Without you it's a waste of time.

di northernlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***



Capitolo 1
*** I. ***


              Without you it’s a  
                  waste of time.


 


I.

“Ti amo, J.”

“Ti amo anche io, tesoro!”
Chiuse il telefono, lo infilò nella tasca di una giacca lì vicino e sospirando si diede un’occhiata attorno: era nella dressing room allestita nello stadio in cui dovevano esibirsi di lì a poco. C’era silenzio, tanto silenzio e non gli dispiaceva affatto. Per la stanza erano disseminati costumi di scena, l’ordine non era una caratteristica propria dei suoi migliori amici, pensò sorridendo: ovunque c’erano pantaloni aderenti viola e turchese, giacche marroni e scarpe variopinte, braccialetti luminosi e qualche strumento musicale.
Era solo, gli altri tre erano probabilmente sparsi nelle varie zone dello stadio, chi a firmare autografi, chi a comporre musica con diavolerie tecnologiche e chi a scrutare la folla impaziente di entrare. Lui, Jonny, prima di salire sul palco aveva bisogno di stare da solo, soprattutto dopo aver ripreso ad essere lontano da casa per mesi interi. Era un tour snervante, quasi quanto quello precedente. Era stanco, stanco quanto bastava a fargli rimpiangere per un secondo di non aver accettato quel lavoro che gli avevano offerto quando frequentava l’università, stanco da desiderare di dormire per infiniti mesi e svegliarsi in piena primavera, come se fosse stato in letargo. Ma era solo un secondo, solo un misero secondo. Non avrebbe mai ripudiato quella vita. L’adorava e non per i banali motivi per i quali tutti vorrebbero diventare star di fama mondiale: donne, soldi, macchine veloci e la sensazione di sentirsi Dio onnipotente. Jonny amava quella vita perché lo faceva sentire vivo: adorava l’adrenalina che gli scorreva addosso come una scossa elettrica poco prima di salire sul palco, poco prima di imbracciare la sua chitarra e di abbracciare i suoi amici. Adorava essere senza fiato ogni volta che i riflettori si accendevano sul pubblico urlante. Non poteva ignorare la pelle d’oca che gli veniva ogni volta che, ad inizio concerto, le prime note esplodevano dalle dita di Chris. Sapeva che, se avesse alzato la testa, avrebbe visto solo un mare di gente, un mare di puntini luminosi che ballavano e cantavano con e per loro. Era assurdo come dopo quasi sedici anni di concerti, non si era ancora abituato a quella sensazione, alla sensazione di avere più di cinquantamila persone lì solo per sentirti suonare, per cantare e perdere la voce sulle canzoni che tu hai composto, assieme ai tuoi amici di sempre. I tuoi migliori amici. Guy. Will. Chris. Soprattutto Chris. Ogni volta che ripensava a come si erano conosciuti gli scappava un sorrisetto stupido che gli rimaneva stampato in viso finché qualcuno non si accorgeva della sua espressione idiota e lo guardava con aria interrogativa. Si erano conosciuti tanti anni fa, casualmente, mentre entrambi, in un momento di pausa dalle lezioni e dagli studi, pizzicavano le corde delle loro chitarre. E da lì non si sono mai più separati. Poi si sono aggiunti Will e Guy ed era stato inevitabile formare una band: tutti e quattro avevano un solo amore, la musica, e con essa volevano viverci. E ci erano riusciti. Certo, non era stato facile, anzi, il contrario! E’ stata una delle cose più difficili che Jonny avesse mai fatto in vita sua, e sicuramente era così anche per i suoi amici. Era difficile riuscire a tenere tutto sotto controllo, a reggere il peso di una band, di vari tour mondiali e di un contratto discografico con una della major più importanti al mondo, soprattutto a vent’anni. Però, ripensandoci, Jonny concluse che la cosa più difficile che avesse fatto era stare lontano dalla sua famiglia e da sua moglie Chloe.

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Capitolo 2
*** II. ***



II.

Oh, Chloe...
Per un istante gli balenarono davanti i suoi occhi, profondi, dolci e rassicuranti. Quanto avrebbe voluto averla lì, in quella stanza, per avere solo un paio d’ore tutte per loro, per ridere e stare insieme. Jonny chiuse gli occhi e ripensò al loro primo incontro. Era successo molti anni prima, in un tiepido e poco soleggiato venerdì di metà maggio, nel 2004. Erano reduci dai loro primi due album, da una serie di festival che li aveva portati in giro per il mondo. Era il weekend e, come avevano concordato qualche anni prima, avevano deciso che nei finesettimana a Londra, erano liberi di fare quello che volevano in modo da non impazzire dietro a quello che prima di essere il loro lavoro, era la loro passione. Prima di acquistare quello che sarebbe stato il loro futuro covo nel cuore di Londra, la Bakery, loro quattro erano soliti riunirsi in un locale che avevano affittato nella periferia di Londra, per risparmiare un po’. Jonny non aveva niente da fare, ma era comunque lì. Non sapeva dove fossero i suoi amici anche se, in realtà, era in attesa di una chiamata da parte di Chris che era in ospedale con Gwyneth che stava per dare alla luce la loro prima figlia. Gli altri due erano con le rispettive neo mogli. Quanto li invidiava, avere qualcuno da cui tornare dopo essere stato lontano dei mesi era una chimera per lui che era così timido da arrossire ogni volta che qualcuno gli rivolgeva la parola. Lui era lì e si stava annoiando, vagava come un’anima in pena tra le varie stanze di quel locale adattato a studio di registrazione. Curiosava tra alcuni vinili di Guy, tra alcuni quotidiani sportivi di Will e tra gli spartiti e appunti di Chris e decise di provare a costruire un buon riff di chitarra, attorno ad una canzone che aveva il titolo provvisorio di Picture e che Chris non aveva ancora sottoposto a nessuno. Dopo un paio di ore smise, soddisfatto del suo lavoro. Ora era indeciso sul da farsi: voleva fare un salto al pub lì vicino, ma forse non era il caso dato che era venerdì sera e ci sarebbe stata troppa confusione per poter stare tranquilli, quindi qualsiasi posto del genere era escluso, anche perché alle cinque del pomeriggio era ancora tutto chiuso. Oh, le cinque, era l’ora del tè! Corse nella piccola saletta adibita a cucina e si preparò il suo buon tè e tornò in studio. Lo zucchero era finito e perciò, prima di gustarsi in silenzio il tè, dovette andare nell’ennesimo sgabuzzino dove tenevano scorte di quel genere e tanta roba vecchia. Cercando lo zucchero, si imbatté in alcune curiose scatole che non vedeva da anni, risalenti al loro periodo universitario. Ce n’erano cinque, una per ogni membro della band , Phil compreso. Prese quella col suo nome scritto nella caotica scrittura di Chris, ci soffiò sopra per togliere un po’di polvere e l’aprì. Un malinconico sorriso a trentadue denti gli si stampò sul viso nel rivedere quelle cose: foto di loro quattro insieme fatte da Guy con una delle sue prime macchine fotografiche, maglie e poster degli Joy Division, storico gruppo che lui adorava, e persino alcuni cd e libri che credeva fossero andati perduti. C’erano quaderni, infiniti quaderni con altrettanti infiniti appunti di matematica e astronomia. Chris aveva conservato proprio tutto. I suoi occhi improvvisamente brillarono quando sul fondo della scatola trovò l’intera collana composta di sette libri, di uno scrittore di gialli di origini irlandesi che aveva conosciuto poco dopo la fine del liceo e per cui andava letteralmente matto. Li tirò fuori: uno, due, tre, quattro, cinque, sei… un momento. Sei? Dov’era l’ultimo? Svuotò la scatola per intero e niente, nessuna traccia del libro. Sconfortato si accasciò reggendo gli altri sei libri e accarezzandoli come se fossero un gattino indifeso. Cercò di ricordare cosa era potuto succedere al suo libro, a chi l’aveva prestato magari, ma non ricordava niente purtroppo. Cosa poteva fare? Lì vicino c’era una libreria, ma non sapeva nemmeno se potessero avere quel libro forse fuori produzione per sempre. Decise di provare a chiedere, tanto non aveva niente da fare. Al massimo si sarebbe depresso ancora di più se non avessero avuto il libro e sarebbe finito sul divano a guardare vecchie puntate di Doctor Who. Corse a prendere il cappotto per uscire, non aveva tanta voglia di mimetizzarsi perciò si mise solo un semplice cappellino nero e rosso con la visiera e uscì.

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Capitolo 3
*** III. ***



III.

Il caotico chiasso londinese lo avvolse e si affrettò velocemente verso la libreria. Una volta arrivato notò con sollievo che non c’era tantissima gente perciò curiosò un po’ tra i vari scaffali sperando di adocchiare il suo libro, ma non riuscì a trovarlo. Avrebbe chiesto alla proprietaria della libreria, un’arzilla sessantenne che conosceva da quasi dieci anni, che ogni volta che lo vedeva non smetteva più di dirgli quanto la rallegrava vederlo. A Jonny piaceva chiacchierare con lei, sapeva molte cose sui libri e sulla musica. Si avvicinò al bancone e la salutò.

“Salve, signora Agron. Come sta?”

“Oh, caro, da quanto tempo! Le ossa ogni tanto scricchiolano, ma tiro avanti come sempre. E tu?”

“Tutto bene anche per me, tranne un po’ di stanchezza…”

“Quella passa, come passa tutto col tempo. Come posso aiutarti, caro?”
Jonny le raccontò della sua collana di libri e del libro perduto che cercava e che rivoleva disperatamente.

“Sei già andato a vedere nella giusta sezione?”

“Sì, è stata la prima cosa che ho fatto ma non ho trovato niente.”

“Pff, questo perché non vivi tra i libri da 40 anni, tesoro. Vieni con me.”
Nella libreria c’era pochissima gente, alcuni scorrevano i titoli sugli scaffali, altri erano seduti a leggere sorseggiando un po’ di tè. Da quando era a Londra quella era l’unica libreria che frequentava e gli piaceva molto poiché era accogliente, calda, riservata e quando era all’università spesso andava lì a studiare per stare più tranquillo, tra quelle pareti verde pallido che profumavano di lavanda. Dopo un po’ di volte che ci andava, aveva fatto amicizia con la signora Agron che nel fiore dei suoi anni, era stata groupie di numerose rock band inglesi e spesso deliziava Jonny con i suoi racconti. I suoi ricordi furono interrotti dalla bibliotecaria che gli richiedeva il titolo del libro. Jonny lo ripeté e la guardò cercare tra i libri.

“Oh, guarda, ci sono tutti tranne quello. Però, però io ricordavo che fosse rimasta un’ultima copia che è qui da un bel po’ di anni. Possibile che mi sbagli?” borbottò la signora Agron tra sé e sé come se Jonny non fosse lì.

“No, dev’essere qui da qualche parte, per forza.”
Nel frattempo camminava avanti e dietro per il corridoio della sezione gialli, mentre Jonny era poggiato ad uno scaffale e la guardava, sembrava una piccola ape impazzita.

“Signora Agron, si ricorda il colore della copertina? Io ho rimosso totalmente e non ricordo.”

“Ma certo che ricordo. Ricordo persino il colore delle mutande di Sid Vicious la sera che mi ha baciata e vuoi che dimentichi la copertina di un libro? È rossa, caro, di un rosso brillante.”
Jonny sorrise e continuò a guardarla mentre cercava. Improvvisamente una macchia rosso scarlatto attirò la sua attenzione. Era il suo libro, ne era sicurissimo, ed era in mano ad una ragazza che non aveva minimamente notato essere nel corridoio con loro. Era minuta, bassina in confronto al quasi metro e novanta di Jonny, con una lunghissima chioma di capelli castano chiaro. Aveva una lunga gonna etnica blu scuro, una finissima canotta bianca che le lasciava le spalle scoperte e una borsa di tela marrone come le scarpe. Si stava attorcigliando i capelli attorno ad un dito e nel farlo, i tanti braccialetti che aveva al polso sinistro, macchiato di quella che sembrava vernice verde, tintinnavano allegramente. Evidentemente si sentì osservata perciò alzò lo sguardo e lo guardò dritto negli occhi. Due enormi occhioni color nocciola incontrarono gli occhi verdi di Jonny che, imbarazzatissimo, abbassò lo sguardo. La scena si ripeté poco dopo: Jonny che la guardava mentre attorno a lui la signora Agron ancora cercava il libro incriminato.

“Ma dove diamine è?!” disse ad alta voce la signora Agron che guardò Jonny che guardava la ragazza.

“Ma cosa stai guarda-…”
La signora Agron seguì lo sguardo di Jonny.

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Capitolo 4
*** IV. ***


 
IV.

“Oh, ma eccolo” esultò la signora Agron correndo verso la ragazza che, accortasi di ciò che stava succedendo ormai, li guardava incuriosita.

 “Ciao, cara. Posso prendere un attimo il libro? Lo sto cercando da ore.”

“Salve, ma certo. Scusate, ma ero così presa dalla lettura che non vi ho sentiti parlare, altrimenti ve l’avrei dato subito” disse spostando lo sguardo su Jonny che arrossì nuovamente. La ragazza porse il libro alla signora Agron che lo rigirò tra le mani per accertarsi che fosse quello.

“Ah-ha! Hai visto, Jonny? Che ti avevo detto? Quando si tratta di trovare un libro non sbaglio mai.”
Jonny le sorrise e non disse niente, non riusciva a dire niente con gli occhi di quella ragazza puntati addosso.

“Ecco” dichiarò la libraia porgendo nuovamente il libro alla ragazza “litigatevelo per bene, voi due, ma non urlate sennò gli altri rompono le scatole. Arrivederci, cari!”
Detto questo, si allontanò sulla sua traballante andatura e lasciò i due giovani in un imbarazzatissimo silenzio rotto poi dalla ragazza, con dispiacere di Jonny che voleva dire qualcosa di interessante.

“Allora, cercavi questo libro?”

“Ehm, sì! S-siccome ho già tutta la collana… cioè, avevo… cioè, ho perché è a casa… no, non a casa, è in studio di registrazione. E m-mi sono accorto ch-che mancava l’ultimo libro e allora s-sono corso qui” balbettò Jonny che avrebbe voluto sotterrarsi sotto una colata di cemento armato per poi farsi tirare fuori e farsi sotterrare nuovamente per altre mille volte. Mentre lei si riavviava una ciocca di capelli cadutale sul viso, Jonny pensò che era veramente molto bella: le sue guance erano rosse, forse per l’imbarazzo. Registrò quel particolare. Aveva anche una sbavatura di vernice anche tra i capelli, cosa che incuriosì Jonny. La sua radiografia della ragazza fu bruscamente interrotta.

“Ma come fai a conoscere questo scrittore? Lo conosco praticamente da quando andavo al liceo e in tutti questi anni, anche quelli di università, beh… non ho mai conosciuto nessuno che lo conoscesse, scusa il giro di parole” gli disse sorridendo imbarazzata.

“Che coincidenza! Anche io l’ho conosciuto al liceo” iniziò a dire Jonny “un mio compagno di classe irlandese, lui me l’ha fatto conoscere perché era un amico dei suoi genitori e quin-…”

“SSSSSSSSSSSSSSSH!” cercò di zittirli qualcuno dal corridoio parallelo a dove si trovavano loro.

“Vecchi bisbetici” sibilò tra i denti la ragazza socchiudendo gli occhi. Questa cosa fece ridere Jonny; alla sua risata si aggiunse anche quella di lei che, inaspettatamente, gli poggiò una mano sul braccio, mentre l’altra mano andò sulle sue delicate labbra, per soffocare la risata. Jonny sentì come una scossa, una scossa elettrica che attraversò la maglia bianca a maniche lunghe per arrivare fino al cuore e al cervello. In quell’istante era come se il tempo si fosse fermato. Lei. La sua risata andava via via scemando e, sempre sorridendo, piantò i suoi occhioni negli occhi di Jonny. Sì, decisamente il tempo si era fermato.

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Capitolo 5
*** V. ***




V.

“Sì, ma puoi prenderlo tu questo, eh.”
Jonny venne riportato alla realtà dalla voce di lei che gli sventolava il libro rosso sotto al naso.

“N-no, ma scherzi? L’hai v-visto prima tu, è tuo.”

“Oh, no, tranquillo. Io ce l’ho già, volevo solo rileggerlo. Siccome tutte le mie cose del liceo sono a casa mia, non ho portato niente qui con me a Londra. Ecco, volevo solo rileggerlo per perdere tempo.”

“E cosa ci fai qui a Londra?” chiese Jonny spontaneamente. Lo sguardo della ragazza si rattristò e abbassò lo sguardo.

“S-scusami, non volevo essere invadente” sussurrò un imbarazzatissimo Jonny che, a quel punto, avrebbe volentieri fatto un salto in un cespuglio di ortiche.
“Sarà meglio che vada” aggiunse lui “buona lettura con il libro.”
Si avviò verso l’uscita.

“No, fermati. Non andare!”
Lei gli corse davanti, superandolo e poggiandogli una mano sul petto e guardandolo negli occhi.
Lo sguardo di Jonny corse sulla mano di lei. Lo sguardo della ragazza corse sul petto di Jonny e, accortasi di quello che aveva fatto, ritirò subito la mano e gli chiese scusa.

Stupido Jonny’, si urlò mentalmente ‘cosa diamine fai, la allontani?!

“Ma no, non scusarti, non hai fatto niente.”
Lei sospirò.

“Comunque, scusa per prima. Okay, sono a Londra principalmente perché dovevo sistemare alcune cose di famiglia, ecco, non sono cose molto piacevoli. Poi ci sono rimasta a studiare e vivere.”

“Se ti rattrista pensarci allora non farlo, pensa ad altro.”

“A cosa dovrei pensare?”

“Mmh, non so. Qual è la cosa che ti piace più al mondo?”
Lei ci pensò un momento poggiandosi l’indice della mano destra sulle labbra, come una bambina pensierosa, e poi rispose: “le stelle.”

Un tuffo al cuore. Sicuramente si era sentito anche dall’esterno, perché il cuore di Jonny aveva fatto un balzo terribile.

“Sul serio?”

“Sì, mi piacciono moltissimo le stelle. Sono misteriose, luminose, tanti piccoli puntini ammassati lì come piccoli obiettivi di videocamere pronti a spiarci.”

“Ottima definizione! Se avessi avuto questa da studiare invece degli enormi libri sulle varie galassie e sulla composizione dei corpi celesti, non avrei fallito il mio primo esame universitario.”
Lei lo guardò con aria terribilmente spaesata, perciò Jonny spiegò.

“Sono da qualche anno laureato in matematica e ho frequentato un corso triennale di astronomia, con vari esami integrativi e blablabla, tutte quelle scartoffie insomma” disse timidamente e stranamente senza inciampare in nessuna parola.

“Veramente? Che coincidenza, l’ennesima della giornata a quanto pare” gli disse sorridendo.

“E già” confermò proseguendo “sì, le stelle sono la mia più grande passione, dopo la m-musica ovviamente.”
Ecco che ricominciava a balbettare, si sarebbe tirato uno scaffale di libri addosso.

“Beh, è una scelta impegnativa. Mica come me che ho scelto moda e design. Non mi è mai piaciuto stare sui libri a studiare. Cioè, sì, mi piace un sacco leggere” mostrò il libro rosso a mo’ di spiegazione “però quegli esami lunghissimi mi hanno sempre terrorizzata, ho sempre avuto parecchia fantasia e un’ottima manualità anche se mi sarebbe piaciuto studiare arte.”

“E ora che hai finito di studiare, cosa fai nella vita?”

“È ancora presto per mettersi in proprio perciò lavoro come apprendista-sottopagata-sfruttata-a-tutte-le-ore-del-giorno-e-della-notte presso una piccola gioielleria non molto lontano da qui.”

Ma la finite di parlare dei fatti vostri qui dentro?” urlò qualcuno da qualche parte nella libreria.

“Oh, allora? Vieni fuori!” sbraitò la ragazza lasciando Jonny di stucco “non nasconderti dietro uno scaffale, vieni a dirmele di persona queste cose!”
Un cellulare iniziò a squillare. Jonny chiuse colpevolmente gli occhi mentre tirava l’aggeggio squillante fuori dalla tasca. Diede un’occhiata al display del cellulare e vide che era Chris. Doveva rispondere ma non poteva farlo lì anche perché la voce minacciosa stava dicendo altro.

Pure i cellulari ora? Se non andate via di spontanea volontà vi farò andare via io!

“Ah, sì? Mi stai minacciando per caso?” urlò la ragazza di rimando “vieni pure qui, non ho mica paura di te.” Agitò un pugno facendo muovere i tintinnanti braccialetti che aveva al polso.Un rumore di sedie spostate convinse Jonny ad afferrare il libro che lei aveva in mano e a posarlo su uno scaffale lì vicino per poi prenderle la mano e trascinarla via mentre urlava contro la voce minacciosa. Tutto questo accadeva mentre il suo cellulare continuava a suonare all’impazzata.

“Ma..?!” iniziò a replicare lei.

Dove sei?!” intervenne la voce minacciosa.

“Corri!” le disse Jonny.
E insieme corsero verso l’uscita della libreria.

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Capitolo 6
*** VI. ***




VI.

“Hey, fermati! Perché mi porti via? Devo fargliela vedere io a quel grandissimo maleducato rompico-…” 
La ragazza continuava a sbraitare e inveire contro l’ormai lontano disturbatore che fuori dalla libreria scrutava fuori per vedere dove fossero: era un uomo enorme che l’avrebbe sbriciolata facilmente tra indice e pollice. Anzi, li avrebbe sbriciolati. 

“Ssssh” le sussurrò mettendole una mano davanti alla bocca e trascinandola di peso dietro una macchina “vuoi farci ammazzare?”

“Jonny, credi che io mi faccia prendere così facilmente?!”
Lui non le rispose, ma gli scappò un sorriso malizioso involontario.

“E dai, maniaco! Non intendevo quello” gli sussurrò stizzita dandogli una piccola spinta.

“Hey, come f-fai a sapere il mio n-nome?” realizzò improvvisamente Jonny.

“Io so tutto.”

“Non è vero. Dove l’hai letto? Mi hai riconosciuto?” iniziò a blaterare cose senza senso, impaurito.

“Riconosciuto? E perché avrei dovuto? Sei mica famoso?” lo guardò con sospetto.

“M-ma c-chi, io? Ma mi hai v-visto?” indicò la sua persona con un dito, come a voler sottolineare la cosa.

“Beh, non vedo perché no. Prima hai parlato di uno studio di registrazione e hai delle bellissime mani e questo vuol dire solo due cose: o suoni il piano o la chitarra” dichiarò soddisfatta delle sue intuizioni.

“Mmmh, o-ottime deduzioni, Sherlock.” le sorrise dolcemente.
Rimasero un attimo in silenzio, ancora accovacciati dietro la macchina-nascondiglio.

“Io proporrei di uscire da qui dietro, ormai dovremmo essere al sicuro” disse Jonny sbirciando da dietro la macchina.

“Anche se non lo fossimo, ti proteggerei io!” urlò spavalda alzandosi in piedi.

 “Ma se sei alta un metro e una ciabatta, cosa potresti mai fare?!”

“Hey, io sono giusta. Sei tu che sei troppo alto!” disse legandosi i capelli che si erano sciolti durante la corsa fuori dalla libreria.

“Certo, certo. Questa è la scusa di tutte le donne basse” le rispose. Erano entrambi pensierosi.

“Hey, m-ma com’è c-che ti chiami?” le chiese Jonny improvvisamente.

“Oh, vero! Io sono Chloe” gli tese la mano facendo cadere la sua borsa. Jonny immediatamente si chinò a raccoglierla. Chloe immediatamente si chinò a raccoglierla.

“AHI!” urlarono all’unisono. Finirono entrambi col sedere per terra con una mano sulla fronte.

“Ecco cosa succede a voler fare il gentiluomo” disse lei.

“Mh-mh” borbottò Jonny offrendole la mano per aiutarla a rialzarsi.

“Chloe.” 
Jonny disse quel nome assaporandolo tra le labbra come se non ci fosse cosa più dolce e profumata.

“Sì?” rispose di riflesso lei.

“Uhm, no, niente. Pensavo.”

“E a cosa?”

“A niente.”

“Ma nessuno pensa mai a niente!”
Jonny non rispose. Al posto suo rispose lo stomaco di Chloe che brontolava.

“Uh, qualcuno laggiù sta protestando” ridacchiò Jonny sarcastico. Grazie al cielo lei sembrava stare al gioco. Jonny adorava avere la battuta pronta ma sempre il più educatamente possibile. Lo stomaco della ragazza brontolò di nuovo.

“No, qualcuno laggiù è proprio incazzato nero!” riprese Jonny guardandola.

“Uhm, cavolo. Perché non sta mai zitto?”
A Jonny venne un’idea ma non voleva farlo, cioè, voleva farlo ma avrebbe dovuto fare appello a tutto il suo coraggio. Non l’aveva mai fatto e prima d’ora l’aveva visto solo nei film.

“Uhm, ecco, Chloe, v-visto che il tuo stomaco r-richiede a-attenzioni, che ne d-diresti di andare a-a mangiare qualcosa insieme?” balbettò tutto d’un fiato.

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Capitolo 7
*** VII. ***




VII.

Jonny trattenne il fiato continuando sorridente a guardare Chloe che sembrava molto sorpresa dalla domanda del ragazzo.

“Oh, beh, sarei molt-…”
Lo squillo del cellulare di Jonny interruppe le parole della ragazza. Di rimando lui continuava a fissarla come un deficiente ignorando palesemente lo squillo del cellulare che diventava più forte ogni secondo che passava.

“Non risposndi?” disse Chloe diventando paonazza e attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno al dito.

“C-credo possa aspettare” rispose lui. Nel frattempo il telefono aveva smesso di squillare.

“Oh, bene, allora dicev-…” riprese a parlare la ragazza, ma fu nuovamente interrotta dal cellulare di Jonny.

Lo sguardo di lei era evidente e perciò Jonny si ritrovo costretto a rispondere al cellulare.

“Scusami un attimo” le disse “è il mio migliore amico.”
Rispose al cellulare allontanandosi un po’.

“Pronto?”

“Hey, amico. Dove diamine sei? Perché non rispondi?” gli disse Chris dall’altro capo del telefono.

“Io… niente, ero in giro e c’era rumore e ho dimenticato di richiamarti. Come sta Gwyneth?” gli chiese ricordandosi improvvisamente del motivo per il quale non erano insieme.

“È nata!” quasi urlò l’amico al telefono. Era felicissimo, Jonny non aveva bisogno di vederlo per saperlo

“È bellissima, Jon. È come Gwyneth però ha tanti capelli biondi come i miei e il mio naso, dicono gli altri.”

“Cavolo, dovevo venire con voi, non avrei dovuto lasciarti da solo in questo momento” gli disse Jonny sentendosi in colpa per non essere lì.

“Ma che dici? Tanto non ti avrebbero fatto entrare comunque. Ma se vuoi puoi passare ora, Gwyn e la piccola sono in camera. Joanna e Guy sono già passati, magari puoi sentire Will e unirti a loro.”
Il pensiero di Jonny corse subito a Chloe e le lanciò uno sguardo. Era seduta per terra, con le ginocchia raccolte al petto, circondate dalle braccia e fissava le nuvole che andavano via via sbiadendosi. Dio se era bella. Si dimenticò di rispondere all’amico al telefono.

“Hey, Jon? Jon, ci sei? Cavolo dev’essere caduta la linea, maledetti aggeggi…” biascicò Chris dall’altro lato del telefono scuotendo quest’ultimo come se servisse a ripristinare la comunicazione.

“Idiota, ci sono. Stavo, ehm, stavo pensando a come raggiungervi, ma tranquillo, tra una mezz’ora sono in ospedale” rispose ridendo Jonny.

“Oh, e rispondere prima che io distrugga questo coso? Okay, ci vediamo tra poco.”
Chiuse la comunicazione. Rimettendosi il cellulare in tasca, Jonny tornò da Chloe sorridendo come un babbeo.

“Buone notizie?” gli chiese lei alzandosi da terra.

“Uhm, s-sono diventato una specie d-di zio. È nata la prima figlia del mio migliore amico” le disse balbettando e passandosi imbarazzato una mano tra i capelli ricci.

“Oooh, ma che cosa meravigliosa! Che bello, sono contenta per te” disse sgranando gli occhioni color nocciola e fissando Jonny intensamente “e ora dove sono, in ospedale?”

“Sì. Chris mi aveva chiamato prima quando eravamo in libreria, ma il tizio stava per ucciderci quindi non ho più risposto” precisò ridendo “ma comunque, s-sì, sono in ospedale e dovrei farci un salto.”
 
“Sì, devi correre assolutamente lì, Jonny, per forza. Non puoi lasciare il tuo migliore amico da solo in questo momento” lei gli sorrise incoraggiante.

“Okay, però prima vorrei sapere cosa avresti risposto alla mia domanda.”

“Beh, era ovvio che stavo per dirti di sì, ma ora non importa. Se vuoi possiamo fare un’altra volta!”

“Accidenti. Io, ehm,  dovrei partire tra q-qualche giorno…”
Un’idea gli balenò per la testa come se gli si fosse accesa la classica lampadina dei fumetti.

“Ma, ecco, ti scoccerebbe venire con me in ospedale? Così poi magari andiamo a cena comunque?”
Jonny era stupito di se stesso. Era riuscito a chiedere di uscire  a quella ragazza per ben due volte di seguito nell’arco di mezz’ora.

“Ma sei sicuro? Cosa direbbero i tuoi amici del fatto che porti una sconosciuta da loro in un momento così intimo?”

“Ma no, tranquilla. Vedrai, sono molto alla mano, ehm, come dire… vabbè, appena vedrai capirai cosa voglio dire.”

“Se sei così sicuro allora sì, ti faccio compagnia molto volentieri. E poi io adoro i bambini!” lo sguardo le si accese improvvisamente.

“Perfetto, allora andiamo.”
Insieme si incamminarono, fianco a fianco, verso la città. Verso una nuova vita e verso chissà che altro.

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Capitolo 8
*** VIII. ***


 
VIII.

“Ehm, salve” sussurrò Jonny arrivati alla reception dell’ospedale.

“Salve, mi dica” gli chiese l’infermiera.

“Dovrei, dovremmo far visita a una nostra coppia di amici.”
Usare quel nostra fece tremare il cuore di Jonny e guardò Chloe, tranquilla e sorridente.

“Nome?” gli chiese nuovamente l’infermiera.

“Ehm, Martin. O Paltrow” disse silenziosamente Jonny. Appena pronunciò quei due cognomi insieme, Chloe si voltò a guardarlo così intensamente che Jonny sentiva prudere il punto del suo viso dove lo sguardo di lei era fermo.

“Ah, ecco qui. Paltrow” l’infermiera li guardò con sospetto “Siete parenti?”

“Siamo amici intimi di famiglia” confermò Jonny.

“Mi dispiace, ma non credo di potervi far entrare. Dalla signora Paltrow è stata richiesta estrema discrezione.”

“Ma...” iniziò a dire Chloe.

“Eccoti, Jon!”
Una voce maschile interruppe, fortunatamente, qualsiasi cosa Chloe stesse per dire.

“Loro sono con me” disse Chris all’infermiera.

“Oh, certo, signor Martin” rispose lei sorridendo evidentemente abbagliata da quel sorrisone.

“Ma…” ripeté Chloe sbalordita.

“Jon!” urlò Chris sorridendo e andando incontro all’amico.

“Ciao, paparino!” lo prese in giro Jonny “ti presento una mia amica, Chloe.”

“Ciao, Chloe” disse lo strano amico di Jonny guardandola con curiosità.

“Ciao...” rispose lei a stento.

“Ehm, Chloe, lui è Chris, il mio migliore amico” spiegò Jonny che, quando era in presenza di Chris, riusciva a non balbettare mai.

“Ma tu sei…?” iniziò a dire la ragazza.

“E sì, credo proprio di essere io” sorrise Chris guardando Chloe così spaesata. Gli succedeva spesso da qualche anno che gli facessero quella domanda.

“E quindi, di conseguenza, tu sei il Buckland alla chitarra?”

“Ehm, e sì..” confermarono entrambi gli amici.

“Lo sapevo. Appena la signora della libreria ha detto il tuo nome, immaginavo fossi tu.”

“E perché non mi hai detto niente?” chiese Jonny incuriosito.
Lei fece spallucce e gli disse: “non mi interessa cosa sei. Mi interessa chi sei.”

A Jonny vennero i brividi a fior di pelle, menomale che intervenne Chris a salvarlo. Ancora una volta.

“Hey, mi stavo dimenticando! Volete vedere la piccola?” disse con gli occhi che gli luccicavano dalla gioia.

“Oddio, certo!” rispose Chloe sia per lei che per Jonny.

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Capitolo 9
*** IX. ***




IX.

Chris li condusse verso un piccolo corridoio silenzioso finché non giunsero davanti ad una grande vetrata dietro la quale c’erano tante cullette con i nuovi arrivati. Chloe si lasciò sfuggire un gridolino dolce mentre Jonny aveva gli occhi lucidi davanti a quella meraviglia.

“Eccola lì” disse Chris indicando una culletta rosa “lei, la terza a partire da sinistra.”

Jonny pensò che fosse una cosina così minuscola e fragile che non voleva guardarla a lungo perché aveva paura di farle del male, di romperla in qualche modo. Aveva un nasino piccolissimo identico a quello di Chris e tanti capelli biondissimi, sottili come filamenti di oro. Improvvisamente si mosse, aprì un po’ la minuscola bocca e sbadigliò pigramente.

“Chris, tutto ciò è meraviglioso. È splendida.”

“Come si chiama?” chiese Chloe.

Apple. Apple Blythe Alison” dichiarò Chris soddisfatto. Jonny poggiò la mano sul vetro, come a volerla toccare in qualche modo. Era così felice per il suo migliore amico…

Zietto, vuoi entrare a darle un’occhiatina? Ti vedo parecchio sconvolto” sogghignò Chris all’amico lanciando un’occhiata a Chloe che guardava la bimba anche lei con occhi lucidi.

“Posso sul serio?” gli chiese ansioso.

“Ma certo. Potete entrambi. E, se volete, potete prenderla in braccio” guardò Chloe.

“Oh, ma non so, non c’entro niente con voi, con la vostra famiglia. Sono solo di passaggio, quasi un impiccio.”
Ad un tratto la ragazza era spaventata.

“Suvvia, gli amici di Jonny sono anche nostri amici e parlo anche a nome di Gwyneth” le sorrise “su, mettetevi quei camici laggiù ed entrate.”
Sempre più titubante, Chloe seguì Jonny per prendere i camici e poi per entrare nella stanza con i bambini.
Chris li osservava da dietro il vetro, sorridendo come un ebete. Una mano gli si poggiò sulla spalla.

“Hey…”
Sua moglie gli diede un dolcissimo bacio sulla guancia.

“Ma cosa ci fai in piedi? Fila subito a letto, non hai abbastanza forze per-…” iniziò a dire lui.

“Sssh, sto bene. Guarda” lo interruppe la bionda attrice americana indicando la stanza.

Oh” riuscì appena a dire Chris.
Dall’altro del vetro c’erano Jonny e Chloe che osservavano la piccola Apple entrambi con gli occhi lucidi. Improvvisamente Apple scoppiò a piangere e Chris fece per entrare nella stanza per fare qualcosa.

“No, aspetta…” lo fermò Gwyneth. Improvvisamente Jonny prese la piccola in braccio e iniziò a cullarla dolcemente seppur apparisse molto imbarazzato. Per tranquillizzare la piccola, Jonny iniziò a canticchiarle qualcosa e a lui successivamente si aggiunse anche Chloe che continuava a sorridergli dolcemente. Pian piano, Apple smise di piangere. Chris, che abbracciava Gwyneth, sorrise.

“Mi piace” fu il suo unico commento.

“Mh-mh” assentì sua moglie con un mugugno tornandosene nella sua stanza. Dopo qualche minuto, i due uscirono dalla stanza. Riposero i camici al loro posto e tornarono da Chris.

“Dio, amico,è stato meraviglioso! Davvero, non ho parole. Posso solo augurarti e augurarvi il meglio. A proposito” disse Jonny “dov’è Gwyn? Volevo salutarla.”

“Starà dormendo. Non ti preoccupare, riferirò io anche perché l’ora delle visite è terminata da un pezzo, zietto” lo prese in giro dandogli una spinta. Tutti e tre controllarono l’orologio, erano quasi le otto e mezza.

“Oh, okay allora. Io mi avvio verso l’uscita. Ti aspettò lì?” chiese Chloe a Jonny.

“Va benissimo” le rispose il chitarrista.

“Ciao, Chris, è stato un piacere conoscere te e la tua piccina. E nel vostro prossimo album voglio una dedica particolare alla sottoscritta” ridacchiò indicando la propria persona e andando via. Jonny e Chris guardarono la ragazza andare via.

“Wow” riuscì a dire Chris “che peperoncino di ragazza! Dove l’hai trovata, Jon?”

“I-io? Niente, cercavamo lo stesso libro e le ho chiesto di uscire poco prima che tu mi chiamassi e non mi ha più dato nessuna risposta.”

“Accidenti, amico. Mi dispiace un sacco, mi sento in colpa!”

“Ma di che! Dovevo venire qui, e poi è stato piacevole stare lì dentro con lei” ammise Jonny “però ora sarà
meglio che vada, così almeno riesco ad accompagnarla a casa.”

“Mi raccomando, J. Sii te stesso!” gli disse assestandogli una bella pacca sulla spalla.

“È quello il problema. Ci vediamo domani, salutami Gwyneth” gli rispose percorrendo il corridoio. Avviandosi all’uscita, passando davanti ai distributori automatici di cibo e bevande, vi trovò Chloe appollaiata dolcemente su una sedia verde circondata da sacchetti di cibo e qualche lattina.

Oh” disse lui stupito.

“Ehila” sussurrò lei “ho una proposta…”

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Capitolo 10
*** X. ***




X.

A Jonny gli si strinse il cuore guardando quegli occhioni così dolci e innocenti e non riuscì a dire niente di brillante.

“Cosa ci fai lì? C-che proposta? D-dimmi” le disse maledicendo se stesso per aver ricominciato a balbettare. Ormai dovevano essere abbastanza in confidenza da poter parlare senza sentirsi in imbarazzo. Avevano persino tenuto una bambina appena nata in braccio insieme!

“Ecco” iniziò lei pensierosa, titubante o forse solo indecisa sulle cose da dire “la nostra cena ormai è andata visto l’orario, quindi che ne dici di cenare qui?”
Nel dire quest’ultima cosa, gli indico tutto il cibo che aveva attorno come ad avvallare la sua richiesta. Jonny non sapeva cosa dire. Era lì, pietrificato dalla sorpresa o quello che era dato che in quel momento non riusciva a capire più niente. Era lì, come un lampione sotto la pioggia, sentendosi parecchio stupido.

“Io… io…” cominciò a dirle, salvo fermarsi subito dopo perché non sapeva cosa dirle e soprattutto non voleva balbettare ancora imbarazzato. Lo sguardo di Chloe si fece improvvisamente triste e un po’ spaventato.

“Senti, okay, lascia perdere. Fa finta che non te l’abbia mai chiesto, che idea stupida!” disse Chloe raccattando borsa e cibo e provando ad andare via. Jonny la fermò delicatamente tenendola per un braccio.

“No, ferma.”
Lei gli arrivava al petto, appena sotto il mento. Petto che Chloe fissava, come se improvvisamente avesse perso tutto il coraggio.

“Hey” le disse mentre continuava a non guardarlo.

“Mh?” mugugnò la ragazza in risposta.

Hey” ripeté Jonny in tono diverso, come a volerle rimproverare il fatto che non la stesse guardando.

Mh?” ripeté anche lei alzando finalmente lo sguardo.

“Perché stavi andando via? Io stavo solo per dirti che mi sembra un’idea meravigliosa. Viaggiando con la band ho mangiato in mille posti diversi, tanti ristoranti, tanti cibi diversi e strani” prese fiato “però non ho mai mangiato in un ospedale.”
Lei rise e lui sorrise.

“Non ho mai mangiato strane schifezze di un distributore automatico seduto in un ospedale, con una sconosciuta. Quindi, riassumendo: sì, è un’idea brillante, Sherlock”
Entrambi erano stupiti; Jonny per il suo non balbettare e Chloe per quella specie di appuntamento appena deciso.

“Okay” rispose la ragazza “quindi rimaniamo qui?”

“Perché non ci sediamo per terra? Così abbiamo più spazio” propose Jonny. Entrambi si sedettero per terra.

“Su, tira fuori tutto quel cibo che hai comprato. Siamo due, non settecento!” ridacchiò il chitarrista.

“E dai, ho solo provato ad indovinare i tuoi gusti e alla fine ero così indecisa che ho preso un po’ di tutto” rispose la ragazza estraendo dalla borsa panini preconfezionati, lattine di Coca-Cola e strani dolcetti.

“Ma va, va benissimo così. Quindi, cosa mi tocca?”

“Non so, facciamo a metà di tutto così assaggiamo varie cose?” gli propose preoccupata.

“Andata! Da cosa iniziamo?”

“Da un salutare panino” Chloe lesse la targhetta sul panino “hamburger, formaggio e ketchup?”

“Beh, dai, vedila positivamente: se dovesse succederci qualcosa, siamo in una botte di ferro, ci soccorrerebbero subito” risero entrambi sonoramente. Jonny adorava il sorriso di quella strana ragazza piombata all’improvviso nella sua vita. Adorava come si copriva il viso con la mano sporca di vernice quando rideva.

“Okay, e cosa beviamo, signor sommelier?”

“Vediamo: cosa offre la casa? Coca-Cola, aranciata, tè al limone. Facciamo Coca-Cola? Il tè lo usiamo con i dolcetti e l’aranciata!”

“D’accordo, capo” rispose Chloe.
E cenarono lì, semplicemente seduti circondati da carte di cibo e fazzolettini. Ridendo, parlando di tutto, della vita di Jonny come quasi-rock-star-mondiale, della vita di Chloe. Poi improvvisamente a Jonny venne un’idea.

“Senti, anche se questa è la cena più bella e buona che io abbia mai fatto, vorrei rimediare alla mancata uscita di oggi” iniziò a dirle.

“Mh-mh” rispose con la bocca ancora piena di panino.

“Ecco, oggi pomeriggio hai detto che le stelle sono la cosa che più ti piace al mondo.”
Prese un fazzolettino

“Che ne diresti se domani, o quando vuoi tu o hai tempo” si avvicino a Chloe “andassimo al planetario per vederle con i telescopi?”
Pulì lo sbaffo di ketchup che la ragazza involontariamente si era fatta addentando il panino.

“Oddio!”
Posò la sua mano su quella di Jonny che teneva il fazzolettino. Il ragazzo ritirò prontamente la mano lasciandole il fazzoletto. Rimasero un po’ in silenzio

“Beh, ricordi bene, Watson. Quindi, facciamo domani alle sette?” propose audace la ragazza riprendendo il controllo di sé.

“Le sette sono perfette, Sherlock” rispose Jonny “ora passiamo al dolce e poi ti riaccompagno a casa, Cenerentola. Si sta facendo tardi e hai bisogno del tuo sonno di bellezza.”

“Ma io non sono bella.”

“Oh, certo che lo sei. Ed è anche riduttivo” le disse offrendole un sacchettino con dentro mini croissant alla marmellata. Lei ne prese uno e l’addentò, rossa in viso per l’imbarazzo di quel complimento.

“Jonny! Jonny, dove sei? Tra due minuti dobbiamo salire sul palco!”
La voce di Guy interruppe i ricordi del chitarrista.

“Arrivo, Guy, arrivo!” gli rispose prontamente imbracciando la sua amata chitarra e dirigendosi sul main stage. Prima di salire sul palco diede un’occhiata fuori, all’aperto. Le stelle erano meravigliose quella notte, come lo erano quella sera dopo la strana cena in ospedale.

Ma questa è un’altra storia’ pensò Jonny sorridendo e salì sul palco con i suoi amici.

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