te lo scordi.” rispose lui, ma si
bloccò quando lei si fece più vicina.
Gli
posò le mani sulle ginocchia, spingendogliele ad abbassarle
sul pavimento e si sedette sopra il suo bacino posando le mani sopra
le spalle di lui. Elle trattenne una vampata di calore, non doveva
essere visibile agli occhi di Alyssa ma lui la percepì
indistintamente corrergli sotto pelle.
Posò
le mani dietro la schiena di lei, mentre la ragazza lo guardava in
una maniera che lui definì innocentemente sensuale.
Accostò
il viso al suo, sfiorò la punta del naso con la sua e soffiò
sulle sue labbra.
“Dovremmo
andare a lavorare sul caso, Aly.” gli ricordò lui,
mostrando però un ombra di arrendevolezza nella sua voce. Una
cosa che fece sorridere di più Alyssa, la ragazza posò
le labbra sulle sue e le lasciò premute per un po'. “Si
lavora meglio, dopo essersi distratti un po'.” sospirò
poi, continuando a respirare sulla pelle ai lati della bocca di lui.
Lo
baciò di nuovo, prima dolcemente poi con più passione.
Elle
la strinse più forte a sé, cingendole i fianchi con
entrambe le braccia mentre le mani della ragazza salivano ai suoi
capelli. Lei inarcò la schiena, circondando il collo del
ragazzo con le braccia per avvertirlo ancora più vicino al suo
corpo. I loro petti si unirono, Alyssa temette che Elle potesse
sentire il suo cuore battere troppo forte sul suo.
Loro
intanto continuavano imperterrite, per ricordargli che quel momento
si sarebbe tramutato solo in ricordo.
Quando
le mani di Alyssa giunsero ad esplorare la pelle sotto la maglietta
di Elle, qualcuno bussò alla porta.
“Ryuzaki?
Sono Matsuda, ci sei?” chiese una voce, proveniente dal
corridoio.
Elle
gettò la testa all'indietro in un gesto di fastidio, mentre
Alyssa si ritrasse, restando però seduta in ginocchio sulle
sue gambe.
“Idiota
di un Matsuda...” disse il ragazzo.
“Ti
cercano, eroe. Dobbiamo rimandare la ballata degli ormoni ad un'altra
volta.” disse Alyssa alzandosi in piedi e avvicinandosi alla
porta lentamente.
Elle
si sistemò la maglietta ancora alzata e si alzò in
piedi, guardando le spalle di Alyssa che si allontanava da lui.
Non
seppe perché, ma quella immagine di lei che si faceva sempre
più lontana, lo fece rabbrividire.
Sentì
il bisogno di dirle una cosa, ma non seppe definire se quello era il
momento giusto o meno.
“Alyssa?”
la chiamò, restando a pochi passi da lei. Due tuoni seguirono
la sua voce, creando un boato che sembrò risuonare anche tra
le pareti di quella stanza.
Alyssa
si voltò verso di lui, mentre Matsuda continuava a chiamare il
nome di Ryuzaki. “Sì?” rispose.
Elle
la guardò a lungo e in silenzio, la ragazza rimase in attesa
di una risposta nella penombra della stanza.
“Se
io dovessi mai lasciare questo lavoro, voglio che tu smetta con me.”
disse con un filo di voce.
Quella
richiesta la sorprese.
Non
era da Elle dire una cosa simile, non era da lui pensare
all'abbandono della sua attività di detective nemmeno per
scherzo. Cosa era insito in quelle parole che l'avevano fatta
rabbrividire?
Pensò
che forse lui stava pensando ad un lontano futuro, dove una volta
invecchiati avrebbero dovuto smettere di dare la caccia ai criminali
e godersi una meritata pensione.
Quel
futuro insieme non la spaventava.
“Se
tu vai, allora andrò anche io.” gli disse con un
sorriso.
Elle
lo guardò allungarsi sulle labbra della ragazza, cercò
di imprimere a lungo l'immagine di quella meraviglia nella sua mente.
E
loro suonarono più forti.
Quando
Alyssa aprì la porta e iniziò a prendere in giro il
povero Matsuda, Elle guardò la sua figura sotto la luce al
neon del corridoio mentre lui restava nell'oscurità.
La
luce e l'ombra li avrebbe separati.
E
intanto loro continuavano a suonare.
*
* * *
And
when i'm gone who will break you fall and fan your flame?
Lasciò
scorrere le dita lungo la superficie scura.
Aveva
letto e riletto quelle regole una miriade di volte e ogni volta che
il suo sguardo si soffermava su quelle parole, le sembrava quasi di
sentire una voce leggergliele nella mente.
L'uomo
aveva inventato molte armi, Caino fu il primo a brandirne una per
uccidere il proprio fratello e molte altre ne seguirono nei secoli
avvenire. Se anche le divinità permettevano loro di usare armi
del genere per uccidere il prossimo, voleva dire che non era solo
l'umanità ad odiare sé stessa.
Anche
qualcosa di ben superiore a loro doveva odiarli.
“Hai
un bellissimo nome.”
Alyssa
alzò lo sguardo su Rem: le sembrava così realistica la
sua figura, che le parve di vederla in piedi sul pavimento. Un
brivido le corse lungo la schiena, continuando a sfiorare il quaderno
con le dita e girando attorno al tavolino in modo da poterla guardare
in volto.
Le
faceva ancora paura, non si era ancora abituata all'esistenza di
creature simili nell'universo. “Alyssa è un nome legato
all'acqua, forse ti piace perché nel tuo mondo non c'è
né.” rispose, si sedette al tavolo e sfogliò il
quaderno.
Guardò
uno dei fogli il cui angolo in alto era strappato, Elle gliene aveva
parlato e le aveva detto di aver domandato allo shinigami se era
possibile uccidere con un pezzo di carta così piccolo.
Ma
lei non lo sapeva.
Le
aveva chiesto anche se mangiavano solo mele come Kira gli aveva fatto
intendere in uno dei suoi giochetti o se era possibile falsificare le
regole all'inizio del quaderno.
Ma
lei non lo sapeva.
“Intendevo
il tuo vero nome.” precisò lei, Alyssa alzò lo
sguardo lentamente su di lei e un brivido le corse lungo la schiena.
“Rispecchia il colore della tua anima pura.”
Alyssa
tremò visibilmente. Se quell'essere conosceva il suo nome,
poteva ucciderla da un momento all'altro?
Cercò
di non pensarci, la consolò il pensiero che, se Rem avesse
voluto ucciderli, lo avrebbe fatto subito dopo la cattura di Higuchi.
“Perché
hai lasciato che un umano usasse quest'arma? Cosa ci guadagni?”
le chiese, mostrandole il quaderno.
“L'ho
perduto nel mio mondo, è finito nel vostro per puro caso e
sono stata così vincolata a colui che lo ha trovato.”
rispose lo shinigami, continuando a fissare intensamente la ragazza.
Lei
restò in silenzio, posò il quaderno sulla superficie e
si avvicinò al dio della morte. Restò a pochi passi di
distanza però, la sua presenza le arrecava ancora molto timore
e i brividi non la smettevano di attraversarle il corpo. “Abbiamo
già creato troppe armi per ammazzarci tra noi. Voi non potete
stare attenti alle vostre lassù?”
“Non
costringiamo mai nessuno ad usare il quaderno, siete voi che avete il
libero arbitrio e prendere le vostre decisioni.” rispose Rem.
Alyssa
non seppe cosa rispondere, lanciò un'occhiata indietro verso
il quaderno e prese un lungo respiro. “Hai mai sentito parlare
di...Prometeo?”
Rem
parve non capire. “Vi osservo da molto tempo e ho sentito
parlare di quel mito. Perché me lo chiedi?” domandò.
Alyssa
la guardò attentamente, si portò le mani ai fianchi e
prese un lungo respiro. “Lui e Kira non sono molto diversi,
cambia solo il principio che risiede alla base delle loro scelte.”
rispose. “Prometeo scelse di stare dalla parte degli umani,
rubò per loro il fuoco sacro dall'Olimpo, scatenando così
l'ira degli dei. Il fuoco è luce, eppure gli uomini lo usano
da secoli per distruggere e uccidere.”
“Kira
ha fatto lo stesso, non ha rubato il fuoco a voi dei ma lo ha voluto
donare lo stesso agli uomini..attraverso morte e dolore, proprio ciò
che il fuoco può causare. Il fuoco brucia, in questo caso gli
animi di molte persone sono stati ridotti in cenere perché
hanno accettato che queste fiamme bruciassero la giustizia in cui
ognuno di noi dovrebbe credere.”
Rem
parve ascoltarla attentamente. “Continuo a non capire dove tu
voglia arrivare.” disse.
“Zeus
punì atrocemente Prometeo, costringendolo a rimanere
incatenato sul monte Caucaso mentre un'aquila gli dilaniava il suo
fegato per l'eternità. Voi dovreste punire Kira per una cosa
simile, eppure non lo fate. E sottolineo che Prometeo era amico del
genere umano, Kira invece ne è nemico.” rispose Alyssa,
parlando con una durezza nella propria voce che non riconobbe nemmeno
lei stessa di avere.
Rem
non rispose subito, rimase a fissarla a lungo e colpita da quelle
parole. “Le divinità sono molto diverse tra loro. Noi
moriremmo se dovessimo mai scrivere il nome di un essere umano su
quel quaderno. Come voi tenete alla vostra vita, noi teniamo alla
nostra.” rispose.
“Permettereste
a Kira di mandare avanti questa catena d'odio che ha creato nel
mondo? Non sapete che la vera giustizia nasce dall'amore?”
Alyssa
spalancò le braccia, quel discorso la stava facendo scaldare e
non poco, senza che lei potesse farci nulla.
Il
dio della morte distolse lo sguardo, come se non riuscisse a
sostenere quello dell'umana perché la sua mente era stata
invasa da troppi pensieri, difficili da contenere.
“L'amore
è stata la prima vera arma che ha ucciso voi uomini, non noi
dei.” rispose, ma mostrò comunque di essere stata
confusa da quel discorso. Non assumeva tratti sul suo viso che
potessero evidenziare quello stato d'animo, ma negli occhi assunse la
stessa luce che avrebbe avuto lo sguardo di un essere umano in preda
a mille pensieri.
“Io
non la vedo così. L'amore non è un'arma, uccide solo
coloro che cercano di trasformarla in qualcosa di tale.”
rispose Alyssa, stringendosi le braccia al petto.
Calò
un profondo silenzio, Alyssa e Rem si guardarono come farebbero due
persone che vivevano la stessa realtà, con le stesse regole e
le stesse emozioni.
“Alyssa?”
La ragazza si voltò di colpo, quando riconobbe la voce di
Light alle sue spalle. Per poco sobbalzò, era stato così
furtivo nei movimenti che non le fece accorgere nulla, oppure si era
persa troppo nel suo discorso con Rem?
Il
ragazzo restò nell'oscurità, con le mani nascoste nei
pantaloni dei jeans e lo sguardo fisso sul volto della ragazza.
“Stavo cercando Ryuzaki, lo hai visto?”
Fece
un passo verso di lei, i suoi occhi salirono poi alla figura di Rem
che rimase di fronte ad Alyssa e che stava ricambiando il suo
sguardo.
“Non
è nella sala monitor?” chiese la ragazza, confusa.
“No,
non lo trovo da nessuna parte.”
Alyssa
sospirò, pensò al comportamento di Elle di quella
mattina e sentì di nuovo quella strana sensazione di
inquietudine che l'aveva stretta in una morsa. Come sempre, associò
quelle sensazioni al suo innato pessimismo.
“Ti
aiuto a cercarlo.” disse, lanciò una lunga occhiata allo
shinigami e poi si voltò verso Light, fermandosi al suo
fianco.
“Ragazza?”
Rem la chiamò con quell'appellativo, Alyssa tornò a
guardarla e smise di camminare, mentre Light si fermò vicino a
lei e seguì la linea che univa gli occhi della giovane a
quelli del dio della morte.
“La
fine che spetta a Kira non è molto diversa da quella che
spettò a Prometeo,anzi forse è peggio. Chi usa quel
quaderno per uccidere, non conoscerà né paradiso, né
inferno. La sua anima non gioirà, né soffrirà e
il che è terribile...perché se non si conosce gioia e
dolore, non si è nulla giusto?” disse Rem, prendendosi
alcune pause mentre pronunciava quelle parole.
Alyssa
e Light restarono l'uno accanto all'altra, la ragazza pensò
all'anima di Kira e, per la prima volta, provò quasi
compassione per lui: l'anima viveva dopo la morte, in gioia o dolore
ma viveva, almeno per ciò che diceva la religione.
Invece
a lui spettava solo un eterno vuoto.
“Questo
un po' mi consola.” disse la ragazza, guardò poi Light
che stava intensamente fissando il dio della morte e gli toccò
il braccio per incitarlo a muoversi.
Mentre
si allontanava, Alyssa sentì lo sguardo dello shinigami su di
loro.
*
* * *
I
can't go on let you loose it all
it's
more than i can take
Who'll
ease you pain
ease
your pain?
Lo
trovò sul tetto del palazzo.
Notò
indistintamente la sua figura sotto la pioggia, il suo viso rivolto
verso il cielo come a raccogliere quelle gocce che cadevano su di lui
e gli occhi che sembravano cercare qualcosa oltre quelle nuvole
scure.
I
capelli corvini gli circondavano il viso pallido e aderivano
perfettamente alla sua pelle, la t-shirt bianca e i jeans
completamente bagnati dalle impetuose lacrime del cielo che
attraversavano il vento e giungevano a lui.
Alyssa
restò sulla soglia della porta, la pioggia raggiungeva anche
lei attraverso il vento freddo che le scompigliava i capelli. Si
strinse le braccia al petto per fermare i brividi e guardò a
lungo l'immagine di Elle.
Quando
era piccola, qualcuno le aveva detto che le gocce di pioggia non
erano altro che le lacrime del cielo che piangeva di dolore.
Quel
giorno perché stava piangendo il cielo?
“Ryuzaki?!”
gridò, ma lui non la sentì.
Forse
il vento soffiava troppo forte, oppure il ragazzo era troppo intento
ad ascoltare altro, magari i fischi del vento stesso oppure il dolore
che il cielo stava esternando insieme alle sue lacrime.
Lo
raggiunse, combattendo contro la forza del vento che trasportava su
di lei quelle gocce simili a lame brandite dal cielo stesso. Quando
lo raggiunse, si ritrovò completamente fradicia: i lunghi
capelli corvini si muovevano nel vento, per poi fermarsi ogni tanto
quando aderivano alla pelle del suo viso e il freddo delle gocce di
pioggia attraversava i tessuti dei suoi abiti. Elle si accorse della
sua presenza, solo quando la vide pararsi di fronte a lui.
Batté
più volte le palpebre, come se dovesse mettere a fuoco la sua
immagine.
Sembrava
quasi che il viso di Alyssa non fosse reale, che appartenesse a
qualche sogno troppo lontano e inarrivabile a cui il risveglio
avrebbe posto bruscamente fine.
“Vuoi
farti prendere un colpo? Che ci fai qui fuori?” gridò
Alyssa, facendo sì che la sua voce sconfiggesse il rumore del
vento che soffiava troppo forte. Affilò lo sguardo quando lo
sentì colpirle gli occhi, ma lo tenne comunque rivolto verso
Elle, come a cogliere le emozioni che potevano celarsi dietro la sua
espressione fredda.
“Non
è niente, Aly. Torna dentro o ti prenderai un accidenti.”
replicò lui, non parlo in un grido ma con voce abbastanza alta
che la ragazza riuscì comunque a sentire, malgrado la bufera
che sembrava essere scoppiata sul tetto dell'edificio.
Alyssa
lo guardò confusa. Guardava quegli occhi scuri e scorgeva in
loro una strana luce, una di quelle luci che si offuscavano
lentamente per poi spegnersi e catapultare nel buio più tetro
e oscuro della notte. Era tutto il giorno che notava qualcosa di
strano nel suo comportamento, non poteva ignorare quella strana
sensazione che sembrava bruciarle dentro.
“Torniamo
dentro insieme, Ryu. È troppo freddo.” Alyssa gli prese
la mano, la strinse con forza e intrecciò le dita con le sue.
Proprio
come il loro primo incontro.
Quando
l'unione di quelle mani aveva portato all'inizio della vita che solo
insieme erano stati capaci di costruire.
In
quel momento, Elle sentì di nuovo quella sensazione: di una
fine che aveva portato solo un buon inizio.
Ma
che inizio spettava loro?
“Ma
tu non le senti?” le chiese, restando immobile malgrado la
ragazza stesse cercando di tirarlo via, verso la porta che li avrebbe
condotti all'interno.
Alyssa
si voltò verso di lui, il ballo che univa il vento e la
pioggia non servì a separare le loro mani unite. “Sentire
cosa?” gli chiese, facendosi di nuovo vicina a lui.
Elle
distolse lo sguardo, allora solo lui le sentiva? Colse quel
suono assordante e melodico che rimbombò nella sua mente, lo
sentì superare la forza del vento, della pioggia ma non quello
della voce di Alyssa.
Quella
era l'unica melodia che riusciva a sconfiggerle.
“Le
campane. Sono tutto il giorno che suonano, forse c'è un
matrimonio nei dintorni o...”
“Ryuzaki,
senza offesa, ma....non ci sono chiese nei paraggi, sai?” lo
bloccò Alyssa, regalando un sorriso divertito alle sue labbra,
mentre fissava il volto serio di Elle.
La
buttò sullo scherzo, ma percepiva chiaramente che Elle era
davvero turbato da quel suono che solo lui pareva sentire. Perse
subito il sorriso, quando vide il ragazzo volgere di nuovo lo sguardo
al cielo, facendo scorrere gli occhi lungo quelle nuvole scure.
“Ehi?”
Alyssa abbandonò la sua mano, gli prese il viso tra le mani e
fece in modo che lei avesse i suoi occhi, che fosse lei quella che
Elle stesse guardando e non quelle nuvole scure. “Che cos'hai?
Dimmelo.”
La
sua voce si ridusse ad un sussurro, che Elle però riuscì
indistintamente a sentire. Posò la mano su quella di lei e ne
accarezzò il dorso freddo e levigato con grazia e gentilezza.
“È
solo che....” si bloccò per qualche secondo, quando un
tuono in lontananza soffocò il suono della sua voce. Guardò
gli occhi verdi di Alyssa, fissarsi nei suoi come se volesse leggere
in loro i pensieri che il ragazzo aveva in mente in quell'istante.
“Aly, voglio che tu rinunci a Kira.”
La
ragazza corrugò la fronte confusa, il vento portò
diversi ciuffi dei suoi capelli a coprirle il viso ed Elle li scostò
con la mano, per poterla guardare negli occhi. “Ma che..stai
dicendo? Siamo ad un passo da catturarlo.”
“Se
qualcosa dovesse andare storto, non voglio che tu gli dia più
la caccia. Ti ha portato via tutti questi mesi di vita, non voglio
che te ne porti via altri ancora.” continuò lui.
Alyssa
ripeté quelle parole nella sua mente, non erano così
difficili da capire eppure lei sentiva che qualcosa si nascondeva
dietro di esse. Qualcosa di troppo difficile e pesante da tollerare,
qualcosa che nemmeno lei sapeva definire.
“Perché
mi parli così oggi?” gli chiese, trattenendo un
singhiozzo dovuto ad un'inspiegabile paura che le stava crescendo
dentro. I suoi occhi piansero insieme al cielo, Elle scorse le sue
lacrime mischiarsi alla pioggia sulla sua pelle. Le riconobbe
facilmente, le vedeva attraversare lentamente la pelle di lei e
schivare le gocce furiose che la pioggia stava trasportando a loro.
Non
sopportava vederla in quello stato, le prese il viso tra le mani e la
guardò negli occhi: lei tremava, forse per il freddo o forse
perché lui la stava davvero spaventando.
Ma
cosa poteva dirle al riguardo? Non aveva nemmeno lui una spiegazione
logica a quello che sentiva in quel momento, non voleva basarsi sulle
sue sensazioni e spaventarla in quel modo.
Avvicinò
il viso a quello di lei e posò delicatamente le labbra sulle
sue. Restarono immobili in quelle posizioni, ascoltando il flusso di
sensazioni che scorrevano in di loro, come pioggia sulla pelle, per
poi giungere ai loro cuori.
Alyssa
non avrebbe mai pensato che un bacio potesse causare tanta
sofferenza, lui la era vicino e le stava donando il suo
respiro eppure lo sentiva lentamente scivolare via, sempre di più.
Era
una sensazione che non sapeva spiegare, ma che la stava comunque
distruggendo nel profondo.
Quando
le loro labbra si separarono, Alyssa sbatté più le
palpebre e guardò la figura di Elle davanti a lei.
Il
ragazzo teneva ancora gli occhi bassi sulle labbra di lei, come per
imprimere per sempre il loro ricordo nella sua mente. La ragazza non
sopportava quello sguardo, le ricordava quello che aveva il bambino
di sedici anni prima, quello che non vedeva il mondo che lo
circondava ma solo la forma che il proprio dolore assumeva
uniformandosi ai colori della realtà. Lei voleva cancellare
quel dolore insito nei suoi occhi, gli prese di nuovo il volto tra le
mani e gli sfiorò i capelli bagnati mentre un sorriso forzato,
ma che voleva trasmettere serenità, apparve sulle sue labbra.
Il
miglior ricordo che Elle potesse avere di loro.
“Te
l'ho detto, Elle.” disse lei, chiamandolo con quel nome e non
con la maschera che aveva adottato in quei mesi per fronteggiare quel
caso. Erano soli, con il vento e la pioggia ad ascoltarli e loro non
potevano portarle via il suo Elle, quel bambino che le aveva dato
tutto con una semplice stretta di mano. “Io andrò
ovunque andrai tu, non m'importa del resto. Quando Kira verrà
fermato, affronteremo insieme quello che ci capiterà.”
Elle
la guardò in silenzio, la ragazza non si era nemmeno accorta
di aver attraversato diverse e contrastanti emozioni in una semplice
frase: le prima parole erano fuse alla disperazione, le ultime alla
speranza.
Era
come se il cuore avvertisse qualcosa, ma la sua mente lo spingesse a
rigettare quella sensazione.
Elle
le accarezzò la guancia, la sua mano scorse sulla sua pelle
fredda e ricoperta di lacrime e pioggia e la lasciò in quella
posizione per diversi istanti, per sentire il calore che quel gesto
causava sul suo palmo, malgrado il gelo li circondasse. Una figura al
dì fuori di loro due attirò la sua attenzione: vide
Light, se ne stava in piedi sulla soglia della porta del tetto e li
guardava con aria interrogativa e confusa.
Rendendosi
conto di quell'altra presenza, Alyssa volse lo sguardo verso di lui.
Un
lampo ruppe il silenzio calato su di loro e scacciò le loro
figure con il suo bagliore.
Come
se la luce avrebbe portato via tutti loro.
“Che
ci fate qui fuori?” gridò loro il ragazzo, portandosi le
mani ai lati della bocca in modo da amplificare il suono della sua
voce. Le sue parole giunsero a loro come un eco lontano, sfidato
dalla furia del temporale che sembrava non volersi placare.
Elle
lo guardò freddo, lasciando le mani sul viso di Alyssa. “Vai
da Watari, Aly. Chiedigli se può prepararti della cioccolata
calda per riscaldarti.” disse, con voce bassa ma che lei udì
impercettibilmente.
La
ragazza lo guardò sorpresa, le sembrava come se lui le stesse
chiedendo di lasciarlo solo con Light.
Perché
non voleva che lei restasse troppo vicina a quella luce.
Annuì
e si allontanò a passo lento sotto la pioggia, nello stesso
momento in cui Light si stava dirigendo verso di loro. Gli passò
accanto e notò che il suo sguardo era fisso sul detective, era
davvero curiosa di sapere cosa si sarebbero detti.
Ma
preferì seguire il volere di Elle, quel giorno sentiva davvero
il bisogno di farlo.
*
* * *
Era
stata davvero poche volte nella stanza monitor in cui lavorava
Watari.
Era
stretta, piccola e apparentemente soffocante, nell'oscurità
che sempre sembrava circondarla. Alyssa però ignorò
tutti quegli aspetti che la portavano a detestare quella piccola
stanza, rimase seduta in un angolo con le ginocchia al petto: i
capelli erano raccolti in un elastico e lasciati leggermente umidi,
indosso aveva deciso di indossare un normale pantalone scuro e una
maglietta a maniche lunghe altrettanto scura.
Non
sapeva perché avesse scelto quei colori.
E
nemmeno perché sentisse che il freddo la stesse
circondando con le sue dolorose braccia, malgrado là dentro
fosse caldo.
“Va
tutto bene, Aly?”
Watari
si voltò verso di lei, girando sulla sedia su cui sedeva e
rivolgendole un caloroso sorriso rimasto nascosto sotto i suoi spessi
baffi bianchi. Malgrado il buio, la ragazza scorse gli occhi azzurri
dell'uomo luccicare in esso, come piccole stelle pronte a portare
solo la luce.
Sui
monitor si vedeva la figura di Elle, aveva deciso di provare se la
regola dei tredici giorni fosse reale: un detenuto nel braccio della
morte avrebbe scritto un nome e, se tredici giorni dopo non fosse
morto, avrebbe avuto uno lievissimo sconto della pena.
Se
fosse stata falsa quella regola, Light e Misa potevano davvero essere
il primo e il secondo Kira.
“Sì,
tutto bene.” rispose la ragazza, sforzandosi di sorridere
mentre restava nascosta in quell'angolo a pochi passi da lui. “È
solo che...Ryuzaki si comporta in modo strano oggi. O forse, sono io
che lo vedo comportarsi in maniera strana...non so che dire al
riguardo.”
Watari
restò in silenzio, osservò la giovane fissare il vuoto
davanti a sé e passarsi una mano sulla fronte. Lei non capiva
perché si sentisse in quel modo, come se una mano le stesse
stringendo il petto da quella mattina e fosse pronto a strapparglielo
da un momento all'altro.
“Sai,
lui è venuto da me stamani.” disse Watari, rompendo il
gelo in cui si era rinchiusa Alyssa, incatenata da quelle sensazioni
e da quei pensieri negativi.
Lo
guardò, il volto dell'uomo si era fatto improvvisamente serio
mentre la guardava nel buio.
“E
cosa ti ha detto?” gli chiese, un po' titubante. Come se la
risposta che avrebbe ottenuto la spaventava.
Calò
di nuovo il silenzio, Alyssa e Watari si guardarono nel buio fino a
quando un verso di dolore pose fine a quell'atmosfera priva di voci:
l'uomo si portò rapidamente una mano al petto, si piegò
su sé stesso, come se stesse combattendo un nemico che lo
stesso colpendo dall'interno.
Alyssa
ci mise qualche secondo per comprendere che quello che stava
accadendo era reale, balzò in piedi con uno scatto e si
avvicinò all'uomo. “W-Watari?” si avvicinò
a lui, ma l'uomo continuò a stringersi il petto,come per
fermare quella mano che gli stava stringendo il cuore.
“Oh
dio, Watari?!” esclamò di nuovo la ragazza, giunse al
suo fianco quando lo vide cadere a terra, un braccio allungato verso
la superficie della scrivania come a raggiungere la tastiera del
computer. La ragazza gli prese il viso tra le mani, in preda alla
disperazione cercò di dare un senso ai suoi pensieri
irrazionali di quel momento e afferrò in cellulare, per
chiamare i soccorsi medici.
“C-cancellali.”Watari
gemette quella parola, afferrando con la mano tremante il polso di
Alyssa e far sì che lei lo guardasse. Gli occhi della ragazza
si erano velati di lacrime, ma la mente riuscì a concentrarsi
su quell'unica parola che l'uomo sembrava riuscire a rivolgerle.
Le
stava chiedendo di cancellare tutti i dati riguardanti il caso Kira.
Era
ciò che Elle doveva avergli chiesto quella mattina.
Armata
di tutta la forza d'animo che riuscì a raccogliere in quel
momento, adagiò la testa di Watari sul pavimento e si avvicinò
al computer. Premette il pulsante rosso sul retro della tastiera e
l'immagine di Elle sul monitor sembrò volgere lo sguardo verso
di loro, sugli altri schermi apparvero scritte di arresto, che
segnalavano la cancellazione di tutti i file dal sistema.
“Watari?
Watari cosa suc...?”
Anche
la voce di Elle venne cancellata, si arrestò improvvisamente
appena i monitor si spensero. Una luce rossa lampeggiante iniziò
ad illuminare la stanza e Alyssa si gettò rapidamente su
Watari: lui la stava guardando, gli occhi socchiusi su quella che era
stata una figlia per lui e a cui voleva un'ultima volta donare un
segno di affetto: avvicinò la mano tremante a quella di lei e
la strinse più forte che poté.
“C-chiamo
un'ambulanza. Non temere, resisti Wammy.” stava dicendo la
ragazza, con voce soffocata dal dolore e le lacrime che scendevano
copiose sul suo viso. Stava lottando in tutti i modi, malgrado
sapesse che la morte era ormai giunta a prendere il respiro dell'uomo
che era stato come un padre per lei.
Padre.
Lo
sentì perdersi tra le sue braccia, mentre digitava con mano
tremante il numero dell'ambulanza. I suoi muscoli contratti dal
dolore si rilassarono sempre di più, il respiro si ridusse ad
un soffio fino ad arrestarsi e gli occhi si chiusero per sempre sulla
figura di Alyssa.
La
ragazza continuò a guardare il cellulare, decidendo di non
arrendersi all'evidenza che Wammy avesse appena smesso di vivere tra
le sue braccia. Trattenne i singhiozzi che stavano nascendole in
gola, le lacrime non smisero di attraversarle le guance nemmeno per
un istante e il dolore assunse un'espressione sul suo viso.
Padre.
Maestro
di vita.
Amico.
Aveva
appena perso tre soggetti in un unica vita, strinse la mano che
teneva dietro la testa di Wammy e raccolse i suoi capelli tra le
dita, come se volesse trattenerlo a sé il più
possibile, anche se non c'era più respiro in quel corpo.
Lasciò
cadere il cellulare a terra e si portò la mano alle labbra,
quando sentì il dolore prendere il sopravvento su di lei. La
disperazione sussurrò parole di morte al suo orecchio,
ricordandole quanto avesse perso in quell'unico secondo in cui
qualcosa aveva preso il cuore di quell'uomo che aveva creato
ciò che Alyssa chiamava famiglia.
Lui.
Lei.
Elle.
Chi
si prenderà cura di te quando me ne sarò andato?
Alyssa
scacciò la voce della disperazione, ripensò a quelle
parole lette nelle iridi del ragazzo, parole che la pioggia, il vento
e la luce non avevano taciuto e capì che doveva combattere
quel dolore, se voleva evitare la morte.
“Elle...”
adagiò il corpo senza vita di Wammy sul pavimento e corse
fuori dal corridoio.
*
* * *
I
suoi passi riecheggiarono tra le pareti scure, unito al suono delle
sirene d'allarme che illuminavano quei lunghi corridoi.
Rosse
come il sangue ballavano
con il nero della morte.
Non
c'erano lacrime, non c'era disperazione, non c'era dolore che le
potesse impedire di correre.
Solo
il tempo, che parve arrestarsi attorno a lei e impedirle di andare
più veloce, sempre di più per raggiungere la stanza in
cui si doveva trovare lui. Tutti i suoi pensieri si
annullarono, quelle voci che ogni tanto affollavano la sua mente e la
spingeva a compiere azioni si ridussero ad un solo sussurro che le
diceva: salvalo. Perché se non ci fosse riuscita, se
non lo avesse salvato, quelle voci si sarebbero spente tutte insieme,
fino a portarle alla morte.
“Ascoltate,
lo shiniga...”
Alyssa
sentì la sua voce, mentre si faceva sempre più vicina
alla soglia della porta. Il fatto che la sentì arrestarsi
all'improvviso, senza giungere alla sua conclusione, le strinse il
cuore in una morsa.
Lawliet.
Raggiunse
finalmente la stanza, fermandosi però sulla soglia quando vide
un angelo cadere.
Non
vide le altre persone che si trovavano all'interno, erano solo
immagini irreali a cui il suo sguardo non riuscì a dare forma.
Le luci rosse colorarono quell'immagine di un corpo che, lentamente,
stava raggiungendo il pavimento.
Il
tempo si arrestò di nuovo, un grido si liberò dal suo
corpo mentre correva verso di lui, mentre il cucchiaino che lui
teneva in mano librava nell'aria per poi cadere con lui a terra.
Le braccia lo presero al volo, gli occhi cercarono subito il suo viso
e le lacrime di Alyssa corsero a bagnare i visi di entrambi.
“No,
no, no....” La ragazza sentiva la sua voce pronunciare solo
quelle parole, mentre faceva salire le mani al volto di Elle. Gli
occhi neri di lui erano sbarrati su di lei, come attraversati da una
miriade di ricordi di una vita che lo stava abbandonando.
Loro
suonarono più forte, insieme
alla voce di Alyssa e al suono che le sue lacrime provocavano mentre
cadevano su di lui.
Chi
ti darà forza quando non ne avrai?
“Elle,
Elle...non te ne andare. Non lasciarmi, non lasciarmi...”
Alyssa ripeté quelle parole, le sentì rompere il
silenzio glaciale che li circondava, mentre gli occhi dei presenti
erano puntati su di loro. Il ragazzo aprì le labbra, come per
pronunciare un nome, una parola che volesse lei sentisse prima che la
fine giungesse.
Ma
il suo sguardo si posò su un punto dietro di lei, dove altri
occhi sembravano stessero assistendo a quella scena il cui finale
tragico era già stato scritto.
Un
ghigno nel buio fu il suo ultimo saluto.
Poi
lentamente, mentre il suono di quelle campane sembrava spegnersi
sempre di più, chiuse le palpebre dopo aver guardato un'ultima
volta Alyssa, la bambina che gli aveva dato la mano per siglare
l'inizio di una nuova vita con lei, la ragazza che gli aveva sorriso
per dirgli che credeva in lui.
La
donna che gli aveva donato il suo cuore per farlo sentire amato.
Alyssa
sbarrò lo sguardo, quando vide il volto pallido di Elle
rilassarsi sempre di più, le labbra socchiuse in un ultimo
respiro e il petto troppo silenzioso e immobile per contenere un
cuore vivo. Il silenzio nella stanza calò soffocante, per poi
essere rotto da un urlo disperato di Alyssa, che risuonò tra
le sue pareti come un lamento di morte.
Sembrò
che la sua voce non fosse abbastanza forte per poter esternare il
dolore che lentamente le stava crescendo dentro, scosse il corpo di
Elle e chiamò più volte il suo nome, come se volesse
destarlo da un sonno in cui era troppo presto caduto. Gridò di
nuovo, si portò il corpo del ragazzo stretto a sé e
pianse tra i suoi capelli, sentendosi improvvisamente vuota e priva
di respiro. Dietro di sé si scatenò il panico: Light
gridò disperato, quasi isterico, e affermò che loro
sarebbero stati i prossimi a venir uccisi da Kira e gli altri
poliziotti si lasciarono prendere dalla paura.
Magari
lui fosse giunto a prenderla.
Alyssa
lo stava aspettando.
Sperava
di sentire quella presa invisibile che le strappava il cuore dal
petto, sperava di sentire la sua voce gemere di dolore prima di
spegnersi del tutto, sperava di sentire l'ultimo respiro soffiare in
lei prima di andarsene e raggiungere la sua famiglia.
Wammy,
suo padre.
Elle,
l'uomo che amava e che le aveva insegnato a vivere davvero.
Sperava
di cadere al suo fianco e di addormentarsi con lui nel sonno della
morte.
Quando
me ne andrò, chi arresterà la tua caduta?
Nessuno.
Alyssa
si sentì cadere in un vortice di dolore sempre di più,
mentre le lacrime continuavano a scendere lungo il suo viso senza che
potesse arrestarle.
Perché
Kira non la uccideva?
Perché
viveva ancora?
Passarono
diversi minuti, in cui era rimasta a piangere sul cadavere di Elle,
sola in quella stanza buia e senza luce che era stata la sua tomba.
“Alyssa?”
sentì una voce alle sue spalle e lentamente si voltò a
guardare il volto di Light dietro di lei, il viso avvolto in una
maschera di dolore che però sembrava celare ben altro.
La
disperazione lasciò posto alla follia.
“No,
non..non è morto. È solo...chiama l'ambulanza, siamo
ancora in tempo.” disse con voce tremante, scuotendo la testa
ripetutamente mentre continuava a guardare il volto immobile di Elle.
Sembrava
stesse dormendo, aveva un espressione serena e tranquilla sul volto
che nessuno avrebbe potuto associare alla morte.
Un'espressione
innocente, così come lo era lui.
La
giustizia non poteva essere morta.
Light
le posò le mani sulle spalle, in un gesto che le fece
scoppiare il petto di nuovo nel dolore. Se sentiva quelle mani sulla
sua pelle, voleva dire che anche quel corpo freddo tra le sue braccia
era reale.
Riprese
a piangere, singhiozzi e lacrime erano più forti di lei e non
riuscì ad arrestarli.
Aveva
perso tutto nel giro di pochissimi minuti.
Un
intera vita cancellata nell'attimo di un battito di ciglia.
Ma
lei era ancora là.
Perché
Kira non la prendeva?
Abbassò
la testa sui capelli di Elle, inalò il suo ultimo profumo,
quell'odore inconfondibile che solo lui sapeva emanare.
Perché
io sono la giustizia.
Risentì
quella voce nella sua mente. Fu così reale che le parve non
appartenere ad un ricordo, ma che avesse rotto il silenzio in quel
momento.
Perché
tu eri la mia vita.
Quella
era la sua voce, quella che nella sua mente piangeva ancora più
forte che nella realtà, quella che aveva davvero preso
consapevolezza di essere rimasta sola.
Perché il corpo di Alyssa rifiutava di riconoscere quel
pensiero, non avrebbe di certo retto un dolore simile.
Guardò
il viso di Elle, ignorando le voci che li circondavano in quel
momento e lasciò che le lacrime gli baciassero le labbra un
unica, ultima volta.
Tu
continui a sentire la mia voce, ma io sono lontano.
You
long to hear my voice, but i'm long gone.
Ciao
a tutti :)
Mi
sento in colpa ad aver pubblicato questo capitolo, poiché io
per prima avrei tanto voluto saper elaborare un finale diverso.
Ma
era così che avevo inteso la storia e se avessi cambiato
all'ultimo, probabilmente avrei creato qualcosa di deludente.
Spero
comunque vi sia piaciuto e che continuiate a leggere gli ultimi
capitoli della mia storia.
Siamo
quasi al termine infatti (sono certa che molti di voi saranno felici
xD): mancano pochissimi capitoli (quattro o cinque escluso il
prossimo, li dovrei selezionare in base alla lunghezza) e Elle sarà
comunque presente in tutti essi attraverso dei flashback poiché,
malgrado la sua dipartita, tutti questi ultimi capitoli ruoteranno
sempre attorno a lui.
La
canzone che fa da titolo al capitolo e le cui frasi sono presenti
all'interno di esso è la stupenda “Watch Over You”
degli Alter Bridge, di cui ho adattato frasi del testo per renderlo
adatto al capitolo.
Ringrazio
tutti coloro che leggono la storia, sia in silenzio e sia chi
recensisce.
Un
grazie anche a tutti coloro che l'hanno inserita tra le
seguite/preferite/ricordate!
Siete
tutti fantastici!
Spero
di ritrovarvi al prossimo capitolo e vi auguro una buona serata!
Ciao
^^
|
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Capitolo 18 *** Anthem Of The Angels ***
-Anthem
Of The Angels-
White
walls surround us
No
light will touch your face again
Rain
taps the window
As
we sleep among the dead
Il
vuoto.
Era
lui che la stava circondando in quel momento, era lui che la stava
tirando sempre più in basso, era lui che le stava strappando
via l'anima sempre di più, riducendo il suo corpo ad un vuoto
involucro privo di vita.
Vita.
Quella
parola la fece quasi sorridere, come sorriderebbe un bambino di
fronte ad un sogno troppo lontano, un sogno che gli è
consentito solo immaginare con la sua mente.
Lei
provò ad immaginare la vita, ,ma la ritrovò solo
distesa sotto un telo bianco, su un tavolo delle autopsie.
Rimase
in piedi in quella stanza buia, l'odore acre di medicinali e morte
era il suo unico appiglio alla realtà, la sua anima era ormai
troppo lontana da quel mondo che le aveva portato via tutto in un
solo misero minuto.
Aveva
visto quegli occhi guardarla per poi spegnersi lentamente,
lasciandola in balia delle lacrime e della disperazione.
Ancora
non lo credeva possibile, ancora stringeva la stoffa dei suoi stessi
pantaloni sperando che fosse solo un brutto incubo, ancora sperava
che una presenza nella sua mente le desse qualcuno con cui parlare,
qualcuno che le dicesse che lui non era morto.
Ma
era sola.
Ormai
non aveva nessuno, era stata abbandonata persino dalla morte che Kira
si era rifiutato di concederle. Avrebbe tanto voluto avere il
coraggio di impugnare un arma contro il suo stesso petto e porre lei
stessa la fine alla sua vita. Ma non ci riuscì. Debole e
patetica, così riuscì solo a definirsi.
L'unica
cosa che poteva fare era stare in quella camera mortuaria, pervasa
dal freddo gelido della morte e il cui silenzio veniva rotto
unicamente dal battito del cuore troppo forte, che batteva nel suo
petto.
Smettila,
finirai per svegliarlo.
Ma
non era ciò che voleva? Si avvicinò lentamente a lui,
tra quelle lunghe file di tavoli che accoglievano corpi di tante
persone che avevano abbandonato troppo presto i propri cari. In quei
teli bianchi, le sembrò di vedere immagini di persone in
lacrime, che gridavano al cielo di rendere loro l'anima dell'angelo
che era stato portato via alla terra, cosa che lei aveva fatto per un
intera nottata, ma senza ottenere risultato.
Si
fermò vicino a lui, il telo bianco copriva il suo corpo e ad
Alyssa parve di scorgere il suo profilo sotto di esso.
Allungò
la mano, come per scostare quell'unico ostacolo che la separava da
lui, ma si bloccò.
Bianche
pareti ci circondano, nessuna luce toccherà più il tuo
viso.
Ascoltando
il silenzio, riconobbe il rumore della pioggia che batteva la realtà
al di fuori di quell'ospedale.
Era
tutto il giorno che pioveva, solo allora si era resa conto che lui
stava piangendo giorni
prima perché un angelo stava per cadere troppo presto.
E
lei non era riuscita ad evitarlo.
Rem
aveva scritto i nomi di Wammy e Elle sul quaderno, per poi ridursi in
un cumulo di polvere per aver trasgredito le regole del suo mondo.
Kira aveva agito attraverso di lei, Alyssa si immaginò il
ghigno di quel bastardo mentre gioiva della morte di Elle. Un sorriso
folle le attraversò le labbra per un istante, quando pensò
che Elle aveva comunque vinto.
La
giustizia viene dal cielo e il cielo, quel giorno, aveva accolto il
suo angelo migliore.
Socchiuse
gli occhi, tentata di nuovo dallo scostare quel telo che nascondeva
il suo corpo, ma si bloccò.
Non
voleva disturbarlo, non poteva rovinare il suo ultimo sonno in quel
modo.
Doveva
solo prendere un pugnale e morire accanto a lui, invece stava ancora
aspettando che lo facesse Kira.
Forse
era a lei che voleva infliggere la morte peggiore, perché
anche lei aveva perso la vita quel giorno: Alyssa non c'era più,
se n'era andata insieme alla sua famiglia
ma il suo corpo restava a vagare tra gli umani, come un fantasma in
cerca di verità.
Kira
le aveva portato via tutto, probabilmente non aveva senso privarla
del respiro, quando già lo aveva perso.
Cedette.
Cadde
sulle ginocchia, lasciando scorrere le lacrime lungo il suo viso e
ignorando il freddo del pavimento che trapassava i tessuti dei suoi
pantaloni.
Singhiozzi
ripetuti scapparono dalle sue labbra e ruppero il silenzio che
ricopriva quella misera stanza puzzolente, quella misera prigione che
stava imprigionando il suo
corpo per l'eternità.
Si
piegò in avanti, sfiorando la superficie fredda del pavimento
con la fronte e lasciando che il gelo
le corresse sulla pelle e la facesse sentire quasi viva.
Non sentiva più di esserlo, nemmeno le lacrime che si univano
ai suoi lamenti di disperazione valsero a provargli che
lei era ancora Alyssa.
Sentì
come un braccio che si allungava sulla sua spalla, la sua mente aveva
perso i binari su cui doveva correre e le stava regalando quella
splendida illusione di non essere sola. Il suo cuore galoppò
per un solo istante, come se stesse incontrandosi con una serenità
che fronteggiava la morte.
Come
se stesse per destarsi da quell'incubo.
Restò
piegata su sé stessa, continuando ad avvertire quel calore che
posava sulle sue spalle. Labbra sfiorarono i suoi capelli sciolti e
un dolce respiro accarezzò la sua nuca, come per voler
allontanare il freddo dal suo corpo.
Sono
ancora qui.
Alyssa
continuò a piangere, quando quella voce giunse alle sue
orecchie, troppo reale.
Non
era un sogno, lui
davvero
là con lei e lo sentiva.
La
sua mente si era truccata di illusioni davvero troppo bene, per
permetterle di vivere una cosa simile.
Non
mollare, non farlo perché io non ti abbandonerò mai.
No,
quelle voci non erano reali.
Erano
solo lontani ricordi che stavano tornando a galla, per farla sentire
viva.
Ciò
che lei non era più da quando aveva visto il suo angelo
cadere.
Ma
io so che non lo farai mai, Elle. Cosa credi?
La
sua voce.
Quella
era la sua voce, che riecheggiava negli angoli della sua mente e le
ricordava che, quando le aveva pronunciate, aveva un largo sorriso
sulle labbra che avrebbe tanto voluto di nuovo conoscere.
Gettò
la testa all'indietro, fendendo l'aria come se fosse un'arma per il
mondo intero e gridò il suo nome un'ultima volta.
*
* * *
Days
go on forever
But
I have not left your side
We
can chase the dark together
If
you go, so will i
“Sono
ancora qui!”
La
piccola Alyssa si guardò attorno, senza però trovarlo
da alcuna parte. Il vento primaverile soffiava fresco sulla sua
pelle, trasportando con sé un inebriante profumo di fiori che
sembravano rinchiudere in quel dolce aroma i loro mille colori.
Sentiva
ancora la voce di Elle, le parve di udire il suo respiro nascosto in
un di quei fiori che la circondavano, eppure non lo vedeva.
Si
portò una mano sul cappello in paglia che portava sulla testa,
per impedire che il vento glielo portasse via e continuò a
guardarsi attorno.
Ma
non lo vedeva.
Uno
strano senso di timore sembrò pervaderla, sapeva che era lì
eppure non riusciva a scorgerlo.
Anche
se era un gioco, anche se riusciva ad avvertirlo, non le piaceva il
fatto che i suoi occhi non riuscivano a catturarlo e farlo suo.
“Elle?
Questo gioco non mi piace più. Esci fuori!” esclamò.
Ma
le tremava la voce? Lo trovò alquanto stupido, come il fatto
che i suoi occhi si stavano gonfiando lentamente di lacrime.
Voleva
vederlo.
“Continua
a cercarmi.” la incitò lui, con una strana voce che
sembrava tenere dentro di sé del divertimento. Era strano,
perché Elle non si era mai sottoposto ad un gioco del genere.
Se lui e Alyssa passavano del tempo insieme, lo facevano su un
altalena: l'unico gioco che il bambino davvero amava fare, perché
sosteneva di sentirsi più vicino al cielo, restando comunque
sulla terra.
Era
vicino ai suoi genitori.
Era
vicino ad Alyssa e Wammy.
Era
con sospeso tra coloro che amava.
La
bambina si rese solo allora conto che quello era un sogno: i colori
erano troppo nitidi, il paesaggio troppo paradisiaco e quel profumo
sembrava essere solo un illusione per i sensi. L'unica cosa reale era
Elle, la sua voce e la sua inconfondibile presenza.
E
voleva che lo cercasse.
Perché?
Cosa significava?
Due
mani le coprirono gli occhi. Dopo un attimo di sussulto, Alyssa
sfiorò quelle piccole dita fredde che le oscuravano lo sguardo
e un sorriso le attraversò le labbra.
“Non
mollare mai, non farlo perché io non ti abbandonerò
mai.”
La
bambina sorrise, si voltò lentamente verso Elle e lo vide
sorridere per davvero per la prima volta da quando lo aveva
conosciuto. Si chiese perché lo stesse facendo in un sogno,
perché quella fantasia non potesse essere reale.
“Ma
io so che non lo farai mai, Elle. Cosa credi?” lo sfidò
lei, arricciando il naso e assumendo una smorfia che rivolse al
bambino.
Quest'ultimo
sorrise di nuovo, con una mano le accarezzò i capelli e Alyssa
si sentì pietrificare. Non perché quel gesto l'avesse
innervosita, non perché non era abituata a sentire il suo
tocco sul viso, ma perché quell'immagine le sembrò
troppo, troppo profetica.
Come
se quel gesto avrebbe accompagnato la fine di tutto.
“Devi
sempre saperlo, che io sarò sempre con te.” disse
ancora, mostrando i denti attraverso il suo sorriso radioso.
Restarono a guardarsi per diversi istanti, mentre il vento faceva da
sottofondo al loro sogno comune, quello di stare insieme.
L'unico
,vero, reale sogno che volevano avere, l'unico che li avrebbe mandati
avanti.
“Ragazzi,
è ora di tornare a casa!” La voce di Wammy li richiamò,
si trovava fuori dall'oceano di fiori e li stava richiamando con un
gesto della mano. Gli occhi azzurri socchiusi e il sorriso caloroso
che faceva capolino dai suoi baffi bianchissimi vennero illuminati
dalla luce del sole che brillava nel cielo, diverse nuvole erano
giunte a giocare insieme a loro, oscurandone ogni tanto la
lucentezza.
Elle
fece un passo come per raggiungerlo, ma prima si voltò verso
Alyssa che era rimasta immobile a guardarli stranita.
“Vieni.”
Elle allungò la mano verso di lei. “È ora di
tornare a casa.”
*
* * *
Cold
light above us Hope fills the heart And fades away Skin
white as winter As the sky returns to grey
La
mattina dopo Alyssa, la bambina che aveva tutto, aveva scoperto con
rammarico che quello era stato solo un sogno.
La
mattina dopo Alyssa, la ragazza che aveva perso tutto, aveva scoperto
con rammarico che quello era ancora un incubo.
Tenne
le mani strette in grembo e lo sguardo fisso sulle lapidi che si
stagliavano davanti ai suoi occhi come se fossero troppo grandi per
non notarle. Il vento sussurrava alle sue orecchie parole che lei non
riuscì a cogliere, le parve di sentire sospiri nascosti in
esso, come se qualcuno stesse comunicandole qualcosa mentre se ne
stava da sola di fronte a quella tomba.
Ascoltò
gli inni degli angeli che sembravano volerle ricordare quel giorno
attraverso le loro soavi voci.
Alyssa
non avrebbe mai dimenticato quel giorno, non ci si ricorda mai del
giorno della propria nascita ed è impossibile ricordare anche
quello della propria morte, quando l'anima giungeva dall'altra parte
della realtà.
Ma
lei aveva il privilegio, o la condanna, di ricordare.
Perché
aveva respiro, cuore, testa ma non aveva più anima: quella era
stata portata via dal corpo nello stesso momento in cui quella di
Elle aveva abbandonato il suo.
Era
evaporata da lei, quando aveva gridato il suo nome per un ultima
volta ma lui non le aveva risposto.
O
meglio, lei non aveva sentito la sua risposta.
“Odio
il nero.”
Alyssa
guardò la lapide a forma di croce di Elle e un sorriso le
attraversò le labbra, un sorriso di cui lei stessa era
inconsapevole e che nasceva da un vecchio ricordo che la sua mente
aveva deciso di porre alla sua attenzione proprio in quel momento.
Abbassò lo sguardo sul suo abito scuro, aveva raccolto i
capelli in una crocchia e i ciuffi erano stati raccolti insieme da un
elastico altrettanto nero.
Allora
perché ti sei vestita così?
Alyssa
guardò la gonna che fluttuava nel vento, uno strano e
familiare profumo giunse a lei e avvertì come una strana
presenza alle sue spalle, pronta a sorreggerla in caso fosse caduta.
Ma
ormai sarebbe per sempre caduta.
Si
sentì stringere le spalle, come se due mani volessero
ricordarle quanto lui le fosse vicino.
“Perché
vestirmi di rosa non mi sembrava il caso.” rispose lei e alzò
la testa verso il cielo. Il sole stava salutando la terra,
nascondendosi oltre l'orizzonte e vestendo il cielo di un manto
arancione, che si allungava sopra di lei. Quella strana presenza,
quelle mani che le stavano infondendo coraggio, continuò a
rimanere dietro di lei e a sussurrare parole che solo il vento
riusciva a tradurre.
Peccato,
saresti stata bene in rosa.
Alyssa
rise, una risata che ruppe il silenzio della morte, violando il sonno
di coloro che si trovavano attorno a lei.
Anime
che gridavano, ma che nessuno poteva sentire.
Eppure
lei lo sentiva, così vicino.
Ma
non osò voltarsi: perché come Orfeo aveva perso
Euridice, voltandosi verso di lei per vedere il suo volto, lei non
voleva perderlo per sempre.
Voleva
sentirlo sempre al suo fianco, anche se non poteva più
vederlo.
Aly,
io sono sempre qui. Lo sai che non ti abbandonerò mai.
La
ragazza si sentì di nuovo perforare il cuore, una lama scese
in profondità dentro il suo animo e spinse i suoi occhi a
lacrimare dolore e pena. Tirò su con il naso, guardando il
cielo su cui la notte sembrava voler far scendere le sue tenebre e
lasciò che i suoi occhi piangessero.
“Lo
so.” disse, serrando le labbra.
Sono
io che ti ho abbandonato.
Avrebbe
dovuto porre fine alla sua vita nel momento stesso in cui Kira non lo
aveva fatto per lei. Avrebbe dovuto prendere un pugnale e piantarselo
nel cuore, morendo accanto all'uomo che aveva amato più di sé
stessa da un intera vita, ma di cui se ne era resa conto solo quando
era tutto finito.
Forse
anche la loro storia, un giorno, sarebbe stata raccontata, come
quella di Romeo e Giulietta.
Ma
lei non aveva avuto il coraggio di togliersi la vita.
Tu
non mi hai abbandonato, Alyssa. Noi siamo ancora insieme, non vedi?
Alyssa
abbassò la testa, le lacrime scorsero velocemente lungo il suo
viso e caddero sul terreno ai suoi piedi, quell'unico pezzo di spazio
che la stava dividendo dal corpo di Elle. “Ti amo.”
singhiozzò, lasciando che il vento trasportasse via le sue
parole e che le portasse al cielo, dove lui doveva davvero trovarsi
in quel momento.
La
sua nuova casa.
“Alyssa?”
La
ragazza aprì gli occhi di colpo, si accorse di averli tenuti
chiusi per tutto il tempo e di aver solo immaginato di sentire quella
voce, di percepire quel respiro tra i suoi capelli e di avvertire la
forza di quelle mani che le stringevano le spalle.
Era
solo un'illusione, ormai non riusciva più a distinguere
cosa fosse reale e cosa non lo fosse.
La
voce di Light però era reale. Vicina. Anche troppo.
Si
girò verso di lui, il ragazzo indossava ancora lo smoking
scuro che aveva portato per il funerale. Gli occhi dorati erano fissi
su di lei, la scrutavano con attenzione come se volessero cancellare
dal suo viso il dolore.
“Stiamo
andando tutti a casa, tu non vieni?” le chiese, indicando un
punto dietro di sé, dove la ragazza vide gli altri colleghi
del quartier generale che si stavano allontanando tra le lapidi di
quel cimitero.
Casa.
“Io
non ho più una casa.” precisò la ragazza e tornò
a guardare la lapide di Elle di fronte a sé.
Light
si pose al suo fianco, restò in silenzio e guardò
insieme a lei la croce che entrambi avrebbero portato sulle loro
spalle.
Chi
in un modo, chi in un altro.
“Ora...cosa
farai?” le chiese, tornando a guardarla e portandosi le mani
dentro le tasche dei pantaloni.
Alyssa
teneva ancora le palpebre leggermente abbassate, perché non
c'era più nulla in quel mondo che le importasse guardare. “Non
lo so. Ma tornerò in Inghilterra e manterrò la promessa
che ho fatto a lui.”
disse.
Quella
di lasciar perdere Kira.
Era
una cosa che lei non voleva fare, ma andare contro alle ultime
volontà di Elle le sembrava davvero perfido.
“Vieni.”
Light le posò le mani sulle spalle e la costrinse a voltarsi
verso di lui, la strinse a sé in un delicato abbraccio. Alyssa
non ricambiò ma non oppose resistenza, si ritrovò con
il mento contro la spalla sinistra del ragazzo mentre le braccia di
lui l cingevano i fianchi.
La
ragazza trovò quel contatto stranamente freddo,
ma non andò a fondo delle sue emozioni perché non le
avvertiva più. L'anima scinde emozioni e sensazioni e permette
alla mente di riconoscerle e classificarle, ma lei
la sua anima l'aveva vista fuggire via insieme a quella di Elle.
“Mi
dispiace davvero molto che tu soffra così. Ti auguro tutto il
bene del mondo.”
Restarono
in quelle posizioni per altri interminabili istanti, in cui la
ragazza sentiva il bisogno di porre quella domanda. Non seppe perché,
ma le venne in mente mentre era vicino a lui.
“Perché
Kira non mi ha uccisa, Light?”
Pronunciare
il nome del loro assassino, di colui che le aveva portato via
tutto quanto le parve veleno, pronto a corrodere qualsiasi cosa fosse
rimasto dentro il suo corpo. Light restò per qualche attimo in
silenzio, mentre il vento soffiava su di loro.
“Non
lo so. Ma lo scopriremo presto, sarò io a catturarlo e
vendicare Ryuzaki. Te lo prometto.” le sussurrò
all'orecchio. La ragazza provò un brivido mentre sentiva il
nome fittizio di Elle.
Una
voce dentro di lei fu grata di non aver sentito uscire il suo vero
nome dalle labbra di Light.
I
due si separarono, lui le sorrise gentilmente e Alyssa allargò
leggermente le labbra, tenendo però gli occhi bassi. Non
voleva che qualcuno si accorgesse di come la sua anima era fuggita
via dal corpo.
“Ti
ringrazio.”
Allora
lo guardò.
E
lo vide.
Il
suo vero volto.
Durò
un solo istante, ma l'immagine degli occhi rossi, di quel sorriso
tramutato in un ghigno compiaciuto e il suono di quella risata
gutturale che ruppe il silenzio rimasero impressi nella sua mente.
Come
un incubo ad occhi aperti, che però le mostrò quanto
spaventosa fosse la realtà. Il vero incubo.
Alyssa
sentì il cuore batterle nel petto all'impazzata mentre il
volto di Light parve tornare alla normalità.
“Tutto
bene?” le chiese lui, corrugando la fronte confuso.
La
ragazza dovette scuotere la testa per tornare in lei, abbassò
gli occhi e cercò di regolare il respiro che sembrava volesse
bloccarsi nella sua gola. “Devo...devo andare.” disse
solo e lo superò senza rivolgergli più uno sguardo.
Pensò che fosse stupido dare credito a quell'illusione ma
qualcosa dentro di lei, qualcosa di davvero forte, la spingeva invece
a darci davvero importanza.
Mentre
sentiva gli occhi di Light su di sé, mentre guardava il sole
tramontare nel cielo e mentre udiva i silenziosi sospiri di quelle
anime perse intorno a lei, strinse i pugni con forza, decidendo in
quel misero secondo che cosa fare del suo futuro.
Mi
spiace, Elle.
Guardò
il sole all'orizzonte e si ritrovò a tramontare insieme a lui.
There
is nothing left of you I can see it in your eyes Sing the
anthem of the angels And say the last goodbye I keep holding
onto you But I can't bring you back to life Sing the anthem of
the angels And say the last goodbye
(Anthem
Of The Angels- Breaking Benjamin)
Ciao
a tutti! :D
Scusate
il capitolo cortissimo, ma l'ho scritto come “epilogo”
per questa prima parte della fanfic.
Smetterò
anche di rompervi le scatoline con questi capitoli pseudo tragici,
dal prossimo fino agli ultimi ci saranno più azione e meno
lacrime! :P
Ringrazio
tutti coloro che leggono la mia storia, sia chi lo fa in silenzio e
sia chi recensisce.
Un
grazie di cuore anche a coloro che hanno inserito la mia storia tra
le preferite, seguite e ricordate! ^^
Alla
prossima, ciao! :)
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Capitolo 19 *** New Dawn ***
-New
dawn-
E
così ricopro la mia nuda perfidia con antiche espressioni a me
estranee rubate ai sacri testi e sembro un santo quando faccio la
parte del diavolo.
(William
Shakespeare- Riccardo terzo)
Il
tempo passava.
Le
stagioni si susseguivano.
Un
corpo cresceva, una mente maturava, una vita cambiava.
In
quei cinque anni, lei sentì di essere cambiata insieme al
mondo e quest'ultimo era cambiato in peggio, come al solito. Una
nuova alba porta segue sempre una notte più buia di quella
precedente e le notti della sua vita si erano fatte sempre più
oscure, l'avevano avvolta sempre di più e trascinata con loro.
Strinse
i pugni di fronte a quella consapevolezza, accusandosi di non essere
stata capace di cambiare in meglio, perché si era aggrappata
ad un mondo che era solo male.
Ma
non aveva tempo di biasimarsi. Guardò la lapide di fronte a
sé, un passato dolore che era rimasto immutato nel corso degli
anni e vivo come solo qualcosa che faceva così male poteva
essere.
Guardò
poi la rosa rossa che aveva tra le mani e la lasciò sopra
quella superficie di pietra, come aveva fatto sempre da cinque anni a
quella parte.
Si
diceva che in onore di un morto, si doveva portare in dono una rosa
bianca.
Ma
lui
non
era morto. Non lo era mai stato.
Tutti
lo credevano tale, ma lei avrebbe fatto loro cambiato idea.
Sarebbe
riuscita a riportarlo in vita, il suo nome avrebbe nuovamente pervaso
l'aria e la giustizia sarebbe tornata con il suo spirito.
Ne
era certa.
Guardò
l'albeggiare del cielo sopra la sua testa e un sorriso inconsapevole
apparve sulle sue labbra, mentre l'oscurità della notte veniva
portata via da una nuova luce.
Una
nuova alba avrebbe avuto inizio quel giorno e lei ne sarebbe stata
l'artefice.
* * * *
“Condoglianze,
Light.”
Il ragazzo rispose
all'ennesimo saluto con un sorriso sghembo, guardando l'uomo basso e
con due spessi baffi scuri sopra le labbra che aveva allungato la
mano verso lui, senza però guardarlo negli occhi.
Avevano usato tutti
quell'atteggiamento, tipico ad un funerale, in cui lo sguardo non
poteva sostenere il dolore che si poteva leggere nei volti dei
familiari.
Light lo guardò
andare via, quella mattina tirava un fresco venticello autunnale, che
aveva per tutto il tempo accompagnato la cerimonia funebre per suo
padre. La folla di persone accorse a portare il loro ultimo saluto si
stava lentamente disperdendo, tanto che rimasero solo i familiari più
stretti davanti alla lapide.
Guardò verso sua
madre e Sayu, abbracciate e in lacrime, con gli occhi posati sulle
frasi scritte nella pietra per l'uomo che era stato marito e padre
per loro, un uomo che se n'era andato troppo presto.
La ragazza rimaneva
aggrappata alla madre, come farebbe un naufrago con uno scoglio per
salvarsi dal mare in bufera, e i suoi singhiozzi ogni tanto rompevano
l'irreale silenzio che aleggiava su quel cimitero.
La madre si mostrò
più composta, ostentando una forza che forse nemmeno pensava
di avere: le lacrime solcavano il suo viso, ma dalle sue labbra non
uscì alcun lamento.
Erano i suoi occhi a
parlare, quelli gridavano più dolore e angoscia di quanto una
voce potesse fare.
Light abbassò lo
sguardo, restando diversi passi lontano da loro e ascoltando il
fischio del vento che muoveva i suoi capelli castani. Il vociare
della gente che stava lasciando il cimitero si era fatto sempre più
lontano, unendosi ai suoni del vento, e il sole, che aveva brillato
alto per tutta la cerimonia, venne coperto da alcune solitarie
nuvole, le quali ne ottenebrarono la luce.
Una mano si posò
sulla sua spalla, tastandola delicatamente, e il ragazzo chiuse gli
occhi preparandosi a rispondere all'ennesimo saluto di condoglianze.
Ma appena si voltò,
appena vide quella figura di fronte a sé, la sorpresa si
impadronì di lui.
Il suo sguardo vagò
su quei folti e lunghi capelli neri che le ricadevano sulle
spalle,sugli occhi verdi leggermente velati di nero e le labbra
immobili, che accentuavano la freddezza dell'espressione di ghiaccio
sul volto di quella ragazza.
Dovette sbattere più
volte le palpebre per riconoscerla, tanto che per un attimo pensò
di ritrovarsi davanti ad una statua di pietra. Ma poi si rese conto
che il suo istinto aveva visto giusto: era lei.
“Alyssa?”
domandò in un sussurro, come se temesse di sbagliarsi.
La ragazza sorrise, ma
fu un sorriso trattenuto e pieno di dolore quello che si delineò
sulle sue labbra.
“Ciao Light.”
rispose lei.
*
* * *
Light non poté
fare a meno di osservarla, mentre prendeva posto davanti a lui.
Si stava togliendo la
giacca scura che indossava al cimitero e la stava posando sullo
schienale della sedia su cui era seduta. Portava una semplice
canottiera scura sotto che metteva in bella mostra il vistoso
tatuaggio sulla spalla destra. Il ragazzo ci impiegò un po'
per capire che erano gocce di pioggia, come quelle che erano scese
quando lui era morto, segni indelebili di un dolore che forse
la ragazza non avrebbe mai dimenticato.
Trovò angosciante
vederli sulla sua pelle, era come se Alyssa stesse cercando in tutti
i modi di non dimenticare.
Posò i gomiti sul
tavolo e la guardò mentre si girava verso di lui e una
cameriera si avvicinò al loro tavolo per prendere le
ordinazioni. Alyssa non parlò, allora Light ordinò un
caffè amaro per entrambi, ricordando che a lei piaceva tempo
prima.
Ma
poteva aver cambiato anche abitudini? Nel
silenzio che seguì, il ragazzo parve ancora non
riconoscerla:era visibilmente dimagrita, anche troppo, il viso era
leggermente scavato anche se appariva lo stesso bellissimo.
Anche
se quella era la tipica bellezza che spaventava,
quella che non si poteva sapere cosa celasse.
Aveva sentito poco la
sua voce, solo quando lo aveva salutato e quando gli aveva detto che
era dispiaciuta per ciò che era successo a suo padre. E anche
in quelle parole, in quei sussurri, il ragazzo non aveva ritrovato la
ragazza che aveva conosciuto anni prima.
“Che ci fai qui a
Tokyo, Aly? Non ti sei fatta più sentire dal funerale di...”
Si protese verso lei, appena la cameriera portò loro le due
tazzine di caffè, ma non concluse la frase.
Un tempo sapeva
riconoscere le emozioni che apparivano sul volto di lei, ma in quel
caso non seppe se pronunciare o meno il suo nome, le avrebbe
fatto male.
Alyssa abbozzò un
sorriso. “Di Lawliet.” concluse la frase, ma con uno
strano luccichio negli occhi. “Sono qui per lui...tra alcuni
giorni è il quinto anniversario della sua morte e io vengo qui
ogni anno.
Light per un attimo
rimase interdetto, non l'aveva più vista in quei lunghi cinque
anni e sapere che gli era stata così vicina gli procurò
uno strano senso di inquietudine.
“Quando ho saputo
di tuo padre, ho pensato fosse giusto venirti a salutare. Lui era un
brav'uomo e non meritava di morire.” continuò poi lei,
inclinando lievemente lo sguardo verso un punto sul tavolo.
Light continuò a
girare il cucchiaino dentro il caffè, osservando i piccoli
vortici che si creavano dentro la sua tazzina. Alyssa nemmeno aveva
toccato la sua e aveva spostato lo sguardo verso la vetrina accanto a
loro: la pioggia cadeva a fiotti e le poche persone in strada, e che
si erano aggrappate al sole di quella mattina, stavano correndo per
ripararsi da esse.
“Come è
morto?” chiese poi la ragazza, volgendo nuovamente lo sguardo
verso lui.
Light rimase colpito da
come i suoi occhi verdi erano spenti. Non ci aveva fatto caso prima,
ma sembrava come se un velo scuro di malinconia fosse sceso su di
loro e ne avesse offuscato la luminosità.
“Non posso
parlartene purtroppo. Riguarda il caso Kira e non posso divulgare più
di tanto.” rispose.
Alyssa annuì.
“Capisco.” rispose e abbassò di nuovo la
testa,continuando a non toccare il caffè.
“Sai, ti ho
cercata in questi anni, ma non sono mai riuscito a rintracciarti.”
Light si portò la tazzina alle labbra e ne bevve un lungo
sorso. Lei lo guardò nuovamente. “Avrei tanto voluto
convincerti a lavorare con me per catturare Kira. Non trovo giusto
che tu mantenga quella promessa, lui merita giustizia.”
Si aspettò di
vedere quella maschera di freddezza sciogliersi, mostrare dolore,
malinconia, rabbia, ma invece non accadde nulla. Solo un mezzo
sorriso, che di spontaneo aveva ben poco.
“Mi fa piacere che
tu mi abbia pensata in questi anni, ma avrei comunque rifiutato la
proposta.” disse.
“Ma non puoi
davvero mantenere quella promessa.”
“Comprendimi
Light, non riuscirei a lavorare con te che ti spacci per lui.”
Calò il silenzio,
rotto unicamente dal parlare delle poche persone che si trovavano in
quel bar. Dal bancone accanto a loro giungeva un rumore di piatti e
bicchieri che battevano sulla superficie e la voce del barista che
ordinava ad un giovane cameriere come comportarsi con i clienti.
In quei momenti, il
tempo parve fermarsi attorno a loro e i due non smisero per un
secondo di guardarsi.
Light poi sorrise.
“Capisco perfettamente. Non sarebbe facile per te.”
rispose poi, con aria comprensiva.
Alyssa rispose con un
altro sorriso, prese la tazzina dal tavolo e finalmente ne bevve
qualche sorso.
“Siete a buon
punto con le indagini?” domandò.
Light scosse la testa.
“Chi può dirlo...” rispose, rimanendo
professionalmente sul vago e guardandosi con circospezione attorno,
come se temesse qualcuno potesse ascoltare la loro conversazione.
Stava per chiederle se
lei sapesse qualcosa al riguardo, ma sapendo che lei non aveva più
voluto avere a che fare con Kira, trovò quella domanda
inappropriata.
Decise di cambiare
argomento, guardando le spalle ossute della ragazza e il suo volto
scavato, le labbra erano arricciate verso la tazzina, da cui stava
cercando di scacciare il fumo.
“Sei sempre
splendida, Aly.” le disse e lei alzò lo sguardo su di
lui. “Ma mi sembri...irriconoscibile.”
La ragazza lo fissò
per lunghi ed interminabili istanti, mentre lui si portava le braccia
al petto e soffermava lo sguardo sul tatuaggio di lei.
Alyssa cercò di
non spostare il suo di sguardo su quelle gocce di pioggia dipinte
sulla pelle. “Io sono il frutto di quello che mi è stato
fatto.” disse. “È il principio fondamentale
dell'universo: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e
contraria.”
Light rabbrividì
di fronte a quelle parole: qualcosa si era trasformato nello sguardo
di Alyssa mentre le pronunciava, come se a pronunciarle fosse stato
qualcosa dentro di lei, qualcosa che era cresciuto da tempo, ma che
restava mascherato dietro quell'espressione angelica, ma distrutta.
Un demone.
“Pensi ancora che
saresti dovuta morire anche tu quel giorno?” le domandò.
Alyssa si irrigidì
di nuovo, quella convinzione era albergata e cresciuta in lei per
troppo tempo.
Il passare delle
stagioni non l'aveva cancellata, quel ricordo di lei che stringeva
tra la braccia la sua vita, sperando di poterla raggiungere, sarebbe
rimasto per sempre vivo. Troppo vivo.
“Kira non ha avuto
clemenza di me.” rispose, alzando lo sguardo su Light. “Non
mi ha risparmiato la vita perché gli ero simpatica, o per
altro...il suo nemico era lui, io ero solo una figurante nella
scena.”
Piegò la testa da
un lato. “Io ho due teorie: o qualcosa è andato storto
nei suoi piani o la mia sopravvivenza gli era in qualche modo utile.
Sono l'unica rimasta in vita da quel giorno, mi piacerebbe davvero
sapere il perché.”
Light rimase colpito
dalla durezza con cui pronunciò quelle parole, quasi come se
stesse ponendo quelle domande...a lui. “Io non posso
saperlo il perché, Aly.” disse, quasi ridendo per
mascherare il suo nervosismo.
Alyssa abbozzò un
sorriso enigmatico.
Poteva sembrare
divertito ,infastidito ma comunque... inquietante.
Light non seppe
tradurlo.
“Beh lo scoprirai
quando lo catturerai, no? Confido nelle tue capacità.”
rispose lei, mostrandosi sincera.
Calò di nuovo
quell'innaturale silenzio, in cui i due si stavano davvero dicendo la
verità.
Le loro labbra
sigillate, le loro mani immobili sul tavolo, i loro occhi persi in
discorsi che parole non avrebbero mai potuto riassumere.
Fino a quando il
cellulare di Light squillò. “Devo andare a lavoro.”
disse, appena lesse il messaggio di Matsuda sullo schermo del suo
portatile. Si alzò in piedi e indossò velocemente la
giacca del suo smoking, Alyssa alzò lo sguardo per seguire i
suoi movimenti ma rimase seduta al suo posto, con un sorriso largo
sulle sue labbra.
“Possiamo
rivederci prossimamente. Misa ora è fuori per le riprese di un
film, ma sono certo che le farebbe piacere rincontrarti.”
aggiunse poi lui, sistemandosi il colletto della camicia.
La ragazza scoppiò
a ridere quando sentì il nome della biondina. “Misa...”
disse, ricordando i vecchi tempi in cui non aveva sopportato la sua
voce gracchiante. “Sì, sarei molto contenta di
rivederla.”
Bevve l'ultimo sorso di
caffè e lasciò la tazzina sul tavolo, alzandosi anche
lei in piedi e prendendo la giacca dallo schienale della sedia.
Quando si girò,
notò che il ragazzo la stava guardando attentamente e le posò
una mano sulla spalla. “Sono davvero felice...che tu sia
tornata. Ci sei mancata.” disse, con voce talmente bassa che
quasi Alyssa non la sentì. Restò a fissarlo a lungo,
come per reprimere ciò che quelle parole le stavano realmente
causando e Light attese una risposta.
Un sorriso si allargò
sulle dolci labbra della ragazza. “Anche voi mi siete mancati.”
disse solo.
Si lanciarono un ultimo,
lungo sguardo prima di salutarsi e Light fu il primo a lasciare il
locale.
Alyssa seguì, in
silenzio, la sua figura che si allontanava oltre la vetrina accanto a
sé: l' immagine di Light era distorta nelle gocce di pioggia
che bagnavano il vetro.
* * * *
2
years before
“Portami
un altro bicchiere.”
Il
barista la guardò, sbuffando tra i denti e pulendo con
nervosismo uno dei tanti bicchieri che occupavano il bancone davanti
a sé. Lei gli sorrise di rimando, con una sfrontatezza che
riconobbe di non aver mai avuto prima. Tornò a guardare
davanti a sé, due uomini tutto muscoli e niente cervello la
osservavano dal tavolo di fronte, sorridendo maliziosi e lanciandole
complimenti poco gradevoli, che avrebbero offeso qualsiasi donna con
un poco di umiltà.
Ma
lei l'umiltà l'aveva persa, calpestata sotto i piedi più
e più volte, quando aveva deciso di vivere per morire, cedendo
il suo corpo ai peggiori piaceri che potesse concedersi. Guardò
il bicchiere di fronte a sé, dopo aver risposto alle loro
volgarità con un sorriso insensato, e lo prese, portandoselo
alle labbra e perdendosi in quel sapore dolce amaro che le inondò
il palato. Poi lo sbatté sulla superficie del tavolo e scosse
la testa, sperando che con quello scossone il vortice del mondo si
arrestasse inesorabilmente.
Ma
non fu così: quello continuò a ballare e lei insieme a
lui, tra pensieri sconnessi e gesti privi di senso.
“Quando
la smetterai di buttare via così la tua vita?”
Alyssa
piegò la testa e trattenne un verso di disgusto, quando si
rese conto che quel sapore le dava davvero fastidio. Guardò la
figura davanti a sé: sembrava un essere a parte, un ologramma
di perfezione apparso in un mondo in cui c'entrava poco. Infatti era
solo un'illusione della sua mente, ma le sembrava così reale
che per poco si sentì male, mentre le lacrime premevano sui
suoi occhi verdi.
Si
vergognò di essere ridotta in quello stato mentre lo guardava:
il trucco sfatto, la scollatura troppo aperta, i pantaloncini troppo
aderenti e i piedi nudi che trottavano sul pavimento.
Un
mostro.
E
lei non voleva che lui vedesse il mostro in lei.
“La
vita si butta se la si possiede.” disse in un sussurro,
mettendosi più composta come se fosse stata rimproverata da un
maestro di scuola. Tenne lo sguardo sulle sue dita che tamburellavano
sul tavolo e deglutì. “Io non la possiedo più da
quando te ne sei andato.”
“E
io quando me ne sarei andato?”
Elle
si portò un dito tra le labbra, posò i gomiti sulle
ginocchia e la guardò profondamente. Alyssa alzò lo
sguardo su di lui, rendendosi conto di essere davvero così
ubriaca da volerlo baciare in quella macabra illusione in cui la sua
mente l'aveva gettata. Gettò la testa all'indietro e si morse
le labbra.
“Oh
non sai cosa mi è successo da quando tu te ne sei andato...di
tutto.” disse inarcando le sopracciglia, il barista gli portò
un altro bicchiere e la guardò con freddezza, tanto che Alyssa
voleva ricordargli che avrebbe pagato tutto quello che stava bevendo.
Si accorse però che non stava davvero parlando, era come se
quella conversazione con Elle si stesse svolgendo solo nella sua
testa e che le sue labbra fossero serrate.
Aveva
davvero bevuto troppo.
“E
da quando hai smesso di combattere?” le chiese ancora lui.
Alyssa
perse il significato di quella parola, quando lo aveva visto cadere
da quella sedia, quando aveva visto la sua figura lanciarsi verso la
morte, nell'oscurità di quella stanza che era stata la sua
tomba.
Prese
il bicchiere e se lo portò alle labbra, era così
ubriaca, sconvolta e fuori di testa che si ritrovò a sorridere
ma con le lacrime agli occhi.
Era
mai stata ubriaca fino a quel punto?
Tanto
da immaginarsi il volto di Elle che le parlava, che la guardava con
quell'aria di rimprovero? No, non lo era mai stata.
Non
era mai arrivata a quel punto, tanto da non essere più capace
di scindere realtà da immaginazione. Anche se spesso decideva
di crearsi un mondo immaginario, per nascondersi al dolore e cercare
di raggiungere una realtà illusoria, era sempre stata ben
capace di separare le due cose.
In
quel momento invece, le parve quasi di udire la sua voce, di sentire
quelle iridi scure che sprofondavano in lei, di avvertire il suo
profumo che era sempre stato stranamente irresistibile per lei.
Ci
mancava davvero poco al desiderio di baciarlo.
Ma
non lo fece, disse a sé stessa che era solo un'illusione e
decise di affogare la vana speranza che quell'immagine fosse reale
nel bicchiere di whisky che aveva tra le mani.
Ne
bevve un lungo sorso, tenendo lo sguardo basso e lasciando scorrere
lentamente le lacrime lungo il suo viso, ma sforzandosi di mantenere
la voce ferma e chiara.
Trovava
già alquanto folle trovarsi in una situazione simile.
“Mi
dispiace deluderti così, Elle.” Alyssa scosse la testa
più volte, ignorando i capelli che le ricaddero sul viso, fino
a coprirle la visuale. Ma tanto il suo sguardo era già
appannato, da quelle lacrime di nostalgia che erano prontamente
giunte a ricordarle quel dolore che l'avrebbe accompagnata per un
intera vita.
Fino
alla morte.
Elle
abbassò la testa, i suoi occhi si spostarono sulla mano della
ragazza adagiata sul tavolo e accorse come a sfiorarla. La ragazza
parve sentire il calore dei suoi polpastrelli, sfiorarle la pelle e
trattenne un attimo il fiato, rammentando a sé stessa che
stava solo vivendo una stupida e folle illusione.
“Sotto
questa superficie, sotto questa maschera di dolore e disperazione, so
che ci sei ancora.” le disse, alzando di nuovo lo sguardo su di
lei, mentre Alyssa accorse ad asciugare una lacrima che le attraversò
rapidamente la guancia.
Non
era vero: sotto quella superficie, sotto quella maschera, non vi era
più nulla. La Alyssa che aveva combattuto accanto ad Elle, era
decaduta lo stesso giorno in cui aveva visto il suo angelo morirle
davanti agli occhi. Quel nulla si stava però tramutando in
altro, stava seguendo la via della perdizione che l'avrebbe portata
solo verso un unico sentimento, quello che la spingeva a portare
avanti la sua vita.
Ritrasse
la mano, ma non perché non voleva sentire quella di Elle
vicino alla sua, ma perché lei non meritava nemmeno di
immaginare il suo tocco.
Non
meritava che lui la guardasse più ormai.
Non
meritava nemmeno più di pensare a lui.
Aveva
ridotto la sua vita, il suo corpo, la sua anima solo ad un mucchio di
cenere che il vento avrebbe sparso via il prima possibile. Aveva
perso tutta sé stessa, per colpa di quello che aveva perduto
anni prima.
“No,
non è vero.” squittì Alyssa, serrando le labbra
nella vana speranza di poter respingere quelle ulteriori lacrime che
volevano abbandonare confuse i suoi occhi. “Tu lo sai cosa ho
fatto, lo sai cosa sto facendo e lo sai cosa sto per fare....dovresti
solo odiarmi!”
“L'odio
è un sentimento folle, che nasce dal male e finisce nel male.”
la zittì Elle e le parve di rivivere i momenti in cui usava
quel tono per farle cambiare idea, per farle capire che i suoi
discorsi erano privi di un reale fondamento. “Sai che io per te
non potrei mai provare odio. Odio colui che ti sta spingendo a
buttare via la tua vita in questo modo, colui che non mi ha permesso
di rimanerti accanto fino alla fine, colui che non mi permette di
prendere la tua mano e farti capire che non sei sola!”
Alyssa
scosse la testa, come per impedire alle parole di Elle di penetrare
nella sua mente, come se volesse scacciarle dal suo dolore. Si portò
una mano sul viso, per nascondere i suoi occhi. Si diceva che gli
occhi erano lo specchio dell'anima e lui avrebbe visto che un anima,
in quel corpo, non c'era più.
“Ma
devi smetterla di cercarla, Aly. Non ti porterà a nulla se non
altro dolore...e io non avrei mai voluto vederti ridotta così,
perché quando un angelo cade all'inferno...non si rialza più.”
“Io
non sono caduta all'inferno, Elle.” Alyssa alzò di
scatto la testa e si morse le labbra, facendosi così male a
tal punto da focalizzare tutto il suo dolore su di esse e non sugli
occhi che non la smettevano di piangere.
“Ci
sono stata spinta dentro. E ora voglio solo risalire tra le fiamme di
questo inferno, ferendomi e bruciandomi nel dolore e nell'agonia per
poterla farla pagare a chi si è mascherato da santo, quando
giocava la parte del diavolo.” pronunciò le ultime
parole in un ringhio, mentre le sue memorie si concentravano su colui
che aveva spezzato troppe ali d'angelo per non poterla pagare cara.
L'illusione
di Elle non disse nulla, la ragazza lo vide quasi scomparire tra le
sue lacrime, come se qualcuno la stesse con forza tirando di nuovo
dentro la realtà.
“Mi
spiace deluderti...davvero. Ma lo faccio per te.” aggiunse poi,
quando l'ultima goccia cadde lungo il suo viso.
Notò
che quell'allucinazione, quell'immagine distorta del suo ricordo più
bello cercò di dire dell'altro, ma una voce, dura e reale, gli
impedì di dare spazio all'ennesimo inganno della mente di
Alyssa.
“Eccoti,
finalmente.”
Alyssa
si voltò verso un punto dietro di sé.
* * * *
Il
rumore della serratura che scattava ruppe il silenzio.
Alyssa
si rifugiò lontano dalla luce che brillava sulla rampa delle
scale e si immerse nell'oscurità del suo appartamento,
chiudendosi la porta alle spalle e guardandosi intorno.
Lui
non era ancora tornato.
Sospirò,
soffermandosi per un istante a guardare il cielo di Tokyo fuori dalla
vetrata sulla parete di fronte a lei, le stelle quella notte decisero
di coprire il loro splendore dietro spessi nuvoloni scuri.
La
pioggia cadeva fitta, tanto che non riusciva nemmeno a scorgere le
luci che brillavano in città.
L'oscurità
regnava in quella notte.
Si
tolse pigramente la giacca e la gettò sul divanetto accanto a
lei, poi fece scorrere la mano lungo la parete, alla ricerca
dell'interruttore della luce. Lo trovò dopo vari tentativi e
lo premette, scacciando il buio dall'enorme salotto.
Lasciò
scorrere lo sguardo lungo le pareti, sentendo che qualcosa non era al
suo posto.
Magari
lui aveva lasciato
qualcosa in disordine, oppure c'era davvero qualcosa che non quadrava
là dentro.
Si
avvicinò lentamente al centro della stanza, dove era posato un
tavolino di vetro tra due sofà in pelle bianca e si guardò
di nuovo attorno.
Allora
lo sentì. Il rumore di
una pistola che veniva caricata.
Si
voltò di colpo e rimase sorpresa nel ritrovarsi davanti
proprio la sua figura: indossava una lunga giacca in pelle nera, con
un cappuccio che gli copriva la testa, il braccio destro teso verso
lei impugnava una pistola che puntava alla sua testa.
Dopo
un attimo di smarrimento, in cui le parve quasi di trovarsi di fronte
un fantasma, Alyssa sospirò.
Oramai
nemmeno la morte stessa era più capace di sorprenderla.
“Marshmello...”
sussurrò interdetta, portandosi le mani sui fianchi esili e
puntando i suoi occhi su quelli del ragazzo, che erano malamente
nascosti sotto il cappuccio.
Mello
rimase in silenzio, con la mano libera si liberò rudemente del
cappuccio e guardò la ragazza con sfida, assaporando il
silenzio che li circondava, come per caricarsi con esso della rabbia
che quello sguardo vagamente perso gli procurava.
Alyssa
notò subito la cicatrice sulla parte sinistra del volto del
giovane. Malgrado quella dovesse essere una deturpazione sul suo
viso, sembrò conferire una particolare umanità ad esso,
cosa che prima non aveva.
Sbatté
più volte le palpebre, rammentando di come tempo prima si era
trovata in sintonia con la mancanza di umanità che Mello delle
volte mostrava. “Lebst du noch?”
gli domandò poi, rompendo quel glaciale silenzio che nemmeno
la pioggia che batteva all'esterno era riuscita a rompere.
Mello
fece un passo verso di lei, poi un altro, fino a quando la punta
fredda della pistola non si posò sul mento della ragazza. Si
aspettò di vederla trasalire, di vedere un barlume di paura in
quegli occhi verdi ma non successe nulla: era impossibile far provare
timore ad un anima che si era saldata nel terrore.
“Fai
anche la spiritosa, K.?” le chiese a denti stretti,
accostandosi di più a lei, tanto che le loro labbra quasi si
sfiorarono. “Questa te la faccio pagare, nutte.”
*
* * *
Su
Los Angeles era sceso il manto scuro della notte, a coprire la luce
del giorno.
Mello
lasciò il rifugio sotterraneo in cui si trovava con la sua
squadra, si mosse rapido lungo il corridoio scuro e raggiunse un
punto all'esterno, in modo che potesse vedere le luci delle stelle
che brillavano quella notte.
Il
suo breve momento di tranquillità venne rotto dallo squillare
del suo telefono e lo afferrò al volo, estraendolo dalla tasca
dei pantaloni e leggendo il nome sullo schermo.
Numero
nascosto.
Non
poteva essere che l'ultima persona al mondo di cui voleva sentire la
voce in quel momento.
“Che
cosa vuoi, K.?” La risposta giunse secca, tanto che la persona
dall'altra parte del telefono non disse subito nulla.
Poi
una risata, macchiata di provocazione e arroganza che mandò in
bestia persino lui. “Non essere così brusco.”
disse e in quel momento Mello si accorse che quella voce era giunta a
lui troppo vicina.
Come
se non passasse da quel telefono, ma da un punto dietro la sua
schiena.
Infatti,
quando si voltò, la vide: con le spalle sul muro retrostante e
un braccio stretto al petto, lo fissava con un espressione seria sul
viso. Il cellulare che stringeva in una mano veniva nascosto dalla
cascata di capelli scuri e mossi che scendevano sopra le sue, ormai
troppo, esili spalle. Indossava abiti scuri e aderenti, che la
confondevano con l'oscurità della notte.
Mello
chiuse il telefono e la guardò con sfida, lei uscì
dall'oscurità in cui era rimasta circondata fino ad allora e
la
sua immagine divenne più chiara alla luce della luna.
“Non
dovresti essere qui.” le ricordò, con un pizzico di
arroganza che la fece un attimo irrigidire.
Alyssa
non rispose, prese un lungo respiro e distolse lo sguardo. “Hai
il quaderno?” domandò, facendo un passo verso di lui e
formulando quella domanda. Piegò la testa da un lato e osservò
il volto del ragazzo con attenzione.
“Sì,
ma tu non lo vedrai.” Mello rispose con risoluzione e per la
prima volta riuscì a sorprenderla così tanto, da
distruggere il blocco di ghiaccio in cui il suo viso era sempre stato
intrappolato in quegli ultimi anni.
Aveva
conosciuto l'Alyssa disperata, quella che non rivolgeva parola a
nessuno che non fosse il suo dolore.
Aveva
conosciuto l'Alyssa persa, quella che si era gettata nell'alcool e
nella droga per non parlare più con il suo dolore.
Ma
da pochi anni a quella parte, non aveva conosciuto un'altra Alyssa,
ma un giocattolo privo di vita nella mani della vendetta. Era sempre
fredda, nessuna emozione trapelava più da quel volto di
ghiaccio.
La
ragazza abbassò lo sguardo, giungendo subito alla conclusione
per cui Mello si comportasse in quel modo. Non aveva mai pensato che
fosse stupido, ma aveva quasi confidato nel fatto che potesse in
qualche modo esserlo.
“Sei
arrabbiato?” gli chiese.”Devo ricordarti che sono stata
io ad averti suggerito di rapire Sayu Yagami?”
“Non...osare
parlarmi come se fossi un tuo sottoposto.” Mello fece un passo
verso di lei e le puntò contro l'indice, come se fosse
un'arma. La ragazza continuò a mantenere il contatto visivo
con il ragazzo e trattenne un'istante il fiato.
“Il
piano è partito da una briciola delle tue idee ma l'ho messo
io in atto...e sta funzionando grazie a me, non a te.”
Calò
il silenzio innaturale di quella calda notte, rotto unicamente dal
verso di qualche uccello che lo sfidava. Guardando Alyssa, Mello si
chiese perché avesse deciso di lasciarla lavorare con lui.
Pensò che lei gli fosse riconoscente, per le varie volte che
era andata a recuperarla dai vari locali in cui la trovava fuori di
sé tempo prima e quando lei, ormai sobria, si era presentata
da lui, sostenendo di volerlo aiutare a catturare Kira, aveva anche
pensato che potesse esserle utile, viste le informazioni raccolte
durante le indagini con Elle.
Ma
Alyssa aveva un piano tutto suo in mente, un piano che comprendeva
solo lei e con il quale cercava di ridurlo ad una marionetta. Era una
cosa che non tollerava.
“Regole
del quaderno, shinigami....” Mello scosse la testa, parlando in
un ringhio. “Tu sapevi tutto, vero?”
“Oh
ti prego, Mello!” Alyssa replicò prontamente, con una
durezza nella voce che infranse quella freddezza in cui il suo volto
era rinchiuso da tempo. “Non puoi essertela presa per
questo...”
“Credi
che sia per questo che non voglio più avere a che fare con te?
Goran Bretovic, K....ti dice niente?” la interruppe Mello.
La
maschera si sciolse completamente e per un attimo Mello si ritrovo di
fronte un viso umano, dove diverse emozioni si intrecciavano tra
loro. Si morse il labbro, socchiuse leggermente lo sguardo e le sua
espressione si irrigidì, la barriera di ghiaccio era stata
abbattuta. “L'uomo che hai ucciso per crearti il tuo gruppo?”
“Non
fare la finta tonta. È l'uomo che tu mi hai detto di uccidere
per ottenere la fiducia di quegli uomini...ma non mi hai detto il
perché hai scelto lui.”
“Kira
non è mai riuscito a prenderlo, tu sì. Non vedo perché
prendersela in questo modo per qualche piccolo dettaglio...”
“K,
io non sono stupido. Ho risorse che tu nemmeno pensi che io abbia...e
ho scoperto tutto: la morte di quell'uomo era solo per soddisfare una
tua personale vendetta.” disse. “Hai osato troppo
mentendomi.”
Alyssa
scosse la testa. “Io oso fare tutto ciò che può
essere degno di un uomo, chi osa di più non lo è.”
disse, con aria truce. Ormai il concetto di dignità e umanità
non li riguardavano più, erano stati entrambi colpevoli di
atti deplorevoli per il quale non si potevano nemmeno più
considerare umani.
Ma
quelle parole che Alyssa pronunciò, tutto quello che lei
diceva ormai, ruotava attorno a Kira: lei aveva dominato il suo
mondo, con semplici inganni e menzogne, che un umano poteva
permettersi, non con un quaderno regalatole da una divinità.
Si
sentiva umana nelle sue colpe, anche se non si sentiva più
vincolata all'umanità che le aveva portato via tutto.
“La
nostra collaborazione è finita.” concluse Mello,
voltandosi di spalle e facendo per rientrare nei sotterranei.
Alyssa
strinse i pugni .“Non farlo, Mello. Ti prego, ti avrei
spiegato, prima o poi.”cercò di giustificarsi.
Il
ragazzo si voltò di scatto verso lei, inchiodandola con uno
sguardo minatorio che riuscì a farla rabbrividire. E quasi ne
gioì, perché nessuno era più riuscito a
spaventarla da troppo tempo.
“Sai,
io non sarò un esempio di moralità.” disse. “Ma
mi è stato insegnato a saper riconoscere coloro di cui fidarmi
o meno. E io, di te, non mi fido più. Sei solo un intralcio
per il mio scopo.”
Punto
debole dal passato.
Alyssa
abbassò lo sguardo, come se rinvangasse antiche memorie, in
cui si era sentita un intralcio per altre persone. Mello trovò
gratificante, vedere che il senso di colpa era uno dei pochi
sentimenti che non l'aveva abbandonata.
“Elle
si rivolterebbe nella tomba se potesse vederti.” concluse così
il suo epilogo, scegliendo di puntare su un'altra debolezza, la più
forte, che la ragazza aveva sempre posseduto. I suoi occhi carichi
di rabbia e malinconia gli bastarono come risposta e prese la giusta
decisione di voltarsi ed andarsene.
“Non
c'era bisogno di ricordarmelo.” rispose Alyssa, guardandolo
scomparire nell'oscurità.
*
* * *
Alyssa
non distolse lo sguardo da lui nemmeno un istante.
Non
mostrò paura e né tanto meno dispiacere, ma solo una
profonda freddezza nei riguardi della rabbia del ragazzo. “Ma
sei vivo, no? Quante storie...” disse, storcendo il naso.
In
quello stesso istante, lui alzò di scatto la pistola sulla
tempia della ragazza e premette con forza la punta dell'arma contro
la pelle di lei. La ragazza chiuse per un istante gli occhi, ma
rimase comunque fredda.
“Allora
è vero...sapevi che quegli sbirri stavano arrivando e non ti
sei curata di avvertirmi?” le chiese pungente Mello, anche se
quella era più un'affermazione che una domanda.
Sapeva
che Alyssa seguiva i movimenti del quartier generale giapponese da
tempo e quindi era ovvio che sapesse una cosa simile, il fatto che
non gli avesse detto nulla nemmeno lo stupiva, ma gli procurava una
profonda rabbia.
Perché
quella maledetta lo
aveva fregato più e più volte.
Alyssa
riaprì gli occhi e li posò su quelli del ragazzo.
“Pensavo te la saresti cavata da solo. Non pensavo che...avevi
più bisogno di me. Lo hai detto tu, no?” gli rammentò
lei, riportando a galla la tensione che si era creata tra loro giorni
prima, durante il loro ultimo incontro. “E comunque, sapevo che
saresti sopravvissuto. A differenza tua, io mi fido di te.”
Mello
si fece ancora più vicino e godette nel vederla arretrare di
un passo, almeno la poteva considerare una mini vittoria su qualcuno
che, ormai, non si spaventava più di nulla. “Ma mi
avresti lasciato morire là lo stesso?”
“Ti
ripeto che non volevo.” lo rimbeccò la ragazza, con un
aria di freddezza che quasi gli fece venir voglia di premere quel
grilletto ed ucciderla.
Ma
non lo fece.
Si
morse il labbro, quasi ferendolo e facendosi male per trattenersi
dalla rabbia.
Lei
non mostrò nulla che non fosse solo freddezza verso lui, verso
sé stessa e verso il mondo intero.
Mello
abbassò lentamente la pistola, scrutando i tratti di quel
delicato cinismo che si era dipinto sul volto della ragazza.
“Ho
perso anche il quaderno, per colpa del tuo dispetto.” le disse,
con aria di rimprovero.
Alyssa
deglutì “Abbiamo perso il quaderno.” lo corresse.
“Credo dovremmo riprendere la nostra collaborazione, no?”
Rimasero
a guardarsi a lungo, finché lei si strinse le braccia al
petto. “Comunque...sono sincera quando dico che sono felice di
vederti vivo.” gli disse.
“Risparmiati
queste moine per qualcuno su cui hanno effetto. Io non mi fido più
di te.” la interruppe Mello. “Chi mi dice che non ci sono
ancora sotterfugi sotto?”
Alyssa
alzò gli occhi su di lui, calò di nuovo quel silenzio
glaciale in cui i due erano unicamente legati da quel gioco di
sguardi in cui sembravano sfidarsi. “Ti dirò quello che
ho fatto...oltre la storia di Bretovic che già sai, ok? Ti
basta come prova?”
Mello
fece un passo verso di lei. “Altri inganni?” le chiese,
quasi infastidito.
Alyssa
scattò in piedi. “Andiamo, Mello.” disse. “L'ho
fatto solo perché voglio prendere Kira più di te.
Nient'altro.”
Il
ragazzo scoccò la lingua. “Io ancora non capisco perché
mi sono lasciato convincere a farti coinvolgere nei miei
piani.”disse, battendo le mani accanto alle gambe.
“Perché
possiamo aiutarci a vicenda. E ormai penso che tu, come me, sospetti
di una precisa persona.”
“Tu
sai che io non ho più bisogno di te.”
“Ti
sono stata utile in molti casi, non puoi negarlo.”
Di
nuovo, le voci si ridussero al silenzio. I due si trovarono a
scambiarsi più parole con gli sguardi e Mello sentì il
bisogno di porle quella domanda. “Tu sospetti di...lui,
vero?” le domandò.
Lei
non rispose subito, si voltò lentamente e il suo corpo tremò
per un istante, in preda alla rabbia che provò nel ricordare
il modo in cui il suo nemico continuava a nascondere la sua
vera natura, in quel modo.
“Io
so che è lui.” gli disse, tornando a guardarlo.
“Ma dobbiamo avere le prove, no? E tu vuoi fermarlo prima di
Near..penso che starne qui a parlare sia solo uno spreco di tempo.”
Mello
rimase colpito da come la rabbia e l'odio che Alyssa portava dentro
di sé ridussero il suo viso in quell'espressione che di umano
aveva ben poco. Nascondeva tutto ciò che era diventata dietro
una maschera di freddezza, ma era certo che il suo odio stava per
esplodere nella maniera più spaventosa possibile. “Vuoi
ucciderlo?”
La
ragazza rise, come se quella fosse una battuta. “Ucciderlo?”
ripeté divertita. Il suo sorriso si spense subito, mentre si
avvicinava rapidamente a lui e serrava le labbra. “La morte
sarebbe un dono troppo dolce per ciò che ha fatto...io voglio
dargli la caccia, braccarlo, farlo sentire inseguito...voglio giocare
questo gioco di inganni e bugie e vederlo piegarsi nella
sconfitta....prima di morire, deve soffrire e provare la paura più
profonda che possa conoscere. Voglio rovinargli la vita che si è
costruito sulle morti che ha compiuto.”
Quelle
parole, suoni deformati dalla profonda rabbia che muoveva ormai quel
corpo privo di vita, rimasero sospese nell'aria, mentre Mello
lasciava scorrere lo sguardo sul viso della ragazza: i suoi occhi si
erano illuminati, di una luce oscura che ne soffocava l'umanità,
le sue labbra che trattenevano un respiro troppo accelerato e
alimentato dal profondo odio che la mandava avanti, i suoi pugni
troppo stretti che tremavano accanto alle gambe.
Era
morta senza però saperlo.
Alyssa
poi si rese conto, di aver mostrato troppe emozioni e abbassò
lo sguardo.
“Penso
che sia stupido amare ancora un fantasma, Alyssa.” le disse,
con voce dura e profonda, tanto che riuscì a scalfire
quell'espressione fredda sul suo volto. La vide sbattere più
volte le palpebre, come per destarsi da un sogno e lui odiava
vedere quanto potesse essere debole una persona come lei. “Tu
vivi per la vendetta,...ma che farai quando sarà tutto finito?
Quando non avrai nemmeno più l'odio a mandarti avanti?”
La
ragazza distolse lo sguardo, sapeva che Mello non si stava
preoccupando di lei, ma voleva solo vedere a che punto sarebbe
arrivata con la sua sete di rabbia, odio e vendetta. “Sono
affari miei. Vuoi di nuovo collaborare con me, o no?” gli
chiese rapidamente e senza voler sentire altre storie.
Mello
abbozzò un sorriso d'arroganza. “Matt non ti basta?”
la provocò.
Alyssa
sorrise, sapeva che Mello sarebbe subito arrivato a quella
conclusione. “Di certo mi sta più simpatico di te.”
rispose. “Ma non c'è due senza tre.”
Lei
indossò nuovamente la maschera di freddezza ed apatia che
ormai portava quasi sempre sul suo volto, cancellando subito
l'immagine di sofferenza che non era riuscita a trattenere poco
prima.
Fissò
a lungo Mello che ricambiò quello sguardo con rabbia. “Sappi
però che non comandi tu, stronza.” replicò “E
prima voglio sapere tutto ciò che nascondi. Chiaro, K.?”
Alyssa
sorrise leggermente sollevata, sperando che Mello avrebbe preso bene
ciò che aveva davvero fatto.
*
* * *
“Jack
Nelson?”
L'uomo
sussultò nella penombra della stanza, con la dita strette
attorno ad una penna e il quaderno aperto di fronte a sé.
Riprese a respirare regolarmente, quando riconobbe la figura esile di
Alyssa.
La
vide allontanarsi dalla soglia della porta e attraversare la piccola
stanza in cui lui si trovava da solo. Gli si avvicinò ,
divenendo più visibile sotto la luce dei monitor davanti a sé:
la sua espressione era visibilmente seccata.
“Tu?
Che ci fai qui, bellezza? Ho saputo che Mello non vuole più
avere niente a che fare con...” parlò confuso, notando
che la giovane si muoveva con fare circospetto, come se sapesse di
non dover essere lì. Lei non gli permise di continuare,
affondò le mani dentro la tasca della sua giacca in pelle e
tirò fuori una mazzetta di banconote, gettandola davanti al
viso dell'uomo. Lo sguardo di questi si illuminò, di fronte
alla lucentezza del denaro.
La
ragazza lo guardò seria e lanciò un'occhiata al
quaderno. “Voglio che tu faccia una piccola cosa per me.”
disse e un lieve sorriso nacque sulle sue labbra.
Nascondi
ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta
alle mie intenzioni. (William Shakespeare- La dodicesima notte)
Ciao
a tutti! ^^
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto!
Scusate
se ho leggermente modificato il capitolo, apportando alcuni
cambiamenti alla “nuova” Alyssa, poiché
non mi piaceva e di conseguenza non sarebbe piaciuta a voi,
sopratutto in rapporto con Mello. Ho lasciato il suo periodo
“buio” (e di conseguenza il tatuaggio legato ad
esso)ormai concluso poiché mi è utile ai fini
della trama, dato che è stato questo ad “avvicinare”
Mello ed Alyssa. Spero abbiate gradito, non volevo
“rovinare” troppo la protagonista. :) e vi
chiedo scusa per le modifiche.
Chi
conosce il film “V per vendetta” (e ringrazio
colei che mi ha ispirata...sono io che faccio danni,
tranquilla xD) si sarà accorto che il capitolo è
pieno zeppo di frasi tratte dal film (anche le citazioni di
Shakespeare che aprono e chiudono il capitolo provengono da
esso.)
Io
oso fare tutto ciò che può essere degno di un
uomo, chi osa di più non lo è. (William
Shakespeare- Macbeth)
Io
sono il frutto di quello che mi è stato fatto. È
il principio fondamentale dell'universo: a ogni azione
corrisponde una reazione uguale e contraria.
Ogni
volta che aveva visto cambiare il mondo era sempre stato in
peggio.
E
l'espressione tedesca “Lebst
du noch?” significa “Chi
non muore si rivede.” e “nutte”significa
“poco di buono”, per non usare un altro termine.
Chiedo scusa in anticipo se ho sbagliato le traduzioni, ho
studiato il tedesco ma non ricordo una mazza e quindi mi
sono affidata ad internet.
E
il soprannome “marshmello”che
Alyssa usa per Mello viene da “marshmallow” e so
che mi prenderete per pazza, ma vabbè! xD
La
smetto di rompere: ringrazio vivamente chi legge la mia
storia, sia chi lo fa in silenzio che chi recensisce.
Ringrazio
anche chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite
e ricordate e chi mi ha inserita tra gli autori preferiti.
Grazie
di nuovo a tutti e alla prossima, ciao! ^^
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Capitolo 20 *** Beyond Redemption ***
Eh
già, vi rompo ancor prima che leggiate il capitolo!
Volevo
solo dirvi che ho apportato delle leggere modifiche caratteriali alla
“nuova” Alyssa, lasciandola parecchio simile a com'era
prima della morte di Elle. Molti di voi hanno letto il capitolo prima
che lo modificassi settimane fa e quindi mi sembrava una mancanza di
rispetto non avvisarvi al riguardo.
Non
è necessario che riandate a rileggerlo, poiché i
dialoghi sono gli stessi ma ho cambiato solo il modo di approcciarsi
di Alyssa con Mello.
Ok,
vi lascio in pace e ci “vediamo” dopo. Buona lettura :D
-Beyond
Redemption-
Oh
i see your scars i know where they're from
So
sensually carved and bleeding until you're dead and gone
I've
seen all before beauty and splendour torn
It's
when heaven turns to black and hell to white
Right
so wrong and wrong so right
(HIM-
Beyond Redemption)
“Non
è possibile. Hai di certo barato.”
Alyssa
non poteva credere di non aver mai conosciuto una vittoria in quella
sfida con il detective.
Solo
una volta si era avvicinata all'assaporare un ipotetico trionfo
contro di lui, ma solo perché lui aveva deciso di regalarle
una piccola soddisfazione e non farla sentire una completa fallita.
Ma
si trattava di anni prima, quando Alyssa non avrebbe mai pensato che
il genio di Elle potesse varcare certi limiti.
“Spiegami
perché dovrei barare, quando sono bravo a vincere
correttamente?”
Elle
si tenne il dito tra le labbra, osservando immobile la scacchiera che
Alyssa aveva letteralmente buttato per aria dopo l'ennesima sconfitta
subita dal ragazzo. Erano seduti su due poltrone l'uno di fronte
all'altra nella penombra della sala monitor, avvolta finalmente nel
silenzio dopo un'intera giornata di lavoro.
La
ragazza lo aveva costretto a prendersi una pausa dopo che i
poliziotti ebbero lasciato la stanza, coinvolgendolo in una partita a
scacchi che si era rivelata una pessima idea, come al solito.
Elle
era il migliore nei giochi di ingegno e sconfiggeva Alyssa con una
facilità unica. In sedici anni che lo conosceva, la ragazza
avrebbe tanto desiderato poterlo battere almeno una volta.
Ma
i sogni impossibili restavano tali.
“Sai
in cosa sbagli? Muovi sempre le pedine seguendo la stessa logica...il
tuo avversario potrebbe memorizzare le tue mosse con estrema facilità
e prevederle. Non sei molto furba.”
Elle
alzò lo sguardo su di lei, assaporando con celato divertimento
l'espressione infastidita ed imbronciata che si disegnò sul
volto della ragazza.
Lei
lo scimmiottò, tirandosi più indietro sulla poltrona e
stringendosi le braccia al petto.”O forse è colpa tua,
che non dai gusto nemmeno nel gioco?” disse, quasi per
discolparsi.
Elle
non rispose, facendo leva sui piedi ai bordi della poltrona, si
protese in avanti e raccolse le pedine sparse in disordine sulla
scacchiera, riponendole al loro giusto posto di gioco. “Vuoi
fare un'altra partita?”
“Te
lo scordi.” rispose lei, già abbastanza umiliata dalle
numerose sconfitte precedenti.
Poi,
come una bambina che aveva appena elaborato un nuovo gioco, si rizzò
sulla schiena e un sorriso furbo si delineò sulle sue labbra.
“Idea! Giochiamo a dama?”
“Sono
più bravo a dama che a scacchi, Alyssa.” le ricordò
il ragazzo, concentrato nel riporre ai loro posti di battaglia le
pedine bianche che aveva usato lei.
La
ragazza mise nuovamente il broncio e si tirò di più
indietro con la schiena, provocando un tonfo sulla poltrona.
“Batterti
a scacchi almeno una volta rimarrà un sogno irrealizzabile,
eh?” disse, abbassando gli occhi e storcendo ancora di più
verso il basso le labbra.
Sogno.
Elle
si soffermò maggiormente su quella parola.
Non
era la prima volta che la sentiva pronunciare dalle labbra di Alyssa;
per una persona che aveva sofferto come lei, la parola sogno era
fondamentale per sfuggire al dolore regalatole da una vita intera, ma
si rese conto solo in quel momento, che non le aveva mai chiesto
quale fosse il suo vero sogno.
A
dire la verità, sapeva quale era, glielo si leggeva negli
occhi molto spesso, ma lei non lo aveva mai confessato.
“Qual'è
il tuo sogno, Aly?”
La
ragazza alzò rapidamente lo sguardo su di lui. Quella domanda
la colse impreparata, come se per un quesito del genere,
apparentemente semplice ma difficile in realtà, doveva essere
preparata.
“Il
mio sogno? Beh...sposarmi, avere quattro figli, comprarmi una casa
alle Hawaii...” parlò con un sorriso, tenendo il conto
di quei suoi desideri sulle dita.
“Alyssa,
parlo sul serio.” Elle la interruppe, anche se quel sorriso
infantile che lei aveva sul volto non avrebbe mi voluto spegnerlo.
Sorvolò anche sul fatto che, in futuro, Alyssa volesse avere
quattro marmocchi che le ronzavano attorno, pur di arrivare a fondo
di quella questione.
La
ragazza posò lo sguardo su di lui; i suoi occhi verdi si
ridussero a due fessure, mentre studiava il volto pallido del
detective alla ricerca del motivo per cui le ponesse quella domanda.
“Sono sicura che, se te lo dicessi, mi prenderesti per stupida.
E non voglio che tu mi dia della stupida dopo aver perso per la
millesima volta a scacchi con te.” disse seria, concedendosi un
po' di ironia solo riguardo l'ultima frase.
Elle
scosse la testa. “Nessuno ti ha mai definita stupida qui, se
non te stessa.” disse e notò il lieve rossore che salì
sulle guance della ragazza. Lei era così abituata a sentirsi
“stupida” in confronto a lui, che oramai credeva pure che
lui la considerasse tale. Ma non era mai stato così.
“Oh
Ryuzaki, ma perché adesso te ne esci fuori con questa storia?”
gli chiese, abbassando imbarazzata lo sguardo e battendo le mani
sulle sue ginocchia, come una bambina che non aveva più voglia
di giocare.
Perché,
finita la faccenda Kira, la prima cosa che lui avrebbe fatto sarebbe
stato realizzare il suo sogno.
Elle
sentiva di doverglielo; a quella ragazza che per un'intera vita lo
aveva accompagnato, senza mai abbandonarlo. Lei lo meritava.
Ma
rivelarglielo apertamente sarebbe stato troppo per entrambi.
“Non
puoi rispondere alla domanda e basta?” Elle la provocò,
usando la stessa carta dell'ironia che lei amava tanto giocare. Anche
se, in quello, lei era molto più brava.
La
ragazza alzò nuovamente gli occhi su di lui, ancora
leggermente sorpresa da quella strana richiesta. “Va bene.”
Alzò le spalle e si grattò la nuca. “A patto che
tu non mi prenda in giro e che mi riveli qual'è il tuo
sogno. Patti chiari, amicizia lunga.” Gli puntò il dito
contro, come se lo stesse minacciando di non sfuggire a quella
promessa che voleva lui mantenesse.
Elle
la guardò senza batter ciglio. “Non mi vergogno di dirti
qual'è il mio vero sogno, Aly.” ammise, cogliendola di
sorpresa.
Perché
lei era certa che il ragazzo aveva dei sogni, ma sentiva di non
conoscerli davvero: Elle era bravo a celare tutto di sé,
emozioni, dolori e anche i suoi stessi sogni.
“Tu?
Me lo diresti con questa facilità?”
“Perché
non dovrei?”
Alyssa
restò un attimo in silenzio. “Perché dovresti più
che altro..”
Elle
sorrise, un sorriso che lei non aveva mai visto prima. “Perché
il mio sogno si è già realizzato.”
*
* * *
“Come scusa?”
Alyssa restò a
bocca aperta, guardando fisso lo schermo del televisore di fronte a
sé e spalancando le braccia in preda all'incredulità.
Matt si voltò lentamente verso di lei, restandole seduto
accanto con la sigaretta accesa tra le labbra. “Game over.”
le disse, indicando con un dito la scritta rossa in grassetto che
ballava in mezzo allo schermo del televisore, dove il cadavere di una
donna giaceva in una pozza di sangue.
La ragazza strinse
irritata la console del videogioco, lanciando poi una veloce occhiata
verso Matt che le sorrideva beffardo. “Non è possibile
che tu mi abbia uccisa...ci deve essere un trucco!” esclamò
lei, con voce stridula.
Matt non disse nulla,
volse lo sguardo verso il televisore e alzò le spalle,
sancendo così l'epilogo della sua vittoria. “Il trucco
c'è, ma non si dice.” si giustificò, pronunciando
più parole di quante ne avesse voglia di dire. Mello sedeva
sul divano alle loro spalle, davanti ad un monitor sul tavolino in
legno e le cuffie alle orecchie. Lanciò un'occhiata
infastidita ai due, ancora nel mezzo di un'aperta discussione sul
perché il personaggio di Alyssa fosse morto nel videogioco, e
prese un lungo respiro. Evitò di domandarsi anche perché
solo lui fosse quello dedito al lavoro in quel sabato pomeriggio.
“Ah stanno così
le cose?” Alyssa lasciò la console sulla sedia, si alzò
in piedi e strappò la sigaretta dalle labbra del ragazzo, che
la guardò indispettito sotto le lenti verdi degli occhiali.
“Allora sappi che il fumo passivo uccide più di quello
attivo! Vai a fumare fuori le tue centinaia di sigarette!”
“Il che implica
che devo alzarmi di qua?” replicò Matt, inarcando un
sopracciglio e guardandola con sfida.
La ragazza si trattenne
dal rifilargli un pugno sul muso, spense la sigaretta nel posacenere
stracolmo sul tavolino e si portò le mani sui fianchi. “Quando
la storia di Kira sarà finita, ti farò dimenticare
videogiochi e sigarette.” gli disse puntandogli il dito contro
e allontanandosi verso il divano ad isola alle loro spalle.
Per tutta risposta, Matt
si accese un'altra sigaretta e riprese a giocare al videogame,
puntando lo sguardo attento sullo schermo e chinandosi maggiormente
verso esso.
La ragazza lanciò
un'occhiata verso Mello, concentrato sul monitor davanti a sé
con un'espressione seria in volto. Poi fece scorrere lo sguardo lungo
la stanza d'albergo in cui si trovavano.
Non era il massimo: era
piccola, dalle pareti spoglie e in alcuni punti priva d'intonaco. Il
pavimento in legno era scheggiato in diverse zone e cigolava ad ogni
minimo passo. L'unica finestra presente era quella nel salone in cui
si trovavano in quel momento, adiacente al cucinino minuscolo ed
umido alle spalle del divano ad isola.
La vista rispecchiava la
mediocrità di quel posto; affacciava su un grande tabellone
pubblicitario, i cui pezzi di carta avevano ceduto e si muovevano
mossi nel vento freddo di quella mattina.
La ragazza non disse
nulla riguardo al ribrezzo che provava per quella camera, perché
sapeva che Mello le avrebbe risposto in malo modo e le avrebbe anche
detto che poteva andarsene a casa, invece che seccare loro.
“Che stai facendo,
Mello?” chiese poi la ragazza, mentre raggiungeva il computer
acceso sul tavolo, di fronte al monitor su cui stava lavorando il
ragazzo.
Mello alzò gli
occhi su di lei, i capelli biondi gli ricadevano sul viso senza però
nascondere la vistosa cicatrice che segnava la sua pelle. “Quello
che non fai tu: lavoro.” rispose, inarcando le sopracciglia e
trasformando il suo sguardo in qualcosa di aggressivo che Alyssa
ignorò.
“Non puoi
rispondere senza fare la zitella acida almeno per una volta?”
lo prese in giro la ragazza, affilando lo sguardo e puntandolo su di
lui.
Mello lo guardò
poco divertito, mentre lei assumeva una finta espressione innocente.
“Matt ha installato delle cimici nell'appartamento di Light
Yagami.” le spiegò allora, dopo essersi lasciato andare
ad un lungo sospiro. Alyssa lanciò un'occhiata verso Matt e lo
vide alzare il pugno vittorioso, come se sapesse che lei lo stava
guardando in quel preciso istante.
“Ma davvero
pensate che questa gallina sia il secondo Kira?” Mello indicò
lo schermo con la mano e Alyssa gli si avvicinò per osservare
la scena, in cui Misa era seduta da sola in salotto, ciondolando con
le gambe e distendendo le braccia lungo lo schienale. Teneva la testa
all'indietro, i capelli biondi ricadevano verso il basso come cascate
d'oro e il viso era distorto in una smorfia da bambina quale era
rimasta.
Alyssa scosse la testa
con un sorrisetto, quella ragazza non era cambiata di una virgola.
“Non sai che l'apparenza inganna?” gli chiese e si
allontanò, dirigendosi verso l'altro lato del divano per
sedersi davanti al computer.
Pronunciando quella
domanda, ripensò inevitabilmente a Light, il miglior attore
che aveva mai incontrato in vita sua. Strinse i pugni con forza,
posandoli sulla tastiera del computer prendendo un lungo respiro:
nessuno poteva credere che lui fosse Kira, nessuno poteva sapere
che dietro quell'espressione angelica si nascondeva in realtà
la vera faccia del demonio. Un mostro.
Ma
è ben provato che con un'aria devota e un azione pia
inzuccheriamo lo stesso diavolo.
L'apparenza poteva
davvero ingannare.
“Che hai adesso?”
Mello non si era lasciato sfuggire il modo in cui il viso di Alyssa
si era indurito, con gli occhi verdi che trapassavano lo schermo del
computer davanti a sè e i pugni che tremavano visibilmente
sulla tastiera. Lo guardò a lungo prima di dargli una
risposta, stupita dal modo in cui la stava studiando con attenzione.
La dedizione e la cura nel rilevare i dettagli erano una cosa che
Mello ma anche Near avevano appreso dalla figura Elle, anche se tutti
e tre in forma ben distinta. Elle restava sempre l'ineguagliabile.
“Niente. Stavo
pensando agli scarafaggi che ci sono nel bagno di questo disgustosa
stanza che hai scelto.” disse, cercando di sviare il discorso.
Posò poi lo sguardo sul computer, digitando velocemente sui
tasti e ignorando lo sguardo che Mello teneva rivolto verso lei.
La ragazza cercò
informazioni sull'SPK, l'agenzia di cui Near era a capo e che giorni
prima era stata assaltata dai fanatici di Kira. Era certa che il
ragazzo stesse bene e che fosse riuscito a fuggire, insieme ai pochi
colleghi che gli erano rimasti, ma avrebbe tanto voluto averne una
certezza.
Scosse la testa, quando
si rese conto che stava preoccupandosi per lui come avrebbe fatto la
vecchia Alyssa. Cosa che si era ripromessa di non fare più in
vita sua.
“Perché non
te lo levi?” gli chiese ancora Mello e la ragazza si rese conto
che lei, in qualche modo, lo stava distraendo. Dopo quello che
gli aveva rivelato su Jack Nelson e su quello che avevano fatto,
Mello la teneva ancora di più sotto osservazione. Non si
fidava di lei ma, anche se non le aveva detto come la pensava
riguardo a quella cosa, lei sapeva che reputava quella sua azione
avventata quanto eccitante. Una vera sfida.
Per certi versi, non si
poteva negare che la loro impulsività viaggiava sulla stessa
lunghezza d'onda.
“Cos'è? Una
proposta indecente?” Alyssa gli lanciò un'occhiata
confusa, a cui Mello rispose con un sospiro poco divertito.
“Il tatuaggio.”
si spiegò, indicandole il braccio scoperto, dove le piccole
gocce di pioggia tatuate spiccavano sulla pelle diafana.
La ragazza vi lanciò
un'occhiata, lasciando scorrere gli occhi lungo quei segni che mai
l'avrebbero abbandonata.
“Te lo sei fatta
quando eri una schifosa tossica. Ora che non lo sei più,
perché non te lo fai rimuovere?” Mello distese le
braccia lungo lo schienale del divano e la guardò in attesa di
una risposta.
Alyssa restò più
sorpresa dal fatto che lui le ponesse una questione futile alle
indagini, piuttosto che le rivolgesse una domanda così
personale. Lo osservò con le sopracciglia alzate, rimanendo
protesa verso il computer.
“Ma fatti gli
affari tuoi, no?” gli disse. “Se sei così
impiccione, morirai giovane.”
E calò di nuovo
il silenzio, anche se lo sguardo duro di Mello valeva il fastidio di
mille rumori. La musichetta del videogioco di Matt sembrava lontana
anni luce, mentre lei fissava lo schermo fermo sulla stessa pagina da
diversi minuti. Con la coda dell'occhio guardò nuovamente il
tatuaggio e mille ricordi riaffiorarono alla sua mente: ricordi del
perché si era fatta fare quel tatuaggio e del periodo
in cui se lo era fatto. Non seppe se provare malinconia o
avversione verso sé stessa di fronte a quelle memorie ormai
troppo lontane.
“Certi errori
vanno ricordati per non ricaderci.” la sua risposta giunse con
estremo ritardo, ma Mello la colse lo stesso, alzando lo sguardo
verso di lei.
I due si guardarono a
lungo ed entrambi sembrarono rivangare i momenti che li avevano fatti
avvicinare anni prima e che li avevano portati ad essere complici e
avversari al tempo stesso.
“Più che
altro non ho mai capito perché tu venivi sempre a
recuperarmi...potevi lasciarmi morire affogata in una pozza di birra
conoscendoti, eppure non lo hai fatto...perché, marshmello?”
“Perché eri
patetica.” Quella fu la risposta secca di Mello, dura e
tagliente come solo lui riusciva a renderla.
In un'altra occasione,
Alyssa gli avrebbe risposto per le rime, ma il ragazzo non aveva
tutti i torti in quel momento. Era stata così patetica a
rifugiarsi nell'alcool e nelle droghe anni prima, per sfuggire ad una
realtà che non le apparteneva più, per scappare da un
dolore che la divorava dentro, svuotandola della sua anima, che non
sentiva nemmeno più sua.
Era solo troppo stanca
di perdere sempre tutto, ma si vergognò nel pensare a quelle
parole quasi fossero una giustificazione al suo atteggiamento stupido
ed irrequieto. Calò di nuovo un silenzio profondo, che
sovrastò parole e frasi che dovevano seguire l'affermazione di
Mello.
Ma contraddirlo nel
pieno della ragione era una cosa a cui non voleva abbassarsi.
Alyssa posò di
nuovo lo sguardo sullo schermo e sbatté più volte le
palpebre cercando di mettere a tacere il rimbombare dell'emicrania
che stava incombendo su di lei.
“So che ero
patetica, Mello. Non c'è bisogno che me lo ricordi sempre.”
gli disse, quasi con aria di rimprovero.
Il ragazzo la ignorò,
riprese a fissare il monitor di fronte a sé, annoiato dai
movimenti sciocchi che Misa compiva su quel divano. “L'uomo che
hai fatto uccidere a Nelson era legato a Bretovic, non ho ragione?”
le chiese poi, continuando poi a fissare lo schermo dove si trovava
Misa.
A quel nome, Alyssa non
poté trattenere un brivido.
Lo sentì
scorrerle lungo la pelle, immobilizzandole la schiena che divenne
rigida.
Alzò lo sguardo
su Mello e lui fece lo stesso con lei. Non doveva stupirsi che lui
avesse scoperto una cosa simile, ma la sorpresa era più che
altro dovuta allo sguardo che il ragazzo stava lanciandole.
Come sempre, non gli
interessava la risposta in sé, ma appurarne unicamente la
sincerità.
Alyssa piegò la
testa da un lato. “Sai già la risposta.” gli
disse, preferendo apparire il più scontata possibile.
Mello distese le braccia
lungo lo schienale del divano, gioendo del fatto che lei non
riuscisse nemmeno a guardarlo negli occhi. Lui, infatti, sapeva la
verità riguardo quella menzogna che davvero ben poco aveva
tollerato, ma era curioso di vedere come gli occhi di Alyssa
avrebbero reagito ad una domanda diretta come quella. Malgrado
l'ostentata freddezza che da qualche anno a quella parte lei
mostrava, i suoi occhi parlavano sempre troppo.
“Ora capisco
tutto. Allora sei davvero così ridicola da recitare la parte
della dura quando non lo sei...” le disse, con tono duro e
forte che attirò lo sguardo della ragazza. “La maschera
prima o poi cade e rivela ciò che nasconde sotto. Vale per
Kira, ma vale anche per te.”
Alyssa rimase colpita da
quelle parole. Mello parlava sempre con fastidiosa durezza nei toni,
accentuati poi anche da quell'espressione fredda e dallo sguardo di
ghiaccio nascosto sotto i suoi ciuffi biondi, ma in quel caso
sembrava quasi volesse darle un consiglio. Che lei, però, non
volle ascoltare.
“Marshmello?
Non pretendo che tu mi faccia dei complimenti, ma almeno
risparmiati i continui insulti. Sei prevedibile.” lo
prese in giro, abbozzando un sorrisetto furbo e piegando la testa da
un lato.
Mello non rispose e
preferì chiudere in quella maniera la discussione.
Calò un profondo
silenzio, che venne poi rotto dal rumore dell'accendino di Matt che
dava fuoco alla centesima sigaretta in quella mattina e alle parole
che Mello pronunciò, quando si accostò maggiormente al
monitor per fissarlo con attenzione. “Sta succedendo
qualcosa...” disse.
Alyssa, stupita, si
mosse rapidamente verso di lui, mentre Matt volse loro un'occhiata
curiosa, decidendo poi di alzarsi con lentezza dal divano e andare a
vedere cosa stava succedendo.
La ragazza si sedette
vicino a Mello e osservò Misa, ancora seduta in una contorta
posizione sul suo sofà, mentre discuteva con Mogi ed Aizawa.
Le loro voci erano leggermente distorte dai microfoni del monitor,
assumendo un suono metallico e delle volte incomprensibile.
“Non è che
si accorgono delle cimici?” domandò Alyssa a bassa voce,
per non perdere nemmeno una parola che quei due stavano pronunciando.
Matt le rispose con un
semplice “no”, come se in quelle due lettere si
nascondesse tutta la spiegazione di cui lei aveva bisogno. I tre si
zittirono e tesero l'orecchio ascoltando ciò che Misa e i due
poliziotti si stavano dicendo; sembrava che stessero ispezionando
l'appartamento alla ricerca di qualcosa.
Il
quaderno.
“Sospettano anche
loro del tuo finto vecchio amico.” disse Mello, fissando
attentamente i movimenti dei due uomini, lungo la stanza.
Misa li osservava
annoiata, bofonchiando parole contro il nuovo taglio di capelli di
Aizawa.
Alyssa trattenne un
attimo il fiato. Aveva intuito che Light aveva rinunciato al possesso
del suo quaderno, altrimenti Soichiro si sarebbe accorto che suo
figlio era sempre stato Kira e avrebbe scoperto la macchia che il suo
adorato figlio portava su di sé, prima di raggiungere la
morte.
Il ricordo dell'uomo le
provocò un tuffo al cuore, a cui decise di non dare troppo
credito in quel momento.
“Aizawa sopratutto
sospetta di lui...” precisò la ragazza, osservando il
poliziotto che stava guardando nella cassaforte dell'appartamento di
Light e Misa. Riconosceva quegli occhi scuri, quell'espressione
tirata e la mascella serrata, perché tempo prima aveva visto
quell'espressione di sospetto sul volto del poliziotto. Quasi la fece
sorridere l'idea che, quella volta, fosse tutta per Light Yagami, il
vero ed unico bastardo di un Kira.
“Non troveranno il
quaderno..”
“...deve averlo
passato a qualcuno.”
Mello iniziò la
frase, Alyssa la terminò.
I due si lanciarono
un'occhiata tra lo sbalordito e l'infastidito, quando si accorsero
che, per la prima vera volta, i loro pensieri correvano lungo la
stessa linea d'onda. Matt inspirò fumo, restando in piedi
dietro il divano.
“Sì, ma a
chi?” disse Alyssa, guardando Misa e convincendosi che la
memoria della bionda fosse stata, di nuovo, azzerata. Light abusava
continuamente del suo amore e lei continuava sempre a lasciarlo fare.
Non sapeva se odiarla o
provare compassione per quella sua evidente debolezza.
“A qualcuno che
segue follemente la sua folle impresa...”
sussurrò Mello pensieroso, portandosi il pugno sotto il mento
e fissando lo schermo con disinteresse. La sua mente era già
rivolta all'ipotetica persona che poteva essere in possesso del
quaderno di Kira.
Alyssa gli lanciò
un'occhiata, poi tornò ad osservare il monitor: pochi minuti
dopo, Aizawa e Mogi terminarono le ricerche senza trovar nulla e si
scusarono con Misa per il tempo che le avevano fatto perdere.
La ragazza rispose con
voce da bambina, storcendo le labbra in un broncio e dicendo qualcosa
contro la pesantezza del loro lavoro.
“Cretina...”
sussurrò Mello, ancora incredulo di fronte alla possibile idea
che quella bionda avesse indossato i panni del secondo Kira. Alyssa,
per un attimo, ne sorrise.
Poi i pensieri di
entrambi tornarono a concentrarsi su chi potesse avere il quaderno di
Kira in quel momento, chi potesse essere così folle da essere
scelto da Light per portare avanti il suo assurdo piano di ripulire
il mondo.
La ragazza ebbe un'altra
idea. Posò le mani sulle ginocchia e fissò la figura di
Misa che si era alzata in piedi e stava saltellando sul posto. “È
ora che io e Misa ci rincontriamo.” disse, osservando il volto
della bionda con aria seria.
Mello si voltò
verso di lei, senza capire. “E perché dovresti?”
le domandò, leggermente seccato nel non trovare un motivo
plausibile a quella decisione. Alyssa rispose con una scrollata di
spalle. “Fatti miei, ma non è nulla con cui io stia
cercando di fregarti. Non ti agitare.” gli disse, quasi con
aria di rimprovero, che lo spinsero ad alzare gli occhi al cielo.
Matt, ormai soddisfatta
la sua breve curiosità, si allontanò, deciso a tornare
ad occuparsi del suo videogame, mentre Alyssa abbassava lo sguardo
pensierosa. Sperò che quella sua folle idea, non le
procurasse solo altri guai.
* * * *
“Come
stai?”
Alyssa
sbatté più volte le palpebre.
Si
rese conto di essere seduta su quell'altalena da un'intera mattina, a
fissare la gente che passava oltre il cancello della Wammy's house e
la neve che cadeva a grandi fiocchi sulle loro teste.
Volse
lo sguardo verso il ragazzino seduto sull'altalena accanto alla sua,
teneva un piede sopra il sedile e con l'altro con una mano
giocherellava a tirarsi e attorcigliarsi un ciuffo dei suoi capelli
chiarissimi.
Gli
occhi scuri sembravano disinteressati al mondo che lo circondavano,
oppure erano così attenti a coglierne ogni singolo elemento
che gli apparteneva da risultare tali.
La
presenza di Near era un qualcosa di difficile da descrivere per
Alyssa: si sentiva, ma molto spesso se ne dimenticava. Proprio come
le capitò in quel momento; il ragazzo era stato talmente
silenzioso per tutto quel tempo, che Alyssa si era dimenticata di
averlo avuto sempre affianco.
Gli
lanciò una lunga occhiata, poi tornò ad osservare il
cielo bianco sopra le loro teste. “Bene.” disse, senza
sforzarsi nemmeno di mascherare quella menzogna, perché Near
sarebbe stato capace di scoprirla lo stesso.
Lui
lasciò un ciuffo che teneva stretto tra le dita, per
giocherellare con un altro. “Il tuo viso cereo prova il
contrario.” disse solo e Alyssa abbozzò un sorriso.
Chiuse gli occhi e per un solo misero istante le parve di udire la
voce di Elle, nascosta tra quelle parole così fastidiosamente
veritiere.
“Sono
russa, l'abbronzatura non mi è amica.” rispose,
buttandola sullo scherzo.
Smisero
nuovamente di parlare e Near piegò la testa verso la sua
direzione senza però guardarla, almeno non direttamente.
Scorse il volto della ragazza nascosto sotto il cappuccio, i suoi
occhi fissi in un punto davanti a sé, le labbra rosse che
stonavano con il bianco di quella pelle che sembrava di porcellana.
Alcuni
ciuffi dei suoi capelli si liberavano, solleticandole la fronte e le
guance.
“Non
credevo ci saresti riuscita. Sei stata brava.”
Alyssa
non poté credere al suono di quelle parole; Near non era un
ragazzo che si lasciava andare a parole di stima con quella facilità.
Anzi, raramente pronunciava frasi con sentimento, celava ogni parole
dietro la sua pacata freddezza senza sbilanciarsi più di
tanto, come se non volesse mettere in piano alcuna emozione. Si voltò
verso di lui, il ragazzino era ancora freddo e fissava impassibile un
punto davanti a loro.
“Brava?”
ripeté lei confusa,ma vagamente divertita. “A fare cosa
scusa?”
Near
non rispose subito, abbassò gli occhi scuri sulla neve ai loro
piedi e continuò ad attorcigliare un ciuffo intorno alle sue
dita. A prima vista sembrava un bambino,ma aveva una logica e una
padronanza di pensiero e linguaggio che sembrava davvero un adulto.
Più di lei, sicuramente.
“Quando
qualcuno si perde con quella facilità, è difficile
ritrovare la strada giusta.” disse solo.
Alyssa
corrugò la fronte; capì che Near doveva riferirsi al
periodo in cui la bottiglia e la siringa erano state le sue migliori,
pazze e sbagliate amiche. Per un attimo pensò che una persona
così giovane non doveva essere a conoscenza di certe realtà
e di certi esempi come lei.
Poi
ricordò che si stava parlando di Near e, anche se era molto
giovane, conosceva già i mali del mondo.
“Mello
mi ha aiutata a dire il vero, anche se mi costa ammetterlo. A suon di
brutte parole, ma lo ha fatto.” rispose, tornando a guardare un
punto davanti a sé, oltre l'inferriata di quel cancello.
Si
pentì di essersi lasciata andare a quella confessione, poiché
aveva ripromesso di chiudere sé stessa in un guscio. Ma con
Near al suo fianco le parve impossibile.
Poi
successe una cosa che la destabilizzò.
Near
volse lo sguardo verso di lei; sentiva i suoi occhi indagatori sopra
la pelle del viso e si sentì pietrificare. Il ragazzo si
concesse un lungo attimo di silenzio prima di parlare, secondi in cui
la ragazza avrebbe tanto voluto sapere cosa aveva in mente di dirle.
“Un
puzzle non si lascia mai incompleto.” disse lui, con voce
fredda e impassibile. Alyssa si voltò a guardarlo. “Ma
deve essere completato da qualcuno che possiede la stessa mano di chi
lo ha iniziato e abbandonato.”
La
ragazza comprese subito dove voleva arrivare Near. Non ci voleva un
genio per intuire il messaggio nascosto dietro quelle parole. Lui
sapeva che lei sarebbe subito arrivata al vero significato di quelle
parole, così non disse nient'altro che potesse fungere da
spiegazione.
L'erede
di Elle.
Quattro
parole che Alyssa odiava a morte. Perché trovare un suo erede,
era praticamente impossibile.
E
quasi ingiusto, perché Elle doveva essere ancora in vita in
quel momento. Strinse i pugni sulle catene dell'altalena e si morse
il labbro. Near e Mello vantavano di ingegno, intelligenza e spirito
di giustizia, ma non erano al livello che possedeva il detective.
“
Elle pensò a
te o Mello come suoi possibili successori...ma è morto prima
di poter davvero scegliere.” La ragazza inarcò le
sopracciglia, Near la fissò con attenzione sapendo già
cosa lei stesse per chiedergli, ancor prima che il pensiero si
tramutasse in parole. “Io sapevo questa storia dell'”erede”,
mi aveva detto di voi una volta. Quindi perché me lo stai
ricordando?”
Near
rimase un attimo in silenzio, piegò la testa da un lato e
puntò gli occhi verso il cielo, sentendo di averli avvicinati
per troppo tempo al volto pallido di Alyssa. “Perché
Kira spetta trovarlo a me o Mello. Tu hai vissuto il tuo tempo
accanto ad Elle e non puoi più cercarlo ormai.”
“Ho
rinunciato a trovare Kira, Near. Gliel'ho promesso.”
“Sappiamo
entrambi che la promessa non verrà mantenuta.” Near
parlò prontamente, tanto che la ragazza non ebbe nemmeno il
tempo di riprendere respiro. “Hai già dimostrato di
essere vittima del dolore, delle tue emozioni e dei tuoi ricordi,
così come la maggior parte degli esseri umani. Quindi è
ovvio che cercherai di nuovo Kira, in preda alla vendetta.”
Calò
il silenzio, nello stesso momento in cui i fiocchi di neve quasi
smisero di scendere sulla terra.
Alyssa
non distolse mai lo sguardo da Near, dal suo volto freddo e dai suoi
occhi che erano fissi in un punto davanti a loro. “E anche se
fosse? Che t'importa? Non penso tu ti stia preoccupando per me.”
gli disse.
“No,
infatti.” rispose prontamente Near. “Ma le sue ultime
volontà furono quelle di tenerti lontana dal caso e se io
voglio essere il suo erede, voglio rispettare il suo volere. Ed è
ciò che farò.”
La
ragazza non seppe cosa dire. Ricordò un episodio, poco dopo la
morte di Elle, in cui aveva sentito il ragazzino dare
dell'incompetente ad Elle per non essere riuscito a completare il
puzzle e le mancò davvero poco per andare in bestia. Ma,
allora, comprese che Near nutriva una profonda stima nei confronti
del detective, solo che non lo dava a vedere.
“Alyssa?”
L'attenzione
della ragazza venne strappata via da Near; guardò Roger alle
loro spalle che stava procedendo verso loro, la porta della Wammy's
house leggermente schiusa e che lasciava intravedere l'oscurità
all'interno. L'uomo aveva lo sguardo serio rivolto verso di lei,
sotto le spessi lenti degli occhiali e in mano teneva una lettera
aperta, che tese prontamente verso di lei. “È per te.”
La
ragazza lanciò un'occhiata a Near, che rimase impassibile ad
osservare un punto di fronte a sé e si alzò in piedi,
avvicinandosi all'uomo. Dopo un attimo di titubanza e confusione,
prese la lettera tra le mani e la lesse.
Un
indirizzo.
Anche
nella morte, Elle aveva realizzato il suo sogno.
*
* * *
Alyssa
sapeva che doveva
essere tra loro.
Aveva
osservato per tutto il primo pomeriggio programmi e programmi in
favore di Kira, tutti diretti da idioti che si credevano ministri del
suo regno, un regno che doveva finire.
Abbassò lo sguardo sul marciapiede, mentre continuava a
camminare in direzione della sua auto, posteggiata a pochi metri di
distanza.
Doveva
essere così.
Light aveva passato il
quaderno a qualcuno che sostenesse la sua causa con forza e
determinazione, qualcuno che fosse così perso in quegli ideali
distorti di giustizia che lui aveva portato nel mondo, da macchiarsi
le mani di sangue in suo nome. Nella maggior parte dei programmi in
favore di Kira aveva sempre preso parola un uomo, un pubblico
ministero, di nome Teru Mikami. La ragazza era rimasta più
volte ad osservarlo nello schermo, a guardare quegli occhi scuri che
si illuminavano ogni volta che le labbra pronunciavano il nome di
Kira, quella luce oscura e spaventosa che rasentava la folle credenza
in quei valori di morte e sangue che lo stesso Kira aveva portato nel
mondo.
Pensare che, anni prima,
a causa del suo trauma con William lei poteva davvero pensarla come
quell'uomo le fece venire i brividi.
Tutti i pensieri vennero
annullati all'istante, quando vide due ombre avvicinarsi a lei.
All'inizio era così
concentrata a guardare i bordi rovinati del marciapiede, che credette
fossero solo due persone che camminavano con lei lungo la strada.
Alzando lo sguardo però, si rese conto che quelle due sagome
le conosceva e che stavano muovendosi di proposito verso lei.
Si fermò di colpo
e loro fecero lo stesso.
La
folla continuò a disperdersi attorno ai loro corpi immobili,
incurante degli sguardi che i tre si stavano lanciando. Alyssa ebbe
un tuffo al cuore; se loro erano
lì, voleva dire che lui si
era davvero tirato fuori dalla brutta situazione in cui Kira lo aveva
gettato. Sbatté più volte le palpebre, prendendo un
lungo respiro.
“Voi? Che ci fate
qui?” domandò, guardando prima la donna poi il suo
collega.
Halle Lidner la guardava
più severamente rispetto a Stephen Gevanni; i suoi occhi
chiari erano fissi sul volto della ragazza e le labbra rosse erano
talmente strette da sembrare un'unica linea retta. Gevanni fece
scorrere lo sguardo attorno a sé con fare circospetto, come
per assicurarsi che nessuno li stesse guardando. “Devi venire
con noi, Alyssa.” disse, facendo un passo verso lei e parlando
con un tono di voce più basso.
“Perché
dovrei?” chiese lei di rimando, lanciando un'occhiataccia a
Lidner che non la smetteva di osservarla con fare inquisitorio.
Quest'ultima affilò
di più lo sguardo. “Perché altrimenti ti spariamo
qui all'istante.” le disse, a suon di provocazione.
Alyssa
non le rispose e per un attimo le balenò alla mente il motivo
per cui quella donna la trovasse poco simpatica; forse lo scherzetto
di Mello della doccia non era stato di suo gradimento. Tornò a
guardare Gevanni, che sembrava più pacato e tranquillo nei
suoi confronti. “Lui ti
vuole brevemente parlare.” disse solo, per spiegarle in poche
parole il perché loro erano là.
Alyssa lo guardò
in silenzio, trattenendo quasi il respiro. Non doveva importargliene
nulla di Near, eppure era stata giorni in trepidante attesa di sapere
come stesse e, allora che ne aveva avuto la certezza, si sentiva
quasi sollevata. Voleva chiedere se stava bene, come una mamma che
voleva avere mille e mille certezze sul proprio figlio, ma poi decise
di tacere, sentendosi ridicola. “Ok, ma ho poco tempo.”
disse freddamente.
Nel giro di una
mezz'ora, la macchina guidata da Gevanni giunse in una zona centrale
di Tokyo, una specie di hotel che faceva invidia a quello in cui
risiedevano Mello e Matt. I due la condussero verso l'ultimo piano
dell'edificio e Alyssa provò uno strano senso di familiarità
nell'avanzare lungo quel corridoio, come se stesse rivivendo un deja
vu di sé stessa anni prima. Peccato che il soggetto in
questione era cambiato.
Lidner non le lasciò
mai il braccio, cingendolo fortemente con una mano, e la ragazza non
disse nulla al riguardo per non entrare in discussione con lei. Uno
strano senso di ansia la pervadeva, al pensiero che stava per
incontrare Near dopo anni e non sapeva ben spiegarsi il motivo.
Giunsero di fronte ad
una porta scorrevole, che si aprì rapidamente al loro
passaggio, e giunsero in una piccola e buia stanza. I monitor sulla
parete frontale propagavano la loro pallida luce sul pavimento e sui
muri, mentre un uomo, che Alyssa riconobbe con il nome di Rester, se
ne stava in piedi accanto ad essi, immobile quasi come una statua. La
stanza non era ricca di molti arredamenti, eccetto un tavolo centrale
in legno su cui era posta una costruzione in lego e una sedia
girevole sopra cui era seduta una minuta figura che dava loro le
spalle.
Nonostante la poca luce,
Alyssa riconobbe subito Near: era seduto in una posizione scomposta,
lontanamente simile a quella che assumeva sempre Elle, e stava
attorcigliandosi un ciuffo di capelli attorno alle dita. Quel gesto
abituale aveva un che di irritante ma allo stesso tempo ipnotico;
anche se non lo si voleva guardare, si era costretti a farlo.
“Buonasera
Alyssa.” Near ruppe il silenzio, con la sua voce fredda.
Alyssa giurò di
non aver mai sentito una qualche emozione colorarla. Tutte le parole
che avevano lasciato quelle labbra erano state pronunciate con lo
stesso tono distaccato che lui era solito avere.
Se ne uscì con un
banale “Ciao” e lasciò scorrere lo sguardo lungo
il pavimento, dove si trovavano diversi giocattoli e pupazzi. Le
sfuggì un sorriso; tra dolci, sigarette, tavolette di
cioccolato e giocattoli, ogni genio aveva la sua folle ossessione.
“Caspita, questa
sarei io?” Alyssa si avvicinò a Near, ignorando la mano
di Lidner che prese a stritolarla appena lei si mosse. Fortunatamente
Gevanni le fece segno di lasciarla andare e Alyssa poté
muoversi verso un punto accanto al ragazzo. Near non la guardò
nemmeno, ma con la coda dell'occhio la vide chinarsi su uno dei suoi
pupazzi e prenderlo tra le mani.
Alyssa guardò la
sua versione in miniatura e storse il naso. Era priva di braccia e
gambe come gli altri pupazzi, i capelli erano lunghi e neri, la
faccia era tutt'occhi, di un colore verde intenso e le labbra
spalancate in una specie di ghigno. “Sono così brutta?
Pure quello di Mello non scherza però.” Alyssa abbassò
lo sguardo sul pupazzo che rappresentava Mello, caratterizzato da due
spessi incisivi bianchi che protendevano dalle sue labbra.
“Tu sai perché
ti ho fatta chiamare qui, vero?” le chiese Near, continuando a
guardare un punto di fronte a sé, perso nei tasselli delle
costruzioni.
Alyssa si voltò
verso di lui, tornando improvvisamente seria; guardò gli occhi
scuri e disinteressati del ragazzo e sbatté più volte
le palpebre. Sì, sapeva perché era lì.
“Hai scoperto il
giochetto che ho fatto con Nelson.” disse, portandosi le mani
sui fianchi e restando accanto al tavolo. “Mello però
non l'ha presa male.”
Il ragazzo non si stupì
di quell'ultima frase; se Mello e Alyssa avevano una cosa in comune,
era l'impulsività.
Near non rispose subito,
lasciò scendere il silenzio tra le pareti di quella stanza e
continuò ad attorcigliarsi un ciuffo di capelli attorno
all'indice. “Veramente, sappiamo tutti e due che il secondo
Elle, ossia Kira, sospetta che tu sia tornata per vendetta e non per
altro.” iniziò a dire. Alyssa non si stupì di
sentire quelle parole, anche lei sapeva che Light non era stupido e
aveva capito che c'era qualcosa sotto, riguardo il suo ritorno. Ma la
guerra è più divertente, quando il nemico sa che deve
guardarsi le spalle.“Quindi, ciò che hai fatto scrivere
a quell'uomo prima di uccidersi, gli darà solo un'ulteriore
conferma che sei coinvolta nella lotta contro di lui. La cosa non mi
tange”
Questo
nuovo mondo sta per finire.
Erano quelle le parole
che Alyssa aveva trovato il modo di far scrivere a quel pregiudicato,
sparatosi in un vicolo. Come Light lanciò tempo prima un
messaggio ad Elle in cui diceva che gli shinigami mangiavano solo
mele, lei fece lo stesso. Semplicemente per fargli capire, che il suo
tempo era ormai giunto.
“Allora, perché
mi hai fatto venire qui?” gli chiese.
“La cosa che mi fa
pensare, è che l'uomo che hai chiesto a Nelson di uccidere,
lanciando poi quella dichiarazione di guerra a Kira, è legato
a quello che Mello uccise per crearsi il suo gruppo.” continuò
Near, fissando ancora un punto fermo davanti a sé.
Alyssa
non si provò sorpresa nemmeno nel sentire quelle
parole.
Era
arrivato Mello a quella conclusione, Near non era da meno. Abbassò
lo sguardo imbarazzata e si morse con
forza le labbra. “Erano due mafiosi che hanno rovinato un
mucchio di vite. Sarebbero comunque morti in qualche faida o in
galera, non mi sento in colpa per questo...”
Ma qualcosa dentro di
lei dissentì. Lei si sentiva comunque sporca nell'aver fatto
uccidere quei due uomini, così come si sentiva in colpa per
aver ordinato il rapimento di Sayu Yagami e causato la morte di
Soichiro Yagami. Non aveva previsto quell'ultimo avvenimento e mai e
poi mai lo aveva preso in considerazione.
Si accorse di aver perso
la sua maschera di freddezza e la indossò nuovamente.
Fece per dire qualcosa,
ma Near la interruppe. “Chi stai proteggendo?”
Calò un glaciale
silenzio. Alyssa osservò con attenzione il volto pallido di
Near, su cui i monitor di fronte a lui giocavano uno strano ballo di
luci e ombre. Si era persino dimenticata di non essere sola con lui e
lanciò un'occhiata imbarazzata ai tre agenti che la
osservavano con un'attenzione che trovò quasi pressante.
Abbassò lo
sguardo, ignorando il rossore che le stava salendo alle gote e lanciò
un'occhiata verso Near.
“Nessuno. Sto solo
facendo ciò che è giusto per combattere Kira, tutto
qui.”
“Non mentire, puoi
farlo a te stessa, ma non con me.” Near la interruppe di nuovo,
quasi come farebbe un maestro che sottolinea un'imperfezione
nell'interrogazione in un alunno. Alyssa tacette diversi istanti,
sentendosi quasi una stolta nel farsi scoprire con quella stessa
facilità da Near.
Anche se non si trattava
di un normale ragazzino, bensì di un genio.
Alyssa spalancò
le braccia, lasciandosi andare ad un impeto di irritazione. “Andiamo,
che ti importa? Sappiamo tutti e due che il vero motivo per cui sono
qui è perché mi consideri un intralcio alle tue
indagini.”
Near non rispose subito,
non era da lui affermare un'ipotesi scontata oppure negarla per far
sentire meglio Alyssa. La ragazza non seppe come sentirsi di fronte a
quel silenzio, una strana sensazione di vuoto la pervase ma non seppe
definire se riguardo a ciò che Near e Mello avevano
sottolineato nei riguardi di Bretovic oppure perché entrambi
la facevano sentire come una palla al piede.
Optò per la prima
considerazione, alla seconda era talmente abituata che nemmeno ci
fece più caso.
“Come ti dissi
anni fa, io sarò il vero successore di Elle ed è mio
dovere rispettare le sue ultime volontà.” Near volse lo
sguardo verso di lei e per la prima volta in quella giornata la
ragazza si ritrovò ad osservare le sue iridi scurissime e
penetranti. Spesso non si rendeva nemmeno conto di trovarsi di fronte
un ragazzino e non un adulto. “Diciamo che è anche
questo uno dei motivi per cui ti chiederei di stare fuori da questa
storia. Anche perché spetta a me o a Mello concludere
l'operato di Elle.”
Calò di nuovo il
silenzio e Near distolse lo sguardo dal volto della ragazza che si
sentì sempre più infervorata.
Si morse il labbro e
volse lo sguardo verso un punto sui monitor, sperando di non
lasciarsi andare ad uno scatto d'ira.
Prese
un lungo respiro e sentì di nuovo la calma affluire in lei.
“Non ti parlo di sentimenti Near, perché so che non ti
piace comprenderli eccetera eccetera....” disse, decidendo
anche di non parlare di ciò che ancora provava
per Elle dopo anni e anni dalla sua morte perché faceva male
persino a lei. “Ma io non mi tiro fuori da questa storia, mi
dispiace. Il puzzle l'ho iniziato in parte anche io e tu non hai
alcun diritto di dirmi di farmi da parte. Quindi, hai perso minuti
del tuo tempo con una persona testarda che non cambierà idea e
che continuerà a perseguire la vendetta. Scusami.”
Calò il silenzio,
talmente pesante in quelle strette pareti che quasi Alyssa lo sentì
pesare sul suo respiro. Near non disse nulla, lasciò un ciuffo
di capelli e prese a giocarne con un altro.
“Come vuoi, il mio
era solo un consiglio.” disse.
Consiglio? Alyssa lo
trovò azzardato come termine per definire le parole di Near.
Lui non era tipo che dispensava consigli, ma che elaborava teorie ed
ipotesi su idee fondate.
Se voleva farla
desistere dal vendicarsi di Kira, lo avrebbe fatto. Eppure lui
sembrava non voler aggiungere altro. “Posso...andare ora?”
chiese lei, spalancando le braccia.
“Sì, puoi
andare.”
Ledner si avvicinò
alla ragazza insieme a Gevanni, appena Near pronunciò quelle
tre semplici parole. La condussero lentamente verso la porta
scorrevole, ma Alyssa si fermò di colpo quando sentì la
voce di Near.
“Giocare questo
folle gioco della donna priva di sentimento non funzionerà,
Alyssa.” disse. “Le maschere cadono sempre e tu lo sai
molto bene.”
Alyssa fissò un
punto in fondo al corridoio, non disse nulla riguardo quella frase di
Near ma si limitò a chiudere un attimo le palpebre pensierosa.
“Sono contenta che tu stia bene, Near.” disse solo,
ponendo un punto a quella discussione.
E, mentre si
allontanava, aspettò quasi una risposta dal ragazzo che, però,
non arrivò mai.
* * * *
Aveva proprio bisogno di
farsi una bella doccia.
Lasciò scorrere
l'acqua tiepida sulla pelle, sentendola rilassarsi sempre di più
sotto quelle gocce bollenti che cadevano su di essa. Tenne la fronte
posata sul muro in mattonelle, mentre il getto della doccia spruzzava
con forza sopra la sua testa, massaggiandola però quasi con
dolcezza. Lasciò gli occhi chiusi, un modo per non pensare a
nulla di quello che era successo in quella giornata ma il ricordo
della parole di Near tornava prepotentemente a farsi sentire dentro
la sua testa.
E non poté fare a
meno di sentire nuovamente la presenza di Elle.
Anche se lui non era
più, almeno fisicamente, con lei, la ragazza sembrava
avvertirlo in ogni singola parola, in ogni singolo gesto, in ogni
singolo angolo di quel mondo che la circondava e che aveva imparato
ad odiare e disprezzare, come mai aveva fatto prima.
Odiava ammetterlo, ma
vedeva molto di lui anche in Mello e Near.
Non li considerava certo
capaci di eguagliarlo, ma lottavano in nome di una causa che lui
aveva iniziato, che lui avrebbe dovuto portare a termine se qualcuno
non gli avesse strappato via la vita con codardia.
E lei sentiva di stare
per rovinare tutto.
Perché il senso
di colpa di essersi affidata alla vendetta stava iniziando a
logorarla, malgrado avesse deciso di relegare tutte le sue emozioni
in un angolo della sua mente, impedendo loro di vivere e di farla
stare male.
Soichiro
Yagami. Goran Bretovic.
Riusciva a comprendere
il ribrezzo che provava per sé stessa quando pensava al prima,
ma non capiva il perché provasse una cosa simile anche per il
secondo. Lui aveva meritato la morte, aveva rovinato talmente
tante vite che non era degno di vivere la sua.
Ma la discussione con
Near aveva fatto scattare qualcosa anche a quel proposito.
Si sforzò di non
pensarci e di riprendere controllo di quegli uragani dentro di sé,
per impedir loro di non farla ragionare come doveva.
Chiuse l'acqua e si
preparò ad uscire, indossando un lungo asciugamano bianco e
lasciandosi cadere pesantemente i capelli sulla spalla sinistra. Si
diresse verso la porta, aprendola lentamente e lasciando che la fioca
luce rossa che illuminava il bagno si propagasse sul pavimento del
corridoio scuro.
Appena ne varcò
la soglia, sussultò e si portò una mano sul petto,
sotto cui il cuore batteva impazzito.
Fissò Mello,
nascosto nel buio del corridoio con la schiena appoggiata sulla
parete accanto allo stipite della porta. La fissava freddo,
impassibile e i suoi occhi chiari erano l'unica cosa che Alyssa
riuscì a scorgere nel buio, grazie alle luci che brillavano
nel panorama notturno, fuori dalla finestra del salone alla loro
destra.
“Senti, Pshyco,
togliti questa tua mania di rompere le scatole a chi si fa la
doccia!” lo rimproverò a denti stretti, cercando di
riprendere controllo del proprio respiro.
“Hai incontrato
Near?” Mello non diede adito alla battuta della ragazza e
scrutò con attenzione il volto pallido della giovane, mentre
assumeva un aspetto quasi umano.
Lei serrò le
labbra, riducendole ad una linea retta e annuì lentamente.
“Sei sempre informato sui miei movimenti, vedo...” gli
disse.
“Beh dovresti
sapere che dopo il tuo giochetto di qualche giorno fa, mi fido di te
molto meno di quanto già non facessi prima.” rispose
lui, pungente come al solito. In quel momento, la ragazza si accorse
che lui aveva in mano una tavoletta di cioccolato fondente ancora
completamente intatta. Ne tirò rumorosamente un morso,
causando un suono fastidioso che si scontrò con il silenzio di
quel corridoio. “Cosa voleva l'omino bianco?”
Alyssa accese le luci
del corridoio e finalmente lo guardò in viso, la cicatrice che
il ragazzo aveva in volto ancora le risultava quasi irreale. “La
storia della promessa che ho fatto ad Elle...vuole che io molli per
questo motivo, ma sappiamo tutti che, più che altro, si tratta
di una sua comodità. Mi considera fastidiosa quasi quanto mi
consideri tu.”
Mello non rispose, ma
non si lasciò sfuggire il modo in cui la ragazza non sosteneva
il suo sguardo. Le sue iridi verdi erano fisse sul pavimento,
scrutandone meticolosamente ogni angolo, come se in quel vuoto
volesse trovare la forza necessaria per trattenere qualcosa che si
portava dentro.
Aveva sempre pensato che
la sua maschera fredda sarebbe caduta subito, sopratutto dopo ciò
che aveva scoperto con Bretovic, ma lo infastidiva e non poco il
fatto che fosse stato Near a causarle quell'effetto.
“Cos'è? Hai
delle emozioni adesso, K.?” le chiese, affilando lo sguardo e
parandosi davanti a lei.
Alyssa alzò lo
sguardo su di lui, come se quelle parole fossero un'offesa.
Scosse rapidamente la
testa. “No, voglio solo catturare Kira al più presto.”
rispose, come se quel suo desiderio di vendetta non implicasse alcuna
emozione. Anche se in viso se ne vedevano troppe unite insieme.
“Ti ha detto
altro?” chiese poi Mello, cercando di non pensare a come il
volto di Alyssa sembrasse più umano in quel momento.
Lei sospirò e
scosse la testa. “Se vuoi sapere se è qualche passo
davanti a te, non lo è.” disse, spalancando le braccia e
scuotendo la testa. “Eccetto il fatto che è in diretto
contatto con Kira, non ha nulla più di te. E il contatto con
quel bastardo, per te, sono io perciò...la battaglia non è
sbilanciata.”
Mello non disse nulla.
Non mostrò alcun stupore nel sentire la risposta di Alyssa,
lei aveva subito compreso cosa si nascondeva dietro le vere parole di
Mello e gli aveva risposto direttamente.
Si voltò verso la
finestra e tirò un altro morso alla tavoletta di cioccolata.
Alyssa abbassò lo
sguardo, ascoltando nuovamente l'eco delle parole di Near rimbombare
nella sua mente. Non seppe perché, ma ingenuamente si chiese
se lui,e anche Mello, non avessero solo intenzioni professionali
nel rapportarsi con lei.
In fondo, lei era
l'ultimo tramite legato direttamente ad Elle rimasto in vita e loro
lavoravano per una sua causa. Senza contare il fatto, che erano tutti
e tre cresciuti nello stesso luogo, anche se in tempi diversi. “Dimmi
la verità, Mello. Tu mi hai...aiutata, solo perché mi
consideravi patetica o perché siamo legati?” gli chiese,
rendendosi poi conto che quella domanda era in evidente contrasto con
i discorsi di poco prima.
Mello corrugò la
fronte e si voltò verso di lei, Alyssa abbassò quasi
timidamente lo sguardo, resasi conto che aveva di nuovo dato spago
alle proprie sensazioni, cosa che si era ripromessa di non fare più.
“Mi stai chiedendo una cosa tipo...se ti voglio bene?” le
chiese, con fastidioso sarcasmo.
“Senti,
marshmello, non mi interessa se ti sto simpatica o meno e non
mi importa nemmeno di violare la tua virilità....dico solo che
anche tu e Near avete dei sentimenti che nascondete. Proprio come
faceva Elle...proprio come sto cercando inutilmente di fare io. E
delle volte mi pare quasi che mi trattiate come una specie di vedova
nera da compatire, ma non è così.”
Mello la guardò
confuso, per la prima volta non riusciva a capire cosa volesse dire
la ragazza.
Lei abbassò gli
occhi sulle proprie dita intrecciate. “Se fossi davvero fredda,
non mi sentirei in colpa per Soichiro Yagami, non mi sentirei uno
schifo per essermi drogata in passato...e non proverei nemmeno
ribrezzo per averti fatto uccidere Bretovic. Il problema è che
sono così stupida da voler essere come voi per potermi
vendicare di Kira...ma non ci sono mai riuscita e forse è per
questo che Elle è morto e io sono costretta a mandare avanti
una lotta che vorrei tanto esser forte abbastanza da combattere da
sola.”
Alyssa socchiuse le
palpebre, osservando la sua ombra e quella di Mello che si
allungavano lungo la parte alla sua sinistra. Mello rimase scioccato
da quella confessione, sembrava quasi che Alyssa si stesse sfogando,
ma lo stava facendo con la persona sbagliata.
“Il tuo vero
problema è che ti sei sempre pentita di non essere morta con
Elle. Ma così facendo mandi all'aria tutto.” la
rimproverò duramente Mello, in modo che potesse scuotere quel
lieve flusso di emozioni che la stava attraversando. “Perciò
smettila, oppure puoi anche occupartene da sola di dare la caccia a
Kira. Io non ci sto a farmi mettere i bastoni tra le ruote da te.”
Alyssa serrò la
mascella e lo fissò con sfida. “Questa tua ostilità
nei miei confronti mi ha seriamente rotto le scatole, sai?” gli
disse dopo alcuni secondi di silenzio, anche se doveva ammettere che
la sua rudezza, la sua totale diffidenza nei confronti degli stati
d'animi umani, era proprio qualcosa di cui aveva bisogno per
schiodarsi dalla testa le parole che Near le aveva detto.
Non sapeva se
essergliene grata o se odiarlo per questo.
Il ragazzo fece per
rispondere, ma la sua voce venne soffocata dal lieve bussare di
qualcuno alla porta d'ingresso dell'appartamento. I due si voltarono
di scatto a guardare il legno bianco alle sue spalle, dietro cui una
mano doveva essersi adagiata.
“Non mi dire che
devi fare salotto con la tua amichetta oca, ora?” disse Mello a
denti stretti, ma Alyssa scosse la testa prontamente, mostrando
evidente confusione. “Non aspettavo nessuno..” disse.
Qualcuno bussò di
nuovo e allora Mello decise di nascondersi nel buio salotto, in modo
che l'ospite non lo vedesse, mentre la ragazza si avviava
verso la porta.
Ma quando la sua mano si
avvicinò al pomello, provò uno strano senso di ansia.
Come se sentisse che la
persona dietro quella porta l'avrebbe profondamente turbata...o
sollevata.
Era una sensazione
strana e difficile da definire, ma la scacciò scuotendo
lentamente la testa.
Quando aprì la
porta però, tutte le sue ansie presero forma.
I suoi occhi si posarono
sull'esile figura davanti a sé, mentre il cuore prese a
batterle ritmicamente nel petto. Osservò quegli occhi verdi
che sembravano rispecchiare i suoi, quei capelli a caschetto neri e
lucenti come le piume di un corvo e che circondavano dolcemente il
volto pallido e marmoreo. Le labbra rosse e carnose erano allargate
in un sorriso quasi timido, che bloccò per un attimo il cuore
della ragazza.
La donna indossava un
cappotto nero che metteva in risalto la sua forma longilinea, la mani
si muovevano nervosamente dentro le tasche.
“Coraline...”
sussurrò Alyssa, ancora in balia della sorpresa.
La donna sorrise più
largamente e gli occhi si ridussero quasi a due fessure. “Ciao
Alyssa.” disse.
* * * *
Odiava
quel freddo.
Malgrado
dovesse essere nella sua natura, viste le sue origini legate a quella
neve e a quel clima così rigido, Alyssa non riusciva proprio
ad amarlo. San Pietroburgo era una città bellissima, che
affascinava e allo stesso tempo tormentava il suo sguardo intento a
sfuggire da tutta quella maestosità, ma vivere con quel freddo
glaciale le parve un'ipotesi impossibile.
Si
fermò in una stretta stradina ricoperta di neve; diverse case
a schiera e dalle pareti semi rovinate si susseguivano lungo quella
salita, che sembrava portare verso il cielo bianco latte.
Tremò
sotto i pesanti abiti e infilò una mano nella tasca, alla
ricerca del biglietto che le era stato recapitato giorni prima.
Lesse
l'indirizzo scritto su di esso e lo cercò tra le pareti che la
circondavano; fortunatamente sapeva leggere il cirillico, quindi non
si fece molti problemi ad individuare la strada che doveva prendere.
Si
mosse rapida lungo la strada, malgrado il ghiaccio e la neve sotto le
suole dei suoi scarponi non le garantissero nessuna agilità, e
finalmente raggiunse la casa che stava cercando.
Si
assicurò nuovamente che l'indirizzo fosse quello giusto, ma
non per aver un'ulteriore certezza, bensì perché voleva
avere davvero il coraggio di salire quegli scalini che l'avrebbero
accompagnata alla porta e suonare quel maledetto campanello.
Pensò
di essere stanca di fuggire, di trovare scappatoie come aveva fatto
con l'alcool e la droga e si decise ad affrontare a muso duro la vita
che l'attendeva. E di rendere grazie ad Elle, visto che quel dono
dall'aldilà era la prova che lui le fosse ancora vicino, più
di quanto avesse mai pensato.
Salì
gli scalini, rischiando più volte di scivolare, e raggiunse
il campanello, completamente bagnato dalla neve che incessantemente
continuava a cadere.
Suonò
due volte, osservando le pareti della casa con aria curiosa: non era
una dimora maestosa, ma nemmeno umilissima. Probabilmente Coraline
apparteneva comunque ad una classe abbiente.
Visto
lo scenario che c'era dietro la sua famiglia, Alyssa non lo avrebbe
mai detto.
La
porta venne aperta pochi istanti dopo e sulla soglia apparve una
donna sulla cinquantina, con indosso una pesante vestaglia scura e
gli occhi verdi affilati, rivolti verso l'esile e piccola figura che
aveva di fronte a sé.
Non
parlò, i suoi occhi ormai avevano riconosciuto quei
lineamenti, quello sguardo, quel portamento davvero troppo simili a
quelli che possedeva lei.
Alyssa
non seppe se sorridere, piangere, scappare...non fece nulla e restò
a fissare immobile e inerte quello che sembrava essere il riflesso di
sé stessa in un lontano futuro.
La
donna sbatté più volte le palpebre, la sorpresa e la
malinconia mascherarono il suo pallido volto. “Tu....”
disse in russo.
Alyssa
serrò le labbra, voleva bloccare quelle parole che stavano per
uscirle spontaneamente, senza che lei potesse fermarle.
“Ciao
mamma.”
Ri-ciao
a tutti! :D
Spero che il capitolo vi
sia piaciuto, che non vi abbia deluso e che non sia troppo pesante.
Scriverlo è stato davvero un parto gemellare. -.-''
Scusate anche l'immane
ritardo con cui aggiorno...lo so, sono da prendere a spangate.
Ci tenevo a fare
un'altra precisazione (colpa di una mia mancanza, avrei dovuto
scriverlo nelle note d'autrice dello scorso capitolo): come si è
ben capito, il periodo di droga e alcool di Alyssa è finito
(lo era anche prima che lo modificassi) e il tatuaggio è
legato ad una delle tante cavolate che la ragazza ha fatto in quel
periodo. Mi scuso ancora per le modifiche apportate, ma il parere di
alcuni lettori nello scorso capitolo mi hanno particolarmente colpita
(in maniera positiva ovviamente) e la mia paura che voi poteste
“odiare” la nuova Alyssa (o comunque rimpiangere quella
vecchia) mi sarebbe molto dispiaciuto. Quindi, ho deciso di renderla
più simile a prima, anche se un pò più fredda.
Ora, passo alla vera
nota dolente di questo capitolo: Near.
Non è un
personaggio per cui vado pazza a dir la verità e l'ho trovato
molto difficile da gestire, spero che non sia comunque risultato OOC
(ormai 'ste tre lettere sono diventate il mio incubo xD) e che abbia
quindi mantenuto il suo carattere così com'è. Nel
prossimo capitolo verrà spiegata meglio la faccenda di
Coraline e di Bretovic che, ovviamente, non è stata ben chiara
in questo capitolo.
La frase “Ma
è ben provato che con un'aria devota e un azione pia
inzuccheriamo lo stesso diavolo.” è
sempre presa dal film “V per vendetta” e appartiene a
William Shakespeare-Amleto.
Ora passo ai
ringraziamenti: grazie a chi legge questa storia, sia in silenzio e
sia chi recensisce. Ne approfitto anche per ringraziare di nuovo e di
cuore la sincerità dei lettori che hanno espresso la loro
opinione nello scorso capitolo e il cui parere mi è stato di
molto aiuto davvero (tanto sapete che parlo di voi u.u poi vi
ringrazierò anche personalmente)
Grazie anche a chi ha
inserito questa storia tra le preferite/seguite e ricordate.
Alla prossima, buona
serata! :D
|
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Capitolo 21 *** What Lies Beneath ***
*canzone
presente nel testo “What lies beneath” dei Breaking
Benjamin.
-What
lies beneath-
“Dici
sul serio?”le chiese.
Alyssa
arrossì violentemente in volto, sentendo il calore divamparle
sulle gote e volgendo lo sguardo verso un punto alle spalle di Elle.
Il ragazzo restò seduto nella sua solita posizione sulla
poltrona di fronte a lei, con il braccio teso sopra il tavolino che
li divideva e stringendo tra le dita la testa della regina bianca.
Scrutò
con accurata premura il volto pallido della ragazza, rilevandone il
rossore malgrado il buio fitto che risiedeva nella stanza monitor
priva di luce.
“Lo
avevo detto che mi avresti preso in giro...” sbottò la
ragazza, stringendosi le braccia al petto e abbassando il viso, in
maniera che i suoi occhi si posassero sulle ginocchia tremanti. Non
riusciva a stare ferma, tamburellava con entrambi i piedi sul
pavimento e alzava e abbassava freneticamente una delle due
ginocchia. In realtà quel desiderio che considerava talmente
irrealizzabile da definirlo persino sogno, imbarazzava solamente lei
e non poco.
Perché
si sentiva masochista nell'aggrapparsi a qualcosa che faceva così
male.
Perché
si sentiva stupida nel sperare da una vita che si realizzasse.
Perché
sentiva ancora dentro di sé quella bambina che piangeva la
notte, perché non sapeva cosa fosse un abbraccio materno.
Quella bambina che chiamava la mamma attendendo che lei giungesse
accanto al suo letto ad asciugarle le lacrime.
Quella
mamma non era mai venuta però.
Elle
la guardò serio, senza pronunciare alcuna parola. Come se
sapesse che lei, nel silenzio, sarebbe riuscita ad affrontare la
paura costante che provava dentro, quella verso quel sogno che la
faceva sentire folle e stupida. “Io non ti sto prendendo in
giro.” disse poi, scuotendo lievemente la testa mentre
rimetteva al suo posto la regina, accanto al re ancora riverso sulla
scacchiera. “Dico solo che non capisco il motivo per cui sia
questo il tuo sogno. O meglio lo capisco, ovvio, ma non credo che tu
sia consapevole del vero motivo per cui hai questo sogno, secondo
me.”
Alyssa
sospirò, per un attimo il discorso che Elle le fece non fu
molto chiaro ma poi comprese.
Comprese
perché quegli occhi scuri stessero scavando in lei in quella
maniera, non per scoprire quella risposta ma bensì per
spingere lei a trovarla. Molto spesso la mente umana cela le vere
risposte che si cercano, nascondendole dietro nebbie di pensieri che
non permettevano di giungere all' unica, vera e semplice conclusione
di cui necessitiamo. Elle era un esperto nell'analizzare la mente
umana, e lei era un'esemplare così semplice che a lui non
risultava difficile studiarla e scoprirla.
Alyssa
alzò le spalle. “Penso che, prima di morire, merito un
perché.” disse con un filo di voce. “Perché
mi ha abbandonata, perché non mi ha amata...perché non
è potuta essere semplicemente la mia mamma.”
Elle
si soffermò sulle ultime tre parole, appurando nuovamente
l'aspetto infantile che la ragazza continuava sempre a possedere.
Perché, malgrado i suoi vent'anni suonati, Alyssa restava
sempre la bambina che non aveva sperimentato appieno un affetto di
cui nessuno dovrebbe essere privato.
Lei
voleva solo avere qualcuno che la proteggesse sempre, che fungesse da
scudo per la sua vulnerabilità.
“Vorresti
vederlo davvero realizzato questo sogno?” Elle riprese a
completare di mettere in ordine le pedine sulla scacchiera e lanciò
un'occhiata veloce verso la ragazza. Lei aveva finalmente trovato la
forza di alzare lo sguardo su di lui, lo guardò con evidente
stupore, come se sapesse che lui era già a conoscenza della
possibile risposta ma volesse solo vedere quanto lei riuscisse ad
affrontare, con sincerità, la questione.
Alyssa
si ritrovò a tentennare, ad alzare le spalle trattenendo il
respiro e, insieme ad esso, la risposta che sia lei che Elle
conoscevano ma che lei non voleva in alcun modo rivelare.
Poi
annuì. Con timidezza, con ingenuità, ma con forza allo
stesso tempo.
“Non
faccio sogni irrealizzabili..anche se quello di lavorare accanto a te
devo dire che è stato davvero il massimo dei miei sogni.”
Alyssa sorrise, rendendo più palpabile l'aspetto da bambina
che il suo viso delle volte assumeva. “Però incontrare
mia madre, guardarla in faccia e sapere...tutti i perché che
mi porto dietro da quando sono una mocciosa, penso che più che
un sogno sia una necessità.”
Elle
la guardò a lungo, ma non disse nulla.
Ciò
che vide negli occhi di Alyssa mentre pronunciava quelle parole gli
bastò come risposta.
E
quel sogno lui lo avrebbe realizzato, perché voleva vederla
sorridere per davvero e per la prima volta come mai aveva fatto
prima.
“Facciamo
un'altra partita.”propose. E pensò di lasciarla vincere.
*
* * *
All
in all
You're
not good
You
don't cry
Like
you should
Let
it go
If
you could
When
love dies in the end.
“Ti
somiglia parecchio.”
Allora
Alyssa si ricordò di non essere sola.
Ricordò
che la figura di sua madre non era l'unica cosa da guardare in quella
stanza e volse lo sguardo verso Matt accanto a sé. Si
trovavano nel piccolo cucinino della camera d'albergo in cui lui e
Mello risiedevano da giorni, il ragazzo stringeva tra le dita una
sigaretta accesa e lasciava cadere la cenere sul davanzale della
finestrella vicino a sé. Il vento invernale si faceva largo
dentro la stanza, muovendogli i capelli scuri e portando la scia di
fumo verso il volto di Alyssa. La ragazza la scacciò muovendo
la mano e tossendo.
“È
così evidente?” chiese.
In
effetti, Coraline era il suo ritratto sputato, almeno nell'aspetto
fisico: non era tanto più alta di lei, gli occhi erano dello
stesso colore e della stessa grandezza, con l'unica differenza che
quelli della donna erano circondati da delle piccole rughe dovute
all'età. Persino le labbra erano le stesse, grandi e rosse
come quelle di Alyssa. La più grande differenza era che
Coraline era la pura rappresentazione dell'eleganza e della
raffinatezza, Alyssa invece era tutt'altro: rude e mascolina. Proprio
come la definiva spesso Elle.
Perché
il suo ricordo era tornato così vivido quando quella donna era
riapparsa nella sua vita? Alyssa
trattenne a lungo il respiro, quando le sembrò di rivedere il
volto di Elle nella sua mente.
Matt
sospirò, si girò di spalle posando i gomiti sul
davanzale dietro sé e lanciando un'occhiata alla donna seduta
sul divano, con lo sguardo rivolto verso il televisore acceso su uno
dei soliti programmi pro-Kira.
Ogni
tanto muoveva la testa, lasciando ondulare i capelli a caschetto
accanto al viso mentre ascoltava con poco interesse la voce del
giornalista. Alyssa si morse il labbro nervosamente, desiderando con
tutta se stessa che quella donna potesse scomparire in quel
preciso istante.
“E
come ha fatto a trovarti?” chiese poi Matt, parlando a mezza
bocca per tenere le labbra strette in un angolo, sopra la sigaretta
ormai in procinto di terminare.
Alyssa
sospirò.“Il nostro piccolo ometto bianco pensa di aver
trovato il mio punto debole. Vuole proprio che mi tira fuori da
questa storia.” Schioccò la lingua e scosse la testa
ripensando a come Near fosse stato abile nel rintracciare sua madre,
nonostante quest'ultima usasse un nome fittizio da tempo ormai.
Proprio
come vi era riuscito Elle anni prima.
“Non
sa che, fino a quando non vedrò la testa di Kira su un piatto
d'argento, io non mi muovo di qui.” concluse la ragazza,
lanciando un'occhiata verso Matt che la osservava in silenzio,
soffiando nuvole di fumo. Alyssa tossì di nuovo e scacciò
quella nube grigiastra che le si schiantò sul viso.
Tacerono
poi entrambi, Matt non aveva più voglia di parlare e Alyssa
era troppo impegnata ad osservare sua madre, immobile e muta come una
statua perfetta. Si sentì pervadere da uno strano e familiare
senso che non era più solita conoscere e la cosa la
infastidiva non poco. Non poteva lasciarsi andare ad una sensazione
del genere, non poteva di nuovo sentirsi annegare nei ricordi,
non allora che aveva così poco spazio da dare alle
emozioni....
La
porta della loro stanza sbatté con violenza, segno che Mello
era appena rientrato.
Coraline
gli lanciò un'occhiata di sbieco, mentre lui la osservò
con fastidio, continuando a camminare per raggiungere i due nel
cucinino.
Alyssa
non si trattenne dallo alzare gli occhi al cielo, quando Mello
rivolse il suo sguardo duro e tagliente verso di lei. “Non
penserai davvero che faccia da babysitter a tua madre, vero?”
le domandò, indicando un punto dietro di sé e non
curandosi di abbassare la voce.
Coraline
ovviamente lo sentì, ma con assoluta eleganza fece finta di
nulla.
“Abbassa
la voce, simpaticone.” lo rimproverò Alyssa,
stringendosi le braccia al petto e guardandolo torva.
La
sua voce poi si ridusse ad un sussurro quasi impercettibile. “Non
mi fido di lei e non posso lasciarla sola a casa mia.”
“Ma
tu lo sai che qui stiamo lavorando oppure no?” Mello non si
trattenne nuovamente, ignorando i segni che la ragazza gli faceva per
pregarlo di abbassare i toni. Gesto che lui prese come
un'ottima scusante per fare tutto il contrario. Matt se ne tirò
fuori, gettò la sigaretta dalla finestra, la chiuse poi si
allontanò verso il salotto con aria disinteressata. Alyssa lo
seguì con lo sguardo, Mello non se ne curò e continuò
a fissare con rabbia il volto della ragazza. “Trovati un altro
posto dove scarrozzarla.” le disse poi.
“Io
penso che tu debba trovarti una ragazza, sei sempre nervoso.”
rispose ironica Alyssa, osservando con attenzione Matt che si buttava
a capofitto vicino a Coraline sul divano. I due si ignorarono
categoricamente. “Perché non provi con la bionda amica
di Near. Vi vedrei bene insieme.” Alzò le sopracciglia e
le sue labbra si allargarono in un sorriso sornione.
Mello
non mostrò alcun segno di divertimento. “Non sei
divertente.” le disse, scuotendo la testa.
Si
rese conto che la ragazza non aveva alcun interesse nell'affrontare
con serietà la questione, poiché troppo concentrata su
ciò che avrebbe fatto quella sera. Oppure sul contenere le
troppe emozioni che le stavano riaffiorando dentro, dopo l'incontro
con la madre.
Mello
non seppe dirlo, ma quando vide la ragazza cercare di superarlo, le
strinse con forza il braccio per impedirle di proseguire. Alyssa
rimase infastidita da quel gesto, guardò le dita di Mello
stringere con durezza sulla pelle e poi lo guardò negli occhi.
“Lasciami in pace...”
“Quindi
era davvero come credevo io...” Mello abbozzò un sorriso
provocatorio, appena vide quello di Alyssa spegnersi lentamente. La
ragazza capì subito di cosa lui stesse parlando, si morse il
labbro e lanciò un'occhiata a Coraline che, in quello stesso
frangente, si voltò verso di loro per osservarli. Il cuore
della ragazza sussultò nel petto. “Bretovic, il suo
sottoposto che hai fatto uccidere attraverso Nelson e il
quaderno...erano mafiosi che volevano la testa della tua mammina, non
ho ragione? Perciò hai fatto due più due e li hai fatti
uccidere per spianarti la strada verso la tua vendetta, proteggendo
così tua madre, giusto?” Mello la incalzò con le
sue domande, malgrado avesse già le risposte. Voleva solo
vedere fino a dove lei si sarebbe spinta con quella recita, quella
in cui lei era la donna senza scrupoli e senza vergogna disposta a
tutto pur di vendicarsi.
Quando,
in realtà, i suoi gesti ignobili nascevano da convinzioni che
potevano esser considerate positive.
Alyssa
non rispose, fissò la madre che guardava incuriosita Matt e
trattenne il fiato.
Di
nuovo quel flusso di emozioni. La ragazza ritrasse il braccio con
rudezza, lanciando un'occhiataccia verso Mello e tenendo le labbra
serrate. “Pensala come ti pare.” rispose solamente. “Tu
piuttosto stai tenendo d'occhio i due nuovi complici di Kira? E hai
un piano per incastrarlo prima che lo faccia Near, o no?”
“Non
fare l'autoritaria, quel ruolo non ti si addice né più
e né meno di quello della vedova nera che interpreti adesso.”
Mello la sfidò, portandosi una mano sul fianco mentre Alyssa
scuoteva la testa, divertita dalla battuta del ragazzo. “Comunque,
ho un piano in fase di elaborazione. Devo pensare solo se
coinvolgerti o meno, visto che mi sembra tu ti stia facendo di nuovo
prendere dai sentimentalismi...”
“Vai
all'inferno. Al piano prenderò parte anche io, che ti piaccia
o no.” Alyssa parlò con fermezza, il sorriso si spense
con estrema rapidità sul suo volto e puntò gli occhi in
direzione di Mello che non si lasciò intimidire.
La
vide prendere la sua giacca in pelle da una delle sedie attorno al
tavolo e portarsela sulle spalle.
Malgrado
dovesse andare a cena con Misa, non aveva indossato nulla di
particolare: un paio di jeans e una maglietta nera che copriva
completamente il tatuaggio. Quando lei si mosse verso la porta,
Coraline alzò velocemente lo sguardo nella sua direzione e la
ragazza fece finta di nulla.
Mello
la seguì. “Sei davvero sicura che questa rimpatriata con
la tua amica oca serva a qualcosa?” le domandò.
Alyssa
si girò verso lui, sistemandosi i capelli che erano rimasti
intrappolati sotto la giacca. “Non servirà a nulla.”
disse, passandosi poi ad aggiustarsi il tessuto sulle spalle. “Ma
se voglio continuare a fare il gioco “Non so che Kira sa che
io so.”, non potevo rinunciare ad una cenetta tra vecchie
amiche.”
Mello
scosse la testa, osservando il sorrisetto provocatore sulle labbra di
Alyssa. “Non preoccuparti biondo. Tornerò sobria.”
lo provocò poi.
“Delle
volte spero che tu crepa.” rispose il ragazzo, ricambiando
freddamente il suo sorriso divertito.
Alyssa
mise su un finto broncio. “Questa è la cosa più
carina che tu mi abbia mai detto.”
“Scusate..”
L'atmosfera
di solita tensione e provocazione che aleggiava su loro si dissolse,
quando una voce calda, carezzevole con un fortissimo accento russo
s'insinuò tra loro.
Alyssa
perse la sua espressione provocatoria, guardando alle spalle Mello e
quest'ultimo si voltò verso Coraline. La donna li guardava
quasi timidamente, stringendosi le braccia al maglione beige e
guardando dritto negli occhi sua figlia. Quest'ultima distolse lo
sguardo.
“Alyssa,
posso parlarti un attimo?” disse poi Coraline, parlando in
russo.
Mello
non comprese, lanciò un'occhiata seccata verso Alyssa che gli
stava suggerendo di allontanarsi con il suo semplice sguardo. “Quando
torni, te la porti a casa. Intesi?” gli disse con tono freddo e
autoritario.
Si
allontanò poi senza attendere una risposta, sapendo che in
ogni caso si sarebbe seguito il suo volere.
Alyssa
sospirò amareggiata, guardando le spalle del ragazzo farsi
sempre più lontane e desiderando, incredibilmente, che lui
fosse rimasto. Non riusciva a sopportare il fatto di restare di nuovo
sola con sua madre. Le due si guardarono a lungo, Coraline fece un
passo verso lei nel momento stesso in cui Alyssa strinse il pomello.
“Dove vai?”
“Non
sono affari tuoi.”
Calò
il silenzio. Alyssa non aveva mai fatto caso a quanto il suo tono
risultasse più concitato quando era arrabbiata e parlava in
russo. Rimase immobile con le spalle rivolte alla donna e sentendo il
respiro fermarsi in gola, umettandosi nervosamente le labbra e
accingendosi ad aprire la porta.
“Dovremmo
parlare prima o poi, lo sai?” chiese ancora Coraline.
“Beh
non ora, ho da fare.” Alyssa non volle più sentire
repliche, non sopportava più di sentire il peso dello sguardo
della donna sulle proprie spalle e di provare ancora quello
strano senso di appartenenza che non voleva affatto sentire.
Non
con quello che si era ripromessa di fare, non con ciò con cui
si era macchiata in passato.
“Ma
io...” Coraline azzardò un altro passo, ma Alyssa non
glielo permise.
Si
girò di scatto verso lei e la zittì con una semplice
occhiata. “Stai buona con quei due, ti terranno d'occhio.”
le disse, manco si rivolgesse ad una bambina. “Se vuoi fumarti
una sigaretta, chiedi a Matt. E stai lontana da Mello, lui morde.”
Detto
questo, si girò verso la porta e ne uscì.
Coraline
sobbalzò sul posto, quando la ragazza la richiuse con forza.
*
* * *
Un
gridolino acuto e fastidioso l'accolse.
Alyssa
non seppe come, ma riuscì a non portarsi le mani alle orecchie
per difendersi da quel suono molesto che tempo addietro era stato
quasi un incubo per lei.
Mantenne
così la sua compostezza, mentre Misa si dimenava battendo le
mani e sorridendole a più di trentadue denti. “Lysa-Lysa!”
esclamò gioiosamente.
A
differenza sua, la modella indossava un elegante abito nero che le
scopriva gran parte della schiena. I capelli biondi erano lisci sulle
spalle e il viso truccato in maniera a dir poco perfetta. Alyssa
trovò un secondo per sentire un colpo alla propria autostima.
Le
gettò le braccia al collo, sollevandosi in aria e gettandola
quasi a terra nell'impatto.
Alyssa
sorrise di fronte a quella dimostrazione di affetto, malgrado avesse
imposto a sé stessa di non rammentare l'amicizia che era corsa
tra loro. Tanto il loro era stato un rapporto fasullo, una delle
tante bugie a cui si era aggrappata anni prima, quando non avrebbe
mai creduto che gli attentatori alla loro felicità
fossero più vicini di quanto penasse. Mentre Misa ridacchiava
e parlava a vanvera, rimanendo aggrappata a lei, la ragazza posò
una mano sulla sua schiena nuda e riuscì a ricambiare
l'abbraccio unicamente con una pacca.
Una
bruciante sensazione di rabbia la pervase, incendiandole il petto per
poi salirle alla testa, annebbiando i suoi pensieri. Sentì
subito sopprimere quel senso di astio che nutriva nei confronti di
Misa, quando lei la guardò negli occhi con gioia e continuando
a battere le mani.
Misa
era succube di Light, era divenuta la sua marionetta pur di credersi
amata da lui ed era pronta ad eseguire qualsiasi compito lui le
rilasciasse, pur di vivere in quella menzogna. Quindi, non era lei
quella da odiare.
Alyssa
poi, d'altra parte, era così vittima di un amore perduto che
si sentiva vivere solo per poterlo vendicare. Poteva quindi dire che
entrambe, in un modo o nell'altro, erano vittime del demone
dell'amore.
Chiuse
gli occhi e annullò ogni pensiero, rendendosi conto che stava
quasi giustificando Misa e il suo operato.
Come
una sciocca. Come la vecchia Alyssa.
E
lei era lì solo per recitare.
“Oh
cielo.” Misa si mise a scrutarla con attenzione, cogliendola di
sorpresa con il suo improvviso cambio di tono. Lasciò scorrere
gli occhi sbarrati lungo il corpo di Alyssa, che restò
immobile senza capire cosa stesse succedendo. La bionda teneva la
bocca aperta a forma di “O” e continuò a fissare
ogni centimetro del suo corpo con attenzione. Sembrava non credere a
ciò che vedeva.
“Ma...sei
più magra di me! Prima eri una cicciona!” la ragazza
parlò con un pizzico di invidia, mentre Alyssa si trattenne
dal rivolgergli la prima cattiva parola del loro rincontro. Non era
mai stata grassa, nemmeno in passato, ma, per una modella come lei,
la taglia che Alyssa portava in passato poteva rasentare l'obesità.
La
mora serrò le labbra e alzò gli occhi al cielo. “Tu
invece sei sempre carina e gentile. E poco rumorosa sopratutto.”
le fece notare, riservandole un sorriso ironico.
Misa
rise e iniziò a battere le mani come una bambina. “Vieni,
entra.” le disse, aprendole la porta e facendole segno di
varcare la soglia.
Alyssa
entrò, sentendosi in leggero imbarazzo nel trovarsi nella tana
dell'assassino.
L'appartamento
era esattamente come lo si vedeva attraverso i monitor: perfetto. Una
vasta libreria occupava la parete sinistra della stanza, al centro vi
era un tappeto verde largo quanto il tavolo apparecchiato in mezzo
alla sala e i divani, dello stesso colore del tappeto, si trovavano a
pochi passi di distanza da loro, vicino all'enorme vetrata che si
affacciava sulla spettacolare vista della città e sul cielo
buio illuminato unicamente da qualche stella. Lasciò scorrere
poi lo sguardo attorno, chiedendosi dove Matt avesse potuto
nascondere le cimici e si accorse, con estremo piacere, che non le si
poteva notare da alcuna parte.
Quel
ragazzo era un genio.
Non
riuscì però a soffermarsi su nessun altro elemento
presente nell'appartamento, poiché la sua attenzione venne
completamente attirata dal tavolo su cui aveva pensato di cenare sola
con Misa.
Ma,
in realtà, quello era apparecchiato per tre persone.
Trattenne
a stento uno sospiro di puro fastidio, quando vide Light fare
capolino dalla piccola stanza che doveva essere la cucina. In mano
teneva una bottiglia di spumante e sulle labbra era disegnato un
fasullo sorriso di cortesia, a cui lei avrebbe tanto voluto
rispondere con un sonoro pugno sul naso.
“Light,
amore, hai visto che è venuta Lysa-Lysa!” Misa
continuava a saltellarle attorno, battendo le mani e puntando gli
occhi adoranti sul viso del ragazzo.
Light
si avvicinò a loro, sempre mantenendo quel sorriso sulle
labbra e i suoi occhi passarono subito ad Alyssa. A quest'ultima
parve di vedere il vero volto del ragazzo, di riuscire a scorgere i
tagli ai lati del viso, quelli da cui si poteva staccare via la
maschera che lo copriva, mostrando così al mondo la sua vera
natura. Capì perché aveva deciso anche lui di prendere
parte a quella cena, aveva colto la sfida che lei gli aveva lanciato
con il quaderno giorni prima.
Deglutì,
senza farsi vedere, e tenendo le mani affondate dentro le tasche
della giacca in pelle.
Odiò
con tutto il cuore sé stessa per non aver scoperto anni prima
quella maschera che ancora non riusciva a smettere di scrutare con
odio.
“Sono
felice che tu sia venuta, Alyssa.” Light tese la mano verso di
lei, per salutarla e la ragazza fu quasi tentata dal schiaffeggiarla.
Ma la recita doveva andare avanti e lei doveva fingere di apprezzare
quel finto sorriso che il ragazzo riusciva egregiamente a portare sul
volto. Allungò la mano lentamente e strinse quella di lui; la
mano del ragazzo era calda e le sue dita affusolate le circondarono
la pelle con decisione, ma senza troppa forza. I due continuarono a
sorridersi, malgrado i loro occhi, velati di inganno e menzogne,
sembravano dichiararsi silenziosamente guerra.
Misa
continuava a ridacchiare e ad emettere versi di gioia. “Su, su
basta con questi convenevoli e mangiamo!” esclamò,
prendendo Alyssa sotto braccio e conducendola verso il tavolo,
strappandola così dalla stretta di Light.
E
Alyssa accettò il fatto che avrebbe cenato con il suo peggior
nemico.
*
* * *
So
i'll find what lies beneath
Your
sick twisted smile
As
i lay underneath
Your
cold jaded eyed
Now
you turn the tide on me
'Cause
you're so unkind
I
will always be here
For
the rest of my life.
Light
doveva meritare un oscar per come stava mandando avanti quella cena
con quella finta grazia e cortesia.
Alyssa
pensò che si stesse davvero impegnando in quel ruolo,
mostrandosi gentile sia con lei e persino con Misa, che doveva aver
conosciuto ben poca gentilezza in quegli anni da chi aveva usato lei
e il suo amore.
“Vuoi
un po' di vino, Alyssa?” Light le mostrò la bottiglia
che teneva in mano, dopo averne versato un goccio ad un'esagitata
Misa.
La
ragazza alzò lo sguardo su di lui, seduto di fronte a sé.
Ignorò la voce della televisione alle sue spalle, accesa su un
telefilm poliziesco degli anni ottanta che nessuno stava guardando.
Osservò con attenzione il volto di Light e le sembrò di
scorgere il suo sorriso mutarsi in un ghigno di disprezzo.
Quella
domanda non era casuale, il ragazzo doveva aver fatto a casa i
compiti e aveva sicuramente scoperto il suo turbolento passato in
qualche maniera.
Posò
i gomiti sul tavolo e si protese verso lui, sorridendogli a sua
volta. “No grazie, non bevo.” disse.
Light
continuò a sorridere e a guardarla attentamente, sembrava
davvero le stesse lanciando una sfida attraverso quello sguardo. Misa
interruppe la linea invisibile di pura tensione che li stava legando
e allontanando dal mondo. Puntò i suoi occhi chiari su Alyssa,
sbattendo più volte le ciglia lunghe e piegò la testa
da un lato, tenendo però in una mano il calice. “Non è
che sei incinta, vero?” le domandò.
Alyssa
si voltò lentamente verso di lei, non credendo alle sue
parole.
Light
si lasciò sfuggire un'occhiataccia in direzione della
fidanzata e si portò il bicchiere alle labbra.
“No
Misa, non sono incinta.” rispose Alyssa sconvolta, chiedendosi
come fosse arrivata a quella conclusione.
La
bionda scoppiò a ridere, divertita dal modo in cui la ragazza
la stava guardando. Come ai vecchi tempi.
“Beh,
non può essere? Hai venticinque anni e dopo la morte di
Ryuzaki devi pur aver avuto altri...” si bloccò,
rendendosi conto di aver toccato un tasto ancora troppo delicato per
poter essere premuto.
L'espressione
sul viso di Alyssa mutò così lentamente, che lei si
rese conto solo troppo tardi che quel cambiamento non sarebbe potuto
sfuggire alla vista attenta di Light. Distolse lo sguardo da Misa e
lo volse verso lui, i suoi occhi erano diabolicamente puntati
sul volto di lei.
Alyssa
si morse il labbro e rimproverò se stessa per quel momento di
vulnerabilità. Misa si schiarì la voce, come per creare
una crepa in quel glaciale silenzio che li aveva avvolti, e bevve un
lunghissimo sorso del suo vino.
“Misa,
impara a stare zitta una volta tanto.” Light la rimproverò,
quasi il dolore che si era disegnato sul volto di Alyssa lo avesse in
qualche modo colpito. Bugiardo.
La
bionda, per tutta risposta, divenne rossa come un peperone e Alyssa
si sentì quasi di difenderla. “No, non fa niente.”
rispose, piegandosi ancora di più sul tavolo per potersi
sentire più vicina alla fiamma del nemico. “È
un lutto che sono riuscita a superare dopo tutto questo tempo, non mi
crea alcun problema...parlarne.”
Decise
di inserire quella tra le più grandi bugie che aveva detto nel
corso della sua vita. Il solo sentire il nome di Ryuzaki, Ryuga o di
tutti gli altri pseudonimi che lui aveva usato per coprire il
suo vero nome la faceva sentire troppo male.
Le
era sembrato di sentire una cascata di dolore ricaderle addosso,
quando Misa ebbe pronunciato il nome del ragazzo. “Tu piuttosto
Light? Come va dopo la morte di tuo padre?” gli domandò,
sentendo un brivido correrle dentro al ricordo del signor Yagami. Si
sentì anche un po' infima nel rivolgergli quella domanda, ma
non poteva nascondere il suo bisogno di giocare con il suo demone,
come lui stava facendo con lei.
Misa
guardò la finta espressione addolorata sul volto del ragazzo,
provò a far scivolare la mano verso quella di lui per dargli
conforto ma, appena le dita la sfiorarono, Light la ritrasse
lentamente, tenendo gli occhi fissi su Alyssa. La bionda fece finta
di nulla.
“Si va avanti.”
rispose il ragazzo. “Purtroppo il mio lavoro non mi consente di
piangere più del dovuto.”
Piangere.
Alyssa pensò che,
probabilmente, Light non lo aveva mai fatto per davvero nel corso
della sua vita.
Era
certa che lui non sapesse nemmeno il significato del dolore, della
voragine che si sente dentro quando si perde qualcuno che si ama. Non
aveva sofferto nemmeno per la morte del padre, per chi mai avrebbe
potuto sperimentare un sensazione così distruttiva allora?
Forse solo per sé stesso.
Alyssa
si sentì pervadere dalla rabbia e pensò di spingere
quel gioco un po'
oltre. Prese il calice pieno d'acqua di fronte al piatto vuoto e
mantenne lo sguardo fisso sul liquido che si muoveva all'interno.
“Soichiro Yagami era un brav'uomo, davvero. Avrei tanto voluto
che fosse stato lui a catturare Kira...” disse e si trattenne
dal ridere, quando vide l'espressione di Light farsi leggermente più
fredda. Leggermente colpito e affondato.
“Non
lo pensi anche tu Light? Tuo padre meritava di vedere la fine di
questo lungo caso e di vedere finalmente in faccia l'assassino che ha
cercato per tutto questo tempo...” disse ancora lei e si portò
di nuovo il bicchiere alla bocca, lasciando che il contenuto le
carezzasse le labbra.
Calò
un altro lungo e pesante silenzio, che sempre Misa decise di rompere,
prendendo il telecomando e cambiando canale sul televisore alle
spalle di Alyssa.
Gli
occhi di quest'ultima erano ancora fissi su quelli del suo assassino.
Light
annuì, ancora perso nel suo ruolo. “Beh, purtroppo Kira
non è l'unico demone da esorcizzare in questo mondo, visto che
mio padre è stato ucciso da altri..” disse, posando le
mani sulla tovaglia bianca e abbassando gli occhi. Non aveva bisogno
di guardare il suo obiettivo per assicurarsi che il colpo fosse
andato a segno, aveva già ben preso la mira poco prima.
Infatti,
Alyssa sentì il cuore sussultarle nel petto e abbassò
gli occhi sul bicchiere. Light conosceva troppo bene la vecchia parte
di lei, quella che aveva creduto nelle sue menzogne e quella che
aveva sempre pensato che non si potesse perdere tutto in così
pochi secondi.
Era
logico che sapesse premere su quel suo maledetto senso di
colpa.
“Vado
a preparare il resto della cena. Torno subito.” Light sorrise
cordialmente in direzione di Alyssa che, però, non riuscì
a mandare avanti la sua recita.
Si
limitò a seguirlo con lo sguardo, in assoluto silenzio, mentre
raggiungeva la cucina alla destra di lei.
La
ragazza strinse il pugno con forza, attorno al bicchiere, tanto che
quasi pensò di frantumarlo tra le dita.
Si
morse il labbro e trattenne la fiamma della rabbia che divampava in
lei, ripensando alle ultime parole che Light le aveva rivolto,
ovviamente indirizzate a lei e al suo senso di colpa.
“Che
odiosa sgualdrina!”
Alyssa
sussultò, ricordandosi di non essere sola con i suoi pensieri,
e volse lo sguardo verso Misa.
Lei
teneva gli occhi socchiusi, fissi sullo schermo del televisore dove
stava andando in onda il programma condotto da Kiyomi Takada, l'ex
compagna d'università di Light. Misa aveva mostrato segni di
nervosismo da quando aveva acceso su quel canale, mormorando insulti
nei confronti di quella ragazza tenendo i denti stretti.
Alyssa
riprese ad ignorarla, tenne nuovamente gli occhi puntati su Light
che, dalla cucina, continuava a darle le spalle. Aveva il capo
chinato su uno dei banconi sul muro e stava tagliando qualcosa che
avrebbe probabilmente servito come antipasto.
Kira
ai fornelli non si può vedere, pensò lei.
Si
portò il bicchiere pieno d'acqua alle labbra e allora si
decise a volgere lo sguardo verso Misa, ancora intenta a lanciare
insulti a vuoto mentre Takada parlava a nome di Kira e del suo
operato. Alyssa fu quasi tentata dal lanciare il telecomando contro
lo schermo.
“Tu
la trovi carina?” Le chiese Misa, ma non si voltò
nemmeno a guardarla.
Con
la mano, le indicò la bottiglia di spumante sul tovaglia
bianca, ormai ridotta a pochi sorsi, e Alyssa gliela passò.
“Tu sei più carina. Ma lei sarà sicuramente più
silenziosa.” rispose, posando nuovamente il bicchiere davanti
al piatto vuoto e continuando a lanciare occhiate verso Light, ancora
intento a giocare la parte del bravo uomo di casa.
La
bionda la guardò e nei suoi occhi qualcosa mutò, si
morse il labbro e abbassò gli occhi lucidi per il troppo
spumante. “Sul serio però volevo chiedertelo....Non hai
avuto altre relazioni dopo...” Non pronunciò il suo
nome, anche se quello fittizio, perché aveva appurato poco
prima cosa poteva scattare in Alyssa nel sentirlo.
Lo
sguardo della mora si perse nel vuoto quando le venne posta quella
domanda. Aveva sperato con tutto il cuore che non le venisse mai
rivolta alcuna questione riguardante Elle in quella cena, sopratutto
non due volte.
E
non da colei che aveva comunque preso parte all'assassinio di Elle
poi.
Alzò
lo sguardo su di lei e vide il volto di Misa preoccupato, come se
provasse empatia per il suo dolore passato ma mai finito. “Cambiamo
discorso.” rispose con un finto sorriso tranquillo sulle labbra
e allungando il braccio verso il calice pieno di acqua.
“Dev'essere
troppo difficile per te, Lysa.” Misa parlò con voce
profonda, malgrado dovesse avere la mente annebbiata dallo spumante
in cui si era affogata quella sera. La mano di Alyssa non raggiunse
mai il bicchiere, rimase sospesa tra lei e quell'oggetto in vetro
mentre il respiro le si bloccava in gola.
Gli
occhi si persero di nuovo nel vuoto, quando ricordi che aveva cercato
di relegare in un angolo del proprio cuore tornarono con violenza ad
invaderle la mente, aumentando così il battito del suo cuore.
La
mano si strinse in un pugno e Misa se ne accorse.
“Si
vede che lo ami ancora.” Misa si morse il labbro, quando vide
Alyssa voltare nuovamente lo sguardo verso di lei, girando il viso
nella sua direzione con una lentezza spettrale. “E...io ti
ammiro. Perché se dovesse succedere a me una cosa simile,
io..non ce la farei più a vivere. Mi toglierei la vita subito,
pur di non sopportare una perdita simile.”
Alyssa
sbatté le palpebre, colpita dall'animo con cui Misa le stava
rivolgendo quelle parole. C'era decisione nel suo sguardo e fermezza
nelle sue parole; si sarebbe davvero uccisa in caso Light fosse
morto.
E
lei, non seppe per quale assurdo motivo, ma non avrebbe mai voluto
che Misa compisse un gesto simile, sopratutto non per una persona a
cui non importava proprio nulla di lei e della sua vita.
Misa
abbassò gli occhi, come una bambina che aveva appena
confessato di aver combinato una marachella e Alyssa non smise mai di
guardarla. Dimenticò il motivo per cui era là,
dimenticò per un solo istante i suoi propositi di
vendetta e posò i gomiti sul tavolo, continuando a tenere lo
sguardo fisso sulla bionda.
“Sai..io
ci ho pensato, in realtà.”
Misa
alzò repentinamente lo sguardo su di lei, sbattendo più
volte le lunghe ciglia e non capendo. Doveva essersi persa nel suo
amore ossessivo per Light. “A cosa?”
“Al
suicidio.” Calò un profondo silenzio, rotto solo dalle
parole di Takada che si levarono nell'aria come se fossero fumo.
Abbassò gli occhi sulle sue dita intrecciate, provando
vergogna verso sé stessa nel confessare una debolezza del
genere e prese un lungo respiro. Si assicurò che Light fosse
ancora lontano da loro.
“Davvero?”
chiese Misa, anche se conosceva già la risposta.
Alyssa
non confermò, né negò. La risposta che la bionda
cercava era già nell'aria. “Ma sarebbe stato come
sputargli in faccia, no?” Tornò a guardarla e un
sorrisetto malinconico le si allargò sulle labbra. Ricordava
come Elle la pensava riguardo i suicidi, d'amore in particolar modo,
e per un attimo scoppiò a ridere d'imbarazzo per averci
seriamente pensato tempo prima. “La vita va avanti. Il mondo va
avanti. Tutti vanno avanti. E tu devi fare lo stesso, devi vivere per
coloro che non ci sono più. È il minimo che si possa
fare per mantenere vivo il loro ricordo.”
Si
arrestò improvvisamente, quando pensò che lei, per la
vendetta, aveva riempito la sua vita di errori.
Forse
quello non era stato il modo migliore per mantenere in vita lo
spirito di Elle e lei lo sapeva bene.
E
non riuscì nemmeno ad usare la storia della vendetta come
scusante a tutto ciò che aveva fatto.
Misa
non seppe cosa dire, rimase a fissare il volto duro della mora e
bevve un altro lungo sorso. Stava per dirle altro al riguardo, ma
Alyssa l'anticipò. “Tu devi vivere Misa.” le disse
in un sussurro, accertandosi di nuovo che Light fosse lontano. La
bionda la guardò senza capire e Alyssa tamburellò
nervosamente le dita sul tavolo, cercando la maniera migliore per
dirle ciò che voleva trasmettergli.
Ma
che le importava alla fine? Perché si preoccupava per Misa?
Avrebbe potuto lasciarla perdere, lasciare che continuasse a
dipendere dall'amore di qualcuno che la usava solamente e invece,
durante quella cena che doveva fungere ad altro, si ritrovò a
cercare di volerla far ragionare. In nome di cosa? Di una falsa
amicizia? “Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa tu perda, tu
devi continuare a vivere. Non meriti che la tua vita venga segnata
dalle mani di altri e...non meriti di vivere un illusione. Dovresti
avere più amore per te stessa, perché non vali molto
più di quanto gli altri possano farti mai credere.”
Alyssa
fu certa che Misa non aveva capito molto del suo discorso. Aveva
cercato di sviare il vero fulcro del discorso più e più
volte, perché dirle chiaramente che non doveva amare quel
bastardo di Kira poteva risultare troppo pericoloso.
Misa
la guardò a lungo e parve mostrare stupore di fronte alle sue
parole.
Poi,
in un baleno, rise. Forse in preda all'alcool o forse perché
stava pensando che Alyssa fosse pazza.
“Dai,
non parliamo più di cose così tristi!” esclamò,
afferrò il telecomando vicino al gomito di Alyssa e cambiò
canale, accendendo su quello di musica. Alyssa chiuse un attimo gli
occhi, rendendosi conto che Misa, in realtà, non era stupida
da non capire: voleva semplicemente non accettare la realtà
dei fatti, perché quell'amore di carta che stava vivendo era
divenuto tutto ciò che la mandava avanti.
Alyssa
sospirò e indossò nuovamente la maschera fredda e
impassibile che aveva deciso di assumere in quella cena, pentendosi
di essersi preoccupata per Misa. “Vado ad aiutare Light.”
disse, con un sorrisetto forzato. Misa rispose con un cenno del capo
e lei si alzò in piedi con il bicchiere d'acqua in mano,
dirigendosi verso la cucina. Anche quella, malgrado fosse molto
piccola, era perfetta: le pareti erano bianche, i mobili erano in
legno di un color verde acqua, abbinato al resto dell'arredamento
della casa. In mezzo alla stanza vi era un tavolo in legno, su cui
erano posate diversi strumenti da cucina e alcuni piatti già
pronti.
Alyssa
si fermò sulla soglia, osservando quel cibo dall'aspetto
invitante ma sfornato dalle mani del diavolo.
“Non
pensavo sapessi cucinare.” disse, per attirare la sua
attenzione.
Light
alzò lo sguardo su di lei, asciugandosi la fronte con il palmo
della mano e sorridendole. I sorrisi finti erano la sua specialità,
riusciva a dispensarli con quella facilità per un'intera sera.
“Ci
sono tante cose che ho imparato a fare in questi anni.” disse,
tornando a concentrarsi sulla creazione di verdura che aveva di
fronte a sé.
Alyssa
si morse le labbra, posando la spalla destra sullo stipite della
porta e guardando la schiena del ragazzo. Si portò il
bicchiere alle labbra. “Certe cose però le hai nel
sangue...e non tutti le possono imparare.” disse, sempre con
quella punta di sfida che tanto le piacque usare nei confronti del
ragazzo.
Colpì
nel segno, quando lo vide arrestarsi per qualche istante e alzare la
testa. Rise silenziosamente, immaginandosi il volto di Light solcato
da rughe di espressione nate dalla rabbia. Ne gioì dentro la
sua mente.
Poi
si rese conto, che ci era andata giù troppo pesante con quella
frase.
“Parli
del ruolo...di secondo?” le chiese, asciugandosi le mani in un
panno e girandosi verso di lei.
Alyssa
fece spallucce, abbozzando un sorrisetto che avrebbe fatto scattare
anche il più pacato tra gli assassini. “Senza offesa, ma
sono cinque anni che brancolate nel buio e non avete ancora trovato
Kira. Lui era più vicino a scoprirlo di quanto
immaginate.” disse.
Ennesima
frecciatina di quella sera, si chiese se avrebbe mai visto Light
traballare almeno un pochino, ma seppe per certo che il suo sarebbe
rimasto un desiderio irrealizzabile.
Il
ragazzo era un bravissimo attore, sapeva mascherare tutto ciò
che provava e sostituirlo con altre emozioni che la situazione
richiedeva. Perciò non le avrebbe mai mostrato rabbia, se mai
ne avesse provata.
Light
abbozzò un sorriso, continuando a passare il panno sulle sue
mani umide. “Aly, lui è morto prima di riuscirci
purtroppo.” le disse, ma lo fece in una maniera che mandò
quasi in bestia la ragazza.
Sentì
il proprio volto tendersi in un espressione quasi furiosa, mentre
guardava quella luce di disprezzo accendersi negli occhi di Light. La
stava sfidando al suo stesso gioco, sapendo che l'emotività
della ragazza lo avrebbe fatto sicuramente vincere.
Alyssa
stava per rispondere che Elle era morto, solo perché più
persone avevano deciso di colpirlo alle spalle, usando poteri che non
si potevano affrontare sulla terra, sopratutto se lo si faceva nel
buio.
La
sua morte era stata segnata dalle mani di un vigliacco, che era
rimasto nascosto nell'ombra fino alla fine.
Preferì
portare il suo gioco verso un'altra direzione. “Vuoi una
mano?” gli chiese, indicando le varie posate che erano
sparpagliate sul tavolo.
Light
seguì la linea del suo sguardo. “Sei ospite, non devi
preoccuparti.” disse, scuotendo lentamente la testa.
“No,
no. Mi piace aiutare il prossimo.” Alyssa sorrise, lasciando il
bicchiere sopra il frigorifero sulla parete sinistra e avvicinandosi
al tavolo. Light abbozzò un altro sorriso, tornando a guardare
un punto sul lavandino nel momento stesso in cui Alyssa strinse il
manico di un coltellaccio da cucina.
Quando
le dita avvolsero la sua fredda plastica scura, sentì l'odio
crescerle dentro e diverse immagini si susseguirono nella sua mente.
Le
sarebbe tanto piaciuto, piantare quella lama nella schiena di Light e
ucciderlo in quello stesso istante.
Fece
un passo verso lui.
Immaginò
il sangue macchiargli la camicia bianca che indossava, si immaginò
le sue grida di dolore mentre strisciava a terra come un verme, dopo
essere stato colpito alle spalle in quel modo.
Fece
un altro passo e gli fu più vicina.
Immaginò
sé stessa sorridere, come lui doveva aver fatto alla morte di
Elle, mentre guardava il suo volto agonizzante e il corpo affogato in
una pozza di sangue. Avrebbe tanto voluto vedere i suoi occhi farsi
vitrei, sbarrati di fronte alla morte imminente, mentre cercava in
tutti i modi di combattere con la vita che gli stava scivolando via
dalle mani.
Un
altro passo, le spalle di Light furono davanti a lei, così
vicine da poterle colpire in quel preciso istante.
Allungò
la mano, alzando la lama e sentendo l'odio crescerle dentro sempre
più, assaporando il momento in cui quella avrebbe affondato
nella pelle del ragazzo.
La
lame fendette l'aria e Alyssa la fissò sprofondare in esso,
nel porta-coltelli in legno di accanto al braccio del ragazzo. Prese
un lungo respiro, resettando tutte le folli immagini che poco prima
avevano invaso la sua mente. “Avete tutti questi coltelli in
casa?” domandò, voltandosi verso il tavolo alle sue
spalle dove ve n'erano molti altri. Trovò allettante l'idea di
poco prima, quella di uccidere il ragazzo, cogliendolo di spalle.
Ma
poi lei sarebbe finita in galera a vita e Light magari sarebbe
passato anche per il martire della situazione.
No.
Preferiva attendere il momento
giusto, il momento in cui sarebbe stata la mano della giustizia a
fare il suo corso e non quello della sua personale vendetta. Inoltre,
pagare con quella morte così semplice sarebbe stato troppo
poco per punire Light di ciò che aveva fatto.
Il
ragazzo sorrise, voltandosi poi verso di lei e posando le mani sul
mobile alle sue spalle. Alyssa sentì i suoi occhi su di sé,
mentre raccoglieva in un palmo altri coltelli.
Cercò
di non mostrare segni di nervosismo, chiedendosi come sarebbe andato
avanti il loro gioco.
“Posso
farti una domanda, Aly?” chiese Light.
Alyssa
rimase con la schiena rivolta verso lui, aspettando che continuasse
il suo discorso.
Light
abbassò lo sguardo. “Come è possibile che
tu...non voglia vendetta? Hai perso tutto in una sola giornata e non
posso credere che tu non abbia nessunissima intenzione di trovare
Kira e fargliela pagare.” disse, con voce carica di
comprensione e afflizione, verso lo stato d'animo di una persona che
lui aveva fatto
soffrire in quella maniera. Alyssa non seppe dire cosa l'avesse
trattenuta dallo scoppiare in un impeto d'ira, ma ci riuscì
perfettamente, contando fino a dieci e sforzandosi di non lasciar
cadere la maschera con cui, tanto difficilmente, aveva coperto il suo
volto in quegli anni. Si morse il labbro, si girò verso lui e
alzò le spalle, ostentando una finta innocenza che ormai non
la riguardava più. “Beh, la vendetta non porta a nulla
di costruttivo, se non altro dolore e altra sofferenza.” disse,
stupendosi lei stessa di come fosse brava a mentire. “E poi, io
da sola non posso fermare Kira, no? Ci sono persone più adatte
di me.”
E
parlo di Mello e Near, non di te.
Calò
un profondo silenzio, Light ne assaporò ogni attimo quasi
stesse valutando con attenzione le parole di Alyssa. Aveva scoperto
la bugia celata in esse? Aveva certamente intuito che lei considerava
la sua vendetta logica in quel caso, perché a due innocenti
era stata strappata via la vita con l'inganno e quel qualcuno
che si rivestiva di giustizia,
quando era solo infamia, doveva pagare a caro prezzo la sofferenza
che aveva provocato.
Non
c'era niente di giusto nell'aver ucciso Elle e Wammy, ma lui era così
orgoglioso delle sue azioni che proprio non gliene importava. I due
si guardarono a lungo, intanto in lontananza Misa inveiva contro
un'altra giornalista che parlava di alta moda, definendola una totale
incompetente.
“Ora
sono io a farti una domanda, Light.” disse la ragazza,
avvicinandosi a lui.
Mantenne
comunque una debita distanza, come se avesse paura di bruciarsi
stando troppo vicina al suo nemico. Light alzò il mento,
apprestandosi ad ascoltare con vivo interesse ciò che la
ragazza stava per dirgli e
lei
si prese qualche istante prima di parlare, chiedendosi se era giusto
portare avanti quel gioco fino a tal punto. Ma tanto sapeva che lui
sospettava di lei e viceversa, il gioco poteva anche andare avanti
sotto mentite spoglie. “Perché secondo te Kira non mi ha
uccisa quel giorno?” gli domandò, ripensando a come lui
le aveva posto la domanda quando si erano rincontrati.
Alyssa
aveva pensato che Rem l'avesse risparmiata in qualche modo per
compassione, ma dubitava che lo shinigami aveva un cuore per un
essere umano che non fosse Misa. Light doveva aver messo in conto di
risparmiarla per qualche motivo a lei ignoto e che lei tanto avrebbe
voluto venire a scoprire prima di fargliela pagare cara. Light
abbassò lo sguardo pensieroso, malgrado fosse il primo ad
essere a conoscenza della verità. Si passò le dita
lungo il mento, poi si strinse le braccia al petto. “Sai, ci ho
pensato molto in questo tempo e sono arrivato a tre possibile
teorie.” disse, alzò lo sguardo su di lei.
Quando
i loro occhi entrarono in contatto, Alyssa provò una scarica
fredda attraversarle la schiena con forza e irruenza. Il cuore le
batté violentemente nel petto, mentre i pugni stretti vicino
alle gambe iniziarono a tremare.
Fino
a che punto sei disposto a mentire, Kira?
“Ho
pensato che forse quel dio della morte non ha fatto in tempo a
scrivere il tuo nome ed ucciderti, ma ne dubito...visto che è
riuscita a scrivere quelli di Ryuzaki e Watari in breve tempo.”
iniziò a dire Light, scuotendo la testa nel momento in cui
provò che la sua teoria era sbagliata.
Alyssa
ascoltò in silenzio, rimanendo immobile e rigida come una
statua di cera. Non si mosse nemmeno quando Light staccò la
schiena dal mobile alle sue spalle, per avvicinarsi poi a lei.
“Oppure, era Ryuzaki il vero nemico di Kira ed era interessato
unicamente ad uccidere lui e chi fosse stato in grado di aiutarlo. Tu
non eri il suo obbiettivo quindi.” disse ancora. Le ci mancò
poco, per chiudere gli occhi e avvertire quella bruciante ira
incendiarle il cervello. Riuscì a rimanere impassibile come
doveva essere, mentre Light si avvicinava a lei con passo lento e con
un'espressione seria sul viso.
Di
chi si mostra comprensivo, ma in realtà non vede l'ora di
ridersela sotto i baffi.
“O
ancora, un'altra ipotesi ma è la più azzardata e folle.
L'ho subito scartata.” Light si fermò a pochi centimetri
da lei e Alyssa fu costretta ad alzare la testa per poterlo guardare
in volto, quel volto di marmo talmente perfetto che riusciva a
nascondere fin troppo bene la mostruosità che vi era insita
sotto.
Light
tacque, di nuovo, come se nel silenzio volesse trovare l'arma giusta
per poterla colpire come solo lui era in grado di fare.
Alyssa
non ce la fece più a sopportare. “Quale?” domandò,
attendendo una risposta che sapeva avrebbe affondato nel suo cuore.
Perché Light era il perfido burattinaio che giocava con le
debolezze altrui per poter avere sempre in mano la vittoria e lei
sapeva metterle così bene in piazza i suoi sentimenti che lui
seppe usarli con estrema facilità.
Le
tecniche che Alyssa aveva usato in quegli anni per essere più
forte non le erano servite a granché.
“Magari
sei tu Kira.”
La
tensione nella stanza si fece più palpabile e Alyssa non seppe
cosa rispondere. Avvertì solo tutti i suoi pensieri spegnersi,
il cuore accelerare come impazzito i propri battiti, alimentato dal
fuoco dell'odio e della rabbia alla vista dell'assassino che buttava
le sue colpe su di lei. Il corpo tremò sotto i vestiti, spinto
quasi dalla voce dell'odio ad assalire e colpire il fulcro di tutti i
suoi dolori.
“Sei
l'unica sopravvissuta quel giorno e diciamo che, dal tuo passato, si
scaturisce tu abbia sofferto moltissimo per colpa di un assassino.
Hai sempre mostrato di essere in bilico tra la giustizia di Ryuzaki e
quella di Kira, magari perché era la tua.”
Come
la stava provocando. Voleva
vedere quanto fosse disposta a sostenere, quanto in là sarebbe
riuscita a mandare avanti la sua recita con calma e sangue freddo,
quanto fosse disposta ad attendere per mettere in atto la
sua vendetta. Alyssa ripensò a quando, poco prima, era stata
quasi tentata dal pugnalare Light alla schiena, come
lui aveva fatto con Elle. Pregustò di nuovo l'immagine di lui,
agonizzante e in fin di vita.
“Ma
poi...” Light parlò con più animo, un sorriso
divertito gli si disegnò sulle labbra e guardò Alyssa
come se volesse cancellare quell'espressione desolata dal suo volto.
Alla
ragazza parve mancare l'ossigeno, per quanto la rabbia ne stava
assorbendo per vivere in lei.
“Poi
ho pensato che tu amavi troppo Ryuzaki e che sei una persona troppo
buona per poterti macchiare di simili crimini. La mia era solo un
ipotesi assurda e che ho scartato prontamente, perché ti
conosco.” disse.
Ti
conosco? Oh sì, lui la
conosceva.
Conosceva
la ragazzina che si era fatta fregare da lui, che aveva creduto fosse
davvero innocente.
Ma,
in realtà, lui non conosceva più la ragazza che aveva
di fronte. Non per davvero almeno.
“Sai,
anche io ho pensato che tu potessi essere Kira.” Alyssa allargò
le labbra in un sorriso marcato dall'astio ma che assunse l'aspetto
di un'immagine provocatoria. Light alzò le sopracciglia,
fingendosi poco sorpreso da quella rivelazione. “Ma poi ho
pensato che tu fossi troppo giusto, leale e coraggioso per poter
uccidere Ryuzaki e Watari colpendoli in quel modo alle spalle. Kira è
troppo vigliacco e verme per essere te.”
Colpito
e affondato. Dubitava di essere
riuscita a smuovere un po' Light, dubitava di averlo fatto tremare di
rabbia come aveva fatto Elle quando lo aveva sfidato ad ucciderlo, la
prima volta che si “incontrarono”, oppure come era
riuscito a fare lui in quel momento con lei. Ma sapeva che Kira non
voleva essere giudicato in malo modo, perché lui si credeva
forte e giusto in un mondo di imperfetti e peccatori.
Qualcosa
in lui doveva essere stato colpito.
L'espressione
di Light restò impassibile, ma Alyssa notò qualcosa
spegnersi nei suoi occhi. Una vittoria certa.
Fece
spallucce e sorrise più ampiamente. “Siamo due idioti ad
esserci accusati a vicenda, non trovi?” gli chiese.
Light
non rispose subito e la guardò negli occhi con estrema
attenzione. Forse anche lui desiderò vederla morire in quel
momento, scrivere il suo nome sul quaderno e liberarsi dell'ennesimo
ostacolo che si era posto sulla sua strada. Invece sorrise. “Già,
che idioti che siamo....” disse solo.
Alyssa
preferì chiuderla in quel modo, tornando da Misa e riprendendo
la recita, perché sapeva di non riuscire più a
sopportare il peso della tensione che aleggiava su di loro.
Il
suo ruolo sarebbe stato presto smascherato, visto che lei non
ricordava più il suo copione.
“Aly?”
La
ragazza si fermò quando la voce di Light pronunciò il
suo nome, continuò a dargli le spalle e a guardare un punto
sul pavimento, sperando di non dover subire l'ennesima frecciatina da
lui. Non avrebbe resistito e sarebbe scoppiata. “Sì?”
Silenzio.
Light si prese, come al solito,
il suo tempo prima di formulare la propria frase, sapendo che in
quella maniera l'avrebbe colpita ancora più forte e con più
intensità. “Sai che mi piacevi anni fa?”
Alyssa
inarcò le sopracciglia incredula, si voltò verso di lui
e lo guardò con fare interrogativo. Doveva esserci qualcosa
sotto quella domanda, perché era assurdo che Light le ponesse
una questione talmente assurda. Doveva trattarsi di un'altra freccia,
pronta a scoccare quando meno lei se lo sarebbe aspettato e andandola
a colpire in un punto vitale. Estremamente vitale.
“Ah davvero? Non lo sapevo. E che ti piaceva di me?”
disse, ricordando poi il momento in cui lui l'aveva baciata per
dimostrarle che a qualcuno poteva
interessare.
Perché
non lo aveva preso a calci dove non batteva il sole quel giorno? Si
pentì di non averlo fatto.
Light
sorrise e Alyssa rabbrividì, sentendosi troppo vicina alla
vera natura del ragazzo, quella che le aveva tolto vita, anima e
respiro anni prima e che ora si stava mostrando a lei in tutta la sua
nuda perfidia.
Aveva
abbassato la maschera, per colpirla più a fondo, per farla
sanguinare sempre più.
“Perché
ti ho sempre sentita simile a me.” le
spiegò.
Il
colpo era partito. Alyssa arrivò
subito alla vera questione che si nascondeva dietro quelle parole:
lei non era poi tanto diversa
da lui, malgrado lo volesse consegnare alla giustizia.
Perché
aveva favorito la morte di Bretovic e di un suo sottoposto, credendo
di agire in nome della giustizia.
Perché
aveva coinvolto un'innocente nella sua intricata rete di vendetta,
causando così la morte di un uomo che meritava vivere.
Perché
anche lei aveva ucciso di
nuovo Elle, colpendolo alle spalle della giustizia.
La
mano si strinse sullo stipite della porta, si ricordò poi che
Light era lì e la stava attentamente guardando.
Si
era mostrata vulnerabile e lui, sotto quella finta espressione
rilassata, ne stava gioendo come non mai.
La
ragazza si mostrò tranquilla, malgrado dentro di lei mille
voci si accavallarono tra loro e mille e mille emozioni si diradarono
lungo le fibre del suo corpo, rendendolo completamente immobile e in
loro balia.
Non
seppe cosa rispondere, perciò abbozzò un sorriso
ironico. “Peccato che ti sbagli.” disse, sapendo di stare
mentendo. Si allontanò da lui, lasciando la stanza e
stringendo i pugni con forza.
Era
stanca di aspettare, Kira andava subito fermato.
*
* * *
Non
riusciva a smettere di guardare la neve, che con insistenza cadeva
fuori dalla finestra.
La
zona in cui Coraline abitava non era delle migliori: le strade erano
praticamente deserte e le mura delle case a schiera oltre quel vetro
erano state logorate dal freddo intenso e dalla neve che non doveva
mai dare tregua in inverno. In lontananza vi era un'enorme fabbrica
che emetteva una vasta nube di fumo nero, Alyssa la seguì con
lo sguardo mentre si levava verso il cielo, macchiandone il candore
con la sua oscurità.
“Tieni.”
Sobbalzò
e alzò rapidamente lo sguardo, destandosi dai suoi pensieri
appena Coraline la chiamò.
Erano
minuti che l'attendeva, restando seduta su quel tavolino vicino alla
finestra, ma si stupì lo stesso nel vederla tornare con una
tazza di latte caldo in mano. Le sorrideva radiosa, come se non si
trovasse di fronte alla bambina che aveva abbandonato anni prima, ma
nei suoi occhi verdi vi era comunque una punta di imbarazzo che non
sfuggì all'occhio attento della ragazza.
Non
sembrava cattiva come l'aveva dipinta...
Scosse
la testa, per scacciare quegli ultimi folli pensieri e prese la tazza
tra le mani. “Grazie.” le disse in russo, tornando a
guardare davanti a sé.
Coraline
le si sedette di fronte, con estrema eleganza nei movimenti e
puntando i suoi occhi smeraldo su di lei. Alyssa si sentì
avvampare, accorgendosi di non essere in grado di spiccicare parola
in sua presenza: nutriva troppo imbarazzo e troppa paura di
affrontare la sua figura.
Ma
doveva dire qualcosa, Elle aveva fatto tanto per trovarla anni prima
e sarebbe stato ingiusto non soddisfare il sogno che lui le aveva
fatto realizzare.
Deglutì,
mandando giù il groppo che aveva in gola e cercando di dare un
nome a quella sensazione che sembrava avvolgerle il cuore: una
stranissima emozione che non sentiva da tempo e che trovò
inverosimile provare per una persona che l'aveva abbandonata anni
prima e di cui non sapeva nulla, malgrado l'avesse messa al mondo.
Coraline
posò il mento sopra la mano e le sorrise. “Sei davvero
bellissima, sai?” le disse, lasciando scorrere i suoi occhi sul
volto pallido della ragazza. Lo trovò troppo smagrito e
riusciva a riconoscere un dolore troppo forte che lo aveva marcato,
ma preferì non dire nulla, vista la freddezza che Alyssa aveva
ripreso a mostrarle. La ragazza abbassò gli occhi, storcendo
la bocca e guardando la leggera scia di fumo che saliva verso l'alto,
accarezzandole il viso con dolcezza.
“Sono
qui solo perché una persona che non c'è più ha
voluto che io ti conoscessi. Non credere quindi che voglia cominciare
qualcosa con te.” La ragazza parlò con durezza, piegando
la testa da un lato e regalandole un'occhiata torva che però
non colpì Coraline.
Questa
rimase per un istante muta, poi scosse la testa. “Non potremmo
nemmeno volendo, quindi non preoccuparti.” rispose, tirandosi
indietro sulla sedia e guardandola tranquillamente.
Calò
un profondo silenzio, Alyssa sentì il cuore sussultarle nel
petto quando si rese conto che non avrebbe mai voluto sentire quella
risposta. Poi, nella mente, le balenò una domanda.
Perché
era lì allora?
Per
onorare la memoria di Elle accettando l'ultimo dono che le aveva
fatto?
In
realtà non era solo per quello, guardando il volto della madre
sentiva che non era solo per quello.
“Il
mio...desiderio...” iniziò a dire, non riuscendo a dare
così apertamente importanza alla figura di Coraline definendo
il loro incontro un sogno. “...era sapere perché tu mi
hai abbandonata. Poi sparirò dalla tua vita, come ho sempre
fatto.”
“Sei
venuta qui solo per questo?”Coraline non ci credette.
“Ti
ripeto che una persona troppo importante per me voleva che lo
facessi.” continuò a mentire Alyssa, lasciando la tazza
in un punto poco distante da sé sul tavolo e puntando gli
occhi spenti sul volto della madre.
Coraline
sospirò, si strinse le braccia al petto e posò lo
sguardo verso un punto dietro la ragazza, sul camino dove vi erano
posate diverse foto. Alyssa non se l'era fatte sfuggire quando era
entrata in quella casa e aveva scoperto, con poco stupore, che sua
madre si era rifatta un'altra vita con un altro uomo che non doveva
essere suo padre, dato che quest'ultimo era morto poco dopo la sua
nascita.
Ma
sembrava non aver concepito altri figli oltre lei. La cosa,
stranamente, la rincuorò.
“La
famiglia di tuo padre aveva contatti con un importante gruppo della
mafia russa.” iniziò a raccontare e l'inizio di quella
storia non stupì Alyssa, poiché già lo sapeva.
“Lui non ne era direttamente coinvolto, così come non lo
ero io. Ma quando tuo nonno divenne un pentito, siamo finiti pure noi
in mezzo alle vendette dei suoi avversari. Non sono tutt'ora al
sicuro, malgrado molti di questo gruppo siano finiti in galera o
sparsi in altri paesi lontani dalla Russia.”
Alyssa
la fissò in silenzio, attendendo il resto del racconto che,
però, giunse alla sua conclusione dentro la sua testa:
Coraline, o qualsiasi fosse stato il suo vero nome, l'aveva
abbandonata perché sapeva di non poterle dare un futuro. Lei,
invece, aveva sempre pensato il contrario perché solo quella
donna sembrava conoscere quella verità.
“Quindi,
volevi proteggermi?” le chiese e si domandò perché
volesse sentirsi dire una cosa simile.
Coraline
abbozzò un sorriso, divertita in parte dal modo in cui Alyssa
sembrava non poter credere a quella storia. “Per questo sei
stata cresciuta in un orfanotrofio così lontano da qui.”
disse. “Ma, in realtà, non ti ho abbandonata solo per
questo. Diciamo che, all'epoca, preferivo fare altre cose piuttosto
che occuparmi di una bambina. Avevo solo sedici anni, in fondo. E
occuparmi di te mi sembrava solo una scocciatura.”
Alyssa
restò interdetta da quelle parole, cercò in tutti i
modi di nascondere la voragine che aveva provato dentro di sé
sentendole ma dubitò di esserci riuscita.“Allora sei
davvero stronza come credevo, in parte.” Abbozzò un
sorriso provocatore, scuotendo la testa incredula e sentendosi poi
quasi soddisfatta nel aver scoperto che non aveva fatto propriamente
male a pensare che Coraline non fosse una santa.
Affilò
lo sguardo, posandolo su un punto sul pavimento, e chiedendosi perché
volesse credere in quel modo alla teoria peggiore. Trovò
subito la risposta, quando alzò nuovamente lo sguardo sulla
madre, incontrando i suoi occhi, il riflesso di quelli che possedeva
lei. Provò di nuovo quella strana sensazione, quella che
credeva di aver perso in tutto quel tempo e che non avrebbe mai
pensato di poter riprovare.
Coraline
abbassò gli occhi e si inumidì le labbra. “Ero
una ragazzaccia, Alyssa. E comunque era meglio così. Io non
ero la madre che volevi e non ti avrei mai dato la vita che
meritavi...come non posso dartela tutt'ora. Sono certa che la tua sia
nettamente migliore di quella che avresti mai potuto vivere con una
persona come me.” disse e alzò lo sguardo, ostentando
orgoglio, come se andasse fiera di averla lasciata sola per il
suo...cosa? Bene?
Alyssa
si sentì incendiare dalla rabbia; quella donna non sapeva che
vita lei aveva passato: aveva conosciuto la solitudine, la mancanza
di una famiglia, l'orrore che il mondo nascondeva nelle sue viscere
attraverso William...ma la vita l'aveva ripagata, donandole l'affetto
di Watari, l'amicizia di Elle e poi il suo amore.
Poi,
l'esistenza si era ricordata di averle dato troppo e si era ripresa
tutto in soli quaranta secondi.
E
lei era rimasta di nuovo sola.
Quindi
cosa poteva saperne quella donna della sua vita?
“Sappi
però che sono felice di averti incontrata, sono felice che
quella persona a cui tieni tanto mi abbia trovata...almeno mi sono
tolta un pensiero che mi porto dietro da un'intera vita.” disse
poi Coraline.
Alyssa
la guardò con rabbia, traducendo le sue parole come un modo
per liberarsi di lei e del senso di colpa che la sua vita doveva
averle, anche se poco, pesato sulle spalle.
“Quindi...ora
ti senti pulita solo perché mi hai rivelato la verità e
non perché non mi sei stata madre?” chiese
rabbiosamente, stringendo i pugni sul tavolo.
La
donna restò stupita dalla reazione della ragazza, così
in contrapposizione con la freddezza di poco prima. Giurò
anche che gli occhi di lei erano divenuti lucidi per via delle
lacrime, ma non poté dirlo con certezza poiché Alyssa
scattò in piedi. “Beh sappi che anche io mi sono tolta
un pensiero che mi porto dietro da un'intera vita: quello di essere
stata figlia di nessuno.” disse, indossando nuovamente la
pesante giacca e prendendo dal pavimento la borsa. “Ho
finalmente saputo la verità e posso finalmente andarmene. Mi
dispiace solo che lui abbia perso tempo a cercare una come te,
per colpa del mio stupido sentimentalismo!”
Si
voltò verso il corridoio che conduceva alla porta, sentendo le
lacrime salirle agli occhi e ignorando lo sguardo di sua madre e
quello di Elle che le sembrò di rivedere nella sua testa.
Chiuse
le palpebre, raggiungendo la porta, pregando la sua immagine di
abbandonarla e stringendo il pomello.
“Aspetta
Alyssa.” Coraline cercò di fermarla e la ragazza non si
lasciò sfuggire il tono di rammarico nella sua voce. Si
bloccò, dandole ancora le spalle e mordendosi le labbra con
forza, aspettando che il silenzio venisse riempito delle parole di
sua madre.
“Resta
ancora un po'. Devi essere stanca per il viaggio e...”
“No,
ho l'aereo tra un po' e non vedo perché debba rimanere qui.”
Alyssa rispose con tono duro, deciso, che non ammetteva repliche.
Aprì la porta velocemente e se la chiuse alle spalle,
sbattendola.
Coraline
sobbalzò sul posto e rimase sola.
*
* * *
Perché
era lì, in quel momento?
Maledetto
Light, l'aveva colpita così tanto.
Mantenne
gli occhi fissi verso il cielo buio. Spesse nuvole nere, più
scure della notte stessa, ne avevano ricoperto le stelle e la luna si
affacciava quasi timidamente attraverso quelle nubi.
Essere
in un cimitero, di notte, con quel tempo da lupi non era il massimo,
ma Alyssa non seppe nemmeno dire perché si trovasse là.
Aveva deciso di tornare da Mello dopo la cena, di incalzarlo ad
elaborare al più presto un piano per poter incastrare quel
bastardo di Kira e fargliela pagare una volta per tutte.
Era
furiosa per essere stata abbattuta in quella maniera.
Aveva
detto a sé stessa quelle parole, non dare retta alle
menzogne di Light e guarda avanti verso la vendetta.
E
guardando avanti non vedeva la vendetta, bensì la lapide in
onore di Elle. Una lapide a forma di croce, silenziosa e senza un
nome ma che solo Alyssa riusciva a leggere, marcato invisibile nella
pietra.
Si
morse il labbro, chiedendo a se stessa come mai i suoi piedi
l'avessero condotta là.
Perché
Light ha di nuovo vinto su di te, si
sentì rispondere dalla sua mente troppo stanca di essere messa
di nuovo da parte dalla voce del cuore.
E
Alyssa non seppe come replicare, perché non si poteva
contraddire la verità.
Light
l'aveva colpita, in ferite che lei stessa si era già procurata
da tempo e che non si sarebbero sanate con estrema facilità.
Sopratutto
se la vita non si degnava di smetterla a buttarvi sopra sale per
renderle più dolorose.
Deglutì,
guardando la lapide in silenzio e sentendosi pervadere da un profondo
ribrezzo che gettò su se stessa.
Era
vero che non era poi tanto diversa da Kira, viste le sue azioni.
Era
vero che Elle non sarebbe mai stato fiero di come lei si era ridotta
e di come agiva.
Era
vero che Elle non sarebbe mai tornato, nemmeno una volta vendicato.
Ed
era quella la cosa che ancora non riusciva ad accettare, malgrado
l'ovvietà dei fatti.
Per
questo si sentiva di nuovo morire, perché le sembrò di
aver riaperto gli occhi dopo troppo tempo e di aver trovato un nuovo
riflesso di se stessa che non conosceva. E che la spaventava.
“Per
favore.” Alyssa gettò la testa all'indietro, puntando
gli occhi verso il cielo, rivolgendosi ad esso, a Dio, o magari
proprio allo spirito di Elle. “Aiutami a trovare la forza per
non cadere di nuovo.”
“Quindi
è lui.”
Alyssa
sobbalzò quando sentì una voce alle sue spalle.
Coraline la guardava, rimanendo a pochi passi di distanza da lei e
con un sorriso caldo sulle labbra. La ragazza riusciva a scorgerlo
grazie alla luce del lampione che brillava diversi metri lontano da
loro. Il verso di un gufo rompeva ogni tanto il silenzio.
Alyssa
sospirò stancamente.
“Che diavolo ci
fai tu qui? Non puoi essere sfuggita da Mello.” le domandò
freddamente, tornando a voltarsi verso la lapide di Elle.
“I
tuoi...amici mi hanno lasciata uscire. Quello con la cicatrice mi
considera un po' di intralcio mi sa.” Coraline fece un passo
verso lei e la ragazza la sentì troppo vicina alla sua spalla.
Cercò di rammentare a sé stessa di prendere a calci
Mello una volta che sarebbe tutto finito, così ci avrebbe
pensato due volte prima di essere sempre così rompiscatole.
“Allora?
È lui?” continuò la donna.
“Lui
non è nessuno che tu possa nominare.” Alyssa si mostrò
dura, più di quanto volesse risultare e non degnò la
madre nemmeno di uno sguardo. Sapeva di sbagliare, sapeva che
mostrarsi così tagliente nei confronti di quella donna non
sarebbe servito a riparare il male che si stava portando dentro, ma
sentì di prendersela con il mondo intero per non farlo con se
stessa.
Come
al solito, si ritrovò a scegliere la via più facile per
combattere tutto quel dolore.
Coraline
non si fece scalfire da quelle parole, restò accanto alla
propria figlia e fissò la pietra levigata di quella croce, che
pesava con troppa gravità sulle spalle della giovane da troppo
tempo. “Anche la tomba di tuo padre non ha nome. Di sicuro,
anche nella morte, i nemici della sua famiglia avrebbero potuto
oltraggiarlo.” sussurrò.
Alyssa
non disse nulla, rimase con il respiro sospeso e continuò a
fissare lo spettro della morte che prendeva forma in quella lapide.
Volse poi lo sguardo verso sua madre, sul suo volto che sembrava
essere la maschera di un dolore che anche lei portava su di sé
da davvero troppo tempo, per un tempo così vasto che la sua
vita non riusciva più a sopportarlo.
Per
la prima volta, o forse per l'ennesima, rivide sé stessa in
lei, più di quanto avrebbe mai voluto.
E
quella familiare sensazione ritornò a farsi largo tra i
battiti del suo cuore, riportando a galla ricordi che sembrarono
graffiare dentro con il loro dolore.
“Perché
sei qui?” le chiese in un sussurro, dimenticandosi tutte le
parole che vi erano state poco prima nell'aria. Coraline la guardò
confusa, pensando che lei le stesse chiedendo il motivo per cui si
trovasse in quel cimitero, cosa che le aveva già spiegato poco
prima.
Poi
capì a cosa si stava riferendo sua figlia, le stava chiedendo
perché fosse lì in Giappone, insieme alla
figlia a cui aveva dato vita anni prima e a cui aveva rinunciato di
prendere parte per ben due volte, alla nascita e quando si erano
rincontrate anni prima.
Anche
se Near l'aveva contattata per colpire Alyssa e farla desistere dalla
sua vendetta, lei avrebbe comunque potuto rifiutarsi di incontrarla.
Alzò
le spalle, scuotendo la testa come se la risposta a quella domanda
fosse troppo semplice. “Perché ho sbagliato e me ne
rendo conto.” rispose solo, lasciando poi che il silenzio
pesasse di nuovo su loro.
“Ora?
Mi spiace ma è un po' tardi per capirlo.” Alyssa decise
di spegnere l'emozioni che stavano nascendo velocemente in lei,
mentre si trovava al cospetto di ben due persone che
risvegliavano in lei la vecchia Alyssa.
E
quel suo desiderio di....
“Ma
non è troppo tardi per voler bene, no?” Coraline si girò
completamente verso lei, sperando di incontrare così il suo
sguardo ma Alyssa continuò a privarla dell'immagine del suo
viso. “Io non giustifico ciò che hai fatto, ma so che
sei coinvolta nella morte di Bretovic e di uno dei suoi uomini. So
che lo hai ucciso perché sapevi fosse un pericolo per me e la
mia famiglia. Questo vuol dire che non mi odi poi così tanto
come vuoi farmi credere.”
Alyssa
non rispose, ma la guardò con la coda dell'occhio. Voleva
precisare che la morte di Bretovic, il capo del gruppo che era a capo
dei nemici della famiglia di suo padre, le era servito solo come
punto di partenza per lei e Mello. Lo aveva trovato in un paesino
sperduto dell'America e lo aveva indicato a Mello per permettergli al
ragazzo di mettere su un gruppo pronto a sostenerlo, consegnando loro
la testa di uno dei tanti famosi mafiosi che nemmeno Kira era
riuscito ad uccidere.
Ma
poi si rese conto che era una menzogna più grande di lei, la
morte di Bretovic era stato un punto di inizio per dare inizio alla
sua vendetta, ma anche perché aveva provato lo stesso il
desiderio di proteggere sua madre.
“E
ora che cosa vuoi allora? Portarmi a casa, coccolarmi e dirmi che mi
vuoi bene? Mi spiace, ma non voglio.” Alyssa la freddò
con un'occhiata.
“Non
sono qui per farti desistere dal tuo desiderio di avere giustizia, il
motivo è altro.”
“Quale?”
Alyssa si voltò rapidamente verso lei, con una rabbia nei
movimenti che fece quasi sobbalzare la donna. “Io non ho
bisogno di te. Non ti voglio qui. Voglio solo restare...”
“Sola?”
Alyssa
sussultò, quando le labbra della madre si mossero in quella
dolorosa parola. Era incredibile quanto poche lettere
potessero uccidere in quella maniera, come stava succedendo a lei in
quel preciso momento.
Sentì
le ginocchia molli, le lacrime pungerle gli occhi, combattendo con la
sua volontà di trattenerle, le labbra che tremavano un po' per
rabbia, un po' perché avrebbe potuto scoppiare davvero a
piangere se non fosse stata forte abbastanza da trattenere il dolore.
Coraline
scosse la testa, quando scorse le crepe nella maschera sul volto di
Alyssa farsi sempre più spesse ed evidenti. “Non capisci
perché mi stai odiando così tanto, più di quanto
facessi prima di incontrarmi?” le domandò. “È
perché io ti ricordo cosa significa non essere soli, avere
qualcuno su cui contare come facevi prima che coloro che amavi ti
venissero portati via!”
“Non
è vero. Tu per me non conti nulla.” Alyssa rispose,
sibilando parole a denti stretti.
Negava,
ma sapeva che quella era la maledetta verità.
Quando
aveva visto sua madre, malgrado nutrisse astio per i suoi confronti,
non aveva pensato due volte ad unire la sua vendetta a quella che
Coraline non aveva mai portato a termine contro chi le aveva portato
via l'uomo che amava. Bretovic era morto e lei era più al
sicuro.
Per
non parlare di come lei la faceva sentire: Alyssa trovò
finalmente il nome più giusto per definire le contrastanti
emozioni che provava quando era con sua madre.
Senso
di appartenenza. Famiglia.
Sentiva
di appartenerle, di non essere sola...proprio com'era quando Wammy e
Elle erano tutto per lei.
Lei
pensò però di non meritare quell'affetto, non dopo aver
finalmente preso coscienza di quanto poca umanità aveva ormai
in se stessa. E trovò orribile il fatto che Kira le avesse
fatto capire una cosa simile.
“Potremmo
ricominciare insieme una volta che sia tutto finito, Alyssa. Potremmo
buttarci dietro tutto il nostro dolore e dare un nuovo inizio alle
nostre vite. Insieme.” Coraline le posò le mani
sulle spalle, come per trasmetterle l'affetto che nutriva nei suoi
confronti. “Io posso salvarti.”
E
Alyssa non resistette, perché sapeva di non meritare più
una cosa simile, qualcuno che la sostenesse e che le dicesse
“Andrà tutto bene, Alyssa.”. Si era
macchiata di così tanti crimini, che sapeva di non meritarlo
più.
“Andrà
tutto bene, non sei sola.” Coraline pronunciò quelle
parole e le lacrime scorsero lungo le guance della ragazza. Alyssa
serrò le labbra con forza per non lasciarsi andare ai
singhiozzi quando la donna l'abbracciò.
Allora,
anche se aveva sbagliato tutto, meritava davvero che qualcuno le
desse una seconda possibilità? Mentre posava il mento sulla
spalla della madre e ascoltava il rumore delle sue lacrime scorrerle
sulla pelle, si rese conto che tutto ciò di cui aveva davvero
bisogno era qualcuno che non la lasciasse più sola.
Prima
era Wammy, era Elle e, sempre grazie a quest'ultimo, ora era sua
madre.
Dimenticò
di nuovo i suoi propositi di vendetta, quando sentì
riaffiorare in lei la vecchia Alyssa, quella che voleva solo contare
per qualcuno e che amava con tutto il cuore l'uomo dai capelli
bianchi che le aveva insegnato cosa significava famiglia e lo
strampalato ragazzo che le aveva insegnato cosa fossero l'amore e
l'amicizia. E allora non era più sola.
Ricambiò
l'abbraccio di sua madre e lanciò un'occhiata alla lapide di
Elle.
Era
sempre tutto grazie a lui.
E
mai come allora sentì che lei doveva ripagarlo con la
giustizia.
*
* * *
L'indomani
Mello fece presente a lei e Matt il suo piano.
Terminato
di parlare, lasciò l'indice puntato su una strada di Tokyo,
dove tutto avrebbe avuto fine ed inizio.
“Tutto
chiaro o devo rispiegare qualcosa?” domandò ai due,
tenendo lo sguardo fisso sopratutto su Alyssa.
Matt
non rispose, lanciò un'occhiata complice alla ragazza che
sembrava trattenere il fiato, mentre analizzava scrupolosamente il
magnifico piano di Mello. Lei annuì, deglutendo e sentendo
finalmente che la fine era vicina. “Tutto chiaro. È ora
che la vera giustizia riprenda il suo corso.” disse.
Kira
aveva i giorni contati.
Ciao
a tutti! :D
Perdonate
il ritardo con cui aggiorno, ma questo è un periodo molto
impegnato e inoltre, come provano i vostri sbadigli xD, il capitolo è
lungo quanto tutti i libri di Harry Potter e quindi ho dovuto
impiegarci più del dovuto. Spero veramente che vi sia
piaciuto, ci ho sudato 700 camicie per scriverlo e, sinceramente, lo
reputo ancora come....bleah -.-''
Comunque,
in questo capitolo non sono certa di aver fatto uscire come volevo la
fragilità di Alyssa, ho provato a farla emergere pian piano
nel corso dei tre capitoli che hanno seguito la morte di L ma in
questo capitolo è praticamente venuta fuori tutta. Non so se
il personaggio di Coraline possa piacere o meno per ora e so che il
suo ruolo potrebbe sembrare futile al momento, ma diverrà
chiaro nel corso degli ultimi capitoli. Il prossimo sarà il
penultimo, poi ci sarà quello finale e l'epilogo che chiuderà
la storia.
Passo
ai ringraziamenti: ringrazio tutti coloro che continuano a leggere
questa storia, sia chi lo fa in silenzio e sia chi recensisce. Ripeto
e ribadisco che molti commenti mi sono stati davvero utili per
mandarla avanti!
Ringrazio
anche coloro che l'hanno inserita tra le preferite/ricordate e
seguite. Grazie di cuore. ^^
Alla
prossima e vi auguro un buon proseguimento di settimana!
Ciao
ciao ^^
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