Una bugia tira l'altra

di venerdi 17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Portami via ***
Capitolo 2: *** 2 - Testardo ***
Capitolo 3: *** 3 - Febbre ***
Capitolo 4: *** 4 - Jack lo squartatore ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Transalcolico ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 - Desaparecido ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - Te c'hanno mai mannato ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - Siberia ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - Prima di essere un uomo ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 - Il coccodrillo come fa? ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 - Desiderio del nulla ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 - Per niente stanca ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 - Fidarmi delle tue carezze ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 - Crudelia De Mon ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 - Forma e sostanza ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 - Il mondo stretto in una mano ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 - La mia lucciola ***
Capitolo 18: *** Cap. 18 - Tanti auguri ***
Capitolo 19: *** Cap. 19 - L'amore è un drago dormiente ***
Capitolo 20: *** Cap. 20 - Dammi solo un minuto ***
Capitolo 21: *** Cap. 21 - La seconda da sinistra ***
Capitolo 22: *** Cap. 22 - L'uomo intero ***
Capitolo 23: *** Cap. 23 - Mi persi ***
Capitolo 24: *** Cap. 24 - Le mie parole ***
Capitolo 25: *** Cap. 25 - Visite a sorpresa ***
Capitolo 26: *** Cap. 26 - Abitudine ***
Capitolo 27: *** Cap. 27 - Stella stellina ***
Capitolo 28: *** Cap. 28 - Malafemmena ***
Capitolo 29: *** Cap. 29 - Sere nere ***
Capitolo 30: *** Cap. 30 - La cura giusta ***
Capitolo 31: *** Cap. 31 - Senza far rumore ***
Capitolo 32: *** Cap. 32 - Il pendio dell'abbandono ***
Capitolo 33: *** Cap. 33 - Insieme ***
Capitolo 34: *** Cap. 34 - Unò-dué ***
Capitolo 35: *** Cap. 35 - Il topo mangia il gatto ***
Capitolo 36: *** Cap. 36 - Guarda l'alba ***
Capitolo 37: *** Cap. 37 - Close to me - Russel ***
Capitolo 38: *** Cap. 38 - Un giorno lontano ***
Capitolo 39: *** Cap. 39 - Penso positivo ***
Capitolo 40: *** Cap. 40 - I Was Made For Lovin' You - Russel ***
Capitolo 41: *** Cap. 41 - Je suis venue te dire que je m'en vais - Dario ***



Capitolo 1
*** 1 - Portami via ***


1 - PORTAMI VIA
 
Portami via di qua
verso un’altra città,
dove la gente, la gente che va,
non mi conoscerà.
 
Portami via con te,
se ancora un posto c’è,
dove cancellare il nome, l’età,
ricominciare forse, chissà...
 
È sempre così, non posso fare a meno di scappare via.
È ancora così, il tempo di un baleno o di una poesia.
 
[Daniele Silvestri]
 
**
 
 

Domenica 13 Maggio 2012
 

L’appartamento che l’azienda mi ha messo a disposizione è all’interno di un residence in Westwood Village, è ampio, luminoso, e soprattutto non troppo distante da Downtown, il quartiere dove lavorerò da domani. In soggiorno, di fronte alla libreria, vedo gli scatoloni che ho spedito. La cucina è piccola ma perfettamente attrezzata, due bagni, uno con vasca all’interno della camera da letto, una cabina armadio e uno studio. 
Luca ha riempito il frigo e la dispensa degli alimenti che preferisco. Conosce perfettamente i miei gusti, non mi stupisco quando vedo ben tre confezioni dei biscotti ai cereali che mangio a colazione.
All’interno del residence sono a disposizione degli ospiti: una piscina, un centro benessere e una palestra. Arriccio il naso quando Luca m’informa, con finta nonchalance, che ho anche un posto auto, non mi serve e lo sa. Lui vorrebbe che ricominciassi a guidare, ma io ancora non riesco a sfiorare un volante senza rischiare un attacco di panico. 
Abitano in questo residence anche Karen e Margaret, le nostre assistenti. 
«Sei sicura di voler dormire da sola stasera? Almeno la prima notte in città potresti venire da me. Possiamo prepararci una cena veloce e se sei stanca andare a dormire presto» chiede Luca premuroso.  
«Veramente ho già cenato in aereo e prima di andare a letto vorrei tirar fuori dalle valigie almeno le cose indispensabili. Per questa volta passo, okay?» 
«Come vuoi, non insisto. Ora però devo andare. Passo a prenderti domattina»
«Perché? Non voglio disturbarti, prenderò un taxi»
«Scherzi?! Il primo giorno ti farò da autista, ma non abituarti. Sei troppo mattiniera per i miei gusti. Domani sarà la prima volta in un mese che sono qui che mi presenterò in ufficio prima delle dieci»
«Oh, ma io ho attraversato il globo proprio per insegnarti le sane abitudini. Sveglia presto al mattino e a letto con le galline. Basta nottate a base di alcol e donne»
«Ehi, signorina-sane-abitudini, non sarai mica venuta qua per rompere, vero? Lavoro come un matto tutto il santo giorno e la sera quando posso ho voglia di divertirmi»
«Lo so bene che lavori tanto, anzi troppo, infatti mi hai voluta a Los Angeles proprio per questo, no?»
«Certo! Non vedevo l’ora che arrivavi per rifilarti alcune clienti che mi stanno facendo impazzire»
«Non provare a fare il furbo con me. Ancora non siamo in ufficio e già pensi di mollarmi quelle pallose? Le nostre competenze saranno le stessa di sempre, io gli uomini e tu le donne. Lo sai di  essere molto più bravo di me a trattare con loro» apre la bocca per dire qualcosa ma lo blocco puntandogli un dito sul petto «Zitto e non ribattere. Non mi freghi!» 
«Veramente io speravo che con il trasferimento avremmo rivisto anche le nostre mansioni. Che so…» finge di pensare portandosi una mano sul mento «Ci sono!» esclama, schioccando le dita «Possiamo fare che io mi occupo di quelle sotto i trentacinque anni e tu di quelle dai trentasei in su. Per gli uomini magari cerchiamo qualcun altro» è sul punto di scoppiare a ridere, come lo sono io «Che dici? A me sembra perfetto» alza i pollici come Fonzie e mi fa l’occhiolino.
«Ho un’idea migliore, Fonzie della costa californiana. Perché non facciamo che tu lavori solo con le tettone-cosce-lunghe e lasci a me le cesse?» dico con tono accondiscendente.
«Perfetto, ci sto!» mi porge una mano per sancire il patto. La stringo e poi girandogli il braccio dietro la schiena lo spingo verso la porta di casa.
«Fuori da qui prima che cambi idea e ti molli sia gli uomini che le donne, figone o cesse che siano!»
«Okay, okay, stavo scherzando» risponde, liberandosi dalla mia costrizione e alzando le braccia in segno di resa «Lo sai che senza di te non posso farcela» dice, passandomi un braccio sopra le spalle e fingendo di stritolarmi il collo all’interno del gomito «Vieni qui, scema» sussurra, baciandomi sulla tempia «Mi sei mancata»
«Mi sei mancato anche tu, tanto» rispondo abbracciandolo in vita.
Con il pollice della mano libera sfiora la cicatrice ancora un po’ arrossata sopra al mio sopracciglio «Non si vede quasi più»
«Sì lo so, anche le altre non si notano più come prima. Mi hanno detto che tra qualche mese, se faccio attenzione e non ci prendo il sole, rimarranno solo dei leggeri segni un po’ più chiari»
«Bene. Sei sicura di voler dormire da sola?»
«È forse una proposta la tua?» chiedo, ancora stretta nella morsa del suo gomito e alzando la testa per guardarlo, sbattendo le ciglia languidamente.
«Certo che sì, prima o poi dobbiamo farlo, è un po’ che te lo dico. Per me stasera va benissimo» spalanco gli occhi e mi libero dall’abbraccio «Faccio prima una telefonata però» dice, mentre si rovista le tasche alla ricerca del cellulare.
«Sei sempre il solito cazzone!» esclamo, tirandogli un pugno sulla spalla e ridendo «Vai e goditi la tua serata da single scapestrato» apro la porta di casa, poi con un gesto della mano lo invito a uscire.
«Il solito cazzone che però ti fa ancora ridere. Vorrà dire che sarà per un’altra volta. Ci vediamo domattina, strega» mi saluta con un bacio e se ne va.
 
Prima di andare a letto, do un’occhiata alle scatole per accertarmi che siano tutte integre. 
Ho impiegato più tempo del necessario per svuotare la libreria del mio appartamento di Milano e riporre tutto al loro interno, alternando momenti in cui sentivo affiorare lacrime silenziose ad altri in cui sorridevo come un’idiota. Seduta sul pavimento a gambe incrociate, ho sfogliato album di fotografie e riletto con rinnovata malinconia le dediche dei libri che ho ricevuto in regalo. Spolverando le copertine di cd e dvd ho canticchiato le canzoni che più amo e recitato con voce artefatta le battute dei miei film preferiti. Pochi strati di cartone racchiudono i ricordi di tutta la mia vita. 
Dalla mia borsa prendo il libro che tengo sempre nel cassetto del comodino. L’unico che ho ricevuto in regalo la cui dedica è stata impressa solo dopo che l’avevo già letto. Riapro per l’ennesima volta la copertina e rileggo le parole che ormai conosco a memoria: Tesò, quando mi hai detto di non aver mai letto il mio libro preferito, sono corsa ai ripari e ora eccolo tra le tue mani. Breve ma intenso, fa parte di me fin dalla prima volta in cui l’ho sfogliato, e ora che l’hai letto, è un po’ anche dentro di te. Sei la mia migliore amica. Noi ci siamo riconosciute e scelte. E anche se tra pochi giorni non vivremo più nella stessa città, l’affetto che ci lega sarà sempre con noi, non sarà necessario vederci ogni giorno per mantenerlo vivo. Ma nonostante questo, mi mancherei tantissimo. Mannaggia a te! Ti voglio bene, Scornacchiata. La tua Alice. 
Pochi giorni dopo avermi scritto la dedica, si trasferì per lavoro in un’altra città. Ma aveva ragione lei, noi ci eravamo scelte e sarebbe stato per sempre.
Richiudo il libro e m’infilo sotto le coperte lasciando la luce del comodino accesa, se dovessi svegliarmi durante la notte non voglio rischiare di spaventarmi non capendo dove mi trovo. 
Chiudo gli occhi sperando di addormentarmi in fretta. Ho rimuginato anche troppo durante il viaggio e ho veramente bisogno di annullare almeno per qualche ora tutti i miei pensieri. 
Da domani, poi, cercherò una soluzione per riprendere in mano le redini sfilacciate della mia vita.
 
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Ciao, io sono V.17 e questa è la mia prima storia, sarà un po’ romantica, un po’ ironica e un po’ introspettiva. 
 
A presto…
 
***

PICCOLO… SPAZIO… PUBBLICITÀ…
 
Sono una Pecora Nera, non un Agnellino

Con disappunto muove il musetto da un lato all’altro agitando i capelli lisci come la seta e sculettando si avvicina al divano, ci getta sopra la borsa e, porca della miseriaccia ladra, si toglie la giacca lasciandola sul bracciolo. Con le mani in tasca aspetto che si volti verso di me con la stessa inquietudine di un condannato a morte che attende che cali l’ascia del boia, e come già temevo, il colpo di grazia arriva, dritto e preciso, però non dietro al mio collo, ma di fronte a me e al di sotto della cintura. Tiro fuori le mani dalle tasche per osservarle ancora, no che non ci stanno, ma forse con entrambe riesco a circondarne almeno una. 
«Beh, che stai facendo lì impalato?» impalato? Quindi se n’è accorta «Dammi una mano» veramente sono appena arrivato alla conclusione che mi servono tutte e due.
Sollevo lo sguardo. Però qui si gioca scorretto, coniglietta, non te ne puoi stare di fronte a me con le mani ai lati della tua scrivania e piegata in avanti sbattendomi in faccia le tue tette di zucchero filato.

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Disneyland After Dark
 
Il Disneyland After Dark brulicava di ragazzi urlanti, eccitati, accaldati. Addossati uno all’altro quelli in pista investiti dalla cascata di luci che si riversava sopra le loro teste erano una sequenza veloce di diapositive, alcuni gruppi si muovevano seguendo il ritmo della musica, altri saltavano scoordinati con le braccia protese verso il soffitto, qualcuno sull’orlo dello straripamento ormonale era avvinghiato a un altro corpo altrettanto interessato a rifocillare l’appetito sessuale. Davanti al bancone del bar i bicchieroni di plastica trasparente passavano di mano in mano terminando la corsa sopra bocche che li svuotavano con avidità, per placare il caldo soffocante, sciogliere la tensione, annientare la timidezza, potenziare a dismisura l’aggregazione.
Le note rock frustavano le pareti macchiate da scritte e disegni di varie dimensioni e colori, il soffitto che sembrava un caleidoscopio per opera delle luci colorate in continuo movimento, il bancone di legno consumato e graffiato che vibrava al ritmo dei bassi, gli stomaci ebbri di birra e super alcolici, i palati e le lingue che talvolta accoglievano una pasticca accompagnandone poi la discesa attraverso la gola con sorsi abbondanti di miscele più o meno alcoliche.
 
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Capitolo 2
*** 2 - Testardo ***


2 - TESTARDO
 
Io so’ testardo,
c’ho la capoccia dura
e per natura non abbasso mai lo sguardo
è un’esigenza,
perché c’ho ‘na pazienza da leopardo.
E so’ testardo
e non mi ferma gnente
vado sempre avanti fino al mio traguardo
indifferente,
e non m’importa gnente se ritardo.
Io so’ de legno
e sembro muto e sordo
ma le tue parole sta’ tranquillo
che me le ricordo,
e qualche volta me le segno.
Io so’ de marmo,
ma tu m’hai sbriciolato
perché so’ testardo fino al punto
che so’ sempre innamorato,
pure se tu m’hai già scordato.
Però,
se ancora un po’ mi piaci
la colpa è dei tuoi baci,
che m’hanno preso l’anima
de li mortacci tua.
 
[Daniele Silvestri]
 
**
 
 
Lunedì 14 Maggio 2012
 
Entro con Luca in showroom. I tre piani del grattacielo trasudano lusso ed eleganza. L’abbinamento di mobili moderni e retrò dona agli ambienti un’aria estremamente raffinata e i tessuti d’arredo sono realizzati con le stampe che hanno reso negli anni la griffe della casa di moda riconoscibile in tutto il mondo.
Mentre attraverso corridoi e uffici, Luca mi mostra le modifiche fatte dall’ultima volta in cui sono stata qui. Saluto i colleghi che già conosco e mi presento ai nuovi arrivati. Usciti dalla stanza dove lavorano i ragazzi dell’ufficio stampa, rimane solo un ultimo reparto da visitare, quello che fra tutti amo di più. 
Guardare le otto signore sedute ognuna di fronte a una macchina da cucire, attente e concentrate a guidare la stoffa sotto l’ago, mi riporta per un attimo alla mia infanzia, rivedo in loro mia madre che, con la sua vecchia e ingombrante Singer posizionata sopra al tavolo della nostra cucina, sistemava orli o riparava i jeans strappati miei o di mia sorella.
Luca, con un cenno della mano, chiama la donna che, vista l’assenza di vestaglietta sopra gli abiti, intuisco essere la responsabile, e lei si avvicina sorridente. È una signora di circa cinquantacinque anni, molto composta e sobria con il suo filo di perle, la crocchia che raccoglie i capelli chiari striati di grigio e un paio di occhiali trattenuti dalla catenella legata al collo che le dondolano davanti al petto, mentre avanza verso di noi.
«Buongiorno, Emma» Luca la saluta mettendosi al suo fianco, poggiandole una mano dietro la schiena «Ti presento Rebecca Leoni, è arrivata oggi. Come ti avevo già detto si occuperà della divisione uomo» poi si rivolge a me «Emma Fabbri è la nuova responsabile della sartoria, è con noi da quando Janet è andata in pensione» sposta di nuovo lo sguardo su di lei «Ora saremo in due a romperti le scatole e a metterti fretta» sottolinea ridacchiando.
«Piacere» stringo la mano di Emma sorridendole «Spero che non crederà a una sola parola, io non rompo le scatole, per lo meno non così spesso come vuol far intendere lui» le dico indicando con il pollice Luca che si è spostato al mio fianco.
«Non preoccuparti, Rebecca, siamo abituate a lavorare sodo qua dentro. Inoltre in previsione del vostro arrivo sono state assunte due nuove sarte» risponde lei con un sorriso sincero rivolto a entrambi. 
«Bene, Emma, ora ti lasciamo al tuo lavoro» taglia corto Luca, sollevando subito dopo lo sguardo «Signore, grazie d’esistere» saluta le sarte con un ampio gesto della mano «E come sempre: è stato un vero piacere» termina, facendo un inchino.
È sempre il solito cazzone, non mi stancherò mai di ripeterlo. 
Usciamo da lì e finalmente mi accompagna a vedere quello che lui chiama il pezzo forte: il mio ufficio. 
Mentre in ascensore saliamo all’ultimo piano, gli chiedo come abbia fatto a trovare una première italiana a Los Angeles, allora mi spiega che Emma ha un figlio che, dopo essere venuto qui per lavoro, ha sposato una ragazza americana e che quando due mesi fa è nato suo nipote ha deciso di raggiungerli.
«Lavoriamo insieme solo da un mese e già la amo. Sembra che abbia un bastone nel sedere, ma credimi, ha un cuore d’oro sotto a quella camicetta di seta» conclude.
Usciti dall’ascensore, attraversiamo un breve corridoio e una porta a due battenti di vetro, entrando in un ufficio dove sono allineate due scrivanie, a una è seduta Karen, assistente di Luca da qualche mese, che si alza e mi viene incontro per presentarsi. È una ragazza piccola e minuta come me, ha i capelli castani chiari lunghi fino alle spalle e grandi occhi celesti, i lineamenti delicati del suo viso mi ricordano quelli di una bambola di porcellana. 
Margaret ancora non c’è, arriverà solo nel pomeriggio, con lei collaboravo già da Milano e in occasione dei miei precedenti viaggi a Los Angeles ho avuto modo di conoscerla personalmente. Luca, con una mano sulla mia schiena, mi guida verso la porta sulla parete sinistra.
«Ta-tàn!» esclama spingendomi, e così entro nella stanza dove trascorrerò la maggior parte delle mie giornate. 
L’ufficio è grande e illuminato da un’ampia vetrata, i raggi del sole s’infrangono sulla superficie della scrivania in cristallo nero, nella parete sinistra, sopra a un tappeto con fondo nero e disegni arancio, sono disposti un divano in pelle ad angolo e un tavolino da caffè, la libreria a destra è completamente ingombra dei books degli abiti di sfilata e collezione. 
Guardandomi intorno penso che sia tutto perfetto. Luca non solo conosce le mie preferenze a tavola, ma sa anche che amo gli ambienti piuttosto spogli e privi di gingilli inutili, niente piante, niente quadri, niente soprammobili, perché le sole cose che servono nel nostro lavoro sono un computer veloce e affidabile, un iPhone, e tanta, tantissima pazienza.
Da quattro anni noi due siamo i responsabili del reparto Vip & Celebrities della casa di moda “Vicky Ferraris” che, fondata dai genitori di Luca, unisce nel brand il nome di sua madre Vittoria e il cognome del padre Renzo Ferraris. 
Seguiamo i clienti che hanno esigenze particolari che i normali canali di distribuzione del nostro marchio non sono in grado di soddisfare. Si rivolgono da noi in showroom chiedendo abiti su misura, in prestito, in esclusiva, per realizzare un film, una tournèe, spot pubblicitari, trasmissioni televisive, abiti da sposa, da sposo, per le damigelle, per i paggetti, per il prete, per la moglie, per il marito, per l’amante ventenne, per l’amante dotato, per il cane, per il gatto, per la nonna al suo funerale (questa è la richiesta peggiore da esaudire, perché abbiamo i tempi un po’ strettini), o semplicemente perché preferiscono venire qui piuttosto che in boutique perché si sentono più gratificati e coccolati. 
Ultimamente le richieste sono aumentate in maniera esponenziale, soprattutto da parte degli americani, e Luca ed io non eravamo più in grado di seguirle tutte adeguatamente. Io, occupandomi della divisione uomo, avevo il vantaggio di dovermi spostare da Milano molto raramente, Luca invece, dirigendo la divisione donna, dato che quando si stratta d’abbigliamento il genere femminile è molto più esigente, era sempre costretto a fare su e giù da un aereo all’altro perché le clienti desiderano quasi sempre la sua presenza durante i fittings, probabilmente più per la sua avvenenza, piuttosto che per la sua, comunque notevole, competenza in fatto di moda. Stanco di passare più tempo in volo che in showroom, ha quindi deciso di partire e venire a Los Angeles per dedicasi esclusivamente della clientela americana. 
Gli accordi iniziali erano che io sarei rimasta a Milano per occuparmi delle richieste provenienti dagli showrooms di Asia ed Europa. Quando però la mia situazione personale è precipitata, mi ha proposto di trasferirmi con lui, e così ho fatto, lasciando che altri due colleghi subentrassero a noi nella sede di Milano. 
Inizialmente entrambi ci occupavamo sia dell’abbigliamento maschile che di quello femminile, un annetto dopo ho espresso il desiderio di poter seguire esclusivamente i clienti uomini. 
Luca passò un intero giorno, lungo, interminabile, sfiancante, a fare battute: “La verità è che vuoi l’esclusiva di chiedere se lo portano a destra o sinistra”, ”Ma sei davvero sicura sicura? Secondo me tutto quel testosterone ti farà male, non vorrei averti sulla coscienza”, ”Lo sai vero che rischi di diventare cieca? Oh mamma, dovrò regalarti un cane guida”. 
Malgrado le sue battute, che già dal momento in cui avevo chiesto quel cambiamento sapevo avrebbe fatto, fu ben felice di lasciare che fossi io ad accollarmi l’incombenza di lavorare per “ignoranti-pene-muniti che non distinguono un lupetto da un dolcevita”. Il solito esagerato.
Mentre Luca credeva di aver vinto alla lotteria non dovendo più occuparsi della divisione uomo, che ha sempre ritenuto noiosa e senza stimoli, io ero più che felice di lasciare a lui le mogli e le compagne degli ignoranti-pene-muniti, le cosiddette oche-silicone-munite che perennemente insoddisfatte del loro aspetto, tra l’altro poco visibile sotto strati di trucco e parrucco, e mummificate dentro le loro guaine contenitive, richiedono quintali di pazienza e tonnellate di smancerie.
Ma Luca non si scoraggia, anzi, si consola facilmente ogni volta che deve occuparsi delle giovani clienti, attrici, cantanti e soubrette con alcune delle quali si intrattiene anche fuori dall’orario di lavoro. Per allargare il suo giro di conquiste, ha addirittura convinto il padre ad aprire un club privato ed esclusivo, dichiarandolo indispensabile per l’immagine del marchio e che verrà inaugurato tra due settimane. 
Può infinocchiare i suoi, che amano così tanto il loro unico figlio da non essere capaci di negargli niente, ma io so che tra due sabati verrà aperta ufficialmente la caccia alle pollastre all’interno della riserva di Luca Ferraris.
«E quella porta?» chiedo a Luca, indicando l’angolo accanto alla libreria.
«Vai a vedere» risponde ammiccando. 
Faccio come dice e mi trovo all’interno di un piccolo bagno dotato di cabina doccia.
«Ma dai, il bagno in ufficio. Tu mi vizi»
«Vedrai che figata, io uso molto più spesso la doccia del mio ufficio che quella del mio appartamento»
«Appartamento? Quale appartamento? Non stai più alla villa?»
«In linea di massima sì. I miei con tutto il lavoro che hanno a Milano la usano così poco che posso godermela tranquillamente, ma ho comunque preso un loft a due passi da qui. Non sempre la sera ho voglia di guidare fino a Malibù» 
«Soprattutto quando hai tracce di sangue nell’alcol» lo sfotto, strizzandogli un occhio.
«Che palle! Non sono un ubriacone, non ho mai preso una sbronza in vita mia» lo guardo alzando un sopracciglio «Quasi mai» si corregge.
«Cambiamo discorso che è meglio. Posso dedicarti tutta la mattinata. Dopo pranzo arrivano la signora Carter e la figlia per scegliere l’abito da sposa. La vecchia è al quinto matrimonio e ha voluto di nuovo un abito bianco» ghigna divertito, mentre stravaccato sul divano con le braccia aperte accarezza la pelle della seduta. 
Rido anch’io, pensando alla “vecchia babbiona Carter”, con il suo viso rugoso coperto dal trucco pesante e i capelli ossigenati e cotonati. La immagino avvolta in una nuvola d’organza e chiffon mentre si muove come Marilyn, con l’aria che le solleva la gonna scoprendole la panciera. 
Ho i conati di vomito. In questi casi non è affatto positivo possedere una fantasia galoppante, termine che Alice ha coniato per i miei vaneggiamenti ad occhi aperti, spesso mi assalgono all’improvviso, come una scarica di gavettoni lanciati da un grattacielo che si schianta dritta sulla mia testa. 
«Lo so che sei deluso perché volevi essere tu il prossimo a incastrare quel bocconcino. Puoi sempre consolarti con la figlia» rido mentre mi siedo dietro la scrivania per verificare se la poltrona è davvero comoda come sembra. Sì, lo è.
«Scherzi? A quella mancano solo lo sciacquone e la catenella» ribatte, infilandosi il dito indice e medio in bocca «Non se ne parla proprio. Scommetto che malgrado l’età, é ancora vergine» 
«Possibile che alla veneranda età di ventotto anni non hai ancora imparato a guardare oltre l’aspetto fisico delle donne? In fondo, povera cucciola, non è colpa sua se ha preso dalla madre» 
«Ha parlato quella di primo pelo! Sbaglio o tra poco mi raggiungi?» 
Agito una mano come per scacciare ciò che ha appena detto «Sì, ma io sarò sempre più giovane di te»
«Oh, ma guarda, non ci avevo pensato. Certo che sei proprio un genio. Comunque, tornando alla povera Bambi, se davvero avesse preso dalla madre, altro che vergine. Quando sono a tiro la vecchia allunga sempre le mani. Una volta mi ha lasciato un livido su una chiappa» dice con sguardo incredulo «Comincio quasi a pensare che si sposa così spesso solo per poter stare un po’ con me quando proviamo gli abiti» afferma gonfiando il petto.
«Oddio, Luca, il tuo ego non ha veramente limiti»
«Sono semplicemente consapevole del mio fascino, che male c’è, scusa?» chiede con aria innocente.
«Oh, niente. Ora però basta con le stronzate. Da dove comincio?» chiedo entusiasta, tirandomi in avanti sulla poltrona e appoggiando i gomiti sopra la scrivania.
«Hai tutte le richieste e le scadenze nel tuo pc. Per quelle di questa settimana ci ho già pensato io. Se vuoi dargli un’occhiata, alcuni capi sono ancora giù alle spedizioni. Per quelle della prossima, ho passato tutto in sartoria, sono in lavorazione e li sta seguendo Meg» si raddrizza sullo schienale del divano e dopo essersi dato una pacca sulle ginocchia, mi guarda soddisfatto «D’ora in poi gli ometti sono tutti tuoi. Mi sono smazzato da solo anche tutti gli abiti per gli invitati all’inaugurazione, devi sono controllare come procedono»
«Oh certo, sia mai che vengano fotografati alla tua festa con i vestiti di un’altra maison» dico alzando occhi e braccia al soffitto.
Il momento battutine e aggiornamento lavorativo è terminato, lo capisco mentre mi guardo intorno e lo vedo giocherellare con lo strappo sul ginocchio dei suoi jeans. Rimaniamo in silenzio pochi minuti, finché incrociamo lo sguardo, così prendo un profondo respiro e rompo il silenzio, sperando di riuscire a trasmettergli tutta la mia riconoscenza «Devo ancora ringraziarti, senza il tuo aiuto non avrei mai avuto il coraggio di allontanarmi»
Scuote il capo abbassando il viso e subito dopo anche gli occhi «Sai bene che era da tempo che volevo trasferirmi, non ho fatto niente di così speciale, ti ho solo proposto di seguirmi» 
«Dico davvero, hai fatto tantissimo per me, e non parlo solo del trasferimento, della casa e di questo magnifico ufficio, ma del supporto che mi hai dato. Sei stato un vero amico. Sempre paziente malgrado i miei sbalzi d’umore. So di essere stata una palla al piede ultimamente e… insomma» alzo le spalle non sapendo proprio come continuare «Volevo solo ringraziarti»  
Mi guarda un po’ in imbarazzo. So che non ama sentirmi fare certi discorsi, preferisce quando lo prendo in giro o lo tratto male per scherzo «Lo sai che non devi ringraziarmi di niente. Ti voglio bene e sono felice di aiutarti. Anzi, mi sento in colpa per aver anticipato il mio trasferimento di un mese, ma volevo solo che per il tuo arrivo fosse già tutto sistemato. Anche se mi è pesato un sacco lasciarti sola proprio in questo momento» 
«Tranquillo. Dovevi seguire i lavori al club e io non potevo raggiungerti prima di avere consegnato tutti i capi per Cannes»
«Sì lo so. Ma insomma, come stai?»
«Bene, perché non si vede?» chiedo guardandomi.
«Lo vedo lo vedo. Quanti chili hai perso in questo mese?» solleva un sopracciglio tamburellando le dita sulla pelle nera del divano. Vorrebbe assumere un’aria minacciosa, invece mi fa sorridere.
«Boh, due o tre. Ma ora sto da dio con i pantaloni skinny» affermo.
«Che scema che sei!» mi punta un dito contro affilando lo sguardo «Ora che sei qui, ti terrò sott’occhio, carina, e controllerò che mangi regolarmente, e guai a te se sgarri» mi minaccia.
«Luca! Nemmeno mia madre mi stressa come te»
«Lei ora è lontana e ho tutta l’intenzione di assumere le sue veci. E ora, signorina-faccio-quello-che-mi-pare, posso sapere cos’hai combinato con Dario in questo mese?»
«Niente di che. È rimasto tutto esattamente come prima della tua partenza» 
Sospira a bocca chiusa allargando le narici. Io deglutisco e sento il mio stomaco che si contrae. So che è da quando ci siamo abbracciati ieri in aeroporto che vuole farmi la domanda che, con ansia, sono in attesa di sentirgli sparare. Prende tempo, sa che sta per addentrarsi in discorsi che potrebbero portarci a una furiosa discussione.
«Com’è possibile che sia tutto uguale? Voglio dire, come ha preso il tuo trasferimento?» abbasso gli occhi per non guardare i suoi che già mi stanno giudicando colpevole «Reb, dimmi la verità, come sei rimasta con lui?»
Sospiro e cerco di assumere l’espressione più innocente di cui sono capace, poi farfuglio le parole che lo faranno sicuramente alterare «Lui crede che… insomma… gli ho detto che starò qui solo per un breve periodo. Pensa che tornerò al massimo tra due-tre mesi e che questa separazione mi servirà a capire che lo amo. Non ha usato proprio queste parole ma quasi» 
«Reb!» grida, e io salto sulla poltrona portandomi una mano sul petto per lo spavento «Ma è possibile che continui a fare casini? Se pensa questo è colpa tua che non gli hai detto che non sai né quando né se tornerai. Che vuoi fare ora? Affrontare l’argomento per telefono? Con l’Oceano che vi separa?» me l’aspettavo che si sarebbe incazzato, non così tanto però.  
«Vuoi smettere di darmi sempre contro» sbotto anch’io «Non è così semplice per me parlare con lui, è terribilmente testardo» 
«Okay, è testardo, sono d’accordo con te, ma lo sei anche tu che ti ostini a tenergli nascosti i tuoi sentimenti e le tue vere intenzioni»
«Non è vero, lui sa perfettamente come la penso. Te ne ho parlato tante di quelle volte che... maledizione...» m’interrompo sprofondando nella poltrona «che non ho nemmeno più voglia di farlo»
«Spiegamelo un’altra volta, per favore. Ti ascolto» dice scocciato, incrociando le braccia. 
Gonfio le guance e guardando in alto soffio fuori l’aria lentamente.
«Lo sai benissimo. Voglio molto bene a Dario, è l’uomo migliore che io abbia mai frequentato, ma comunque non sono così sicura di amarlo. Con quello che è successo, poi, non so quanto sia giusto nei suoi confronti continuare questa relazione. Ho bisogno di tempo per capire cosa voglio e cosa è più giusto per tutti e due. Solo di una cosa sono certa: non voglio fare il salto di qualità. È solo lui che si sente stretto in questo tipo di rapporto. Ma poi dai, chiedermi di sposarlo. Ma ti rendi conto? A me, che  solo l’idea del matrimonio mi provoca l’orticaria e un attacco di gastrite acuta»
«Sì certo, lo cantava anche Anouk e ha già detto sì due volte» dice tirando su due dita della mano destra e muovendole.
«Me ne frego di quello che fa lei, e anche di tutti gli altri. Il matrimonio non fa per me, è per i deboli che hanno paura ad affrontare la vita da soli, uomini e donne che quando poi le cose non vanno come previsto, calpestano tutte le promesse fatte senza il minimo rimorso»
«Certo certo. Inutile illudersi perché l’amore eterno non esiste. Che senso ha sposarsi se tanto c’è il divorzio. Prima o poi l’attrazione fisica sparisce e a quel punto è meglio andarsene ognuno per la sua strada, e… bla… bla… bla…» facendo ruotare l’indice della mano destra, elenca una minima parte delle mie teorie contro il matrimonio. 
Alzo lo sguardo al soffitto e incrocio le braccia sulla scrivania.
«Okay, stai calma» si alza in fretta dal divano e prende posto sulla poltrona al di là della scrivania «Non sto certo dicendo che devi sposarlo, non lo farei mai. Tu non sei sicura, d’accordo, ma lui ti ama e vorrebbe trascorrere il resto della sua vita accanto a te, non è giusto illuderlo, non se lo merita, e questo lo sai anche tu» termina prendendomi una mano e chiudendola tra le sue.
«Non sto illudendo nessuno, lui sa benissimo quanto sono restia a intraprendere una relazione che comporti prendere degli impegni a lungo termine. Non ho nessuna intenzione di riporre tutte le mie speranze e il mio futuro nelle mani di un uomo, nemmeno se quest’uomo è Dario. Se lui sarà d’accordo e accetterà di continuare come abbiamo fatto finora, bene, altrimenti, amici come prima» mi massaggio le tempie, sentendo già vacillare tutto ciò che ho appena affermato «Forse però sbaglio di nuovo. Oddio, non lo so nemmeno io. So solo che la cosa migliore per lui sarebbe lasciarci e basta, non dovrei tenerlo legato a me senza dargli nessuna certezza. Ma ora come ora non sono in grado di decidere, e il mio egoismo in questo momento mi spinge a prendere tutto l’affetto che è in grado di darmi, senza curarmi delle sue esigenze» 
«Hai detto che quando ti ha chiesto di sposarlo, e tu sei rimasta zitta come un pesce lesso, ha detto di essere disposto ad aspettare. Non devi per forza prendere una decisione su due piedi»
«Sì lo so cosa mi ha detto. C’ero io, ricordi? E per essere precisi la sua è stata una non proposta» il mio tono non nasconde quanto mi scocci toccare l’argomento «E comunque, non mi ha detto per quanto tempo sarà disposto ad aspettare. Lo sto tenendo sul filo del rasoio ad attendere un sì che so benissimo fin da ora che non gli dirò mai. Non capisce che se il suo desiderio è crearsi una famiglia, stando dietro a me, sta solo perdendo tempo» 
«Scusa se insisto, ma sei sempre convinta che nascondergli la verità su tutto quello che è successo il giorno dell’incidente, sia la cosa migliore? Non pensi che avrebbe il diritto di sapere?»
«Che senso avrebbe a questo punto. Lo farei solo soffrire inutilmente»
«Ti manca solo il coraggio» sbotta, e io alzo la testa di scatto per fulminarlo con lo sguardo «Tesoro, devi assolutamente dirgli tutto quello che ti è passato per la testa quel giorno e della decisione che avevi preso prima che quell’idiota tatuato imbucasse uno stop senza nemmeno rallentare. Invece di farti assalire dai sensi di colpa, dovresti solo essere felice di essere ancora fra noi per poterlo raccontare» 
«Merda! Credi che non sappia che hai ragione? Non trovo il coraggio, okay! È ancora troppo presto per me. Sono una maledetta fifona che ha paura di raccontare tutte le cazzate che ha fatto. Un giorno forse, e dico forse, lo farò» dico con voce alterata.
«Trovalo questo cazzo di coraggio! Per la miseria, Reb, non ti riconosco più» anche la sua voce è salita di volume.
«Luca, non posso, gli ho mentito quasi per un mese intero prima dell’incidente» insisto, saltando sulla poltrona come se scottasse.
«E a oggi i mesi che gli racconti cazzate sono diventati quasi quattro» precisa lui, buttando lì la frase come se io non lo sapessi già.
«Oh, grazie Luca per il chiarimento. Sai dov’è la mia agenda? Me lo devo segnare. Che scema che sono, mi ero scordata da quant’è che sono diventata una bugiarda incallita» rispondo acidissima.
«Ma piantala! Sto cercando di dirti che non puoi continuare così. Sono sicuro che quando ti deciderai a vuotare il sacco, lui capirà che pensavi solo di fare la scelta giusta anche per il suo bene. Eri solo spaventata e confusa perché avevi deciso di…» 
Prima che dica il resto, mi alzo di scatto e gli punto un dito contro «Ora basta!» 
La discussione ha assunto come previsto toni piuttosto accesi e non voglio assolutamente litigare con lui, non si merita il mio tono isterico. Ma anche se è il migliore amico che si possa avere, devo farlo tacere prima che continui con le solite menate che mi propina ogni volta che affrontiamo l’argomento.
Mi rimetto seduta, sbattendo in fretta gli occhi per bloccare le lacrime sul nascere, mentre Luca mi scruta affranto perché con questa discussione pensa di aver risvegliato in me il senso di colpa, non sa che in realtà è vigile e pronto a riaffiorare in ogni momento. La sua ramanzina non c’entra proprio niente con lo smarrimento che probabilmente legge in questo momento nei miei occhi, perché ormai sono sospesa in questa specie di limbo dal giorno in cui ho rischiato di morire. 
Quel giorno pensai davvero di aver preso la decisione giusta. Ma invece sbagliai tutto quanto, perché avevo aspettato troppo, a decidere, a superare le paure, ad accettare quell’enorme cambiamento, così mi fu tolta la possibilità di cogliere l’opportunità che mi era stata data. 
Solo Luca e Alice sanno cosa è successo in quelle poche ore che mi hanno segnato in modo indelebile. E mentre lei ha accettato che mi prendessi tutto il tempo necessario per superare il mio senso di colpa, e anche che forse non troverò mai il coraggio per confessare tutto a Dario, lui ancora insiste perché gli dica tutta la verità e il prima possibile, e so che non si arrenderà fino a quando non l’avrò fatto.
«Reb, guardami» il suo tono è calmo e rassicurante. Ho sempre invidiato la sua capacità di cambiare umore in un istante «Ti dirò solo un’ultima cosa,  poi ti prometto che non toccheremo mai più l’argomento se non sarai tu a volerlo» sospira e continua guardandomi dritta negli occhi «Non sarai mai in grado di parlargli se prima non perdonerai te stessa» 
E con il mio silenzio, chiudiamo la discussione.
 
L’ora di pranzo arriva velocemente, ordiniamo dei piatti cinesi che consumiamo nel suo ufficio e, dopo aver bevuto il nostro caffè, lo lascio al suo appuntamento con la Carter. 
Mentre torno verso la mia stanza, sento gridare il mio nome e mi volto appena in tempo per vedere Margaret che mi salta al collo per abbracciarmi, con il suo metro e ottanta mi trovo con la testa schiacciata tra i suoi seni abbondanti.
«Reb! Che bello che sei qui. Non vedevo l’ora!» 
«Meg, così mi strozzi» la supplico ridendo.
«E te lo meriteresti anche, sono giorni che ti cerco e nemmeno rispondi ai miei messaggi» mi dà uno schiaffetto sul sedere e mi libera dall’abbraccio.
«Hai ragione, scusa, ma è stata una settimana piuttosto intensa» mi giustifico, e lei mi guarda stringendo un po’ i suoi occhietti neri.
«Okay, ti perdono. Ma dimmi, ti piace il nuovo ufficio? E l’appartamento? Ho aperto io al corriere quando ha consegnato la tua roba, così l’ho già visto, mi sembra perfetto per te» la sua voce è entusiasta.
«In effetti è bellissimo e soprattutto vicino al lavoro, con il taxi arriverò in un attimo»
«Il taxi? E perché? Lo sai che puoi usare un’auto aziendale»
«Meg, io non guido più» sussurro. 
«Oh cavolo, scusa, non lo sapevo. A causa dell’incidente?» non aspetta nemmeno la risposta «Poco male, vorrà dire che verremo a lavoro insieme con la mia auto. Ti prometto che andrò piano e sarò molto prudente. Ma ci pensi che bello, saremo vicine di casa!» prende le mie mani e saltella sul posto. 
«Allora io offrirò la colazione» 
«Non tentarmi, non mi avvicino a una pancake da… boh, non so nemmeno da quanto, e nonostante tutti i miei sforzi, come vedi, continuo a non calare di un etto. Tu piuttosto, ti vedo un po’ sciupat… cioè, scusa, non volevo dire che…» si zittisce portandosi una mano alla bocca. 
«Sì lo so, sono un po’ dimagrita. Ma questi ultimi mesi sono stati piuttosto stressanti» 
«Comunque stai benissimo, vorrei avere io questo problema. Ora però andiamo nel tuo ufficio, così diamo un’occhiata agli appuntamenti» 
 
Passiamo il pomeriggio controllando l’agenda e compilando un abbozzo di timing per i prossimi giorni. Questa prima settimana non ho molto da fare, Luca ha già evaso tutte le richieste, ma per tutto il mese prossimo sarò impegnata da mattina a sera. 
Lavoro bene con Margaret, è precisa e scrupolosa, posso sempre contare su di lei per risolvere i molti imprevisti, poi la sua energia e il suo entusiasmo contagiano inevitabilmente chi le sta intorno. Spero che riuscirà a farlo anche con me. 
Mentre controllo le e-mail da leggere, ne vedo una di Dario, guardo l’ora, sono le sei, le tre di notte in Italia, faccio per aprirla ma Meg si alza dalla poltrona stirando la schiena, e tra uno sbadiglio e l’altro farfuglia «Basta, ci vedo doppio, e anche tu per oggi fai festa. Ora andiamo a fare la spesa e ci prepariamo una bella cenetta a casa mia»
Alzo un attimo lo sguardo dal monitor per guardarla «Veramente io dovrei ancora finire di disfare le valigie. Anzi, per dirla tutta, dovrei proprio cominciare» 
«Eh no, ti ricordo che hai promesso di insegnarmi a preparare i veri spaghetti al pomodoro, e stasera ho proprio voglia di saltare la dieta. Quindi, arresta il sistema e alza il culo dalla poltrona. Subito!» ordina, mentre getta la mia giacca e la mia borsa sulla scrivania. 
«Okay, guardo solo se Luca è nel suo ufficio, altrimenti gli lascio un messaggio per avvertirlo che vengo via con te» 
 
Davanti ai nostri bicchieri ancora pieni di vino e i piatti ormai vuoti, Meg mi racconta i vari pettegolezzi dello showroom. La maggior parte dei colleghi che nomina non so nemmeno chi siano, devo interromperla continuamente per farmi fare un’accurata descrizione della persona di cui sta sparlando, almeno i volti li ricordo bene. 
Talvolta mi capita di vedere qualcuno per strada ed essere sicura di averlo già incontrato, ma non ricordo in quale circostanza e tanto meno il suo nome. Una volta, un ragazzo che era stato mio vicino di casa per una quindicina d’anni, mi chiamò per nome mentre ero in un supermercato. Rimasi imbambolata davanti a lui per un tempo che mi sembrò infinito, aprendo più velocemente possibile tutti i miei cassetti dei ricordi. Aprivo e richiudevo in modo frenetico, mentre l’ansia di star facendo una succulenta figura di cacca mi assaliva. La Rebecca nella mia testa era sfinita, correva come una pazza avanti e indietro, alla fine si girò verso di me, spettinata e sudata, e allargò le braccia dicendomi: ”Scusa Reb, ma non so più dove guardare”. Pensando che dovevo licenziare, con giusta causa, la piccola Reb nel mio cervello, me ne stavo zitta, davanti a quel ragazzone di due metri e stringevo il cestino della spesa con le mani che cominciavano a sudarmi. Per fortuna mi venne incontro lo sconosciuto che aveva capito da dove nascesse il mio evidente imbarazzo, mi disse il suo nome e io come una cretina cominciai a balbettare che era passato un sacco di tempo e che nel frattempo era cambiato e cresciuto. Lo salutai in fretta e con la coda fra le gambe continuai a fare la spesa. Ora però ricordo benissimo il suo nome. 
«Tu invece, dai raccontami un po’, come stai? Sono passati quasi tre mesi dall’incidente, vero?» chiede Meg, e io annuisco «Dio, quando Luca mi chiamò per dirmi che dovevo occuparmi del tuo lavoro perché eri in ospedale, mi spaventai tantissimo. Mi dispiace non essere venuta a trovarti, ma sai bene che non mi era possibile mollare così su due piedi lo showroom»
«Lo so, tranquilla, e poi, se ti avessi vista in ospedale, ti avrei ricacciata indietro io. E anche se non sei venuta, so che chiamavi ogni giorno per sapere come stavo. Tu e Karen siete state impagabili a occuparvi di tutto, visto che nemmeno Luca ha lavorato per giorni, non riuscivo a mandarlo via dalla mia camera nemmeno per farlo riposare un po’. Ha usato tutte le sue armi di seduzione con le infermiere per non farsi cacciare» le dico per sdrammatizzare.
«Luca era sconvolto, mi disse che dopo che aveva visto la tua auto, sembrava impossibile che tu fossi uscita da quel rottame solo con qualche livido e qualche taglio»
Posso capirlo, anch’io m’impressionai quando vidi le foto della mia auto, sembrava una scatoletta di tonno dopo un incontro impari con un mazzuolo.
«Sì, sono stata davvero molto fortunata» rispondo, senza alcun entusiasmo nella voce.
«E come va con il tuo bel giornalista?» ecco, sono fregata. E ora che le dico?
«Tutto bene, sì, insomma, adesso con questo trasferimento sarà un po’ più difficile vederci e stare insieme» tergiverso, anche se ora che è partita con le domande, si salvi chi può.  
«Infatti, mi chiedevo, come farete? Anche lui è molto preso dal lavoro, no? Con quel suo programma in tv. Intervista quelli che corrono con le macchine, vero?» non ha capito niente di quello che le ho già ripetuto non so quante volte. 
«Hai ragione, è molto impegnato. Quando non scrive per la rivista è in giro per il mondo per fare le telecronache delle gare del MotoGP» mi guarda con le sopracciglia aggrottate e vedo un grosso punto interrogativo che lampeggia sopra la sua testa «Le gare di moto, Meg, hai presente?» chiedo, mimando il gesto di dare gas a un manubrio. 
«Ah, ecco, infatti mi ricordavo c’entrasse quel vostro centauro… com’è che si chiama… aspetta, come lo stilista…» picchietta un dito sul mento guardando per aria.
«Intendi Valentino? » chiedo ridendo. 
«Sì certo! Valentino!» agita una mano per farmi capire che vuole liquidare il discorso «Va be’, a me interessa di più lo stilista, ovviamente. Ma tornando a noi, come farai con Diego? Verrà a trovarti, vero? E quando? Finalmente potrò conoscerlo» dice entusiasta. Sì certo, sono venuta per stare un po’ lontana da lui, e lui che fa, mi raggiunge? 
«Intanto si chiama Dario. E non credo che potremmo vederci prima di fine luglio, quando verrà per un gara a Monterey»
«Ma è un sacco di tempo! Cavolo! Dovrò aspettare ancora così tanto prima di conoscerlo» si lamenta «Non è che hai una foto di lui da farmi vedere?»
«No, non qui»
«Uffa, sono troppo curiosa» sbuffa, ma un secondo dopo si illumina e corre verso la camera «Però mi è venuta un’idea» grida per farsi sentire dall’altra stanza.
Saltellando, torna con un computer portatile e lo accende, poi, tamburellando impaziente con le unghie, aspetta l’avvio del sistema, mentre io la guardo non capendo cosa abbia in mente, so solo che sono spaventata dall’occhiata furba che mi sta lanciando.
«Che stai facendo?» le chiedo.
«Ora mi fai vedere il tuo fidanzato» afferma, e mentre io continuo a non capire, gira il computer verso di me «Dai, cerca qualche sua foto. Nel tuo paese è famoso, no? Dai muoviti!» esclama indicando la tastiera. 
Non ci credo, è una pazza sfrenata!
«Ma dai, Meg, piantala» cerco di chiudere lo schermo ma gridando mi blocca la mano. 
«Ferma! Ora me lo fai vedere, altrimenti faccio da sola, chiamo Luca e gli chiedo qual è il cognome di Diego» dice, afferrando il suo cellulare. 
Mi arrendo e digito: Dario Corsi giornalista sportivo. Un secondo e appaiono un sacco di link che lo riguardano.
«Dai a me!»
Meg mi sfila il mouse dalla mano e clicca su immagini. In un attimo il video si riempie di foto dello stesso bellissimo uomo dal viso a me così familiare: Dario con le cuffie mentre parla a un microfono durante la cronaca di qualche gara. Sorridente mentre abbraccia un motociclista con indosso la tuta di pelle. Sui seduto dietro la scrivania nell’ufficio della tv in cui lavora. 
E ancora Dario, in mezzo a una pista, accerchiato dalle Paddock girls, alias ombrelline, svestite con top e hot pants, e, ovviamente, un immancabile ombrello in mano a ciascuna. Mi avvicino allo schermo e affino lo sguardo per vedere meglio le mani che spuntano ai lati della vita di Dario, che non sono nient’altro che le estremità degli arti superiori delle due Paddock girls che gli sono più vicine, alias queste mi stanno un po’ sulle balle
Mi faccio un appunto mentale: quando, e se mai, andrò a vedere una corsa con lui, devo passare prima a comprare una sega elettrica, dovrà essere dotata rigorosamente di batteria ricaricabile per una migliore maneggevolezza e omologata per tagliare anche le ossa del corpo umano. Però, a differenza del maniaco del film “Non aprite quella porta” che fa brandelli delle sue vittime con il volto coperto da una maschera, io mi presenterò nei box a volto scoperto. Voglio che le Paddock girls, alias da domani cotechino gratis alla mensa del circuito per tutti, vedano bene in faccia chi sarà a infilare la poltiglia che rimarrà dei loro corpi siliconati dentro a un budello di maiale. Sono talmente persa nel mio trip mentale che vedo addirittura scorrere i titoli di coda del film trasmesso in fascia protetta solo nel mio cervello dal titolo: “Quando una donna con l’ombrello incontra una donna con la sega elettrica, quella con l’ombrello è una donna morta”. Ormai sono quasi alla fine e voglio sapere anche i nomi dei protagonisti, quindi continuo a leggere. Interpreti: Rebecca Eastwood-la donna incazzata con la sega elettrica, Paddock girls-il cotechino con l’ombrello. 
Premo il tasto stop per interrompere l’esecuzione del film che ha appena soffiato il podio a “Harry ti presento Sally” nella mia classifica personale dei preferiti e ridestandomi, come “La bella addormentata nel bosco di funghi allucinogeni”, vedo Meg che clicca su una bellissima immagine di Dario, la foto s’ingrandisce e lui appare a tutto schermo sorridente mentre è appoggiato con gli avambracci al manubrio di una moto, ha le mani intrecciate tra loro e i capelli neri scompigliati dal vento, indossa una camicia azzurra con le maniche arrotolate e con i primi due bottoni aperti, attorno al polso sinistro, in bella vista, vedo l’orologio che gli ho regalato a Natale. 
Quel giorno rimarrà per sempre stampato nella mia mente, non potrò mai scordare la mattina in cui Dario mi disse per la prima volta che mi amava e che quasi mi chiedeva di sposarlo. 
 
Dopo che uscii dal lavoro, andai da lui per trascorrere la vigilia insieme, aveva impiegato la giornata tra supermercato e fornelli per preparare i miei piatti preferiti. 
Passammo la serata tra le risate alimentate ora dopo ora dai bicchieri di vino e la palpabile tensione sessuale che quando raggiunse il culmine ci trascinò in camera da letto. Ci addormentammo all’alba, sfiniti, ancora piuttosto brilli, ma completamente appagati. 
Il giorno dopo, a metà mattina, mi alzai in silenzio per non svegliarlo, misi un po’ in ordine il disastro che avevamo fatto la sera prima e prepari la colazione, accanto alla sua tazza lasciai il pacchetto con dentro l’orologio e andai a svegliarlo con baci e carezze. 
Sedendosi a tavola vide il regalo, mi dette un bacio su una tempia e andò in camera, quando tornò, si fermò alle mie spalle: ”Il mio regalo volevo dartelo ieri sera, ma volevo che fossi perfettamente lucida quando l’avresti aperto, e considerando come eri brilla ho preferito aspettare”. 
Presi un biscotto e senza nemmeno voltarmi risposi: “Non ero l’unica persona brilla in questa casa ieri sera. E comunque mi sembra che il tuo regalo me lo hai già dato, più di una volta, per essere precisi” risposi, poi ridacchiai mentre inzuppavo il biscotto nel mio caffelatte. 
Mi picchiettò con un dito sulla spalla e mi voltai per guardarlo, aveva in mano una piccola scatolina di velluto blu, un nastro argento la chiudeva con un fiocco. Rimasi immobile sopra la mia sedia, con addosso solo una sua t-shirt bianca e le mutandine, avevo i capelli spettinati e gli occhi ridotti in due fessure per la nottata appena trascorsa. Imbambolata fissai la sua mano, con la vista offuscata dal panico riusciva a vederci sopra solo una macchia blu, percependo chiaramente il mio sangue diventare più fluido e in un attimo abbandonare il mio viso per raggiungere la punta dei miei piedi. Un pezzo del biscotto, che ancora senza rendermene conto tenevo in mano, cadde nel latte schizzando la mia maglia e la tovaglietta. 
Dario prese il pezzo di Grancereale ancora superstite tra le mie dita e lo lanciò sopra alla tavola, poi, prendendomi una mano, mi trascinò verso il divano, dopo essersi seduto stringendomi i fianchi mi fece sedere a cavalcioni sulle sue gambe. Mise la scatolina sul tavolino accanto a noi e prendendomi le mani tra le sue disse: ”Dalla faccia spaventata che hai, intuisco che hai capito perfettamente cosa c’è lì dentro”.
Cazzo se l’avevo capito!
Non percepivo più il mio corpo, mi fischiavano le orecchie e una Banda da festa di paese suonava nella mia cassa toracica, la grancassa era al centro esatto del mio cuore, mentre delle mini Majorettes vorticavano attorno alla mia testa roteando il loro bastone e agitando braccia e gambe, alzai lo sguardo per vederle meglio e abbassai subito la testa di scatto. Per un pelo, la biondina sulla destra, lanciando il bastone in aria quasi mi sfondava il cranio. La stronza mi sorrise. Ridi ridi, pensai, io riderò quando mi riprenderò dal mio stato di shock e tu sarai solo l’ennesimo ologramma che finirà a marcire con tutti gli altri da me generati. 
Dario prese il mio viso tra le mani e accarezzandomi le guance con i pollici chiese: ”Sei con me?” Ridestandomi annuii e guardandolo negli occhi riuscii solo a pensare che dovevo trovare in fretta le parole per rifiutare la sua proposta, parole che però non dovevano né ferirlo né allontanarlo da me. Non sapevo se lo amavo, ma era l’uomo migliore che avevo frequentato in quasi ventotto anni di vita e non volevo assolutamente rinunciare a lui. 
Prese di nuovo le mie mani e stringendole più forte di prima iniziò a parlare: “Fino a oggi ci siamo frequentati senza nessun tipo d’impegno da parte di entrambi, tranne l’esclusiva a letto, come se fossimo due amici che escono insieme e si divertano a scopare ogni tanto. La verità è che per me non sei mai stata un’amica, e con te non ho mai scopato e basta” la sua voce riusciva a essere dolce anche quando diceva parole volgari. 
Sospirò e continuò: “Hai messo fin dall’inizio dei limiti al nostro rapporto, e io fino a oggi ho cercato di rispettarli non avendo altra scelta se volevo stare con te. Oggi, con l’anello che è dentro a quella scatola, volevo chiederti di sposarmi”. 
Deglutii vistosamente spalancando gli occhi, allora lui mi trascinò sul suo petto e, accarezzandomi la schiena, continuò a parlarmi all’orecchio a bassa voce: “Non domani, non tra un mese o un anno. Volevo da te solo la promessa che prima o poi sarebbe successo. Volevo che mettessi quell’anello per dimostrarmi che il nostro rapporto aveva la possibilità di evolvere verso un nuovo obbiettivo desiderato da entrambi. Volevo farti conoscere la mia famiglia presentandoti come la mia fidanzata e volevo conoscere la tua presentandomi come il tuo fidanzato”. 
Sospirò di nuovo e alzò di poco il tono della voce: “Ma visto che non mi va di trascorrere il giorno di Natale al pronto soccorso, perché vista la tua reazione vedendo la scatola senza nemmeno averla aperta, so che se vado fino in fondo a quello che mi ero prefissato stramazzerai al suolo in preda a una crisi epilettica, per oggi mi limiterò solo a dirti che ti amo da impazzire e che tu sei la donna che desidero al mio fianco per il resto della mia vita. Ti prego di non arrabbiarti se sto andando contro alle regole che avevi stabilito fin dall’inizio, ma è evidente che non posso e non voglio più rispettarle. Non nego che se ora tu mi saltassi al collo dicendo che accetti la proposta che, bada bene, io non ti ho fatto, questo giorno diventerebbe il più bello dei miei trent’anni”. 
Questa volta sospirai io, dimostrandogli di essere ancora viva, piuttosto provata, ma ancora viva: “So che sei confusa e che ti ho presa completamente alla sprovvista. Starai anche pensando che è da troppo poco tempo che stiamo insieme perché io possa essere davvero sicuro di voler progettare un futuro con te. Effettivamente prima di conoscerti non avrei mai pensato di poter amare una pazza svitata come te. In realtà non avrei mai pensato di poter amare”. 
Mi baciò sul naso e sulla fronte: ”Ma ti garantisco che so perfettamente cosa voglio nella vita, e voglio te”. 
Stringendo la sua maglia, sospirai ancora: “D’ora in poi dovrai accettare che non nasconderò più i miei sentimenti per te. Ti dirò che ti amo ogni volta che ne sentirò l’esigenza e ti riempirò di tutte le attenzioni e l’amore che fino a oggi non hai voluto per paura di un coinvolgimento, nel quale, almeno io, sono già arrivato al punto di non ritorno. Ma prometto che non ti farò pressioni di nessun tipo, rispetterò i tuoi tempi e ti aspetterò”. 
Non pronunciai mezza parola, immobile come una statua continuai a stringere la sua t-shirt senza riuscire a guardarlo nemmeno negli occhi, mentre lui aveva circondato la mia schiena con un braccio. Sentivo la sua mano stringere delicatamente la mia vita mentre l’altra era sopra il mio pugno sul suo petto. 
Nei giorni precedenti avevo notato in lui un certo cambiamento nei miei confronti, era diventato particolarmente affettuoso e cercava di trascorrere con me più tempo possibile, trascurando talvolta i suoi impegni. Ogni tanto lo scoprivo a fissarmi assorto, e io, con la mia patologica ingenuità, pensavo, cominciando anche a preoccuparmi, che cercasse in me i primi segni d’invecchiamento. Mai avrei immaginato che potesse nascondere la dichiarazione che mi aveva appena fatto, ancor meno un’imminente non proposta. Non avevo capito niente, come al solito. 
Sopraffatta dai sensi di colpa, cedetti alle lacrime che già da un po’ premevano per uscire. Era quasi una scena comica, ero io che avevo rifiutato la sua non proposta, pur non avendo pronunciato una sola vocale, che singhiozzavo tra le sue braccia, mentre lui, che mi aveva appena aperto il suo cuore ricevendo un alt a tempo indeterminato ai suoi propositi, mi stringeva e soffiava dolcemente al mio orecchio parole di conforto. 
Quando mi calmai, mi fece alzare e prese la scatolina: “Questa per ora la mettiamo via” disse, e la riportò dove probabilmente era stata fino a mezz’ora prima. Tornò un attimo dopo tenendone in mano un’altra, più bassa e larga della precedente. Ancora in tremendo imbarazzo, la aprii cercando di sorridere e con voce roca sussurrai un timidissimo grazie
Ci sedemmo di nuovo a tavola per finire la colazione, io con indosso gli orecchini che mi aveva regalato, lui con l’orologio al polso.  
       
Fisso i suoi occhi limpidi nella foto pensando alla discussione di questa mattina con Luca. Vedendolo felice e sorridente, mi dico che non avrò mai il coraggio di confessargli tutto, non voglio essere io la causa della presenza di ombre nel suo sguardo, non potrei mai perdonarmelo. 
«Reb, ma è uno schianto!» esclama Meg, indicando con il palmo della mano lo schermo «Ora mi spieghi come hai fatto a lasciarlo solo a Milano? Se io stessi con uno così, non mi allontanerei di un metro da lui, notte e giorno. E probabilmente finirei ricoverata in una clinica per curare un attacco acuto di ninfomania» 
La capisco, e nemmeno sa quanto Dario in realtà sia ancora più bello dentro che fuori.
«Sì, in effetti è piuttosto carino» minimizzo. 
«Carino? Ma che carino! È fa-vo-lo-so. Cioè, guarda quegli occhi verdi, e quella bocca è tutta da baciare. È pure abbronzato» credo che questa foto risalga al mese scorso. Era andato nel Qatar dove si era svolta la prima gara della stagione motociclistica e tornò con un bellissimo colorito.
«E tu dici che è carino? Averne, cavolo, di uomini “carini” così» dice alzando le mani per mimare le virgolette. Okay, voglio troppo bene a Meg per voler trasformare anche lei in un insaccato, però ora basta sbavare sulla foto del mio Dario.  
«Possiamo continuare domani? Vorrei andare a casa» chiudo la foto, google e mi alzo. 
Ci diamo un bacio sulla porta e vado verso il mio appartamento.
 
Rientro a casa e mi siedo di nuovo davanti allo schermo di un portatile, voglio leggere e rispondere alla e-mail di Dario.
 
Ciao Tesoro, com’è andato il viaggio? Lungo, vero? Mi dispiace, so che odi volare per così tante ore. Vorrei essere lì per massaggiarti la schiena che sicuramente avrai indolenzita. Ho appena terminato la riunione settimanale e come ti avevo accennato giovedì vado a Le Mans e rientrerò a Milano lunedì mattina. Sembra che il tempo non sarà dei migliori, probabilmente pioverà, e le gare con la pioggia sono più faticose anche per noi telecronisti. Quando verrò a Monterey ti porterò con me. Non vedo l’ora, soprattutto di rivederti. Sono sicuro che anche se non sei un’appassionata, ti divertirai a vedere una gara del MotoGP dal vivo, è assurdo che in un anno non sia ancora riuscito a trascinarti con me in un circuito. Come sta Luca? Ti ha già portato a vedere il locale? Oggi non ti ho disturbato perché sicuramente sarai stata molto presa dalle novità, ma domani aspettati una mia chiamata. Tieni aperto Skype, mi raccomando.
Mi manchi e ti amo.

 
Ciao Bellissimo, sono appena rientrata da casa di Margaret. Invito a cena con fregatura: ho cucinato io perché voleva gli spaghetti. Luca sta bene, da quando è qui dice di essere molto meno stressato. Il club lo vedrò all’inaugurazione, anche se non impazzisco all’idea, lo sai che non mi piace molto fare vita mondana. Ora ti saluto e vado a letto, sai com’è: jet lag. 
Ci sentiamo domani.
Reb
 
**
 
 

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Capitolo 3
*** 3 - Febbre ***


3 - FEBBRE
 
Febbre,
corre tra le dita la mia febbre,
amico mio,
dimmi perché?
Cade,
sprofondando lento il corpo cade,
sto bene io,
senza di me.
Dormirò per esserci, meglio così.
Febbre,
bagnami le labbra bianca febbre,
rimani qui,
dormi con me.
 
Partirò restando qui, meglio così.
Strade,
salgono le voci dalle scale,
la vita è lì,
e ride di me.
Sognerò per esserci, meglio così.
Febbre,
rosso azzurro caldo freddo,
febbre,
amico mio,
sto bene qui,
dimmi perché? 
 
[Timoria]
 
**


 
Venerdì 18 Maggio 2012
 
«Meg, per favore, fa’ vedere questi looks alla signora Carter, è in prova con Luca, se sceglie subito l’abito per il marito passa tutto in sartoria, le misure dovrebbe averle Karen. Altrimenti, prima che vada via, accompagnala qui da me che cerchiamo qualcos’altro insieme» 
Guardo l’ora: sono le cinque. Da quando sono partita, Dario mi ha chiamato o scritto ogni giorno. La sera, prima di andarsene dalla redazione, controlla sempre se sono in linea su Skype, altrimenti mi manda almeno una e-mail. Ora a Le Mans è notte fonda, proverò a chiamarlo stasera prima di andare a dormire.
Scendo in sartoria per controllare a che punto sono gli ultimi abiti confezionati per gli ospiti della festa al club. Gli stand sono pieni di capi di ogni genere, i completi maschili sono alcuni classici altri piuttosto stravaganti, quelli femminili sono elegantissimi, il colore che prevale è il nero, un paio sono oro e quattro argento. 
Mentre aspetto l’ascensore per tornare in ufficio, chiamo Meg per dirle che gli abiti sono quasi pronti e che lunedì mattina inizieremo a consegnarli. Non risponde, deve aver lasciato come sempre il cordless sulla scrivania. 
Mi giro distrattamente e alla reception vedo un uomo che dandomi la schiena sta con i gomiti appoggiati al bancone, è molto alto, con i capelli biondi che gli coprono il collo, indossa dei jeans scoloriti a vita bassa, una t-shirt nera e ha una camicia a quadri bianca e grigia annodata in vita, in terra, accanto ai suoi piedi, c’è uno zaino nero. 
Sarà un corriere che è venuto a ritirare o consegnare qualche pacco, un corriere grunge, per la precisione. Non so perché ma mentre provo a richiamare Meg non posso fare a meno di continuare a guardarlo, fino a che lui si gira verso di me di scatto, allora distolgo lo sguardo in fretta. 
Mentre mi rosicchio l’unghia del pollice, Meg finalmente risponde «Dimmi» nel frattempo la porta dell’ascensore si apre ed entro «Ehi Reb, mi senti?»
«Sì, scusa Meg. Sei in ufficio?» chiedo, premendo il pulsante del mio piano.
«Sì. La Carter ha scelto l’abito per il marito. Volevo scendere in sartoria ma Luca mi ha detto che sta arrivando un suo amico per scegliere un completo per la festa, mi ha chiesto se puoi occupartene tu perché lui non ha ancora finito»
Ogni giorno spunta un nuovo invitato che sembra non avere niente nell’armadio. D’accordo che Luca vuole che quel giorno tutti indossino i capi della nostra maison, ma non credo che sarà la fine del mondo se qualcuno si presenterà con altro addosso. 
Mentre la porta dell’ascensore si sta chiudendo, mi giro, l’uomo alla reception è andato via.
Entro in ufficio piuttosto scocciata. L’amico di Luca sarà l’ennesimo dandy che mi farà perdere un sacco di tempo per cercare qualcosa di originale. Questi dandy del cavolo.
«Reb, è arrivato Russel, posso farlo entrare?» chiede Meg, affacciandosi alla porta. 
In piedi davanti alla scrivania, guardo i books da mostrare al dandy «Sì certo. Stavo giusto preparando i books»
Lei torna di là e sento che lo invita a entrare nel mio ufficio.
Mentre mi avvicino alla porta, sfoglio un book con foto di completi dandy che più dandy non si può, ma quando nel mio campo visivo, a un passo da me, entrano un paio di Nike nere, risalgo lentamente con lo sguardo, vedendo dei jeans strappati che fasciano due gambe lunghe, molto lunghe. Continuo la mia risalita e arrivo dove vi è la prova inconfutabile che sono decisamente di fronte a un uomo. La t-shirt stropicciata copre un fisico asciutto ma arrivata ai pettorali, all’altezza dei miei occhi, penso che è asciutto ma non troppo. Alzo il mento per continuare la mia lenta scansione e vedo dei peletti far capolino dallo scollo a V della maglia, sono chiari, come i capelli lunghi che superano di un bel po’ il mento e come la barba di almeno tre settimane che lo ricopre. Le labbra sono ben disegnate e il sorriso appena accennato evidenzia denti bianchi e perfetti. Sollevando sempre di più il mento, sotto le sopracciglia folte e arcuate, vedo due grandi occhi turchesi, e sono puntati dritti nei miei scuri e forse in questo momento spalancati per lo stupore. 
Guardando con più attenzione l’angelico viso di fronte a me, improvvisamente mi sento invasa da eccitazione e paura contemporaneamente, mentre una scarica di adrenalina parte dalla base della mia schiena e risale per tutta la colonna vertebrale, quando arriva al collo, lo sorpassa, e partendo da quelli sulla nuca sento chiaramente i bulbi sollevare ogni mio capello, si arrestano solo una volta messi sull’attenti anche quelli sulla fronte. 
Cazzo! Kurt Cobain è resuscitato ed è qui che sta allungando la sua mano verso di me. Socchiudo gli occhi un secondo, mentre ho un unico pensiero che rimbalza tra le fibre dei miei neuroni: ”Ti prego, ti prego, cantami Smells Like Teen Spirit con la tua voce roca e profonda, così sarò in grado di raggiungere il Nirvana e morire felice”.
Riaprendo gli occhi, vedo che dischiude le labbra, in silenzio seguo attentamente ogni millimetrico movimento che fa la sua bocca, sta per attaccare con la canzone, lo sento. Sono a un passo dallo svenimento, allora prendo la sua mano che ancora è tra noi per sostenermi e non stramazzare a terra perché non voglio perdere i sensi proprio adesso e non godermi la sua performance. Appena sfioro la sua pelle, mi accorgo che le mie dita tremano visibilmente, in più ho la gola secca e tutti i sensi in allerta per non perdermi nemmeno un attimo dell’esperienza che sto per vivere. 
Stringo più forte la sua mano e finalmente sento la sua voce «Tutto bene?» di botto allento la stretta e faccio un salto indietro, scivolando quasi a terra.
«No, no! Non fa così!» grido, mentre lui sbatte gli occhi guardandomi perplesso.
«Come scusa?» chiede.
Cazzo! Quegli stronzi prima di rimandarlo di qua devono avergli resettato la memoria. 
Okay, non c’è problema, ci penso io «La canzone dico, non fa così. Poi la voce devi farla più roca. Forse non te la ricordi. Che stronzi! Ora ascolta me che magari ti torna in mente»
Prendo un respiro profondo e mi schiarisco la voce. Però non mi dà il tempo di cominciare a cantare perché m’interrompe «Forse stavi aspettando qualcun altro. Sono Russel, l’amico di Luca, mi ha mandato da te per scegliere un abito per la festa. Tu devi essere Rebecca» 
Indietreggio di un passo spalancando gli occhi.
«Eh?!» esclamo inorridendo.  
Fingendo un colpo di tosse, mette un pugno davanti alla bocca, e capisco che si sta trattenendo per non scoppiare a ridere.
«Sono Russel, un amico di Luca» ripete. 
Desiderando di poter sprofondare fino a raggiungere il centro della terra, mi passo una mano tra i capelli «Sì sì, ho capito. In effetti stavo aspettando qualcun altro. Scusami un attimo, torno subito»
Esco dall’ufficio e mi avvicino alla scrivania di Meg, lei e Karen per fortuna non sono qui, mi appoggio con le mani sul bordo e prendo diversi respiri profondi.
«Che hai, stai bene?» mi volto e Kurt, cioè Russel, è dietro di me visibilmente preoccupato.
«Sì, certo che sto bene. Scusami, non mi sono nemmeno presentata. Rebecca, piacere» questa volta la mia mano non trema, però è sudaticcia e appiccicosa.
«Piacere, Kurt» e che cazzo! 
«Come?!» grido. 
Devo averlo spaventato, perché scatta indietro con le spalle «Piacere, Russel» oddio. Starà sicuramente pensando che sono pazza, una pazza sorda.
«Luca mi ha detto che ti serve un abito per la festa» in fretta mi avvicino alla scrivania, dissimulando il mio nervosismo.
«Sì, te l’ho appena detto, ricordi?» ah sì? E io dov’ero? 
«Certo» taglio corto «Ho preparato questi books da farti vedere. Dai pure un’occhiata senza fretta. Io devo controllare delle e-mail» glieli passo e indico il divano «Puoi accomodarti lì. Posso farti portare qualcosa?» 
Sedendosi mi sorride «No grazie. Sono a posto così» 
Vado dietro la scrivania e dopo essermi seduta, sulla tastiera del computer digito: Kurt Cobain. Clicco su immagini e ingrandisco un primo piano di lui sulla copertina della rivista Rolling Stone
Guardo la foto e cercando di non farmi vedere da Russel, alzo lo sguardo sul suo viso. Riguardo lo schermo e riguardo lui. Rispetto alla foto i capelli sono leggermente più scuri, ma il colore degli occhi, anche se ora non posso vederli perché li tiene abbassati sfogliando le foto, lo ricordo bene, ed è lo stesso. Riguardo Russel di sottecchi. Le sue labbra sono un po’ più carnose e la mascella è più pronunciata. Cerco altre foto. Ne ingrandisco una dove si nota bene la fossetta che Kurt aveva sul mento, però con tutta quella barba non posso vedere se ce l’ha anche Russel. 
Mi appoggio allo schienale della poltrona e sospiro senza emettere un suono. Per la mia sanità mentale sarebbe meglio se smettessi di giocare a trova le differenze. Deve esserci davvero qualcosa che non va in me se ho pensato che Kurt Cobain fosse nel mio ufficio e che stesse addirittura per cantarmi una sua canzone, soprattutto considerando che è morto quando io avevo nove anni. Mi sento proprio un’idiota. Ma non sarei più io se ogni tanto non alimentassi in modo cosi sragionato la mia immaginazione mandandola al galoppo. 
Russel solleva gli occhi dal book e mi vede imbambolata a fissarlo, in fretta distolgo lo sguardo spostandolo sullo schermo del computer. Con la coda dell’occhio vedo che si alza e si avvicina. Mi affretto a richiudere la pagina internet con le foto di Kurt e lo guardo. 
Si siede di fronte a me e appoggia i books sopra la scrivania «Questi sono bellissimi ma io vorrei qualcosa di più semplice. Una giacca e pantalone nero con una camicia bianca andranno benissimo» quindi non è nemmeno un dandy.
«Certo, come vuoi» rispondo con tono professionale «Allora abbiamo sicuramente qualcosa di pronto. Taglia quarantotto, giusto?» chiedo, alzandomi dalla poltrona.
«Sì»
«Seguimi per favore» vado da Meg, sentendo la notevole presenza di Russel alla mie spalle «Meg, puoi portare Ku… Russel di sotto a scegliere un completo? Giacca e pantalone nero, e anche una camicia bianca. Tutto taglia quarantotto»
Mentre escono dalla stanza, un attimo prima di attraversare la porta, lui si gira verso di me sorridendo «Grazie, Rebecca» annuisco e torno nel mio ufficio.
Sopra il tappeto vedo il suo zaino, è aperto e al suo interno è appallottolata la camicia a quadri che aveva legata in vita quando l’ho visto alla reception. Mi siedo sul divano e mi piego in avanti prendendomi la testa tra le mani. 
«Non dirmi che Russel è già andato via, volevo chiedergli di venire a cena con me» dice Luca entrando e guardandosi intorno, poi si piazza in piedi davanti a me con le mani in tasca. 
Alzo il viso, passandomi una mano tra i capelli «No, è sceso con Meg per prendere l’abito» 
«Ah okay, allora lo aspetto qui. Che dici, ti unisci a noi?» chiede raddrizzando le spalle.
Mi alzo e vado alla scrivania per spengere il computer «Ti ringrazio ma sono stanca. Preferisco mettermi in pigiama davanti alla tv» dopo la figura che ho fatto con Russel, sarà meglio se lo evito. Spero che all’inaugurazione il locare sarà così pieno di gente da potermi mescolare tra la folla senza rischiare di incontrarlo di nuovo. Anzi, forse è meglio se me ne vado prima che torni qui con Meg.
«Puoi dire a Meg che sono già andata a casa con un taxi?» gli chiedo mentre indosso la giacca.
«Sì, certo»
Saluto Luca ed esco. 
Mentre rovisto dentro la borsa cercando l’iphone per chiamare il taxi, mi scontro con qualcuno e quasi cado. Un attimo prima di fare la fine della mia borsa che si schianta al suolo sparpagliando la mia roba ovunque, due mani mi prendono per i fianchi rimettendomi in piedi.
«Tutto okay?» riconosco immediatamente la voce.
«Sì… grazie» rispondo sollevando gli occhi, e Russel mi guarda con un sorrisetto ironico sulla faccia. 
A terra vedo la custodia che immagino contenga l’abito che ha preso con Meg, chinandomi per raccoglierla, mi accorgo che le sue mani sono ancora strette su di me.
«Aspetta, faccio io» lascia i miei fianchi e recupera la busta tirandosela poi sopra la spalla sinistra. 
Raccolgo la mia borsa e getto dentro con noncuranza tutto quello che ne è uscito. Voglio uscire da qui subito.
«Ehi, Russel!» entrambi ci voltiamo verso Luca che si sta avvicinando.
«Luca! Credevo che non ti avrei nemmeno incontrato, sei talmente impegnato con tutte le tue donne» afferma Russel divertito, dandogli una pacca sulla spalla.
«È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo. Vedo che hai trovato l’abito» afferma Luca.
«Sì, ho fatto in fretta. Rebecca ha capito subito cosa cercavo» io lo guardo spalancando gli occhi e lui non visto da Luca mi fa l’occhiolino. Fantastico. Prima lo scambio per un corriere, dopo per un dandy, poi per Kurt Cobain, e infine per una persona gentile che mi ha evitato una rovinosa caduta a terra. In realtà è solo uno stronzo che si è fatto un sacco di risate alle mie spalle. 
Luca mi passa un braccio sopra le spalle e mi attira al suo fianco «Te l’avevo detto che la mia Reb è fantastica» dice allegro baciandomi una tempia.
«Io ora però vorrei andare a casa» affermo, lisciandomi la gonna con le mani. 
Luca lascia andare la presa sulla mia spalla «Ciao Reb, buona serata»  
Mi raddrizzo mettendomi la borsa sopra la spalla ma prima di voltarmi per andarmene, li osservo un attimo, sono uno di fianco all’altro, stesso fisico, Luca leggermente più basso, con la pelle abbronzata e capelli mossi e scuri come gli occhi, Russel invece è biondo con occhi e pelle chiari. Guardandoli mi vengono in mente le Veline. Certo, se loro sono le Veline io posso essere solo il Gabibbo. Okay, forse è meglio andare.
«Anche a voi» rispondo. 
Russel allunga la sua mano verso di me, dopo averla guardata un attimo la stringo «Ciao Rebecca, ci vediamo alla festa di Luca» come non detto.
Mi volto per poi avanzare verso l’ascensore e sento i suoi occhi che mi seguono fino a che non ho svoltato l’angolo.
 
Accendo il portatile sopra il tavolino del soggiorno e seduta con le gambe incrociate sul tappeto apro Skype. Dario è in linea. Clicco subito sull’icona videochiamata e aspetto, in un attimo il suo viso appare sullo schermo, è spettinato e ha gli occhi stanchi.
«Ciao Tesoro» 
«Ciao Bellissimo, come va in Francia?» chiedo con voce è allegra e squillante.
«Sono terribilmente stanco. Ieri sera ho fatto tardi a cena con i ragazzi e tra poco iniziano i giri di prova. E tu come stai?» 
«Bene, e come vedi dal mio pigiama, io invece sono pronta per andare a letto. Domani con Meg e Karen ce ne staremo un po’ in piscina poi la sera andremo a cena da Luca»
«Beata te che te ne starai un po’ al sole, qui il tempo è pessimo. Quindi ti darai alla pazza gioia domani sera senza di me?» chiede ridacchiando.
«Macché pazza gioia! È tutta la settimana che Luca mi chiede di andare da lui per farmi vedere l’appartamento. Ma per domani non ho potuto rifiutare perché è una cena fra colleghi. Ha aspettato che arrivassi io per invitarci tutti»
«Sto scherzando, lo sai. Sono contento se ti distrai un po’» dice prima di sbadigliare «Scusa, ho ancora sonno» 
«Dario, tra poco siamo in diretta» una voce femminile irrompe all’improvviso.
«Grazie Paola» risponde lui, voltandosi da un lato. 
«Ma sei già in studio?» gli chiedo, non avevo fatto caso alla parete dietro di lui.
«Sì, e tra poco devo lasciarti» la sua voce è diventata scocciata.
«È Rebecca? Posso salutarla» ancora quella vocetta.
Paola, la segretaria di redazione, nemmeno aspetta il permesso che appare dietro la spalla destra di Dario «Ciao Rebecca, come va a Los Angeles? Chissà come te la stai spassando al caldo mentre noi siamo qui con questo tempaccio» è così vicina a Dario che i suoi capelli ricci gli sfiorano il viso.
«Veramente sarei venuta qui per lavorare, non per spassarmela» rispondo un po’ acida «Comunque hai ragione, fa piuttosto caldo qui» guardando la sua mano appoggiata sopra la spalla di Dario, nella mia testa sento il ronzio di una sega elettrica, scuoto la testa per scacciare quel suono fastidioso.
«Ora ti saluto perché è già tardi. Stammi bene» Paola fa ciao con la mano e sparisce dallo schermo.
«Tesoro, devo salutarti, ho davvero i minuti contati» 
«Dario, sbrigati a chiudere» di nuovo la voce odiosa di Paola. Vorrei poterla chiuderla io, in una bara però.
«Certo, scusa se ti ho fatto fare tardi» dico mortificata.
«Che dici. Volevo vederti anche se solo per un attimo. Mi manchi tantissimo» vorrei chiedergli come mai Paola è andata con lui in Francia, di solito non la porta con sé nelle trasferte, ma purtroppo non ho abbastanza tempo «Ora però devo proprio chiudere» la sua voce è sinceramente dispiaciuta.
«Ci sentiamo presto?» chiedo, senza riuscire a nascondere un tono ansioso.
«Ti mando un messaggio quando posso. Ciao amore» dice, poi mi manda un bacio.
«Ciao Bellissimo» rispondo al suo bacio e chiudo lo schermo.
 
**
 
Ho caldo. Terribilmente caldo. Mi tocco la fronte, è bollente e bagnata di sudore. Qualcosa mi sfrega le guance, infastidita lo scaccio con le mani. Piegando la testa in basso, del tessuto scivola ai lati del mio viso facendomi il solletico. Lo stringo tra le dita e lo tiro in avanti per vedere cosa sia. Un velo. Mi sfioro la testa e sento il pettinino che sorregge il tulle morbido che mi accarezza le spalle. Alzo lo sguardo. Davanti a me un tappeto rosso è steso sopra una strada asfaltata che riluce ai raggi del sole. Metto una mano a proteggermi gli occhi dal riverbero e guardo dove finisce quella lingua grigia solcata di rosso. Prosegue all’infinito immergendosi nell’azzurro limpido del cielo. Decido di camminare verso l’orizzonte per farmi inghiottire da suo chiarore cristallino. Cammino guardando sempre dritto. Un piede davanti all’altro senza fermarmi mai. Proseguo per un tempo indefinito. Finché comincio a sentirmi stanca, mi fanno anche male i piedi e ho sempre più caldo. Mi strappo il velo dalla testa e lo getto a terra, accelerando poi il passo. Mi guardo ripetutamente alle spalle, continuando però sempre a camminare. Improvvisamente mi assale la paura. Mi sento sola e abbandonata. Accelero ancora di più guardandomi dietro. Sempre più impaurita, comincio a correre in modo scoordinato. Corro fino a che mi manca il fiato, fino a che le gambe mi tremano dalla stanchezza. Mi fermo, ansimando con le mani premute sul petto. Sento l’aria che graffia i miei polmoni come fosse fatta di vetri rotti. Mi volto di nuovo. Il cielo è diventato improvvisamente grigio. Scure nuvole cariche di pioggia si muovono velocemente nella mia direzione spinte dal forte vento. I miei capelli volano in tutte le direzioni schiaffeggiandomi il viso. Lampi e tuoni sono ovunque intorno a me. Ricomincio a correre. Sempre più veloce. Sempre con meno aria che entra nei miei polmoni. Mi sento sempre più sola e abbandonata. Grido chiedendo aiuto. Corro e grido, ma la voce è strozzata, non esce dalla mia gola. È solo un rantolo inconsistente che mi fa tossire togliendomi ancora di più il respiro. Inciampo e cado in avanti. In ginocchio mi sorreggo con le mani sopra il tappeto ruvido. A un passo da me vedo una larga scalinata di pietra che sale verso l’alto. Mi aggrappo al primo scalino per alzarmi. Le ginocchia e le mani mi bruciano terribilmente ma non me ne curo. Salgo con il cuore e i polmoni che sembrano esplodermi nel petto. Due volte le mie gambe cedono e scivolo battendo gli stinchi. Guardo dietro di me e non vedo più la strada. Abbasso lo sguardo, gli scalini su cui mi sono arrampicata sono infiniti, ripidi e sconnessi. Mi chiedo come farò a tornare indietro. Sarà impossibile. Ricomincio a salire. Arrivo a un gradino sovrastato da un’enorme tenda, rossa come il tappeto che era sull’asfalto. La scuoto cercando di capire dove sia l’apertura per attraversarla. Dietro di me inizia a piovere. La pioggia è sempre più fitta e vicina. Cerco ancora con movimenti frenetici l’apertura nella tenda. Una richiesta d’aiuto mi muore in gola e inizio a piangere quando la pioggia m’investe. Scivolo con i piedi nudi sulla pietra bagnata e cerco di rimanere in piedi aggrappandomi alla tenda, ma cede con il mio peso e cado in avanti attraversandola. Sono di nuovo con le ginocchia e i palmi delle mani a terra. Mi alzo velocemente e mi guardo intorno. Vedo degli uomini e delle donne che in piedi formano due file ai miei lati. Mi guardano sorridendo. Cerco dei visi conosciuti tra i tanti ma non ne vedo. Avanzo di qualche passo girandomi più volte su me stessa, e finalmente i miei occhi trovano un volto familiare. Dario è in fondo al corridoio umano, al centro esatto, e come tutti gli altri mi sorride. Vedendolo mi tranquillizzo all’istante. Non mi sento più sola. Non mi sento più abbandonata. Non ricordo più la strada, la scalinata, il temporale, la stanchezza. Penso solo a lui, che sembra aspettarmi e che mi sta sorridendo. Corro da lui ridendo. Gli arrivo di fronte e stendo le braccia per toccarlo. Lui ancora mi sorride dolcemente e sposta lo sguardo per scorrerlo sul mio corpo. Quando arriva ai miei piedi, alza la testa di scatto e mi guarda negli occhi. Non sorride più. Il suo viso è una maschera di dolore e rabbia. Non capisco. Cerco di avvicinarmi per abbracciarlo ma lui indietreggia, alzando le mani di fronte al mio viso per proteggersi. Lo supplico con lo sguardo. Ho di nuovo paura. E improvvisamente tutti scoppiano a ridere. Mi giro per capire cosa stia succedendo. Tutti quanti mi indicano, continuando a ridere sguaiatamente. Alcuni sono piegati in avanti e si battono una mano sulle gambe tenendosi lo stomaco con l’altra. Guardandoli viene da ridere anche a me. Mi giro e sorrido a Dario. Ma lui è ancora serio. Si avvicina di un passo e, facendo attenzione a non sfiorarmi, si piega su di me con le mani dietro la schiena, e sussurra al mio orecchio: “Ridono di te”. Sento le mie guance avvampare all’improvviso. La temperatura del mio corpo sale velocemente e mi sento svenire. Nelle mie vene scorrere fuoco liquido. Le mie gambe sono sul punto di cedere. Cerco di sorreggermi a Dario, ma invece di afferrare il suo braccio, mi accorgo di stringere nel pugno il bouquet che mi sta porgendo. Le rose bianche sono tutte appassite. Alcuni petali scivolano ai miei piedi. Seguendo il loro lento svolazzare verso il pavimento, vedo il mio corpo. Sono completamente nuda e ho del sangue incrostato e scuro su braccia e gambe. Lascio cadere i fiori a terra e gratto con le unghie tutte quelle croste porpora per cancellarle. Ma dove mi tocco il sangue ricomincia a scorrere, mentre si alza un brusio che gradualmente aumenta di volume. Diventa sempre più forte. Sempre più assordante. È insopportabile. Porto le mani a coprirmi le orecchie. Non voglio più sentire quelle voci. Il brusio s’interrompe improvvisamente e mi blocco guardando tutti quegli sconosciuti che mi fissano. Con la coda dell’occhio vedo la mano di Dario che sta per afferrarmi. Scatto in avanti prima che mi sfiori. Scappo verso la tenda e aprendola mi lancio nel vuoto. Mentre precipito nel niente, divento sempre più pesante, e sempre più leggera. Il buio sembra volermi inghiottire per nutrirsi di me. Lo immagino masticare la mia essenza e acquistare vigore, ma so che non sarà mai in grado di digerire tutte le mie paure. Mentre continuo a cadere, sento lo stridio di un’auto che frena sull’asfalto bagnato e il boato di uno schianto sovrastato dalla voce di Dario, che sopra di me sta gridando: “Per guarire la tua febbre, devi prima curare l’infezione. Io vorrei essere la tua medicina, tu però non vuoi prenderla”.
 
Finalmente riesco a liberare l’urlo che per tutta la durata dell’incubo è rimasto intrappolato nella mia gola. Forte e squillante diventa un lungo eco nella mia testa che fluttua senza consistenza tra le pareti della mia camera, spezzando il silenzio della notte.
 
**
 
Sabato 19 Maggio 2012
 
Sdraiata sul lettino della piscina del residence, dopo la nottata insonne, vorrei poter sonnecchiare un po’, ma Meg alla mia sinistra non sembra intenzionata a starsene zitta, continua a parlare agitando le mani in aria «Come puoi sperare di farti una bella abbronzatura californiana se ti spalmi la crema a schermo totale e te ne stai sotto l’ombrellone?» 
Sposto i miei occhiali da sole mettendoli sopra la testa per guardarla negli occhi «Meg, almeno per qualche altro mese non posso prendere il sole sulle cicatrici» le spiego un concetto che credevo fosse ovvio.
«Potevi metterla solo lì sopra» ribatte, mentre io guardo Karen che sguazza in piscina. 
«Stai dicendo che l’abbronzatura californiana consiste nel ritrovarsi a pois?» le chiedo.
Solleva leggermente lo sguardo per posarlo sopra la mia fronte dove ho una cicatrice lunga due centimetri poco più su del sopracciglio. Questa è l’unica ferita, tra le tante che mi sono procurata con i cristalli dell’auto che nell’incidente si sono rotti investendo l’abitacolo, che hanno dovuto richiudere con punti di sutura. Per due mesi, dopo l’incidente, mi spalmavo quotidianamente quantità industriali di creme che servivano ad attenuare le cicatrici perché volevo che quelle macchie rosse, che gradualmente sono diventate rosa, sparissero in fretta e completamente. Ogni volta che mi spogliavo per passarci sopra la crema, speravo che non fossero più lì, ma invece c’erano. Poi ho capito che anche se fossero sparite, io avrei comunque continuato a vederle per sempre. Allora ho buttato via tutte le creme e ho semplicemente smesso di guardarle. 
Karen esce dall’acqua e si stende sopra al lettino accanto a me. Oggi ci siamo solo noi tre in piscina, chi non è a lavoro sicuramente è andato in spiaggia. 
Meg finalmente si è zittita e sfoglia una rivista. Posso finalmente dormire un po’.
«È da molto che conosci Luca?» chiede Karen, voltandosi verso di me, nei suoi enormi occhiali da sole vedo il mio viso riflesso. Okay, questa è una combutta per non farmi riposare.
«Da cinque anni. Lavoravo da un anno all’ufficio prodotto quando Vittoria mi chiese di seguire suo figlio che voleva iniziare a lavorare in azienda. Il primo anno è stato terribile. Ero intimorita da lui, è pur sempre il figlio dei capi, e avevo paura di giocarmi il posto. Invece fu lui a chiedermi di occuparci insieme del reparto vip che stava nascendo. Non dirlo a lui, ma tutto quello che sa del suo lavoro gliel’ho praticamente insegnato io» metto l’indice della mano destra sulla bocca e le strizzo un occhio. 
Meg chiude la sua rivista e ride «Tranquilla, sarà un segreto che ci porteremo nella tomba» 
Karen si toglie gli occhiali e li appoggia sul tavolino tra i nostri lettini «Ho visto che tra voi c’è molta confidenza. Non siete solo colleghi, o sbaglio?» chiede quasi timidamente.
«In effetti in questi anni siamo diventati molto amici. Luca è un ragazzo fantastico, completamente diverso dall’idea che mi ero fatta di lui prima di conoscerlo. Pensavo fosse viziato e abituato a schioccare le dita per avere tutti ai suoi piedi, e anche che venisse in azienda solo per ammazzare il tempo. Invece ha dimostrato che sul lavoro non si risparmia mai ed è sempre paziente e gentile con tutti. Non fa pesare a nessuno il suo stato di privilegiato, sia alla Vicky che nella vita privata» le rispondo con assoluta sincerità.
Meg riprende la rivista e la apre mettendomela sopra le gambe «Però è un gran farfallone» afferma, sbattendo una mano su una foto a tutta pagina che ritrae Luca all’interno di quella che sembra essere una discoteca mentre balla con una ragazza con i capelli lunghi e biondi. Anche Karen si avvicina per guardarla. 
Leggo il trafiletto: “Luca Ferraris arpiona il lato b di Jennifer Taylor. Dopo una notte di balli scatenati, il figlio degli imprenditori Vittoria e Renzo Ferraris e la stella nascente della serie televisiva ‘Beach and Love’, sono stati visti allontanarsi insieme a bordo dell’auto di lui. Con i suoi trascorsi da Don Giovanni non è difficile immaginare come sarà finita la loro serata.” 
Richiudo la rivista di gossip e la getto sul tavolino «Si gode la vita. Non ci vedo niente di male in quello che fa» 
Karen abbassa lo sguardo «Ma tu e lui… cioè… avete mai… sai cosa voglio dire...» balbetta. 
Le rispondo spalancando gli occhi «Ma sei pazza?! No, assolutamente no, noi siamo solo amici. Sarebbe come farlo con mio fratello» il pensiero di me e lui in atteggiamenti intimi, mi rivolta lo stomaco. 
Alza lo sguardo su di me sconcertata «Scusa. È solo che in questi giorni vi ho visti così in confidenza che ho pensato… che sciocca che sono» dice battendosi una mano sulla fronte «Scusami, ti prego» 
Meg interviene in mio soccorso «Guarda che Reb è fidanzata, con un gran fusto tra l’altro» mi strizza un occhio con complicità.
«Veramente con Dario non siamo fidanzati, ci frequentiamo da più di un anno ma non abbiamo mai ufficializzato niente» sottolineo, pensando all’incubo di stanotte.
«Ma non vuol dire niente. Oramai non si usa più fidanzarsi ufficialmente. Ma sei comunque impegnata con lui» insiste Meg.
Stronco il discorso sul nascere guardando l’ora sull’iphone: sono quasi le sei.
«Io torno a casa. Prima di andare da Luca ho assolutamente bisogno di riposarmi un po’» dico, poi mi alzo, m’infilo il mio vestitino leggero e prendo la mia roba.
«Ti passiamo a prendere tra un paio d’ore» grida Meg, mentre mi allontano.
Forse, prima di uscire di nuovo, riuscirò a fare un pisolino sul divano.
 
**
 

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Capitolo 4
*** 4 - Jack lo squartatore ***


4 - JACK LO SQUARTATORE
 
Stanotte al buio io ti aspetterò,
oltre il giardino salterò.
Parcheggerai la tua automobile
e attraverserai con quell’aria nobile,
ma non ti preoccupare,
non ti corteggerò,
oltre il giardino salterò.
Non sai chi è il mostro che c’è in me,
non so cos’è ma hai liberato
un mostro dentro me.
 
[Francesco Baccini]
 
**
 
 
Il loft di Luca si trova all’interno di una delle tante vecchie fabbriche ristrutturate e divise in appartamenti nell’est di Downtown, è all’ultimo piano di un edificio degli anni quaranta dove si producevano biscotti, tra cui i famosi Oreo, e l’insegna National Biscuit Company che ancora troneggia sulla facciata lo testimonia, oggi invece comprende una cinquantina di abitazioni.
È enorme e con il soffitto altissimo, ha il pavimento in legno chiaro e ampie vetrate disseminate sulle pareti di mattoni rossi. Nella zona giorno, al piano terra, dei grandi tappeti delimitano i vari spazi. La cucina in acciaio è nella parete a destra della porta d’ingresso e lì di fronte si trova la tavola da pranzo in cristallo con le sedie in pelle bianca, in un angolo, un mobile nero con sopra un grande schermo tv è circondato da due divani beige e due poltrone color tabacco. Un’altra zona relax, con divano e due poltrone in pelle nera, è in prossimità di un tavolo da biliardo. 
Nella parete di fronte, una scala porta al soppalco a vista dov’è la zona notte. La prima camera da letto è essenziale: un futon matrimoniale, due comodini e un armadio. Procedendo sul ballatoio lungo la parete, si arriva alla seconda camera dove dorme Luca, l’arredamento è molto simile all’altra, qui però ci sono anche una scrivania con un computer e vari attrezzi ginnici. 
I bagni sono uno al piano terra e uno per ciascuna camera. 
Tutta la casa è meravigliosa, ma l’enorme terrazza mi ha letteralmente lasciata senza fiato, è arredata con divani, poltrone, puff e tavolini di ogni tipo e dimensioni, appeso a una delle pareti c’è anche un enorme telo per proiezioni, e in un angolo appartato Luca ha fatto montare una vasca a idromassaggio.
 
Abbiamo cenato in terrazza servendoci dal buffet, e ora, appoggiata al parapetto, osservo le luci di Downtown, Meg è accanto a me con un bicchiere di vino in mano.
«Bello, vero?» mi chiede, appoggiandosi come me sugli avambracci.
«Sì, di sera è tutto più bello» rispondo, senza distogliere lo sguardo dallo spettacolo che ho di fronte. 
Sono quasi l’una di notte e della ventina di persone che eravamo a cena più della metà se ne sono andate, l’invito era esteso a tutti quelli che lavorano in showroom, ma quelli un po’ più in su con l’età l’hanno declinato, dicendo che erano troppo vecchi per far tardi la sera. 
Comincio a sentire la stanchezza della notte insonne. Quando sono rientrata a casa dalla piscina volevo riposarmi un po’, ma poi ho acceso Skype e ho chiamato sia mia sorella che Alice, saltando così il pisolino che tanto desideravo fare.
«Avete assaggiato il cous cous?» chiede Karen, avvicinandosi e mettendosi al fianco di Meg.
«Sì, era buonissimo» le dico.
«Io no, ma in compenso ho mangiato tutto il resto, sto per scoppiare» Meg abbassa gli occhi e si massaggia lo stomaco soddisfatta.  
Mi volto e cerco Luca con lo sguardo «Sapete dov’è Luca?»
«Era dentro che prendeva altre bottiglie» mi risponde Karen.
«Io andrei a casa. Voi non vi preoccupate, rimanete pure, chiamo un taxi» dico a entrambe.  
Mentre le saluto arriva Luca «Vai già via?» mi chiede, dondolandosi leggermente sui piedi e osservandomi con le mani in tasca.
«Sì, sono piuttosto stanca»
Sollevandomi il mento con due dita, mi scruta attentamente «In effetti non ti vedo molto in forma stasera» 
Stiro le labbra di lato come se mi avesse beccata a fare una marachella e non sapessi come giustificarmi «Nottataccia»
«Se vuoi puoi rimanere a dormire qui. Non mi va che giri da sola di notte. Se vai in camera mia non ti daremo fastidio» 
Nego con il capo «No no, vado a casa, non devi preoccuparti» 
Nemmeno mi ascolta, mi afferra una mano e mi trascina dentro «Vieni con me senza protestare»
Mi giro e al volo saluto Karen e Meg, poi auguro la buonanotte ai pochi rimasti mentre passiamo loro accanto. 
Seguo Luca per le scale sbuffando «Cosa penseranno vedendo che rimango qui a dormire?» gli chiedo, mentre sale a passo svelto davanti a me.
«Lo sai che non me ne frega niente di cosa pensa la gente» risponde, voltandosi un attimo per guardarmi da sopra la spalla.
«A te no, ma a me sì» ribatto.
Attraversiamo la prima camera ed entriamo nella sua. Luca apre un cassetto, mentre io mi siedo sul bordo del letto, ancora poco convinta che rimanere a dormire qui sia la decisione giusta. Mi volto e guardo il letto, è così invitante che subito sbadiglio, e la voglia di alzarmi e andarmene si dissolve. Devo dormire, e devo farlo subito.
«Tieni» Luca mi sventola davanti una maglia nera e un paio di pantaloncini grigi con un laccio per stringerli in vita «Ti staranno un po’ grandi, ma almeno non mi girerai nuda per casa» li prendo soffocando l’ennesimo sbadiglio con una mano.
«Mettiti subito a letto che non ti reggi in piedi. Buonanotte» mi bacia sulla guancia e si allontana.
«Notte» indosso la mia mise per la notte e m’infilo sotto il lenzuolo.
 
Credevo che stanca com’ero, sarei collassata non appena avessi toccato il cuscino, invece sono ancora qui, dopo un’ora da quando mi sono stesa, che a occhi spalancati guardo il soffitto pensando a Dario, che in questo momento è in Francia con Paola. La prossima volta che gli parlerò, vorrei chiedergli come mai l’ha portata con sé, ma non so come farlo senza sembrare gelosa, in fondo sono colleghi come lo siamo io e Luca, e per quanto ne so a Dario la sua presenza costante nella mia vita non ha mai creato problemi. 
Sentendo dei passi mi giro su un fianco.
«Scusa, non volevo svegliarti. Prendo solo qualcosa per dormire» dice Luca, aprendo il cassetto da dove ha preso i vestiti che ha dato a me. 
Mi stendo sulla schiena e sospiro «Non preoccuparti, tanto non stavo dormendo» 
Richiude in fretta il cassetto e si siede sul letto «Pensieri?» mi chiede, e io annuisco «Dario?» annuisco di nuovo. 
«È successo qualcosa che non so?» domanda, lasciando sul comodino un paio di pantaloncini. 
Mi metto sul fianco appoggiando la guancia sopra una mano «Ti ricordi di Paola? La ragazza che lavora con lui in redazione?» ho già parlato in altre occasioni di lei con Luca, dicendogli che le poche volte in cui mi è capitato di vederla, ho sempre avuto l’impressione di non piacerle. 
Si avvicina piegando una gamba sul letto «Sì, certo»  
«Ieri sera, quando con Dario ci siamo visti su Skype, era con lui» non capendo, aggrotta la fronte «A Le Mans» puntualizzo.
«Lavorano insieme e lui non è là in vacanza. Qual è il problema?» 
Alzo gli occhi al cielo. Possibile che non capisca?
«Il problema è che lei non lo segue mai per le gare, rimane sempre in redazione quando lui è fuori» gli spiego. 
«Oh, quindi sei gelosa?» chiede sorridendo.
«Non sono gelosa! È che lei non ha mai dimostrato una grande simpatia nei miei confronti, lo sai, e comincio a pensare che il motivo sia perché lui le piace»  
«Quindi sei gelosa!» ripete.
«Sto cercando di dirti che secondo me lei approfitterà del fatto che io non ci sono per provarci con lui» dico con voce un po’ stridula.
«Reb, non devi preoccuparti per questo. Dario è un bel ragazzo, non credo che se volesse gli mancherebbero le occasioni…» 
Indispettita lo interrompo «Ma vuoi tranquillizzarmi o farmi venire un attacco d’ansia?» sbotto. 
Lui mi zittisce mettendomi un dito sulla bocca «Fammi finire. Però, stavo dicendo, lui ha occhi solo per te» 
Abbasso la testa e liscio il lenzuolo con una mano «Sì, però…» dico incerta «è che noi… da quasi un mese prima dell’incidente… non abbiamo più…» quando sollevo gli occhi, vedo che ha la bocca spalancata «Dai, hai capito cosa intendo» 
Tira su da terra anche l’altra gamba e si siede di fronte a me. Capisco che l’argomento lo stuzzica, infatti ora ho la sua massima attenzione.
«Non avete più scopato?» chiede tranquillamente, e io gli tiro uno schiaffo sul braccio.
«Luca!»
Ride massaggiandosi dove l’ho colpito «Ehi! Che ho detto di male?» chiede con espressione innocente.
Mi appoggio con la schiena alla testiera del letto abbandonando le mani in grembo «Lui è pur sempre un uomo e noi non ci vedremo per un sacco di tempo, anche se dice di amarmi, se Paola gliela serve su un vassoio d’argento, magari cede» 
«Io invece penso che non dovresti preoccuparti. Se davvero sono quattro mesi che voi non…» fa un gesto piuttosto volgare con la mano «e malgrado questo ti è rimasto accanto senza dare segni di squilibrio, vuol solo dire che ti ama davvero, quindi non credo che cercherà divertimento altrove» 
Lo guardo affinando gli occhi «Tu non rimarresti mai in astinenza per così tanto tempo» affermo.
«Ma io non sono innamorato, cara la mia signorina-so-tutto-io» dice, dandomi un buffetto sul naso.
«Quindi secondo te posso stare tranquilla?» chiedo con più vivacità nella voce.
«Senza ombra di dubbio» afferma convinto, poi si stende sul letto con i piedi nudi rivolti verso di me e le braccia incrociate sotto la testa «Ma piuttosto, com’è che tu e lui non…» chiede, guardando il soffitto.
«Non scopiamo?» termino la frase al posto suo.
Tira su la testa di scatto «Reb!» esclama sconcertato.
«Che c’è? Tu puoi dirlo e io no?» mi indico, assumendo un’espressione angelica.
«Ma tu sei una donna, non puoi essere così volgare» 
Lo ammonisco con un dito e lo guardo cercando di rimanere seria «È la tua vicinanza che mi rende volgare»
«Quindi, perché voi non…» fa di nuovo il gesto volgare di prima.
«Il mese prima dell’incidente lo sai perché» annuisce senza staccare gli occhi dal soffitto «Dopo, invece, anche quando mi sono rimessa del tutto, boh, non so cosa mi sia successo. Non ci riesco. Non è che non sono più attratta da lui, però c’è qualcosa che mi blocca ogni volta che la situazione si fa troppo intima. E lui, che ovviamente ha capito che c’è qualcosa che non va, non forza mai la situazione»  
«Ma lui non ti ha mai chiesto spiegazioni?» 
«No» rispondo, sentendomi sull’orlo di una crisi di pianto. Mi odio per come mi sto comportando con Dario, e odio un po’ anche lui perché non me lo impedisce. Subisce passivamente ogni mio sbalzo d’umore nei suoi confronti, e finge di non accorgersi che ogni passo che faccio verso di lui, un attimo dopo ne faccio almeno tre nella direzione opposta per allontanarmi di nuovo.
Testardo e paziente, in due parole: Dario. E so che non mi merito un uomo come lui.    
«Prima dell’incidente non ci siamo visti molto, con la scusa che ero sommersa dal lavoro sono riuscita a evitarlo il più possibile, ma ora sono convinta che pensi che il mio atteggiamento sia dovuto al trauma dell’incidente e che probabilmente sia meglio non chiedermi niente per non costringermi a rivivere quel momento» termino la frase che sto già piangendo «Senza di me starebbe sicuramente meglio, potrebbe sposarsi e avere un sacco di bambini, magari proprio con Paola. Io sono troppo complicata per lui. Lo sono per chiunque»
Luca si solleva e mi accarezza una guancia, lascia lì sopra la mano e continua a sfregarci il pollice, poi allarga le braccia, e subito accetto l’invito. 
Quando smetto di singhiozzare, mi tira su il mio mento, parlandomi dolcemente «Smetti di preoccuparti, si sistemerà tutto, vedrai» dice, baciandomi la fronte «E ora cerca di dormire. Vuoi che rimango qui con te?» 
Tiro su col naso e faccio segno di no con la testa, rimanendo appoggiata con la testa alla sua spalla «Però vorrei un bicchiere di latte caldo, mammina»
«Arriva subito» si alza dal letto e scende di sotto.
 
**
 
Domenica 20 Maggio 2012
 
«Ehi, dormigliona!» la voce squillante di Luca mi sveglia. 
Metto un braccio sul viso senza aprire gli occhi «Ma che ore sono?» biascico le parole, sentendomi ancora piuttosto addormentata.
«Le dieci» sposto il braccio e lo vedo accovacciato accanto al letto «Sto uscendo. Russel è di sotto che mi aspetta, vado con lui a prendere della roba dal suo vecchio appartamento» 
Scatto in avanti e mi siedo al centro del letto «Russel è qui?» improvvisamente mi sento più che sveglia.
«Sì, te l’ho detto, è giù di sotto. Torno verso l’ora di pranzo. Aspettami che mangiamo insieme, e quando vuoi ti riporto a casa» 
Sul comodino vedo il bicchiere con dentro il latte che gli avevo chiesto ieri sera, devo essermi addormentata prima che tornasse dalla cucina. 
Luca si alza in piedi «Ho preparato la colazione, e prendi tutto quello che ti serve dal mio armadio. Io vado» 
Sbadiglio portando una mano alla bocca e con l’altra lo saluto. 
Mi guardo intorno pensando a Russel che in questo momento è a pochi metri da me, chissà se sa che sono qui nel letto di Luca, probabilmente si farebbe un’idea sbagliata sul nostro rapporto. 
Mi rosicchio un’unghia valutando i pro e i contro: se mi affaccio rischio di essere vista da lui, ma sono terribilmente curiosa di rivederlo. 
Mi alzo dal letto e lentamente mi avvicino alla balaustra, a pochi metri di distanza mi accuccio continuando ad avanzare, arrivata alle sbarre mi metto in ginocchio e osservo con sguardo circospetto tutto il piano di sotto alla ricerca di Russel. Lo vedo di schiena appoggiato con una mano al piano della cucina che beve qualcosa da una tazza e sembra guardare al di là della finestra. Indossa una maglia attillata senza maniche e un pantalone verde militare, ai piedi le Nike nere e i capelli sono legati in una coda bassa. Certo che è davvero molto alto, penso osservando le sue spalle dritte e larghe, poi scendo con lo sguardo, uhm, anche il sedere non è niente male… anzi no, è decisamente…
«Reb, allora ci vediamo dopo» alzo la testa di scatto e vedo Luca che scende le scale sghignazzando. Che deficiente! Mi ha fatto fare di proposito una figura del cavolo. 
Mi alzo in fretta dal mio nascondiglio e appoggio le mani alla ringhiera, guardando di nuovo Russel, ha il viso sollevato verso di me e mi sta squadrando da capo a piedi, la sua barba è ancora lunga e gli occhi alla luce del sole che entra dalla finestra sembrano ancora più azzurri, in una mano stringe la tazza, solleva l’altra per salutarmi. 
Ho deciso che il loft di Luca non mi piace più, anzi lo odio, tutto questo spazio senza nemmeno una parete dove potersi nascondere. Non rispondo nemmeno al suo saluto, spalanco gli occhi e mi giro in fretta correndo verso il letto, ci salto sopra con un balzo, poi prendo il lenzuolo e mi copro fin sopra la testa. Giuro che Luca questo scherzetto me lo pagherà. 
Rimango in silenzio, trattenendo anche il fiato, e non mi alzo finché non sento chiudere la porta di casa. 
Con un moto di stizza mi tolgo di dosso il lenzuolo e come una furia entro in bagno per guardarmi allo specchio. Oddio, ho un aspetto orribile. La maglia di Luca mi cade da tutte le parti come fosse appesa su una gruccia di fil di ferro, le mie gambe, bianche come il latte sul comodino, con addosso questi pantaloncini enormi, sembrano due stecchini infilzati in un’oliva. Mi avvicino allo specchio per guardarmi meglio. I capelli sono talmente ingarbugliati che sembra che li abbia asciugati infilando la testa dentro un’asciugatrice e, ciliegina sulla torta di cacca, ho il mascara tutto sbavato intorno agli occhi. 
Affranta mi siedo sul bordo della vasca. Nell’ordine, Russel già pensa che sono: una pazza visionaria, una che ha bisogno di una visita dell’udito, una che non sa camminare senza andare a sbattere contro chiunque. Dopo oggi aggiungerà alla lista che chiamerà “Rebecca non la fa girare”, altre due banalissime cosette: una sciatta che indossa vestiti da uomo dopo essersi divertita andando a letto con quello che dovrebbe essere il suo migliore amico, e l’ultima, ma la più succulenta, una stalker che spia le sue vittime, una sorta di Jack lo squartatore d’epoca moderna. Perfetto! 
Meglio se mi faccio una doccia e smetto di pensare a lui se non voglio far scendere ancora di più la mia autostima che in questo periodo sta raggiungendo livelli da guinness. 
 
Luca rientra a casa con una busta con dentro il nostro pranzo, in silenzio lo seguo in cucina. Sono ancora arrabbiata con lui.
«Senti tu! Russel ti ha forse chiesto che ci facevo in camera tua con i tuoi vestiti addosso?» gli chiedo, appoggiandomi al piano della cucina con le braccia incrociate sul petto.
«Ovvio che me l’ha chiesto» 
Mi avvicino a lui con aria minacciosa, alzo il mento per guardarlo negli occhi e appoggio i pugni sui fianchi «E tu che gli hai detto?» 
Nemmeno mi degna di uno sguardo, prende piatti, bicchieri e posate, e si allontana per andare verso il tavolo. Aspetto spazientita ma non risponde, allora gli vado incontro e quasi sbatto contro di lui quando si volta «Allora, mi vuoi rispondere?»
Continua a ignorarmi, torna di nuovo al piano della cucina, prende i cartoni del ristorante cinese e li porta a tavola. Quando finalmente si ferma, si gira verso di me allargando le braccia «Che vuoi che gli abbia detto? Che ieri sera eri ubriaca e che hai preferito rimanere a dormire da me, ma che poi alla fine abbiamo fatto tutto tranne che dormire» 
Gli vado di fronte e, dandogli un pugno sul petto con tutta la forza che ho, gli urlo contro «Ma allora è vero che sei un idiota. Come cazzo ti è venuto in mente di dirgli una stronzata come questa?» 
Il mio pugno nemmeno l’ha spostato di un millimetro, sorride bloccandomi i polsi mentre cerco di dargliene un altro «Reb, ti sto solo prendendo in giro. Non mi ha chiesto niente» mi blocco, smettendo di agitarmi.
«È vero?» chiedo, fissandolo negli occhi.
«Certo che è vero» risponde, lasciandomi poi i polsi. 
Devo però ancora chiarire con lui un’ultima cosa. Carico un altro pugno e lo schianto sul suo petto.
«Ma sei impazzita? E questo perché?» questa volta l’ha sentito perché si massaggia dove l’ho colpito.
«Per avermi fatto beccare mentre lo stavo spiando»
Scoppia a ridere mentre io vado a sedermi a tavola, le nocche della mano mi fanno un po’ male ma non gli darò la soddisfazione di farglielo notare.
«Non ho resistito, eri troppo buffa inginocchiata dietro le sbarre mentre lo spiavi, eri talmente assorta. E comunque credevo di farti un piacere a interrompere i tuoi pensieri sconci sul mio amico» si siede di fronte a me, ridacchiando sotto i baffi.
«Idiota. Non stavo facendo nessun pensiero sconcio» ribatto offesa, mentendo spudoratamente.
«Mangia, che gli spaghetti di soia fanno schifo freddi» apre i cartoni, ignorando la mia risposta, poi aggiunge «Dovresti fare qualcosa per i tuoi attacchi di violenza, perché non provi con lo yoga? Ti aiuterebbe a controllarli» ridendo si tocca di nuovo dove gli ho tirato il pugno. 
Gli sventolo davanti la forchetta per minacciarlo, poi prendo un cartone per versare il cibo nel mio piatto, e scoppio a ridere anch’io.
 
**
 

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Capitolo 5
*** Cap. 5 - Transalcolico ***


CAP. 5 - TRANSALCOLICO
 
Transalcolico viaggio cosmico, 
puoi cercarmi lì quando sono così. 
Io bevo per dimenticare, 
bevo per non stare male, 
bevo che così mi va, 
bevo tutta la città. 
 
Bevo per dimenticare, 
bevo per non stare male, 
bevo che così mi va, 
bevo da fare pietà. 
 
Bevo per dimenticare, 
bevo per non stare male, 
bevo che così mi va, 
bevo tutta la città...
 
Negrita
 
**
 
Mercoledì 23 Maggio 2012
 
Dopo aver visionato non so quanti bozzetti con l’assistente di un famoso avvocato di New York, per scegliere delle nuove divise per l’equipaggio dello yacht del suo capo, posso finalmente rilassarmi un po’. Mi stendo sul divano dell’ufficio e chiudo gli occhi. Dopo essermene stata dieci minuti in assoluto silenzio, cercando di non pensare a niente, entra Meg.
«Stai bene?» chiede sedendosi accanto a me.
«Sì, mi stavo solo rilassando un po’» le dico riaprendo gli occhi.
«Se stasera sei stanca possiamo venire da te un’altra volta» 
Mi alzo per spengere il computer «No, ma che dici, ho voglia di stare un po’ con te e Karen» 
Si alza e mi passa la mia borsa «Okay. Andiamo?»
 
Arrivata a casa mi faccio una doccia e m’infilo una tuta. Preparo l’impasto per la pizza e lo lascio a lievitare. 
Mentre aspetto Meg e Karen accendo il portatile. Dario non è in linea. In questi giorni siamo stati solo pochi minuti su Skype. Non ho avuto abbastanza tempo per fargli le tante domande che ho in testa da quando l’ho visto con Paola: “Come sta Paola?”, “Si è divertita a Le Mans?”, “Perché l’hai portata con te?”, “Ci sei andato a letto?”, ” E ti è piaciuto?”. 
Devo smettere di arrovellarmi. La verità e che non avrò mai il coraggio di chiedergli un bel niente. Al massimo riuscirò a girare intorno all’argomento per tentare di carpirgli giusto qualche informazioni. Ho cercato su internet la data della prossima gara del Motogp, il 3 giugno corrono in Catalogna. Chissà se porterà di nuovo con sé Paola. 
Non capisco perché mi dia così fastidio sapere che era con lui a Le Mans, in fondo si vedono ogni giorno in ufficio, che stiano insieme a Milano o altrove non dovrebbe fare nessuna differenza per me. Ma sento lo stesso il mio stomaco chiudersi al pensiero di loro due insieme, in volo, a cena, in albergo. 
Sbuffo mentre guardo chi tra i miei contatti è in linea. Vedo Alice e la chiamo. In questo momento ho bisogno di una dose massiccia di solidarietà femminile.
 
Io e le ragazze abbiamo appena finito di cenare, e ora tutte e tre sul divano cerchiamo un film da vedere in tv. Meg continua a cambiare freneticamente canale con il telecomando, mentre Karen di fianco a lei, dopo aver bevuto una sola birra, ha gli occhi lucidi e un sorrisino statico stampato in faccia. 
Diventando improvvisamente seria si alza di scatto dal divano «Torna indietro!» grida indicando lo schermo. Meg rimette il canale precedente «No, più indietro!» Meg fa come le dice «Adoro questo film, vi prego, possiamo guardare questo?» chiede con entrambe le mani chiuse a pugno davanti al mento. 
Meg preme il pulsante per far apparire sullo schermo il titolo e la trama: ”Letters from Paris”. La giovane vedova Amanda Green, dalla morte del marito avvenuta un anno prima, riceve ogni mese una lettera anonima proveniente da Parigi. Decide d’intraprendere un lungo viaggio, dall’America d’inizio novecento fino alla sconosciuta Francia, per scoprire l’identità del misterioso uomo che le scrive di un amore perduto. Interpreti: Helen F… 
Non faccio in tempo a leggere il resto perché Meg toglie le informazioni e si volta a guardarmi «Io non l’ho mai visto, e sinceramente non è proprio il mio genere, però per me va bene. Per te Reb?» 
Faccio spallucce «Pensi davvero che potrei cambiare canale?» le chiedo sorridendo e indicando Karen che nel frattempo si è inginocchiata davanti alla tv e sospira imbambolata.
«Temo che dovresti passare prima sul suo cadavere» risponde Meg gettando il telecomando sul divano.
 
Spengo la luce sul comodino e ripenso al film che ho visto con le ragazze. Quando è finito Karen ha pianto, ha detto che le succede ogni volta che lo vede. A Meg invece non è piaciuto per niente, lei guarda solo thriller e horror, meglio se splatter. A me non ha entusiasmato, ma ho passato un’oretta e mezza piacevole. La trama era piuttosto avvincente, ma alcune scene erano veramente troppo sdolcinate. Però mi drizzavo sul divano prestando la massima attenzione ogni volta che entrava in scena Claude, il protagonista maschile. L’affascinante pittore squattrinato, tormentato dal ricordo di un amore diventato col tempo un’ossessione auto distruttiva, che da anni riempie tele su tele dipingendo il volto della stessa donna. Non avevo mai visto né sentito parlare di “Letters from Paris”,  probabilmente in Italia non è mai stato distribuito. Credo di non aver mai visto in nessun altro film nemmeno l’attore che interpreta Claude. Karen mi ha spiegato che invece in America è ritenuto uno degli interpreti maschili più interessanti e promettenti e che le donne lo adorano considerandolo un sex symbol. Non faccio fatica a crederlo, sono sicura che basta un solo sguardo dei suoi occhi ipnotici per far cadere ai suoi piedi ogni essere di sesso femminile. 
Va be’, buonanotte Claude. 
Penso poi a Dario, che oggi non mi ha chiamata e nemmeno scritto una misera e-mail. 
Riaccendo la luce sul comodino, ho bisogno del mio bicchiere di latte caldo. 
 
**
 
Venerdì 25 Maggio 2012
 
Luca entra correndo nel mio ufficio «Reb, ci sei! Ho fatto una corsa dal club fino a qui, avevo paura che saresti andata a casa prima che fossi tornato» dice con il fiatone.
«Come vedi ancora no. Sto aspettando Meg che è scesa un attimo a prendere non so cosa poi andiamo»
Si avvia verso il suo ufficio «Vieni con me» dice facendomi segno di seguirlo.
«Agli ordini, capitano mio capitano» lo sbeffeggio portandomi una mano sopra la fronte per fare il saluto militare. 
Arrivati nel suo ufficio si avvicina a uno stand e sposta avanti e indietro dei capi appesi. Si ferma e legge un cartellino attaccato a una custodia, poi la stacca dall’asta di metallo e si gira verso di me porgendomela «Tieni, questo è per te, per la festa di domani» 
Rimango a bocca aperta.
«Hai fatto fare un vestito per me?» chiedo incredula. 
Non è la prima volta che Luca mi fa un regalo ma, con tutto il da fare che ha avuto in questi giorni, tra lo showroom e il club, sapere che è riuscito a trovare del tempo anche per pensare a un abito per me lo fa diventare un regalo bellissimo. 
Appoggia la custodia sopra la scrivania «Dai apri e dimmi se ti piace» 
Leggo il cartellino attaccato alla gruccia, solo due iniziali: R.L.. Apro la zip e tiro fuori il vestito dalla busta. È un tubino lungo fino a metà coscia con scollo monospalla, ricamato completamente di paillettes color prugna.
«Ed ecco le scarpe e la pochette!» esclama allegra Meg entrando con in mano una busta della Vicky, la apre e tira fuori due scatole «Vai di là e provati tutto» dice spingendomi verso il bagno. 
 
**
 
Sabato 26 Maggio 2012
 
È arrivato il giorno dell’inaugurazione del club. Ho trascorso gran parte della mattinata e del pomeriggio con Meg e Karen. Prima tappa dall’estetista, per togliere ogni singolo pelo che ha osato crescere sui nostri corpi e per fare un massaggio con oli profumati. 
Seconda tappa dal parrucchiere. Karen ha schiarito con colpi di sole i suoi capelli castani, e i ricci scuri di Meg sono stati domati con infiniti passaggi della piastra. Io ho solo dato una spuntatina ai miei castani e li ho lasciati mossi come sempre. 
 
«Ferma!» grido a Meg sentendo il mio portatile suonare. Lei fa come le dico e richiude il tubetto del mascara che mi stava mettendo. 
Corro in soggiorno e rispondo alla videochiamata di Dario «Ciao Bellissimo! Ma sei già sveglio?» chiedo fintamente stupita, in realtà avevo lasciato Skype aperto perché speravo che mi chiamasse. La mia voce è eccitatissima, da giovedì ci siamo scritti solo un’e-mail.
«Sì Tesoro, ancora non ho nemmeno bevuto il mio caffè. Volevo vederti prima che uscivi per andare alla festa. Ma che hai fatto ai capelli?» 
Mi tocco la nuca «Meg ha insistito per farmi quest’acconciatura. Sto male?» chiedo un po’ in ansia.
«No, stai benissimo con i capelli tirati su. Hai delle bellissime spalle, e poi lo sai che mi piace il tuo collo. Mi spiace solo non essere con te per gustarmi i vantaggi della tua acconciatura» dice passandosi impercettibilmente la lingua sopra un labbro.
«Spiace anche a me in effetti» rispondo cercando di rendere la mia voce seducente.
«Quindi siete impegnate a farvi belle?» 
Alzo gli occhi al cielo «Sì, di là ci sono Meg e Karen. Abbiamo deciso di radunarci a casa mia per il restauro»
Sorride «Quindi è per questo che hai un occhio truccato e l’altro no? O forse è una moda del momento che non conosco?» 
Con una mano mi copro l’occhio destro rimasto a metà dell’opera di Meg.
«Oh cavolo!» esclamo in imbarazzo. 
Lui scoppia a ridere «Capitan Uncino, ti ricordo che ti ho vista in situazioni molto più compromettenti. Togli quella mano che non riesco a vedere bene il tuo viso» 
Lentamente tolgo la mano «Ora va meglio. Lo sai che adoro i tuoi occhi vispi. Che vuoi che m’importi se sei truccata solo a metà» 
Mi giro sentendo Meg accanto a me che si schiarisce la voce «Posso conoscerlo?» chiede e io le faccio cenno di avvicinarsi.
«Dario c’è qualcuno che ti devo presentare» dico rivolgendomi a lui mentre Meg si siede con me sul divano «Dario, lei è Meg» indico la mia amica.
«Ciao Meg» 
Lei si avvicina allo schermo «Ciao Dario. Ho sentito tanto parlare di te» le do una gomitata sul fianco.
«Pronte per la gran serata?» chiede Dario.
«Io non vedo l’ora. Per una volta voglio sentirmi come una regina, servita e riverita come quei vip che vengono da noi» dice Meg entusiasta. Io e Dario ridiamo.
«Ora vi lascio da soli. Vado a vedere se Karen è uscita dalla doccia così comincio a truccarla. Ciao Dario, è stato un piacere conoscerti»
Lui sorride «Anche per me. Buona serata, Meg» 
Mi faccio coraggio e do il via alle indagini «Ho sentito che la prossima settimana ci sarà il Gp in Catalogna» butto la frase come se l’avessi scoperto per caso. In realtà ho stampato da internet il calendario delle date delle gare, e in questo momento è al sicuro nella mia borsa.
«Eh già» è di poche parole, e ora che faccio?
«Deve essere davvero un bel posto, anche per una vacanza… magari in coppia» le ultime tre parole le ho appena sussurrate, spero che non mi abbia sentito.
«Mi stai forse proponendo di andare insieme in vacanza in Catalogna?» appunto.
«No, che dici, facevo tanto per dire» sento Meg che mi chiama dalla camera «Scusa, ma devo tornare dalle ragazze» salvata in corner.
«Ho sentito. Allora divertitevi» e tu fa’ il bravo.
«Ci sentiamo presto okay?» chiedo guardando il suo bel viso ancora assonnato.
«Sì. Ciao Amore» dice prima di chiudere, e non lo vedo più.
 
Entro con Karen e Meg dentro al locale. Al centro dell’enorme sala troneggia una fontana circolare in cristallo nero con intorno il bancone del bar, ai suoi lati, le due piste da ballo sono gremite di gente. Il colore predominante di tutta la sala è il nero, tranne i divanetti sparsi un po’ ovunque e le tende davanti alle due sale vip ai lati della scala dietro al bar che sono avorio. 
Mi sento sfiorare una spalla, mi giro e sorrido a Luca «Benvenute al Vicky Ferraris Club. Siete bellissime» dice allegro dando un bacio sulla guancia a ciascuna. 
Anche lui sta benissimo nel suo abito, con cravatta, gilet, e una splendida giacca con collo alla coreana, tutto rigorosamente nero.
«Anche tu sei bellissimo» dico accarezzandogli il petto con una mano.
«Lo so, ma se non mi tolgo la cravatta e la giacca impazzisco» infila un dito dentro il colletto della camicia tirandolo.
«Tieni duro un altro po’ ti prego, ti ho fatto fare un completo stupendo, devi assolutamente sfoggiarlo» 
Mi prende per mano «D’accordo, ancora un altro po’, ma solo perché sei tu a chiedermelo. Venite con me vi accompagno di sopra al buffet»
Giriamo intorno al bancone del bar e saliamo la scala che porta sul tetto. 
Arrivati al piano di sopra ci guardiamo intorno, sembra di entrare in un giardino invece che sul tetto di un locale in Sunset Boulevard. Delle alte siepi in vaso circondano l’intero perimetro, a sinistra l’angolo bar è allestito a buffet, e alcuni dei tanti tavolini sparpagliati in qua e là sono occupati dagli invitati. Riconosco tra loro dei clienti della Vicky. Al cento della terrazza c’è un laghetto con dentro dei pesci colorati, e a destra un ampio spazio è coperto da un fitto prato con sopra dei puff e grandi cuscini di ogni colore e stampa.
«Il prato sul tetto?» chiedo a Luca mentre Karen e Meg continuano a spostare lo sguardo stando a bocca aperta.
«Che idea eh? Ti piace?» lo guardo e noto che ha gli occhi piuttosto stanchi. Ieri sera deva aver fatto tardissimo per star dietro a tutto, e so che anche oggi ha passato l’intera giornata qua dentro.
«È bellissimo» rispondo «Tutto il locale è a dir poco stupefacente» tira un sospiro di sollievo e fa il gesto di asciugarsi la fronte dal sudore.
«Meno male. Temevo il tuo giudizio più di quello di chiunque altro. Avevo paura d’aver esagerato»
Gli sorrido «Forse la fontana che zampilla champagne al posto dell’acqua è un po’ eccessiva e dispendiosa, ma insomma, diciamo che per l’inaugurazione te la passo» 
Ride e mi mette un braccio intorno alle spalle per parlarmi all’orecchio «Ti svelo un segreto, quella fontana è a circuito chiuso. Lo champagne che esce è sempre lo stesso» scoppio a ridere.
«Perché ridete?» chiede Meg divertita.
«Niente niente» rispondo «Ma dov’è Karen?» chiedo cercandola con lo sguardo. Meg indica dietro di sé. Karen ha spostato delle frasche della siepe davanti al parapetto e sta guardando di sotto. 
Vedo i lampi dei flash dei tantissimi fotografi che sono davanti all’ingresso del locale e sento le grida dei tanti curiosi che quando siamo entrate erano assiepati dietro alle transenne ai lati del tappeto rosso.
«Allora, chi è arrivato?» chiede Meg a Karen che è tornata da noi.
«Non si vede benissimo da quassù, ma credo fosse Sarah Alice Gordon con il nuovo fidanzato» 
Luca alza gli occhi al cielo «Scusate, ma devo fare gli onori di casa» 
Mi alzo sulle punte dei miei tacchi già altissimi e gli bacio una guancia «Questa è la tua serata, non devi preoccuparti per noi. Faccio un giro anch’io per salutare quelli che conosco» 
Luca annuisce e si dirige verso le scale.
 
In due ore il locale si è riempito di gente. Luca si è tolto la giacca e la cravatta e, dopo essersi accertato che tutto stesse procedendo per il meglio, si è lanciato in pista. Anche Karen e Meg stanno ballando insieme ad alcuni amici dandy di Luca. 
Io sono seduta al bar sul tetto in compagnia di alcuni colleghi. Tra un sorso e l’altro dal mio bicchiere fingo di ascoltare i loro discorsi, in realtà acchiappo solo qualche parola qua e là, è da un po’ che non li ascolto più, riesco solo a pensare a Dario e Paola a Le Mans, che forse se ne andranno come una coppietta innamorata anche in Catalogna. Lei e il mio Dario. E lui ancora non mi ha detto perché lei lo ha seguito in trasferta. Evidentemente non ritiene importante dirmi che la sua carissima collega, che non ha mai dimostrato la minima simpatia nei miei confronti, rasentando la maleducazione ogni volta che ci siamo viste, ha trascorso quattro giorni in una camera d’albergo accanto alla sua. Almeno spero accanto e non nella stessa. Mi domando com’è possibile che lui non si renda conto di che gatta morta sia quella. O forse lo sa, e gli piacciono pure i suoi miagolii languidi, o come gli si struscia sulle gambe con la coda ritta in preda all’eccitazione. 
Sì, deve essere proprio così, e lui probabilmente si diverte a farle pelo e contropelo. Finisco il mio drink e scuoto la testa. Ma che sto pensando? Dario non è così. È l’alcol che parla per me, anzi, che pensa per me. Con quale faccia tosta penso che Dario mi stia nascondendo la sua relazione col pelo di quella, quando io sono la bugiarda più incallita che conosco. Io che a tutt’oggi gli sto tenendo nascosto che… 
Ma chi se ne frega, stasera voglio divertirmi, come lui si è raccomandato che facessi d’altronde, e ho tutta l’intenzione di farlo.
«Robert» chiamo il barman «Un gin tonic per favore» ci ripenso, mi sporgo sul bancone e prendo la sua maglia per avvicinarlo al mio viso «Mi raccomando Robert, tanto gin e poco tonic» lo fisso negli occhi con aria minacciosa, come se la giusta miscela tra i due liquidi fosse questione di vita o di morte.
«Arriva subito, Rebecca» gli lascio la maglia chiedendomi come faccia a sapere il mio nome. Forse ha sentito qualcuno che mi chiamava. 
Mi sbilancio un po’ in avanti per la leggera spinta di qualcuno che mi arriva alle spalle, giro la testa e guardo sopra la mia spalla.
«Reb, vieni a ballare. È tutta la sera che te ne stai appollaiata su quello sgabello» cara la mia Karen, e ora che ho fatto amicizia con il mio barman preferito, che mi porge sorridendo il quarto gin tonic della serata, non credo che mi allontanerò più dal mio angolino ad alto tasso alcolico.
«Bevo questo e scendo» dico mostrandole il bicchiere.
«Muoviti però!» insiste e io le annuisco. 
In due sorsi finisco il mio tantissimo gin e pochissimo tonic. Il mio amico Robert ha capito perfettamente cosa mi serviva. Scendo dal mio sgabello con un po’ di difficoltà e per non cadere mi ci appoggio con entrambe le mani.
«Rebecca, hai bisogno d’aiuto?» Alan, o Adrian, boh, non ricordo, insomma il ragazzo che lavora alle spedizioni si avvicina e mi sostiene tenendomi un braccio.
«Tranquillo» rispondo alzando le mani e socchiudendo gli occhi «Scendo a buttarmi nella mischia» dico mentre lui continua a tenermi il braccio.
«Vuoi che ti accompagno di sotto?» che carino, si preoccupa per me. Sorrido e gli do un pizzicotto su quelle belle guanciotte tonde.
«Certo che no! Non sono mica ubriaca sai?» devo averlo convinto perché lascia il mio braccio.
«Okay, ma fa’ attenzione per le scale» ah già, le scale.
«Ho tuuutto sotto controllo, Alan» dico dandogli uno schiaffetto, lui mi guarda accigliato, mi sa che ho sbagliato nome. 
Mi volto e cerco di individuare dove siano quelle benedette scale, sono in procinto a intraprendere la mia spedizione di ricerca quando sento un boato della folla ancora assiepata di sotto. Non capisco cosa stiano gridando ma sembrano tutti impazziti. Invece di andare verso le scale, che comunque ancora non ho la più pallida idea di dove siano, mi avvicino al parapetto e spingo da parte una pianta per guardare di sotto. La mia vista è sfocata e da quassù non vedo un granché. Al centro del tappeto rosso individuo una testa con capelli castani e corti che allunga le braccia per prendere un foglio rendendolo poi alla mano che glielo ha dato. Quella testa continua a prendere foglietti e restituirli fino a che non sparisce dentro alla porta del club. 
Cerco di capirci qualcosa «Certo!» esclamo a voce alta battendomi una mano sulla fronte, quella testa con le braccia firmava autografi. 
Esco dal cespuglio e controllo con le mani di non aver danneggiato l’impalcatura che ha creato Meg con i miei capelli. Sembra tutto a posto. 
Accanto a me una tettona con tutta la mercanzia in bella vista esce dalla siepe «È arrivato Russel!» grida stridula battendo le mani, deve aver fatto amicizia anche lei con Robert.
«Wow, scendiamo svelta!» cinguetta saltellando la sua amica con addosso una minigonna ascellare, anche lei è sicuramente intima di Robert. Le seguo con lo sguardo e vedo che raggiungono in fretta le scale. Grazie a loro ora so in quale direzione devo andare per tornare di sotto. 
Fingendomi disinvolta e completamente padrona di me stessa, sorrido a tutti quelli che incontro mentre mi dirigo verso le scale. Quando sento che le mie gambe stanno per cedere mi appoggio al braccio di qualcuno con la scusa di salutarlo, in realtà in questo momento non riconoscerei nemmeno mia madre. Sorrido, mi appoggio, saluto, risorrido, mi riappoggio, risaluto, arrivando finalmente in cima alle scale. 
Sospiro e mi arpiono con tutte e due le mani al corrimano. Lentamente comincio a scendere guardando in basso completamente concentrata a centrare i gradini con i piedi. 
Tacchi alti e quattro gin tonic sono un’accoppiata assassina, peggio di Bonny e Clide. 
Sono quasi arrivata in fondo alla mia discesa dall’Everest, quando ricordo improvvisamente una vocetta: “È arrivato Russel”. Perché da quando ho sentito quel nome nella mia testa suona “Smells like teen spirit” dei Nirvana? 
«Reb, sei scesa finalmente! Oddio, non immagini nemmeno chi c’è stasera!» Karen sembra su di giri. 
Scendo gli ultimi due scalini e ridendo le chiedo «Chi? Kurt Cobain?»
«Ma che dici, scema!» esclama. 
Mi avvicino e le parlo a voce bassa «Devo dirti un segreto» mi sa che invece sto urlando perché si allontana portandosi una mano sopra l’orecchio «Io l’ho visto sai? Una settimana fa era nel mio ufficio. Ma poi invece era Russel» ancora i Nirvana nella mia testa, accompagnati dall’immagine di due meravigliosi occhi turchesi. Oh mamma, mi ero scordata di lui. La tettona ha detto che è arrivato Russel. Quindi ora è qui. Devo sparire subito.
«Reb, ma sei ubriaca?» 
Ma che cavolo! Non ho bevuto praticamente niente «Nooo!» grido indignata. 
Lei alza le mani in segno di resa «Okay non arrabbiarti. Comunque Claude è qui!» mi prende le spalle e mi scuote. Ma quante amiche s’è fatto stasera Robert? Ora torno su a dirgliene quattro a quel barista fedifrago.
«Chi?» grido per sovrastare la musica.
«L’attore che ha interpretato Claude in “Letters from Paris”. Oddio, devo assolutamente conoscerlo e farmi fare l’autografo» alzo lo sguardo e lo cerco per tutta la sala.
«E dov’è?» le chiedo continuando a guardarmi intorno. Ma quanta gente è arrivata mentre stavo su? 
«È là» Karen indica quattro persone sedute su un divanetto. Luca è con loro e di fronte a lui è seduto un ragazzo di cui vedo solo la schiena, riconosco in lui la testa che prima firmava autografi. Del gruppetto fanno parte anche tettona e minigonna ascellare. Io però penso a Russel che è arrivato.
«Senti, a me non interessa. Sai dov’è Meg?» chiedo sempre urlando a Karen che non stacca gli occhi dal quartetto.
«Prima era al bar» guardo verso il centro della sala ma non la vedo.
«Tu vai a conoscere Claude, io cerco Meg» le dico staccandomi dal corrimano. 
In realtà ho intenzione di capire dov’è Russel, per poi andare dalla parte opposta del locale, se sarò abbastanza fortunata forse riuscirò a mimetizzarmi con l’arredo. Non ho nessuna intenzione di dargli la possibilità di aggiungere alla lunga lista delle pessime figure che ho fatto con lui, in sole due volte che l’ho incontrato, “alcolista per niente anonima”, visto che conosce perfettamente il mio nome. 
Maledizione, ma dov’è quella testa bionda e spettinata? Sul tetto non può essere salito, l’avrei sicuramente visto. Forse tettona e minigonna ascellare parlavano di un altro Russel. Certo, può essere, il sosia di Cobain non sarà certo l’unico Russel di tutta Los Angeles.
«Ehi, sei qui» dice Meg arrivandomi di fronte con in mano un cocktail blu. Mi prende sotto braccio e mi spinge verso le scale «Andiamo a riposarci un po’, mi fanno male i piedi» 
Mi appoggio a lei e mi lascio guidare di nuovo in cima all’Everest. Tutto questo sali e scendi mi sta facendo venire la nausea, o forse sono i quattro gin tonic? 
Andiamo verso un angolo vuoto e appartato del prato, prendiamo due grandi cuscini e ci sediamo a terra cercando di mantenere una posa composta.
«Tu non bevi niente?» mi chiede e io scoppio a ridere.
«Ho già fatto il pieno, credimi. È un miracolo se riesco ancora a camminare su questi cavolo di tacchi» rispondo mentre traffico con i laccetti delle mie scarpe per toglierle.
«Non offendere quegli splendidi sandali con plateaux, l’ho scelti io sai?» 
Mi guardo i piedi poi guardo i suoi «E com’è che tu hai messo le ballerine?» 
Okay ci rinuncio, non riesco ad aprire le fibbie che mi stanno strangolando le caviglie, sono maledettamente piccole.
«Lo dice il nome no? Ballerine, e io ho ballato stasera a differenza tua. E poi alta come sono se metto anche i tacchi col cavolo che trovo un cavaliere che mi si fila» la sua risposta sembra stirata con un ferro a vapore, non fa una piega «Ma hai visto com’erano conciate quelle due sedute di sotto con Luca? Ho saputo che sono le figlie di Forrester, quel produttore di Hollywood che due anni fa è finito su tutti i giornali perché la moglie l’ha accoltellato dopo averlo beccato a letto con la cameriera» dice.
«Ma chi? Tettona e minigonna ascellare?» chiedo sghignazzando.
Lei annuisce mentre beve dalla cannuccia «Hanno starnazzato per tutta la sera come galline» rincara la dose «Mi sa che Forrester avrebbe preferito rimanerci secco quel giorno se avesse saputo prima che gli venivano due figlie con un unico neurone in comune. Secondo me lo utilizzano a giorni alterni passandoselo con i cotton fioc» 
Scoppio a ridere e quasi mi ribalto all’indietro, mentre lei continua «A quelle due se gli spari in testa non muoiono mica sai, il cervello non è una loro parte vitale» 
Comincio a sentirmi male dal troppo ridere, ma lei è un fiume in piena di battute «L’alba delle galline viventi» e io rido sempre più forte, e questa volta mi ribalto per davvero. Scivolo fuori dal cuscino finendo con il sedere per terra e le gambe all’aria.
«Vedo che qui ci si diverte» volto il capo e incontro il viso sorridente di Luca. 
Cerco di ricompormi ma non riesco a smettere di ridere. Penso a tettona e minigonna ascellare che con un buco in fronte continuano ad agitare i gomiti cantando “Il ballo del qua qua”. 
«Preeendi soootto braaaccio, laaa feliiicitàaa» comincio a cantare. 
Luca si siede sul mio cuscino «Tanto gin e poco tonic?» mi chiede sorridendo.
«Ovvio! Come piace a me!» dandomi una mano mi aiuta ad alzarmi in piedi.
«Non è che mi leveresti questi cosi?» gli chiedo imbronciata scalciando un piede.
«Vieni qui» dice battendo una mano sul cuscino. 
Mi siedo e lui slaccia le fibbie alle mie caviglie, e finalmente mi libera dai sandali assassini. 
Mi tiro su mettendomi in ginocchio di fronte a lui e appoggio una mano sopra la sua spalla per tenermi «Il tuo amico non è venuto vero? Ormai sono…» gli stringo il polso per guardare l’ora sul suo orologio «le due, e quindi non verrà più!» alzo le braccia in segno di vittoria e gongolando mi rimetto seduta.
«Ma di chi parli?» chiede lui aggrottando le sopracciglia e io rido.
«Ma di Russel!» grido battendogli un pugno sulla spalla.
«Certo che è arrivato. È in giro da qualche parte» 
Incasso la testa tra le spalle e mi guardo intorno in cagnesco «Luca! Ma io sono ubriaca. Non deve vedermi così!» 
Faccio per alzarmi sollevandomi su un ginocchio ma lui mi trattiene per un polso «Dove vuoi andare?» chiede.
Strattono il braccio per liberarmi ma lui non molla «Me ne vado prima d’incontrarlo» lui mi blocca anche l’altro polso tirandomi giù.
«Ma che t’importa se ti vede ubriaca?» 
«Lui pensa che sono Jack lo squartatore!» dico con tono isterico.  
Meg scoppia a ridere «È completamente andata»  
Non capendo mi giro verso di lei e le chiedo «Chi? E poi andata dove?»
«Tu Reb» afferma Luca ridendo.
«Io cosa?» 
Meg punta un dito verso di me e io lo fisso incrociando gli occhi «Tu sei completamente u-b-r-i-a-c-a» 
Scuoto la testa con noncuranza «Può essere, ma io dovevo dimenticare» 
Luca lascia i miei polsi e mi chiede «Reb, cos’è che dovevi dimenticare?» 
Fisso ancora il dito di Meg, cioè, mi accorgo di fissare il niente perché il dito non c’è più, quando lui prendendomi il mento gira il mio viso verso di sé «Mi dici cosa dovevi dimenticare?» chiede di nuovo.
«Le coppiette innamorate in Catalogna» rispondo sbuffando e abbassando la testa.
«Ma che stai dicendo? Che coppiette?» 
Non lo ascolto e continuo «L’albergo, Kurt, il pelo e contro pelo e…» 
Luca m’interrompe «Chi è Kurt?» 
Lo guardo incredula «Luca! Non dirmi che non conosci i Nirvana, cazzo!» 
Lui trattiene a stento una risata e si rivolge a Meg «Vado a dire a Robert di portarvi dell’acqua, cerca di fargliene bere il più possibile. Io devo scendere a salutare quelli che stanno andando via. Tra poco torno a vedere come sta, okay?» 
Lei ride «Tranquillo, ci penso io alla nostra spugna» dice Meg dandomi un buffetto sulla guancia. 
Luca si avvicina al mio viso guardandomi negli occhi «Tu fai la brava mi raccomando» poi si alza e va al bar. 
Ho mal di testa e sento lo stomaco in subbuglio. Dopo pochi minuti arriva Robert con una bottiglia d’acqua e un bicchiere, Meg me ne fa bere più della metà. 
«Dai bevi ancora che dopo ti sentirai meglio» dice riempiendo di nuovo il mio bicchiere.
«Basta ti prego, sto scoppiando» le passo il bicchiere e mi massaggio la pancia.
«Scappa anche a me. Andiamo al bagno?» chiede e io nego con il capo «Se ti lascio cinque minuti da sola mi prometti che non ti muovi da qui?» 
Mi indico «E dove vuoi che vada da sola in questo stato?» chiedo afflitta. 
Lei si alza e si allontana, voltandosi a guardarmi un’ultima volta prima di scendere di sotto. 
Mentre aspettavo Meg, a piccoli sorsi ho bevuto tutta l’acqua, ora però mi scappa forte la pipì, ma ho paura di non riuscire a stare in piedi se mi alzo da sola. Dovevo andare con Meg. Lei non torna e io non la reggo più. Guardandomi intorno cerco qualcuno che possa darmi una mano ad alzarmi da qui senza cadere. Poi devo rimettermi le scarpe, non posso andare a giro senza, sono ubriaca ma ricordo ancora le buone maniere. 
Maledizione, non c’è quasi più nessuno quassù «Ehi tu!» grido per farmi sentire da un pennellone che se ne sta in piedi davanti al bar «Ehi pennellone! Mi senti?! Devo andare a fare pipì. Puoi aiutarmi ad alzarmi da qui che mi sa che ho bevuto troppo?» insisto sghignazzando senza ritegno «E non farti ingannare dalla bottiglia d’acqua. Il mio amico Robert fa dei gin tonic ad altiiissimo tasso alcolico» grido ridacchiando in direzione del pennellone, che deve avermi sentita, perché finalmente si gira verso di me. 
E ora che lo vedo meglio, mentre lentamente avanza verso di me, vorrei solo morire, subito, sul prato di questo tetto. Ma porca della miseriaccia ladra! Con le cinquecento persone e passa che c’erano stasera dovevo chiedere proprio a lui di aiutarmi per andare al bagno? 
Se mi spacco la bottiglia di vetro in testa ho qualche probabilità di rimanerci secca, e se tutto va secondo i miei piani non sarò costretta a vederlo mentre mi riderà in faccia. Oppure con una scarpa in ciascuna mano, se ci metto molta forza, con i plateaux riesco a farmi schizzare fuori il cervello. No, meglio se mi lancio di sotto dal tetto, però dovrei riuscire ad alzarmi. E ormai Claude è a un metro da me. Cerco la bottiglia dell’acqua, la prima idea di solito è sempre la migliore.
«Quindi hai bevuto troppo e ora ti scappa la pipì?» chiede sorridendo e io mi gelo all’istante. 
Lo guardo con gli occhi sgranati mentre si abbassa di fronte a me appoggiando le braccia sopra le ginocchia «Ciao Rebecca, te l’avevo detto che ci saremo rivisti alla festa» 
Solo ora che vedo il suo viso, e soprattutto i suoi occhi a un palmo dai miei, capisco che Kurt e Claude sono semplicemente un’unica persona: Russel.
 
**

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Capitolo 6
*** Cap. 6 - Desaparecido ***


CAP. 6 - DESAPARECIDO 
 
Avevo un solo progetto,
non progettare mai più,
vissi in un modo perfetto,
perché non vissi più.
 
La lingua mia fu il silenzio,
che la mia voce morì,
non ci fu più alcun lamento
né una risata si udì.
 
Daniele Silvestri
 
**
 
Non muovo un solo muscolo, respiro lentamente e lo fisso con gli occhi spalancati restando pazientemente in attesa che svanisca quella che spero sia solo un’allucinazione dovuta alla sbronza. Tuttavia la mia palpebra destra non sembra voler collaborare, sfugge al mio controllo tremando velocemente per la tensione rendendomi ancora più nervosa. 
Spero di non essermela fatta addosso perché non sento più il fastidio della vescica piena.
Non mi accorgo di tenere la bocca aperta fino a quando lui prende il mio mento tra due dita per chiudermela. Sbatto gli occhi e, con il cuore che aumenta velocemente i battiti, capisco che non c’entra niente l’alcol. Russel è davvero qui davanti a me, piegato sulle ginocchia con gli occhi nei miei e sta sorridendo, probabilmente divertito dal mio assurdo comportamento. 
Si alza e allunga una mano verso di me «Dammi la mano» la guardo senza fare quello che mi ha detto. Allora si abbassa di nuovo «Ehi, ma non volevi andare al bagno?» chiede paziente.
Come se mi avesse accecata con un flash stringo le palpebre e sposto velocemente lo sguardo «Ho promesso a Meg… che l’avrei aspettata qui» sospiro guardandomi le mani in grembo.
«Non importa. Dai, vieni con me» insiste continuando a tendermi la mano.
«Ma io non ho nemmeno le scarpe!» la mia voce sembra quella di una bambina pronta a inscenare una bizza senza precedenti. 
Ma lui non demorde, sorride e mi prende le mani «Okay, prima alzati, poi ti aiuto a rimetterle» 
Tiro indietro il busto cercando di sfilare le mani dalle sue «No, preferisco aspettar…» ma lui non mi ascolta, aumentando la stretta si alza all’improvviso trascinandomi in piedi. 
Presa completamente di sorpresa gli sbatto contro come se fossi una bambola di pezza, subito accompagna le mie mani sopra le sue spalle e io mi aggrappo a lui mentre mi afferra passandomi un braccio dietro la schiena «Stai bene?» chiede ma io non sono in grado si rispondere, la mia lingua sembra essersi smaterializzata all’improvviso, quasi nemmeno respiro mentre fisso il suo petto a pochi centimetri dal mio viso, sento solo il prato fresco sotto i piedi nudi e il suo respiro caldo sulla fronte. 
L’unica volta che sono stata così vicina a lui indossavo le scarpe, non molto alte ma comunque con un po’ di tacco, e ricordo che mi sembrò altissimo, ma ora, che sono addirittura scalza, mi sento davvero minuscola tra le sue braccia. 
Con la mano libera mi alza il mento cercando il mio sguardo, devo tendere completamente il collo e fletterlo indietro per riuscire a vedere il suo viso piegato sopra il mio, poi sposta la mano sopra la mia guancia. 
Senza la lunga barba che lo nascondeva posso osservare attentamente ogni minimo dettaglio del suo viso. Dalla fronte spaziosa sposto lo sguardo di lato, scendo lungo la mascella quadrata e arrivo al mento, poi risalgo fermandomi sulla bocca, prendo nota che il suo labbro inferiore è leggermente più grande di quello superiore, e seguo la linea dritta del suo naso, e mentre osservo le sopracciglia folte e arcuate incrocio il suo sguardo. Visti così da vicino i suoi occhi sembrano ancora più grandi, al centro per effetto della corona di pagliuzze blu attorno alle pupille sono molto più scuri, verso l’esterno diventano sempre più chiari per terminare con un cerchio blu scuro che circonda le iridi. 
Anche lui mi sta osservando attentamente, i suoi occhi si spostano lentamente su tutto il mio ovale, quando arrivano alla cicatrice si fermano, serra la mascella e sento il suo braccio dietro la schiena stringermi con più forza, nello stesso istante un’ondata di calore mi imporpora il viso. 
Quando abbassa lo sguardo posandolo sulle mie labbra, il fuoco che sento incendiarmi le guance aumenta d’intensità e, evidentemente non abbastanza soddisfatto del mio imbarazzo, inizia anche a muovere impercettibilmente il pollice sopra quel piccolo falò senza fiamme, per poi sorridere scrutandomi gli occhi. 
Non so da quanto tempo ci stiamo osservando, forse da un secondo, forse da un’ora, quando lui dischiude le labbra «Vuoi sederti mentre ti allaccio le scarpe?» vorrei dirgli di no, vorrei che mi tenesse così ancora un altro secondo, ancora un’altra ora, ma annuisco. 
Mi aiuta a sedermi sopra un puff e si piega mettendo un ginocchio a terra «Appoggiati qui» dice mentre porta una mia mano sopra la sua spalla. 
Mentre allaccia la prima fibbia alla mia caviglia guardo i suoi capelli castani chiari lunghi solo pochi centimetri «Ma che hai fatto ai capelli?» 
Gira il viso verso di me e il suo sorriso si allarga, subito appare una fossetta sopra la sua guancia destra, sembra un piccolo spicchio di luna «Li ho tagliati. Perché non si vede?» chiede ironico, poi riabbassa la testa verso i miei piedi.
«Sì… è che sono… così corti» 
Mentre allaccia la fibbia dell’altro sandalo istintivamente sollevo una mano per accarezzargli la nuca, in quel punto sono cortissimi e riabbassandosi dopo il mio passaggio mi solleticano il palmo, lentamente salgo sopra la testa dove sono un po’ più lunghi e morbidi, arrivata alla fronte stringo tra le dita il piccolo ciuffo e dopo un attimo di esitazione lo lascio andare. 
Quando sfioro la sua nuca per toccarli ancora sento che sussulta quasi impercettibilmente e scuote le spalle per un leggero brivido, poi s’irrigidisce «Scusa!» esclamo ritraendo la mano di scatto e portandomela sulla bocca.
«Vuoi che ti porto in braccio o ce la fai a camminare?» chiede alzandosi. 
La mano che tenevo sulla sua spalla scivola per tutta la lunghezza del suo braccio, arrivata al polso l’afferro e un po’ traballante mi alzo «No no, posso camminare» dico guardandomi le scarpe.
«Peccato» sussurra a denti stretti. Alzo la testa di scatto e lo guardo negli occhi, ha il ciuffo tutto spettinato in avanti.
«Come?» chiedo rimanendo poi a bocca aperta, forse ho capito male. 
Prima di parlare si schiarisce la voce «Niente» risponde, poi si passa una mano sulla testa rimediando al disastro che ho fatto con i suoi capelli «Andiamo dietro al bar, puoi usare il bagno dei dipendenti senza dover scendere di sotto» a sentir nominare il bagno sento di nuovo la vescica piena.
«Okay» rispondo arrendevole. 
Si mette alla mia sinistra e passa un braccio dietro la mia schiena, mi gira ancora parecchio la testa ma per fortuna non mi fa più tanto male lo stomaco, quando alzo la mano che è tra noi per tenermi in equilibrio lui la prende e la stringe. Mentre lentamente andiamo verso il bar tengo lo sguardo sul pavimento facendo attenzione a dove metto i piedi, ogni tanto non posso evitare di spostarlo sulle nostre mani intrecciate. 
Camminiamo per pochi metri, ma un po’ per la situazione imbarazzante, un po’ per la sua mano che stringe il mio fianco, quando arriviamo al bancone del bar e lo superiamo andando verso una porta là dietro, mi sembra di aver fatto con lui dei chilometri. Noto subito che il mio amico Robert non c’è.
«Entra» dice lasciando la mia mano per aprirmi la porta. 
Entriamo nello spogliatoio dei dipendenti, ci sono degli armadietti e diverse divise appese a un attaccapanni. 
Ci avviciniamo a una delle tre porte chiuse sulla parete destra e ancora la apre per me «Ti aspetto qui»
«Grazie» entro in fretta e la richiudo. 
Mi appoggio con le mani al lavello e mi guardo allo specchio, pensavo peggio. Ho qualche ciuffo di capelli che è scappato all’acconciatura e che mi scende sul viso, ma il trucco a lunga durata di Meg per fortuna regge ancora, ho solo la pelle un po’ lucida. Prendo una salvietta e la passo sul viso, poi apro l’acqua per non far sentire a Russel lo scroscio della mia copiosa pipì. 
Mi lavo le mani e mi do un’ultima occhiata allo specchio. 
«Tutto bene?» chiede Russel bussando.
«Sì, arrivo subito» rispondo frettolosa mentre cerco di sfilare una forcina che mi pizzica una tempia «Ma che cavolo!» esclamo stizzita non riuscendo a toglierla. 
Russel bussa di nuovo «Che succede?»  
Apro la porta e lui mi guarda corrucciato. Lo sorpasso e vado davanti allo specchio a figura intera vicino agli armadietti «Niente, è che non riesco a togliere questa» dico continuando a tirare la forcina fino a farmi un male cane alla cute, ma la bastarda non vuole cedere.
«Piano, così ti fai male» si mette dietro di me e toglie la mia mano. 
Mentre armeggia con la forcina, che le mie mani di fata hanno annodato ancora di più ai capelli, lo guardo dallo specchio, ha la testa piegata di lato e muove piano le dita nel tentativo di non farmi male.
«Hai tagliato anche la barba» affermo mentre lui riesce finalmente a sfilarmi la forcina. 
Un ricciolo mi scende sulla spalla, lo sposta dietro al mio orecchio e senza staccare i polpastrelli mi sfiora il collo accarezzandolo con la punta delle dita, prosegue fino alla mia spalla nuda e lì si ferma fissandola, sembra dubbioso se rifare il percorso all’indietro, invece la stringe e si raddrizza, poi solleva lo sguardo e mi guarda negli occhi attraverso lo specchio. Un po’ divertita vedo che il suo corpo sembra fare da cornice al mio e che la sua testa sovrasta completamente la mia. 
Si abbassa avvicinando il viso al mio e parla a bassa voce senza staccare gli occhi dai miei nello specchio «Vedo con piacere che anche se sei ubriaca noti lo stesso i piccoli particolari, Rebecca» 
Affino lo sguardo «Mi prendi in giro vero? Non è proprio un piccolo particolare, sei irriconoscibile. Ora non assomigli più a Kurt, ora sembri di più Claude» 
Mi prende il mento e lo gira di lato per guardarmi direttamente e sorride «Hai visto il mio film?» chiede sorridendo e io abbasso lo sguardo in imbarazzo. Maledetta boccaccia che mi ritrovo.
«È Karen che…» cerco di giustificarmi ma mi zittisco appena sento lo spostamento d’aria causato dalla porta che si spalanca.
«Che cazzo stai facendo!» Luca entra come una furia e tira indietro Russel prendendolo per una spalla, quando lo vede in faccia si blocca «Russel, sei tu? Ma che fate qua dentro?» chiede spostando lo sguardo da lui a me.
«La signorina aveva bisogno di qualcuno che l’accompagnasse al bagno» 
Faccio la linguaccia a Russel e lui risponde facendomi l’occhiolino.
«Meg è andata via per riportare subito a casa Karen che sta anche peggio di te» dice Luca tenendomi per mano e uscendo dal bagno «Io devo rimanere qui ancora un po’, però non voglio mandarti a casa da sola con un taxi. E comunque con tutto quello che ti sei bevuta è meglio se non rimani da sola stanotte» 
Vorrei ribattere ma non faccio in tempo perché lui parla di nuovo rivolgendosi a Russel «Puoi accompagnarla a casa mia e rimanere con lei finché non torno? In un’oretta dovrei sbrigarmela» 
Io nego con la testa ma nessuno dei due mi sta guardando.
«Sì non c’è problema» risponde Russel.
Tiro verso di me la mano di Luca per attirare la sua attenzione «Ehi! Io sono qui sapete? E per me invece un problema ci sarebbe» finalmente si sono accorti della mia presenza e mi guardano entrambi.
«E quale sarebbe?» mi chiede Luca.
«Io… io non voglio andare con lui» rispondo indicando Russel a testa bassa poi mi nascondo dietro a Luca appoggiando la fronte sopra la sua schiena. Mentre lui alza la mano che non sto stringendo per passarla tra i capelli, appoggio la mia libera sopra al suo fianco e piego la testa di lato facendo capolino, vedendo Russel che mi sta osservando mi ritraggo immediatamente.
«Reb, non fare storie per favore» dice Luca tirando la mia mano per riportarmi davanti a lui. 
Stringo il suo braccio con tutte e due le mani e ci struscio sopra la guancia, poi gli parlo guardandolo dal basso con espressione innocente «Va bene, vado a casa tua con lui, ma non è necessario che rimanga con me ad aspettarti. Giuro che vado subito a letto senza combinare casini»  
 
** 
 
Domenica 27 Maggio 2012
 
Apro mezza palpebra, la poca luce nella stanza mi fa emettere un mugolio lento e strascicato. Mi giro a pancia sotto e metto il cuscino sopra la testa. Oddio, ma che mi è successo? Cos’è questo fischio che sento nelle orecchie? E perché mi sta scoppiando la testa? Ma certo! Ieri volevo farmi fuori dandomi una bottigliata sulla tempia, allora l’ho fatto davvero ma non sono riuscita nel mio intento e ho rimediato solo questo martellare continuo. Tolgo il cuscino e mi tocco la testa, non sento ferite e il letto non è sporco di sangue. Mi tocco anche le orecchie per vedere se ho le cuffie, sento un suono stridulo che aumenta e diminuisce di volume come un loop. Niente cuffie, fantastico, è tutto nella mia testa. 
Mi metto seduta lentamente. Ho gli occhi appiccicosi e la lingua felpata, disgustata la passo più volte sul palato. Sono mummificata dentro al lenzuolo, agito le gambe e quasi lo strappo tirandolo con le mani. Quando riesco a liberarmi lo getto di lato e vedo che indosso una t-shirt di Luca. 
Mi guardo intorno tenendo gli occhi quasi completamente chiusi. Riconosco il soppalco dove Luca ha la camera da letto, però è diverso dall’ultima volta che sono stata qui, deve aver cambiato tutto l’arredamento, nemmeno l’attrezzatura da palestra è più al suo posto. 
Devo fare pipì. Scivolo fuori dal letto e ciondolando sulle gambe vado verso la porta del bagno… che non c’è più. Faccio un giro su me stessa e la cerco. Ma che cavolo, Luca ha spostato anche il bagno, ora la porta è dall’altra parte della stanza. Strascicando i piedi entro e faccio pipì. Seduta sulla tazza vedo che è tutto diverso anche qui dentro, c’è una doccia gigante e supertecnologica simile a quella che aveva prima, ma comunque non è la stessa. 
Sul ripiano del lavandino trovo un elastico e mi lego i capelli, lavo via il trucco tutto sbavato e torno in camera. Sopra al comodino vedo le mille forcine che avevo in testa ieri sera, non ricordo assolutamente di essermele tolte, in realtà non ricordo nemmeno d’essere entrata in casa di Luca ieri sera. 
Ho una sete bestiale e voglio un caffè forte. Per scendere di sotto passo dove Luca aveva la seconda camera da letto e dove ora invece c’è… niente, questo lato del soppalco è completamente vuoto. 
Mi avvicino alle scale e scendendo vedo che anche di sotto è tutto diverso, al posto del biliardo ora ci sono gli attrezzi da palestra, la cucina è rossa e non più in acciaio e il tavolo invece che in cristallo ora è in legno nero. 
Prendo una bottiglietta d’acqua dal frigo e ne tracanno più della metà, mi asciugo la bocca con il braccio e faccio un ruttino. 
Apro tutti i mobili per cercare la moka, niente moka, dovrò farmi un espresso, niente macchina per l’espresso, sul ripiano c’è solo una di quelle brocche di vetro che fanno quella brodaglia che gli americani si ostinano a chiamare caffè. 
Alle mie spalle sento chiudere la porta di casa «Luca, non trovo la moka. Io quella schifezza non la bevo lo sai» 
Mi giro e faccio un salto indietro schiantandomi con la schiena contro al frigo, temendo che le gambe potrebbero cedermi da un momento all’altro allargo le braccia e mi ci aggrappo con tutte le forze.
«Non sono Luca» no che non è Luca, è Russel quello di fronte a me in canottiera e pantaloncini, con in mano una bottiglia di latte e una scatola di biscotti «Lui sta ancora dormendo. Sono salito in casa sua per prenderti qualcosa per la colazione, io questa roba non la compro nemmeno» dice tranquillamente appoggiando il latte e i biscotti sul tavolo. 
“Sono salito in casa sua?”, ma che sta dicendo? Noi siamo già in casa di Luca. Oh merda, mi sa che invece non è affatto così. Mi batto una mano sulla fronte e mi scappa un lamento. Cacchio, mi ero scordata del mio mal di testa.
«Siediti, è meglio se mangi qualcosa e poi prendi un’aspirina» il suo tono è autoritario mentre prende una tazza e un cucchiaio mettendoli poi in tavola. 
Si gira verso di me e mi guarda, poi porta le mani sui fianchi e sospira scocciato «Staccati da quel frigo e siediti per favore. Se non ti ho mangiata stanotte mentre eri quasi incosciente non credo che lo farò nemmeno ora» io spalanco la bocca e lentamente vado verso il tavolo e mi siedo.
Mentre lui è in piedi dall’altra parte del tavolo lo guardo timidamente e senza farmi vedere cerco di tirare la maglia per coprirmi le ginocchia «Cosa intendevi quando hai detto d’essere salito da Luca? Cioè questa è casa tua? E io ho dormito qui?» chiedo anche se in realtà so già la risposta, ma la speranza, come si dice, è l’ultima a morire. 
«Mi sembra evidente» risponde senza scomporsi.
Mi gratto la testa nervosamente «Ma ricordo che Luca ti aveva detto di portarmi a casa sua» dico con voce incerta.
«Quando ieri sera siamo entrati qui per prendere le sue chiavi di casa, sei corsa di sopra e ti sei buttata sul mio letto. Non volevi saperne di alzarti, così gli ho mandato un messaggio per dirgli che eri collassata nel mio letto e che potevi rimanere qui» 
Si siede davanti a me, apre la bottiglia del latte e ne versa un po’ nella mia tazza «Ci vuoi anche il caffè?» nego con la testa.
«Se io ho dormito nel tuo letto. Tu… dove… dove hai dormito?» chiedo mentre apro la scatola dei biscotti fingendo indifferenza.
«Ho dormito anch’io nel mio letto» 
Salto sulla sedia sbattendo un ginocchio sotto al tavolo, e mentre mi massaggio la rotula mi scappa una cosa poco carina da sentire uscire dalla bocca di una signorina. 
Lui solleva le mani mostrandomi i palmi poi si alza venendo verso di me «Ti giuro che non ho approfittato di te. Luca mi spezzerebbe tutte e due le gambe» afferma tirando indietro la mia sedia e girandola per mettermi di lato al tavolo, senza apparentemente il minimo sforzo, come se fossi solo una piuma «Fammi vedere che ti sei fatta» dice piegandosi di fronte a me.
«Non è niente» dico continuando a tenere la mano sopra al ginocchio.
«Fammi vedere per favore» insiste paziente spostandomi la mano per poi toccarmi il ginocchio. Sento dolore ma per non fiatare mi mordo il labbro inferiore «Forse ti verrà un livido, ma non è niente di grave» 
Alzo gli occhi al cielo «Mi sembrava d’avertelo già detto che non era niente» ribatto esasperata mentre lui sposta di nuovo la sedia rimettendomi di fronte al tavolo.
«Sei sempre così acida la mattina o l’onore è tutto mio?» chiede ironico mentre dandomi le spalle si versa un po’ di quella brodaglia scura in una tazza. 
«Solo quando mi sveglio nel letto di un semi sconosciuto con i suoi vestiti addosso!» 
Si gira appoggiandosi al piano della cucina «Ah, e ti capita spesso?» 
Boccheggio in cerca d’aria «No! Certo che no!» ma per chi mi ha presa? 
«No di svegliarti nel letto di uno sconosciuto, o no di indossare i suoi vestiti?» ma allora vuole la guerra.
«Puoi smettere per favore? La situazione è già abbastanza imbarazzante senza che rincari la dose con le tue battute» lui ride e si siede di fronte a me. 
A proposito di vestiti, guardo la maglia che ho addosso e che evidentemente non è di Luca come pensavo.
«Ti stai chiedendo se ti ho spogliata io?» nego troppo vigorosamente con la testa perché lui non capisca che sto bluffando «Ti ho aiutata solo a tirare giù la cerniera del vestito e poi ti ho tolto le scarpe quando mi hai chiesto un paio di forbici per tagliare i laccetti. Ma ti giuro che mentre ti cambiavi mi sono girato e non ho sbirciato» tiro un sospiro di sollievo «Anche se…» 
Stringo il cucchiaio e lo guardo terrorizzata «Anche se cosa?» chiedo spaventata.
«Mentre ti davo le spalle hai cominciato a sbraitare cose che per educazione è meglio se non ripeto, e allora mi sono girato» 
Oddio «E?» ora spara la bomba, me lo sento.
«Stavi saltellando per la stanza con un braccio infilato nello scollo della maglietta e cercavi di far passare la testa nel foro della manica» 
C’è dell’altro, ne sono certa «E?» 
Appoggia la tazza sul tavolo e sospira «Sto cercando di dirti, che per la prima volta nella mia vita ho aiutato una donna a vestirsi invece di spogliarla» spalanco gli occhi e poi li abbasso sulla tazza.
Rosicchio un biscotto e bevo un sorso di latte. Improvvisamente mi viene in mente una cosa, tiro in avanti lo scollo della maglia e guardo dentro, il reggiseno a fascia che indossavo ieri non è dove dovrebbe essere. 
Presa dalla disperazione mi passo una mano sulla faccia. Quindi lui mi ha vista mentre saltellavo imprecando come uno scaricatore di porto, con la sua maglia incastrata intorno alla testa e le tette all’aria. Ma sì, dov’è il problema? Allunghiamo pure la già chilometrica lista: “Rebecca l’egoista non la fa girare e se la fuma tutta lei”.
«Io non c’entro niente» dice Russel.
Lo guardo strabuzzando gli occhi «Uhm?» 
Indica le mie tette «Il reggiseno intendo. Te lo sei tolto stanotte da sola e l’hai lanciato dalla mia parte del letto. Quasi mi cavavi un occhio con i gancetti» sarebbe stato un vero peccato, penso guardando quei due fari allo xeno turchesi.
Rimaniamo in silenzio, mentre lui sorseggia il suo caffè io stringo con tutte e due le mani la tazza e bevo il latte fissando il bordo di porcellana.
«Posso chiederti una cosa?» sollevo gli occhi e con un certo timore annuisco, chissà cos’altro ho combinato senza ricordarlo «Cosa intendevi ieri sera quando hai detto che non sono più Kurt? Chi è Kurt?» 
Mi copro la bocca con una mano. Oh merda, e ora come ne esco? Se gli dico la verità penserà davvero che sono una pazza squilibrata. Okay, non c’è problema, posso mentire, ormai sono brava in questo.
«Quando ti ho visto la prima volta nel mio ufficio, con i capelli lunghi e vestito in quel modo, somigliavi a Kurt Cobain» lui aggrotta le sopracciglia e poi spalanca gli occhi come se avesse finalmente capito qualcosa che lo logorava «Ho solo pensato che gli somigliavi eh… lo sapevo benissimo che non potevi essere davvero lui» la mia voce trema, mi sto incartando «Io ero lì che ti aspettavo e quando ti ho visto ho pensato: “Oh, ma guarda l’amico di Luca come somiglia a Cobain”. E poi lo sanno tutti che lui… sì insomma…» mi gratto la testa evitando il suo sguardo.
«È morto? Volevi dire questo?» annuisco sfinita. 
Temo di aver perso il mio smalto a dire le bugie, o forse sono brava solo quando devo dirle a Dario.
«Posso chiederti un’altra cosa?» ti prego basta. Non voglio sapere altro, non mi frega niente di cosa ho combinato ieri sera. Voglio solo uscire da qui e andare a comprarmi un chilo di dignità da reintegrare alla poca che mi è rimasta.
«Certo!» rispondo invece giocherellando con il cucchiaio e fingendomi rilassata.
«Perché hai quelle cicatrici?» chiede indicando il mio braccio sinistro «Ho visto che ne hai altre. Che ti è successo?» 
Appoggio il cucchiaio e guardo il mio braccio anch’io, quando il furgone mi è venuto addosso l’ho alzato istintivamente sopra la testa per proteggermi, poi l’ho sbattuto contro il finestrino che andando in frantumi mi ha procurato molti tagli, alcuni ancora piuttosto visibili sull’avambraccio. 
Abbasso di scatto entrambe le braccia sotto il tavolo per nasconderle «Qualche mese fa io… ho fatto… un incidente con l’auto» balbetto guardando la mia tazza.
«Scusa, sono stato un idiota a chiedertelo» dice mortificato.
«Oh no, non sei un idiota. Sono io che ancora non ho tanta voglia di parlarne» rispondo cercando di sembrare serena, stringendo tuttavia i pugni sotto al tavolo.
«Vado a prenderti un’aspirina» afferma frettoloso alzandosi per andare di sopra.
«Grazie» sospiro e prendo le tazze  per metterle dentro al lavandino. 
 
Mastico un’aspirina mentre raduno la mia roba sparpagliata in camera di Russel, poi con la pochette mi avvicino al comodino. 
Russel esce dal bagno, ha i capelli bagnati, un nuovo paio di pantaloncini e una maglia a maniche corte.
«Non ricordo di essermele tolte» dico mentre raduno le forcine per metterle nella borsetta.
«Mentre dormivi ti grattavi la testa sbraitando contro una certa gatta morta che dicevi ti stava tirando i capelli. Ho capito che erano quelle che ti davano fastidio e allora te le ho sfilate» a questa sua affermazione mi viene da ridere e da piangere contemporaneamente, quasi sono sull’orlo di una crisi isterica insomma. 
Mi schiarisco la voce girandomi verso di lui «Io salgo da Luca. Se è già sveglio mi faccio accompagnare a casa altrimenti chiamerò un taxi» prima di andarmene però devo sgraffignare qualcosa dal suo armadio, non posso andare in giro solo con una maglia addosso, e essendo pieno giorno, se non voglio passare per una escort appena smontata dal suo turno, nemmeno con un vestitino da sera ricoperto di paillettes.
«Se vuoi posso portarti a casa io» dice scendendo le scale al mio fianco.
«No grazie, sei stato anche troppo gentile con me» 
Prende un mazzo di chiavi dal mobile accanto alla porta di casa e lo mette nel palmo della mia mano «Tieni, sono le chiavi di casa di Luca, se dorme potrebbe non sentirti anche se suoni» e apre la porta.
«Grazie di tutto Russel» dico voltandomi un attimo a guardarlo prima di uscire e lui annuisce. 
Mi avvio verso le scale e sento che richiude solo quando ho già svoltato l’angolo.
 
Luca dorme ancora, mentre aspetto che si svegli mi stendo su un divano. Sapevo che Kurt era Russel, ma scoprire che è anche Claude è stata una vera rivelazione, incredibile come sono stata cieca, però senza la barba e con i capelli corti è così diverso, solo i suoi occhi sono sempre gli stessi, grandi, azzurri e magnetici. 
Spero solo di non aver fatto altre figuracce che non ricordo. So di averlo chiamato mentre ero sul tetto per farmi accompagnare al bagno, e che non l’ho fatto in modo proprio educato. Quando mi sono gettata sul suo letto avrà sicuramente pensato che l’ho fatto di proposito per dormire con lui, e no perché in realtà credevo di essere in casa di Luca. Spero anche di non essermi agitata troppo stanotte per colpa di uno dei miei soliti incubi. 
 
Qualcosa mi sfiora la fronte e un buon profumo di caffè mi fa respirare a pieni polmoni per sentirlo meglio. Apro gli occhi e vedo Luca seduto accanto a me sul divano che mi sventola sotto al naso una tazza «Buon giorno» dice mentre mi sollevo appoggiandomi su un gomito.
«Giorno» mi passa la tazza e subito do una lunga sorsata, finalmente un buon caffè.
«Ma tu non eri di sotto da Russel? Da quant’è che sei sul divano?» 
Mi metto seduta e come lui appoggio i piedi sopra il tavolino davanti al divano. 
Gli prendo il polso per guardare l’ora sul suo orologio «Da un’oretta. Ero salita per chiederti dei vestiti e se potevi accompagnarmi a casa ma dormivi. Mi sono stesa sul divano e devo essermi addormentata» 
Lo seguo in cucina e mi siedo a tavola mentre lui rimane in piedi appoggiato col sedere al piano della cucina mangiando i cereali direttamente dalla scatola e sorseggiando il suo caffè.
«Si è comportato bene o devo scendere a dargli una testata?» chiede sorridendo.
«Niente testata per questa volta. È stato molto gentile con me» 
Appoggia la tazza sul tavolo «Andiamo di sopra a vedere cosa dicono della festa» dice dandomi le spalle e andando con grandi passi verso le scale.
Ci sediamo alla scrivania e apriamo internet sul suo portatile. Troviamo un sacco di articoli, quasi tutti dicono che l’inaugurazione del club è stato un vero successo e che diventerà sicuramente uno dei locali più frequentati dalle celebrità di Los Angeles. Le foto degli invitati davanti all’ingresso del club sono tantissime, in un paio ci siamo anche io, Karen e Meg.
«Sono molto fiera di te» gli dico sincera.
Chiude lo schermo e mentre si toglie la maglia si dirige verso il bagno «Faccio una doccia veloce poi ti porto a casa» dice prima di chiudere la porta.
 
Mentre siamo in macchina chiedo a Luca come e quando ha conosciuto Russel «Due anni fa, durante una festa alla villa a Malibù. Era venuto per accompagnare la sua ragazza e abbiamo fatto subito amicizia. Ogni volta che tornavo da queste parti uscivamo insieme e ora siamo vicini di casa» 
Mi giro verso di lui allarmata «Quindi ho dormito con un uomo fidanzato?» 
Lui mi guarda un attimo poi torna con gli occhi sulla strada «No, lui e Helen non stanno più insieme, si sono lasciati prima che lui partisse per l’Inghilterra per girare il suo ultimo film, quando l’hai conosciuto era appena rientrato. Quando sono venuto a vedere il mio loft la prima volta, ho saputo che anche quello sotto era libero, così gliel’ho detto, sapevo che cercava casa per lasciare a lei quella dove stavano insieme» ecco perché la mattina dopo la festa con i colleghi Luca è andato con Russel a prendere delle cose nel suo vecchio appartamento, lo aiutava con il trasloco.
«Non mi avevi mai parlato di lui in tutto questo tempo» 
Ride «In realtà io conosco un sacco di gente e non di tutti ti parlo» giusto «Ma toglimi una curiosità, come mai ieri sera hai detto che lui pensa che sei Jack lo squartatore?» glielo spiego, e non smette di ridere fino a che non arriviamo a casa mia.
 
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Lunedì 28 Maggio 2012 
 
È tutto il giorno che Meg e Karen non fanno che parlare della festa. Karen è ancora mortificata per aver costretto Meg a rientrare a casa prima del previsto, l’unico cocktail che ha bevuto ieri sera era più alcolico di quel che pensava, ed essendo quasi astemia è stata male quasi tutta la notte, però è anche eccitata per aver conosciuto Russel. Quando le ho detto che era già venuto da noi per prendere l’abito che indossava, ma che lei non lo ha incontrato perché in quel momento non era in ufficio, è rimasta a bocca aperta. Io e Meg non sappiamo più come spiegarle che non l’abbiamo avvertita perché nessuna di noi due l’aveva riconosciuto. 
Guardo l’ora, a Milano sono l’una di notte e Dario oggi non mi ha chiamata, anche se ormai sono quasi certa che per oggi non mi chiamerà più, mi alzo dal divano per controllare per l’ennesima volta se ho Skype aperto sul computer. 
Mi siedo sulla poltrona e tiro fuori dalla borsa l’iphone, vedendo che è spento cerco di accenderlo ma ha la batteria scarica, dopo averlo messo in carica trovo un messaggio vocale di Dario e mi affretto ad ascoltarlo: “Ciao Tesoro. Starai sicuramente dormendo, da te sono quasi le due. Purtroppo oggi non sono riuscito a chiamarti prima. Ti auguro una buona giornata. Ciao amore, ti chiamo presto”. Sto per chiudere quando sento: “Dario, il nostro volo part…”. E poi non sento più niente. Anche se arrivava da lontano ho riconosciuto benissimo la voce di Paola. Penso al significato di quello che ho appena sentito, e in un istante realizzo che come temevo andranno davvero in Catalogna insieme.
Mi alzo e in fretta entro in bagno, chiudo la porta a chiave dietro di me e scivolo lungo la porta sedendomi a terra. Vuol dire altre nottate nello stesso albergo, altre cene e pranzi insieme. Lei potrà godere della sua compagnia ventiquattrore su ventiquattro, potrà parlargli, scherzare con lui, lasciarsi trasportare dalla sua risata contagiosa, immergersi nel calore dei suoi occhi senza dover guardare un freddo schermo. Sarà la prima persona ad augurargli il buon giorno e l’ultima a dargli la buona notte. Potrà godere di tutto ciò che io negli ultimi mesi non riuscivo più ad apprezzare come avrei dovuto, e di cui alla fine mi sono privata volontariamente scappando così lontana da lui. Ma non avevo scelta, avendolo sempre al mio fianco non riuscivo a ragionare lucidamente, rischiavo di prendere un’altra decisione sbagliata e non posso più permettermelo. 
Nelle ultime due settimane non c’è stato giorno in cui non mi sia alzata dal letto convinta di aver preso la decisione giusta durante la nottata quasi insonne, per poi cambiare gradualmente idea durante il trascorrere della giornata, finendo inevitabilmente per andare a dormire la sera volendo fare totalmente il contrario di quello deciso solo poche ore prima. 
Il timore di sbagliare di nuovo sembra giocare con me come se fossi sopra un’altalena, vado in avanti consapevole che Dario con me non sarà mai completamente felice, per poi tornare indietro ricordandomi che ho bisogno di averlo al mio fianco. La paura di confessargli tutta la verità spinge con le sue grandi mani la mia schiena, mantenendo costante il mio lento oscillare. Vado avanti e torno indietro, vado avanti e torno indietro. 
Da mesi il mio cuore è come un desaparecido, è stato rapito da qualcosa di terrificante, e anche se spera di poter tornare a casa al più presto, intanto se ne sta in silenzio in attesa di scoprire quale sarà il suo destino. 
Appoggio la testa sopra le ginocchia e circondandole con le braccia piango in silenzio. 
Salto sul posto quando bussano alla porta «Reb, è un bel po’ che sei lì dentro. Stai bene?» 
Mi asciugo le lacrime con la manica della maglia «Sì Meg» dopo averle risposto mi scappa un singhiozzo più forte degli altri.
«Ma tu stai piangendo. Apri per favore» dice muovendo su e giù la maniglia.
«Meg ti prego, tra un po’ esco okay?» le dico, e quando non la sento più non trattengo più i singhiozzi che escono incontrollati dalla mia gola.
«Reb, mi senti? Apri dai» Meg deve aver chiamato Luca.
«Per favore lasciatemi in pace. Ho bisogno di stare da sola» sento un fruscio sulla porta.
«Okay, se non vuoi aprire va bene. Io sono qui. Se hai voglia di parlare ti ascolto» 
Continuo a piangere fino a che non ho più lacrime. Quando finalmente smetto di singhiozzare mi schiarisco la voce «Sei ancora lì?» chiedo girando il viso verso la porta.
«Certo. Non mi ero mai accorto quanto fosse comodo questo pavimento» mi scappa una risatina nervosa. 
Rimaniamo di nuovo in silenzio per qualche minuto, finché inizio a parlare «Ho sentito un messaggio che Dario mi ha lasciato sul telefono. Paola lo accompagnerà di nuovo questa settimana»
Sento la porta vibrare all’altezza delle mie spalle, deve essersi appoggiato al legno come me.
«Ma perché ti preoccupi ancora per questa storia? Se te l’ha detto vuol dire che per lui non c’è niente di strano» 
Sospiro mentre una nuova lacrima cade sopra le mie gambe «Luca, non me l’ha detto lui»
«E allora come fai a saperlo?» 
Mi asciugo il viso con la punta delle dita «Alla fine del messaggio ho sentito uno straccio di conversazione, lei parlava del loro volo» non risponde subito e io rimango paziente in attesa. 
Quando parla la sua voce è bassa e severa «Pensi che te lo stia nascondendo di proposito?» 
Alzo gli occhi cercando di trattenere le nuove lacrime che mi offuscano la vista.
«Non lo so Luca. Ma tu credi che sia solo una coincidenza che lei abbia cominciato a seguirlo nelle trasferte da quando io sono partita?» 
Aspetto la sua risposta trepidante «Perché semplicemente non glielo chiedi?» sbuffo.
«Non posso Luca. Con che diritto gli chiedo perché se la porta dietro?» 
Alza il tono della voce «Con il diritto che state insieme e che lei è visibilmente interessata a lui» 
Nego con la testa come se lui potesse vedermi «Io non credo che lui se ne sia accorto. E comunque nemmeno io sono così sicura che lui le piaccia» 
Sento che ride «Se lo dici tu mi fido. Un uomo può anche non rendersene conto, ma ogni donna capisce quando un’altra è interessata al proprio uomo» 
Scappa una risatina anche a me «Da quando t’intendi di psicologia femminile?» chiedo sollevando la testa e appoggiandola alla porta.
«M’interessa l’argomento da quando a sedici anni ho scoperto cosa nascondete tra le gambe» risponde cogliendomi di sorpresa.
«Ah, quindi a sedici anni? Non lo sapevo» provo a immaginarlo a quell’età, alto come oggi, ma più mingherlino e con il viso da adolescente.
«Eh già. E tu?» 
Torno indietro con la memoria alla mia prima volta «Diciassette» rispondo sospirando.
«E lui chi era?» 
Ricordo ogni minuto di quel giorno «L’amico di una mia compagna di classe, ogni tanto usciva con noi, aveva due anni più di me. M’infatuai di lui fin dalla prima volta che lo vidi, finché dopo un po’ di tempo ci mettemmo insieme. Dopo una serata in pizzeria con altri amici successe il fattaccio, che poi in realtà non fu nemmeno tanto male. Andammo a casa sua mentre i suoi erano fuori per il weekend e fu molto dolce con me. Siamo stati insieme quasi sei mesi» dico ricordando quel periodo quasi con nostalgia.
«E poi?» chiede curioso.
«Poi mi stufai di lui» rispondo con tono ovvio.
«E così è con lui che hai cominciato ad andartene a giro a infrangere cuori» già, e l’ultimo sarà quello di Dario, in un modo o nell’altro.
«Reb scusa, non volevo dire quello che ho detto» 
«Lo so» lo tranquillizzo alzandomi da terra.
Vado al lavandino, mi lavo il viso e cerco di ricompormi, poi giro la chiave e apro la porta. Luca preso alla sprovvista quasi finisce con la schiena sul pavimento del bagno. Si gira verso di me guardandomi in silenzio. M’inginocchio accanto a lui e appoggio la testa sopra la sua spalla.
«Ti va di venire da me stasera? Prendiamo una pizza e ci guardiamo un film» dice stringendomi una mano.
«In terrazza sul telone?» chiedo allontanandomi e guardandolo negli occhi eccitata.
«Se vuoi sì» appoggio di nuovo la testa sopra la sua spalla.
«Okay» rispondo. 
 
Luca sterza con il volante ed entriamo nel suo garage «E tu con chi?» chiedo girandomi per guardarlo.
«Con chi cosa?» chiede spengendo il motore.
«A sedici anni, con chi…» cerco di farmi capire agitando una mano.
«Ah! Con un’amica di mia madre» dice tranquillamente sfilando le chiavi.
«Luca! Ma che schifo!» esclamo inorridita.
«Schifo un cavolo. Era una quarantenne bellissima e totalmente disinibita, il sogno di ogni adolescente. Ci siamo frequentati per un’intera estate» sono sconvolta.
«E poi?» ride dandomi un buffetto sul naso.
«Poi è tornato suo marito da un lungo viaggio di lavoro» dice alzando le spalle.
«E tua madre non si è mai accorta di niente?» 
Nega con la testa «Certo che no. Tra l’altro sono ancora grandi amiche. Sai Linda?» la conosco bene anch’io.
«Linda? Beh, effettivamente è ancora una bellissima donna, dodici anni fa sarà stata ancora più bella» 
Sospira giocherellando distrattamente con il portachiavi «Eh già. Tra l’altro ultimamente ha imparato dei giochetti nuovi» 
Salto sul sedile e lo guardo spalancando gli occhi «E tu che ne sai?» 
Prima di rispondere si schiarisce la voce «Dopo il party dell’ultima sfilata mi ha chiesto di riaccompagnarla a casa. Suo marito non c’era e… abbiamo… come posso dire… avuto un ritorno di fiamma che è durato fino alla mattina dopo»
«Ah!» dico sorpresa.
«Dai, saliamo e ordiniamo la pizza» 
Scendiamo dall’auto e lo seguo, mentre ci incamminiamo verso l’ascensore prende la mia mano e intreccia le dita con le mie in un gesto d’affetto e conforto, gli sorrido grata per il suo tentativo di distrarmi con questa serata. 
Mentre la porta dell’ascensore si sta chiudendo, Luca la blocca con la mano libera, quando si riapre appare Russel «Ciao. Già di ritorno a casa?» chiede a Luca entrando e mettendosi al suo fianco.
«Sì. Io e la signorina stasera abbiamo intenzione di spassarcela alla grande» gli risponde Luca. 
Io guardo in terra, consapevole che il mio aspetto dopo aver pianto così tanto è a dir poco spaventoso. 
Con la coda dell’occhio vedo Russel che fissa la mia mano e quella di Luca ancora intrecciate, istintivamente le guardo anch’io e cerco di liberarmi dalla stretta di Luca, che invece la rafforza e mi guarda accigliato. 
In quel momento arriviamo al piano di Russel «Allora buona serata» dice uscendo, poi si gira verso di noi e mi guarda dritta negli occhi, io distolgo subito lo sguardo imbarazzata e non fiato.
«Anche a te» risponde Luca mentre la porta si sta richiudendo.
 
Distesi sopra uno dei tanti divani della terrazza, con le teste ai lati opposti e i piedi scalzi che si sfiorano, mentre guardiamo “Zohan - Tutte le donne vengono al pettine” Luca ride di gusto, io invece penso all’occhiata glaciale che mi ha dato Russel quando è uscito dall’ascensore, deve proprio avere un’innata antipatia nei miei confronti per avermi fulminato in quel modo senza nessun motivo.
«Ma che cavolo!» grido togliendomi dai capelli i pop corn che Luca mi ha lanciato addosso.
«Eri assorta, a cosa pensavi?» chiede tirandomi un altro pop corn.
«A niente perché?» sfilo il cuscino da sotto la mia testa e glielo tiro addosso, lui sollevando una mano lo schiva facendolo cadere a terra.
«E io che per farti distrarre un po’ ho scelto uno dei film più belli del decennio» afferma fingendosi deluso.  
«È la quarta volta che guardiamo questo film insieme, non posso sganasciarmi a ogni scena come quando l’ho visto la prima» dico lanciandogli una manciata di pop corn.
Solleva un sopracciglio «Ah no?» chiede alzandosi per poi avvicinarsi con aria minacciosa.
«No!» grido, e capendo le sue intenzioni cerco di scappare. Faccio appena in tempo a riprendere per un angolo il cuscino da terra che mi spinge di nuovo sul divano e mettendosi a cavalcioni su di me inizia a farmi il solletico mentre io mi dimeno cercando di colpirlo con il cuscino.
«Ti prego basta! Sto per vomitare!» si blocca immediatamente e io fingo tenendomi lo stomaco.
«Oddio Reb, scusa» si alza e si mette seduto. Io prendo il cuscino con tutte e due le mani e lo colpisco fortissimo sopra la testa.
«Brutta strega, stavi fingendo» prende un cuscino anche lui e mi colpisce ripetutamente. Continuiamo la nostra battaglia fino a che non scoppiamo a ridere. 
Mentre riprendiamo fiato, io distesa sopra il divano con il cuscino stretto in grembo e lui seduto in terra, suonano alla porta.
«Torno subito» dice alzandosi con il fiato ancora corto. Vedendo i suoi capelli sparati in tutte le direzioni e la camicia mezza fuori dai pantaloni scoppio di nuovo a ridere. 
Sentendo qualcosa sotto al mio sedere tasto il divano con una mano per vedere cosa sia e trovo un bottone della sua camicia. 
Mi alzo in piedi, ritiro giù la gonna e raddrizzo la maglia che mi si è aggrovigliata tutta su un fianco. Mentre mi passo una mano tra i capelli per spostare indietro i ciuffi che mi coprono il viso, sentendomi osservata, alzo la testa di scatto, incontrando gli occhi di Russel che da dentro casa mi sta guardando attraverso una finestra aperta, quando Luca gli arriva da dietro si volta verso di lui e prende qualcosa dalle sue mani, poi spariscono tutti e due dalla mia visuale. 
Mi rimetto seduta sul divano e poco dopo torna Luca «Che voleva Russel?» chiedo con aria indifferente.
«Non trova il carica batteria del telefono, mi ha chiesto di prestargli il mio» prendo una manciata di pop corn e in silenzio guardiamo la fine del film. Ma io non riesco a seguire una sola scena, continuo a pensare solo agli occhi disgustati e irritati di Russel mentre mi squadrava da capo a piedi. 
 
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Capitolo 7
*** Cap. 7 - Te c'hanno mai mannato ***


CAP. 7 - TE C’HANNO MAI MANNATO
 
Te c’hanno mai mannato 
a quer paese? 
Sapessi quanta gente che ce sta!
Er Primo Cittadino è amico mio,
tu dije che te c’ho mannato io.
 
Alberto Sordi
 
**
 
Venerdì 1 Giugno 2012  
 
Riempio il mio piatto di tartine e insalata e insieme a Karen ci sediamo sopra a un divano.
«Certo che Luca conosce un sacco di gente» afferma guardandosi intorno mentre sorseggia la sua bibita. 
Nella terrazza del loft di Luca saremo all’incirca una trentina di persone. Siamo venuti per cenare da lui, poi andremo tutti insieme al club «Alcuni di loro li conosco anch’io» dico indicandole alcune persone che ho conosciuto a Milano in occasione di alcune sfilate o durante degli eventi organizzati dalla Vicky. 
Karen, senza farsi notare, indica con il mento una ragazza con i capelli neri e corti, è seduta sopra un puff, con le lunghissime gambe accavallate e ride insieme ad altre persone «E quella sai chi è? È da quando è arrivata che non toglie gli occhi di dosso a Luca» nego con la testa.
«No, non la conosco, so solo che si chiama Mary. Sarà la sua trombamica di stasera» rispondo appoggiando il mio piatto sopra un tavolino. 
Come da qualche mese a questa parte non ho molto appetito, sono riuscita a mangiare giusto un paio di tartine. Devo approfittare del fatto che Luca non è nelle vicinanze a controllare se e quanto mangio.
«È davvero un peccato che Meg non sia venuta, si sarebbe divertita stasera al club» dice Karen mentre io prendo il mio bicchiere.
«Già, ma non poteva non andare alla cena di compleanno di sua madre» mentre bevo Karen mi dà una gomitata sul fianco e quasi mi strozzo con l’acqua.
«Ma che fai!» sbotto tra un colpo di tosse e l’altro.
«Guarda chi è arrivato» sussurra e io seguendo il suo sguardo vedo Russel che entra in terrazza dalla portafinestra.
«Non dovresti scaldarti così tanto ogni volta che lo vedi» le dico scocciata. 
Lui si guarda intorno e individuato Luca lo raggiunge.
«Non posso farci niente, quando penso che è lui ad aver interpretato Claude mi tremano le ginocchia» 
Alzo gli occhi al cielo «Karen, quello è il personaggio di un film, stava solo recitando. Lui è una persona in carne e ossa» 
Guarda me poi sposta di nuovo lo sguardo su Russel «Sì, ma hai visto che carne e che ossa?» 
Chissà cosa direbbe se sapesse che ho dormito con quella carne e quelle ossa, che stasera sono divinamente coperte da un pantalone sportivo blu e una camicia bianca con le maniche arrotolate.
«Sarà anche un bel ragazzo, ma non è il massimo della simpatia, credimi» le dico.
Mi guarda stupita «E tu che ne sai? È forse successo qualcosa tra voi due che non mi hai detto?» 
Faccio spallucce «In realtà credo semplicemente di non stargli molto simpatica» lei si avvicina e mi stringe l’avambraccio che è tra noi.
«Allora è successo davvero qualcosa. Dai dimmi cosa» mi fissa con gli occhi che si dilatano a dismisura continuando a stringermi il braccio. 
Cerco le parole giuste per liquidare il discorso in fretta «Niente di particolare. È il modo in cui mi guarda che me lo fa pensare… come… come se fossi un insetto schifoso e repellente» dico arricciando le labbra. 
Karen sta sicuramente elaborando un’altra domanda, ma non fa in tempo a dire niente perché tre ragazzi si uniscono a noi tenendo in mano i loro piatti. Sono amici di Luca fin da quando da bambino veniva a Malibù in vacanza con i suoi genitori, sono venuti spesso a trovarlo a Milano e ormai li conosco bene anch’io. 
Peter è un veterinario, è piccolo e magro con occhietti neri, i capelli dello stesso colore sono lunghi fino alle spalle e sempre legati in una coda bassa. 
Non ho mai capito bene quale sia il lavoro di George, so solo che ha a che fare con le banche, è un tipo alto e muscoloso con occhi chiari sempre coperti da lenti da vista, e pelato, per scelta dice lui. 
Poi c’è Matthew, Luca tempo fa mi disse che si era preso una cotta per me, in quel periodo non frequentavo nessuno ma lui comunque non si è mai fatto avanti, è un pediatra e indubbiamente un bel ragazzo, supera il mio metro e sessanta di almeno una ventina di centimetri, ha capelli biondi tagliati a spazzola e occhi color nocciola, ed è sempre molto gentile ed educato, ma non è decisamente il mio tipo. È troppo timido e riservato, e a me non è mai piaciuto fare tutto da sola durante la fase del corteggiamento. 
Le ultime due volte che è venuto a Milano per stare un po’ con Luca già uscivo con Dario e durante una cena si sono anche conosciuti. Non mi stupisco quando mi chiede di lui dopo un po’ che stiamo chiacchierando «Sta bene e lavora sempre molto. Tra un paio di mesi verrà qui per una gara. Possiamo organizzare qualcosa tutti insieme» dico fingendomi entusiasta, mentre in realtà temo quel momento più di ogni altra cosa perché quando Dario arriverà non potrò più tirarmi indietro e arriveremo per forza alla resa dei conti. 
Mi alzo per andare al bagno «Scusate, torno subito» entro dentro casa che sto ancora pensando a quando Dario verrà a Los Angeles, e continuo a farlo quando torno in terrazza e mi avvicino al tavolo dove sono le bevande. 
Mentre mi verso da bere sono talmente assorta che sobbalzo quando sento la voce di Russel alle mie spalle «Acqua? Niente alcolici stasera?» mi giro e lo fulmino con lo sguardo.
«Mi sono decisa a entrare negli alcolisti anonimi. Karen…» la indico con la mano «è il mio sponsor ed è qui per controllarmi. Mi scolerò qualcosa di forte quando sarà abbastanza ubriaca da non accorgersene» rispondo scocciata.
«Quindi sei acida anche di sera» ribatte lui e io sbuffo.
«Senti Russel…» cerco di mantenere un tono calmo «c’è un sacco di gente stasera, perché non cerchi qualcun altro da scocciare?» vedo Luca in un angolo che sussurra qualcosa all’orecchio di Mary mentre lei fa scorrere una mano sopra al suo petto «Oppure ancora meglio, perché non ti apparti con la prima che trovi? Magari ti diverti di più e scarichi anche un po’ i nervi» 
Mentre mi guarda una scintilla carica di rabbia attraversa l’azzurro dei suoi occhi «Quindi è questo il tuo problema» 
«Uhm?» dalla mia bocca non riesco a far uscire niente di meglio mentre lo guardo stupita.
Indica con i mento Luca e Mary che continuano a flirtare «Ti dà fastidio» afferma infilando le mani in tasca.
«Cosa?» chiedo accigliata.
«Vederlo in compagnia di un’altra» 
Non capisco cosa stia cercando di dirmi allora glielo chiedo «Ma che…» ma non mi lascia terminare la frase.
«Cosa credevi? Che ti avrebbe giurato amore eterno?» cominciando a capire mi dondolo sui piedi e incrocio le braccia cercando di mantenere i nervi saldi, poi apro la bocca per ribattere ma lui continua «E tu che ci soffri anche. Sei proprio una povera illusa» 
Sono a un soffio dal mandarlo a quel paese «Io ci soffro? Ma che stai vaneggiando? Io non ho bevuto ma tu evidentemente sì» 
Stringe la mascella poi tira fuori le mani dalle tasche e inizia a gesticolare nervosamente «Si vedeva lontano un miglio l’altro giorno che avevi pianto. Poi cos’è successo? Ti ha fatto due moine e sei caduta di nuovo ai suoi piedi? Tu magari ti senti migliore delle altre ma ti sbagli, per lui siete tutte uguali, buone solo per portarsele a letto» afferma convinto muovendo la testa a destra e sinistra come se io fossi un’idiota che non capisce le sue parole.
«Mi sembrava d’aver capito che tu fossi amico di Luca, ma da come parli di lui mi sa che mi sono sbagliata» sussurro per non farmi sentire da nessuno.
«Certo che sono suo amico, ma so come si comporta con tutte quante, e tu non sarai l’eccezione, credimi. Non hai idea di quante donne vedo entrare e uscire da casa sua, ma le altre almeno non pretendono l’esclusiva. Dammi retta, tiratene fuori prima che sia troppo tardi»
Spazientita mi allontano cercando un posto più appartato e fermandomi lontano da orecchie indiscrete mi giro di scatto verso di lui che mi ha seguita «Ascoltami bene Russel, quello che credi di aver visto è solo frutto di un equivoco e della tua fantasia» affermo con voce tagliente.
«E allora perché avevi pianto? E cosa avrei interrotto mentre eravate qui a guardare il film? Non mentire perché avevate tutta l’aria di due reduci da una maratona di sesso» l’ultima frase l’ha pronunciata a denti stretti e carica di disprezzo.
«Non sono affari tuoi perché io quel giorno avevo pianto» dico prendendo un profondo respiro prima di continuare «E poi pensi davvero che stavamo facendo sesso qui in terrazza? Con il rischio che qualcuno potesse vederci?» chiedo indicando a braccia aperte gli edifici intorno a noi. 
Infila le mani in tasca e sorridendo divertito mi guarda con un sopracciglio sollevato «Che vuoi che ne sappia io, magari sei un’esibizionista» 
Apro la bocca indignata, sta per aggiungere qualcosa ma puntandogli un dito sul petto lo interrompo prima che possa anche solo fiatare «Senti, io ti conosco appena e non ti devo nessuna spiegazione per quello che faccio, dove lo faccio, o con chi lo faccio» il mio tono è perentorio «È chiaro che non ti sto molto simpatica e che hai una pessima opinione di me. Ma anche se dovremo frequentarci perché siamo entrambi amici di Luca non siamo costretti a sopportarci per forza, possiamo tranquillamente evitare di rivolgerci anche solo il saluto. Ti assicuro che mi risulterà molto semplice e sarà un vero piacere far finta che tu non esista. Ti consiglio di fare lo stesso con me se vuoi avere ancora la possibilità di procreare» termino guardando il cavallo dei suo pantaloni «Ora scusa ma vedo che Karen mi sta cercando» gli volto le spalle e mi allontano a passo di marcia lasciandolo lì da solo.
Karen mi porge la mia borsa per uscire e andare al club. Attraverso tutta la casa ed esco sul pianerottolo senza mai voltarmi a guardare Russel. Se non vuole essere mandato a quel paese, con un calcio sopra ai suoi gioielli di famiglia, farà bene a starmi a debita distanza. Ma come si è permesso di sputare sentenze senza praticamente conoscermi? E poi, se davvero andassi a letto con Luca e mi disperassi per lui, che cavolo gliene frega?
 
Il club è pieno di gente come all’inaugurazione. Con Luca e i suoi amici saliamo in terrazza e ci sediamo al tavolo che tiene sempre riservato per sé. Io ascolto le loro chiacchiere e bevo la mia bibita analcolica. 
Russel non si è seduto con noi, deve aver capito che non è il caso che provi anche solo ad attraversare la mia linea di confine. Ho tirato su il filo spinato e assoldato un cecchino che sta di guardia dentro la torretta e gli ho dato l’ordine di sparare in mezzo agli occhi a tutti i pennelloni che mi girano attorno. 
«Cosa vi siete detti tu e Russel quando eravamo a casa?» chiede Luca sedendosi al mio fianco.
«Niente d’importante» affermo distrattamente scrollando le spalle.
«Però sembravate presi da una discussione piuttosto accesa. Eri tutta rossa in viso e lui era altrettanto agitato e teso» insiste.
Mi avvicino al suo orecchio e sussurro «Semplicemente io e il tuo amico non ci stiamo molto simpatici. Tutto qui» 
Volta il busto verso di me e io faccio altrettanto, mentre ci guardiamo negli occhi, Luca, senza muovere un solo muscolo, inclina leggermente lo sguardo verso il bar «Quindi non ti toglie gli occhi di dosso da almeno cinque minuti solo perché prova un’innata antipatia nei tuoi confronti?» 
Inclino gli occhi anch’io ma, essendo meno brava di Luca a non farmi notare, o forse perché effettivamente mi sta fissando, Russel si accorge subito della mia occhiata. È in piedi davanti al bar, con un gomito appoggiato al bancone e un bicchiere in mano, e se ne sta girato verso di noi fissandomi tranquillamente. È in compagnia di un ragazzo che ho visto prima a casa di Luca ma che nessuno mi ha presentato. 
Dopo un minuto abbondante, l’aspirante eunuco sostiene ancora il mio sguardo. Osa addirittura sorridermi. Sentendo la rabbia che mi monta nello stomaco stringo i pugni e serro le labbra continuando a guardarlo in modo sfacciato e sprezzante mentre il cecchino toglie la sicura al fucile, in un baleno sopra al terzo occhio di Russel appare il puntino rosso del mirino laser. 
Un ghigno malefico si dipinge sul mio viso «Avrà la coscienza sporca» sibilo a Luca continuando a fissare l’uomo morto che cammina. Ancora per poco, mi dico.
«Oh oh, ne vedremo delle belle tra voi due. Avvertimi quando dovrò evacuare il locale» dice ridacchiando.
Prendo la mia bibita, bevo e mi volto a guardare Luca «Non preoccuparti, non farò vittime innocenti» lo rassicuro e guardando di nuovo Russel vedo che nel frattempo si è voltato di spalle. 
Il puntino rosso ora è sulla sua nuca. Ordino al cecchino di rimettere la sicura al suo fucile, almeno per il momento.
 
Smetto di ballare e mi avvicino a Karen «Vado di sopra a prendere qualcosa da bere» le grido mentre lei si dimena. 
Salgo in terrazza, accaldata come sono sentendo il fresco della sera rabbrividisco. 
Mi appoggio al bancone del bar e sorrido a Robert «Mi dai dell’acqua per favore?» gli chiedo.
Con il bicchiere stretto in una mano mi avvicino a un tavolino libero e tiro indietro una sedia.
«Hai intenzione di continuare a ignorarmi per tutta la sera?» versando quasi l’acqua per lo spavento mi giro verso Russel.
«Ma tu arrivi sempre alle spalle?» chiedo appoggiando il bicchiere e sedendomi.
«Non mi hai risposto» insiste sedendosi di fronte a me e incrociando poi le braccia sopra al tavolo.
«Non devo essere stata abbastanza chiara prima, io non parlavo solo di stasera» mi alzo e vado verso le scale per tornare di sotto, lasciandolo a fissare il bicchiere con dentro l’acqua che non ho fatto in tempo a bere. 
Metto il piede sul primo scalino quando mi sento toccare una spalla «Che cazzo vuoi ancora?» grido girandomi di scatto.
«Scusa, non volevo spaventarti» dice Matthew togliendo in fretta la mano dalla mia spalla.
«Matt! Pensavo che fosse qualcun altro, non ce l’avevo certo con te» mi scuso arrossendo per la figuraccia.
«Mi ha detto Karen che eri salita. Hai già preso da bere?» chiede.
Guardo dietro di lui e vedo che Russel se n’è andato, il mio bicchiere è abbandonato sul tavolo «Ancora no» 
Si mette al mio fianco e appoggia una mano sulla mia schiena «Andiamo allora, che ho sete anch’io» 
Ci sediamo al bancone e chiediamo a Robert di portarci da bere.
«Quanto tempo rimarrai a Los Angeles?» mi chiede.
«Per il momento non lo so. Potrei anche decidere di trasferirmi definitivamente qui» rispondo e lo vedo perplesso.
«Quindi avevo capito male prima, tu e Dario non state più insieme» 
Smetto di bere e appoggio il bicchiere con troppa forza facendo schizzare fuori un bel po’ d’acqua «Ma certo che stiamo ancora insieme!» esclamo prendendo un tovagliolino per asciugare il disastro che ho fatto.
«E come farete? Insomma non è che l’Italia sia proprio dietro l’angolo… certo, ma che stupido, si trasferirà lui vero?» 
Spalanco gli occhi «No che non si trasferirà. Con il suo lavoro non potrebbe di certo»  
Improvvisamente diventa serio e abbassa gli occhi sul suo bicchiere «Perdonami, non dovevo insistere così. Ho capito, non devi spiegarmi niente» farfuglia facendo tintinnare il ghiaccio.
«Cosa hai capito?» 
Alza gli occhi nocciola e mi guarda timidamente «Siete un po’ in crisi? O sbaglio?» 
«Effettivamente non ti sbagli, ma quella in crisi sono solo io» sospiro facendo scorrere un dito sopra la condensa che ricopre il mio bicchiere.
«Se non ti va di parlarne ti capisco. Spero solo che prenderai la decisione più giusta per te» 
Avvolgo con entrambe le mani il mio bicchiere e gli sorrido «Grazie Matt, lo spero anch’io» 
Si alza e mi tende una mano «Che dici, torniamo di sotto a ballare?» prendo la sua mano e scendo dallo sgabello.
«Sì, ho proprio voglia di scatenarmi» 
 
**
 
Sabato 2 Giugno 2012
 
Infilo i miei occhiali da sole e mi siedo sopra uno dei divani sotto al portico della villa di Luca a Malibù.
«Ci voleva proprio un fine settimana al mare» dice Meg a Karen mentre prendono il sole poco distanti da me. 
Siamo venute con Luca, Peter, Matthew e George per trascorrere insieme un paio di giorni. In spiaggia, a pochi metri da noi, i ragazzi giocano a beach volley, sono anni che portano avanti la stessa sfida. Nel pomeriggio ci raggiungeranno anche degli altri loro amici. 
Dopo un po’ che sto leggendo sentendo Luca che mi chiama sollevo gli occhi dal mio libro e lo vedo in acqua insieme a tutti gli altri «Reb, vieni a farti un bagno!» 
Anche Meg e Karen stanno attraversando la spiaggia per raggiungerli. Slego i miei capelli e scendo la scala di legno, arrivata in fondo sentendo il calore della sabbia corro verso il gazebo. Mi sfilo il vestitino leggero, lo lascio sopra un lettino e vado verso il mare. 
 
Chiudo la porta della camera di Luca e apro Skype sul suo computer per chiamare Dario. Fortunatamente è in linea e risponde dopo pochi squilli «Ciao Tesoro. Ma dove sei? Quella non è casa tua» indossa una camicia bianca di lino ancora sbottonata e ha i capelli bagnati.
«Siamo a Malibù a casa di Luca» rispondo sorridendo.
«Questa volta sono al caldo anch’io» dice mentre osservo le sue belle mani mentre si spostano lentamente sui bordi della camicia abbottonandola.
«Stavi per uscire?» gli chiedo mentre arrotola le maniche velocemente.
«Sì. Ho solo un minuto, mi stanno già aspettando per andare a cena. Sono rientrato in camera solo per farmi una doccia veloce» lo so io chi ti sta aspettando, una certa gatta morta di mia conoscenza. 
Allunga una mano di lato per prendere qualcosa, poi lo vedo infilarsi al polso l’orologio che gli ho regalato.
«Anch’io sono di corsa, devo tornare di sotto per dare una mano a preparare il pranzo» 
Si passa una mano tra i capelli neri tirandoli indietro «Scusa se non posso trattenermi» 
Tamburello le dita nervosamente sulla scrivania «Fa niente, aspetterò che mi chiami quando avrai un po’ più di tempo» 
Qualcuno bussa alla sua porta «Domani non so se ci riuscirò» 
Vorrei urlare ma riesco a mantenere un tono calmo e addirittura a sorridere «Aspetterò. Allora buona serata» 
Bussano di nuovo e lui alza gli occhi al cielo «Devo andare. Ciao Tesoro» mi manda un bacio e chiude la videochiamata.
Ultimamente quando ci sentiamo è sempre di fretta. Forse è vero il detto: lontano dagli occhi lontano dal cuore. 
 
Metto gli ultimi piatti in lavastoviglie e aggiungo il sapone nella vaschetta «Puoi avviare il programma tu, non vorrei sbagliare» dico a Luca che preme un paio di tasti e chiude lo sportello.
«Voi che fate ora?» gli chiedo mentre asciugo il lavello con uno straccio.
«Meg e Karen sono già tornate in spiaggia. Noi quattro facciamo una partita alla Wii e quando arriveranno gli altri le raggiungiamo» 
Tiro su i miei capelli e li lego con l’elastico che ho al polso «Io salgo in camera a fare un pisolino» 
Lui mi scruta attento «Da quando sei scesa dopo aver chiamato Dario non hai pronunciato una sola parola. Posso sapere che cos’hai? Ti ha forse detto qualcosa che ti ha dato fastidio?» 
Mi gratto il mento e distolgo lo sguardo «No, anche perché ci siamo parlati solo un attimo perché era di fretta» mi giro e vado verso le scale «Ci vediamo tra un’oretta»
 
Sento bussare alla porta della mia camera e mi affretto ad aprire. Matthew è in canottiera e pantaloncini «Spero di non averti svegliata» nego con la testa e mi sposto di lato per farlo entrare.
«No Matt, stavo scendendo» mi volto per prendere i miei occhiali da sole e li metto in testa.
«Sono già tutti in spiaggia, vieni anche tu?» chiede uscendo dalla camera e io lo seguo.
«Sì certo» chiudo la porta e scendiamo al piano di sotto. 
Arrivata in cima alle scalette di legno che scendono in spiaggia mi blocco. Guardando di sotto vedo che si sono uniti alla comitiva quello spocchioso e spara sentenze di Russel, il ragazzo che ieri sera era seduto al bancone del bar con lui e Mary. 
Russel indossa un paio di pantaloncini azzurri con delle righe bianche ai lati, è seduto di lato sopra un lettino con le braccia tese dietro la schiena e le mani che stringono il bordo. Osservo attentamente le sue lunghe gambe piegate, gli addominali non troppo pronunciati, l’ampio petto e le braccia, che in quella posizione evidenziano tutte le loro fasce muscolari. Nell’insieme il suo fisico appare magro e slanciato, con i muscoli ben proporzionati. I suoi capelli sotto il sole risplendono di riflessi dorati, e quando sorride è inevitabile non notare quanto sia bello il suo viso da ragazzino impertinente. Che spreco, un tale corpo indossato da un perfetto idiota, penso stringendo il corrimano titubante. 
Tutti quanti, chi seduto sulla sabbia, chi sul proprio lettino, stanno ascoltando il ragazzo che ancora non conosco, parla gesticolando e facendo delle espressioni buffe, finché tutti scoppiano a ridere. Mentre sta ancora ridendo, Russel alza lo sguardo e mi vede, io lo guardo rimanendo immobile e lui smette subito di ridere, ma senza staccare gli occhi dai miei.
«Reb, scendiamo?» Matt mi sta fissando con le sopracciglia inarcate.
«Sì, scusa» mi affretto a rispondergli e poi lo seguo mentre scende davanti a me. 
Mentre mi avvicino al gruppetto che si sta divertendo provo uno strano senso d’inquietudine, forse è per la presenza di Russel, anzi, è sicuramente per questo motivo, spero solo che abbia capito che non voglio avere niente a che fare con lui.  
 
«Posso chiederti come mai stai sempre sotto al gazebo? Hai paura di scottarti?» mi chiede Brian, il ragazzo che ieri sera era con Russel al bancone del bar. 
Appoggio il mio libro sopra al petto e lo guardo mentre si versa dell’acqua «No, è che non posso prendere il sole sopra le cicatrici» gli rispondo stranamente senza nessun imbarazzo. È un ragazzo simpatico e allegro e la risposta mi è uscita spontanea senza pensare alle altre domande che ora sicuramente mi farà. 
Con un bicchiere in mano si siede sopra la poltroncina accanto al mio lettino. Il suo viso è sempre sorridente e i suo occhi marroni dal taglio a mandorla sono dolci e rassicuranti «Sono recenti vero?» apprezzo che parli guardando i miei occhi invece che le mie gambe o le mie braccia.
«Sì, me le sono fatte circa tre mesi fa con i vetri della mia auto durante un incidente. Purtroppo indossavo una gonna e una camicetta leggera. Se quella mattina avessi messo un maglione e un paio di pantaloni lunghi forse oggi avrei solo queste» dico mostrandogli i palmi delle mani «E questo qua» continuo toccandomi il taglio sopra fronte.
«Fai bene a non prenderci il sole. Vedrai che tra qualche altro mese non si vedranno quasi più. Per quello sulla fronte se vuoi puoi venire in clinica da me e vediamo come attenuarlo un po’» 
Lo guardo perplessa «In clinica da te?» 
«Sì, sono un chirurgo estetico» risponde sorridendo.
Spalanco la bocca «Non lo sapevo»
Sento il tintinnio delle bottiglie sul tavolo dietro di me e voltandomi vedo Russel, è di schiena e si sta versando da bere. Chissà da quant’è che è lì e se ha sentito quello che ho detto a Brian. Ricordo bene che la mattina che mi svegliai a casa sua anche lui mi chiese come mi ero procurata le cicatrici, ricordo anche che però non riuscii a raccontargli quasi niente. 
Deve essere appena uscito dall’acqua, su tutto il suo corpo scorrono gocce scintillanti, seguo quasi incantata quelle che sembrano nascere dalla punta dei suoi capelli e che scendendogli sul collo percorrono velocemente tutta la sua spina dorsale fino a terminare la corsa sull’elastico dei pantaloncini, mentre da lì ne partono altre che gli scivolano lungo le gambe. 
Beve poi si volta e parla rivolgendosi a Brian «Vieni a fare una partita?» chiede guardando gli altri che stanno palleggiando vicino alla rete da beach volley. Sembra fare attenzione a non incrociare il mio sguardo. Bene, finalmente ha capito che deve lasciarmi in pace.
Brian si alza e appoggia il bicchiere sopra al tavolo «Arrivo» gli risponde «Rebecca, poi ne riparliamo okay?» dice girandosi verso di me mentre si allontana con Russel. Annuisco e mi rimetto a leggere.
 
«Non avrai mica creduto davvero di potermi battere?» dico a Luca mentre gli sventolo sotto al naso la racchetta da ping pong della Wii «E sappi che ero anche in difficoltà perché con quest’affare è la prima volta che ci gioco. Con una tavolo e una pallina veri non avresti fatto nemmeno quei tre miseri punti» mi vanto alitando sopra le unghie della mano destra per poi lucidarle sulla maglia.
«Ma piantala!» prende la mia racchetta e la getta sul tavolino tra i due divani dove sono seduti gli altri, da dietro mi passa un braccio intorno al collo bloccandomi e stringendo a pugno la mano dell’altro braccio struscia le nocche sopra la mia testa. Quando mi lascia mi butto sul divano accanto a Meg e lo guardo con sfida «Quando tornerò la prossima volta, fammi trovare un tavolo vero e giuro che mi scommetto lo stipendio di un mese contro di te» gli dico mettendo il dito indice e medio davanti ai miei occhi, poi li punto su di lui guardandolo dal basso verso l’alto. 
Prendo dal tavolino il bicchiere con il mio gin tonic “normale” e guardo l’ora, è quasi mezzanotte. 
È da quando ci siamo alzati da tavola che giochiamo alla Wii, ho stracciato Meg, Peter, Brian e Luca.
«C’è qualcun altro che ha voglia di giocare?» chiede Luca, l’unico ancora in piedi. Neghiamo tutti con la testa e ci spostiamo nel portico. 
Matt arriva dalla cucina con una bottiglia di birra in mano e si siede accanto a me, gli sorrido appoggiando il mio bicchiere ormai vuoto sul tavolino al centro dei divani disposti a ferro di cavallo.
«Vuoi che vado a preparartene un altro?» chiede indicando il mio bicchiere.
«No grazie»  
Sento Russel che seduto di fronte a me parla con Mary di un provino che ha fatto questa settimana. È girato verso di lei, con una gamba piegata e stesa sopra la seduta e un gomito sullo schienale. Lei è protesa verso di lui con le gambe accavallate e sembra pendere totalmente dalle sue labbra, lo guarda sbattendo le ciglia cariche di mascara, e ogni tanto le scappa una risatina talmente acuta che temo potrebbe far esplodere i nostri bicchieri di cristallo. In tutto il giorno con Russel non ci siamo rivolti parola, quando sono scesa in spiaggia l’ho salutato giusto con un cenno del capo e abbiamo entrambi fatto attenzione a non incrociare nemmeno per sbaglio i nostri sguardi. 
Credo che la tensione fra noi non sia passata del tutto inosservata agli altri, sicuramente non a Luca che talvolta sposta lo sguardo da me a lui o viceversa. 
Sbadiglio e mi alzo disgustata «Vado a dormire. Buonanotte a tutti»  
Rientrando in casa sento dei passi alle mie spalle «Vado a letto anch’io» dice Matt dietro di me. 
Mi volto per aspettarlo e vedo Russel che mi sta fissando, Mary invece guarda lui e con la mano sfiora la sua appoggiata sopra lo schienale, lui la ritrae immediatamente girandosi di scatto verso di lei poi la passa sopra la testa nervosamente. 
Certo che la ragazza ha davvero le idee chiare, ieri sera si strusciava a Luca e solo il giorno dopo salta praticamente addosso a Russel. Chissà, forse è in viaggio per fare “il giro dei letti in 365 giorni”.
 
**
 
La solita strada. Lo stesso orizzonte così lontano. Cammino con calma andando incontro alla luna piena, l’unica fonte di luce nel buio completo della notte. Indosso una gonna nera a portafoglio, una camicetta bianca, e calze velate, niente scarpe. Improvvisamente la mia figura proietta un’ombra davanti a me. Alzo la testa per guardare la luna, e guardo di nuovo la macchia scura sull’asfalto che lentamente diventa sempre più lunga e larga. Quando sento il suono di un motore alle mie spalle capisco che l’ombra è generata dai fari del veicolo che sta arrivando. Mi volto e due fasci di luce bianca mi accecano. Riesco a vedere solo la sagoma di un grosso furgone. Corre verso di me diventando sempre più grande, sempre più imponente. Avvolta da tutta quella luce mi sento vulnerabile, come un granello di pulviscolo durante un tornado. Scossa dal tremore rimango immobile al centro della strada, mi avvolgo le spalle con le braccia e guardo la sua folle corsa, come un imputato per omicidio che in un’aula di tribunale attende la sua sentenza. Il ruggito del motore pronuncerà il verdetto, ma il grosso furgone ancora non ha deciso, tentenna ancora tra la libertà e la pena di morte. Quando arriva a pochi metri da me, mi lancio sul ciglio della strada rotolando a terra, diventando il giudice di me stessa e assolvendomi da tutti i reati d’accusa. Il furgone rosso sfreccia al mio fianco, con una mano strattono indietro i capelli che mi sono caduti davanti al viso per poter guardare all’interno dell’abitacolo. Dario alla guida non si accorge di me, guarda la strada aumentando la velocità. Corro di nuovo al centro della strada per guardare il furgone che si allontana. Le luci rosse posteriori diventano sempre più piccole, fino a che improvvisamente aumentano d’intensità. Il furgone frena scivolando sull’asfalto. Sbanda a destra, si solleva di lato e cade sul fianco sinistro. Continua a muoversi in avanti, l’attrito con la strada provoca scintille, e lo stridio della lamiera sull’asfalto sembra un’unghia che graffia una lavagna. Si ferma, e con uno sbuffo di fumo nero e denso il motore borbotta un’ultima volta spegnendosi. I fari però sono ancora tutti accesi, uno lampeggia a intermittenza come le luci di un albero di Natale. Mi torna in mente il viso di Dario e corro verso il furgone. I vetri sono ancora tutti intatti. Mi avvicino al parabrezza mettendo le mani ai lati del viso per vedere meglio all’interno. Dario è rannicchiato sotto al sedile del guidatore. Incurante del dolore tiro pugni e calci contro il cristallo. Mi fermo, e appoggiandomi con le mani sopra le ginocchia prendo dei profondi respiri. Alzo la testa e guardo il vetro, non sono riuscita nemmeno a incrinarlo. Prendo la rincorsa e lo colpisco con una spalla. Una, due, tre, quattro volte. Improvvisamente s’infrange. Scaglie luminose cadono all’interno del furgone investendo Dario che è ancora immobile. In fretta entro dentro e sposto delicatamente le sue braccia che sono avvolte sopra la testa. L’orologio che gli ho regalato è rotto, e la camicia di lino bianca è macchiata di sangue. Volto il suo viso di lato. Ma non è più il suo quel corpo inerme. Sono io quella immobile davanti al sedile, con gli abiti strappati e coperti di sangue. Sento il mio viso bagnato, mi tocco la fronte sporcandomi le mani di sangue. Le pulisco sulla gonna e tolto il sangue giro i palmi per guardarli, vedo che sono attraversati da ferite che diventano velocemente di nuovo rosse. Spaventata alzo la testa. Sono sola, inginocchiata davanti al sedile del guidatore. Sento la maniglia dello sportello che preme sulla mia schiena e i vetri sono di nuovo tutti intatti, anche il parabrezza che ho rotto poco fa. Mi aggrappo con le mani al volante e lentamente mi sollevo. Dovunque tocco lascio impronte rosse. Quando sono in piedi grido aiuto con tutto il fiato che ho in gola battendo i pugni sul parabrezza, finché sento finalmente una voce chiamarmi «Rebecca svegliati!» qualcosa mi blocca i polsi. Apro le mani e giro i palmi verso di me, vedo che non sono più sporchi di sangue. Abbasso la testa per guardarmi. La maglia che ho messo prima di andare a letto è pulita. Sento però il sangue che mi scorre sul viso. Tiro le braccia per liberarmi i polsi e mi passo le mani sulla faccia sentendo che si bagnano di liquido caldo. Le riabbasso e le guardo, non sono rosse. Il mio viso è bagnato, ma sono solo lacrime. Chiudo gli occhi e sospiro abbandonandomi con la schiena sul materasso.
«Stai tremando» apro gli occhi di scatto e vedo Russel seduto sul bordo del letto.
 
**
 

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Capitolo 8
*** Cap. 8 - Siberia ***


CAP. 8 - SIBERIA
 
Il ghiaccio si confonde
con il cielo, con gli occhi
e quando il buio si avvicina 
vorrei rapire il freddo 
in un giorno di sole 
che potrebbe tornare in un attimo solo.
 
Forse stanotte,
se avrò attraversato 
la strada che non posso vedere 
poi in un momento 
coprirò le distanze
per raggiungere il fuoco 
vivo sotto la neve.
 
I nostri occhi impauriti
nelle stanze gelate,
al chiarore del petrolio bruciato
e oltre il muro il silenzio,
oltre il muro solo ghiaccio e silenzio.
 
Aspetterò questa notte pensandoti,
nascondendo nella neve il respiro,
poi in un momento diverso dagli altri
io coprirò il peso di queste distanze...
di queste distanze... di queste distanze...
di queste distanze...
 
Diaframma
 
**
 
Tiro su il busto e scatto indietro sbattendo le spalle contro la testiera del letto «Che ci fai in camera mia?» gli chiedo tirando su le ginocchia e circondandole con le braccia.
«Gridavi chiedendo aiuto. Mi hai fatto quasi venire un infarto» interessante, aspetterò che si sia riaddormentato e urlerò un altro po’.
«Sei entrato da lì?» indico la portafinestra della terrazza.
«Sì, era aperta. La mia camera è qui accanto» 
Con mani tremanti mi asciugo il viso e scivolo sul lenzuolo per scendere dal letto.
«Dove vai?» chiede alzandosi e venendomi di fronte. 
Mi siedo sul bordo del materasso e lui appoggia le mani sopra le mie spalle per fermarmi. È scalzo e indossa solo un paio di pantaloncini. Sul suo petto vedo dei segni rossi. 
Segue il mio sguardo poi rialza il suo su di me «Sei piccola ma picchi forte. Stavi per caso sognando di darmele?» accenna un sorriso divertito.
«Sì, e gridavo aiuto per chiamare Mike Tyson perché venisse a darmi una mano» rispondo sghignazzando mentre appoggio un piede a terra «Quello non sarebbe stato affatto un incubo» 
Lui ride «Se ti mette di buon umore ti farò da pungiball ogni volta che vorrai» poi indietreggia di un passo per farmi spazio e io mi alzo in piedi.
«Non tentarmi» dico con voce fiacca. Mi gira un po’ la testa, lui se ne accorge e mi aiuta prendendomi le mani.
«Cosa devi fare di così urgente da non poter aspettare di essere di nuovo in te?» chiede inarcando le sopracciglia. 
L’idea di farmi aiutare proprio da lui non è che mi faccia fare i salti dalla gioia, ma se non mi stessi sorreggendo alle sue mani probabilmente sarei già a terra come un sacco di patate. Il mio cuore batte ancora forte nel petto e mi sento stanca come se avessi corso una maratona. 
I miei incubi con il passare dei mesi, invece di diradarsi, diventano sempre più frequenti e realistici, e quando mi sveglio sono ogni volta sempre più spossata. 
Con il mento indico la porta del bagno «Voglio lavarmi il viso, e poi ho sete» lui sospira e mi lascia una mano.
«Okay, ormai è il mio destino accompagnarti al bagno»
 
Mentre mi lavo il viso con acqua fredda Russel se ne sta appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate. 
Mi brucia la gola, prendo il bicchiere dove ho messo il mio spazzolino da denti e lo riempio d’acqua, dopo aver bevuto, mentre lo rimetto a posto, vedo attraverso il vetro trasparente le cicatrici rosa sul palmo della mia mano. Mentre le fisso mi tornano in mente dei frammenti dell’incubo: la sagoma scura del furgone, lo stridio della lamiera sull’asfalto, il profilo di Dario mentre alla guida sfrecciava al mio fianco, le mie mani macchiate di sangue. 
Stringo più forte il vetro, fino a che la mia pelle diventa completamente bianca e quasi non distinguo più i tanti tagli lì sopra. Per un attimo m’illudo che non ci siano mai stati, che anche il giorno dell’incidente sia solo un incubo, che il giorno di Natale Dario non abbia cercato di regalarmi un anello, che non sono a diecimila chilometri di distanza da casa per scappare da lui, che non sono in una cazzo di casa a Malibù, dentro un cazzo di bagno, e che non sto stringendo un cazzo di bicchiere solo per far sparire i segni che da mesi se ne stanno comodi comodi sopra la mia pelle a ricordarmi i miei errori.
Russel alle mie spalle avvolge la mia mano con la sua «Lascialo, o ti farai male» dice parlandomi dolcemente. 
Allento la presa e lui mi sfila il bicchiere. 
Sentendomi una perfetta idiota abbasso la testa stringendo il bordo del lavandino. 
«Vieni, un po’ d’aria fresca ti farà bene» dice prendendomi una mano e guidandomi in terrazza. 
Mi siedo sopra un divanetto di vimini mentre lui entra in camera sua. Torna con una t-shirt bianca in mano, la indossa e si siede di fronte a me nell’altro divano. 
Mi stendo e appoggio la testa sul bracciolo incrociando le braccia sul petto. Mentre guardo le stelle con la coda dell’occhio vedo che si è steso anche lui, solo che le sue gambe non entrano nel divano, sono fuori dal bracciolo piegate all’altezza delle ginocchia.
«A volte raccontare un incubo può aiutare sai? Si scordano più facilmente» dice e io giro il capo verso di lui, ha le mani intrecciate tra loro sotto la testa e con la poca luce che arriva dalle nostre camere riesco a vedere appena la sagoma del suo profilo.
«Non quelli che faccio io» rispondo con voce atona. Inclina appena la testa verso di me, e la Luna accende due puntini lucenti nei suoi occhi.
«E ti succede spesso di farne?» alla sua domanda annuisco. 
Ho la certezza che ha davvero visto il movimento della mia testa solo quando chiede «E fai sempre lo stesso?» nego muovendo nuovamente il capo.
«Solo il luogo è sempre lo stesso» si gira verso di me mettendosi sul fianco, con le gambe piegate per farle entrare all’interno del divano e la testa appoggiata sopra la mano.
«E sarebbe?» 
Parlo guardando il cielo «Una strada. All’inizio di ogni incubo mi trovo sempre nella stessa strada, poi però succede sempre qualcosa di diverso» sopraffatta dalle immagini che mi tormentano quasi ogni notte chiudo gli occhi per provare a scacciarle.
«È una strada che esiste o è frutto della tua fantasia?» 
Struscio i palmi delle mani sopra le palpebre e li lascio lì «Esiste. È la strada dove ho fatto l’incidente» non aggiungo che è anche la strada che porta a casa di Dario. Perché io quella sera stavo andando da lui, dovevo assolutamente parlargli prima che uscisse per andare in aeroporto e volare in Australia. 
Mi giro sul fianco anch’io e metto le mani sotto la testa. Vedendolo incastrato in quel divanetto mi ricorda il papà della famiglia del cartone animato “Gli incredibili” quando se ne va a giro dentro la sua macchinina. 
«Quella di stanotte fra noi, è una specie di tregua?» chiede dopo un po’ che siamo in silenzio. 
Sto morendo dal sonno, riesco appena a rispondergli «Sì, una specie» poi sbadiglio e chiudo un attimo gli occhi.
«Hai ragione tu Rebecca, non mi devi nessuna spiegazione» sento la sua voce in lontananza.
«Già» rispondo piano.
 
**
 
Domenica 3 Giugno 2012 
 
Mi sveglio e prendo il mio telefono dal comodino per guardare che ore sono: le otto. Richiudo gli occhi e mi giro dall’altra parte. 
Che razza di nottata. Sento dolore dappertutto, quando mi sono addormentata in terrazza devo aver preso freddo. Già, ma se mi sono addormentata in terrazza, com’è che ora sono nel mio letto? 
Mi gratto la testa e lascio cadere il braccio sul cuscino dall’altra parte del letto, ritirando poi in fretta la mano dopo che ha sbattuto sopra qualcosa di duro.
«Cazzo che male!» impreco raggomitolandomi su me stessa per il dolore e riaprendo gli occhi.
«Per fortuna che ho la testa dura» Russel è disteso a pancia sotto con il viso rivolto verso di me e si massaggia la tempia. 
Mi sollevo mettendomi seduta «Ma che ci fai nel mio letto?» chiedo guardandolo con gli occhi spalancati.
Sospira annoiato «Forse non te lo ricordi, ma ieri sera mi hai chiesto di rimanere qui con te» dopo aver parlato chiude gli occhi e assumendo un’espressione totalmente rilassata abbraccia il cuscino.
«Io ti avrei chiesto di dormire con me? Ma non dire stronzate!» 
Si gira sul fianco e sollevando appena la testa mi punta addosso i suoi fanali turchesi «Quando ti ho portata a letto hai pronunciato queste esatte parole: “Non lasciarmi da sola”» 
Lo guardo allibita «Tu mi hai portata a letto?» alza una spalla e appoggia la testa sul cuscino.
«Ti sei addormentata fuori ma stavi prendendo freddo e visto che dormivi tranquilla non volevo svegliarti, così ti ho portata qui. E poi hai detto…»
Scuoto la testa e sventolo una mano socchiudendo gli occhi «Okay ho capito, non serve che lo ripeti» forse nel dormiveglia ho detto davvero quella frase, ma sicuramente non a lui, probabilmente stavo sognando Dario. 
Mi siedo sul bordo del letto e appoggiando le mani sopra al materasso parlo dandogli le spalle «Anche se sono più che convinta di non doverti nessuna spiegazione...» stringo il lenzuolo nei pugni continuando «ti dirò lo stesso che quando mi hai vista in ascensore con Luca, non era per colpa sua se avevo pianto. E quando eravamo in terrazza e sei arrivato, non hai interrotto nessuna sessione di sesso selvaggio, ma solo una lotta con i cuscini tra due idioti che per cinque minuti erano tornati bambini. Non sono mai andata a letto con Luca, tranne che per dormire. È solo un amico che cerca di starmi vicino in un momento un po’ complicato della mia vita» dietro di me non sento alcun movimento. 
Mi alzo, e senza voltarmi mi dirigo in bagno concludendo «Fammi un favore, quando esci dalla mia camera cerca di non farti vedere da nessuno. Non voglio aggiungere una relazione inesistente ai casini che ho già» chiudo la porta del bagno dietro le mie spalle e apro l’acqua della doccia.
 
«Meg! Vuoi smettere di guardare il sedere di Brian? Tu sei malata!» le dice Karen, lanciando poi una rivista sopra al tavolino del gazebo mentre siamo distese nei lettini. 
Io scoppio a ridere e chiudo il mio libro lasciando un dito a tenere il segno della pagina che stavo leggendo. 
«Tu cosa ridi si può sapere?» dice Meg voltandosi verso di me con un sopracciglio sollevato.
«Karen ha ragione, sembri una maniaca» le dico. 
Infila i suoi occhiali e si volta di nuovo a guardare i ragazzi che giocano a beach volley «Senti chi parla! Cos’erano quelle occhiate che vi siete scambiati tu e Russel a colazione?» ribatte. 
Riapro in fretta il mio libro «Non ci siamo scambiati nessuna occhiata. Tu hai preso troppo sole ieri, fai bene a stare qua sotto sai» rispondo cercando di riprendere la mia lettura per chiudere il discorso.
«Veramente l’ho notato anch’io. Ieri vi siete evitati come la peste per tutto il giorno, mentre stamani lui ti ha sorriso più di una volta, e si è addirittura alzato da tavola per andare a prenderti i biscotti quando hai detto di non volere i pancake» che rottura avere due amiche che notano certi particolari.
«Zitte! Sta arrivando la fiammiferona» dice Meg guardando dietro di noi. 
Mi giro anch’io e vedo Mary che sta scendendo le scale del portico. Indossa un minuscolo bikini nero con paillettes argento, i suoi capelli neri e corti sono perfettamente acconciati e le sue lunghe gambe sono ancora più lunghe grazie a due sandali con zeppe altissime. 
«Ehi ragazze!» esclama entusiasta sedendosi sopra un lettino «Scusate se vi ho fatto aspettare, ma Luca stanotte non mi ha fatto chiudere occhio» ma con chi sta parlando? Chi l’aspettava? Noi tre sicuramente no. E nemmeno tutti gli omini e le donnine nel mio cervello, dei quali tra l’altro ignora l’esistenza.
«Oh Mary, meno male che sei arrivata. Ci stavamo annoiando senza di te» dice Meg mascherando il tono ironico. Ma che è impazzita? La guardo terrorizzata mentre Karen trattiene una risata voltandosi dall’altra parte, poi riprende la rivista e aprendola si copre il viso.
«Lo so che senza di me non ci si diverte» per niente consapevole di essersi appena aggiudicata il titolo di buffona del villaggio con tre voti unanimi, fiammiferona si stende e tira fuori dalla sua borsa la crema solare «Russel vi ha detto che forse lavoreremo insieme in un film?» 
Meg non le presta la minima attenzione, ha ripreso la sua attività di guardona. 
Karen invece richiude la rivista di scatto «Davvero?» le chiede spalancando gli occhi.
«Sì, la prossima settimana farò il provino. Sarebbe stupendo lavorare con lui, è così carino e gentile» come no. Aggiungerei anche che sa stare al suo posto e che non si fa mai gli affari degli altri. 
I ragazzi ci chiamano per fare il bagno «Andiamo?» chiede Meg alzandosi.
«Uffa, mi sono appena sistemata i capelli» dice fiammiferona toccandosi la nuca.
«Forse è meglio se non entri in acqua» le suggerisce Meg.
«Hai ragione, altrimenti perderò un’altra ora per sistemarli» 
Meg indica il suo costume «Non è per i capelli. Il tuo costume, con tutte quelle paillettes potrebbe attirare gli squali» 
Lei si guarda con espressione spaventata «Oddio, non ci avevo pensato. Certo che la commessa poteva anche dirmelo quando l’ho comprato» 
Alzo lo sguardo al cielo e sospiro portandomi una mano sul petto «Che vuoi farci, non esistono più le commesse di una volta» commento seria.
«Ci aspetti qui?» le chiede Karen.
«Sì, mi dedicherò alla tintarella» risponde fiammiferona mentre esce dal gazebo per stendersi al sole. 
Noi tre andiamo verso l’acqua «Sei proprio una stronza» dico ridendo a Meg.
«Sono un genio, altroché» risponde «E poi è vero, l’ho visto su Discovery Channel che gli squali scambiano tutto ciò che luccica per le squame di un pesce» dice seria.
«Quindi le volevi salvare la vita?» chiede ironica Karen.
«Certo che no. L’ho detto solo perché non volevo che facesse il bagno con noi» risponde mentre entriamo in acqua.
«E con Brian, soprattutto!» puntualizzo e mentre lei mi schizza ripetutamente scoppiamo tutte e tre a ridere. 
 
Esco dall’acqua e corro sotto al gazebo «Che freddo!» esclamo tenendo le braccia strette sul torace.
«Vieni qui» dice Matt avvicinandosi con un asciugamano tra le mani, quando gli sono di fronte me lo avvolge intorno e lo chiude sotto il mio mento «Meglio?» chiede spostandomi indietro le ciocche di capelli che ho davanti agli occhi.
«Sì. Ma voi come fate a stare così tanto in acqua? È freddissima!» dico rabbrividendo.
Si siede e batte una mano sul cuscino del lettino «È solo questione d’abitudine» risponde mentre mi siedo accanto a lui.
«Io non potrei mai abituarmi, sono troppo freddolosa» dico strusciandomi le mani sul corpo per asciugarmi più in fretta.
«Eh già, la nostra Reb ha freddo anche quando a Milano ci sono quaranta gradi all’ombra» mi prende in giro Luca mentre si avvicina insieme a tutti gli altri. 
«Non è certo colpa mia se ho la temperatura corporea di un rettile» mi difendo avvicinandomi al tavolo per versarmi da bere.
«È per questo motivo che stanotte ti sei avvolta nella coperta come se fossimo in Siberia?» sussurra Russel al mio orecchio.
«Ma sei scemo?» gli rispondo guardandomi alle spalle per vedere se l’ha sentito qualcun altro.
«E comunque, anche la tua lingua è come quella di un rettile» dice indicando la mia bocca. 
Mi alzo sulle punte e mi avvicino al suo orecchio «Ti consiglio di fare attenzione soprattutto al mio veleno» sibilo come un serpente e mi allontano mentre lui ride. 
 
«Dammi il cinque!» alzo una mano e la schianto sopra quella di Karen.
«Mi sa che stasera la cena tocca prepararla a voi» dice Meg rivolgendosi ai ragazzi che hanno perso contro di noi a beach volley.
«Ma tu da che parte stai?» chiede Luca avvicinandosi a Brian che durante la partita ha fatto da giudice e che ora si sta complimentando con Meg.
«Dai non prendertela, vi hanno battuto onestamente» risponde lui. 
Anche Mary è eccitata dalla vittoria, la sua altezza e quella di Meg sono state fondamentali sotto rete. 
Matt mi raggiunge chiedendo «Facciamo un bagno?» 
Con il dorso della mano mi asciugo il sudore sulla fronte «Sì. Prima però devo passarmi di nuovo un po’ di crema» rispondo e vado sotto al gazebo per spalmarmi ancora la crema a schermo totale e resistente all’acqua. 
Sono già tutti in acqua, Meg e Brian si sono staccati dal gruppo e chiacchierano e ridono. Li vedrei bene insieme, sono tutti e due molto simpatici e allegri. Tolgo l’elastico dai capelli e corro verso l’acqua. 
 
Esco dalla mia camera, e mentre chiudo la porta vedo Russel che sta uscendo dalla sua «Posso parlarti un attimo?» mi chiede avvicinandosi. Io annuisco «Io e te abbiamo cominciato con il piede sbagliato» dice guardandomi negli occhi.
«Sei tu che hai cominciato con il piede sbagliato!» gli ricordo incrociando le braccia.
«Okay, forse sono arrivato troppo in fretta alle conclusioni. Possiamo ricominciare da capo o sei troppo orgogliosa per darmi un’altra possibilità?» 
Parlo guardando in terra «Tu mi hai praticamente dato della puttana, sprovveduta per giunta» dico a voce bassa. 
Lui sospira «Se non l’avessi capito sto cercando di chiederti scusa. Me la concedi o no un’altra possibilità?» chiede ancora appoggiando una mano sul muro vicino alla mia testa. 
Alzo lo sguardo e lo scruto con attenzione. Non c’è traccia di scherno in lui in questo momento, e nemmeno dell’arroganza con cui mi ha parlato a casa di Luca. Ha un sorriso appena accennato sulle labbra e i suoi occhi sembrano sinceri.
«Devo pensarci» rispondo sostenendo il suo sguardo.
«Okay, sapevo che non sarebbe stato semplice, ma è già qualcosa»
Dal corridoio arriva Matt, si ferma guardandoci sorpreso «Ero venuto a chiamarvi, è arrivata la cena» 
«Scendiamo subito» risponde Russel abbassando il braccio. 
Matt si volta e sparisce in fretta.
«Quindi posso ricominciare a parlarti senza rischiare ogni volta che tu mi morda?» chiede divertito.
Sorrido «Dipende dalle cose che dirai. Per sicurezza portati sempre dietro l’antidoto però, non si sa mai» dico prima di voltarmi e seguire Matt di sotto.
 
Dopo aver salutato tutti quanti, metto la mia valigia nel bagagliaio della macchina di Meg e lo richiudo. Lei e Karen sono già sedute davanti. 
Mentre apro lo sportello per salire nel sedile posteriore mi sento sfiorare una spalla «Ciao Rebecca, ci vediamo venerdì a casa di Brian» dice Matt baciandomi una guancia.
«Sì, ciao Matt» dico salendo in auto, poi gli sorrido mentre chiude lo sportello. 
Meg mette in moto e si allontana in fretta, mentre attraversiamo il cancello si ferma e si volta per guardarci «Ragazze, ho trovato l’uomo dei miei sogni!» sbotta eccitata.
«Mi piace molto Brian» dice Karen e Meg la guarda torva «Ma che hai capito, non in quel senso, è simpatico, e poi è stato molto gentile a invitarci a cena da lui venerdì prossimo» precisa Karen.
«Ma non dicevi che l’uomo dei tuoi sogni doveva essere più alto di te? Brian è carino, ma tu lo superi di almeno cinque centimetri» la stuzzico.
«Che m’importa, ha tante altre qualità più importanti dell’altezza. E poi non è mica basso, sono io che sono fuori misura» 
Metto la testa tra i due sedili e mi rivolgo a Karen «George mi ha chiesto se sei fidanzata» 
Lei si gira di scatto «Davvero? E quando?» chiede meravigliata.
Mi riappoggio allo schienale «Oggi, dopo la partita» 
Lei sospira «Mi ero accorta di qualcosa, ma a me non interessa» 
Meg prima di ripartire la guarda un attimo «E perché no?» le chiede.
«Ora come ora sto bene così. Non voglio nessun tipo di storia con nessuno» 
Meg le sventola un dito davanti «Ricordati che ogni lasciata è persa» 
Do uno schiaffo sul sedile di Meg «Lasciala in pace, evidentemente George non le interessa» 
Mi guarda dallo specchietto con occhietti furbi «E a te interessa Matthew?» 
Scatto in avanti infilando di nuovo la testa tra i sedili «Ma che dici? Matt? E perché dovrebbe interessarmi?» chiedo a raffica.
«Non so tu, ma lui è cotto di te» 
Sbuffo e mi rimetto seduta «Forse era vero tempo fa, almeno da quello che mi disse Luca una volta, ma gli è sicuramente passata, e poi lo sa che sto con Dario» 
Karen si gira verso di me «Quindi è vero che aveva una cotta per te?» chiede.
Nego con la testa «È roba vecchia, di prima che conoscessi Dario. Sono sicurissima che gli sia passata» Meg mi lancia uno sguardo incerto dallo specchietto, mentre Karen guarda la strada in silenzio.
 
**
 
Lunedì 4 Giugno 2012 
 
Con Emma stiamo controllando uno smoking che abbiamo confezionato per il padre di una ricca ereditiera che si sposerà la prossima settimana 
«Mando qualcuno a prenderlo per spedirlo» le dico mentre recupero il mio cordless dal tavolo del taglio.
«D’accordo, io vado a vedere a che punto è il velo della sposa, dobbiamo ancora finire di ricamarlo» 
Mentre Emma si volta per andare dalle due ricamatrici le cade qualcosa da una tasca. Mi chino per raccogliere quella che vedo essere una fotografia «Emma, ti è caduta questa» lei si gira verso di me mentre io sto guardando la foto.
«Oh cielo, meno male che non l’ho persa. È la foto che preferisco di mio nipote» 
Guardo l’immagine più attentamente, Emma è seduta sopra un divano e tiene in braccio un bambino piccolo con indosso una tutina azzurra con Topolino ricamato sopra, ha pochi capelli chiari in testa e le guance rosa e paffute.
«È bellissimo, Emma. Come si chiama?» chiedo passandole la foto.
«Joseph» la guarda un attimo e la rimette nella tasca della gonna «Ho sempre desiderato un nipotino. Quando mio figlio si è trasferito qui avevo perso la speranza. Temevo che si sarebbe concentrato solo sul lavoro. Poi invece un giorno mi chiamò tutto felice dicendo che si stava per sposare. Allora ho ricominciato a sperare. E ora lui e mia nuora mi hanno regalato questo splendido marmocchio» le si illuminano gli occhi mentre parla. In questo momento non riesco a vedere in lei la donna tutta d’un pezzo che è solitamente «È per Joseph se ho deciso di trasferirmi. Voglio vederlo crescere» la sua voce è leggermente incrinata dall’emozione.
«Sei stata molto coraggiosa, ma hai fatto bene Emma. Stando così lontana rischiavi di perderti dei momenti irripetibili»
Guardo l’orologio appeso al muro «Ora però scusa, ma devo tornare in ufficio perché sono già in ritardo per un appuntamento» la saluto ed esco dalla sartoria.
 
Rileggo di nuovo l’e-mail di Dario dove mi ha scritto che mi avrebbe chiamata per l’ora di pranzo. Apro Skype e mi appoggio allo schienale della poltrona. Mentre aspetto mi torna in mente la foto di Emma e Joseph, è davvero un bel bambino. 
Qualche anno fa credevo di desiderarne uno anch’io. Provavo quasi un sentimento d’invidia ogni volta che venivo a sapere che qualche amica o conoscente aspettava un bambino. Qualcosa strisciava nel mio stomaco quando vedevo quelle donne bellissime con il loro pancione che sembravano così felici, totalmente soddisfatte e realizzate. 
Il mio desiderio aumentò, in maniera quasi patologica, quando mia sorella rimase incinta della sua bambina. La guardavo mentre girava per casa goffa e stanca, ma sempre con il sorriso sulle labbra. Vedevo la sua pancia che cresceva di giorno in giorno, e il pensiero che lei e suo marito avessero generato una nuova vita, e che là dentro stesse crescendo il frutto del loro amore, mi rendeva smaniosa di provare la stessa esperienza. 
In quel periodo spesso non ragionavo lucidamente. Sfiorai addirittura la malsana idea di smettere di prendere la pillola, nascondendolo al ragazzo che stavo frequentando. Attendevo ogni mese il mio ciclo con ansia, ed esultavo silenziosamente quando ritardava anche di un solo giorno, ma poi arrivava, e io rimanevo terribilmente delusa fino al mese successivo. Sapevo di non poter rimanere incinta, malgrado le idee folli che a volte annebbiavano la mia coscienza, continuavo comunque a prendere la pillola regolarmente, ma ero completamente soggiogata dall’urgenza di soddisfare quel desiderio, senza però avere il coraggio di far niente di concreto che mi permettesse di avverarlo. 
Oggi però sono sollevata di non aver fatto nessuna delle stupidaggini che mi passavano per la testa in quei momenti di debolezza, perché con il passare degli anni ho capito che io non volevo un figlio, ma solo poter vivere l’esperienza della gravidanza. 
Ho analizzato attentamente il mio desiderio per capire da cosa nascesse, fino a quando ho finalmente capito che i nove mesi di gestazione non possono essere considerati un punto d’arrivo, ma che sono solo l’inizio di un legame che durerà per tutto il resto della tua vita. Ho quindi realizzato che io non volevo avere a che fare con pannolini, poppate notturne, e attacchi d’ansia perché il bambino piange incessantemente e tu non sai cosa fare. Riuscivo a immaginarmi con il pancione, ma non con un neonato tra le braccia. Volevo solo la riprova che anche il mio corpo fosse in grado di generare una nuova vita, e scoprire cosa si prova a sentirla crescere dentro di sé. 
Quando lo capii, fu molto più doloroso accettare che non volevo un figlio, rispetto a quando credevo di desiderarlo ma sapevo che ancora non era il momento giusto per averlo. Pensavo di essere una persona egoista e senza nessuna prospettiva per il futuro. 
Ho rimuginato nottate intere per capire cosa ci fosse di sbagliato in me, fino ad arrivare alla conclusione che le donne egoiste sono quelle che fanno figli senza poi amarli come meritano, quelle che li partoriscono solo per tenersi accanto un uomo che sanno che non le ama veramente, quelle che li usano come arma di ricatto durante la separazione, o quelle che non comprendono, come per fortuna è successo a me, che assecondare un desiderio del tutto sbagliato non farà diventare loro delle madri, ma solo delle incubatrici calde e accoglienti, e che getterà delle fondamenta pericolanti nel loro futuro rapporto con il figlio. 
Sono tutt’ora convinta che mettere al mondo un figlio sia l’evento più bello che ci sia dato da vivere, e provo profonda ammirazione e rispetto, per chi, malgrado i problemi e le difficoltà di oggigiorno, decide comunque di averne, ma sono anche serena di aver scelto di privarmi di quella che sicuramente è una grande opportunità, perché semplicemente io non la voglio. 
Purtroppo non sono certa che Dario la pensi come me. Quando mi ha quasi chiesto di sposarlo, ho chiaramente capito che è favorevole alla prospettiva di accasarsi, ma non abbiamo mai parlato delle sue intenzioni di avere dei figli o meno. 
Però ho un certo sospetto al riguardo. Ho notato come è felice ogni volta che un suo amico o un collega diventa padre, e come racconta orgoglioso i progressi dei due gemelli di quattro anni di sua sorella. 
Ricordo bene una sera mentre eravamo al ristorante, avevamo appena ordinato la cena, quando un bambino che avrà avuto sei anni si avvicinò al nostro tavolo. Chiese timidamente a Dario se era l’uomo che aveva visto in televisione, e se era vero che conosceva tutti i piloti del Motogp. Dario fu molto paziente e dolce con quel nanetto appassionato di moto, rispose alle sue tante domande, e quando capì che non aveva completamente soddisfatto la sua curiosità, lo prese sulle ginocchia e gli spiegò con dovizia di particolari come si svolgeva una gara. Il bambino era completamente rapito dal suo racconto, tanto che suo padre venne due volte a chiamarlo ma lui non voleva tornare al suo tavolo. Quando arrivarono le nostre portate, dopo avermi chiesto se ero d’accordo, Dario andò dai suoi genitori seduti poco distanti, per chiedere loro il permesso di far mangiare il figlio con noi. 
Qualche giorno dopo, con la complicità del padre che voleva fargli una sorpresa, gli fece recapitare a casa un calendario del Motogp con tutti gli autografi dei piloti. 
Ogni tanto parla ancora del piccolo Marco, sono sicura che desidera un figlio sveglio e curioso come lui con cui poter condividere la sua stessa passione per le moto e le corse.  
 
Rispondo alla videochiamata.
«Ciao» indossa una delle tante t-shirt che mette per stare in casa.
«Ciao Tesoro, come stai?» non mi ero resa conto di quanto mi mancasse il suo sorriso finché non l’ho rivisto.
«Benissimo, due giorni di mare hanno fatto miracoli. Sono super riposata» 
Si passa una mano tra i capelli scuri scompigliandoli ancora di più «Io invece sono a pezzi, ma ora potrò riposarmi un po’ anch’io, per almeno dieci giorni non dovrò spostarmi. Quindi ti sei divertita a casa di Luca?» i suoi occhi sono allegri, prima di rispondere li osservo godendomi la loro splendida sfumatura di verde intenso.
«Sì, c’erano anche Peter, George e Matthew, te li ricordi?» chiedo e lui annuisce.
«Certo. Ma sei sempre stata all’ombra?» non sorride più.
«Per la maggior parte del tempo sì, e prima di fare il bagno ho sempre messo lo schermo totale» rispondo sapendo bene quanto sia doloroso anche per lui pensare al motivo per cui per un po’ non potrò stare al sole.
«Quando potrai di nuovo prendere il sole ti prometto che ti porterò in vacanza dove vorrai. La Catalogna è bellissima, mi sembrava d’aver capito che volevi andarci?» si ricorda quando gli ho parlato delle vacanze in coppia in quel posto, e allora fingo. 
«Perché no» rispondo entusiasta.
«È piaciuta anche a Paola» eccoci al dunque.
«Paola? Era con te?» domando distrattamente.
«Non te l’avevo detto?» no caro che non me l’avevi detto.
«Non mi sembra» e ora sentiamo se mi dirà perché stava con lui.
«Probabilmente hai ragione, ci siamo sentiti così poco ultimamente. È venuta agli ultimi due Gp per sostituire Riccardo che si è fratturato una gamba, per quando andremo a Silverstone dovrebbero già avergli tolto il gesso e…» lo interrompo.
«Mi manchi» dico all’improvviso comprendendo l’errore madornale che ho fatto a dubitare di lui. Mi sento in colpa per aver anche solo sfiorato l’idea che potesse avere un altro motivo che non fosse il lavoro per stare con Paola. 
Si passa una mano tra i capelli e sospira «Anche tu mi manchi, nemmeno immagini quanto»
Sentendo le sue parole i miei occhi si riempiono di lacrime, li dilato e li sollevo per trattenerle.
«Spero solo che questi due mesi trascorreranno in fretta» dice guardandomi dolcemente e la sua voce, come sempre, ha il potere di farmi sentire come se fossi avvolta dentro a una coperta calda e morbida. 
«E quando sarai qui, io vedrò la mia prima gara» dico sorridendo. 
E finalmente non sento più freddo, non ora che ho parlato con lui.
 
**

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Capitolo 9
*** Cap. 9 - Prima di essere un uomo ***


Buon Russel a tutti!
 
V.17
 
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CAP. 9 - PRIMA DI ESSERE UN UOMO
 
Anticamente ricordo di avere pensato
che il mondo potesse comprendersi tutto
in un solo momento
e vivevo contento di averlo compreso,
ultimamente piuttosto
considero tutta la vita un gelato che viene leccato
da tutte le lingue del mondo schifato ma ancora goloso.
 
Quante lacrime mi dai,
ne dimostro di meno,
non avevo pianto mai
prima di essere un uomo…
 
Va bene cominciamo,
che prima concludiamo,
e prima posso andare via.
 
Daniele Silvestri
 
**
 
Venerdì 8 Giugno 2012
 
«Oddio, non mi sono mai sentita così nervosa per colpa di un uomo. Non avrò osato troppo con questa scollatura?» Meg spenge il motore della sua auto e abbassa lo sguardo sul suo seno abbondante, fasciato nel bustino dell’abito a fiori che io e Karen l’abbiamo convinta a indossare. Tamburella nervosamente le unghie sul volante e sembra non voler scendere, Karen al suo fianco si volta verso di me chiedendomi con sguardo implorante d’intervenire per calmarla, visto che è già da diverse ore che si agita al pensiero di rivedere Brian.
Scendo dall’auto e andando davanti al suo sportello le parlo dal finestrino abbassato «Meg credimi, stai benissimo. Brian cadrà ai tuoi piedi stasera, ma ora andiamo che è già sulla porta ad aspettarci» le dico vedendolo.
La casetta di Brian è una costruzione indipendente all’interno del parco della villa dei suoi genitori. Attraversiamo il vialetto fino alla porta e il viso sorridente di Brian ci accoglie «Ciao ragazze, entrate» oltrepassata la soglia ci guida in soggiorno «Ceneremo fuori» dice indicando la portafinestra, dopo averla oltrepassata accediamo a una porzione del giardino circondata da un’alta siepe e arredata con mobili in midollino. 
George e Peter sono davanti al barbecue intenti a girare quelli che da lontano mi sembrano degli spiedini di pesce, alzano i forchettoni che hanno in mano per salutarci. 
Mentre scambiamo due chiacchiere con Mary e Matthew sento dietro di noi la voce di Luca «Eccole le mie bellissime donne!» ci voltiamo e lo vedo attraversare la porta della cucina insieme a Russel, entrambi hanno delle bottiglie in mano, le appoggiano sul tavolo e si avvicinano.
«Quanto entusiasmo, in fondo sei stato a New York solo tre giorni» dico a Luca che mi scompiglia i capelli.
«Ciao strega» mi bacia e poi fa lo stesso con Karen e Meg.
«Ciao ragazze» dice Russel. 
Sposto lo sguardo su di lui e lo saluto con meno entusiasmo rispetto a quello che ha lasciato trasparire dalla voce. Non sono certa di quale sia la direzione presa dal nostro rapporto, quindi è meglio se mantengo le distanze fino a che non sarò sicura che tra noi non c’è più ostilità. 
«Vado a prendere le ultime cose poi possiamo sederci a tavola» dice Brian entrando in casa.
«Vengo a darti una mano» si affretta a rispondere Meg, e mentre lo segue sistema per l’ennesima volta lo scollo del suo vestito. Un attimo prima di entrare in casa si volta verso di me, con un occhiolino d’intesa la incoraggio.
 
Seduta a tavola tra Matt e Luca rido ascoltano Peter che narra le follie che fanno alcuni clienti della sua clinica veterinaria per i loro animali.
«Diglielo anche tu Reb!» ridendo mi volto verso Meg.
«Cosa devo dire? Scusa Meg, ma non ho sentito di cosa stavate parlando» le dico.
Appoggia la forchetta sul bordo del piatto e i suoi occhi si accendono della stessa stizza che traspare dal tono della sua voce «Digli di quel maiale di Gordon!» il mio sorriso si volatilizza all’istante.
«Meg!» esclamo saltando sulla sedia.
«Ma è vero, è un maiale! Ieri non ha fatto che guardarti il sedere e sbirciava nella tua scollatura ogni volta che ti avvicinavi per fargli vedere un book» 
Sentendomi osservata da tutti avvampo per la vergogna. Luca al mio fianco si agita nervosamente e mi guarda corrucciato. Fisso Meg sperando che capisca dal mio sguardo implorante che non è il caso di mettere tutti al corrente di quello che è successo ieri in ufficio. Se sapesse che il signor Gordon mi ha addirittura chiesto di uscire a cena con lui, le prime pagine dei quotidiani oggi ne riporterebbero la notizia.
«Meg, stai esagerando, io non mi sono accorta proprio di niente, è stato gentile ed educato come sempre» sdrammatizzo con tono pacato. 
Ma lei non demorde, anzi, sembra che le mie parole la alterino ancora di più «Educato un cavolo, quello è solo un riccone arrogante che crede di poter avere tutti ai suoi piedi. Ti sei forse scordata che dopo che se n’è andato mi hai chiesto di non lasciarti mai più da sola con lui: “Nemmeno per un secondo”, hai detto» 
Mi ripeto che questo è solo uno dei miei incubi, e che Meg non ha appena parlato davanti a tutti in questo modo di uno dei migliori clienti della Vicky. 
Sospiro e abbasso lo sguardo sentendo le guance paonazze «Meg, ti prego smettila» la imploro.
Luca copre la mia mano con la sua invitandomi con una strizzatina ad alzare lo sguardo su di lui «La prossima volta che verrà in showroom starò io con te» dice sorridendomi dolcemente.
«Ma che dici, non è affatto necessario» ribatto allarmata stringendo con tutte e due le mani il suo avambraccio appoggiato sul bordo del tavolo.
«Tu pensa solo ad avvertimi quando verrà» liquida il discorso sfiorandomi una guancia con il dorso della mano.
Se avessi saputo che oggi avrebbe tirato fuori l’argomento, non avrei mai detto a Meg quanto m’infastidisce anche solo lo sguardo del signor Gordon. 
Bevo per far scendere il groppo che mi è salito in gola per le parole di Meg, e che si è incastrato lì per quelle di Luca. 
 
Karen chiacchiera seduta a tavola con Matt, Peter e George, Meg e Brian sono andati in cucina per mettere i piatti sporchi in lavastoviglie, Luca e Mary non so dove siano.
Seduta sopra una poltroncina in giardino aspetto Russel che è andato a prepararmi un gin tonic.
«Grazie» dico prendendo il bicchiere dalle sue mani.
«Come va con i tuoi incubi?» chiede sedendosi di fronte a me.
«Bene, non ne ho fatti questa settimana, è praticamente un record» rispondo mettendo un pizzico di ironia nella voce.
«Bene, spero che continuerai così» dice sorridendomi. 
Abbassa lo sguardo sulle sue mani e giocherella distrattamente con l’etichetta della bottiglia di birra. 
È tutta la sera che quando posa il suo sguardo su di me, mi sento come se mi stesse studiando, e quando lo sorprendo e incrocio i suoi occhi ogni volta vorrei non averlo fatto, perché le sue iridi azzurre mi provocano sentimenti contrastanti, mi attirano, ma allo stesso tempo mi spaventano. 
Alza il viso su di me e ancora mi sento combattuta, tra la voglia di perdermi nel suo sguardo e la paura che alla fine finirò davvero per farlo.
«Verrai domani al club?» mi chiede.
«Certo che ci sarò. Non mi perderei la serata rock per niente al mondo» 
Sorride «Ti piace la musica rock?» ha i gomiti appoggiati sopra i braccioli, una mano in grembo e l’altra che stringe la bottiglia.
«In realtà ascolto un po’ di tutto» rispondo mentre lui solleva una gamba appoggiando la caviglia sopra il ginocchio dell’altra. Possibile che non riesco a non seguire ogni suo minimo movimento? 
«E cosa c’è nella tua playlist?» chiede con gli occhi puntati nei miei, li osservo attentamente come non ho mai fatto prima d’ora. Sono così concentrata che posso rallentare a mio piacimento il veloce movimento delle sue palpebre, percependo come se le sue lunghe ciglia mi facessero una lenta e delicata carezza ogni volta che le sbatte.
«Oh di tutto, anche alcuni brani che mi vergognerei a dire ad alta voce» rispondo con voce ferma riuscendo a dissimulare, almeno spero, il subbuglio interiore che la sua vicinanza mi provoca. Non sono in grado tuttavia di controllare il veloce dondolio della mia gamba accavallata.
«Dimmene uno solo, giuro che manterrò il segreto» fa il gesto di chiudersi la bocca con una zip, attirando la mia attenzione anche su quella parte del suo viso. Il suo sorriso sembra quello di un bambino impertinente e la fossetta nella guancia destra lo rende particolarmente malizioso.
«Conosci “I’m too sexy”?» aggrotta le sopracciglia «La cantava quel tipo pelato e palestrato» gli spiego. 
I suoi occhi s’illuminano sorpresi «Ah sì, è di parecchi anni fa» è un’impresa titanica sostenere il suo sguardo, ma riesco ugualmente a non spostare il mio scaricando tutta la tensione sul mio piede che ancora si muove freneticamente.
«Sì, ero una bambina quando passavano continuamente il video di quella canzone alla tv, e mi faceva letteralmente impazzire. Un po’ di tempo fa l’ho risentita e l’ho scaricata. A volte l’ascolto tre o quattro volte di seguito, a distanza di anni mi piace ancora nello stesso modo. Forse è per il bisogno di nutrire il mio gusto dell’orrido. E tu ce l’hai una cosa che ti piace ma che ti vergogni a confessare?» capisco solo dopo averla fatta il doppio senso della mia domanda.
«In effetti sì» ma perché non penso mai prima di parlare, ora chissà cosa mi dirà.
«E me la diresti?» insisto pure.
«Okay, tanto sono sicuro che non lo dirai a nessuno, se non vuoi che tutti sappiano qual è la tua canzone preferita» dice con tono canzonatorio.
Mi raddrizzo sulla sedia scavallando le gambe «Non è la mia canzone preferita!» 
Assottiglia lo sguardo e mi guarda di sbieco «Oh ma io dirò che lo è, se tu dirai a qualcuno che nella mia videoteca c’è “Un poliziotto alle elementari”» la mia risata esplode all’improvviso «E non azzardarti a ridere. Anche per me è un ricordo dell’infanzia. Quando qualche anno fa ho visto per caso il dvd non ho resistito e l’ho comprato» 
Ammicco e con un piede do un colpetto al suo «Dimmi la verità, è vedendo quel film che hai deciso di fare l’attore?» lo sfotto mentre rido ancora. 
«Certo, Arnold è fantastico in quella pellicola» 
«Mi ha detto Luca che hai finito da poco di girare un film in Inghilterra» affermo seria.
«Sì, il mio quinto film da protagonista. Il primo che verrà distribuito anche fuori dall’America» 
«E di che parla?» chiedo curiosa.
Si avvicina piegandosi in avanti, appoggia i gomiti sopra le ginocchia e stringe la birra con tutte e due le mani.
«Del riscatto di un ragazzo nei confronti della società bigotta in cui vive e che da sempre lo emargina, considerandolo un delinquente come suo padre che è in carcere da anni per doppio omicidio» sono stupita. 
«Wow, deve essere interessante!» esclamo.
«Lo spero, ho riposto molte speranze in questo film» 
Gli sorrido sentendomi molto più rilassata di poco fa «E non puoi dirmi altro?» 
Scuote il capo e si appoggia allo schienale «Se vuoi sapere di più dovrai andare a vederlo» risponde bevendo poi un sorso di birra senza staccare gli occhi dai miei.
«Penso proprio che lo farò. Mi hai davvero incuriosita» sollevo il bicchiere e per spostare lo sguardo dal suo bevo anch’io un po’ del mio drink.  
 
Non so spiegare come sia successo che io e Russel siamo passati dall’antipatia reciproca a parlare amichevolmente di qualsiasi argomento ci passi per la testa, è da almeno mezz’ora che passeggiamo nel grande giardino della villa di Brian chiacchierando e scherzando come due vecchi amici. 
Mi ha raccontato della sua passione per il cinema che è nata quando era solo un bambino, delle sue apparizioni sporadiche in alcuni telefilm, fino al primo film da protagonista cinque anni fa. 
Mi ha chiesto del mio lavoro e di come sia maturata la mia decisione di trasferirmi a Los Angeles, gli ho detto che ho seguito Luca per provare una nuova esperienza e che non so per quanto tempo rimarrò. Almeno non gli ho mentito del tutto.
«Ti va di sederti?» annuisco e ci sediamo sopra una panchina ai margini del giardino. 
I suoi capelli sono un po’ cresciuti da quell’unica volta in cui ci ho passato attraverso la mano, ricordo perfettamente la loro morbidezza, e quelli più corti dietro la nuca che mi solleticavano il palmo. Non so perché ma in questo momento vorrei poterli toccare di nuovo. 
Continuiamo a chiacchierare fino a quando dal vialetto dietro la villa arrivano Luca e Mary con i capelli bagnati. 
«Ma dove siete stati?» chiedo a entrambi.
«Ci siamo fatti un bagno in piscina» risponde Luca mentre si allaccia le scarpe.
«A quest’ora?» gli chiedo meravigliata.
«Oh ma l’acqua è riscaldata, una vera goduria» dice lei strizzando un occhio a Luca. 
Improvvisamente lei affina lo sguardo, guarda me poi Russel. Sembra che il suo unico neurone stia facendo gli straordinari. 
Rientrando tutti e quattro in casa di Brian scopriamo che è in corso una vivace partita alla Wii, la mia innata competitività mi fa raccogliere l’ennesima sfida lanciatami da Luca. 
 
**
 
Sabato 9 Giugno 2012
 
Entro di nuovo nel club con le ragazze. Robert mi ha detto che Luca non è ancora arrivato, poi mi ha dato il mio gin tonic “normale”. 
Ancora non c’è molta gente e i pochi sono quasi tutti al piano di sopra. Ci sediamo in un divanetto a bere, Karen una coca cola e Meg ha preso il suo solito drink blu, a me sinceramente fa un po’ senso ogni volta che lo porta alle labbra.
«Dai andiamo a ballare» Meg ci fa cenno di alzarci e la seguiamo. Stasera la musica è tutta rock, mentre il locale comincia a riempirsi ci scateniamo sulle note di “Welcome to the jungle” dei Guns n’ Roses.
«Ciao» Luca appare al mio fianco dopo che noi tre stiamo ballando già da un’ora.
«Ehi, sei arrivato finalmente» dico fermandomi. Guardo alle sue spalle e davanti al bar vedo Brian, Peter e Russel.
«Ma che hai?» chiedo vedendolo stranamente serio.
«Niente, poi ti racconto» noto l’assenza di Mary che ieri sera non vedeva l’ora di tornare al club.
«Mary non è venuta?» gli chiedo alzandomi in punta di piedi per parlargli all’orecchio. Mi prende per mano trascinandomi fuori dalla pista. 
Vicino al bar si ferma e si gira verso di me «È per colpa sua se ho fatto tardi» lo guardo non capendo. Poi spalanco gli occhi, ho capito «Ti giuro che le ho detto di andarsene al diavolo molto gentilmente» dice sollevando le mani «M’aveva stufato con tutto quel chiacchierare della sua carriera e del suo futuro» sbuffa «E poi era chiaro che veniva a letto con me solo perché le interessava Russel»  
«E se l’avevi capito perché hai continuato a frequentarla scusa?» lo rimprovero. 
Ride circondandomi le spalle con un bracco e mi dice all’orecchio «Perché era molto brava a far…» in fretta mi copro le orecchie con le mani.
«Ti prego sta’ zitto, non voglio saperlo!» lui ride dandomi un pizzicotto su una guancia.
«La mia piccola e ingenua Reb» con un movimento brusco mi tolgo il suo braccio dalla spalla mettendomi davanti a lui.
«Non sono né piccola né ingenua. È che pensare a voi due mentre…» mi gratto la fronte socchiudendo gli occhi «Oddio ti prego… fammi pensare ad altro» lo guardo implorante. 
Lui ridendo mette una mano dietro la mia schiena «Dai vieni a salutare gli altri» dice e lo seguo verso il divanetto dove nel frattempo sono andati a sedersi tutti i nostri amici.
 
«Non mi sembri più tanto spaventata dall’idea che Russel possa pensare che sei la reincarnazione di Jack» afferma Luca mentre siamo seduti al bancone del bar in terrazza. Sono stanca morta, non ho mai ballato così tanto come stasera in tutta la mia vita.
«In effetti non è così male come credevo. Certo, alcune stronzate poteva tranquillamente evitare di dirle, ma da quando abbiamo deposto l’ascia di guerra le cose tra noi sono decisamente migliorate» 
Luca elenca a Robert quali sono le bevande da portare ai nostri amici che, reduci come noi della serata dansereccia, sono seduti sopra al prato, assetati e stanchi.
«Un giorno mi dirai cos’è che ti ha detto per fartelo odiare tanto?» nego con la testa mentre bevo con la cannuccia la mia coca cola «Tanto in qualche modo verrò a saperlo» dice strizzandomi un occhio.
«Da me sicuramente no. E pensandoci bene, probabilmente nemmeno da lui. Quindi, mi sa che dovrai rassegnarti» con questa affermazione temo di averlo incuriosito ancora di più. 
Scendo dallo sgabello prima di farmi scappare qualcos’altro che possa alimentare ulteriormente il suo interesse sull’argomento.
«Vado un attimo di sotto poi con le ragazze ce ne torniamo a casa» lo lascio lì da solo, sapendo che sta cercando un modo per raggirarmi e carpirmi qualche altra informazione. 
 
Esco dal bagno, ma prima di svoltare l’angolo per tornare in sala sentendo la voce alterata di Russel mi blocco.
«Te lo dico per l’ultima volta, lasciami in pace» il tono della sua voce è duro e perentorio.
«Sei solo un vigliacco, non hai avuto nemmeno il coraggio di aspettare che tornassi dal mio viaggio per venire a prendere la tua roba a casa nostra» la voce femminile che ha parlato vibrava d’incertezza a ogni parola.
«Quella ora è solo casa tua. E poi smettila con questa storia, lo sapevi benissimo che l’avrei fatto non appena avessi messo un piede fuori dall’aereo» un brivido mi corre lungo la schiena, le parla con lo stesso tono ostile che usò con me quando insinuava che andassi a letto con Luca.
«Ma noi dobbiamo ancora parlare di quello che è successo. Devi ascoltarmi!» grida lei mentre io trattengo il respiro.
«Non abbiamo più niente da dirci, Helen. Smetti di chiamarmi e di farti trovare nei posti che frequento, e soprattutto, guai a te se ti ritrovo di nuovo sotto casa mia. Averti davanti mi fa solo incazzare ancora di più con te» la mia salivazione è totalmente azzerata.
«Maledizione, Russel! Come faccio a spiegarmi se non vuoi nemmeno parlarmi» decido che è meglio se torno indietro senza farmi vedere da loro. 
Mentre mi giro per andare verso la porta del bagno, un armadio di due metri, dotato di braccia e gambe, mi viene addosso, o forse è più giusto dire che sono io che vado addosso a lui. L’impatto è talmente violento che mi ritrovo al di là dell’angolo dove sono stata nascosta finora, ovviamente con il sedere per terra, e ovviamente davanti a Russel che mi guarda sbigottito.
«Rebecca! Stai bene?» chiede Russel mentre insieme all’armadio si china su di me per aiutarmi.
«Scusa, ma ti sei girata all’improvviso e non sono riuscito a evitarti» dice l’armadio allungandomi una mano.
«Scusami tu, ero distratta» stringo la sua mano e mi alzo. 
Mi massaggio il fondo schiena, finché imbarazzata mi rendo conto che ho tre paia di occhi puntati su di me, allora fermo immediatamente la mano che sfregavo vigorosamente sopra il mio osso sacro e sollevo la testa.
«Sei tutta intera?» mi chiede Russel.
«Sì non preoccuparti» rispondo e un attimo dopo l’armadio si scusa ancora e se ne va.
Al fianco di Russel vedo la ragazza con cui stava discutendo, la riconosco immediatamente, è la protagonista di “Letters from Paris” e dal vivo è ancora più bella. È alta e ha un corpo esile e flessuoso, i suoi capelli biondi, che nel film erano acconciati in morbidi boccoli che le incorniciavano il viso, sono lunghi e lisci. Mi osserva senza nascondere il suo disappunto, i suoi occhi verdi m’intimoriscono, sembrano quelli di un felino selvatico.
«Scusatemi se vi ho interrotto. Me ne vado subito» dico a testa bassa mentre mi sistemo la gonna.
«Vengo con te» sussulto quando Russel appoggia una mano sulla mia schiena per guidarmi verso la sala.
«Noi non abbiamo ancora finito!» esclama Helen mentre da dietro tira la sua giacca all’altezza del gomito. 
Lui si ferma e si gira verso di lei continuando a tenere la mano dietro di me «Oh sì che abbiamo finito, e per essere precisi molti mesi fa» poi strattona il braccio per liberarsi dalla presa di lei e insieme andiamo verso le scale per tornare di sopra.
«Scusami ancora se vi ho interrotto» dico mortificata.
«In realtà mi hai fatto un favore, anche se mi dispiace per il  tuo…» invece di terminare la frase indica dietro di me.
«Temo che mi verrà un bel livido» dico ricominciando a massaggiarmi.
«Penso proprio di sì. Dovresti smettere di fare l’autoscontro con quelli più grossi di te» dice ridendo.
«E che divertimento ci sarebbe scusa?» chiedo divertita con tono ironico.
«Il divertimento di tornare a casa con tutte le ossa al loro posto» 
Ridendo arriviamo dai nostri amici.
«Reb, torniamo a casa?» chiede Meg alzandosi, seguita subito dopo da Karen. 
Salutiamo tutti e scendiamo. Prima di andarcene passiamo dal guardaroba per recuperare le nostre giacche.
«Quando arrivi a casa mettici del ghiaccio se ti fa ancora male» non mi ero accorta di Russel al mio fianco.
«Lo farò. Buonanotte Russel» dico dopo che con il suo aiuto ho indossato la giacca.
«Buonanotte Rebecca» non faccio in tempo a capire cosa sta per fare, quando inaspettatamente si avvicina e mi bacia una tempia. Meravigliata rimango immobile finché Karen mi tira per un braccio. Mentre mi giro per seguirla vedo Helen seduta al bar che alza il suo bicchiere nella mia direzione, lo porta alla bocca e lo svuota con un unico sorso, poi lo appoggia al bancone, tutto senza mai staccare i suoi occhi felini dai miei. 
Karen mi strattona di nuovo, sorrido a Russel e mi avvio con lei e Meg verso l’uscita. 
Non capisco perché Helen abbia fatto il gesto di bere alla mia salute, nemmeno ci conosciamo, forse voleva augurare una veloce guarigione al mio osso sacro, che in questo momento sento pulsare dolorante.
 
Non riesco ad addormentarmi nemmeno dopo aver bevuto il mio adorato bicchiere di latte. 
Anche stasera tra un ballo e l’altro io e Russel abbiamo chiacchierato molto insieme. 
Sono contenta che abbiamo superato le nostre incomprensioni perché in realtà ho scoperto di stare molto bene con lui, mi piace la passione che dimostra per il suo lavoro e la serietà e la determinazione che mette nel perseguire i suoi obbiettivi.
Però a volte mi sento strana quando mi sta vicino, se guardo i suoi occhi e lo spicchio di luna che appare sopra la sua guancia quando sorride, mi sento rimescolare lo stomaco, e a niente serve la piccola Reb nella mia testa che mi grida di distogliere lo sguardo, mi ritrovo a fissarlo imbambolata controllando a fatica la voglia di avvicinarmi a lui per sfiorarlo. 
Sento ancora le sue labbra sopra la mia tempia, quel gesto affettuoso e intimo mi ha completamente spiazzata rendendomi impossibile riuscire a prendere sonno. 
Pensando a quel bacio mi viene in mente anche Helen, sono proprio una stupida, non voleva augurarmi proprio un bel niente, il suo sguardo era visibilmente risentito, non stava brindando al mio sedere, o forse sì, ma solo perché intendeva farmi capire che vorrebbe farmelo, quel gesto non era altro se non una velata minaccia, deve aver frainteso la mia amicizia con Russel. 
Chissà perché è stato così severo con lei? Cosa gli avrà fatto per meritarsi di essere trattata in quel modo? Da quel poco che ho sentito non ho capito un granché, mi è chiaro solo che non sono rimasti in buoni rapporti. 
Forse domani con Karen farò del sano gossip come piace a lei. Russel e Helen sono due attori famosi, sicuramente la stampa sarà andata a nozze con le loro vicende amorose.
 
**
 
Domenica 10 Giugno 2012
 
«Tu che vuoi sapere cosa dicono le riviste di gossip sulla storia tra Russel e Helen? Questa è una notizia altroché!» 
Corro sul mio tapis roulant all’interno della palestra del residence, con Karen al mio fianco che rallenta la falcata per ridere di gusto.
«Smetti subito di prendermi in giro e dimmi tutto quello che sai prima che cambio idea» so di aver pronunciato le paroline magiche, e infatti mi fa un sorrisino compiaciuto e accelerando di nuovo il ritmo della corsa inizia a raccontarmi tutto quello che sa.
«Allora, sembra che Russel e Helen si siano conosciuti e abbiano cominciato a frequentarsi mentre giravano “Letters from Paris”, che è stato anche il primo film di lui da protagonista e l’unico di lei. Non è chiaro quando le cose tra loro abbiano cominciato a diventare serie, ma dopo sei mesi dall’uscita del film sono andati a vivere insieme. La stampa impazzì, non potevano fare un solo passo assieme per strada senza che la notizia rimbalzasse dovunque, sia nelle riviste che sul web. Quando torniamo a casa se vuoi ti faccio vedere» parla eccitata dall’idea di poter condividere con me questa sua passione per gli affari degli altri. 
Le faccio segno di continuare «Sembra che però le cose tra loro siano peggiorate quando lui ha cominciato a lavorare al suo quarto film» smette di correre e strabuzza gli occhi appoggiandosi con le mani alla sbarra del tapis roulant. In questo momento ho di fronte la versione “Karen sognatrice”. «Oh Reb, devi vederlo assolutamente, lui interpreta un…» 
La interrompo immediatamente. Sono solo due minuti che parla ed è già uscita dai binari «Non divagare per favore. Stavi dicendo che è successo qualcosa tra loro quando lui girava il suo quarto film, che ti prometto vedremo insieme, ma ora voglio sapere di loro due» mi guarda un po’ scocciata, ma ricomincia a correre, e soprattutto a parlare.
«Okay. Dunque, sembra che mentre lui continuava a ricevere tantissime offerte di lavoro, lei invece veniva chiamata solo per piccole parti in alcune pellicole di poco conto. Parlavano tutti della loro relazione e del lavoro di lui, mentre nessuno s’interessava alla carriera di lei. Qualche mese prima che lui partisse per girare il suo ultimo film, le apparizioni di loro due insieme erano sempre più rare e tutti ipotizzarono che la loro relazione fosse giunta al capolinea. Lui non ha mai rilasciato nessuna dichiarazione al riguardo, nemmeno quando è stato fotografato davanti alla casa dove abitavano insieme mentre portava fuori degli oggetti caricandoli in macchina, segno evidente che stava traslocando» 
Mi fermo «Certo che la stampa è davvero crudele. A nessuno è venuto in mente che magari stavano traslocando per andare a vivere insieme da qualche altra parte?» chiedo.
Mi guarda con occhi furbetti «No, carina, perché in quella casa non c’era traccia di lei da diversi giorni. E quando è tornata, sembra in anticipo da una vacanza, proprio perché aveva saputo che lui era rientrato e aveva portato via la sua roba, si è affrettata a scrivere su Twitter che i loro fans non dovevano preoccuparsi perché quello di lui era solo un allontanamento momentaneo dovuto a esigenze di lavoro. Ovviamente non l’ha bevuta nessuno, soprattutto perché nel frattempo erano uscite delle foto di loro due mentre litigavano furiosamente durante la festa di compleanno di un loro amico. E ormai che è più che certo che non stanno più insieme, il gossip su di loro è svanito come una bolla di sapone. Ogni tanto leggo qualcosa su Russel, ma parlano quasi esclusivamente del suo lavoro, mentre sembra che lei non desti più il minimo interesse» 
Improvvisamente mi viene in mente che non so due cose fondamentali di Russel «Ma lui, quanti anni ha?» 
Si ferma e mi guarda con espressione divertita «Dio Reb, ma non sai proprio niente! Comunque ne ha ventotto» come me tra poco meno di un mese.
«Quindi, quando ha conosciuto Helen ne aveva?» 
Guarda in aria scocciata «Ventiquattro e lei ventidue» 
Devo farle un’ultima domanda «C’è un’altra cosa che non so, ma guai a te se ridi» diventa seria e mi fa cenno di continuare con la testa «E come si chiama?» come immaginavo scoppia a ridere.
«Penso che dovrò farti un corso intensivo di pettegolezzo, sei un vero disastro» mi sfotte. 
Smetto di correre e mi asciugo il sudore con l’asciugamano che ho intorno al collo «Smetti di fare la saputella e rispondimi» la minaccio puntandole un dito contro e lei si ferma facendomi un sorrisino con quelle sue piccole labbra a cuore.
«Ma Russel no!» le stringo intorno al collo l’asciugamano fingendo di strozzarla.
«Te lo dico ma fammi respirare! Rush, Russel Rush» con tutte queste informazioni mi gira la testa.   
«Per oggi ho corso abbastanza, sono stanca» e non mi riferisco solo alla corsa sul tapis roulant.
«Anch’io. Prendiamo qualcosa al bar?» annuisco e insieme andiamo a ordinare una di quelle centrifughe che sembra facciano tanto bene. Prendiamo i nostri bicchieroni e ci sediamo a un tavolino. 
È quasi l’ora di pranzo. Quando avrò finito di bere questa roba insipida andrò a casa per chiamare mia madre prima che vada a letto, e se Dario sarà in linea anche lui.
«Ma com’è che all’improvviso sei diventata una cultrice del pettegolezzo più spicciolo come me?» mi chiede Karen.
«Semplice curiosità. Forse non l’hai vista ma ieri sera al club c’era Helen» prende il mio polso sul tavolo e lo stringe guardandomi con gli occhi spalancati.
«Stai scherzando vero?» nego con la testa «Perché non me l’hai detto? E che faceva? Con chi era? E Russel l’ha vista? Pensi che sia venuta perché sapeva che c’era lui? Secondo te si rimetteranno insieme?» ho fatto in tempo a elaborare una risposta solo per l’ultima domanda, ma non gliela dirò. Spaventata allontano il viso dal suo, è impressionante, sembra bisognosa d’informazioni come un alcolizzato del suo goccetto.
«Ma che facce avete?» chiede Meg arrivando alle nostre spalle.
«Meg, tu l’hai vista Helen Fletcher ieri sera al club?» chiede Karen alzando il viso verso di lei.
«Chi?!» 
«Helen Fletcher, l’attrice di quel film che abbiamo visto a casa di Rebecca» precisa con espressione fiduciosa. 
«Ma che? Quella roba melensa e noiosa con Russel?» rido dell’espressione disgustata di Meg, e subito dopo anche per quella truce che le rivolge Karen.
«Sì, mi ha detto Reb che Helen, la protagonista di quel film, ieri sera era al club. E comunque il tuo giudizio su una commedia romantica non conta sai? Tu se non vedi il sangue che scorre a fiumi non ti diverti» 
Meg le fa un sorrisino compiaciuto «E infatti dovresti solo ringraziarmi se l’altra sera t’ho fatto un favore lasciandotelo vedere per la centesima volta» dice, poi sbatte una mano sul tavolo «Comunque, di questo ne parliamo dopo. Devo dirvi una cosa» si schiarisce la voce e parla come se dovesse fare un annuncio ufficiale «Mezz’ora fa Brian mi ha chiamata per invitarmi a cena fuori» 
Karen salta sulla sedia eccitata «Meg, è fantastico! E quando andrete?» anche Meg esulta dalla felicità.
«Sabato, e non m’ha detto dove mi porterà, dice che vuole farmi una sorpresa» 
Karen unisce le mani e alza lo sguardo emozionata, inserendo di nuovo la modalità “Karen sognatrice” «Sono sicura che organizzerà una serata super romantica» 
Meg la guarda disgustata «Cavolo, spero proprio di no» sbotta.
«Non sai che per Meg il massimo del romanticismo è andare a vedere un incontro di wrestling?» dico ridendo.
«Ora non esagerare. Al primo appuntamento non ho mai portato nessuno agli incontri. Ma se se ne esce con qualche stronzata, tipo, pic-nic sulla spiaggia, candele e musica languida, giuro che me ne vado lasciandolo lì da solo e salgo in auto con il primo che trovo facendo l’autostop» 
Alzo la mano «Ben detto Meg! Dammi il cinque!» uniamo le nostre mani davanti allo sguardo sbigottito di Karen.
«Voi due siete completamente pazze» dice scuotendo la testa rassegnata.
 
Esco dalla doccia e mi asciugo in fretta, lego un asciugamano sopra la testa e mi volto di schiena davanti al lavandino, in punta di piedi guardo allo specchio il livido viola sopra il mio osso sacro. Sbuffo e prendo la pomata per le contusioni, cerco di spalmarla delicatamente ma a ogni passaggio della mano sento ugualmente dolore. 
Prima di entrare nella doccia sono riuscita a fare un salutino veloce a mia madre, con lei niente videochiamate, non ha nemmeno un computer in casa. 
Getto l’asciugamano tra i panni da lavare e m’infilo in fretta la prima cosa che trovo nell’armadio, poi corro in soggiorno per accendere il pc e chiamare Dario. 
Mentre aspetto l’avvio del sistema controllo il telefono e vedo che mi sono arrivati due messaggi da un numero sconosciuto. 
Leggo il primo: “Ti è poi venuto il livido? Russel”. 
Ma come fa ad avere il mio numero? Apro il secondo messaggio: “So che ti stai chiedendo come ho fatto ad avere il tuo numero, l’ho semplicemente chiesto a Luca”. Che ora mi martellerà per sapere perché Russel ha voluto il mio numero di telefono. 
Gli rispondo: “Il livido c’è e fa anche male, per un po’ dovrò interrompere la mia attività di bulldozer”. 
Un minuto e arriva la sua risposta: “Posso chiamarti o sei impegnata?”. 
Dopo un attimo di perplessità digito la mia risposta: “Non disturbi affatto”. 
Dieci secondi e le note di “Mrs. Robinson” nella versione dei Lemonheads escono dal mio telefono. 
«Devo forse regalarti un soffice cuscino per sederti?» chiede con voce allegra.
«Non è necessario, il livido è un po’ più su per fortuna» 
«Che stavi facendo?»
«Niente di particolare, sono tornata da poco dalla palestra e ho appena fatto una doccia. E tu?» mi metto comoda stendendomi sul divano. 
«Sono a casa ad annoiarmi» sento che sospira.
«Incredibile, una stella del cinema che si annoia! Sono sbalordita» 
«Quando non lavoro è sempre così. Non appena rallento un po’ il ritmo mi sembra di non avere niente da fare»
«E quando ricomincerai?» chiedo mentre arrotolo una ciocca di capelli bagnati tra le dita.
«Non lo so, per il momento sto valutando alcune proposte e ho fatto un paio di provini» 
«Quando eravamo al mare, Mary ha accennato qualcosa riguardo a un provino che doveva fare per un film che forse girerà con te»
«Sì è vero» 
«E com’è andata?»
«Io sto ancora aspettando una risposta, però ho saputo che lei non è stata presa»
«Non oso pensare quanto sarà incaz… dispiaciuta. Sembrava tenerci davvero molto a questo film» 
Ride poi parla a bassa voce «Che rimanga fra noi, ma le hanno fatto fare il provino solo perché, come posso dire, diciamo che è stata carina con un tizio della produzione» l’ultima frase mi arriva un po’ distorta, come se stesse tenendo una mano davanti alla bocca.
«Oh mamma. Certo che non deve essere facile il tuo lavoro. Cioè, sicuramente fare l’attore non sarà così semplice, mi riferisco soprattutto a tutto quello che ci gira attorno» 
Quando mi risponde il suo tono è serio «No infatti, ma purtroppo fa parte del gioco. Un giorno sei idolatrato dalla folla e ricevi un sacco di proposte, e il giorno dopo nessuno si ricorda il tuo nome. Se non stai attento rischi di bruciarti la carriera in un lampo» 
«Per il momento non credo che dovresti preoccuparti per questo»
«Non sono preoccupato, è che l’unica cosa che m’interessa è recitare, ma allo stesso tempo non mi piace far parte di tutto questo teatrino, spesso ci stai dentro senza nemmeno rendertene conto. Non fraintendermi, non mi sto affatto lamentando, so di essere un privilegiato ad avere la possibilità di guadagnarmi da vivere facendo quello che mi piace, ma a volte il prezzo da pagare è davvero molto alto. Il mondo del cinema può essere molto attraente e confonderti fino a non farti rendere conto che stai vivendo una vita che è solo un’illusione, e quando ne prendi coscienza spesso è troppo tardi. Devi costantemente fare attenzione a non confondere la realtà con la finzione o rischi di scordarti quali sono le cose che davvero contano nella vita, o addirittura il motivo per cui fai questo mestiere»
«E ti è capitato? Di far casino nella tua vita per colpa del tuo lavoro intendo»
«Sì, ma mi è servito di lezione. Non sono più lo stesso ragazzo ingenuo degli inizi della mia carriera, e l’uomo che sono diventato non credo che rifarà mai più l’errore di dare fiducia a chi non la merita»
Io non so che dire. Vorrei chiedergli a cosa si stia riferendo ma non siamo ancora così in confidenza da approfondire un argomento che, da come ne parla, sembra piuttosto personale.
Rimaniamo un attimo in silenzio, finché lui mi chiede «Hai qualche impegno per oggi?»
Improvvisamente mi ricordo che volevo chiamare Dario. Mi alzo di scatto dal divano e apro Skype, vedendo che però non è in linea. Ho passato un sacco di tempo al telefono con Russel e Dario ormai sarà andato a dormire.
«Penso che me ne starò anch’io ad annoiarmi a casa» rispondo.
«E se invece ti vengo a prendere e passiamo il pomeriggio ad annoiarci insieme?» 
 
**
 

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Capitolo 10
*** Cap. 10 - Il coccodrillo come fa? ***


CAP. 10 - IL COCCODRILLO COME FA?
 
Il coccodrillo come fa,
non c’è nessuno che lo sa,
si arrabbia ma non strilla,
sorseggia camomilla
e mezzo addormentato se ne va.
 
Guardo sui giornali, 
non c’è scritto niente
sembra che il problema non importi... a chi?
alla gente,
ma se per caso al mondo 
c’è qualcuno che lo sa,
la mia domanda è ancora questa qua!
 
Il coccodrillo come fa,
non c’è nessuno che lo sa,
si dice mangi troppo,
non metta mai il cappotto,
che con i denti punga,
che molto spesso pianga,
però quand’è tranquillo come fa ‘sto coccodrillo… 
 
Oscar Avogadro
 
**
 
Passeggiando con Russel per Venice beach mangio il mio gelato e, osservando le tante persone intorno a noi, gli chiedo «Te ne vai sempre in giro così tranquillamente? Non hai paura di essere riconosciuto da qualche ammiratrice o, che so, fotografato mentre hai del cioccolato sul naso?» 
Si tocca la punta del naso assolutamente priva di tracce di gelato «Mi hai fregato!» ride tirandomi la coda dei capelli poi alza le spalle «Può sembrare strano, ma quando c’è così tanta gente è difficile che qualcuno si accorga di me, poi come vedi sono tutti troppo impegnati a divertirsi. Però per precauzione esco sempre con questi» indica gli occhiali da sole che celano i suoi splendidi occhi «E questo» dice tirando in basso la visiera del cappello da baseball che ha in testa «E comunque, da un po’ di tempo sembra sia diminuito l’interesse per i fatti miei da parte della stampa che si occupa di gossip» dice sinceramente soddisfatto. 
Da quello che mi ha detto Karen, credo che, con “un po’ di tempo”, intenda da quando è finita la sua relazione con Helen.
«Ma non hai paura che smettano di parlare di te? Molti pagherebbero per essere sempre al centro dell’attenzione» affermo e lui stringe la mascella guardandomi come se avessi detto una bestemmia.
«E molti lo fanno per davvero, ma a me non interessa finire sulle riviste per quello che faccio nella mia vita privata, e se questo mi farà perdere qualche proposta di lavoro tanto meglio, significa che non erano davvero interessati a me per quello che potevo dare al personaggio con la mia interpretazione» sembra innervosito dall’argomento, allora cambio discorso.
«Sei un tifoso degli Yankees?» si ferma e si gira verso di me.
«Perché?» chiede. 
Con il cono del gelato indico il suo cappello «E allora quello?» 
Alza gli occhi sulla visiera «Ah questo!» lo toglie, guarda la scritta ricamata sopra e lo rimette in testa «No, l’ho preso al volo mentre uscivo, non avevo visto che fosse quello degli Yankees, non so nemmeno come sia arrivato in casa mia» riprende a camminare e a mangiare il suo gelato.
«E allora per chi tifi?» chiedo affrettandomi per tornare al suo fianco.
«Non seguo il baseball, ma sembra piacere a te» dice guardandomi divertito.
«No, assolutamente. Non so nemmeno cosa significa andare alla base o battere un touchdown» 
Scoppia a ridere e io lo guardo perplessa «Beh, che c’è da ridere? Non credo di essere l’unica in tutto il mondo a non saperlo. E poi da me va molto di più il calcio» mi giustifico. 
Mi si mette di fronte e appoggia una mano sopra la mia spalla «Il touchdown non esiste nel baseball, è quando arrivi alla meta nel football» rimango un attimo di stucco.
«Ah!» esclamo scoppiando a ridere «Te l’avevo detto che non ne capivo niente» 
Mi fa uno di quei sorrisi che rivelano lo spicchio di luna sopra la sua guancia destra «Oh ma ora ti credo per davvero» 
Affino lo sguardo muovendo avanti e indietro il mio cono «Però, anche se non ne capisco un bel niente, come ti ho appena dimostrato» accenno un inchino «Il baseball mi ha sempre affascinata, forse anche per la mia passione per Charlie Brown, e se dovessi tifare per una squadra lo farei sicuramente per i Red Sox» 
Sembra incuriosito «E perché? Ti piace Boston?» 
Nego con il capo «No, che vuoi che me ne freghi di Boston. È che è la squadra per la quale è un fan sfegatato Stephen King e spesso ne parla nei suoi racconti» 
Si ferma e con la testa leggermente inclinata mi scruta attentamente «Non ti facevo un’amante dei libri horror» dice meravigliato.
«Infatti non lo sono particolarmente, mi definirei di più un’amante del modo di scrivere di King, che poi in realtà ha scritto anche romanzi e racconti di altro genere. Ho letto quasi tutto quello che ha pubblicato perché amo la sua capacità di trasportarti nel suo mondo e farti comprendere fino in fondo quello che provano e stanno vivendo i suoi personaggi» 
Camminiamo dirigendoci verso il prato vicino alla spiaggia. Il sole comincia a tramontare e le alte palme proiettano lunghe ombre «“Il gioco di Gerald” per esempio, parla di una donna che, convinta dal marito a fare un giochetto erotico, rimane per due giorni ammanettata a un letto all’interno di una casa isolata, con accanto il cadavere di lui che è morto d’infarto prima di consumare l’amplesso. Ero così presa dalla storia che mentre leggevo provavo lo stesso senso d’angoscia e frustrazione della protagonista. Molte pagine descrivono minuziosamente lo sforzo immane che quella poveretta deve fare per raggiungere un misero bicchiere d’acqua appoggiato sulla mensola sopra la sua testa. Ero così in simbiosi con lei che anch’io avevo una tremenda sete, con la differenza che a me bastò aprire il frigo e prendere una lattina di coca cola. Un altro libro che ho letto tutto d’un fiato è stato “Misery”. Forse avrai visto il film?» annuisce.
«Ricordi la scena dove Annie prende a mazzate le caviglie dello scrittore?» un po’ disgustato annuisce ancora «Beh, nel libro invece gli taglia un piede con l’accetta e cauterizza la ferita con la fiamma ossidrica» guarda l’ultimo pezzo del suo cono, poi storcendo la bocca lo getta in un cestino, io invece continuo tranquillamente a mangiare il mio e a parlare.
«A parte la crudezza della scena, quello che mi ha colpita, è che mentre leggevo sentivo chiaramente l’odore della carne bruciata che aleggiava nella mia stanza, come se fossi stata lì con loro due, nascosta in un angolo nella camera da letto della casetta di Annie ad assistere alla tortura di quell’uomo. Per me è questo il genio di King, farti vivere in diretta, se non addirittura in prima persona, le vite di altri»
Siamo uno di fronte all’altro, seduti sopra al prato con le gambe incrociate e sembra totalmente trasportato dalle mie parole «E poi lo ammiro per la sua capacità di calarsi nella mente delle donne, i pensieri e le azioni delle sue protagoniste femminili li trovo molto più vicini alla realtà rispetto a quelli descritti da molte autrici. All’inizio è molto crudele con tutte. Fa attraversare loro dei calvari inimmaginabili, fino a portarle allo stremo della sopportazione, e quando sono ormai sull’orlo dell’abisso e sembrano rassegnate ad accettare il destino terribile a cui sono state condannate, le sorprende facendo loro tirar fuori tutto il coraggio e la determinazione che sono convinta appartengano davvero a ogni donna, e…» rendendomi conto che mi sono lasciata trasportare troppo dal discorso mi zittisco. Abbiamo trascorso un pomeriggio spensierato e non vorrei rovinarlo.
«E?» mi incita.
«Niente, mi piace e basta» tiro in alto le ginocchia e circondo le gambe con le braccia. Rimango immobile chiudendomi in me stessa, così come espresso anche dalla posizione del mio corpo. 
Lui si toglie gli occhiali e li aggancia al collo della t-shirt «Non è quello che stavi per dire. Finisci la frase» mentre le sue parole e il suo sguardo tentano d’incoraggiarmi sposto furtivamente gli occhi sull’erba «Sono sicuro che non può essere peggio della scena del libro che mi hai appena descritto. Sono grande e grosso, ti assicuro che posso sopportarlo» spinge in fuori il petto strappandomi un timido sorriso. 
Prima di parlare prendo un profondo respiro «Stavo per dire che le invidio per questo, per il coraggio e la determinazione intendo» dico rigirando un filo d’erba tra le dita.
«Perché? Pensi di non averne anche tu?» chiede, e io annuisco senza alzare lo sguardo dalle mie mani «C’entra forse il tuo incidente?» 
Spezzo in due il filo d’erba e lo getto a terra «Sì» rispondo secca e con stizza tiro due ciocche della coda dei miei capelli per rimettere a posto l’elastico che li lega, poi raddrizzo il busto e lo guardo con aria annoiata.
«Ti ho sentito mentre parlavi con Brian in spiaggia, e ho visto l’effetto che hanno su di te gli incubi che fai. Deve essere stata un’esperienza terribile» abbasso il capo senza rispondergli. 
 
Il profilo rarefatto del sole è ormai sceso a sfiorare la linea piatta dell’orizzonte, immergendosi lentamente nell’azzurro del mare così come i miei occhi in quelli blu di Russel, che illuminati dalla luce rossa e arancio che ci avvolge sembrano far parte della meraviglia che il riverbero del tramonto ci sta regalando.  
Forse è per l’ambiente ovattato e surreale in cui si è trasformata la spiaggia, o forse per lo sguardo rassicurante di Russel, se quasi senza rendermene conto inizio a parlare «Era il 20 febbraio. Prima dell’incidente mi piaceva guidare, mi rilassava e mi aiutava a pensare e quel giorno ne avevo un disperato bisogno. Stavo attraversando una strada fuori città e la pioggia che cadeva già da qualche ora si era trasformata all’improvviso in un temporale. Tra l’acqua scrosciante che il tergicristallo non riusciva a spazzare via e la poca luce dell’imbrunire non vedevo un granché, in più ero distratta perché mentre stringevo il volante con una mano con l’altra cercavo di accendere il mio telefono» come se stessi leggendo la lista della spesa a un garzone continuo a raccontare con voce ferma e incolore «Così non feci caso al furgone che non si era fermato allo stop per darmi la precedenza. Nemmeno l’uomo che lo guidava aveva visto arrivare la mia auto, era girato verso il retro per fermare il suo cane che rosicchiava il divano che stava trasportando» tante volte ho pensato che quel giorno potevo morire solo perché un idiota stava brontolando il proprio cane invece di prestare attenzione alla strada. 
Nel pieno delirio delle mie nottate insonni a volte mi vengono in mente i probabili titoli dei giornali di cronaca: “Giovane donna spappolata all’interno della sua auto, perché il rottweiler Hannibal non gradiva la tappezzeria a fiori del divano del suo padrone”. 
Mi scappa una risatina nervosa, e la mia voce inizia a tremare «È successo tutto in un attimo. Mi ha centrata a gran velocità sul lato destro» mimo l’impatto schiantando un pugno sopra il palmo dell’altra mano «Per poi schiacciarmi contro il guard rail. L’airbag mi ha strappato di mano il telefono che mi ha fatto il taglio sopra la fronte e ho sbattuto il braccio sinistro contro il finestrino mandandolo in frantumi. Poi sono esplosi tutti gli altri vetri facendo entrare il vento e la pioggia nell’abitacolo che ormai era diventato piccolo e contorto. Ero incastrata tra il sedile e il volante, con i capelli e i vestiti fradici attaccati addosso, e volevo solo sganciare la cintura di sicurezza per uscire più in fretta possibile da lì dentro. Qualcuno continuava a gridarmi di star ferma ma io non l’ascoltavo, tremavo dal freddo e sentivo dolore dappertutto, e non sapevo dov’era finito il mio telefono, tastavo con le mani ovunque perché dovevo assolutamente fare una telefonata ma non sono riuscita a trovarlo» 
Russel ferma le mie mani che si agitano convulsamente in aria. Attraverso il velo di lacrime quasi non riesco a vederlo «Non è necessario che continui se non vuoi» dice mettendo le mani ai lati del mio viso e asciugandomi le lacrime con i pollici. 
Stringo i suoi polsi e ricomincio a parlare «Tutti gli altri tagli me li sono fatti da sola dopo che sono riuscita a sganciarmi la cintura di sicurezza. Ero così spaventata e sotto shock da non rendermi conto che, mentre continuavo ad agitarmi cercando il modo per uscire da lì dentro, mi stavo muovendo sopra un letto di vetri rotti e che più mi agitavo e più mi ferivo» mi fermo un attimo per riprendere fiato «Finché ho perso i sensi, e mi sono risvegliata la mattina dopo in un letto d’ospedale» non riesco a impedire alle lacrime di bagnare le sue mani mentre lui muove ancora i pollici sul mio viso.
Stringo con più forza i suoi polsi e, guardando i suoi occhi immobili nei miei, sento un irrefrenabile bisogno di allontanarmi e andare a nascondermi per la vergogna che provo per essermi lasciata andare. D’ora in poi penserà che sono una pazza in preda al proprio delirio, come se tutto ciò che sono oggi fosse il prodotto di quell’unico maledetto istante che mi ha trasformato nell’essere tremante e senza il minimo controllo che è di fronte a lui.  
Con un movimento brusco allontano le sue mani dal viso, asciugo le lacrime con il dorso di una mano e mi alzo in fretta.
«Che fai?» chiede venendomi dietro mentre a passo svelto vado verso la macchina.
«Sono stanca, portami a casa per favore» dico con tono deciso e autoritario. 
Mi blocca afferrandomi un polso «Vuoi smettere di scappare!» 
Mi volto e con aria minacciosa mi avvicino a lui «E tu vuoi smettere di arrivarmi alle spalle! E poi si può sapere cosa vuoi da me? Perché mi hai chiamata oggi? Perché mi hai portata qui? Perché t’importava così tanto se andavo a letto con Luca e mi struggevo per lui?» come se si fosse scottato lascia il mio polso e mi guarda amareggiato. Mi lancia un’ultima occhiata carica di risentimento, poi tira la visiera in basso a coprirsi il viso e senza rispondermi si allontana.  
Con la testa bassa e le mani in tasca cammina talmente in fretta che sembra che i suoi piedi nemmeno tocchino terra. Ogni suo passo corrisponde ad almeno tre dei miei. Lo seguo a qualche metro di distanza pensando che in fondo lui per me non è nessuno, e che non m’importa se si è offeso e se ora è arrabbiato con me. 
In questo momento desidero solo andare a casa, bermi il mio latte e dormire per scordare in fretta questo pomeriggio con lui.
Mentre si avvicina alla macchina due ragazze gli arrivano di fronte cinguettando eccitate, ma lui tira a dritto senza nemmeno guardarle. Si voltano e fanno due passi nella sua direzione per seguirlo ma lui, girando appena il capo, riserva loro uno sguardo talmente glaciale che si fermano all’istante come se giocassero a un due tre stella. Anch’io mi blocco, intimorita dai suoi occhi che ora sono su di me, freddi e impenetrabili come non li avevo mai visti. Quando ricomincia a camminare le due ragazze si guardano, alzano le spalle e si dirigono dalla parte opposta alla sua. 
Sospiro, e stringendo i pugni lo raggiungo e salgo in auto.
 
Guardo fuori dal finestrino mentre Russel accanto a me guida in silenzio. Non abbiamo pronunciato una sola parola da quando l’ho aggredito. 
«Okay, ora basta» mette la freccia e accosta sul ciglio della strada. Spenge il motore e sgancia la sua cintura di sicurezza.
«Perché ti sei fermato?» gli chiedo preoccupata pensando che ci sia qualche problema con l’auto. 
Si volta verso di me e prima di parlare mi guarda a lungo negli occhi «Perché  io e te dobbiamo chiarirci una volta per tutte. Ti assicuro che se potessi tornare indietro a quella sera non ti direi mai niente del genere» 
Lo guardo sprezzante «Lo dici solo perché ora sai la verità» 
Sospira «Hai ragione. Però cercherei almeno di essere più educato» 
Sconvolta spalanco la bocca «Ma chi ti credi di essere, si può sapere? Anche se fosse stato vero non avevi nessun diritto di parlarmi in quel modo» grido.
Lui mi risponde con voce altrettanto alterata «Il diritto me lo sono preso dal momento in cui mi è sembrato che tu stessi soffrendo per la situazione. Non volevo essere sgarbato, volevo solo farti capire che non dovevi farti trattare come un oggetto… perché non te lo meriti» sbatte una mano sul volante poi la passa tra i capelli. 
Mi giro con il busto verso di lui, e controllando il tono della voce gli rispondo «Nessuna donna lo meriterebbe, e quelle che vanno a letto con Luca ti assicuro che non si sentono affatto usate, anzi, forse sono loro che usano lui, alcune per il sesso, altre per farsi vedere in sua compagnia» 
Mi risponde continuando a guardare davanti a sé «Non m’importa niente delle altre» poi serra la mascella.
«E tu che ne sai che io non sono come loro? Il mondo è pieno di uomini e donne che s’incontrano solo per soddisfare il proprio piacere, per poi tornare ciascuno alla propria vita. Anch’io potrei star bene avendo una relazione basata esclusivamente sul sesso» dico tranquillamente.
Si volta verso di me con la bocca aperta «Non stai parlando sul serio, vero?» freme in attesa della risposta. Rimango un attimo in silenzio mentre la sua espressione diventa sempre più spazientita.
«Perché non puoi credermi?» 
Sospira e sposta lo sguardo sulla strada «Non so perché. Forse semplicemente non voglio farlo» risponde con voce rassegnata, per poi appoggiarsi al sedile e chiudere gli occhi.
«Che significa che non vuoi farlo?» gli chiedo.
Riapre gli occhi, e invece di rispondermi guarda distrattamente l’orologio sul cruscotto «A me è venuta fame» dice riaccendendo il motore.
«Ma se ti sei fatto fuori un cono gigante meno di due ora fa» dico ridendo e sentendo la tensione scemare in fretta.
«Ma io non mangio mica come un uccellino come te» sorride allacciandosi la cintura «Il gelato era solo uno spuntino» dice massaggiandosi lo stomaco, poi si volta a guardare la strada rimettendosi in carreggiata «Andiamo da me e ordiniamo qualcosa per cena?» chiede voltandosi verso di me. 
Ci penso un attimo. Andando a casa sua rischio d’incontrare Luca, e se dovesse accadere, sono sicura che domani in ufficio mi riempierebbe di domande per sapere cosa ci facevo a casa di Russel, e il discorso poi cadrebbe di nuovo su cosa ci siamo detti quando ci ha visti discutere nella sua terrazza, e sapendo quanto può essere insistente quando vuole soddisfare una sua curiosità, e quanto poco io sia in grado di tenergli nascosto qualcosa, è meglio evitare, non mi perdonerei mai la rottura della loro amicizia per colpa mia.
«E se invece andiamo da me e preparo qualcosa io?» sembra stupito.
«Non è che mi vuoi avvelenare?» chiede sorridendo.
Scuoto il capo «Puoi stare tranquillo, non desidero più farti fuori» penso al cecchino e mi viene da ridere.
«Meno male» dice accentuando un sospiro di sollievo «Ormai però è tardi, prendiamo una pizza, qui vicino c’è un posto dove la fanno buona. Ti va?» 
«Okay» rispondo.
Dopo qualche centinaio di metri mette la freccia e accosta al marciapiede.
Mentre attraversa la strada lo seguo con lo sguardo, e quando lo vedo sparire all’interno del locale inizio a sentire l’ansia pervadermi. Cerco di concentrarmi solo sulla porta della pizzeria, ripetendomi che tra pochi minuti ritornerà. Inizio a contare mentalmente i secondi. Arrivata a trentadue il mio cuore inizia a battere velocemente, a quarantotto la gola si contrae, a sessantasette le mie mani già tremano. Rassegnandomi alla sconfitta per l’ennesima volta, apro in fretta lo sportello e salto fuori.
Appoggio le mani sul tetto dell’auto e abbasso la testa tra le braccia, poi chiudo gli occhi e cerco di respirare lentamente. Dopo qualche minuto riacquisto la calma e il controllo.
«Che fai lì? Perché sei scesa?» alzo la testa di scatto e vedo Russel dall’altra parte della macchina con il cartone della pizza in mano.
«Niente…» mi gratto la fronte «è che non riesco a stare lì dentro da sola» dico mentre apriamo gli sportelli. 
Dopo aver infilato solo una gamba dentro l’auto si ferma un attimo, poi si siede accanto a me «Certo, che stupido, dovevo pensarci e farti venire con me» 
Gli sfilo il cartone dalle mani «Tranquillo, non è successo niente, sto benone» dico fingendomi allegra. Mi guarda dubbioso, poi mette in moto e andiamo verso casa mia.
 
Rigiro tra le mani il mio bicchiere, poi gli dico quello che mi è frullato in testa per tutto il tempo che abbiamo impiegato per cenare «Ti chiedo scusa per prima. Non so cosa mi sia successo, o meglio, lo so, ma non meritavi davvero di essere aggredito in quel modo» 
Fa un mezzo sorriso «Non devi scusarti. Però vorrei sapere perché hai reagito in quel modo»
Siamo seduti in terra, uno di fronte all’altro, tra noi, sopra il tavolino basso del divano, il cartone della pizza ormai vuoto.
«Sono passati quasi quattro mesi dall’incidente e vorrei tornare quella di prima, smettere di fare incubi, ricominciare a guidare l’auto, riuscire a pensare che in realtà niente mi è stato tolto, ma che invece mi è stata data una nuova possibilità. Ma quando perdo il controllo come prima capisco che niente è cambiato, e odio me stessa per questo, perché più passa il tempo e più mi spaventa l’idea che non migliorerò» confesso con una serenità che mi sorprende.
«Non credo che si possa prestabilire il tempo necessario per superare un trauma, ognuno ha il suo. Sei troppo severa con te stessa. E poi non è vero che non hai fatto nessun progresso, mi hai detto che questa settimana non hai fatto incubi» il suo tono rivela una punta d’orgoglio, e io gli sorrido per questo.
«È che sono impaziente» concludo mesta.
 
Chiacchieriamo fino a tardi, finché Russel accorgendosi che comincio a essere stanca, con un bacio sulla fronte, e la promessa di chiamarmi presto, mi saluta e se ne va. Guardo l’ora, potrei chiamare Dario che ora dovrebbe essere già in ufficio, ma sono stanca e preferisco andarmene a letto. 
Lo chiamerò domani dal lavoro.
 
**
 
Mercoledì 13 Giugno 2012
 
«Di là c’è quel porco di Gordon, lo faccio entrare?» mi chiede Meg facendo una smorfia.
«Meg! Smetti di parlare così di lui. Vai e fallo entrare subito, lo sai che non gli piace aspettare» dico spingendola verso la porta. 
«Visto che non c’è Luca rimango io qui con voi, d’accordo?» domanda voltandosi a guardarmi prima di uscire. E per fortuna che non c’è, il signor Gordon m’innervosisce già da solo, sarebbe ancor più avvilente vedere Luca seduto tra me e lui mentre lo guarda in cagnesco, mi sentirei come una figlia accompagnata dal padre a fare la prima visita ginecologica.
«Sì» le rispondo rassegnata pensando al pomeriggio che m’aspetta in compagnia di quell’alligatore con le sembianze di un uomo d’affari di mezza età.
 
Meg si alza dal divano per prendere dalla libreria dei books da far vedere al signor Gordon che, oltre ai completi giacca e pantalone che ha già scelto, vuol vedere anche dei capi da indossare per giocare a golf. 
Mi sento vulnerabile senza l’imponente figura di Meg seduta sul divano tra me e il signor Gordon. Maledicendomi per aver indossato una longuette invece che un paio di pantaloni, tengo il mio sguardo concentrato sul blocco che uso per prendere appunti, lo stringo tra le mani sentendo la serpentina di metallo che lega i fogli premermi sul palmo. 
Siamo distanti almeno un metro, ma sento il suo sguardo lascivo talmente vicino che provo disgusto come se in realtà mi stesse leccando, per valutare quanto il mio sapore l’aggrada e decidere se mangiarmi in un solo boccone o assaporarmi lentamente come se fossi una prelibatezza.
Tutto di quest’uomo mi mette a disagio, a cominciare dalla voce sempre posata ed educata, tuttavia farcita in ogni frase della giusta dose di autorità, e della sfacciata consapevolezza di saper ammaliare l’interlocutore riuscendo a fargli fare tutto ciò che può soddisfarlo, per rimarcare ogni volta che gli è possibile la sua superiorità o solo per lo sfizio di gratificare il proprio ego. 
L’abbigliamento sempre impeccabile, il fisico slanciato e asciutto, tipico di chi è attento a ciò che mangia e che pratica molta attività fisica, probabilmente all’aperto vista la sua perenne abbronzatura. I capelli scuri e brizzolati sulle tempie, un po’ lunghi e impomatati, e le mani sempre perfettamente curate. 
Trovo particolarmente inquietante il grosso anello d’oro, con un rubino quadrato di dimensioni spropositate, attorno al suo mignolo, è sempre in bella vista mentre siede composto con le gambe accavallate e le mani appoggiate una sull’altra sopra al ginocchio.
I suoi occhi piccoli e neri continuano instancabili a guardarmi da capo a piedi come se fossi un quarto di bue nella vetrina di un macellaio, percorrono il mio corpo con una lentezza talmente esasperante che vorrei prendere il suo bicchiere di whisky appoggiato sul tavolino e tirarglielo in quella faccia divertita dal mio evidente nervosismo. 
«Qui ne manca uno» dice Meg appoggiando tre books sopra il tavolino davanti a noi «Vado a vedere se l’ha preso Luca. Torno subito» pronunciando le ultime due parole mi lancia uno sguardo d’intesa.
Prendo uno dei book e lo apro «Questi sono quelli della nuova collezione, non mi sembra di averglieli ancora mostrati» dico con voce professionale rimanendo lontana da lui. Me lo toglie di mano e lo getta sul tavolino.
«Quanti abiti dovrò ancora comprare perché lei accetti di venire a cena con me?» chiede con tono e fare annoiati. 
Lancio un’occhiata verso la porta con la speranza di veder arrivare Meg.
«Signor Gordon, le ho già detto che non posso, e sarebbe educato da parte sua se smettesse di chiedermelo» gli scappa una risata che risuona tra le pareti del mio ufficio come una scudisciata, e io mi sento come un cavallo richiamato all’ordine da un colpo sul fianco.
«Signorina Leoni, io sono, un uomo estremamente educato, le garantisco che il giorno che smetterò di esserlo non faticherà molto a capirlo, perché purtroppo per lei non sono altrettanto paziente» la frustata di prima è niente in confronto a quella che mi è sembrato di ricevere con quest’ultima frase. Come se mi avesse colpita con un gatto a nove code sulla schiena, la raddrizzo di scatto per non farmi trovare impreparata a ricevere il prossimo colpo. Trattengo il respiro come se la stanza fosse satura di gas nervino, e mentre i suoi occhi ardono come pietra lavica incandescente, il suo sorriso è quello di chi è più che soddisfatto dell’effetto provocato dalle proprie parole.
«L’ho trovato» dice Meg entrando di corsa e sventolando un book. Mi volto verso di lei e scatto in piedi.
«Mi dispiace ma si è fatto tardi e purtroppo devo andare» dice Gordon alzandosi dal divano e guardando l’orologio d’oro al suo polso «Ho un appuntamento con il giudice Right tra cinque minuti. Vedremo il resto la prossima volta» poi si avvicina a Meg «Signorina, il suo aiuto è stato davvero prezioso» dice baciandole la mano. 
Io rimango immobile, tra il tavolino e il divano, mentre lui con passo elegante viene verso di me e allunga la sua mano mostrandomi il palmo. Dietro di lui vedo Meg che mi scruta preoccupata, per farle capire che è tutto a posto assumo un atteggiamento disinvolto e sorridendo a Gordon appoggio la mia mano sopra la sua fredda e nerboruta. Si piega guardandomi negli occhi, e quando sfiora la mia pelle con le labbra mi sento come se avessi dato la mia mano in pasto a un coccodrillo affamato. 
«Signorina Leoni, spero davvero di rivederla presto» sempre tenendomi la mano alza appena la testa e, attento a non farsi sentire da Meg, sussurra «E la prossima volta preferirei incontrarla da sola. Le faccio così tanta paura?» indignata tiro indietro la mano, ma lui è più veloce di me e afferra il mio polso, lo stringe ingabbiandolo tra il pollice e l’indice, finché sento la pressione che si allenta e all’improvviso mi lascia andare. Sorride lanciandomi un ultimo sguardo, poi esce in fretta. 
Meg, appoggiata allo stipite della porta, lo segue con lo sguardo, non vedendomi mentre schifata passo la mano sopra la gonna. 
«Che è successo quando non c’ero?» chiede Meg correndomi dietro mentre entro nel bagno per lavarmi la mano.
«Niente Meg, non è successo niente. Ora scusa ma devo fare pipì» dico chiudendole la porta in faccia. 
Prendo una quantità industriale di sapone e lo friziono sulle mani, finendo per lavarmi le braccia fino al gomito. M’insapono vigorosamente pensando che la prossima volta glielo faccio vedere io a quello stronzo con chi ha a che fare. Gli avveleno il suo whisky, anzi no, ci metto dentro un’intera confezione di lassativo, poi sprango tutte le porte dei bagni per vederlo mentre se la fa addosso in preda ai crampi. Voglio vederlo strisciare ai miei piedi mentre mi prega di dargli le chiavi che tintinnerò davanti a quella faccia straziata dal dolore e dalla vergogna. 
Prima di uscire mi guardo un attimo allo specchio, sorrido a trentadue denti, ed esco stampandomi sulla faccia l’espressione più serena che riesco a fingere. 
 
**
 
Sabato 16 Giugno 2012  
 
Sbuffando mi rigiro per l’ennesima volta sul divano. Da questa mattina i crampi del primo giorno del ciclo non mi danno tregua. Ho rifiutato anche l’invito di Peter ad andare oggi pomeriggio a casa sua insieme a tutti gli altri amici che rimarranno lì anche per cena. Non vedevo l’ora di conoscere i suoi tanti animali, ma stasera non sarei stata di compagnia.
In compenso da oggi ho ricominciato a prendere la pillola, così questo sarà l’ultimo mese in cui mi sentirò così spossata e dolorante.
Gongolo, scordando per un po’ il mio mal di pancia, pensando alla lunga videochiamata di ieri sera con Dario. Mi ha chiamata dall’Inghilterra, e tra le altre cose, mi ha detto che finalmente hanno tolto il gesso a Riccardo, questo vuol dire che la signorina Paola-la-gatta-morta se n’è rimasta triste e sconsolata tra le scartoffie della redazione. 
 
La suoneria del telefono mi sveglia. Il display del lettore dvd segna che sono le cinque del pomeriggio. Sbadigliando rispondo senza guardare chi mi sta chiamando.
«Non dirmi che stavi dormendo!» esclama Russel allegro.
«Non era nelle mie intenzioni, però mi sono stesa un attimo sul divano e ho finito col dormire quasi due ore» dico andando in cucina per bere.
«Sono appena arrivato a casa di Peter e mi ha detto che non sarai dei nostri. Hai un altro impegno?» anche se sembra aver buttato lì la domanda, la sua voce non nasconde del tutto una punta d’ansia.
«No, quale impegno, è che non mi sento molto in forma» dico massaggiandomi la pancia.
«Stai male?» chiede allarmato.
«Un po’, ma non è niente di grave» rispondo subito per tranquillizzarlo.
«Ah… okay» sembra aver capito qual è il mio problema «Facciamo così, ti richiamo tra un paio d’ore, e se nel frattempo hai cambiato idea e ti è venuta voglia di uscire me lo dici e vengo a prenderti» ci penso un attimo, da casa mia a Malibù ci vuole quasi un’ora d’auto.
«Sei gentile Russel, ma non importa, sei appena arrivato e per venire a prendermi e tornare da Peter finiresti per passare il sabato sera in auto» gli dico.
«Tu pensa solo a riposarti. Ci sentiamo tra due ore. Ciao» riattacca senza lasciarmi nemmeno il tempo di replicare.
Mi getto a peso morto sul divano e il telefono suona di nuovo «Russel! Avevi detto che mi avresti richiamato tra un paio d’ore o sbaglio? O forse sono così stordita da non essermi accorta che sono già trascorse?» dico ridendo.
«Perché pensavi che a chiamarti fosse Russel?» chiede Meg. Mi schiarisco la voce per prendere tempo e non risponderle la prima cosa che mi passa per la testa. Penso sia meglio che Meg non sappia che io e Russel stiamo diventando amici e che questa settimana ci siamo sentiti ogni giorno, lo direbbe sicuramente a Luca che, con la scusa di chiedermi il motivo della strana e inaspettata inversione di marcia che ho fatto nei confronti del suo amico, tenterebbe di fregarmi per scoprire il motivo del nostro litigio. 
Il ciclo probabilmente inibisce anche la mia capacità d’inventare una balla plausibile, perché non riesco a ragionare velocemente, finché è Meg a parlare «Torneremo un’altra volta sull’argomento» sospiro sollevata «Brian non si è fatto vivo per tutta la settimana, e ora, a poche ore dall’appuntamento, mi ha mandato un messaggio con scritto di vestirmi con abiti comodi e di portare una giacca pesante. Ho impiegato un’intera settimana di shopping con Karen per trovare l’abito che mi è costato un rene al mercato nero degli organi e le scarpe più strepitose della storia delle calzature, e invece stasera se ne rimarranno chiusi nell’armadio, sentendosi soli e abbandonati perché mamma e papà non li hanno portati a cena fuori con loro» 
Rido «Mamma e papà? Non starai correndo un po’ troppo?» le chiedo.
«Probabilmente sì, ma il punto non è questo. Secondo te, dove ha intenzione di portarmi stasera?» chiede ansiosa.
«Non so, visto l’abbigliamento che ti ha consigliato direi… a fare un’escursione?» scoppio a ridere.
«Reb! Tu non capisci. Sono mesi che non esco con un uomo e Brian mi piace davvero. Oddio, se continuo così quando lui arriverà a prendermi mi troverà morta stecchita per colpa di un attacco di cuore» 
Le parlo seriamente «Meg, non devi aver paura di niente, lui ti piace, d’accordo, ma anche tu piaci molto a lui. Quindi ascoltami, riempi la vasca da bagno di sali profumati e mettiti a mollo per rilassarti, poi ti prepari con calma. Pensa solo che tra poco potrai vederlo di nuovo e che sicuramente passerete una serata fantastica, dovunque lui avrà deciso di portarti» la sento sospirare.
«Okay, seguirò il tuo consiglio, ma se mi prende di nuovo l’ansia posso richiamarti?» 
«Certo, quando vuoi»
 
Ho seguito lo stesso consiglio che ho dato a Meg, e dopo aver fatto un bagno rilassante mi sento meglio. 
Rispondo alla chiamata di Russel, non prima di aver controllato lo schermo del telefono per evitare altre gaffes.
«Come stai?» mi chiede
«Molto meglio di prima» 
«Bene. Quindi hai deciso di uscire?» 
«È che mi dispiace farti venire fin qua» 
«In realtà sono a solo dieci minuti di strada da casa tua» 
«Come mai sei venuto via da casa di Peter?» 
«Perché se decidevi di uscire non sarei arrivato troppo tardi da te» 
«Mi sa che allora non ho scelta. Però arriveremo che saranno già a tavola»
«Non andremo da Peter, ma da me, voglio farti vedere una cosa» 
«Ah, okay»
«Cena cinese?» 
«Sì certo, mi piace tutto, quello che prendi per te va bene» 
«Passo a prenderti tra poco»
 
«Ora che ho mangiato tutto posso sapere cos’è che volevi farmi vedere?» con l’appetito che si risveglia solo nei giorni in cui ho il ciclo ho divorato tutto quello che Russel continuava a mettermi nel piatto. Ma ora che il mio stomaco è soddisfatto, muoio dalla curiosità di sapere cos’è questa cosa che a parer suo mi farà impazzire.
Si alza da tavola «Saliamo di sopra che te lo faccio vedere» mi ha davvero chiesto di salire in camera con lui? Mi sembrava che avesse capito che sono indisposta e che quindi noi non possiamo… ma che vado a pensare. 
Sgomenta per l’idea folle che mi è venuta mi alzo e lo seguo.
Arrivata a metà della scala, guardando nel lato del soppalco che prima era vuoto, vedo cos’è riuscito a tenermi nascosto per tutto il tempo della cena, malgrado che morendo dalla curiosità io l’abbia assillato di domande. Mi fermo a bocca aperta e, eccitata come una bambina il giorno di Natale, sposto lo sguardo in cima alle scale dove Russel mi aspetta sorridendo, con in bella mostra il piccolo spicchio di luna sulla guancia che mi piace sempre di più ogni volta che lo vedo. 
«Un tavolo da ping pong!» esclamo emozionata salendo gli ultimi scalini a corsa per avvicinarmi a toccare il legno verde, dove sono appoggiate anche due racchette e una pallina. 
Russel prende una racchetta e si piazza dall’altro lato del tavolo «E ora fammi vedere se le tue sono solo chiacchiere o se sei davvero brava come ami tanto vantarti» 
Lo guardo con sfida «Forse prima dovresti posizionare una telecamera sul tavolo, perché riuscirai a vedere la pallina solo riguardando il filmato al rallenty» lo prendo in giro preparandomi a battere.
«Avrai pane per i tuoi denti non preoccuparti» dice incitandomi con la racchetta.
«Okay, avvertimi quando ne avrai abbastanza» dico alzando la pallina in aria per dare via al massacro.  
 
«Basta, sono a pezzi» dice Russel sdraiato sul parquet davanti al suo lato del tavolo da ping pong, respira con un po’ d’affanno e tiene la racchetta in mano appoggiata sul petto. Ha i capelli spettinati e la t-shirt leggermente sollevata a scoprirgli in parte l’addome perfetto. Volta appena il capo verso di me e io sorrido per il suo sguardo stanco. 
Abbiamo giocato due ore ininterrottamente, fermandoci solo per espletare i bisogni fisiologici e per bere.
«Quindi ti arrendi?» chiedo guardandolo da sotto il tavolo mentre anch’io riprendo fiato seduta a gambe incrociate dall’altra parte.
«Sì, e ti prometto che non oserò mai più sfidarti» 
Appoggio la schiena al pavimento e mettendo le mani sotto la testa gli dico «Però, devo dire che ti sei rivelato davvero un degno avversario, anche se ovviamente, io sono molto, ma molto più forte di te» 
Si solleva e si volta verso di me appoggiando la testa sopra una mano «Devi dirmi come fai a mandare la pallina una volta su due proprio sull’angolo» dice. 
Rido e mi metto su un fianco anch’io. Stesi a terra, con il fiatone, e con le gambe del tavolo da ping pong tra di noi, penso che questa conversazione stia diventando alquanto surreale.
«E che ne so. Penso che sia solo fortuna. Da ragazzina, durante un torneo a scuola, mentre giocavo contro il mio fidanzatino, all’ennesimo cambio di direzione della palla che aveva preso lo spigolo, lui s’innervosì e mi lanciò la racchetta, io la schivai e poi gli lanciai la mia prendendolo di taglio con il legno sul naso. Io vinsi il torneo, e lui finì all’ospedale con il setto nasale rotto» scoppia a ridere.
«Beh, probabilmente era arrivato al limite della sopportazione se l’avevi sfottuto per tutto il tempo come hai fatto con me» gli faccio la linguaccia «E poi che hai fatto? L’avrai lasciato spero?» chiede mentre si mette seduto incrociando le gambe.
«No perché? Dopo di me era il più bravo a giocare di tutta la scuola, e quindi l’unico con cui potevo allenarmi e divertirmi davvero» dico mentre ci alziamo da terra. 
Mi guarda incredulo «Andiamo a rifocillarci un po’. Non so te ma io sto morendo di sete» dice ridendo e andando verso le scale.
 
 
Lo squillo del campanello di casa di Russel mi sorprende facendomi saltare sul divano. 
Mi domando chi possa essere visto che è quasi mezzanotte. Guardo Russel che, invece di alzarsi per andare ad aprire, solleva gli occhi al soffitto, si passa una mano prima sulla faccia poi tra i capelli, appoggia la testa allo schienale e chiude gli occhi stringendo la mascella, tutto mentre il campanello continua a suonare insistentemente. 
Capisco al volo che c’è qualcosa che non va, allora rimango in silenzio senza fare domande. Quando finalmente il campanello smette di suonare lui tira un sospiro di sollievo e riapre gli occhi. Non passa nemmeno un secondo che tocca al telefono di casa interrompere il silenzio.
Russel lo lascia suonare, finché parte la segreteria telefonica. Dopo il breve messaggio registrato, una voce femminile, distorta dal microfono, dalla rabbia e dall’agitazione, inizia a gridare «Apri! Lo so che sei in casa vedo le luci accese. Apri o giuro che sveglio tutto il palazzo. Sei solo uno stronzo a nasconderti così» si sentono dei rumori come se stesse prendendo a calci il portone «Porca puttana Russel, apri questa cazzo d…» il tempo a disposizione per registrare il messaggio finisce. 
Ricomincia a suonare il campanello, e in contemporanea anche il telefono. Russel finalmente si alza, prende il filo del telefono e con un gesto secco strappa la spina dal muro, poi si volta verso di me «Scusami Rebecca. Torno subito» dice con espressione rassegnata prima di uscire in fretta di casa. 
Un minuto e il campanello si placa. Tiro un sospiro di sollievo, credevo che avrebbe continuato a suonare fino a farmi diventare sorda. 
Rimango immobile sul divano rigirando il bicchiere tra le mani, poi penso che da quassù non possono vedermi, allora mi alzo di scatto e corro alla terrazza della cucina. 
Cauta mi avvicino al parapetto e mi sporgo quanto basta per guardare di sotto. Ma dove sono mi domando, la luce è scarsa e sono piuttosto in alto rispetto al marciapiede, ma due persone dovrei riuscire a vederle lo stesso. Alzo gli occhi e guardo i palazzi intorno, certo che di sotto non c’è anima viva, ho sbagliato lato della strada. Accidenti alla mia totale mancanza di senso dell’orientamento.
Rientro in casa e mi precipito all’altra terrazza dal lato opposto della casa. E questa volta li vedo. Russel guarda davanti a sé con le mani appoggiate sui fianchi, mentre la donna, che riconosco essere Helen, sbraita gesticolando, e sembra molto, ma molto incazzata. Ripensando ai suoi occhi felini mi scorre un brivido lungo la schiena. Lui alza le mani per zittirla, e quando inizia a parlare in modo pacato anche Helen sembra calmarsi, ma improvvisamente lei alza una mano e lui le blocca il polso appena in tempo prima che riesca a dargli uno schiaffo. 
Vederla che cercava di colpirlo mi fa ribollire il sangue, mi porto le mani alla bocca per trattenermi dal gridarle contro. Lui le stringe ancora il polso mentre le parla a pochi centimetri dalla faccia, e non sembra più tanto posato come prima. 
Capisco che forse è meglio se smetto di fare la ficcanaso. Rientro dentro e mi siedo sul divano ad aspettare che Russel torni in casa. 
 
Immersa nella vasca da bagno mi lascio cullare dall’acqua calda e dalla fragranza dei sali, finché lentamente mi assopisco. Svegliandomi all’improvviso scatto in avanti. Gordon saetta fuori dall’acqua inondando il mio bagno e a un centimetro dal mio viso spalanca la bocca. L’odore fetido del suo fiato mi riempie i polmoni e a stento trattengo i conati. Cerco di afferrare la prima cosa che trovo appoggiata sopra al bordo della vasca per colpirlo, ma lui serra le mascelle attorno al mio polso e l’imprigiona nella morsa dei suoi denti aguzzi da alligatore. 
Con la mano libera stringo il bordo della vasca per impedirgli di trascinarmi dentro l’acqua, che sotto di noi è diventata scura e profonda. 
Da dietro la sua schiena emerge una coda di coccodrillo che s’inarca verso di me fino a raggiungere il mio viso, mi ritraggo e vedo che anche la sua testa si è trasformata in quella di un alligatore, e stringe ancora il mio polso tra i denti. 
Come ipnotizzata guardo i suoi occhi rossi come rubini, mentre la punta ritorta della sua coda accarezza la mia fronte e scende lentamente a sfiorarmi una guancia. 
«Ehi piccola, ti sei addormentata» spalanco gli occhi e vedo Russel accanto a me che mi accarezza il viso. 
Ho ancora impressa l’immagine di Gordon che si trasforma in coccodrillo e che cerca di trascinarmi dentro l’acqua, ma ora che so che è stato solo un sogno, mi viene da ridere al pensiero che volevo colpirlo con il flacone del mio bagnoschiuma.
«Sì, scusa» dico tirandomi su e mettendomi seduta sul divano «Che ore sono?» chiedo stropicciandomi gli occhi.
«L’una. Perdonami se ci ho messo così tanto ma è stato più lungo del previsto» dice affranto sedendosi al mio fianco.
«A me non dispiace affatto. Il tuo divano è davvero comodo per schiacciare un pisolino» mi stiro le braccia sollevandole e di nascosto scruto il suo profilo per capire come può essere finita la discussione con Helen. Mi sembra ancora piuttosto nervoso.
«Credo di doverti una spiegazione» dice voltandosi a guardarmi. 
Penso al fatto che, anche se tra noi sembra stia nascendo una sincera amicizia, non volendogli dire il vero motivo del mio trasferimento e tutte le altre cose che gli sto nascondendo del giorno dell’incidente, ho omesso con lui anche l’esistenza di Dario. Sentendomi in difetto gli dico «Non devi dirmi proprio niente se non ti va di farlo»
Mi accarezza una guancia sorridendo «Era Helen. Non riesco a farle capire che tra noi è finita» il suo petto si gonfia mentre sospira.
«Non ci sei riuscito nemmeno stasera?» ha il viso stanco e l’espressione rassegnata.
«Come ogni volta sembra di sì. Poi però torna a casa, ci ripensa, e dopo qualche giorno si ripresenta alla mia porta, mi riempie la segreteria d’insulti e fa squillare il mio iphone alle ore più assurde del giorno e della notte» dice stringendo i pugni e premendoli sopra le gambe.
«Certo che una donna per comportarsi così deve essere molto innamorata» commento a bassa voce, provando uno strano fastidio nel sentirmelo dire.
Ride beffardo e scuote la testa «Scusa, ma tra le stronzate che ho sentito in quest’ultima ora, la tua è la più grossa di tutte» mi sento smarrita dal suo tono ironico.
«Perché? Le devi mancare davvero se continua a cercarti dopo tutto questo tem…» scoppia a ridere e io m’interrompo.
«Anche se dice di amarmi non le credo. Sono sicuro che continua a cercarmi solo perché da quando non stiamo più insieme si sono scordati tutti di lei» afferma tranquillamente malgrado le sue parole.
«Come puoi dire questo?» gli chiedo con un filo di voce.
«Lo dico perché al termine del tour promozionale del mio quarto film, per farle una sorpresa, non l’avvertii che sarei tornato con un giorno d’anticipo, e come nella migliore delle tradizioni fu lei a farla a me» spalanco gli occhi pensando che l’ha trovata a letto con un altro «Era al telefono con il suo agente, e gli diceva che dovevano trovare in fretta una soluzione perché la popolarità che aveva guadagnato con la nostra relazione non era servita a far decollare la sua carriera. Dovevi vedere la sua faccia quando le ho palesato la mia presenza. Ha cominciato a balbettare che quello che avevo sentito era solo uno sfogo dovuto allo sconforto, ma che lei mi amava veramente e che non diceva sul serio» anche peggio dei corpi avvinghiati che mi ero immaginata.
«E tu non le hai creduto? Mi sembra impossibile che si possa stare con una persona così a lungo solo per questo motivo. Sono sicura che lei provasse davvero dei sentimenti per te» dico convinta.
«È la stessa cosa che dice lei. Stasera mi ha ripetuto di nuovo che all’inizio della nostra relazione le interessava solo la carriera, e che iniziò a frequentarmi solo per attirare l’attenzione, ma che quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme era innamorata veramente» allarga le labbra in un sorriso incerto.
«E tu? Sei ancora innamorato di lei?» 
Risponde senza la minima esitazione «No. E penso di aver smesso di amarla molto tempo prima di lasciarla. Se ami davvero una persona non puoi desiderare di starle lontano» dice sereno guardandomi negli occhi.
«Cosa intendi?» gli domando pensando alla mia fuga da Dario.
«Da quando io e Helen siamo andati a convivere ho sempre lavorato molto, e tra le riprese e le promozioni in realtà non abbiamo passato molto tempo insieme, e ogni volta che tornavo, anche se per brevi periodi, per colpa della sua gelosia non vedevo l’ora di ripartire di nuovo. Era ossessionata dall’idea che potessi tradirla con una collega. Soprattutto nell’ultimo anno era impossibile per me riuscire a lavorare serenamente, mi faceva delle scenate assurde per telefono o si presentava a sorpresa solo per dar sfogo alla sua isteria» mi viene in mente quando seduta al bancone mi ha guardata con astio. Mi auguro di non essermi messa nei guai facendomi vedere con Russel.
«Ho anche capito perché dovunque andassimo c’era sempre una schiera di paparazzi pronti a fotografarci, il suo agente probabilmente era d’accordo con lei e li avvertiva di ogni nostra uscita. Questa forse è la cosa che più mi ha fatto incazzare, perché lei sapeva benissimo quanto odiassi tutta quell’attenzione da parte dei media. Da quanto non sto più con lei mi sembra di essere rinato» dice sorridendo e dandomi un buffetto sul naso. 
Mi scappa uno sbadiglio e lui si alza «Ora però, Sirenetta, ti riporto a casa, almeno che tu non voglia dormire sul mio divano» mi alzo in fretta.
«No no. È comodo ma preferisco di gran lunga il mio letto» ci penso un attimo poi gli chiedo «Come mi hai chiamata, scusa?» 
Prima di uscire dalla porta di casa si volta verso di me. Si gratta la fronte e sembra in imbarazzo, cosa alquanto strana per lui «Sirenetta, ma questo te lo spiego un’altra volta»   
 
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Capitolo 11
*** Cap. 11 - Desiderio del nulla ***


CAP. 11 - DESIDERIO DEL NULLA
 
Scordati di me al più presto,
scordati di me...
Scordati di me al più presto,
scordati di me.
 
Quando aspetti in silenzio la resa,
quando l’odio accarezza il tuo cuore
e gli occhi socchiusi implorano.
Poi il letto ritorna vuoto
e tu sorridi nell’ombra.
 
Diaframma
 
**
 
Domenica 17 Giugno 2012
 
Strascicando i piedi arrivo davanti alla porta di casa e la apro «Voi siete due pazze! Sono solo le sette. Non ve l’ha mai detto nessuno che per essere belle ci vogliono almeno otto ore di sonno?» mi lamento mentre Karen e Meg mi seguono in cucina. 
«Sta’ zitta e metti il caffè sul fuoco, ne voglio uno bello forte come lo fai te con quell’affare» ordina Meg indicandomi la moka sul lavello.
«Io ho portato i pancake» dice Karen appoggiando un piatto pieno di profumate frittelle sul tavolo da pranzo. Ancora non hanno capito che io preferisco i miei biscotti per colazione.
 
«Allora, Brian è arrivato in perfetto orario» sollevo lo sguardo dalla mia tazza e inarcando le sopracciglia guardo Meg che ha parlato «Che c’è? La puntualità è una caratteristica che ho sempre apprezzato in un uomo, se arriva tardi al primo appuntamento con il passare del tempo sarà sempre peggio» sbadiglio prendendo un biscotto «E si è presentato in sella a una Harley Davidson enorme, nera con delle fiamme arancioni disegnate sul serbatoio. Dovevate vederlo quanto era sexy sopra quel bolide» 
Karen rimane con la sua forchetta a mezz’aria «E tu sei salita con lui?» chiede spaventata.
«Certo. Mi vengono ancora i brividi se penso al rombo del motore ogni volta che dava gas, e poi me lo sono tenuto stretto per tutto il tempo» dice strizzandole un occhio. 
Meg racconta nei minimi dettagli la sua serata, la cena al ristorante messicano, la passeggiata al parco e, soprattutto, quanto Brian era figo, bello, eccitante, arrapante, sopra la sua moto.
«Va be’, a parte tutte queste belle cose che avete fatto, te l’ha infilata o no la lingua in bocca?» le chiedo senza tanti giri di parole.
«È chiaro, secondo te quale altro motivo avrei per essere così di buon umore stamani? E se sa muoverla anche là sotto nello stesso modo» butta l’occhio al suo inguine «Giuro che me lo sposo» Karen è inorridita «Ma dai, siamo tra donne, pensi che gli uomini non parlino tra di loro allo stesso modo?» le chiede retorica Meg dandole una pacca sulla spalla.
«Probabilmente dicono anche di peggio, ma a me fa lo stesso un certo effetto, non posso farci niente» risponde Karen timidamente.
«Devi darti una svegliata Karen, il principe azzurro non esiste, o almeno non se ne va più a giro sopra un cavallo bianco, ora se c’è guida una Harley» scoppiamo a ridere e poi le chiede «E tu, ti sei divertita a casa di Peter?» 
Karen s’illumina «Un sacco. All’inizio non volevo andare, perché non essendoci voi due sarei stata l’unica donna, ma poi George mi ha detto che sarebbero venute anche le sue due sorelle, così mi ha convinta. Peter ha una casa che più che una villa di Malibù sembra una fattoria con tutti quegli animali. È un vero peccato che proprio ieri stavi male, ti saresti divertita un mondo» mi dice «Oggi come stai?» chiede.
«Meglio, ho ancora un po’ di crampi ma sono niente in confronto a ieri» rispondo massaggiandomi la pancia.
«Voi sapete niente di Russel?» domanda Karen appoggiando la tazza.
«Russel?! Perché? Che ha fatto Russel? Oddio, gli è successo qualcosa?» chiedo a raffica guardandole preoccupata.
«È che ieri sera, poco prima di cena, ha detto che doveva scappare per un contrattempo» dice Karen, e io tiro un sospiro di sollievo «Da quando è arrivato, fino a quando è andato via, non ha fatto che guardare l’ora e controllare il telefono. Secondo me doveva vedersi con una donna, chissà, forse proprio con Helen, perché non aveva l’aria di uno che ha avuto un brutto contrattempo, anzi, sembrava contento di andarsene» 
Meg si volta verso di me e mi guarda perplessa, poi assottiglia lo sguardo. Deve aver collegato ciò che ha detto Karen con la telefonata di ieri. 
Mi gratto la testa e mi porto la tazza alla bocca. Bevo e penso: negare, sempre negare. 
Incrocio lo sguardo di Meg, e quando vedo che sta per dire qualcosa mi alzo di scatto «Scusate, ma devo cambiarmi la pillola e prendere l’assorbente» scuoto la testa e ci riprovo «Cioè, devo prendere la pillola e cambiarmi l’assorbente» corro in bagno e mi chiudo dentro. 
    
**
 
Martedì 19 Giugno 2012    
 
«Passo da Luca a prendere i bozzetti poi vado a casa. A domani» dico a Meg e Karen uscendo dall’ufficio.
 
Prima di uscire ho mandato un messaggio a Russel per sapere se era in casa per farmi prestare le chiavi di Luca. 
Suono il suo campanello, un secondo e sento scattare il portone.
Arrivata davanti alla sua porta la trovo accostata e la apro. Vedendo Russel di schiena davanti al frigorifero, con addosso solo un paio di pantaloncini, mi blocco. 
Ha la schiena umida di sudore, come i capelli che sembrano molto più scuri, una mano stretta sopra il bordo dello sportello aperto del frigo, e beve stringendo nell’altra una bottiglia, in quella posizione sono ben evidenti le spalle larghe e i bicipiti.
I pantaloncini sono leggermente calati sulla vita stretta, mi soffermo un po’ di più sul sedere alto e sodo e, percorse con lo sguardo anche le sue lunghe gambe, spalanco la porta e mi schiarisco la voce per fargli capire che sono arrivata.
Si volta e mi sorride. Il mio basso ventre si contrae non appena vedo il piccolo spicchio di luna sopra la sua guancia.
Come quando l’ho visto in spiaggia a casa di Luca, mi trovo a pensare che ha un corpo sfacciatamente perfetto, ma non credo più che sia indossato da un idiota, ma, purtroppo per me, da un uomo che più frequento e conosco, e più mi attrae.
Mentre si avvicina il mio sguardo è immobile sul petto bagnato dal sudore, e a ogni passo che fa mi ripeto che dovrei alzarlo sul suo viso, invece di concentrarmi sul guizzo dei suoi pettorali.
Quando mi arriva così vicino che potrei allungare una mano e sfiorarlo, abbasso la testa e mi gratto la fronte chiudendo gli occhi. 
Rialzando il capo prendo un profondo respiro, e finalmente riesco a guardarlo negli occhi che, anche se mi sembra impossibile, sono ancora più attraenti di tutto il resto del suo corpo.
«Scusa se ti ho disturbato, ma Luca è partito stamattina per andare a New York e si è scordato di portare in ufficio dei bozzetti che domani devo far vedere a una sua cliente» stretta nella morsa dell’imbarazzo più avvilente, lo fisso con occhi vitrei per non spostarli nemmeno per sbaglio dalle sue splendide iridi turchesi, ma il mio campo visivo è troppo ampio, e riesco lo stesso a vedere la goccia di sudore che gli scivola sul collo venendo in avanti, per un attimo sembra fermarsi nella conchetta della clavicola, ma invece riparte scendendo al centro esatto del suo petto. Non ho bisogno di seguirla con lo sguardo per avere la certezza che è finita dritta dritta nel suo ombelico.
«Stavo solo facendo un po’ di pesi, come vedi sono poco presentabile» tutt’altro, penso mentre si gira verso il tavolino per prendere le chiavi di Luca. 
Riprendo fiato e sbatto gli occhi indolenziti per lo sforzo a cui li ho sottoposti tenendoli sbarrati. 
Espiro abbassando lo sguardo sul suo fondo schiena, e con l’aria emessa mi sento svuotata di tutta la mia forza di volontà, perché, ora che ci ho posato sopra gli occhi, sento forte l’impulso di dargli una tastatina al sedere per verificare se è davvero sodo come sembra. Potrei sempre farlo, e poi giustificarmi, dicendo che la mia mano è posseduta dal demone di una donna che è morta di cancrena secoli fa dopo essere stata condannata all’amputazione dell’arto perché se ne andava a giro per il suo villaggio di mormoni a molestare giovani ragazzi pizzicando loro le chiappe, e che l’anima ancora sofferente della maniaca si manifesta ogni volta che sono di fronte a un sedere che vale davvero la pena di essere strizzato. 
No, non regge, come scusa è troppo debole. Va be’, sarà per la prossima volta. No! Ma che sto pensando, non succederà mai. 
Il tintinnio delle chiavi davanti ai miei occhi mi distrae dai miei pensieri. Strappo il mazzo dalle sue mani «Te le riporto subito!» esco dalla porta e salgo in fretta le scale. Entro in casa di Luca e mi lancio sopra un divano domandandomi che cavolo mi sia preso poco fa.
 
Torno all’appartamento di Russel sperando che nel frattempo si sia vestito. Sono pur sempre una giovane donna con dei sani istinti sessuali, oltretutto in astinenza da un bel po’ di tempo.
Trovo di nuovo la porta accostata, e già questo non è un buon segno. La spingo piano e faccio capolino con aria guardinga «Russel, ti ho riportato le chiavi» attendo qualche secondo aguzzando l’udito ma non risponde.
Prendo un profondo respiro, e stringendo al petto la cartellina con dentro i bozzetti entro. 
Al piano di sotto non c’è «Russel, io devo andare, c’è il taxi che m’aspetta» ma dove cavolo è finito?
Salgo le scale continuando a chiamarlo e appena la mia testa sorpassa il piano del soppalco mi fermo senza fiatare. Sta uscendo dalla porta del bagno mentre si passa un asciugamano tra i capelli, un altro, piccolo, molto piccolo, è legato intorno ai suoi fianchi, si volta di spalle e, dopo aver aperto un cassetto, li getta tutti e due sopra una poltrona. Come se fossi vittima di un incantesimo, o più probabilmente di una maledizione, con gli occhi e la bocca spalancati continuo a guardare il suo corpo nudo, quando capisco che sta per girarsi abbasso la testa appena in tempo per non farmi vedere. 
Scendo lentamente senza fare il minimo rumore. Appena tocco terra, prendo la rincorsa e mi precipito verso la porta, mi lascio scivolare sopra il pavimento con le mie ballerine, che per fortuna hanno la suola in cuoio, andandomi a schiantare contro la porta che avevo lasciato aperta, afferro la maniglia, e uscendo sul pianerottolo la riaccosto. Mi appoggio al muro, e riprendendo fiato mi domando quanto tempo può impiegare un uomo per vestirsi. 
 
Quando ritengo che il tempo trascorso possa superare abbondantemente quello che probabilmente è servito a Kate Middleton per agghindarsi il giorno del suo matrimonio, mi schiarisco la voce, e assumendo un’espressione disinvolta busso alla porta che, appena sfioro, Russel dall’altra parte spalanca facendomi cenno di entrare. 
Per fortuna si è vestito, indossa una t-shirt e un paio di jeans.
«Vieni» ma un’altra parola per chiedermi di entrare non potava trovarla? Prego, entra, accomodati, perché proprio “vieni”? 
Entro e gli passo le chiavi «Grazie, ora però devo andare, di sotto il taxi mi sta aspettando» mentre attraverso la porta per uscire mi ferma avvolgendomi un braccio con la mano.
«Aspetta, dove scappi. Se non hai impegni perché non rimani qui a cena? Il frigo è praticamente vuoto ma possiamo ordinare qualcosa e poi guardare un film se ti va» solo se prima mi fai fare una doccia gelata, penso guardando la sua mano che intorno al mio braccio sembra risvegliare il mio bisogno di un contatto più ravvicinato con lui.
«Okay, però niente roba pronta, preparo qualcosa io» mi sorride soddisfatto.
«Scendo a dire al tassista che può andare. Tu intanto guarda se in cucina c’è qualcosa che può servirti» dice.
Apro la mia borsa per dargli i soldi per il taxi, ma quando rialzo la testa lui è già uscito «Russel, i soldi!» grido mentre in fretta svolta l’angolo andando verso l’ascensore.
 
Il suo frigo è davvero vuoto. Decidiamo di scendere per comprare il necessario per fare della pasta.
Mentre usciamo dal portone per andare al market all’angolo, vediamo Mary che suona insistentemente il campanello di Luca imprecando cose poco carine nei confronti del mio amico. 
Appena ci vede abbassa la mano e, senza nemmeno salutare, chiede a Russel con tono aspro «Sai dov’è Luca?» lo guarda impaziente puntando i pugni sui propri fianchi. 
Russel, visibilmente innervosito, serra la mascella e guarda oltre la sua spalla.
«Non è in casa, è partito questa mattina» le rispondo vedendo che lui non le presta la minima attenzione. 
Lei si volta verso di me con fare altezzoso «E dov’è andato?» chiede guardandomi dall’alto in basso come se fossi un essere disgustoso. 
Non faccio in tempo a risponderle, perché Russel con voce sprezzante lo fa al posto mio «Non credo che siano affari tuoi» la guarda gelido poi mi prende una mano «Andiamo Rebecca» e dandole le spalle mi trascina sul marciapiede. 
Mentre Russel stringe la mia mano, e io affretto il passo per stargli al fianco, mi volto un attimo per guardarla, posso giurare che del fumo le sta uscendo dalle orecchie e dalle narici. 
 
Non posso fare a meno di fissare le labbra di Russel ogni volta che avvolgono la forchetta, arricciandosi poi leggermente verso l’esterno quando la fa scorrere. 
Ho ancora gli ultimi strascichi del ciclo, quindi non può essere l’ovulazione a farmi questi scherzetti da ormoni schizzati alle stelle. Allora non capisco perché i miei occhi scendono in basso verso il suo fondo schiena ogni volta che si gira, e nemmeno perché sento le gambe molli quando sorride mostrandomi il piccolo spicchio di luna. 
Mentre scolavo la pasta si è avvicinato per aiutarmi, sono sicura che il caldo improvviso che ho sentito non era dovuto all’acqua bollente che scendeva nel lavandino, ma dalla vicinanza del suo corpo che sfiorava il mio. 
Per non parlare di quando eravamo dentro al negozio e, per aiutarmi a prendere un barattolo di pomodoro troppo in alto per me, si è appoggiato con il petto alla mia schiena, in quel momento ho pensato di essere veramente posseduta dal demone della maniaca mormona, e che aveva preso il sopravvento non solo della mia mano, ma di tutto il mio corpo che fremeva dal desiderio di aderire completamente al suo.
Ogni volta che incrocio lo sguardo di Russel vedo milioni di ferormoni che gli volteggiano intorno ammiccandomi maliziosi: c’è chi mi strizza l’occhio, chi mi butta un bacio, chi mi mostra il culetto, oddio, ce ne sono anche un paio che fanno il gesto di… no, questo non posso guardarlo.
Se continuo così, finirò per esplodere come un barile di birra stretto tra le fauci di uno squalo.   
Russel davanti a me muove la bocca, credo che stia dicendo qualcosa, ma il mio occhio è caduto di nuovo sui due ferormoni maniaci e non ho sentito cosa mi ha detto. 
«Scusa, che stavi dicendo?» chiedo dopo essermi pulita la bocca con il tovagliolo. 
«Che mi hanno preso per il film. In realtà il provino era solo una pura formalità, ma ieri ho avuto la conferma dal mio agente» 
Spalanco la bocca «Ma è meraviglioso. E quando inizierete a girare?» chiedo entusiasta appoggiando la forchetta al mio piatto ormai vuoto.
«Non lo so ancora. Venerdì andrò a cena con lui per parlare del contratto» cerco di riprendere il controllo del mio corpo e concentrarmi solo sulla conversazione.
«E di che parla?» però è così difficile quando mi sorride come sta facendo adesso. 
«Sei troppo curiosa. Per scaramanzia non parlo mai della trama di un film prima di aver firmato il contratto» dice versandomi dell’acqua nel bicchiere.
«Davvero non mi dirai niente?» chiedo incredula e delusa.
«Posso soddisfare la tua curiosità su tutto quello che vorrai chiedermi, tranne che su questo. Però ti prometto che quando potrò sarai la prima persona a cui racconterò la trama» 
Lo guardo con sfida «Stai dicendo che posso chiederti tutto quello che voglio e che mi risponderai?» annuisce serio «Allora, fammi pensare» guardo in alto tamburellando le dita sul mento «Okay ci sono!» mi guarda divertito «Karen mi ha detto…»
M’interrompe e mi guarda con espressione curiosa «Karen?» chiede.
«Sì, ti sarai accorto che è una tua fan?» ride annuendo «Karen mi ha detto che tutti e quattro i tuoi film sono stati un successo. Ecco, volevo sapere, come scegli qual è il film giusto da fare. Finora hai solo avuto fortuna o hai un vero fiuto per quello che sarà un successo al botteghino?» inarca le sopracciglia e mi guarda rimanendo in silenzio «Ti ricordo che hai detto che avresti risposto a qualsiasi domanda» lo punzecchio sporgendomi verso di lui.
«È che mi aspettavo un altro genere di domanda» afferma sollevando le spalle.
«Ah sì? Tipo?» chiedo sorridendo.
«Tipo se avevo mai fatto scene di nudo, o che so, se mi era mai capitato di dover baciare una collega che aveva l’alito cattivo» ride e spinge in avanti il suo piatto per incrociare le braccia sopra al tavolo.
«Oh, ma a quelle ci arriveremo, non preoccuparti. Ora voglio sapere come scegli i film» appoggio un gomito sul tavolo e poso il mento sopra la mano. 
«Premesso che la fortuna è fondamentale in tutto ciò che facciamo, e che credo di averne avuta più di quella che potevo sperare, non mi sono mai domandato se un film poteva attirare più o meno pubblico. Ho sempre scelto in base a cosa potevano darmi i personaggi che dovevo interpretare, ed è in quello che credo di aver avuto fiuto. Erano tutti molto complessi e ricchi di sfumature caratteriali, ma ognuno profondamente diverso dall’altro. Questo è probabilmente anche il motivo che mi ha permesso di emergere più di altri miei colleghi che, soprattutto all’inizio della carriera, ricevono proposte per recitare quasi sempre lo stesso ruolo, rischiando di rimanere legati a un solo genere di film per parecchio tempo, se non addirittura per tutta la loro carriera» da come parla del suo lavoro si capisce che lo ama molto.
«Sembri avere le idee piuttosto chiare riguardo al tuo lavoro» gli dico senza nascondere la mia ammirazione.
«E infatti è così. Preferisco fare film con cachet più bassi, ma interpretare ruoli stimolanti, piuttosto che riempire le sale facendo qualcosa che non mi piace» dice con ancora più convinzione nella voce e nello sguardo.
«Però i tuoi film le hanno riempite lo stesso» allarga le braccia come a volersi scusare per un incidente di percorso. Mi scappa un sorriso e gli dico «A parte gli scherzi, sono pienamente d’accordo con te. La vita è troppo breve per trascorrerla facendo ciò che non ci piace e, anche se capisco che non tutti possono davvero scegliere, quando se ne ha l’opportunità è da ingrati non approfittarne. E poi credo che questo ti darà la possibilità di avere una carriera più duratura. È vero che Hollywood è piena di attori che, pur avendo ottenuto un sacco di popolarità con pochi film, si bruciano in fretta prima che gli sia data la possibilità di interpretare il personaggio che può far vedere cosa sono in grado di fare» rimane in silenzio e mi guarda avvicinando le sopracciglia.
«Che c’è? Che ho detto?» mi copro la bocca con una mano «Oddio, ho qualcosa tra i denti?» 
Scoppia a ridere «No, non hai niente tra i denti» diventa serio, e io mi sento liquefare dal suo sguardo inquieto. 
Vado in suo soccorso, o forse in mio, facendogli un’altra domanda «Hai mai fatto scene di nudo?» 
Dopo un attimo di smarrimento, comprendendo il mio disagio di poco fa, risponde alla mia domanda «No» meglio, così eviterò di trascorrere inutilmente la nottata a cercare foto di lui sul web.
«Perché prima sei stato così duro con Mary?» abbassa improvvisamente lo sguardo «Quando eravamo al mare mi sembravate in buoni rapporti» 
Mi guarda sospirando «Pensavo che le tue domande sarebbero state inerenti solo al mio lavoro» dice radunando le stoviglie.
«Non l’ho mai detto» affermo calma.
«Mi dispiace, ma a questa non ti risponderò» si alza togliendo i piatti sporchi. Mette in tavola due coppette e due cucchiai, poi apre il frigo e prende il gelato.
 
Mangiamo il gelato in silenzio, fino a che incerta gli chiedo «Posso farti un’ultima domanda?» annuisce e poi s’infila tra le labbra, turgide e rosse per il freddo del gelato, il cucchiaio pieno di cioccolato, dopo averlo sfilato, tira fuori la punta della lingua per pulirsi un angolo della bocca. 
Sono sicura che mi ha vista seguire ogni suo millimetrico movimento perché, inchiodandomi con lo sguardo, riempie di nuovo il suo cucchiaio di cioccolato e, solo per i miei occhi stralunati, ripete alla perfezione ogni gesto, con la differenza che, se prima l’aveva fatto inconsapevolmente, ora ha sicuramente capito l’effetto che ha su di me. 
E io non ricordo più cosa volevo chiedergli. Abbassa lo sguardo sulla coppetta e fa un mezzo sorriso soddisfatto «Cosa volevi chiedermi?» domanda sollevando appena gli occhi e ripulendo con calma estenuante il cucchiaio con la lingua. 
Ma con chi crede di avere a che fare? Lui sarà anche un attore, ma io sono una donna, e con la complicità degli ormoni posso fare una cosa di cui domani potrei anche pentirmi, ma per sua sfortuna in questo momento non m’interessa cosa penserò di me, perché muoio dalla voglia di vendicarmi. 
Facendogli un sorriso innocente, riempio il mio cucchiaio di gelato alla fragola e lo porto alla bocca, lo gusto facendolo uscire e rientrare una, due, tre volte, infine chiudo gli occhi e mi lecco le labbra ruotando la lingua lentamente, e concludo lo spettacolo con un bel sospiro sognante. 
Quando riapro gli occhi, e vedo la sua mascella contratta, lo sguardo fisso sulle mie labbra, e il cucchiaio che gli sta scivolando dalla mano, penso: L’Oscar va a… Rebecca Leoni, per il film… “Mai sfidare una donna in astinenza da mesi”. 
Mentre ritiro il premio e ringrazio familiari e amici, mi torna in mente la domanda che volevo fargli. 
Mi schiarisco la voce cercando di non ridere, e come se niente fosse gli chiedo «Quando nei film girate una scena dove fate finta di fare sesso, voi attori… cioè voglio dire, tutti quegli strusciamenti, non vi provocano un’erezione?» 
Gli va di traverso il gelato e comincia a tossire, diventa tutto rosso mentre si batte il petto con la mano. Mi alzo in fretta e gli vado accanto passandogli un bicchiere d’acqua, beve, poi prende un profondo respiro e si passa una mano tra i capelli «Stai bene?» gli chiedo tenendo una mano sopra la sua schiena. Non mi risponde, si gratta la fronte stringendo gli occhi, allora mi piego sulle ginocchia e lo guardo dal basso verso l’alto. Abbassa lo sguardo sulla mia mano appoggiata sopra la sua coscia, e guardo anch’io. Oh porca paletta, temo d’aver esagerato prima con la scenetta del gelato. 
Mi alzo di scatto e torno a sedermi al mio posto. Prendo il cucchiaio in mano, poi ci ripenso, per stasera ne ho mangiato anche troppo di gelato «Quindi, volevi sapere se…» 
Agito una mano interrompendolo e abbasso la testa «No, è chiaro che stavo scherzando, è ovvio che non può succedere, voglio dire, con il regista e tutta la gente intorno» mentre parlo, distrattamente riprendo il cucchiaio in mano, lo guardo sgranando gli occhi e lo lascio andare come se fosse incandescente. 
«Scegliamo un film» dice ridendo e alzandosi da tavola.
«Sì, forse è meglio» sospiro e lo seguo mentre si avvicina al divano.
Fa scegliere a me cosa vedere. Dopo una rapida occhiata ai suoi dvd, non ho dubbi, ne prendo uno e glielo do per metterlo nel lettore.
 
Russel spenge la tv e si alza «Vuoi qualcosa da bere?» mi chiede. 
Pensando alla pasta che mi è venuta più piccante del solito sento la mia gola arida «Sì, vorrei dell’acqua grazie»
Torna con due bicchieri e me ne passa uno.
«Sei davvero un’appassionata di film western?» 
Bevo un sorso e poi sorrido voltandomi verso di lui «Oh sì, e questo è uno dei miei preferiti in assoluto. Da piccola non me ne perdevo uno, solo che piangevo ogni volta che veniva ferito un cavallo, e dopo che vidi per la prima volta “Sentieri selvaggi” con John Wayne, dormii con la mamma non so per quanti giorni perché avevo paura che gli indiani entrassero in camera mia per rapirmi» dico ridendo.
«Mi stupisci sempre di più, Sirenetta» ricordo che anche sabato mi ha chiamata allo stesso modo.
«È la seconda volta che mi chiami così» gli dico.
«Uhm?» mi guarda aggrottando le sopracciglia.
«Mi hai chiamata Sirenetta» si appoggia allo schienale del divano e stringe il suo bicchiere.
«Sì è vero» ammette pensieroso. 
Mi sporgo un po’ verso di lui «E posso sapere perché? È per il film della Disney?» 
Mi guarda da capo a piedi «No, non è per quello. Quando mi hai chiamato al club per aiutarti, eri seduta come adesso»
Mi guardo, ho le gambe piegate sopra il divano, con le ginocchia unite e i piedi nudi vicino al sedere.
«E quindi?» lo sprono non capendo il nesso.
«Eri così carina sopra quel cuscino gigante mentre aspettavi che qualcuno venisse ad aiutarti, che mi hai fatto venire in mente la Sirenetta di Copenaghen» bevo spostando lo sguardo dal suo che mi sta facendo arrossire «Sai che ne abbiamo una copia anche in California?» chiede.
Sollevo gli occhi meravigliata «Davvero?» annuisce.
«A Solvang, a Santa Barbara» dice mettendo il suo bicchiere sopra al tavolino accanto al divano.
«Certo, la piccola Danimarca della California. Non ci sono mai stata» mi sfila dalle mani il bicchiere vuoto e lo appoggia accanto al suo.
«Allora ci andremo insieme, così vedrai come somigli alla Sirenetta» 
Si volta verso di me e stende un braccio sopra lo schienale del divano. 
Mi guarda insistentemente, prima le labbra, poi gli occhi, e con la schiettezza che lo contraddistingue mi dice «Ho voglia di baciarti» deglutisco spalancando gli occhi e, anche se la piccola Reb nella mia testa mi sta gridando di scappare immediatamente da questa casa indicandomi con il braccio teso la porta, io non mi sposto di un solo millimetro. 
Russel si avvicina lentamente, a un soffio da me si ferma un attimo per guardarmi negli occhi, poi inclina appena la testa e sfiora le mie labbra con le sue. Mi bacia coprendo interamente la mia bocca e io che lo desideravo così tanto, dischiudo immediatamente la mia per lasciare che le nostre lingue si possano incontrare. Assaporandoci lentamente chiudiamo gli occhi. 
Nessun’altra parte dei nostri corpi si sfiora, solo i nostri visi sono protesi uno verso l’altro, come se entrambi sapessimo che un altro minimo contatto sarebbe sufficiente per non riuscire a fermarci al solo bacio. Mi abbandono totalmente alle sue labbra e alla sua lingua che cerca la mia, fino a che, come colpita da una secchiata d’acqua gelata, mi stacco da lui.   
Riapro gli occhi e subito mi alzo per cercare le mie scarpe «Forse è meglio se torno a casa» dico indossando le ballerine. 
Lui dietro di me sospira «Stai scappando ancora» dice con voce rassegnata.
«No… ho solo bisogno di tornare a casa» vado verso la porta e lo sento dietro di me.
«Usciamo subito, prima però voglio sapere perché sei così sconvolta. Da come hai risposto al bacio è chiaro che lo volevi anche tu» 
Abbasso la testa rassegnata «Russel, ti prego, portami solo a casa» gli dico aprendo la porta. 
Non posso dirgli che, non solo lo volevo, ma che se non fosse successo sarei rimasta delusa, che è stato molto più intenso di quello che credevo, e che me ne andrò a letto con la voglia di averne ancora, ma che comunque non succederà mai più, perché io non sono affatto una donna libera come lui crede, ho un uomo che mi ama e che anche se io forse non ricambio, non posso e non voglio, né tradire, né deludere. 
 
Arrivati sotto casa mia, Russel spenge il motore della macchina e rimane in silenzio stringendo il volante. Quando allenta la presa e si volta a guardarmi, l’espressione del suo viso mi fa capire che è palesemente consapevole che sto per dirgli qualcosa che non gli piacerà, e quasi mi fa desistere dal ripetere a voce alta quello che per tutto il tragitto mi sono ripetuta come un mantra. 
Stringo la mia borsa, e facendomi coraggio gli parlo con tono colpevole «È solo colpa mia. Io non dovevo giocare con te stasera, sicuramente ti ho fatto credere qualcosa di sbagli…»
M’interrompe «Se stai parlando del giochetto del gelato lo so che stavi scherzando, sono stato io il primo a cominciare. Ma non lo fai quando sento il tuo corpo fremere se ti sfioro. Quel bacio lo volevi tu almeno quanto lo volevo io. Quindi, ora mi spieghi perché ti stai comportando come se avessi commesso l’errore più grave della tua vita, quando io invece riesco solo a pensare a quando potrò baciarti di nuovo» 
I suoi occhi scendono a guardare le mie labbra, e per un attimo anche i miei cadono sopra le sue. Penso alla loro morbidezza, al sapore della sua bocca, alla lingua che accarezzava la mia, e vorrei solo poter annullare la distanza che ci separa e buttarmi tra le sue braccia. Ma non sarà quello che farò. 
Gli dirò invece di Dario, e che è meglio se non ci vediamo più da soli, e che non è nemmeno più il caso che trascorriamo le serate al telefono, perché io non posso desiderare ancora che mi sfiori, io non posso desiderare più nulla da lui. 
Ma non faccio in tempo a spiegargli un bel niente, perché è lui a parlare per primo «Okay, scendi per favore» dice mettendo in moto. Non me lo faccio ripetere. Scendo e lo guardo mentre a bordo del suo suv si allontana sgommando.
 
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Vi è piaciuta la spiegazione del nomignolo? Io l’adoro.
A presto.
 
V.17
 

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Capitolo 12
*** Cap. 12 - Per niente stanca ***


Vi do una dritta: Non fatevi trovare disarmati se un felino selvatico vi aggredisce.
V.17
   
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CAP. 12 - PER NIENTE STANCA
 
Adesso che ho sangue infetto
nessuno vorrà più leccare le mie ferite,
ed ho trovato tutto l’oro del mondo
nelle mie tasche, non è stupendo?
 
Ho superato anche l’inverno,
ed ho pregato a lungo,
ho superato anche l’inverno,
ed ho cantato.
 
Adesso che ho tanto freddo
potrò contare nel caldo abbraccio
di due coperte…
 
Ho superato anche l’inverno,
ed ho pregato a lungo.
E non sono per niente stanca,
e non sono per niente stanca…
Adesso che sto in questo inferno.
 
Carmen Consoli
 
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Venerdì 22 Giugno 2012
 
«Si può sapere che ti è successo? Sono giorni che sei apatica e scostante. E Karen mi ha detto che stasera non verrai al club. Brian ci rimarrà male se non ci sarai per festeggiare il suo compleanno» sono trascorsi almeno venti minuti da quando Luca si è seduto davanti alla mia scrivania, se ne sta lì, e parla, parla, mentre io nemmeno l’ascolto. 
Non mi va di uscire, non mi va di vedere gli amici, non mi va di far finta di divertirmi.
Voglio solo starmene a casa in santa pace, per coltivare come una pianta ogni giorno più rigogliosa il disgusto che provo per me stessa, perché da quando Russel mi ha cacciato dalla sua macchina non faccio che pensare a lui. 
Mi mancano le nostre chiacchierate al telefono fino a tardi la sera, mi manca scherzare con lui, e soprattutto mi mancano come l’aria le sue labbra. 
E mi faccio schifo per questo. 
Odio il mio corpo che desidera le sue carezze, odio la mia bocca che vorrebbe sfiorare ancora la sua, odio la mia mente che non riesce a pensare ad altro se non ai suoi occhi e al piccolo spicchio di luna.
«Ho già detto a Meg di fare gli auguri a Brian da parte mia. E poi esageri come sempre, nemmeno si accorgerà della mia assenza. Ora scusa, ma avevo promesso ad Alice che l’avrei chiamata» dico aprendo Skype sul computer e guardando l’orologio per fingermi in mostruoso ritardo. 
Lui si allontana ma prima di uscire si volta «Per ora ti lascio in pace, ma non mi scapperai per sempre. E mi raccomando, saluta Alice da parte mia» dice uscendo.
 
Prendo dal frigo un barattolo gigante di gelato e mi accomodo sul divano per cercare qualcosa da guardare in tv. Alla seconda cucchiaiata suona il campanello e sento Meg che mi chiama bussando insistentemente. Innervosita infilzo il cucchiaio nel gelato e mi alzo per aprirle. 
«Che c’è? Non sarai venuta per convincermi a venire al club vero? Ti ho già detto che sono stanca e che voglio starmene a casa» le dico acida senza nemmeno scansarmi per farla entrare. 
«Non perderò tempo a parlare con te» dice squadrandomi severa dall’alto del suo metro e ottanta e afferrando la mia maglia sotto il collo per spingermi dentro. 
La nostra differenza di stazza mi rende impossibile opporle resistenza. 
«Meg lasciami!» sbraito inutilmente mentre mi trascina in bagno. 
«No! Ma che stai facendo» grido quando mi ritrovo dentro il box doccia. Lei senza esitare, e con un sorrisino compiaciuto, apre l’acqua trattenendomi sotto il getto. 
«Ora ti lavi e ti dai una sistemata ai capelli, mentre io scelgo l’abito che indosserai stasera» cerco di uscire da lì dentro, ma lei soddisfatta mi chiude lo sportello in faccia e si appoggia con le spalle al vetro smerigliato per impedirmi di riaprilo.
«Preferisci venire con me a festeggiare i trentadue anni del mio futuro marito, o restartene chiusa là dentro fino a che non ti verranno le piaghe?» sbuffo togliendomi i vestiti fradici.
«Verrò con te, ma giuro che questa me la paghi!» grido versandomi del bagnoschiuma sopra una mano.
 
L’unica cosa positiva della serata, se non ha cambiato i suoi programmi, è che Russel non dovrebbe essere qui perché aveva appuntamento per cena con il suo agente. Volevo chiederne conferma a Meg, ma il cipiglio con cui mi guarda stasera mi ha dissuasa dal farlo. 
Per colpa mia, o meglio, della gentile e dolcissima Meg che all’ultimo momento ha deciso che io non potevo assolutamente mancare, siamo arrivate in ritardo, e sono già tutti radunati in una delle salette vip.
«Smetti di sbuffare ed entra» mi ordina Meg spingendomi attraverso la tenda. 
«Posso sapere perché stasera ti accanisci così tanto su di me?» le chiedo, sbuffando ancora.
«Perché tu mi stai nascondendo qualcosa, e prima della fine della serata ho intenzione di scoprire di cosa si tratta. Anche se forse un’idea me la sono già fatta» senza darmi la possibilità di replicare, sorride a Brian andandogli incontro. 
Guardo tutti i presenti, e vedo che effettivamente Russel non c’è. Prendo un profondo respiro e mi avvicino agli altri, senza preoccuparmi di fingere di essere contenta di trovarmi qui con loro.
 
Brian, dopo aver scartato i regali e spento le trentadue candeline sulla torta, ha preso Meg e l’ha portata in pista a ballare, un poco per volta si sono uniti a loro tutti gli altri.
Stasera è meglio se mi tengo lontana da tutto quello che è alcolico, non vorrei iniziare a straparlare raccontando qualcosa di quello che è successo tra me e Russel. Non mi sembra il caso di mettere gli altri al corrente del fatto che ci siamo baciati, e tantomeno decantare ai quattro venti quanto mi sia piaciuto unire le mie labbra alle sue. 
Prendo il mio bicchiere di aranciata e scendo dallo sgabello per andare di sopra in terrazza e allontanarmi dalla pista, dato che Meg e Karen, dandosi il cambio come durante una gara a staffetta, vengono alternativamente al bancone del bar a chiedermi di andare a ballare con loro, e io ogni volta devo inventarmi una scusa diversa per non staccarmi dal mio piccolo angolo di paradiso di legno e cristallo.
Ci ha provato anche Matthew, ma deve aver capito che non era aria, e molto educatamente mi ha lasciata in pace.
Mentre mi giro vado a sbattere contro qualcuno che mi sta praticamente appiccicato addosso.
«Scusa» mi affretto a dire alzando lo sguardo sul viso della ragazza molto più alta di me. Due occhi verdi e da felino selvatico mi guardano come se mi volessero polverizzare «Scusa ancora» dico fingendo di non ricordarmi di lei e aggirandola.
«Aspetta, non avere tanta fretta» dice Helen con tono fintamente gentile e afferrandomi un braccio. Sento le sue unghie che entrano nella mia carne, scoprendo che anche gli artigli sono come quelli di un felino. 
Mi volto verso di lei e le parlo tranquillamente «Non mi sembra di conoscerti» dico, e lei lascia il mio braccio, non prima di avermi fatto sentire come potrebbe essere letale con le sue unghie finte.
«Pizza e mandolino, non fare la santarellina con me perché non ci casco» forse dovrei informarla che questa non è proprio la serata giusta per farmi incazzare. 
«Okay, diciamo che io so chi sei, e che tu sai chi sono io, peccato che non abbiamo niente da dirci» le dico frettolosa per troncare qualsiasi tentativo da parte sua di fare conversazione. 
Cerco di oltrepassarla ma lei mi si piazza davanti con le mani sopra ai fianchi «Te lo dirò una volta sola, stai lontana da Russel, o maledirai il giorno in cui hai deciso di lasciare l’Italia» se crede di spaventarmi, con quello sguardo ridicolo da mezzogiorno di fuoco, si sbaglia alla grande. 
Le parole di Helen e la sua voce alterata attirano l’attenzione di alcune persone intorno a noi che si girano per guardarci. Da dietro il bancone anche Robert smette di shakerare e mi fissa accigliato, quando vedo che fa per avvicinarsi lo blocco facendogli segno con la mano che è tutto a posto.
«Mi sa che hai capito male, io e lui non…» cerco di dire, ma lei mi pianta un dito sul petto. 
«Non dire stronzate, Mary mi ha detto di voi, e poi vi ho visti con i miei occhi uscire da casa sua sabato notte» dice gridando.
Sposto lo sguardo, e dietro di lei vedo Mary che mi sorride alzando un sopracciglio «Mary, ma che le hai detto?» le chiedo ignorando Helen che continua a premere il suo artiglio contro il mio sterno.
«Mi ha detto che sei solo una puttana che cerca di rubarmi Russel» dopo questa frase, non c’è un sola persona in prossimità del bancone del bar che non si gira verso di noi. 
Valuto l’opzione di gettarle in faccia l’aranciata all’interno del bicchiere che stringo in mano ma, non so come, resisto alla tentazione. 
Guardo Helen, trasformandomi nella tranquillità fatta persona, tanto che il Dalai Lama sarebbe fiero di me, e con voce calma e pacata le dico «Forse l’ossigeno che usi per schiarirti i capelli ti ha bruciato tutti i neuroni e non te lo ricordi più, ma stasera mi sento così gentile che ho deciso di darti un aiutino, così ti dirò una cosa che è davvero fondamentale perché tu possa capire meglio la situazione in cui ti trovi, e cioè, che tu e Russel non state più insieme da mesi» non posso godermi l’effetto della mia frase, perché lei alza le mani e mi dà una spinta mandandomi addosso a uno sgabello. Cerco di mantenere l’equilibrio ma cado, facendo appena in tempo a mettere una mano dietro la schiena per attutire lo schianto del mio sedere sul pavimento. 
È possibile che quando questa è nelle vicinanze finisco sempre con il culo per terra? Scalcio con un piede lo sgabello che mi è caduto di fianco e alzo lo sguardo su di lei.
E ora non mi sento più tanto zen «Che vorresti fare? Menarmi perché non sei stata capace di tenerti Russel? Credi che rifartela con me ti aiuterà a riaverlo?» le dico urlando. Lei si piega su di me con aria minacciosa, ma quando arriva a pochi centimetri dal mio viso, guarda in terra dietro di me e si rialza di scatto portandosi le mani sulla bocca. 
Mary si mette al suo fianco e, dilatando gli occhi così tanto che sembrano pronti per schizzare fuori da un momento all’altro, dice spaventata «Helen, che cazzo hai fatto?» appunto, se lo chiede anche la piccola Reb nella mia testa: “Helen, che cazzo hai fatto?”. E anche: “Brutte stronze, che cazzo volete da lei?”
La mano comincia a bruciarmi parecchio, l’ho sbattuta davvero forte, la sollevo per guardare cosa mi sono fatta, ma Robert che arriva di corsa da dietro il bancone si strappa di dosso il piccolo grembiule che tiene in vita e mi blocca il polso «Ferma!» lo guardo non capendo la preoccupazione che attraversa il suo viso. 
Mi sento stringere una spalla e mi giro «Tesoro stai ferma, ti aiutiamo noi» dice Meg dopo essersi inginocchiata al mio fianco.
«Sto bene, mi fa solo male la mano» dico sollevandola da terra. Giro la testa dietro la mia spalla, e Robert avvolge in fretta il suo grembiule attorno alla mia mano.
«Reb! Che ti è successo?» grida Luca arrivando di corsa con Brian. Io sono sempre più confusa, non capisco perché si agitano tanto, in fondo sono solo caduta a terra, al massimo mi sarò slogata il polso e contusa il palmo.
«Ora andiamo di là e vediamo cosa ti sei fatta» dice Brian chinandosi al fianco di Meg. 
«Okay, ma non credo di essermi fatta niente di grave, mi brucia solo un po’ il palmo» aiutandomi Brian prende la mia mano e la porta davanti a me, e allora capisco la loro agitazione. Il grembiule di Robert non è più bianco, ma è completamente macchiato di rosso. Guardo dietro la mia schiena e a terra, immersi in una pozza di sangue, vedo i vetri rotti del bicchiere che tenevo nella mano sinistra. 
Poi sollevo gli occhi e cercando Luca con lo sguardo faccio appena in tempo a dirgli «Mi sa che sto per svenire» 
 
«Cazzooo!» mi sveglio gridando e cerco di tirare verso di me la mano da cui è partita una fitta di dolore che mi sta perforando la nuca, ma qualcosa m’impedisce di spostarla. 
Apro gli occhi, sono distesa sopra al divano dell’ufficio di Luca. Tendendo il collo, piego il capo appoggiato sul bracciolo per guardare dietro di me, Meg è chinata sul mio viso e mi tampona la fronte con un panno bagnato «Stai tranquilla, faranno in fretta» cerca di tranquillizzarmi mostrando un sorriso tirato. 
Non mi curo delle sue parole e continuo a guardarmi intorno. Luca è seduto accanto a me sopra una sedia e mi dà le spalle. Non posso vedere la mia mano da cui è partita la fitta lancinante, perché è nascosta dal corpo di Luca che tiene bloccato il mio gomito sinistro tra la sua vita e il suo braccio. Di fronte a lui, Brian è a testa bassa e sembra concentrato a fare non so bene cosa. 
Sento un’altra fitta di dolore e tiro di nuovo il braccio «Mi fa male» piagnucolo dando un altro strattone. 
Luca si volta verso di me «Reb stai ferma, abbiamo quasi finito» lo sguardo che mi lancia è carico di dolcezza e comprensione, in contrasto con tutto il resto del suo viso contratto.
Vicino a loro c’è un tavolino basso e quadrato con sopra una borsa di pelle aperta, una di quelle da medico, non riesco a vedere altro perché la schiena di Luca m’impedisce di vedere il resto della superficie. 
Abbasso lo sguardo e in terra ai piedi di Luca riconosco il grembiule di Robert, è completamente zuppo di sangue, lo fisso un attimo, e improvvisamente mi ricordo cos’è successo «Fammi vedere!» grido tirandomi su con il busto mentre Meg mi trattiene.
«Reb, tesoro, non muoverti» dice mentre continua a tenermi.
«Lasciami!» insisto divincolandomi, lei aumenta la forza e tirandomi indietro per le spalle riesce a rimettermi distesa, mentre la stretta sul mio polso aumenta «Lasciami Meg. Voglio vedere la mia mano» la prego guardandola dal basso. Lei nega con il capo. Fingo di rilassarmi, e quando sento che allenta la presa sulle mie spalle scatto di nuovo in avanti sollevandomi. Vedo Brian che lancia uno sguardo d’intesa a Luca, e la pressione sul mio polso aumenta fino a farmi male, un attimo dopo rilascio un urlo di dolore accasciandomi sul divano. 
Quando riprendo i sensi vedo il volto di Meg «Ho tolto l’ultimo» sento dire da Brian.
«Sei stata bravissima » dice Meg asciugando le lacrime che scendono ai lati del mio viso.
«Cosa… cosa ha… tolto?» chiedo con voce tremula sollevando gli occhi per guardarla.
«Ora non pensarci» dice Luca voltandosi e facendomi un altro sorriso forzato. 
La mano mi brucia da impazzire mentre Brian delicatamente ci passa sopra qualcosa di morbido.
«Per questi non servono, ma questo qui avrebbe bisogno almeno di tre punti, ma io non ho con me l’occorrente» dice Brian con tono grave.
«Vado a prendere la macchina e la portiamo subito in ospedale» dice Luca lasciando il mio polso, poi si alza. 
Il divano è troppo basso, e non riesco a vedere il palmo della mia mano appoggiata sopra le gambe di Brian, vedo però la parte del tavolino che finora era nascosta dalla schiena di Luca, sopra vi sono appoggiate un mucchietto di garze, pinze d’acciaio e frammenti di vetro, tutto quanto è sporco di sangue. Il mio stomaco si contrae e volto la testa dall’altra parte per non guardare.
«Mi viene da vomitare» dico cercando di sollevare il busto.
«Aiutatela a mettersi seduta» dice Brian. Luca e Meg mi aiutano, e subito sento il mio stomaco calmarsi.
Sopra la mia mano c’è una garza pulita, Brian ne tira fuori un’altra dalla confezione e la bagna con un liquido che non distinguo, poi la passa piano sopra il mio palmo, misurando ogni movimento per impedirmi di vedere le ferite che bruciano a ogni passaggio di quello che immagino essere disinfettante. 
Guardo implorante Brian «Fammi vedere per favore» lui copre la mia mano con la garza e guarda Luca.
«Prima andiamo in ospedale» dice Luca sedendosi accanto a me sul divano.
«No! Niente ospedale, non voglio!» mi dimeno mentre Brian stringe il mio polso. 
Luca mi tiene ferma per le spalle «Reb, hai un taglio che ha bisogno di pun…» cerco di spingerlo a terra ma con una mano sola posso fare ben poco.
«Non voglio andare in ospedale, e non mi farò ricucire da nessuno. Brian è un medico, che bisogno c’è, può mettermi uno di quei cerotti che si mettono al posto dei punti» 
Luca prende un respiro profondissimo, lo conosco, so che si sta impegnando al massimo per mantenere la calma «Hai bisogno dei punti Rebecca» cerca di convincermi Brian con tono pacato e paziente.
«No!» grido perdendo totalmente il controllo e agitandomi come un’anguilla. Da dietro sento che anche Meg cerca di tenermi ferma per le spalle. Mi blocco e scoppio a piangere. 
Luca prende il mio viso tra le mani e mi parla dolcemente «Reb ascoltami, ti metteranno tre punti e tornerai subito a casa» 
Io non l’ascolto e singhiozzando mi rivolgo a Brian «Ti prego, non voglio andare in ospedale» 
Lui guarda un attimo la mia mano coperta dalla garza e sospira «Okay, ti metterò i cerotti, ma non dovrai muovere la mano fino alla completa guarigione, e se la benda si sporca di sangue andrai subito a farti mettere i punti» smetto subito di singhiozzare e annuisco a raffica. 
Mi stendo sul divano mentre Brian tira fuori dalla borsa i cerotti e toglie la garza da sopra la mia mano. Bussano alla porta e Meg va ad aprire a Karen che mentre entra mi sorride avvicinandosi, poi guarda la mia mano, e il suo viso, solitamente colorato di un bel rosa che tende al corallo sulle guance, diventa bianco in un attimo «Oddio!» esclama e Meg le dà una botta a un braccio rimproverandola con lo sguardo «Scusa Reb. Ti fa molto male?» chiede sedendosi al mio fianco.
«No, non molto» mento.
«Ma perché Helen se l’è presa con te in quel modo?» Meg e Luca mi guardano, lei come se fremesse dalla voglia di rispondere al posto mio, lui come se gli fosse venuto in mente che deve fare qualcosa d’urgente.
Brian mette i cerotti e mi fascia la mano, facendo sempre molta attenzione a non mostrarmi mai il palmo. Le ferite devono essere davvero orribili se si ostinano in questo modo a non farmele vedere. Quando ha finito mi rigiro davanti alla faccia la mano fasciata, stando molto attenta a non piegare le dita, la tengo talmente immobile che se non fosse per il dolore direi che mi è stata sostituita con un arto di legno.
«Ora vorrei tornare a casa» mi lagno senza parlare a nessuno in particolare.
«Va bene, ti accompagno subito. La denuncia andremo a farla domani» dice Luca aiutandomi mentre mi alzo dal divano.
«Non penserai che sporgerò denuncia nei confronti di Helen? È stato solo un incidente» gli spiego.
Sta per rispondermi ma Meg lo precede «Stai scherzando vero? Io ho visto che ti ha spinta, e come me tutti gli altri che erano presenti. Quella è stata un’aggressione in piena regola e Robert mi ha detto che ti ha anche insultata. Non vorrai fargliela passare liscia a quella stronza?!» è così arrabbiata che intimorita indietreggio di un passo. 
Comincio a stufarmi che tutti mi dicano cosa devo fare «Io ora vado a casa, mi faccio una bella dormita, e non voglio più sentir parlare di questa storia da nessuno di voi» l’unico che non è per niente meravigliato dal mio tono imperativo è Luca, che sicuramente si aspettava che prima o poi sbottassi in questo modo, e anche se sa che potrebbe essere il solo a farmi ragionare, come tutti gli altri non ribatte. 
Mi avvicino alla porta, ma prima di uscire chiedo a Luca «Sai dove sono Helen e Mary?» non voglio incontrarle, sicuramente questa volta non me ne starei ferma a prenderle, ma non voglio nemmeno farmi male alla mano rischiando di dover mettere i punti per colpa di un mio gesto impulsivo.
«No, ma se sono ancora qui le faccio sbattere fuori» annuisco ed esco seguita da lui.
 
Matt ha insistito per accompagnarmi a casa, e Luca ne ha approfittato per rimanere al club per sbrigare non so bene quale faccenda.
Cambiarmi per indossare qualcosa per la notte, usando una sola mano e tenendo quella ferita completamente immobile, è stata una vera impresa, però non riesco a legarmi i capelli, lancio stizzita l’elastico sopra il mobile del bagno e apro l’armadietto dove tengo i medicinali. 
Afferro la boccetta del sonnifero, e con una certa difficoltà la apro e tiro fuori una pastiglia, la metto in bocca e riempio un bicchiere d’acqua, mentre lo porto alla bocca, ricordo i due mesi durante i quali questo era l’ultima gesto che compivo prima di mettermi a letto ad aspettare che tutto in me si spengesse lentamente: lo sdegno verso me stessa, l’impotenza nello sguardo di Dario mentre paziente attendeva che tornassi quella di prima, l’incredulità di parenti e amici, che non capivano perché non ero felice come ci si aspetterebbe da una persona che esce completamente indenne da un incidente potenzialmente mortale.
Con la lingua premo la pillola sul palato, e decido che stasera non voglio spengermi. 
Forse non sono abbastanza stanca di soffrire. 
Sputo la pasticca e la guardo mentre l’acqua la trascina con sé nello scarico. 
Il lavandino stanotte si farà un bel pisolino. 
«Matt, non è necessario che ti trattieni ancora. Con il sonnifero che ho preso non ci metterò molto ad addormentarmi» gli dico affacciandomi in soggiorno.
«Vai a letto, quando ti sarai addormentata andrò via» 
Faccio un finto sbadiglio e lo saluto con la mano sana «Notte Matt, e grazie» 
M’infilo sotto il lenzuolo e alzo la mano fasciata. Con la stanza al buio, tranne che per la striscia di luce che arriva dalla porta accostata, vedo solo la benda candida, che mi riporta indietro ad altre notti, e ad altre ferite, meno profonde, ma infinitamente più dolorose.
 
Mi rigiro nel letto da non so quanto tempo, quando sento delle voci concitate arrivare da dietro la porta della mia camera «Voglio solo vedere come sta, poi la lascerò dormire» riconosco quella di Russel.
«Ha preso un sonnifero, non si sveglierà. Dammi retta e torna domani» e quella di Matt.
La porta si spalanca, e trattengo il respiro rimanendo immobile mentre Russel si avvicina al mio letto. Quando è a un metro da me chiudo gli occhi facendo finta di dormire.
Sento lo scatto dell’interruttore della lampada sopra il mio comodino, e attraverso le palpebre chiuse vedo il balenio della luce che si accende.
Il materasso si abbassa e percepisco il suo corpo che si accosta al mio. Sfiora la mia mano appoggiata sopra al cuscino «Mi dispiace Sirenetta» dice con un filo di voce. Sentendo quel nomignolo non riesco a trattenere un leggero sorriso. Lui probabilmente se ne accorge, e passandomi un dito sopra le labbra sussurra «Spero che stai facendo un bel sogno» i suoi capelli mi solleticano il collo quando si avvicina per baciarmi la spalla. Sento il suo fiato caldo attraverso la maglia, quando con le labbra ancora appoggiate bisbiglia «Mi sei mancata Sirenetta, non sai quanto» 
Continuo a fingere di essere profondamente addormentata mentre liscia le mie palpebre, mi sposta i capelli dalla fronte, e mi accarezza lentamente fino alla nuca, ancora, e ancora, sempre più lento, sempre più delicato. A ogni passaggio della sua mano la mia testa diventa più leggera e, come se fossero farfalle che trovano la gabbia aperta, in un solo istante tutti i pensieri abbandonano la mia mente. Tutto il mio corpo si rilassa, mentre il mio respiro si fa più lento e profondo. 
E non fingo più di dormire.
 
**
 
Sabato 23 Giugno 2012
 
Con gli occhi ancora chiusi stringo il cuscino steso al mio fianco e mugolando soddisfatta ci struscio sopra la guancia. Erano mesi che non dormivo così bene e profondamente. 
Però c’è qualcosa di strano, il mio cuscino non è così duro, e non può essere nemmeno così lungo da permettermi di avvolgerlo anche con una gamba. Sotto l’orecchio poi sento come un… un cuore che batte? Apro gli occhi. 
Ieri sera non ho chiuso le tende, e con la debole luce dell’alba che entra dalla finestra vedo che non è il mio cuscino quello che sto abbracciando, ma il corpo di un uomo, sento il suo braccio dietro la schiena e vedo la sua mano che sporge dalla mia spalla. 
Ricordo che ieri sera mi ha accompagnata a casa Matt, spaventata sollevo la testa per guardare il suo viso. Tiro un sospiro di sollievo e sorridendo riaccosto la guancia al petto di Russel che dorme con le spalle appoggiate alla spalliera del letto. 
Russel?! Quindi non l’ho sognato di addormentarmi con le sue carezze. Lui è davvero venuto qui ed è rimasto con me tutta la notte. 
A questo penserò dopo, perché un’altra preoccupazione più urgente mi passa per la testa. Sollevo la mano e la giro per guardare il palmo, per fortuna la benda non è sporca di sangue, rilassandomi la riappoggio sopra la camicia sgualcita e mezza sbottonata di Russel. 
Ho una gamba avvinghiata alle sue, il bianco della mia pelle spicca sopra il tessuto grigio scuro dei suoi pantaloni, la sollevo lentamente e la stendo al suo fianco. 
In fondo al letto vedo i suoi piedi nudi, e una giacca e una cravatta.
Alzo il viso per guardarlo mentre ancora dorme, un’occasione come questa non posso proprio sprecarla. Ha i capelli spettinati e un velo di barba gli copre le guance. Non sembra dormire serenamente, ha due rughette tra le sopracciglia contratte, la mascella serrata e le labbra strette che formano una linea sottile. 
Stringe un po’ più forte la mia spalla, e un attimo dopo spalanca gli occhi, beccandomi in pieno mentre, pensando al nostro bacio, fisso le sue labbra con sguardo sognante.
«Ehi, sei sveglia» la sua voce è appena un sussurro, e il tono è tremendamente stanco. Il suo sguardo saetta alla mia mano fasciata, e la sua che stringe la mia spalla sale infilandosi tra i miei capelli per spingermi il viso contro il suo petto. 
Dopo avermi lasciato un bacio sopra la testa ci appoggia una guancia e sospira «Sono solo le cinque e mezza, dormi ancora un po’» dice muovendo lentamente le dita tra i miei capelli.
«Che ci fai qui?» chiedo parlando con la bocca premuta contro la sua camicia. Pochi centimetri più in là, e ora starei respirando sopra la sua pelle. 
Per fortuna non tarda a rispondere, riuscendo così a distrarmi immediatamente dai pensieri sconci che sto facendo di prima mattina «Ieri sera quando sono tornato a casa ho trovato Luca che mi stava aspettando per dirmi cosa ti era successo. Era talmente incazzato che ho quasi pensato che non avrei rivisto l’alba» sicuramente avrà sfogato su di lui tutta la rabbia che invece ha trattenuto con me. Dovrò fare un discorsetto con Luca, in fondo quello che è successo non è colpa di Russel. 
Sbadiglio e poi gli chiedo «Matthew è andato via?» la mano che accarezza la mia nuca si ferma, stacca la guancia dalla mia testa e si appoggia al cuscino dietro le sue spalle.
«Sì, gli ho detto che era inutile che rimaneva dato che c’ero io» 
Muovo la testa contro la sua mano per bearmi ancora del suo tocco, lui sembra capire e ricomincia a muoverla, mentre con l’altra sfiora il mio avambraccio «Ti fa male?» mento negando con il capo, poi chiudo gli occhi e mi rilasso contro il suo torace.
«Ne parliamo dopo Sirenetta»
Mi addormento un’altra volta cullata dalle sue carezze, che offuscano totalmente la mia mente riuscendo ad attenuare anche il dolore alla mano. 
 
Mi sveglio e attraverso le tende che deve aver chiuso Russel vedo che il sole è già alto. Nel sollevarmi dal materasso per un attimo mi scordo della mano ferita e l’appoggio, mi scappa un grido di dolore e subito la porta si spalanca.
«Che hai? Ti fa male?» chiede Russel in ansia inginocchiandosi accanto al letto. Non gli rispondo e controllo la benda per assicurarmi che non ci sia del sangue. Sembra tutto a posto, a parte il dolore acuto che mi fa ribollire il cervello.
«L’ho solo appoggiata per sbaglio» prendendomi il polso la controlla anche lui, poi la adagia sopra il mio grembo. 
Si siede sul bordo del letto e abbassa la testa. 
Non mi piace vederlo abbattuto, allora cerco di sdrammatizzare «Guarda che sono solo dei graffietti insignificanti, non sono serviti nemmeno i punti» dico sventolando la mano fasciata davanti al suo viso che un attimo dopo solleva. La smorfia di dolore che riesco a trattenere appare sulle sue labbra.
«Solo perché non hai voluto tu. E stai ferma!» dice bloccandomi con una presa ferrea il braccio che continuavo ad agitare.
«Se Brian mi ha messo i cerotti vuol dire che i punti non servivano veramente» insisto con tono un tantino acido.
«Sì certo. Mi ha detto Luca che non sarebbe bastata un’intera squadra di rugby per trascinarti in ospedale» faccio spallucce.
«Ma perché ieri sera Luca è venuto da te?» ora capisco perché ha chiesto a Matt se poteva riaccompagnarmi a casa lui, voleva andare da Russel.
«Prima fai colazione e prendi qualcosa per il dolore, tanto è inutile che fingi, lo so che ti fa male, poi te lo dico» guardo la sveglia sopra il mio comodino, sono quasi le dieci. 
È incredibile che sia riuscita a dormire così tanto. Lui si alza e io, facendo molta attenzione alla mano, scivolo sul lenzuolo e lo seguo in soggiorno. 
 
«E ora mi dici perché ieri sera Luca è venuto da te?» siamo ancora seduti a tavola. Lui ha bevuto solo un caffè, che ha fatto con la mia moka seguendo le mie istruzioni perché non sapeva nemmeno come si apriva, io invece mi sono svegliata con una fame da lupo, ho divorato mezza scatola di biscotti con il mio caffelatte, poi ho preso un antidolorifico. 
«Diciamo che voleva consigliarmi di tenere Helen lontano da te» immagino come glielo avrà “consigliato”. Quando Luca perde le staffe sembra l’incredibile Hulk, ma con la pelle abbronzata invece che verde.
«Mi dispiace se se l’è presa con te, in fondo tu e Helen non state più insieme e tu non sei responsabile di quello che fa lei. Però continuo a non capire perché era così arrabbiata con me, e nemmeno cosa c’entra in tutto questo la fiammiferona» dico giocherellando distrattamente con le briciole sopra la tovaglietta.
«Chi?» mi chiede.
Alzo la testa sgranando gli occhi «Mary, volevo dire Mary» accenna un sorriso, poi tornando serio si passa un mano tra i capelli arruffati. 
Sembra stanchissimo, mentre con le spalle curvate in avanti e lo sguardo afflitto rigira tra le mani la tazza vuota «Invece è colpa mia. Dovevo stare più attento a quelle due» a stento riesco a trattenere la stizza che mi assale nel sentirlo parlare come se fosse stato lui a ferirmi.
«Non so cosa ti abbia detto Luca per indurti a colpevolizzarti così, ma ti ripeto che tu non c’entri niente. È stata Mary a raccontare a Helen chissà quale stronzata su di noi, e lei come una cretina le ha cred…» mi blocco quando si alza di scatto facendo cadere a terra la sedia. 
Guardo la sua schiena mentre, con le mani mollemente appoggiate sui fianchi, solleva la testa verso l’alto prendendo dei profondi respiri come se stesse combattendo con se stesso per non scoppiare dalla rabbia. 
Con molta calma mi alzo, rimetto a posto la sedia e gli vado di fronte. Ha gli occhi chiusi, e il suo petto si alza e abbassa in fretta, ci appoggio la fronte e rimango immobile ad aspettare che il suo respiro rallenti il ritmo tornando regolare.
Prende un ultimo profondo respiro e mi stringe tra le braccia appoggiando il mento sopra la mia testa «Mary non ha raccontato a Helen nessuna stronzata, le è bastato dirle la verità per mettertela contro. Non sono mai state grandi amiche, ma la conosce abbastanza da sapere quanto sia gelosa e possessiva nei miei confronti» 
Metto la mano destra sopra il suo petto «Non hai capito. Lei ha fatto credere a Helen che io voglio portarti via a lei!» esclamo tirando indietro la testa per guardarlo in viso.
«Allora hai ragione, le ha detto una stronzata, perché io non le appartengo più» dice parlando con la bocca attaccata ai miei capelli e spingendomi il viso contro il suo petto.
«È quello che le ho detto anch’i…» non termino la frase comprendendo solo adesso le sue parole «Russel, il punto non è questo» dico staccandomi da lui. Vado di fronte al divano e mi siedo lasciandomi andare a peso morto «Helen è convinta che io sto cercando di sedurti» dico guardandolo in imbarazzo. 
Mi raggiunge e si piega sulle ginocchia appoggiando le mani ai lati delle mie gambe «E anche questa è una stronzata» dice con gli occhi nei miei. 
Tiro un sospiro di sollievo, finalmente sono riuscita a spigarmi «È quello che stavo cercando di dir…» mette un dito sulle mie labbra per zittirmi.
«Perché tu mi hai già sedotto» spalanco gli occhi e la bocca senza riuscire a proninciare nessun suono. Sorride e il mio sguardo si sposta sopra al piccolo spicchio di luna «Senza però fare assolutamente niente perché accadesse» dice alzando una mano per sfiorarmi il viso, ma con un gesto rapido del braccio la allontano e mi alzo. 
Mentre cerco le parole adatte per dirgli di Dario, mi muovo per il soggiorno come un leone in gabbia evitando attentamente il suo sguardo. 
Quando penso di aver ripreso l’uso della parola mi volto verso il divano. 
È seduto con le gambe divaricate e le mani abbandonate sopra, e guarda il pavimento con gli occhi assenti e la fronte corrucciata. 
Mi ero quasi convinta che, anche se aveva parlato usando un tono serio, in realtà si stesse prendendo gioco di me, ma ora, guardandolo affondato tra i cuscini, immobile come se qualcuno dovesse ritrarlo per immortalare la perfetta immagine di un uomo sconfitto, mi assale il panico comprendendo che pensa veramente ogni parola che ha detto. Senza muovere un solo muscolo solleva lo sguardo su di me, ha gli occhi stremati, dalla nottata, dal senso di colpa per quello che mi è successo, e ora anche per la mia reazione. 
Mi premo una mano sul petto per tappare la bocca al mio cuore, e lascio che sia la mia testa a esprimersi al posto suo «Noi dobbiamo parlare del bacio che ci siamo dati» il mio tono fermo e distaccato non lascia alcun dubbio su quali saranno le prossime parole che dirò. Appoggia la testa al divano e chiude gli occhi. Se non mi guarda sarà più facile, allora non aspetto un secondo di più «Russel, noi due non possiamo continuare a vederci, perché in Italia ho un uomo che mi aspetta» sotto le palpebre chiuse i suoi occhi sussultano, e trattiene il respiro mentre io continuo «Una… una specie… di fidanzato. Quello che sta succedendo tra noi non è giusto nei confronti di Dario… e nemmeno nei tuoi» le sue mani stringono il bordo del divano con così tanta forza che mi aspetto di veder schizzar fuori l’imbottitura da un momento all’altro. 
Vorrei scusarmi per non averglielo detto prima, invece rimango in silenzio e con i piedi piantati a terra. 
Continuo a non muovermi anche quando il campanello di casa suona, una, due, tre volte, finché bussano «Reb, apri questa porta o giuro che la butto giù!» grida Luca. 
Russel si alza e corre ad aprire. Tira la maniglia con così tanta forza da far sbattere la porta contro il muro. Uscendo in fretta urta la spalla di Luca che, dopo aver incassato il colpo, fa appena in tempo ad alzare una mano per fermare la porta che dopo aver rimbalzato sulla parete torna indietro contro di lui «Che cazzo gli è preso?» mi chiede voltandosi a guardare Russel. 
 
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Capitolo 13
*** Cap. 13 - Fidarmi delle tue carezze ***


CAP. 13 - FIDARMI DELLE TUE CAREZZE
 
Sai come prendermi in giro,
le tue favole spaventano
ed ora ho bisogno di avere paura,
di rincorrerti e non afferrarti.
Conoscere tutto di te
a cosa serve?
 
Sai come prendermi in giro,
le tue favole divertono
ed ora ho bisogno di ridere tanto,
di nascondermi e non cercarti.
Conoscere tutto di te
a cosa serve?
 
Ed ora più che mai vorrei sentire
il calore delle tue mani,
trovare il coraggio
di fidarmi delle tue carezze.
 
Carmen Consoli
 
**
 
Scioccata per la fuga inaspettata di Russel, guardo Luca con espressione imbambolata senza nemmeno riuscire a salutarlo.
«L’hai sbattuto fuori?» chiede entrando e richiudendo la porta.
«Dopo che Robert mi ha detto cosa ti aveva urlato contro quella pazza di Helen, sono andato da lei e Mary per cacciarle dal club e dire loro di non presentarsi mai più. Hanno cominciato a sbraitare dicendo che tu e lui ve la intendete, che Mary al mare l’ha visto la mattina che usciva da camera tua, e che qualche giorno fa siete usciti insieme da casa di lui mano nella mano» sorride divertito dalle sue stesse parole.
«Quella stronza di Helen ha addirittura detto che quando sabato sei rimasta a casa perché stavi male, in realtà eri da lui, e che a notte fonda ti ha riaccompagnata a casa» dice buttandosi sul divano.
«Dovevi vederle, credo sia stata la loro migliore interpretazione di sempre. Ero così accecato dalla rabbia e loro così brave a mentire, che ho pensato davvero che tra voi due ci fosse qualcosa, allora sono andato da lui e l’ho aggredito dicendogli che se ti eri ferita era solo colpa sua perché la sue ex è una pazza, e che sia lui che lei dovevano lasciarti in pace. Quando mi sono calmato e l’ho lasciato parlare, mi ha confidato che Mary qualche giorno fa si è presentata a casa sua con una scusa, e che lui l’ha cacciata in malo modo quando senza tanti giri di parole gli ha detto che voleva scopare con lui. Lui pensa che Mary abbia raccontato a Helen tutta una serie di fandonie su voi due per vendicarsi e scatenare la sua insana gelosia, pensando che se la sarebbe presa con lui, e fregandosene se ci andavi di mezzo anche tu» sospira, mentre io sono ancora in piedi nello stesso punto dov’ero quando ho visto Russel uscire.
«Capisco che lo ritieni responsabile per esserti trovata in mezzo tra una pazza accecata dalla gelosa e una stronza ninfomane, ma non dovresti avercela con lui in questo modo. Dovevi vederlo come si è preoccupato per te quando gli ho detto cos’era successo. È uscito di casa così in fretta per venire da te, che non ho fatto nemmeno in tempo a dirgli il tuo indirizzo» tanto già lo sapeva. 
Ho avuto più informazioni da Luca senza nemmeno aprire bocca, che se l’avessi tartassato di domande. 
Batte una mano sul divano e io mi riprendo dal mio stato catatonico andando a sedermi accanto a lui.
«Come sta la tua la mano?» mi chiede guardandola.
«Non mi fa tanto male, e poi ho preso un antidolorifico subito dopo aver fatto colazione» i suoi occhi si spostano verso il tavolo dove sopra ci sono ancora le due tazze.
«Russel è rimasto con te tutta la notte?» alla domanda m’irrigidisco, ma arriva in mio aiuto lo squillo del suo telefono.
«Ciao Meg» dice portandolo all’orecchio dopo aver guardato lo schermo «Sono da lei» si alza e si guarda intorno in cerca di qualcosa «Come vuoi che stia, come una che ha frantumato un bicchiere a mani nude» dice guardandomi di sbieco. Poi va al tavolino dell’ingresso e prende il mio iphone «Ha la suoneria a zero» dice a Meg andando verso il cordless di casa «E quello di casa è spento» dice prendendolo e premendo un tasto, il display s’illumina e sento il suono di quando si accende «Okay, ci vediamo tra poco» riattacca e mi passa il mio iphone «Era incazzata nera. Dice che è tutta la mattina che cerca di chiamarti» prendo dalle sue mani il mio iphone e vedo che ci sono una marea di messaggi e chiamate non risposte, non solo di Meg, ma anche di tutti gli altri amici che ieri sera erano al club. 
Deve essere stato Russel a mettere fuori uso i miei telefoni per lasciarmi dormire «Lei e Karen stanno venendo qui, hanno preparato qualcosa per il pranzo» 
Lancio il telefono sopra il divano e mi alzo «Ho bisogno di farmi una doccia. Puoi mettermi qualcosa sopra la mano per non bagnarla? E dovresti anche legarmi i capelli» dopo chiederò a Karen o Meg se possono aiutarmi a lavarli.
 
Entro in camere con una busta per surgelati avvolta intorno alla mano sinistra, e i capelli appuntanti in una cipolla che sarebbe più ordinata se me li avesse legati uno scimpanzé giocoliere cieco mentre fa roteare in aria le palline. 
La giacca e la cravatta di Russel sono ancora sopra il mio letto sfatto. Resistendo al desiderio di affondare il viso nella stoffa per sentire il suo odore, apro la giacca e nel taschino interno ci caccio a forza la cravatta, poi la darò a Luca perché gliela restituisca.
«Merda!» impreco sentendo che qualcosa mi è entrato sotto l’unghia del dito indice. Lo metto in bocca per alleviare il bruciore e ritiro fuori dalla tasca la cravatta per vedere con che cavolo mi sono fatta male. Qualcosa di piccolo e argentato cade sopra il lenzuolo bianco. Lo raccolgo e vedo che è una forcina per capelli, la rigiro sopra il palmo, domandandomi come mai un oggetto così tipicamente femminile se ne stava nella tasca della giacca di Russel. La guardo con più attenzione, a una delle estremità c’è una piccola margherita, formata da una perla al centro e con i petali di strass. 
Mi siedo sul letto stringendo nel pugno una delle forcine che aveva usato Meg per fermarmi i capelli il giorno dell’inaugurazione al club, e che evidentemente Russel si è tenuto, forse quella che mi ha aiutato a togliere nel bagno, o una delle tante che la mattina dopo ho trovato sopra il suo comodino, e che sempre lui ha sfilato dai miei capelli mentre dormivo. 
Scoppio a piangere portandomi la sua giacca al viso. Piango perché ero venuta a Los Angeles per allontanarmi da Dario e trovare il coraggio per affrontare il casino che ho combinato con lui, e non per farne altri. Piango perché so che Russel mi mancherà, già ora che stringo solo la sua giacca impregnata del suo profumo vorrei che fosse qui, ad accarezzarmi la testa e a sussurrami all’orecchio che andrà tutto bene, che non c’è niente di sbagliato in me, che non soffro di nessun disturbo strano che mi porta ad allontanare ogni uomo che manifesta nei miei confronti dei sentimenti che vanno oltre la sola attrazione fisica, che stanotte riuscirò a dormire serenamente anche se lui non ci sarà a vegliare su di me, che ho fatto bene a fargli credere di non desiderarlo, perché lui è entrato nella mia vita nel momento più sbagliato e se non ci fossimo allontanati subito avremmo finito col farci del male solo per vivere un attimo di passione.
 
«Dobbiamo dirti una cosa» dice Meg sedendosi sul divano accanto a me. Karen e lei hanno portato tanta di quella roba da sfamare un intero reggimento. Io ho spilluzzicato solo un po’ di sformato al formaggio. Sembra che Russel si sia portato via anche l’appetito che mi stava tornando. 
Luca si siede in terra davanti a me. 
Suonano alla porta e Karen va ad aprire a Brian che si avvicina subito al divano «Come stai?» mi chiede lanciando sul tavolino una scatola di antidolorifico che gli ho chiesto di portarmi avendo quasi finito il mio.
«Benino, non fa così male» rispondo guardandomi il palmo bendato.
«Le avete già detto delle foto?» chiede Brian rivolgendosi a Luca.
«Stavamo per farlo» gli risponde spostando lo sguardo da lui a me.
«Cos’è che mi dovete dire?» chiedo guardandoli un po’ tutti. 
Brian si siede accanto a Meg, e Karen rimane in piedi dietro a Luca «Allora? Cosa sono quelle facce? Mi state facendo salire l’ansia» 
Tutti puntano gli occhi su Luca, che si schiarisce la voce prima di parlare «Qualcuno ieri sera ha scattato delle foto a te e Helen mentre litigavate e…» s’interrompe e io raddrizzo la schiena rimanendo impettita sul divano.
«Continua» lo incito.
«E le ha mandate a qualche sito di gossip che le ha pubblicate» dice affranto.
Scatto in piedi «Stai scherzando vero?» nega con il capo. 
Guardo Meg e Karen, e dalle loro espressioni capisco che non mi stanno prendendo in giro «Ma non possiamo fare niente? Loro non le possono divulgarle senza il mio consenso. Dobbiamo dirgli di toglierle subi…» 
Luca si alza e ferma le mie mani che sembrano aver preso vita propria da come le agito «Reb, ormai non sono solo sul loro sito, altri le hanno prese e pubblicate. Ormai è impossibile riuscire a farle sparire tutte» 
Faccio avanti e indietro per la stanza, poi mi giro di scatto verso di loro «Però nessuno sa chi sono vero? Non possono saperlo. Vi prego, ditemi che non è uscito fuori il mio nome?» chiedo angosciata.
«Per il momento no» mi rassicura Karen, ma il tempo di realizzare il vero significato della sua risposta e mi sento di nuovo in ansia.
«Che vuol dire per il momento?»
Prima di rispondermi si scambia un’occhiata con Meg «Sembra che si sia scatenata la caccia alla misteriosa ragazza che ha causato la rottura tra Russel Rush e Helen Fletcher»
Le vado di fronte pensando che stia esagerando, o meglio, sperando, più che altro, che stia esagerando «Ma che stai farneticando?» chiedo sempre più spaventata.
«Chi ha scattato le foto, ha anche riportato quello che vi siete dette, e sai come funzionano i pettegolezzi, in fretta stanno arricchendo la storia di tutta una serie di particolari inventati» mi volto verso Meg che ha parlato.
«Di che cazzo di particolari state parlando?!» nessuno di loro mi risponde. Do le spalle a tutti e vado nel mio studio per accendere il portatile.
«Reb, lascia perdere, vedrai che tra qualche giorno non ne parlerà più nessuno di questa storia» dice Luca in piedi dietro la mia sedia. Senza nemmeno ascoltarlo, e usando solo la mano destra, digito sulla tastiera: Helen Fletcher. 
Quello che mi appare davanti mi toglie le poche energie che mi sono rimaste facendomi afflosciare sulla sedia, non tanto le foto, che per fortuna sono solo tre, molto sfocate e tutte scattate alle mie spalle, quanto quello che leggo: “Helen Flecher aggredisce la nuova fidanzata di Russel Rush all’interno del club Vicky Ferraris, accusandola di essere la causa della sua rottura con il famoso attore”.
“Helen Flecher e la misteriosa nuova ragazza di Russel Rush, se le suonano in mezzo alla sala del locale della famosa casa di moda Vicky Ferraris”.
“Helen Flecher ferisce gravemente a una mano la nuova fiamma di Russel Rush, accusandola di averglielo rubato e di essersi fatta mettere incinta”.  
“Russel Rush e Helen Fletcher: finalmente svelato il motivo della loro separazione, una moretta ancora senza nome e volto, che fonti vicine all’attore rivelano essere in attesa del loro primo figlio”.  
«Cazzo Luca! E ora che faccio?» gli chiedo continuando a leggere. 
Chiude lo schermo del portatile e si piega sulle ginocchia di fianco alla mia sedia «Per prima cosa, non devi più leggere tutte quelle stronzate, poi te ne freghi e vai avanti con la tua vita come se non fosse successo niente. Nessuno sa chi sei, e vedrai che tra un po’ si stancheranno d’inventare notizie che non troveranno riscontro nella realtà» scuoto la testa.
«Ma se Helen racconterà…» mi stringe un ginocchio e mi zittisco.
«Helen non dirà niente, dopo quello che ti fatto è anche nel suo interesse che tutta questa storia venga dimenticata» guardo la mia mano bendata «E vedrai che d’ora in poi ti lascerà in pace. Russel mi ha promesso che la terrà lontana da te»
 
«Dai, Meg, spara. Mi metti sono ansia con quella faccia da: “Glielo chiedo o non glielo chiedo”»
Spenge il phon che sta usando per asciugarmi i capelli, lo appoggia sopra il mobiletto del bagno e mi viene davanti. Seduta sopra lo sgabello la guardo dal basso verso l’alto.
«Cosa c’è tra te e Russel? Ho capito che sabato tu e lui eravate insieme. Ci sei andata a letto?» mi esce un sorrisino per la sua schiettezza.
«Niente giri di parole con te, sempre dritta al punto. Comunque è vero che sabato è venuto a prendermi e che siamo andati a casa sua, ma niente sesso, abbiamo solo giocato a ping pong» 
Assottiglia lo sguardo «Certo, quel giorno avevi il ciclo, ma voglio sapere se è successo qualche altra volta» tiro in dietro la testa per guardarla meglio.
«No Meg, non siamo mai andati a letto insieme. Lui mi ha fatto capire che gli interesso e forse… c’è scappato un bacio» 
Mi guarda con un sopracciglio sollevato «Meg, è stato solo un momento di debolezza» mi giustifico abbassando la testa.
«Non ti sto giudicando Reb, per me puoi farti tutta Los Angeles, anzi, sarei fiera di te se lo facessi, è che non mi sembri il tipo capace di avere una relazione con due uomini contemporaneamente senza farti assalire dai sensi di colpa e finire col soffrirne» 
Nego con la testa «Tra me e Russel non c’è nessuna relazione. E non ho più intenzione di rivederlo, non da sola almeno. Io sto con Dario e basta» affermo categorica.
«E lui lo sa?» chiede incrociando le braccia.
«Cosa? Di Dario? Sì gliel’ho dett…» scuote il capo.
«Non sto parlando di Dario, ma del fatto che non vuoi più vederlo» 
Annuisco «Sì, questa mattina gli ho detto che è meglio se non ci vediamo più» rispondo nascondendo quanto mi faccia male ammetterlo a voce alta.
«E gliel’hai detto perché davvero non vuoi più vederlo, o solo perché hai paura di tradire Dario?» eccoci arrivate al nocciolo della questione.
«Beh, non so bene perché» penso all’attrazione che provo per Russel, e decido di dirle la verità «Per Dario, se non ci fosse lui nella mia vita sicuramente non avrei mai detto a Russel di non volerlo più vedere. E anche per lui. Ci siamo visti spesso ultimamente e sto bene con lui, e non ti mentirò dicendo che non provo una forte attrazione nei suoi confronti. Ma combinerei solo un casino se seguissi solo i miei istinti senza pensare alle conseguenze» le dico sospirando.
«Da quello che mi ha detto Brian che lo conosce bene, Russel è un tipo piuttosto determinato e quando vuole qualcosa non lo ferma nessuno. Se davvero gli piaci e si rifarà vivo, se tu non sei del tutto convinta potresti cedere e se non è davvero quello che vuoi, ascolta me, cerca di tenerti addosso le mutande» dice sventolandomi il phon davanti agli occhi. 
Ripenso al modo in cui Russel è uscito da casa mia stamattina «Non credo che succederà, sono certa che ha capito che è meglio se non ci vediamo più» le dico mentre si mette alle mie spalle.
«Certo, se almeno te lo fossi scopato quella mano ora avrebbe decisamente un buon motivo per essere ridotta così» dice indicandola con il phon.
«Meg!» esclamo guardandola dallo specchio.
«Non fare la verginella con me. Non vorrai farmi credere che non ti sei mai domandata cosa è in grado di fare con quelle mani da pianista?» chiede strizzandomi un occhio. In effetti mi è capitato di pensare alle mani di Russel, e non solo mentre mi accarezzano la testa per farmi addormentare.
«Meg, sei una ninfomane» 
Accende il phon, e prima di puntarlo sui miei capelli dice «Sì, e se Brian non si affretta a saltarmi addosso, finirò col farlo io»
 
Sono riuscita a buttare tutti fuori di casa per poter stare un po’ da sola, per fare un saluto frettoloso a Dario su Skype, e quello che Luca si è tanto impegnato a impedirmi di fare per tutto il pomeriggio: controllare fino a che punto il gossip si è ingigantito nel frattempo.
Mentre leggo che fonti certe rivelano che io e Russel stiamo per partire per una fuga romantica, per sposarci in gran segreto e crescere nostro figlio lontano dalle luci della ribalta, penso a quanto tutta questa attenzione che si è di nuovo accanita contro di lui possa infastidirlo. Ho trovato delle foto che gli hanno scattato mentre rientrava a casa, aveva gli stessi vestiti che indossava prima di uscire come una furia da casa mia. 
Mi ha detto Luca che quando stamani è uscito per venire da me, il loro palazzo era assediato dai fotografi, e che probabilmente se li troveranno tra i piedi per un bel po’. 
È quasi mezzanotte e mezza. Spengo il portatile e me ne vado a letto, anche se chissà quando, e se, riuscirò ad addormentarmi. 
La giacca di Russel non è più sopra il mio letto, ho chiesto a Luca di portargliela, e ho rimesso nel taschino anche la mia forcina, se l’avessi tenuta avrebbe pensato che avevo frugato nelle sue tasche.
Durante la breve videochiamata con Dario sono stata attenta a tenere sempre la mano bendata sotto la scrivania, non voglio che sappia che mi sono ferita, tanto meno il motivo. Non ho praticamente spiccicato parola, ha parlato sempre lui, continuando a ripetere che non vede l’ora di venire qui per rivedermi e che gli manco, rendendomi ancora più ansiosa e inquieta, non solo perché non sono ancora riuscita a fare chiarezza riguardo ai miei sentimenti per lui, ma soprattutto perché per tutto il tempo non ho fatto che pensare al bacio che ho dato a Russel, sentendomi una vera merda che non merita nemmeno una briciola dell’amore che lui mi sta dimostrando. 
Però, ora che sono con la testa sopra al cuscino dove è stato Russel, i miei sensi di colpa sembrano svaniti, e vorrei solo che lui fosse con me su questo letto per poter godere delle sue carezze e del senso di protezione che provavo tra le sue braccia.
 
«Che palle!» sono le due di notte e ancora mi rigiro nel letto. La mano mi fa male, e non riesco a levarmi dalla testa tutto quello che è successo in quest’ultima settimana.
Mi strappo il lenzuolo di dosso e vado in bagno per prendere un sonnifero. Non m’importa se domani dormirò fino a tardi, devo assolutamente smettere di rimuginare o diventerò pazza.
Butto giù la pasticca e torno a letto. Abbraccio il cuscino che ancora profuma di Russel e paziente aspetto che le sostanze chimiche facciano il loro dovere.
Sento già che comincio a rilassarmi, quando spalanco gli occhi sentendo bussare alla porta di casa. Sollevo l’orecchio dal cuscino per ascoltare meglio, forse mi sono sbagliata. Ma sento bussare ancora. Mi alzo e lentamente vado verso la porta. Rimango immobile finché sento un altro colpo. 
Mi avvicino per accertarmi che la porta sia chiusa a chiave, quando al di là del legno sento parlare «Rebecca, apri. Sono Russel» mi porto una mano sul petto e tiro un sospiro di sollievo.
«Russel, sono le due di notte, che ci fai qui?» chiedo ancora un po’ scossa per lo spavento.
«Apri per favore. Sono quasi due ore che giro per seminare i fotografi» combattuta mi avvicino alla porta.
«Russel, ho appena preso un sonnifero, tra poco crollerò come un orso in letargo» la mia voce esce già un po’ strascicata mentre apro. È appoggiato al muro con una mano, indossa dei jeans e una t-shirt tutta stropicciata, e sembra stravolto dalla stanchezza. 
Solo i suoi occhi sono accesi, perfettamente vigili, e sono puntati nei miei.
«Non mi hai detto cosa sarebbe giusto per te» dice. Mi gratto la fronte non capendo a cosa si riferisce.
«Ma di che stai parlando?» chiedo stringendo la maniglia della porta.
«Hai detto che quello che succede tra noi non è giusto per il tuo uomo e nemmeno per me, ma non mi hai detto cosa sarebbe giusto per te» dice indicandomi con il mento.
«Russel, ti prego, questo non è il momento giusto per parlare di quello che ti ho detto» 
Incrocia le braccia appoggiandosi con una spalla allo stipite «Non me ne vado fino a che non mi darai una risposta più che convincente» arretro di un passo.
«Non stai dicendo sul serio» dico mentre lui avanza verso di me.
«Io non ho preso nessun sonnifero, e ti garantisco che me ne starò ad aspettare fino a che non ti deciderai a rispondermi» la determinazione nel suo sguardo, mi convince più delle sue parole che lo farà davvero.
«Invece io l’ho preso e se non vado a letto finirò per addormentarmi su questo pavimento. Russel, vai a casa, ti prometto che domani ne riparleremo» senza ascoltarmi entra e chiude la porta.
«Dimmi che non è giusto nemmeno per te e giuro che me ne vado e non mi vedrai mai più» faccio un altro passo indietro.
«Non puoi farmi questo» si avvicina con aria quasi minacciosa.
«Non mi lasci altra scelta. Quindi, tu ora mi guardi dritto negli occhi e mi dici che non vuoi più vedermi, e anche che il bacio che ci siamo dati per te non ha significato niente» 
Non riuscendo a sostenere il suo sguardo mi volto «Russel, vattene» mi viene di fronte, appoggia le mani sopra le mie spalle e si piega fino ad avere gli occhi all’altezza dei miei.
«Ripetilo guardandomi negli occhi, per favore» la sua voce calma non mi rassicura, sa perfettamente che non sarò capace di ripeterlo, e non sbaglia affatto, perché lo guardo non trovando il coraggio di dirgli di nuovo di andarsene. 
Un nodo mi sale in gola, stringo il bordo della mia maglia sentendo tutta la tensione accumulata in questa settimana sopraffarmi in un solo istante, e le lacrime salgono ai miei occhi mentre ancora mi perdo nei suoi.
«Vieni qui» mi stringe tra le braccia e inizio a singhiozzare «Non piangere. Va tutto bene, Sirenetta» sussurra baciandomi la testa. Gli stringo la vita smettendo lentamente di piangere «Ora però infilati a letto. Non voglio che mi cadi a terra all’improvviso» il sorriso che faccio sul suo petto si trasforma in sbadiglio. Non oppongo resistenza quando mi solleva da terra circondandomi la schiena e passando un braccio dietro le mie ginocchia. 
Mi porta in camera e si siede sul letto tenendomi seduta sopra le sua gambe.
«Però noi dobbiamo ancora parlare» gli dico sbadigliando sulla sua spalla e sollevando stancamente gli occhi per guardarlo.
«Domani parleremo» mentre mi bacia la fronte chiudo gli occhi «Dormi, Sirenetta, ci sono io qui con te» l’ultima cosa che sento sono le sue labbra che si posano sopra le mie. 
 
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Domenica 24 Giugno 2012
 
Mi sveglio sentendo pulsare le ferite alla mano. Sbuffo e apro gli occhi. La mia camera è in penombra, e l’orologio segna le nove e trenta. Mi giro mettendomi a pancia in su e guardo il soffitto ripensando al sogno che ho fatto. Per quanto tempo sognerò ancora Russel che mi stringe tra le braccia facendomi sentire al sicuro? 
E quante sere ancora desidererò addormentarmi con il lento tocco delle sue carezze? 
Una lacrima solitaria scende a bagnarmi una tempia intrufolandosi tra i miei capelli, mi volto di lato e l’asciugo strusciando il viso sul cuscino.  
Mi ripeto che è meglio se smetto di pensare a lui, in fondo lo conosco da poco più di un mese, ho vissuto quasi ventotto anni senza di lui, non sarà così difficile fingere che non sia mai esistito.
Se sarà necessario smetterò anche di uscire con gli altri per non incontrarlo.
Devo andare avanti con la mia vita, che è già piuttosto complicata anche senza di lui, e comincerò da subito.  
Mi alzo e spalanco le tende, poi entro nel bagno e, dopo essermi annodata in modo alquanto approssimativo il sacchetto per surgelati intorno alla mano, apro l’acqua e con un colpo secco alla porta di vetro smerigliato chiudo il mondo fuori dalla mia cabina doccia. Alzo il viso verso il getto dell’acqua bagnandomi anche i capelli, non m’importa se non sarò in grado di lavarli da sola, voglio che l’acqua scorra dovunque addosso a me, lavando via dal mio corpo e dalla mia mente ogni briciola di desiderio che ancora provo per Russel. 
Avvolta nel mio accappatoio bianco, tolgo il sacchetto dalla mano e lo getto sopra il letto per controllare che la benda sia asciutta e pulita. 
Muovere la mano davanti al viso mi riporta con i ricordi indietro di mesi, a quello strano senso di smarrimento che provai svegliandomi nel letto dell’ospedale, e ai miei sforzi per capire perché le mie mani fossero entrambe fasciate. Sento ancora le parole di mia madre e mia sorella che non facevano che ripetere quanto fossi stata fortunata. 
Poi ricordai, e Luca appena ci lasciarono soli nella stanza mi disse che aveva avvertito Dario, e che avrebbe preso il primo volo disponibile per tornare dall’Australia. 
Non mi scorderò mai il suo viso quando due giorni dopo entrò nella mia camera, era stravolto, con un filo di barba e gli occhi arrossati dalla stanchezza, e forse anche dal pianto. Quando mi chiese cosa ci facessi a due chilometri da casa sua, ripetei semplicemente la bugia che avevo elaborato sapendo che mi avrebbe fatto quella domanda, così gli dissi che volevo vederlo prima che partisse perché per i successivi quindici giorni mi sarebbe mancato. E lui scoppiò a piangere tra le mie braccia, prendendosela con se stesso per aver deciso di andare a vedere la prima gara della stagione della Superbike, ripetendo fino allo stremo che se non fosse partito io non avrei avuto l’incidente. Si maledì, perché andando in aeroporto aveva visto la coda delle auto, e la deviazione che le indirizzava in una stradina parallela a quella dove io ero incastrata dentro la macchina rischiava di fargli perdere l'aereo, e si era innervosito per questo. Non poteva immaginare che quell’ambulanza che vedeva da lontano fosse per me. 
E singhiozzò come un bambino per non aver riconosciuto la mia auto, e non essere corso da me mentre mi tiravano fuori dalle lamiere accartocciate.
Cado in ginocchio sul pavimento, e con la testa sopra il letto piango per come sono stata meschina con lui, perché quel giorno invece di cercare di consolarlo dovevo mettere fine alle mie bugie, ma a quel punto tutto il coraggio che avevo dimostrato tre giorni prima era scemato completamente, e ho finito invece col mentirgli ancora, non riuscendo a confessargli che in realtà stavo andando da lui perché volevo lasciarlo, e mi sono convinta come una stupida che con il passare del tempo avrei scordato tutto, e che le cose tra noi sarebbero tornate come prima. 
Stringendo nel pugno il lenzuolo, sfogo nel pianto tutta la rabbia che provo nei miei confronti. Continuo a singhiozzare fino a che ciò che esce dalla mia bocca non sono altro che brevi rantoli che lentamente mi muoiono in gola. 
Asciugo gli occhi con una manica dell’accappatoio e mi siedo a terra appoggiando le spalle al letto. Dopo pochi minuti sento chiudere la porta di casa, e dei passi che si avvicinano alla camera. Stanca di combattere con me stessa e sentendomi completamente svuotata di tutta l’energia, immobile attendo di veder entrare Meg o Karen. 
Ma non è nessuna di loro due a correre verso di me appena oltrepassata la porta della camera. Mi sollevo sulle ginocchia e, appena mi arriva di fronte e tocca il pavimento con le sue, alla disperata ricerca del suo conforto e fidandomi totalmente delle sue carezze, mi lancio tra le braccia di Russel.
 
**

 
 
 

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Capitolo 14
*** Cap. 14 - Crudelia De Mon ***


CAP. 14 - CRUDELIA DE MON
 
Crudelia De Mon,
farebbe paura 
persino a un leon.
È più letale lei
d’uno scorpion.
Crudelia, Crudelia De Mon.
Crudelia fa l’effetto
di un demonio
e dopo il primo istante
di terror
ti senti in suo poter
e tremi al sol veder,
gli occhi di felino predator.
Non può essere uman
crudele vampir,
dovrebbe per sempre
dal mondo sparir,
che gioia allora
che soddisfazion.
Crudelia, Crudelia De Mon.
 
Roberto De Leonardis
 
**
 
«Calmati e dimmi che ti è successo» sussurra dolcemente sfregandomi la schiena con entrambe le mani.
«Devi andartene, Russel. Io sono una persona orribile» dico tra un singhiozzo e l’altro.
«Non dire stupidaggini» 
Alzo il viso dalla sua spalla per guardarlo «Russel, devi credermi, io…» il pianto incontrollato m’impedisce di continuare. 
Stringo il suo collo inondando la sua spalla con le mie lacrime «Shh, calmati. Non so cosa sia successo, ma tu non sei affatto una persona orribile» mi bacia la testa e la fronte stringendomi.
«Va meglio?» chiede quando smetto di singhiozzare. Faccio un debole cenno d’assenso. 
«Ora vuoi dirmi perché piangevi?» nego sopra la sua spalla «Okay. Me lo dirai un’altra volta» sospira tra i miei capelli «Mi dispiace averti lasciata sola e non essere tornato in tempo quando ti sei svegliata»
Mi allontano di poco dalla sua spalla e guardo il suo profilo «Ma allora sei davvero venuto qui ieri sera?» 
Si volta e a un soffio dal mio viso chiede sorridendo «Non te lo ricordi?»
Chiudo gli occhi e lui appoggia una guancia sulla mia fronte, muovendola piano mi solletica con la barba appena accennata «Credevo di averlo sognato»
«Nemmeno t’immagini quanti giri ho dovuto fare ieri sera per non farmi seguire fin qui dai fotografi. Alla fine, preso dalla disperazione, sono entrato nel locale di un mio amico per farmi prestare la sua auto, sono appena andato a riportargliela e a riprendere la mia» 
Apro gli occhi e lo guardo sentendomi in colpa «Mi dispiace per tutto il casino che ho combinato. Se non avessi reagito alle provocazioni di Helen oggi non saresti costretto a scappare dai fotografi» 
Allontana appena la testa per guardarmi meglio «Stai scherzando?» chiede sollevando le sopracciglia.
Sospiro «No, è vero, se io…»
Mi zittisce con un bacio a fior di labbra «Hai ragione, sei proprio una persona orribile. Ti offendono, ti aggrediscono ferendoti gravemente, e ti senti in colpa per aver attirato l’attenzione» sussurra sulla mia bocca, poi guardandomi negli occhi la copre con la sua. 
Inclino la testa dischiudendo le labbra, entra solo con la punta della lingua sfiorando appena la mia. 
Lentamente approfondiamo il bacio, controllando con misurati e profondi respiri l’urgenza d’invadere la bocca dell’altro. Continuiamo a guardarci negli occhi, guadagnando ogni millimetro della bocca e della lingua dell’altro con calma esasperante, come se temessimo che l’irruenza potrebbe impedirci di gustarci fino in fondo, senza dare ascolto ai nostri cuori che con forti e veloci battiti ci stanno implorando di mettere fine alla loro sofferenza. 
Finché, chiudendo gli occhi nello stesso istante e aprendo del tutto le labbra, cediamo. Lo attiro intrecciando le dita tra i suoi capelli, mentre lui stringe il mio viso tra le mani sfiorando con i pollici gli angoli della mia bocca incollata alla sua. Succhiandomi il labbro inferiore si stacca e io riapro gli occhi. 
Scendendo con le mani ai lati del mio collo mi fissa con sguardo incredulo, forse nemmeno lui come me crede che davvero ci siamo baciati di nuovo dopo quell’unica disastrosa volta, ma invece l’abbiamo fatto, lo dicono i nostri respiri affannati, i nostri petti che si scontrano sollevandosi in fretta, i nostri occhi languidi, e soprattutto lo dicono le nostre bocche che fremono per ricongiungersi, e noi le accontentiamo fondendole insieme. Mi bacia come se cercasse di entrare dentro di me facendosi strada con la lingua. 
Cedo al sua assalto e rispondo con slancio aggrappandomi alle sue spalle, preso dalla frenesia stringe la mia vita sollevandomi da terra per mettermi a sedere sul bordo del letto. Mi avvicina a sé rimanendo con le ginocchia sul pavimento e io allargo le gambe fino a far sfiorare i nostri bacini. Sentendo che è eccitato almeno quanto me, mi scappa un impercettibile lamento, sovrastato dal suo, più forte e incontrollato, che inutilmente cerca di soffocare con le mie labbra.  
Lentamente allontaniamo i nostri bacini e subito dopo le labbra. Con la fronte appoggiata sopra la spalla dell’altro riprendiamo fiato mentre i nostri petti si sfiorano a ogni respiro affannato. Quando riapro gli occhi, vedo l’accappatoio che aprendosi ha lasciato completamente scoperte le mie gambe che stringono i fianchi di Russel, per fortuna le estremità dell’ampia cintura di spugna sono cadute al centro coprendomi l’inguine. Sposto il capo per guardare il suo viso, sta osservando con attenzione e con la mascella serrata le mie gambe e il mio seno appena scoperto. 
Incrociamo i nostri sguardi e ci avventiamo di nuovo uno contro l’altro per unire ancora le nostre labbra e le nostre lingue. In un attimo ci troviamo di nuovo con il fiatone, senza però riuscire a staccarci nemmeno per prendere fiato. Sento che il mio corpo premuto contro il suo ha quasi raggiunto il limite di non ritorno e se non mi fermo subito non sarò più in grado di farlo. 
Non so in che modo riesco a dirgli «Russel, dobbiamo fermarci» quando in realtà vorrei che continuasse a saggiare il mio collo e le mie spalle come sta facendo in questo momento per sempre. 
Nemmeno lui crede alle mie parole, e come dargli torto, visto che piego la testa da un lato per facilitargli il compito, infatti continua a riempire d’attenzione ogni centimetro di pelle che l’accappatoio scivolando di lato ha lasciato scoperto. 
Raddrizzo la testa e m’impongo di fermarlo, ma quando prendo il suo viso in una mano e vedo i suoi occhi sognanti e annebbiati dal desiderio, invece di chiedergli di allontanarsi, stringendogli le guance lo attiro e lo bacio, intrufolando poi una mano sotto la sua maglia per sentire il calore del suo petto, mentre lui circondandomi la schiena unisce di nuovo i nostri bacini. 
Sento il tessuto ruvido dei suoi pantaloni che sfrega sopra la mia pelle e un suo gemito strozzato s’infrange tra le mie labbra mentre succhio e mordo la sua lingua. Spinge ancora di più i fianchi verso di me e, sentendomi a un soffio dal perdere totalmente il controllo, lascio la sua lingua per appoggiare la fronte contro la sua. 
Mi prende il viso tra le mani «Se vuoi davvero che mi fermo, non mi stai aiutando affatto» dice con voce bassa e affannata, poi da sopra la maglia ferma la mia mano che ancora si muove sopra il suo petto.
«Scusa» dico sfilandola da sotto e scivolando un po’ indietro sul letto per allontanarmi.
«Non ti ho detto di scappare» dice rimettendo a posto il mio accappatoio e coprendomi le spalle e le gambe «Però forse è meglio se ti copri prima di avvicinarti di nuovo» stringendo il collo di spugna mi attira a sé e bacia più volte le mie labbra e tutto il mio viso. 
Mentre mi sfiora la cicatrice sulla fronte il mio iphone sul comodino inizia a vibrare, nessuno dei due se ne cura, sicuramente non io, perché lui continua a scendere fino al mio collo accarezzandolo con la bocca socchiusa, sento solo la morbidezza delle sue labbra che mi baciano e la consistenza dei denti che pizzicano la mia pelle. 
Il telefono continua a vibrare, Russel sbuffa scocciato e allunga un braccio, lo prende per poi metterlo sopra la mia mano. Guardo il display e rispondo, mentre lui non sembra intenzionato ad allontanarsi dal mio collo.
«Matt, ciao» Russel smette subito di baciarmi.
«Stavi dormendo?» allontana il viso per guardarmi negli occhi. 
«No, sono sveglissima» si passa nervosamente una mano tra i capelli. 
«Vengo a prenderti io per andare da Luca» abbassa la testa. 
«Va bene, tra quanto sarai qui?» la solleva di scatto. 
«Tra un’oretta va bene?» mi guarda accigliato. 
«Sì, allora ci vediamo tra poco» spazientito si alza in piedi. 
«A dopo» incrocia le braccia. 
«Ciao Matt» si avvicina con sguardo palesemente incazzato. 
«Che voleva da te quell’idiota di Matthew? E che cazzo vuol dire che vi vedrete tra poco?» faccio appena in tempo a riattaccare prima che Matt senta tutta la simpatia che Russel ha appena espresso nei suoi confronti.
«Andiamo a pranzo da Luca, ci sarai anche tu?» guardo l’ora sulla sveglia sopra il comodino, sono già le undici. Ma quanto abbiamo pomiciato io e Russel? Così tanto? Meglio se non ci penso. 
«E che c’entra il pappamolle?» 
Mi alzo dal letto e lo colpisco con un pugno su un bicipite «Non parlare così di Matt, è un caro amico e viene semplicemente a prendermi per portarmi da Luca» mi viene dietro mentre mi guardo allo specchio sopra la cassettiera per valutare cosa fare con i miei capelli, dato che, non avendoli pettinatati dopo la doccia, ora da asciutti sembrano la criniera di un leone dopo che si è azzuffato con tutti gli animali della Savana.
«Non puoi andare da Luca con Karen e Meg?» chiede mentre apro il cassetto della biancheria.
«Loro saranno già lì, andavano prima per aiutare a preparare il pranzo» rispondo rovistando tra reggiseni e mutandine, quando mi ricordo di avere Russel alle mie spalle mi blocco. Sollevo gli occhi e dallo specchio vedo che è concentrato a scannerizzare in fretta pizzi e merletti. Chiudo di scatto il cassetto e mi giro verso di lui incrociando le braccia. 
Ha ancora lo sguardo fisso come se cercasse di vedere attraverso il legno «Ehi» attiro la sua attenzione sventolandogli una mano davanti. 
Sbatte gli occhi e li punta nei miei «Facciamo così…» dice aggrottando le sopracciglia «ora richiami il mollus… Matthew, e gli dici che ti accompagno io» perso in chissà quale pensiero guarda il pavimento sfregandosi una mano sopra la nuca.
«Okay» rispondo, poi gli chiedo «Mi aiuti a scegliere il cuscino giusto?» 
Solleva la testa di scatto e spalanca gli occhi «Che cuscino?» chiede.
Gli rispondo con tono serio «Quello che metterò sotto i vestiti. Non vorrai deludere i fotografi che si aspettano di vedermi scendere dalla tua auto con il pancione?» fa una smorfia e sbatte una mano sopra la cassettiera.
«Che palle!» sbotta, e io abbasso la testa.
«Già» dico mortificata guardando le mie pantofole.
«Ehi, non è colpa tua» dice sollevandomi il mento. Annuisco poco convinta «Me lo fai un sorriso, Sirenetta?» allargo le labbra per accontentarlo e lui ci posa sopra le sue «Ora però vestiti per favore» dice staccandosi malvolentieri.
«Puoi aiutarmi a fare una cosa?» gli chiedo.
«Tutto quello che vuoi» risponde accarezzandomi una guancia e guardandomi teneramente.
«Mi leghi i capelli con un elastico per favore?»
Ride abbracciandomi «Certo» risponde baciandomi una tempia «Questo va bene?» chiede mostrandomi un elastico che ha preso da sopra la cassettiera.
«Sì» 
Guarda i miei capelli dallo specchio «Vuoi che te li spazzolo prima?» 
Nego con il capo «No non importa, sono lunghi e temo di aver fatto un disastro sotto la doccia prima, saranno pieni di nodi ci metteresti un’eternità» 
Prende la spazzola e tirandomi per la mano mi porta vicino al letto, si siede e batte una mano tra le sue gambe aperte «Siediti qui» 
Faccio come mi dice «Poi non dirmi che non ti avevo avvertito» dico mentre mi sfiora il collo per spostarmi i capelli dietro le spalle.
«Sta’ zitta e lasciami lavorare» dice un attimo prima di baciarmi dietro l’orecchio. 
Anche se probabilmente peggiorerà la situazione della mia criniera spelacchiata, approfitterò della situazione per farmi coccolare un po’ dalle sue mani.
Tenendomi i capelli stretti in una mano inizia a spazzolarli dalle punte. Sale lentamente verso l’alto, districando i nodi con colpi leggeri, insistendo quando la spazzola s’incastra, ma senza mai farmi male. Arrivato alla nuca, il mio punto debole da sempre, lascia liberi i capelli di ricadere sopra le mie spalle e sollevandoli passa la spazzola sotto facendola scorrere dall’attaccatura fino alle punte a metà della mia schiena. Chiudo gli occhi e m’inarco un po’ verso di lui mentre, sempre con molta delicatezza, scende con la spazzola da una tempia facendola scorrete per tutta la lunghezza dei capelli, dedicandosi poi all’altro lato. Gli ultimi tre colpi di spazzola li dà scendendo dalla fronte. Appoggia la spazzola sul letto e io riapro gli occhi sbattendoli delusa, avrei voluto che questo momento non finisse mai. 
Mentre raduna i miei capelli con le mani mi domando com’è possibile che un uomo sia così bravo a pettinare una donna. Una sensazione strana mi sale dallo stomaco al pensiero che forse era sua abitudine farlo a Helen, è probabile che anche a lei piacesse farsi spazzolare i capelli da lui, forse era addirittura una specie di rito tra loro prima di fare l’amore. 
M’irrigidisco e aspetto che abbia dato l’ultimo giro all’elastico prima di scattare in piedi per allontanarmi, ma avvolgendomi la vita con un braccio mi fa ricadere tra le sue gambe «Che c’è? Ti ho fatto male?» chiede appoggiando il mento sopra la mia spalla.
«No, sei stato bravissimo, ma è tardi e tra poco arriverà Matt» rispondo fredda. 
Fa scivolare il mio accappatoio di lato e lascia piccoli baci su tutto il mio collo, sospiro e appoggio la testa sopra la sua spalla.
«Perché ti sei innervosita?» chiede mordicchiandomi un orecchio. 
Chiudo gli occhi e mi rilasso tra le sue braccia «Chi… chi ti ha insegnato a…» cerco di terminare la frase ma è impossibile con lui che bacia e morde dovunque riesce ad arrivare.
«Vuoi sapere a chi ho spazzolato i capelli prima di te?» annuisco portando una mano dietro la sua nuca per spingergli il viso contro la mia pelle.
«Ho una sorella più grande di me di due anni che ha sempre avuto i capelli lunghi e belli come i tuoi» soffia le parole sopra la mia pelle umida dei suo baci, a stento capisco il resto «E quando eravamo piccoli mi costringeva per pomeriggi interi a giocare al parrucchiere e la signora» mentre con una mano mi volta il viso verso il suo, mi ricordo della mia forcina nel taschino della sua giacca, forse è colpa di sua sorella se è diventato una specie di feticista di articoli per capelli femminili. 
La sua lingua che entra dentro la mia bocca mi distrae in fretta dalla mia psicologia spicciola. Ci troviamo ancora con il fiato corto e con le mani che cercano l’altro, evitando però attentamente le zone ormai incandescenti dei nostri corpi. 
Con una lunga serie di baci a stampo mi allontano da lui «Russel, è tardi. Tra poco Matt sarà qui e devo ancora vestirmi, ed è meglio se esci prima che arrivi» gli dico tra un bacio e l’altro che continua a darmi.
«Perché?» chiede.
Mi alzo e sistemo l’accappatoio stringendo il nodo alla cintura «Lui sa che io…» sospiro «Lui sa di Dario, anzi, l’ha anche conosciuto» con le mani appoggiate sul letto stringe un attimo gli occhi «E se ci vedesse insieme, con queste facce per giunta, non ci metterebbe molto a capire che noi…» muovo una mano tra me e lui non sapendo come terminare la frase. Perché, cosa sta succedendo tra noi? Mi domando passandomi una mano sopra la testa.
«Va bene ho capito» dice attirandomi a sé «Però, dato che sarà una sofferenza starti accanto senza poterti dare nemmeno un bacio, dammene subito un altro» mi avvicino al suo viso e l’accontento.
«Ora fuori da casa mia» dico dopo avergli morso un labbro.
«Mi stai davvero buttando fuori?» chiede ridendo mentre si alza dal letto. 
Guardo la sveglia «Sì cazzo! Tra venti minuti sarà qui!» lo spingo fuori dalla camera e mentre chiudo la porta mi dà un ultimo bacio. 
Slego in fretta la cintura dell’accappatoio, ma sentendo la porta che si riapre lo tengo chiuso con le mani. Mi volto a guardare Russel che ha infilato la testa dentro la camera «Quello nero con i papaveri» inarco le sopracciglia non capendo. Indica la cassettiera «Metti quello nero con i papaveri rossi» altro che scanner, questo c’ha davvero la vista a raggi X.
«Fuori da qui!» grido lanciandogli la cintura che stringo in mano. Scoppia a ridere e richiude la porta. 
Corro all’armadio, tiro fuori un vestito leggero e sento bussare «Ora che vuoi?» grido esasperata gettando l’abito sul letto.
«Digli al mollusco, che è meglio per lui se tiene le mani a posto» parla al di là della porta senza aprirla.
«Idiota!» urlo aprendo il cassetto della biancheria.
«Sto dicendo sul serio, Sirenetta» un attimo dopo sento chiudere la porta di casa. 
 
A casa di Luca sono già arrivati tutti, anche le sorelle di George, Hanna e Tracy, manca solo Russel. Quando con Matt siamo passati in auto davanti al palazzo, mi sono spaventata vedendo quanti fotografi c’erano appostati, alcuni avevano addirittura montato dei cavalletti come se dovessero fare un servizio fotografico. Con i miei occhiali scuri formato gigante a coprirmi metà viso, sono scivolata sul sedile e sono riemersa solo quando eravamo già entrati nel parcheggio privato sul retro. Matt al mio fianco era palesemente scocciato, quando gli ho sorriso per allentare la tensione, contraendo la mascella si è girato dall’altra parte ed è sceso dall’auto senza dire una sola parola.
Gironzolo per la terrazza di Luca gettando continuamente lo sguardo verso la portafinestra. Russel non è ancora arrivato e stiamo per metterci a tavola. Possibile che è poco più di un’ora che non lo vedo e già mi manca? Sospiro, e vedendo che gli altri cominciano a sedersi prendo posto accanto a Meg.
«Russel, stavamo per cominciare senza di te» dice Luca di fronte a me guardando oltre le mie spalle. 
Mi nasce subito un sorriso e mi volto. Mentre vedendo che si avvicina il mio cuore accelera i battiti, mi dico che non siamo soli e che quindi è meglio se mi do subito un contegno e smetto di guardarlo da capo a piedi come se non avessi mai visto un uomo in tutta la mia vita. 
«Ciao a tutti e scusate il ritardo. Ho avuto una lunga ed estenuante conversazione telefonica con mia madre e poi con mia sorella. Volevano delle spiegazioni per tutto quello che è uscito sui giornali» dice Russel accelerando il passo per aggirare Matt, che credo stesse venendo nella mia direzione per sedersi al mio fianco, tira poi indietro la sedia alla mia destra e si lascia cadere sopra soddisfatto. 
Si volta subito a guardarmi, quando vedo il piccolo spicchio di luna qualcosa si capovolge nel mio stomaco.
«Rebecca, come sta la tua mano?» chiede disinvolto come se non ci vedessimo da chissà quanto, poi appoggia la mano sopra il tavolo e spostando appena il mignolo sfiora il mio braccio, da lì parte il primo brivido che corre verso la mia nuca, il secondo mi nasce dalla schiena e si unisce all’altro quando sollevo lo sguardo e vedo il suo viso così vicino al mio. 
Stringo il pugno per sedare l’istinto di passargli una mano tra i capelli ancora umidi, e sentendo il profumo di muschio bianco emanato dalla sua pelle, trattengo il respiro per evitare che continui a riempirmi le narici invogliandomi ad avvicinarmi per respirarlo direttamente dal suo collo.
«Be-ne» balbetto mentre ci guardiamo negli occhi. 
Dal suo sguardo capisco che anche lui vorrebbe che gli alieni passassero sopra la terrazza di Luca, aspirando dentro la loro navicella tutti gli altri qui presenti per poter rimanere solo con me.
«Chissà cosa avranno pensato leggendo che stavi per sposarti e per avere un figlio» dice Tracy dall’altra parte del tavolo. 
Entrambi spostiamo lo sguardo su di lei che ride fissando Russel «Scusa?» le chiede lui inarcando le sopracciglia.
«Tua madre e tua sorella, chissà cosa avranno pensato» 
Lui diventa serio «Anche se ho detto non so quante volte a tutte e due che non devono credere a una sola parola di quello che leggono su di me, ogni volta mi chiamano per sapere se c’è qualcosa di vero» 
Brian ride «Beh, questa volta l’hanno sparata grossa. Se non fossi stato presente al club l’altra sera, ti avrei chiamato anch’io per chiederti chi era questa famosa brunetta e cosa stavi combinando con lei» dice Brian, per poi chiedergli «E Steve che ti ha detto? Scommetto che si è fatto delle grosse risate» 
Russel sorride divertito «Mio padre era un po’ deluso, mi ha detto che tra tutte le notizie false che ha letto su di me in questi anni, quella che ero andato a segno, e soprattutto non con Helen, era l’unica che avrebbe voluto fosse vera» sentendomi tirata in causa abbasso la testa arrossendo.
«Tuo padre è il mio mito» dice Brian ridendo.
«Hanno anche voluto sapere come stava Rebecca e se si era fatta molto male alla mano» dice tranquillamente Russel.
Gli strattono l’avambraccio «Gli hai parlato di me?» 
Annuisce «Sì perché?» come perché? 
«E… e cosa gli hai detto?» chiedo in ansia.
«La verità» 
Ora svengo, lo sento «Quale… quale verità?» sbatto gli occhi ignorando la vista che s’annebbia.
«Che sei un’amica di Luca, che lavorate insieme, e che Helen è gelosa perché ci ha visti insieme. Ma…» comincio a pensare che si stia divertendo un mondo a vedere la mia faccia cambiare colore alla velocità della luce.
«Ma?» se non si sbriga a rispondermi giuro che lo meno.
«Ma che si sbaglia perché tra noi non c’è propri niente» 
Tiro un sospiro di sollievo e mi volto di scatto sentendo Meg che mi dà una gomitata sul fianco «Che vuoi?» le chiedo scocciata.
«Non c’è proprio niente eh?» sussurra, e, ancor prima di guardare cosa mi sta indicando, sento la mano di Russel che si posa sopra la mia coscia. Abbasso lo sguardo e vedo solo la tovaglia che mi copre le gambe.
«Ricordati di tenerti addosso le mutande» sibila Meg al mio orecchio.
«Shh!» l’ammonisco a bassa voce. Poi mi raddrizzo sulla sedia e leggo all’infinito la scritta “I Love Pizza” stampata sopra la maglia di Luca che è seduto di fronte a me, la leggo e la rileggo, continuando però a non capirne il significato, perché Russel sta accarezzando la mia gamba mentre parla tranquillamente con Peter e George. 
Cerco di essere disinvolta come lui, ma non ci riesco, e non ho nemmeno la minima idea di cosa stiano dicendo, perché il mio unico senso ancora vigile è il tatto, e più precisamente solo in quel misero pezzetto di pelle sfiorato dalla sua mano, che lenta scende fino a infilarsi sotto l’orlo del mio vestito e risale toccandomi appena con i polpastrelli la carne morbida dell’interno coscia. 
Quando si ferma a un soffio dal mio inguine e avvolge la mia gamba stringendola, trattengo un attimo il respiro irrigidendomi, e riprendo improvvisamente l’uso della parola «Cavolo!» ma sarebbe stato meglio di no.
«Che c’è, Reb?» mi chiede Luca.
«Oh cavolo! Che fame che mi è venuta!» esclamo sbattendo la mano sul tavolo mentre Russel a testa bassa ride sotto i baffi. 
Scatto con il ginocchio verso la sua gamba per colpirlo, ma il movimento improvviso fa salire involontariamente la sua mano fino a farla appoggiare sopra le mie mutandine «Cazzo!» questa volta è lui a imprecare.
«La roba è già in tavola, se avete così tanta fame basta che vi servite» dice Karen sollevando il vassoio con il pollo al curry per poi chiedergli «Russel, cosa preferisci, petto o coscia?» 
Rimane un attimo imbambolato deglutendo «Co-scia» non so perché ma già sapevo cosa le avrebbe risposto. Sfiora un’ultima volta la mia di coscia, prima di rimette la mano sopra la tavola e tagliare con coltello e forchetta quella che Karen gli ha messo nel piatto.
Hanna mi squadra attentamente «Certo che è raro che un uomo sia così bravo, almeno che non sia un parrucchiere. Le hai fatto davvero una bella coda» dice rivolgendosi a Matt. Lui la guarda spaesato e senza saperlo si becca un’occhiataccia da Russel.
«Non è stato lui a legarmeli» dico passandomi una mano sopra testa.
«Ah no? Allora chi è stato? Non puoi essere stata tu con una mano sola» dice prontamente Karen. 
Con la coda dell’occhio vedo Russel che ridacchia in attesa della mia risposta «Veramente sto diventando brava a usare una mano sola, riesco a fare praticamente tutto ormai»
Meg ride «Ma se ti sto tagliando il pollo io!» 
Sollevo gli occhi al cielo «Non è la stessa cosa» le rispondo prendendo il mio bicchiere. Bevo guardando Russel di soppiatto che ride portandosi alla bocca la forchetta.
«Dopo gli diamo un’occhiata» dice Brian indicando la mia mano fasciata.
«È proprio necessario?» gli chiedo, e lui annuisce.
«Sì, voglio vedere se la ferita si sta richiudendo» 
Sospiro e prendo la mia forchetta. Russel dopo le parole di Brian s’irrigidisce, gli do una leggera gomitata, quando si volta gli sorrido e lui fa altrettanto, anche se in modo un po’ forzato. 
 
Il pranzo è proceduto tranquillamente per tutti, tranne che per me, che ho dovuto far fronte ai ripetuti assalti di Russel a tutta la zona del mio corpo nascosta dal tavolo e dalla tovaglia, che lui si è preoccupato ossessivamente di tenere sempre ben stesa sopra le mie gambe. Quando gli è caduta “accidentalmente” la forchetta, ha infilato la testa sotto, e mi ha, prima leccato un ginocchio, poi la mano quando ho tentato di scacciarlo.
Siamo arrivati al dolce e sono sfinita, dalle sue continue provocazioni, e ancor di più dalla voglia di cedergli. 
«Russel, ho letto che tra poco inizierai a girare un nuovo film» mi giro verso Hanna che ha parlato. 
Con tutto quello che è successo mi sono scordata di chiedergli com'è andata la cena con il suo agente.
«Sì, cominceremo le riprese a settembre» 
Tracy solleva gli occhi dal piatto e gli chiede «E puoi raccontarci qualcosa della trama?» 
Prima di risponderle sposta un attimo gli occhi su di me «No Tracy, mi dispiace ma ancora non posso parlarne» 
Lei delusa e imbronciata insiste «Ma non lo diremo a nessuno, te lo giuro» continua a guardarlo in trepidante attesa di una risposta.
«Uhm, okay» Russel si passa una mano tra i capelli «Dunque, parla di una relazione clandestina e degli ostacoli che devono affrontare i due amanti per poter stare insieme» mentre il sangue defluisce in fretta dal mio viso abbasso la testa di scatto per vedere se qualcuno mi ha appuntato una “A” scarlatta al vestito senza che me ne accorgessi.
«Interessante. E come va a finire?» ma perché non te lo vai a vedere? Penso, mentre Russel capisce la mia reazione, ma guardandomi negli occhi se ne frega e continua a raccontare «Lui riesce a far capire a lei, che se vuole essere davvero felice, deve lasciare il suo uomo e smettere di vivere una doppia vita» risponde.
«È proprio un film» sbotta Matt, e tutti si girano a guardarlo, compreso Russel che non sembra affatto felice della sua uscita.
«E perché?» gli chiede Meg con un sopracciglio sollevato.
«Perché solo nei film, e naturalmente nelle favole, un tradimento può finire con la frase: “E vissero tutti felici e contenti”» afferma Matt tranquillamente, poi sposta lo sguardo su di me, e mi sento come se avessi una grossa freccia lampeggiante sopra la testa che mi indica. Stringo il bordo della tovaglia sopra le mie gambe domandandomi se ha parlato così perché sa di me e Russel.
«Non è affatto vero. Molti grandi amori sono nati da una scappatella» dice Karen, e lui la guarda dubbioso «Per esempio Michael Baker e Liz Kemp» continua lei «Lui stava ancora con la moglie quando l’ha conosciuta e hanno cominciato a frequentarsi di nascosto, e ora sono sposati da cinque anni e lei è in attesa del secondo figlio» conclude soddisfatta.
«E la moglie, sai per caso come se la passa lei?» chiede Matt affinando lo sguardo.
«Beh, ho letto che Julia Raison entra ed esce continuamente dalle cliniche per disintossicarsi dall’alcol» comincia a girarmi la testa. Russel sotto il tavolo intreccia la sua mano alla mia stringendola «E sembra anche che abbia tentato il suicidio quando lui l’ha lasciata, ma…» 
Matt la zittisce con una mano «Ma niente, il lieto fine non esiste per tutti in una relazione clandestina, qualcuno finisce sempre per soffrire» bruscamente mi libero dalla stretta di Russel, lui si volta guardandomi allarmato ma io distolgo subito lo sguardo. 
Sento una fitta alla mano ferita, non mi ero resa conto di averla chiusa a pugno.
«Torno subito» dico alzandomi. 
Entro in casa e corro a chiudermi in bagno. 
Ma in che situazione sono andata a cacciarmi, ho un mezzo fidanzato lontano e un mezzo amante vicino, sono forse impazzita completamente? Matt ha ragione, non si  può costruire la propria felicità sull’infelicità degli altri. 
Poi cos’è che veramente provo per Russel? Mi piacciono le sue attenzioni, quando mi stringe tra le braccia sento che niente e nessuno potrebbe farmi del male, se mi sorride non riesco a fare nessun ragionamento coerente e finisco sempre col perdermi nei suoi occhi che sembrano illuminarsi, quando mi tocca risveglia in me il desiderio ormai sopito da mesi, e quando mi bacia il tempo sembra fermarsi e in quei momenti non esiste niente tranne che lui. Ma tutto questo è solo dovuto a una forte attrazione fisica, credo. 
Gli chiederò scusa per il mio comportamento scellerato e gli dirò che quello che è successo tra noi è stato un madornale errore. Sì, è la cosa giusta da fare, in fondo ci siamo solo scambiati qualche bacetto innocente. 
Ma se sono davvero convinta che non vederlo più è l’unica decisione che posso prendere, perché mi sento come se mi avessero tagliato un arto? Come se pur sapendo che non farà mai più parte di me sapessi fin d’ora che ne percepirò la presenza per sempre. 
«Sono una stupida!» grido sedendomi sul water e appoggiando le mani in grembo. 
Una macchia di sangue sopra il palmo fasciato attira la mia attenzione «Cazzo!» sollevo la mano per guardarla meglio «No, cazzo no» ripeto guardando la macchia che si allarga velocemente, se la vedessero Luca e Brian mi porterebbero subito in ospedale per farmi mettere i punti. 
Apro tutti i mobili per cercare una benda pulita per cambiarla ma trovo solo prodotti per la pulizia «Merda!» mi avvicino alla porta per uscire e andare a vedere in quelli al piano di sopra, ma appena giro la chiave Russel entra dentro spingendomi contro la parete «Non starai ad ascoltare quell’idiota vero?» mette le mani ai lati della mia testa e avvicina il viso al mio spostando lo sguardo follemente da un mio occhio all’altro. 
«Russel, non è il momento, potrebbero vederci» tengo il palmo fasciato appoggiato al muro per nasconderglielo, mentre con l’altra mano cerco di spingerlo indietro premendogliela sul petto.
«Me ne frego se ci vedono. Quello stronzo non parlerebbe come ha fatto poco fa se rivolgessi a lui le tue attenzioni, è solo geloso marcio» 
Mi sfrego la fronte con il dorso della mano «Matt non sa niente di noi, sono sicura che ha parlato senza nessun secondo fine» dico abbassando lo sguardo.
«Lo spero per lui» sibila a denti stretti.
«E in ogni caso ha ragione» sussurro, e lui mi stringe una spalla.
«Ehi, guardami. Tu mi piaci, e non m’interessa cosa pensa un idiota che ancora non ha superato il trauma d’aver beccato due giorni prima delle nozze la fidanzata a letto con il testimone» per quanto sia dispiaciuta per quello che mi ha rivelato di Matt, l’unica cosa che ho sentito veramente è quello che ha detto un attimo prima.
«Russel, non possiamo non tener conto della mia situazione» dico sentendomi invasa dallo sconforto.
«Vuoi che parliamo della tua situazione? Okay. Se tu sei venuta a Los Angeles, e se è vero che non sai, né quando, né se tornerai in Italia, non è forse perché tra te e… e quel tuo uomo le cose non vanno affatto bene?» annuisco.
«Non è così semplice come può sembrare, lui non sa niente dei miei dubbi. La situazione che si è creata tra me e Dario è complicata, ma comunque noi stiamo ancora insieme e i discorsi di prima mi hanno fatto sentire sporca, e io non voglio sentirmi così» 
Portando una mano dietro il mio collo mi spinge il viso verso il suo e unisce le nostre labbra «Ora ti senti sporca?» domanda sussurrando sopra la mia bocca e guardandomi negli occhi. Nego con il capo «E come ti senti?» chiede dopo avermi dato un altro bacio.
«Bene, mi sento bene» forza le mie labbra dischiudendole e cerca la mia lingua. 
Quando si stacca mi chiede «E ora?» sospiro.
«Desiderata» bacia il mio collo risalendo lentamente fin dietro l’orecchio.
«E ora?» la sua voce sempre più roca e bassa, a un soffio dal mio orecchio, mi fa sentire i brividi ovunque.
Non posso trattenermi dal dirgli la verità «Eccitata» confesso circondandogli il collo con un braccio e attirandolo contro la mia bocca. 
«Non c’è assolutamente niente di sporco in questo» dice un attimo prima di baciarmi con trasporto, facendomi sentire quanto anche il suo corpo sia nella stessa situazione del mio. E mi ritrovo di nuovo a desiderare che il tempo si possa fermare per continuare all’infinito a riempirmi del suo sapore. 
«Ora però è meglio se usciamo da qui» dico staccandomi contro voglia dalle sue labbra.
«Vai prima tu» dice premendo un’ultima volta il bacino contro di me. 
Mi schiarisco la voce «Okay» scivolo sotto al suo braccio e vado verso la porta, però non faccio in tempo ad aprirla perché mi blocca il polso facendomi voltare verso di lui «Russel, dobbiamo tornar…» gira la mia mano fasciata. Cazzo, mi ero scordata della ferita, e ormai la benda sul palmo è completamente macchiata di sangue, come le piastrelle dove la tenevo appoggiata.
«Non è niente, ora cambio la benda» gli dico quando mi lascia andare. 
Apre la porta senza dirmi niente e si dirige verso la terrazza. È stato più facile di quello che pensavo. 
Vado verso le scale per cercare una benda al piano di sopra, ma appena metto un piede sul primo scalino sento la voce di Brian alle mie spalle «Rebecca, fammi vedere» dietro di lui Russel mi guarda furente, sentendomi tradita lo ripago con lo stesso sguardo. Appoggio la mano al petto e la copro con l’altra serrando le labbra.
«Dai, Reb, lascia che Brian gli dia un’occhiata» interviene Luca arrivandomi di fronte. 
Lancio un altro sguardo carico di rabbia a Russel e abbasso la mano, Brian ci posa appena sopra lo sguardo, poi si rivolge a Meg al suo fianco «Mi prendi la valigetta nell’ingresso per favore?» poi a me «Sediamoci là» dice indicando il tavolo della cucina. 
Lo seguo rincuorata, pensavo che mi avrebbero trascinata subito in ospedale, se invece vuole vedere lui la ferita al massimo mi metterà dei nuovi cerotti. 
Russel tira indietro la sedia di fronte a quella dove è Brian e mi fa cenno di sedermi, poi prende posto in quella al mio fianco, davanti al lui si siede Luca. Meg aiuta Brian a tirare fuori l’occorrente dalla sua borsa stendono prima un telo blu sul tavolo, lui ci mette sopra un paio di forbici, garze, disinfettante, una benda, pinze, un confezione piccola e quadrata di non so cosa, e un sacchettino trasparente con dentro degli aghi arcuati di diverse misure.
«No cazzo!» esclamo spingendo in dietro la sedia per alzarmi, ma Russel trattenendomi con una mano sopra la spalla non mi fa sollevare il sedere di un solo centimetro «Non crederai mica di riuscire a tenermi vero? Non credo che Brian potrà ricucirmi se non sto immobile, e io non ho nessuna intenzione di facilitargli il compito» gli dico sfidandolo. Per niente intimorito dalle mie parole, appoggia le mani sul tavolo e si scambia un’occhiata con Luca «Luca, ti prego» lo imploro con voce rotta mentre Brian infila i guanti in lattice e poi tira fuori dalla valigetta una siringa.
«Con questa non sentirai niente» fisso l’ago sentendo lo stomaco che tenta di far risalire tutto ciò che ho appena mangiato.
«Voi non capite, io ho una vera fobia per gli aghi, sicuramente sverrò, e potrei anche vomitare tutto il pranzo» cerco d’impietosirli dicendo loro quella che poi è semplicemente la verità. 
Brian appoggia la mano coperta dal guanto sopra al telo blu «Intanto fammi vedere la ferita» dice guardandomi paziente e tendendomi il palmo. Tesa da capo a piedi appoggio la mano sopra la sua. 
Quando taglia la benda sgrano gli occhi aspettando che scopra le mie ferite, ma non faccio in tempo a vederle, perché sentendomi sfiorare il viso mi volto verso Russel «Non guardare, e se puoi prova a pensare ad altro» dice sorridendo e tenendomi la mano sopra la guancia mentre intreccia l’altra alla mia, io la stringo quando sento dolore, credo che Brian stia staccando i cerotti. 
Mi concentro solo sugli occhi di Russel, in questo momento pieni di dolcezza, scandagliando con attenzione tutte le loro sfumature turchesi. E lui non li sposta dai miei nemmeno per un attimo, non guarda le ferite, non presta la minima attenzione a cosa sta facendo Brian, non si cura degli altri intorno a noi, mi sorride stringendo la mia mano e continua ad accarezzarmi la guancia come se ci fossimo solo noi due. 
Sento la ferita bruciare mentre Brian la tampona con una garza. Abbasso la testa e appoggio il viso sopra il piano di cristallo del tavolo, al contatto con la superficie fresca sento un po’ di sollievo dalla nausea. Stritolo la mano di Russel quando sento scartare, chiudo gli occhi cercando di scacciare l’immagine della siringa che si è materializzata nella mia mente, al pensiero che sta per entrare nella mia carne mi sento improvvisamente pesante e con la mente annebbiata. 
Russel appoggia la mano sopra la mia testa muovendola lentamente. Un moto di rabbia mi assale e spalanco gli occhi «La odio» sbotto con Russel.
«Anch’io» risponde capendo al volo che sto parlando di Helen.
«La prossima volta non sarò così stupida da dirle di lasciarmi in pace, glielo farò capire direttamente con i fatti» 
Russel accenna un sorriso «Ah sì? E che vorresti fare? Lanciarle una racchetta da ping pong?» chiede. 
Rispondo affinando lo sguardo «Mi hai dato un’idea. Ne voglio una personalizzata da portarmi sempre in bor… cazzo!» il mio respiro si spezza quando sento la puntura. Serro le dita attorno a quelle di Russel fino a farmi male e lui avvicina alle labbra le nostre mani intrecciate baciando il dorso della mia. 
La novocaina spinta dalla siringa sotto la mia pelle brucia terribilmente, forse anche più del normale a causa della lesione così vicina. Sento un’altra puntura dall’altro lato della ferita e una singola lacrima riesce a superare la barriera delle mie palpebre strette, Russel sposta la mano da sopra la mia testa per asciugarla.
«Te la regalo io, però devi dirmi come devo farla personalizzare» riapro gli occhi e vedo che ancora sorride. 
«Non lo so, in questo momento non mi viene in mente niente, fai tu» la mano inizia lentamente a intorpidirsi.
«Okay, proverò a stupirti. E ricordati che quando starai bene voglio la rivincita» dice.
Riesco ad accennare un sorriso anch’io «Non oserai sfidarmi ancora? Ti sei per caso scordato com’è finita l’ultima volta?» ancora il rumore di qualcosa che viene scartato, e questa volta non ho il minimo dubbio su cosa sia, mi ci gioco la mano (ah ah), che Brian sta preparando ago e filo. Infatti «Rebecca, ora non muoverti per nessun motivo» annuisco serrando i denti.
«Certo che mi ricordo com’è finita, ma adoro il lampo che attraversa i tuoi occhi quando vieni sfidata» dice Russel per distrarmi, e forse non solo per questo. 
Davvero stiamo tubando come due adolescenti davanti a tutti gli altri? E com’è che sono talmente ammaliata dallo sguardo e dalle parole di Russel da riuscire a fregarmene completamente? La risposta che elabora la mia mente mi spaventa molto di più di tutti gli aghi del mondo, la scaccio con un movimento brusco della testa. 
Rimango immobile con gli occhi in quelli di Russel, anche se non sento dolore non posso fare a meno d’immaginare l’ago che passa attraverso la mia pelle cucendola come se fosse stoffa. Stringo i denti e, con una pazienza che non pensavo d’avere, aspetto che Brian abbia finito di fare un bel ricamino con filo da sutura sopra la mia mano. 
«Ti ho messo quattro punti, con questi potrai muovere la mano quanto vorrai. Tra otto giorni li toglieremo. Ora ti rimetto la benda» chiudo gli occhi, finalmente posso rilassarmi.
«Hai visto che non è stato così terribile» afferma Russel «Come hai fatto quando te li hanno messi qui?» chiede sfiorandomi la cicatrice sulla fronte.
«Non ero cosciente quando li hanno messi, mi sono svegliata la mattina che già c’erano. Però ricordo bene quando li hanno tolti e sinceramente non mi è piaciuto molto» dico facendo una smorfia.
«Ora non pensare a quando dovrai toglierli» muovo la testa contro la sua mano e lui mi accarezza con la punta delle dita.
«Fatto» dice Brian. Sollevo la testa e mi giro verso di lui.
Meg raduna in fretta i lembi del telo blu coprendomi alla vista tutto ciò che ha usato Brian «Stai bene?» mi chiede.
«Sì. Posso avere dell’acqua?» Luca si alza e torna con un bicchiere, lascio la mano di Russel per prenderlo e mentre bevo mi guardo intorno. Peter, George, Hanna e Tracy sono in terrazza seduti a tavola. Karen e Matt invece sono poco distanti da noi, lei mi sorride teneramente, mentre lui, appoggiato a una delle grandi colonne che sorreggono il soppalco, mi guarda serio con le labbra contratte, i suoi occhi nocciola che ho sempre percepito dolci e rassicuranti ora mi comunicano rabbia e risentimento. Stacca le spalle dalla colonna, e per un attimo mi sembra che voglia lanciarsi contro di me, spaventata indietreggio sbattendo contro lo schienale della sedia, ma invece lui aggira la colonna ed esce in fretta in terrazza. Russel, che si è accorto della mia stupida reazione, mi prende il mento e gira il mio viso verso di sé «Ehi, ricordati quello che ti ho detto prima» sospiro e annuisco mentre mi accarezza, poi contrae la mascella spostando lo sguardo verso la portafinestra.  
«Luca, posso andare a stendermi?» chiedo alzandomi.
«Certo, vai pure in camera mia»
Russel al mio fianco si alza, so che vorrebbe accompagnarmi di sopra, ma io ora ho bisogno di parlare con qualcun altro «Meg, mi accompagni per favore?» lei sembra meravigliata, ma comunque mi accontenta.
 
Ci stendiamo nel letto una di fronte all’altra «La mano ti fa male?» mi chiede. 
«Te lo dirò quando sarà finito l’effetto dell’anestetico» guardo la benda «È tanto orribile?» le chiedo.
«Fred Krueger non avrebbe saputo fare di meglio» sposto gli occhi su di lei e contagiata dalla sua risata che irrompe all’improvviso scoppio a ridere anch’io. 
Quando smette di ridere dice «Mi sa che ho cambiato idea» la guardo interrogativa «Riguardo alla storia di Russel e delle tue mutande» mi spiega.
«Parla piano, questa casa è senza pareti lo sai» l’ammonisco.
«Forse dovresti dargli una possibilità, è chiaro che prova qualcosa per te e non credo sia una semplice infatuazione, e dal modo in cui ti sei rilassata mentre ti parlava e ti accarezzava, ho capito che anche lui non ti è del tutto indifferente. Se un uomo mi guardasse come ha fatto lui con te per tutto il tempo della medicazione, mi procurerei una ferita a settimana da sola» assottiglio gli occhi «Beh, non grave come la tua ovviamente» 
Sospiro «Pensi… pensi che anche gli altri abbiano capito che tra me e Russel c’è qualcosa?» 
Lei solleva un sopracciglio muovendo il capo con fare ovvio «Non i ragazzi che sono rimasti ad aspettare in terrazza, ma quelli che stavano intorno al tavolo temo proprio di sì» mi passo una mano sulla faccia «Aspettati a breve un assalto da Luca. Non gli ho visto fare tante espressioni incredule nemmeno quella volta che è schizzato fuori dal suo ufficio bianco come un cadavere, balbettando che aveva lasciato lì dentro la signora Clark perché era uscita dal paravento nuda come mamma l’ha fatta, invece che indossando l’abito che doveva provare» l’innata ironia di Meg in questo momento non riesce a strapparmi il sorriso come invece succede solitamente.
«E cosa dovrei fare con Dario? Tra un mese lui verrà qui, e cosa dovrei dirgli: “Sai non l’avevo previsto, ma mentre cercavo di chiarirmi le idee riguardo a noi due ho conosciuto un altro uomo, e mi dispiace immensamente ma non ho resistito alla tentazione“. Ho già fatto degli errori con lui non posso fargli anche questo» piagnucolo.
«Non c’è bisogno che lui venga a saperlo» afferma tranquillamente.
«Meg, ma cosa stai dicendo?» chiedo sollevando la testa dal cuscino.
«L’hai ammesso in questo momento di non essere sicura del vostro rapporto, e da tempo mi domandavo quando finalmente me lo avresti detto, e forse Russel ti aiuterà a capire cos’è che vuoi veramente» 
Nego con il capo «Questo significa usare le persone» dico distogliendo lo sguardo dal suo.
«Reb, tutti usiamo gli altri in un modo o nell’altro e a nostra volta veniamo usati, la differenza sta solo nel rendersene conto o no. Spiegami perché dovresti rinunciare a stare con Russel se questo ti fa star bene?» chiede bloccandomi il mento tra due dita per alzarlo e guardarmi negli occhi.
«Perché rischierei di far del male a Dario, è ovvio» rispondo.
«Quindi per non far star male lui preferisci rinunciare e star male te?» capisco perfettamente cosa sta dicendo, e sono anche d’accordo con lei, ma chi mi garantisce che non finirò per soffrire lo stesso? «Pensaci, Reb, ma ascolta il mio consiglio, buttati e non farti scappare la possibilità di essere felice, che sia per un solo giorno, un mese, un anno, per il resto della tua vita, non ha importanza, prendi tutto ciò che Russel può darti se ti fa star bene» 
Mi giro a guardare il soffitto «Meg?» la chiamo voltando la testa verso di lei.
«Uhm?» risponde subito.
«È avanzato un po’ di cheesecake?» le chiedo. 
Con un balzo scende dal letto «Vado a vedere, se ce n’è ancora te ne porto una fetta» 
Mi metto su un fianco e chiudo gli occhi «Grazie» le dico mentre si allontana.
 
Mentre aspetto che torni Meg ripenso alle sue parole. Posso davvero gettarmi tra le braccia di Russel senza pensare alle conseguenze? Lasciami totalmente andare con lui e nello stesso tempo cercare di capire cosa voglio da Dario? Il problema è che più si avvicina il giorno in cui ci rivedremo, e più comprendo che la mia decisione non arriverà mai prima di quando l’avrò nuovamente di fronte. La verità mi si prospetterà davanti solo quando potrò guardarlo negli occhi e aprirgli finalmente il mio cuore, nel bene e nel male.
Quando gli racconterò che quel giorno se il furgone non mi fosse venuto addosso, avrei proseguito fino ad arrivare a casa sua per dirgli la verità e poi lasciarlo, probabilmente sarà lui a non volermi più vedere. E se nel frattempo avessi rinunciato anche a Russel, sono sicura che non mi pentirei di averlo fatto?
Sento i passi di Meg alle mie spalle «Sai, Meg, non ti ho mai detto che al momento dell’incidente stavo andando a casa di Dario per lasciarlo, e che avevo deciso di farlo perché…» sentendo il rumore di un piatto che viene appoggiato sopra al comodino mi volto «Russel» dico in imbarazzo vedendolo in piedi accanto al letto «Credevo fosse Meg» mi affretto a dire mentre mi tiro su sedendomi.
«Mi ha chiesto di portarti il dolce» certo, dovevo immaginarlo che non avrebbe perso l’occasione di farmi stare un po’ sola con Russel «Posso sapere anch’io cos’è che le stavi dicendo?» chiede sedendosi sul bordo del letto.
«Prima che scendesse avevamo lasciato un discorso a metà, ma non era niente d’importante» 
Sospira «Vorrei che riuscissi ad aprirti con me come fai con lei e con Luca» dice dispiaciuto.
«Forse un giorno lo farò» accompagno le mie parole con un sorriso.
«Allora aspetterò» sorride anche lui accarezzandomi una guancia. 
Ora però c’è un’altra questione che mi preme «Pensi che Matt sia molto arrabbiato con me?» gli chiedo, lui nega con il capo.
«Non è arrabbiato con te, ma con me. Mi ritiene responsabile per la tua mano, e poi credo che averci visti prima abbia urtato parecchio i suoi nervi facendo schizzare la sua gelosia a livelli patologici» 
Rido «Russel, non dire cazzate. Matt non prova nessun interesse per me. Comincio a pensare che quello che ha qualcosa di patologico qua dentro…» premo l’indice sulla sua fronte «sia tu» 
Si avvicina con sguardo ammaliante «Oh, ma io non ho nessun problema ad ammettere di essere geloso della mia Sirenetta» 
Tiro indietro la testa «Tu sei geloso… di me?» 
Annuisce avanzando verso le mie labbra «Sono geloso del rapporto che hai con Luca, sono geloso di Meg perché riesce sempre a farti ridere, vorrei staccare la testa al mollusco ogni volta che posa gli occhi su di te, e odio profondamente ogni uomo che ti ha anche solo sfiorata» conclude baciandomi con talmente tanto impeto da trovarmi impreparata. 
Mi stacco dalle sue labbra e sussurro «Stavi scherzando, vero?» 
Sorride sulla mia bocca «Forse sì, o forse no» riprendiamo a baciarci, e ringrazio di essere a casa di Luca, perché il suo petto appoggiato al mio e la sua mano che stringe il mio fianco, mi fanno desiderare di strappargli i vestiti di dosso riservando subito dopo lo stesso trattamento ai miei. 
«Non mi avevi portato una fetta di torta?» cerco di distrarlo per riprendere il controllo.
«Sì» risponde continuando a baciarmi la clavicola, poi sale e sposta con le labbra le spalline del vestito e del reggiseno. Morde la mia spalla, il collo, poi mi prende il viso tra le mani baciandomi ancora «Okay, è meglio se mi do una calmata» dice tirandomi su lo spallino del reggiseno, mi aspetto di sentire di nuovo le sue mani che mi sfiorano per rimettere a posto anche quello del vestito, invece si ferma e mi guarda «Tu sei malefica» afferma assottigliando lo sguardo e spostandolo sulla mia spalla. 
Vedendo la striscia di tessuto nera con i fiori rossi disegnati sopra capisco di cosa sta parlando «È che è uno dei miei preferiti» mi giustifico riferendomi al completo intimo che mi aveva suggerito d’indossare.
«Altro che Sirenetta, tu sei peggio di Crudelia De Mon» dice tirando su lo spallino dell’abito.
«Ma piantala!» esclamo ridendo e spingendolo lontano «E ora scusa, ma ho un appuntamento galante con il mio dolce preferito» dico prendendo il piatto dal comodino. 
Butto giù il primo boccone e gli chiedo «Quindi inizierai a settembre a girare il tuo film?» annuisce.
«Certo che la trama è, come dire…» muovo la forchetta non riuscendo a terminare la frase perché sto pensando che è perfettamente indicata per quello che sta succedendo tra noi. 
Lui si passa una mano tra i capelli e abbassa lo sguardo «Prima ho detto una cazzata, non è quella la trama. Scusa, non volevo metterti in imbarazzo, non so perché mi sia venuta fuori quella storia» forse perché volevi lanciarmi un messaggio? Ma non lo dico.
«Non hai ancora firmato il contratto?» chiedo continuando a mangiare il cheesecake e lasciando passare con indifferenza quello che mi ha appena detto cambiando in fretta discorso.
«Sì sì, l’ho firmato» 
Mi fermo con la forchetta a mezz’aria «E allora perché non hai raccontato la vera trama?» 
Mi sorride rivelando lo spicchio di luna «Perché ti avevo promesso che saresti stata la prima a saperla, piccola Crudelia» dice raccogliendo della crema dal piatto e mettendomela sulla punta del naso.
«Oh!» esclamo sgranando gli occhi. 
 
Credo che Russel abbia ragione a proposito di Matt, quando siamo scesi di sotto non sembrava affatto arrabbiato con me, mi è venuto incontro chiedendomi come stavo e se doveva riaccompagnarmi a casa. Russel l’ha liquidato al posto mio chiedendo a Luca di prestargli la sua macchina per passare indisturbati davanti ai fotografi e riportarmi a casa lui. 
Siamo stati fino a tardi a coccolarci sul divano, e quando le coccole si stavano trasformando in qualcosa di più, d’accordo entrambi, forse io più di lui, abbiamo ritenuto fosse meglio fermarci e andare a letto, ovviamente ciascuno nel proprio. 
Se n’è andato da poco meno di mezz’ora e ho già ricevuto tre messaggi suoi, nell’ultimo c’era scritto: “Buonanotte, piccola Crudelia”.
 
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Capitolo 15
*** Cap. 15 - Forma e sostanza ***


CAP. 15 - FORMA E SOSTANZA
 
Decidi: cosa, come, quando.
Comodo ma come dire poca soddisfazione,
soddisfazione Signore.
 
Ventiquattromilapensierialsecondofluisconoinarrestabili
alimentando voglie e necessità.
Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m’aspetta.
 
C.S.I.
 
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Lunedì 25 Giugno 2012
 
Come avevo previsto, Luca appena è arrivato non ha nemmeno messo il naso nel suo ufficio, è entrato direttamente nel mio e dopo aver chiuso la porta si è seduto di fronte alla mia scrivania. 
E ora sembra incerto con quale delle tante domande che gli ronzano in testa cominciare l’interrogatorio. Forse dovrei voltare la lampada e puntarmela sul viso, sarebbe tutto molto più realistico. 
«Per prima cosa voglio sapere da quant’è che tu e Russel vi vedete di nascosto» dice incrociando le braccia in grembo. 
«Noi non ci vediamo di nascosto!» sbotto raddrizzandomi sulla sedia. 
«Ah no? E perché non me l’hai detto allora?» allunga il collo verso di me spalancando gli occhioni neri. 
«Da un paio di settimane» rispondo rassegnata. Con Luca non posso spuntarla.  
«Anche il sabato che eravamo da Peter? Lui se n’è andato per stare con te?» chiede esaminandomi attentamente.  
«Sì, ma non è che avevamo organizzato niente. Io davvero quel giorno non volevo uscire. Poi mi ha chiamata e ha deciso di venire a prendermi per andare a cena da lui» rispondo a disagio.
«Quindi Helen ha detto la verità dicendo di avervi visti uscire da casa sua?» se uno più uno fa sempre due.
«Sì» soffio a denti stretti espirando.
«E Mary, anche lei non mentiva dicendo che al mare avete dormito insieme?» il suo tono è di rimprovero. 
«No, non mentiva» ammetto. 
«Cazzo, lo sapevo che quelle due non potevano essere così brave a recitare» afferma parlando a se stesso e muovendosi nervosamente sopra la poltrona.
«Ma non è come pensi, io stavo facendo uno dei miei incubi e lui mi ha sentita ed è entrato in camera mia, poi è rimasto a dormire con me. Ma non abbiamo fatto nient’altro» mi affretto a dire.
«Mi stai forse dicendo che non ci sei mai andata a letto?» lo guardo perplessa, gli ho appena detto d’aver dormito con lui «Per scopare intendo» aggiunge subito dopo. 
«No! Io e lui non abbiamo mai fatto sesso insieme» anche se ci andiamo vicino ogni volta che ci sfioriamo. 
«Ma pensi che succederà?» chiede aggrottando le sopracciglia.
«Luca, non lo so» abbasso lo sguardo. 
«E allora cos’erano tutte quelle smancerie ieri? Cosa c’è tra voi?» il suo tono si è addolcito.
«Non so nemmeno questo. So solo che stiamo bene insieme» dico scrollando le spalle.
«Hai intenzione di continuare a frequentarlo?» chiede rilassandosi sulla poltrona.
«Penso proprio di sì» rispondo rigirandomi una penna nella mano.
«Quindi hai deciso di lasciare Dario?» non rispondo.
«Reb, non vorrai mica dirmi che vuoi farti l’amante?» scatta in avanti appoggiano le braccia sopra la scrivania.
«Io non voglio fare proprio niente. Non ho certo deciso a tavolino di conoscere Russel e tradire Dario con lui» che giustificazione patetica mi è uscita fuori.
«Però è quello che stai facendo» dice indicandomi con la mano.
«Vuoi farmi la predica proprio tu? Devo farti l’elenco di tutte le donne sposate o fidanzate che ti sei portato a letto da quando ti conosco per rinfrescarti la memoria?» domando pungente.
«Non è la stessa cosa» risponde a tono.
«Certo, quando si tratta degli altri non è mai la stessa cosa» affermo scuotendo la testa.
«Non stiamo parlando degli altri, ma di te Reb. Rischi di uscirne distrutta se non sarai in grado di gestire la situazione» stringo la penna e sbatto la punta contro il blocco che uso per prendere gli appunti. 
«Beh, ho deciso di correre il rischio» dico sporgendomi verso di lui.
«E hai pensato che Russel non è propriamente un impiegato di banca e che la stampa ti sta già cercando? Vuoi che Dario scopra di voi due aprendo un giornale o leggendo qualche trafiletto di gossip su internet?» chiede coprendo con una mano la mia che stringe ancora la penna conficcata nel blocco.  
«Faremo attenzione, e poi in Europa nessuno lo conosce» spazientita lancio la penna sopra la scrivania.
«Ancora per poco, visto che a breve inizierà la promozione del suo nuovo film anche là» ribatte prontamente.
«Sono sicura che quando succederà noi non ci staremo più frequentando già da un pezzo» dico ravvivandomi i capelli con un gesto rapido, come se mi volessi scrollare dalla testa le sue parole. 
«E a Helen hai pensato? Sei sicura di voler scatenare ancora la sua ira contro di te?» chiede accigliato.   
«Non credo che mi darà ancora fastidio, penso che Russel l’abbia convita a lasciarmi in pace» almeno spero.
«Augurati che sia vero, perché la prossima volta che ti si avvicina giuro che stacco la testa sia a lui che a lei» dice puntando un dito sopra il vetro della scrivania, e io non dubito un solo istante che non lo farebbe per davvero.
«Un’ultima cosa poi ti lascio in pace. Perché avete litigato quella sera a casa mia?» mi stavo proprio chiedendo quando sarebbe arrivata questa domanda.
«Lui pensava che venissi a letto con te» se quella sera qualcuno mi avesse detto quanto le cose sarebbero cambiate tra me e Russel, avrei riso fino quasi a morirne, e se dopo mi fosse rimasto ancora un po’ di fiato, avrei dichiarato d’aver sentito la più grande cazzata del secolo.
«E quindi? Anche se fosse stato vero quel era il problema?» chiede meravigliato. 
«Credeva che io soffrissi a vederti con le altre, e cercava di convincermi a lasciarti perdere» diventa improvvisamente serio, e dopo aver raccolto la penna che ho lanciato tra noi la stringe guardando fuori dalla finestra alle mie spalle. 
«Oh cazzo!» esclama dopo qualche secondo spostando gli occhi stralunati su di me. 
«Già gli piacevi ed era geloso» non avevo pensato che le parole di Russel di quella sera potessero celare un interesse nei miei confronti.
«Dici che è per questo motivo se mi ha parlato in quel modo?» chiedo sbalordita almeno quanto lui.
«Altroché. Reb, pensa con molta attenzione a quello che stai facendo, e se davvero vuoi rischiare d'incasinarti ancora di più la vita, perché temo che Russel abbia preso una bella sbandata per te» dice, e io mi sento come contagiata dalla preoccupazione che leggo nei suoi occhi, pensando che forse tutte le cazzate che ho fatto fino a oggi, saranno niente in confronto a quella che farò se continuo a vedermi con Russel. 
Poi però penso ai suoi enormi occhi turchesi, al piccolo spicchio di luna, alle sue braccia rassicuranti, alla sua vicinanza che allevia il mio dolore fin quasi a farlo scomparire totalmente, e mi dico che lui è tutto ciò che mi serve in questo momento, e non voglio rinunciavi, non ora che mi sembra di cominciare di nuovo a star bene.  
 
**
 
Martedì 26 Giugno 2012
 
Meg entra nel mio ufficio insieme a Russel «Allora torni a casa con lui?» mi chiede.
«Sì Meg» 
Saluta con la mano uscendo «Buona serata» e se ne va.
«Scusa se ti ho fatto aspettare» dico a Russel mentre chiudo il computer. 
Con Meg sono rimasta fino a tardi con un cliente indeciso su quale abito scegliere per partecipare a un galà di beneficienza. Si è fatta quasi l’ora di cena, e mi sa che io e Russel siamo gli unici ancora presenti in tutto lo showroom.
«Che fai?» gli chiedo vedendo che chiude la porta.
«Ti do la possibilità di farti perdonare per avermi fatto aspettare quasi un’ora» dice avvicinandosi lentamente alla mia scrivania. 
«E cosa avresti in mente?» chiedo maliziosa accomodandomi con le spalle alla poltrona.
«Vedrò di farmi bastare qualche bacio» mi gira verso di sé prendendomi la mano. Mi guida verso il divano, e dopo essersi seduto mi trascina sopra le sue gambe facendomi accomodare di lato. 
«Finalmente» dice prima di assalirmi con le labbra. Iniziamo con baci dolci, quasi casti, ma in fretta diventano frenetici e le sue mani si spostano veloci sul mio corpo, avvicinandosi sempre di più alle zone che fino a ieri ha evitato con attenzione.
«Russel… fermati» blocco la sua mano che sotto la gonna sta salendo pericolosamente, mentre per l’altra che ha infilato sotto la mia camicetta, e che scorre sulla mia schiena, non posso far niente. Cerco di attirare la sua attenzione, mentre con il viso affondato tra i miei seni spinge di lato lo scollo, dopo essere riuscito, non so in che modo, ad aprire due bottoni senza usare le dita, fino a scoprire il bordo del mio reggiseno. Ma non c’è la minima possibilità che io riesca a convincerlo se gli parlo con voce vibrante d’eccitazione, perché ogni volta che ci baciamo e che mi tocca è così che mi sento. Allora decido di usare le maniere forti, e di dirgli quello che so lo farà sicuramente desistere dall’esplorazione che sta mettendo in atto. 
Appoggio una mano sopra la sua nuca e lo chiamo dolcemente «Russel» sussurro stringendo tra le dita i suoi capelli «Sto morendo di fame» dico alzando leggermente il tono della voce, e come previsto solleva subito il viso inclinando la testa indietro per guardarmi, e io la tengo in una mano con delicatezza, come se fosse quella di un neonato. E ora chi impedirà a me di saltargli addosso? Ha gli occhi sognanti e lucidi, e le labbra rosse e turgide sono maledettamente invitanti. 
Mi mordo l’interno di una guancia, e prima di cambiare idea do il mio affondo «A pranzo ho mangiato solo un tramezzino e se non metto subito qualcosa sotto ai denti rischio di svenire» dico imbronciata.
«Certo, andiamo subito» circonda il mio viso tra le mani dandomi un ultimo bacio, poi riabbottona la mia camicetta, sorrido quando vedo che chiude due bottoni in più rispetto a come la porto di solito.
Sono un genio, penso mentre stringendomi la mano mi trascina per il corridoio per raggiungere l’ascensore e scendere di sotto nel parcheggio.
«E questa da chi te la sei fatta prestare?» chiedo mentre ci avviciniamo alla macchina che si è aperta quando ha premuto sopra il telecomando.
«Da nessuno, l’ho presa a noleggio. La terrò fino a che i fotografi non capiranno il trucco» mortificata per tutto quello che è costretto a fare per colpa mia, salgo in auto in silenzio.
Quando capisco che non stiamo andando a casa mia, e nemmeno verso la sua, mi sporgo sul sedile per guardarlo «Dove mi stai portando?» chiedo leggendo il cartello Melrose Avenue.
«Siamo arrivati» risponde indicando l’insegna di un locale.
«Davvero mi stai portando a cena in un’osteria?» gli chiedo pensando che ci vuole una certo dose di coraggio per portare un’italiana a mangiare piatti della propria terra in America. Annuisce mentre entriamo con l’auto nel retro dell’edificio. 
Poi preoccupata che qualcuno possa riconoscerlo chiedo «Non sarà troppo rischioso andarcene a giro così?» 
«Questo è il ristorante di quel mio amico che mi ha dato la sua auto per venire da te. Stai tranquilla nessuno ci disturberà. E poi voglio il tuo parere sulla loro cucina» dice facendomi l’occhiolino.
 
E in effetti aveva ragione. Siamo entrati dal retro, e senza farci attraversare la sala principale ci hanno condotto in un angolo defilato rispetto agli altri, il nostro tavolo è coperto da un paravento, e nessuno ci ha notati. 
«Questa crema al mascarpone è fantastica» commento portandomi alla bocca il cucchiaio.
«Ti è piaciuta la cena?» mi chiede Russel prendendo un po’ del suo tiramisù.
«Oh sì, i fiori di zucca ripieni erano buonissimi, per non parlare delle lasagne al pesto» 
Lui mi fa un sorriso soddisfatto «Quando dirò a John che un’italiana ha apprezzato la cucina del suo ristorante sarà molto contento» 
Mi pulisco la bocca con il tovagliolo e gli chiedo «Quando inizierà la promozione del tuo film?» le pulci che Luca ha sapientemente messo nel mio orecchio cominciano a far sentire i lori pizzichi.
«Non so di preciso quando, ma non prima della fine dell’anno. Perché?» 
Assumo un’aria indifferente, mentre penso: chissà dove sarò, e soprattutto con chi, in quel periodo. 
«Semplice curiosità» per la prossima domanda dovrò aspettare il momento più adatto. 
«Mi piace molto la trama del tuo prossimo film. Spero solo che il tema della paternità di un ragazzo omosessuale che si trova a dover crescere un figlio da solo verrà affrontato in modo serio, senza ridicoli sentimentalismi o ancor peggio insopportabili luoghi comuni» 
«Ho letto la sceneggiatura e non penso che sarà così. Io invece sono terrorizzato al pensiero di dover lavorare con un bambino così piccolo» confessa.
«Oh ci credo, spaventerebbe anche me» dico fingendo un brivido di freddo.
«Da come ne parli sembra che tu non voglia averne» sorride mentre mi versa da bere.
«Infatti è così» ammetto tranquillamente.
«Davvero non vuoi dei figli?» chiede smettendo di versare il vino nel suo bicchiere per guardarmi.
«Ammetto che fino a qualche anno fa l’idea mi ha sfiorata, ma poi ho capito che fare la mamma non faceva per me. E tu ne vorresti?» giro la domanda a lui per non dover approfondire la mia risposta.
«Non ci ho mai pensato seriamente. Ma penso che se un giorno trovassi la persona giusta, sì, ne vorrei» 
Cerco di deviare la conversazione per condurlo verso la seconda pulce nell’orecchio «Con Helen non ne avete mai parlato? Siete stati insieme abbastanza e immagino che abbaiate affrontato l’argomento» 
Spalanca i suoi splendidi occhi «Con Helen? Stai scherzando? Se le nascesse un figlio sono certo che lo baratterebbe per un paio di Louboutin» 
Scoppio a ridere «Esagerato!» esclamo battendo una mano sopra la sua, e lui ne approfitta per intrecciarle insieme.
«Non sto affatto esagerando. Non avrei mai fatto un figlio con lei. Sono sempre stato molto attento a prendere le dovute precauzioni perché non succedesse nemmeno per sbaglio» 
Questo è il momento giusto per la mia domanda «A proposito di Helen, l’hai più sentita?» chiedo con finta indifferenza.
«Sabato dopo essere uscito da casa tua sono andato da lei. Se temi che possa darti ancora fastidio puoi stare tranquilla, l’ho convinta a lasciarti in pace» 
Lo guardo dubbiosa «Da come continua a starti addosso dopo tutti questi mesi, non vorrei contraddirti, ma sinceramente sono un po’ scettica» 
Mi guarda stringendomi la mano «E fai male. Perché questa volta ho usato tutte le armi a mia disposizione» dice con evidente soddisfazione.
«Quali armi?» chiedo sporgendomi verso di lui.
«L’ho minacciata» 
Spalanco gli occhi «Che vuol dire che l’hai minacciata? In che modo?» non ce lo vedo proprio a fare una cosa del genere, soprattutto a una donna, anche se stronza e assillante come Helen.
«Le ho detto che se non ti sta lontana, rivelerò alcune cose che so di lei» risponde facendomi l’occhiolino.
«Tipo?» oh oh, la signorina Fletcher ha dei segreti, e io muoio dalla curiosità di saperli.
«Per esempio, che quel bel faccino non è tutto merito di madre natura, e che anche qualcos’altro le è stato sistemato in una sala operatoria» come per la maggior parte degli attori di Hollywood, quindi qual è il problema mi domando.
«Ed è bastato così poco?» chiedo.
«Nemmeno immagini quanto la terrorizzi l’idea che questa storia venga fuori, ha addirittura distrutto tutte le foto che aveva di prima delle operazioni» se ha fatto questo, forse servirà davvero per tenermela alla larga. Beh, meglio per lei.
«Vuoi qualcos’altro?» mi chiede.
«Potrei scoppiare» rispondo mettendomi una mano sopra lo stomaco.
«Okay. Vuoi andare a casa?» chiede sorridente, lanciandomi uno sguardo allusivo per farmi capire che ha voglia di stare un po’ solo con me.
«Un attimo solo» dico alzandomi per andare al bagno. 
 
Esco dal bagno, e mentre richiudo la porta mi sento chiamare «Signorina Leoni» raddrizzo la schiena, provando ancora la strana sensazione di essere stata colpita con una frusta.
«Buonasera signor Gordon» dico voltandomi di scatto.
«Allora non mi sbagliavo, era davvero lei dietro al paravento» si avvicina con passo cadenzato senza spostare lo sguardo dai miei occhi.
«Cosa ci fa qui?» chiedo con voce incolore. Mentre aspetto che risponda, mi balena l’idea che possa avermi seguita, e quasi mi sembra di sentire che me ne dà conferma a voce.
«Oh, solo una noiosissima cena di lavoro» dice sollevando gli occhi e muovendo con nonchalance una mano vicino al viso, quella con l’anello. Tiro un sospiro di sollievo, ma vedendo il rubino che sberluccica nel chiarore delle luci soffuse, invogliandomi a strapparglielo dal dito per lanciarlo nell’angolo più buio del ristorante, non mi sento più tanto rincuorata.
«Lei piuttosto, ho visto che è qui per un incontro galante» dice infilando le mani in tasca e osservandomi da capo a piedi. 
Ringrazio mentalmente Russel per avermi richiuso la camicetta praticamente fin sotto al mento.
«No, ma quale incontro galante, sono con un amico» mi affretto a dire, non capendo cos’è che mi spinge a giustificarmi con lui in questo modo. 
Un ghigno esce dalle sue labbra, e sparisce appena posa gli occhi sopra la mia mano fasciata «Che le è successo alla mano?» non c’è apprensione nella sua voce, nemmeno finge di essere veramente interessato, l’ha chiesto come potrebbe chiedermi se mi sono rotta un’unghia.
«Solo un banale incidente» rispondo nascondendola dietro il fianco.
«Ha poi pensato alla mia proposta? Se le piace questo ristorante possiamo venire qui a cena» immaginavo che l’avrebbe detto.
«Signor Gordon, lei è davvero molto gentile, ma come le ho già detto non verrò a cena con lei» dico pacata mentre lui si dondola sui piedi.
«E perché no? Ho notato che ha apprezzato la cucina, vi hanno servito diverse portate e non ho visto uscire dal paravento un solo piatto che non fosse perfettamente pulito» ma che ha passato la serata a guardare cosa e quanto abbiamo mangiato io e Russel? 
«La sua insistenza comincia a infastidirmi» confesso con voce flebile abbassando la testa, e la sua reazione non tarda ad arrivare. Con uno scatto degno del coccodrillo affamato che ha animato alcuni dei miei incubi ultimamente, si avvicina piegandosi su di me per guardarmi a pochi centimetri dal viso. I suoi occhi piccoli e neri sembrano volermi ipnotizzare, li guardo non riuscendo a vedere nient’altro, come se tutto il resto intorno a me si fosse smaterializzato all’improvviso, compreso il corpo di Gordon, e mi trovassi in un universo parallelo dove niente esiste, completamente sola a fissare due carboni ardenti che fluttuano davanti al mio viso.
«E la sua sciocca reticenza invece mi sta facendo perdere tempo e pazienza. Giocare al gatto e il topo con lei comincia a non divertirmi più, e se non mi diverto posso diventare molto intrattabile. La smetta di fare la preziosa con me, lei è troppo intelligente per non sapere che non accadrà mai che sia il topo a vincere contro un gatto affamato» indietreggio sbattendo le spalle contro il muro. Lui raddrizza la schiena e, come se non mi avesse appena minacciata spaventandomi, con voce professionale dice «Partirò domani per un viaggio d’affari di una settimana, al mio rientro prenderò un appuntamento con lei per vedere i completi da golf. Buon proseguimento di serata, signorina Leoni» poi con molta calma si volta per tornare verso la sala. Immobile lo seguo con lo sguardo, e dietro di lui spunta Russel.
«Chi era quello?» chiede quando mi arriva di fronte. 
Rimango in silenzio qualche secondo prima di rispondere «So-lo un cliente che mi ha salutata» la mia voce è appena un sussurro, e non è completamente ferma.
«Sei pallida, ti senti male?» chiede apprensivo accarezzandomi una guancia.
«No no sto bene, forse è il caldo che c’è qui dentro» rispondo passandomi il dorso della mano sopra la fronte fredda, ma comunque imperlata di sudore.
«Usciamo subito allora» dice prendendomi una mano.
«Ma non dovevi andare al bagno?» chiedo correndogli al fianco per mantenere il suo passo.
«No, ero venuto a cercarti perché non tornavi più» per fare più in fretta a uscire, invece di andare nel retro, mi trascina attraverso la sala dirigendosi svelto verso la porta principale, passando davanti al tavolo dove Gordon è seduto con altri due uomini vestiti di tutto punto come lui. Incrocio il suo sguardo, e con la coda dell’occhio vedo che gira la testa per osservarci attentamente mentre usciamo. Stringo la mano di Russel, e con quella ferita mi aggrappo al suo braccio, fino a quando non siamo sul marciapiede e non sento più quei maledetti occhi da coccodrillo addosso.
 
Le parole di Gordon mi hanno spaventata, il suo tono freddo e autoritario mi ha chiarito una volta per tutte che non sta affatto scherzando. Non capisco cosa voglia da me, e perché lo diverta così tanto intimorirmi con le sue continue minacce.
Non credo che a un uomo come lui manchi la compagnia femminile, allora perché insiste così tanto con me? Forse proprio perché continuo a negarmi e lui non sopporta che gli si dica di no. Ma non posso accettare di uscire con lui solo perché smetta d’infastidirmi, anche perché non credo che il suo vero interesse sia la cena, sicuramente punta soprattutto al dopo cena. Un brivido mi scorre lungo la schiena al solo pensiero di essere toccata intimamente da quell’uomo. 
«Sei sicura di star bene?» mi chiede Russel spengendo il motore dell’auto sotto casa mia. Non ho aperto bocca da quando siamo usciti dal ristorante. Sono rimasta immobile accanto a lui per tutto il tragitto, assorta e completamente assente a farmi mille domande sul comportamento di Gordon. 
«Credo solo di avere mangiato troppo, non sono abituata a queste scorpacciate» dico abbassando la testa per guardarmi lo stomaco, pieno come non succedeva da tanto.
«A me fa piacere aver contribuito a riempirti il pancino» dice appoggiandoci una mano sopra.
«E io sono stata molto bene, buona la cucina e ottima la compagnia» rispondo sorridendo. 
Si avvicina «Anch’io sono stato molto bene, ed è solo merito della compagnia» dice prima di baciarmi circondandomi le spalle con un braccio.
«Russel, potrebbero vederci» dico allontanandolo dolcemente. 
Mi lascia un bacio a schiocco e mi guarda negli occhi «Okay, per stasera ti lascio in pace, piccola Crudelia» 
Sorridendo gli chiedo «Com’è che da Sirenetta sono diventata Crudelia?» 
Lo spicchio di luna fa capolino sul suo viso «Da quando mi hai fatto sbirciare dentro al tuo cassetto e non faccio che pensare a tutta quella roba addosso a te» 
Lo spingo con una mano «Io non ti ho fatto sbirciare, sei tu che hai approfittato della mia distrazione per guardarci dentro» dico fintamente indignata.
«Questi sono solo dettagli» dice muovendo una mano.
«E poi Crudelia si metteva addosso solo pellicce, io invece completini di pizzo e seta» affermo seria. 
Affinando lo sguardo si avvicina lentamente al mio viso «Allora vedi che ho ragione a dire che sei peggio di Crudelia De Mon» e infila di prepotenza la lingua tra le mie labbra, facendomi scordare in fretta del rischio di essere visti. 
Appoggio la testa alla sua spalla chiudendo gli occhi «Sei stanca?» chiede baciandomi la testa. 
Annuisco intrecciando una mano con la sua «Scendiamo che ti accompagno» dice.
 
Davanti alla mia porta ci salutiamo con una lunga serie di baci, fino a che ci stacchiamo ed entro in casa. Mentre sto per chiudere la porta, Russel con una mano la blocca. La riapro sorridendo divertita «Credevo fossimo d’accordo di andarcene a letto» non mi risponde, con il braccio teso tiene la mano appoggiata sul legno e a testa bassa guarda il pavimento, rapito da chissà quale pensiero. 
Quando solleva il viso di scatto e mi guarda i suoi occhi sono piccole fessure profonde «Russel, che succede?» gli chiedo avvicinandomi allarmata e appoggiando una mano sopra il suo petto. 
Assottiglia ancora di più lo sguardo, e quando parla la sua voce è tagliente come uno stiletto «Quello di prima, è lo stesso cliente di cui parlava Meg?» tolgo la mano dal suo petto e abbassandola la stringo a pugno «Rispondimi» gli volto le spalle ed entro in casa «Non era per il caldo se eri così pallida. Tu eri impaurita. Che ti ha fatto?» grida seguendomi in soggiorno «Rispondi!» mi sorpassa e venendomi davanti mi blocca tenendomi le spalle.
«Russel cazzo! Non mi ha fatto niente, abbiamo solo parlato» dico liberandomi con uno strattone dalle sue mani.
«E allora che ti ha detto?» chiede avvicinandosi di nuovo ma senza sfiorarmi.
«Niente d’importante» rispondo andando in cucina.
«Se non era niente d’importante perché eri bianca come un cadavere e a stento riuscivi a parlare? Cazzo stavi sudando freddo come se stessi per collassare!» 
Prendo una bottiglia d’acqua dal frigo e sbatto lo sportello richiudendolo «Te l’ho già detto, avevo mangiato troppo e stavo morendo dal caldo» dico mentre cerco di aprire la bottiglia, ma non ci riesco e stizzita la lancio dentro al lavello. 
Lui dalla tasca dei jeans tira fuori il telefono «Che stai facendo?» gli chiedo guardando lo schermo mentre fa scorrere in fretta la rubrica.
«Se non vuoi dirmi niente, non mi lasci altra scelta che chiamare Luca per sapere chi cazzo è quello e dirgli di non farlo più venire da voi» 
Chiudo la mano attorno al telefono e lo guardo inviperita «Tu chiama Luca, e prova a interferire nel mio lavoro, e ti garantisco che questa è l’ultima volta che mi vedi» gli dico con determinazione nella voce e nello sguardo. 
Lui abbassa la mano e risponde con rabbia «Bene, e cosa pensi di fare? Vuoi difenderti da sola? Non riesci nemmeno ad aprire una bottiglia!» grida indicando il lavello.
«Qui non c’è proprio nessuno da difendere. Quell’uomo non mi ha mai sfiorata nemmeno con un dito, si diverte semplicemente a dirmi un sacco di stronzate per tentare di spaventarmi» dico prima di sbuffare e andare a sedermi di schianto sul divano. 
Rimette il telefono in tasca e solleva lo sguardo verso il soffitto passandosi nervosamente una mano tra i capelli. 
Quando si è calmato mi viene di fronte «Mi sembra che ci stia riuscendo. Perché continui a fingere con tutti che non sia così?» chiede porgendomi la bottiglia dell’acqua aperta. La stringo in una mano e lui si piega sulle ginocchia appoggiando le mani sopra le mie gambe «Perché non vuoi dirlo a Luca? Sono sicuro che non esiterebbe nemmeno un secondo prima di chiedergli molto gentilmente, come solo lui sa fare, di andarsene e non tornare più in showroom» 
Sollevo lo sguardo al soffitto poi lo riabbasso su di lui «Voglio solo affrontarlo a modo mio, non voglio che Luca intervenga, tanto meno tu. La prossima volta che lo vedrò sono sicura che riuscirò a fargli capire che deve smettere di provocarmi» non gli dico che voglio farlo da sola perché quel bastardo mi ha sfidata, e non ho nessuna intenzione di dargliela vinta facendomi vedere debole o bisognosa dell’aiuto di altri per farlo stare al suo posto, cioè in una putrida pozza d’acqua stagnante. 
Russel sospira e mi chiede «E quando dovrai rivederlo?» 
Bevo un sorso d’acqua prima di rispondergli «Non lo so, stasera mi ha detto che prenderà un appuntamento a breve. Di solito non lo fa con largo anticipo, a volte chiama la mattina per venire il pomeriggio del giorno stesso» 
Mi prende il viso tra le mani «Me lo dirai quando chiamerà?» chiede scrutandomi con molta attenzione come se temesse che potrei mentirgli.
«E perché dovrei dirtelo?» 
Mi stringe le guance spingendo in fuori la mia bocca «Voglio solo sapere quando verrà. Ti prometto che non farò niente che possa farti incazzare» 
Assottiglio lo sguardo «Me lo prometti davvero?» chiedo prendendo anch’io il suo viso tra le mani.
«Te lo prometto» 
Sospiro e gli rispondo «Okay» 
Mi bacia le labbra e la punta del naso «Ora cambiati e fila a letto. Prima di andarmene voglio rimboccarti le coperte, Sirenetta» dice calcando il tono della voce sul nomignolo. 
 
**
 
Giovedì 28 Giugno 2012 
 
«Davvero stasera non ci vedremo?» mi chiede Russel al di là della cornetta mentre tengo il telefono incastrato tra l’orecchio e la spalla perché ho le mani impegnate a tagliare il petto di pollo a striscioline.
«Russel, ti ho già detto che ho invitato le ragazze a cena, verranno anche Hanna e Tracy, e se non mi sbrigo dovrò far loro dei tramezzini» apro il forno per controllare a che punto sono le lasagne.
«Ma dico dopo, quando andranno via» insiste.
«No Russel, non so a che ora andranno via. Queste cene tra donne a volte finiscono all’alba» bugiarda che non sono altro, domani lavoriamo, a mezzanotte al massimo saremo ciascuna dentro al proprio letto.
«Davvero? E che avete da dirvi fino a quell’ora?» 
Sospiro esasperata «Sparliamo semplicemente di voi maschietti» rispondi togliendomi con un braccio un ciuffo di capelli dalla fronte.
«Ah sì? E che cosa dite?» chiede ridendo.
«Più che altro ci lamentiamo di quanto voi siate infantili e petulanti» dico.
«Okay ho capito. Ma prima di andare a letto mi mandi almeno un messaggio per augurarmi la buonanotte?» 
Spengo il forno sorridendo «Certo che ti mando un messaggio» 
Sospira «Allora divertiti, mentre io me ne rimarrò a casa solo soletto a guardare il telefono aspettando la tua buonanotte» 
Tiro fuori da un mobile un tegame «Ma falla finita!» esclamo chiudendo lo sportello.
«Buona serata Crudelia» dice ridacchiando, e riattacca. 
Comincio a pensare che Luca e Meg abbiano ragione, Russel sembra davvero molto preso da me, e io credo di esserlo altrettanto da lui. Da domenica ci siamo visti ogni sera, e telefonati e messaggiati non so quante volte. Con lui mi sento finalmente spensierata come prima dell’incidente, e non m’interessa per quanto tempo durerà, voglio godermi la sua compagnia fino a quando sarà possibile. Anche se già so che non potrà durare chissà quanto, le nostre vite sono troppo incompatibili, lui con il suo lavoro, e io che potrei tornarmene a casa con Dario in qualsiasi momento. Ma ho deciso di seguire il consiglio di Meg, e finché mi farà star bene prenderò tutto ciò che può offrirmi. 
Con lui mi sento anche di nuovo smaniosa di quel contatto fisico che da tempo nego a Dario, come se fosse stata brace che paziente sotto la cenere attendeva solo la giusta folata di vento per riprendere vigore. So benissimo che già passare le serate a sbaciucchiarmi con lui fa di me un donna abietta e infedele, ma non voglio spingermi oltre, non almeno fino a quando non avrò rivisto Dario. Finire a letto con Russel prima di aver parlato con lui, dopo essermi negata per così tanto tempo, mi farebbe sentire ancora peggio, quindi, anche se quando sono vicina a Russel mi sento come avviluppata da un tornado, devo fare attenzione, perché se dovessi cedere finirebbe per disperdere i tizzoni che ricominciano ad ardere, riducendomi in mille pezzi che vanno sparpagliandosi ovunque. E anche perché, pur ritenendo poco probabile che quando Dario arriverà io e Russel ci staremo frequentando ancora, se invece così fosse, potrei dover tornare a casa con lui, e se davvero le cose andassero così, sarebbe ancora più difficile e doloroso dover dire addio per sempre a quel piccolo spicchio di luna dopo aver fatto l’amore con lui. E poi non sono nemmeno così sicura che sarei in grado di riuscirci. Ogni volta che con Russel cresce la mia eccitazione mi domando se sarei capace di andare fino in fondo, o se al pensiero di averlo dentro di me non finirei per respingerlo all’ultimo momento come succedeva con Dario. 
Dario, in questi ultimi giorni non mi sono fatta viva con lui, non potevo chiamarlo dopo aver passato la serata con Russel, mi sono limitata a scrivergli una e-mail e lui mi ha risposto chiedendomi di chiamarlo presto. Stasera visto che non mi vedo con Russel ne approfitterò, e prima di andare a letto lo chiamerò con Skype.
 
«Allora, te la stai spassando con Russel?» mi chiede Meg mentre lava le pentole che non entravano nella lavastoviglie già piena. 
Sollevo gli occhi verso il soffitto e tiro fuori dal frigo il dolce che ha portato Karen «Per favore parla piano, visto che Hanna e Tracy non erano presenti durante la mia medicazione, ci terrei che continuassero a non sapere niente» 
Scrolla le spalle «Non mi hai risposto» dice piantando i suoi occhi vivaci nei miei.
«Se vuoi sapere se passiamo le serate a rotolarci tra le lenzuola, allora la mia risposta è no» dico sollevando il mento per guardarla negli occhi.
«No? E che fate quando la sera viene qui da te?» chiede spalancando la bocca meravigliata.
«Meg, ti dimentichi forse che è solo da pochi giorni che siamo un po’ più intimi, e che fino a prova contraria sto ancora con Dario?» chiedo retorica a bassa voce.
«La verità è che tu non ti sai godere la vita. Non so come fai a resistergli vedendolo ogni giorno» dice sfregando vigorosamente la spugna dentro una padella.
«In effetti a volte mi risulta difficile, anche perché conoscendolo meglio sto scoprendo che mi piace anche quello che ha qua dentro» dico picchiettandomi una tempia.
«Wow, quindi è bello nella forma e nella sostanza!» esclama «Allora ancora di più mi domando cosa stai aspettando a prenderti ciò che ti spetta» afferma.
«Senti chi parla. Per quanto ne so nemmeno tu e Brian avete ancora fatto niente, e tu a differenza di me saresti anche libera di farlo. Almeno che dopo che ci siamo salutate in ufficio oggi, tu non sia andata da Brian per fare una sveltina per poi venire a cena da me» la sfotto.
«Altro che sveltina, ho in mente un’idea che lo terrà arzillo per tutta la notte, e non vedo l’ora di metterla in pratica» dice stringendo il manico della padella.
«Oddio Meg, quando fai così mi spaventi» 
Sorride maliziosa «Non sei tu a doverti spaventare, cara mia» dice toccandomi il naso e lasciandoci sopra della schiuma.
 
«Ciao ragazze, buonanotte» come previsto se ne sono andate che sono solo le undici e mezza. 
Karen moriva dal sonno, e Hanna e Tracy devono fare quasi un’ora di strada per tornare a casa. Solo Meg non sembrava essere stanca, e aveva lo sguardo vispo come chi ne sa una più del diavolo.
Mi cambio in fretta indossando un paio di pantaloncini e una canotta. Mando un messaggio a Russel, altrimenti chi lo sente domani, e vado a mettere sul fuoco il latte. Sopra il piano della cucina vedo un telefono che non mi appartiene. Lo prendo in mano riconoscendo subito la custodia con i teschi, è quello di Meg, lo infilo in borsa per portarglielo domani in ufficio. 
Prendo il mio bicchiere di latte e vado nello studio per aprire Skype sul portatile e chiamare Dario.
 
«E com’è il tempo ad Assen?» gli chiedo sorseggiando il mio latte.
«Non come da te che c’è sempre il sole. Sembra che faranno la gara sotto la pioggia. Ma non parliamo del mio lavoro, dimmi di te, che hai fatto oggi?» 
«Ho invitato a cena Meg, Karen, e le sorelle di George, sono andate via da poco. Le mie lasagne hanno avuto le attenzioni che meritavano» dico soddisfatta.
«Quando verrò devi assolutamente farmele, è da troppo tempo che non le mangio» 
«Scommetto che vuoi anche la mia pizza» 
«Ovviamente, ma soprattutto voglio te»  
«Certo» dico abbassando la testa.
«A proposito di questo, pensavo di venire il 20, è un venerdì, così possiamo stare insieme tutto il finesettimana, e se puoi liberarti dal lavoro anche la settimana dopo meglio, poi il 26 andiamo a Monterey» 
«Vuoi venire così presto?»  
«Sì perché? Pensi di non poterti prendere qualche giorno?» 
«Non so, prima di darti una risposta devo controllare se ho degli impegni»
«Se dovrai lavorare vorrà dire che ci vedremo la sera e all’ora di pranzo» 
«D’accordo»
Il campanello di casa suona
«Torno subito, deve essere Meg che ha lasciato qui il suo telefono»
 
Prendo il telefono di Meg dalla borsa e lo sventolo aprendo la porta «Cercavi questo?» 
Di là dalla soglia c’è Russel sorridente «Se ti dicessi che quando mi hai mandato il messaggio stavo passando di qui per caso, mi crederesti?» chiede simulando un’espressione colpevole.
«No, nemmeno per un attimo» rispondo appoggiandomi con una spalla allo stipite e tirandomi la porta dietro per accostarla.
«Invece ti sbagli. Ero in zona e ho pensato di venire a dare la buonanotte alla mia Sirenetta» dice chinandosi per baciarmi. 
Rispondo al bacio frettolosamente «Io stavo andando a letto. Sono stanca e domani m’aspetta una giornata piuttosto lunga a lavoro. Ci sentiamo domani okay?» dico allontanandolo con una mano e indietreggiando per rientrare. 
Lui non nasconde il disappunto per il mio atteggiamento sfuggente «C’è qualche problema? Sono forse arrivato in un momento inopportuno?» distrattamente getto un’occhiata alle mie spalle «C’è qualcuno in casa con te?» chiede guardando dentro e posando poi il suo sguardo circospetto sul mio viso.
«Russel, maledizione! Non c’è nessuno qui» mi premo le dita sugli occhi «Stavo parlando su Skype con Dario, e devo tornare subito di là prima che si chieda perché ci sto mettendo così tanto per restituire il telefono a Meg» dico irritata ma mantenendo basso il tono della voce. Lui rimane lì fuori immobile, mentre io entro nello studio chiudendomi la porta alle spalle.
 
«Scusa, ma Meg ha una tale parlantina» dico a Dario sedendomi davanti allo schermo.
«Non vedo l’ora di conoscerla di persona, deve essere molto simpatica» se sapesse che appoggia la mia relazione con Russel, non la penserebbe sicuramente così.
«Lo è, ed è anche un’amica fantastica» 
Il pensiero di Russel al di là della porta mi spinge a mettere fine alla videochiamata. 
«Per quanto riguarda il tuo arrivo ne riparliamo un’altra volta okay? Ora vorrei andare a letto, ti dispiace?» 
«No Tesoro figurati, a volte mi dimentico che quando ci sentiamo a quest’ora da te è l’ora di andare a dormire. Dimmi solo un’ultima cosa però, come vanno le ricerche di una persona che ti sostituisca, avete fatto dei colloqui ultimamente?» 
«Beh, sai come vanno queste cose e quanto sia esigente Luca. Poi sembra che in questo periodo le persone che probabilmente sarebbero qualificate per sostituirmi non siano alla ricerca di lavoro, e quindi no, non ne abbiamo fatti» falsa, falsa, sempre più falsa. 
«Ci sentiamo quando torni a Milano» dico per troncare la conversazione.
«D’accordo, buonanotte amore» 
«Ciao» rispondo. 
Chiudo in fretta Skype, lo schermo, e appoggio la fronte sopra la scrivania. Cazzo! E ora dove lo trovo il coraggio di attraversare quella porta e affrontare Russel? 
Butto giù l’ultimo sorso del mio latte, sperando che mi darà la calma necessaria, ed esco dallo studio.
 
**
 

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Capitolo 16
*** Cap. 16 - Il mondo stretto in una mano ***


CAP. 16 - IL MONDO STRETTO IN UNA MANO
 
L’amore è un lampo e via... 
se vuoi... se vuoi l’eternità, 
che differenza fa?
 
E tutto il tempo che ci vuole 
per scoprirti piano piano… 
e consegnarti il mondo intero 
stretto in una mano.
 
Daniele Silvestri 
 
**
 
In casa non c’è. Per un attimo penso che se ne sia andato, ma vedendo la portafinestra del soggiorno aperta capisco che è in terrazza.
Lo trovo appoggiato con le braccia alla ringhiera che guarda la piscina di sotto, e sembra più tranquillo di quello che potevo sperare.
«Ehi» mi avvicino mettendomi al suo fianco. I faretti dentro la piscina e i pochi sparsi intorno al vialetto sono le uniche fonti di luce di tutto il residence, oltre a qualche finestra illuminata degli altri appartamenti.
Il lento soffiare del vento rinfresca la serata e il cielo è rischiarato dalle stelle, e da un minuscolo spicchio di luna, lo guardo e penso che non sia nemmeno paragonabile alla bellezza di quello sopra la guancia di Russel. Dopo stasera potrei non vederlo più apparire all’improvviso quando mi sorride, il solo pensiero mi fa crescere l’ansia.
Mi volto appoggiandomi di schiena e stringo con le mani la ringhiera dietro di me.
«Che c’è che non va?» chiedo, anche se già immagino cosa sta pensando, ma ho bisogno di sentire la sua voce, la sua immobilità e il suo silenzio mi fanno sentire impotente. In questi giorni abbiamo vissuto come se ci fossimo solo noi due e Dario fosse solo un’entità invisibile e impalpabile, ma sapermi di là a parlare con lui deve avergli aperto gli occhi e fatto comprendere che invece è un uomo in carne e ossa.
Il mio uomo.
«Stavo solo pensando» dice con voce stanca e incolore.
«E posso sapere cosa?» chiedo titubante.
Sospira intrecciando le mani «Mi stavo chiedendo se per te sono solo un diversivo che scorderai in fretta quando tornerai da lui. Perché tu tornerai da lui, vero?» volta il viso verso di me. Il suo sguardo è cupo e spento, totalmente privo di quella scintilla che l’attraversa ogni volta che lo posa su di me.
«Russel, ti ho già detto che la situazione è complicata. Non sono in grado di dare una risposta a me stessa, quindi nemmeno a te»
Solleva la testa guardando in alto «Cosa cerchi da me, Rebecca?» chiede con voce fievole.
Il sangue si gela nelle mie vene e il freddo s’irradia in fretta verso l’esterno delle mie membra, finché un brivido mi scuote le spalle.
Guardando il suo profilo proteso verso il cielo sento l’urgenza di lenire la frustrazione trapelata dalla sua voce.
«Io non lo so. So solo che con te sto bene come non mi succedeva da tanto tempo» ammetto «Però capisco che mi sto comportando da egoista e mi dispiace se ti senti usato, ma ti giuro che non lo faccio con cattiveria. Però non posso lo stesso darti nessuna risposta, né tanto meno la garanzia che le cose tra noi cambieranno» prendo un respiro prima di concludere con la frase che temo mi farà scoppiare a piangere «E se non vuoi più vedermi ti capisco. Tu meriti di più di quello che io in questo momento posso darti»
Si solleva di scatto e mi viene di fronte. Stringo la ringhiera e, mentre mi guarda intensamente, mi sento come se fossi un verme che chiuso dentro un barattolo muore lentamente per asfissia e lui fosse al di là del vetro, a esaminarmi attentamente prendendo il tempo per calcolare la mia resistenza all’assenza d’ossigeno.
Sento le lacrime che iniziano a salire, ma cerco di trattenerle, e temendo che possa scapparmi un gemito di dolore istintivamente porto una mano a coprirmi la bocca.
«Io non voglio smettere di vederti» dice togliendomi la mano dalle labbra e coprendomi l’altra sopra il ferro freddo con la sua calda e grande.
«Non ci penso assolutamente» continua avvicinando il viso al mio «E nemmeno tu» sussurra «Ma per me è inevitabile pensare che potresti decidere di tornare da lui da un momento all’altro, e mi domando cosa potrei fare per impedirtelo, perché io non voglio che accada»
Mi volto all’interno delle sua braccia dandogli la schiena «Niente Russel, non potresti fare assolutamente niente. In nessun rapporto si ha mai la certezza che le cose andranno come desideriamo. Non possiamo avere il controllo di tutto ed è da sciocchi credere alle promesse degli altri, io infatti non ho intenzione di fartene. Posso solo dirti che quello che sta succedendo con te mi ha presa alla sprovvista e che non pensavo di potermi sentire di nuovo così serena. E hai ragione a dire che no, nemmeno io voglio che finisca, non ora almeno, non così presto»
Mi avvolge tra le braccia appoggiando il mento sopra la mia spalla «Allora se voglio tenerti con me non mi resta che continuare a farti star bene» dice rassegnato ma con una punta di speranza nella voce.
Stringo le sue mani sopra il mio stomaco rilassandomi contro il suo petto.
«Posso rimanere a dormire con te?» chiede dopo un po’.
«Io… no io non…» farfuglio mentre tento di liberarmi dalle sue braccia ma lui mi blocca stringendole più forte.
«Stai calma, stavo parlando solo di dormire, in fondo l’abbiamo già fatto altre volte. E stasera non mi va di lasciarti» dice baciandomi una tempia e scendendo lentamente lungo la guancia fin dietro l’orecchio.
«D’accordo» rispondo tendendo il collo di lato per fargli capire dove vorrei che arrivasse con le labbra, non trovandolo affatto disattento.
«Ora me lo dai un bacio?» chiede sfiorandomi la spalla con la punta del naso. Mi giro sorridendogli e non aspetto un solo secondo prima di unire finalmente la mia bocca alla sua.
 
**
 
Venerdì 29 Giugno 2012  
 
Il mio iphone che suona in soggiorno mi sveglia, lo ignoro accomodandomi meglio tra le braccia di Russel e lasciandogli un bacio sopra il petto coperto dalla t-shirt.
«Il tuo telefono sta suonando» dice con voce assonnata accarezzandomi la schiena.
«Lo so, ma non mi va di alzarmi, e poi…» guardo l’ora «Sono solo le sei, sarà qualcuno che ha sbagliato numero»
Si solleva spingendomi le spalle sul materasso «A che ora suonerà la tua sveglia?» chiede solleticandomi il collo con le labbra.
«Tra un’ora e mezza» rispondo sospirando.
Con i suoi baci e le sue carezze il languore del risveglio abbandona in fretta il mio corpo, e in un attimo mi ritrovo più che vigile.
«Allora ho ancora un sacco di tempo per coccolarti» afferma soddisfatto baciandomi una clavicola e scendendo tra i miei seni.
«Io veramente vorrei dormire un altro po’» dico stirandomi e richiudendo gli occhi mentre lui scende sempre più in basso.
«Oh, ma tu dormi tranquilla non ti darò fastidio» spinge in alto la mia canotta arrotolandola sotto al seno e mi bacia l’ombelico. Appoggia una guancia sopra la mia pancia e rimane immobile solleticandomi con il respiro caldo.
Passando una mano tra i suoi capelli gli chiedo «Ma non dovevi coccolarmi mentre dormivo?»
«Ho cambiato idea, ho trovato un cuscino perfetto per fare un altro pisolino» dice strusciando il viso contro la mia pelle e stringendomi i fianchi.
Suona il telefono di casa, e Russel solleva il viso ancora languidamente assonnato dicendo «Mi sa che non avevano sbagliato numero»
Mi passo una mano tra i capelli sbuffando. Lui si sposta di lato altrettanto scocciato e vado in soggiorno per rispondere.
«Pronto?»
«Perché non mi hai risposo al cellulare? Non hai idea di quanta gente ho svegliato prima di azzeccare il tuo numero di casa»
«Meg! Che ti è successo? Perché mi chiami a quest’ora?»
«Sono chiusa nel bagno di Brian e ti sto chiamando con il suo telefono perché non trovo più il mio»
«Certo che non lo trovi, ieri sera l’hai lasc… hai detto che sei da Brian?»
«Sì Reb l’ho detto. Quando sono uscita da casa tua ho pensato: “Ora o mai più”. Allora ho deciso di mettere subito in atto il mio piano diabolico per farlo cadere ai miei piedi»
«Se sei ancora lì vuol dire che ci sei riuscita» 
«Avevi forse qualche dubbio?»
«Con lo sguardo che avevi ieri sera? No, nessuno»
«Ah ecco. I dettagli però te li dirò in un altro momento. Ti ho chiamata solo per dirti di andare in ufficio con Karen e che tarderò un po’»
«Okay. Allora divertiti»
«Grazie. Ora vado che voglio approfittare dell’erezione mattutina di Brian»
«Meg, sei sempre la solita»
«Sta’ zitta e prendi appunti piuttosto»
«Veramente non mi sono svegliata da sola nemmeno io»
«Stai dicendo che Russel è da te?»
«E chi sennò?» non risponde e non sento nessun rumore dall’altra parte.
«Meg, ci sei ancora?»
«Devo andare, mi sa che Brian si è svegliato. Ci vediamo dopo» e riattacca.
 
«Che volevano a quest’ora?» chiede Russel allargando le braccia per accogliermi. È così invitante, con addosso solo una t-shirt e i boxer mentre mi aspetta dentro al mio letto, che mi lancio sopra di lui lasciandomi avvolgere dal suo abbraccio caldo e rassicurante.
«Era Meg, mi ha chiamata per avvertirmi che non può passare a prendermi per andare in ufficio e che arriverà più tardi» dico con il mento appoggiato sopra il suo petto «Perché è a casa di Brian» aggiungo.
Ferma la mano che accarezza i miei capelli e mi guarda sollevando le sopracciglia «Ma senti il mio amico» dice sorridendo.
«Sono contenta per loro. Stanno proprio bene insieme» alle mie parole il suo viso s’incupisce, e un attimo dopo chiude gli occhi «Che hai?» chiedo sfiorandogli una guancia.
«Tu dormi ancora un po’. Io scendo a fare qualche vasca» dice spostandomi di lato. Si siede sul bordo del letto e lo guardo inebetita mentre tira fuori dei pantaloncini da mare dalla sua borsa. Quando ieri sera è sceso per prenderla dalla macchina, ridendo l’ho accusato d’aver progettato fin da casa di voler rimanere a dormire da me, in realtà ce l’aveva perché nel pomeriggio era andato da Peter per fare una nuotata con lui.
Si dirige verso il bagno ma prima di entrare si gira un attimo per dirmi «Ti accompagno io in ufficio» e si chiude la porta alle spalle. 
 
Mi sveglio sentendo qualcosa di umido che mi sfiora il viso «Sono le otto, Sirenetta, e la colazione è già in tavola che ti aspetta»
Affondo la faccia dentro al cuscino «Ho ancora sonno» bofonchio mentre Russel mi stringe aderendo con il petto nudo alla mia schiena.
«Devi proprio andare a lavoro oggi?» chiede prima di mordermi una spalla e salire verso il collo con baci umidi e caldi.
«Perché? Avresti una proposta migliore da farmi?» chiedo voltandomi.
Ha i capelli bagnati e gli occhi leggermente arrossati dal cloro della piscina, e sembra più sereno di quando mi ha lasciata sola nel letto.
«Forse» disteso al mio fianco si allunga verso il mio viso per baciarmi.
Le sue labbra sanno di caffè e la sua pelle profuma del mio bagnoschiuma alla mirra. Gli passo una mano tra i capelli per levargli i ciuffi umidi dalla fronte e piego il viso di lato per approfondire il bacio.
«Perché prima ti sei rabbuiato? Non pensi anche tu che Meg e Brian siano una bella coppia?»
Prima di rispondermi abbandona la testa sopra il cuscino «Certo che lo penso»
Mi sollevo appoggiando un gomito accanto alla sua testa «E allora che ti è preso?» 
Sospira «È solo che invidio Brian, lui non deve nascondere il suo interesse per Meg con gli altri, e soprattutto non deve dividerla con nessun altro» infila una mano tra i miei capelli spingendo il mio viso sopra il suo collo.
Lo stringo avvolgendogli i fianchi con una gamba «Mi dispiace» dico sfiorandogli con le labbra la pelle profumata e appoggiando una mano sopra il suo petto.
«Passerai la giornata con me?» chiede accarezzandomi la gamba.
Annuisco e lo bacio cercando subito la sua lingua.
«Allora è meglio se ci alziamo che per arrivare dove voglio portarti ci vogliono due ore di macchina»
Spalanco gli occhi «Due ore? E dove andiamo?» chiedo sollevando la testa per guardarlo.
«Fai colazione e vestiti senza fare domande» dice dandomi un colpetto sul sedere e scivolando fuori dal letto.
Mentre di schiena si piega per tirare fuori dalla borsa dei vestiti puliti, mi domando come ho fatto a tenerlo stretto tutta la notte e limitarmi a dormire con lui senza fare nient’altro.
«Sei ancora lì?» mi chiede divertito dopo aver indossato una maglia.
«Ti stavo ammirando» dico sedendomi tra le lenzuola.
«E cosa ammiravi?» sorride malizioso avvicinandosi.
«Tutto» ammetto senza vergogna assottigliano lo sguardo.
«Ah sì?» annuisco allargando le braccia per invitarlo ad avvicinarsi.
Si piega sul letto baciandomi e lo stringo circondandogli il collo.
«Che fai?!» grido quando mi solleva.
«Ti porto a fare colazione, piccola Crudelia, prima che cambio idea e finisco per infilarmi di nuovo dentro al letto con te» dice portandomi a tavola mentre sgambetto divertita.
 
«Adoro questo posto» dico stringendo la mano di Russel mentre passeggiamo per Solvang. Sembra di essere fuori dal mondo in questa piccola cittadina dove, più di cento anni fa, un piccolo gruppo di danesi ha deciso di trasferirsi e ricreare una piccola Danimarca al caldo sole della California.
«Guarda che c’è là?» dice Russel.
Lascio la sua mano e sorridendo come un’idiota attraverso la strada per avvicinarmi alla fontana che ha indicato.
«È più piccola di come l’immaginavo» dico ammirando incantata la statua della Sirenetta in cima alla pietra.
Mi abbraccia da dietro «Piccola e graziosa come te» dice baciandomi la guancia.
«Sali là sopra che ti faccio una foto» mi prende per mano aiutandomi a salire sopra il bordo della fontana.
«Andiamo a mangiare che dopo ti porto in un posto che sono sicuro ti piacerà» dice dopo avermi scattato una foto con il suo telefono.
Mentre ci dirigiamo al ristorante mi arriva un messaggio da Karen: “E così oggi eri troppo stanca per venire a lavoro. Russel deve proprio averti distrutta”.
Rimango un attimo stupita, non è da Karen esprimersi così, e poi nemmeno sa di me e Russel, almeno non con certezza. Poi capisco che deve essere Meg con il telefono di Karen, visto che il suo è ancora a casa mia.
Le rispondo: “Scema! Abbiamo solo deciso di stare un po’ insieme”.
«Problemi a lavoro?» mi chiede Russel.
«No, è solo Meg che si diverte a tormentarmi» dico aspettando la risposta che infatti non tarda ad arrivare: “A letto spero! Stasera passo da te per riprendere il telefono. Divertiti!”. Scuoto la testa rimettendo il telefono in borsa.
 
«Ti sei divertita?» mi chiede Russel dopo un’oretta che stiamo viaggiando in macchina per tornare verso casa.
«Tanto. Solo che ora ho un enorme problema da affrontare» dico seria girandomi verso di lui.
«Quale?» chiede inclinando appena la testa per guardarmi.
«Non mi dovevi portare in quel ranch» affermo imbronciata.
«E perché?» chiede divertito capendo che sto scherzando.
«Perché ora mi è venuta voglia di avere un pony ma temo di non poterlo tenere nel mio appartamento»
Sorride cercando con la mano con cui non stringe il volante la mia che tengo sopra la gamba «Ti sono piaciuti così tanto?» chiede intrecciando le dita con le mie.
«Sì, soprattutto quello marrone con la testa e la coda nere. Era così tenero. Mi chiedo come ho fatto a vivere così tanto senza averne uno» dico ripensando a quei dolcissimi cavalli in miniatura.
«Purtroppo hai ragione, non puoi tenerlo al residence» solleva le nostre mani per baciare la mia «Ti fa ancora male?» chiede.
Nego con il capo «No, per niente, prude solamente un po’. Non vedo l’ora di togliere i punti e la benda» dico sorridendogli e baciando a mia volta la sua mano.
 
Prima di andare a letto rileggo, per l’ennesima volta, la frase che Russel ha impresso con un pennarello sotto al sasso della piccola riproduzione della Sirenetta che mi ha regalato: “Il mondo stretto in una mano”. La sistemo sopra la libreria domandandomi ancora quale sia il significato di quelle parole e l’associazione che può aver fatto con la statuetta. Quando l’ho chiesto a lui mi ha risposto che dovevo capirlo da sola.
Ma non ci riesco.
 
**
 
Sabato 30 Giugno 2012
 
«Ieri quando sei passata da me avevi fretta, ma ora voglio sapere cos’hai combinato giovedì sera con Brian» dico a Meg infilando la testa tra i sedili davanti della sua auto.
«Tu tappati le orecchie, non vorrei bloccarti la crescita» dice voltandosi verso Karen. Lei fingendosi indignata le fa la linguaccia.
«Piantala di prenderla in giro e racconta» la incito.
Prima di parlare mi lancia un’occhiata maliziosa dallo specchietto «A Halloween mi sono vestita da Catwoman» dice solamente.
«Meg, non m’interessa sapere come ti sei vestita a Halloween, voglio sap…» mi zittisco e con gli occhi fuori dalle orbite la guardo dallo specchietto «No! Ti sei davvero presentata a casa sua conciata in quel modo?»
Annuisce «Sì cara. Dovevi vedere la sua faccia quando ha aperto la porta e mi ha trovata lì fuori, con addosso la tuta in lattice e la maschera, mentre stringevo in una mano la coda sventolandola. Quando due ore dopo si è ripreso dallo shock, mi ha confessato d’aver pensato che il Natale quest’anno fosse arrivato prima» dice ridendo. 
«Lo credo bene» commenta allegra Karen.
«Sono così felice per te» dico a Meg allungando le mani ai lati del sedile per abbracciarla da dietro.
«Mi sembri particolarmente su di giri stasera, o sbaglio?» mi chiede. Certo che a questa non sfugge niente.
«Sono euforica perché non vedo l’ora di arrivare a Malibù da Luca per rivedere Russel»
Karen si gira a guardarmi «Quindi tu e Russel state insieme?» mi chiede.
Che stupida che sono, non dovevo farmi sfuggire questa cosa davanti a lei.
«No, ma cosa dici? Io non sto con Russel. Siamo solo amici e...» dico cercando di rimediare mentre mi affloscio al centro del sedile «e stiamo bene insieme. Tutto qui»
Mi guarda con la coda dell’occhio «Se hai paura che possa dirlo a qualcuno non devi preoccuparti, se non vuoi che si sappia non lo farei mai»
Meg mi sorride teneramente dallo specchietto.
«Karen, non ho paura che tu lo possa raccontare, so bene che se ti chiedessi di non dirlo in giro non lo faresti mai. È che veramente noi due non stiamo insieme»
Meg ridacchia «E allora cosa ci faceva ieri alle sei del mattino nel tuo letto?» dice per poi ammiccare a Karen.
«È solo rimasto a dormire da me. E sottolineo dormire» scoppiano a ridere tutte e due «Ma insomma! Volete farvi gli affari vostri» dico colpendo i loro poggiatesta.
 
«Ma quanta gente ha invitato?» chiedo a nessuno in particolare vedendo il piazzale adibito a parcheggio pieno di macchine.
«Wow, stasera ci sarà da divertirci» dice Karen estasiata mentre ci avviciniamo all’ingresso della villa illuminata come uno stadio di calcio e da cui proviene musica dance.
«Io spero soprattutto di divertirmi con Brian stanotte. E se a una certa ora non ci vedrete più in giro sarà perché ci siamo già chiusi in camera» dice Meg sfregandosi le mani e allungando il passo.
Le persone sparpagliate in giardino sono tante, ma non così tante come quelle in costume assiepate intorno e dentro la piscina che ballano e fanno il bagno.
Entriamo dentro casa e tra la calca di persone, che con i loro bicchieri in mano chiacchierano tranquillamente, cerchiamo gli altri.
«Vieni, ho visto George» dice Meg tirandomi per un braccio verso una delle porte che danno sul patio.
«Aspetta» le dico vedendo la testa di Russel che svetta tra un gruppetto che sta parlando dall’altra parte della sala «Tu vai, arrivo subito»
Lei esce e io mi volto. Russel incrocia subito il mio sguardo, dice qualcosa agli altri e viene nella mia direzione. Attraversa la sala fermandosi solo un attimo per lasciare il bicchiere che stringe in una mano sopra un tavolino.
Muovo il mio sguardo lentamente, scendendo dalle sue spalle fasciate divinamente dalla camicia grigia, fino alle gambe che coperte dal pantalone nero ed elegante sembrano ancora più lunghe.
Torno con gli occhi sul suo viso e vedo che anche lui percorre tutta la mia figura.
Dal sorriso che fa quando posa di nuovo gli occhi nei miei, sembra apprezzare il mio abito di raso rosso senza maniche, con scollo quadrato e gonna corta a palloncino.
Vorrei corrergli incontro come in quei film dove i due amanti si rivedono dopo tanto tempo e a rallentatore si lanciano uno nelle braccia dell’altro. Riesco a sentire anche la colonna sonora, e muovo impercettibilmente la testa seguendo il ritmo che scandisce ogni suo passo disinvolto e cadenzato mentre si avvicina.
Quando è a pochi metri da me sento le guance che s’incendiano, diventando con molta probabilità dello stesso colore del mio abito. Abbasso la testa e continuo ad ascoltare Celine Dion che canta nella mia testa sovrastando completamente il pezzo di Rihanna che arriva da fuori.
Ma quanto ci mette ad arrivare? Mi chiedo guardando la punta delle mie scarpe. Con quelle gambe lunghe doveva essere davanti a me già da un pezzo.
Sollevo gli occhi.
“No!” grida la piccola Reb nella mia testa, e la puntina graffia il disco interrompendo repentinamente l’esecuzione di “My heart will go on”.
Russel è fermo dove l’ho visto prima che abbassassi lo sguardo, solo che adesso una ragazza avvenente, con lunghi capelli neri e un vestitino cortissimo e luccicantissimo, gli sta appesa a un braccio e lo guarda con occhi carichi di meraviglia mentre lui parla con il viso proteso verso di lei.
Tsè! Che poi Celine Dion m’ha sempre fatto venire il mal di stomaco, penso stringendo i pugni mentre indignata mi giro per andare fuori nel patio.
«Tu sì che sai come si organizza una festa!» dico a Luca sfilandogli il bicchiere dalla mano. Bevo una lunga sorsata del suo cocktail, che non ho la minima idea di cosa sia, ma che scendendo in gola brucia quanto basta da farmi capire che sarà in grado di togliermi dalla testa il Titanic, e soprattutto quei due idioti che fanno finta di volare a prua.
«L’idea era di festeggiare in anticipo il 4 luglio, perché una certa signorina di mia conoscenza quel giorno compie gli anni e non vuole che faccia le cose in grande come stasera per il suo compleanno» finisco il suo cocktail, sentendomi subito meglio, e lo colpisco sullo stomaco con il dorso della mano.
«Non voglio tutta questa gente che nemmeno conosco alla mia festa» dico guardando tutti quegli estranei all’interno e all’esterno della casa. Dalla finestra vedo che Russel è ancora preso da una vivace conversazione con Morticia. Per quello che m’interessa può starci a tubare per tutta la sera. Sono qui per divertirmi e lo farò, con o senza di lui.
«Avete intenzione di starvene seduti come dei vecchi con l’artrite per tutta la sera? Non c’è nessuno che ha voglia di fare quattro salti?» chiedo guardandoli un po’ tutti mentre sorseggiano i loro drink.
Meg mi lancia uno sguardo eloquente, i suoi occhi neri e attenti mi stanno chiedendo cosa c’è che non va. I miei le rispondono che non sono mai stata meglio di così.
«Io vengo con te» dice Karen alzandosi, seguita subito dopo da George e Peter.
«Veniamo anche noi» dice Tracy trascinandosi dietro la sorella.
Entriamo dentro casa e, malgrado i miei sforzi per resistere, sposto lo sguardo in cerca di Russel. A Morticia si è aggiunta Anna dai capelli rossi, una bambolina con pelle diafana e lentiggini che si è arpionata all’altro braccio di lui.
«Non volevi andare a ballare?» chiede Matt al mio fianco vedendo che mi sono fermata.
«Sì certo» rispondo prendendogli una mano e trascinandolo verso la piscina.
 
«Vado a bere qualcosa» dico agli altri mentre ballano.
Al bar adiacente alla piscina chiedo al cameriere un gin tonic. Un attimo dopo al mio fianco arriva Luca.
«Hai bisogno di dimenticare anche stasera?» mi chiede.
«Oh no, questo mi serve per ricordare, e se vuoi sapere cosa: solo quanto io sia idiota» dico sollevando il bicchiere.
«Hai litigato con Russel?» il miglior segugio da tartufi del mondo non può competere con il fiuto infallibile di Luca quando si tratta di capire se ho qualcosa che non va.
Bevo e appoggio il bicchiere «Come posso averci litigato se da quando sono arrivata non ci ho ancora parlato?» sollevo il bicchiere per finire il mio gin tonic ma Luca mi ferma la mano.
«Se sei arrabbiata con lui perché l’hai visto parlare con quelle due ragazze, forse è meglio se ti dico subito che sono…» mi libero il polso dalla sua mano interrompendolo.
«Non m’importa chi sono, lui può intrattenersi con chi vuole, come io del resto» svuoto il mio bicchiere e torno a ballare lasciando Luca al bancone.
 
«Basta, per stasera ho ballato abbastanza» dico sedendomi sopra un divano del portico insieme agli altri.
Oh, il signorino finalmente ha deciso di farci visita, penso vedendo arrivare Russel.
Mentre si avvicina non lo degno nemmeno di uno sguardo e mi volto verso George che mi ha chiamata «Io e Peter abbiamo preso i biglietti per andare a vedere il MotoGP a Monterey. Pensi che Dario possa farci fare un giretto tra i box?»
Un tempismo perfetto, mi dico vedendo Russel in piedi alle sue spalle che mi guarda aggrottando le sopracciglia.
Abbasso subito lo sguardo sul viso di George che aspetta la mia risposta «Certo che può. E comunque potrai chiederglielo tu stesso, il 20 viene qui per stare un po’ con me poi andremo là insieme. Sarà la mia prima gara e non vedo l’ora di vederla» dico allargando il sorriso fino a sentire dolore alla mascella.
Meg spalanca gli occhi e Luca mi lancia un’occhiata di rimprovero.
«Così conosceremo l’uomo che ti ha rapito il cuore» dice Hanna allegra.
Lei non può sapere che in realtà nessuno l’ha mai rapito, e che sono più che certa che rimarrà dentro la mia cassa toracica per sempre. E non può nemmeno sapere che in questo momento, vedendo Russel che si allontana, batte forte come se volesse rimproverarmi per ciò che ho detto davanti a lui.
 
«Cosa c’è tra te e Russel?» mi chiede Matt timidamente mentre passeggiamo sul bagnasciuga allontanandoci lentamente dalla villa. I miei piedi avevano bisogno di refrigerio e si è offerto di accompagnarmi.
«È solo un amico. Perché?» chiedo camminando con le mani dietro la schiena e voltandomi con espressione sorpresa verso di lui.
«Te l’ho chiesto per quello che ho visto a casa di Luca e anche perché, quando prima hai nominato Dario, mi è sembrato che si sia irritato»
Mi fermo per guardarlo meglio negli occhi «Matt, io e Russel siamo solo amici, come noi due» dico muovendo una mano tra noi «Domenica cercava solo di aiutarmi mentre Brian curava la mia mano e stasera sarà arrabbiato per motivi suoi. Io non c’entro niente te l’assicuro» con tono convincente accompagno la mia ennesima bugia con una sapiente scrollata di spalle.
«Scusa se mi sono permesso di chiedertelo» dice con le mani in tasca abbassando la testa.
«Ehi, tra amici si parla di tutto» lo colpisco affettuosamente sul petto e lui solleva il viso.
«Penso di sì» risponde sorridendo.
Mentre torniamo verso la villa gli dico «Ho saputo che stavi per sposarti, e anche com’è andata a finire. Mi dispiace tanto per te Matt, non te lo meritavi davvero. Scommetto che lei si starà ancora disperando per aver perso così stupidamente un ragazzo come te»
Rallenta il passo «Non ho idea di cosa stia facendo o dove sia Katherine, dal giorno in cui l’ho trovata a letto con il mio testimone non l’ho più vista. Per quello che m’interessa potrebbero anche stare insieme in questo momento» dice guardando davanti a sé. Dalla serenità con cui ha parlato capisco che non soffre più per lei come invece aveva insinuato Russel.
Mi avvicino e gli stringo il braccio con entrambe le mani appoggiando la testa alla sua spalla. Si volta sorridendomi.
«Il giorno che troverai la donna giusta che ti amerà come meriti, capirai che Katherine ti ha fatto solo un favore» dico sollevando il viso e sorridendogli.
«Lo spero» risponde mettendo una mano sopra le mie e baciandomi una tempia.
Arrivati in prossimità della villa vediamo che la festa è arrivata al culmine. Dalle scale scendono a corsa decine di persone in costume per fare il bagno in mare.
«Vuoi fare il bagno anche tu?» mi chiede Matt.
Sollevo la mano fasciata «Non mi sembra il caso» rispondo sventolandogliela sotto il naso «E poi ho sentito com’è fredda l’acqua. Immergerci i piedi è il massimo che posso fare stasera» dico andando verso le scale.
Metto un piede sul primo scalino e una ragazza che scende di corsa mi urta una spalla mandandomi addosso a Matt che è dietro di me «Scusa!» grida la biondina voltandosi frettolosamente e correndo verso il mare.
«Stai bene?» mi chiede Matt.
«Sì sì» rispondo sollevando la testa per controllare che nessun altro stia scendendo di corsa.
Avrei preferito vedere una mandria di bisonti impazziti che sta per travolgermi e affondarmi con gli zoccoli sotto la sabbia, piuttosto che incrociare lo sguardo severo di Russel che, in cima alle scale con le mani in tasca, sembra aspettarmi spazientito. Istintivamente mi ritraggo sbattendo di nuovo contro il petto di Matt che s’affretta a sostenermi circondando la mia vita con le mani, dove saetta lo sguardo di Russel appena le vede spuntare.
Scende lentamente verso di noi continuando a guardare le mani di Matt che, dietro di me, non sa che Russel sta tentando di staccargliele dal polso con il solo uso dello sguardo. Quando mi arriva di fronte alza gli occhi nei miei.
«Devo parlarti» dice con voce severa e sguardo che non lascia alcun dubbio su quale sia il suo grado d’incazzatura.
Come se improvvisamente fossi affetta da un attacco acuto di sordità, mi sposto di lato per sorpassarlo, ma lui fa lo stesso bloccando il mio tentativo.
«Matthew, puoi lasciarci un attimo soli?» chiede rivolgendosi a lui ma continuando a guardare me.
«Sì certo. Ci vediamo di sopra» dice Matt sorpassandomi senza la minima esitazione. In fondo gli ho appena spiegato che io e Russel siamo amici, “come noi due”, mi scimmiotta con voce beffarda la piccola Reb, quindi non vedo perché non dovrebbe lasciarmi tranquillamente sola con lui, non può sapere che io in realtà non ho per niente voglia di parlargli.
Mi giro di spalle e faccio qualche passo sulla sabbia in direzione di una zona dove non c’è nessuno.
«Cosa vuoi?» l’aggredisco voltandomi di scatto con le braccia incrociate.
«Cosa voglio?» chiede tagliente venendomi incontro «Prima di tutto voglio sapere che cazzo ci facevi in spiaggia da sola con quell’idiota di Matthew. Che avete fatto finora? E perché non perde l’occasione per metterti le mani addosso?» chiede con voce alterata mentre continua ad avvicinarsi.
«Niente di tutto questo deve interessarti» rispondo calma.
«Dici sul serio? Dovrei davvero starmene buono e calmo ogni volta che fa il carino con te o che con una scusa allunga le mani?» chiede mantenendo la calma a fatica.
«È solo gentile con me e se questo ti urta i nervi non è un problema mio. Io non sono una tua esclusiva. Forse ti sei scordato che in Italia c’è qualcuno che avrebbe più diritto di te a incazzarsi se un altro uomo mi tocca» gli urlo in faccia.
Già mentre la stavo dicendo sapevo che era troppo pesante come frase, e che non dà di me una bellissima immagine, ma lo stesso non sono riuscita a fermarmi. Ma ora, vedendo il suo petto che si alza e abbassa in fretta a causa del respiro rabbioso e i suoi occhi vitrei, preferirei aver ingoiato la lingua un attimo prima di averla pronunciata.
La sua reazione mi spiazza. Con due falcate arriva dietro di me e avvolgendomi la vita con le braccia mi solleva da terra.
«Lasciami!» grido divincolandomi mentre mi porta sotto al patio «Lasciami o giuro che mi metto a urlare»
Dà un calcio alla porta della rimessa per aprirla e, entrando dentro mentre ancora mi agito tra le sue braccia, la richiude con un altro calcio.
Quando mi lascia andare mi giro verso di lui come una furia «Sei forse impazzito?» grido andandogli incontro «Togliti maledizione. Voglio uscire da qui! Non mi puoi obbligare a parlare con te. Io non ho niente da dirti» urlo premendogli una mano contro il fianco per spingerlo via da davanti la porta.
«Perché non mi hai detto che verrà qui?» chiede con occhi fiammeggianti d’ira rimanendo immobile con le spalle contro la porta e le braccia incrociate davanti al petto. Pensa davvero che chiedermi di Dario senza nemmeno nominarlo gli renderà più semplice continuare a far finta che non esiste?
Beh, visto che stasera mi sento parecchio stronza, allora lo farò io, magari si chiarisce le idee una volta per tutte.
«Perché se DARIO viene per lavoro e per stare con me non è affar tuo. E ora fammi uscire da qui. Subito!» dico inviperita togliendomi i capelli dalla faccia.
Mi guarda impassibile senza spostarsi di un solo millimetro.
Mi giro e faccio qualche passo grattandomi la fronte prima di tornargli davanti.
«Vuoi la verità?» chiedo puntandogli un dito contro. Guardandomi dritta negli occhi contrae le sopracciglia e serra la mascella «Perché pensavo che al suo arrivo tra me e te sarebbe già finita da un pezzo» sollevo i palmi per dare maggiore enfasi alle mie parole.
Non ancora soddisfatta della sua espressione che diventa a ogni mia parola sempre più incazzata continuo «E in fondo avevo ragione, perché per me da stasera puoi andartene al diavolo»
Stende le braccia lungo i fianchi staccandosi dalla porta. Indietreggio mentre avanza verso di me.
La rabbia che ho provato nei suoi confronti per tutta la sera la riverso in quello che sto per dirgli «E vuoi saperla un’altra cosa? Penso proprio che me ne tornerò a casa con lui e che accetterò la sua proposta di matrimonio» all’ultima parola si ferma stringendo i pugni.
Faccio un ultimo passo indietro andando a sbattere con la schiena contro il bordo del tavolo appoggiato alla parete opposta della porta.
«Tu non farai niente di tutto questo» dice avvicinandosi minaccioso.
«Ah no? E come fai a esserne così sicuro si può sapere?» chiedo sollevando il mento e guardandolo con sfida.
«Perché tu non lo ami» afferma con tono pacato appoggiando le mani ai miei lati.
«E tu che ne sai? Tu non sai niente, né di me né di DARIO» lo spingo indietro ma ovviamente è solo fatica sprecata.
«Ti sei forse scordata che, credendo di parlare con Meg, hai detto che il giorno dell’incidente stavi andando da lui per lasciarlo?»
Indignata stringo i pugni «È passato un sacco di tempo da quel giorno e ho cambiato idea» rispondo stizzita, ma troppo poco convinta perché possa credermi.
«E so un’altra cosa» dice abbassando il viso sul mio.
«E cosa sapresti sentiamo» dico esasperata.
«Che sei arrabbiata con me perché mi hai visto parlare con le colleghe con cui farò il prossimo film. La ragazza mora interpreterà la donna che metterà al mondo mio figlio e l’altra, la rossa, la maestra d’asilo. Stavo solo cercando di tranquillizzarle visto che sono molto preoccupate perché sarà il loro primo film» che carino, stava facendo un’opera di carità invece di venire da me «Ma il punto non è questo. Il punto è che tu sei gelosa di me»
Gli premo un dito sul petto «Io non sono affatto gelosa, non provare a paragonarmi nemmeno per un secondo con quella pazza di Helen. Mi sono incazzata perché morivo dalla voglia di vederti e di stare con te, ma evidentemente tu non provi la stessa cosa altrimenti non saresti stato per più di un’ora con quelle due» lui sorride soddisfatto, e io rendendomi conto di quello che ho appena detto mi tappo la bocca con una mano.
«Togliti!» dico colpendolo sul petto con un pugno «Ora non ho più voglia di stare con te» grido mentre lui blocca i miei polsi portandoli dietro la mia schiena, per poi stringerli con una mano e prendermi il viso con l’altra.
«Non azzardarti a baciarmi o giuro ch…» mi tappa la bocca con la sua e gli mordo un labbro «Lasciami o giuro che te lo stacco a morsi»
Si allontana leccandosi la parte lesa «Piccola Crudelia ritira le zanne» dice ghignando divertito. E senza la minima esitazione si tuffa di nuovo sulle mie labbra. Serro le mie, ma appena le accarezza con la lingua lo lascio entrare. Quando capisce che sono completamente in balia delle sue labbra e della sua lingua lascia i miei polsi permettendomi di circondargli il collo. In punta di piedi spingo il mio corpo ad aderire completamente al suo, finché circonda la mia vita con le braccia e mi solleva mettendomi seduta sopra il tavolo. Quando i nostri bacini si scontrano geme sopra le mie labbra aumentando la mia eccitazione. Gli sfilo la camicia dai pantaloni per accarezzargli il petto e la schiena.
«Dimmi che non tornerai a casa con lui» alita sopra il mio collo mordendolo e baciandolo «Cazzo dimmi che lo vedrai solo per dirgli che non tornerai mai più da lui» la sua voce sembra una preghiera mentre mi stringe spingendomi contro di sé.
«Russel, io non…»
Si allontana prendendomi il viso tra le mani «Dimmelo» i suoi occhi sono lucidi e si spostano veloci sul mio viso fermandosi poi nei miei.
Mi mordo l’interno di una guancia non riuscendo a dirgli quello che lui vorrebbe sentir uscire dalle mie labbra.
«Russel ti prego, non farmi pensare a lui, non mentre sono eccitata all’inverosimile tra le tue braccia e seduta sopra il tavolo di una rimessa» lo imploro.
«Okay. Non ora» dice stringendomi «Così sei eccitata all’inverosimile?» chiede ironico allargando le labbra in un sorriso sopra la mia spalla.
«Senti chi parla!» esclamo spingendo il mio bacino contro il suo.
«Sta’ buona» dice tenendomi ferma per i fianchi «O finirò per stenderti sopra la tavola da surf di Luca»
Rido dicendo «In effetti non sarebbe molto carino nei suoi confronti» poi mi lascio andare sopra la sua spalla mentre accarezza le mie cosce.
«Soprattutto perché abbiamo due camere a disposizione» soffia al mio orecchio continuando ad avanzare verso il centro e arrivando a sfiorarmi l’inguine con i pollici.
«Che dici, andiamo di sopra?» alla sua domanda m’irrigidisco e sollevo la testa. Ferma immediatamente le sue mani tirandole fuori da sotto la mia gonna.
«Russel, prima di aver parlato con Dario io non posso» si allontana appoggiando le mani sul bordo del tavolo e la fronte sopra il mio seno «Poi devi sapere che…» gli accarezzo la nuca sospirando prima di continuare «che da qualche settimana prima dell’incidente io non mi sono più fatta toccare da lui» sussulta sopra il mio petto e cerca di sollevare la testa, ma lo trattengo «Non chiedermi perché, non te lo direi. Il fatto è che io non so dirti se è solo con lui che non riesco ad avere un rapporto completo»
Mi avvolge la vita e lascio che alzi la testa per guardarmi «È ovvio che vorrei sapere perché, ma capisco se non vuoi parlarmene, in fondo è da poco che ci conosciamo. Però ti prometto che saprò guadagnarmi la tua fiducia, così che un giorno ti sentirai libera di dirmelo. E voglio che tu sappia che tra noi non succederà mai niente fino a che non sarai tu a chiedermelo» dice spingendo il mio viso contro il suo petto e baciandomi i capelli «Ora però andiamo in camera che voglio stare un po’ solo con te, ma non dentro una rimessa» mi tira giù dal tavolo e si rimette a posto la camicia prima di prendermi per mano e tornare di sopra. 
 
Dalla portafinestra che dà sulla terrazza della mia camera arriva forte la musica. Comincio a pensare che la festa andrà avanti per tutta la notte.
«“Il mondo stretto in una mano”. Per quanto io mi sforzi non riesco a capire il significato di questa frase» dico a Russel riferendomi a ciò che ha scritto sotto la statuetta che mi ha regalato.
«Non è che saresti così gentile da spiegarmela?» chiedo ruffiana baciandogli il petto celato dalla maglia e circondandogli i fianchi con una gamba. È quasi un’ora che siamo chiusi in camera a chiacchierare e coccolarci.
«Sarò clemente con te e ti darò un indizio» la sua mano dalla mia schiena scende a stringermi i glutei coperti dalla canotta lunga.
«Allora? Questo indizio?» stringe con più forza «Sarebbe questo? Una strizzatina alle mie chiappe?» annuisce spingendomi sul materasso e baciandomi il collo «E che vorrebbe dire? Che quando stringi un sedere ti sembra d’avere il mondo stretto in mano? E che c’entra poi con la Sirenetta?»
Sospira e attraverso il tessuto leggero sento il suo alito caldo sul mio seno.
«Mi sa che dovrò spiegarti tutto fin dall’inizio» dice.
«Forse è meglio» soffio sopra il suo viso quando mi arriva di fronte.
«Che tu sei molto più piccola di me è un dato di fatto» annuisco non capendo cosa c’entra quest’affermazione «Sei talmente piccola che potrei quasi tenerti in una mano, come quella statuetta che per me ti rappresenta» comincio a capire, e trattengo il respiro per l’irruenza dell’onda di emozioni che mi sta investendo.
«Quando al club ti ho tenuta tra le mie braccia per la prima volta, mi è sembrato d’aver trovato tutto ciò che davvero mi serve al mondo per sentirmi totalmente appagato. E ho pensato che eri così piccola che avrei potuto tenerti dentro la mia mano per portarti sempre con me. Il mondo, tu, stretto in una mano, la mia» 
Ricordo bene quella sera, anch’io provai uno strano piacere, fino a desiderare che non mi lasciasse più andare.
«Ed è quello che provo ogni volta che ti tengo così» dice stringendomi la vita e sollevandomi per mettermi seduta a cavalcioni sopra le sue gambe, avvolgendomi poi la schiena e stringendomi al petto.
«Ora hai capito il significato della frase?» sussurra al mio orecchio. Annuisco mentre il cuore sta per uscirmi dal petto.
«Anch’io…» mi schiarisco la voce «Anch’io mi sento bene quando mi tieni così» riesco a dirgli con voce roca parlando con la bocca premuta contro il suo petto.
 
E vorrei davvero potermi rimpicciolire fino a diventare piccola come la statuetta, ora, sopra le lenzuola candide di questo letto, poi saltellare e chiamarlo per attirare la sua attenzione: “Ehi pennellone, mi vedi? Sono qui, davanti a te, nascosta tra i cuscini. Mi hai visto finalmente. Tirami su per favore, ora mettimi sopra la tua mano. Chiudi il pugno, mi fido, so che non mi farai male, coprimi con le dita per favore. Giuro che non ti darò fastidio, me ne starò qui buona buona rannicchiata sopra il tuo palmo. Voglio solo sapere cosa si prova stando al sicuro nel ventre della propria madre, e so che posso scoprirlo solo dentro la tua mano calda e accogliente. E ti prego, non riaprirla più, per nessun motivo al mondo”.
 
Scostandosi mette due dita sotto il mio mento per sollevarmi il viso, ma qualcosa che mi è salito in gola sembra essere diventato talmente grosso da avermi bloccato il collo impedendomi di allungarlo per farmi vedere da lui, allora non insiste. Mi bacia la testa e infila una mano tra i miei capelli dietro la nuca accarezzandomi lentamente in punta di dita come ormai sa che mi piace.
Ma stasera la sua mano non mi rilassa, mi fa invece desiderare d’averla ovunque sopra di me, soprattutto dopo le sue parole, che dopo essere entrate nelle mie orecchie, e dopo una veloce deviazione a sinistra per sfiorarmi il cuore, sono arrivate dritte fino al mio basso ventre.
E la diga che ancora cerca di trattenere il mio desiderio, sotto la forte pressione del fiume in piena che vuole solo potersi finalmente liberare in mare aperto, inizia a cedere. 
Sollevo il viso e lo bacio. Non posso sperare di diventare così piccola per stare dentro la sua mano, però posso farmi bastare il sapore delle sue labbra, godermi le sue carezze e lasciare che mi copra con il suo corpo caldo e forte per nascondermi dal resto del mondo.
Lo bacio fino a non poterne più. Fino a sentire che il fuoco che arde fuori e dentro di me mi sta spingendo contro la sottile lastra di vetro che mi separa dalla follia, della quale diventerò una vittima inerme se non mi aiuterà a spengere in fretta le fiamme.
Senza staccare la bocca dalla sua lo trascino con me gettandomi indietro sul materasso, inarcandomi per andare incontro alla sua mano che mi accarezza attraverso il tessuto della maglia che, un secondo dopo, senza opporre la minima resistenza, lascio che mi tolga lanciandola sul pavimento.
Rimane immobile sfiorando il mio seno solo con i polpastrelli, come se temesse di farmi male, mentre il mio respiro accelerato lo solleva in fretta mandandolo a scontrasi contro la sua mano ogni volta che prendo un’insignificante quantità d’aria.
Capisco al volo che sta esitando per quello che gli ho detto prima nella rimessa.
Allora sorrido dicendogli «Non dobbiamo per forza andare fino in fondo. Ma ti prego, fa’ qualcosa subito, o invece che una piccola Reb ti ritroverai solo un mucchietto di cenere stretto nella mano» lo spicchio di luna mi dà il benvenuto, e io lo accarezzo con il pollice appoggiandogli una mano sopra la guancia.
«Adoro questa piccola fossetta» dico quasi in estasi.
Bacia il palmo della mia mano fasciata «E io adoro il tuo seno» dice lanciandosi con il viso sul mio petto bramoso delle sue attenzioni e scendendo con una mano a sfiorarmi tra le gambe.
E io ansimo. Ansimo come una svergognata appena supera l’elastico delle mutandine, e lo ringrazio mentalmente per non aver perso tempo a finire di spogliarmi perché ora che è giunto alla meta non voglio separarmi dal suo tocco. Ansimo mentre rovescio la testa indietro esponendo il collo al morso dei suoi denti. Ansimo mentre bacia la mia bocca e succhia la mia lingua appena la tiro fuori per cercare la sua. Ansimo mentre la sua mano delicata e costante sembra sapere perfettamente dove, come, quando. Ansimo mentre spinge il bacino contro la mia coscia, facendomi sentire quanto anche lui avrebbe bisogno di attenzioni. Ansimo fino a che il fuoco non mi arde completamente, e il mio urlo di piacere sovrasta la musica assordante che arriva da fuori, facendomi vergognare al pensiero che non ci sia un solo invitato alla festa che non abbia sentito l’esplodere del mio primo orgasmo dopo mesi di castità volontaria.
Tremando e boccheggiando mi rannicchio contro il suo petto chiudendo gli occhi. In silenzio mi stringe aspettando paziente che riprenda fiato.
Quando sente che mi sto rilassando mi solleva il mento baciandomi dolcemente «Sai, prima ho mentito» lo guardo con gli occhi ancora annebbiati dal piacere «Io non adoro il tuo seno» sbatto le palpebre spostando un po’ la testa indietro per guardarlo meglio «Io ti adoro tutta, Sirenetta» dice baciandomi il viso «Tutta» ripete scendendo sul seno «Certo» ne bacia uno «Forse per loro due» poi bacia l’altro «Ho una certa preferenza» mi stringe il sedere «E anche per lui» infila appena la punta delle dita dentro le mutandine sfiorandomi il pube «E lei, lei è la cosa più liscia e morbida che io abbia mai toccato» continua baciandomi le palpebre «E questi occhi vivaci e furbi saranno la mia dannazione» lo guardo affinando lo sguardo «E sopra la tua bocca finirò per consumarmi» termina, consumando invece la mia con morsi e affondi di lingua.
«Che dici, ora pensiamo un po’ a te?» chiedo maliziosa scendendo lentamente con la mano giù per il suo petto, sorpassando il ventre, e rimanendo un po’ ferma a giocare con l’elastico dei suoi boxer.
«Non ti dirò che non è necessario che ricambi perché sto letteralmente scoppiando, e fuori c’è troppa gente per uscire in questo stato e lanciarmi in mare per tentare di spengere la mia voglia di te»
Sorrido «Effettivamente non è proprio il caso che esci così» dico mentre gli tolgo la maglia.
Chiude gli occhi lasciando andare la testa sopra il cuscino.
«Vacci piano, Sirenetta, o rischiamo che qualcuno corra qua dentro pensando che mi stai scannando» dice con voce roca mentre gli sfilo i boxer.
Mentre ogni centimetri del suo corpo attira l’attenzione del mio sguardo, penso che madre natura con lui ha fatto un lavoro esemplare, ma non contenta ha voluto addirittura strafare, avendogli donato non solo un aspetto a dir poco perfetto, ma rispettando anche le giuste proporzioni di ogni singola parte di questo bellissimo uomo che per poco non esce con i piedi fuori dal letto da quanto è alto.
E quando dico ogni singola parte, intendo ogni singola parte.
Raggiungo il suo viso con una mano e lui prende il mio pollice tra i denti mordendolo e succhiandolo.
«Non preoccuparti, la musica è piuttosto alta» dico un attimo prima di dedicarmi a lui.
 
** 

 

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Capitolo 17
*** Cap. 17 - La mia lucciola ***


CAP. 17 - LA MIA LUCCIOLA
 
Per me, 
che seguo in questo buio la mia lucciola, 
che sopravvivo ai miei segreti inconfessabili, 
per me, che in fondo voglio solo vivere. 
Il resto è la paura di non farcela. 
 
Affiderò al vento tutta la tristezza, 
nel fuoco brucerò la nostalgia 
di questi strani giorni labili 
in cui restare vuole dire andare via. 
 
Per me, 
in questo mio mostrarmi vulnerabile 
ho conosciuto tutte quelle cose 
che danno alla mia vita presa a morsi il tuo sapore. 
Il resto è la paura di sorprenderci. 
 
Otto Ohm
 
**
 
Domenica 1 Luglio 2012
 
Mi sveglio che il sole è già alto. Sono distesa su un fianco e sento un gran caldo al petto e al ventre, abbasso lo sguardo e capisco perché: tra le mani stringo la testa di Russel che dorme beatamente con il viso appoggiata sopra il mio seno nudo, ha un braccio intorno al mio fianco e con una gamba ha ingabbiato le mie impedendomi qualsiasi movimento. La festa è andata avanti fino all’alba ma noi, malgrado il baccano che arrivava da fuori, siamo crollati molto prima. 
Completamente ammaliata dalla sua espressione serena e rilassata lo accarezzo lentamente per liberargli il viso dai ciuffi disordinati che gli coprono l’ampia fronte, traccio con il pollice la linea della mascella e chiudendo la sua nuca nel palmo lo stringo attirandolo ancora di più contro di me.
Qual è il tuo segreto Russel? Dove sta il trucco? Io non riesco a vederlo. Come riesci a tenermi stretta a te e farmi sentire come un cucciolo di canguro nel marsupio di mamma cangura? O come una perla dentro mamma ostrica? Cosa hanno di così speciale le tue mani che quando mi sfiorano sembrano così perfette sopra il mio corpo? Come fai a baciarmi e a farmi scordare che non dovrebbe essere tua la bocca che mi fa desiderare di averne sempre di più?
Lo stringo ancora più forte chiedendomi come ho potuto pensare che sarebbe bastato non fare l’amore con lui per avere la possibilità di lasciarmi alle spalle questi giorni passati insieme. Una notte come questa non potrò scordarla tanto facilmente. In realtà non sarò capace di scordare nemmeno un solo minuto che ho trascorso con lui. Esiste una remota possibilità che quando avrò raccontato tutto a Dario lui riesca comunque a perdonarmi, e se me lo chiederà tornerò a casa con lui, glielo devo. Ormai ho preso la mia decisione e non posso avere altri ripensamenti.
Devo dirlo a Russel, così che possa scegliere se smettere di vedermi subito o rischiare di doverlo fare in modo repentino quando arriverà Dario.
Sospiro tra i suoi capelli e mentre gli lascio un bacio sopra la testa il mio stomaco borbotta.
«Qualcuno ha fame» dice Russel stringendomi.
«Ma tu non stavi dormendo?» nega strusciando il viso sopra la mia pelle e dando piccoli baci a ogni seno. Allora siamo uno pari, penso ricordando quando ho finto di dormire la sera in cui mi sono ferita alla mano. 
Districa le nostre gambe e senza mai staccare le labbra dalla mia pelle sale lentamente verso il mio viso. Mi bacia tra i seni arrivando alla gola, si sposta di lato dedicandosi a lungo al collo, poi raggiungendo l’orecchio morde il lobo facendomi sentire appena i denti, riempita di baci anche tutta la mia mascella arriva finalmente alla bocca.
«Buongiorno» dice sorridendo sulle mie labbra.
«Ciao» circondo il suo collo immergendomi nei suoi occhi più brillanti del solito e incollo la bocca alla sua. Non tarda ad approfondire il bacio e a spingermi con le spalle sul materasso per far aderire i nostri corpi completamente nudi tranne che per la biancheria intima. Preme il suo bacino contro il mio infilando una mano sotto di me, e capisco al volo che è completamente sveglio anche dalla vita in giù, ma tutto s’arresta quando il mio stomaco borbotta di nuovo. 
«Vado a prenderti qualcosa da mangiare» dice scendendo a sfiorarmi il ventre con le labbra e baciandomi lo stomaco vuoto da ieri a pranzo.
«No, non serve. Mi vesto in un attimo e scendiamo» dico sollevandomi sui gomiti. Forse dovrei aggiungere che sarebbe meglio non farlo insieme per evitare di destare ulteriori sospetti su noi due, ma evito.
«Guai a te se scendi da questo letto» dice baciandomi un seno e indugiando un po’ prima di chiuderlo tra le labbra umide.
«Posso almeno andare un attimo in bagno?» chiedo ridendo. 
Solleva il viso e assottiglia lo sguardo fingendo di pensarci «Solo se farai abbastanza in fretta da farti trovare di nuovo qui quando sarò tornato»
Annuisco con convinzione e lui prima di scendere dal letto mi saluta con un bacio a fior di labbra, poi esce in terrazza per passare dalla sua camera per vestirsi e andare al piano di sotto.
Sollevo gli occhi e guardo la canotta lunga che indossavo ieri sera e che ora penzola attaccata alle pale sopra al letto. Prima di metterci a dormire l’ho presa da terra per indossarla ma Russel me l’ha strappata di mano e l’ha lanciata alle sue spalle facendola finire lassù. Soddisfatto poi mi ha trascinata tra le lenzuola. 
Mi alzo in piedi e faccio un salto sopra al letto per cercare di recuperarla, ma il soffitto è troppo alto e io troppo piccola. 
«Stronza di una maglia vieni giù!» grido facendo un altro salto. 
Mi accuccio e dandomi una spinta più forte balzo in aria allungando la mano, ma riesco appena a sfiorare il tessuto. Con un altro salto riesco quasi ad afferrarla, ma invece di venire giù scivola solamente un po’ lungo la pala. 
Continuo a saltellare fino a che, sentendomi sfinita, mi fermo per riprendere fiato. Sposto lo sguardo intorno alla stanza per vedere se c’è qualcosa che posso usare per recuperarla. 
Ma appena vedo Russel, appoggiato alla portafinestra con le braccia incrociate sul petto che se la ride di gusto, mi blocco «Da quant’è che sei lì?» gli chiedo in imbarazzo sentendo le guance che iniziano a colorarsi in fretta, e non solo per la lunga saltellata sul letto, ma anche perché, mentre lui ha indossato il pantalone di una tuta e una maglia, io gli sto di fronte con solo le mutandine addosso.
«Da quando gli hai dato della stronza» dice sollevando appena una mano dal braccio per indicare le pale e sorridendo con lo spicchio di luna in bella vista. 
«Beh, invece di stare lì a goderti lo spettacolo potevi venire a darmi una mano» dico scocciata incrociando le braccia per coprirmi il seno con le mani. Si avvicina al comodino e prende un telecomando che non sapevo nemmeno fosse lì.
«Che fai? Ti metti a guardare la tv invece di aiutarmi a tirare giù la maglia?» chiedo incredula.
Mi sorride e pigia un tasto. Aspetto scocciata di vedere la tv sopra alla cassettiera che si accende, invece sento dell’aria che arriva da sopra la mia testa, quando sollevo il viso verso l’alto vedo le pale che muovendosi lentamente fanno cadere la canotta ai miei piedi. 
«Ah!» esclamo guardandola con gli occhi spalancati. Lui preme di nuovo sul telecomando e non sento più l’aria, poi lo rimette sopra al comodino. 
«Vieni qui» dice dolcemente avvicinandosi e porgendomi una mano. 
Faccio come mi ha detto e gli vado di fronte rimanendo in piedi sul bordo del letto, districa le mie braccia scoprendomi il seno e ci sfrega il naso circondandomi la vita. 
Il mio cuore, che aveva appena ripreso un ritmo regolare dopo l’inutile faticaccia, riprende subito a battere velocemente, mentre stringendomi mi sposta da sopra il letto per poi farmi scivolare sopra il suo corpo e bloccarmi quando i nostri visi sono uno di fronte all’altro. 
Ci fissiamo per un tempo indefinito, finché nello stesso momento spostiamo gli occhi sopra le labbra dell’altro e inclinando la testa le uniamo in un bacio che sa di cose non dette, di cose che temiamo di dire, di cose che non sappiamo se diremo mai.
Mentre si siede sul letto tenendo le labbra incollate alle mie, gli circondo il collo con le braccia e i fianchi con le gambe. Mi stringe come se fossi la sua perla,  come se fossi il suo cucciolo di canguro. 
Mi spingo contro di lui cercando freneticamente di togliergli la maglia ma appena ne afferro il bordo blocca le mie mani «Ehi, aspetta» non lo ascolto e cerco di liberarmi i polsi mentre la mia bocca cerca disperatamente la sua «Il tuo stomaco continua a lamentarsi» sussurra circondandomi il viso con le mani. Sbatto gli occhi e li alzo per guardare i suoi «Fammi prima scendere a prenderti qualcosa da mangiare»
La piccola Reb grida: “No no, non importa, ha tutto il resto della vita per nutrirsi!” 
Annuisco e abbasso la testa sentendomi una maniaca che ha appena tentato di violentarlo. 
 
Entra in aula l’Avvocatessa piccola Reb: “Però, Signor Giudice, tra le gambe della mia assistita ci sta la prova più che evidente che a lui non sarebbe affatto dispiaciuto.” 
“Assolta!” grida il Signor Giudice sbattendo il martello di legno.
 
«Allora perché sei tornato qui?» chiedo con tono un po’ scocciato.
Il sorriso che mi fa mimetizza sapientemente il divertimento per il mio disappunto «Visto che ormai è l’ora di pranzo volevo sapere se preferivi fare colazione o mangiare qualcos’altro» qualsiasi cosa deciderai di spalmarti addosso per me andrà benissimo. Oddio, davvero l’ho pensato?
Mi schiarisco la voce «Vorrei latte e caffè con qualche biscotto» rispondo, cercando di scacciare l’immagine di lui nudo sopra questo letto mentre con un idrante che spara gelato al pistacchio, (il mio gusto preferito), lo ricopro da capo a piedi.
«Okay, torno subito. Mi raccomando, quando torno voglio trovarti qui» dice sollevandomi per poi lasciarmi al centro del letto. 
Prima di uscire mi dà un lunghissimo e umidissimo bacio, e io vorrei afferrarlo per il colletto della maglia e con la voce della ragazzina del film “L’esorcista” urlargli in faccia: ”Chi se ne frega di mangiare, sbattimi su questo letto e riempimi in un altro modo.” 
Invece mi stacco da lui e, con una vocetta alla Shirley Temple, gli dico solo «Grazie»
 
Chiudo la porta del bagno alle mie spalle e mi passo una mano sopra la faccia. Non ho abbastanza tempo per farmi una doccia gelata prima che torni con la colazione. Guardo il bidet. Però potrei almeno cercare di abbassare un po’ la temperatura della zona più bollente del mio corpo. 
Sì, devo assolutamente farlo.
Indosso la mia canotta e prima di tornare in camera mi lavo il viso e, anche se tra poco farò colazione, mi spazzolo vigorosamente i denti. Mi do un’ultima occhiata allo specchio scacciando dalla mente il volto di Dario e sostituendolo con due occhi turchesi e un piccolo spicchio di luna. 
«Mi sembrava che noi due avessimo fatto un patto. Dovevo trovarti qui sopra ad aspettarmi, o sbaglio?» dice Russel con un sopraccigli sollevato appena metto un piede fuori dalla porta. 
È seduto sopra il bordo del letto e al centro, tra le lenzuola sfatte che ci hanno visti abbracciati per tutta la notte, c’è un vassoio con quello che gli ho chiesto. Niente gelato al pistacchio, peccato.
«Sei tu che sei stato velocissimo a tornare» mi avvicino a lui e con le braccia circonda subito la mia vita.
«Ho fatto in fretta perché di sotto ci sono Carmen e un’altra signora che non conosco che stanno mettendo in ordine e apparecchiando sotto al patio, hanno preparato loro il vassoio per te» dice guardandomi dal basso con il mento appoggiato sotto al mio seno. 
«Hai visto qualcuno degli altri quando sei sceso?» butto la domanda come se non m’importasse un granché saperlo. In realtà spero che nessuno l’abbia visto risalire e infilarsi nella mia camera con il vassoio. 
«No, stanno ancora dormendo tutti» risponde tenendomi stretta «Me l’hai chiesto perché temi che qualcuno possa avermi visto?» chiede infilando una mano sotto la mia maglia e salendo lentamente ad accarezzarmi la schiena.
«Gli unici che sanno di noi sono Luca e Meg, e preferirei che nessun altro venisse a saperlo» dico socchiudendo gli occhi per un brivido che mi percorre la pelle a contatto con il suo palmo caldo. 
Contrae le sopracciglia e il suo petto si solleva per prendere un respiro profondo, dopo aver buttato fuori tutta l’aria dice con voce piatta «Come vuoi» e appoggia una guancia sopra il mio stomaco rimanendo in silenzio.
«Che c’è?» chiedo passandogli una mano tra i capelli. Sono cresciuti molto dalla prima volta che li ho toccati, ora quelli sulla nuca non mi solleticano più il palmo riabbassandosi in fretta.
«C’è che io invece vorrei uscire da quella porta e andare a svegliare tutti per dirgli che ho dormito abbracciato a te tutta la notte» afferma chiudendo gli occhi.
«Russel, non possiamo lo sai» dico con voce rassegnata.
«Soprattutto non dopo la tua scenetta di ieri sera: “Così conosceremo l’uomo che ti ha rapito il cuore”» dice staccandosi da me e imitando quasi alla perfezione la voce nasale di Hanna. 
«Scusami per ieri sera. Non dovevo prendermela con te, e sono stata una vera stronza a farti sapere in quel modo che Dario arriverà tra pochi giorni» 
Sollevandomi la canotta mi scopre la pancia e ci lascia un bacio sopra «Ti sei già fatta perdonare» poi alza il viso guardandomi negli occhi «Però prima o poi dovremo parlarne» 
Gli circondo il collo con le mani sfiorandogli i lobi delle orecchie con i pollici. Il suo viso è rilassato e sereno, e i suoi occhi enormi e bellissimi sono accesi e vivaci. 
Domani, domani lo farò, gli dirò tutto. Ma non ora, non oggi.
Oggi lui è la mia lucciola e voglio stare ancora un po’ a guardarla lampeggiare nel buio del mio silenzio, quel posto chiuso e inespugnato dove le cose non dette finché si continua a non dirle non possono far male.
Salgo con le mani a lisciargli le sopracciglia mentre lui, muovendo i pollici ai lati del mio ombelico, stringe tra le sue grandi mani la mia vita sottile fin quasi a circondarla completamente. 
Sospiro mordendomi un labbro, comprendendo che il vuoto che sento allo stomaco non se ne andrà nemmeno dopo che avrò mangiato tutto quello che mi ha portato per colazione. 
Salgo sopra le sue gambe a cavalcioni per riempirmi almeno la bocca di lui, chiedendomi, ancora una volta, cosa avrà di così speciale da farmi scordare quando mi sfiora tutto il dolore che credevo non sarei più stata in grado di scrollarmi di dosso.
«Ora mangia» dice spostandomi sopra il letto dopo esserci dati troppi pochi baci perché io possa sentirmi soddisfatta. 
Mi siedo con le gambe incrociate davanti al vassoio e vedendo che lui non prende niente gli chiedo «Ma tutta questa roba è solo per me? Tu non mangi niente?» 
Si stende sul letto incrociando le braccia sotto la testa «Ho mangiato qualcosa mentre Carmen ti preparava il vassoio» 
Inzuppo un biscotto nel latte e lo guardo mentre osserva il soffitto «Tutto bene?» chiedo stendendo una gamba per sfiorargli il fianco con il piede.
«Sì» risponde poco convinto voltandosi verso di me, poi puntando un gomito sul letto appoggia la testa sopra la mano mentre con l’altra inizia a massaggiarmi il piede. 
Immergo un biscotto dietro l’altro mangiando con calma e guardando la sua mano che si muove delicata con leggere pressioni del pollice sotto la pianta del mio piede. 
Mentre sale lentamente a circondarmi la caviglia sposto gli occhi sul suo viso e vedo i suoi fissi sulle mie labbra «Puoi smettere di fare quella cosa per favore» dice indicando la mia bocca e ricominciando subito dopo ad accarezzarmi la gamba.
«Quale cosa?» chiedo accigliata.
«Ogni volta che infili in bocca un biscotto dopo ti pulisci l’indice e il pollice stringendoli tra le labbra» 
Guardo la mia mano «Non lo faccio apposta, è che inzuppando il biscotto nel latte mi bagno le dita» 
«Lo so, ma se vuoi finire la tua colazione ti consiglio di non farlo più» dice mettendosi seduto e invitandomi con la mano a porgergli l’altro piede. 
Bevo il mio latte mentre lui massaggiandomi il piede muove lentamente lo sguardo su tutto il mio corpo, quando arriva a posarlo sul mio viso mi sento come un falò appiccato da un piromane nella sterpaglia. 
“Chiamate un canadair!”, grida la piccola Reb nella mia testa. 
“Sta’ zitta! Il mio canadair è già qui davanti a me. E ora girati e non guardare”, le rispondo.
Facendo schizzare del latte fuori dalla tazza la sbatto sopra al vassoio che poi sollevandomi sulle ginocchia tiro su con me, mi volto, e appena lo appoggio sopra al comodino Russel mi stringe da dietro baciandomi il collo. Inarco la schiena spingendomi contro le sue mani che veloci entrano sotto la mia canotta per poi chiudersi sopra al seno, sospiro appoggiando la testa alla sua spalla e volto il capo per cercare la sua bocca. Ci stacchiamo solo un attimo per sfilarci le maglie e sedendosi sui talloni mi tira indietro sopra le sua gambe. 
Tira le mie cosce verso l’esterno per farmi capire di allargarle, non oppongo la minima resistenza e le spalanco immediatamente.
«Mi piaci Sirenetta… tanto» sussurra stingendo il mio seno e marchiandomi la pelle del collo e delle spalle con i denti. 
Intreccio una mano alla sua e velocemente la accompagno sotto l’elastico delle mie mutandine. Appena mi sfiora la pelle bollente serro le labbra per trattenere il gemito che tenta di librarsi nella stanza. Lascio la sua mano libera di muoversi come meglio crede e infilo la mia tra i nostri corpi e dentro i suoi pantaloni, lui però mi ferma subito sfilandola.
«Rallenta il ritmo Sirenetta» soffia affannato al mio orecchio quando mi scappa un lamento per l’interruzione. 
Con una mano sul mio ventre mi stende sopra le lenzuola, sposta i miei capelli di lato e scende con le labbra dalla nuca attraversando tutta la mia schiena. Bacia e soffia sopra la mia pelle accaldata accompagnando la discesa con le mani che lente accarezzano i miei seni, la vita, i fianchi.
«Prima di ricominciare ti voglio nuda» dice con la bocca attaccata in fondo alla mia schiena, mentre con le mani fa scorrere lentamente le mie mutandine indugiando con i pollici nell’incavo delle ginocchia e baciandone prima uno poi l’altro. Dopo avermi spogliata allarga le mie gambe.
«Sei bellissima» dice mentre le sue mani ancora circondano le mie caviglie. 
Sollevo la testa e puntando un gomito sopra il cuscino mi volto per guardarlo. Vedendolo inginocchiato tra le mie gambe, con un ciuffo di capelli che gli cade davanti agli occhi, immobili e sognanti che guardano la mia intimità, e le labbra gonfie dai baci, sento l’urgenza d’averlo sopra di me.
«Ehi» lo chiamo piano. Solleva gli occhi di scatto e sbatte le palpebre.
«Parlavi con me o con lei?» chiedo indicando con il mento dove stava guardando prima che lo svegliassi dal suo sogno a occhi aperti. 
Sorride scivolando con una mano sotto al mio corpo e la chiude a coppa coprendo tutta la mia intimità, mentre fa scorrere l’altra, calda e lenta, dalla mia caviglia fino a stringermi la vita. 
«Con lei ovviamente» dice chinandosi per mordermi un fianco.
Faccio un’espressione oltraggiata «Ah sì? T’informo che io e lei siamo un tutt’uno sai?» 
Inizia a muovere la mano sotto di me e il braccio su cui sono appoggiata cede per il sussulto che scuote il mio corpo.
«E chi se lo scorda» afferma.
«Spogliati… spogliati anche tu» lo prego affondando la testa dentro al cuscino. 
 
Mentre riprendiamo fiato uno tra le braccia dell’altra, Russel dice «Se questo è quello che possiamo fare usando solo le mani, non oso immaginare cosa rimarrà di noi quando faremo l’amore» la sua voce roca vibra dentro al suo petto attaccato al mio orecchio. Non ha detto se, ma quando, come se non avesse il minimo dubbio che prima o poi accadrà.
Sento il tipico disagio che blocca la mia gola ogni volta che devo confessare una cosa ma manco di coraggio per farlo. Il piacere appena provato inoltre non mi aiuta affatto, preferisco continuare a godermi questo momento di totale soddisfazione invece di rovinare tutto. 
Spingo il viso nell’incavo del suo collo respirando la sua pelle fino a riempirmi anche i polmoni di lui.
«Hai ancora fame?» chiede. 
Nego e gli lascio un bacio sotto l’orecchio «Sto benissimo così. Non ho bisogno di nient’altro» rispondo muovendo lentamente la mano sopra il suo petto «Anzi no. Un’altra cosa che voglio ci sarebbe» 
«Cosa?» mi chiede. 
«Questo» dico sollevando il viso per baciarlo.
 
Mentre siamo avvinghiati e pronti per ricominciare tutto daccapo, bussano alla porta.
«Fanculo!» esclama Russel staccandosi dalle mie labbra e abbandonando il viso sopra al cuscino.
«Shh! Fai piano» dico tappandogli la bocca con una mano e spingendolo per liberarmi dal suo abbraccio.
Si stende al mio fianco e chiudendo gli occhi si passa tutte e due le mani sopra la faccia.
«Rebecca, sono io» dice Matt.
Russel spalanca gli occhi e solleva di scatto la testa. La voce di Matt al di là della porta ha su di lui un effetto, come dire, rilassante in una particolare parte del suo corpo.
«Dove vai?» chiede mentre scendo dal letto.
«Come dove vado? Vado ad aprire» dico rovistando tra le lenzuola per cercare la mia canotta.
Alza gli occhi al soffitto e cerca i suoi pantaloni.
«Muoviti!» gli dico mentre li indossa con molta calma e invece io ho già infilato la canotta.
«Matt, arrivo subito» grido verso la porta.
«Sì, tranquilla» risponde lui.
Mentre vado alla porta cerco di dare un senso ai miei capelli pettinandoli con le mani.
«Ma che fai?!» grido a bassa voce quando Russel da dietro m’infila la sua maglia intorno al collo.
«Non crederai che ti lascio aprire la porta solo con quello straccetto addosso, senza niente sotto per giunta» dice spingendomi un braccio dentro la manica poi l’altro.
Sbuffo e mi giro verso di lui «Ora posso aprire?» chiedo scocciata con addosso la sua maglia che mi arriva fino alle ginocchia. 
«Ti lascia ancora troppo scoperte le gambe, ma chiuderò un occhio» dice chinandosi per tirarla un po’ in basso.
«Piantala!» dico scacciando le sue mani mentre tenta di allungare il tessuto per farlo arrivare a coprirmi anche i piedi «Vai là dentro, svelto» bisbiglio indicando il bagno.
Invece di fare quello che gli ho detto si piazza davanti alla porta della camera. Spalanco gli occhi quando, guardandomi con un ghigno malefico degno di Joker, gira la chiave facendo scattare la serratura. Corro alla porta appena in tempo per essere lì davanti mentre Russel la apre rimanendo nascosto dietro. 
«Giorno, Matt» dico agitata bloccando la porta con l’interno del mio gomito per impedire a Russel di aprirla di più, poi per coprire la camera mi appoggio con la spalla allo stipite.
«Ormai possiamo dire buona sera» dice Matt sorridendo.
«Eh già» rispondo, mentre Russel nascosto dietro la porta, dopo avermi bloccato il polso, mi bacia ogni singolo dito.
«Ieri sera poi sei sparita»
«Sì, ero stanca, ho preferito andarmene a letto. Eri venuto a chiamarmi per scendere?» chiedo a Matt agitando la mano per scacciare Russel che mi sta succhiando il mignolo.
«No, sono passato per salutarti perché sto andando via. Oggi pomeriggio mia sorella farà una festa di compleanno per mia nipote e le avevo promesso che sarei andato a darle una mano» 
«Allora ci vediamo» dico frettolosa a Matt mentre Russel ha preso in bocca tutto il mio pollice.
«Sì, mercoledì da Luca per festeggiare il tuo compleanno, giusto?» 
«Sì sì, certo» rispondo sempre più agitata, dato che Russel mi sta leccando l’interno del polso.
«Allora ciao» dice Matt chinandosi per baciarmi una guancia. Cerco di sporgermi con il viso verso di lui ma Russel stringendo la mia maglia, o meglio la sua, mi tira da dietro e quando sente lo schiocco del bacio mi strattona facendomi fare un mezzo salto indietro. Spalanco gli occhi guardando Matt che fa una faccia sorpresa. 
«Scusa, Matt, ma sono di fretta, devo… devo andare al bagno» Russel sghignazza sopra il mio polso. 
«Oh certo, scusa» dice Matt «A mercoledì» 
«Sì. Ciao» mentre si gira allontanandosi nel corridoio lo saluto muovendo la mano libera.
«Ma sei impazzito?» grido a Russel sbattendo la porta.
Il suo movimento è talmente fulmineo che un nanosecondo prima sono davanti alla porta, quello dopo ci sono attaccata con la schiena mentre i miei piedi penzolano a mezzo metro da terra. 
E ogni mia lamentela viene soffocata dalla sua bocca.  
 
Quando scendo nel patio sono tutti a tavola, mancano solo Meg e Brian, e Russel dato che gli ho chiesto di aspettare qualche minuto prima di scendere. Indossano tutti degli occhiali da sole, tranne George che ha sul naso le solite lenti da vista. Mangiano in silenzio e mi salutano appena con un cenno del capo. 
Come si dice: “La sera leoni, la mattina… “. Anche se ormai sono già le tre del pomeriggio.
Mi servo prendendo giusto un po’ d’insalata.
«Ne ho trovati altri due» dice Carmen arrivando con un vassoio con sopra tre piatti di uova e bacon.
«E dov’erano?» chiede Luca prendendo un piatto dalle sue mani.
«Nella rimessa» risponde lei.
Al solo sentirla nominare un brivido sale velocemente sulla mia schiena.
«Buongiorno, Rebecca» dice Carmen.
«Buongiorno, Carmen. Come sta?» le chiedo sorridendo. Sono anni che lavora per la famiglia di Luca e che si occupa un po’ di tutto alla villa.
«Bene. Anche se ogni festa che organizza Luca mi toglie dieci anni di vita. Ho passato la mattina a scacciare gente che dormiva in ogni angolo della casa e del giardino» dice lanciando un’occhiataccia di rimprovero al mio amico.
«Se tu e tuo marito aveste accettato il mio invito, ora anche voi due sareste abbracciati a qualche pianta del giardino a russare rumorosamente con la testa affondata tra le foglie» ribatte Luca, e lei risponde dandogli uno scappellotto sulla nuca.
«Carmen! Fai piano. Ancora non ho preso l’aspirina» si lamenta lui. 
«Buongiorno a tutti» Russel saluta allegro attraversando la portafinestra. 
Come me pochi minuti fa, dagli altri riceve in risposta niente di più che un misero cenno del capo, solo io sollevo il viso dal mio piatto e gli sorrido, spostando poi lo sguardo dai suoi occhi limpidi per posarlo sopra lo spicchio di luna, che tante volte ho visto stanotte, e altrettante questa mattina, ma che comincio a temere non saranno mai abbastanza. 
 
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Lunedì 2 Luglio 2012
 
Distesa sopra al divano del mio ufficio cerco la forza per alzarmi da qui, chiamare un taxi e tornarmene a casa dopo una giornata di lavoro in cui non sono riuscita a concludere un bel niente. Il picco massimo della concentrazione l’ho avuto verso l’ora di pranzo, ma solo perché per strada sono passati non so quanti mezzi dei vigili del fuoco destandomi con le loro sirene, allora ho guardato lo schermo del computer rendendomi conto che da quando ero arrivata non avevo nemmeno aperto la posta, e ora che sono quasi le sette di sera e Meg e Karen sono andate via già da un’ora dopo che ho detto loro che tornavo più tardi perché dovevo finire un lavoro urgente, la posta continua a essere chiusa. 
Stasera quando Russel verrà da me dobbiamo assolutamente parlare. Non posso aspettare un solo altro giorno per dirgli qual è la mia decisione riguardo a Dario.
Ieri sera voleva rimanere a dormire da me, ma sono riuscita a farlo uscire da casa mia con la scusa che ero stanchissima e che se avessimo dormito insieme oggi sarei stata vitale come uno zombie. Avevo bisogno di starmene da sola per pensare e l’ho fatto, convincendomi ancora di più che la decisione che ho preso è l’unica che voglio perseguire.
Ed è stata una fortuna che non fosse con me, perché stanotte ho fatto uno dei miei incubi peggiori e non avrei voluto che mi vedesse quando mi sono svegliata in un lago di sudore piangendo e ridendo perché finalmente il furgone aveva portato a termine il suo lavoro.
Ho sognato di correre sempre nella solita strada, delle alte fiamme ai due lati della carreggiata salivano verso il cielo e proseguivano davanti a me fino a dove i miei occhi riuscivano a vedere. Io scappavo dal furgone che dietro di me tentava di raggiungermi, continuava a dare gas al motore e illuminava la notte con i suoi potenti fari. Non sentivo la fatica di tutte le altre volte che ho sognato di scappare da lui, riuscivo senza alcuno sforzo a correre mantenendo sempre costante la distanza tra noi. Solo che dopo tanto tempo che correvo mi sono stufata di scappare. Mentre le fiamme sembravano aver raggiunto il cielo, mi sono fermata e, dopo essermi voltata, ho piantato i piedi bene a terra e ho gridato in direzione del furgone che avanzava velocemente verso di me: “Okay, ora mi hai stancata. Finiamola qui una volta per tutte”. E sorridendo sono rimasta ferma ad aspettare che mi venisse addosso. Un secondo prima dell’impatto mi sono svegliata. 
Non m’intendo di analisi dei sogni, e ovviamente nemmeno di psicologia, ma il sogno di stanotte credo che significhi che mi sento pronta ad affrontare gli errori che ho fatto e a subirne le eventuali conseguenze. E comincerò da stasera con Russel. 
 
 
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Per chi è interessato questo capitolo ha la sua scena rossa, per leggerla basta cliccare sotto:
Russel e la Sirenetta Crudelia - Chiamate un canadair
 
Baci,
V.17

 

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Capitolo 18
*** Cap. 18 - Tanti auguri ***


CAP. 18 - TANTI AUGURI
 
Tutti dicono che l’amore va a braccetto con la follia
ma per una che è già matta tutto questo che vuoi che sia,
tante volte l’incoscienza è la strada della virtù,
litigare, litigare per amarsi sempre di più.
Ma girando la mia terra io mi sono convinta che
non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è.
  
Buoncompagni-Pace-Ormi
 
**
 
Dopo aver fatto una doccia veloce ho indossato una maglia lunga e ho bevuto giusto un bicchiere di latte freddo. Dovrei mangiare qualcosa visto che ho saltato anche il pranzo, ma non ho fame e il mio stomaco oggi sembra fatto a imbuto per colpa dell’agitazione.
Quando Russel suona il campanello è da almeno mezz’ora che sono immobile sul divano a guardare il soffitto senza vederlo.
«Ciao» lo saluto aprendo la porta.
«Ciao» subito si china per baciarmi «Come va la tua mano?»
«Bene, sta bene» ora non è più avvolta nella benda, c’è solo un grande cerotto sopra al palmo. 
Ieri, quando nel tardo pomeriggio Meg e Brian si sono decisi a uscire dalla loro camera, lui mi ha tolto i punti. Sono molto orgogliosa di me, ho mantenuto il sangue freddo anche quando sentivo la pelle tirare per l’attrito che facevano le croste mentre sfilava i punti. Non posso dire che non mi abbiano impressionato le ferite, ne ho tre superficiali che sono ancora molto rosse ma sono piccole e regolari, quella più profonda invece quando l’ho vista mi ha fatto salire un conato di vomito e fatto girare un po’ la testa.  È lunga almeno tre centimetri, con i bordi frastagliati e una crosta spessa e rosso scuro la percorre tutta. Brian mi ha detto di tenerla asciutta ancora per qualche giorno e mi ha dato una pomata da metterci sopra regolarmente per attenuare la cicatrice.
«Hai già cenato?» mi chiede Russel.
«Sì» rispondo andando a sedermi sopra al divano. Lui entra in cucina e guarda dentro al lavello dove c’è solo il bicchiere vuoto che ho usato per bere il latte, poi apre la lavastoviglie che so essere completamente vuota.
«E hai mangiato con le mani tenendoci il cibo sopra?» chiede mentre viene a sedersi accanto a me.
Ma che ha preso lezioni da Luca su come scassarmi le scatole perché mangio poco?
«Ho mangiato qualcosa prima di rientrare a casa» mento. 
Affina lo sguardo e mi scruta attentamente, deve aver preso anche la laurea, che Luca ha già da qualche anno, su come annusare l’aria per sentire l’odore della menzogna che aleggia intorno a me quando dico una bugia.
«Scaldati almeno un po’ di latte e mangia qualche biscotto» dice avvicinandosi e circondandomi le spalle con un braccio. 
«Dopo, ora non mi va» rispondo sospirando.
«Che c’è che non va Sirenetta?» chiede baciandomi una tempia e circondandomi anche con l’altro braccio.
«Dobbiamo parlare» dico staccandomi da lui e tirando su le gambe da terra per mettere i piedi accanto al mio sedere.
«Certo» si mette di fronte a me stendendo una gamba piegata sul divano e un braccio sopra la spalliera «Dimmi» mi incita.
«Non è facile per me parlare di questa cosa, però è giusto che tu sappia» chiudo gli occhi strusciando la nocca di un pollice sopra una palpebra «Prima dell’incidente è successa una cosa e io… io ho fatto una cosa molto brutta nei confronti di Dario e gliel’ho tenuta nascosta. Ma ora non voglio parlare di questo. Io ora voglio solo dirti che quando lui verrà qui ho deciso di dirgli tutto, compreso che il giorno dell’incidente stavo andando da lui per lasciarlo» 
Spalanca la bocca «Stai dicendo che lui non sa che quel giorno volevi lasciarlo?» chiede. Nego con il capo «E perché non gliel’hai detto?»
«Perché avrei anche dovuto spiegargli cosa era successo, ma non ho mai trovato il coraggio» 
«Questa cosa che tu non gl’hai detto, c’entra con il fatto che voi due non avete più…» annuisco.
Serra la mascella e stringe il pugno accanto alla mia testa.
«Oh, ma non pensare a cose tipo violenza o chissà cos’altro, no no,  non è successo niente di tutto questo» dico agitando una mano. 
Mi guarda rilassando il viso «Okay, continua» 
«Dopo l’incidente non l’ho più lasciato perché stavo male e pensavo che la sua vicinanza mi avrebbe aiutata, ed effettivamente è stato così, e poi ero sicura che le cose tra noi sarebbero tornate come prima del mio errore, però nello stesso tempo sapevo anche di non volerlo sposare. È un anno e mezzo che ci frequentiamo e non l’ho certo fatto perché con lui non stessi bene ma io ho una specie di… non so come definirla, chiamala allergia, chiamala paura, chiamala un po’ come ti pare, per i rapporti che includono le parole “per  sempre“, perché io non ci credo che due persone possano amarsi davvero per il resto della loro vita. Dopo un po’ mi sono resa conto che non era giusto nei suoi confronti, non potevo continuare a stare con lui illudendolo che prima o poi noi due avremmo messo su casa insieme. Inoltre per colpa mia le cose tra noi non erano affatto tornate come prima. Alternavo momenti in cui non volevo che si allontanasse di un solo metro, ad altri in cui non rispondevo nemmeno alle sue telefonate. Ho combattuto per mesi con me stessa, tra il bisogno di averlo accanto e la consapevolezza che lo stavo solo illudendo. Allora sono scappata venendo fin qui perché stando vicina a lui non riuscivo a prendere una decisione» dal suo sguardo confuso capisco che non comprende dove sto cercando di condurlo con il mio discorso. 
Anche se è terribilmente difficile m’impongo di continuare «Ieri dopo che noi… sì insomma, dopo che ci siamo coccolati, tu hai detto una cosa che mi ha fatto capire che sei sicuro che noi due prima o poi faremo l’amore insieme» dico guardando il suo petto invece che il suo viso, quindi non posso sapere qual è la sua reazione alle mie parole, ma posso immaginarla «Io ti ho già detto che non posso prima di aver parlato con Dario, ma non ti ho detto perché» mi solleva il mento e vedo che non mi sbagliavo riguardo alla sua espressione, esprime sgomento e preoccupazione. 
«Tu una volta mi hai detto che vorresti che riuscissi ad aprirmi con te come faccio con Luca» continuo.
«Sì è vero» risponde annuendo.
«Ora ti dirò una cosa che non sa nemmeno lui. Malgrado tutto quello che ti ho appena detto, ho deciso che dopo che avrò raccontato tutto a Dario, se lui dovesse perdonarmi e mi chiedesse di tornare a casa con lui lo farò» 
«Ma che cazzo stai dicendo?» chiede scattando in avanti con il busto.
«Ti sto dicendo qual è la mia decisione» dico pacata guardandomi le mani intrecciate sopra le gambe.
«Ma tu non lo ami» dice sollevandomi il mento e guardandomi attentamente negli occhi. Tiro in dietro la testa liberandomi dalla sua mano.   
«Non importa. Hai ragione, io non lo amo, ma non perché lui non lo meriterebbe, ma solo perché io non sono capace d’amare completamente un uomo per colpa della mia paura di dipendere da lui e di rimanerne delusa un giorno. La cosa che ho fatto è brutta, molto brutta, e non credo che mi vorrà rivedere dopo che gli avrò raccontato tutto, ma esiste la possibilità che invece non sia così e io non me la sentirei di dargli un altro dolore rifiutandolo» 
«E io che dovrei fare? Aspettare che uno che nemmeno conosco e di cui non mi frega assolutamente un cazzo di niente decida anche per me?» sbotta.
«No, che c’entra, non è così»
Scatta in piedi «Come non è così. Lui verrà qui, tu gli racconterai tutto e lui deciderà se tenerti con sé o no. Io non so cosa hai fatto ma se davvero ti ama non credo che non ti perdonerà, sarebbe solo uno stupido se non lo facesse e rinunciasse a te in questo modo, quindi lui deciderà anche per me» sospiro. In fondo ha ragione. 
«Mi dispiace, ma io ho già preso la mia decisione. A questo punto non mi resta che aspettare, non ho altra scelta» dico a bassa voce.
«No tu ce l’hai invece, è solo che ti manca il coraggio» dice avvicinandosi e chinandosi su di me.
«Ma che stai dicendo?» chiedo alzando il viso verso di lui.
«Tu sei scappata da lui per non affrontare la verità, beh lo stai facendo anche con me» afferma battendosi una mano sul petto «Ti nascondi dietro a tutta questa storia per mantenere le distanze da me e non farti coinvolgere» 
«No, non è vero» ribatto alzandomi e stringendo i pugni.
«Non mentire per favore. È per questo vero che non vuoi fare l’amore con me? Perché temi che dopo non saresti più in grado di tornare da lui?» si piega sul mio viso guardandomi con le sopracciglia sollevate.
«No non c’entra niente, io non voglio perché… perché io ancora non me la sento» dico abbassando la testa.
«Non dire stronzate! Tu lo desideri almeno quanto me» mi urla in faccia, poi si volta e solleva la testa al soffitto.
«Vuoi smettere di parlare come se fossi nella mia testa e sapessi perfettamente tutto quello che penso?» grido alla sua schiena.
«Non mi lasci altra scelta visto che continui a mentirmi» dice con le mani sui fianchi voltandosi verso di me.
«Non ti sto mentendo, ti ho detto la verità, sei tu che non vuoi capire» ribatto sbattendo un piede a terra come un’idiota.
«Perché non c’è un bel niente da capire» afferma allargando le braccia «Questa cosa di accettare di tornare con lui è una grandissima stronzata, per te, per me, per noi due» dice avvicinandosi e muovendo una mano tra noi.
«Russel, non c’è nessun noi due. Te l’ho detto solo perché era giusto che tu lo sapessi. Mi dispiace ma le cose potrebbero andare così, ormai ho deciso e non cambierò idea» incrocio le braccia sotto al petto e lo osservo con sguardo deciso.
«Beh lo vedremo» dice un attimo prima di uscire di casa sbattendo la porta. Poi sono io quella che scappa.
 
**
 
Martedì 3 Luglio 2012
 
Accendo il computer dell’ufficio e dopo aver aperto la posta mi concentro totalmente sul mio lavoro. Oggi devo assolutamente rimettermi in pari e nel pomeriggio ho due appuntamenti con dei clienti piuttosto noiosi, anche se vorrei solo potermi stendere sul divano per fare un pisolino. Ho passato la nottata con gli occhi sbarrati a pensare alla discussione con Russel. Dopo aver riascoltato nella mia testa, quasi fino alla noia, ogni singola parola che ci siamo detti, ho spostato i miei pensieri su Dario. Ieri sera quando mi ha chiamata gli ho detto che per me va bene se vuole venire il 20. Altri diciassette giorni e metterò fine alle menzogne che gli racconto da mesi. 
«Cos’è questa storia che pensi di tornare a casa con Dario?» chiede Luca entrando e chiudendo la porta.
«E a te chi te l’ha detto?» mentre la domanda esce dalla mia bocca la mia mente ha già elaborato la risposta.
«Russel, ieri sera è venuto al club» come immaginavo «Quindi?» chiede sedendosi davanti a me.
«Se ti ha già detto tutto perché sei qui?» chiedo scocciata.
«Perché ha ragione lui sostenendo che stai per fare una stronzata» e io che credevo che fosse venuto per complimentarsi con me per la mia decisione. 
«Ma se mi hai sempre spronata a parlare con Dario e a dirgli la verità» dico sarcastica.
«Ma non a rimetterti a una sua decisione riguardo a voi due» dice invece lui seriamente.
«Luca, per favore, non ti ci mettere anche tu» lo prego dondolandomi annoiata sullo schienale della poltrona.
«Tu credi di aver preso la decisione giusta, ma in realtà stai solo assecondando i tuoi sensi di colpa nei suoi confronti» eccolo lo psicologo che è in lui che tenta di emergere.
«Luca, ti prego» continuo a dondolarmi cercando di sedare l’isteria che sta per esplodermi.
«Luca ti prego un cazzo! Stai sbagliando, stai sbagliando ancora. Tu devi solo dirgli la verità perché è giusto che la sappia, poi che non lo ami e lasciarlo libero di andare per la sua strada» grida. 
«È quello che ho intenzione di fare ma se lui vorrà…» non mi fa terminare la frase.
«Ma andiamo, lo sappiamo tutti e due che non ti lascerà nemmeno dopo che gli avrai confessato tutto, s’incazzerà probabilmente, soffrirà sicuramente, ma poi ti chiederà di tornare a casa con lui, e su questo mi ci gioco le palle» dice convinto.
«Beh, allora mi spiace per tutte quelle che sperano di farsi ancora sbattere da te, perché io non sono altrettanto sicura. Ma se hai ragione e succederà, io andrò con lui» rispondo bloccando di colpo il mio lento oscillare sulla poltrona.
«Certo che sei testarda forte» grida sbattendo un pugno sopra la scrivania.
«Ma senti chi parla» rispondo sbattendolo anch’io.
«E cosa pensi di fare con Russel?» chiede sporgendosi verso di me.
«Niente, perché, cosa dovrei fare con lui?» so benissimo cosa intende ma con la mia scrollata di spalle spero di essere stata abbastanza convincente da fargli davvero credere di non sapere di cosa stia parlando.
«Mi domando da quant’è che sei diventata così stronza» sibila a bassa voce.
«Perché sono stronza, ora cosa ho fatto?» continuo imperterrita con la mia scenetta del: “Se c’ero dormivo”.
«Stai scherzando vero?» nego con il capo «Lui non vuole che te ne vai» ma guarda, non l’avevo capito.
«A parte il fatto che tu e lui state dando per scontato che succederà. Cosa dovrei fare secondo te? Mandare al diavolo Dario, anche se malgrado tutto volesse continuare a stare con me, dicendogli che ho trovato un altro che mi piace? Per cosa? Per divertirmi un po’ con Russel? E quanto pensi che potrebbe durare? Noi due non siamo destinati a stare insieme lo sai benissimo anche tu» dico, e ora non sto fingendo. 
«Solo perché tu non vuoi» dice appoggiandosi allo schienale e lisciando con le mani i braccioli della poltrona.
«No, solo perché le nostre vite non sono compatibili» dico a bassa voce.
Invece lui grida «Oh, invece la tua si adatta perfettamente a quella di Dario che vuole sposarsi e probabilmente avere un sacco di marmocchi» 
«Io ho preso la mia decisione» dico sentendomi a un soffio dal tirargli contro la lampada sopra la scrivania «Quello che succederà dopo lo affronterò in qualche modo»
«Stai buttando al vento la possibilità di essere felice. Ti ho vista con Russel, tu stai bene quando sei con lui» dice abbassando il tono della voce.
Sospiro abbandonando la testa contro la poltrona «Sì è vero, ma non voglio far soffrire Dario più del necessario» 
«Sai che ti dico? Fai un po’ come vuoi. Ma non venire da me quando starai di nuovo male» dice alzandosi stizzito.
«Non preoccuparti, non lo farò» grido mentre esce in fretta dalla porta.
Perfetto, ora ho litigato anche con Luca. Perché non riesce a capire che sto solo cercando di rimediare? Dario è un uomo splendido, non sarà così terribile continuare a stare con lui, certo, non voglio comunque sposarlo, ma quando verrà gli dirò anche questo, e anche che non voglio dei figli. Con tutte queste premesse mi chiedo come fa Luca a essere tanto sicuro che mi vorrà ancora. Io invece sono sicurissima che mi vomiterà addosso tutta la sua rabbia e che in un secondo uscirà da casa mia per non farsi rivedere mai più.
 
La sera rientrando a casa trovo Russel che mi sta aspettando davanti alla porta.
«Ciao» dice.
«Ciao» rispondo.
Non diciamo nient’altro, io entro, lui mi segue.
Vado in cucina per mettere le poche cose che ho comprato dentro al frigo e ne approfitto per metterlo un po’ in ordine e vedere se c’è qualcosa da buttare, dopo ripiego con molta calma la busta di carta e la chiudo in un cassetto, poi apro quello delle posate e sistemo in modo maniacale i cucchiai e le forchette mettendoli di lato. Apro uno sportello e allineo i barattoli e le scatole, ne tiro fuori una e leggo i principi nutritivi, poi la rimetto a posto. 
Ignorandolo completamente sorpasso Russel che sta appoggiato al muro ad arco che separa la cucina dal soggiorno. Vado davanti alla portafinestra ed esco fuori, sollevo il cuscino da una delle due sedie in midollino gli do due colpetti e lo rimetto sopra la seduta, stessa cosa con l’altra sedia. Rientro in soggiorno e ravvivo i cuscini del divano, poi spiego la coperta che tengo sopra a un bracciolo e facendo un quadrato un po’ più piccolo di come era piegata prima la rimetto al suo posto. Mi avvicino alla libreria e faccio scorrere lo sguardo sopra alle costole dei libri e ne scambio di posto un paio, stessa cosa con quattro cd e due dvd. Attraverso il soggiorno, dove Russel è ancora appoggiato da quando è entrato, e vado in camera poi entro in bagno. Sposto di qualche millimetro i flaconi sopra la mensola, mi lavo le mani e torno in camera. Dopo aver aperto un cassetto rovisto dentro e ripiego con calma un paio di maglie, lo richiudo e liscio le coperte del letto già perfette. Dall’armadio tiro fuori un paio di giacche rovisto dentro le tasche e le lascio fuori attaccate alla gruccia per portarle in lavanderia.
«La casa è okay o devo aiutarti a spostare qualche mobile per controllare anche là dietro?» chiede sarcastico Russel alle mie spalle mentre sto scuotendo la tenda per farla scorrere di un centimetro. Abbasso la testa stringendo il tessuto nella mano. 
«Cosa credevi di fare andando da Luca ieri sera?» chiedo senza voltarmi. 
Sento che sospira «Volevo solo digli quello che mi avevi detto tu»
Mi giro e lo fulmino con lo sguardo «Beh grazie tante, per colpa tua oggi abbiamo litigato» 
«Non per colpa mia, ma tua» risponde avvicinandosi.
«Se non gliel’avevo detto avevo i miei buoni motivi e tu non avevi nessun diritto di farlo al posto mio» grido sollevando il mento e puntandogli un dito contro.
«E quali erano questo motivi?» chiede chinandosi sul mio viso con le sopracciglia sollevate.
«Non sono affari tuoi» rispondo sorpassandolo a passo svelto.
«Non gliel’hai detto solo perché avevi paura che ti facesse cambiare idea» afferma. 
«No, perché nessuno può farmi cambiare idea a questo punto, nemmeno Luca» dico stando davanti alla cassettiera e guardandolo dallo specchio.
«Bugiarda» mi volto di scatto.
«E non darmi della bugiarda maledizione!» grido stendendo le mani sui fianchi e dando un pugno a un cassetto dietro di me.
«Ma tu lo sei, lo sei con il tuo uomo, lo sei con me, lo sei con Luca e soprattutto lo sei con te stessa» dice rimanendo immobile e fissandomi.
«Si può sapere che cazzo vuoi da me?» chiedo annoiata, come se lui non meritasse nessun tipo di spiegazione, appoggiando i gomiti sopra la cassettiera e lasciando ciondolare le mani ai lati del busto. 
«Sono io che ti chiedo che cosa vuoi da me. Vuoi che me ne vado e che non ti cerco più lasciandoti fare una cazzata?» fa un passo verso di me e si ferma.
«Di cazzate ne ho fatte di ben peggiori e tu puoi fare quello che ti pare» rispondo rimanendo appoggiata e girando le mani verso l’alto.
«No, io non posso fare quello che mi pare, altrimenti non staremo qui a discutere ma là sopra a fare tutt’altro, te l’assicuro» grida indicando il letto alla sua destra.
«Quindi è questo il problema? Allora lo risolviamo subito» mi sfilo in fretta la camicia dalla testa sentendo le cuciture che si strappano «Beh, che stai aspettando? Spogliati» dico mentre apro la zip della gonna.
«Smettila» dice passandosi una mano tra i capelli mentre getto la gonna a terra «Smettila! Maledizione!» grida venendomi di fronte con due lunghi passi e bloccando le mie mani dietro la schiena mentre cerco di sganciare il reggiseno.
«Mi sembrava d’aver capito che tu vol…» 
«Sta’ zitta. Sta’ zitta per favore» sussurra, chiudendo poi a pugno le mie mani ancora dietro la schiena con le sue. Rimango immobile con il mento appoggiato al suo petto. 
«Se volessi solo il tuo corpo non ti toccherei nemmeno con un dito» lascia una mano alla base della mia schiena, con l’altra mi volta il viso attirandomi contro di sé e circonda la mia guancia con il palmo. Con le sue lunghe dita che mi coprono l’orecchio riesco a sentire solo i tonfi sordi del suo cuore che sembra voler comunicare con me in codice morse, ma, se davvero è così, io non sono in grado di decifrare cosa sta cercando di dirmi. 
Quando parla di nuovo la sua voce si mescola al battito del suo cuore «Non farlo anche con me. Insultami, cacciami via, ma non mentirmi per favore. Quello non lo sopporterei» prende un profondo respiro e io mi sollevo e riabbasso con il suo torace «Prima o poi dovrai smettere di mentire, e più vai avanti e più quello che vedrai di te quel giorno non ti piacerà, soprattutto se farlo ti avrà portato dove non volevi essere veramente» a questa frase inizio a piangere in silenzio. 
«Io capisco che tu debba parlare con lui, ma non posso accettare che tu scelga di fare una cosa che sai benissimo che non ti renderebbe felice. E soprattutto non sopporto che continui a fingere che tra noi non stia succedendo qualcosa per cui valga la pena provare» 
Mi aggrappo alla sua maglia continuando a versare lacrime silenziose. 
«È difficile Russel, nemmeno immagini quanto sia difficile per me» dico circondandogli la vita e premendo il viso contro di lui.
«Ma tu sei una Sirenetta con le palle» dice circondandomi le spalle e affondando il viso tra i miei capelli.
«Non è vero» rispondo staccandomi da lui e asciugandomi gli occhi con le mani. 
«Sì che è vero, solo che ancora non lo sai. E ora smetti di piangere. Domani è il tuo compleanno e non ti voglio triste» mette una mano sopra la mia guancia «Vuoi che ti preparo un bagno caldo?» 
«No grazie, mi faccio una doccia veloce poi preparo qualcosa per cena» rispondo raccattando i miei vestiti da terra e mettendoli davanti al busto per coprirmi.
«Okay. Ti aspetto di là» mi bacia la fronte ed esce dalla camera chiudendo la porta.
Mi siedo sul letto stringendo al petto la gonna e la camicetta. Guardo il cerotto sopra la mia mano, un altro errore, un’altra cicatrice. Mi getto indietro e guardo il soffitto pensando alla parole di Russel, parla di noi come se davvero potessimo avere un futuro insieme, ma io so che non è così, che io torni o no con Dario quanto potrebbe durare tra noi? Io prima o poi tornerò comunque a casa, là ho la mia famiglia, mia madre, mia sorella con sue marito e sua figlia. E poi con il suo lavoro saremo sempre costretti a nasconderci. Non ho nessuna intenzione di vedere la mia faccia sbattuta ovunque con trafiletti che parlano di me distorcendo completamente la verità, o ancora peggio che vadano a scavare nella mia vita solo per fare notizia. 
Dal cassetto del comodino prendo il libro che mi ha regalato Alice e stesa su un fianco con le ginocchia al petto rileggo la sua dedica, quanto vorrei che fosse qui con me, lei mi parlerebbe dolcemente, non mi urlerebbe contro come Luca, anche se so che lo fa solo perché mi vuole bene sto male quando litigo con lui. Anche lui si è accorto che la vicinanza di Russel mi fa bene, non che dovesse sforzarsi chissà quanto dopo avermi vista in uno dei periodi più tristi della mia vita. Richiudo il libro e come se fosse un cuscino lo metto sotto la testa e penso a Dario. 
Ricordo perfettamente il giorno in cui ci siamo conosciuti. Mi tamponò con la sua auto dopo che avevo inchiodato per colpa di una vecchietta indecisa che tenendo al guinzaglio il suo cocker all’ultimo momento si era gettata sulle strisce. Scesi dall’auto e quando vidi il mio paraurti ammaccato gli urlai subito contro che era un pericolo della strada e che doveva farsi gli occhiali da vista. Lui invece di rispondermi a tono mi chiese se poteva offrirmi un caffè, quando vide il mio sguardo si corresse dicendo che una camomilla sarebbe stata sicuramente meglio. Non ho mai avuto dimestichezza con il modulo cid, in verità non ci ho mai capito un bel niente, quindi lo compilò lui, poi ci scambiammo i biglietti da visita e ce ne andammo ognuno per la propria strada. 
Quando andai a fare la denuncia all’assicurazione mi dissero che mancava il suo numero di targa, senza quella quel foglietto che tenevo tra le mani era carta straccia. Così fui costretta a chiamarlo, e lui con molta tranquillità mi disse che mi avrebbe detto il suo numero di targa solo se avessi accettato di farmi offrire la famosa camomilla. E io accettai. Dopo che cominciammo a frequentarci mi confessò che l’aveva fatto a posta a non scrivere il numero di targa sul modulo perché voleva rivedermi, in realtà lo sospettavo già da tempo.
Il primo anno è stato fantastico, niente impegno, niente stupide smancerie, niente ridicole promesse, c’era solo la nostra voglia di stare insieme. Spesso andavamo a cena fuori, a volte al cinema, raramente in qualche locale, ma le nostre serate finivano sempre in un solo modo, a casa mia o sua a rotolarci tra le coperte. Dario è un amante instancabile quando si tratta di soddisfare la propria partner, non mi sono mai alzata la mattina dopo che non fossi pienamente appagata. Inoltre è un uomo con i piedi ben piantati per terra, l’unica pazzia che ha fatto nella sua vita è stata quella di farmi la non proposta. Da quel giorno però è cambiato qualcosa, non riuscivo più a vederlo come l’uomo con cui stavo bene senza troppe responsabilità nei suoi confronti, la paura di farlo soffrire o deluderlo mi tormentava notte e giorno e facevo di tutto per nasconderglielo, iniziando addirittura a essere più affettuosa e attenta a lui, non che non mi venisse naturale farlo, ma ho cominciato a lasciarmi più andare e questo è stato il mio primo errore, accorciare la distanza che mi ero imposta di mantenere con lui. Non gli ho mai detto che lo amo, non l’ho mai detto a nessuno in vita mia, ma lui sa bene quanto sia difficile per me mostrare i miei sentimenti e quindi non se n’è mai fatto un problema, è fermamente convinto che prima o poi succederà. La sua infinita pazienza è uno dei miei più grossi problemi con lui, perché se invece mi mettesse alle strette e non mi lasciasse tutto questo tempo per decidere, probabilmente avrei già messo fine alla nostra relazione senza continuare a illudere né lui né me stessa pensando che forse qualcosa si può ancora recuperare. 
Sollevo la testa, la copertina del libro mi si è appiccicata sulla faccia e l’orecchio mi duole un po’, mentre lo massaggio mi alzo ed entro in bagno.
 
Io e Russel mangiamo in silenzio, pur non essendo mancino mangia con la mano sinistra per stringere la mia sopra la tavola. Quando sono uscita dalla camera aveva già apparecchiato e i vapori del cibo cinese che aveva ordinato avevano saturato la stanza. Adoro la cucina cinese, ma il suo odore quando entra dentro casa sembra non volersene più andar via.
«Chi ci sarà domani alla tua festa?» questo è il secondo tentativo di Russel di fare conversazione, il primo è stato quando mi ha chiesto se i ravioli al vapore erano buoni, ho risposto con un cenno del capo. Ma a questa domanda non posso rispondere muovendo solo la testa.
«I soliti, più qualche collega di lavoro» breve e concisa, se vuole anche i nomi mi dispiace ma sono troppi.
«Non mi farai nemmeno un misero sorriso prima che me ne vado a casa?» chiede dandomi una strizzatina alla mano mentre con la forchetta continuo a spostare i bocconcini di pollo nel mio piatto dopo che ne ho mangiati solo due. Da quando Russel li ha messi nel mio piatto ho fatto uno smile, una stella, due ali di gabbiano, e ora stavo terminando uno spicchio di luna. 
Alzo la testa e lo guardo, nemmeno lui sta sorridendo.
«E tu me lo fai vedere il piccolo spicchio di luna sopra la tua guancia?» chiedo appoggiando la forchetta, e lui non mi delude, allora non posso fare altro che rispondere al suo sorriso con il mio.
«Vieni qua» dice spostando indietro la sedia e tirandomi la mano per farmi sedere sopra le sue gambe.   
Mi siedo di lato e appoggio la guancia sopra la sua spalla guardando il suo profilo mentre lui mi tiene stretta la vita.
«Spicchio di luna, mi piace» dice sorridendo.
«Anche a me» soffio le parole sopra al suo collo mentre sollevo una mano per sfiorargli la fossetta con il pollice. Stando appoggiata sopra la sua spalla sinistra non posso vederla, ma la sento bene sotto al polpastrello.
Alzandosi dalla sedia mi solleva andando sopra al divano, gli circondo il collo con le braccia e mi accomodo sopra al suo petto ampio e accogliente chiudendo gli occhi mentre mi accarezza la nuca.
«Dormi con me?» gli chiedo dopo un po’ aprendo gli occhi.
Si volta e mi guarda quasi sfiorando il mio naso con il suo «Certo» risponde.
Poi accorcia le distanze e mi bacia.
Mi addormento cullata dal suo torace che si alza e abbassa, respirando il suo odore e rilassandomi sotto le sue mani che lente mi accarezzano.  
 
«Ehi Sirenetta, svegliati. È mezzanotte e quindi è il tuo compleanno» sbatto gli occhi e li spalanco.
«Tanti auguri» dice Russel disteso di fronte a me dentro al mio letto. 
«Mi hai svegliata solo per farmi gli auguri?» chiedo mezza addormentata sorridendo appena. 
«E per questo» dice attirandomi a sé e baciandomi.
Circondo la sua vita con una gamba e mi trascina sopra di sé sedendosi. E io ritrovo tutta la meraviglia di stare attaccata al suo corpo che mi accoglie come se fosse il guscio spesso e solido del mio.
Dopo una lunga serie di baci umidi riapro gli occhi e lo sguardo mi cade sopra la sveglia.
«Ma ancora non è mezzanotte» affermo fingendomi arrabbiata.
«Mi hai beccato, non ce la facevo più ad aspettare. Avrei dovuto mettere l’orologio un po’ in avanti» dice con la sua espressione da monello.
«Anche se manca ancora mezz’ora al mio compleanno ti perdono» con le mani tra i suoi capelli lo spingo contro la mia bocca mentre le sue entrano dentro la mia maglia, una si posa al centro esatto della mia schiena, l’altra si chiude attorno a un mio seno.
Mi solleva facendomi stendere al suo fianco e lascio che mi spogli sfilandomi prima la maglia poi le mutandine.
Scivolando con una mano tra le mie gambe sussurra al mio orecchio «Questo è il mio primo regalo. Goditelo Sirenetta» 
E io faccio come mi ha detto.
 
Mentre Russel è in cucina per prendermi dell’acqua il mio iphone trilla per l’arrivo di un messaggio, è mezzanotte spaccata. 
Lo apro: “Ciao Tesoro, ti ho cercata su skype ma non sei in linea. Volevo essere il primo a farti gli auguri. Tanti auguri amore mio. Ti amo, D.“
Rimetto il telefono sul comodino e quando torna Russel mentre bevo mi domando: A questo punto, chi dei due mi ha fatto gli auguri per primo per i miei ventotto anni? 
 
**
 
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Nel prossimo capitolo ci sarà la festa di compleanno di Reb. Quale sarà il secondo regalo che le farà Russel? 
Per chi è interessato nella mia pagina trovate il primo capitolo della raccolta di scene rosse.  
 
Un bacio a tutti,
V.17

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Capitolo 19
*** Cap. 19 - L'amore è un drago dormiente ***


Ci sono, anche se in ritardo, è che quando il lavoro chiama io devo rispondere. 
Buona lettura,
V.17
 
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CAP. 19 - L’AMORE È UN DRAGO DORMIENTE
 
Perché è un drago dormiente l’amore, 
ti morde la gola e le vene… 
 
Perché è un drago dormiente l’amore, 
se si sveglia ti allaga le vene… 
 
Timoria-Aldo Busi
 
**
 
Mercoledì 4 Luglio 2012
 
Un corpo caldo che ti stringe, una bocca morbida che ti bacia, una voce dolce che sussurra al tuo orecchio, può esistere un modo migliore per svegliarsi la mattina? 
«Dormito bene?» chiede Russel abbracciandomi da dietro e facendo scorre le labbra sul mio collo. 
«Benissimo» rispondo voltandomi e sorridendogli, poi affondo il viso nel suo collo e lo stringo intrecciando le gambe con le sue.
«Sembri di buon umore» dice scostandosi un po’ per guardarmi.
«Infatti lo sono» lo spingo per farlo stendere e sedendomi sopra il suo addome appoggio le ginocchia sul materasso e le mani ai lati del suo viso «Primo perché oggi è il mio compleanno, poi perché non devo andare a lavoro visto che oggi tutta l’America è in festa, e poi perché ho un bellissimo uomo dentro al mio letto» dico piegandomi per baciarlo.
«Ah sì? E dei tre motivi qual è quello che ti rende maggiormente felice?» chiede sorridendo malizioso.
«Ovviamente non dover andare a lavoro» rispondo allungando le gambe e aderendo completamente al suo corpo.
«Sei proprio una Sirenetta Crudelia» dice circondandomi la vita e rotolando sopra di me.
«Ma solo perché almeno posso stare con te» mi affretto a precisare. 
«Ruffiana» afferma mordendomi una spalla.
«Può essere, però è la verità» rispondo al suo morso facendo altrettanto con il suo collo che si trova a tiro della mia bocca.
«È la verità?» chiede guardandomi con fare circospetto, e io annuisco «Allora ti perdono»
«Dove vai?!» esclamo sedendomi in fretta tra le lenzuola dopo che lui è saltato fuori dal letto.
«Torno subito» risponde andando verso la porta.
«E mi lasci così?» chiedo sbigottita. 
«Così come?» chiede voltando solo il busto verso di me e sollevando le sopracciglia.
«Così… così» dico allargando le braccia, lui affina lo sguardo ed esce senza dire niente. 
Con una mano davanti alla bocca mi annuso l’alito, forse è scappato per quello, ma non mi sembra così terribile, mi sollevo sulle ginocchia e mi guardo allo specchio sopra la cassettiera, va be’, i capelli sono un disastro come ogni mattina e forse le occhiaie non sono proprio il massimo, e sicuramente nemmeno la maglia larga e un po’ sformata che indosso aiuta la fornicazione, ma non mi sembrava che tutto questo avesse inibito la cosa che si muoveva dentro ai boxer di Russel. Affranta mi siedo sui talloni sospirando.
Scoppio a ridere vedendo Russel che entra in camera con la candela alla cannella che tengo sopra la libreria, l'ha messa al centro di un piatto e circondata da biscotti.
«Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Sirenetta, tanti auguri a te» canticchia sedendosi accanto a me «E ora esprimi un desiderio» 
«Vediamo, devo pensarci» mentre il profumo speziato aleggia nella stanza esprimo in silenzio il mio desiderio, poi annuisco a Russel e spengo la candela. Lui mette il piatto sopra il comodino e si avvicina per baciarmi. Mentre siamo impegnati ad avvolgere la lingua intorno a quella dell’altro si inginocchia di fronte a me e mi fa sedere sopra le sue gambe.
«Grazie» dico quando ci stacchiamo. 
«Vuoi che ti porto la colazione qui?» chiede affondando il viso nel mio collo.
«No, preferisco mangiare a tavola, odio le briciole nel letto» rispondo.
«Ah sì? E cos’altro odi?» chiede con sguardo curioso.
«Quando piove e c’è il sole, quando scopro di aver finito il latte o il caffè, posso diventare addirittura isterica se mancano entrambi, odio la pizza con i bordi bruciati. Devo continuare?» chiedo con un sorrisini ironico, lui annuisce «Okay. Odio quando ordino una coca cola e bevendola sento che invece mi hanno servito una pepsi, potrebbero dirlo prima, no?» il suo viso si apre in un sorriso divertito «Odio con tutta me stessa i finocchi lessi e la birra, anche se mi piace il suo sapore sopra le tue labbra» 
«Allora la berrò anche a colazione» afferma baciandomi la punta del naso.
«Non è necessario, una ogni tanto va bene. Visto che potremmo continuare fino a domani, termino con la cosa che più odio, cioè il freddo» si avvicina strusciando il suo naso al mio.
«Io invece amo che tu odi il freddo» i suoi occhi sono a pochi centimetri dai miei.
«E perché?» chiedo meravigliata.
«Perché mentre dormi ti avvicini per cercare il calore del mio corpo» dice stringendomi.
«Ma che dici? Non ci credo» allontano il viso per guardarlo meglio.
«Invece è vero, e ti posso anche dire che quando ti abbraccio fai un sospiro soddisfatto e a volte sorridi» insiste.
«Io non me lo ricordo» dico corrucciando la fronte.
«Certo che non te lo ricordi, lo fai mentre dormi. Fai così» chiude gli occhi facendo finta di dormire, poi sospira e accenna un sorriso, quando li riapre le mie guance sono bordeaux.
«Mi stai prendendo in giro» dico imbronciata.
«Ehi, non devi vergognarti, ti ho appena detto che a me piace» dice accarezzandomi il viso, poi mi bacia. 
«Beh, allora se ti piace…» gli sfilo la maglia e lui sfila la mia «Così mi scalderai meglio»  
 
Mentre facciamo colazione, o meglio, mentre io faccio colazione e Russel beve il suo caffè, mi chiede «Quindi non hai nessun impegno oggi?» 
«No, non dovendo andare a lavoro sono libera fino a stasera. Perché?» 
«Volevo chiederti se ti andava di venire con me da Peter, devo passare da lui per prendere delle cose e pensavo che ti sarebbe piaciuto vedere i suoi animali»
Butto giù il biscotto che ho appena messo in bocca senza masticarlo «Sì ti prego. Mi ha detto Karen che ne ha tantissimi» 
«Allora faccio un salto a casa e tra un’oretta passo a prenderti» dice sorridendo.
Scatto in piedi senza nemmeno finire il latte «Vado subito a prepararmi» dico togliendo in fretta la roba dalla tavola mentre lui sembra divertito dal mio entusiasmo. Porto tutto in cucina mentre lui va a vestirsi. 
Dopo qualche minuto esce dalla camera «Ci vediamo tra poco» dice avvicinandosi per darmi un bacio mentre sto chiudendo la lavastoviglie, annuisco e corro in bagno.
 
Dopo aver attraversato il cancello della villa di Peter e dei suoi genitori, mentre parcheggiamo di fronte all’ingresso della casa, una signora, che immagino essere sua madre, apre la porta, al suo fianco schizzano fuori due splendidi golden retrivier che appena vedono Russel corrono come impazziti verso di lui e un volta raggiunto gli saltano addosso tentando inutilmente di avvicinarsi al suo viso per leccarglielo.
«Loro sono Starsky e Hutch» dice mentre piegato sulle ginocchia li accarezza entrambi. Dopo che ho fatto il giro dell’auto e gli sono di fronte, i cani si voltano per guardarmi, uno dei due si allontana da Russel e viene ad annusarmi.
«E questo chi è dei due?» chiedo mentre il cane mi lecca la mano. 
«Hutch, è quello che dà più confidenza agli estranei, questa peste invece è Starsky» risponde mentre il cane gli gira intorno eccitato.
«Sono bellissimi» commento ammirando questi due splendidi cuccioloni vivaci.
Russel si solleva e mentre i cani fanno avanti e indietro tra la porta di casa e noi mi dice «Andiamo, ti presento la mamma di Peter» 
«Buongiorno Julia» mentre saliamo i tre scalini del portico la saluta.
«Ciao Russel»
«Lei è Rebecca» le dice quando siamo davanti alla porta.
«Piacere» dico stringendole la mano.
«Benvenuta Rebecca» le sorrido notando quanto somiglia a suo figlio. Anche lei è piccola di statura e molto magra, ha capelli neri e folti, e due occhietti vispi e penetranti che sembrano capaci di veder cadere una foglia a chilometri di distanza.
«Sai dov’è Peter?» le chiede Russel.
«Dove vuoi che sia» risponde aprendo le labbra in un sorriso dolce e rassicurante. 
«Allora andiamo subito a cercarlo» 
«Prima di andare via passate a salutarmi, mi raccomando» 
«Certo» le risponde Russel un attimo prima di voltarsi. Sorrido alla signora e lo seguo mentre scende dal portico.
Mentre ci incamminiamo in un vialetto, Julia richiama i cani che ci corrono al fianco, loro fanno immediatamente retro front e tornano da lei.
Dopo un centinaio di metri arriviamo davanti a un cancelletto di ferro, Russel lo apre per farmi passare e lo richiude alle nostre spalle «Qui è dove tengono gli animali, la maggior parte sono loro, alcuni invece sono qui per essere curati»
«Aveva ragione Karen a dire che sembra una fattoria» dico guardandomi intorno. A perdita d’occhio ci sono tantissimi recinti di legno di varie dimensioni. 
Facciamo il giro e mi perdo a osservare ogni animale attentamente sentendomi come una bambina allo zoo.
Ci sono tantissime capre, quattro asini, tre struzzi, un lama, due renne, due cammelli e un dromedario bianco.
«Tre giorni fa è nato un agnellino» dice Russel avvicinandosi al recinto dove ci sono una decina di pecore di color marrone chiaro.
«E dov’è?»  chiedo arrampicandomi alla staccionata per vedere meglio. 
«Là, sta poppando» indica il lato opposto del recinto. 
Faccio il giro a corsa e mi piego sulle ginocchia per guardare tra le assi di legno «Oddio com’è piccolo, e che fame che ha» dico vedendolo mentre succhia il latte con foga dalla madre.
«Peter mi ha detto che è stato un parto difficile, se non fosse intervenuto probabilmente sarebbe morto» mi spiega Russel mettendosi al mio fianco.
«Deve amare molto tutti questi animali» guardando incantata quell’agnellino di pochi giorni quasi non mi sono accorta di aver espresso a voce alta il mio pensiero.
«Sì, lui dice sempre che sono tutta la sua vita» dice prendendomi la mano che tengo appoggiata alla staccionata  «Vieni, ti faccio vedere dove sono quelli più piccoli» mi conduce dove ci sono delle ampie gabbie con dentro conigli, cavie peruviane, anatre e papere.
Nella gabbia delle anatre ce n’è una nera e marrone con cinque pulcini che le sgambettano intorno.
«Vuoi toccarli?» chiede Russel vedendo che non stacco gli occhi dal gruppetto.
«Posso?» chiedo emozionata.
«Certo» apre la gabbia e in fretta lo seguo richiudendola e un po’ intimorita lo osservo mentre si avvicina a mamma anatra.
«Ma non si arrabbierà con noi?» chiedo preoccupata.
«No, gli animali di Peter sono abituati alle persone, a volte vengono in visita delle classi di bambini e associazioni che si occupano di disabili con problemi di vario genere» si piega e prende un pulcino sotto lo sguardo attento della madre che però non sembra affatto infastidita dalla nostra presenza.
«Quello che fa è ammirevole» dico guardando quell’esserino così piccolo dentro la mano di Russel.
«Ha capito che il rispetto per gli animali deve essere coltivato fin da piccoli e che se si amano quello che possiamo ricevere in cambio è molto di più di quello che diamo noi a loro» dice avvicinandosi e allungando verso di me la mano con cui tiene il pulcino.
«Ha ragione» dico prendendolo delicatamente con entrambe le mani «Com’è morbido» stringo al petto quel corpicino che sembra fatto di sole piume accarezzandogli la testa con un dito, il pulcino rimane immobile e chiude gli occhi come se stesse per addormentarsi.
«Da piccola avevo una vera passione per i passerotti, sbriciolavo intere fette di pane in giardino e poi rientravo dentro casa e mi nascondevo dietro la finestra per vederli arrivare, però forse sbagliavo qualcosa perché non riuscivo mai a vederli e la mattina dopo le briciole non c’erano più, ma io ero felice lo stesso perché pensavo che anche se non li avevo visti si erano nutriti con il pane che avevo lasciato per loro» racconto a Russel un ricordo della mia infanzia lasciando trapelare dal tono della voce la nostalgia che provo ripensando a una bambina di pochi anni che con il naso appoggiato al vetro guardava il cielo in attesa di veder planare un uccellino tra i suoi balocchi sparpagliati in giardino.
«Chissà com’eri carina» dice sfiorandomi una guancia, io sorrido e sento che sotto il dorso del suo dito si diffonde in fretta il tipico calore di quando arrossisco. 
«Ora però lo rimandiamo dalla mamma» dico abbassandomi in fretta per nascondermi da lui e per rimettere a terra il piccoletto che corre subito dagli altri. 
«Andiamo a cercare Peter, se non l’abbiamo trovato vuol dire che è dai cavalli»
«Ha anche dei cavalli?» chiedo mentre Russel richiude la gabbia.
«Sì, sono laggiù» risponde indicandomi una staccionata piuttosto distante da noi.
Ci avviciniamo e là dentro vedo tre cavalli, uno nero e due marroni «Ma quella è incinta!» esclamo vedendo uno di quelli marroni con la pancia talmente gonfia che sembra stia per scoppiare.
«Sì, nascerà tra un mesetto» 
«Mi porterai a vedere il puledrino vero?» lo imploro aggrappandomi al suo braccio e saltellando sulle punte dei piedi.
«Certo» risponde sorridendo.
«Oddio non vedo l’ora, non ho mai visto un cavallo appena nato» dico guardando la cavalla che sta per diventare mamma, poi mi ricordo di Peter «Però Peter non è qui» dico staccandomi dalla staccionata e voltandomi verso Russel alle mie spalle.
«Deve essere qui intorno» dice lui dandomi la schiena.
Mi metto al suo fianco coprendomi gli occhi per proteggerli dal sole e guardo nella sua stessa direzione, vedendo un recinto più piccolo di quello dove sono i tre cavalli riabbasso la mano di scatto, sbatto gli occhi e guardo meglio, poi mi giro verso Russel che con le mani dentro le tasche mi sorride, non rispondo in alcun modo al suo sorriso e allontanandomi da lui corro verso il recinto, mi lancio contro la staccionata arrampicandomi e salto di là, quando mi rendo conto di quello che ho fatto spaventata mi fermo e resto immobile con le spalle appoggiate al legno mentre dietro di me sento arrivare Russel.
«Puoi avvicinarti sai? Non ti farà niente, è davvero dolcissimo come hai detto quando l’hai visto al runch» 
Rincuorata dalle sue parole mi avvicino lentamente al pony marrone con la testa e la coda neri che avevo visto quando Russel mi portò a Solvang e che mi era piaciuto così tanto da farmi desiderare di averne uno, gli vado di fronte e lui smette subito di brucare l’erba per guardarmi, il mio cuore batte in fretta mentre allungo una mano per sfiorargli il muso, quando l’ho visto la prima volta non l’ho potuto toccare perché al runch hanno delle regole molto rigide e i visitatori non possono avvicinarsi ai loro animali, lentamente salgo con la mano e quando arrivo a grattarlo tra le orecchie lui allunga il muso verso di me, capisco che gli piace allora continuo.
«È come te, gli piacciono i grattini sulla testa» dice Russel arrivando al mio fianco.
Mi giro verso di lui «Ma che ci fa qui da Peter?» chiedo sorridendo come un’ebete «Oddio, non starà mica male?» allarmata giro intorno al pony per vedere se ha qualcosa che non va, quando gli torno di fronte si avvicina al mio viso che arriva all’altezza del suo muso e mi guarda con i suoi occhi marroni ed enormi.
«No, stai tranquilla sta benissimo. È qui perché è il mio regalo per te» 
Mi giro di scatto verso di lui «Ma che stai dicendo?» chiedo aggrottando le sopracciglia.
«Sto dicendo che lui è il tuo regalo» 
«Stai scherzando?» chiedo sempre più incredula.
«No che non scherzo» dice accarezzando il dorso del pony che nel frattempo sembra in estasi per tutte quelle attenzioni.
«Tu mi hai regalato un pony? Cioè, non un pony qualsiasi, ma “il pony”?» annuisce. 
Per un attimo credo di stare sognando ma appena realizzo che mi ha detto la verità mi lancio addosso a lui aggrappandomi al suo collo e faccio un salto per circondargli i fianchi con le gambe «Grazie, grazie, grazie, è semplicemente bellissimo» dico riempiendogli il viso di baci mentre lui ride.  
«Se avessi saputo prima la tua reazione l’avrei caricato in macchina la prima volta che l’hai visto» dice continuando a ridere mentre mi sostiene con le mani sotto al sedere.
«Nemmeno immagini quanto sono felice. Io ho un pony!» esclamo spalancando gli occhi. 
«Tu hai un pony» ripete lui baciandomi la punta del naso.
«È il regalo più bello che ho ricevuto in tutta la mia vita» dico facendo scivolare le gambe in basso. «Mettimi giù» mi agito spazientita tra le sue braccia e appena mi mette a terra corro davanti al pony e gli circondo il collo con le braccia baciandogli il muso «Ti adoro piccolino» sussurro al suo orecchio e lo bacio ancora affondando il viso nella sua criniera.
«Ma ora come farò? Non posso portarlo a casa» dico allarmata realizzando all’improvviso cosa comporta possedere un animale così grande che necessita di spazi aperti per correre.
«Starà qui e potrai venire a trovarlo quando vorrai» risponde tranquillamente.
«Ma non si sentirà solo?» 
Russel sorride «In una fattoria piena di animali?» chiede guardandomi con un sopracciglio sollevato.
«No, hai ragione» rispondo scuotendo la testa mentre passo una mano sul dorso del pony, poi mi allontano un po’ e lo guardo mentre bruca l’erba, Russel da dietro mi circonda la vita e io appoggio le mani sopra le sue. 
«Poi Peter si prenderà cura di lui» dice e io annuisco. 
«Quanti anni ha?» chiedo.
«Sei» 
«E come si chiama?» 
«Pablo»
«Pablo» ripeto «Mi piace, gli sta proprio bene» 
«Se vuoi puoi cavalcarlo sai?» 
«No no, sono pesante potrei fargli male» dico scuotendo il capo.  
«Non gli farai male, è forte come un cavallo, solo è più piccolo»
«È che mi sembra così fragile. E poi mi basta stare un po’ con lui e coccolarlo»
«Allora mettiamogli le briglie e portiamolo a fare una passeggiata» dice avvicinandosi alla staccionata per prenderle.
 
Abbiamo fatto una lunghissima passeggiata con Pablo, ho cercato per lui l’erbetta più fresca e l’ha mangiata direttamente dalle mie mani, poi quando l’abbiamo riportato nel recinto non volevo più venire via, Russel mi ha convinta promettendomi che mi riporterà da lui quando vorrò. 
Prima di tonare a casa siamo andati a salutare la signora Julia che ci ha offerto da bere e siamo rimasti con lei a fare due chiacchiere, è davvero molto simpatica e gentile. È stata lei a trasmettere l’amore per gli animali a Peter e si occupa personalmente di organizzare le visite delle scuole e gli incontri con i bambini per la pet therapy.
Durante il viaggio di ritorno ero talmente eccitata che non sono stata zitta un solo minuto, non ho fatto che parlare del mio pony e fare mille domande a Russel. Mi ha detto che è tornato al runch il giorno dopo che ci siamo andati insieme e che hanno portato Pablo due giorni fa, e che ovviamente non doveva prendere assolutamente niente da Peter, che poi nemmeno era in casa, si è inventato una balla solo per portarmi là e farmi una sorpresa, e lo è stata, altroché.
Quando arriviamo a casa mia è già passata da un pezzo l’ora di pranzo. Dopo aver mangiato qualcosa ci riposiamo un po’ e nel tardo pomeriggio Russel se ne va a casa. 
Mentre mi alzo dal divano per andare a farmi una doccia suona il mio iphone «Ciao Luca» rispondo allegra, la bellissima giornata che ho trascorso con Russel ha cancellato completamente il ricordo della mia litigata con lui. 
«Ciao Reb. Tanti auguri» la sua voce invece è un po’ incerta. 
«Grazie» 
«Senti, io devo chiederti scusa per ieri, lo sai vero che non penso veramente quello che ti ho detto? Spero che non sarà necessario ma io ci sarò sempre se avrai bisogno di me»
«Certo che lo so, e comunque nemmeno io volevo gridarti contro in quel modo» 
«Lo so tranquilla» dopo un attimo di silenzio chiede «Qui è quasi tutto pronto, a che ora arrivate tu e le ragazze?»
«Passeranno a prendermi tra un’oretta e mezza» rispondo vedendo che sono le sei.
«Allora ci vediamo qui. Ah Reb, attaccata dietro la porta della camera ho lasciato una cosetta per te. A dopo» e riattacca.
Corro subito a vedere cosa mi ha lasciato in camera. Appeso a una gruccia c’è un abito sottoveste di seta color verde salvia con bretelline fini e inserti di pizzo ai lati della vita. Lo tiro giù e lo appoggio davanti al busto guardandomi allo specchio, è bellissimo e mi arriva appena sotto al ginocchio, il gusto di Luca è indiscutibile.
 
Appena apro la porta, Meg mi squadra da capo a piedi «Wow, stasera lo farai stramazzare al suolo a quel poveretto di Russel» 
«Tu dici?» chiedo abbassando lo sguardo sul mio vestito.
«Sicuro, stai benissimo. Girati» faccio come mi ha detto «Perizoma?» chiede. 
«Per forza, anche se li odio con questo tessuto si vedeva tutto» 
«E niente reggiseno. È sicuro, a Russel verrà come minimo un collasso» 
«Beh, comunque anche Brian avrà il suo bel daffare per rimanere in vita» dico guardandola da capo a piedi. Indossa un abito blu notte che le arriva al ginocchio molto, ma molto, scollato sul suo splendido decoltè. 
«Figurati, ho messo la prima cosa che ho trovato nell’armadio» risponde scuotendo la testa coperta dai folti ricci. 
«Sì certo» dico fintamente accondiscendente.
«Ora però basta con i complimenti che Karen è già in macchina ad aspettarci e le strade saranno intasate per i festeggiamenti» dice uscendo, poi si gira «A proposito, tanti auguri» 
 
Luca ci accoglie con un gran sorriso «Mancavate solo voi tre»
«Abbiamo trovato un sacco di traffico» dice Karen entrando.
«Sì lo so, dalla terrazza si vede un gran caos per strada» risponde lui, poi si piega per baciarmi una guancia «Come ti senti con un anno in più?» chiede sorridendo.
«Come ieri, solo un po’più vecchia» anche se da oggi ho un pony, penso esultando dentro di me.
Lo seguiamo in terrazza e, mentre faccio un giro per salutare la trentina di persone tra amici e colleghi che ci stavano aspettando, sento addosso lo sguardo di Russel che in un angolo della terrazza finge di essere interessato alla conversazione con Peter e George, ma che in realtà non mi ha staccato gli occhi di dosso da quando ho attraversato la portafinestra seguendo attentamente ogni mio spostamento. Dopo aver salutato tutti, insieme a Luca mi avvicino a loro tre, e come ho fatto con tutti gli altri do loro un bacio sulla guancia, attardandomi un secondo di più sopra quella di Russel che piegandosi su di me mi stringe la vita, la sua mano, separata dalla mia pelle solo dal sottile strato di pizzo, mi provoca un brivido che in fretta mi attraversa la schiena e sono sicura che l’abbia percepito anche lui, e il sorriso appena accennato che fa quando mi scosto me lo conferma. 
Cominciamo bene, penso, e anche: “Alieni ma dove caspita siete quando c’è bisogno di voi sulla terra? Qui ci sono almeno trenta persone che sarebbero felici di fare un giro su Marte, o dovunque vogliate gentilmente accompagnarli”. 
Sospiro e mi preparo ad affrontare la serata che, dovendo mantenere le distanze da lui, mi sembrerà lunghissima.
Senza nemmeno accordarci abbiamo trovato in fretta un diversivo per affrontare la frustrazione che entrambi proviamo stando lontani. Da più di due ore tra noi è in atto una sfida fatta esclusivamente di lunghe occhiate cariche di desiderio, e senza essercelo detto sappiamo che il perdente sarà chi cede per primo avvicinandosi all’altro. 
Chiacchiero, mangio, bevo, quando sento una canzone che mi piace mi sposto nell’angolo che Luca ha sistemato creando una piccola pista da ballo e mentre mi muovo per la terrazza cerco continuamente lo sguardo di Russel che, senza mai avvicinarsi a meno di cinque metri da me, non sposta il suo dalla mia figura nemmeno per un secondo. 
Io bevo il mio drink mordicchiando con malizia la cannuccia, lui finito il suo stringe tra le labbra un cubetto di ghiaccio succhiandolo, poi lo schiaccia tra i denti.
Io sposto i capelli di lato poi piego appena la testa e socchiudendo gli occhi appoggio il bicchiere freddo sul collo, lui deglutisce e quando il suo pomo d’Adamo si ferma la punta della sua lingua fa capolino per sfiorare l’angolo della bocca appena socchiusa.
Io prendo una tartina dal piatto di Karen e mi pulisco le dita infilandole una alla volta tra le labbra, lui stando appoggiato al parapetto solleva improvvisamente lo sguardo da terra e con gli occhi nei miei sfila una mano dalla tasca e con molta disinvoltura la fa scorrere sopra al petto dall’alto verso il basso fingendo di lisciare la camicia bianca che indossa.
Io mi siedo e con le gambe accavallate mi accarezzo quella sopra, scendo lentamente dal ginocchio alla caviglia, ruoto il piede e torno in su con la mano, lui incrocia le braccia e sposta lo sguardo sul mio seno mordendosi un labbro.  
Okay, mi sa che dovrò passare a gesti molto più provocanti ed espliciti per farlo staccare da quel muretto e vincere questa sfida.  
Mi alzo dalla poltrona e dandogli le spalle mi appoggio con una mano al bracciolo di quella dov’è seduta Karen, poi mi chino su di lei per sussurrarle all’orecchio una stupidaggine e nel frattempo faccio scorrere il dorso di un piede dalla caviglia fino al retro del ginocchio dell’altra gamba, lo muovo in su e giù con lentezza esasperante. 
Finito lo spettacolo mi giro per vedere la sua contromossa, ma invece mi trovo davanti Meg «Lo sapete vero che di sopra ci sono due camere?» sussurra al mio orecchio.
La guardo con le sopracciglia sollevate «Scusa?» 
«Tu e Russel, se non la smettete finirete per fare scintille come i fuochi d’artificio che si vedono in lontananza»
«Non so di cosa stai parlando» dico fingendomi meravigliata. 
«È da almeno due ore che vi stuzzicate» 
«Te ne sei accorta?» chiedo abbassando la testa in imbarazzo.
«Altroché, e per non rischiare di finire folgorata all’istante ho fatto molta attenzione a non attraversare la linea del vostro sguardo» io scoppio a ridere.
«Ora però vieni che Luca sta portando la torta e tu devi spengere ben ventotto candeline» dice prendendomi per mano.
«E smetti di girare il coltello nella piaga!» esclamo dandole una spinta con il fianco.
Mentre andiamo al tavolo, dove sono già pronti piattini e forchette, con lo sguardo cerco Russel, sembra essersi volatilizzato. Oh mamma, gli alieni non se lo saranno mica preso perché hanno visto quanto è bello e sexy? Stupidi omini verdi avete sbagliato! Lui era l’unico che doveva rimanere qua sopra con me!
 
Spengo le candeline e scarto i regali, alcuni sono utili, altri splendidamente inutili, il più bello quello di Peter: una cornice da tavolo con una bellissima foto di Pablo. Faccio il giro del tavolo e bacio uno per uno i presenti per ringraziarli, quando torno davanti alla torta sento una mano calda e grande che da dietro mi stringe la vita, la soddisfazione per la vittoria accende un sorriso spontaneo sul mio viso.
Le parole di Russel solo un sussurro al mio orecchio «Ti aspetto dietro» e la sua mano si stacca dal mio corpo. Wow, un appuntamento davanti alla vasca a idromassaggio, peccato solo che non possiamo usarla.
In fretta faccio degli spicchi di torta e pur non volendo massacro pan di spagna, panna e fragole, mi dispiace per la poveretta che proprio in questo momento è finita sotto al coltello che stringo nella mano, ma l’urgenza che ho di correre da Russel mi fa sentire come Dexter davanti a un killer di nonnette indifese che se ne vanno a giro in carrozzella per scovare gatti randagi da nutrire.
Dopo aver riempito l’ultimo piatto per George mi pulisco le mani con un tovagliolino e facendo molta attenzione mi allontano, mi giro per accertarmi che nessuno mi stia guardando e camminando indietro mi dirigo verso la zona appartata dove c’è la vasca, non faccio in tempo a svoltare l’angolo che Russel stringendomi la vita con entrambe le braccia mi attira a sé, mi scappa un urletto strozzato quando spinge il bacino contro di me.
«Era questo che volevi vero? È da quando sei arrivata che sta così» sussurra al mio orecchio continuando a premere il bacino.
«Stai forse cercando di scaricare su di lui la colpa per la sconfitta?» chiedo ironica appoggiando la testa al suo petto.
«No, la sto dando a te e a questo vestito che hai messo con il solo intento di farmi impazzire»
«Non era il mio scopo te l’assicuro» 
«In ogni caso l’hai raggiunto» dice facendo scorrere una mano sopra la seta del mio abito e chiudendola sul mio seno.
«Scendiamo da me?» sussurra al mio orecchio stringendo il lobo tra i denti.
«Ma come faccio, questa gente è qui per me» dico voltandomi tra le sue braccia.
«Inventati una scusa» dice sfregando il naso sopra la mia spalla e scendendo con una mano sotto l’orlo del mio vestito «Sii creativa» continua salendo lungo l’interno coscia «Anche se non potrai mai esserlo quanto lo sono io quando ti penso nuda dentro al mio letto» termina spostando con un dito il perizoma.
«Okay, dammi solo dieci minuti» ansimo sopra al suo petto mentre nella mia mente appare una veloce sequenza di fotogrammi dove mi lancio per le due rampe di scale con una tavola da snowboard sotto ai piedi. 
«Ti aspetto, ma fai in fretta o torno su e ti rapisco davanti a tutti» dice prendendomi il visto tra le mani e baciandomi come se cercasse di succhiarmi l’anima, poi dandomi un morso sul labbro superiore si stacca da me e in fretta sparisce dietro l’angolo.
Mi appoggio al muro e penso cosa posso inventarmi per abbandonare la festa, è possibile che ogni volta che Russel mi sfiora non sono capace di far funzionare un solo neurone? Però forse potrei sfruttare quelli di qualcun altro… sì certo!
Svolto l’angolo e cerco Meg augurandomi che non si sia già imboscata con Brian. Scandaglio in fretta tutta la terrazza e finalmente la vedo che sta ballando, mi avvicino e la chiamo tirandole il vestito.
«Ehi, ma dov’eri finita?» mi chiede. 
Le prendo un polso e la trascino in un angolo della terrazza, quando mi fermo mi volto e le dico «Io devo andare via» 
«Come devi andare via?» chiede, poi sgrana gli occhi «Okay ho capito. Ma che vuoi da me?»
«Ho bisogno che mi reggi il gioco e che t’inventi una scusa plausibile» 
«E che scusa vuoi che m’invento?» 
«Non so, sii creativa» dico camminando all’indietro e sollevando le mani verso l’alto mentre mi allontano da lei.
«Reb! Torna subito qui!» mi minaccia correndomi dietro. Mi volto e a passo svelto entro dentro casa, poi prendo la borsetta ma prima di aprire la porta mi giro, Meg è al centro della casa con le mani sui fianchi e mi squadra con sguardo severo, poi un sorriso sincero le illumina il viso «Vai e divertiti, qui ci penso io» dice indicando la porta alle mie spalle.
«Grazie» le dico prima di schizzare fuori. 
 
Le nocche della mia mano non hanno ancora sfiorato il legno della porta quando Russel la spalanca e mi trascina dentro afferrandomi per un polso, mi bacia con irruenza senza nemmeno preoccuparsi di richiudere, allungando un braccio lo faccio io, appena in tempo prima che mi spinga contro il muro tirando in alto il mio abito e sollevandomi da terra facendomi cadere la borsetta. Mentre con una mano stringe le mie natiche con l’altra mi prende una gamba e l’avvolge al suo bacino, io sollevo l’altra e lo stingo, riesco ad aprire solo due bottoni della sua camicia perché abbassandomi in fretta l’abito per scoprirmi il seno le bretelline intrappolano le mie braccia impedendomi di continuare a spogliarlo. Mentre divide le sue attenzioni in egual misura tra un seno e l’altro riesco con una certa difficoltà a sfilare le braccia dalle bretelline e mi aggrappo al suo collo.
Quando sento che mi stacca dal muro stringo più forte i suoi fianchi e il suo collo, si volta e io mi auguro che non voglia salire di sopra, non vorrei finire in ospedale perché, oltre a farci male, sarebbe alquanto imbarazzante spiegare che siamo rotolati di sotto durante un impeto passionale. Per fortuna si dirige verso il divano e, appena gli arriviamo di fronte, appoggiando un ginocchio sopra i cuscini con una mano dietro la mia schiena accompagna il mio corpo a stendersi sotto al suo. Bacia il mio collo scendendo lentamente, arrivato al seno con una mano s’intrufola sotto il mio perizoma, appena sfiora la mia intimità sussulto e gemendo stringo le palpebre. 
«Dimmi cosa vuoi» ansima piegato sopra il mio petto spingendo il bacino tra le mie gambe, non rispondo e scendo con le mani sulla sua schiena, afferro la camicia e gliela sfilo dalla testa per poi gettarla dietro di me «Ti prego dimmi cosa vuoi» ripete con le labbra attaccate alla mia pelle.
In silenzio sgancio la sua cintura e mentre apro il primo bottone dei jeans mi blocca la mano.
«Cazzo devi dirmi cosa vuoi o finirò per impazzire» dice impaziente sollevandosi e appoggiando le mani sopra al bracciolo ai lati della mia testa. 
So benissimo che vuole sapere fino a che punto può spingersi ma la capacità di esprimermi a voce diminuisce in rapporto all’aumentare della mia voglia di lui, e in questo momento mi sento come una sordomuta che non conosce nemmeno il significato delle parole più banali. Fisso i suoi occhi lucidi di desiderio e serrando le labbra deglutisco vistosamente, chiude gli occhi affondando il viso tra i miei seni e rimane immobile trattenendo il respiro. Scendo con le mani ad accarezzargli la schiena poi salgo fino alle spalle tese fino allo spasmo, stringo tra le dita i suoi capelli sulla nuca e sento che un brivido lo scuote mentre il suo respiro lento e caldo s’infrange sulla mia pelle.
In un attimo il mio bisogno di sentirlo vince tutte le mie paure «Te, voglio te» dico premendo una mano tra le sue scapole e spingendo indietro i ciuffi sulla sua fronte con l’altra.
Sposta il viso di lato e appoggiando la guancia sopra il mio seno soffia con voce incrinata «Dillo ancora» 
«Voglio te Russel» ripeto mentre circondandomi la vita mi stringe e preme il viso contro il mio torace fin quasi a togliermi il respiro.
«Ancora» dice e mentre sbatte gli occhi sento le sue ciglia che accarezzano la mia pelle ormai sensibilissima a qualsiasi stimolo esterno. 
«Voglio fare l’amore con te Russel» riesco a dire mentre una lacrima scivolando fuori dall’angolo del mio occhio destro corre in fretta a nascondersi tra i miei capelli.
Solleva il viso e finalmente posso vedere i suoi occhi, si stende al mio fianco appoggiando la testa accanto alla mia e circondandomi con un braccio e una gamba mi gira per avermi di fronte.
«Nemmeno immagini quanto desideravo sentirtelo dire, e quanto mi stesse uccidendo il pensiero che forse non sarebbe mai successo» prende la mia mano e l’appoggia sopra il suo petto dove il cuore sembra lanciato in una folle corsa «Dillo ancora ti prego» dice mentre le sue pupille dilatate si sono mescolate con le pagliuzze blu scuro al centro delle iridi.
Sorrido «Russel, vuoi fare l’amore con me?» chiedo soffiando le parole sul suo viso mentre il mio cuore sembra tentare di raggiungere il suo.
«Più di qualsiasi altra cosa che ho mai desiderato» accorcia le distanze per baciare ogni centimetro del mio viso guardandomi negli occhi come se temesse che da un momento all’altro potrei rimangiarmi le parole appena dette.
«Saliamo in camera?» chiedo per dissolvere del tutto la tensione che, anche se appena percepibile, ancora aleggia tra i nostri corpi impedendo loro di avvicinarsi completamente, e finalmente sorride anche lui, sfioro lo spicchio di luna e immergendomi nel turchese dei suoi occhi dischiudo le labbra per unirle alle sue.
E questa volta, stringendo il suo colle e i suoi fianchi mentre mi porta al piano di sopra, non m’interessa se cadremo dalle scale, perché l’unica cosa che voglio in questo momento è raggiungere in fretta il suo letto.
 
Solo quando entra lentamente dentro di me capisco quanto anch’io l’avevo desiderato. Intreccia le mani con le mie sopra la mia testa e con lunghi e profondi respiri inizia a muoversi piano trattenendo l’urgenza di aumentare il ritmo per raggiungere in fretta il massimo piacere.
Quando si abbassa sfiorandomi le labbra con le sue e con voce roca e spezzata chiede «Rimani qui stanotte?» posso solo annuire e poi baciarlo, perché non m’interessa cosa succederà domani, tra un mese o tra un anno, niente mi sembra più perfetto di essere con lui in questo istante, e nessun altro pensiero riesce a penetrare la spessa corazza che il bisogno di sentirsi finalmente uniti ha creato attorno ai nostri corpi mentre la mia voce chiama il suo nome e la sua il mio, niente nomignoli stasera. Sopra a questo letto ci sono solo Russel e Rebecca. 
 
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Per chi è interessato questo capitolo ha la sua scena rossa, per leggerla basta cliccare sotto:
Russel e la Sirenetta Crudelia - Per imbucarsi a una festa non serve l’invito
 
Baci,
V.17

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Capitolo 20
*** Cap. 20 - Dammi solo un minuto ***


CAP. 20 - DAMMI SOLO UN MINUTO 
 
Dammi solo un minuto 
un soffio di fiato 
un attimo ancora, 
stare insieme è finito 
abbiamo capito 
ma dirselo è dura, 
è stato un bel tempo il mio tempo 
con te.
 
Dammi solo un minuto 
un soffio di fiato 
un attimo ancora, 
noi tranquilli e lontani 
ognuno per sé 
piangeremo domani 
ma che coraggio che hai, 
come fai? 
 
E poi 
guardo in fondo cosa sei, 
un fuoco presto spento 
se tira un po’ di vento, 
un gioco senza impegno 
ma lasci il segno tu. 
 
Ma è vero che sta tremando il tuo respiro 
ma sì che è proprio vero. 
Come mai i tuoi occhi ora stanno piangendo 
dimmi che era un sogno e ci stiamo svegliando. 
 
Pooh
 
 
**
 
Giovedì 5 Luglio 2012
 
Una mano calda che sfiora il mio ventre mi sveglia, mi volto tra le braccia di Russel e sollevo la testa dal cuscino per avvicinarmi alla sua bocca. Lo bacio con avidità mentre con una mano scendo lungo il suo petto nudo. Senza pronunciare una sola parola lo faccio stendere e salgo su di lui guidandolo dentro di me. Comincio a muovermi lentamente e lui stringendomi i fianchi mi aiuta ad andare incontro al suo bacino che si solleva per spingere più a fondo. Sento il piacere che aumenta e accelero il ritmo mentre i nostri respiri si fanno sempre più corti e i nostri mugolii sempre più lunghi. Mi tolgo in fretta la maglia e guido le sue mani sopra i miei seni, chiudo gli occhi e inarcandomi mi appoggio alle sue gambe dietro di me. Mi dondolo sopra il suo corpo e lui si solleva per raggiungere il mio seno con le labbra, riapro gli occhi e lo stringo al petto. Qualcosa d’insolito nella camera di Russel attira la mia attenzione, volto di scatto la testa alla mia destra e vedo Dario appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto che mi osserva immobile. Mi fermo immediatamente e fisso i suoi occhi accesi dalla rabbia, improvvisamente sento un giramento di testa e la bocca di Russel che ancora è impegnata a saggiare il mio seno è diventata fastidiosa fino a costringermi a bloccare la sua testa con entrambe le mani spingendolo indietro, lui mi guarda confuso e quando cerco di alzarmi avvolge la mia vita con le braccia trattenendomi, cerco di liberarmi dalla sua stretta e mi giro per guardare Dario che si stacca dal muro dirigendosi verso le scale. Grido a Russel di lasciarmi andare, ma la sua stretta si rafforza, allora mi volto verso Dario e lo imploro di fermarsi e aspettarmi mentre scende le scale sparendo lentamente dal piano del soppalco, ma nessuno dei due sembra sentire le mie grida o forse fingono entrambi di non sentirle.
«Cazzo svegliati!» spalanco gli occhi. Russel è a cavalcioni sopra il mio ventre e mi tiene fermi i polsi ai lati della testa, strattono le braccia e lui mi lascia subito, poi circondandomi il viso lo gira di lato.
«Merda! Ti sei graffiata» scende dal letto e corre dentro al bagno. Io mi metto a sedere e mi tocco la guancia che stava guardando lui, quando abbasso la mano i polpastrelli sono appena macchiati di sangue. Russel esce dal bagno con un batuffolo di cotone e un flacone di disinfettante in mano.
«Che cazzo stavi sognando si può sapere?» chiede con tono severo sedendosi sul bordo del letto «Guarda come ti sei ridotta» dice spostandomi i capelli dietro l’orecchio, poi inumidisce il cotone con il disinfettante e appena lo appoggia sopra al mio viso scatto indietro «Scusa, ti ho fatto male?» nego con il capo «Allora? Mi vuoi dire cosa stavi sognando?»
«Io… non me lo ricordo» rispondo mentre lui appoggia il batuffolo e il flacone sopra al comodino «Devo andare in bagno» dico, lui mi guarda e le sue sopracciglia scattano verso il centro, capisco che vorrebbe dire qualcosa ma invece sospira e si allontana per farmi spazio e lasciarmi scendere dal letto. 
Attraverso la camera a testa bassa e dopo aver chiuso la porta del bagno alle mie spalle appoggio la schiena al muro e scivolo a terra. Mi porto una mano alla gola, le immagini di questa notte trascorsa con Russel e del sogno appena fatto si stanno mescolando nella mia mente e mi sembra di non riuscire a incamerare abbastanza aria, mi gira la testa e a stento riesco a mettere a fuoco la stanza intorno a me. Stendo le braccia ai lati del mio corpo e con le mani appoggiate sopra al pavimento prendo dei profondi respiri ma appena chiudo gli occhi vedo Dario che mi guarda impassibile mentre mi muovo sopra il corpo di Russel. Sollevo la testa di scatto e spalanco gli occhi focalizzando lo sguardo sul soffitto mentre le lacrime scendono ai lati del mio viso bagnandomi il collo e la t-shirt che Russel mi ha dato per dormire. Trattengo i singhiozzi puntando i pugni sul pavimento mentre il mio petto sussulta in silenzio. Dovevo allontanarmi subito da Russel, dovevo farlo quando ho capito che non era semplice amicizia quella che mi spingeva a stare con lui, non dovevo arrivare fino a questo punto. Ora non so più cosa devo fare, come riuscirò a fingere con lui e fargli credere che quello che è successo non ha nessuna importanza? Come riuscirò a tornare alla mia vita di sempre? E poi come ho potuto senza aver ancora parlato con Dario? Come riuscirò tra due settimane a guardarlo negli occhi e provare a spiegargli le mie ragioni dopo che è con un altro uomo che ho scoperto che è solo del suo corpo che ho timore? 
Stanotte, mentre mi stavo addormentando tra le sue braccia, per un attimo mi è balenato il pensiero che lui potrebbe essere l’unico uomo a riuscire a scalfire i principi sui quali ho basato ogni mio rapporto con tutti quelli che ho frequentato fino a oggi, e se nel dormiveglia l’idea non mi spaventava così tanto, questa mattina, mi fa sentire una sporca traditrice perché per un attimo mi sono scordata che non può esistere qualcuno al mondo che potrebbe amarmi tanto da mettere la mia felicità di fronte alle proprie esigenze. Inevitabilmente mi ritrovo ancora una volta a pensare a mio padre, nemmeno lui l’ha fatto, ha abbandonato la famiglia senza guardarsi indietro nemmeno per un solo istante. Gattono in fretta fino ad arrivare di fronte al w.c. e mentre il mio stomaco si contrae tiro l’acqua per coprire il rumore dei miei conati mentre penso che devo uscire da questa casa. Mi sciacquo la bocca e il viso, do un’occhiata ai due graffi che mi sono fatta sopra lo zigomo sinistro ed esco dal bagno, Russel non è in camera. Indosso in fretta l’abito, il perizoma non lo trovo ma non importa, scendendo le scale vedo Russel che tira fuori due tazze da uno sportello della cucina, sentendo il ticchettio dei miei sandali si volta. 
«Perché ti sei vestita?» chiede stringendo una tazza in ciascuna mano.
In fondo alla scala mi fermo «È tardi, devo passare da casa prima di andare in ufficio» 
«Speravo che oggi saresti rimasta con me. Devi proprio andare a lavoro?» 
«Sì, ho un paio di appuntamenti e altre cose urgenti da fare» dico andando verso la porta, poi ci ripenso e mi fermo voltandomi «È probabile che stasera farò molto tardi e che sarò stanca, ti chiamo domani, okay?» chiedo cercando di non far trasparire l’incertezza dal tono della voce. 
Lui mi fissa inclinando la testa e stringendo gli occhi, poi sbatte le tazze sopra al piano, sussulto per lo schianto della porcellana sopra al marmo «Mi vuoi dire cosa c’è che non va?» chiede appoggiandosi e incrociando le braccia.  
«Niente perché? Ho solo molta fretta» rispondo indietreggiando verso la porta.
«Stai scappando, lo fai ogni volta che non vuoi dirmi qualcosa o che pensi di aver fatto uno sbaglio, e non ci vuole certo un genio per capire qual è il problema questa mattina. Però prima che esci da quella porta vorrei che mi dicessi quale delle due volte che l’abbiamo fatto è quella che ti sta facendo battere in ritirata, quando ieri sera mi hai letteralmente pregato o quando stanotte hai gradito che ti svegliassi facendomi trovare con la testa tra le tue gambe?» chiede con poca ironia nella voce e tanta rabbia. 
Serro le labbra e, come se temessi che potrebbe staccarsi da quel mobile all’improvviso e aggredirmi alle spalle, allungo una mano per prendere la mia borsetta sopra il mobile accanto alla porta senza staccare gli occhi da lui.
«Ho detto che voglio una cazzo di risposta prima che te ne vai» grida venendomi incontro mentre porto una mano dietro la schiena e apro la porta, appena mi arriva di fronte la richiude schiantando la mano sul legno all’altezza della mia testa.
«Tutte e due le volte» dico sollevando il viso e guardandolo negli occhi «Non so cosa mi sia preso ma è stato uno sbaglio e tu hai approfittato di un mio momento di debolezza, lo sapevi che io non volevo e sai benissimo il perché» 
«No, io non lo so, perché tu non parli con me. Tu non mi dici mai un cazzo di niente!» grida chinandosi sul mio viso.
«Io te l’avevo detto che prima dovevo parlare con Dario» dico spingendolo indietro «E ora lasciami uscire da qui!» grido voltandomi e lui stringe la mia mano sopra la maniglia impedendomi di aprire.
«Voglio sentirti dire anche l’altro motivo o giuro che non esci da qui fino a che non verranno a liberarti le forze dell’ordine» sibila piegandosi sulla mia spalla per parlarmi all’orecchio e premendo una mano contro la porta. 
«Lo sai già l’altro motivo. Perché ti diverte così tanto torturarmi?» chiedo sfilando la mano da sotto la sua.
«Sei tu che mi stai torturando. Perché non vuoi ammettere che l’hai desiderato, che ti è piaciuto e che vorresti farlo ancora?» sussurra.
«Perché non è vero, non che lo vorrei ancora. Ormai è successo e non posso tornare indietro ma ti ripeto che è stato un errore. Russel credimi, è meglio se non ci vediamo più» 
«Cazzo se sei testarda!» grida e un pugno saetta a lato della mia testa schiantandosi contro la porta, un secondo dopo si allontana da me «Sai che ti dico, mi hai stancato, esci e vattene una volta per tutte» grida, e io senza voltarmi apro la porta «E fammi un favore, quando esci da casa mia cerca di non farti vedere da nessuno, non voglio aggiungere una relazione inesistente alle stronzate che già scrivono su di me» dice alle mie spalle, e io ricordo perfettamente che gli dissi qualcosa di simile quando mi svegliai la mattina a casa di Luca e lo trovai nel mio letto, solo che quando glielo dissi io tra noi ancora non c’era stato nemmeno un bacio sulla guancia, sentirglielo dire la mattina dopo che abbiamo fatto l’amore, come se anche lui stesse ammettendo che è stato un enorme sbaglio, invece di rincuorarmi perché in fondo è quello che dovrei volere, mi provoca un dolore acuto al petto come se il mio cuore fosse rinchiuso in uno spazio troppo piccolo che non gli permette di dilatarsi a sufficienza per pompare il sangue e tenermi in vita. 
Esco in silenzio e con calma attraverso il corridoio, a due metri dall’angolo che mi separa dall’ascensore mi sento soffocare, sono io che sono uscita da quella casa ma lo stesso provo un inquietante senso di abbandono e solitudine, non è lo stesso dolore che mi porto dentro da tutta la vita e con cui penso di aver imparato a convivere, è molto più subdolo, come un parassita che si sta propagando dal mio stomaco a ogni cellula del mio organismo. 
Continuo a camminare sorreggendomi con una mano alla parete, arrivata all’ascensore lo chiamo e sentendo salire di nuovo la nausea appoggio la fronte sopra la mia mano, devo riuscire ad arrivare a casa più in fretta possibile, poi potrò chiudermi in bagno anche per tutto il resto della mia vita per sputare fuori dalla mia bocca tutto l’odio che coltivo per mio padre che con la sua dipartita mi ha insegnato che è meglio se scappo quando trovo qualcuno che, anche se solo per un attimo, riesce a farmi pensare che forse non tutti sono come lui.
 
Prendo il mio cordless che suona sul comodino e lo porto sotto la coperta che ho tirato fin sopra la testa «Pronto» rispondo senza nemmeno aprire gli occhi.
«Allora è vero che stai male, hai una voce» 
«Ciao Meg»
«Sono appena arrivata in ufficio e Karen mi ha detto che oggi non saresti venuta. Ma che hai fatto?»  
«Niente di grave, forse ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male allo stomaco»
«Spero che non sia colpa mia, ieri sera non sapevo cosa inventarmi così con l’aiuto di Luca abbiamo detto agli altri che eri salita in camera sua perché non ti sentivi bene»
«Almeno che tu non sia una strega, non penso che tu possa avere qualche responsabilità se è tutta la mattina che faccio la spola dal letto al bagno»
«Chissà, magari c’ho i poteri e ancora non lo so»
«Se è così mi faresti un favore se li usassi in un altro modo»
«Più tardi ci provo poi ti faccio sapere il risultato» mi scappa un risolino «Ma sei sola? Russel non è con te?» 
«No, lui… lui aveva un impegno» 
«Non dovresti stare da sola. Vuoi che vengo lì?» 
«Meg ti ringrazio ma non sto morendo, ho solo un po’ di nausea non devi preoccuparti. Vedrai che domani starò benissimo» 
«Come vuoi, però se hai bisogno chiamami. Ci sentiamo più tardi, okay?»
«Sì. Ciao Meg» 
«A dopo» riattacco e getto il telefono al mio fianco. 
Da quando sono rientrata a casa ho vomitato due volte, l’ultima meno di mezz’ora fa, erano mesi che non mi succedeva, avevo quasi scordato come si ribella il mio corpo ai ricordi. Devo assolutamente alzarmi da qui e provare a bere qualcosa di caldo sperando che servirà a farmi passare un po’ il bruciore allo stomaco. Getto la coperta di lato e appena i miei piedi toccano terra suona l’iphone, allungo il collo per guardare il display. Cazzo non ora! Lo lascio suonare sperando che smetta, invece le note di “Mrs Robinson” continuano a risuonare nella mia stanza. 
«Merda!» rassegnata prendo il telefono e rispondo «Ciao Dario»
«Ehi Tesoro, stavo per riattaccare»
«Non trovavo il telefono, scusa» 
«Perché non apri skype sul computer così posso vederti?» 
«No oggi… sono rimasta a casa e il portatile mi serviva in ufficio ed è rimasto lì» mento.
«Allora apri la videochiamata sul telefono» 
Scatto in piedi e mi guardo allo specchio.
«Ci sei ancora?» chiede.
«Sì, solo un secondo» con le mani metto un po’ in ordine i capelli e raddrizzo la maglia che mi è scivolata tutta da una parte, corro in soggiorno e sedendomi sul divano appoggio il telefono di fronte a me e sorridendo premo sullo schermo per avviare la fotocamera.
«Eccoti finalmente!» esclama Dario sorridendo «Come mai sei rimasta a casa oggi? Hai fatto baldoria ieri sera?» 
«No io… non sono andata a lavoro perché ho un po’ di mal di stomaco»
«Hai vomitato?» chiede preoccupato. 
«No no, mi brucia solo un po’» 
«Ti sei fatta qualcosa di caldo? Di solito ti aiuta bere una camomilla o una limonata» 
«Stavo per mettere a scaldare l’acqua quando hai chiamato» 
«Puoi farlo anche mentre parli con me sai?» 
«Posso aspettare» 
«No Tesoro, bevi subito qualcosa, lo sai che più aspetti e più ti peggiora il bruciore» rassegnata lo guardo nel piccolo schermo.
«Okay» dico alzandomi dal divano. 
«Hai letto il mio messaggio?» chiede mentre riempio la teiera con l’acqua.
«Sì certo, grazie per gli auguri»
«Pensavo che non ti fosse arrivato o che non l’avessi visto»
«Ieri volevo risponderti ma poi… sono stata impegnata tutto il giorno e mi dispiace ma mi è passato di mente»  
«Ieri sono stato piuttosto preso dal lavoro anche io e oggi il volo è partito con due ore di ritardo, sono arrivato in albergo solo mezz’ora fa» 
«Già, che scema, sei in Germania» 
«Non pretendo che tu riesca a star dietro a tutti i miei spostamenti lo sai. Ma piuttosto, ti è capitato di star male altre volte da quando sei lì?» 
«No, questa è la prima volta, non è nemmeno detto che sia il mio solito problema, forse ho solo mangiato qualcosa che mi ha fatto male» 
«Dovresti farti vedere da un medico. Non farmi stare in pensiero, l’ultima volta sei stata male per giorni» 
«Se domani non starò meglio lo farò»
«D’accordo. Ma non mi hai detto niente della festa, ti sei divertita?»
«Sì, Luca ha organizzato una festicciola con qualche amico e collega, niente di speciale, però sono stata bene» molto bene, penso mentre verso l’acqua bollente dentro una tazza. 
 
«Come stai?» chiede Meg entrando.
«Meglio»
«Ti ho portato i regali, dove li metto?» chiede mostrandomi le due buste che le ingombrano le mani.
«Puoi lasciarli lì a terra» 
«Tra poco arriverà anche Karen, è andata a casa a prepararti del brodo. Hai mangiato a pranzo?» 
«No, e non credo che riuscirò a buttare giù qualcosa nemmeno stasera»
«Dovrai sforzarti, sei pallida come un cadavere. E lì che ti sei fatta?» chiede indicando i graffi sopra la mia guancia.
«Niente, mi sono graffiata da sola mentre dormivo. E comunque non sono stata in vacanza sai? Ho passato la giornata a vomitare, vorrei vedere te»
«Certo che passare la notte con Russel ti ha fatto davvero un brutto effetto, se dovesse pensare che è colpa sua sai che batosta per il suo orgoglio maschile» dice ridendo mentre si siede al mio fianco sul divano.
«Lui nemmeno lo sa che sto male» commento a voce alta. Quando mi rendo conto di cosa ho detto mi volto a guardarla, ha l’espressione accigliata.
«Reb, che hai combinato?» chiede.
«Diciamo che mi sono comportata come spesso fanno gli uomini» 
«Sei scappata dal suo letto a gambe levate?» 
«Già, e lui non l’ha presa bene, mi ha gridato di uscire da casa sua una volta per tutte»
«È stato così terribile?»
«Cosa?» chiedo.
«Come cosa? Che delusione però, avrei giurato che a letto fosse un drago»
«Oh no, mi sa che hai capito male, altro che drago, se dovesse andargli male la carriera di attore, potrebbe aprire una scuola per dare lezioni sui miliardi di modi per far urlare una donna fino a farle scordare anche la strada di casa»
«Allora non capisco perché sei scappata»
«Perché ho fatto un’idiozia, dovevo essere più coscienziosa. Ieri ho fatto crollare l’ultimo muro che mi separava da lui e che finché stava in piedi mi aiutava a pensare ancora lucidamente»
«Reb, dimmi la verità, ti sei innamorata?»
«No… non credo, però non ho mai provato niente di così forte per nessun altro uomo, nemmeno per Dario»
«E questo ti spaventa?» annuisco a testa bassa «Ma cosa precisamente, perché è successo mentre stai ancora con Dario o perché pensi che Russel non sia la persona giusta?» 
«Tutte e due le cose. Quando verrà Dario io parlerò con lui e non so dirti cosa succederà, e questa cosa che provo per Russel, che nemmeno so che cosa sia, non voglio che m’impedisca di fare la cosa giusta nei suoi confronti. La verità è che io potrei anche tornare a casa con lui, quindi non posso farmi delle illusioni e continuare a lasciarmi coinvolgere così tanto da Russel, perché sarebbe tutto più complicato» 
«Cazzo Reb, e da quant’è che pensi di tornare a casa con lui?» 
«Da un po’. Però non è detto che succederà»
«E da cosa dipende, scusa?» chiede.
«Da Dario, solo da lui»
«Ti dico la verità, io mi sono un po’ persa, non capisco cosa mi stai dicendo» il suo sguardo confuso mi fa sorridere.
«Hai ragione, per farti capire dovrei raccontarti tutto fin dall’inizio, ma ora perdonami ma non mi va»
«Okay, quando ti andrà di parlarne io ci sarò. Però ti chiedo un’ultima cosa. Se invece tu e Dario doveste lasciarvi, torneresti a cercare Russel?»
«Bella domanda. Peccato che non lo so. Ma poi, tu davvero mi ci vedi con lui? Che c’entriamo noi due insieme? Un attore di Hollywood con una promettente carriera e un’impiegata di un’azienda di moda, italiana per giunta. Finirebbe ancor prima di cominciare»
«Questo è quello che pensi tu» afferma convinta.
«Di’ un po’, non è che ti stai lasciando influenzare da Karen con le sue stronzate da romanzetto rosa?» 
«E tu invece ti lasci troppo influenzare dalle tue paure»
«No, io sono solo realista, i sogni a occhi aperti li lascio alle stupide che a dieci anni hanno fatto il disegno del loro abito da sposa e che lo conservano gelosamente dentro al comodino e che ogni tanto lo tirano fuori sognando il loro momento di gloria»
«Tu non sei realista, tu sei cinica, altroché» 
«Chiamami un po’ come ti pare, ho le mie idee e non penso proprio che le cambierò» 
«C’è che tu non vuoi cambiarle, non è la  stessa cosa» 
«Piantala Meg, da quando hai conosciuto Brian mi sa che ti sei rincoglionita»
«Può darsi, ma io non sono così spaventata dall’idea d’innamorarmi come te»
«Meglio per te, ti assicuro che non è così semplice vivere sempre sul chi va là come faccio io»
 
** 
 
Lunedì 9 Luglio 2012   
 
«E a che ora viene?» chiedo a Meg che si è affacciata nel mio ufficio per dirmi che ha appena chiamato la segretaria del signor Gordon per fissare un appuntamento per oggi pomeriggio.
«Alle cinque, e prima che ti arrabbi ti dico subito che ho provato a dirle in tutti i modi che era troppo tardi, ma lei ha insistito dicendo che il viscido ha assolutamente bisogno di completi nuovi da golf e che per i prossimi giorni sarà troppo impegnato per passare da noi»
«Va bene Meg non preoccuparti» via il dente via il dolore, prima viene e prima lo sistemerò a dovere«Ah Meg» la chiamo mentre sta uscendo «Non dire niente a Luca, e non serve nemmeno che rimani tu con noi»
«Sei sicura di voler rimanere da sola con lui?» chiede incredula.
«Assolutamente» oggi vedremo chi è il gatto e chi il topo. 
Spero solo di avere la grinta necessaria per affrontarlo, voglio che questa sia l’ultima volta che sarò costretta a vederlo. Purtroppo questa non era proprio la giornata più indicata però perché mi sento a pezzi. Il fine settimana è stato terribile, l’ho trascorso a rigirarmi tra le coperte e a far fronte alle continue incursioni in casa mia di Meg, Karen e Luca, che sabato sera mi ha fatto l’ennesima ramanzina dicendomi che con Russel mi sono comportata come una persona immatura e insensibile, e io gli ho dato ragione, ma non perché sono scappata da casa sua troncando in malo modo la nostra relazione, ma perché non dovevo spingermi fino a quel punto con lui. Da giovedì non l’ho più visto né sentito, e anche se è difficile resistere alla tentazione di chiamarlo so che è la cosa giusta da fare. Andremo avanti ciascuno con la propria vita cercando di dimenticare tutto quello che c’è stato tra noi.
 
Alle quattro e trenta prendo il completo che da giorni conservo per quando sarebbe venuto Gordon ed entro nel bagno per cambiarmi. Indosso la camicetta bianca abbottonandola fin sotto al mento, i pantaloni neri a sigaretta e le ballerine, passo un po’ di correttore sopra ai due graffi che ancora si vedono sopra lo zigomo sinistro e lego i capelli in una crocchia semplice ma ordinata. Mi guardo un’ultima volta allo specchio ed esco. 
Mentre indosso la giacca entra Meg «Wow che abbigliamento ultra professionale» dice avvicinandosi al tavolino di fronte al divano per appoggiaci sopra il solito vassoio con la solita bottiglia di costoso whisky già pronto dentro al bicchiere che Gordon vuole trovare ad aspettarlo e che regolarmente non degna nemmeno di uno sguardo.
«Sto male?» chiedo guardandomi.
«No, è che sembri la signorina Rottenmeier»
«Allora sono perfetta» dico soddisfatta «Luca dov’è?» 
«In sartoria, stanno finendo l’abito per la principessa araba. Ma prenditela comoda, ha appena richiamato la segretaria del verme dicendo che ritarderà per un imprevisto, e io stasera ho invitato Brian a cena, mi dispiace ma non posso trattenermi oltre le sei» comincio a pensare che stia facendo di tutto per venire quando sarò sola, meglio, così non ci saranno testimoni ad ascoltare tutto quello che ho intenzione di dirgli.
«Non preoccuparti, qui ci penso io» dico tranquillamente e lei annuisce uscendo. 
 
Sono le sei e venti quando, nel completo silenzio dell’ufficio ormai vuoto di Karen e Meg, sento i passi delle scarpe di cuoio di Gordon. Mi alzo dalla scrivania e vado alla porta per accoglierlo con tutti gli stucchevoli onori che tanto piacciono a lui.
«Buonasera signor Gordon, prego si accomodi» dico indicandogli il divano. 
«Sono terribilmente mortificato per il mio ritardo, spero che vorrà perdonarmi signorina Leoni» dice prendendo la mia mano per baciarla come ogni volta, mentre lo fa noto che osserva attentamente il mio abbigliamento, quando lascia la mia mano chiudo la porta e vedo che un sorriso compiaciuto spunta dalle sue labbra, fingo di non averlo notato e mi dirigo verso il divano mentre lui mi segue e si siede al mio fianco. 
Il suo sguardo si posa sul tavolino dove c’è solo il vassoio con il suo whisky «Non doveva mostrarmi i nuovi abiti da golf?» chiede non vedendo i books che di solito trova già pronti per essere visionati.
«Non ho perso tempo a preparare i books visto che entrambi sappiamo che non è per quelli che è venuto» rispondo. 
Un angolo della sua bocca scatta verso l’alto mentre accavalla le gambe appoggiando le mani sopra al ginocchio «Bene, perché nemmeno io ho più voglia di perdere tempo» afferma soddisfatto accomodandosi tra lo schienale e il bracciolo per stare voltato verso di me «Devo dirle che l’avevo sottovalutata» aggiunge.
«Cosa intende?» chiedo affinando lo sguardo. 
«Ho capito che lei è molto più furba delle altre, non le interessa una cena accompagnata da qualche stupido regalo, e l’ha spuntata perché sono disposto a trattare, mi dica cosa vuole e facciamola finita» dice tamburellando le dita sul ginocchio.
«Io invece la facevo molto più intelligente, perché sta dimostrando di non aver capito niente» affermo.
«Bene, capisco che per una donna deve essere umiliante parlare di denaro» dice tirando fuori il portafoglio e una penna d’oro dalla tasca interna della giacca «Vediamo se la cifra che ho in mente potrà soddisfare le sue esigenze» 
Il mio viso è una maschera assolutamente priva di emozioni mentre apre il libretto degli assegni e si china sul tavolino per compilarne uno. A questo punto ho deciso di divertirmi ancora un po’ prima di sbatterlo fuori dal mio ufficio. Quando lo stacca e lo piega in due mettendolo tra le mie dita protese verso di lui sorrido soddisfatta come se avessi raggiunto il mio obbiettivo, e beh, in un certo senso è quello che sta succedendo, solo che lui non sa che il massimo godimento lo sto raggiungendo, non per l’assegno che nemmeno ho degnato di uno sguardo, ma per l’umiliazione che sto per dargli.
«Non le interessa nemmeno sapere la cifra?» chiede incredulo rimettendo a posto portafoglio e penna.
«Sono sicura che sarà stato più che generoso» dico tenendo il rettangolino di carta stretto dentro al pugno «Però prima di saldare il mio debito vorrei un’ultima cosa da lei» 
«Cosa?» chiede un po’ spazientito. 
«Vorrei sapere cos’è che le fa pensare che tutto si possa comprare, e perché le interesso proprio io» 
Si rilassa sul divano e risponde ghignando «Alla prima domanda non credo ci sia davvero bisogno che le risponda» dice indicando la mia mano che stringe l’assegno e che tengo appoggiata sopra le gambe «Mentre per la seconda in realtà non so darle una risposta concreta, lei non corrisponde affatto ai miei canoni di bellezza, troppo magra, troppo pallida e gracilina, anche se devo confessarle che oggi con questo aspetto da maestrina delle elementari sta mettendo a dura prova il mio autocontrollo. All’inizio mi divertivo semplicemente a metterla in difficoltà, ma col tempo ho visto qualcosa nel suo sguardo che mi ha fatto desiderare di piegarla al mio volere, volevo assolutamente vincere la sfida che mi lanciava ogni volta che la guardavo negli occhi» come pensavo.
«Quindi ora si sentirà molto soddisfatto?» chiedo sorridendo.
«In effetti sì» si alza e mi porge una mano, io la prendo e mi alzo mettendomi di fronte a lui «A questo punto penso che possiamo saltare la cena» afferma. 
«Lo penso anche io» confermo, poi giro intorno al tavolino e quando gli sono di fronte mi chino per prendere il bicchiere di whisky, mentre lo stringo tenendolo tra noi due lui mi guarda un po’ confuso.
«Preferirei che rimanesse lucida, sarà ancora a stomaco vuoto e non mi sembra in grado di reggere un alcolico così forte» dice indicando il bicchiere.
«Non si preoccupi, non ho intenzione di berlo» lo rassicuro guardandolo negli occhi, poi apro il pugno dell’altra mano e lascio cadere l’assegno all’interno del liquido ambrato spingendolo a fondo con un dito «E ora se ne vada e non si azzardi mai più a rimettere piede qua dentro» dico rimettendo il bicchiere sopra al vassoio. 
Lui si sporge in avanti afferrandomi il polso destro e, mentre mi strattona verso di sé facendomi sbattere con un ginocchio contro il tavolo rovesciando il bicchiere, penso esultando in silenzio che aver messo il tavolino tra noi è stata la mossa migliore che potevo fare.
«È davvero disposta a rischiare così stupidamente il posto di lavoro, cosa dirà ai signori Ferraris quando li informerò che mi ha cacciato dal loro showroom intimandomi di non tornare mai più?» chiede con occhi fiammeggianti a pochi centimetri dal mio viso continuando a stringermi il polso.
«Dirò loro semplicemente la verità» rispondo sostenendo il suo sguardo.
«Sono uno dei loro migliori clienti, non le crederanno mai» dice aumentando la stretta.
Abbasso lo sguardo sul tavolino ignorando il suo maledetto anello che preme dolorosamente sulla sporgenza dell’osso del mio polso «Peccato per lei che sopra a quel vassoio sta galleggiando la prova che avvalorerà le mie parole» 
«Sei solo una sgualdrina!» grida strattonandomi il polso.
«Può darsi, ma non sarò mai la sua, e ora le consiglio di andarsene se non vuole che la notizia finisca su tutti i giornali» lo minaccio e lui finalmente lascia il mio polso, vorrei massaggiarlo con l’altra mano ma non voglio dargli la soddisfazione di fargli vedere quanto in realtà mi abbia fatto male. 
Faccio un passo indietro e lo guardo mentre furente si dirige verso la porta «Non finisce qui, signorina Leoni» dice prima di sbattere la porta alle sue spalle.
Tiro un sospiro di sollievo e in fretta mi sfilo la giacca e arrotolo la manica della camicia «Che stronzo» commento guardando il cerchio rosso che circonda il mio polso e il segno più scuro sopra l’osso dove premeva con l’anello. 
Sospiro e mi dirigo verso il bagno per metterlo sotto l’acqua fredda, non faccio in tempo ad aprire la porta che quella dell’ufficio si spalanca, spaventata mi volto di scatto «Ho incrociato Gordon che stava uscendo, perché non mi hai detto che veniva?» chiede Luca arrivandomi di fronte.
«Perché non era necessario, ti ho già detto che Meg è la solita esagerata» rispondo srotolando la manica della camicia per coprirmi i lividi.
«Meglio così. Ora però vieni con me, prima di spedirlo voglio fartelo vedere, questa volta ho davvero superato me stesso, la principessa araba sarà la sposa più bella che si sia mai vista» si volta e io non faccio in tempo a impedirgli di prendermi il polso per trascinarmi fuori dall’ufficio.
«Cazzo!» impreco appena lo stinge e lui lo lascia immediatamente.
«Scusa, non volevo farti male» dice mortificato.
«Non è colpa tua, è che prima l’ho sbattuto» dico massaggiandolo.
«Fammi vedere» cerco di nasconderlo ma prende la mia mano e solleva la manica, gira il polso guardandolo attentamente poi sposta lo sguardo intorno alla stanza e lo ferma sul tavolino dove l’assegno galleggia sopra al vassoio con il nome della banca in bella vista. 
«Con te farò i conti dopo» dice incazzato puntandomi  un dito davanti al viso, poi esce di corsa dall’ufficio.
«Dove stai andando?» grido dietro di lui mentre corre verso l’ascensore «Luca! Cazzo fermati!» continuo a gridare mentre le porte si richiudono con lui dentro. 
Dando un pugno sul tasto chiamo l’altro ascensore «Ti vuoi sbrigare!» non aspetto nemmeno che le porte siano completamente aperte che mi lancio dentro.
«Ehi!» Russel che esce dall’ascensore mi trattiene per le spalle evitando che vada a sbattere contro di lui.
«Lasciami!» esclamo divincolandomi, poi entro dentro lasciandolo lì fuori sbigottito e premo il tasto del piano terra. Appena le porte si riaprono, corro verso l’ingresso del grattacielo e vedo Luca che ha raggiunto Gordon, un attimo prima che esca dalla porta a vetri lo fa voltare prendendolo per una spalla. 
Quando arrivo al fianco di Luca gli prendo una mano aprendogli il pugno e lo sguardo di Gordon saetta sul mio viso «Sono mortificato, signor Ferraris, ma non sapevo che la signorina se la stava già scopando lei» dice con un ghigno malefico e derisorio. 
Vedo un sussulto sul petto di Luca e mi piazzo davanti a lui per impedirgli di fare una stupidaggine «Ehi, guardami» dico prendendogli il viso tra le mani «È questo che si diverte a fare, provocare gli altri, lascialo perdere e torniamo di sopra» quando abbassa lo sguardo su di me vedo che non l’ho convinto nemmeno un po’ «Non ascoltarlo, ti prego, fallo per me» 
Prende un respiro profondo e appoggia le mani sopra le mie spalle «Solo se questo stronzo ti chiede scusa» dice sollevando lo sguardo su Gordon.
«Oh, ma guarda chi sta arrivando, l’amico delle cenette romantiche» dice divertito Gordon.
«Che sta succedendo?» chiede Russel fermandosi al fianco sinistro di Luca e spostando in fretta lo sguardo su noi tre.
«Niente, non sta succedendo assolutamente niente. Il signor Gordon ora esce da qui e noi ce ne torniamo subito in ufficio» dico con sguardo implorante guardando Luca.
Ma quell’idiota di Gordon non sa proprio starsene zitto «Certo che si dà davvero un gran bel daffare, signorina Leoni, è sicura di non riuscire a trovare un po’ di tempo anche per me? Sa, mi piacerebbe verificare personalmente se è vero quello che si dice delle donne italiane a letto» 
Trattenendo l’impulso di voltarmi e dargli un calcio tra le gambe, appoggio la fronte sul petto di Luca, che all’improvviso mi circonda le spalle con un braccio e mi trascina contro di sé facendo un passo indietro. Sollevo la testa di scatto per guardarlo e vedo che sorride mentre dietro di me sento qualcosa che sbatte contro la vetrata, mi libero dal suo braccio e mi giro, Gordon è a terra con le spalle contro la porta e con un labbro spaccato che sanguina copiosamente imbrattandogli l’abito, mentre Russel è piegato su di lui «Fuori da qui!» grida sulla sua faccia, strattonandolo per il bavero della giacca. Mentre un gruppetto di persone osserva la scena da lontano, Russel lascia Gordon che si alza pulendosi la bocca con il dorso della mano guardandomi con odio, poi, senza dire una sola parola, esce dando una spinta alla porta a vetri sporcandola di sangue.
«Ma sei impazzito?» grido a Russel che con le mani sui fianchi osserva Gordon che sale sulla sua auto mentre l’autista gli tiene aperto lo sportello.
«Sei tu che sei impazzita a far venire ancora qui quel porco» grida lui. 
«Veramente ero già riuscita a sistemarlo da sola prima che interveniste voi due» dico voltandomi per andare verso gli ascensori, è meglio se andiamo via subito perché ci stanno osservando tutti «E tu levati quel sorrisino dalla faccia» mi rivolgo a Luca colpendolo sullo stomaco poi chiamo l’ascensore.
«E questo?» chiede Russel prendendomi il braccio e guardando il polso che la camicia ha scoperto scivolando in basso mentre premevo il tasto.
«Non è niente okay?» rispondo acida entrando in ascensore.
«E meno male che non ti aveva mai toccato nemmeno con un dito» dice scontroso venendomi dietro.
«Cos’è questa storia?» chiede Luca mentre premo il bottone per il nostro piano.
«La signorina ti ha tenuto nascosto che quello stronzo è da tempo che si diverte a spaventarla» gli risponde Russel guardandomi negli occhi.
«Piantala» l’ammonisco.
«No no ora voglio saperlo anch’io» insiste Luca.
«Non c’è niente da sapere, si divertiva a provocarmi ma oggi l’avevo sistemato a dovere e non si sarebbe fatto più vedere, quindi non era proprio necessario che tu gli corressi dietro e che tu gli dessi un cazzotto» dico indicando prima Luca e poi Russel.
«Oh, invece il cazzotto ci stava proprio bene» gongola Luca dando una pacca sulla spalla a Russel.
«Cavolo, mi sembra di avere a che fare con scemo & più scemo!» commento scuotendo la testa mentre esco dall’ascensore, andando poi verso il mio ufficio seguita da loro due. 
Appena entriamo Luca va verso il tavolino e raccoglie l’assegno, dopo averlo fatto sgocciolare lo solleva «Non si legge più niente» dice deluso gettandolo di nuovo sul vassoio «Quanto ti aveva offerto?» chiede divertito mentre Russel alle sue spalle lo squadra con espressione severa, probabilmente non gradisce affatto la sua ironia.
«Non lo so» rispondo scrollando le spalle.
«Come, non gli hai dato nemmeno una sbirciatina?» chiede incredulo.
«No, e sinceramente non capisco tutta la tua curiosità» mi viene dietro mentre entro nel bagno e si appoggia allo stipite incrociando le braccia.
«Volevo solo sapere quanto aveva valutato la tua… sì insomma hai capito» spiega mentre esco dalla porta con in mano un sacchetto di ghiaccio sintetico. Russel lo fulmina con un’occhiata «Okay, scappo perché devo far spedire l’abito» dice andando in fretta verso l’uscita. 
Senza fiatare mi avvicino a Russel e gli prendo la mano destra dove due nocche sono visibilmente arrossate e ci sbatto sopra il sacchetto del ghiaccio «Fai piano!» esclama sussultando.
«Ti meriteresti di peggio» dico dandogli le spalle e andando alla scrivania.
«Mi avevi promesso che mi avresti detto quando sarebbe tornato» 
Spengo il computer e sollevo lo sguardo su di lui che sta in piedi dall’altro lato del tavolo.
«Beh, scusa se non ti ho avvertito, deve essermi passato di mente» rispondo acida «E ora scusa ma vorrei andarmene a casa, se vuoi puoi aspettare Luca qui» dico facendo il giro della scrivania.
«Non sono venuto per Luca» dice venendomi di fronte «Sono passato da casa tua ma visto che non eri ancora tornata sono venuto a cercarti qui» 
«Perché?» chiedo. 
«Perché noi dobbiamo parlare»
«E di cosa? Mi sembrava che alle ultime cose che ci siamo detti non ci fosse nient’altro da aggiungere» ribatto con tono sostenuto incrociando le braccia. 
«Mi concedi un altro minuto della tua vita o ti sto chiedendo troppo?» chiede con sguardo paziente.
 
**
 
*****************************************************
 
Non perdetevi il prossimo capitolo perché finalmente sapremo tutto quello che è successo il giorno dell’incidente.
Vi ricordo che nella mia pagina trovate la raccolta delle scene rosse, ho inserito anche la loro prima volta.
 
Baci,
V.17
 
 
 

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Capitolo 21
*** Cap. 21 - La seconda da sinistra ***


Buona lettura,
V.17
 
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CAP. 21- LA SECONDA DA SINISTRA
 
In un momento come questo
è meglio non avvicinarsi alla finestra,
per evitare qualche fischio
è ben più saggio rimanere nell’orchestra.
 
Assaporare il gusto lieve di esistenze
non esposte alla bufera,
recuperare una distanza tra l’ipotesi
e l’esperienza vera.
 
Ciò che di eroico e di geniale c’è
nel diventare uguale al proprio sfondo,
ciò che di tragico e banale 
c’è nel credere soltanto a questo mondo.
 
È la speranza un giorno di essere smentiti
dall’esplodere di un bacio,
è la paura di non essere capiti
per un gesto esagerato.
 
Io sono quella nella foto, vedi,
la seconda da sinistra in piedi,
mi si vede appena, ti devi concentrare,
sono dietro, vedi, dietro,
e dietro voglio stare.
 
No non è questione di mancanza di coraggio,
né in questo modo io mi sento
particolarmente buona e saggia,
è che non voglio essere
l’ostaggio di nessuno,
io sono una e intorno ce n’è molti di più,
così se vuoi vedermi, devi cercarmi tu.
 
Io sono quella nella foto, vedi,
la seconda da sinistra in piedi,
mi si vede appena, ti devi concentrare,
sono dietro, vedi, dietro,
e dietro voglio stare.
 
Daniele Silvestri
 
**
 
«Mi concedi un altro minuto della tua vita o ti sto chiedendo troppo?» chiede con sguardo paziente.
«Certo, scusa» rispondo mortificata per il mio atteggiamento astioso e distaccato. In fondo lui non si merita di essere trattato come sto facendo, la stronza tra noi due sono io.
Si siede sul divano invitandomi a fare altrettanto, quando gli sono di fianco arrotola la manica della mia camicia e mi circonda il polso arrossato e livido con il sacchetto del ghiaccio sintetico. 
Abbasso la testa di fronte all’ennesimo gesto da parte sua che, più di qualsiasi cosa abbia mai detto o potrà mai dire, dimostra nuovamente quanto ci tenga a me.
«In realtà per quello che devo dirti serve molto meno di un minuto» lo guardo confusa mentre fissa il mio polso dove le sue mani premono delicatamente il ghiaccio sui miei lividi. Quando solleva gli occhi puntandoli nei miei il mio stomaco si contrae e uno strano senso di angoscia e inquietudine s’impossessa di me, mentre i suoi occhi continuano a fissarmi immobili mi sembra di vederci dentro un mare in burrasca che se non faccio attenzione finirà per inghiottirmi nelle sue acque profonde. 
«Mi sono innamorato di te» 
Sfilo il polso dalle sue mani e il sacchetto cade con un tonfo tra i nostri piedi, improvvisamente mi gira la testa e per la pesantezza improvvisa con cui percepisco il mio corpo mi sembra di star affondando dentro i cuscini del divano. 
«Io penso che tu sia confuso… tu…» balbetto alzandomi e prendendo tempo per cercare le parole giuste «tu stai scambiando l’attrazione che c’è tra noi per un sentimento che…» stringo gli occhi grattandomi la testa mentre cammino avanti e indietro «che non si può provare per nessuno in così poco tempo» dico sospirando e fermandomi davanti a lui «Deve essere per forza così» affermo mentre il mare in tempesta negli occhi di Russel mi sta investendo da ogni direzione.
Appoggia gli avambracci sopra le gambe intrecciando le mani tra loro «Sapevo che l’avresti detto, perché questo è quello che tu provi per me, solo attrazione» 
«No io… non è solo quello, io sto bene con te ma…»
«Ma non puoi amarmi, lo so, e non pretendo che tu lo faccia, però non puoi pretendere che non possa farlo nemmeno io» dice e io guardando i suoi occhi mi sento sempre di più in alto mare. 
«Russel, tu non ti rendi conto di cosa stai dicendo» insisto convinta.  
«Non sai quanto ti sbagli, perché invece so benissimo cosa sto dicendo. Posso accettare che non dirai mai che mi ami, che non ammetterai mai che provi qualcosa per me che va oltre l’attrazione, ma non chiedermi di lasciarti andar via e non vederti più, quello non sono in grado di farlo, né oggi né mai» 
«Tu… tu non vuoi veramente questo, tu pensi di volerlo ma sono sicura che non è così» non riuscendo a sostenere il suo sguardo che sembra assolutamente sincero, mi allontano andando davanti alla vetrata, mi volto e dandogli le spalle incrocio le braccia in un estremo tentativo di trattenere le emozioni contrastanti che hanno risvegliato le sue parole. Una parte di me vorrebbe scappare immediatamente da questa stanza, l’altra sta gioendo incontrollata ed è certa che non esista nessun altro posto migliore di questo al momento. 
«Hai ragione, non è quello che voglio, perché in realtà vorrei che anche tu mi amassi, ma se così fosse saresti già scappata da quella porta, e so che avrò ancora qualche possibilità con te solo fino a quando questo non succederà, almeno che io non riesca a farti capire quanto sia liberatorio cedere ai propri sentimenti» 
Rimango immobile e in silenzio mentre si avvicina e mi circonda con le braccia coprendo le mie ancora incrociate sullo stomaco «Non è affatto semplice capirti, ma io penso di esserci riuscito» sussurra, poi chiede «Un giorno mi dirai perché ti spaventa così tanto l’idea di innamorarti?» nego muovendo la testa «Non puoi dirmi nemmeno cos’è che ancora ti lega al tuo uomo anche se non ami nemmeno lui?» nego ancora «Se puoi stare con lui senza amarlo, vorrei essere io quello ad avere questa opportunità e ti informo che ho tutta l’intenzione di sfruttare il vantaggio che in questo momento ho su di lui essendo io quello che può tenerti tra le braccia. Fino a quando lui non verrà a reclamarti non mi lascerò sfuggire nessuna occasione per fare questo» mi viene di fronte e circondandomi il viso con le mani si piega per baciarmi. Dopo un attimo di esitazione, il sapore ormai familiare delle sue labbra e che tanto ho desiderato in questi giorni mi fa dischiudere le mie, circondandogli il collo cerco la sua lingua mentre stringendomi la vita mi solleva da terra. 
Una manciata di baci e i nostri corpi già fremono dal desiderio di potersi sfiorare senza gli abiti che li dividono. Mi aiuta a sollevare le gambe e mentre le intreccio ai suoi fianchi si avvicina alla porta per chiuderla a chiave. Appena si siede sul divano le nostre mani corrono a sbottonare la camicia dell’altro lanciandole poi a terra, lui mi abbassa le spalline del reggiseno scoprendomi il seno, io apro la cintura dei suoi pantaloni, lui mi bacia il petto, io mordo la sua spalla, lui sgancia il reggiseno buttandolo sopra al tavolino, io apro i suoi pantaloni, lui apre i miei, io mi tolgo le scarpe, lui impreca. 
Come? Lui impreca.
Come? Lui impreca e si ferma passandosi una mano tra i capelli. 
Come? Lui impreca e si ferma passandosi una mano tra i capelli poi sulla faccia. 
Come? Lui impreca e si ferma passandosi una mano tra i capelli poi sulla faccia e impreca di nuovo. 
Come? Lui impreca e si ferma passandosi una mano tra i capelli poi sulla faccia e impreca di nuovo prendendomi per i fianchi e quasi gettandomi accanto a lui sul divano.
Come? Lui impreca e si ferma passandosi una mano tra i capelli poi sulla faccia e impreca di nuovo prendendomi per i fianchi e quasi gettandomi accanto a lui sul divano e appoggiando la testa indietro chiude gli occhi dicendo «Non ho con me nemmeno un solo preservativo e almeno che non sia tua abitudine tenerli in borsa o nel bagno dell’ufficio dobbiamo fermarci» ah, è per questo, meno male, stavo pensando che avesse cambiato idea e non mi volesse più. 
Tiro un sospiro di sollievo e mi alzo in piedi sul divano mettendo ciascun piede ai lati delle sue cosce, lui apre gli occhi e con la testa appoggiata allo schienale e le mani abbandonate in grembo mi guarda afflitto. 
«Non ci serve niente perché prendo la pillola» dico sfiorandolo tra le gambe con un piede, vedo un lampo nei suoi occhi e affina lo sguardo sollevando un angolo della bocca. Con un unico gesto libero i capelli dalla forcina che li tiene legati e scuoto la testa lasciandoli cadere sopra le spalle, immediatamente afferra i miei pantaloni e li tira in basso assieme alle mutandine, sollevando un piede per volta me ne libero e rimango immobile con le gambe divaricate e la mia intimità a pochi centimetri dal suo viso, trattiene un attimo il respiro fissandola poi alza lo sguardo nei miei occhi, i suoi sono di nuovo in tempesta e io in questo momento mi sento un naufrago che desidera non raggiungere mai più la terra ferma.
«Vista da qua giù sei una visione» con lo sguardo immobile sulla mia intimità mi arpiona la vita con entrambe le mani attirandomi contro la sua bocca. Appena la sua lingua mi sfiora appoggio le mani al muro sopra la sua testa e se lui non mi stesse sorreggendo sicuramente gli rovinerei addosso per quanto sono instabili le mie gambe scosse da tremiti. Arriva in mio soccorso aiutandomi ad alzare un ginocchio per appoggiarlo sopra la spalliera accanto alla sua testa e premo la mia contro la parete tra i miei avambracci, vorrei chiudere gli occhi ma non riesco a smettere di guardare i suoi che diventano sempre più scuri a ogni mia smorfia di piacere. Quando alla bocca aggiunge la mano, l’onda anomala della lussuria m’investe trascinandomi negli abissi. Vedo che si è già spogliato quando senza nemmeno darmi il tempo di riprendere fiato mi trascina su di sé guidandomi per accoglierlo, istintivamente inizio a muovermi per prolungare il piacere che ancora non è scemato del tutto ma lui mi blocca i fianchi. 
«N-O-N  T-I  M-U-O-V-E-R-E» scandisce al mio orecchio stando con la fronte appoggiata sopra la mia spalla. 
Rimango immobile pensando che, oltre al cerchio violaceo che circonda il mio polso e al segno dell’anello di Gordon, domani mi sveglierò con le sagome delle mani di Russel sui fianchi per come li sta stringendo per tenermi ferma. 
«Ho detto che non ti devi muovere» sibila.
«Non mi sto muovendo» dico fissando il muro.
«Allora smetti anche di respirare»    
Ci penso un attimo poi chiedo «Sei forse impazzito?» 
«No, è che non voglio fare la più brutta figura di tutta la mia vita proprio con te» 
Gli accarezzo la nuca con una mano e lui volta il viso verso di me «Dopo quello che mi hai fatto poco fa, ti garantisco che niente di quello che potrebbe succedere mi farebbe cambiare l’idea che mi sono fatta di te»
«E che idea ti sei fatta?» chiede mostrandomi il suo sorriso da ragazzino impertinente.
«Che chiunque verrà dopo di te, mi sembrerà un dilettante alle prime armi» ammetto sfiorandogli il piccolo spicchio di luna.
«Ti prometto che ce la metterò tutta perché tu non senta mai più il bisogno di verificarlo» dice serio insinuando poi la lingua dentro la mia bocca e muovendomi lentamente con le mani ancora strette sui miei fianchi «Sentirti così, intorno a me…» un gemito interrompe le sue parole «io… non riesco a spiegartelo» dice premendo il viso sul mio collo per respirare la mia pelle e riempiendomi di brividi mentre sfrega le labbra e il naso sotto l’orecchio.
«Lo so…» mi sollevo «lo sento anch’io» mi abbasso.
Lascio che sia lui a guidare i miei movimenti fino a che mi stende sul divano «Ti amo Sirenetta, non scordartelo mai» dice fermandosi solo un attimo per guardarmi dritta negli occhi che a fatica riesco a tenere aperti in minuscole fessure mentre il blu profondo del suo sguardo m’inabissa definitivamente.
«Dimmi che ci sei… perché non ce la faccio più» farfuglia tra un gemito e l’altro aumentando l’intensità delle spinte.
«Sì… sì… ci sono» 
 
Sollevo la testa per guardarlo mentre se ne sta da almeno dieci minuti con il viso tra i miei seni, il mio ufficio da stasera mi sembrerà freddo e asettico senza lui nudo sul divano come in questo momento. 
Non so che ore siano ma fuori dalla vetrata è già buio «Andiamo a casa?» chiedo accarezzandogli i capelli.
«Sì, però andiamo da me, casa tua è troppo lontana e ti rivoglio nuda nel minor tempo possibile»
«Ma se ci vogliono solo una ventina di minuti di macchina» affermo ridendo.
«Sono troppi» dice baciandomi il seno. 
 
«Mi sei piaciuta subito, sai?» sussurra Russel accarezzandomi la schiena nuda e salendo con la mano per infilarla tra i miei capelli. 
«Dici davvero?» chiedo appoggiando il mento sul suo petto, e lui annuisce «Io invece credevo che mi avessi presa per una pazza squilibrata quando sei entrato per la prima volta nel mio ufficio» 
«Veramente io sto parlando di poco prima, quando ti ho vista mentre parlavi al telefono e ti mordicchiavi l’unghia del pollice. In quel momento ho desiderato che l’ascensore che stavi aspettando ci mettesse un’eternità ad arrivare perché volevo osservarti ancora un po’» forse dovrei dirgli che anche lui attirò la mia attenzione.
«Capii subito che eri tu perché quella non era la prima volta che ti vedevo»
«Mi sa che ti sbagli perché quella invece è stata di sicuro la prima volta»
«No, cara la mia Sirenetta» dice ribaltando le posizioni e spingendomi le spalle sul letto «Sai la foto appesa nell’ingresso in casa di Luca dove ci siete voi due con un’altra ventina di persone? Quella dove tu hai i capelli legati e indossi un abito verde acqua con le spalle scoperte?» chiede con fare misterioso.
«Sì certo, ce l’hanno scattata tre anni fa dopo una sfilata»  
«Beh, prima che prendesse casa a Downtown era appesa nella villa di Malibù, e io ti ho visto per la prima volta più di due anni fa in quella foto, precisamente il giorno in cui ho conosciuto Luca andando a casa sua per una festa. Mi disse che erano alcune delle persone che lavoravano con lui, allora solo per sapere il tuo gli chiesi i nomi e ricordo che dovetti sorbirmi l’intero elenco perché lui cominciò da destra e quindi tu eri la penultima. Il tuo nome continuò a suonarmi nella testa per tutta la sera e mi fermavo a osservarti ogni volta che tornavo a casa di Luca» 
«Dici sul serio?»
«Sì, e quando capitava l’occasione gli facevo sempre un sacco di domande sul suo lavoro solo per sapere di te. E ti dirò anche che quando ero ancora in Inghilterra, e mi disse che eri arrivata, feci di tutto per anticipare il mio rientro perché ero curioso di conoscerti»
«Ma dai, a questo non ci credo»
«Fai male, perché invece è vero. Appena sono sceso dall’aereo sono venuto direttamente in showroom e quando finalmente ti ho vista di persona non hai affatto deluso le mie aspettative, anzi, ho pensato che quello scatto non ti rendeva giustizia perché non mostra quanto sono intriganti i tuoi occhi e come sei splendida quando sorridi» da come parla sembra quasi che si sia innamorato di me due anni fa solo vedendomi in una foto, in cui tra l’altro sono mezza nascosta tra gli altri e mi si vede appena.
Lo invidio per la sua capacità di dirmi tutto quello che pensa, è solo grazie a questo se siamo sopra al suo letto da quasi due ore, se non fosse venuto a cercarmi per dirmi ciò che mi ha detto, a quest’ora saremo ciascuno a casa propria a domandarci cosa poteva succedere se non fossimo rimasti fermi ognuno sulle proprie posizioni. 
«Cosa stai pensando?» chiede baciandomi la testa.
«Che a volte vorrei essere come te e riuscire a trovare il coraggio di dire tutto quello che mi passa per la testa» 
«Non fraintendermi, non è che lo faccio con tutti, ma con te sento il bisogno di farlo e non mi costa alcuno sforzo. Dirti i miei sentimenti e i miei desideri mi fa sentire più leggero»
Una sensazione che non ricordo di aver mai provato, anzi, giorno dopo giorno il peso che sento sembra farsi sempre più opprimente, un fardello che ormai sono così abituata a portarmi dietro che a volte penso che se improvvisamente dovesse sparire probabilmente ne sentirei addirittura la mancanza. Dopo tanto tempo il dolore diventa così familiare da farci anche un po’ compagnia e ci aiuta a trovare delle giustificazioni per certi nostri comportamenti che agli altri possono sembrare assurdi e senza senso. 
Però vorrei provare se è vero che il cuore sembra alleggerirsi dopo averlo aperto per far uscire qualcosa intrappolato là dentro «Tre settimane prima dell’incidente avevo scoperto di essere incinta» dico fissando il suo petto che si ferma così come la sua mano tra i miei capelli «E non l’ho mai detto a Dario perché io quel bambino non lo volevo, almeno non fino al giorno dell’incidente»
Continuo a parlare senza staccare l’orecchio dal suo torace, sentendo il suo cuore che perde un battito a ogni mia frase «Soffro di gastrite, ho fatto diverse visite che hanno confermato che il mio stomaco non ha niente che non va, la mia è solo una malattia psicosomatica. Quando mi prende uno stato di ansia il mio corpo reagisce e allora mi viene la nausea e spesso anche il vomito. A metà novembre mia madre ha avuto dei problemi di salute, una banale influenza che lei ha trascurato si è trasformata in una polmonite che l’ha costretta a un ricovero di due settimana in ospedale» ricordare quei giorni ancora mi fa sentire la paura del tutto immotivata che provai di perderla.
«Non era niente di così grave in realtà, e poi mia madre è una donna forte e combattiva, ma io caddi lo stesso in uno stato di ansia come non avevo mai provato, e mentre lei era ricoverata io trascorsi quasi tutto il tempo a vomitare, uscivo di casa solo per andare a trovarla e appena rientravo correvo al bagno e ci passavo quasi tutta la notte. Dovetti smettere di prendere la pillola perché regolarmente la rigettavo e la mia dottoressa mi consigliò di usare i cerotti contraccettivi fino a che il mio stomaco non si fosse calmato. A fine dicembre ancora li usavo, la mattina del 25 Dario mi chiese di sposarlo, beh, non proprio, però cercò di regalarmi un anello di fidanzamento che io in realtà non ho nemmeno mai voluto vedere, comunque, qualche giorno dopo, quando andai per togliere il cerotto e sostituirlo con quello nuovo, non c’era più, con tutto quello che era successo con Dario nei giorni precedenti non me n’ero accorta e non avevo la minima idea da quant’è che si fosse staccato, in realtà non ricordavo nemmeno se l’avevo sostituito. Chiamai immediatamente la mia dottoressa che mi disse che ormai era tardi per usare la pillola del giorno dopo, non mi restava che sperare che mi venisse il ciclo. Al terzo giorno di ritardo andai da lei per fare il test, non mi fidavo di quelli da fare a casa e poi non li avevo mai usati e avevo paura di sbagliare. Qualche giorno dopo tornai da lei e mi disse che ero incinta, uscii dal suo studio con il certificato per effettuare l’interruzione della gravidanza. Mi dettero l’appuntamento per il 21 febbraio, ed era perfetto perché Dario il giorno prima sarebbe partito per andare due settimane in Australia. Non dissi niente a nessuno, nemmeno a Luca, passai le due settimane prima dell’intervento come se niente fosse, senza pensare a quello che stavo per fare, solo che non riuscivo a farmi toccare da Dario, inventavo continuamente delle scuse per non vederlo e terrorizzata dall’idea che si notassero dei cambiamenti nel mio corpo cominciai a mangiare pochissimo. Il giorno prima dell’intervento, come sempre, mi preparai e andai in ufficio, solo che quando arrivai non scesi dalla mia macchina. Per la prima volta da quando avevo scoperto di aspettare un bambino mi fermai a pensare. Io non lo volevo, ma mi chiesi se fosse giusto non dirlo a Dario e se davvero volevo vivere con il rimorso di averglielo tenuto nascosto. Spensi il telefono e rimasi dentro la mia auto per quasi due ore con la testa abbandonata sopra le braccia che stringevano il volante, alla terza persona che mi bussò al finestrino chiedendomi se avevo bisogno di aiuto, misi in moto e uscii dal parcheggio senza una meta precisa, e guidai tutto il giorno senza andare veramente da nessuna parte. E pensai alla possibilità di avere un figlio come non avevo mai fatto in tutta la mia vita, non era più solo un’idea da cui fuggivo da anni, in quel momento stava crescendo dentro di me e quella mattina non riuscii a ignorarlo. Sono sempre stata molto attenta a evitare una gravidanza, soprattutto da quando sono arrivata alla conclusione che io un figlio proprio non lo voglio, non mi sento in grado di occuparmi di qualcun altro e di prendermi la responsabilità della crescita e del benessere di un altro essere umano, meno che mai della sua serenità, ma a un solo giorno dall’intervento iniziai a pensare che invece potevo tenerlo, avrei chiesto aiuto a mia madre e a mia sorella, loro forse avrebbero potuto insegnarmi a essere una buona madre. Ma c’era un altro enorme problema, io non amavo Dario, e mettere al mondo suo figlio non avrebbe cambiato i miei sentimenti nei suoi confronti, potevamo cercare di essere dei buoni genitori, ma per colpa mia non saremo mai stati una coppia che si ama e che decide di stare insieme per tutta la vita. Dopo un’intera giornata a pensare, nel tardo pomeriggio decisi di andare da lui per dirgli che ero incinta, che avevo deciso di tenerlo ma che ci dovevamo lasciare, solo che non arrivai mai a casa sua, e la mattina dopo in ospedale scoprii che non era nemmeno necessario che gli dicessi del bambino, perché ormai non c’era più» 
Da quel giorno è la terza volta che racconto a qualcuno cosa è successo, la prima con Luca, la seconda con Alice, e ora con Russel, un uomo che conosco da nemmeno due mesi ma che sembra avermi capita più di tante altre persone che mi conoscono da una vita. Non pensavo veramente che dopo avergli raccontato tutto avrei sentito il mio cuore che alleggerito avrebbe preso il volo, infatti non è così, però sento di aver fatto la cosa giusta. 
«Ho preso davvero coscienza di aspettare un bambino solo poche ore prima dell’incidente, e ti mentirei se ti dicessi che ero straziata dal dolore quando mi dissero che l’avevo perso, però a volte ancora ci penso e mi sembra che mi manchi qualcosa» la sua mano tra i miei capelli ricomincia a muoversi lentamente «È questo che devo dire a Dario tra dieci giorni, tutto quanto, senza nascondergli più niente»
Stringe la mia mano appoggiata sopra al suo petto che si solleva mentre prende un profondo respiro prima di parlare «Quando verrà parlagli e digli tutto, ma non ti lascerò andare via con lui, solo l’idea che un altro uomo possa desiderarti mi manda in bestia. Io troverò un modo per sopportare di saperti sola con lui, ma non mettere troppo a dura prova il mio autocontrollo» dice sollevando il mio braccio e baciando il livido attorno al polso «Solo saperti a un passo da me, mi ha fermato dal ridurre a un vegetale quel porco oggi»
 
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Martedì 10 Luglio 2012
 
Bloccata, sono completamente bloccata dal corpo di Russel, sento il suo fiato caldo sulle spalle e con le braccia e le gambe mi tiene stretta come se potessi volare via da un momento all’altro. Cerco di spostare il suo braccio che mi stringe la vita ma appena metto la mano sopra la sua aumenta la stretta «Dove credi di andare?» chiede.
«Ti ho svegliato, scusa» dico lasciando la sua mano.
«Allora, mi dici dove vuoi andare?» sussurra scendendo con le labbra lungo il mio collo.
«Dovrei andare in bagno» 
«Uhm, non ci credo, tu vuoi scappare come l’altra volta» dice stendendomi sul letto e piazzandosi sopra di me con le ginocchia e le mani ai miei lati.
«No che non voglio scappare» rispondo stridula mentre sale con una mano sotto la maglia sfiorandomi il ventre.
«Giura» mi intima arrivando al seno.
«Te lo giuro, devo solo andare… in bagno» la mia voce trema leggermente perché ha sostituito la mano con la bocca.
«Okay» dice gettandosi di lato e io rimango un attimo interdetta per la rapida interruzione delle sue attenzioni «Vai pure, tanto ho chiuso a chiave la porta di casa e l’ho nascosta» poi infila un braccio sotto al cuscino e chiude gli occhi. 
«Sì certo» dico alzandomi. 
Quando esco dal bagno scendo di sotto mentre Russel entra al posto mio. Sto morendo dalla fame, spero che il suo frigo non sia vuoto come sempre. Guardo un attimo la porta di casa da lontano, ma figurati se l’ha davvero chiusa a chiave. Però, visto che la curiosità è Reb, mi avvicino e provo ad aprirla, forzo un po’ la maniglia ma non si apre «Che stai facendo?» sobbalzo e mi giro di scatto «Che c’è? Non credevi che davvero l’avessi chiusa?» chiede divertito Russel avvicinandosi.
«Sinceramente no, e la trovo una cosa da malato mentale» rispondo battendomi un dito sulla tempia mentre a passo di marcia vado verso la cucina.
«È colpa tua» dice venendomi dietro «Ma se sarai carina con me, ti dirò dove ho nascosto la chiave»
«Non ho bisogno di essere carina con nessuno, se voglio la chiave la trovo da sola» ribatto incrociando le braccia e appoggiandomi al piano della cucina.
«Io invece sono sicuro che se non ti dico dov’è non la troverai mai» afferma sicuro venendomi di fronte.
Lo osservo da capo a piedi con gli occhi socchiusi, indossa solo un paio di boxer neri «Forse ho capito dove l’hai nascosta» mi avvicino e afferrando l’elastico dei boxer do una sbirciatina dentro sotto lo sguardo divertito di lui «Non si vede niente» mi lamento e infilo una mano all’interno. Il suo sorrisino sparisce in un attimo mentre fingo di cercare la chiave «Mi sa che mi sono sbagliata, non è qui»
«Cerca meglio» mi incita con la voce che è già scesa di almeno un tono spingendo il bacino contro la mia mano. 
«No, è inutile, non è lì dentro» sfilo la mano e lascio andare l’elastico che si schianta contro il suo ventre e mi volto andando davanti al frigo.
«Che mi fai per colazione?» chiedo guardandolo mentre appoggio la mano sopra la maniglia del frigo. È ancora immobile e mi guarda con le sopracciglia abbassate.
«Anche se non ti meriteresti niente per lo scherzetto che mi hai fatto» dice avvicinandosi «Lì dentro c’è del latte, e guarda che c’è qui» dice aprendo uno sportello e tirando fuori una moka nuova fiammante e una scatola dei miei biscotti. 
«Grazie» dico abbassando la testa. 
«Ehi, stavo scherzando quando ho detto che non te lo meriti» dice venendomi di fronte e sollevandomi il viso con due dita sotto al mento.
«Lo so, è che mi chiedo come fai a essere così» rispondo sorridendo timidamente.
«Così come?» mi solleva mettendomi a sedere sopra al piano della cucina di fronte alla finestra «Così fantastico?» chiede compiaciuto avvicinandosi al mio viso con un sopracciglio sollevato.
«Esagerato!» esclamo colpendolo sul petto «Io volevo dire così gentile con me» 
«Ah, quello, è solo merito di una certa Sirenetta, te la dovrò far conoscere prima o poi» sfiora le mie labbra con le sue «È molto carina sai? Sembra piccola e fragile ma dovresti vedere che caratterino che ha» sorrido sulla sua guancia mentre bacia la mia «E fare l’amore con lei è stata la cosa più bella che mi è successa in tutta la vita» sussurra scendendo con la bocca sul mio collo «E ho già voglia di lei anche se abbiamo passato la notte insieme» delicati morsi sulla mia pelle accompagnano le sue parole e con una mano sale lentamente tra le mie cosce «Però ora devi fare colazione» si stacca e come se non mi avesse appena infiammata con le carezze e le cose che mi ha sussurrato si mette a preparare il caffè.
Mi gratto la fronte cercando di riprendere il controllo del mio corpo e rimango là sopra dondolando le gambe mentre si muove praticamente nudo per casa sapendo perfettamente che non mi sto perdendo nemmeno un suo minimo movimento. Mette la polvere del caffè dentro la moka con calma e facendo attenzione a non farla cadere, poi la chiude e la mette sul fuoco, apre sportelli e cassetti poi apparecchia la tavola con le tovagliette, le tazze, i cucchiai, dalla scatola dei biscotti ne tira fuori due, uno lo infila in bocca e l’altro lo porta a me, lo avvicina alle mie labbra e ne mordo mezzo guardandolo negli occhi, prendendo l’altra metà con la lingua sfioro le sue dita, affina lo sguardo e si allontana per prendere il latte dal frigo, lo guardo mentre si piega mostrandomi la sua splendida schiena e il sedere che l’Unesco dovrebbe inserire nella lista dei patrimoni dell’umanità, insieme ai suoi occhi e al piccolo spicchio di luna. Sospiro e salto giù per sedermi a tavola. 
Mangiamo in silenzio senza staccare nemmeno per un secondo lo sguardo dagli occhi dell’altro, stiamo flirtando tra latte, caffè e biscotti.
Finito anche l’ultimo sorso del mio caffellatte vorrei saltare sopra la tavola per raggiungerlo, ma ho voglia di tirare ancora un po’ la corda «È tardi» dico alzandomi «E devo passare in fretta da casa prima di andare in ufficio» gli do le spalle e mentre raggiungo le scale mi sfilo la maglia rimanendo con solo le mutandine addosso.
Sorrido soddisfatta quando sfiorando con il piede nudo il primo scalino lo sento dietro di me che mi fa voltare afferrandomi la vita «Non hai trovato la chiave, quindi non puoi uscire da qui» dice, poi mi carica sopra una spalla.
«Ehi, non sono un sacco di patate sai?» mi lamento mentre mi lascia andare sopra al divano «E a proposito della chiave, forse devo solo cercarla meglio» affermo con sguardo malizioso. 
«Lo penso anch’io» conferma stendendosi sopra di me. 
«Piccola Crudelia, tu mi hai stuzzicato e ora io ti sfido» mi guarda negli occhi vedendoci probabilmente qualcosa che fa illuminare i suoi di soddisfazione e dopo parla scandendo bene ogni parola. 
«Io» dice leccandomi il collo.
«Scommetto» mi bacia il seno. 
«Che» sfiora con una mano le mie mutandine.  
«Non» la infila dentro.
«Riesci» mi accarezza lentamente.
«Ad» la sua bocca è attaccata alla mia.
«Avere» le sue carezze si concentrano in un unico punto ben preciso.
«Un» le nostre lingue si intrecciano. 
«Orgasmo» le zone accarezzate dalle sue dita diventano due.
«Multiplo» ma una è nascosta.
«Oh cazzo!» mi scappa.
«Ingorda di una Sirenetta, quello arriva dopo» mi prende in giro sorridendo sulle mie labbra.
Lo guardo con gli occhi già in parte annebbiati «Sta’ zitto e datti da fare, perché questa sfida voglio proprio vincerla» 
Sorride sul suo mio collo e risponde «È proprio quello che spero»
 
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I titoli dei capitoli, come vi sarete sicuramente accorti, sono tutti ispirati da canzoni, permettetemi di consigliarvi di ascoltarle, in particolare quella che dà il titolo a questo che, anche se per la storia ho utilizzato nella versione al femminile cantata da Mina, preferisco di gran lunga interpretata da Daniele Silvestri: “Il secondo da sinistra”. Spendete due minuti per cercarla su internet e ascoltarla, sono certa che non ve ne pentirete. 
 
***
 
Per chi è interessato questo capitolo ha la sua scena rossa, per leggerla basta cliccare sotto:
Russel e la Sirenetta Crudelia - Ingorda di una Sirenetta 

Baci,
V.17

 

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Capitolo 22
*** Cap. 22 - L'uomo intero ***


Anche questo capitolo non è molto lungo, ma siccome è molto introspettivo, e forse nemmeno molto semplice da digerire, non volevo mettere troppa carne al fuoco.
Come sempre, buona lettura.
V.17
 
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CAP. 22 - L’UOMO INTERO
 
C’era un uomo che aveva due mani 
e le usava nei modi più strani, 
per esempio sapeva descrivere 
la vita di luoghi lontani.
 
Era un uomo di forza sicura, 
molto alto per la sua statura, 
soprattutto sapeva sorridere 
ogni volta che avevo paura.
 
Io di paure ne avevo a decine, 
ma fino alla fine le ho chiuse nel cuore, 
soltanto quell’uomo sembrava capire, 
quale fosse il dolore.
 
 
Daniele Silvestri 
 
 
**
 
Mezza giornata di lavoro persa per stare con Russel. 
Beh, in fondo non mi è dispiaciuto affatto che si sia deciso a svelarmi dove aveva nascosto la chiave di casa solo poco prima dell’ora di pranzo. Ho finto di cercarla per tutta la mattina, tenendomi ben lontana dal posto più ovvio di dove poteva essere, l’ho addirittura guardato con stupore, immenso e falsissimo, mentre la tirava fuori dalla ciotola in acciaio sopra al mobile dell’ingresso. 
Quando poco fa ho varcato la porta dell’ufficio, Meg, con un sorrisino che voleva sottolineare che sapeva perfettamente perché avevo fatto tardi, mi ha squadrata da capo a piedi e quando ho aperto la posta ho trovato una sua e-mail che mi aveva appena mandato: ”E brava la mia Reb, così quel drago di Russel ti sta facendo diventare peggio di me. Benvenuta nel club delle ninfomani!”. 
Ho sorriso ed eliminato subito il messaggio senza risponderle. 
 
Controllate le e-mail, e verificato nell’agenda che come ricordavo non ho nessun appuntamento per oggi pomeriggio, mi alzo per cercare Luca. Busso alla porta del suo ufficio e appena la apro vedo il ciuffo scomposto dei suoi riccioli neri che spunta da sopra lo schienale della poltrona, è girato verso la vetrata come fa di solito quando parla al telefono, allora mi volto per uscire. 
Mi blocco quando sento cosa sta dicendo «Russel, credimi, se te ne ha parlato è un bel passo avanti, per lei è molto difficile raccontare di quei giorni, se l’ha fatto è perché inizia ad avere fiducia in te e capisco che tu non sia riuscito a dirle niente, ma lei ora non ha bisogno di essere consolata, lei deve solo parlare con Dario per togliersi questo peso dalla coscienza» mi giro lentamente e trattengo il fiato mentre lui è in silenzio «Non ne sono certo, ma credo c’entri la morte del padre» di nuovo silenzio «No, non so dirti altro perché lei non ne parla mai, quasi come se non fosse nemmeno esistito, e comunque aveva solo cinque anni è probabile che non si ricordi molto di lui, ma sono convinto che c’entri con la sua paura di legarsi a un uomo» sbatto gli occhi incredula, non posso credere che davvero Luca stia raccontando i fatti miei a Russel.  
Facendo attenzione a non farmi sentire esco dal suo ufficio e, ignorando Meg che mi chiama mentre passo davanti alla sua scrivania, vado a chiudermi nel mio sbattendo la porta.
Mi muovo nervosamente avanti e indietro, devo uscire da qui prima di incontrare Luca o finirò per litigare con lui. Se guidassi ancora prenderei la macchina e andrei a farmi un giretto, che palle, dovrò limitarmi a fare quattro passi a piedi.
Prendo la borsa e, gettando una veloce occhiata alla porta dell’ufficio di Luca ancora accostata, dico a Meg e Karen «Devo uscire per fare una cosa urgente. Ci vediamo tra un po’» saluto frettolosa e me ne vado.
Scendo in strada e mi guardo intorno, mah, una strada vale l’altra, e inizio a camminare. 
E se ora Russel cominciasse a farmi delle domande? Sarei costretta a mentirgli e farlo con lui comincia a pesarmi, e poi sembra capire perfettamente quando dico una balla. Merda Luca, ma perché gli hai parlato di mio padre? Se in tutti questi anni ho accennato di lui con te solo un’unica volta, non ti è passato per la testa che forse è perché non voglio parlarne e magari anche perché non mi va che si sappia niente?  
Lo stomaco comincia a bruciarmi, mi guardo intorno e individuata una caffetteria entro dentro per bere qualcosa di caldo.
Seduta a un tavolino sorseggio il mio tè cercando di non cedere alla nostalgia che provo per mia madre e mia sorella. Mi mancano terribilmente, soprattutto quando penso a mio padre, solo loro possono davvero capire cosa sto provando. Guardo l’ora sul mio telefono e conto con le dita, in Italia è quasi mezzanotte, saranno sicuramente già a letto e se le chiamassi ora si preoccuperebbero. 
Allora mi limito a far scorrere le foto di loro sul telefono, sorrido quando vedo quella di Susy, la mia nipotina di tre anni. Incredibile come io e mia sorella abbiamo reagito in modi così opposti all’abbandono di nostro padre, lei ha manifestato precocemente la voglia di sposarsi e avere dei figli e poco prima che partissi mi ha confidato che lei e suo marito stanno cercando di avere il secondo, chissà, forse è perché lei avendo due anni meno di me non si ricorda assolutamente niente di lui, e per questo l’ho sempre invidiata.      
Io invece ricordo perfettamente la mattina in cui, come sempre prima di uscire di casa per andare a lavoro, dette un bacio in testa a ciascuna, e ricordo anche la frase che disse e che mi fece sorridere: ”Non fate arrabbiare la mamma”. E se ne andò, e io davanti alla mia tazza di cereali non potevo sapere che non intendeva che dovevo fare la brava quel giorno, ma che parlava di tutto il resto della mia vita.
Mi volto verso il muro e senza farmi vedere da nessuno mi asciugo le lacrime con un tovagliolino di carta. 
Ventitré anni e ancora mi sembra di vederlo quando la sera, mentre mia madre metteva a letto mia sorella, mi tirava su da terra per farmi sedere sopra al tavolo della cucina e io sgambettavo con addosso il pigiama seguendo ogni suo gesto mentre mi preparava il latte caldo, quel piccolo rito quotidiano tra noi due che me lo faceva sentire soltanto mio, pochi minuti durante i quali non dovevo dividerlo né con mia madre né con mia sorella. Lo amavo in un modo viscerale, come solo una figlia può amare un padre che vede forte e invincibile, e che pensa che lui ci sarà per sempre e che nessun altro potrà mai sostituirlo, e negli anni ho scoperto che almeno riguardo a quest’ultima cosa in fondo avevo ragione. 
E invece da quella mattina, che si è velocemente trasformata nel giorno più terrificante della mia vita, lo odio con tutta me stessa, e se un miracolo riuscisse a farmelo incontrare di nuovo glielo griderei in faccia fino a spezzare le mie corde vocali come se fossero quelle usurate di una chitarra. 
Il tè non è servito a farmi passare la nausea e il mal di stomaco. Lascio i soldi della mia consumazione sopra al tavolino ed esco, se proprio devo vomitare preferisco farlo nel bagno di casa mia invece che in quello di una caffetteria.
Mentre guardo la strada per individuare un taxi sento che qualcuno mi chiama. Mi volto nella direzione da dove ho sentito gridare il mio nome e vedo Matt che mi fa un cenno con il braccio mentre viene verso di me. Sospiro aspettandolo.
«Ciao Matt» lo saluto con poco entusiasmo. 
«Che ci fai a giro? Niente lavoro oggi?» chiede sorridendo.
«No, stavo giusto cercando un taxi per tornare a casa» rispondo stringendo con entrambe le mani la tracolla della mia borsa.
Mi scruta con attenzione «Non stai bene?» e appoggia una mano sopra la mia fronte per sentire se ho la febbre. 
«Ho solo un po’ di mal di stomaco» dico mentre mi prende un polso per sentirmi i battiti del cuore. 
«Non hai la febbre, però non hai nemmeno una bella cera. Anche alla tua festa avevi mal di stomaco?» 
«Sì, ma non è niente di grave, è che ogni tanto la mia gastrite mi fa una visita inaspettata» rispondo scrollando le spalle. 
«Se vuoi posso portarti io a casa, ho la macchina qua dietro» dice indicando con il pollice una strada alle sue spalle.
Mi guardo intorno e vedo che non c’è un solo taxi in tutta la strada «Sei sicuro? Non vorrei disturbarti» 
«No, non devi preoccuparti non ho nessun impegno» dice incamminandosi nella direzione che ha indicato.
«Allora grazie, mi fai davvero un favore» dico affiancandolo.
 
Mentre siamo in auto mando un messaggio a Meg per dirle che oggi non tornerò in ufficio.
Arrivati sotto casa ringrazio Matt e apro lo sportello per scendere «Posso salire da te un attimo?» chiede. Rimango in silenzio con la mano sopra la maniglia allora lui continua «Vorrei solo parlarti, non mi tratterrò molto» 
«Sì certo, anzi scusa, sono stata maleducata a non chiedertelo» mi affretto a dire sorridendo un po’ in imbarazzo.
 
Preparo una camomilla per me e un tè per Matt e con le due tazze vado a sedermi accanto a lui sopra al divano.
«Dimmi tutto» dico, per poi soffiare dentro la tazza che tengo tra le mani.
Sembra nervoso e continua a guardare il tè fumante sopra al tavolino, allora per metterlo a suo agio gli dico «Ehi, siamo amici, possiamo parlare di tutto no?» lui si volta per guardarmi accennando un sorriso.
«È proprio di questo che volevo parlarti» dal suo tono capisco che il discorso che vuole farmi è serio. Appoggio la tazza accanto alla sua e sollevando i piedi dal pavimento mi accomodo voltandomi verso di lui.
«Ci terrei che tu sapessi una cosa» si schiarisce la voce «Un po’ di tempo fa, io, come dire, ho cominciato a sentirmi attratto da te» lo fisso rimanendo immobile «Non c’è bisogno che fingi di non saperlo» abbasso la testa «Sono sicuro che Luca te ne avrà parlato, perché una volta che venne qua per passare qualche giorno con me e gli altri gli chiesi di te, e sai com’è lui, capì che dietro alle mie domande era nascosto un interesse nei tuoi confronti e mi stressò per tutto il tempo della sua vacanza fino a che esasperato glielo confessai» 
«Sì è vero» ammetto alzando lo sguardo «Luca quando tornò me lo disse» 
«È per questo che volevo parlarti, voglio che tu sappia che da un po’ di tempo ho finalmente capito cos’è che mi spinge verso di te» dice cercando il mio sguardo che non riesce a fermarsi in un punto preciso del suo viso «Come ormai avrai capito sono piuttosto timido e introverso, e da quando io e Katherine ci siamo lasciati, solo con i miei piccoli pazienti riesco a essere veramente me stesso, e naturalmente con Luca, George e Peter che ormai conosco da una vita, ma da qualche settimana a questa parte ho scoperto di riuscirci anche con te. Mi sento a mio agio in tua compagnia, e credo di aver scambiato la voglia che ho di esserti amico con attrazione, e sperando che sia lo stesso anche per te vorrei chiederti di essermi amica» 
Gli sorrido «Matt, noi siamo già amici»
«Sì lo so, ma io sto parlando di un’amicizia più profonda, non pretendo di diventare per te come Luca, però ci terrei che ti rivolgessi a me se dovessi aver bisogno di qualsiasi cosa e io vorrei poter contare su di te allo stesso modo» 
Le sue parole e il suo sguardo pieno di aspettativa mi toccano profondamente «Sarà un onore per me» dico prendendogli una mano.
Il suo sorriso si allarga fino a illuminargli anche gli occhi e sbuffa fuori un soffio d’aria «Bene, sono contento di essere riuscito a parlarti. Ora però bevi la tua camomilla prima che si freddi del tutto» dice porgendomela.
Sposto lo sguardo sul display del lettore dvd per vedere l’ora «Sei libero per, diciamo le prossime tre ore?» gli chiedo.
Annuisce mentre sorseggia il suo tè «Sì perché?» 
«Non è che ti andrebbe di accompagnarmi a casa di Peter? Vorrei farti vedere una cosa» gli chiedo sfoderando il mio sguardo furbetto.
«Sì certo, ma il tuo mal di stomaco?» 
«Mi sento già meglio e ho voglia di stare un po’ all’aria aperta, sicuramente mi farà meglio di quella brodaglia» dico alzandomi per andare a indossare qualcosa di più comodo.
 
Salutata la signora Julia, e Starsky e Hutch che come la prima volta che ho visto ci sono corsi incontro, con Matt ci dirigiamo verso il recinto di Pablo, appena lo chiamo smette di brucare l’erba e corre alla staccionata tirando fuori il muso per farsi grattare da me tra le orecchie. 
«Era lui che volevi farmi vedere?» chiede Matt.
Annuisco continuando ad accarezzare il mio pony «Vorrei portarlo a fare una passeggiata. Mi aiuti a mettergli le briglie? Non sono ancora molto pratica e non vorrei fargli male» 
«Okay» risponde Matt prendendole. 
Mentre Matt cammina tenendo le briglie raccolgo dell’erba tenera e avvicinandola alla bocca di Pablo gli dico «Lui è un regalo sai?» 
«Davvero?» chiede meravigliato mentre cammino all’indietro davanti al pony. 
«Sì, me l’ha regalato Russel per il mio compleanno» lui si ferma, e subito dopo sentendo la tensione delle briglie anche Pablo, mi avvicino e accarezzandogli il muso dico «Io e Russel ci frequentiamo tra alti e bassi da qualche settimana» 
Mi volto e, con le mani infilate dentro le tasche dietro dei jeans, ricomincio a camminare e sento che loro mi stanno seguendo. 
«Non so dirti cosa stia succedendo tra noi, né dove ci porterà questa specie di relazione, ma sono sicura che sia sincero quando dice di essersi innamorato di me, e io inizio a pensare che lui potrebbe essere l’unico con il quale potrei avvicinarmi a provare un sentimento simile» mi fermo aspettando che mi raggiungano.
«Stai forse dicendo che tu…» si interrompe e io sollevo lo sguardo sopra il dorso di Pablo per guardarlo.
«Sì Matt, sto dicendo che non mi sono mai innamorata» concludo al posto suo accarezzando Pablo.
«Ma tu e Dario state insieme già da un po’ di tempo, com’è possibile che tu non l’abbia mai amato?» chiede scuotendo la testa.
«Non sto dicendo che non ho mai provato le farfalle nello stomaco, il cuore che batte forte o che non mi faccia star male il pensiero di lui con un’altra donna, ma solo che in qualche modo ho imparato a controllare le mie emozioni e a impedire loro di prendere il sopravvento» mi guarda negli occhi e capisco dal suo sguardo confuso che quello che gli ho detto non può bastare «Perché ho una paura folle di essere abbandonata da un uomo» ammetto abbassando le mani e gli occhi.
Prima di parlare rilascia un profondo respiro «E quindi sei scappata da lui per questo motivo? Perché temevi di innamorarti?» chiede girando intorno a Pablo e venendomi di fronte.
«No, io già sapevo che non lo avrei mai amato, non così tanto da riuscire a superare le mie paure almeno, sono convinta che se lui fosse stato davvero quello giusto, dopo tutto questo tempo, malgrado la mia testardaggine nel non voler cedere ai sentimenti, sarebbe comunque successo senza che io potessi far niente per impedirlo. Non gli ho mai nascosto la mia incapacità di amare un uomo, stabilendo fin dall’inizio che saremo stati una coppia che vive alla giornata e che non avrei mai fatto con lui dei progetti per il futuro. Ma dopo l’incidente temo d’aver incasinato le cose tra noi, sono sicura che abbia confuso il mio bisogno del suo conforto con amore, e che sia convinto che ancora non voglia ammetterlo con me stessa, e ancor meno con lui. Mi sento un verme per non aver capito prima che con il mio comportamento lo stavo illudendo. Poi nemmeno t’immagini quanto sia testardo e paziente» dico, ricominciando a camminare. 
«Io direi semplicemente che ti ama e che spera che un giorno proverai la stessa cosa per lui» afferma camminando al fianco di Pablo.
«Già, ma io so già che non sarà mai così. Soprattutto da quando mi vedo con Russel, perché quello che provo per lui non l’ho mai provato per Dario» confesso guardandomi i piedi.
«E cosa provi per lui?» chiede fermandosi.
«Oh Matt, io non so spiegartelo» dico sospirando e voltandomi verso di lui.
Lega le briglie di Pablo a un albero e si siede sul prato accanto a lui «Vieni, riposiamoci un po’» 
Mi siedo al suo fianco con le gambe incrociate e guardo il pony mentre ricomincia a brucare l’erba.
«Mio padre è morto quando avevo cinque anni» lo nomino con timore aspettando che la nausea m’invada la bocca mentre Matt rimane in silenzio «Come puoi immaginarti non la presi bene. È successo in quel periodo della mia vita in cui ogni bambina vede il proprio padre come un supereroe, l’uomo più bello e più forte del mondo, quell’età in cui non vedi l’ora di crescere perché così potrai sposarlo e stare con lui per sempre senza doverlo dividere con nessuno» copre la mia mano appoggiata tra noi sul prato con la sua, sollevo lo sguardo sul suo viso e abbozzo un sorriso.
«Anche se la mamma mi aveva detto che non sarebbe più tornato l’ho aspettato per mesi. Poi ho capito, ho capito che non l’avrei più rivisto. Quello che sto cercando di dirti, è che quando sto con Russel mi sento di nuovo quella bambina che non vedeva l’ora di crescere e che aveva ancora tante speranze e aspettative per il futuro, perché sapeva che il papà ci sarebbe sempre stato per amarla e proteggerla» ci guardiamo con gli occhi lucidi «Ma non riesco lo stesso a dimenticare il dolore di tutte quelle sere in cui mi aspettavo di vederlo rientrare dalla porta di casa, e come ogni volta che suonava il campanello correvo ad aprirla rimanendo regolarmente delusa vedendo che era solo qualche amico o parente che veniva a farci visita» mi prendo una lunghissima pausa mentre Matt aspetta paziente perché con la sua innata sensibilità ha capito che non ho ancora detto tutto.
«Ho paura Matt, nemmeno immagini quanta. Ho paura di innamorarmi di lui, e di espormi al rischio di essere di nuovo abbandonata, ma nello stesso momento anche che questo invece non succederà mai, e so che se non ci riuscirò con lui non accadrà mai con nessun altro, e se così fosse rimarrò per sempre quella bambina che corre alla porta e che subito dopo va a chiudersi in camera per piangere di nascosto dalla mamma»  
«Io so di non poter lenire il dolore che ti porti dentro da tutta la vita, e sinceramente non so nemmeno come potrei aiutarti, e non credo che esistano consigli giusti da dare. Posso solo darti il mio appoggio e se tu volessi un supporto psicologico potrei accompagnarti da un mio collega» dice stringendomi una spalla.
«No… io non voglio andare da nessuno strizza cervelli, ci sono andata una volta e no io… io non voglio più andarci» dico alzandomi in fretta e pulendomi i jeans sul sedere. 
 
Saluto con la mano Matt mentre si allontana e salgo in casa. Mentre apro la porta sento il mio iphone che suona e che avevo lasciato sul tavolino davanti al divano.
«Russel ciao» rispondo.
«Dove sei?» la sua voce è chiaramente agitata.
«A casa, perché?» 
«Ma se sono venuto via da te solo dieci minuti fa?» 
«È che sono appena rientrata» dico mentre entro in camera e inizio a spogliarmi.
«È due ore che ti cerco, quando sono venuto a prenderti a lavoro mi hanno detto che eri uscita un attimo ma che poi hai chiamato per dirgli che andavi a casa» 
«Scusa, mi ero scordata che saresti venuto a prendermi» 
«Ma dove sei stata tutto il pomeriggio?» 
«Avevo voglia di stare un po’ con Pablo e sono andata da lui»
«E come, chi ti ha accompagnata?» 
Mi gratto il mento «Mi senti?» chiede non sentendo la mia risposta.
«Sì sì ti sento» 
«Quindi, con chi sei andata a casa di Peter?»
«Mi ha portata là Matt» 
Non sento più niente, solo la musica in sottofondo che proviene dalla radio della sua auto mi fa capire che non ha riattaccato «Russel, non è come credi» dico appoggiandomi con il sedere al lavandino del bagno «Vieni qui da me?» gli chiedo.
Sento il suo respiro che soffia sul telefono «Sì» dice secco.
«Quando arrivi ti spiego tutto» dico usando un tono vivace mentre apro l’acqua della doccia.
«Passo prima a prendere una pizza» e riattacca.
 
Quando venti minuti dopo gli apro la porta, capisco subito dal suo sguardo severo e distaccato che sta ancora pensando a me e Matt insieme oggi pomeriggio, e il fatto che sia entrato dirigendosi verso il tavolino per appoggiarci sopra il cartone della pizza, senza nemmeno avermi dato un bacio, mi sprona a dirgli tutto senza nemmeno aspettare che il suo sedere tocchi il divano.
 
«Uhm, secondo me quella di Matt è solo una tattica subdola per starti accanto» afferma Russel, stringendo un po’ gli occhi e guardandomi con la testa inclinata, dopo che gli ho raccontato quello che mi ha detto Matt e il nostro pomeriggio insieme, omettendo la parte in cui ho parlato di lui e di mio padre.
«Smetti di fare l’uomo delle caverne» dico sedendomi a terra davanti al tavolino.
«Io smetterò di fare l’uomo delle caverne, ma tu la prossima volta che vorrai andare da Pablo lo dirai a me» dice aprendo la sua bottiglia di birra.
Sollevo gli occhi al soffitto «Ora però mangiamo che la passeggiata mi ha messo appetito» dico aprendo il cartone della pizza, la guardo e arriccio il naso facendo una smorfia, Russel sorridendo ruota il cartone fino ad avere davanti a sé il lato con la crosta bruciacchiata, sollevo lo sguardo e gli sorrido anch’io.
 
Mi sveglio in piena notte e apro gli occhi, con la luce accesa che filtra dalla porta socchiusa del bagno osservo il viso rilassato di Russel mentre dorme girato su un fianco. 
Dopo aver cenato abbiamo guardato uno dei miei dvd, l’ennesimo film western, probabilmente pensa che non mi sia accorta che invece di prestare attenzione alla tv mi ha fissata per quasi tutto il tempo, e sono certa che mentre lo faceva stava rimuginando su quello che gli ha detto Luca oggi. 
So che prima o poi mi farà delle domande, e quando succederà spero che avrò totalmente compreso che cosa c’è tra noi per rispondergli nel modo giusto, perché avrò solo due scelte, posso continuare a mentire, o dire per la prima volta nella mia vita tutta la verità.
Mi avvicino a lui e, facendo attenzione a non svegliarlo, appoggio il viso contro il suo petto, mi sa che non sono stata abbastanza brava perché sposta un braccio per circondarmi le spalle e in silenzio mi bacia la testa. Chiudo gli occhi e mi abbandono al suo abbraccio.
Possibile che sia davvero lui quello che potrebbe riempire quell’angolino del mio cuore che si è fermato ventitré anni fa e che ancora non ha ricominciato a pulsare?
E se invece mi stessi sbagliando? Se non fosse nemmeno lui? Se ormai fosse troppo tardi e quell’angolino fosse ormai atrofizzato per colpa dell’odio che coltivo da anni per mio padre?
Se invece con Russel scoprissi che non potrà mai esistere un uomo che sarò capace di amare nella sua interezza come ho fatto con mio padre?
 
Mi riaddormento con una preghiera che mi ronza in testa: ”Papà, se davvero mi hai voluto un po’ di bene, fatti da parte per favore, almeno per questa volta, e lascia che sia io a decidere”.
 
** 
 
 
********************************************
 
Alzi la mano chi credeva che Matt si sarebbe dichiarato…
… tu là in fondo, sei indeciso o hai solo le braccia corte? Ah okay scusa, non volevo offenderti.
Allora vediamo, uno, due, tre, quattro, cinque, sei… sapete che vi dico, siete troppi, non riesco a contarvi. 
 
Si comincia a delineare il Reb pensiero, ma vi avverto, per capirla completamente la strada da fare sarà ancora lunga.
E come sempre, se vi va, cercate la canzone che dà il titolo a questo capitolo e ascoltatela.
 
Baci,
V.17
 

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Capitolo 23
*** Cap. 23 - Mi persi ***


Siete pronti per fare un viaggetto nella mente di Reb? 
 
*****************
 
CAP. 23 - MI PERSI
 
E ancora ieri, 
consideravo che 
se tu non c’eri io... 
però è un pensiero inutile.
 
Ma sì ma sì lo so qual era il modo esatto 
per riavere tutto, 
è solo che 
mi persi... 
 
E adesso perdonami se 
mi è rimasta soltanto 
la parte peggiore di me.
 
Daniele Silvestri
 
**
 
Giovedì 12 Luglio 2012
 
Prendo il mio iphone che vibra e suona sopra la mia scrivania dell’ufficio «Ciao» rispondo allegra vedendo che è Russel a chiamarmi.
«Ciao» la sua voce invece è scocciata.
«Che succede?» chiedo guardando l’ora sullo schermo del computer e vedendo che tra poco dovrebbe essere qui.
«Non posso venire a prenderti» risponde strascicando le parole e pronunciando l’ultima quasi con un grugnito.
«Ah okay, allora torno a casa con Meg» dico accarezzando distrattamente il bracciolo della poltrona.
«Non so nemmeno se riuscirò a venire da te più tardi» dice, poi gli esce un sospiro e subito dopo schiocca la lingua.
«Va bene» per nascondergli la delusione parlo usando un tono indifferente. Ma quando sospira di nuovo inizio a preoccuparmi «Russel, va tutto bene?» chiedo staccando la schiena dalla poltrona come se mi dovessi preparare a schizzare fuori da qui per correre da lui se mi dicesse che gli è successo qualcosa.
«Il fotografo che ancora staziona sotto casa mia mi sta seguendo da mezz’ora» chiudo gli occhi sentendo il cuore che riprende a battere regolarmente e mi rilasso. 
«Cavolo, chissà che credevo, mi stavi facendo preoccupare» lo rimprovero.
«Ho preso quest’auto solo da due giorni ma mi ha beccato lo stesso. Lo stronzo si era piazzato di fianco all’uscita dei garage» sibila incazzato.
«Mi dispiace se non possiamo vederci stasera» dico pensando che è da martedì che non ci vediamo e che stasera avevo proprio voglia di stare con lui.
«Anche a me, e pensare al motivo mi fa incazzare ancora di più» sbuffa «Sono fermo non lontano dal tuo ufficio da dieci minuti e continua a scattarmi foto. Che cazzo c’avrà da scattare» sento qualcosa che sbatte, probabilmente il suo pugno contro il volante o contro il cruscotto.
«Ehi, stai calmo, e ricordati che quell’auto non è tua e che devi restituirla tutta intera. Non è la fine del mondo se per una sera non ci vediamo» dico sperando di renderlo un po’ più mansueto, anche se quando lo seguono solo un flacone di Valium riuscirebbe a tranquillizzarlo.
«Stai calmo un cazzo! Non ci siamo visti nemmeno ieri per quella cazzo di cena fra ragazze e ora per colpa di questo stronzo non posso venire da te» 
«Russel per favore non…»
Gridando m’interrompe «Certo, tanto a te che cazzo te ne frega» rimango in silenzio ad ascoltare il suo respiro pesante «Scusa» dice un attimo dopo e anche se non posso vederlo so che ora si sta passando una mano tra i capelli.
«Lo sai che dispiace anche a me» dico.
Sbuffa «Sono stufo di non poter fare una vita normale»
«La tua vita non sarà mai normale»
«Certo che quando vuoi sai proprio tirar su di morale gli altri»  
«Hai capito cosa voglio dire» affermo.
«Sì, e ho anche capito che se quell’idiota non mi lascia in pace vado lì e gli spacco la macchina fotografica sopra quella sua testa di cazzo»
«Non fare stupidaggini o dopo dovrai vedertela con me» lo minaccio.
«Mi piaci quando fai la dura» dice con tono più rilassato e quasi divertito. 
«Io non faccio la dura, lo sono» sento che ridacchia «Hai con te le mie chiavi di casa?» gli chiedo.
«Sì»
«Allora se riesci a seminarlo vieni quando vuoi» 
«D’accordo. Casomai ti chiamo dopo» 
«Mi raccomando non fare cazzate»
«A dopo, Sirenetta Crudelia»
 
Con l’accappatoio addosso e i capelli ancora bagnati prendo la mia crema per il corpo ed esco dal bagno.
«Ehi, ce l’hai fatta» dico a Russel trovandolo disteso sul mio letto con i piedi appoggiati sul pavimento e le mani intrecciate sotto la testa.
«Sì» dice sollevando la schiena e mettendosi seduto.
«E come hai fatto?» chiedo avvicinandomi.
«Se te lo dico mi prometti che non ti arrabbi?» chiede. 
«Non ti prometto un bel niente» rispondo agitando avanti e indietro il flacone mentre lui mi guarda con sguardo colpevole «Allora? Mi vuoi dire cos’hai combinato?» lo incalzo.
Prima di rispondermi sospira «Ho fatto un baratto con una mia fan» sollevo le sopracciglia «La sua macchina in cambio di una mia prestazione sessuale»  
«Idiota!» esclamo colpendolo al petto con la crema, poi la getto accanto a lui sul materasso.
«È la verità, ed è rimasta talmente soddisfatta che ha detto che posso tenerla» dice stringendo la cintura del mio accappatoio per tirarmi a sé.
«Non ho il minimo dubbio che sia rimasta più che soddisfatta, ma vuol dire che ora non ce n’è più per me» dico fingendomi delusa.
«Per te ce n’è sempre» afferma sollevando un angolo della bocca accennando un sorriso «Hai già cenato?» chiede slacciandomi la cintura di spugna.
«Non ancora, stavo aspettando perché speravo di farlo con te» dico infilando le mani tra i suoi capelli.
«Hai molta fame o ce la fai ad aspettare, diciamo…» apre l’accappatoio e squadrandomi da capo a piedi chiede «una decina di minuti?» poi mi scopre le spalle.
«Tanto la cena è già pronta, devo solo scaldare le lasagne che ho fatto in più ieri sera» lo informo, poi lascio cadere a terra l’accappatoio e gli tolgo la maglia. 
«Possiamo mangiarle anche fredde» mormora tra i mie seni, poi ne circonda uno con la mano e l’altro con le labbra. 
Lo spingo sul letto e salgo su di lui puntando le ginocchia ai lati delle sue gambe, poi gli slaccio la cintura e i jeans, quando “scopro” quanto mi vuole gli sorrido soddisfatta.
 
«Sei stato di parola. Né un minuto di più né un minuto di meno» dico con il petto che si alza e abbassa ancora in fretta guardando la sveglia sopra al comodino.
«Ti stai forse lamentando perché sono stato troppo veloce?» chiede staccando la schiena dal materasso per raggiungere la mia bocca e baciarmi.
«Assolutamente no» rispondo con le labbra attaccate alle sue e spostando le gambe dietro la sua schiena «Mai sottovalutare il piacere che può dare una sveltina» affermo cercando di essere ironica, ma in realtà la mia voce esce lasciva perché lui afferrandomi i fianchi ha ricominciato a muovermi lentamente.
Senza uscire da me, circondandomi la vita con un braccio e sostenendomi con una mano sotto le natiche si alza dal letto e mi mette a sedere sul bordo. Inginocchiato sul pavimento mi viene incontro con movimenti brevi e lenti senza staccare gli occhi dal punto dove i nostri corpi sono uniti, perché possa vedere meglio tolgo le mani dalle sue spalle e le appoggio dietro di me «Tu vuoi fregarmi» dice quasi sibilando e alzando gli occhi diventati scuri per fermarli nei miei.
«Perché?» chiedo, poi mi mordo un labbro andandogli incontro.
«Prendi il tempo, piccola Crudelia» dice sciogliendo le mie gambe da dietro la sua schiena «Perché questa sarà la sveltina più lunga della storia» poi socchiudendo gli occhi mette una mia caviglia sopra la sua spalla e allargandomi l’altra gamba spinge a fondo. 
 
«Ora mi dici come hai fatto a seminare il fotografo?» chiedo a Russel appoggiando il viso sopra al suo petto e facendo dei ghirigori con l’indice attorno al suo capezzolo.
«Non l’ho seminato, ora è qua sotto e sta aspettando di vedere chi abita in questo appartamento» 
Alzo la testa di scatto e lo guardo spaventata, quando mi sorride faccio una smorfia di disapprovazione «Non dirlo nemmeno per scherzo, sarebbe un gran casino se ci beccassero insieme» dico sfilando la testa da sotto il suo braccio e stendendomi sul fianco.
«Perché ti spaventa così tanto l’idea che si sappia di noi?» chiede voltandosi e mettendosi di fronte a me. 
Lo guardo sollevando un sopracciglio «Va be’, oltre al fatto che lui potrebbe venire a saperlo» dice con la sua solita ostinazione a non voler nominare Dario «È chiaro che c’è dell’altro, e vorrei che me lo dicessi» dice sfiorandomi la guancia con il pollice.
«Intendi oltre al fatto che mi ritroverei dei perfetti sconosciuti che mi scattano foto dovunque vado, che mi fermerebbero per strada per chiedermi cosa c’è tra noi due, per non parlare delle tue fan che potrebbero incazzarsi con me perché ti ho tolto dalla piazza, e i miei familiari che inizierebbero a chiedermi perché non ti presento a loro? Assolutamente niente, perché?» chiedo ironica scuotendo la testa.
«Okay» dice rassegnato chiudendo gli occhi. 
Gli sfioro le labbra con il pollice e riaprendo gli occhi lo bacia «Non è che mi dispiaccia dover rimanere sempre chiuso dentro casa con te» dice con sguardo seducente mordendomi il polpastrello «Però vorrei anche portarti a cena fuori o a fare una passeggiata. Insomma fare con te tutte quelle cose che fa una coppia normale» termina sollevando un spalla. 
La parola “coppia” associata a noi due mi fa uno strano effetto, e pensare a noi in questi termini non mi fa sentire come se io ne facessi parte, ma di più come se stessi guardando lo scorrere della vita di qualcun altro, come se guardassi un film, sì, come se fosse una pellicola da lui interpretata. Però un film che mi coinvolge così tanto da farmi desiderare di poter prendere il posto della protagonista. 
Sospira e si avvicina per baciarmi le labbra, circondandomi la nuca con la mano piega il viso di lato affondando la lingua nella mia bocca e rotolando lentamente sopra di me mi blocca con il suo corpo.
«Per questo fine settimana non prendere nessun impegno» dice baciandomi dietro l’orecchio e scendendo lungo il collo «Perché domani sera ti vengo a prendere in ufficio e ti rapisco fino a lunedì mattina»  
«Wow, due giorni e tre notti di sesso» dico mentre le sue labbra hanno raggiunto la mia spalla «Non starai esagerando?» chiedo.
«Il pensiero di confinarti in un letto per tutto il tempo è molto allettante» dice con sguardo malizioso appoggiando gli avambracci ai lati della mia testa «Ma non è quello che ho in mente. Non solo almeno» 
«E cosa hai in mente?» chiedo sollevando il viso per mordergli il mento e baciarglielo subito dopo.
«Ancora non lo so. Ma voglio poterti baciare alla luce del sole» faccio una smorfia con le labbra «Tranquilla, non ho intenzione di farlo in mezzo alla folla, anche perché non sarai vestita per quasi tutto il tempo, e non permetterei mai a nessuno di vederti così» afferma spostando lo sguardo in basso per guardare il mio corpo. 
Un weekend noi due da soli, quello prima dell’arrivo di Dario, mi alletta e mi spaventa.
 
«Allora, vuoi dirmi che ne hai fatto del fotografo, o dovrò leggerlo domani sui giornali?» chiedo rientrando in camera con un vassoio, con sopra la teglia delle lasagne, che ho accettato di mangiare a letto perché tanto non fanno briciole, due forchette e una bottiglia d’acqua, lo appoggio tra le sue gambe aperte al centro del letto e mi siedo di fronte a lui incrociando le mie. Dopo che ha indossato i boxer mi ha permesso di coprirmi con la sua t-shirt, affermando che tanto era solo fatica sprecata perché me l’avrebbe tolta appena avessimo finito di cenare. 
«Non ho fatto niente di illegale o sconsiderato, sono semplicemente tornato a casa e ho chiesto a Luca di portarmi qui nascondendomi dietro al sedile della sua auto. Quindi domani mattina dovrai andare a lavoro con una delle ragazze perché sono senza macchina» 
Scrollo le spalle «Non importa» poi abbasso lo sguardo sul vassoio. 
«Smettila» dice avvicinando alle mie labbra la forchetta con sopra le lasagne.
«Di fare cosa?» chiedo prima di lasciare che m’imbocchi.
«Di pensare che per stare con te sto facendo dei sacrifici» dice riempiendo di nuovo la forchetta. 
«Però è così» ribatto mentre mastica il suo boccone. 
Prendo l’altra forchetta ma lui me la sfila di mano e m’imbocca con la sua.
«I sacrifici che mi pesano per poter stare con te sono altri, te lo garantisco» dice pulendomi un angolo della bocca con il tovagliolo.
So che si sta riferendo all’imminente arrivo di Dario e al fatto che dovrà sopportare che io rimanga sola con lui.
«Quindi hai deciso di andare dai tuoi la prossima settimana?» chiedo per cambiare discorso anche se già so la risposta. Ieri per telefono mi ha accennato al fatto che non vede la sua famiglia da quando è partito per l’Inghilterra. Sono sicura che desidera stare un po’ con sua madre suo padre e sua sorella, ma sono altrettanto convinta che andare qualche giorno nel New Jersey sia solo una scusa per mettere dei chilometri tra sé e Dario mentre lui sarà qui.
«Sì, partirò giovedì» risponde senza l’entusiasmo che dovrebbe avere una persona che rivedrà i propri cari dopo mesi. 
Prendo la bottiglia e lui me la toglie di mano restituendomela dopo averla aperta «E quando tornerai?» chiedo. 
«Dipende da te» risponde mentre sto bevendo. 
Abbasso la bottiglia «Che vuol dire che dipende da me?» chiedo, mordendomi poi l’interno della guancia mentre aspetto la risposta.
«Non tornerò finché lui non se ne sarà andato» afferma, poi mi punta la forchetta contro «Quindi dipende da te»
«Russel, lo sai che non posso parlargli senza nemmeno farlo uscire dall’aeroporto» dico sapendo perfettamente cosa sta pensando, visto che sempre ieri per telefono ha tentato di convincermi a mandare Dario a dormire dovunque tranne che a casa mia: “Sotto un qualsiasi ponte di Los Angeles andrà benissimo”, ha detto, e purtroppo non stava affatto scherzando, e quando gli ho spiegato che non era possibile ha cercato di convincermi a parlargli prima di fargli attraversare la soglia di casa: “Potrei spostare il tuo divano nel pianerottolo così potete accomodarvi lì sopra per parlare, non mi va che ti siedi a terra”, e nemmeno questa volta scherzava.  
«Pensi che per me sarà semplice saperti dentro questo stesso letto con lui?» chiede per quella che credo sia almeno la quarta volta in due giorni.
Prendendo un respiro degno di un pescatore di perle, mi carico di tutta l’aria di cui i miei polmoni sono in grado di riempirsi e tutta la pazienza che i miei nervi sono capaci di fornirmi «Abbiamo già parlato di questo e ti ho già detto che non farò l’amore con lui. Dopo che sarà arrivato gli parlerò prima possibile e sono sicura che lui se ne andrà e non vorrà vedermi mai più» e vorrei anche poterti dire che tutto andrà bene e che nessuno di noi soffrirà, ma non voglio mentirti.  
«Promettimi che non ti farai toccare da lui…» dice spingendo di lato il vassoio «e che non ti vedrà nuda» continua districando le mie gambe incrociate «E che se proprio dovrai baciarlo…» mi tira a sedere sopra le sue gambe «lo farai senza tirar fuori nemmeno un solo pezzetto di lingua e che non permetterai alla sua di entrare nella tua bocca» il suo sguardo smarrito e tormentato mi stringe lo stomaco, e penso che quei soli tre bocconi di lasagne saranno l’unica cosa che lo riempiranno per stasera. 
«Te lo prometto» rispondo appoggiandogli le mani sopra al petto mentre lui tiene il mio viso tra le sue.
Lo bacio mentre i miei occhi diventano lucidi «Non mi stai mentendo vero?» chiede staccandosi dalle mie labbra. Appoggio la testa sopra la sua spalla e nego sfiorando il naso sul suo collo e affondando una mano tra i suo capelli dietro la nuca «Voglio crederti. Devo per forza crederti e fidarmi di te se non voglio impazzire» dice stringendomi così forte che quasi non riesco a respirare.
«Ti amo» sussurra al mio orecchio, e io rimango in silenzio, come sempre, sentendomi una cretina, come sempre. Perché quello che davvero penso non posso dirglielo, non ancora, e piuttosto che mentire o dirgli una mezza verità me ne sto zitta, tenendo per me che non voglio che nessun altro uomo che non sia lui mi tocchi, nemmeno Dario, perché in un anno e mezzo in cui siamo stati insieme non mi sono mai sentita sua, come invece in questo pochi giorni ho cominciato a sentimi con lui, scoprendo anche che questa cosa non mi spaventa, perché inizio a fidarmi, tanto da pensare che forse non sarebbe mai capace di farmi del male. Ma tutti questi pensieri devo tenerli ancora per me perché mi spaventa ancora di più pensare che forse un giorno anche io sentirò che lui mi appartiene, e questa consapevolezza mi renderà responsabile della sua felicità, perché è quando si prende che ci si deve curare dell’altro, non quando si dà.  
«Ora però mangiamo» dice e cerca di allontanarsi ma io continuo a stringerlo in silenzio stando con gli occhi chiusi e il viso incollato al suo collo «Io so che un giorno riuscirai anche tu a dirmi quello che pensi e ad aprirti con me» soffia al mio orecchio «E quando ti sentirai pronta ci sarò» poi sospira baciandomi la tempia.
Se ha davvero ragione e un giorno gli dirò tutto, chi mi garantisce che non scapperà, che quello che gli dirò non gli farà capire che stare con me non sarà mai semplice, e che non inizierà a pensare che in fondo non mi ama così tanto da voler stare con una persona così profondamente segnata dal dolore da non essere in grado di amare senza soffrire? Considerando che poi per colpa di Luca lui pensa di avere già tutte le risposte. 
«Ho fame» dico all’improvviso sciogliendo l’abbraccio, cerco di alzarmi dalle sue gambe ma questa volta è lui a trattenermi con un braccio dietro la schiena. 
«Ehi, è tutto okay» dice abbassando un po’ la testa e scrutandomi attentamente «È tutto okay» ripete scandendo bene le parole e prendendomi il viso tra le mani «Non vuoi confidarti con me, d’accordo, ma non scappare, non nasconderti, non allontanarmi. Io non sono una minaccia per te» lo guardo dubbiosa «Credimi per favore» mi passa il pollice tra le sopracciglia dove probabilmente due rughette si sono formate mentre lo sto fissando «Almeno per stasera non pensare ad altro che non sia noi due» sorrido appena e lui mi ripaga svelando lo spicchio di luna «In questo momento ci siamo solo io e te, il resto è tutto fuori da questa camera, non devi permettergli di entrare»
Come faccio a spiegargli senza fiatare che non c’è bisogno che entri perché niente è mai uscito dalla mia testa? 
«Russel, perché io? Cosa hai visto in me che ti fa dire di esserti innamorato?» devo capire cosa prova. Devo capire cosa si prova.
Lascia il mio viso ma non il contatto visivo con i miei occhi «Non so spiegartelo, almeno non completamente. Se sapessi dire tutto quello che provo per te probabilmente non potrei dirmi davvero innamorato, ci sono cose che sento ma per le quali non trovo le parole adatte per spiegartele» forse è perché legge delusione sul mio volto se si affretta ad aggiungere «Ma se per te è importante ci proverò» mi prende una mano intrecciandola alla sua e ne copre poi il dorso con l’altra «Comincerò dalle cose più semplici» lo osservo e lo ascolto attentamente come se stesse parlando in una lingua che comprendo poco. 
«Mi attira il tuo corpo, e non parlo solo dell’evidente attrazione che mi fa desiderare di fare l’amore con te ogni volta che è possibile e che mi lascia sempre con la voglia di averne ancora di più, ma di qualcosa nel tuo essere così piccola e apparentemente fragile che mi fa provare un senso di protezione nei tuoi confronti, un sentimento che prima di incontrarti mi era totalmente sconosciuto, come se in qualche modo sentissi che il mio compito è prendermi cura di te» in silenzio mi sfiora le labbra con un dito «Adoro il tuo sorriso, e mi piace anche la tua cicatrice, ti dà un’aria da dura» dice passandoci sopra il dorso dell’indice e facendomi l’occhiolino mentre gli sorrido «E anche le tue manine che spariscono dentro le mie» continua stringendole tra le sue «Ma quello che più mi piace di te sono i tuoi occhi, perché sono curiosi e attenti. Tu forse non te ne rendi conto ma quando ti guardi intorno lo fai con avidità, come se cercassi di focalizzare qualcosa che agli altri è sfuggito, e questo tuo sguardo me lo sento addosso ogni volta che mi osservi» guardandolo sento le guance che diventano bollenti «Sono sicuro che se potessi guardare il mondo attraverso i tuoi occhi, anche solo per un secondo, noterei qualcosa che ho sotto il naso da tutta la vita ma che non sono mai riuscito a cogliere» 
No Russel, non ti piacerebbe vedere il mondo come lo vedo io, in un modo spesso freddo e distaccato come se anch’io non ne facessi parte, come se star ferma a osservarlo potesse in qualche modo sottrarmi dall’obbligo di mettermi in gioco, fino a negare a me stessa che forse qualcun altro sta osservando me.
Ricomincia a parlare distraendomi dalle mie divagazioni «Poi sei divertente, hai un lato ironico che riesce a stare al passo col mio, a volte addirittura a superarlo» dice sorridendo «E starti accanto è molto stimolante. So che nella tua testolina frullano tante di quelle cose che forse non mi basterebbe tutta la vita per capirti completamente» in effetti nella mia testa non c’è più spazio nemmeno per uno spillo.
«Poi ci sono tutte quelle cose che non so spiegarti. Qualcosa che sembra crescermi nel petto quando ridi e sei allegra, qualcosa che invece sembra cadere e fare un tonfo nel mio stomaco quando stai male o piangi, qualcosa che sembra divorarmi se penso che potrei perderti e che mi fa credere che se succedesse potrei anche morirne» in poche parole: responsabilità. La responsabilità nei confronti di qualcun altro da cui fuggo da tutta la vita.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Nessuno è mai morto per amore e tu non sarai certo il primo» abbasso gli occhi guardando il suo petto «Non dirlo… non dirlo mai più» dico sentendo le lacrime affiorare.
Sospira «Okay, non lo dirò più» 
«E smetti anche di pensarlo» aggiungo con tono duro alzando gli occhi su di lui che guardandomi chiude nel pugno l’indice che sto puntando a due centimetri dal suo petto. Nei suoi occhi riconosco la frustrazione di chi non comprende una reazione inaspettata ma che tuttavia si sforza per darsi una risposta. 
Abbasso la mano trascinando anche la sua che ancora stringe il mio dito «Come… come si può provare tutto questo in così poco tempo?» chiedo.
«Non lo so, ma quello che ti ho detto è la verità, non avrei nessun motivo per mentirti. Però da quando ti conosco ho iniziato a pensare che sia quello che succede quando trovi la persona giusta» la famosa anima gemella, una delle tante stronzate in cui non credo e in cui non crederò mai. Chi l’ha detto che siamo nati per condividere la nostra vita con qualcun altro? Chi ha inculcato negli uomini questa baggianata che fa sentire chi non l’ha trovata incompleto? E che annebbia così tanto la mente di chi crede di averla trovata da non fargli comprendere che si sta solo raccontando le favole della buona notte?
Questa indagine sui sentimenti di Russel si sta trasformando in una delle mie solite elucubrazioni sulla vita, devo concentrarmi solo su di lui.
Scuoto la testa e gli chiedo «E come si fa a capire che hai davvero trovato la persona giusta?» 
«Per me è quando capisci che niente di tutto quello che farai nel resto della tua vita, per quando grande e importate potrà mai essere, non riuscirà ad appagarti completamente se non potrai condividerlo con lei» lo guardo spalancando gli occhi. Non penserà mica anche questo di me? «E se te lo stai chiedendo, sì, io sento anche questo quando penso a te»
Oh cacchio, questo è davvero troppo «Sapere che provi tutto questo mi spaventa» dico abbassando gli occhi sulle mie mani. 
«Oh, anche a me» ammette «E non solo perché con te ogni giorno scopro dei sentimenti nuovi che nemmeno pensavo di poter provare, ma anche perché non è affatto semplice starti accanto e combattere continuamente contro quella cosa che ti avvicina a me e ti allontana un attimo dopo» dice sfiorandomi una guancia, poi mi solleva il mento per guardarmi negli occhi «Ma tu sei troppo importante, e non mi arrenderò tanto facilmente» 
È sincero, lo so, non so come ma lo sento. Non mentono i suoi occhi alla continua ricerca dei miei, non mente la sua voce che ancora risuona nella mia testa ripetendo ogni frase che ha detto, non mente la sua mano che scalda il mio viso accarezzandolo lentamente. Ma tutto questo sta avvenendo oggi, che ne sarà di me se un giorno scoprisse di essersi sbagliato? O se capisse di non provare più niente di quello che mi ha appena detto? 
L’ho compreso fin dal nostro primo bacio che frequentarlo mi avrebbe portata a un bivio importante della mia vita, forse il più importante di tutti, svoltare a destra e darmi la possibilità di essere felice, ma accettare anche il rischio di mettermi alla mercé di qualcun altro, o svoltare a sinistra avendo la certezza che non sarò mai felice, ma anche che non soffrirò mai più per il tradimento di qualcuno che dice di amarmi.
 
Persa in un labirinto, ecco come mi sento da tutta la vita, so che la via d’uscita c’è, deve esserci per forza, ma sono io che non voglio trovarla, e continuo a girovagare fingendo di non riconoscere le solite viuzze da cui so di essere già passata più e più volte, ma che sono più rassicuranti di strade a me sconosciute, che probabilmente sono quelle giuste, e so anche che provare ad attraversarle potrebbe portarmi al termine di questo scorrazzare senza senso. 
Ma se un giorno ho deciso che perdermi era la cosa giusta, posso oggi avere un ripensamento? Posso lasciarmi guidare verso l’uscita da Russel per quelle strade che, forse, facendo con lui, non mi sembreranno così tanto impervie e pericolose?
 
**  
 
Sabato 14 Luglio 2012
 
«Sento freddo» dico imbronciata a Russel premendomi contro di lui nel vano tentativo di scaldarmi mentre siamo immersi in mare con l’acqua che ci copre fino alle spalle. Il sole è alto e la giornata è calda, ma per me l’acqua è sempre troppo fredda e ho i brividi dappertutto.
Russel ha chiesto a Luca se potevamo passare il fine settimana a casa sua a Malibù, così da poter approfittare anche della vicinanza di quella di Peter per stare anche un po’ con Pablo, e ovviamente lui ha acconsentito senza batter ciglio. Siamo arrivati ieri sera e abbiamo occupato la camera che di solito Luca dà a me.
Ormai mi è piuttosto chiaro che Luca approva totalmente che io frequenti Russel, e non solo perché è suo amico, ma perché mi ha detto più volte di aver visto dei cambiamenti in me che lo convincono sempre di più che stare con lui mi faccia bene. Ieri mi ha dato una strizzatina su un fianco affermando che era l’ora che cominciassi a mettere su un po’ di peso, aggiungendo subito dopo che però due chili, che ha stimato approssimativamente guardandomi da capo a piedi, sono ancora troppo pochi  e che devo continuare a mangiare almeno fino a raggiungere la taglia quarantadue, terminando poi ovviamente prendendomi in giro perché la taglia trentasei, che in realtà non ho mai indossato, è solo per il mercato cinese e che devo smettere di abusarne.
«Vuoi uscire?» chiede Russel sfregandomi le mani lungo la schiena per scaldarmi mentre gli stringo il collo. 
«Sì. Guarda» dico mostrandogli i polpastrelli di una mano «Mi stanno venendo le piaghe e scommetto che ho le labbra blu» mi lamento.
Sorride poi mi bacia «Non hai le labbra blu, sono rosse e bellissime come sempre, ma vai ad asciugarti. Io nuoto un po’» gli libero i fianchi dalle gambe e lui scioglie l’abbraccio, poi mi volto per uscire dall’acqua. 
Cammino in fretta verso la spiaggia, ma quando il livello dell’acqua scende fino a scoprirmi il seno mi fermo abbassando lo sguardo sul mio corpo «Ma che…» 
«Stai forse cercando questo?» mi giro verso il mare cercando Russel. È ancora dove l’ho lasciato e sta sventolando il reggiseno del mio costume.
«Tu che dici?» rispondo coprendomi il seno con le mani.
«E magari lo rivorresti indietro?»  
«In effetti sì, sarebbe davvero molto carino da parte tua se me lo tirassi»
«E vorresti anche questo?» chiede tirando fuori dall’acqua l’altra mano che stringe il mio slip. Spalanco gli occhi e abbasso lo sguardo per guardarmi.
«Ti avevo già detto che questo fine settimana non saresti stata a lungo vestita» dice ridacchiando soddisfatto «E non dovresti indossare un costume così semplice da togliere quando stai vicina a me» aggiunge.
«È facile da togliere solo se sleghi i laccetti» lascio un braccio a coprirmi il seno «E ora tiramelo» gli ordino sollevando la testa mentre allungo la mano libera verso di lui. Ma lui non c’è più. Mi guardo intorno sbuffando, è da quando siamo arrivati ieri sera che mi fa scherzetti di questo tipo, tutti finalizzati a lasciami completamente nuda. 
«Dove ti sei cacciato?» grido e un attimo dopo mi sento afferrare da dietro, mi scappa un urletto idiota quando mi prende in braccio «Ma non volevi nuotare?» chiedo mentre mi porta fuori dall’acqua.
«Ho cambiato idea» risponde raggiungendo il gazebo.
«E il mio costume? Non l’avrai mica perso?»
«Non preoccuparti è al sicuro, ma dovrai prendertelo da sola» dice stendendomi sopra un lettino.
Sposto lo sguardo in basso costatando che il rigonfiamento che riempie i suoi pantaloncini non può essere tutta farina del suo sacco «Okay» rispondo e li tiro in basso per recuperare il mio bikini, più o meno «Io però ho ancora freddo» dico sollevando un sopracciglio.
«Ti scaldo io, Sirenetta» sussurra stendendosi su di me.
 
«Parlami di te, dimmi qualcosa della tua famiglia» dice Russel mentre siamo seduti in spiaggia a guardare il tramonto. Mi aspettavo questa richiesta da parte sua da quando ho sentito Luca parlargli di mio padre «Io ti ho praticamente già detto tutto, anche le preferenze sessuali di mia sorella, ora tocca a te» continua appoggiando il mento sopra la mia spalla e stringendomi da dietro. 
Quando mi ha detto che sua sorella Connie predilige la compagnia femminile, ho pensato che se fossi cresciuta con un fratello come Russel che girava mezzo nudo per casa, forse anch’io sarei passata all’altra sponda, pensando che il meglio della categoria maschile lo avevo già in famiglia, e che non potendo approfittarne, mi sarebbe rimasto solo provare a cercare tra le esponenti del mio stesso sesso.  
«Non c’è molto da dire» affermo scrutando l’orizzonte «Ti ho già detto che sono molto attaccata a mia madre, la considero in assoluto la donna migliore al mondo. È sempre stata presente e non si è mai risparmiata per non far mancare niente a me e mia sorella. Ha un carattere molto forte e non si perde mai d’animo» a volte mi domando cosa sarebbe stato di me e mia sorella se avessimo avuto una madre diversa dalla nostra, che ci ama così tanto da aver dedicato la sua intera vita a noi due, trascurando anche se stessa, sono convinta che non si sia mai legata a un altro uomo per non avere nessun tipo di distrazione da quella che sentiva essere la sua unica ragione di vita, e cioè non far sentire alle sue figlie la mancanza di un padre. Almeno con mia sorella ci è riuscita.
«Ti ho anche già detto che ho una sorella di due anni più piccola, è sposata e tre anni fa ha avuto una bellissima bambina. Poi c’è mia zia, una single convinta che a quasi cinquant’anni continua a non cedere alle lusinghe dei suoi tanti spasimanti, abita vicino a mia madre e io l’ho sempre considerata come una sorella maggiore» sorrido pensando a zia Anna, e alla sua infinita pazienza quando la chiamavo o mi presentavo a casa sua a qualsiasi ora del giorno o della notte perché avevo bisogno che rispondesse a una delle tante domande che mi venivano in mente all’improvviso riguardo a mio padre. Durante l’adolescenza, quando ho cominciato a manifestare i primi segni di disagio, ho anche vissuto a casa sua per qualche mese, pensavo che stare a stretto contatto con lei mi avrebbe aiutata a capire meglio mio padre, ma in realtà non è servito a niente, anche perché per fortuna mia zia è molto diversa dal fratello, però quel periodo insieme ha saldato ancora di più il nostro legame. 
«Una famiglia di sole donne» commenta Russel baciandomi una tempia.
«Ho anche altri zii e cugini, ma vivono lontano e non li ho mai frequentati molto. Alcuni di loro se li incontrassi per strada probabilmente nemmeno li riconoscerei» dico con un po’ di amarezza. 
Quando siamo rimaste sole i parenti più stretti se la sono data a gambe, probabilmente temevano che mia madre avrebbe chiesto il loro aiuto, sia finanziario che per i mille problemi che doveva affrontare quotidianamente con due figlie piccole. Una telefonata per fare un saluto frettoloso per le feste comandate è tutto quello che si sono limitati a fare per molti degli anni seguenti, finché hanno smesso anche di chiamare.     
«E tuo padre?» chiede stringendomi più forte.
Rispondo senza nessuna esitazione «È morto quando ero piccola e non mi ricordo praticamente niente di lui» spero che il mio tono freddo lo dissuada dal domandarmi altro.
Ma se un po’ lo conosco, so già che non basterà, e dal modo in cui stringe le mie dita intrecciate alle sue sopra il mio ventre, so per certo che sta solo prendendo tempo.  
«E com’è successo?» almeno non ha detto: “Mi dispiace”. Una frase fatta che non ho mai sopportato e che sembra voler dire che chi la pronuncia sia dispiaciuto per la morte di qualcuno che non ha mai conosciuto, sono solo due parole che non servono a nessuno, la formula corretta sarebbe: “Mi dispiace per te”. L’aggiunta sul finale di “per te”, farebbe davvero la differenza in chi l’ascolta.
«Preferirei non parlarne. Ti dispiace?» chiedo.
Non risponde ma circonda il mio corpo anche con le sue lunghe gambe. 
Le sue domande sono arrivate troppo presto e questa volta le parole non dette fanno male, forse più a me, che ancora non riesco a dirle, che a lui.
 
**
 
Domenica 15 Luglio 2012
 
Nel dormiveglia della notte mi sposto nel letto per avvicinarmi a Russel, non sentendolo allungo una mano ma il suo lato è vuoto, apro gli occhi e sposto lo sguardo per la stanza quasi completamente al buio, da sotto la porta del bagno chiusa non filtra la luce. Mi tiro su a sedere e vedo la portafinestra accostata, da dietro la tenda arriva la debole luce della Luna. 
Scendo dal letto e mi avvicino per guardare fuori, lo vedo disteso sopra uno dei divanetti di vimini, con le gambe che escono fuori dal bracciolo e le mani sotto la testa, la stessa identica posizione di quando ci stendemmo uno di fronte all’altro dopo che entrò in camera mia perché mi aveva sentita gridare per il mio incubo, guarda in alto di fronte a sé e sembra pensieroso. Non so se andare da lui o lasciarlo lì da solo, se è uscito forse è perché vuole essere lasciato in pace con i suoi pensieri. 
Scelgo di tornare a letto e lascio andare la tenda, ma prima che copra completamente il vetro qualcosa nel suo viso attira la mia attenzione, la scosto solo un po’ per guardarlo meglio. Dall’occhio che il suo profilo non mi nasconde, vedo scendere una lacrima che brilla al chiarore della Luna. 
Trattengo un attimo il fiato stringendo la tenda nel pugno. Odio veder piangere qualcuno a cui voglio bene, mi si contorce lo stomaco e le mie tempie iniziano a pulsare dolorosamente quando succede, e dopo aver visto quella lacrima solitaria si è aggiunta la necessità impellente di lanciare un urlo. 
Corro a chiudermi in bagno e premendomi sulla bocca un asciugamano lascio che il grido esca dalla mia gola. Troppe volte ho visto mia madre piangere, e anche se cercava di farlo di nascosto la sentivo lo stesso, e la mattina mentre facevamo colazione vedevo i suoi occhi stanchi e arrossati. La consapevolezza che aveva trascorso la notte a disperarsi per mio padre me lo faceva odiare ogni giorno di più.
Quando dopo qualche minuto mi sono calmata, mi lavo il viso e prendendo un profondo respiro esco, trovando Russel disteso sul letto che mi aspetta guardando la porta del bagno e con la luce accesa sopra al comodino dalla sua parte.
«Ti ho svegliata io?» 
«No» rispondo stendendomi di fronte a lui «Ma perché ti sei alzato?» chiedo. 
«Non riesco a dormire» risponde con voce stanca.
«Ti va di dirmi perché?»
Contrae la mascella e i suoi meravigliosi occhi si adombrano come un cielo sereno che all’improvviso sparisce dietro a nuvole scure e minacciose. Sospirando si gira e in silenzio guarda il soffitto, mi avvicino appoggiando la testa sopra al suo braccio e prendendogli la mano lo avvolgo attorno alle mie spalle.
Lui chiude gli occhi prendendo la mia mano e la bacia «Ho bisogno che tu mi dica che quando tornerò sarai ancora qui» dice con il palmo della mia mano sopra la bocca «Che qualsiasi cosa succederà non te ne andrai con lui. Che niente di quello che potrà dirti ti farà allontanare da me» riapre gli occhi e lascia la mia mano «Altrimenti dimmelo subito se pensi ancora che potresti tornare a casa con lui, perché allora sarei io a dirti che non starò ad aspettarti» 
Scivolo indietro liberandomi dal suo braccio e mi siedo sui talloni «Io… io non voglio andare da nessuna parte con lui» riesco a dire e lui si mette seduto di fronte a me incrociando le gambe.
«Non mi basta, io non voglio sapere quello che vuoi, ma quello che farai» mentre i suoi occhi impassibile fissano i miei mi sembra di sentire il materasso che si muove, ma in realtà credo che sia il mio corpo che è attraversato da brividi incontrollabili. 
«Te lo giuro» dico abbassando la testa.
Mi stringe il mento tra due dita sollevandomi il viso «Cosa?» chiede con sguardo fermo. 
«Ti giuro che niente mi farà rimanere con lui e che quando tornerai io sarò qui» al termine della mia frase i suoi occhi si rilassano, come tutto il suo viso, poi mi lascia il mento e guardando in basso fa un piccolo movimento con il capo come se annuisse in risposta a una domanda silenziosa nella sua testa.
«Io ora vorrei fare l’amore con te» dico a bassa voce guardando il suo petto.
«Anche io, Sirenetta» dice trascinandomi sopra le sue gambe «Anche io» ripete sussurrando al mio orecchio «Sempre»
 
**
 
Lunedì 16 Luglio 2012
 
«Buongiorno a tutti» dico varcando la soglia dell’ufficio di Meg e Karen. 
Da quando mi sono svegliata tra le braccia di Russel ho un sorriso stampato in faccia che farebbe invidia al possessore del biglietto vincente della lotteria di capodanno.
«Ciao Reb. Luca ti vuole subito nel suo ufficio» dice Meg.
«Okay» le rispondo facendo dietro front per andare da Luca anziché entrare nel mio ufficio.
Busso alla sua porta e quando la apro lo vedo seduto alla scrivania.
«Ciao Reb» dal suo sguardo preoccupato capisco subito che c’è qualcosa che non va.
«Luca, non farmi spaventare» dico sedendomi di fronte a lui.
«Ieri sera mi ha chiamato Dario» dice senza girarci tanto intorno.
«Perché ha chiamato te? E cosa voleva?» chiedo irrigidendomi sulla poltrona.
«Ieri ti ha cercata tutto il giorno ma avevi il telefono spento» 
«È vero, e ora che ci penso ancora non l’ho riacceso» dico cercandolo dentro la borsa.
Sentendolo sospirare sollevo lo sguardo su di lui.
«Voleva dirti che suo padre ha avuto un incidente» 
Rielaboro in fretta la frase che mi ha appena detto e quando la comprendo mi si annebbia la vista. Rovescio il contenuto della mia borsa sopra la scrivania e afferro in fretta il mio iphone, lo accendo con mani tremanti e mentre aspetto che Dario risponda alla mia chiamata inizio a piangere. 
 
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Vi fidate di me? Sì? 
Beh, forse fate male. 
 
***

Per chi è interessato questo capitolo ha la sua scena rossa, per leggerla basta cliccare sotto:
Russel e la Sirenetta Crudelia - Ti scaldo io Sirenetta

Baci,
V.17

 

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Capitolo 24
*** Cap. 24 - Le mie parole ***


Dove eravamo rimasti? Ah sì, Reb chiama Dario dopo che Luca le ha detto che suo padre ha avuto un incidente…
 
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CAP. 24 - LE MIE PAROLE
 
Le mie parole son capriole, 
palle di neve al sole, 
razzi incandescenti prima di scoppiare. 
 
Sono giocattoli e zanzare, 
sabbia da ammucchiare, 
piccoli divieti a cui disobbedire.
 
Sono andate a dormire sorprese 
da un dolore profondo 
che non mi riesce di spiegare, 
fanno come gli pare 
si perdono al buio per poi ritornare.
 
Sono notti interminate, scoppi di risate, 
facce sopraesposte per il troppo sole, 
sono questo le parole, 
dolci o rancorose, 
piene di rispetto oppure indecorose.
 
Sono mio padre e mia madre, 
un bacio a testa prima del sonno 
un altro prima di partire, 
le parole che ho detto 
e chissà quante ancora devono venire. 
 
Strette tra i denti 
risparmiano i presenti, 
immaginate, sentite o sognate, 
spade, fendenti 
al buio sospirate, perdonate 
da un palmo soffiate.
 
Pacifico
 
**
 
«Voleva dirti che suo padre ha avuto un incidente» 
Rielaboro in fretta la frase che mi ha appena detto e quando la comprendo mi si annebbia la vista. Rovescio il contenuto della mia borsa sopra la scrivania e afferro in fretta il mio iphone, lo accendo con mani tremanti e mentre aspetto che Dario risponda alla mia chiamata inizio a piangere. 
 
Aspetto trepidante che Dario risponda, mentre nella mia mente vedo l’immagine di un’auto che correndo a tutta velocità travolge suo padre che sta attraversando una strada a piedi, alternata da un’altra in cui un tir che passa con il semaforo rosso lo schiaccia all’interno della sua macchina. 
«Reb cazzo! Vuoi ascoltarmi?» grida Luca facendo il giro della scrivania, non lo ascolto e sollevo una mano per zittirlo.
«DARIO» grido appena sento rispondere.
«Ciao Tesoro» 
«Mi ha detto Luca che mi hai cercata» dico guardando la gonna beige macchiata dalle lacrime nere di mascara.
«Sì, ieri ti ho chiamato diverse volte ma avevi il telefono spento» 
«Hai ragione è che io…» io cosa? che cavolo gli dico?…oh insomma, io niente «Come sta tuo padre?» chiedo di getto.
«Ah certo, mi hai chiamato per questo» risponde tranquillamente «Poco fa ho sentito mia madre»
«E quindi?» domando agitandomi sulla poltrona.
Sospira «Spero che ce la farà a resistere almeno un mese»
«Oddio!» sbotto coprendomi la bocca con una mano «Dario, è terribile…» inizio a piangere come una fontana mentre Luca sollevando gli occhi al soffitto mi passa un kleenex «Ma com’è successo?» chiedo, poi mi soffio il naso rumorosamente. 
«Sei raffreddata?» chiede Dario. Ma che razza di domanda è in un momento come questo?
«No…» forse è meglio se non gli faccio capire che sto piangendo, non voglio che si preoccupi anche per me «Cioè sì, è colpa di Luca che in ufficio tiene sempre l’aria condizionata al massimo» rispondo, e lui sentendosi nominare, stando con il sedere appoggiato sul bordo della scrivania di fronte a me e le braccia incrociate, si indica mostrandomi un’espressione innocente. 
«Ma insomma, vuoi dirmi di tuo padre?» a nominarlo mi scappa un singhiozzo che nascondo con un colpo di tosse «Non è giusto… mi hai sempre parlato di lui come di un uomo pieno di vitalità e gioia di vivere, non doveva succedergli una cosa così terribile» dico, poi mi soffio ancora il naso. 
«Tesoro, non esagerare, non è certo la fine del mondo» 
Penso a suo padre, immobile su un letto d’ospedale che viene tenuto in vita da macchine che pompano l’aria e con tubi e tubicini che gli escono dappertutto «Ma come non è la fine del mondo? Un mese è… è…» pochissimo, vorrei dire, ma per colpa del pianto non riesco a terminare la frase.
«È tanto, lo so» ma che cazzo sta dicendo? «In ospedale abbiamo chiesto se potevano eliminarlo prima, ma ci hanno detto che almeno trenta giorni ci vogliono tutti purtroppo» 
Forse durante l’incidente erano insieme e Dario ha battuto la testa, non può esserci un’altra spiegazione per le stronzate che continua a dire «Più che altro sono preoccupato per mia madre, sarà un mese terribile per lei» almeno una cosa sensata l’ha detta, forse la botta in testa gli ha procurato come una specie di corrente alternata al cervello. Devo approfittare della sua lucidità momentanea per cercare di capire cos’è successo a suo padre.
«Per essere ridotto così deve essere stato un impatto violento» affermo continuando a versare lacrime e strusciandomi il fazzoletto sotto al naso.
«Altroché, mia madre che era lì con lui mi ha detto che ha fatto un volo incredibile» povera donna, ha visto suo marito sbalzato in aria e fare un volo di centinaia di metri prima di spappolarsi al suolo. Dario che ricomincia a parlare mi riporta alla realtà «Prima di andare in suo soccorso gli è addirittura scoppiata a ridere in faccia» ma questi sono una famiglia di pazzi «E dopo gli ha gridato contro, perché lui per evitare di schiantarsi si è appeso alla tenda del salotto che lei aveva appena comprato strappandola» ma quindi il tir è entrato dentro la loro casa. È proprio vero che quando arriva la tua ora niente ti può proteggere dalla Signora con la falce, nemmeno una tranquilla serata alla tv con tua moglie.
«Ma tua madre ora come sta?» sarà sicuramente sotto shock, è proprio una fortuna che lei non si sia fatta niente.
«È disperata» lo credo bene poveretta «Perché per stare dietro a lui dovrà rinunciare a tutte le sue attività con le amiche» comincio a spazientirmi «E poi lui si comporta come un bambino, non si alza nemmeno per prendersi un bicchiere d’acqua» ma insomma, come si fa a parlare così di un uomo in fin di vita? «Secondo me lui se ne approfitta perché pensa che sia colpa sua, dice che se lei non avesse continuato a dire: ”Più a destra, no un po’ più a sinistra”, non sarebbe successo» ma che dava le coordinate al tir?
Lui intanto scoppia a ridere e io non so che dire senza essere maleducata, perché vorrei urlargli contro che lui e sua madre dovrebbero vergognarsi.
Ma per fortuna mi toglie lui dall’impaccio ricominciando a parlare «Quando sono rientrato dal Mugello e sono andato da loro, vedendoli sono scoppiato a ridere anch’io» 
Okay, ora basta «Ma che c’avrete tanto da ridere tu e tua madre?» lo aggredisco.
«Avresti riso anche tu, credimi» come no «Lui se ne stava disteso sul divano, con il piede ingessato e l’aria sofferente, nemmeno gli fosse andato addosso un tir, e mia madre stringeva tra le mani la tenda che lui si era tirato dietro nel vano tentativo di non cadere, farfugliando che le era costata un occhio della testa, mentre lo scaleo era ancora a terra davanti alla finestra» 
Faccio mentalmente il punto della situazione: scaleo a terra, tenda strappata, piede ingessato. Mi sa che mi sono lasciata trasportare troppo dalla fantasia come sempre. Guardo Luca di fronte a me spalancando gli occhi, e lui capisce al volo che ho capito. Mi fa un sorrisino ironico e io incazzata lo colpisco sullo stomaco. 
«Ma… ma quindi tuo padre si è rotto un piede?» chiedo sentendomi un’idiota patentata.
«La caviglia, mentre aiutava mia madre a cambiare le tende, e dovrà tenere il gesso almeno per trenta giorni, quando gliel’hanno detto ha fatto il diavolo a quattro in ospedale» mi affloscio sulla poltrona «Ti cercavo per dirti di non rimandare nessun impegno di lavoro perché non posso venire il 20, dovrò rimanere a Milano per dare una mano a mia madre, lei non guida e mia sorella con i gemelli non potrà aiutarli molto»
«E quando verrai?» chiedo, non può non venire per la gara di Monterey.
«Atterrerò direttamente a San Francisco il 26, se vuoi puoi raggiungermi lì, altrimenti se preferisci puoi venire a vedere la gara di Indianapolis, sarò là dal 16 al 20 agosto, a mio padre toglieranno il gesso in quei giorni. Tra una gara e l’altra vorrei rimanere lì con te ma dovrò per forza tornare a Milano» 
«Io non so…» rispondo, non mi sembra il caso di raggiungerlo a Monterey e fingere di essere una coppietta felice, e non voglio nemmeno parlargli in quell’occasione distraendolo dal suo lavoro.
«Tesoro, dispiace anche a me dover rimandare, ma non posso fare altrimenti» dice dispiaciuto.
«Certo capisco, non devi preoccuparti. Forse però è meglio se vengo a Indianapolis»
«Cercherò di anticipare l’arrivo di qualche giorno così da passare prima da te e non farti fare il viaggio da sola» dice premuroso come sempre.
«D’accordo» rispondo pensando che a Indianapolis non ci andrò mai.
«Almeno tu però hai passato un bel fine settimana, ti sarai divertita» 
«Sì, in effetti mi sono divertita» rispondo con aria indifferente, poi ci ripenso, e lui come fa a sapere che mi sono divertita? 
Luca attira la mia attenzione scuotendomi una spalla, per farlo smettere lo guardo assumendo un’espressione minacciosa, allora lui mi indica, mima il gesto di nuotare, poi punta un dito dietro di me, mi volto e capisco che mi sta indicando la porta, vedendo che non capisco rifà tutto un’altra volta.
Ma che gli è preso? «Piantala» gli dico coprendo il microfono con la mano, ma lui continua a gesticolare cercando disperatamente di dirmi qualcosa, nego con il capo per fargli capire che non lo capisco, allora spazientito si volta piegandosi sulla scrivania, dopo un attimo si gira mostrandomi un bozzetto con disegnato sopra un abito da sposa, guardo il disegno poi lui «Non è il momento» sibilo a bassa voce.
«Tesoro, ci sei ancora?» chiede Dario.
«Sì certo» rispondo subito.
Luca abbassa gli occhi sul foglio che mi sta mostrando e in fretta lo gira dall’altro lato, in alto ha scritto: “MARE KAREN MEG”. Scuoto ancora la testa domandandomi perché cavolo ha deciso di farmi un quiz proprio mentre sono al telefono con Dario, finché esasperato mi strappa il telefono dalla mano e chiudendolo tra le sue lo porta sopra la testa tendendo le braccia. Lo colpisco al petto e saltellando sulle punte tento inutilmente di recuperarlo.
«Cazzo Reb, ma che ti sei fumata?» bisbiglia.
«Dammi subito il telefono» dico afferrandogli le maniche della camicia per tirargli giù le braccia.  
«Gli ho detto che eri a Malibù con Meg e Karen» dice, poi sospira e mi restituisce immediatamente il telefono.
«Ah!» esclamo spalancando la bocca, poi porto il telefono all’orecchio.
«Ma ci sono dei problemi con il segnale?» chiede Dario. 
«Penso di sì» rispondo allontanando il microfono dalla bocca «Aspetta che provo a spostarmi» poi lo riavvicino e chiedo «Ora mi senti?»
«Sì ora sì. Non hai preso il sole nemmeno questo fine settimana?» chiede. 
«Non molto» però ho preso parecchio… lasciamo perdere. 
«Tesoro, ora devo lasciarti. Ho una lista di cose da comprare per mia madre che non finisce più e devo portarle tutto prima di cena»
«Vai non preoccuparti, ci sentiamo presto» 
«Ciao amore» 
Appena riattacca scatto in piedi «Che cazzo aspettavi a dirmelo? Mi hai fatto prendere uno spavento inutile» grido a Luca.  
«Ma se ti ho ripetuto in tutte le lingue che non era niente di grave, sei tu che dopo la parola incidente hai spento i connettori del cervello e sei partita per la tangenziale della catastrofe» risponde mentre lo colpisco con la borsa su un fianco.
«Dovevi insistere cazzo, stavo per avere una crisi isterica e tu te ne stavi lì a goderti lo spettacolo. E poi cos’era quella faccia da funerale quando sono entrata qui dentro?» chiedo.  
«Stavo solo pensando che per colpa della caviglia rotta del padre di Dario dovrete rimandare la vostra discussione» 
Sollevo le spalle mentre rimetto la mia roba dentro la borsa «Mese più mese meno ormai non cambia niente» 
«Non starai ancora pensando di assecondarlo se ti chiederà di tornare con lui?» 
Nego sedendomi «No, io… non lo voglio più e poi ho promesso a Russel che non lo farò qualsiasi cosa accadrà con Dario» 
«È la cosa giusta, e lo sai anche tu» dice tirandomi su il mento. 
Annuisco poi mi alzo «Guarda qua, questo tuo scherzetto mi è costato una gonna» dico mostrandogli le macchie di mascara. Lui capendo che voglio cambiare argomento mi asseconda andando verso uno stand e dopo aver spostato qualche capo tira fuori una longuette nera «Tieni, puoi prendere questa» dice passandomi la gonna.
«Grazie» rispondo, poi vado verso la porta ed esco ma prima di richiuderla mi affaccio dentro con la testa «Posso tenerla?» chiedo.
«Sì strega, è tua» 
 
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Martedì 17 Luglio 2012
 
«I tuoi ci saranno rimasti male quando hai detto loro che non andrai a trovarli» dico a Russel sentendomi in colpa perché ha deciso di rimanere qui per stare con me.
«Con il mio lavoro ormai sono abituati ai miei continui cambi di programmi. Andrò da loro il mese prossimo» risponde togliendomi di mano l’asciugamano che sto usando per pulirmi la bocca dopo che mi sono lavata i denti. Sollevo lo sguardo sopra lo specchio del mio bagno, è alle mie spalle e ha infilato entrambe le mani sotto la mia maglia «Non capisco perché continui a metterti tutta questa roba prima di andare a letto» per tutta questa roba intende un misero paio di mutandine e una canotta altrettanto striminzita «Tanto lo sai che te la toglierò una volta a letto» dice salendo con una mano e scendendo con l’altra.
«Forse perché mi piace che me la levi tu» affermo, e lui stacca le labbra dal mio collo per guardarmi dallo specchio.
«Ah sì?» chiede e io annuisco mentre la sua mano entra dentro i miei slip «Se qualcuno mi chiedesse cosa vorrei fare per tutto il resto della mia vita sai cosa gli risponderei?» chiede muovendo lentamente la mano. Nego con la testa fissando i suoi occhi «Senza esitazione gli risponderei far godere la mia Sirenetta» sussurra al mio orecchio «E che vorrei stare dentro di lei sempre, con le mie mani, con la mia lingua, con il mio uccello» continua premendosi contro di me «Sempre e per sempre» 
Nemmeno a me dispiacerebbe starmene per sempre tra le sue braccia, e quando mi sussurra certe cose mi sento come se fossi un fiammifero e lui un foglio di carta vetrata, basta che mi sfiori e mi accendo.  
«Andiamo a letto e toglimi tutta questa roba» lo prego portando le braccia dietro la testa e circondandogli il collo.
«Tutto quello che vuoi, amore mio» affido alla memoria le ultime due parole, ripenserò a ciò che ha detto solo dopo che avrò soddisfatto il mio corpo, ora non sono abbastanza lucida per capirne appieno il significato.
 
«Godi, amore mio» ancora quelle due parole, ancora sussurrate al mio orecchio, mentre l’orgasmo più devastante di tutta la mia vita mi fa contorcere sotto di lui che disteso sopra la mia schiena continua a muoversi per raggiungere il mio stesso piacere.
«Ha ragione Luca a chiamarti strega» dice scivolando al mio fianco e tenendomi stretta con una gamba mentre io con il viso di lato sul cuscino lo guardo, ha gli occhi chiusi e l’espressione languida del post-orgasmo «Non so come hai fatto a stregarmi, ma qualsiasi cosa sia continua a farla perché non sono mai stato così attivo sessualmente» dice baciandomi una spalla «Mi sembra di essere tornato un adolescente arrapato da quando sto con te» 
«Beh, nemmeno  io mi sono mai sentita così… diciamo preda dei miei istinti» dico sfiorandogli il petto leggermente sudato.
«Davvero?» chiede aprendo gli occhi.
«Non dirmi che non l’avevi già capito?» 
«Avevo capito che ti piace farlo, ma…» s’interrompe muovendo distrattamente il capo.
«Ma non avevi capito che farlo con te per me è il sesso migliore di sempre» dico salendo sopra di lui. 
«Diciamo che fino a oggi l’ho sperato, ma quando poco fa hai gridato per la terza volta…» dice sollevando un sopracciglio senza nascondere la soddisfazione «ho cominciato ad avere il sospetto che fosse vero»
«È che mentre i miei tempi si stanno accorciando i tuoi sembrano allungarsi»
«Sarebbero molto più corti anche i miei se non m’incantassi a guardarti mentre vieni» dice sfiorandomi le labbra con le sue «E sapere di essere io a farti godere mi rende l’uomo più felice del mondo» poi circondandomi la nuca con una mano mi spinge il viso contro il suo per affondare con la lingua tra le mie labbra «Abbiamo una perfetta intesa sessuale e io ti amo da impazzire. Manchi solo tu, poi saremo una coppia fantastica» dice con il viso tra i miei capelli. Come sempre sta correndo un po’ troppo, e con la mia andatura da bradipo non sono sicura se riuscirò mai a raggiungerlo. 
«Ho voglia di gelato» dico staccandomi da lui «Torno subito» scendo dal letto e dopo aver recuperato le mutandine e la canotta entro in bagno. Quando esco lo trovo al centro del letto che mi aspetta con il barattolo mezzo vuoto del gelato al pistacchio che avevo nel frigo e due cucchiai.
Mi siedo di fronte a lui e prendo il cucchiaio che mi porge affondandolo subito nel barattolo.
«Devo confessarti una cosa» dice dopo aver buttato giù il gelato. 
«Osa?» farfuglio mentre ho il cucchiaio tra le labbra.
«Sai la sera dell’inaugurazione al club?» chiede e io annuisco subito, e chi se la scorda la serata più umiliante di tutta la mia vita «Non è vero che sei salita tu in camera mia» aggrotto le sopracciglia «Ti eri addormentata in macchina e ti ho portato io nel mio letto» 
«Ma tu mi hai detto che ero corsa su e che non volevo più alzarmi» dico ricordando che la mattina dopo mi vergognai come un verme pensando che probabilmente gli ero sembrata una che voleva approfittare della situazione. 
«Lo so cosa ti ho detto, ma ti ho mentito» 
«E perché?» 
Solleva la bocca di lato facendo il suo sorriso da ragazzino dispettoso «Ti volevo nel mio letto, e soprattutto non ti avrei mai permesso di dormire da Luca» 
«Ancora con questa storia di me e Luca?» chiedo un po’ scocciata.
«Beh, io ancora non sapevo cosa c’era tra voi, e anche ora che so che siete solo amici e che tra voi non c’è mai stato niente, ammetto che sapervi sempre insieme non è che mi faccia fare i salti dalla gioia»      
«Russel devi smettere di…»
«Non è che posso decidere sai? La gelosia non è che si può controllare» muove la testa guardando il barattolo del gelato mentre ne prende un po’ con il cucchiaio «E se dipendesse da me nessun uomo potrebbe più guardarti, mentre toccarti nemmeno si discute» dice sollevando gli occhi su di me facendo un’espressione inorridita «Quello non devono farlo e basta è ovvio» 
“Amore mio”, che mi ama me lo ha già detto molte volte, ma è la parola “mio” che mi ha colpita, positivamente colpita, perché mi è piaciuta tanto sentirgliela dire.
«Non devi preoccuparti di questo» dico distrattamente a bassa voce prendendo del gelato.
«Come?» chiede fermando il cucchiaio un attimo prima di infilarlo tra le labbra.
Mi sa che ho aperto la bocca prima di attivare il cervello e lui continua a fissarmi aspettando che gli spieghi il significato di quello che mi è sfuggito «Ho detto che non devi preoccuparti di questo» dico.
«Ah no?» chiede spalancando gli occhi «Ti sei forse scordata che tra meno di un mese tu e…» si zittisce sollevando gli occhi al soffitto «E Matthew il mollusco?» questa volta sono io a guardare in alto «E quel porco del tuo cliente?» 
«Se dico che non devi preoccuparti devi fidarti di me» 
«Sì certo» ribatte guardandomi con sufficienza e togliendomi con un movimento brusco il cucchiaio dalla mano, poi si alza per portare il barattolo ormai vuoto e i due cucchiai in cucina. Sospiro e lo seguo, mi appoggio al muro con le braccia incrociate e lo guardo mentre rovista dentro al frigo, ne tira fuori una bottiglia d’acqua e appena richiude lo sportello lo abbraccio da dietro circondandogli la vita.
«Non devi preoccuparti» sussurro con il viso appoggiato sopra la sua schiena nuda, lui sospira rimanendo immobile «Perché la prima a non voler essere toccata da nessun altro sono io» confesso stingendolo forte. 
Rimane un attimo in silenzio poi chiede «Hai detto la verità?» annuisco a occhi chiusi strusciando il viso contro la sue pelle e respirando il suo profumo ormai così familiare e che sento spesso anche addosso a me, e che mi piace sentire tra le mie lenzuola le poche volte che non dorme a casa mia, l’unico odore che vorrei non dover mai lavare dal mio corpo «Sì, è la verità» rispondo e lui si libera la mano dalla bottiglia e le porta entrambe dietro la mia schiena mentre bacio la sua «Sono solo le tue mani che voglio su di me e…» mi faccio coraggio con un respiro più profondo «non voglio fare l’amore con nessun altro che non sia tu» 
Sento che trattiene il respiro, per un attimo allento la stretta pensando che sia colpa mia, ma poi capisco che non posso essere così forte, allora lo stringo ancora più forte di prima «Lo stesso vale per me» afferma, poi mi prende una mano e dopo averne baciato il palmo l’appoggia sopra al petto all’altezza del cuore «So quanto ti costa dire certe cose» dice premendomi la schiena in questo strano abbraccio «Quindi grazie» 
«Avevo voglia di dirtelo già da un po’» confesso con le labbra poco al di sotto delle sue scapole. Solleva un braccio e io ruoto attorno a lui andandogli di fronte «E sono contenta di averlo fatto» dico continuando a premere il viso contro di lui.
«E io avevo un fottuto bisogno di sentirtelo dire» sospira tra i miei capelli circondandomi le spalle e mettendo il mento sopra la mia testa.
«Devo confessarti un’altra cosa di quella notte» dice dopo un po’ che siamo in silenzio.
«Cosa?» chiedo sollevando il mento e appoggiandolo al suo petto.
«Ti ho guardata tutta la notte mentre dormivi» 
Tiro un po’ indietro la testa per guardarlo meglio «Tutta la notte?» 
«Sì, tutta la notte, e quando dopo un paio d’ore che ti eri addormentata hai cominciato ad agitarti e a piangere ti ho abbracciata, e anche se ero terrorizzato dall’idea che se ti fossi svegliata sicuramente ti saresti incazzata non poco, ho continuato a tenerti tra le mie braccia lo stesso perché sembrava calmarti. Quando la mattina ti sei svegliata mi ero alzato solo da pochi minuti, e non sai quanto mi è costato staccarmi da te e lasciarti da sola nel mio letto, mi sembrava così perfetto tenerti vicino a me e mi faceva star bene, per la prima volta mi sono sentito nel posto giusto con la persona giusta» mi sfiora il viso con il dorso di una mano «E mi piace pensare che è merito mio se hai smesso di piangere e hai dormito tranquillamente tutta la notte» dice sorridendo amaramente «E per ricordarmi di quella che è stata una delle notti più belle della mia vita, almeno prima di aver fatto l’amore con te, mi sono tenuto una delle forcine che avevi tra i capelli»
«Davvero?» chiedo fingendo di non saperlo già. 
«Sì, e ora è nella tasca dei miei jeans, da quel giorno la porto sempre con me» 
Sentendo frizzare gli occhi per le lacrime che iniziano a salire li stringo un po’ «Sei arrabbiata con me?» chiede preoccupato. 
Faccio un debole segno di diniego e mi stacco da lui dandogli le spalle e mettendomi di fronte al piano della cucina, prendo la bottiglia dell’acqua e ne bevo un sorso.
«Lo sapevo che ti saresti arrabbiata» 
«Non sono arrabbiata con te» rispondo guardando la bottiglia «Ma con me stessa»
«Perché?» chiede e anche se non mi sta toccando sento il calore del suo corpo a un soffio dal mio.
«Perché io non ti merito Russel. Io… io non riuscirò mai a parlarti come fai tu con me, non… non ci riuscirò mai» mi asciugo gli occhi con le dita «Solo per dirti quella stupidaggine di prima ci ho rimuginato dei giorni e mi sento una cretina per questo»  
«Chiariamo subito questa cosa» dice togliendomi dalla mano la bottiglia che ancora stringo e lasciandola accanto al frigo, poi mi volta e circondandomi le spalle e le ginocchia con le braccia mi solleva da terra per portarmi sul divano, si siede tenendomi sopra le sue gambe «Prima di tutto non hai detto affatto una stupidaggine. Capisco che non essendo un uomo non puoi capire la grandiosità della cosa che hai detto, ma credimi quando ti dico che sentirti ammettere che non desideri nessun altro all’infuori di me, mi fa sragionare fino a farmi sentire una specie di dio del sesso» rispondo al suo sorriso con il mio malgrado le lacrime «O ancora meglio, come se tu l’avessi fatto solo con me» aggiunge diventando serio «E anche se tu ancora non riesci a dirmi quello che provi per me, lasci continuamente dei piccoli indizi dietro di te che me lo fanno capire anche senza parole» 
«Che indizi?» chiedo corrucciando la fronte. 
Sorride e i miei occhi umidi si posano sopra lo spicchio di luna «Non ti dirò quali sono, perché sapendoli non saresti più così spontanea con me» dice, poi mi bacia dolcemente e io penso che in fondo ha ragione, e per questa volta non cedo alla mia morbosa curiosità. 
 
 
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Venerdì 20 Luglio 2012
 
«Non mi va di andare a cena da Brian stasera» si lamenta Russel al telefono «Per colpa tua non posso nemmeno sfiorarti con un dito quando siamo con gli altri»
«Smetti di fare il bambino, che tanto lo sai già che quando andremo via da lì, come sempre faremo finta di salutarci davanti a tutti e dopo essere tornata a casa con Karen ti troverò già dentro al mio letto che mi aspetti» 
«Sì, ma finché staremo lì…»
«Russel per favore» dico esasperata, poi guardo l’ora «Ora scusa ma sono già le tre e aspetto un cliente»
«Quando fai così odio profondamente la Crudelia che è in te» dice ironico, ma non troppo «Mandala via, io voglio solo la mia Sirenetta» 
«Ci vediamo da Brian, e verremo tutte e tre» affermo secca.
«Beh forse non ci sarò io» ribatte prontamente.
«Invece verrai e ti divertirai come sempre, e poi dopo ci avrai tutte per te» 
Grugnisce «Va bene, visto che non mi lasci altra scelta» dice rassegnato poi riattacca. 
 
A casa di Brian stiamo per metterci a tavola e quando inizio a pensare che Russel davvero non verrà visto che manca solo lui, Meg, che ormai si muove come una perfetta padrona di casa, esce in giardino dove stiamo apparecchiando «Ha appena chiamato Russel…» si interrompe e io sgrano gli occhi per incitarla a continuare senza doverglielo chiedere a voce «per dire che possiamo iniziare senza di lui» che idiota, penso mettendo le ultime cose in tavola. Come fa a non capire che deve essere più paziente e che se ancora non voglio che si sappia di noi è solo perché è troppo presto e perché prima voglio rompere con Dario «Perché arriverà un po’ in ritardo» guardo Meg che ha parlato rimproverandola con lo sguardo per aver fatto passare del tempo prima di dirlo «E ha anche detto di aggiungere due piatti perché è arrivata sua sorella con un’amica» 
«Connie è qui?» chiedo preoccupata al pensiero che sto per conoscere sua sorella e quella che immagino essere la fidanzata.
«Conosci Connie?» chiede Luca, e io lo fulmino con lo sguardo sapendo che cerca sapientemente di tendermi un tranello.
«No, ho solo sentito parlare di lei una volta da Russel» rispondo prontamente mentre faccio spazio in tavola per altri due piatti. 
«E sai anche che lei è…» chiede parlandomi all’orecchio.
«Sì lo so» rispondo dandogli una gomitata sul fianco.
Lui sospira «Ed è un vero peccato»
«Perché?» chiedo.
«Come perché?» scuoto la testa non capendo, lui solleva gli occhi al cielo «Pensa a Russel» annuisco «E ora pensa alla versione femminile di lui»
«Sinceramente faccio un po’ fatica a immaginarlo con reggicalze e guepiere» dico storcendo il naso.
«Io no» risponde Luca.
«Ma sei impazzito?»
«Scema, io sto pensando a Connie in reggicalze e guepiere, è una delle donne più belle che abbia mai visto ed è un vero peccato che non potrò mai farci un giretto»
«Anche se le interessasse il genere maschile, mi sa che essendo la sorella di Russel un giretto non potresti farcelo lo stesso» 
«Non sarebbe necessario che lui venisse a saperlo» dice scrollando le spalle.
«Smetti di farti film porno mentali, tanto non succederà mai» dico allontanandomi da lui per mettere fine alla nostra assurda conversazione.
 
Dopo una mezz’oretta che siamo a tavola suonano alla porta, Brian entra per andare ad aprire e un attimo dopo si sentono gridolini e schiamazzi di due voci femminili.
Tutti ci giriamo verso la portafinestra vedendo Brian, Russel, sua sorella Connie, che riconosco all’istante nella ragazza che con i tacchi altissimi è una pennellona quasi quanto lui, solo che ha molte più curve e tutte nei punti giusti, bionda con capelli mossi lunghi oltre le spalle e con gli stessi occhi turchesi del fratello, le manca solo la fossetta che tanto amo e che invece ha in questo momento il fratello sopra la guancia destra mentre mi sorride al suo fianco, e la fidanzata, una ragazza mora che le arriva alle spalle con un caschetto mosso e sbarazzino e un sorriso allegro che le illumina anche gli occhi chiari.   
Tutti e tre fanno un saluto generale all’intera tavolata, e quando Connie fa scorrere lo sguardo su tutte le donne sedute, trattenendosi un attimo in più a guardare Karen al mio fianco e poi lo ferma sul mio viso, capisco che Russel le ha detto di noi, sbuffo mentalmente non potendolo fare fisicamente, e spalanco gli occhi quando lei va da Luca seduto di fronte a me dicendogli «Ehi tu, non è che mi faresti un po’ di posto?» 
«Altroché» risponde Luca alzandosi per andare a prenderle una sedia che posiziona proprio davanti a me, poi si allontana ancora e torna con l’occorrente per apparecchiare per lei «È un onore avere Connie la pazza seduta al mio fianco» le dice poi sedendosi.
«Mi sei mancato anche tu» risponde lei stringendogli le guance con una mano «Io sono Connie» dice poi rivolgendosi a tutti «E quella là in fondo che parlotta con il mio fratellino è Amy» continua indicando alla mia destra dove Russel e la fidanzata di Connie sono seduti, lui a capotavola e lei alla sua destra «Ora posso sapere i vostri nomi?» chiede fissandomi. Deglutisco in imbarazzo e sposto lo sguardo su Russel che mi guarda pietrificato, ha capito che questa non gliela perdonerò tanto facilmente.  
 
Tiro un sospiro di sollievo, Connie ha finalmente spostato lo sguardo da me per ascoltare Brian che l’ha chiamata, da quando si è seduta più di un’ora fa di fronte a me, non si è persa un mio solo movimento e io riesco solo a pensare a come vendicarmi con suo fratello quando più tardi sarà nudo e inerme sopra al mio letto.
«Come va la tua palestra?» le chiede Brian.
«Non male» risponde lei «Da tre anni che l’ho aperta la clientela è quadruplicata e i miei corsi di difesa personale sono quelli con più iscritti» 
«Sei davvero un’istruttrice di difesa personale?» chiede Karen meravigliata.
Connie le sorride «Sì, e oltre a fare dei corsi di difesa personale per sole donne, insegno Karate e Ju Jitsu» oddio, spero di averle fatto una buona impressione. 
«Mi piacciono le donne violente» commenta Luca facendole l’occhiolino.
«E a me invece non piacciono gli uomini» dice lei facendo gli occhi languidi e sbattendoli a un palmo dal suo viso «Quindi voi due lavorate insieme?» chiede poi spostando una mano da me a Luca, io lo guardo implorante per fargli capire che deve rispondere anche al posto mio.
«Sì, e anche Karen e Meg sono dei nostri» risponde lui al volo.
«E cosa ti ha portata così lontano da casa?» mi chiede incrociando le mani e appoggiandoci sopra il mento.
«Sono stato io a chiederle di venire con me per aiutarmi» interviene Luca e lei lo guarda irritata.
«E hai intenzione di trasferirti definitivamente qui?» domanda con sufficienza spostando di nuovo gli occhi su di me.
«Ancora non lo so» rispondo sostenendo il suo sguardo indagatore. 
«E perché? Non ti piace stare a Los Angeles? In fondo è un bel posto, e soprattutto è pieno di bella gente» termina sollevando un sopracciglio.
Ho capito dove vuole arrivare, ma se pensa che parlerò con lei di Russel e del nostro rapporto, in mezzo ad altri usando dei ridicoli giri di parole, si sbaglia.
«Los Angeles è bellissima, e anche la gente che c’è qui, ma in Italia c’è la mia famiglia, quindi non prenderò nessuna decisione affrettata» rispondo sperando che si dissuada dal continuare a farmi domande per sapere cose che in fondo non la riguardano. Anche se è la sorella di Russel e sicuramente lo fa solo perché gli vuole bene, non ha nessun diritto di ficcare il naso nei fatti miei.
Per fortuna ha funzionato, si è messa a parlare con George di esercizi per potenziare i deltoidi, che mi sembra di aver capito siano dei muscoli delle spalle. 
Mi volto verso destra e vedo Russel che ride di qualcosa che gli sta raccontando Amy, guardandola mi domando come sia possibile che una ragazza dall’apparenza così dolce possa stare con Connie la pazza. Ancora li guardo quando lui sollevando gli occhi li incrocia con i miei, accenna un debole sorriso che interpreto come una richiesta di perdono, muovo impercettibilmente la testa e mi giro a sinistra per partecipare alla conversazione tra Meg Hanna e Tracy riguardo a non so quale nuova scoperta per ritardare l’invecchiamento cellulare.   
 
«Non devi avercela con Russel» dice Luca dopo avermi seguita in casa. Ha capito che la presenza di Connie e soprattutto le sue domande mi hanno innervosita.
«E con chi dovrei avercela scusa? Non doveva dirle di noi, e da come mi guarda e dalle domande che mi ha fatto le ha detto tutto quanto»
«Non esserne così certa. Tu non conosci Connie, oltre a essere pazza è molto arguta»
«Più tardi è probabile che mi comporterò anch’io come una pazza, ma con suo fratello però» dico chiudendogli la porta del bagno in faccia.
 
Mentre sono in un angolo del giardino seduta a parlare con Matt e Karen si avvicina a noi Russel, appena abbiamo finito di cenare mi sono alzata da tavola per allontanarmi da sua sorella e Matt che ha capito mi ha seguita sui divanetti, poco dopo ci ha raggiunti anche Karen.
Russel alle mie spalle si piega su di me sussurrandomi «Posso parlarti un attimo?» annuisco anche se per parlare avrei preferito aspettare che fossimo soli a casa «Ti aspetto alla nostra panchina» 
Prima di seguirlo aspetto qualche minuto, poi mi scuso con Matt e Karen ed esco dal giardino della casa di Brian, sotto lo sguardo attento di Connie che è ancora seduta a tavola a parlare con Luca e Amy, per andare verso la panchina dove ci sedemmo a parlare la prima volta che sono stata qui.
Mentre mi avvicino lo vedo che cammina nervosamente avanti e indietro con le mani in tasca, appena mi vede ne tira fuori una e la passa tra i capelli venendomi incontro «Lo so che ce l’hai con me, ma ti giuro che non ho detto niente a Connie» 
«Qualcosa devi averle detto per forza, altrimenti non si spiegano quelle domande e nemmeno perché è tutta la sera che cerca di leggermi nel pensiero con i suoi occhi da incantatrice di serpenti» ribatto un po’ acida.
«Tu non la conosci» eccone un altro che afferma una cosa così ovvia, certo che non la conosco, l’ho vista stasera per la prima volta «Si è presentata qualche ora fa a casa mia a sorpresa, e sono sicuro che sia venuta fin qui perché quando le ho detto che non sarei andato a trovarli ha probabilmente sospettato che fosse per una donna, o forse perché credeva che mi stessi riavvicinando a Helen, che potrei tranquillamente affermare che lei odia» dice prendendomi per mano per condurmi alla panchina, dopo che ci siamo seduti continua a parlare «Quando sono arrivate, mi ha chiesto di prestarle il mio telefono perché il suo era completamente scarico, doveva dire ai miei che lei e Amy erano sane e salve perché loro sono sempre molto apprensivi quando prendiamo un aereo»
«Quindi?» chiedo spalancando gli occhi.
Sospira tirando di lato una angolo della bocca «Ho la foto che ti ho scattato davanti alla statua della Sirenetta come salvaschermo. Ho capito solo mentre parlava con mia madre, guardandomi con il suo sguardo da incantatrice di serpenti, come dici tu, che avevo fatto una cazzata» mi stringe una mano «Mi credi, vero?» chiede preoccupato, e io gli sorrido annuendo «Lo sai che mi pesa non poter dire a nessuno di noi, ma non lo farei mai senza averne parlato prima con te. E conoscendola, soprattutto non con mia sorella» 
«Va be’, ormai è andata così» dico sollevando le spalle «Però spero che non finirà per odiarmi come con Helen» anche perché con lei forse una mano è l’unica cosa che potrebbe rimanere di me se decidesse che non le piaccio abbastanza.
«Non è così stronza come sembra, è che anche se tra noi ci sono solo due anni di differenza si diverte ancora a fare la sorella maggiore. Sono sicuro che quando ti conoscerà meglio non potrà fare a meno di innamorarsi anche lei di te» lo guardo sollevando le sopracciglia «Non intendevo in quel senso» dice, poi sospira «E anche se so che tu non potresti mai interessarti a lei, non abbasserò la guardia lo stesso, perché lei è come me quando vuole qualcosa e non si sa mai. Non sono così sicuro che non ti abbia studiata per tutta la cena anche per un altro motivo» 
«Che scemo!» esclamo sfilando la mano dalla sua «E io che ti sto anche ad ascoltare» dico scuotendo il capo, lui me lo ferma circondandomi il viso con le mani e mi bacia aprendomi subito le labbra con la lingua, poi mi solleva mettendomi sopra le sue gambe. 
«Stanotte non potrò dormire da te» dice appoggiando il viso sul mio petto.
Certo, con sua sorella in città vorrà stare un po’ con lei «Non importa» dico accarezzandogli la nuca «Staremo insieme quando Connie e Amy saranno partite» e spero al più presto, ma questo me lo tengo per me.
«Rimarranno qui una settimana» dice, e la mia mano tra i suoi capelli si ferma all’istante. 
Un’intera settimana con Connie la pazza arguta con lo sguardo da incantatrice di serpenti? E che cazzo!  
 
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In questo capitolo ci sono due new entry, una più pericolosa dell’altra, sta a voi scoprire quale delle due.
 
Baci,
V.17
 

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Capitolo 25
*** Cap. 25 - Visite a sorpresa ***


Sono in ritardo, lo so e mi scuso, ma questo capitolo è molto lungo e bello farcito.
A dopo e buona lettura,
V.17
 
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CAP. 25 - VISITE A SORPRESA
 
Cancelliamo quelle righe dal copione… 
ricominciamo dal primo ciak… ti va? 
 
Sai com’è difficile parlare… 
quando mi metti con le spalle al muro sei bestiale. 
 
Caccia quelle mosche dal tuo cuore…
stanno volando nude dentro le tue parole. 
 
Visite a sorpresa… 
non ce la faccio più… 
se non mi lasci entrare neanche tu. 
 
Sergio Caputo
 
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Sabato 21 Luglio 2012
 
«Mi manchi anche tu» rispondo a Russel distesa nel mio letto vuoto di lui e quindi troppo grande e freddo. Oggi non ci siamo visti, sua sorella e Amy l’hanno costretto a un’intera giornata di shopping sfrenato e lui, che voleva farsi perdonare l’assenza da casa da mesi, le ha assecondate accompagnandole per boutique e prestandosi a fare loro da facchino.
Sono quasi le due di notte. Quasi un’ora fa mi ha chiamata per chiacchierare un po’, perché pur essendo stanchissimo dice di non riuscire a dormire perché gli manco, e io che come lui mi stavo rigirando da un po’ tra le lenzuola, con l’aiuto della sua voce, bassa e appena soffiata sul microfono per non farsi sentire da Connie e Amy, e con la testa sopra al cuscino dove dorme lui quando rimane da me, a occhi chiusi e fingendo che sia qui con me, comincio a sentire che sto per cedere al sonno, come succedeva durante le nostre lunghe chiacchierare fino a tardi quando eravamo solo amici, se mai lo siamo stati.
Venerdì sera, dopo il nostro incontro segreto alla panchina, quando siamo tornati separatamente dagli altri, Connie stava parlando in un angolo del giardino con Luca, lo ascoltava con aria apparentemente indifferente gettando lo sguardo da me al fratello e viceversa. Non so cosa le abbia detto, non ancora, so solo che dopo lei mi ha lasciata in pace per il resto della serata.
A differenza della fidanzata, invece Amy, confermando la prima impressione che mi ha fatto appena l’ho vista entrare nel giardino di Brian, è dolce e gentile, e ho capito che è molto in confidenza con Russel, se non sapessi che sta con la sorella, il loro continuo ridere e scherzare insieme, probabilmente mi darebbe non poco fastidio. Mi ha anche chiesto se stavo meglio con la mano, per un attimo mi sono domandata come facesse a saperlo, poi mi sono ricordata della telefonata di Russel con sua madre e sua sorella. Mentre le spiegavo che stavo bene e che in fondo non era così grave, è intervenuta Connie dicendo che dovevo farmi un po’ di muscoli, offrendosi addirittura di insegnarmi qualche mossa per difendermi dagli aggressori. Ma lo sguardo affilato che aveva mentre lo diceva, mi ha fatto pensare che più che per aiutarmi, l’abbia proposto solo per avere la possibilità di mettermi le mani addosso, e non nello stesso modo in cui piace farlo a suo fratello.
«Connie ti ha chiesto niente?» chiedo.
«È ovvio, mi ha fatto un interrogatorio a suon di schiaffoni» 
«Stai scherzando?» quasi grido scattando a sedere. Anche se è più alto e grosso di lei, sono sicura che potrebbe fargli male lo stesso.
Trattiene una risata «Certo che sto scherzando, non picchierebbe mai il suo fratellino. Però mi piace sapere che ti preoccupi per me» dice parlando a voce talmente bassa che quasi non lo sento. 
«Certo che mi preoccupo per te» rispondo offesa, poi mi stendo e per non perdermi nemmeno il suono del suo respiro premo il telefono più forte, ricominciando a fingere che sia accanto a me e che mi stia sussurrando le parole direttamente dentro l’orecchio, sfiorandolo con le sue labbra morbide e calde «E che le hai detto?» 
«Non molto, solo che ci frequentiamo da qualche settimana ma che ancora preferiamo tenerlo per noi. E visto che ormai lo sa, domani sera dormo da te» vorrei rispondergli che sono d’accordo con lui ma mi scappa uno sbadiglio «Ora ti lascio dormire» dice, poi sospira «E spero di riuscirci anche io senza di te» 
«Per fortuna che hai un divano comodo» dico pensandolo là sopra dato che ha lasciato il letto a Connie e Amy. 
«E non solo per dormire» afferma con voce bassa e corposa alludendo alle volte che non abbiamo perso tempo a fare le scale per raggiungere la camera «Forse è meglio se smetto di pensarti qui sopra con me se voglio riuscire a chiudere occhio almeno qualche ora» 
«E io devo fare lo stesso» rispondo pensandolo steso al mio fianco nudo e invitante.
«Buonanotte Sirenetta, ci vediamo a pranzo»  
«Notte» rispondo e malgrado il sonno chiudo la conversazione controvoglia.
Connie ha avuto la splendida idea di invitarci tutti a pranzo a casa di Russel, questo significa altre ore in cui io e suo fratello dovremo fingere di essere solo amici, e musi lunghi e aria scocciata da parte di lui per la maggior parte del tempo. 
Quasi quasi domani salto in piedi sulla sedia e, dopo aver richiamato l’attenzione di tutti battendo il coltello sul bicchiere, annuncerò che io e Russel ci vediamo già da un po’. Perché no, in fondo con Connie e sicuramente Amy che l’avrà saputo da lei, tra quelli che saranno tra poche ore a casa di Russel sono di più quelli che ormai lo sanno che quelli che lo ignorano. 
 
**
 
Domenica 22 Luglio 2012
 
«Ciao ragazze, accomodatevi» ci accoglie Amy.
«Ciao Amy» rispondiamo in coro io e Karen entrando.
Matt, Peter, George, Hanna e Tracy sono già arrivati e stanno preparando la tavola in terrazza. Brian e Meg invece non verranno perché sono al mare. Non vedo Luca, bene, così posso salire da lui e farci due chiacchiere prima che ci sediamo a tavola.
«Questa andrebbe messa in frigo» dice Karen mostrando a Connie la torta che abbiamo portato.
«Fai tu per favore» le risponde mentre pigia dei tasti del forno «Voi sapete come si accende?» chiede aprendo lo sportello e guardandoci dentro.
«Aspetta faccio io» Karen richiude il frigo e dopo una veloce occhiata al forno riesce ad accenderlo. 
«Grazie» le dice Connie «Mi sa che il mio fratellino da quando abita qui non l’ha mai usato. Comunque ciao» dice posando gli occhi prima su di me poi su Karen sorridendo.
«Ciao» rispondo e vedo Karen che accennando un timido sorriso diventa tutta rossa. Ma che le prende? Forse la personalità un po’ sopra le righe di Connie mette in soggezione anche lei.
«Posso aiutarvi a fare qualcosa?» chiedo.
«Non preoccuparti» mi risponde Amy tornando dalla terrazza «Dobbiamo solo aspettare che siano cotte le patate in forno, il resto è già tutto pronto»
Mi affaccio in terrazza per fare un saluto veloce agli altri poi vado davanti alla porta di casa «Salgo a chiamare Luca» dico aprendola, poi guardo in cima alle scale. Russel sarà in bagno o in camera a vestirsi, sinceramente preferirei salire da lui. Sospiro ed esco.
 
«Che hai detto venerdì sera a Connie?» chiedo sedendomi sul divano accanto a Luca mentre stravaccato con addosso pantaloncini e canotta fa zapping in modo annoiato.
«Solo che deve rilassarsi perché tu non sei come Helen. Non so se Russel te ne ha parlato ma loro due non sono mai andate molto d’accordo»
«Mi ha solo detto, senza mezzi termini, che Connie la odia»
«E ti ha detto anche perché?» 
«No, ma immagino che sia perché prova una specie di gelosia morbosa per il fratello» 
«No non è per quello, non solo almeno» si corregge prima di continuare «Qualche mese prima che Russel e Helen si lasciassero, lui e Connie non si sono né visti né parlati per mesi. Una volta gli chiesi come stava sua sorella, allora mi confidò che avevano discusso in modo piuttosto acceso e che erano già due mesi che non la sentiva, però non mi disse il motivo, ma sono sicuro che c’entrasse Helen. Il loro rapporto è tornato quello di prima solo dopo che si sono lasciati» 
«E non ti sei fatto nessuna idea del perché del loro litigio?» per non parlarsi per tutto quel tempo il motivo non può essere stato una semplice scaramuccia tra fratelli.
«No, però ieri Connie mi ha detto che non permetterà mai più a nessuna donna di far tornare suo fratello quello di prima. Tu sai perché ha detto una cosa del genere?»
«Russel una volta mi ha detto che da quando ha lasciato Helen sta meglio, ha detto qualcosa tipo: “Da quando non sto con lei mi sento rinato”. Forse Connie si riferiva a quello» 
«È probabile» dice spengendo la tv e gettando il telecomando sul tavolino davanti a noi «Vado a farmi una doccia» si alza e si allontana andando verso le scale «Tra poco scendo»  
 
«Mamma e papà non vedono l’ora di riaverti a casa» dice Connie seduta di fronte a Russel che è alla mia destra. Non volevo sedermi così vicina a lei, ma Russel non ha voluto sentir ragioni e mi ha minacciata di infilarmi la lingua in bocca davanti a tutti se non mi fossi seduta al suo fianco, e so che non stava scherzando. 
«Anche Liam non sta più nella pelle» sposto lo sguardo di fronte a me per guardare Amy che ha parlato «Quando gli ho detto che venivo a trovarti ha fatto un sacco di storie perché voleva venire anche lui. Si è convinto solo perché gli ho detto che da settembre starai con noi almeno tre mesi» 
Io non ci capisco niente, chi è Liam? E che significa che da settembre Russel starà con loro almeno tre mesi? Mi volto per guardarlo negli occhi e chiedergli, come farebbe una cara amica, di che diamine sta blaterando Amy, ma Hanna seduta due posti dopo di lui mi chiama sporgendosi in avanti sul tavolo «Reb, ma non doveva arrivare il tuo fidanzato?» 
Okay, ora salgo in piedi sulla sedia. No, forse è meglio di no, non far passare Dario per un povero cornuto con tutti è l’ultima, o forse l’unica, accortezza che vorrei riuscire a riservargli.
«Ha avuto un contrattempo e andrà direttamente a Monterey senza passare da qui. Non andrò nemmeno a vedere la gara» rispondo senza alzare gli occhi dal mio piatto per timore di incrociare quelli di Russel, immobile al mio fianco e teso almeno quanto me.
«Se tu non verrai allora non potremo fare un giro tra i box» dice George.
«Quando lo sentirò gli dirò che ti ho dato il suo numero di telefono, puoi metterti d’accordo con lui quando arriverete al circuito» lo tranquillizzo voltandomi a sinistra e sforzandomi per sorridergli. 
«Ah okay, grazie» risponde sollevato.
Con la coda dell’occhio vedo Connie che scatta in piedi facendo stridere la sedia sul pavimento.
«Russel, vieni a darmi una mano in cucina» ordina al fratello rientrando in casa a passo sostenuto. Lui si alza con molta calma e la segue con aria annoiata mentre sia io che Amy li seguiamo con lo sguardo. Passano almeno dieci minuti prima che tornino a sedersi a tavola, Russel apparentemente tranquillo, Connie invece si siede con un espressione arcigna e le mani strette a pugno ai lati del piatto. Beh, in fondo la tregua tra noi era durata anche di più di quello che potevo sperare.
 
«C’è ancora un po’ di posto per questi?» chiedo a Amy riferendomi ai piatti che abbiamo usato per il dolce e che le ho portato mentre sta riempiendo la lavastoviglie.
«Forse riesco a incastrarli da qualche parte» risponde «Rebecca, aspetta» dice mentre mi allontano per tornare in terrazza per prendere anche le posate. Le torno di fronte, prima di parlare si asciuga le mani con uno straccio appoggiandosi poi con il fianco al piano della cucina, tra noi lo sportello aperto della lavastoviglie «Connie non è cattiva, vuole solo bene a suo fratello» dopo una breve pausa aggiunge «E anche io. Se lo stai solo prendendo in giro ti consiglio di lasciarlo perdere, o questa volta qualcuno potrebbe farsi male sul serio» ha parlato con tono pacato, ma la voce sicura e incisiva, che ha modulato con attenzione, mi destabilizza. Posso capire le interferenze di Connie, ho una sorella anche io e se pensassi che qualcuno potrebbe ferirla, in qualsiasi modo, nemmeno io sarei capace di stare a guardare senza far niente, ma non capisco tutto questo fervore da parte di Amy. 
«Io non…» vedendo Russel che arriva da fuori mi zittisco.
«I ragazzi stanno organizzando un torneo di ping pong a coppie» dice mentre Amy ricomincia a mettere i piatti in lavastoviglie. 
Arriccio il naso «Veramente non ho molta voglia di giocare» 
«Stai bene?» chiede meravigliato, non è da me rifiutarmi di giocare a ping pong. Solleva una mano dal fianco per avvicinarla al mio viso, ma a metà strada la ritrae e la passa tra i capelli. 
«Sì, è solo che non mi va e basta» rispondo, poi mi allontano per tornare in terrazza continuando a pensare a ciò che mi ha detto Amy, senza tralasciare il tono che ha usato.
 
Il materasso che si muove mi sveglia e sento Russel che si avvicina. La camera è al buio, tranne che per la poca luce che arriva dalla porta accostata del bagno «Ehi, sei arrivato finalmente, non ci speravo più» biascico mezza addormentata circondandogli il fianco con una gamba, i suoi capelli che sembrano crescere a vista d’occhio mi solleticano il viso mentre lo affondo nel suo collo.
«Scusa se ho fatto tardi» dice sfiorandomi la pelle con le labbra.
«L’importante è che ora sei qui» 
«Dopo cena volevo venire subito da te, ma quelle due mi hanno incastrato portandomi con loro al cinema» 
«Tua sorella ha fatto storie quando le hai detto che dormivi da me?» 
«No, e comunque non l’avrei ascoltata perché il tuo letto è molto più comodo del mio divano» dice rotolandomi sopra. La mia gamba è ancora attorno a lui mentre saggia delicatamente le mie labbra.
«Quindi sei qui solo per il mio letto?» chiedo languida piegando la testa di lato per lasciargli libero accesso al mio collo.
«E per cos’altro sarei dovuto venire fin qui nel cuore della notte?» sollevandosi appena percorre il mio corpo con una mano «Ma quanta roba ti sei messa?» chiede dopo aver raggiunto la base della mia schiena e infilando le dita dentro l’elastico dei miei pantaloncini.
Il suo lento avanzare mi ricorda che devo fermarlo «Russel aspetta» dico divincolandomi e infilando una mano sotto di me per bloccargli il polso «Io non… noi non possiamo» si ferma subito e io sbuffo «Ho il ciclo» 
«Ah okay, scusa» poi scende con il viso «Quindi oggi stavi male davvero?» chiede baciandomi la pancia attraverso la maglia.
«Sì ma solo un po’» rispondo prendendogli il viso tra le mani e salendo lentamente per infilarle tra i suoi capelli. Vorrei che non li tagliasse più, i ciuffi sempre più lunghi e spettinati mi ricordano la prima volta che l’ho visto.  
«Ora ci penso io» dice stendendosi al mio fianco, poi mi fa voltare abbracciandomi da dietro e mette la sua mano calda e grande sopra al mio ventre «Meglio?» sussurra con le labbra attaccate al mio orecchio. Annuisco chiudendo gli occhi e mi rilasso.
«Perché Amy ha detto che da settembre starai con loro tre mesi?» chiedo intrecciando le dita con le sue.
Prima di rispondere sospira tra i miei capelli «Perché il film lo girerò a New York» 
Spostandomi un po’ in avanti stacco la schiena dal suo petto e rimango in silenzio. Non mi aveva detto che il film lo gireranno a New York, ma ora capisco perché Amy e Connie hanno parlato in quel modo a tavola, visto che dista da Morristown nemmeno a un’ora d’auto.
«Sei arrabbiata perché ancora non te l’avevo detto?» chiede avvicinandosi e appoggiando di nuovo il petto contro di me.
«No… non sono arrabbiata» rispondo, poi chiedo «Ma perché non me l’hai detto prima?» 
Con la mano libera mi toglie i capelli dalla nuca e la sfiora con il naso e le labbra «Non so perché» 
Cerco di sfilare la mano dalla sua per girarmi e mettermi di fronte a lui ma stringendomi le dita e aumentando la stretta del braccio mi trattiene. Lascio passare qualche minuto prima di tentare di nuovo di girarmi, e quando gli sono di fronte, appoggio una mano sopra la sua guancia cercando i suoi occhi appena illuminati dalla luce alle mie spalle «Ehi, sono io quella che ha difficoltà a parlare, ricordi? Se smetti anche tu, chi m’insegnerà a farlo?» 
Lo abbraccio e attendo paziente che mi risponda, e quando si decide a farlo, parla con le labbra appoggiate sopra la mia tempia «Forse avevo solo paura che ti rendessi conto troppo presto di cosa comporta stare con me» dice con tono rassegnato e colpevole.
«Russel, è il tuo lavoro, non devi sentirti in colpa per questo, e poi sono solo tre mesi» rispondo prontamente «E in fondo noi è da po…» si stacca da me e un secondo dopo le mie braccia sono vuote, un altro secondo e vedo la sua sagoma seduta sul bordo del letto. 
Con la testa appoggiata sul cuscino, e il cuore che mi rimbalza forte nel petto per il suo scatto improvviso, trattengo il fiato cercando di capire perché abbia reagito così.
«Questo è il vero motivo perché ho aspettato a dirtelo» 
«Quale?» chiedo e lentamente mi sollevo per sedermi dietro di lui.
«Per non sentirti dire che devo pensare al mio lavoro, che starmi lontano tre mesi per te non è un problema e che è da poco che stiamo insieme» una pausa in cui prende l’aria soffiandola poi lentamente dalle narici mi fa capire che non ha finito «Come se non t’importasse niente»
«Di cosa?»
«Di noi» risponde voltandosi verso di me. Ora vedo il suo profilo, ha le labbra serrate e la mascella contratta.
«Io non ho detto questo» ribatto allungando una mano per appoggiarla sopra la sua spalla, ma prima che riesca a raggiungerlo è già in piedi voltato di schiena «Che fai?» chiedo allarmata sollevandomi sulle ginocchia appena sento il tintinnio della sua cintura. Non risponde ma sento prima una sua gamba poi l’altra scorrere all’interno dei jeans.
«Russel, ti stai comportando come un bambino» dico parlando alla sua ombra che si muove veloce rivestendosi, poi stufa di non vederlo per bene accendo la luce sopra al comodino.
«È meglio che non ti dica come ti stai comportando tu invece» dice sprezzante mentre abbottona i jeans.
«Come una puttana? È questo che intendi?» chiedo mantenendo la calma malgrado il suo sguardo ostile m’invogli a schiaffeggiarlo come se dovessi farlo riprendere da una sbronza. 
«Perché non è cosi?» chiede sollevando le sopracciglia «Non è forse vero che io e te scopiamo e basta? E visto che stasera non possiamo me ne torno a casa» dice indossando in fretta la t-shirt. 
Mi siedo e con le braccia intorno alle ginocchia lo guardo impassibile mentre si avvicina al bordo del letto.
«Non vuoi che si sappia di noi, parli con gli altri come se tra te e il tuo uomo andasse tutto a gonfie vele» con i pugni appoggiati sul materasso e piegato su di me grida a un soffio dal mio viso, mi sembra quasi di sentire i capelli che svolazzano indietro a ogni sua parola «Vuoi sapere quanto mi ha fatto incazzare sentirti parlare di lui con gli altri? E quanto sono andato vicino dal ribaltare la tavola e trascinarti dentro casa per scoparti fino a farti dimenticare il suo nome?» ciò che ha detto insieme alla sua voce arrochita dalla collera mi scuote le spalle per quello che non so se definire un brivido di paura o di rabbia repressa. 
Istintivamente metto le braccia dietro di me e mi ritraggo dandomi una spinta con i talloni.
«Hai idea di cosa provo a sgattaiolare dentro casa tua come un ladro?» continua mettendo un ginocchio sul letto e sovrastandomi «O quanto sforzo mi ci voglia ogni volta che devo trattenermi dal toccarti o baciarti? O l’unica cosa che t’interessa è fingere con gli altri di non essere… quella che sei?» pronunciando l’ultima frase ha abbassato gradualmente il tono fino a dire le ultime parole solo con un sussurro, ma risuonano nella mia testa come se le avesse urlate dentro le mie orecchie con un megafono. 
Quella che sono, una puttana, certo, questo è quello che pensa di me, e perché non dovrebbe? Sono venuta fin qua per capire cosa avrei dovuto fare con Dario. Lo lascio, non so, forse è meglio aspettare, no, non posso scopare con te, però tienimi stretta, se ci aggiungiamo qualche bacio che vuoi che sia, nel frattempo cerco ancora di capire qual è la cosa giusta da fare, certo che però le tue mani, ma sì scopiamo un po’ che magari capisco meglio, sai una cosa, forse con te non sto poi tanto male, però teniamocelo per noi okay? Sai forse torno a casa con lui, ma nel frattempo continuiamo a scopare, mi sa che ho cambiato idea, non voglio più tornare da lui, però non facciamolo sapere a nessuno, aspettiamo ancora un po’ che prima vorrei parlargli, perché sai com’è, mi sto comportando come una puttana stronza ma non mi va che si sappia in giro. Ecco cosa pensa di me, e io posso solo dargli ragione.
«Hai ragione» dico strisciando indietro come un verme, e lui stringe gli occhi come se l’avesse colpito un dolore acuto e improvviso «Io ti ho usato, ti sto usando e…» continuo a indietreggiare fino a che non sento il bordo del letto dietro di me, per non cadere mi sporgo in avanti mentre lui è immobile a testa bassa «Perdonami» dico prima di voltarmi per scendere dal letto, ma non faccio in tempo.
«Come fai a non capire» dice prendendomi le caviglie e trascinandomi di nuovo al centro del letto sotto di sé, per lo strattone mi sbilancio e cado con le spalle sul materasso. 
La maglia è salita scoprendomi la pancia che ora è di fronte al suo viso, la osserva con espressione vuota e indecifrabile, e appena ci appoggia sopra la mano aperta la ritraggo trattenendo il respiro per allontanarla dal suo palmo, e vorrei sparire all’improvviso, evaporare diventando niente e portarmi dietro tutto quello che ricorda e che sa di me, perché so cosa sta pensando.
«Non dovevo dirtelo» sbotto sollevandomi e premendo le mani sopra le sue spalle per spingerlo indietro.
«No infatti, non dovevi dirmelo» ribatte con tono aspro sollevando il labbro superiore in una smorfia, poi si alza in piedi e si volta mostrandomi la schiena «Perché ora che so che non desideri avere dei figli ma che invece avevi deciso di mettere al mondo il suo, non riesco a crederti quando dici di non averlo mai amato e che quando lo rivedrai gli dirai di andarsene al diavolo senza nessun ripensamento» 
Rimango immobile aspettando di sentir riaprire la porta di casa che ha sbattuto uscendo. Ma trascorso non so quanto tempo da quando fisso la sveglia, senza riuscire tuttavia a vedere i numeri digitali che sono solo una macchia rossa al di là dei miei occhi bagnati, capisco che stanotte non succederà. 
 
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Lunedì 23 Luglio 2012
 
«Karen, che ci fai ancora qui?» le chiedo uscendo dal mio ufficio «Quello schiavista di Luca ti fa fare gli straordinari stasera?»
«No» risponde ridendo mentre si passa la cipria sul naso guardandosi allo specchietto «Ho un appuntamento e… il mio cavaliere passa a prendermi tra poco» 
«Davvero?» chiedo avvicinandomi e le sue guance si colorano di corallo mentre annuisce. Il suo imbarazzo mi convince a lasciarla in pace, almeno per ora «Okay, me ne vado così vi lascio soli, ma ricordati che voglio conoscerlo» le dico camminando all’indietro mentre esco dalla porta.
«Sì… certo» risponde incerta.
Almeno lei stasera starà in compagnia di qualcuno, e mi auguro per lei che sia un uomo capace di apprezzare la sua dolcezza e la sua sensibilità. 
Sbuffo chiamando l’ascensore. Ho passato la giornata a guardare il mio iphone sperando di sentirlo suonare e vedere il nome di Russel apparire sul display. Ma non è successo. Quando arriverò a casa lo chiamerò io e se sarà necessario lo pregherò di venire da me, devo assolutamente spiegargli un po’ di cose. Molte cose.
Entro in ascensore e, mentre le porte si chiudono dietro di me, sento il suono dell’altro che è arrivato al piano, resisto alla tentazione di farle riaprire per vedere l’accompagnatore di Karen a pochi metri da me e pigio il tasto del piano terra.
Cerco il telefono in borsa, potrebbe essermi arrivato un messaggio di Russel nel momento esatto in cui l’ascensore ha trillato coprendone l’avviso di recezione. Che idiota, l’ho tenuto di fronte a me tutto il giorno e ora che me ne sto andando a casa l’ho lasciato in ufficio. L’ascensore arriva al piano terra, ma io devo tornare su, Karen penserà che l’ho fatto apposta per conoscere l’uomo che è venuto a prenderla, ma stasera il telefono mi serve proprio. Continuando a darmi dell’idiota pigio il tasto del piano dell’ufficio.
«Ho lasciato il telefono sopra la scriv…» credendo di stare sognando sbatto gli occhi, ma ciò che ho visto entrando continua a essere davanti a me, allora li spalanco insieme alla bocca finché capisco che ai loro occhi devo proprio sembrare ridicola «Scusate, me ne vado subito, fate come se non fossi mai stata qui» dico stringendo la borsa al petto e camminando come un soldatino ben addestrato fino a raggiungere il mio ufficio. 
Prendo il telefono e dopo averlo gettato in borsa esco senza guardare verso la scrivania di Karen «Reb, aspetta» dice dietro di me con tono implorante.
Non mi fermo e non mi volto, ma sollevo le mani in alto dicendole «Karen non m’interessa, io non sono mai stata qui» e accelero il passo fino ad entrare in ascensore, mentre scende mi appoggio con la schiena e ricominciando a respirare cerco di scacciare dalla mia mente l’immagine di ciò che ho visto.  
 
«Sai che ti dico Russel, fottiti!» grido appannando lo schermo del telefono per poi spengerlo e lanciarlo sopra al comodino. È da quando sono rientrata che provo a chiamarlo ma il suo iphone è sempre spento, non ho il suo numero di casa, non mi è mai servito, ma anche se potrei farmelo dare da Luca, è chiaro che se è tutto la sera che lo tiene spento è perché non vuole parlarmi. 
«Vuol dire che lo accontenterò» spengo la luce e tiro il lenzuolo fin sopra le spalle.
Cosa devo fare con te? Vuoi che ti dica che me ne frego del tuo lavoro e che non voglio starti lontana per così tanto tempo? Che quando non sei qui con me non riesco a dormire? Che sbagli a pensare che avevo deciso di tenere il bambino perché era di Dario? Come fai a non capire che se fosse stato per quello non avrei nemmeno deciso di lasciarlo? Ma tanto tu non credi nemmeno che voglio lasciarlo davvero. 
Vorrei dirti tante cose, ma come faccio se non accendi nemmeno il telefono? 
 
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Martedì 24 Luglio 2012 
 
«Reb, lascia almeno che ti spieghi» dice Karen dopo avermi seguita nel mio ufficio e aver chiuso la porta.
Appoggio la borsa sopra la scrivania «Karen ti ho già detto che non m’interessa. Potrebbe scoppiare un casino e non mi ci voglio certo ritrovare in mezzo. Io non ho visto voi e voi non avete visto me» dico togliendomi la giacca. 
«Non ti facevo così» dice con un filo di voce stando a testa bassa, poi si volta «Scusa, ti lascio al tuo lavoro» 
Ha ragione, io sono l’ultima persona che dovrebbe parlare, ma lei e… «Aspetta» dico andandole dietro e lei si ferma con la mano sopra la maniglia «Io non ti sto giudicando, credimi, ma lo capisci in che situazione mi metteresti se ora tu mi dicessi che cosa c’è tra voi due?» che poi non serve nemmeno che me lo dica, il bacio che si stavano dando quando sono entrata in ufficio era già piuttosto eloquente senza che lei debba aggiungere altro, ma assistere mio malgrado a qualcosa, non è la stessa cosa di sedermi di fronte a lei e ascoltare le sue motivazioni.  
«Ma se davvero non mi giudichi, perché sei così scocciata?» chiede.
«Come perché sono scocciata?» chiedo unendo le mani davanti alla bocca come per  pregarla di comprendermi «Quando vi vedrò insieme agli altri potrebbe scapparmi qualcosa. Se un giorno quello che è successo o che ancora succede tra voi, non lo so e non voglio saperlo, dovesse venire fuori, potrebbe rivoltarsi anche contro di me» mi dispiace parlarle così, soprattutto vedendo le lacrime che coprono i suoi occhioni celesti, ma un’altra nemica è l’ultima cosa di cui ho bisogno al momento.
«A Meg l’ho già detto e non ha fatto tutte le storie che stai facendo tu. Non se l’aspettava, certo, però almeno mi ha ascolta» dice mentre una lacrima le scivola fuori dall’angolo interno di un occhio «E ti dico la verità, mi ha stupita perché è stata molto carina con me, mi aspettavo da parte sua almeno una battutina, invece si è dimostrata una vera amica. Tu invece…» mi guarda con delusione mista a rabbia e io mi sento una stronza come probabilmente sta pensando in questo momento lei di me.
«Porca miseria Karen!» esclamo, poi vado a sedermi fiaccamente sul divano «Se dovesse scapparmi con Russel…» sempre se prima o poi riuscirò a parlargli.
«Oh ma guarda che lui lo sa già» dice riprendendo vivacità al viso e agli occhi.
«Ah sì?» chiedo mentre si siede al mio fianco «E come l’ha presa?»
«Beh, anche lui ha detto che non vuole saperne niente e che se tra noi dovesse andar male non vuole trovarsi in mezzo. Però ha anche detto che è contento per noi» dice sorridente.
«È contento per voi?» chiedo incredula.
«Sì ha detto così» risponde diventando seria «Tu no?» 
«Karen, come faccio a essere contenta per voi?» le dico pensando alla situazione mia e di Russel «Vi dovrete nascondere continuamente e poi…» 
Scatta in piedi «Forse è meglio se tronchiamo qui il discorso» dice stringendo i pugni «Prima che oltre alla nostra amicizia ne faccia le spese anche il nostro rapporto di lavoro»
«No Karen ti sbagli» dico alzandomi davanti a lei «Io ti sono amica» 
«Se è come dici allora non capisco perché non puoi accettare che io mi veda con Connie»
«Ma perché lei sta già con Amy» dico cercando di usare un tono che non sembri un rimprovero. 
Mi aspetto di sentirla ribattere alla mia affermazione dicendo che Connie le ha promesso che lascerà Amy, che non la ama e che non l’ha mai amata, che le cose tra loro vanno a rotoli già da prima di conoscerla, e bla bla bla… invece mi scoppia a ridere in faccia, e dopo un attimo di smarrimento inizio a ridere anche io perché sono contenta che la prenda così invece di disperarsi.
«Reb, ma stai dicendo sul serio?» chiede tra una risata e l’altra.
Smetto di ridere e la guardo preoccupata «Non dirmi che non lo sapevi?» le chiedo.
«Fammi capire» dice prendendomi un braccio e tirandomi a sedere mentre lei fa lo stesso «Tu pensi davvero che Amy e Connie siano fidanzate?» chiede asciugandosi le lacrime che questa volta ha versato per le risate.
La guardo abbassando le sopracciglia e mettendomi un pugno davanti alla bocca come se volessi ricacciare indietro quello che ho detto «Perché loro due non… cioè io sapevo che… sì insomma avevo capito che…» penso che in fondo nessuno me lo ha mai detto, che è solo una cosa che ho dato per scontato quando ho saputo che Connie veniva insieme a un’altra ragazza a trovare il fratello.
«No Reb, Connie e Amy non stanno insieme» dice scuotendo la testa «A Amy piacciono gli uomini, è venuta con Connie perché voleva stare un po’ con Russel e…» 
Continuo a guardarla senza tuttavia sentire ciò che sta continuando a dire, perché ho smesso di farlo da quando ha detto che a Amy piacciono gli uomini e che è venuta per stare con Russel. 
Ora vedo sotto tutta un’altra luce i gesti di lei. Lei che lo fa ridere, lei che gli passa una mano tra i capelli dicendogli che sono troppo lunghi e che dovrebbe tagliarli un po’, lei che prende l’ultima fetta di torta in tavola e che la divide con lui, lei che durante il torneo di ping pong ha voluto giocare in coppia con lui, lei con uno sguardo dolce e il sorriso che le illumina gli occhi, ma solo quando lui è nei paraggi. Lei che mi dice che se lo sto prendendo in giro qualcuno potrebbe farsi male. Di chi stava parlando? Di me, di lui, o di se stessa? 
«Scusa, puoi ripetere» dico ricollegando le orecchie al cervello.
«Loro tre sono amici fin da quando erano bambini. Le loro case sono una adiacente all’altra e sono praticamente cresciuti insieme» e magari lui si arrampicava sul tetto ed entrava in camera di lei passando dalla finestra, come in quel telefilm… com’è che si chiamava? Sì certo: “La Cricca di Dawson”.  
Per la domanda che devo farle ho bisogno di tutta la calma e il sangue freddo di cui dispongo «Non è per farmi gli affari tuoi, e ovviamente nemmeno quelli di Connie» oddio, non so come chiederglielo. Mi gratto la fronte poi dietro l’orecchio «Ma voi due… avete per caso… già… dormito insieme?» ecco, lo sapevo, mi sta guardando come se fossi un’impicciona «Oh Karen, ti giuro non te l’ho chiesto per…»
«Sì» risponde e io mi gelo sul posto «Stanotte noi…»
«Okay, non voglio sapere altro» dico alzandomi «Anzi una cosa ci sarebbe» aggiungo dandole la schiena, anche se temo di sapere già la risposta «Dove… dove avete dormito?» 
«A casa mia, perché?» perché questo significa che Russel e Amy sono rimasti soli a casa di lui, dopo che noi abbiamo litigato e dopo un’intera giornata in cui ha tenuto il telefono spento. Non ci credo che lui possa essersi consolato così in fretta, ma sono sicura che lei avrà cercato di farlo in tutti i modi possibili e immaginabili. Magari gli avrà anche proposto di fare come ai vecchi tempi e l’avrà aspettato standosene distesa sul suo letto mentre lui si arrampicava a una delle colonne del soppalco e dopo si saranno guardati un film distesi uno accanto all’altro. 
Mi sa che urge trovarle un Pacey al più presto, sempre che il mio Dawson non abbia già fatto qualcosa di cui lo farò pentire amaramente per il resto delle puntate a venire. Niente triangoli nel mio telefilm, molto meglio una bella linea che prosegue all’infinito su cui la signorina Joey del New Jersey può cominciare a incamminarsi da sola fin da subito.
«Senti Karen, spero che avrai capito che avevo frainteso tutto quanto» le dico «Anche io sono felice per te e Connie e mi dispiace se hai pensato che io…»
M’interrompe prendendomi le mani «Non devi dire altro. Ora però torno al mio lavoro» apre la porta e prima di uscire si volta sorridendomi.
Prendo il mio telefono e provo a chiamare Russel, ma il suo è ancora spento.
«Luca dammi il numero di casa di Russel» gli ordino entrando nel suo ufficio senza nemmeno salutarlo.
«Buongiorno eh» dice senza staccare gli occhi dal computer. 
«Sì sì buongiorno» rispondo appoggiando le mani sul bordo della scrivania e sporgendomi verso di lui «Hai capito o no cosa ti ho detto?»  
«Prendi il mio telefono e cercatelo» dice continuando a guardare lo schermo del computer.
Prendo il suo iphone e faccio come mi ha detto «Te lo riporto subito» dico facendo scorrere la rubrica e uscendo dal suo ufficio. Ma quanti numeri ci sono? E sono quasi tutti di donne: Maddy, Mandy, Mindy. Ma una che c’ha un nome normale no? Dopo Ruby e Rully trovo quello di Russel, lo compongo sul telefono dell’ufficio e mi siedo sopra la poltrona tamburellando le dita mentre aspetto che risponda. 
«Pronto» allegra e disinvolta come se stesse rispondendo al telefono di casa sua.
«Ciao Amy» dico guardando il soffitto «Sono Rebecca, puoi passarmi Russel per favore?»  
Rimane un attimo in silenzio prima di rispondere «No, è sotto la doccia» tutto solo soletto? E come mai non sei a dargli una mano insaponandogli la schiena? 
«E… e non c’è nemmeno Connie?» chiedo, poi ci penso «Andrebbe bene anche se mi passassi lei» in realtà non saprei cosa dirle, ma voglio sapere se sono soli senza che però lei lo capisca.
«No, quando ci siamo svegliati abbiamo trovato un biglietto sul frigo con scritto che andava a fare jogging, è probabile che non rientrerà fino all’ora di pranzo» che peccato aver scoperto che non è in casa, e non solo perché vuol dire che sono soli, ma anche perché avevo elaborato piuttosto in fretta cosa chiederle se me l’avesse passata: “Di’ un po’, ma tu e tuo fratello siete fissati con le donne piccole e minute?”. 
«Puoi dirgli che ho chiamato?» 
«D’accordo, ma a chi, a Connie o Russel?» sta forse facendo la spiritosa? No perché se è così per levarmela dalle palle la mando a Zelig. 
«A Russel» rispondo, spremendo la cornetta. 
«Okay, ma ora ti saluto. Vado di fretta» sì sì certo, vai di fretta e vai di corsa a metterti Gino e l’intera Alfetta sai dove?
«Solo una cosa poi ti lascio correre dove vuoi. Chi è che potrebbe farsi male? E perché?» chiedo, ma lei invece di rispondere riattacca, non so se prima o dopo aver sentito la mia domanda.
 
Mi lancio a pesce al centro del mio letto senza prendermi nemmeno il disturbo di togliermi la borsa dalla spalla. Russel non mi ha richiamata, non mi ha mandato un messaggio e ho trovato la segreteria di casa senza nemmeno un misero uno che lampeggiava sul display. Non ci credo che Amy non gli abbia detto che l’ho cercato, sarebbe stupido da parte sua, sa benissimo che verrei a saperlo. Quindi non mi resta che pensare che sia lui che non vuole parlarmi. Forse invece di tornare a casa quando sono uscita dal lavoro dovevo andare da lui. Ma se non vuole parlarmi è ovvio che non vuole nemmeno vedermi, e io ho non ho voglia di trovarmi Amy davanti.
Non sono nuova a provare un sentimento di gelosia nei confronti di qualcuno, lo sono stata di mia sorella quando eravamo bambine, della mia amichetta del cuore quando alle elementari la vedevo giocare con quell’antipatica della sezione “C”, di un po’ tutti i ragazzi e gli uomini che ho frequentato, e soprattutto di Dario ogni volta che l’ho pensato o ancora peggio visto con Paola. Ma questa volta è diverso, c’è una variabile contro la quale non ho nessuna arma da sfoderare per potermi difendere: la quantità di informazione su Russel che ha sicuramente incamerato negli anni Amy. Quale momento migliore per rispolverarle tutte e utilizzarle poteva trovare, se non nel bel mezzo tra la fine di una storia importante e una ancora acerba con una donna che ha ancora un piede nella scarpa di un altro? Sono sicura che lei sia innamorata di lui, non so da quanto tempo e nemmeno in che misura, ma dopo aver passato la giornata ad analizzare ogni suo gesto, sorriso, scoppio di risata, sguardo sognante, non ho nessun dubbio al riguardo. 
Anche se di dubbi ne ho tanti altri: lui lo sa? Lei gliel’avrà mai confessato? E se l’ha fatto, lui come ha reagito? Dicendole che non era interessato ma rimanendo comunque amico suo? O forse sono stati insieme ma non ha funzionato? Sono mai stati a letto insieme? Capita spesso che la prima volta sia con il migliore amico o la migliore amica, sarà stato così anche per loro? 
Poi ci sono tutta un’altra serie di domande di altro genere: Russel, quando pensa a me e Dario insieme, prova la stessa voglia incontrollabile, che sento da quando ho capito che Amy è un pericolo, di gridare che lui è solo mio? È questo che cerca di farmi capire? Perché non sono riuscita a capirlo prima di provarlo sulla mia pelle? Come mi sentirei se mi dicesse che stava per avere un figlio da un’altra donna? Un’altra con la quale finge ancora di stare insieme? Per non pensarci e non impazzire dalla gelosia, sarebbe sufficiente per me sapere che in fondo non è mai nato? 
No cazzo, no che non sarebbe sufficiente! 
Soprattutto se sapessi che non ne ha mai desiderati e che non ne vuole nemmeno in futuro, e se mi dicesse di non averla mai amata penserei che mi sta raccontando un sacco di balle, potrebbe ripetermelo all’infinito ma non gli crederei lo stesso. Penserei che è con me che non ne vuole, che non mi ritiene degna di mettere al mondo suo figlio, e quindi che mi ama meno di quanto ha amato lei. E infine, se sapessi che deve rivederla, anche solo per dirle che non vuole più stare con lei, come mi sentirei io? 
Impotente, ecco come mi sentirei. 
Cieca, egoista, insensibile, ecco come sono stata finora con lui. 
Merda! Devo andare subito da lui. 
Mi alzo in fretta dal letto e mentre corro per uscire di casa suona il campanello. Certa che sia Russel getto la borsa sopra al mobile dell’ingresso e sorridendo apro la porta «Sono contenta che sei qui»  
«Che accoglienza!» esclama Connie entrando «Sicura di essere contenta di vedermi?» chiede con le mani sui fianchi. La osservo in silenzio sorreggendomi alla maniglia e lei storce il naso «No, mi sa che non stavi aspettando me» entra in soggiorno e si guarda intorno «Dove ci sediamo? Oggi, per scaricare un po’ nervi prima di venire da te, ho corso per diversi chilometri e, visto che sono piuttosto stanca, e il discorsetto che devo farti piuttosto lungo, è meglio se ci accomodiamo» 
Se schizzo fuori dalla porta e la chiudo dentro a chiave, forse riesco a guadagnare abbastanza tempo per trovare un taxi e scappare. 
La guardo da capo a piedi: coda alta, nemmeno un filo di trucco, canotta con scollo olimpionico che mette in evidenza le spalle e le braccia allenate, pantalone di una tuta sopra le gambe lunghe, scarpe da corsa. Merda, questa per riagguantarmi è capace di saltare giù dalla terrazza mentre ci passo sotto dandomi alla fuga. 
«Mettiamoci sul divano» dico rassegnata chiudendo la porta. 
«Bene» dice sedendosi. Appena le sono di fianco punta i suoi occhi così simili a quelli di Russel nei miei, e senza tanti giri di parole chiede «Che state combinando tu e mio fratello?» 
«Noi… noi…» mi scrocchio le dita di una mano e prima di riuscire a fare lo stesso con l’altra me le blocca con le sue.
«Voi cosa?» 
«Connie, lo sai già che noi ci frequentiamo da un po’»
«Infatti non sono qui per sentirmi ripetere quello che mi ha già detto mio fratello, ma perché voglio sapere come mai sono due giorni che gira per casa come uno zombie rispondendo alle domande solo con un cenno del capo» 
«Ah sì?» e io che credevo che se la stesse spassando con Amy.
«Sì, e sono sicura che c’entri tu. Ho provato a chiedere a lui ma mi ha liquidata con un ennesimo no fatto solo con la testa»
Mi dispiace che lui stia soffrendo, e anche che Connie si preoccupi per lui, ma se non fosse così testone da non volermi parlare ora non ci troveremo in questa situazione.
«Domenica sera abbiamo litigato. No, in realtà non abbiamo litigato, lui mi ha gridato delle cose e poi se n’è andato» lei mi guarda come se non le stessi dicendo niente che non abbia già intuito da sola «Io ho pensato a quello che mi ha detto e ti giuro che sono due giorni che cerco di chiamarlo per rimediare, perché ho capito che ha ragione e non voglio che pensi cose non vere e che lo fanno star male ma lui…» mi fermo per riprendere fiato «ma lui non vuole parlarmi» 
«C’entra il fatto che tu sei ancora fidanzata con un altro?» chiede e io annuisco abbassando gli occhi. Non serve a niente che ora le spieghi che in realtà io e Dario non siamo proprio fidanzati fidanzati.
Lei sospira «Quando domenica ho chiamato Russel in casa, mi ha spiegato in pochi minuti la tua situazione. Correggimi se sbaglio» dice voltandosi di lato sul divano e incrociando le gambe davanti a me «Mi ha detto che tu lo lascerai quando lui verrà qui per un viaggio di lavoro» si ferma per darmi il tempo di accennarle un sì con il capo «Okay. Poi mi ha detto che dovevate vedervi questo mese ma che per un imprevisto non verrà prima del prossimo» muovo il capo in su e giù in fretta «Chiariamo subito una cosa» il suo sguardo si tramuta all’improvviso diventando quello da incantatrice di serpenti «Io non sono mio fratello, e anche se a entrambi ci piacciono le donne, e pur ammettendo che tu non sei niente male…» dice sollevando un sopracciglio e guardandomi le gambe, io come per proteggermi le unisco in fretta mentre lei alza anche un angolo della bocca «Non mi farò abbindolare come lui dai tuoi occhietti vispi» continua e io deglutisco «Gli hai detto la verità, o lo stai solo prendendo in giro?» 
«Certo che gli ho detto la verità, ti giuro che io non mentirei mai su questa cosa a tuo…» 
«Non ho finito» dice bloccando il mio sproloquio con un mano «È vero che il cornuto ha rimandato, o è solo una cazzata che hai detto per prendere tempo?»
Spalanco gli occhi «No che non voglio prendere tempo!» esclamo scattando in piedi «Come puoi anche solo pensarlo?»
«Perché io non ti conosco, non so un bel niente di te. Le poche informazioni che sono riuscita ad avere le ho avute dal tuo migliore amico e da mio fratello, che in ventotto anni che conosco non ho mai visto con il cervello così in pappa per colpa di una donna. Quindi scusami se dubito di te, ma quei due sono un po’ troppo di parte perché possa ascoltarli sul serio»
«Ma è la verità» dico sedendomi «Quando ho parlato al telefono con Dario…» mi guarda con espressione confusa, mi sa che il nome non le dice niente. Alzo gli occhi al cielo «Quando ho parlato al telefono con il cornuto» ripeto facendo una piccolissima modifica alla frase, lei annuisce «E mi ha detto che doveva rimandare, era presente anche Luca, lui può confermartelo» lei arriccia il naso «Cazzo Connie, se non credi nemmeno a questo io non so proprio cosa dirti»
«Devi assolutamente trovare un modo per convincermi perché mio fratello è molto appetibile»
«Che vuoi dire?» 
«Che le donne non gli sono mai mancate e, anche se non si e mai approfittato della sua avvenenza prima e della sua fama poi, non mi va di vederlo triste e affranto»
«Dove vuoi arrivare?» 
«Se non sei stupida come penso, avrai capito che Amy non lo considera solo un amico» 
«No infatti, non sono stupida, ma continuo a non capire cosa stai cercando di dirmi»
«Ti sto mettendo in guardia, Rebecca. Conosco mio fratello, e conosco altrettanto bene Amy, se tu non riuscirai a convincermi che con te potrebbe essere più felice che con lei, io mi prodigherò con tutta me stessa per allontanarlo da te e farlo avvicinare a lei»
«Non ci riusciresti mai» dico sprezzante e assolutamente convinta delle mie parole. Si è forse dimenticata che Russel è innamorato di me?   
«Uhm, forse dovrei ricordarti che settembre non è così lontano. E poi ho un asso nella manica» dice e mi strizza un’occhio.
«Che asso?» chiedo e ora la mia voce non esce più tanto sicura come prima.
«Liam» già Liam. Ma chi cazzo è Liam? Come se mi leggesse nel pensiero risponde alla mia domanda «Il figlio di Amy» 
«Amy… ha un figlio?»
«Te l’ho appena detto. Ha sette anni ed è cresciuto senza il padre perché quando lei scoprì di essere incinta il farabutto se la dette a gambe»
Scuoto la testa «Non capisco cosa c’entri con me e Russel»
«Oh ma te lo spiego subito. Mio fratello è molto affezionato a Liam, l’ha praticamente visto nascere, e sono strasicura che quando sarà a casa, stando ogni giorno con Amy e suo figlio, beh, diciamo che forse potrebbe scordarsi in fretta la bella italianina, soprattutto se ci metto lo zampino io» dice con tono minaccioso e sguardo affilato. 
«Non ci credo. Tu… tu non saresti mai capace di fare questo, non… non a tuo fratello» 
«Se ci credi davvero perché balbetti?»
Cazzo che stronza «Perché… perché sei crudele, perché non devi interferire così nella vita di Russel e… e soprattutto nella mia. Con che diritto vieni in casa mia a dirmi che lo vuoi manipolare a tuo piacimento per separarci?» chiedo sempre balbettando in preda alla rabbia e alla costernazione.
«Vuoi davvero sapere il perché?» chiede retorica «Perché tu non mi piaci, perché secondo me ti stai solo divertendo con lui e quando arriverà il cornuto ti libererai di mio fratello come se fosse niente»
«Cazzo ma come devo dirvelo che io non voglio più stare con Dario? Anzi no, che io non voglio più stare con nessun altro che non sia Russel?»
«Eh no» dice muovendo il capo «Non mi hai convinta per niente. E sai un’altra cosa, comincio a pensare che tu sia solo una squallida arrivista» spalanco gli occhi «Forse è vero che lascerai il cornuto, in fondo chi non vorrebbe stare con un bellissimo attore di Hollywood»
«Non certo io» dico con un filo di voce più a me stessa che a lei. 
«Come dici?» chiede.
Sbuffo innervosita «Ho detto: non io» 
«E perché mai? Non sei attratta anche tu come tutti quanti dai soldi, la fama, la bella vita?» 
«No, anzi mi spaventa che un giorno possano iniziare a seguirmi come fanno con Russel e che potrei finire su qualche rivista» mi gratto uno zigomo scendendo fino all’angolo della mascella come se avessi un attacco acuto d’orticaria. 
«Lo vedi allora che ho ragione a dire che non sei la donna giusta per lui?» sollevo gli occhi con fare annoiato «Se continuate a stare insieme prima o poi si saprà, e inevitabilmente questo attirerà l’attenzione su di voi» 
«Ci penserò quando succederà» 
«E al suo lavoro ci hai pensato? Non ti preoccupa che quando girerà fuori da Los Angeles potrebbe starti lontano per mesi interi?»
«È il suo lavoro. Non lo costringerei mai a scegliere tra me e quello che ama fare con così tanta passione» 
«Oddio! Se continui con tutte queste stronzate dovrò cominciare a chiamarti Santa Rebecca» 
Mi alzo fiaccamente «Senti Connie, io e te non troveremo mai un punto d’incontro. Tu continua pure a pensare di me quello che ti pare» dico passandomi una mano sulla testa «Ora scusa ma devo chiederti di andartene perché voglio assolutamente parlare con Russel stasera» mi avvicino alla porta di casa mentre lei mi segue.
«Col cavolo che ti lascio parlare con lui!» grida strattonandomi un braccio così forte che mi giro su me stessa finendole quasi addosso.
«Non puoi impedirmi di vederlo» le urlo in faccia.
«Oh sì che posso, e lo farò» dice trascinandomi di nuovo in soggiorno e dandomi una spinta per farmi sedere sul divano «Tu adesso te ne starai qui buona buona perché con lui voglio parlarci prima io» dice con sguardo inflessibile.
«Perché? Cosa vuoi dirgli?» chiedo correndole dietro mentre va verso la porta.
«M’inventerò qualcosa sul momento. Ma ti giuro che se mai vorrà rivederti sarà solo per dirti che sei solo una sporca bugiarda» 
«Fermati! Io non ti ho detto nessuna balla» grido, ma lei senza degnarmi nemmeno di uno sguardo apre la porta «Cazzo Connie devi ascoltarmi!» 
«No, sono stanca di sentire le tue stronzate» dice uscendo. 
La trattengo stringendo in un pugno la sua maglia e con tutto il fiato che ho in gola le urlo dietro 
«COS’È CHE VUOI SAPERE? CHE RUSSEL È L’UNICO UOMO DI CUI MI SONO INNAMORATA E CHE ANCHE SE SONO SPAVENTATA HO ANCORA PIÙ PAURA DI PERDERLO?» 
«Esattamente» dice fermandosi, poi si volta verso di me e schiocca la lingua «E non potevi essere più convincente di così» afferma sorridendomi «Ma cazzo che faticaccia che mi hai fatto fare però» 
Tappandomi la bocca con una mano la fisso incredula. Ora capisco perché mi sembra un’incantatrice di serpenti, è riuscita a farmi dire quello che da chissà quanto tempo nascondo anche a me stessa. 
«Perché l’hai fatto? Perché volevi che ti dicessi…» per oggi sentirmi dire quello che ho detto è già troppo perché possa riuscire a ripeterlo un’altra volta «quello che ti ho detto?» 
«Come perché? Perché volevo sapere se sei innamorata di lui»
Abbasso la testa e guardando il pavimento le dico «Lui però non lo sa. Io non gliel’ho mai detto»
«Oh non importa, sono sicura che prima o poi lo farai, e poi stare ancora un po’ sulle spine gli farà solo bene a quel testone» afferma convinta, mentre io non ho capito un cavolo, poi richiude la porta e la seguo con lo sguardo mentre torna a sedersi sul divano «Ho voglia di carboidrati» dice sollevando le braccia e stiracchiandosi la schiena «Ordiniamo una pizza?» chiede tirando fuori il telefono dalla tasca della tuta. Mi osserva aspettando una risposta, ma io rimango zitta temendo che se apro bocca potrebbe scapparmi qualcos’altro di ancora più sconvolgente di ciò che mi ha estorto con l’inganno, anche se so che l’ha fatto solo a fin di bene, di suo fratello e forse anche mio.    
«Okay, vada per la pizza» dice scrollando le spalle.
«Io però vorrei andare da Russel» dico rigirandomi le mani tra loro.
«Lascialo soffrire per un’altra notte a quell’idiota» mi suggerisce sollevando appena gli occhi dal telefono e strizzandone uno «Dai retta a me che lo conosco bene, vedrai che domani sarà più docile di un cagnolino» poi compone un numero sulla tastiera.
Se lo dice lei mi fido «Aspetta» le dico, poi mi schiarisco la voce «Se ti va posso fare degli spaghetti, tengo sempre un po’ di sugo nel freezer, ci metterò solo dieci minuti a prepararli»
«E vai!» esclama sparando in alto la mano con cui stringe il telefono «Per me doppia porzione» dice e le vado dietro mentre entra in cucina.    
 
«Se io non avessi detto quello che ho detto, davvero avresti fatto di tutto per convincere tuo fratello a lasciarmi perdere per farlo mettere con Amy?» chiedo sollevando gli occhi dal mio piatto vuoto per guardarla mentre siamo ancora sedute a tavola. 
«Puff, stavo bluffando» risponde sollevando le spalle «Non sono mai riuscita a farmi ascoltare da lui. Fa sempre di testa sua. Quando stava ancora con Helen cercai in tutti i modi di convincerlo a lasciarla. Lei non mi piaceva, e soprattutto non mi piaceva come era diventato lui da quando stava con lei. Era sempre nervoso, si irritava per niente e soprattutto nell’ultimo anno non lo riconoscevo più. Sono sicura che lui non l’abbia mai amata veramente, senza però rendersene conto, non è tipo da ingannare così una donna. Forse ha fatto confusione per il legame che si era creato tra loro stando sempre a stretto contatto, prima il film, poi la promozione, era giovane e ancora molto ingenuo, completamente stordito dall’ambiente del cinema ed eccitato per la sua prima esperienza importante a Hollywood, non era ancora pronto per affrontare le forti pressioni a cui veniva continuamente sottoposto dalla produzione, e poi lei l’ha ingannato, non era così insopportabile all’inizio. Qualche mese prima che si lasciassero venne a trovarci per qualche giorno e, la seconda sera che era da noi, a metà cena, si chiuse nella sua vecchia camera per rispondere all’ennesima telefonata della giornata di lei. Come sempre stavano litigando, e come sempre lui le stava ripetendo che non era fuori con nessuna donna ma che stava cenando con la sua famiglia. Non ci ho visto più, sono entrata nella stanza e dopo avergli strappato il telefono di mano l’ho lanciato fuori dalla finestra, e gli ho detto tutto ciò che pensavo di Helen, usando parole piuttosto pesanti e, anche se temevo di ferirlo, ne valse davvero la pena, perché dopo mi sentii leggera come una piuma. Gli dissi anche l’idea che mi ero fatta del perché lui si fosse messo con lei e che doveva mandarla al diavolo al più presto perché io rivolevo indietro il fratello che tanto amavo e che non riuscivo più a vedere in lui» 
«E lui che fece?» 
«Te l’ho detto, è un testone. Mi disse che dovevo farmi gli affari miei, che non era un bambino e mi accusò di essere gelosa, e la mattina dopo fece le valigie e tornò a Los Angeles da lei. Dopo la nostra discussione non ci parlammo per più di due mesi. Finché un giorno mi chiamò per dirmi che se n’era andato da casa, che avevo ragione e infine mi chiese scusa» 
«Quando tornò a casa e la sentì parlare con il suo agente?» chiedo.
«Te l’ha raccontato?» chiede e io annuisco.
«Ma se è davvero come dici tu, che lui non l’ha mai amata, perché è stato così tanto con lei? Posso capire la sua confusione all’inizio, ma dopo cos’è che… che secondo te lo teneva ancora legato a lei da non riuscire a lasciarla?» 
«Me lo sono chiesta spesso anche io, e avrei voluto tante volte chiederlo a lui ma dopo la nostra litigata non tocchiamo più l’argomento nemmeno per sbaglio. Ma ho provato a mettermi nei suoi panni. Un ragazzo così giovane, lontano da casa, dalla sua famiglia, dai suoi amici, trasportato in un mondo totalmente diverso da quello in cui è cresciuto» sospira e continua «Forse cercava solo un punto fermo nella vita e pensava di averlo trovato in Helen. Prima o poi l’avrebbe lasciata comunque, quando sarebbe diventato un uomo» 
«E tu pensi che…» chiedo guardandomi le mani «che lui ora sappia distinguere tra una semplice infatuazione e…» mi prende una mano richiamando la mia attenzione sul suo viso.
«Ne sono assolutamente certa» stringo le sue dita come se attraverso loro potesse trasmettermi la sicurezza che leggo nel suo sguardo. 
«Grazie» le dico. 
In lei credevo di aver trovato una nemica da cui dovermi costantemente difendere, invece al contrario ho trovato un’amica.
«Lui sa di Amy?» le chiedo.
«Sì e no» risponde sospirando.
«Che significa sì e no?» 
«Vuol dire che non sono sicura che lui si ricordi che lei gli confessò di amarlo poco prima di rimanere incinta di Liam» 
«Ma lui ha sette anni? Mi stai dicendo che lei è ancora innamorata di Russel dopo tutto questo tempo? Ma poi scusa, lei nel frattempo è stata con il padre di suo figlio e, anche se lui dopo l’ha lasciata sola a crescerlo, avrà sicuramente provato qualcosa per quel ragazzo»
«Non è così semplice» risponde «Ti dirò una cosa che lei ha confidato solo a me, non la sa nemmeno Russel, e tu dovrai portartela fin dentro la tomba o ti ci metterò dentro io prima del tempo che ti è stato concesso» dice puntandomi un dito in faccia.
«Certo» rispondo intimorita riconoscendo in questo momento in lei Connie la pazza.  
«La sera in cui è stato concepito Liam, è la stessa in cui Amy disse a Russel per la prima e unica volta che lo amava»
Non riesco più a respirare, il mio petto è immobile e la mia gola completamente occlusa, mentre l’immagine di un bambino di sette anni con i capelli biondi e gli occhi turchesi come quelli di Russel continua a sbattere prepotentemente da una parte all’altra del mio cervello. 
Trattenendo le lacrime le chiedo «Russel… Russel è il padre di Liam?»
«No! Ma che cavolo no!» risponde e io butto fuori l’aria «Cazzo respira o ti verrà un accidenti» dice scattando in piedi per sporgersi su di me attraverso il tavolo per scuotermi le spalle «No che non è lui il padre di Liam» 
«E allora chi è?» chiedo mentre si rimette a sedere.
«Ricordati che non devi dirlo a mio fratello» sbuffo sollevando lo sguardo «Una sera d’estate eravamo tutti e tre a una festa a casa di un amico. Sai una di quelle feste con l’alcol che scorre a fiumi, qualche droga leggera e tanti, tantissimi ragazzi e ragazze con gli ormoni alle stelle?» annuisco guardandola con gli occhi sempre più spalancati «Lei non ha mai abusato dell’alcol, e per quanto ne so non ha mai fatto un solo tiro da uno spinello, ma quella sera aveva deciso di parlare con Russel e pensò di farsi coraggio buttando giù qualche bicchierino, e quando si sentì pronta prese mio fratello e lo trascinò in un angolo del giardino. Non era ubriaca, era solo un po’ alticcia, tant’è che si ricorda perfettamente ciò che le disse lui dopo che gli confessò di amarlo, mentre Russel invece era completamente andato, è per questo che non so se lui non ricorda o se finge solo di non ricordarlo»
«Cosa le disse?» chiedo in ansia.
«Le chiese scusa, perché lui invece la considerava solo un’amica, una buona amica, ma nulla di più» 
«E poi che successe? Chi è il padre di Liam?» 
«Amy non lo sa»
«Come fa a non saperlo?»
«Non lo sa perché quando rientrò dentro casa si stordì con tanto di quell’alcol che la mattina dopo si svegliò in una delle camere da letto al piano di sopra, sola e semi vestita, e l’ultima cosa che ricorda è di essere salita per mano a un ragazzo, ma non ricorda chi fosse» 
«Ma com’è possibile?» 
«Te l’ho detto, eravamo tanti quella sera, ubriachi e mezzi fatti, è probabile che nemmeno il padre di Liam si ricordi niente»  
«È terribile» commento.
«Quando scoprì di essere incinta fu un brutto colpo per lei. Era stata respinta dall’uomo che amava e aspettava un figlio da un altro senza nemmeno sapere chi fosse. Ma malgrado il dolore e le difficoltà non esitò un solo istante e decise di tenerlo. Disse ai suoi che il padre non voleva saperne niente, né del bambino né di lei, e loro le hanno creduto. L’unico che a distanza di anni non si dà per vinto è mio fratello, che ogni tanto ancora le chiede chi è il farabutto che non ha voluto prendersi cura di lei e di Liam, ma lei non demorde e continua a tenergli nascosto tutto, compreso il fatto di amarlo» 
Anche se per ovvi motivi Amy non è in cima alla classifica delle persone che mi stanno più simpatiche, l’ammiro per il coraggio che ha dimostrato tenendo il bambino, e sono sicura che non si sia mai pentita della scelta fatta, e che oggi suo figlio sia per lei il dono più bello che le ha dato la vita. E poi non posso nemmeno biasimarla per essere innamorata di Russel, non certo io, che con lui inizio a capire che cosa significa esserlo.
«Domenica Amy mi ha detto una frase che non ho capito, ma tu forse puoi aiutarmi a comprenderla. Ha detto che se sto prendendo in giro Russel dovrei lasciarlo stare perché qualcuno potrebbe farsi male sul serio. Tu sai perché?»
«Perché come me ha capito che Russel è innamorato di te, e che questa volta non è come con Helen» risponde come se dovesse essere ovvio anche per me.
«E da cosa l’avete capito? Quando siamo con gli altri stiamo sempre molto attenti a tenere nascosta la nostra relazione» dico con altrettanta ovvietà nella voce.
Sorride sollevando le labbra da un lato e muove il capo «Credimi, per me e Amy che conosciamo bene mio fratello nessuna vostra accortezza potrebbe essere sufficiente. Lui ti cerca continuamente, con gli occhi, con il corpo, quando parla con qualcun altro appena sente la tua voce finge di ascoltarlo ma in realtà presta attenzione a ciò che stai dicendo tu, e quando non siete insieme sembra che gli manchi l’aria e che ricominci a respirare solo quando ti rivede»
«Tu in così poco tempo hai visto tutto questo?» chiedo con le guance in fiamme.
«Beh ho visto anche altro, ma forse è meglio se lo tengo per me perché non mi va di sprecare la mia birra gettandotela in faccia per spengere l’incendio in cui divamperebbe» dice ridacchiando e indicandomi con la bottiglia di birra per poi portarla alle labbra e berne un sorso. 
«No no, tienitelo pure per te» le dico agitando la testa perché ho capito che si riferisce all’attrazione che c’è tra me e suo fratello e che per ovvi motivi fisici io posso nascondere meglio di lui «Però non mi hai detto cosa voleva dire Amy» 
«Voleva dire che se ti stavi prendendo gioco di lui e io fossi intervenuta per aprirgli gli occhi, e lei sa che l’avrei fatto, questa volta avrei perso per sempre mio fratello, perché lui è talmente preso da te che non me l’avrebbe mai perdonato»      
«Io non voglio che litighiate per me» dico in ansia.
«Oh ma non succederà perché tu mi piaci» la guardo corrucciando la fronte «Tranquilla, non ruberei mai la donna a mio fratello, anche se sono convinta che se volessi potrei riuscirci facilmente» dice, poi mi chiede «Non sei mai stata con una donna?» nego vigorosamente «E non ti andrebbe di provare?» mi fa l’occhiolino e io sento la bocca che si secca all’improvviso mentre la mia testa continua a muoversi a destra e sinistra autonomamente «Beh è un vero peccato, non sai quello che ti perdi» dice poggiando una mano sopra la mia e fissandomi negli occhi mentre io sono sempre più basita «Stavo scherzando!» esclama dandomi un colpetto sulla mano e scoppiando a ridere.
Io la fisso un attimo poi scuoto la testa e mi alzo «Certo… l’avevo capito» dico, poi prendo i piatti sporchi e corro a nascondermi in cucina.
 
Mentre metto le ultime cose in lavastoviglie e Connie è in bagno suonano alla porta.
«Stavi aspettando qualcuno?» chiede Connie venendomi incontro mentre vado ad aprire.
«No» rispondo e a un passo dalla porta mi volto verso di lei allarmata «E se fosse Russel?» 
«Cazzo! Se mi trova qui penserebbe sicuramente che mi sto impicciando degli affari suoi» la guardo facendole un sorrisino ironico «Non fare quella faccia e dimmi dove posso nascondermi» dice tirandomi per un braccio.
«Vai là dentro» dico indicando la porta del guardaroba «Cercherò di portarlo in camera prima possibile» 
«Sì ma non metterci troppo perché voglio andare da Karen» sibila accostando la porta. 
Io la riapro e per prendermi una piccola rivincita le dico «Ricordati che anche io voglio bene a Karen e che se la farai soffrire dovrai vedertela con me» il campanello suona un’altra volta.
«Arrivo subito!» grido sbattendole la porta in faccia prima che possa ribattere.
Mi guardo un attimo allo specchio dell’ingresso e dopo essermi sistemata i capelli apro, e un attimo dopo mi sento svenire.
«Ciao Tesoro!»       
 
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Avete capito chi è la seconda visita a sorpresa per Reb?
 

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Capitolo 26
*** Cap. 26 - Abitudine ***


Ebbene sì, è arrivato Dario!
Buona lettura.
 
*******************
 
 
CAP. 26 - ABITUDINE
 
Come fare a dirtelo 
che non ci sei più dentro me, 
che siamo l’eco di parole 
intrappolate in fondo al cuore. 
 
Come fare a dirtelo 
che non ci sei più dentro agli occhi miei, 
che siamo solamente incomprensione e lacrime. 
 
E ci sarebbe da capire 
com’è stato facile 
congelarsi sotto tutti i nostri desideri 
e sentirli inutili. 
 
Come fare a dirti che 
non c’è più spazio per progetti 
e tanto non ne abbiam mai fatti 
e che sarebbe stupido. 
 
Come fare a dirti che ho voglia di morire 
come in fondo sto facendo già da un po’. 
 
Subsonica
 
**
 
Mi guardo un attimo allo specchio dell’ingresso e dopo essermi sistemata i capelli apro, e un attimo dopo mi sento svenire.
«Ciao Tesoro!»   
«Da-rio» balbetto mentre lui lascia cadere a terra la valigia e fa scivolare lo zaino dalla spalla riservandogli lo stesso trattamento. 
Rigida come Pinocchio, quasi non mi rendo conto che mi ha sollevata da terra circondandomi la vita e che mi sta stringendo alternando baci sul collo e sul viso tra una parola e l’altra «Mi sei mancata Tesoro, tanto, tantissimo» stringendomi la nuca spinge il mio viso contro il suo mentre io sono sempre più di legno, tengo le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi fissi sulle valigie a terra «È da quando sei partita che aspetto di poterti tenere di nuovo tra le braccia» dice continuando a stringermi e guardandomi negli occhi, poi mi bacia. 
Appena sento le sue labbra sopra le mie mi riprendo immediatamente dallo shock e serrandole gli appoggio le mani sopra le spalle e lo spingo indietro «Ma… ma che ci fai qui?» chiedo nascondendo il disappunto per il suo arrivo inaspettato.
«Non ce la facevo ad aspettare ancora, ho preso un aereo e sono venuto per farti una sorpresa» risponde sorridendo e tenta di baciarmi di nuovo ma volto il viso di lato e la sua bocca si appoggia sulla mia guancia destra.
«Ma tuo padre?» mentre parlo tengo le mani sopra al suo petto per evitare che tenti ancora di baciarmi.
«È venuta la sorella di mia madre per darle una mano. E io non ho perso tempo, ho fatto le valigie e sono venuto da te» appena termina la frase sento sbattere una porta alle mie spalle e vedo la faccia sorpresa di Dario che guarda dietro di me. 
Cazzo, mi ero scordata di Connie.
«Ciao. Tu devi essere…» dice lei.
«Dario» risponde lui e finalmente mi mette a terra per stringere la mano di Connie che vedo spuntare accanto al mio fianco.
Aspettandomi di vedere la sua faccia trasfigurata dalla rabbia, mi volto con timore per guardarla. Rimango invece basita nel vederla sfoderare un sorriso gioviale mentre si presenta a Dario «Ciao, io sono Connie, una cara amica di Rebecca» dice con gli occhi puntati in quelli di lui, poi lasciandogli la mano li sposta su di me, mentre Dario mi ha circondato la vita con un braccio premendomi contro di sé.
«Lavorate insieme?» chiede lui guardando prima lei e poi voltandosi verso di me.
«No… noi…» 
Connie interviene rispondendo al posto mio «No, sono la fidanzata di Karen, è lei che lavora con Rebecca»
«Certo, Karen» risponde Dario «Mi hai parlato di lei» dice rivolgendosi a me. 
«Eh sì» rispondo in tremendo imbarazzo mentre lui mi bacia la tempia sotto lo sguardo che comincia a indurirsi di Connie.
«Si è fatto tardi e io devo andare» dice lei «Ho guardato dappertutto ma il regalo di Karen nel tuo guardaroba non c’è» la guardo abbassando le sopracciglia «Sei sicura di non averlo messo dentro l’armadio in camera?» mi chiede, e io dischiudo le labbra sapendo che dovrei risponderle qualcosa ma, non avendo la minima idea di cosa, la guardo inebetita senza produrre nemmeno un suono «Scusa Dario, te la riporto subito» dice prendendomi una mano e tirandomi via con uno strattone da lui «Ma la settimana passata ho lasciato qui un regalo per Karen perché temevo che potesse trovarlo a casa mia, ma se Rebecca non mi aiuta a trovarlo, da sola non ci riuscirò mai» gli spiega trascinandomi.
«Oh certo, fate pure. Io intanto porto le valigie dentro» risponde Dario mentre Connie mi spinge dentro la camera.
«Che cazzo ci fa lui qui?» bisbiglia piegandosi su di me dopo aver chiuso la porta.
«Ha detto che voleva farmi una sorpresa» rispondo appoggiandomi con le spalle al muro e guardando il pavimento mentre lei fa avanti e indietro per la stanza. 
«Cazzo, se mio fratello lo scopre succede un casino» 
Mi stacco dal muro e le vado di fronte «No! Lui non deve saperlo. Tu devi tenerlo lontano da qui» dico allarmata prendendole gli avambracci.
«È chiaro che lo terrò lontano da casa tua» dice appoggiandomi le mani sopra le spalle e stringendole «Non voglio certo passare il resto dei miei fine settimana a portargli le arance in carcere» 
«Cazzo, Connie, però così mi spaventi ancora di più» dico circondandomi con le braccia lo stomaco che comincia a bruciarmi per l’agitazione. 
«Perché è quello che succederà se scopre che Dario è qui, quindi tu devi promettermi che domani lui sarà fuori da casa tua» il suo sguardo non ammette repliche «Perché non credo che riuscirò a tenerti Russel lontano ancora per molto. È probabile che voglia venire da te già stasera» 
Faccio un passo indietro liberandomi dalle sue mani «Sì, io gli parlerò prima possibile. Ma tu ora vai subito a casa» le dico pensando che Russel potrebbe già essere sulla strada per venire da me.
«Dammi qualcosa» dice guardandosi intorno.
«Qualcosa cosa?» chiedo.
«Il regalo di Karen. Dammi una busta, una scatola, che ne so… qualcosa»
«Prima di andare via devi aiutarmi» dico tirando via le lenzuola dal letto «Che fai lì immobile?» chiedo mentre sfilo un cuscino dalla federa «Non fare quella faccia. C’ho dormito con tuo fratello qui dentro, quindi datti una mossa e aiutami. Non voglio che Dario sappia di lui» 
Sbuffa e guarda in aria «Dove le tieni le lenzuola?»
«Lì dentro» indico uno sportello dell’armadio «Tu rifai il letto che io devo occuparmi di un’altra cosa»
Mentre lei stende le lenzuola pulite sul letto, io arrotolo quelle che ho tolto e le getto in un angolo dell’armadio, poi prendo una busta da shopping vuota.
Entro in bagno e tolgo lo spazzolino di Russel dal bicchiere e lo metto nella busta, stessa cosa con i suoi rasoi e la schiuma da barba che tiene nel mio mobiletto, prima di richiuderlo guardo un attimo la confezione degli assorbenti, ci penso un attimo poi la tiro fuori e la lascio in bella vista, anche se non ho più il ciclo, a questo punto bugia più bugia meno non fa differenza. 
Mi volto per uscire dalla porta e vedo Connie che mi guarda stando appoggiata allo stipite «Certo che sei diabolica» afferma indicando gli assorbenti. 
Passandole davanti per uscire dal bagno faccio spallucce «Meglio prevenire che curare» dico, poi le do la busta «Qui ci sono delle cose di Russel, falle sparire» 
Dopo che Connie ha memorizzato nel suo telefono il numero del mio, usciamo dalla camera e vedo Dario che osserva la libreria, appena ci sente si volta un attimo «Non sapevo che ti eri portata tutta la tua roba» dice osservando libri, dvd e cd. 
Quando vedo che circonda con una mano la statuetta della Sirenetta richiamo la sua attenzione «Connie sta andando via» e appena la lascia sopra la libreria tiro un sospiro di sollievo.  
«Trovato il regalo?» le chiede Dario avvicinandosi, ma lei sembra non aver capito e lo osserva in silenzio «Il regalo per Karen» le dice indicando la busta che ha tra le mani.
«Oh sì certo» dice mettendola sotto braccio «Anzi, scappo perché voglio assolutamente darglielo stasera» continua indietreggiando verso la porta «Dario, è stato un piacere, ci ved… addio» 
«A presto» risponde lui alzando una mano.
Accompagno Connie alla porta, quando è fuori si avvicina fingendo di darmi un bacio sulla guancia per dirmi «Ricordati, domani a quest’ora lui deve essere fuori da qui, o accompagnerò io stessa mio fratello da te» un brivido mi scorre sulla schiena mentre lei si raddrizza «Ciao Rebecca, e grazie» dice a voce alta sorridendo, poi si volta in fretta. 
La seguo con lo sguardo, e appena realizzo di essere rimasta sola con Dario, mi faccio coraggio e prendendo un respiro profondo chiudo la porta.
«Vieni qua» dice stando in piedi davanti al divano e allargando le braccia. 
Mi avvicino lentamente mentre nella mia testa risuonano le promesse che Russel mi ha strappato dalle labbra non so quante volte: “Promettimi che non ti farai toccare da lui… e che non ti vedrà nuda. E che se proprio dovrai baciarlo… lo farai senza tirar fuori nemmeno un solo pezzetto di lingua e che non permetterai alla sua di entrare nella tua bocca”. E io ho promesso, ho promesso e non voglio rimangiarmi la parola, perché sarebbe peggio che tradire me stessa.
Appoggiando le mani ai suoi fianchi, e il viso sopra il tessuto morbido della sua camicia bianca, lascio che mi avvolga, respiro il suo odore che per un anno intero mi ha incendiata, ma che in questo momento mi sembra quello di un sconosciuto, uno sconosciuto che mi tiene tra le sue braccia contro il mio volere. 
«Se tu sapessi quanto mi sei mancata» dice inclinando il capo per appoggiare una guancia sopra la mia testa «Quando tornerai a casa non ti lascerò più andare da nessuna parte» 
Stacco le mani da lui «Devi cenare?» chiedo allontanando il viso dal suo petto ma senza sollevare lo sguardo. Spero che mi dica di sì così da poter guadagnare un po’ di tempo preparandogli qualcosa da mangiare.
«No, ho mangiato in aereo» risponde sollevandomi il mento, e io mi sento in trappola «Fatti guardare» i suoi occhi verdi si spostano lentamente su tutto il mio viso fino a fermarsi nei miei «Sei ancora più bella. Ti fa bene l’aria di Los Angeles» dice, e tenendomi la nuca con una mano bacia la mia cicatrice, trattengo il fiato quando scende di lato baciandomi prima lo zigomo poi la guancia, appena mi sfiora le labbra mi allontano all’improvviso e lui lasciando cadere le mani lungo i fianchi non oppone resistenza, come sempre.
«Sarai stanco…» dico indietreggiando di qualche passo e strusciando i palmi delle mani tra loro «Se vuoi farti una doccia puoi usare il bagno in camera… che stupida!» esclamo battendomi una mano sulla fronte «Non ti ho ancora fatto vedere la casa» 
Mi segue in silenzio mentre gli indico le varie porte aperte «Lì c’è il guardaroba, lo studio, il bagno, e questa è la camere» dico entrandoci dentro mentre mi segue. Quando mi volto vedo che sta osservando il letto «Fai con comodo. Io userò l’altro bagno» dico uscendo in fretta.
Cazzo cazzo cazzo, e ora che faccio? Prima di tutto devo prendere un pigiama dall’armadio. 
Mi volto di scatto per tornare in camera e mi scontro con lui che è sulla porta «Scusa, devo prendere la valigia» dice tenendomi le spalle. Ha il volto teso, sa che gli sto sfuggendo di proposito. 
«Sì certo» mi sposto di lato lasciando che mi sorpassi e dopo aver recuperato la valigia e lo zaino dall’ingresso li porta in camera.
Mi siedo sul divano e appoggiando i gomiti sulle ginocchia abbasso la testa, a occhi chiusi mi massaggio le tempie attendendo di sentir scorrere l’acqua della doccia per poter rientrare in camera. 
  
Esco dal bagno con addosso un pigiama che ha sul desiderio sessuale lo stesso effetto dell’acqua santa col diavolo, e sedendomi sul divano aspetto Dario.
Dopo qualche minuto appare con addosso una t- shirt e un pantalone nero di una tuta, sorride e si siede accanto a me «Sei molto carina con il pigiamone con i panda» dice sfilandomi le pantofole, poi solleva le mie gambe da terra e le mette sopra le sue. 
Infilando una mano in fondo al mio pantalone lo alza scoprendomi una gamba fino al ginocchio «Sono quasi sparite del tutto»
«Sì, anche quelle sulle braccia» dico tirando in basso le maniche del pigiama fino a coprirmi quasi del tutto le mani. Un gesto che mi ha visto fare fino alla noia e che tollera da mesi, insieme al disagio che manifesto quando le sue mani si posano su di me, o quando le mie labbra si serrano automaticamente se capisco che vorrebbe di più di un bacio pressoché fraterno. 
Ormai solo con lui mi vergogno ancora a mostrare i segni dell’incidente, come se vedendoli potesse intuire la verità, ma sono sicura che lui pensa che non voglio mostrarmi per paura di non piacergli più, e io non ho mai fatto niente per non lasciarglielo pensare. 
A volte mi chiedo come faccia ad amarmi ancora e ad accettare un simile comportamento, considerando che prima che scoprissi di essere incinta non erano certo i momenti di intimità a mancare tra noi. La lontananza non ha mutato niente, inoltre Dario non può certo sapere che il pensiero di Russel ha ulteriormente peggiorato la situazione.  
«Quando riparti?» chiedo.
«Giovedì mattina ho il volo per San Francisco per raggiungere gli altri e insieme andremo a Monterey» dopo un breve pausa chiede «Domani rimarrai a casa con me?» 
Invece di rispondere gli dico «Dario, devo parlarti» i suoi occhi stanchi mi scrutano attenti mentre riappoggio i piedi a terra «Devo parlarti di noi» 
Ormai mi conosce, sa che non è da me intavolare una conversazione che includa la parola “noi”, almeno che non si tratti di qualcosa che non gli piacerà affatto.  
«Hai già bevuto il tuo latte?» chiede.
Mentre aspetta la risposta lo guardo sorpresa come se mi avesse chiesto se lo desidero corretto con una puntina di cianuro «No…»
«Allora tu stai qui che te lo preparo io» si alza e va in cucina.
«Aspetta…» 
«Sono molto stanco, non ho chiuso occhio per tutto il volo. Ti preparo il latte poi vorrei andare subito a letto» dice voltandosi «Possiamo rimandare a domani?» 
Durante la doccia mi sono caricata di tanto di quel coraggio che non penso sarà svanito domani mattina, e in fondo avevo messo in conto di dover dormire con lui «Okay» rispondo, sapendo che tanto ha recepito il messaggio che gli ho lasciato in bagno e che ho ribadito con il mio pigiama, anche se forse non ce n’era affatto bisogno.
 
Un bacio a fior di labbra, la frustrazione negli occhi di Dario che ha capito che non voglio nessun contatto fisico con lui, e ognuno con la testa sul proprio cuscino. Lui che si è addormentato quasi subito un’ora fa, io che lo guardo da quando ha chiuso gli occhi stando immobile per paura di svegliarlo, senza spostare nemmeno il braccio ormai intorpidito ripiegato sotto la mia testa.
Guardandolo mi tornano in mente le volte in cui Russel mi ha detto quanto lo tormentasse pensarmi sopra questo letto con lui e tutti i miei pressoché inutili tentativi per tranquillizzarlo. 
Ma ora vorrei dirgli che la gelosia che ho provato fino a oggi nei confronti di tutti gli altri era il mio metro di giudizio, e che quindi non potevo capirlo fino in fondo, che ho capito cosa prova solo quando ho preso coscienza che Amy rappresenta una minaccia reale. 
Vorrei dirgli che ora conosco anche io quella sensazione di dolore improvviso che ti fa perdere il contatto con la realtà, che sembra chiuderti i canali di collegamento tra un neurone e l’altro impedendoti di ragionare razionalmente, che dilaga dentro al tuo petto, come un fiume in piena che trascina con sé detriti troppo ingombranti perché il tuo cuore e i tuoi polmoni riescano a funzionare come fanno da tutta una vita, dandoti anche la certezza che il lavoro intenso a cui sono stati sottoposti, anche se per solo pochi istanti, li abbia irrimediabilmente danneggiati per sempre, che ti riempie la testa di una sola immagine: la persona che ami, che sorride, sfiora, bacia, fa l’amore, con qualcun altro che non sei tu.   
Scendo dal letto con le movenze e la lentezza di un ladro che sta attraversando la stanza di un museo protetta da un allarme a infrarossi, e senza staccare gli occhi da Dario esco dalla camera, solo dopo aver accostato la porta ricomincio a respirare regolarmente.    
Seduta sul divano ripercorro mentalmente tutto ciò che devo dire a Dario, ma in pochi minuti il pensiero di Russel mi distrae, e mi ritrovo, malgrado che fino a oggi abbia fatto di tutto per impedirmelo, a confrontare, escludendo mio padre, i due uomini che entrando nella mia vita l’hanno segnata in modo assolutamente indelebile. Penso a Dario, posato e con la testa sulle spalle, che è entrato in punta di piedi nella mia vita, che ha capito e mi ha detto dopo un anno che mi ama, che aspetta paziente che anche io capisca e ammetta di amarlo, senza avermi mai fatto pressioni di alcun tipo. Mi sento in colpa per avergli mentito, per averlo illuso, per averlo tradito, ma non per non essere mai stata innamorata di lui e quindi non averglielo mai detto, non ho mai sentito l’esigenza di ripagarlo con un “anch’io”, nemmeno per dissolvere la delusione che talvolta leggo nel suo viso quando rimango in silenzio dopo che mi ha detto che mi ama. Dario che ogni volta che mi tocca mi ricorda quanto sono stata meschina con lui, e con cui probabilmente non sarei più capace di avere di nuovo un rapporto intimo come prima. Dario a cui auguro di dimenticarmi in fretta e di trovare una donna che lo ami come merita. 
Poi penso a Russel, che invece è entrato nella mia vita a gamba tesa, che senza chiedermi il permesso ha preteso di farne parte e che con una velocità disarmante la sta stravolgendo, che mi ha addirittura detto che in qualche modo io ero nella sua già da prima che mi conoscesse, che ci ha messo così poco tempo a capire e a dirmi che mi ama, che quando me lo dice non è deluso perché non sente uscire dalle mie labbra le sue stesse parole, perché sembra riuscire a vederle, toccarle, assaporarle, odorarle. Russel che mi fa provare una inspiegabile ansia da prestazione per i sentimenti, che mi sta portando a desiderare di dirglieli per condividerli con lui e alleggerirmi della zavorra troppo pesante che ancora mi tiene con i piedi ben saldi a terra. Russel, con la sua gelosia quasi ossessiva e i suoi atteggiamenti talvolta infantili. Russel, con cui sono sicura non diventerebbe mai un’abitudine. Russel, che dice che manco solo io. Russel, per il quale voglio esserci solo io. Russel, che, se in questo momento fosse disteso con me su questo divano con la coperta a coprire anche le sue spalle, con il sonno che mi scioglie la lingua e i legacci chiusi a doppio nodo attorno al cuore, mi sentirebbe rispondere per la prima volta nella mia vita: “Anch’io”. 
 
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Mercoledì 25 Luglio 2012
 
Il sole che filtra attraverso il tessuto leggero della tenda mi scalda e illumina il viso svegliandomi. Spalanco gli occhi e scatto a sedere sul divano, guardo il lettore dvd, sono le sette. Ripiego in fretta la coperta e sistemo i cuscini, poi getto lo sguardo sulla porta della camera che per fortuna è ancora accostata. 
Con gesti meccanici e la testa altrove preparo la colazione, troppo altrove purtroppo, perché mentre chiudo la moka mi scappa di mano il pezzo di sopra che si schianta sul lavello sbattendo più volte e facendo un gran fracasso prima di fermarsi, il tempo di recuperarlo, avvitarlo con cautela e mettere il caffè sul fuoco, che la porta di camera si apre.
«Tesoro, sei già in piedi?» chiede Dario avvicinandosi.
«Avevo fame. Scusa se ti ho svegliato» dico tirando fuori il latte dal frigo.
«Ho dormito come un sasso, ero davvero stanco» meno male, vuol dire che non si è accorto che non ero accanto a lui stanotte «Però avrei preferito trovarti al mio fianco quando mi sono svegliato»    
Mentre prendo due tazze da uno sportello mi abbraccia da dietro, m’irrigidisco quando le sue mani s’intrecciano sopra al mio ventre, lui se ne accorge e dopo avermi baciato una tempia si allontana.
   
«Ho preso un’auto a noleggio» mentre bevo il latte sollevo lo sguardo dalla tazza per guardare Dario «Ti va di andare al mare?» chiede. 
Buttando giù l’ultimo sorso nego con il capo «Dario, devo assolutamente parlarti» 
«Okay» dice alzandosi da tavola «Prima però andiamo a vestirci che dopo usciamo»
Non faccio in tempo a rispondere che è già entrato in camera. Comincio a pensare che stia rimandando ogni volta di proposito.
Sparecchio la tavola e dopo aver indossato il primo paio di jeans e la prima maglia che ho trovato nell’armadio, mando un messaggio a Meg per avvertirla che non andrò a lavoro e aspetto Dario sedendomi sul divano.  
Appena entra in soggiorno noto subito che è nervoso, il suo sguardo divaga per la stanza evitando il mio, solo dopo essersi avvicinato al divano con passo stanco, e dopo essersi seduto, i suoi occhi si posano sul mio viso. 
Raduno per l’ultima volta le idee, ma appena apro bocca parla lui per primo.    
«Fa’ parlare prima me per favore» dice prendendomi una mano e chiudendola tra le sue «Non sono stupido e, anche se in questi mesi hai fatto di tutto per nasconderlo, l’ho capito appena ho messo piede qui dentro. Perché mi hai mentito?» 
Mentre il panico mi prende a poco a poco, faccio mente locale per capire quali possano essere le tracce di Russel ancora dentro casa che gli hanno fatto capire il mio tradimento «Dove ho sbagliato con te?» chiede con sguardo comprensivo. 
«Oh Dario, credimi, tu non hai sbagliato proprio niente, sono io che ho sbagliato, che sono sbagliata. Tu sei un uomo splendido e non ti meriti quello che ti ho fatto e ti giuro che vorrei poter rimediare ma ormai ti ho mentito e non posso tornare indietro» 
«Perché mi hai detto che saresti venuta a Los Angeles solo per pochi mesi quando invece pensavi di trascorrerci molto più tempo?» quindi è questo che ha capito entrando? Che gli ho mentito riguardo al trasferimento?
«Io… io avevo bisogno di tempo. Avevo bisogno di allontanarmi da te per pensare a noi due» 
«E l’hai fatto?» chiede incerto.
«Sì… e ho capito che non ti amo» come se fosse il mio, sento il suo cuore che dopo un colpo sordo più forte degli altri rallenta i battiti «Dario, lo so che ho sbagliato, io non dovevo farti credere che noi due un giorno…» 
«NO!» grida guardandomi come se la mia vicinanza lo soffocasse, e un attimo dopo scatta in piedi. Dopo aver fatto due passi allontanandosi si volta verso di me «Tu ancora non stai bene… non dovevi venire a Los Angeles, tu dovevi rimanere con me, io ti avrei aiutata, ti sarei stato accanto, come ho fatto prima che tu partissi» si ferma di fronte a me e dopo aver svuotato i polmoni si passa una mano sulla nuca e guardando il pavimento parla a voce bassa più a se stesso che a me «Non dovevo permetterti di andartene»
«Non avresti potuto fare niente per impedirmelo» mi alzo e con cautela mi avvicino a lui.
«Dovevo farti capire quanto ti amo, quanto ho bisogno di te. Dovevo dirti che…» solleva lo sguardo da terra e mi guarda sorpreso come se non si aspettasse di vedermi nella stessa stanza con lui.
«Dario, non serve a niente pensare cosa avresti potuto fare. Non avrebbe fatto nessuna differenza. Anche se fossi rimasta in Italia oggi… oggi non ti amerei lo stesso. E se continuassi a stare con te con il tempo diventerebbe solo un’abitudine e sono sicura che non lo vuoi nemmeno tu»   
Scuote la testa «Non puoi saperlo. Non sei andata via per pensare, ma per scappare da me. Tu non vuoi innamorarti e temevi che potesse succedere, io lo so. Tu dopo l’incidente avevi bisogno di me e questa consapevolezza ti ha spaventata»  
«Io mi sono appoggiata a te ma ho sbagliato a farlo, ho capito solo troppo tardi che ti stavo illudendo» continua a scuotere la testa a ogni mia frase «Dario, maledizione! Tu non mi stai ascoltando!» 
«No che non ti ascolto!» mi blocca le spalle guardandomi dritta negli occhi «Tu stai farneticando e cerchi solo delle stupide scuse per allontanarmi. Ormai ti conosco e niente di quello che potrai dire mi convincerà che il tuo non è altro se non l’ennesimo tentativo per tenermi lontano. Noi stiamo bene insieme, devi superare le tue paure e fidarti di me. Da quando stai con me tu usi solo questo» dice appoggiando l’indice della mano destra sopra la mia fronte, poi continua premendo una mano sul mio petto all’altezza del cuore «Devi provare a usare questo» 
«Dario, ti assicuro che io è con questo che ti sto parlando» dico appoggiando la mano sopra la sua «E ho bisogno che mi ascolti» mi spinge indietro con la mano che è ancora sopra la mia spalla e andando in camera mi lascia lì da sola.
«Che fai?» chiedo rimanendo sulla porta quando vedo che prende la valigia da terra. 
«Me ne vado» dice sprezzante chiudendo la zip con un colpo secco.
«Come te ne vai? Dove?» chiedo mentre si carica in spalla lo zaino e solleva la valigia dal letto, poi mi passa accanto senza rispondere e senza guardarmi.
Gli corro dietro mentre si avvicina alla porta di casa «Tu non puoi andartene così. Io devo dirti…» 
Si volta all’improvviso e mi blocca le spalle «Prima di andarmene però voglio sapere una cosa» fa una breve pausa in cui faccio in tempo a capire che i suoi occhi mi stanno mettendo alla prova «Perché la sera dell’incidente stavi venendo da me? E questa volta dimmi la verità» 
Con tono sconfitto gli rispondo «Per lasciarti e per…» con una mano mi tappa la bocca.
«Tornerò lunedì» dice premendo la mano e guardandomi duramente «Nel frattempo pensa a cosa mi dirai, perché non accetto un’altra bugia» poi mi lascia e dopo essersi voltato apre la porta «Stanotte non hai dormito con me. Quando tornerò parleremo anche di questo»    
Rimango di sasso mentre la porta si chiude alle sue spalle. Non ci capisco più niente. L’unica volta che gli ho detto la verità mi ha accusata di mentirgli. Perché? Cosa si aspettava che gli dicessi? Perché prima era nervoso? E perché sembrava voler evitare che gli parlassi? E perché quando si è alzato ha finto di non sapere che ho dormito sul divano?
Il telefono che inizia a suonare sul tavolino mi spaventa, con una mano sul petto guardo chi è, un numero sconosciuto. 
«Pronto?» 
«Dove sei?» chiede Connie.
«A casa perché?»
«Perché Russel sta venendo da te» 
«Come sta venendo da me? Ti avevo chiesto di tenerlo lontano da qui» dico pensando che ora non ce la faccio ad affrontare anche lui.
«È uscito di casa perché aveva un appuntamento con il suo agente e in macchina ha visto la busta con la roba che mi hai dato ieri sera» 
«Connie! Ti avevo detto di farla sparire» 
«Ero così agitata che me la sono dimenticata sul sedile. È tornato in casa e mi ha chiesto che cosa ci faceva la sua roba in macchina»
«E tu che gli hai detto?» quando non risponde mi spazientisco «Connie, che gli hai detto?» 
«Rebecca, credimi, era talmente incazzato che non sono riuscita a inventarmi niente, quindi gli ho detto la verità»
«Tutta?» chiedo.
«Sì, che ieri sera sono rimasta a cena da te e che è arrivato Dario» dopo un attimo di silenzio aggiunge «Ti consiglio di farlo uscire di casa prima che arrivi mio fratello, perché ti giuro che non l’ho mai visto così incazzato» 
Deglutisco poi sospiro «È già andato via» le dico.
«Meno male. Per lui intendo» dice con voce più rilassata, poi chiede «Quindi gli hai già parlato?» 
«Ora non ho tempo per stare con te al telefono. Ci sentiamo più tardi okay?» 
«Sì sì scusa. Quando puoi chiamami. E scusami ancora»
«Ciao Connie» 
Riattacco e vado davanti alla portafinestra, guardo di sotto e con le braccia incrociate sul petto aspetto di veder entrare Russel nel residence. 
Pochi minuti di attesa e lo vedo sbucare dal cancello. Mentre attraversa il cortile come un carro armato che sta invadendo uno stato nemico, infila nella tasca davanti dei jeans il telecomando dell’auto, poi si sfila il cappello da baseball e lo caccia nella tasca di dietro, stessa cosa con gli occhiali da sole, aggirata la piscina si avvicina alle scale, da qui non riesco a vederlo, ma non faccio fatica a immaginarlo mentre fa gli scalini a due a due, forse a tre a tre. 
Mi volto e vado ad aprire la porta di casa. 
Meravigliato di trovarmi ad aspettarlo, a un passo dalla soglia rallenta la marcia, ha l’aria di chi pensava di dover aprire a spallate.
«Dov’è?» chiede spingendomi di lato senza tante cerimonie ed entrando.
Chiudo la porta con molta calma e lo guardo mentre si gira su se stesso «Non è qui» rispondo quando vedo che fa un passo per andare in direzione della camera. 
Si ferma e con le mani sui fianchi mi viene di fronte «Ti ha avvertita Connie vero?» il suo sguardo mi fa quasi pensare che se sbaglio a rispondere sfogherà con me la rabbia che cova nei confronti di Dario.
«Certo che mi ha avvertita. Cosa credevi, che sarebbe stata a guardare mentre facevi una cazzata?» 
«Beh lei non è qui, non avrebbe visto un bel niente» risponde allargando le braccia.
«E io? Io cosa avrei visto?» chiedo facendo un passo verso di lui ma rimanendo comunque a distanza «Perché sei venuto? Cosa volevi fare?» 
Mi guarda allargando le narici e stringendo i pugni «Non lo so» lo guardo sollevando un sopracciglio, un attimo dopo anche l’altro «Non lo so… so solo che dovevo venire qui» si passa una mano tra i capelli poi guardando il pavimento aggiunge «Non dirmi che non hai capito perché volevo andare dai miei quando lui sarebbe stato qui perché non ci credo» parla come se volesse dimostrarmi che ha provato a fare la cosa giusta, ma che è colpa delle circostanze se poi non ci è riuscito.
«Sì, l’avevo capito» dico senza riuscire a mettere nemmeno una nota di rimprovero nella voce come invece dovrei.
Con le mani in tasca e spostandosi prima su un piede poi sull’altro chiede «L’hai fatto uscire chiedendogli di andare a comprarti il giornale o… o gli hai già parlato?»  
«No, niente giornale» mio malgrado, spengo immediatamente la scintilla della vittoria che si è accesa sul suo viso dicendogli «Ho provato a parlagli, ma non mi ha ascoltata. È andato via poco prima che arrivassi tu dicendo che quando tornerà lunedì pretende di sapere da me la verità sul perché il giorno dell’incidente stavo andando da lui» 
«E tu perché non gliel’hai detta subito?» chiede, mentre con cautela, e sapendo di avere i suoi occhi addosso che cercano di carpire dalle mie movenze cosa sto per dirgli, mi siedo sul divano.
«Ho fatto in tempo solo a dirgli che stavo andando da lui per lasciarlo, poi non mi ha permesso di continuare e se n’è andato» 
«Dovevi insistere» dice, poi si lascia cadere sul divano «Cazzo!» esclama, e tira fuori dalla tasca di dietro il cappello arrotolato e gli occhiali con una lente che si è rotta, li lancia entrambi sul tavolino mentre io cerco di non scoppiare a ridere «E poi che vuol dire che non ti ha permesso di continuare?» chiede guardando distrattamente gli occhiali rotti.  
«Vuol dire che mi ha tappato la bocca» 
Si volta di scatto verso di me e mi guarda con gli occhi spalancati «Come?»  
«Come cosa?»
«Come… come ti ha tappato la bocca?» chiede agitando una mano davanti al mio viso indicando le mie labbra e fissandole.
«Con una mano perché?» 
Mi guarda assottigliando gli occhi, poi spossato abbandona la testa sulla spalliera del divano e chiudendoli del tutto ci preme sopra due dita «Tu mi farai morire prima di arrivare a trent’anni… me lo sento» dice sospirando.
Lo guardo mentre si copre gli occhi con un braccio «Ma che…» lo colpisco «Che cavolo hai pensato?!» 
Mi blocca la mano premendola sul petto e parla continuando a nascondere il viso nell’incavo del gomito «Se ti dicessi tutto quello che mi è passato per la testa da quando ho saputo che lui era qui con te, sicuramente mi prenderesti per pazzo» 
«Veramente già lo penso» affermo.
Sotto il braccio vedo che accenna un sorriso «Lunedì dovrai incatenarmi a una delle colonne di casa mia» 
«Oh, lo farò molto volentieri, e magari ne approfitterò anche» dico, poi gli tolgo il braccio dalla faccia e lo metto intorno alle mie spalle.
Stringendomi chiede «Tu… lui… insomma ti ha bacia…» non lo faccio terminare, sollevo il viso e, cercando prima la sua bocca poi la sua lingua, lo bacio con tutto il bisogno di lui che è cresciuto di giorno in giorno standogli lontana, e se possibile, lui risponde con ancora più frenesia, circondandomi la vita e portandomi sopra di sé.
«No» rispondo appena lascia libere le mie labbra «Non così» aggiungo premendo la fronte sulla sua e guardandolo negli occhi «Non l’avrei mai fatto, soprattutto perché non lo volevo io» gli circondo il torace e mi accomodo con la testa sopra al suo petto «Ho capito sai? Ho capito perché ti sei arrabbiato»
«Non dovevo dirti quelle cose. Ti giuro che non le penso» dice stringendomi «Non tutte almeno» 
«Okay, allora parleremo solo di quelle che pensi» dico accarezzandogli la zazzera lunga e disordinata «Prima di tutto il tuo lavoro. Non sono certo io che devo dirti quanto sia importante per te. Mi mancherai, so già che penserò a te ogni giorno che starai lontano, per quasi tutto il giorno»
«Quasi?» chiede incredulo spingendomi di lato per guardami.
Sollevo gli occhi al soffitto «Senza quasi» mi correggo e lui sorride soddisfatto «Quindi, anche se penserò a te tutto il giorno, da mattina a sera senza nessuna minima interruzione, sognandoti anche ogni notte…» 
«Così va meglio» commenta annuendo «Sai dirmi anche che tipo di sogni farai?» 
«Vuoi star zitto!» gli tiro i capelli sulla nuca e lui serra le labbra incitandomi con una mano a continuare «Stavo dicendo, che sarò anche immensamente orgogliosa di te» dico addolcendo il tono «Anche se…» mi guarda attento «dovrai fare molta attenzione a come ti comporterai con Morticia e Anna dai capelli rossi…» non posso dirgli esplicitamente che quella da cui dovrà stare più lontano è Amy, ma minacciarlo parlando delle sue colleghe dovrebbe essere comunque sufficiente da fargli capire che non lo voglio vicino a nessun essere di genere femminile «o quando tornerai, non metteremo in pratica tutti i sogni che avrò fatto»     
Sorride e risponde prontamente «Non preoccuparti, interpreto un omosessuale, non dovrò baciarle nemmeno durante le riprese»
«Ma la mora non è la madre di tuo figlio?» chiedo guardandolo come se mi avesse mentito.
«Sì, ma la storia inizia quando lei sta già per partorire» 
«Ah, mi piace sai? E ti dico fin da subito che se ti proporranno di fare il seguito devi assolutamente accettare» dico con nonchalance.
«Come vuoi» risponde baciandomi la punta del naso «E tu, quando tornerò, tieniti libera per almeno una settimana e riempi il frigo» vorrei rimanere seria ma le sue sopracciglia che si alzano e abbassano in fretta mi fanno scoppiare a ridere. 
«Ce la fai a restare serio almeno cinque minuti?» chiedo stringendogli le guance con una mano e muovendogli il viso a destra e sinistra.
«No» risponde circondandomi il polso «Non se ti sento parlare di noi come di una coppia. Non se parli al futuro di noi» continua liberandosi il viso dalla mia mano «Perché mi fa sentire euforico»
Mordendomi l’interno di una guancia lo guardo, mi sorride con le labbra e anche con i suoi splendidi occhi, la sua espressione sembra davvero quella di un esaltato che a stento riesce a trattenere la felicità.
«Dopo che avrò parlato con Dario, alla prima occasione diremo agli altri di noi» dico circondandogli il collo con le braccia e lui dopo un istante di smarrimento mi sorride come se si fosse tolto un peso di dosso «Però…» un attimo prima di baciarlo mi fermo allontanando il viso dal suo «prima di farlo sapere al resto del mondo, faremo passare un po’ di tempo» arriccio un po’ il naso «Anzi no, faremo passare tutto il tempo che sarà possibile» 
«Affare fatto» dice e baciandomi mi stende sul divano. 
A malincuore lo fermo mentre tenta di spogliarmi perché devo dirgli l’ultima cosa, la più importante di tutte. 
«Russel, aspetta» mentre cerco di ritirare in basso la mia maglia che ha sollevato, bofonchia qualcosa di incomprensibile sopra il mio seno nudo «Voglio dirti perché volevo tenere il bambino»
La sua mano che stava aprendo il bottone dei miei jeans si ferma subito, e in fretta rimette a posto la maglia coprendomi il seno dove poi ci appoggia il viso rimanendo in silenzio.
«Togliti subito dalla testa l’idea che lo volessi tenere perché era di Dario. Non l’ho pensato nemmeno per un solo istante. L’unica cosa che ho pensato in quelle poche ore prima dell’incidente è che quel bambino era mio, solo mio» prima di proseguire gli sollevo il viso, anche se sarà più difficile parlargli guardandolo negli occhi, voglio che capisca che gli sto dicendo la verità. 
Lui sembra capire e si stende al mio fianco, gli faccio spazio andando indietro contro la spalliera del divano e uno di fronte all’altro appoggiamo la testa sul bracciolo «Come già sai non voglio avere dei figli, c’è stato un breve periodo della vita in cui pensavo di volerne, ma poi ho capito che mi stavo sbagliando, che desideravo solo sapere cosa si prova durante la gravidanza ma non crescere e prendermi cura di un altro essere umano. Poi però sono rimasta incinta, e quel 20 febbraio ho pensato che forse quel bambino potesse essere il mio riscatto nella vita» mi osserva in silenzio stringendomi la vita con una mano e le gambe con una delle sue «Per colpa dell’abb… della morte di mio padre…» non mi sfugge il dubbio nel suo sguardo per la mia correzione, fingo di non essermene accorta e vado avanti prima che mi chieda spiegazioni «mi sono sempre imposta di non lasciarmi coinvolgere da nessun uomo perché ho paura di innamorarmi. Ho provato sulla mia pelle quanto sia doloroso sentirsi abbandonati da chi si ama, e non voglio più doverlo provare. Con il passare degli anni mi stavo quasi convincendo che in fondo non era così male, se non ami non soffri, non ti disperi, nessun uomo può deluderti se non ti aspetti niente da lui. Però ho scoperto anche il rovescio della medaglia. Continuando a impormi di non lasciarmi andare ai sentimenti, ho cominciare a pensare che non mi stavo imponendo proprio niente, e che la verità è che non sono più in grado di amare qualcun altro, e ti assicuro che questo dubbio è altrettanto doloroso del sentirsi abbandonati. Quel giorno, capii che un figlio, anche se non l’avevo desiderato, sarebbe stata l’unica persona al mondo che sarei riuscita ad amare almeno quanto avevo amato mio padre. Quando ti ho detto che a volte se penso al bambino mi sembra che mi manchi qualcosa, parlavo della speranza, la speranza che al mondo possa esserci qualcuno che riuscirò ad amare con tutta me stessa, dimostrandomi che il mio cuore non è così arido come penso, e so che con mio figlio ci sarei riuscita» mentre mi sfiora la guancia e le mie lacrime scivolano lente sul mio viso, mi convinco sempre di più che con lui non sarà mai un’abitudine, allora faccio un passetto piccolo piccolo andandogli incontro «Però, con te, comincio a pensare che forse non tutto è perduto, e che posso ricominciare a sperare»
Vedendolo contrarre la mascella, per un attimo temo di aver detto troppo e impreco mentalmente contro me stessa per essermi aperta con lui, ma poi la sua voce leggermente incrinata dall’emozione mi toglie ogni dubbio «Ti ho già detto che con te non arriverò a trent’anni?» chiede e io annuisco mentre un leggero sorriso increspa le nostre labbra «E sai anche perché?» questa volta nego «Senti tu stessa» dice sollevandosi su un gomito, poi mi volta il viso di lato e si avvicina appoggiano il torace al mio orecchio «Lo senti?» non vuole davvero che risponda, sa che sto sentendo il suo cuore che batte forte e veloce «Quando gli sei vicino fa sempre gli straordinari» sussurra baciandomi tra i capelli «E a volte anche quando non ci sei» 
Ci sono silenzi che se ascoltati con la persona giusta sono più appaganti di tutte le parole che potremmo mai dire o sentire, momenti in cui la mente si svuota del tutto e si riempie solo di due suoni, unici, soavi, insostituibili: il battito del cuore e il respiro dell’altro. Questo è uno di quei momenti, e non ho bisogno di nient’altro, se non di concentrarmi sul soffio del suo respiro e i rintocchi del suo cuore. 
 
No, con lui non mi abituerò mai nemmeno al silenzio.  
 
**
 
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So che in questo capitolo non succede quello che pensavate, ma è assolutamente necessario alla trama. 
Ringrazio ancora chi legge, in qualsiasi modo lo stia facendo…
 
Baci,
V.17
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Cap. 27 - Stella stellina ***


Titolo strano, lo so, ma leggendo capirete, perché in questo capitolo ho messo una descrizione un po’ originale di Russel che spero vi aiuterà a fare bellissimi sogni e la filastrocca della buonanotte ci sta ad hoc... soprattutto per la stella.
 
Buona lettura,
V.17
 
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CAP. 27 - STELLA STELLINA
 
Stella stellina
la notte si avvicina,
la fiamma traballa,
la mucca è nella stalla.
 
La mucca e il vitello,
la pecora e l’agnello,
la chioccia coi pulcini,
la mamma coi bambini.
 
Ognuno ha la sua mamma
e tutti fan la nanna.
 
Filastrocca
 
**
 
«Quindi tu e Connie siete diventate amiche?» mi chiede Russel.
«Non so se possiamo definirci amiche, direi che per il momento siamo più complici che amiche» 
«Uhm, io invece vi definirei un’associazione a delinquere» dice scuotendo la testa «Quando ieri sera è rientrata a casa ho capito subito che mi stava nascondendo qualcosa, poi però ho pensato che fosse stranamente silenziosa perché aveva qualche problema con Karen e per non dovermi invischiare nei fatti suoi l’ho lasciata perdere. Perché forse tu ancora non lo sai, ma mentre lei si è sempre arrogata il diritto di sorella maggiore di farsi gli affari miei, guai a chi mette bocca nei suoi» lo vedo abbastanza tipico di Connie la pazza. 
Sorrido sul suo petto e gli ci lascio un bacio mentre lui ricomincia a parlare «Dopo che siamo andati a dormire l’ho vista affacciarsi dalla camera un paio di volte per guardare di sotto mentre mi rigiravo nel divano, e ho semplicemente pensato che come me non riuscisse a dormire. Non potevo certo sapere che in realtà mi stava controllando per paura che venissi da te» termina la frase facendo uno sbadiglio.  
Ha voluto che gli raccontassi di ieri sera e io l’ho fatto, senza ovviamente accennare alla mia chiacchierata con Connie e nemmeno al modo alquanto discutibile con cui mi ha estorto quello che mi ha estorto. Gli ho semplicemente detto che è venuta qui perché voleva conoscermi un po’ più a fondo e che abbiamo passato una piacevole serata tra ragazze e che poco prima che andasse via è arrivato Dario. Ovviamente ha anche voluto che gli raccontassi nei minimi dettagli la mia serata, nottata, mattinata, con Dario, pretendendo addirittura che gli mostrassi il pigiama che ho indossato, me l’ha tirato via dalle mani e avvicinandosi alla finestra l’ha squadrato attentamente in contro luce, borbottando che tra un panda e l’altro il tessuto bianco era praticamente trasparente, quando però mi ha chiesto di stendermi sul letto per fargli vedere quanta distanza c’era tra i nostri corpi in quell’unica ora in cui gli sono stata a fianco, pensando che scherzasse gli sono scoppiata a ridere in faccia e lui mi ha guardata come se la mia reazione fosse del tutto fuori luogo. Malgrado le sue proteste gli ho dato dell’uomo delle caverne e sono uscita dalla camera.
Terminato il mio interrogatorio, mi ha confessato che da quando abbiamo discusso non ha dormito un granché, e si vede, ha il viso stanco e gli occhi solcati dalle occhiaie. Ha detto di aver trascorso il primo giorno a smaltire la collera nei miei confronti, e il secondo nei suoi e a cercare il modo e le parole giuste per farsi perdonare. Dopo avermi chiesto scusa l’ho rimproverato per il suo stupido orgoglio, e lui ha rimproverato me per non avergli spiegato tutto prima.  
«Perché non dormi un po’?» chiedo liberandogli la fronte dai ciuffi chiari mentre non mi lascia la minima possibilità di muovere altro se non una mano avendomi incastrata tra lo schienale del divano e il suo corpo nudo come il mio.
«Solo se rimani qui con me» mugugna sfregando il viso contro la mia spalla, celando con voce suadente quello che in realtà è solo un ignobile ricatto per impietosirmi. 
«Russel, è due ore che non mi permetti di alzarmi da qui, ho i segni dei cuscini del divano su tutto il corpo» lo rimprovero mentre lui mi schiaccia sempre di più contro lo schienale baciandomi la clavicola.
«Lo so, li sento» risponde facendomi una lunga carezza dalle spalle fino alle natiche che appena raggiunge stringe. 
«E poi devo richiamare tua sorella, sono sicura che le due chiamate di prima, a cui non mi hai lasciato rispondere, erano di lei» insisto ma lui non mi ascolta perché è troppo concentrato ad avvolgere la mia gamba intorno al suo bacino «E poi non dovevi andare dal tuo agente?» 
«Ho rimandato l’appuntamento a domani» risponde tra un bacio e un morso sulla mia spalla.
«Okay, allora rimango qui, ma tu dormi almeno un’oretta» dico accarezzandogli la nuca.
«Brava la mia Sirenetta» sussurra sulle mie labbra un attimo prima di baciarmi, poi appoggia la testa sul bracciolo e stringendomi la vita con un braccio e le spalle con l’altro chiude gli occhi. Pochi minuti e sento che allenta la presa mentre il suo respiro si fa più pesante. 
Lo osservo muovendo piano il pollice sulla sua guancia, sfiorando la barba che nelle ultime due ore ha accompagnato le sue labbra mentre percorrevano ogni centimetro del mio corpo, arrossandomi la pelle dove più delicata e solleticandola dove più sensibile, ripensando a quando lo ritenevo solo un pacchetto ben confezionato e attraente, non potevo sapere che il regalo al suo interno lo avrei gradito ancora di più della carta preziosa con cui era avvolto. 
Fermo il polpastrello nel punto esatto dove vedrei lo spicchio di luna se ora stesse sorridendo. Quando lo vedo spuntare penso che quei pochi millimetri di pelle si ritraggano solo per regalarmi un altro pezzettino di felicità da aggiungere a quelli che già mi ha donato e che custodisco gelosamente, lasciandomi ogni volta senza fiato e sentendo qualcosa di nuovo e inspiegabile che penetra sempre più in profondità nelle fibre del mio cuore, e anche se ancora non so bene che cosa sia, sento che gli manca una distanza insignificante per raggiungerne il centro esatto. 
Ma tu l’hai capito vero? L’hai capito che qualcosa è cambiato. L’hai capito poco fa, quando mentre ti muovevi piano ti sei abbassato per sussurrarmi “ti amo” all’orecchio e io ti ho strinto forte le spalle dischiudendo appena le labbra per far uscire quello che sembrava un gemito di piacere, ma che in realtà era una vocale a cui ho impedito di trasformarsi in parola, ma io so che hai capito, perché tu mi capisci sempre, ti sei fermato e ti sei sollevato quel tanto che bastava per osservare i miei occhi che stanchi di sfuggirti si sono fusi con i tuoi, restando immobili anche quando hai ripreso a muoverti lentamente, perché senza fiatare mi hai chiesto di tenerli nei tuoi fino alla fine, e io l’ho fatto.    
Ma ora approfittando del fatto che non puoi sentirmi, e con la complicità di quella cosa che avanza lentamente nel mio cuore e che mi fa desiderare di rispondere, ti sussurro «Anch’io» 
L’ho detto così piano che forse in realtà ho solo mosso le labbra pensandolo. 
Le sue sopracciglia si spostano appena verso il centro, e quando si rilassano la sua bocca si allarga in quello che probabilmente è solo un gesto involontario provocato dal sonno, ma che a me sembra un accenno di sorriso. Stacco la mano dal suo viso e mi sento avvampare dalla vergogna pensando che possa avermi sentita. Ripetendomi che sta dormendo e che le parole non sono praticamente nemmeno uscite dalla mia gola, chiudo gli occhi e mi avvicino ancora di più a lui per dormire un po’, visto che nemmeno la mia nottata è stata molto riposante. 
 
Quando mi sveglio mi accorgo di essere sola sul divano e di aver dormito quasi due ore. Mentre mi stiro la schiena dalla camera arriva Russel, vestito e con il mio telefono in mano «Ti ha svegliato il telefono?» chiede sedendosi al mio fianco.
«No, perché suonava?» 
«Sì, era Connie ma le ho detto che dormivi» 
«Che voleva?» mi sollevo appoggiandomi su un gomito e tenendo la coperta a coprirmi il seno.
«Solo sapere se ero ancora qui da te e se avevamo fatto pace» risponde venendo incontro al mio viso che sporgo verso di lui perché voglio un bacio «Mi ha chiesto se andiamo a pranzo da me» 
«Va bene» rispondo un attimo prima che mi tappi la bocca con la sua «Le hai anche detto cosa è successo con Dario e che tornerà lunedì?» 
«Sì, e mi ha proposto di tornare a casa con lei» 
«E tu che le hai risposto?»
«Che volevo parlarne prima con te» 
Ripenso al modo in cui è arrivato questa mattina e gli dico «Forse è meglio se torni a casa per qualche giorno» 
«Non mi va di lasciarti» dice avvolgendomi nella coperta prima di abbracciarmi.
«Dovrai stare via solo pochi giorni, e vista la tua incursione di stamani è meglio per tutti se vai con lei» 
«Non ti va più di incatenarmi dentro casa?» chiede muovendo le sopracciglia su e giù. 
«Posso sempre farlo quando tornerai» rispondo sfiorandogli il torace e strizzandogli un occhio.
«Solo se dopo mi lascerai farlo a te» dice appoggiando una mano sul bracciolo e l’altra sulla spalliera bloccandomi ogni via d’uscita.
«Ne riparliamo quando tornerai» dico tenendo stretta la coperta «Ma ora fammi alzare da qui che devo vestirmi» mi bacia poi si alza.
«Sei venuto da me con la tua auto?» chiedo raccogliendo dal tappeto il telecomando che riconosco essere quello della sua auto e non di una di quelle a noleggio, e che deve essergli caduto dalla tasca mentre prima si spogliava sparpagliando i suoi vestiti dove capitava dopo averlo fatto con i miei.
«Sì» risponde mettendolo in tasca. Lo guardo pensierosa «Ma solo perché già da qualche giorno sotto casa mia non c’è più quello stronzo di fotografo»
«Meglio così» dico raccattando i miei vestiti prima di entrare in camera. 
 
«Quindi sabato tornerai a casa con noi?» chiede Amy a Russel mentre stiamo pranzando. Pensavo che sapendo che è innamorata di lui, oltretutto da così tanto tempo, mi avrebbe dato fastidio rivederla e sedermi a tavola con lei, invece non è così. Se prova antipatia o risentimento nei miei confronti è davvero molto brava a nasconderlo perché è sempre gentile con me, mi azzarderei quasi a dire che è addirittura affettuosa, anche se la vedo incupirsi ogni volta che Russel mi sfiora o mi bacia, e oggi non fa passare più di un minuto tra l’una o l’altra cosa. 
Russel prima di risponderle guarda prima me poi Connie «No, io partirò domenica sera» 
«Possiamo spostare il volo anche noi» dice Connie rivolgendosi a Amy.
«No io non posso, ho promesso a Liam che domenica l’avrei portato a fare una gita a Loantaka» le risponde Amy scuotendo il capo.
«È da una vita che non ci vado. Da bambini nostro padre ci portava sempre là per fare una passeggiata a cavallo o in bici. Ti ricordi, Connie?» chiede Russel con il sorriso di chi sta ricordando dei momenti dell’infanzia piacevoli e spensierati, lei con lo stesso sorriso sulle labbra annuisce. 
Inevitabilmente penso a Liam, domandandomi se anche lui si sia inventato qualcosa da raccontare agli amici quando gli chiedono dov’è suo padre. 
I bambini sono curiosi, si sa, e fino a che non vengono plasmati dalla società sono anche privi di quel tatto che impareranno ad avere con il passare degli anni. Ero poco più giovane di Liam quando cominciai a dire la mia prima bugia, a tutti gli amici e compagni di classe che mi chiedevano perché non avevo più il papà dicevo che era morto in un incidente con la macchina. 
Ma i bambini non si accontentano di risposte frettolose, vogliono ogni minimo dettaglio, e io li accontentavo, ero diventata così brava che riuscivo a descrivere perfettamente tutta la dinamica: la sua auto che, per colpa dei freni rotti, era uscita di strada durante una curva mentre tornava a casa dopo il lavoro, trascinandolo con sé di sotto a un dirupo. A forza di ripeterlo ho quasi cominciato a crederci anch’io e ogni volta aggiungevo un nuovo piccolo particolare: lo sportello che si era aperto sbalzandolo fuori dall’auto, la pietra su cui aveva battuto la testa, la foto della nostra famiglia trovata accanto a lui. Credo che la mia fantasia galoppante si sia sviluppata in quegli anni. 
Avevo trovato un modo per sopravvivere e non dover affrontare la verità, che però con gli anni si è ricordata di me ed è venuta a cercarmi, e puntandomi un dito contro mi ha guardata dritta negli occhi dicendomi che mio padre non mi amava e che se n’era andato perché si era stancato di me.
Crescendo ho smesso di raccontare dell’incidente, limitandomi a dire che era semplicemente morto, e gli amici che nel frattempo erano cambiati e dotati ormai di tatto, non hanno mai preteso che lo facessi. E per fortuna, perché ripensando alla balla che raccontavo era piuttosto ridicola e infantile, soprattutto era poco credibile il modo in cui la raccontavo, come se fosse semplicemente la scena di un cartone visto alla tv la sera prima, anzi no, una puntata di Lady Oscar mi provocava molte più emozioni.
Me ne pentirò, so che me ne pentirò, ma in questo momento riesco solo a pensare al figlio di Amy che sta crescendo senza un padre, e a tutto quello che sicuramente passa in quella giovane testolina ogni volta che vede un suo compagno uscire da scuola e correre tra le braccia del papà, o quando sente un suo amico raccontare le prodezze del proprio padre. 
Le parole mi escono senza nemmeno sfiorare quell’angolo del cervello dove risiede il mio spirito di autoconservazione «Parti con loro. Liam sarà felice di passare una giornata con te» 
Russel mi guarda muovendo appena il capo «No, tanto starò con lui lunedì» 
«Ma non potrai portarlo a cavallo o in bici» insisto mentre Connie e Amy spostano in fretta lo sguardo da me a lui «In fondo devi solo partire un giorno prima, sono sicura che anche tu hai voglia di stare un po’ con lui»
Rimane un attimo in silenzio poi posa la sua mano sopra la mia sul tavolo «In effetti ho sempre desiderato insegnargli ad andare a cavallo, però mi dispiace lasciarti da sola domenica»
«Non preoccuparti, tu vai con loro e divertiti» dico mentre il mio spirito di autoconservazione è sempre più latitante.
«Okay, allora parto con voi» dice a Connie poi si rivolge a Amy «Ma a lui non dire niente perché voglio fargli una sorpresa»  
«Certo» risponde Amy e, quando Russel abbassa lo sguardo sul proprio piatto ricominciando a mangiare, mi guarda prima incredula, poi mi sorride con riconoscenza, e io capisco di aver fatto la cosa giusta.
 
«Mi sa che inizierò davvero a chiamarti Santa Rebecca» mi schernisce Connie sedendosi accanto a me sul divano, mentre Russel è in terrazza che parla al telefono con il suo agente e Amy è salita a cambiarsi prima che usciamo tutti e quattro per andare a casa di Peter «Sto cercando di capire se sei un po’ tarda o troppo sicura di te»
«Ti aiuto io: la prima che hai detto» rispondo sapendo perfettamente a cosa fa riferimento. 
«Perché l’hai fatto?» chiede.
«Te l’ho detto, perché sono un po’ tarda, e poi a Russel farà bene cambiare aria e passare un giorno spensierato con Liam» dico guardandolo mentre fa avanti e indietro passandosi la mano tra i capelli quando non la agita davanti a sé gesticolando. Sembra che la conversazione lo stia innervosendo, voltandosi per tornare indietro sui suoi passi incrocia il mio sguardo, mi osserva un attimo poi si volta mostrandomi la schiena e rimane immobile tenendo la mano libera sul fianco.
«Ma è ancora al telefono con il suo agente?» chiedo a Connie guardando fuori dalla terrazza.
«Penso di sì» risponde voltandosi per guardarlo anche lei «Perché?» 
«Così» dico osservando ancora la schiena di Russel, ha la mano sempre ferma sul fianco ma muove la testa a destra e sinistra e anche da lontano posso vedere la tensione delle sue spalle, pochi secondi e riattacca. 
Quando rientra si ferma dietro al divano «Non posso venire con voi» dice mentre Amy sta scendendo le scale.
«Perché?» gli chiede Connie.
«Devo andare a parlare con Kevin» lo guardo interrogativa «È il mio agente» dice piegandosi su di me per sfiorarmi le labbra «Ti chiamo più tardi»
«Ma non puoi andare da lui domani?» chiede Connie mentre io e Amy li osserviamo in silenzio.
«No, devo parlarci subito» risponde secco aprendo la porta «Ti lascio la mia auto ma mi raccomando vai piano perché Rebecca…» sposta un secondo gli occhi su di me come se temesse che le sue parole potrebbero infastidirmi poi guarda di nuovo sua sorella «perché a Rebecca non piace correre in macchina» gli sorrido e lui mi osserva fino a che la porta non si chiude del tutto. 
 
Il pomeriggio malgrado l’assenza di Russel non è stato niente male. Mentre Connie si è fatta una lunga cavalcata io e Amy abbiamo passeggiato con Pablo, ed è stato inevitabile non parlare di Russel. Mi ha detto che ha capito che io so che lei lo ama, ma che non devo farmi idee strane perché ha rinunciato a lui già da diversi anni. 
Ho apprezzato la sua sincerità e credo che lei abbia apprezzato la mia quando le ho detto che sono gelosa del rapporto che ha con lui e di tutto quello che hanno condiviso insieme. Rimanendo sul vago, e nascondendole tutto quello che mi ha raccontato Connie, le ho chiesto di parlarmi di suo figlio. Non mi sbagliavo quando ho pensato che non si è pentita della scelta di tenerlo. Parlandomi di lui la conversazione ha assunto fin da subito toni divertenti e spassosi, da quello che ho capito Liam è un bambino molto allegro e vivace e anche se di lui si occupano molto i genitori di Amy con i quali vivono ancora insieme, si capisce quanto lo ama e come sia una mamma attenta e molto presente. 
Ora che mi sono chiarita con lei sono molto più tranquilla quando penso che Russel tornerà a casa per qualche mese. Anche se una vocetta insistente e fastidiosa continua a ripetermi di non abbassare la guardia.
 
«Russel, vuoi dirmi cosa c’è che non va?» gli chiedo per la terza volta da quando è arrivato a casa mia. Non ha spiccicato parola durante tutta la cena, durante tutto il film che abbiamo guardato stando abbracciati sul divano, e ora che siamo a letto, stranamente con la biancheria ancora addosso, continua a tenermi stretta in silenzio. Sono sicura che non mi ha nemmeno ascoltata mentre gli raccontavo del mio pomeriggio, ha annuito un paio di volte di fronte a me mentre spilluzzicava dal suo piatto, alzando gli occhi sul mio viso di tanto in tanto e riabbassandoli un attimo dopo come se temesse che riuscissi a capire, non solo che non aveva ascoltato una sola parola, ma anche cosa stava pensando.
«Niente di cui devi preoccuparti» risponde dopo un tempo che a me sembra infinito.
«Ce l’hai con me? Ho fatto o detto qualcosa che ti ha dato fastidio?» mentre lo guardo con il mento appoggiato sul suo petto mi risponde senza aprire gli occhi muovendo la testa sul cuscino per negare «È perché lunedì devo rivedere Dario?» chiedo con la voce che trema un po’.
«No, sono solo stanco» risponde aprendo gli occhi, poi mi sposta di lato e voltandosi dall’altra parte spenge la luce sul comodino «Ora dormiamo» dice rimanendo immobile. 
Forse è successo qualcosa con il suo agente e non ha voglia di parlarne con me, un progetto che non è andato in porto o un contratto che non lo soddisfa. Non mi sono mai soffermata molto a pensare al suo lavoro, ma deve essere sicuramente molto faticoso e stressante star dietro a tutto quello che non è il solo recitare. Mi avvicino e gli passo un braccio intorno alla vita baciandogli la schiena, lui intreccia la mano con la mia e l’appoggia al petto. 
 
**
 
Giovedì 26 Luglio 2012
 
Guardo lo schermo del computer poi riordino sommariamente la scrivania. Tra poco arriveranno a prendermi Russel, Connie e Amy, li ho invitati a cena da me e verrà anche Karen. 
Entro un attimo in bagno per darmi una sistemata ai capelli e quando esco trovo Russel che mi sta aspettando seduto sul divano.
«Ciao» lo saluto prendendo la borsa «Hai già detto a Karen che andiamo?» 
«Le ho detto di scendere» mentre esco mi trattiene mettendomi una mano sopra la spalla «Aspetta, devo parlarti» dice chiudendo la porta.
«Okay» rispondo sedendomi sul divano e osservandolo mentre fa avanti e indietro di fronte al tavolino «Russel mi stai facendo preoccupare» 
Si ferma di fronte a me e prima di parlare si morde il labbro inferiore lasciandolo scorrere lentamente tra i denti, sembra quasi che voglia infliggersi del dolore di proposito per punirsi di qualcosa «Okay, tanto verrai a saperlo comunque. Oggi sono andato a casa di Helen» lo osservo in silenzio togliendo il volume alla voce della piccola Reb che mi sta gridando di terminare il lavoro che aveva iniziato sul suo labbro «Ma prima di saltare a conclusioni affrettate aspetta che ti spieghi»
«Io sto aspettando ma tu sbrigati a spiegare» lo incalzo continuando a ignorare la piccola Reb che anche con il volume azzerato continua a fare gesti molto poco signorili indirizzati a lui.
«Mi hanno proposto di fare il seguito di “Letters from Paris”» prima di continuare fa una breve pausa mentre io racimolo ogni briciola di autocontrollo che riesco a trovare per rimanere vigile e non collassare su questo divano almeno fino al termine della sua spiegazione «Non mi va di farlo» perfetto, quindi dov’è il problema? Lui non vuole, io non voglio, possiamo andare a preparare la cena. No, fermi tutti, perché è andato da Helen? «Ma ieri mi ha chiamato Helen chiedendomi di incontrarla»
«Ieri eri al telefono con lei mentre ti agitavi in terrazza?» annuisce «Quindi mi hai mentito quando ti sei allontanato dicendo che a chiamarti era il tuo agente?»
«No, era davvero lui, lei era nel suo studio e me l’ha passata» 
«E ti ha convinto a incontrarla» affermo sospirando. 
«Sì» sbuffa sedendosi al mio fianco «Sono andato da lei stamattina dopo che ti ho lasciata qui. Mi ha pregato di fare il film. Non è messa bene finanziariamente e questa è la sua ultima possibilità. Se non farà questo film tornerà a casa dai suoi e lascerà per sempre la recitazione» e chi se ne frega, può trovarsi da vivere con un qualsiasi altro lavoro come la stra grande maggioranza delle persone, solo dovrà imparare a fare un po’ meno la diva. 
«Quindi hai deciso di fare il film per aiutarla?» chiedo.
«Ancora no, non ho nemmeno letto la sceneggiatura, ieri sono uscito dall’ufficio di Kevin lasciandola lì» 
«Allora di cosa stiamo discutendo?» chiedo un tantino acida «Leggi la sceneggiatura poi decidi» cerco di alzarmi ma lui mi trattiene.
«Se tu mi dici di non farlo non lo farò» dice mentre non posso vederlo perché ho il viso voltato verso la porta.
«Russel, ci sono dei professionisti per questo» dico voltandomi per guardarlo «Parlane con il tuo agente lui saprà consigliarti meglio di me, io non ne capisco nien…» 
«Lo sai che non intendevo questo»
«Beh io invece intendevo proprio questo. È il tuo lavoro, la tua carriera, non ti dirò mai cosa devi o non devi fare» affermo «Tranne che se ti dovessero proporre un film western. In quel caso se tu non accettassi ti ci manderei io a calci» dico sorridendo mentre penso a quanto è fico il suo quasi omonimo Russell Crowe in “Quel treno per Yuma”. 
Cavolo, mi si rimescola lo stomaco a immaginare il “mio” Russel, con in testa un cappello da cowboy calato fino alle sopracciglia, con i ciuffi chiari che spuntano da sotto e gli occhi turchesi che ammiccano malandrini, la camicia e il gilet attillati, i pantaloni di pelle che gli fasciano le gambe lunghe e gli stivali con gli speroni che tintinnano a ogni passo mentre mi si avvicina con i pollici infilati nel cinturone mollemente allacciato sui fianchi, e ciliegina sulla torta: due bei pistoloni carichi. Devo assolutamente dire a Luca di organizzare una festa in maschera al club, il vestito per Russel ovviamente lo sceglierò io e gli appunterò personalmente la stella da sceriffo sul petto.
«Ma mi stai ascoltando?» chiede dandomi un pizzico sul fianco.
«Certo, perché?» rispondo scrollando le spalle. In realtà non sapevo nemmeno che stesse parlando perché nell’ultima visione lo aspettavo nel mio letto e lui entrava in camera con addosso solo il cappello e il cinturone, e sul petto aveva tatuata la stella da sceriffo.
«Sembravi assente» mi guarda assottigliando gli occhi «Anzi no, sembravi assorta in qualche pensiero a luci rosse» 
«Ma dai!» esclamo e voltandomi per prendere la borsa mi passo in fretta il pollice e l’indice ai lati della bocca temendo che ci sia della saliva. 
Mi toglie la borsa di mano e la lancia lontano da me «Non ce ne andremo fino a quando non mi dirai a cosa stavi pensando» dice chinandosi pericolosamente su di me e costringendomi a piegare indietro la schiena.
«Nemmeno sotto tortura» rispondo appoggiando una mano sul suo petto e una dietro di me per sorreggermi.
«Quindi ho ragione io, stavi facendo un sogno a luci rosse» bisbiglia sulle mie labbra.
«Non erano rosse, erano… rosine, ma solo perché tu l’hai interrotto troppo presto» lo rimprovero puntandogli un dito sul petto.
«Ah sì?» annuisco «Dimmi almeno chi era il protagonista maschile» 
Lo guardo maliziosa inarcando un sopracciglio «Tu» un attimo e le sue pupille si dilatano.
«Okay, per ora mi basta sapere solo questo» dice soddisfatto, e mettendomi una mano dietro la schiena mi dà un bacio umido e lento che sa tanto di anticipazione di quello che succederà quando stasera saremo finalmente soli.
«Ora però dovrai ripetermi quello che stavi dicendo» dico allontanando un po’ il viso dal suo.
Sorride muovendo appena la testa «Stavo dicendo che intanto leggerò la sceneggiatura e che cercherò di prendere una decisione senza farmi influenzare da Helen»
«Se eri davvero convinto di non farlo ma ora hai deciso di pensarci mi sa che ti ha già influenzato» dico pentendomi quasi subito di averlo detto. Si raddrizza sul divano sospirando «Scusa, ho parlato senza pensare» mi giustifico appoggiando una guancia alla sua spalla e cercando la sua mano per intrecciarla con la mia.
«Hai ragione. In fondo quel genere di film non m’interessa più e anche se so che Helen non si merita il mio aiuto quando oggi mi ha pregato di accettare… è riuscita a strapparmi la promessa che almeno ci penserò su» sollevandomi il mento abbassa il viso sul mio «Se dovessi accettare ma tu non vorrai, in qualsiasi momento prima che io firmi il contratto, dimmelo e manderò al diavolo tutto senza mai pentirmene» e io penso di amarti anche per questo, perché so che se te lo chiedessi lo faresti per davvero, ma farti rinunciare a qualcosa che vuoi fare non mi renderebbe felice e non lo saresti nemmeno tu, e potrebbe allontanarti da me. 
«Tu fa’ quello che devi fare e non preoccuparti per me» dico alzandomi «Ma ora andiamo prima che Connie venga a prenderci di peso» poi ripenso a una cosa che ha detto «Perché hai iniziato dicendo che sarei venuta a sapere che sei andato da Helen? Se tu non me l’avessi detto sarebbe stato praticamente impossibile»
«Perché qualcuno mi ha fotografato mentre uscivo da casa sua» risponde abbassando la testa e grattandosi un sopracciglio «In rete circola già la voce di un nostro riavvicinamento»
Schiocco la lingua poi dico «Non m’interessa quello che dicono, l’importante è che lasciano in pace me» 
Rimanendo seduto mi afferra i fianchi mettendomi tra le sue gambe «Ti ho già detto che ti amo?» chiede sollevando il viso.
Guardando il muro alle sue spalle fingo di pensarci su «Uhm, no, oggi no» rispondo circondandogli il collo con le braccia. 
«E che aspettavi a dirmelo?» 
«Speravo che te ne saresti ricordato da solo»
«Ti amo Sirenetta» bacio «Tanto» bacio con lingua «Tantissimo» tanta, tantissima lingua.
«Ora però andiamo» dico staccandomi da lui con un sospiro. 
Mentre apro la porta mi fermo con la mano sulla maniglia e senza guardarlo chiedo «Russel… hai mai pensato di farti un tatuaggio?»
«No, ma ora che c’entra?» 
«Oh… così» rispondo aprendo.
«Ho capito, piccola Crudelia» dice piegandosi su di me e bloccandomi la mano sulla maniglia «Cosa e dove»
«Non so di cosa stai parlando» fingo. 
«Sì che lo sai. Dimmi nel tuo sogno a luci rosse cosa avevo tatuato e dove» insiste mettendo le mani sulla porta per bloccarmi e premendosi contro di me.
«Una stella da sceriffo sul petto» rispondo coprendomi la bocca mentre mi gratto il naso.
«Non ho sentito» dice togliendomi la mano e appoggiandola contro il legno sotto la sua. 
«Una stella da sceriffo sul petto» ripeto alzando la voce.
«Stai scherzando?» 
«No» dico voltandomi verso di lui mentre mi guarda allibito «Ora possiamo andare?» chiedo scocciata incrociando le braccia. 
Scuotendo la testa e sorridendo mi apre la porta «Quando ho detto che per capire tutto quello che ti frulla nella testa non mi basterebbe una vita intera mi sono sbagliato, perché mi sa che non mi basterebbe nemmeno tutta l’eternità» 
«Beh in ogni caso non hai tutto quel tempo, quindi rassegnati» ribatto scrollando le spalle e uscendo a passo di marcia. 
 
**
 
Lunedì 30 Luglio 2012
 
Sono uscita dal lavoro due ore fa, ma visto che non ho compicciato niente potevo starmene a casa anche tutto il giorno. 
Mezz’ora fa mi ha chiamata Russel facendomi promettere di richiamarlo immediatamente dopo che Dario se ne sarà andato e io invece ho chiesto a lui di non chiamarmi fino a che non lo farò io, ma siccome non mi fido, ho spento il telefono e staccato quello di casa. Spero solo che stare un paio di giorni in campeggio con Liam lo distrarrà almeno un po’, anche se non vedo l’ora che arrivi mercoledì per riaverlo qui con me.
Dario dovrebbe arrivare a momenti. Ieri mi ha mandato un messaggio che più telegrafico non poteva essere: “Fatti trovare a casa alle 18”. 
Ho ripensato a quello che mi ha detto uscendo da qui e sono arrivata alla conclusione che se davvero pensa che gli ho mentito dicendogli che volevo lasciarlo probabilmente crede anche di avere la risposta giusta, quindi mi domando cosa si aspetta che gli dica. 
«Ciao» dico a Dario e con una mano infilata nella tasca di dietro dei jeans mi volto allontanandomi in fretta dalla porta.
Mi risponde con tono sostenuto solo dopo averla richiusa «Ciao»
«Posso offrirti qualcosa?» che idiota, mi sto comportando come se la sua fosse una visita di cortesia.
«No» risponde secco, con la mia stupida domanda mi sa che ho peggiorato ulteriormente la situazione.
«Okay. Vuoi che ci sediamo sul divano?» chiedo indietreggiando di fronte a lui.
«No» 
Cazzo, sapevo che sarebbe stato difficile, e mi aspettavo anche questo suo atteggiamento freddo e ostile, ma che si piazzasse a due metri dalla porta di casa con le braccia incrociate sul petto e che stesse fermo a osservarmi come se non meritassi nemmeno la sua attenzione no.   
«Va bene. Tu l’altro giorno non mi hai fatto parlare ma ora dovrai farlo e ti prego di non interrompermi»
«Ti ascolto. Ma ricordati quello che ti ho detto» dice con tono minaccioso continuando a osservarmi dall’alto in basso. 
«Dario non ti ho mentito. Non so che idea ti sei fatto ma io stavo davvero venendo da te per lasciarti» i suo occhi verdi si fanno ancora più duri mentre un groppo mi sale in gola, per provare a smuoverlo deglutisco «Tre settimane prima dell’incidente avevo scoperto di essere incinta» sputo tutto d’un fiato e nei suoi occhi avverto un guizzo appena percettibile «Ma non volevo tenerlo. Il 21 febbraio avevo l’appuntamento per interrompere la gravidanza» continuo abbassando la testa «Io so che ho sbagliato non dicendotelo ma avevo preso la mia decisione e temevo che se te l’avessi detto avresti cercato di farmi cambiare idea e se tu ora mi odi ti capisco»
«Non ti odio» dice facendo un passo verso di me e sciogliendo le braccia «Ma non capisco perché volevi lasciarmi»
Sollevo gli occhi vedendo i suoi che malgrado quello che gli ho appena detto si sono inspiegabilmente addolciti «Dario, io non ho mai desiderato un marito e dei figli. Una famiglia di cui occuparmi la ritengo totalmente fuori dalla mia portata ma…» m’interrompo per osservarlo con più attenzione. Il suo viso sembra rilassarsi di più a ogni mia parola e questo mi sconcerta, perché per mesi ho pensato che a questo punto mi avrebbe gridato addosso, ed ero pronta ad affrontare il suo sdegno e la sua collera del tutto motivati, ma non il suo sguardo pieno di dolcezza e… comprensione.
«Continua» dice facendo un altro passo verso di me.
Non riuscendo più a sostenere il suo sguardo mi allontano sedendomi sul divano, lasciandolo lì a pochi passi da me. Piegandomi in avanti appoggio le braccia sulle gambe intrecciando le mani «Ma poco prima dell’incidente avevo deciso lo stesso di tenere il bambino» si avvicina ancora e quando si ferma davanti a me fissando le sue scarpe di cuoio gli dico il resto «Non ti amavo Dario, come non ti amo oggi. Se il furgone non mi avesse impedito di raggiungerti ti avrei detto che stavamo per avere un bambino ma che non l’avremo cresciuto sotto lo stesso tetto» 
Aspettando che sia lui a parlare rimango in silenzio con gli occhi fissi sul pavimento, ma quando lo fa ciò che dice non poteva essere così diverso da quello che mi sarei aspettata.
«Io lo sapevo. Lo sapevo che aspettavi un bambino, e sapevo anche che non volevi tenerlo. Ho lasciato che decidessi anche per me perché posso rinunciare a un figlio… ma non a te»  
 
**
 
*******************************
 
Perdindirindina, quindi anche Dario ha mentito finora…
 
Vi racconto un piccolo aneddoto di qualche giorno fa.
Io stavo lavorando e la mia Stressa nella scrivania di fianco alla mia leggeva l’ultima scena rossa che ho pubblicato. 
Dopo qualche minuto ha esclamato: “Lo voglio!“
“Cosa?”, ho chiesto.
“Russel”, ha risposto con occhi sognanti.
“Col cavolo!”, ho gridato, “Già ti sei presa Luca, ora Russel lo lasci a noi!”
Ma quanto è ingorda la mia Stressa?!
 
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Bene, detto questo, buon proseguimento e baci.
 
V.17  
 
Ah già, per chi ha voglia di leggerle ho pubblicato due storielline piccole piccole collegate tra loro. 

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Capitolo 28
*** Cap. 28 - Malafemmena ***


CAP. 28 - MALAFEMMENA
 
Si avisse fatto a n’ato 
chello ch’hê fatto a me, 
st’ommo t’avesse acciso... 
e vuó’ sapé pecché? 
Pecché ‘ncopp’a ‘sta terra, 
femmene comm’a te, 
nun ce hann’’a stá pe’ n’ommo 
onesto comm’a me... 
 
Femmena, 
tu si’ na malafemmena... 
a st’uocchie hê fatto chiagnere, 
lacreme ‘e ‘nfamitá... 
 
Femmena, 
tu si’ peggio ‘e na vipera, 
mm’hê ‘ntussecato ll’ánema, 
nun pòzzo cchiù campá... 
 
Femmena, 
si’ doce comm’’o zzuccaro... 
peró ‘sta faccia d’angelo, 
te serve pe’ ‘nganná! 
 
Femmena, 
tu si’ ‘a cchiù bella femmena... 
te voglio bene e t’odio: 
nun te pòzzo scurdá... 
 
Te voglio ancora bene, 
ma tu nun saje pecché... 
pecché ll’unico ammore 
si’ stato tu pe’ me!... 
E tu, pe’ nu capriccio, 
tutto hê distrutto oje né’... 
Ma Dio nun t’’o pperdona 
chello ch’hê fatto a me... 
 
Femmena, 
tu si’ na malafemmena... 
a st’uocchie hê fatto chiagnere, 
lacreme ‘e ‘nfamitá... 
 
Femmena, 
tu si’ peggio ‘e na vipera, 
mm’hê ‘ntussecato ll’ánema, 
nun pòzzo cchiù campá... 
 
Femmena, 
si’ doce comm’’o zzuccaro... 
peró ‘sta faccia d’angelo, 
te serve pe’ ‘nganná! 
 
Femmena, 
tu si’ ‘a cchiù bella femmena... 
te voglio bene e t’odio: 
nun te pòzzo scurdá...
 
Antonio De Curtis (Il Grande Totò)
 
**
 
Aspettando che sia lui a parlare rimango in silenzio con gli occhi fissi sul pavimento, ma quando lo fa ciò che dice non poteva essere così diverso da quello che mi sarei aspettata.
«Io lo sapevo. Lo sapevo che aspettavi un bambino, e sapevo anche che non volevi tenerlo. Ho lasciato che decidessi anche per me perché posso rinunciare a un figlio… ma non a te». 
 
Scatto indietro con il busto sbattendo contro lo schienale del divano e lo guardo. Non può davvero aver detto quello che ha detto, forse mentre lo aspettavo mi sono addormentata, ecco quindi spiegato anche il suo sguardo dolce e comprensivo di prima: sto semplicemente sognando e tra poco il suono del campanello mi sveglierà.  
Capisco che è tutto vero quando fissandomi con sguardo rassegnato si avvicina fino a sfiorarmi un ginocchio con la gamba. Scivolando di lato mi ritraggo e con una mano sul petto lo osservo, la sua espressione, prima stupita poi arrendevole, non è una conseguenza alle mie parole, ma alla mia reazione per la sua vicinanza. 
«Non è possibile… stai mentendo…» balbetto sentendo improvvisamente l’energia venirmi meno, stringendo il colletto della maglia nel pugno lo tiro in basso e tendo il collo perché mi sento soffocare.
«Perché dovrei mentirti?» chiede sedendosi con cautela sul tavolino di fronte a me. 
«Non so perché ma stai sicuramente mentendo» dico abbassando gli occhi «Io non l’ho detto a nessuno e anche dopo l’incidente gli unici a cui ne ho parlato sono Alice e Luca. Non lo sanno nemmeno mia madre e mia sorella» 
Scarica la tensione stringendo il bordo del tavolino ai lati delle gambe, forse anche per tenere occupate le mani e non sfiorarmi.
«L’ho scoperto da solo» dice piegandosi in avanti per massaggiarsi le tempie. 
«Che vuol dire che l’hai scoperto da solo? Come? Io sono stata attenta… io… io sono stata attenta». L’ossigeno sembra arrivare ai miei polmoni con il conta gocce mentre ripercorro tutto quello che ho fatto nei giorni trascorsi da quando mi sono accorta della mancanza del cerotto sopra la mia pelle fino a quello dell’incidente, comprese le scuse che gli propinavo continuamente per non vederlo: lavoro, famiglia, impegni improrogabili dell’ultimo minuto, soprattutto a causa dell’imminente sfilata a fine febbraio, alla quale poi non ho assistito. Abbiamo dormito insieme solo un paio di volte in quel periodo, una a casa sua e una da me, ed entrambe le volte ho finto di crollare dalla stanchezza. Ma devo aver sbagliato qualcosa per forza perché è vero che non ha nessun motivo per mentirmi.
«Come l’hai scoperto?» chiedo sollevando i piedi da terra per allacciare le braccia intorno alle gambe, le premo al petto incassando la testa tra le spalle cercando di rimpicciolirmi il più possibile così da sembrare forse meno colpevole ai suoi occhi. 
Mi guarda sospirando, capisco che parlarne fa male a lui almeno quando a me sentirlo «Ho trovato la busta con i risultati delle analisi e il foglio dell’ospedale con l’appuntamento per l’intervento dentro la tua borsa». 
Vorrei riuscire a controllare del tutto la mia voce per non aggredirlo ma il mio tono sottolinea lo stesso quanto mi sento offesa «Tu hai rovistato dentro la mia borsa?» certo, lui ha capito che c’era qualcosa di strano nel mio comportamento e invece di chiedere a me ha cercato di scoprire da solo di cosa si trattava. 
Ancor prima che risponda balzo in piedi e indignata stringo i pugni «Non ho rovistato dentro la tua borsa» risponde venendomi dietro e afferrandomi un braccio per impedirmi di allontanarmi.
«E invece l’hai fatto!» grido voltandomi «L’ho sempre tenuta al sicuro nella tasca interna, mai una sola volta l’ho tirata fuori da lì…» strattono il braccio e lui mi lascia andare «fino al giorno in cui me ne sono liberata» dico a bassa voce ricordando il giorno in cui in ospedale raccontai tutto a Luca e gli chiesi di prendere dalla mia borsa, rovinata dalla pioggia e chiusa dentro l’armadietto, la busta perché la portasse via con sé e la distruggesse. 
«Tesoro, ascoltami» dice pacato scuotendomi appena le spalle. So che sto sbagliando, so che non è importante come l’ha saputo ma cosa, ma per una bugiarda, forse ormai irrecuperabile come me, sapere di essere stata scoperta è il peggiore incubo che diventa realtà.
«Non chiamarmi Tesoro» sibilo a denti stretti. 
La sua espressione si indurisce mentre apre lentamente le mani, lasciandole poi un attimo sospese in aria sopra le mie spalle prima di abbandonarle lungo i fianchi. 
«Ricordi la sera in cui sono venuto a dormire da te?» invece di rispondere serro le labbra. Certo che ricordo, la mattina ero andata in ospedale e mi avevano dato l’appuntamento per l’intervento «Erano giorni che non ci vedevamo e appena arrivai da te capii subito che non stavi bene. Credevo che stessi di nuovo male per colpa della tua gastrite. Dopo cena andasti subito a letto dicendo che eri stanca e che avevi mal di testa» questa volta faccio un debole segno d’assenso col capo. Ricordo tutto perfettamente di quel giorno, anche la telefonata durante la quale gli dissi che anche quella sera non ci potevamo vedere e la sua insistenza alla quale alla fine cedetti.
«Dopo un’oretta che dormivi il tuo iphone cominciò a suonare, volevo spengerlo perché temevo che ti avrebbe svegliata…» guarda in basso passandosi una mano sopra la faccia. La barba scura di qualche giorno gli dà un aspetto trasandato, non sono abituata a vederlo così, e il tono didascalico con cui parla mi fa pensare che abbia immaginato spesso questa conversazione tra noi e che stia ripetendo ciò che si è detto più volte. 
«Era dentro la tua borsa… nella tasca interna, prendendolo, per sbaglio, ho tirato fuori anche la busta, la stavo rimettendo al suo posto con il telefono dopo averlo spento, ma quando ho visto che sopra c’era scritto laboratorio di analisi…» si lascia cadere sul divano fissando qualcosa davanti a sé «l’ho aperta» 
Solleva gli occhi su di me mentre lo guardo con astio e prima che riesca a dirgli che non doveva farlo in un baleno mi è di fronte «Non azzardarti a dire che non avevo nessun diritto di farlo» risponde al mio pensiero senza avermi lasciato il tempo di esprimerlo puntandomi un dito a un palmo dal viso «Erano giorni che ti negavi, che parlavi a monosillabi se ti chiamavo, mangiavi sempre meno ed eri sempre più pallida e stanca» passandosi una mano tra i capelli solleva gli occhi fermandoli su non so cosa oltre le mie spalle «Quando ho visto la busta ho temuto che mi stessi nascondendo che avevi dei problemi di salute» in questo momento credo di vedere in lui la stessa ansia che deve aver provato vedendo la busta «Nel giro di una manciata di secondi pensando a te ho provato così tante emozioni diverse e contrastanti che ripensandoci…» disgustato piega le labbra «mi viene la nausea. Ho aperto la busta a fatica perché le mani mi tremavano» e sento che lo fanno anche in questo momento mentre le mette sopra le mie spalle tirandomi contro di sé «Terrore, ecco cosa ho provato mentre tiravo su la linguetta e tiravo fuori i due fogli, puro terrore, pensando che da lì a un attimo tutto quanto mi sarebbe crollato addosso» dice accarezzandomi dolcemente i capelli e spingendomi contro il petto «E invece, quando ho visto che tipo di analisi erano, la paura si è dissolta in un lampo, ed è stata sostituita dall’euforia che è montata talmente in fretta che quando ho letto “positivo” ho pensato che la mia vista mi stesse giocando un brutto scherzo, e che il mio cervello avesse solo elaborato… ciò che desideravo leggere» le ultime parole le ha soffiate sopra la mia fronte scaldandola come vento tiepido. 
Mentre le sue braccia mi stringono così forte da farmi temere che finirò in briciole come un biscotto di pasta frolla, trattengo il respiro in attesa che m’investa la prossima folata che già so sarà gelida.
«Se non avessi letto ciò che era scritto nell’altro foglio sarei corso da te svegliandoti e probabilmente sarei scoppiato a piangere come un bambino sopra il tuo ventre» e il freddo arriva insieme alle sue parole mentre si stacca bruscamente «Invece ho pianto… da solo… trattenendo i singhiozzi e la voglia di stracciare in mille pezzi il foglio che in un batter d’occhio si era portando via tutta la felicità di un attimo prima» indietreggia di un passo e fermandosi stringe gli occhi sfregandosi il mento con il dorso di una mano «Ero talmente fuori di me che per un attimo ho addirittura temuto di farti del male» ammette con sguardo colpevole, mentre io non riesco più a trattenere le lacrime che silenziose mi bagnano il viso e le braccia che premo sullo stomaco. 
«Sono mesi che mi chiedo se e come dirtelo… tu invece già lo sapevi» dico asciugandomi gli occhi «Perché non me l’hai detto?»
«Perché sapevo che non sarebbe servito a niente. Se avevi deciso di non tenerlo cosa avrei potuto dire per farti cambiare idea? Che ti amo e che mi sarei preso cura di voi già lo sapevi. Ti avrei solo allontanato da me. Mi avresti lasciato per dimostrarmi quanto tu fossi convinta della tua decisione» come sempre, ho sottovalutato che mentre io osservo gli altri, gli altri osservano me, e lui dimostra di averlo fatto con molta più attenzione di quello che pensavo.    
«Perché hai deciso di dirmelo proprio ora?»
Si avvicina sospirando «Perché devi capire quanto sei importante per me. È vero, desidero un figlio… anche più di uno, ma come potevo dirtelo, sei così… così restia anche solo a lasciarti andare in una relazione» dice sollevandomi il mento «Ma voglio che tu sappia che non ne voglio se non posso averli con te. Rinunciare ad avere un figlio non è così doloroso come pensare di non averti più nella mia vita, perché prima di qualsiasi altra cosa è di te che ho bisogno»
«Dario, questo è quello che pensi oggi, col tempo ti pentirai sicuramente di aver accettato un simile compromesso»
«No, sei tu che non pensi che si possa amare fino a tal punto. Dammi la possibilità di dimostrarti che ti sbagli» 
«Non posso perché se davvero desideri avere dei figli prima o poi mi odierai per averti impedito di averne e probabilmente vivrai costantemente sperando che col tempo io cambi idea. Prima dell’incidente ho desiderato tenerlo per motivi che non hanno niente a che fare con noi due. Sono rimasta incinta per un errore, uno stupidissimo errore che ho fatto, non ho mai pensato di avere un figlio volontariamente e so già che questo non cambierà mai»
«Io invece so che sceglierei sempre e comunque te. Torna a casa con me. Lasciamoci tutto questo alle spalle e ricominciamo da capo»
«Dario, ti prego. Io… non posso farlo»
«Aspetterò che sistemi le cose con il tuo lavoro, che Luca abbia trovato qualcuno che ti sostituisca»
«Ti ho mentito anche su questo. Non stiamo cercando nessuno per lo showroom, da quando sono qui non abbiamo fatto un solo colloquio. Rimarrò qui e non so dirti per quanto tempo ancora» nella voce metto tutta la determinazione possibile, dalla sua espressione capisco che questa volta l’ho spiazzato.
Dopo aver incassato il colpo scuote il capo «Io so perché lo fai, perché continui a scappare e perché non vuoi legarti a nessuno» lo osservo affinando lo sguardo. 
Prima di parlare raddrizza la schiena e appoggia le mani sui fianchi «Tu pensi di essere come tuo padre»
Una sberla con ritorno del manrovescio mi avrebbe sconquassata meno delle sue parole «Che c’entra mio padre? Come… come lui in che senso?» chiedo con timore «Che cazzo ne sai tu di lui?» grido capendo che la sua affermazione non c’entra niente con il fatto che sa che è morto. 
Sento la rabbia montarmi dentro e la lascio esplodere «RISPONDIMI» 
Rendendosi forse conto di aver fatto uno sbaglio a nominarlo, si morde un labbro e dopo un boccata d’aria che gli gonfia completamente il petto dice «Sai che in ospedale ho conosciuto la tua famiglia, e quando tu dormivi, soprattutto con tua zia, ho parlato a lungo»
«E quindi? Che ti ha detto?»
«La verità»
«Non ci credo. Lei non l’avrebbe mai fatto… lei sa che non voglio che ne parli con nessuno» dico incredula «Tu stai solo cercando di farmi parlare di lui ma io non ti dirò un bel niente. Credi che amarmi ti dia anche il diritto di farti gli affari miei?» chiedo con foga. 
«Non serve, so già tutto quanto. All’inizio è vero, non voleva, mi ha detto che ti aveva promesso che non l’avrebbe mai fatto, ma io ho insistito dicendole che avevo bisogno di capire da cosa nasceva la tua paura di impegnarti con un uomo. Penso che abbia ceduto perché mi ha visto davvero disperato»  
Niente, lui non doveva sapere niente, nessuno deve sapere niente. Cosa crede di aver capito ora? Me? Cosa può saperne lui di quello che si prova quando l’uomo che dovrebbe amarti sopra ogni cosa ti volta le spalle in modo così spregevole? No, lui non può capire, lui come nessun altro.
Nemmeno quell’idiota di psicologo infantile l’ha fatto, ed era il suo mestiere, ma se lui non ha capito me io ho capito perfettamente cosa mi stava spiegando usando parole semplici ed esempi comprensibili a una bambina di sei anni. Al termine della mia prima e unica seduta di terapia ho vomitato tutta la colazione sopra le sue scarpe costose e me ne sono andata con mia madre, arrivata a casa le ho sbattuto la porta di camera mia in faccia gridando che non volevo andare mai più da lui e che nessuno doveva più nominare mio padre. 
«Dario, vattene prima che dica qualcosa di cui mi pentirò sicuramente» dico voltandomi. Se non lo guardo forse riuscirò a trattenere tutta la rabbia che provo in questo momento «Se davvero mi ami, esci da qui e lasciami da sola» dico sentendolo a un passo da me «Torna a casa e scordati tutto quanto, soprattutto di me. Non voglio più stare con te e non mi servono né la tua compassione né il tuo amore. Non so proprio cosa farmene di entrambi» trattengo il respiro sperando di essere stata abbastanza dura da fargli capire una volta per tutte che l’unica cosa che voglio è che esca per sempre dalla mia vita.
Dopo un minuto interminabile sento sbattere la porta di casa alle mie spalle. Rimango immobile almeno un altro minuto mentre sento ardere la bocca dello stomaco, quando le fiamme mi salgono fino alla gola corro in bagno a vomitare. 
 
Facciamo solo parte del ciclo della vita, tutto qui, torneremo ad essere niente dopo che il tempo che abbiamo a disposizione sarà terminato. Nasciamo tutti con la data di scadenza stampata chissà dove, alcuni vizi e cattive abitudini la avvicinano ed eventi imprevedibili la modificano drasticamente. 
Ma perché se questo è il nostro destino inevitabile ci è stata data una coscienza? Perché negli anni che abbiamo a disposizione dobbiamo gioire poco e soffrire più di quanto a volte è possibile riuscire a sopportare? Cosa dobbiamo farci con tutti questi sentimenti che siamo costretti a provare se poi diventeranno niente come noi? Aspettare, solo questo possiamo fare, aspettare che il dolore passi e sperare che arrivi presto un altro giorno in cui saremo in grado di sorridere di nuovo e provare un po’ di serenità. 
Domande senza alcuna risposta, ecco cosa siamo.  
E io invece di continuare a deprimermi dovrei alzarmi da questo letto e chiamare Russel, ma ora sono troppo stanca e non voglio nemmeno che senta la mia voce arrochita dai succhi gastrici. Quando la mia sveglia suonerà sarà la prima cosa che farò, ma adesso no, adesso ho solo bisogno di dormire, smettere di pensare a Dario, a mio padre, a cosa andrò incontro portando avanti la relazione con Russel. Dormire, ecco il mio imperativo ora, solo questo, poi domani si vedrà.
 
Dei colpi e delle voci mi svegliano all’improvviso. Scatto a sedere sul letto guardando la sveglia e rimanendo in attesa di sentirli di nuovo, arrivano dalla porta di casa, riconosco la voce di Dario che grida il mio nome. Senza nemmeno coprirmi, con addosso solo le mutandine e la solita canotta che uso per dormire, corro ad aprire prima che svegli tutti i vicini,.
«Ma sei impazzito? Sono le quattro di notte. Vuoi svegliare tutti quanti?» lo aggredisco aprendo.
«Perché no? Facciamoli venire tutti qui, almeno faccio vedere anche a loro chi è la donna con cui sono stato per un anno e mezzo» mentre mi sorpassa in fretta sento l’odore dell’alcol che gli aleggia intorno, quando mi viene di fronte capisco che per fortuna non è ubriaco, forse solo un po’ alticcio e i suoi abiti sono stropicciati come se ci avesse dormito.
«Che stai dicendo? Cosa vuoi far vedere a tutti?» chiedo osservando i suoi occhi che sembrano brillare di lucida follia. 
Mi riserva un ghigno malato d’odio mentre tira fuori qualcosa dalla tasca di dietro dei jeans: una busta, grande e piegata in due.
«Perché non li fai venire?» chiede sprezzante aprendo la busta «Forse loro sapranno dirmi chi cazzo è quello che ti scopi» poi tira fuori delle foto e me le getta addosso. Osservo la decina di immagini che svolazzano di fronte a me, e ancor prima che raggiungano il pavimento capisco che nascondergli l’esistenza di Russel non è servito a niente. 
«Come… come fai ad avere queste foto?» chiedo guardando il pavimento, la maggior parte sono cadute a faccia in giù, ma tre posso vederle: in una Russel mi sta portando in braccio attraverso la spiaggia e io sono completamente nuda, in un’altra siamo entrambi nudi sopra il lettino e ci stiamo baciando, mentre nella terza… nella terza ho gli occhi chiusi e un’espressione languida mentre lui ha la testa tra le mie gambe. 
«Qualcuno mi ha recapitato la busta in albergo a Monterey» dice muovendosi agitato per la stanza.
«Chi? E Perché me le hai fatte vedere solo adesso?»
«Non so chi è stato, sopra non c’è scritto niente. Me le hanno date alla reception prima di partire, le ho buttate in valigia senza aprirle, non mi ricordavo nemmeno di quella busta, l’ho aperta solo poco fa» si ferma osservandomi con ribrezzo «Che idiota che sono, solo uno stupido idiota» dice spostando in fretta lo sguardo sulle tre foto ai miei piedi.
Abbasso lo sguardo anch’io e cadendo in ginocchio con movimenti frenetici cerco di radunarle in fretta ma lui si piega su di me bloccandomi i polsi.
«Lasciami» grido divincolandomi ma lui rafforza la stretta.
«Non serve che tenti di nasconderle tanto le ho già viste» dice sollevandomi con forza da terra e costringendomi a guardarlo «Chi è? E da quant’è che va avanti?» chiede strattonandomi.
«Mi… mi stai facendo male» dico con le lacrime agli occhi, sposta lo sguardo sulle sue mani e mi lascia immediatamente i polsi.
«Lo conoscevi già? Sei venuta a Los Angeles per stare con lui?» chiede chinandosi sul mio viso mentre lo osservo senza emettere nemmeno un suono «Che c’è? Ti sei consumata la lingua a usarla con lui?» 
Indignata faccio un passo indietro «No che non lo conoscevo. Non sono certo venuta fin qui per… per…»
«Per farti scopare? Dai il giusto nome alle cose per favore» dice ironico «Da me sono mesi che non ti fai toccare. Non hai nemmeno voluto dormire con me. Ci scopi con lui sopra quel letto vero?» passa entrambe le mani tra i capelli tirandoli «Che idiota che sono, magari sono anche più di uno. Quanti te ne sei fatti da quando sei qui?» chiede inclinando il capo.
«Dario, sei fuori di te. Non sai nemmeno cosa stai dicendo» dico sorpassandolo a passo svelto.
«Allora parla, non chiuderti come sempre nel tuo mutismo del cazzo. Ho diritto di sapere perché hai deciso di lasciarmi»
«Non ti lascio per stare con lui… ti lascio perché non ti amo» 
«Non vorrai mica dirmi che invece ti sei innamorata di lui? Che vuoi saperne tu, tu sei solo un’egoista, tu usi gli altri a tuo piacimento»
«Sei venuto fin qui per sfogarti? Bene fallo, poi esci dalla mia vita per sempre però» grido stringendo i pugni.
«Sì, sono qui solo per dirti quanto ti odio. Ti odio perché mi hai mentito per mesi, perché sei scappata come una codarda per non ammettere che non volevi più stare con me. Ti odio perché ho creduto davvero di poter avere un futuro con te. Sai perché a fine anno ho comprato una casa fuori città?» chiede sollevando le sopracciglia «Per te, perché dicevi sempre di voler vivere in periferia. Al tuo ritorno in Italia volevo chiederti di venire a stare da me» sorride con amarezza poi grida puntando una mano verso di me «Che cazzo me ne faccio ora di quella casa? Che cazzo me ne faccio se… se tu non sarai lì ad aspettarmi la sera?» chiede con voce rotta dalla rassegnazione.
«Io non lo sapevo, non me l’avevi mai detto» mi giustifico torcendomi le mani.
«A cosa sarebbe servito? Mi avresti dato il ben servito subito se l’avessi saputo. Vuoi sapere cosa ho pensato quando ho saputo che durante l’incidente stavi venendo da me?» nego debolmente «Che venivi per dirmi che avevi deciso di tenere il bambino e che mi avresti sposato»
Ecco cosa pensava che gli avrei detto, ma io non sapevo che aveva scoperto che ero incinta, per tutti questi mesi lui ha pensato che volessi sposarlo e probabilmente che se dopo ho cambiato idea era solo perché avevo perso il bambino. 
Il peso schiacciante di tutti i miei errori mi sovrasta e scoppio a piangere lasciandomi cadere a terra. 
«Smetti di piangere» mi ordina «Ho detto che devi smettere subito di piangere» dice stringendomi le spalle e tirandomi su da terra «Quel è il problema ora? Hai ottenuto quello che volevi, ti lascio finalmente libera di vivere la tua vita e di farti scopare da chi vuoi» grida scuotendomi «Perché cazzo piangi ora?» 
«Mi dispiace… mi… dispiace» 
«Di cosa? DI COSA TI DISPIACE?»
«Di non aver capito subito, di non averti parlato prima. Di… di non amarti come meriteresti»
Stringendomi le guance con una mano mi alza il viso «A me invece dispiace di averti conosciuta. Tu non sei come tuo padre, tu sei peggio di lui. Lui almeno ha avuto il coraggio di andarsene per sempre, tu invece sei solo una codarda. Davvero volevi tenere il bambino? Sei solo un’illusa se pensi che saresti stata in grado di prenderti cura di lui. Tu non saresti capace nemmeno di amare tuo figlio» dice con disprezzo a un centimetro dal mio viso.
Le gote mi dolgono mentre continua a premerle contro i miei denti, so che non sarebbe in grado di farmi del male, ma in questo momento i suoi occhi lucidi e fermi nei miei mi spaventano.
«Ma il vero motivo perché ti odio è uno solo: perché ti amo. Ti amo così tanto che per averti sono disposto a scordarmi tutto… anche quelle foto» dice continuando a stringermi il viso con una mano e indicando a terra dietro di sé con l’altra «Non vuoi sposarti, OKAY, non vuoi figli, BENISSIMO, ognuno a casa sua, D’ACCORDO. Sono disposto ad accettare qualsiasi condizione vorrai impormi» il suo sguardo si addolcisce mentre lo muove dai miei occhi alle mie labbra «Devi solo tornare a casa con me»
Stringendo le dita attorno al suo pollice contro la mia guancia e l’altra mano intorno alle sue dita dall’altro lato del mio viso lo obbligo a lasciarmi, prima di parlare muovo la mascella indolenzita massaggiandola.
«Dario, io credo di essermi innamorata e non voglio tornare a casa con te» 
Dopo un attimo di smarrimento sollevando le mani indietreggia pesticciando le foto fino a raggiungere la porta, uscendo mi guarda un’ultima volta con disprezzo «Gli auguro di essere più fortunato di me e di non innamorarsi mai di te. Se tu gli volessi anche solo un po’ di bene lo lasceresti in pace a quel poveretto, non sa che calvario dovrà attraversare standoti dietro» detto questo si chiude la porta alle spalle e mi lascia da sola a osservare le foto che mi ritraggono felice tra le braccia di Russel, a domandarmi chi può essere stato e perché a recapitarle a Dario.
 
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No comment.
V.17

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Capitolo 29
*** Cap. 29 - Sere nere ***


Non sono una grande fan di Tiziano Ferro, ma sono legata mani e piedi a questa canzone.
Buona lettura.
 
V.17
 
******************** 
 
CAP. 29 - SERE NERE
 
Di sere nere, 
che non c’è tempo 
non c’è spazio 
e mai nessuno capirà.
 
Puoi rimanere, 
perché fa male, male, 
male da morire 
senza te. 
 
Ripenserei che non sei qua, 
ma mi distrae la pubblicità. 
Tra gli orari ed il traffico lavoro e tu ci sei, 
tra il balcone e il citofono ti dedico i miei guai. 
 
Ho combattuto il silenzio parlandogli addosso 
e levigato la tua assenza solo con le mie braccia, 
e più mi vorrai e meno mi vedrai, 
e meno mi vorrai e più sarò con te, 
e più sarò con te, con te, con te. 
Lo giuro. 
 
Di sere nere, 
che non c’è tempo 
non c’è spazio 
e mai nessuno capirà.
 
Puoi rimanere 
perché fa male, male, 
male da morire 
senza te, senza te, senza te. 
Senza te. 
 
Tiziano Ferro
 
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Martedì 31 Luglio 2012
 
Ho osservato attentamente le dodici foto fino a che ho cominciato a vederci doppio, le ho rigirate tra le mani consumandomi i polpastrelli per cercare qualsiasi traccia o dettaglio apparentemente insignificante, ma niente, non è servito a niente, nemmeno la marca della carta fotografica su cui sono state stampate ho trovato impressa. 
L’unica cosa che credo di aver capito è che sono state scattate da molto lontano, perché per ingrandirle il più possibile e rendere riconoscibili i nostri visi sono leggermente sgranate. 
Pensare che qualcuno ha spiato me e Russel durante un momento così intimo e privato mi fa sentire impotente e esposta.
Chi può essere stato? E perché? Se le avesse fatte un paparazzo sarebbero finite in un batter d’occhio alla redazione di qualche giornale di gossip, le avrebbero già pubblicate da un pezzo considerando che le hanno scattate due settimane fa mentre eravamo alla casa al mare di Luca, invece sono state recapitate a Dario solo ieri. 
Chiunque sia stato è sicuramente qualcuno che ce l’ha con me, non sono state fatte per scavare nella vita privata di Russel ma per far sapere a Dario che lo stavo tradendo, come se non bastasse tutto quello che gli ho fatto, in fondo ero già stata brava da sola a incasinare tutto quanto con lui, doveva ricevere anche il colpo di grazia trovandosi tra le mani quelle foto.
Giuro che se riuscirò mai a scoprire chi è stato gli farò pagare amaramente il dolore gratuito che ha inflitto a Dario. Non volevo che sapesse di Russel, non era necessario infierire ancora e dargli un ulteriore motivo per soffrire. Non m’interessa se ora mi odia o mi disprezza, ma non voglio che pensi che ho gettato al vento un anno e mezzo con lui solo per un capriccio senza che comprenda le vere motivazioni.   
Un brivido mi scuote le spalle al pensiero che per avere le foto devono averci seguiti per giorni aspettando solo l’occasione giusta. E se ci stessero ancora seguendo? Magari in questo momento qualcuno è sotto casa mia con una macchina fotografica puntata verso una delle finestre. 
Cazzo, devo calmarmi e ragionare razionalmente, in fondo hanno già ottenuto quello che volevano, se non hanno divulgato le foto fino a oggi ormai è probabile che non lo faranno più. 
E se chi ce l’ha con me, pensando che non ha fatto abbastanza, cambiasse idea? Sai che bello sarebbe finire sulla copertina di una delle più infime riviste di pettegolezzi a cosce spalancate mentre il famoso attore Russel Rush mi fa un lavoretto orale con i contro fiocchi. Sarebbe un danno anche per la sua immagine, l’unica cosa che potrei fare per aiutarlo sarebbe rilasciare qualche intervista per dichiarare che non esiste uomo al mondo bravo come lui nella pratica della divina arte del cunnilingio. 
Niente, non ci riesco, non sono capace di rimanere in carreggiata con i pensieri nemmeno in un momento come questo, devono venirmi in mente una marea di stronzate come sempre, anche mentre sto tremando dal freddo senza nemmeno sapere da quant’è che sono seduta a terra nel mio bagno. Credo siano passate diverse ore, dalla finestra vedo che il sole è già spuntato ed è passato un bel po’ da quando è suonata la mia sveglia, ma non riesco lo stesso ad alzarmi da qui, appena ci provo mi sale un nuovo conato e i dolori allo stomaco m’impediscono di stendere le gambe, continuo a premerle al petto tenendo la testa abbandonata sopra le ginocchia. Ho il lato sinistro del corpo a contatto con le piastrelle fredde del muro completamente congelato, e anche i piedi e il sedere, dovrei provare almeno a staccarmi da qui ma temo che non sarei in grado di non scivolare a terra, e non credo che le piastrelle del pavimento siano meno fredde. 
Mi sono addormentata un paio di volte, svegliandomi dopo non so quanto con ancora nelle orecchie tutto quello che mi ha gridato Dario facendomi salire nuovi conati violenti, la prima volta mi sono anche girata di scatto con la chiara sensazione che fosse alle mie spalle. 
Forse ha ragione a dire che sono peggio di mio padre, lui ha dato un taglio netto a tutto quanto, io invece continuo ad arrabattarmi nel vano tentativo di tenermi a galla, appoggiandomi agli altri quando penso di non riuscire più a stare in superficie, approfittandomi di loro e spingendoli verso il fondo al posto mio. L’ho fatto anche con Dario, e dopo quello che mi ha detto uscendo comincio a chiedermi se non toccherà la stessa sorte anche a Russel. 
Cazzo Russel, dovrei chiamarlo, sarà già fuori di testa a non avermi ancora sentita, anche se gli ho detto di non chiamarmi l’avrà fatto sicuramente, trovando tutti e due i miei telefoni spenti, prima di correre in bagno dovevo prendere il mio iphone ma sono riuscita a mala pena a radunare le foto e rimetterle dentro la busta. Devo assolutamente alzarmi da qui. Altri cinque minuti poi giuro che lo faccio, solo cinque minuti.
 
«Dove sei? Papà, ti prego, dimmi dove sei. Parlami… dimmi… dimmi dove sei» seduta a terra nella mia vecchia cameretta grido sopra la cornetta sperando che non riattacchi come sempre prima che abbia finito di dirgli tutto.
«Sono una donna ora, non sono più il tuo scricciolo. Ho i tuoi stessi occhi sai, e anche i tuoi capelli, ma tu non lo saprai mai… tu non hai voluto sapere come sarei diventata… cosa ne sarebbe stato di me… cosa ho fatto ogni giorno da quando te ne sei andato» rimango un attimo in silenzio per ascoltare il suo respiro lento al di là del telefono.
«Cosa ti ho fatto di male? Perché mi hai lasciata? Volevi punirmi? Di cosa? Ero solo una bambina… forse ho sbagliato qualcosa… ma… ma  ero solo una bambina… solo una bambina…» solo una bambina…
«Mi manchi… mi manchi sempre… mi manchi ancora…»
Scoppio a piangere lasciando cadere a terra il telefono.
Ha riattaccato. 
 
«Rebecca!»
«Cinque minuti… solo cinque minuti…»
 
«Ehi, bentornata tra noi»
Ho la faccia schiacciata contro un cuscino e una coperta tirata fin sotto al mento, ma sento lo stesso freddo, apro appena un occhio per vedere chi ha parlato: Luca, è seduto sul mio letto accanto a me. 
«Come ti senti?» chiede liberandomi la fronte dai capelli.
«Ho freddo» sussurro.
«Perché hai la febbre. Solo tu sei capace di ammalarti nel mese di luglio in California» mi sbeffeggia. Ci mancava solo la febbre. 
Si alza e torna con un’altra coperta, dopo avermela stesa addosso chiede «Meglio?» annuisco. 
«Che ci fai qui?»
«Sono venuto perché non ti sei presentata a lavoro»
«Sei qui per farmi un richiamo verbale per mancanza di disciplina?» chiedo accennando un sorriso.
«Certo, e se lo farai di nuovo ti beccherai un richiamo scritto» dice dandomi un buffetto sul naso, poi aggiunge «Mi ha avvertito Matt dicendomi che l’avevi chiamato perché stavi male, siamo corsi qui e ti abbiamo trovata mezza morta in bagno»
«Matt?» chiedo allarmata.
«Sì. Non ti ricordi di averlo chiamato?»
L’ultima cosa che ricordo è di aver strisciato fino in camera per prendere il mio iphone e di essere tornata in bagno, dopo l’ennesimo conato ho acceso il telefono per chiamare… «No, ti sbagli, io ho chiamato Meg»
«Hai sbagliato tu, perché invece hai chiamato lui»
«E ora dov’è?»
«Quando ha visto che ti stavi svegliando è andato a prepararti una camomilla. Quanto sei stata mezza nuda in bagno a vomitare?»
«Non so… che ore sono?»
«Le due, ma siamo arrivati che erano passate da poco le dieci»
«Allora cinque ore più o meno»
«Cazzo Reb, perché non hai chiesto aiuto prima?»
«Perché non riuscivo ad alzarmi da lì»
«Ti dovrò regalare uno di quegli affari da mettere al collo per chiedere aiuto come alle persone anziane»
«Però lo voglio tempestato di diamanti» 
Mi guarda e scoppia a ridere, quando lo faccio anch’io, per colpa dei muscoli dello stomaco indolenziti mi scappa un lamento e smetto immediatamente.
«È stato così tremendo parlare con Dario?» chiede.
Faccio spallucce e mi raggomitolo ancora di più sotto le coperte «Lui mi ha detto delle cose, io gli ho detto delle cose e… ognuno per la sua strada»
Qualcuno si schiarisce la voce, sposto lo sguardo oltre le spalle di Luca e vedo Matt che entra in camera con una tazza fumante tra le mani. 
«Matt, ciao. Scusa se ti ho chiamato, non volevo disturbarti ma ho confuso il tuo nome sul telefono con quello di Meg» dico sollevandomi per mettermi seduta, anche se mi muovo lentamente i dolori sono come stilettate tra le costole. Tirando fuori le braccia da sotto le coperte vedo che indosso il pigiamone con i panda. 
«Scherzi?» chiede appoggiando la tazza sopra al comodino «Ora come ti senti?»
«Credo che mi stia venendo il raffreddore» rispondo sentendo che inizio a respirare a fatica dal naso «Ma lo stomaco sembra essersi calmato» aggiungo cercando di nascondere l’imbarazzo che provo pensando che mi ha vista in mutandine e canotta mezza cadaverica in bagno.
«Hai preso freddo, ma non morirai se è questo che ti preoccupa» sorrido e lui fa altrettanto «Ti ho preparato una camomilla, ti va di berla?»
«Sì grazie, sto morendo di sete» rispondo e lui mette la tazza tra le mie mani. 
«Puoi andare in farmacia e prendere questo antiacido?» dice passando un foglietto a Luca «E prendi anche le aspirine, ho visto che le ha quasi terminate e se dovesse salirle la febbre ne avrà bisogno» 
«Sì certo» risponde infilando il foglietto in tasca «Un minuto ed esco»
«Con la tua gastrite dovresti tenere almeno un antiacido in casa» mi rimprovera Matt.
«Ne ho una confezione in borsa» mi giustifico «Ma di solito non serve a molto» aggiungo scrollando le spalle e bevendo un sorso di camomilla.
«Ti porto la borsa così intanto ne prendi uno» dice uscendo. 
«Dopo che ti abbiamo messo a letto è suonato il tuo telefono» dice Luca «Era Russel, mi ha detto che è da ieri sera che prova a chiamarti»
Come immaginavo «Non gli avrai mica detto di avermi trovata febbricitante con la testa affondata nella tazza del bagno?»
«Certo che no, gli ho detto che eri febbricitante ma nel tuo letto, che non doveva preoccuparsi e che quanto ti saresti svegliata l’avresti chiamato» 
«Meno male» dico rilassandomi, ma quando arriccia il naso chiedo preoccupata «Perché fai quella faccia?»
«Perché mi sa che non l’ha bevuta»
«E cosa te lo fa pensare?»
«Ha detto che prendeva il primo volo per tornare»
«Luca!» sobbalzo pentendomene immediatamente per il dolore al torace e lui mi sfila la tazza dalle mani prima che versi tutta la camomilla.
«Non è colpa mia, non ha ascoltato una sola parola di quello che gli ho detto, continuava solo a chiedere se gli stavo dicendo la verità o se gli stavo nascondendo…» dallo sguardo incerto che mi riserva capisco che si è interrotto perché Matt è rientrato in camera, non sa che mi sono confidata con lui raccontandogli di me e Russel.
«Cosa?» lo sprono e annuisco per dargli il permesso di continuare.
Prima di parlare esita solo un attimo «Pensa che Dario si sia arrabbiato e che ti abbia messo le mani addosso»
«Te l’ha detto lui?» chiedo spalancando gli occhi.
«Sì, voleva parlare con te ma mi sono rifiutato di svegliarti allora ha preteso che gli giurassi che eri tutta intera»
«E tu perché non l’hai fatto?» chiedo rimproverandolo con lo sguardo.
«Certo che l’ho fatto» risponde prontamente «Ma sai com’è quando si mette in testa una cosa» 
Sbuffo rilassandomi con le spalle sul cuscino, deve essere il mio destino avere a che fare con uomini duri come muli.
«Ma come gli è venuta in mente una cosa simile?» chiedo abbassando gli occhi sulla coperta senza però aspettarmi una vera risposta da nessuno. Dario non avrebbe mai fatto niente del genere, nemmeno dopo aver visto le foto «Portami il telefono» ordino a Luca che alza gli occhi al soffitto ma fa come gli ho detto, mentre Matt dopo aver seguito in silenzio il nostro battibecco appoggia la mia borsa sopra al comodino.
«Ha il telefono spento» mi lamento interrompendo la chiamata.
«Non può essere già arrivato, probabilmente sarà partito ora. Questo vuol dire che sarà qui…» dice Luca guardando l’orologio al suo polso «per l’ora di cena» 
Dopo i primi quattro rinuncio a leggere anche tutti gli altri messaggi che Russel mi ha mandato quasi ininterrottamente da ieri sera fino a quando questa mattina Luca ha risposto alla sua chiamata, capendo che il succo è sempre lo stesso: “Perché hai spento il telefono?”. “Non se n’è ancora andato?”. “Chiamami!”. “Cazzo chiamami!”
Luca è uscito per andare in farmacia, volevo dirgli delle foto, forse lui può illuminarmi su chi può essere stato, ma di questo non mi va di parlare davanti a Matt.
«Matt, se vuoi puoi andare, tanto Luca tornerà tra poco» gli dico mentre bevo la camomilla.
«Ormai aspetterò che sia tornato»
«Grazie» dico riconoscente, dopo la nottata che ho passato non mi va di rimanere da sola anche se per poco.
«Anche se probabilmente l’avrai già capito da solo… ieri Dario è stato qui e io… l’ho lasciato» 
«È per questo che stanotte ti sei sentita male?»
«Sì» rispondo guardando la tazza ormai vuota tra le mie mani «La nostra discussione è stata molto diversa da come l’avevo immaginata. Non mi aspettavo che lui sapesse…» sospiro sollevando gli occhi e guardandolo «che lui sapesse alcune cose che non gli avevo mai detto. Sono stata molto dura con lui, con tutto quello che gli ho fatto non avrei voluto trattarlo così male ma… ma lui si è impicciato di alcune cose che io non volevo che venisse a sapere» 
«Non dovresti scervellarti tanto perché per quanto uno ci provi non esiste un modo gentile e indolore per lasciare qualcuno che è ancora innamorato di te. La sofferenza dell’altro è un danno collaterale in queste circostanze»
«Ne sono cosciente ma avrei dovuto affrontare tutta la situazione in modo completamente diverso. Non dovevo lasciare che tutto quanto mi sfuggisse di mano, è solo colpa mia se lui sta soffrendo più del necessario. Dovevo lasciarlo quando mi disse per la prima volta che mi amava non provando i suoi stessi sentimenti» mentre parlo mi sfugge una lacrima che mi affretto ad asciugare con la manica del pigiama «Sono solo un’egoista, ha ragione lui» mi scappa uno starnuto, mi copro la bocca con una mano premendo l’altra sul torace che mi duole.
«Okay, è vero, avresti dovuto capire tutto quanto prima e affrontarlo, ma ora l’hai fatto. Va’ avanti con la tua vita, vedrai che lo farà anche lui» dice passandomi la scatola dei kleenex che tengo sopra la cassettiera «Ti garantisco che il tempo è una buona cura per tutto. Lo è stato anche per me»
Mi soffio il naso e mi asciugo gli occhi.
«Ora però rimettiti sotto le coperte» 
Scivolo in basso rannicchiandomi di lato «Tu quanto ci hai messo a dimenticare Katherine?» chiedo mentre mi aggiusto le coperte sulle spalle. 
Sospira sedendosi accanto a me «Beh, per me è stato un po’ diverso, noi stavamo per sposarci e parlavamo anche di avere dei figli. Quando l’ho trovata a letto con il mio testimone mi è crollato il mondo addosso. Sono passati quasi tre anni e ormai non sono più innamorato di lei da un pezzo, ma ammetto che è stato difficile ricominciare da capo. E anche se ovviamente so che è stato meglio così, a volte ancora mi domando se oggi sarei più sereno se non l’avessi mai scoperto o se lei avesse avuto il coraggio di lasciarmi prima, perché è praticamente impossibile non continuare a vederla tra le braccia di un altro. Credo che il tradimento sia la cosa più difficile da affrontare, a distanza di anni ti continui a chiedere chi era la persona che hai amato e se la tua capacità di giudizio sia adeguata» dice con sguardo cupo «In poche parole: non riesci più a fidarti delle altre donne»
«Tu… tu non hai più avuto una relazione dopo Katherine?» chiedo pensando alle foto che ha visto Dario.
«Niente di veramente importante» dice sistemandomi le coperte «Ma tu non devi preoccuparti per Dario, in fondo lui non sa di te e Russel» nego con il capo mentre sento nuove lacrime salirmi agli occhi «Vedrai che gli passerà e…» si interrompe per guardare il mio telefono che suona «È Russel» dice prendendolo dal comodino. 
«Puoi rispondere tu e dirgli che sto dormendo?» chiedo senza tirare fuori nemmeno una mano da sotto le coperte per prendere il telefono che mi sta porgendo.
«Okay» risponde dopo un attimo di esitazione. 
«Russel ciao, sono Matthew»
«Luca non ti ha detto che ero qui?»
«Quando… le è salita la febbre voleva chiamare Meg ma ha sbagliato e ha chiamato me»
«No, è uscito per andare a prenderle delle medicine»
«Ha solo un po’ di raffreddore, non devi preoccuparti»
«Si è appena addormentata, è piuttosto stanca è meglio se la lasciamo dormire»
«Certo, appena si sveglia glielo dirò»
«Ciao»
Appoggia il telefono sopra il comodino sorridendo «Credo che sia geloso di me» dice divertito.
«Non farci caso, è geloso anche dell’aria che respiro»
«Me n’ero accorto» risponde sorridendo ancora «Ha detto che l’aereo è decollato da poco, arriverà qui verso le otto. Perché non ci hai voluto parlare?» 
«Perché sono stanca, vorrei dormire un po’» rispondo abbandonando la testa sul cuscino.
«Okay, questo lo porto di là» dice prendendo il mio telefono, poi esce dalla camera.
«Grazie Matt» dico mentre sparisce dietro la porta. Prima di chiudere gli occhi guardo la borsa dove ieri sera ho infilato la busta con le foto. Per Dario sarà come per Matt? Anche lui non riuscirà più a fidarsi di nessun’altra donna per colpa mia? Dovrò vivere anche con il rimorso di essermi innamorata di un altro uomo mentre stavo ancora con lui e di non aver aspettato per frequentarlo? Sarebbe stato davvero meno doloroso per Dario se non avesse scoperto di Russel? 
 
«Dove vai?» mi chiede Luca mentre tiro fuori le gambe dal letto.
«Devo andare in bagno» ho dormito per delle ore e tra poco Russel sarà qui, voglio almeno lavarmi la faccia e i denti.
«Mentre dormivi è passata da qui Meg, ti ha portato del brodo e del pollo»
«Non ho fame» mi alzo con cautela mentre Luca mi sorregge, mi sento debole e mi gira parecchio la testa.
«Non importa. Ti è salita la febbre, devi mangiare e prendere l’aspirina» sto per ribattere che una madre già ce l’ho ma mi precede «E non discutere con me» dice aprendo la porta del bagno «Se tra due minuti non sei fuori da lì entro» non perdo nemmeno tempo a rispondergli, sono troppo debilitata per tenergli testa.
«Ma da quant’è che non mangi?» chiedo divertita a Luca che i cinque minuti netti si è sbafato una pizza gigante mentre io ho buttato giù solo tre cucchiai di brodo. Voleva portarmi la cena a letto ma ho preferito alzarmi e mangiare a tavola. Sono uscita dalla camera con una coperta che lui mi ha annodato al collo, mi sento molto Batman con quest’affare che mi svolazza intorno mentre cammino. 
«A pranzo mi sono fatto solo un panino con la roba che ho trovato nel tuo frigo. Se non portavano in fretta la pizza mi sarei buttato anche sul pollo lesso» dice guardandolo e storcendo la bocca disgustato «Muoviti a finire quel brodo e poi mangiane un pezzo. Prima che arrivi Russel voglio che mi racconti di ieri sera» dice versandosi la birra. 
«Dario mi ha dett…»
«Prima mangia» mi ordina con espressione severa.
Sbuffo portandomi il cucchiaio alle labbra e finisco la mia cena in silenzio mentre lui mi osserva con le braccia incrociate sopra la tavola.
 
«Pazzesco!» esclama dopo che gli ho raccontato della prima visita di Dario «Lui sapeva tutto e se l’è tenuto per sé per tutti questi mesi»
«Già» dico appoggiando le spalle ai cuscini del letto dietro di me.
«Te l’avevo detto che non si sarebbe fermato davanti a niente pur di tenerti con sé»
«E ancora non ti ho raccontato tutto» dopo la mia affermazione la sua espressione attenta aumenta d’intensità «Durante la notte…» il suono del campanello di casa ci costringe a interrompere il nostro discorso «Vai ad aprire a Russel. Finirò di raccontarti un’altra volta»
«Okay» risponde sbuffando e alzandosi dal letto. 
La sua espressione scocciata mentre esce dalla camera mi fa sorridere. Penso che la curiosità di Luca sia paragonabile solo a quella di una comare di paese, anche se questa volta so che il suo interesse nasce solo dall’affetto che ha nei miei confronti.
Sento Russel che saluta Luca e un secondo dopo entra in camera precedendolo. Luca si ferma un secondo sulla porta poi la chiude lasciandoci soli.
«Ehi, come stai?» chiede sedendosi sul bordo del letto.
«Ho preso un’aspirina poco fa. Credo che la febbre stia già scendendo» rispondo mentre lui appoggia una mano sopra la mia fronte.
«Sei ancora molto calda» 
«Ma non morirò. Anche se forse il mio aspetto potrebbe far pensare il contrario» dico ironica ricordando la battuta di Matt e il mio viso. Quando mi sono vista allo specchio, vedendo le occhiaie e il pallore mi sono tornate in mente le nottate insonni quando mia madre era in ospedale. 
Lui invece ha la pelle leggermente dorata e i suoi occhi risaltano come due pietre di turchese immerse nell’ambra «Sei abbronzato» affermo sfiorandogli il viso, indugiando un po’ sopra la guancia ruvida per la poca barba.
«Sì, beh, due giorni all’aria aperta» risponde muovendo il capo.
«Ti sei divertito?»
«Sì. Ma ora voglio sapere com’è andata ieri» 
«È andata che… è andata» cerco di trasmettergli serenità con la mia voce tranquilla, non serve a niente che gli dica tutto quanto, soprattutto non voglio che sappia delle foto, andrebbe su tutte le furie se sapesse che avevamo un fotografo alle calcagna «Sono di nuovo una donna libera»
Mi osserva pensieroso poi spalanca gli occhi «Libera un corno!» 
«Stavo scherzando» dico di getto capendo che non ha affatto gradito la battuta «Rilassati per favore» lo prego passandogli una mano sopra la spalla tesa.  
Sospira chiudendo un attimo gli occhi «Scusa» dice prendendomi la mano per baciarla «Non sono molto in vena di scherzare»
«Va bene, allora non farò più battutine stupide. Ma tu da quando sei arrivato non mi hai ancora fatto vedere il piccolo spicchio di luna» dico imbronciata. 
«La mia Sirenetta» dice appoggiando una mano sopra la mia guancia «Ora lo vedi?» chiede sorridendo. 
Annuisco mentre lui si avvicina lentamente alle mie labbra «Sì, mi è mancato tanto sai?»
Si ferma a un soffio dal mio viso chiedendo «Non ti è mancato nient’altro?»
«Uhm, forse un pochino anche tu» 
«Hai appena detto che non avresti fatto battutine stupide» dice affinando lo sguardo. 
«Infatti» 
«Okay, allora me ne vado» dice scattando in piedi.
«Stavo scherzando, stavo scherzando» lo trattengo per un braccio facendolo cadere di nuovo a sedere «Mi sei mancato tanto, anzi no, tantissimo»
«Non ci credo»
«È vero, e anche se mi dispiace sapere che ti sei preoccupato per me sono contenta che sei tornato un giorno prima» dico togliendomi le coperte di dosso per sedermi sopra le sue gambe. 
«Anche tu mi sei mancata, piccola stufetta» 
«Oh, e questo cos’è un nuovo soprannome?» chiedo sorridendo.
Annuisce sfiorandomi la fronte con le labbra «Non abituartici però, sarai la mia piccola stufetta solo fino a quando non ti sarà passata la febbre» 
«Mi sembra g…» la sua bocca che preme sulla mia sfuma l’ultima parola nella mia gola.
Odio con tutta me stessa il raffreddore, mentre lo bacio sono praticamente in apnea e devo staccarmi troppo spesso dalle sue labbra per riprendere fiato, e soprattutto non riesco a sentire il suo odore. 
«Ti attaccherò il raffreddore» borbotto con il viso affondato nel suo collo sfregando il naso fino ad arrivare dietro all’orecchio, mi sforzo ma niente, non sento il suo odore, dovrò affidarmi alla memoria olfattiva fino a che non starò meglio.  
«Poco male, dovrai solo farmi un po’ di posto nel letto e dividere con me le tue medicine»
«E il brodo e il pollo di Meg» aggiungo.
«Quelli te li lascio volentieri»
«Ma cosa avrete voi uomini contro i cibi…» Luca bussa.
«Piccioncini, io me ne vado» dice senza aprire «Reb, ti chiamo domani»
«Sì, ciao Luca, e grazie» rispondo voltandomi verso la porta.
«Ah, Russel, ti ho lasciato una pizza»
«Grazie»
Quando sento chiudere la porta di casa guardo Russel sorridendo birichina «Siamo soli»
«Sì» dice baciandomi la punta del naso «Ma tu sei malata, quindi smetti di sorridermi in quel modo e fila sotto le coperte»
Aggrotto la fronte con disappunto «Ma la febbre mi è scesa» protesto.
«Appunto, non voglio che ti salga di nuovo» ribatte depositandomi sul materasso e coprendomi.
«Dove vai?» chiedo vedendo che esce dalla camera. 
«A prendere la valigia. Voglio farmi una doccia» 
«Uhm, sai che un bagno caldo non mi farebbe affatto male?» dico tentatrice.
«Smetti di stuzzicarmi piccola Crudelia» risponde affilando lo sguardo.
«Ma è vero, mi aiuterebbe a far passare prima il raffreddore»
«No, rischi di prendere freddo. Quindi tu ora te ne stai lì buona senza protestare» insiste uscendo.
Sbuffo appoggiandomi con la schiena ai cuscini e sbattendo le mani ai lati delle gambe.
Rientrando con la valigia mi guarda e scoppia a ridere «Che c’è?» chiedo scocciata.
«Malata sei peggio di una bambina» 
«Mi annoio, è tutto il giorno che sono qui, e ora mi è passato anche il sonno» piagnucolo osservandolo mentre tira fuori una maglia e un paio di boxer dalla valigia «Che fai? Non ti spogli qui?» chiedo staccando la schiena dai cuscini e seguendolo con lo sguardo mentre entra in bagno. 
«Sei sicura d’aver preso un’aspirina?» chiede beffardo avvicinandosi al letto.
«Certo che ho preso un’aspirina. Perché?» chiedo guardandolo dal basso.
«Te l’ha data Luca?» annuisco sempre più confusa «Comincio a pensare che ti abbia fatto uno scherzetto dandoti qualcos’altro» 
Per un millesimo di secondo mi prende il panico, sposto lo sguardo fino a posarlo sul comodino dove c’è la confezione delle aspirine, sollevo una mano per prenderla ma la fermo «Ma cosa mi fai pensare!» esclamo scuotendo il capo e lui ridendo si piega fino a sfiorarmi le labbra, quando si solleva lo trattengo stringendogli la maglia «Non ho bisogno di nessuna pillolina quando sei nei paraggi, te lo assicuro» dico seria prendendo poi una lunga boccata d’aria e baciandolo fino a quando non devo staccarmi per respirare «E tu, ne hai bisogno?»
«Tu che dici?» chiede prendendomi una mano e premendosela sopra l’inguine.
«No, direi di no» affermo soddisfatta stringendo più forte ma lui si allontana in fretta lasciandomi con la mano vuota e sospesa in aria «Ehi!» protesto.
«Ora dovrò farla gelata» dice passandosi una mano sulla nuca «Ah, ti informo che chiuderò la porta a chiave, quindi non scomodarti a provare a entrare. Nel frattempo tu controlla quelle» dice sorridendo sornione indicando il comodino prima di sparire dietro la porta del bagno.
«Ma che ce l’hai d’oro?!» grido «E poi ti ripeto che Luca non mi farebbe mai una cosa del genere» ma a dispetto di ciò che ho appena detto do lo stesso una sbirciatina dentro la confezione delle aspirine, perché in effetti sono piuttosto stupita anch’io del mio comportamento, la mia libido sessuale con lui sta raggiungendo vette decisamente inaspettate. Se non avessi sentito scattare davvero la serratura ora mi alzerei da questo letto e mi infilerei sotto la doccia con lui, lo vorrei proprio vedere fare tanto il prezioso mentre mi inginocchio di fronte a lui.
 
Sollevo le palpebre e vedo Russel disteso su un fianco di fronte a me «Non avevi sonno eh?» 
Sbadiglio premendo la bocca sul cuscino «Mi sono addormentata mentre ti aspettavo» biascico le parole avvicinandomi a lui per appoggiare la fronte sul suo petto «Che ore sono?»
«È quasi mezzanotte» risponde stringendomi con entrambe le braccia «Hai freddo?» nego sfregando il viso sulla sua t-shirt «Vuoi bere?» nego ancora.
«Non mi serve niente, ho già tutto qui» affermo a occhi chiusi accomodandomi meglio addosso a lui.
«Vuoi che lascio la luce accesa?» 
«No» 
Non ho bisogno della luce, perché con lui accanto anche la sera più nera non è più tanto nera.
Allunga un braccio per raggiungere il comodino alle mie spalle poi mi sfiora la fronte con le labbra «Buonanotte»
«Notte» rispondo che sono praticamente già di nuovo addormentata, quindi non sono sicura se sto sognando quando lo sento dire «Mi hai fatto penare Sirenetta, ma ora sei finalmente mia. Solo mia» 
Nah, sto sognando, sto sicuramente sognando, questa possessività fa troppo “Twilight”.
 
**  
 
*****************
 
Capitolo di passaggio… dove ci traghetterà lo sapremo nel prossimo.
Baci.
 
V.17

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Capitolo 30
*** Cap. 30 - La cura giusta ***


Per le chiacchiere ci vediamo dopo.
Buona lettura.
 
V.17
 
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CAP. 30 - LA CURA GIUSTA
 
Un nome, 
un Dio, 
io non ho, 
per cancellare 
il buio dentro me.
 
La polvere 
del ricordo servirà 
per caricare
l’arma dei miei anni.
 
Ma il sogno non sparirà mai, 
è tutto quel che resta 
della mia dignità…
 
Timoria
 
**
 
Mercoledì 1 Agosto 2012
 
Per fortuna non ho più mal di stomaco, tuttavia sono ancora confinata a letto perché ho ancora la febbre e il raffreddore è decisamente peggiorato. 
Prima che Russel uscisse per fare un salto a casa per prendere dei vestiti puliti e fare un po’ di spesa, visto che forse è vero che Luca ieri si è fatto solo un panino, ma dato l’eco che risuona nel mio frigo deve averlo farcito con tutto quello che ha trovato là dentro, con la scusa che dovevo controllare la posta del lavoro gli ho chiesto di portarmi il mio pc, in realtà volevo accertarmi che sul web non ci fosse nessuna traccia delle nostre foto e ho tirato un sospiro di sollievo quando dopo varie ricerche ne ho avuto conferma. 
Navigando in internet ho clamorosamente scoperto che ti si apre un mondo, e forse dovrei farlo più spesso, ho scovato siti e blog interamente dedicati a Russel e ho visto addirittura alcune foto di lui da bambino, mi domando come cavolo abbiano fatto ad averle, però una cosa mi è piuttosto chiara: chi li gestisce sa più cose su di lui che io, anche se a mia discolpa mi sono detta che in fondo non è che ci voglia così tanto visto che ci conosciamo da solo due mesi e mezzo. Pensavo che una simile isteria la scatenassero solo attori del calibro di Brad Pitt o Johnny Depp. Mi sa che dovrei mettermi un po’ al passo con i tempi e invece di stare tutto il giorno a marcire nel mio ufficio ogni tanto dare anche una sbirciatina a quello che succede fuori da lì. 
Certo che alcuni video che hanno montato sono davvero belli, ci sono foto di lui mescolate a spezzoni di film, dei personaggi che ha interpretato però riconosco solo Claude. Devo assolutamente vedere anche gli altri film che ha fatto, potrei approfittare per vederli in questi giorni in cui sono costretta a stare a casa. 
Prendo il telefono e lo chiamo.
«Sirenetta, che c’è, già ti manco?»
«Vola basso signor Rush. Ti ho chiamato solo per sapere se sei già passato da casa tua»
«Stavo uscendo perché?»
«Volevo chiederti se hai i dvd dei tuoi film e se li portavi qui perché volevo vederli»
«Ci sei ancora?» chiedo non sentendo la risposta.
«Sì sì»
«Quindi, ce l’hai?»
«Sì certo che ce l’ho»
«Me li porti per favore»
«D’accordo» risponde dopo una breve esitazione.
«Ma che hai?»
«No, niente… è che fino a oggi non me l’avevi mai chiesto, sono solo stupito»
«Non te l’ho mai chiesto perché sono svanita» dico continuando a cliccare con il mouse per far scorrere alcune sue foto. In questo servizio fotografico è a dir poco da stupro. Eh no, cazzo no, la camicia sbottonata no, con quel sorrisino impertinente e i capelli scompigliati oltretutto.
«Mi hai sentito?»
«No scusa, cosa stavi dicendo?» chiedo piegandomi in avanti per avvicinarmi allo schermo. Una fan probabilmente allupata come una scimmia in calore ha ingrandito una foto del suo fondo schiena fasciato dai jeans… oh mamma, in quella dopo invece c’è… sì insomma… il suo… pacco. Si può dire pacco? Beh ormai l’ho detto, e ben due volte. 
«Prendo i dvd ed esco, poi passo da Kevin a prendere la sceneggiatura e a fare la spesa»
«Sì sì» rispondo frettolosa mentre col dito continuo a premere sul mouse guardando tutta una serie di primissimi piani delle sue labbra e dei suoi occhi.
«Torno tra un paio d’ore. Tu rimani a letto mi raccomando»
«E chi si muove da qui» rispondo spalancando gli occhi.
Nel blog che sto visitando ho notato solo ora che in basso a destra c’è una chat, e dal contatore delle presenze vedo che in questo momento ci sono ottantatre persone collegate.
«Ma che stai facendo?»
«Niente, perché?» chiedo bloccando il dito e prestandogli finalmente attenzione.
«Come perché? Mi hai chiamato tu e nemmeno mi ascolti»
«È che stavo… sto… ho visto una mail… dove… oh insomma, sto solo leggendo le mail di lavoro, è per questo se sono distratta»
«Ah okay. Allora ci vediamo dopo»
«Sì, ciao»
Getto il telefono tra le lenzuola e continuo a leggere quello che scrivono nella chat. I dialoghi scorrono talmente in fretta che fatico a vederli tutti. Stanno discutendo del seguito di “Letters from Paris” e sembrano tutti elettrizzati dall’aver appreso che forse verrà girato. Vedendo apparire il nome di Helen blocco lo scorrere della chat per leggere più attentamente quello che ha scritto una certa… AlyRush? Una parente di Russel? Leggo anche alcuni degli altri nomi: JessLoveRush, TrinityandRussel, VeryVeryRush. C’è qualcosa che mi sfugge. Okay non importa, ora voglio leggere cosa dicono di Helen. 
 
Dunque, questa VeryVeryRush scrive: “no no, Russel non si è rimesso con Helen”
AlyRush: “invece è vero le foto non mentono!”
JessLoveRush: “è vero! guarda qui!!! http://www.thehollywoodgossip.com/gallery/russel-rush-helen-fletcher-house/”
 
Clicco sul link, in automatico si apre una nuova pagina internet e appare una foto di Russel che esce dal cancelletto di una palazzina di due piani, sulla porta, qualche metro dietro a lui, c’è Helen che lo osserva. Torno in fretta nell’altra pagina per seguire il battibecco tra le fans.
 
VeryVeryRush: “abbiamo già visto tutte quella foto sarà andato da lei per prendere qualcosa che ha lasciato lì quando se n’è andato”
TrinityandRussel: “ha ragione Very se si erano rimessi insieme ci sarebbero altre foto di loro invece niente di niente”
JessLoveRush: “è solo questione di tempo e se gireranno un altro film insieme vedrai se finalmente non si sposeranno!!” 
 
Okay, questa comincia a starmi un po’ sul cazzo.  
 
TrinityandRussel: “ancora non sappiamo se faranno davvero il film e poi quello è solo lavoro”
 
E vai Trinity, cantagliele a questa stronza.
 
Anon3461: “vi siete forse dimenticate che lei ha litigato con un’altra perché era gelosa?”
 
E questo Anon ora chi cazzo è? 
 
JessLoveRush: “Anon3461vai a farti un giro questi sono solo pettegolezzi”
 
Ma senti questa, perché, le sue affermazioni cosa sono? Le parabole di Gesù?
 
Anon3756: “vai tu a farti un giro, su internet però e cercati le foto di Helen che litiga con questa tipa perché ora sta con Russel”
 
Oh cacchio, la situazione si fa preoccupante.
 
AlyRush: “non vuol dire niente sarà solo una con cui si è divertito un po’ ma lui tornerà da Helen perché loro si amano”
JessLoveRush: “e poi anche di Russel con la tipa non ci sono foto e nessuno li ha mai visti insieme. Quindi TACI!!!”
 
Certo che è aggressiva questa Jess.
 
AlyRush: “è vero è vero chi l’ha mai vista a questa?!?!?!”
 
Beh, la tipa in questione ha dormito con lui anche stanotte, ma non verrò certo a dirlo a te, cara AlyLaStronza.
 
Anon3461: “secondo me Russel e Helen si sono incontrati solo per parlare di lavoro ormai sono mesi che non si vedono più insieme”
JessLoveRush: “lo faranno di nascosto per non essere assillati dai paparazzi”
 
Ma allora sei proprio di coccio JessLaMerdaccia, se Anon3461 dice che si sono visti solo per parlare di lavoro perché non te ne fai una ragione, e soprattutto, perché non ti trovi uno straccio d’uomo tutto tuo su cui sbavare invece di continuare a farlo sul mio? 
 
Anon6248: “anche io non credo che Russel si sia rimesso con lei e poi non mi è mai piaciuta quella str****”
VeryVeryRush: “nemmeno a me!!!”
 
A chi lo dite, per colpa sua mi è toccato farmi ricucire una mano.
Sotto la casella della chat noto solo adesso un piccolo rettangolo con su scritto: digita qui per inviare il messaggio. Vuole forse dire che posso chattare con loro anche se non sono iscritta al blog? Provo a scriverci dentro solo una “x” e premo invio. 
In un attimo nella chat appare: Anon4211: “x” 
Cazzo sono io. Oh mamma, e ora che scrivo? Continuo a guardare scorrere la chat dove queste pazze esaltate si stanno accapigliando tra loro pensando a cosa potrei scrivere.       
Oddio, mi sudano le mani, le passo in fretta sullo stomaco per asciugarle sul pigiama e poi le posiziono sopra la tastiera. Calma e sangue freddo, loro non sanno chi sono quindi posso scrivere tutto ciò che voglio. Potrei approfittarne per sondare un po’ il terreno. Okay, ci sono.
Prima di tutto devo usare un tono confidenziale.  
 
Anon4211: “ehi ragazze! Ma davvero non si sa niente di questa tipa?” 
 
Tamburellando le dita sulla tastiera aspetto che rispondano.
 
JessLoveRush: “no che non si sa niente perché la tipa NON ESISTE”
 
Cara JessLaMerdaccia, mi fai quasi venire voglia di risponderti che stai chattando proprio con questa fantomatica “tipa” che non esiste, ma non mi lascerò fregare da te.  
 
AlyRush: “e se esiste non è nessuno di importante perché Russel ama solo Helen!!!!!!!”
 
E a te invece, AlyLaStronza, vorrei scriverti che poco più di un’ora fa prima di uscire da casa mia Russel ha detto a me che mi ama, ma non mi lascerò fregare nemmeno da te.
 
TrinityandRussel: “certo che esiste!! è solo che Russel non vuole che nessuno sappia di lei”
Anon3461: “invece esiste e lui la ama così tanto che non vuole che i pap le diano fastidio”
 
Temo di aver fatto una cazzata a fare questa domanda.
 
Dasy89: “è vero e un mio amico li ha visti insieme questo week end”
 
Come questo week end? Ma se l’ho passato a casa da sola?
Digito in fretta un’altra domanda.
 
Anon4211: “e dove erano?”
Dasy89: “a Morristown”
 
Ah okay, quindi forse è stato semplicemente visto con Connie o Amy, però se fosse stata Connie forse Dasy avrebbe anche detto che era con una bionda mozza fiato. Altra domanda.
 
Anon4211: “e che facevano? Com’era lei?”
Dasy89: “sono entrati nel negozio di questo mio amico per comprare della roba da campeggio e con loro c’era anche un bambino”
 
Allora si trattava sicuramente di Amy insieme a Liam. Comincia a piacermi questo chattare, tutte queste fans che sanno così tante cose di lui e che spiano ogni suo movimento potrebbero anche tornarmi utili. Quindi ne approfitto.
 
Anon4211: “carissima Dasy89, sai anche dirci se erano molto in confidenza? Insomma come fa il tuo amico a dire che lei è proprio la sua ragazza e non solo un’amica” 
JessLoveRush: “ti stai inventando tutto smetti di dire cavolate!!!”
 
JessLaMerdaccia nessuno ti ha chiesto niente. Ma non ce l’hai una vita? 
 
AlyRush: “non rispondi? Certo che non rispondi perché sei solo una che spara cazz***!!!!”
 
Dasy89, ti prego, rispondi e falle tacere una volta per tutte. 
 
JessLoveRush: “ah ah ah se n’è andata con la coda tra le gambe la stro***!!!”
Anon6553: “sono l’amico di Dasy e quello che ha detto è tutto vero. Sono entrati nel mio negozio insieme a un bambino di circa 6-7 anni hanno comprato della roba e se ne sono andati è chiaro che avrebbero passato qualche giorno in campeggio insieme lei è mora e molto gentile quindi smettete di offendere la mia amica”
AlyRush: “se è tutto vero perché non ci fai vedere anche una foto?”
Anon6553: “non ho fatto nessuna foto perché a me di sta roba non me ne frega niente ho solo riconosciuto lui perché ho visto un suo film e l’ho detto a Dasy perché so che invece a lei piace”
JessLoveRush: “potevi farti fare almeno un autografo per la tua amica invece scommetto che non hai pensato nemmeno a questo vero???”
Anon6553: “non gli ho chiesto un autografo perché non mi andava di passare per una checca ma se tornerà lo farò e anche una foto ma solo per farvi vedere che è tutto vero. Ora torno a lavorare. Ciao Dasy”
Dasy89: “ciao Tom e grazie”
 
Oddio, mi gira la testa. Però almeno ho scoperto che nemmeno le sue fans più accanite sanno di me. Bene, ma ora basta con questi messaggi assurdi. Chiudo la pagina del blog e mi appoggio con la schiena ai cuscini. Devo sfruttare il più possibile il tempo che mi rimane prima che torni Russel e concentrarmi solo sulle foto, e in questo momento un solo nome mi ronza in testa, forse anche per quello che ho appena letto, mi piego sul portatile appoggiato sopra le gambe e lo digito: Helen Fletcher. 
 
«Luca, sei impegnato con qualche cliente?» chiedo appena risponde alla mia chiamata.
«No, oggi non ho nessun appuntamento»
«Bene. Sei nel tuo ufficio?»
«Sì perché?»
«Sei solo?»
«Reb, che sta succedendo?» chiede palesemente in ansia.
«Ho bisogno che mi ascolti attentamente e se riattacco all’improvviso non richiamarmi perché vuol dire che è tornato Russel e non voglio che lui sappia niente di quello che ti dirò»
«Reb, ma che cazz…»
«Sta’ zitto e ascoltami. Devo assolutamente finire di raccontarti tutto quello che è successo con Dario» 
«Va bene» risponde soffiando rumorosamente nella cornetta.
«Durante la notte è tornato qui per farmi vedere delle foto che gli avevano recapitato in albergo a Monterey» prima di continuare, sospirando faccio una breve pausa «Sono foto di me e Russel insieme, qualcuno le ha scattate di nascosto mentre eravamo in spiaggia a casa tua»
Dall’altra parte del telefono solo silenzio, ma so che la sua mente veloce elaborerà in fretta la domanda giusta, infatti «E che stavate facendo?» 
«Quello che stai pensando» 
«Merda!» esclama.
«Già» ben detto, siamo nella merda. 
«Scommetto che chi le ha fatte avere a Dario non ha scritto né il suo nome né lasciato un recapito. Giusto?»
«Giusto» rispondo affranta. 
«È per colpa di quelle foto se ti sei sentita male?» chiede e capisco dal tono sostenuto che si sta innervosendo.
«Sì, anche per quelle foto, ma non ti ho chiamato per questo ma perché ho bisogno del tuo aiuto per capire chi è stato a farle e perché»
«Se non le hanno divulgate il motivo è piuttosto evidente: volevano far sapere a Dario che lo stavi tradendo»
«Sì ma perché? Cioè, questo vuol dire che qualcuno ha scavato nella mia vita scoprendo che in Italia avevo un uomo. Per sapere che lui sarebbe venuto qui per lavoro e anche in quale albergo avrebbe alloggiato sicuramente hanno fatto delle indagini anche su di lui. Vuol dire che c’è qualcuno che mi odia a tal punto da aver perso del tempo dietro a me e che forse continua a spiarmi e…»
«Ehi, calmati e non piangere» 
Non mi ero nemmeno accorta di aver iniziato a farlo «È che quello che hanno fatto è orribile» dico asciugandomi gli occhi con la manica del pigiama «Dario non doveva vedere quelle foto, non volevo che sapesse di Russel e invece l’ha scoperto e nel modo più tremendo e doloroso» 
«Ora le foto dove sono? Le ha portate via con sé?»
«No, le ha lasciate qui» rispondo prima di soffiarmi il naso.
«Vengo lì»
«No, tra poco tornerà Russel e non voglio parlare di questo con lui in casa»
«Voglio vederle»
«No io… io non voglio fartele vedere»
«Reb, per favore, non ci tengo nemmeno io a vedere Russel nudo ma devi farmele vedere lo stesso»
«No Luca, io… mi vergogno e poi non servirebbe a niente ci siamo solo noi due che… beh lo sai»
 
Mentre aspettavo che arrivasse Luca ho fatto decoupage ritagliando pezzetti di post-it per coprire nelle foto almeno me e Russel, quando Luca le ha viste è scoppiato a ridere, poi però mi ha ringraziato, non è decisamente un estimatore di corpi maschili, ancora meno se completamente nudi. Facendo attenzione a non spostare i post-it raduno le foto e le rimetto dentro la busta.
«Sono state scattate dalla rimessa» sentenzia Luca.
«No non è possibile» rispondo scettica «Se qualcuno fosse stato nascosto dietro l’angolo della rimessa lo avremmo visto sicuramente»
«No se se ne stava rintanato dentro scattando le foto da dietro il vetro della finestra» ribatte.
«Luca, sono sgranate, l’hai visto anche tu, sono state fatte da molto più lontano»
«No, da quel lato della casa non c’è assolutamente nessun altro posto dove potevano mettersi per farle»
«Se le avessero davvero scattate da là dentro, probabilmente avremmo anche un perfetto primo piano delle papille gustative di Russel» insisto, muovendo il capo e guardando la busta chiusa.
«Ah! Quindi lui ti stava…»
«Idiota, sta’ zitto e non pensare a cosa stava facendo Russel» sbotto, appiccicandogli un post-it sulla bocca.
«È che ora mi hai incuriosito» mentre parla il post-it si muove insieme alle labbra, poi lo toglie «Mi sono sempre chiesto se la depili tutta o se lasci qualche ciuffetto qua e là»
«Come qua e là? Conosci qualcuna che ce l’ha tipo macchie di leopardo?» lo derido «Luca, tu sei malato, dico sul serio»
Annuisce con nonchalance «Sì lo so, ma né più né meno di qualsiasi altro uomo, è solo che io non ne faccio un dramma come tutti gli altri» afferma e io sinceramente la penso come lui «Comunque tornando alle foto, secondo me sono state offuscate di proposito per far pensare che chi le ha scattate fosse molto più lontano, forse anche per non far sapere che erano entrati in una proprietà privata»
Penso attentamente alle sue parole poi gli chiedo «Russel ti ha detto che forse girerà con Helen il seguito di “Letters from Paris”?»
«No ma sinceramente in questi ultimi giorni non ci siamo visti un granché» risponde «Pensi che dietro a tutto questo ci sia lei?» chiede indicando la busta sopra le mie gambe.
«E chi altro potrebbe odiarmi così tanto da fare una cosa del genere? Forse voleva vendicarsi, sono sicura che lei sia convinta che se non ci fossi io in mezzo Russel tornerebbe subito da lei, e penso anche che le foto non siano state rese pubbliche perché in fondo lei non vuole che si sappia che lui sta con un’altra, soprattutto ora che potrebbero fare un nuovo film insieme. Probabilmente mi sto lasciando trasportare troppo dalla fantasia, però ho anche pensato che lei sia a conoscenza che io a differenza sua non voglio attirare l’attenzione su di me, forse queste foto sono anche una specie di avvertimento per farmi capire a cosa andrò incontro se continuo a stare con Russel, magari spera che mi spavento e che lo lascio» dico sospirando.
«Beh in fondo il tuo ragionamento non è del tutto sconclusionato» dice alzandosi «Ma ora devo scappare, ti chiamo dopo» 
«Okay, salutami Meg e Karen» dico prendendo la borsa per rimetterci dentro la busta con le foto.
«Non vado in ufficio ma a Malibù» 
«A fare cosa?» 
«Voglio vedere se trovo qualcosa dentro la rimessa, spero solo che Carmen non abbia toccato niente»
«E cosa credi di trovare lì dentro?» chiedo alquanto dubbiosa.
«Probabilmente niente ma tentar non nuoce»
«Grazie» gli dico.
«Figurati, e poi qualcuno si è introdotto in casa mia, è anche nel mio interesse scoprire chi è stato»
 
«Oddio!» esclamo poi mi copro gli occhi con le mani.
«Ehi, è solo un film» dice Russel disteso fuori dalle coperte dietro di me, poi si avvicina appoggiandosi alla mia schiena e stando sollevato su un gomito mi circonda con l’altro braccio.
«Lo so che è un film ma quello stronzo ha scambiato la tua faccia per un pungiball, e poi tutto quel sangue» dico aprendo le dita per guardarci attraverso.
«Beh durante un incontro di box può succedere di farsi male, ma quello non è sangue vero e alla fine delle riprese ti assicuro che ero tutto intero» dice sporgendosi per baciarmi una tempia «Ti è salita la febbre, devi prendere un’aspirina»
«Sì dopo, prima voglio vedere la fine del film» rispondo senza distogliere lo sguardo dalla tv che ha comprato stamattina e che ha piazzato sopra la cassettiera, per impedire che mi alzassi dal letto e dover andare in soggiorno a vedere i dvd che ha portato. 
Quello che sta per finire è il terzo film che ha girato da protagonista e il secondo che abbiamo visto oggi pomeriggio, dopo questo mi rimane da vederne solo uno. Quello di prima era una commedia leggera e romantica, e sinceramente mi ha un tantino infastidita vederlo preso in smancerie con la protagonista femminile, ma questo che stiamo guardando ora mi disturba ancora di più, tutti questi incontri di box mi mettono un’ansia incredibile, anche se vederlo con i pantaloncini e i guantoni è davvero un toccasana per la mia influenza, mi passa anche il bruciore alla gola quando annunciano il suo ingresso sul ring, solo che poi alla fine dell’incontro lo abbandona sempre con un labbro o un sopracciglio spaccato e sanguinante. 
«Quindi mi avevi mentito dicendo che finiva male?» chiedo fingendomi arrabbiata e voltandomi sull’altro fianco per guardarlo.
«Sì» risponde senza la minima ombra di pentimento.
«Ti perdono, ma solo perché mi è piaciuto, e tu sei davvero molto, ma molto bravo» dico sorridendo e accarezzandogli il viso.
«Dici sul serio o solo perché vuoi che ti preparo la merenda?»
«Ovviamente per la merenda, e poi perché mi hai dato il permesso di leggere la sceneggiatura»
«Sei davvero sicura di volerla leggere? Non è un romanzo, è piena di dialoghi e di noiose descrizioni…»
«Sì lo so cos’è una sceneggiatura, ne ho già letta una» la mia affermazione lo sorprende «”La tempesta del secolo” di King, l’aveva scritta per una serie televisiva e poi l’ha pubblicata, e in effetti all’inizio ho faticato a entrare nel vivo della storia, ma continuando a leggere mi sono completamente scordata della forma e ho trovato che l’impatto visivo in alcuni casi è davvero coinvolgente» 
«Allora vado a mettere il bollitore sul fuoco per farti il tè, tu intanto puoi cominciare a leggerla» dice indicando il plico sul comodino dopo essere sceso dal letto.
«Non vuoi leggerla prima tu?» chiedo sollevandomi sui gomiti.
«Non preoccuparti, la leggerò dopo di te»
 
**
 
Giovedì 2 Agosto 2012
 
«Voglio alzarmi da qui. Non ne posso più di stare a letto e poi oggi non ho nemmeno più la febbre» piagnucolo con Russel «Almeno che…» lo provoco salendogli a cavalcioni e bloccandogli i polsi ai lati della testa «tu non mi trovi qualcosa da fare che mi convinca a trattenermi ancora un po’» pochi sfregamenti e lo sento eccitato «Non avrei mai pensato che sarei stata costretta a pregarti per avere un po’ delle tue attenzioni» sussurro piegandomi in basso con il busto e continuando a muovermi lentamente su di lui.
«Vorresti ancora più attenzioni di così? Sono due giorni che ti faccio da infermiere uscendo da questa camera solo per prepararti da mangiare. E ieri non sono stato certo io quello che appena finita la cena è crollato come un cucciolo dopo la poppata»
«Ma ieri stavo ancora male, oggi invece sto bene e finalmente sento di nuovo il tuo odore» dico incollando il naso sopra al triangolo di pelle lasciato scoperto dallo scollo a V della sua maglia e accompagnando una sua mano sotto al mio pigiama per premermela sopra un seno. 
Ho bisogno di lui, questo è il mio modo per fargli capire che lo amo, non riesco ancora a dirglielo ma so che mentre facciamo l’amore lui è in grado di sentirmi gridarglielo malgrado il mio silenzio, e ora ho un disperato bisogno che stia ad ascoltarmi.
Sta cedendo, lo capisco da come preme la mano sul mio seno e da come tende il collo mentre salgo con le labbra per raggiungere il suo orecchio «Da quando sei tornato non mi hai nemmeno sfiorata» soffio al suo orecchio tra un bacio e un assaggio «Che c’è, forse non mi vuoi più?» insisto provocandolo ancora.
Senza alcuna difficoltà ribalta le posizioni schiacciandomi sotto di sé e liberando il suo polso che ancora stringo in una mano blocca i miei «Ora te lo faccio vedere io come non ti voglio più» dice già in affanno allargandomi le gambe con un ginocchio. 
Finalmente, penso mentre mi toglie in fretta il pigiama.
     
Mi sembrava che fosse trascorsa un’eternità dall’ultima volta che avevamo fatto l’amore, mi mancavano le sue mani e la sua bocca sul mio corpo, il suo respiro incontrollato e i suoi occhi scuri che mi cercano un attimo prima dell’orgasmo. Mi mancava lui, nudo e appagato che riprende fiato tra i miei seni arrossati dai suoi morsi. Come ho fatto a pensare di tornare da Dario anche solo dopo aver assaggiato le sue labbra? Pazza, ero completamente pazza a credere che sarei riuscita a dire addio a tutto questo.
«Sei felice?» mi chiede all’improvviso senza alzare il capo.
«Sì» rispondo di getto, e lui mi stringe forte i fianchi «Tu sei come un balsamo per tutte le mie ferite, ne lenisci il bruciore e ne acceleri la guarigione» confesso affondando le mani tra i suoi capelli e anticipo il nodo che salendomi in gola potrebbe impedirmi di parlare continuando senza interrompermi «Tu sei molto di più di quello che avrei mai pensato di poter avere dalla vita» premo il suo viso sul petto sentendo le sue ciglia che sbattono in fretta sulla mia pelle come se cercasse di scacciare le lacrime, mentre le mie iniziano a scendermi ai lati degli occhi bagnandomi le tempie. 
«Quando Dario se n’è andato ti avrei tanto voluto qui con me. So che sono stata io a sbagliare con lui, ma mi ha detto delle cose che mi hanno ferita e so che se tu fossi stato qui mi avrebbero fatto meno male» dico voltando il viso da un lato e poi dall’altro per asciugare le lacrime sul cuscino.   
«Dovevi dirmelo» forza la mia stretta intorno alla testa per sollevarla e potermi guardare «Lo sai che se me l’avessi chiesto non sarei mai andato a casa»
«Lo so» dico sfiorandogli il viso «Ma sono stata io a dirti di andare, ricordi? Ed è stato meglio così»
«Non vuoi proprio dirmelo cosa ti ha detto?» con gli occhi nei suoi nego accennando un sorriso.
«Dimmi almeno se si è arrabbiato e se ti ha trattato male» insiste.
«No, non come mi aspettavo» lo rassicuro.
«Quando ti chiamavo e avevi sempre i telefoni spenti credevo di impazzire, se la mattina Luca non avesse risposto l’avrei chiamato per mandarlo da te. Ero così in pensiero che ho addirittura pensato che…» gli poso un dito sulle labbra.
«Sì lo so, ma non è successo niente di quello che temevi quindi non pensarci più» lo prego. 
Chiude gli occhi inclinando il capo e lo struscia sulla mia mano come un gatto in cerca di carezze, quasi mi aspetto che inizi a fare le fusa. Dopo qualche secondo li riapre e si stende al mio fianco tirando su le coperte «Stai prendendo freddo» dice circondandomi con una gamba per attirarmi a sé e coprendomi le spalle.
«Ma se fuori ci sono almeno ventotto gradi!» dico ridacchiando sopra al suo petto.
«Non importa, fino a ieri avevi la febbre e in casa è molto più fresco» risponde seriamente.  
«Ma tu sei stato un bravo infermiere e il microonde ormai non ha più segreti per te» 
«Ti stai forse lamentando delle mie doti culinarie?» chiede pizzicandomi un fianco.
«Assolutamente no, come riscaldi tu non riscalda nessuno» rispondo sollevando il viso e strizzandogli un occhio.
«Tu mi provochi, mi provochi continuamente, piccola Crudelia. Ora ci penso io a incendiarti a dovere» dice tirando le coperte sopra la testa e scivolando sotto. Forse è vero che lo provoco, ma lui però ci casca sempre.
 
«Cazzo Luca, è da ieri che ti mando messaggi e che ti chiamo, perché non ti sei fatto vivo?»
«Russel dov’è?»
«È sotto la doccia, abbiamo qualche minuto per parlare al telefono» 
«Ah okay»
«Allora, hai trovato niente alla villa?»
Sospira e rimane in silenzio, sembra quasi che non voglia rispondere «Rispondi per favore, hai trovato qualcosa o no?» chiedo in ansia sedendomi sul divano.
«No, non ho trovato niente»
Beh, in fondo non ci speravo un granché «Va be’, almeno ci abbiamo provato»
«Reb, scusa ma ora devo lasciarti»
«Un attimo solo. Ce l’hai ancora il numero di telefono di Mary?»
«Sì perché?»
«Ho bisogno che la chiami e che ti fai dare quello di Helen, non mi sembra proprio il caso di chiederlo a Russel»
«Non avrai mica intenzione di chiamarla?» domanda allarmato.
«Sì, non ammetterà mai di essere stata lei a commissionare le foto, ma forse se le parlo a quattr’occhi sarò in grado di capire se sta mentendo»
«No, è fuori discussione che tu ti veda con lei. Quella è completamente pazza. Ti sei forse scordata di quel…»
«No che non me lo sono scordata, ma ho bisogno di sapere chi è stato e sono sempre più convinta che sia stata lei»
«L’hai appena detto tu che non lo ammetterebbe mai, che vuoi fare, presentarti a casa sua con la macchina della verità?»
«Beh tu invece hai detto che non è una brava attrice, quindi se mentirà lo capirò»
«No cazzo, tu non ti incontrerai da sola con lei» grida.
«Devo riattaccare, Russel ha chiuso l’acqua della doccia. Ne riparliamo domani in ufficio» chiudo la telefonata mentre Luca ancora sbraita contro di me. 
 
«Non hai sonno?» chiede Russel sedendosi sul letto accanto a me e appoggiando la schiena al mio cuscino.
«Shh!»
«È tutto il giorno che leggi» si lamenta premendo il mento sopra la mia spalla e sfregandolo «Mi stai trascurando»
«Un’altra pagina poi smetto» 
«È un’ora che lo ripeti»
«E tu è un’ora che mi disturbi continuando a strusciarti» dico distrattamente senza staccare gli occhi dalla sceneggiatura.
«Okay, l’hai voluto tu» balza sopra le mie gambe e con un unico gesto mi sfila di dosso i pantaloni del pigiama e le mutandine.
«Ehi!» grido colpendolo con il plico sulla testa.
«Tu leggi, io intanto mi faccio un giretto al parco giochi» 
Chiudo la sceneggiatura e la lascio tra le lenzuola.
«Che scemo che sei» dico ridacchiando mentre mi solletica il ventre con le labbra «Ma il biglietto per entrare ce l’hai?» chiedo ridendo ancora.
«Non mi serve, ho fatto l’abbonamento a vita» e con naturalezza butta lì l’ennesima frase che sembra solo una stupida battuta, ma che invece mi rende sempre più consapevole che lui per me è, e forse sarà, davvero la cura giusta. 
 
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Venerdì 3 Agosto 2012
 
«Maledizione Luca! Avrò quel numero in un modo o nell’altro, solo che se dovrò trovarlo da sola ci metterò più tempo»
«Allora inizia a darti da fare perché io non ti aiuterò di certo ad averlo. E ora vai che sto aspettando una cliente» dice spingendomi verso la porta del suo ufficio per buttarmi fuori da lì dentro. Quando mi chiude la porta in faccia rimango immobile con le braccia incrociate. 
Che stronzo! Devo assolutamente trovare un modo per avere il numero di Helen. Alla fine mi toccherà cercarlo nel telefono di Russel, anche se però mi scoccia sbirciare nella sua rubrica, e poi volevo chiamarla prima possibile perché il dubbio mi sta uccidendo. 
Pensa Reb pensa, un modo per fregare Luca lo trovi di sicuro. 
 
«Reb, noi andiamo» dice Meg affacciandosi nel mio ufficio «Non fare troppo tardi, in fondo sei mancata solo tre giorni e ho già fatto tutto io»
«Sì Meg, lo so, ma devo finire di sistemare alcune cose» le rispondo fingendomi indaffarata in mezzo a scartoffie che nemmeno so che diavolo ci facciano sopra la mia scrivania «Sai dov’è Luca?» chiedo con aria indifferente.
«È sceso in sartoria per lasciare lì un abito da correggere poi andava a casa» 
Ora o mai più. Aspetto di sentir uscire Meg e Karen e mi fiondo dentro l’ufficio di Luca. Quando vedo il suo iphone sopra la scrivania la piccola Reb esclama: “Bingo!”
Lo prendo e in fretta faccio scorrere la rubrica, inaspettatamente realizzo di essere stata molto più fortunata del previsto, perché invece di dover chiamare Mary, ho trovato subito quello che mi serviva: il numero di Helen Fletcher. Lo scrivo in fretta su un foglietto e torno subito nel mio ufficio per chiamarla.
 
Luca se n’è andato da poco e ho chiamato Russel dicendogli che avrei fatto un po’ più tardi e che lo richiamerò quando avrò finito qui per farmi venire a prendere.    
Non mi aspettavo che Helen avrebbe detto che anche lei voleva parlarmi e che avesse così tanta fretta di farlo tanto da volermi addirittura incontrare già stasera. Che si senta la coscienza sporca e abbia deciso di confessare? Mah, ci credo poco. Forse vuole solo vedermi per godersi l’effetto della sua trovata.
Con il sedere appoggiato alla scrivania di Meg e le braccia incrociate aspetto trepidante di vederla sbucare dalla porta da un momento all’altro. 
 
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Scusate il ritardo ma è colpa di Jo e Ethan se ho trascurato un po’ Reb e Russel. 
Per chi ancora non lo sa ho pubblicato i primi tre capitoli di “Sono una Pecora Nera, non un Agnellino” (il titolo è orrendo lo so… ma si riferisce a Jo che si ritrova a lavorare in aziende dove il maschilismo è dilagante e lei non è assolutamente disposta a piegare la testa).
Sarà una storia leggera e divertente (almeno spero che vi divertirà), fatta di capitoli non molto lunghi e probabilmente piena di scontati cliché. Avevo bisogno di alleggerirmi un po’ perché il capitolo che avete appena letto di “Una bugia” per un po’ sarà l’ultimo dove si sorriderà, ne prevedo almeno tre che saranno davvero pesanti, sia da scrivere che da leggere. 
 
Piccola precisazione: per scrivere la scena della chat mi sono sciroppata diverse ore di botta e risposta all’interno di un blog, per chi pensa che ho esagerato vi garantisco che invece mi sono trattenuta, e parecchio, sia nel descrivere le foto e i video che i dialoghi tra fans. Tra l’altro ci sono incappata proprio durante una diatriba piuttosto accesa e molto simile a quella che ho descritto, un “Anon” si divertiva evidentemente a provocare “le chattine” che ci sono cascate in pieno rispondendo come se avessero offeso le loro mamme, non vi dico le risate che ci siamo fatte io e la mia Stressa! Ah, e a proposito, ho davvero provato a chattare con loro scrivendo solo una “x”, ed ero talmente incredula che ne ho mandate una marea, poi ho chiuso tutto in fretta prima che mi mandassero la Polizia Postale per scovare questo “Anon” che rompeva le scatole mentre loro stavano discutendo di argomenti di vitale importanza.
 
È un po’ che non vi consiglio di cercare e ascoltare la canzone che dà il titolo al capitolo, LA CURA GIUSTA dei Timoria è struggente e fin dal primo ascolto non puoi fare a meno di amarla, sia per il testo che per la musica, è in assoluto la mia preferita di quando nella formazione c’era ancora Francesco Renga alla voce. 
 
Per la fine di questo capitolo voglio dirvi solo una cosa, abbiate fiducia perché niente è come sembra, non sono tipo da drammi del tutto gratuiti…
 
Baci e a presto con Jo e Ethan.
 
V.17

 

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Capitolo 31
*** Cap. 31 - Senza far rumore ***


Ci vediamo in fondo al capitolo.
V.17
 
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CAP. 31 - SENZA FAR RUMORE
 
Ma come sei riuscita, 
ma come hai fatto amore.
 
Per tutta questa lunga vita, 
con tutto quel dolore.
 
Ma senza far rumore, senza... 
Senza far rumore, senza... 
 
Daniele Silvestri
 
 
**
 
Se non avessi la certezza che è la stessa persona che mi ha aggredita, sia verbalmente che fisicamente più di un mese fa, penserei che quella che ho di fronte è la sorella gemella emaciata di Helen. 
Non che in quelle due uniche occasioni in cui l’ho vista fosse particolarmente in carne, anzi, era molto magra, ma ora è a dir poco tutt’ossi, tanto da sembrare addirittura malata. 
Ha le guance scavate e gli zigomi sporgenti, la pelle del suo viso sembra diventata più sottile e i suoi occhi hanno perso quella carica aggressiva che tanto m’infastidiva quando li piantava nei miei. I capelli legati in una coda bassa sono opachi e con un’evidente ricrescita più scura che attraversa tutta la riga laterale. 
Le ossa sporgenti delle sue spalle e delle ginocchia, protese verso di me mentre sta piegata in avanti seduta sulla poltrona dall’altro lato della scrivania, sembrano sul punto di perforare da un momento all’altro i jeans stretti e il cardigan leggero che con gesti meccanici e compulsivi continua ad aggiustare per avvolgerlo sempre di più intorno a sé come se sentisse freddo. 
Guardandola mi sembra di rivedere me stessa nei due mesi successivi all’incidente, trascorrevo giorni interi senza nemmeno guardarmi allo specchio, indossando la stessa tuta da ginnastica che diventava sempre più larga e tenendo i capelli legati per sporcarli il meno possibile, perché anche lavarmi mi sembrava troppo impegnativo, e anche se riuscivo a dormire solo la notte grazie al sonnifero, preferivo starmene da mattina a sera raggomitolata dentro al letto. 
Oggi quei mesi mi sembrano così lontani, come se fossero un film che ho visto anni fa e di cui ogni giorno dimentico una scena. 
Da quando è arrivata, all’incirca una decina di minuti fa, mi domando se questo sia l’effetto Russel. Averlo accanto ti fa così bene dentro che si riflette anche fuori? E quando non puoi più godere della sua presenza e delle sue attenzioni, è questo che ti succede? Diventi l’ombra di te stessa?
«Credimi ti prego, è stato solo un incidente. Non ti avrei mai ferita di proposito»
«Ti ho già detto che accetto le tue scuse, Helen. Quella che voglio adesso è la garanzia che non dovrò pentirmi di aver detto a Russel che può lavorare con te»
Mentre la aspettavo ho pensato a cosa inventarmi per giustificare la mia richiesta di incontrarmi con lei, e dirle che volevo chiarire che io e Russel stiamo insieme e che non voglio nessun tipo di interferenze da parte sue nel nostro rapporto mi è sembrata una buona scusa.
«È la stessa cosa ha detto lui quando gli ho chiesto di accettare di fare il film» dice abbassando la testa e stringendo per l’ennesima volta il cardigan tenendolo poi fermo con le braccia intorno al busto «So che Russel non ha ancora deciso» continua dopo un attimo di silenzio «È per questo motivo che volevo parlarti. Ho capito che ci tiene molto a te e che i suoi dubbi sono dovuti, non solo dal timore di fare un passo falso perché pensa che questo film non sia coerente con la carriera che ha deciso di intraprendere, ma soprattutto perché ha paura che questo potrebbe causarvi dei problemi» il suo imbarazzo nel parlare dell’uomo che è stato con lei per tanto tempo e che ora invece sta con me aleggia nella stanza ed è quasi visibile come se fosse fumo denso «Ti ripeterò quello che ho già detto a lui. Non posso permettermi di perdere questo ingaggio, ho assolutamente bisogno di fare questo film. Ti prometto che non farò niente per indurre Russel a rinunciare a lavorare con me, manterrò con lui un atteggiamento più che professionale e non mi metterò in alcun modo tra voi due»
«Anche io ti dirò ciò che ho già detto a lui, e cioè che non interferirò mai in una sua qualsiasi decisione riguardo al suo lavoro. Ma lui mi ha comunque dato la piena libertà di chiedergli anche all’ultimo momento di lasciar perdere e sappi che ho tutta l’intenzione di riservarmi questo diritto. Se non ti comporterai come mi hai appena detto, e io cominciassi a pensare che questo film potrebbe essere una minaccia per il nostro rapporto, ti giuro che non esiterò un solo istante e gli dirò che ho cambiato idea. Se Russel ha deciso di pensarci su è solo per farti un favore, ma ricordati che né io né lui ti dobbiamo niente, quindi sta’ molto attenta a quello che fai. Un qualsiasi minimo sgarro da parte tua e puoi dire addio al film. E in ogni caso sappi anche che se gli ho detto che poteva decidere da solo senza dover chiedere la mia approvazione, è perché ho completa fiducia in lui e nei suoi sentimenti nei miei confronti e quindi so che se anche tu tentassi di metterti tra noi, ogni tuo tentativo andrebbe a vuoto» puntualizzo con convinzione. Farsi vedere sicuri di sé è la prima arma da usare contro il nemico.
«Lo so e ti assicuro che ormai mi sono rassegnata ad averlo perso ma ho comunque bisogno di lui per avere questo lavoro. Se lui non dovesse accettare è probabile che decideranno di girarlo lo stesso prendendo qualcun altro al posto suo, ma se così fosse è altrettanto facile che decidano di rimpiazzare anche me e se dovesse succedere per me sarebbe la fine. E comunque anche farlo senza di lui non darebbe nessuna garanzia riguardo al successo del film» ammette sospirando con rammarico. 
No, decisamente non mi trovo di fronte la stessa donna combattiva che sembrava disposta a tutto pur di riavere l’uomo che riteneva le appartenesse di diritto.
«Ho letto la sceneggiatura e penso che Russel o no questo film potrebbe essere davvero bello. Il vero protagonista è Claude e se non cambieranno niente in corso d’opera, e la storia sarà incentrata nella sua lotta con i fantasmi del passato, se comunque lui decidesse di farlo non credo che la sua carriera ne risentirà in alcun modo, anzi, penso che potrebbe piacergli dover sviscerare fino al midollo la complessa personalità del suo personaggio»
«Tu hai davvero letto la sceneggiatura?» chiede con espressione incredula spalancando gli occhi che ora sembrano prenderle tutto il viso smagrito.
«Sì e mi piaciuta molto» rispondo non capendo perché sia così meravigliata.
Solleva e riabbassa le spalle sospirando rassegnata «Russel non permette mai a nessuno di conoscere la trama dei film che intende fare prima di aver firmato il contratto. Non l’ha mai permesso nemmeno a me» 
Dopo la sua ammissione dovrei sentirmi compiaciuta per la rivincita che mi sto prendendo su di lei su tutta la linea, invece ora sono io quella in imbarazzo. 
Mi ero immaginata che il nostro incontro si sarebbe svolto in modo molto diverso, pensavo che per indurla ad abbandonare ogni residua speranza di riaverlo avrei dovuto adottare un atteggiamento aggressivo e inflessibile, invece ho capito quasi fin da subito che non sarebbe stato affatto necessario. Lei è già arrivata da sola alla conclusione che ormai Russel non è più innamorato di lei e che cercare di riaverlo metterebbe solo a rischio la possibilità di avere quanto meno un’altra occasione per la sua carriera. 
«Beh in realtà ho dovuto insistere molto con lui per poterla leggere» mento per alleviare un po’ la sua delusione, perché la verità è che quando Russel l’ha portata a casa appena gli ho chiesto se potevo dargli un’occhiata non ha fatto nessun tipo di storie. 
Sono una sciocca, lo so, ma in questo momento provo davvero molta pena per lei e quest’ultimo deve essere davvero un brutto colpo per lei.  Amare ancora una persona e non essere più ricambiati credo che provochi un dolore talmente opprimente che sia impossibile riuscire a gestirlo, ma dover anche prendere atto che questa persona condivide con chi ci ha rimpiazzato delle cose che non ha mai sentito l’esigenza di condividere con noi, credo che sia la riprova che non ci resta che arrenderci all’evidenza che non ci sono più margini di trattativa con la speranza di riaverla al nostro fianco, mettendo inevitabilmente la parola “fine” a un amore che forse sentiamo anche che non ci è stato dato per intero. 
Okay, forse è meglio se la chiudiamo qui, le ho detto quello che dovevo dirle e penso di aver avuto anche la conferma che lei con le foto non c’entra niente. Ha troppo bisogno di fare questo film per rischiare di veder sfumare tutto quanto solo per vendetta, e tutte le mie teorie che volesse spaventarmi facendomi capire che stare con Russel significa essere esposti a paparazzi e quant’altro penso che fossero solo frutto della mia immaginazione lanciata al galoppo come sempre.  
«Credo che ci siamo dette tutto» affermo alzandomi frettolosamente. Si è fatto tardi e devo chiamare Russel.
«Rebecca ti prego, aspetta ancora un minuto. Devo chiederti un’ultima cosa» dice rimanendo seduta e torcendosi le mani tra loro. Mi riaccomodo sulla poltrona e in silenzio attendo che faccia la sua richiesta. 
«So che basterebbe una tua parola e potrei dire addio alla possibilità di lavorare con Russel e so anche che per come mi sono comportata darmi una seconda possibilità è molto di più di quello che merito. Ma devo chiederti lo stesso il favore di non rendere pubblica la vostra relazione prima dell’uscita del film»
La osservo un po’ sconcertata non sapendo nemmeno cosa risponderle, cosa intende per rendere pubblica la nostra relazione? Non crederà mica che abbiamo intenzione di fare un annuncio a reti unificate o di acquistare una pagina del New York Times per far sapere al mondo che stiamo insieme?
«So che ti sto chiedendo molto, anche perché ancora non sappiamo né quando gireremo il film né quando uscirà, ma devo provarci lo stesso»
«Non capisco cosa intendi per rendere pubblica la relazione» 
«Ti sto chiedendo di continuare come state facendo e cioè di essere discreti e non farvi vedere a giro in atteggiamenti che potrebbero far pensare che siete una coppia»
Sbatto gli occhi poi li spalanco «Posso sapere perché ci tieni così tanto?» chiedo.
«Perché è sicuro che se il pubblico sospetta che tra me e Russel c’è ancora la possibilità di un riavvicinamento o, ancora meglio, che noi stiamo insieme, il film avrà molto più seguito sia da parte del pubblico che delle reti di comunicazione» risponde candidamente come se non avesse appena ammesso che è sua intenzione infinocchiare sia gli spettatori che chi si occupa di informazione per speculare sulla sua vita privata e quella di Russel come in fondo ha fatto fino a oggi. 
«Hai ragione a dire che mi stai chiedendo tanto, soprattutto perché non dipende solo da me, dovrei prima parlarne con Russel e per quanto ne so non credo che sarebbe…»
Interviene interrompendomi «Ti sto solo chiedendo di fare il possibile perché non si sappia di voi, se poi non ci riuscirai…» dice sollevando le spalle «amiche come prima»
Alzo un sopracciglio guardandola con sufficienza «Sì insomma, si fa per dire» si corregge.
«Non ho nessun interesse nemmeno io che si sparga la voce di noi due, ma in ogni caso non posso prometterti niente» le rispondo pensando che Russel sembra sempre più insofferente alla prospettiva di dover continuare a nasconderci.
«È molto di più di quello che potevo sperare» dice alzandosi.  
 
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Sabato 4 Agosto 2012
 
«Meg non poteva chiedere a Karen di accompagnarla a fare shopping?» chiede Russel venendomi dietro mentre mi avvicino alla porta di casa sua per uscire «Avevi promesso che questo fine settimana saremo stati insieme» 
«Karen è partita ieri per andare da tua sorella» gli ricordo prendendo la mia borsa dal mobile nell’ingresso «E poi ti ho già detto che non starò via molto. Tornerò in tempo per preparare il pranzo»
«Non m’interessa mangiare. Voglio solo te nuda dentro il mio letto» dice con sguardo famelico piazzandosi tra me e la porta.
«Ti crederò solo se lo ripeterai fra un paio d’ore quando il tuo stomaco comincerà a brontolare» lo punzecchio lasciando che mi abbracci anche se ho fretta perché Meg mi sta già aspettando in strada.
«Stanotte non mi è bastata nemmeno un po’» sussurra al mio orecchio.
«Nemmeno a me» rispondo prima di baciargli il petto «Ma se non aiuto Meg a trovare un paio di scarpe per stasera è meglio se non mi presento al club»
«Meglio, così ce ne stiamo tutta la sera a letto» afferma scendendo con una mano lungo la mia schiena fino a infilarla dentro una tasca dei miei jeans per strizzarmi il sedere.
«Lasciami uscire che prima vado e prima torno» lo ammonisco con poca convinzione staccando il busto dal suo petto per fargli allentare la presa prima che vada troppo oltre rendendomi poi impossibile desiderare davvero che lo faccia.
Senza ascoltarmi si abbassa per darmi un bacio che al primo sfioramento di lingue diventa subito profondo e incandescente.
Poi si stacca all’improvviso andando verso le scale «Ti aspetto a letto» dice senza voltarsi salendo al piano di sopra.
Seguendolo con lo sguardo sospiro mordendomi un labbro, se non avessi chiesto io a Meg di aiutarmi, la chiamerei per dirle che ho avuto un contrattempo. 
 
«Sei davvero sicura di volerlo fare?» mi chiede Meg per quella che credo essere almeno la decima volta da quando sono salita nella sua macchina.
«Sì Meg, devo assolutamente farlo» rispondo aprendo lo sportello e scendendo.
Scende anche lei e guardandomi da sopra il tetto dell’auto mi fa l’occhiolino «Okay, allora datti una mossa» 
Mi guardo intorno. I posti auto sono quasi tutti vuoti e le macchine in movimento sono per lo più concentrate dalla parte opposta del parcheggio adiacente all’ingresso del centro commerciale. 
Sospiro stringendo i pugni. 
«Dai, ci sono io con te» m’incoraggia Meg e arrivandomi accanto mi spinge con una mano sulla schiena. Faccio il giro dell’auto e appoggiando una mano allo sportello che ha lasciato aperto guardo il sedile del guidatore.  Sospiro ancora e lentamente entro nell’abitacolo e mi siedo. 
Sono passati cinque mesi e mezzo dall’ultima volta che mi sono seduta al posto di guida di una macchina, e sinceramente più passavano i giorni e più pensavo che non l’avrei più fatto.
Passo le mani più volte sopra le cosce osservando il volante che data l’altezza di Meg per me è troppo distante e lei appoggia una mano sopra la mia.  
«Non abbiamo nessuna fretta. Prenditi tutto il tempo che ti serve» dice dolcemente e io mi volto verso di lei e tesa da capo a piedi annuisco.
Con calma mi piego in avanti e appoggiando una mano al cruscotto con l’altra tiro la leva del sedile e lo faccio scattare una sola volta in avanti, un altro sospiro e un altro scatto, ancora un sospiro e ancora uno scatto, allungo la gamba destra e con la punta del piede sento il pedale del freno. 
Per distrarmi sollevo gli occhi e, guardando il cielo azzurro al di fuori del parabrezza della piccola utilitaria di Meg, in un colpo solo avanzo con il sedile di altri due scatti, poi sempre lentamente stendo entrambe le gambe fino a posare il piede sinistro sopra la frizione e il destro sul freno. 
Okay, il cuore è un po’ accelerato ma ancora respiro regolarmente. 
Mordendomi l’interno della guancia afferro il volante e lo stringo con tutte e due le mani, e osservando ancora il cielo limpido conto mentalmente aspettando che inizino a tremare da un momento all’altro. Arrivata a cento, anche se il battito del mio cuore ha almeno dimezzato i tempi tra un colpo e l’altro, la presa delle mie mani è ancora ferma e salda. 
Mentre Meg osserva in silenzio ogni mio movimento, mi faccio ulteriormente coraggio e sistemo  gli specchietti, allaccio la cintura, e infine chiudo lo sportello.
Ora arriva la parte più difficile. Giro la chiave e accendo il motore.
 
«Che hai?» chiede Russel osservandomi dall’altro lato della tavola. Sollevo gli occhi dal mio piatto ancora pieno e vedo che lui invece ha già svuotato il suo.
«Niente perché?» rispondo vaga appoggiando la forchetta. 
«È da quando sei rientrata che non spiccichi parola e non hai praticamente toccato la pasta. È successo qualcosa che ti ha turbata mentre eri a giro con Meg?» 
«Che vuoi che sia successo? Mi ha semplicemente trascinata da un negozio all’altro fino a che non ha trovato un paio di scarpe da mettere con il vestito per stasera. Sono solo un po’ stanca, e non ho fame perché prima di tornare a casa ci siamo fermate in una caffetteria» dico muovendo appena il capo e distogliendo gli occhi dai suoi, mentre dentro di me sbuffo ripensando a questa mattina. 
Che stupida che sono stata a pensare che dopo tutti questi mesi sarebbe bastato rimettermi al volante di un’auto per trovare il coraggio di ricominciare a guidare. Quando questa mattina sono uscita da qui, già mi vedevo rientrare e saltare al collo di Russel dicendogli entusiasta che avevo guidato la macchina di Meg. Sono proprio una stupida. 
Come ho acceso il motore il mio piede sopra la frizione ha cominciato a tremare e inserita la prima il parcheggio si è improvvisamente trasformato in una strada buia inondata dalla pioggia battente. Ho cercato conforto guardando Meg che mi ha sorriso malgrado la mia espressione terrorizzata e il respiro affannato, poi ho strinto il volante e la leva del cambio concentrando lo sguardo solo davanti a me, scacciando le immagini dei miei incubi e riuscendo finalmente a vedere nuovamente il parcheggio semi deserto, solo che quando ho allentato la pressione sulla frizione dando gas, a destra con la coda dell’occhio ho visto un’auto che veniva nella nostra direzione e mi sono spaventata così tanto che ho lasciato di scatto la frizione per premere con tutti e due i piedi il freno, fino a che il motore si è spento di botto, come il coraggio che avevo dimostrato fino a quel momento che è andato a farsi benedire. 
Sono uscita in fretta portandomi le mani tremanti alla gola che mi si era chiusa e a niente sono serviti gli incoraggiamenti di Meg che insisteva perché riprovassi, non sono più riuscita a sedermi di nuovo davanti al volante. 
Sono profondamente delusa da me stessa, perché ero davvero convinta che ci sarei riuscita. 
Voglio assolutamente ricominciare a guidare, non mi va più di usare il taxi e ancor meno dovermi appoggiare sempre agli altri per muovermi per la città. So che a Russel fa piacere accompagnarmi a lavoro e venirmi a riprendere la sera, ma da settembre lui non ci sarà, e anche se potrò comunque contare su Meg e Karen voglio lo stesso riprendermi la mia indipendenza. In più, da quando ho visto le foto, mentre sono in macchina con lui mi sembra che tutti ci osservino, soprattutto quando siamo fermi davanti a un semaforo in attesa che scatti il verde, con timore guardo insistentemente le auto intorno aspettandomi da un momento all’altro di essere accecata dal flash di una macchina fotografica.
Infilo in bocca un’altra forchettata di pasta e dopo averla ingoiata allontano il piatto «Ne vuoi ancora?» chiedo a Russel che mi sta ancora osservando in silenzio.
«No, sono pieno» risponde un po’ seccato alzandosi. 
Sparecchiamo senza dire una parola e dopo ci stendiamo sul divano per guardare un po’ la tv. 
Sempre in silenzio mi accomodo tra le gambe di Russel che accoglie la mia schiena sul petto, e invece di seguire il film che stanno trasmettendo chiudo gli occhi. Se avessi chiesto aiuto a lui invece che a Meg, chissà, forse sarei riuscita a fare almeno qualche metro. La sua presenza mi dà sicurezza e il suo amore sembra aiutarmi ad affrontare le mie insicurezze, ma la sua auto è troppo ingombrante e poi vorrei fargli una sorpresa. 
In qualche modo farò, non ho nessuna intenzione di arrendermi, so che ci riuscirò, solo che ci vorrà più tempo del previsto.
 
**
 
Domenica 5 Agosto 2012
 
Lascio tra le lenzuola del letto di Russel il biglietto dove mi ha scritto che andava a fare jogging e allargando le braccia e le gambe osservo il soffitto. È passata quasi una settimana da quando ho parlato a Dario e ancora non sono riuscita a scoprire niente su chi ha fatto le foto, e eliminata dalla lista dei miei sospetti Helen non ho nessun altro su cui concentrarmi. Che lista del cavolo, un solo nome, una sola persona.
Comincio a pensare che forse dovrei decidermi a dirlo a Russel, in fondo in quelle foto c’è anche lui e se un giorno dovessero spuntar fuori per lui sarebbe molto più dannoso che per me e magari unendo le forze riusciremo a venire a capo di qualcosa. Devo assolutamente dirglielo, lo farò quando rientrerà e quando stasera mi riaccompagnerà a casa gliele farò vedere, anche se conoscendolo probabilmente vorrà andare subito da me.
Mi stiracchio un’ultima volta e scendo dal letto. Come ogni volta che dormo con Russel, quindi quasi ogni notte, sono completamente nuda, allora rovisto in fretta nel groviglio di abiti sopra la poltrona alla ricerca di una qualsiasi maglia di Russel da infilarmi al volo. 
Com’è possibile che sia così disordinato? Prima o poi dovrò fargli un bel discorsetto perché quando andremo a vivere insieme non ho nessuna intenzione di trascorrere le giornate a mettere in ordine il casino che si lascia sempre dietro. Stringendo i pantaloni che indossava ieri sera al club rimango con la mano sospesa in aria, possibile che ho davvero pensato una cosa del genere? Io e Russel che viviamo nella stessa casa? 
Guardando nel vuoto mi siedo sopra ai suoi vestiti dandomi della scema per il pensiero che ho appena fatto. L’unico uomo con cui ho mai vissuto nella stessa casa è stato mio padre e la prospettiva di farlo con qualcun altro non mi ha mai sfiorata nemmeno per un attimo. Almeno fino a un minuto fa.
Certo, è vero che da un po’ di tempo io e Russel trascorriamo insieme ogni momento libero e che, o a casa sua o mia, dormiamo quasi sempre insieme, ma non credo che sia la stessa cosa di una vera e propria convivenza.
Nella mia casa ho tutte le mie cose, i miei spazi, le mie abitudini, il mio ordine maniacale, dopo tutti questi anni da sola non sono sicura che davvero riuscirei a rinunciare a tutto questo. 
Però è anche vero che mi piace addormentarmi tra le braccia di Russel e trovarmi ancora lì quando mi sveglio la mattina, come mi diverte decidere con lui cosa mangiare o cosa guardare in tv la sera, se vado a letto prima di lui o se mi alzo dopo, sapere che è nella stanza accanto mi rassicura e per quanto io odi il disordine, in fondo non mi dà nemmeno così fastidio vedere la sua roba a giro per casa, anzi, quella che si lascia dietro mi ricorda le molliche di pane di Pollicino e se la elimino del tutto rischio di fare la sua stessa fine e perdermi, e invece vederla in qua e là mi riporta sempre a lui. Forse non ho avuto un pensiero del tutto assurdo. 
Oddio, ma cosa vado pensando? Ci frequentiamo da un niente e poi probabilmente lui nemmeno ci pensa a una cosa simile. Scrollo la testa e intercettata la manica di una t-shirt la tiro via dalla matassa degli altri abiti e m’infilo in bagno.
 
Esco dal bagno e scendo di sotto per fare colazione, con in testa solo i biscotti e il caffellatte che mi aspettano, quasi mi prende un accidente quando a metà scala scivolo con i piedi coperti da un paio di calzettoni di Russel, riprendendomi per fortuna alla balaustra prima di volare di sotto. 
«Cavolo, c’è mancato un pelo» commento a voce alta sedendomi con il cuore in gola. Guardando di sotto e immaginandomi cosa mi sarei potuta fare se avessi ruzzolato fino in fondo, sopra a uno scalino poco più in basso di quello dove sono seduta vedo un cartoncino, in un attimo realizzo che probabilmente sono scivolata lì sopra. Mi alzo e scendendo con cautela lo raccatto, è un bigliettino da visita, e sì che si parla tanto degli incidenti domestici, per un pezzettino minuscolo di cartone ho rischiato di rompermi l’osso del collo. 
Vado verso la cucina e lascio il bigliettino sul tavolo poi mi siedo e per tutto il tempo che impiego a consumare la colazione che ha preparato Russel penso a come dirgli delle foto cercando di evitare che si arrabbi con me perché non gliel’ho detto subito. Spero che capirà che l’ho fatto solo perché  non volevo farlo preoccupare e anche perché speravo di riuscire a capire da sola chi era stato, perché almeno una cosa di tutta questa storia è piuttosto evidente, lo scopo di chi le ha fatte avere a Dario era quello che lui sapesse che lo tradivo, ma per quale motivo non riesco a capirlo. Volevano che lui ce l’avesse con me? Ma perché? Forse perché volevano che lui… certo! Che stupida che sono stata finora a non capirlo. Volevano che lui mi lasciasse. 
Però, se è davvero così, evidentemente chi spiava me e Russel non sa proprio tutto di me, altrimenti avrebbe anche saputo che non servivano affatto quelle foto perché io volevo già lasciarlo. Quindi non è di sicuro qualcuno che è vicino a me e nemmeno a Russel. E ho completamente sbagliato a pensare che potesse essere stata Helen, perché lei sicuramente avrebbe avuto molto più interesse che io stessi ancora con Dario. 
Abbattuta mi affloscio sulla sedia, sono punto e a capo, non che prima avessi molti indizi, ma a questo punto il campo dei possibili colpevoli si allarga notevolmente. 
E se invece fosse qualcuno vicino a Dario? Magari una sua spasimante che voleva togliermi di mezzo? Certo, tutto può essere, ma dubito che qualcuno dall’Italia mi abbia fatto spiare per tutto questo tempo aspettando che sgarrassi per sbattergli poi in faccia le prove del mio tradimento. 
Va be’, è meglio se mi faccio una doccia concentrandomi solo sulle parole giuste da usare con Russel. 
Mentre sparecchio mi cade distrattamente l’occhio sul bigliettino da visita, quando l’ho raccattato ero così sollevata per non essere volata di sotto che non l’ho guardato attentamente, sopra c’è scritto: Roger Williams - Fotografo freelance. 
Nonostante la giornata calda un brivido di freddo mi scuote le spalle mentre il mio cervello elabora una risposta alla domanda: “Chi desiderava che Dario mi lasciasse?”
Tenendomi una mano sul petto con l’altra prendo il bigliettino cercando di leggere attentamente cosa c’è scritto sopra, ma i miei occhi sono velati e tranne il simbolo di una macchina fotografica in un angolo non riesco a vedere altro.
No, non può essere stato lui. Lui non mi farebbe mai una cosa del genere. Lui non è un uomo meschino. Lui non sarebbe mai capace di tradire così la mia fiducia. Lui mi ama. Lui vuole che io sia felice. 
Lui vuole… ME.
 
«Maledizione!» ci deve essere per forza qualcosa, una qualsiasi cosa. 
Con un colpo secco chiudo il cassetto dove Russel tiene la biancheria e mi appoggio al mobile incrociando le braccia e guardandomi intorno. 
Ho rovistato dovunque e malgrado l’irritazione per non aver trovato nessuna prova schiacciante che dimostri la sua colpevolezza, tiro un respiro di sollievo capendo che in realtà l’ho fatto proprio perché volevo la garanzia che non ci fosse proprio niente da trovare. Ho anche acceso il suo computer portatile per guardare le foto al suo interno, trovando solo quelle della gita che ha fatto con Amy e Liam e che già mi aveva mostrato. 
Mi siedo sul letto e scoppiando a ridere allento tutta la tensione accumulata nell’ultima mezz’ora. Dovrei davvero farmi vedere, ma da uno bravo però, perché è assurdo che io abbia davvero pensato che potesse essere stato Russel a commissionare le foto e a farle avere a Dario. 
Sorridendo rincuorata scendo di sotto e accendo lo stereo, e accompagnata dalla voce di Prince che canta “Purple Rain” decido di preparare il pranzo. 
«Oh cazzo!» richiudo in fretta il frigo che avevo appena aperto e corro davanti all’ingresso per prendere la confezione delle pillole che tengo dentro la borsa. Con tutti i miei vaneggiamenti di questa mattina mi stavo dimenticando di prenderla, dandomi ancora dell’idiota la infilo in bocca e la inghiottisco senza nemmeno berci dietro dell’acqua. 
È solo rimettendo il bristol dentro la borsa che noto il portafoglio di Russel dentro la ciotola dove tiene i vari mazzi di chiavi. Che sbadato, è uscito di casa senza portarlo con sé, o forse non l’ha preso di proposito perché andava a correre, certo, è sicuramente così. 
Faccio qualche passo verso la cucina poi mi fermo, in fondo guardare anche lì dentro mi aiuterebbe a mettermi per sempre l’anima in pace. Torno sui miei passi e prendendo il portafoglio di cuoio lo apro. Soldi, carte di credito, tessere varie e qualche biglietto da visita nelle apposite tasche, pochi spiccioli nella tasca a soffietto… infine… in uno dei due spazi laterali interni… la scheda di una macchina fotografica. 
Il piccolo rettangolino nero sopra la mia mano brucia come un cubetto di ghiaccio che a contatto con il mio palmo, invece di sciogliersi, mi gela in fretta tutto il braccio rendendolo insensibile e il freddo risale per tutta la sua lunghezza fino a raggiungere il centro del mio corpo, dove da lì si dirama in ogni direzione sfruttando il mio sangue come mezzo di trasporto, e raggiunta la meta ne prende il sopravvento solidificandolo fino a bloccarne lo scorrere, riducendomi in un enorme blocco di ghiaccio, freddo, immobile, e irrecuperabilmente senza vita.
Non perdo tempo a farmi domande, non voglio riempirmi la testa di squallide illazioni, non ho nessuna intenzione di dubitare ancora di Russel, ma lo stesso, salgo le scale tenendo il braccio abbandonato lungo il fianco stringendo nel pugno quel pezzetto di plastica che è sempre più glaciale e raggiunta la piccola scrivania dove il computer è ancora acceso, lo inserisco nella sede e, senza quasi dare il tempo necessario al processore di caricarla, apro la cartella che solo vedere che non è vuota mi ha provocato una violenta fitta al petto. 
E già solo visualizzando l’anteprima delle foto, realizzo che anche il secondo uomo di cui mi sia mai fidata ciecamente in tutta la mia vita e a cui ero a un soffio dall’affidargliela totalmente… mi ha tradita. 
E per la seconda volta da quando sono al mondo, il mio cuore si ferma, ma non come l’auto di Meg quando ho lasciato la frizione, non di botto, ma lentamente, dilatandosi con sempre meno vigore, come una oggetto animato da una pila che sta per terminare del tutto l’energia, producendo a ogni battito un tonfo sempre più fievole del precedente, fino a percepirlo completamente immobile e silenzioso. E se si è fermato di nuovo, so che dopo questa seconda volta non ripartirà mai più, niente sarà più in grado di rimetterlo in moto, e allora io morirò, e morirò per mano sua, non di Russel, che c’entra lui? Lui non ha nessuna colpa, in fondo è solo un uomo, non poteva fare altro che tentare di soddisfare il proprio egoismo calpestando i sentimenti degli altri, questa in fondo è la qualità in cui spiccano per eccellenza, e anche chi di loro non ha ancora scoperto di averla o non ha mai avuto l’esigenza di metterla in pratica, prima o poi la farà diventare il principio fondamentale su cui basare la propria esistenza e si perfezionerà per metterla in atto coltivandola come un’arte sopraffina.  
No, io non morirò perché ho scoperto che Russel nasconde una scheda con dentro delle foto che qualcuno ha scattato a mia insaputa, ma evidentemente non certo sua, e che ci ritraggono mentre ci baciamo all’interno della sua auto e tantissime altre prese in momenti diversi mentre io gli sono al fianco e lui guida e qualcun’altra mentre camminiamo tenendoci per mano e ancora ci baciamo per le strade di Solvang, io morirò per colpa di questo stupido cuore che non è abbastanza forte da riuscire a incassare i colpi senza danneggiarsi, dopo essersi fatto fregare da un uomo che l’ha illuso fino a tal punto che si era convinto di aver trovato qualcuno che si sarebbe preso cura di lui per sempre.
 
Tolgo la scheda dal computer per rimetterla dentro al portafoglio, mi vesto in fretta e faccio una telefonata mentre scendo le scale per uscire da qui.  
 
Quell’uomo mi ha riconosciuta subito, ancor prima che la porta di casa sua fosse completamente aperta, ne sono certa, io invece ci ho messo un po’ più di tempo a capire che era la stessa persona che Russel ieri sera al club ha avvicinato mentre se ne stava seduto al bancone del bar e con cui ha scambiato qualche parola, dicendomi poi che era un suo vecchio amico che non vedeva da tempo.
Quando per telefono gli ho detto che avevo un lavoro semplice e veloce per lui e che sarebbe stato ben retribuito non ha esitato un attimo a darmi il suo indirizzo di casa per conoscere subito i dettagli e mettersi a lavoro prima possibile, quando però mi ha vista è sbiancato cercando addirittura di sbattermi la porta in faccia, ma sono stata più veloce di lui e sono scivolata dentro il suo appartamento ancor prima che riuscisse a dirmi che non era interessato a fare uno sporco lavoretto per me. Senza tanti giri di parole gli ho chiesto se e perché conosceva Russel Rush, e quasi ho ringhiato quando sorridendo sarcastico mi ha risposto che non c’è fotografo che si occupi di gossip come lui che non sappia chi è. 
Le ho provate tutte, gli ho chiesto quanto denaro voleva, l’ho supplicato, l’ho addirittura minacciato, anche di morte, ma per tutta la durata della mia poco gradita visita, non sono riuscita a strappargli la confessione che aveva fatto quelle foto per conto di Russel. 
Ma in fondo non m’importa, perché il lento oscillare del taxi mi sta aiutando a mettere insieme tutti i pezzi anche senza l’ammissione di quel verme.
Quelle che ho visto non sono le foto che hanno mandato a Dario, ma sono la prova evidente che Russel ha chiesto a qualcuno di seguirci, probabilmente ha poi preferito far vedere a Dario quelle che senza ombra di dubbio dimostravano più delle altre che noi avevamo una relazione. 
Nessun altro oltre a Luca sapeva che quel giorno eravamo a Malibù a casa sua, e solo io o Russel potevamo aprire il cancello a chicchessia per farlo accedere alla spiaggia e quindi alla rimessa, e io non sono stata di certo, come nessun altro sapeva della nostra gita a Solvang, e sia il weekend al mare che la visita a Solvang sono state un’idea di Russel. Come è sempre lui che insiste per portarmi a lavoro e venirmi a riprendere, anche se più volte gli ho detto che potrei approfittare di Karen e Meg.
Non può certo essere una coincidenza la presenza dentro casa sua del biglietto da visita del fotografo, come non lo è di certo che sia lo stesso uomo con cui ha parlato ieri sera. 
Chissà, forse era venuto a incassare la sua ricompensa, o magari a chiedergli se aveva ancora bisogno di lui. Ho anche capito perché era così preoccupato quando non riusciva a mettersi in contatto con me mentre mi telefonava da Morristown e perché temeva che Dario potesse essersi arrabbiato così tanto da arrivare addirittura a picchiarmi, perché lui sapeva che quando sarebbe venuto da me l’avrebbe fatto dopo aver visto le foto. 
Non ho più alcun dubbio sul fatto che Russel non è l’uomo che credevo, e anche che in fondo è andata meglio così, perché l’ho scoperto abbastanza in tempo da poter sperare che forse riuscirò a dimenticarlo in fretta. Che sciocca che sono stata, alla fine Dario si è rivelato un uomo migliore di lui.
Guardo la tastiera dell’ascensore sfiorando con le dita il pulsante che mi porterebbe al piano dell’appartamento di Russel, e mentre le lacrime iniziano a scendermi copiose sposto la mano appena un po’ più su e premo.
Quando Luca apre la porta non sono in grado nemmeno di dirgli una parola, cado in ginocchio davanti a lui e il suo inutile tentativo di impedirmi di farmi male lo trascina a terra con me. 
Parla, sta dicendo qualcosa, ma io non riesco a sentirlo, la sua voce è sovrastata dai miei singhiozzi, aggrappata al suo collo vedo un’ombra che mi passa accanto, ma forse sono solo la mia vista offuscata e la mia immaginazione che mi stanno confondendo, finché lo sento, forte e chiaro che grida a un soffio dal mio orecchio «Cristo Amber, ti ho detto di andartene» e vedo di nuovo un’ombra che si muove veloce e un attimo dopo la porta sbatte forte alle mie spalle, sussulto spaventata tra le braccia di Luca e lui forzandomi i polsi si sottrae al mio abbraccio per guardarmi. 
«Che cazzo ti è successo?» grida scuotendomi le spalle.
«È stato lui… è stato lui… oddio è stato lui…»
«Lui chi? E cosa… cosa ha fatto?»
«Le foto… è stato lui»
Non riesco a dire nient’altro di sensato, balbetto cose incomprensibile anche a me stessa mentre mi spinge il viso contro la sua spalla. 
Dopo le mie lacrime, dopo i miei singhiozzi, quando mi sento completamente svuotata dalle mie poche speranze e riempita di nuovo dalla verità che mi è piombata addosso, riesco a vedere Luca e a sentire anche la sua voce.
«Come l’hai scoperto?» chiede sorreggendomi il viso tra le mani come se temesse che potrebbe cadermi a terra da un momento all’altro.
«Ho trovato delle foto a casa sua… e sono stata dal fotografo che le ha fatte» rispondo cercando di scandire bene le parole malgrado la voce che mi trema.
Solleva gli occhi serrando la mascella poi li chiude sospirando «Quindi è stato davvero lui» sussurra parlando più a se stesso che a me. 
Non comprendo immediatamente le sue parole, ma quando ne realizzo il significato scatto indietro finendo quasi completamente distesa a terra e lo guardo come se di fronte a me ci fosse il diavolo in persona «Che vuol dire? Tu già lo sapevi?»
«No che non lo sapevo» si affretta a rispondere «Ma…»
«Ma cosa?» lo incalzo «MA COSA?»
Si alza in piedi e mi tende una mano, invece di stringerla senza togliergli gli occhi di dosso mi sollevo da sola goffamente.
Mi risponde guardandomi pazientemente «Avevo il sospetto che fosse lui»
«E perché non me l’hai detto?» lo aggredisco «Ma che razza di amico sei?» grido andandogli addosso e colpendolo con rabbia «Dovevi dirmelo. Tu dovevi aprirmi gli occhi» continuo dandogli pugni sul petto «Tu avevi il dovere di dirmelo»
«Perché?» chiede incassando i colpi senza nemmeno tentare di difendersi o allontanarsi «Che differenza avrebbe fatto?»
«Te lo dico io che differenza avrebbe fatto. Avrei capito subito che Russel non è l’uomo per me. Avrei capito che non posso fidarmi di lui e che mi ero sbagliata perché lui invece è come tutti gli altri, che lui mente come tutti, che non posso appoggiarmi a lui sperando che non mi deluderà mai mettendo la mia felicità di fronte alla sua…» avrei ancora tanto da dire ma il pianto convulso me lo impedisce. 
«Reb ti prego, cerca di ragionare, lui l’ha fatto perc…»
«Non m’interessa perché l’ha fatto. Lui non doveva e basta. Mi ha ingannata, lui ha finto di essere ciò che non è e alla fine anche lui mi ha calpestato per assecondare i suoi bisogni» 
«Perché invece non cerchi di capirlo? Lui non l’ha certo fatto per ferirti, è innamorato di te e voleva solo la garanzia che non saresti tornata a casa con Dario»
«Questo non è amore» rispondo con disgusto «Questo è trattare le persone come se fossero degli oggetti. E lo sai cosa facciamo con gli oggetti?» chiedo retorica mentre lui mi osserva con espressione statica «Li usiamo, talvolta li rompiamo, e quando non ci servono più li gettiamo via»
Rimane un attimo in silenzio poi con cautela, come se temesse di spaventarmi, fa un passo verso di me «Reb, so bene che per quanto io cerchi di comprendere quanto sia stata dolorosa la morte di tuo padre non sarò mai in grado di farlo, e capisco anche che a cinque anni probabilmente l’hai vissuta come un abbandono, ma non sei più una bambina, devi trovare la forza per superare la paura di legarti a un uomo o non sarai mai felice» 
Lo guardo ferita e con la rabbia che mi dilaga nelle vene gli dico la verità «Io l’ho vissuta come un abbandono perché è esattamente così che sono andate le cose»
Sospira guardando a terra e scuote il capo «Tesoro tuo padre non ti ha abbandonata, lui sicuramente ti amava e se avesse potuto scegliere so che avrebbe scelto di stare con la sua famiglia per tutto il resto della sua vita» 
«Sai che ti dico?» chiedo facendo aventi e indietro davanti a lui «Tu non sai proprio niente» affermo piazzandomi a un passo da lui «Ma tanto se ne sta andando tutto a puttane e non me ne frega più un cazzo di niente. Quindi ti dirò tutta la verità così finalmente ti metterai l’anima in pace una volta per tutte. Almeno tu. Se ti dico che mio padre mi ha abbandonata è perché questa è la verità»
E mentre mi guarda come se avessi completamente perso la ragione, gli rivelo il segreto che nascondo da quasi tutta la vita e che da altrettanto tempo mi fa raccontare un sacco di bugie a chi mi chiede di mio padre, come se fosse una colpa che se svelata mi farebbe guardare dagli altri come un’appestata da cui fuggire.
«Mio padre una mattina come tutte le altre ha salutato la sua famiglia, e invece di andare a lavoro… si è tolto la vita»
 
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Che dire, ve lo aspettavate? Io sì, perché già lo sapevo.
Non vi ho mai chiesto di dirmi la vostra su questa storia, ma oggi lo farò, più che altro sono curiosa di sapere se qualcuno di voi era già arrivato da solo alla verità sul padre di Reb o se sono stata abbastanza brava da depistarvi.
 
Nel capitolo non si ride, quindi vi darò una notizia che forse vi farà piacere: Luca è tornato su piazza, la mia Stressa l’ha mollato per Ethan. Chi è Ethan? Semplice, il protagonista maschile dell’altra mia storia.
 
A presto,
V.17
 
 

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Capitolo 32
*** Cap. 32 - Il pendio dell'abbandono ***


Solo due parole.
Il capitolo che state per leggere è corto e all’inizio doveva essere il prologo della storia, tant’è vero che l’ho scritto molto prima di pubblicare il primo capitolo, poi ho cambiato idea.
Vi auguro buona lettura e abbiate pazienza se troverete degli errori, ma faccio fatica a rileggerlo, quindi perdonatemi.
 
V.17
 
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CAP. 32 - IL PENDIO DELL’ABBANDONO 
 
Arduo ed insidioso 
il pendio dell’abbandono. 
Affranto e compassionevole, 
il buon Dio osserva inerte 
umane ricchezze e miserie. 
 
Regnerà sovrano l’oblio, 
prezioso rimedio all’impotenza 
ed alla crudeltà di un ignobile addio 
inflitto a sorpresa 
da chi ha giurato lealtà. 
 
Ma un vento caldo annuncerà 
il risveglio di tempi migliori. 
Affranto e compassionevole, 
il buon Dio osserva inerte 
umane ricchezze e miserie. 
 
Regnerà sovrano l’oblio, 
vile ripiego all’impotenza 
ed alla crudeltà di un ignobile addio 
inflitto a sorpresa 
da chi ha giurato lealtà. 
 
Ma un vento caldo annuncerà 
il risveglio di tempi migliori. 
Ma un vento caldo plasmerà 
il rigore di spietati inverni.
 
Carmen Consoli
 
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«Mia madre mi spiegò che papà era morto e che, anche se lui non sarebbe più tornato e non l’avrei più rivisto, mi sarebbe stato per sempre vicino.
Non ricordo con esattezza cosa pensai in quel momento, so solo che io ancora non sapevo bene che cosa significasse morire. 
Però ricordo bene che pensai al nostro gatto Baffy, un siamese maschio che stava con noi da prima che io nascessi.
Durante la fine dell’inverno precedente non tornò a casa per giorni, io ero disperata, lo aspettavo ogni sera e la prima cosa che facevo quando il pomeriggio rientravo dall’asilo era correre in giardino, con ancora addosso il giubbotto pesante, la lunga sciarpa che mia madre mi girava più volte intorno al collo e il cappello in testa, per chiamarlo a squarcia gola cercando di attirarlo battendo a terra il piattino che quotidianamente riempivo prima di uscire la mattina e che trovavo vuoto al rientro, non capendo perché tornasse a casa solo per mangiare e sempre quando io non c’ero. 
Mi mancava, ero abituata ad addormentarmi con lui che se ne stava accoccolato in fondo ai miei piedi sopra al piumone, saperlo in casa al caldo con noi mi rassicurava e durante tutta la sua lunga assenza dormii male, quando la notte sentivo il vento frusciare non potevo fare a meno di domandarmi se sentisse freddo. 
Una notte il rumore della pioggia battente mi svegliò, corsi in camera dei miei piangendo e pregandoli di andare a cercare Baffy. 
Il mattino dopo mi svegliai trovandomi da sola al centro del letto dei miei, probabilmente mi ero addormentata mentre loro cercavano di rassicurarmi ripetendomi che i gatti sono intelligenti e che Baffy sicuramente era al riparo dalla pioggia da qualche parte. 
Mi alzai con il solo pensiero di vestirmi in fretta per andare a cercarlo, ma quando uscii dalla porta per andare in camera mia, sentendo i miei che in cucina stavano parlando del mio gatto, mi fermai in mezzo al corridoio. 
Mia madre stava dicendo che forse era meglio se smettevano di gettare il cibo che gli lasciavo in giardino perché serviva solo a illudermi che fosse ancora vivo e che dopo così tanti giorni che non tornava ormai doveva essere sicuramente morto. Non mi soffermai nemmeno un secondo a domandarmi cosa significasse, tirai a dritto fino alla mia camera, indossai in fretta i vestiti che avevo il giorno prima e andai in giardino, riempii il piattino di cibo e chiamai il mio gatto. 
Nemmeno quella mattina lo vidi, ma quando rientrai dall’asilo, il piattino, per la prima volta dopo tanti giorni, era ancora pieno di croccantini. Non m’importò, ero testarda, rivolevo il mio gatto a tutti i costi, gettai tutto nella spazzatura e lo riempii di nuovo. 
Lo svuotai e lo riempii per giorni, finché una domenica mattina, mentre mia madre mi pregava di rientrare in casa perché era già da almeno mezz’ora che gridavo il nome del mio gatto con la sciarpa ormai fradicia delle mie lacrime, finalmente lo vidi, era sopra un ramo dell’albero del vicino di casa, dimagrito e sporco, ma era il mio Baffy. 
Corsi in casa per trascinare fuori mio padre perché lo aiutasse a scendere, ma quando tornammo in giardino aveva già fatto da solo ed era davanti alla porta che stava divorando i croccantini che avevo messo nel suo piattino. Guardandolo mentre mangiava, ripensai alle parole di mia madre, e arrivai alla conclusione che morire voleva dire stare via da casa per un po’.  
Così, quando mia madre e zia Anna mi spiegarono che papà era morto, guardai Baffy che si stiracchiava sopra al mio letto, e pensai che dovevo solo aspettare, e che se non avessi fatto arrabbiare la mamma, come lui mi aveva detto l’ultima volta che l’avevo visto qualche giorno prima, forse sarebbe tornato anche prima del mio gatto.  
Smisi di bere il mio latte prima di andare a letto, perché lasciare che me lo preparasse la mamma mi dava la sensazione di tradirlo e, con la pazienza che solo una bambina che ancora non capisce molto bene lo scorrere dei giorni e del tempo, rimasi in attesa del suo ritorno.   
Qualche mese dopo inizia ad andare alle elementari e una sera mentre facevo i compiti mi alzai dal tavolo della cucina per andare a chiamare la mamma perché non riuscivo a fare un esercizio da sola. Quella sera, come succedeva spesso da quando mio padre era “morto”, era venuta da noi zia Anna ed era in camera dei miei con la mamma. 
Prima di entrare sentii da dietro la porta appena accostata la mamma che diceva alla zia: ”Lui non doveva lasciarci in questo modo, doveva chiedere aiuto, non doveva suicidarsi”. 
Sentendo la mamma che piangeva non la chiamai, odiavo vederla piangere, allora tornai in cucina e ripensai alle sue parole, non sapevo cosa significasse l’ultima che le avevo sentito dire, però sembrava che fosse importante, allora con la mia scrittura ancora incerta, e probabilmente sbagliando anche qualche lettera, la scrissi in cima a un foglio del mio quaderno determinata a scoprire che cosa significasse, non potevo chiederlo alla mamma perché avevo capito che quella parola la faceva piangere. 
La mattina dopo, appena entrai in classe, corsi alla cattedra della maestra e senza nemmeno togliermi il giaccone buttai a terra la mia cartella e in fretta tirai fuori il quaderno, poi lo aprii e le chiesi che cosa voleva dire quella parola che avevo scritto la sera prima. 
Lei si lasciò cadere sulla sedia e mi fissò senza rispondermi, quando le vidi gli occhi lucidi capii che avevo fatto qualcosa di sbagliato e spaventata rimasi immobile davanti a lei pensando che mi avrebbe punita. Invece si alzò dicendomi di andare al mio posto e uscì dall’aula. 
Una decina di minuti dopo la vidi rientrare e dietro di lei c’era mia madre che, senza dirmi niente, si caricò la mia cartella su una spalla e mi prese per mano. 
Mentre uscivamo dalla classe mi girai a guardare la maestra, ero arrabbiata con lei perché sicuramente aveva ripetuto alla mamma quella parola che la faceva piangere, la guardai con così tanto odio che appena la vidi abbassare gli occhi pensai con orgoglio che a soli sei anni ero riuscita a spaventare solo con un’occhiata una signora che era anche più grande della mia mamma. Uscimmo dalla scuola e in macchina mia madre non pronunciò una sola parola, seduta nel sedile di dietro la guardavo intimorita mentre cominciavo a sentire le lacrime che salivano perché io non volevo farla arrabbiare, me l’aveva chiesto papà, e pensai che per colpa mia lui non sarebbe più tornato. 
Mi portò in un posto dove non ero mai stata, entrammo dentro un portone e dopo una rampa di scale suonò un campanello, ci aprì una signora che dopo averci accompagnate in una stanza con delle sedie lungo le pareti si chinò su di me chiedendomi se volevo una caramella, io feci cenno di no con il capo stringendo la mano della mamma e cercando di nascondermi dietro la sua gonna, non so perché ma quella casa non mi piaceva, le pareti erano tappezzate di disegni di bambini, sopra un tavolino in un angolo c’erano fumetti e libri, alcuni li riconobbi perché erano gli stessi che avevamo a scuola, ma anche se tutto intorno a noi era colorato e vivace mi ricordava dove la mamma mi portava quando non stavo bene e mi aspettavo di veder arrivare da un momento all’altro il mio dottore, che poi mi avrebbe fatto tirar fuori la lingua infilandomi in bocca il bastoncino facendomi quasi vomitare, poi mi avrebbe appoggiato quell’affare freddo sulla schiena e sul petto e dopo avrei dovuto prendere qualche sciroppo che mi faceva schifo. 
Dopo qualche minuto la signora che ci aveva aperto tornò e io seguii timorosa mia madre fin dentro una porta, dove un signore, che con sollievo vidi non essere il mio dottore, ci fece sedere su un divano mentre lui prese posto di fronte a me sopra una poltrona. 
E mentre la mamma mi stringeva la mano, lasciò che fosse un estraneo a spiegarmi cosa voleva dire quella che capii essere una bruttissima parola. Quel giorno per la prima volta pensando a mio padre vomitai, rigettai tutta la mia colazione sopra le scarpe eleganti di uno sconosciuto che aveva parlato per un tempo che a me sembrò non finire mai, e che sicuramente con la sua esperienza in psicologia infantile aveva usato termini adatti a una bambina di soli sei anni, ma l’unica cosa che capii fu che papà mi aveva abbandonata perché non mi voleva più bene.
Non parlai per giorni e la mamma mi tenne a casa senza mandarmi nemmeno a scuola. 
Una mattina venne a svegliarmi dicendo che dovevamo tornare da quel signore, solo il pensiero di rivederlo, dopo che aveva detto tutte quelle brutte cose di papà, mi fece una tale rabbia che schizzai fuori dal letto e corsi in cucina per fare colazione, gridando che volevo tornare a scuola e che in quella casa non ci avrei più messo piede. 
Mamma probabilmente capì e non mi ci portò più, e da quel giorno nessuno dentro casa nominò più mio padre. Quella stessa sera prima di andare a letto, dopo mesi, chiesi alla mamma il mio bicchiere di latte caldo.
Le cose che sono venuta a sapere in seguito le ho chieste molti anni dopo alla zia Anna perché avevo bisogno di capire, ma in realtà non ci sono mai riuscita e ormai sono sicura che non succederà mai.  
Da lei sono venuta a sapere che mio padre si è tolto la vita con i gas di scarico della sua auto e che aveva progettato tutto da almeno tre giorni, perché nel bagagliaio trovarono una busta con dentro lo scontrino del tubo che aveva usato per collegarlo alla marmitta.
Per tre giorni si è seduto a tavola con la sua famiglia sapendo che quelle erano le sue ultime cene con noi, per tre mattine mi ha baciato sulla testa prima di uscire di casa sapendo che erano gli ultimi baci che mi avrebbe dato e per tre sere mi ha preparato il latte caldo senza domandarsi chi lo avrebbe fatto dopo di lui.
E anche se mia zia è stata paziente rispondendomi sempre con assoluta sincerità, avrei ancora tantissime domande da fare, ma per quelle nemmeno lei potrebbe aiutarmi ad avere le risposte.
Sono ossessionata dall’immagine di mio padre inerme dentro la sua auto, parcheggiata in un luogo isolato ma non molto lontano da casa. Mi chiedo continuamente quale fosse la sua espressione quando la sera lo trovarono. Era serena? Triste? 
Perché non ha chiesto aiuto? Qual è stato il suo ultimo pensiero prima di svenire? Mi avrà pensato almeno per un attimo? Si sarà domandato cosa ne sarebbe stato di me senza di lui?
Lo odio e lo odierò per sempre e non posso impedirmi di chiedermi cosa sarei io oggi se lui un giorno fosse davvero tornato a casa come Baffy e, malgrado siano passati tutti questi anni, a volte mi sembra di essere ancora in paziente attesa di vederlo rientrare dal lavoro, perché vorrei poterlo guardare con ammirazione almeno un’ultima volta mentre si siede a tavola con noi per poter finalmente rispondere alla sua solita domanda: “Allora scricciolo, cos’hai fatto oggi all’asilo?”»
 
«Questa è tutta la verità su mio padre» concludo asciugandomi gli occhi mentre Luca mi ascolta senza fiatare da più di mezz’ora «E se non riesco più a fidarmi quando un uomo dice di amarmi, è perché se non ci è riuscito mio padre, come posso illudermi che esista davvero qualcuno che possa farlo?» 
Il campanello di casa mi fa sobbalzare sul divano e quando sento la voce di Russel che chiama Luca scatto in piedi.
«Mandalo via. Inventati qualcosa, non m’interessa cosa. Non voglio più vederlo» dico con rabbia allontanandomi in fretta per nascondermi al piano di sopra. 
Arrivata in cima alle scale mi volto e incrocio lo sguardo di Luca che mi guarda rassegnato tenendo la mano sopra la maniglia della porta. Un attimo prima di aprire annuisce.
 
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Non pensate che la diffidenza di Reb nei confronti degli uomini sia del tutto giustificata? Io sì.
 
V.17  

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Capitolo 33
*** Cap. 33 - Insieme ***


Posto il capitolo anche se non l’ho riletto con molta attenzione, ma oggi mi va così…
Buona lettura.
 
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CAP. 33 - INSIEME
 
Insieme guardiamo lo stesso orizzonte, 
insieme magari ma stando di fronte, 
così ci impalliamo e si rompe l’incanto, 
sarebbe importante amarsi di fianco. 
 
Avere il coraggio di lasciarsi la mano 
che tanto con l’altra ci rassicuriamo, 
così se da un lato abbracciamo la vita, 
dall’altro stringiamo le dita. 
 
Avevo due amici che parlavano appena 
e per troppo rispetto si amavano di schiena, 
ognuno pensava che l’altro ridesse 
e invece piangevano che pareva piovesse. 
 
C’è gente che si ama divisa da un muro 
e da dietro la porta per stare al sicuro, 
ma se la porta si apre, è successo anche a me, 
puoi scoprire che l’altro non c’è…
 
Daniele Silvestri
 
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«Questa è tutta la verità su mio padre» concludo asciugandomi gli occhi mentre Luca mi ascolta senza fiatare da più di mezz’ora «E se non riesco più a fidarmi quando un uomo dice di amarmi, è perché se non ci è riuscito mio padre, come posso illudermi che esista davvero qualcuno che possa farlo?» 
Il campanello di casa mi fa sobbalzare sul divano e quando sento la voce di Russel che chiama Luca scatto in piedi.
«Mandalo via. Inventati qualcosa, non m’interessa cosa. Non voglio più vederlo» dico con rabbia allontanandomi in fretta per nascondermi al piano di sopra. 
Arrivata in cima alle scale mi volto e incrocio lo sguardo di Luca che mi guarda rassegnato tenendo la mano sopra la maniglia della porta. Un attimo prima di aprire annuisce.
 
Corro a nascondermi in camera di Luca, scivolo a terra e appoggiando le spalle al suo letto lo sento schiarirsi la voce e subito dopo aprire la pesante porta di casa.
Mi circondo il corpo con le braccia e chiudo gli occhi trattenendo il respiro.
«Rebecca è qui da te?» la voce tranquilla di Russel è come un cazzotto nello stomaco: mi toglie il fiato e aumenta la mia rabbia. 
Quanto vorrei correre giù dalle scale per gridargli contro che mi ha deluso e che deve andarsene e non farsi vedere mai più. 
Cazzo Luca, che stai aspettando a rispondergli? Vuoi farmi beccare qui in camera tua mentre me ne sto rannicchiata sul pavimento?
«No. Non l’ho vista né sentita. Perché?» ma a chi crede di darla a bere con quel tono incerto e quasi colpevole? Dov’è in questo momento l’uomo che senza tanti giri di parole si libera di una donna dopo essersela portata a letto promettendole che si farà vivo presto sapendo che in realtà non ha nessuna intenzione di farlo?
«Sono uscito presto per andare a correre e sono appena rientrato ma lei non c’è. Non mi ha lasciato nessun messaggio e ha il telefono spento. Ho provato a chiamarla anche a casa ma non risponde» 
E non ti risponderò mai più, anche se sapere che questa potrebbe essere l’ultima volta che sento la tua voce mi fa desiderare di morire all’istante, perché è con quella mi hai fatto avvicinare a te facendo crescere in me la voglia di conoscerti più profondamente, durante le nostre lunghe conversazioni telefoniche, quando mi parlavi di te, delle tue passioni, della tua famiglia, di aneddoti divertenti, di delusioni e speranze, quando inconsapevolmente usando solo la tua voce mi aiutavi a non temere di addormentarmi per paura che i miei incubi venissero ancora a cercarmi, perché mi cullavi senza farmi pensare e mi assopivo lentamente con solo la tua voce calda e morbida in testa.  
Ogni singola frase che mi hai detto si è irrimediabilmente radicata in me e sono assolutamente certa che sentirò la tua voce ripeterle nella mia testa per il resto della mia vita
«Sarà andata a comprare qualcosa per il pranzo visto che il tuo frigo è sempre vuoto» il tono di Luca è ancora poco convincente, se continua così Russel non ci metterà molto a capire che sta mentendo.  
«No, abbiamo fatto la spesa ieri» 
Già, un’altra delle cose semplici e quotidiane che se fatta insieme a te diventava emozionante e speciale come il primo appuntamento per una giovane adolescente.
«Allora forse doveva vedersi con Karen o Meg e si è semplicemente scordata di dirtelo»
«Karen è da mia sorella e quando ieri sera Meg e Brian ci hanno salutato lei ha detto a Rebecca che avrebbe trascorso il fine settimana a casa di lui» 
«Russel non so che dirti. Ma è quasi l’ora di pranzo, sicuramente tornerà a momenti. Ora scusa ma tra poco ho un impegno e devo ancora prepararmi»
Sollevando il mento mi concentro per ascoltare ogni minimo rumore che proviene dal piano di sotto ma sembra non muoversi nemmeno una mosca.
Che cazzo sta succedendo? Perché nessuno dei due parla? Perché Russel non saluta Luca uscendo e non sento il tonfo della porta di casa che si richiude? 
«Luca» appena sento di nuovo la voce di Russel il mio cuore si arresta un attimo perché dal tono ostile capisco subito che non se ne sta per andare «Smetti di dirmi cazzate e dimmi che sta succedendo»
Merda! Merda! Merda! Lo sapevo. Luca sei il solito cazzone.
«È stata sicuramente qui da te, ho sentito il suo profumo appena mi hai aperto la porta. È ancora in casa?» 
Sentendo dei passi che si avvicinano alle scale mi sposto in fretta strisciando sulle ginocchia fino a raggiungere la porta del bagno. 
Uno dei due sospira, stringo la maniglia consapevole che appena la abbasserò, dato il completo silenzio, Russel sentirà lo scattare della serratura capendo che sono davvero ancora in casa, quindi con il cuore in gola aspetto di sentire i suoi passi per le scale sperando che il loro rumore basterà a nascondere quello della porta mentre la aprirò.
«Non serve che sali di sopra a cercarla, se n’è andata poco prima che arrivassi tu» e finalmente la voce di Luca esce talmente sicura e ferma che per un attimo quasi mi convinco anch’io di non essere più qui. E dio quanto vorrei che fosse vero. 
Preferirei essere in qualsiasi altro posto pur di non dover ascoltare la voce di Russel, che per quanto io l’abbia amata, mi ricorda anche che è lo strumento con cui mi ha raggirata, costruendomi intorno un castello che sembrava imponete e solido, dentro il quale mi sentivo al sicuro e che si materializzava ogni volta che stavo tra le sue braccia, ma che si è sgretolato all’improvviso come quelli di sabbia che facevo da bambina, lasciandomi ancora una volta a guardarmi intorno, completamente disorientata e indifesa, a tentare inutilmente di non soccombere agli assalti che mi arrivano da ogni lato ormai sguarnito dalla dura pietra che fino a poche ore fa era in grado di non far penetrare i miei dubbi e le mie incertezze. 
Mi sento di nuovo sola e abbandonata, con un carico sulle spalle però cento volte più pesante di quando sono arrivata a Los Angeles, ora a pressarmi ci sono anche le macerie di quel castello che sembrava tanto inespugnabile, e questa volta non riuscirò ad avanzare di un solo passo, rovinerò a terra con così tanta violenza da spezzarmi le ginocchia, e allora sarà impossibile anche solo sperare di riuscire a sollevarmi.    
«E che ti ha detto? Perché se n’è andata senza dirmi niente?» riconoscendo il tono sostenuto di Russel quando cerca di non far esplodere la rabbia, mi pento di aver messo Luca in una simile situazione. 
«Ha trovato le foto» 
Ancora silenzio, solo un maledetto silenzio che mi fa rabbrividire fino a scuotermi le spalle, le ginocchia premute sul parquet iniziano a farmi male, forse si sono già spezzate, e per la tensione che mi attanaglia non riesco a muovere nemmeno un dito mentre sono in attesa di sentire cosa dirà Russel. 
«Che idiota! Ho lasciato il portafoglio in casa! Dovevo distruggere subito la scheda come le altre» 
Se già sapevo che era stato lui, perché dopo averlo sentito confessare i miei polmoni si sono bloccati e il cuore mi echeggia forte nelle orecchie fino a stordirmi? E perché sto piangendo? Che motivo ho per piangere? Dovrei invece sentirmi sollevata per aver scoperto in tempo di che uomo vile ed egoista mi stavo innamorando. In fondo mi sono risparmiata un sacco di dolore. 
Sicuramente prima o poi la sua vera natura sarebbe venuta fuori e con conseguenze anche peggiori, perché se oggi ha tradito la mia fiducia perché mi voleva, in futuro avrebbe potuto farlo per il motivo opposto, perché inevitabilmente si sarebbe stancato di stare accanto a una donna che, anche se ultimamente in brevi momenti ha pensato il contrario, sa benissimo che ormai il suo cuore, pur essendo riuscita negli anni a indurirne il guscio, all’interno è friabile, e che per questo motivo non vuole legami, non vuole sposarsi, non vuole avere figli, perché semplicemente si sente inadeguata ad affrontare la vita insieme a qualcun altro perché la sfiducia verso il prossimo non le fa credere che potrebbe essere davvero per sempre… e che forse non vuole nemmeno più vivere, non nel senso stretto del termine, per fortuna la mela è caduta a chilometri di distanza dall’albero, ma vuole solo erigere un muro alto e spesso, nascondersi dietro la piccola porta e gettare via la chiave, non rendendosi più partecipe, scordarsi che esiste la parola “insieme” e starsene da sola.      
«Hai perfettamente ragione, sei un idiota. Pensi che lei sia ancora disposta a stare con te?»
«Invece di farmi la predica dimmi dov’è» il tono di Russel suona intimidatorio. 
«Non lo so. Mi ha solo detto che voleva stare da sola»
«Luca mi stai facendo incazzare sul serio. Non l’avresti mai fatta uscire da qui senza farti dire dove aveva intenzione di andare»
«Ti ripeto che non lo so. Quando gliel’ho chiesto mi ha detto che non me l’avrebbe detto perché sapeva che saresti venuto subito da me» insiste Luca.
Dopo qualche secondo di silenzio sento dei passi che si allontanano dalle scale.
«E che altro ti ha detto?»
«Che non vuole più vederti» risponde Luca senza la minima esitazione.
«Lei ha… ha davvero detto questo?» la voce tremante e appena sussurrata di Russel mi fa scendere altre lacrime, fa così male sapere che probabilmente sarà l’ultima volta che potrò sentirla.
«Russel lo sai che ti sono amico e anche che ho approvato quasi fin da subito la vostra relazione, ma se ora tu cercassi di vederla e parlarle non servirebbe a niente, la faresti solo star male ancora di più, quindi mi trovo costretto a dirti di lascarla in pace»
«Cazzo Luca è per questo che devo vederla subito. Devo spiegarle tutto quanto, devo assolutamente dirle che anche se non si fida più a stare con me io non posso rinunciare a lei. Non per questo motivo… non per colpa mia» il suo tono implorante mi apre una nuova ferita nel petto, trasformando la mia rabbia in un dolore acuto talmente dilaniante che mi porto una mano sul cuore per cullarlo e tentare di evitare che imploda. 
Russel, come hai potuto farmi questo? Perché non ti sei fidato di me? Io ti avevo fatto una promessa, non ne ho mai fatte a nessuno in tutta la mia vita, solo una, e solo a te, e l’avrei mantenuta, non potevo fare altrimenti perché con te avevo smesso di scappare, con te avevo deciso di fermarmi per permetterti di raggiungermi. Ma tu non mi hai creduto. Cazzo Russel, tu non mi hai lasciato libero arbitrio, come mio padre hai deciso anche per me e questo non posso perdonartelo.  
«Russel mi vuoi ascoltare!» le urla di Luca mi fanno sussultare «Lei non è affatto disposta a passare sopra a quello che è successo. Non vuole vederti, non vuole parlarti, vuole solo lasciarsi tutto quanto alle spalle e andare avanti con la sua vita»
La mia vita? Quale? E avanti dove, dove dovrei andare? Qual è la direzione da prendere per proseguire? Esiste davvero una strada che è quella giusta o una vale l’altra? 
Sono ancora dentro al mio labirinto personale e non ne uscirò mai più. E comincio a sentirmi stanca, vorrei solo scovare una panchina un po’ in disparte e frenare questo continuo andirivieni dileguandomi in silenzio, sedermi, chiudere gli occhi e starmene ferma almeno per un po’. Almeno finché non avrò capito cosa dovrei farmene di questo schifo di vita che mi è stata data una sola volta e che in due occasioni mi è stata quasi tolta, e sempre da chi diceva di amarmi.
Dopo qualche secondo la voce sarcastica di Russel rompe il silenzio «E magari ora mi dirai anche che dovrei fare la stessa cosa anch’io. Andare avanti, dimenticarmi di lei, saresti addirittura capace di dirmi che buttarmi sul lavoro mi sarà di aiuto. Sto solo perdendo tempo con te. Tu non sai cosa significa amare così tanto una donna da essere disposto a fare qualsiasi cosa pur di non perderla perché il futuro senza di lei è assolutamente inimmaginabile» 
«Hai ragione, non lo so. Ma questo non giustifica il tuo comportamento, e comunque, non sai quanto mi costa ammetterlo, ma l’hai persa lo stesso»  
«Beh visto che sembri sapere tutto, sai anche dirmi cosa avrei dovuto fare? Eh? Rispondimi cazzo! Dovevo stare a guardare senza far niente sperando che lei non mi lasciasse?»
«Dovevi solo fidarti di lei»
«Non potevo. Lei mi ha sempre tenuto a distanza e ora sta usando quello che è successo per allontanarmi del tutto. Proprio ora che sono sicuro che anche lei...»
Con il cuore che sta per scoppiarmi aspetto di sentire il resto della sua frase ma invece sento aprire la porta e mentre sbatte capisco perché sto piangendo. 
Non è vero che ho scoperto la verità prima di innamorarmi di lui, sono bugiarda, sì, e da quasi tutta la vita, e sicuramente non do ascolto ai miei sentimenti, ma non sono mai stata capace di mentire a me stessa, e non riesco a farlo nemmeno questa volta, anche se in questo momento lo vorrei più di qualsiasi altra cosa, e so che la verità è che sono già innamorata di lui e il pensiero di non vederlo più mi fa sentire come se fossi già morta, un ammasso di carne e ossa che ha cominciato a decomporsi nel momento esatto in cui ho visto le foto, completamente inerme e inutile per chiunque, soprattutto per me stessa. E anche se Russel se n’è andato prima di terminare la frase, so perfettamente cosa stava per dire: “Proprio ora che sono sicuro che anche lei... è innamorata di me.” 
Sapevo che l’aveva capito, e malgrado il mio comportamento e i miei silenzi sono sicura che lo sappia da molto tempo prima che di me. Ma se sapeva che l’amavo perché si è comportato cosi? È vero, ho tentennato per giorni, ma quando gli ho giurato che non sarei mai tornata a casa con Dario ero assolutamente sincera, non può non averlo capito. Che bisogno aveva di far scattare quelle foto e mandarle a Dario? Non si è fidato di me, e questo posso anche accettarlo, fa male, ma posso accettarlo visto che ha capito quanto mi spaventa l’idea di innamorarmi, ma non posso perdonare un comportamento così ignobile e meschino, per avere la certezza assoluta che mi avrebbe avuta solo per sé se n’è fregato totalmente delle conseguenze non tenendo conto né dei miei sentimenti né di quelli di Dario. E io non posso stare con qualcuno che non si cura della sofferenza altrui, non posso permettermi il lusso di non tenerne conto perché prima o poi mi si ritorcerebbe contro. 
Io mento, mento da tutta la vita, ma solo per proteggermi, e in qualche modo anche per proteggere gli altri. Non parlo mai di mio padre e se non posso evitarlo mento riguardo alla sua morte perché nessuno quando mi chiede com’è successo vorrebbe sentirsi davvero rispondere la verità, sai che facce farebbero se rispondessi: “Una mattina quando avevo cinque anni ci ha salutate e invece di andare a lavoro ha fatto il pieno di benzina all’auto per non rischiare che si spengesse il motore prima del tempo necessario, si è recato in un luogo isolato, ha collegato un tubo che aveva comprato tre giorni prima alla marmitta inserendo l’altra estremità dentro a un finestrino, poi è entrato nell’abitacolo, ha sigillato con un asciugamano la fessura che rimaneva aperta nel vetro e inserita la marcia in folle ha atteso con calma di svenire e poi morire.” 
Quando si chiede a qualcuno com’è morta una persona a lui vicina ci si aspetta sempre che risponda che è successo in seguito a una malattia, un malessere improvviso, un incidente, nessuno si aspetta una risposta del genere, nessuno pensa che qualcuno possa davvero desiderare di togliersi la vita, il suicidio è una specie di tabù, è un cosa che succede ma di cui nessuno in fondo vuole davvero parlare, come se non fosse un modo di morire come un altro ma un peccato mortale, come dice anche la chiesa, e che mette all’indice chi viveva con il suicida colpevolizzandolo per non essersi accorto in tempo del suo malessere e delle sue intenzioni. Sono sicura che tutt’oggi mia madre e mia zia non riescano a darsi pace per non aver capito quale progetto si andava delineando nella mente di mio padre, non ci riesco io malgrado che fossi solo una bambina. 
E comunque, anche se riuscissi a dire la verità, non sopporterei di vedere l’imbarazzo prima e la compassione poi nel viso del povero malcapitato che sicuramente si maledirebbe per avermi fatto la domanda, trovandosi poi forse a chiedersi se dopo un simile trauma io sia una persona “normale” o meno. Il periodo peggiore in assoluto è stato durante gli anni in cui andavo a scuola, vivevo costantemente nel terrore che i miei compagni venissero a saperlo e che qualche idiota cominciasse a prendermi in giro o a ghettizzarmi spargendo la voce che avevo qualche rotella fuori posto come mio padre. E allora io non ne parlo, anche perché da sempre mi vergogno ad ammettere con chiunque che mio padre se l’ha fatto è perché in fondo non mi amava. Se davvero avesse amato me, mia madre e mia sorella, si sarebbe fermato, non avrebbe ceduto alla sua sofferenza di vivere, sapere che la mia presenza nella sua vita non è servita a salvare la sua è una ferita ancora aperta e infetta che sanguina e brucia come se mi fosse stata inferta solo ieri. E in ogni caso anche se ci avesse amato, il modo in cui se n’è andato sarebbe solo la riprova che l’amore non può bastare, che è un sentimento effimero su cui nessuno dovrebbe fare affidamento e sempre di più mi convinco che è meglio non fidarsi di chi dice di amarti, perché se finisci col credergli dandogli fiducia gli consegni un’arma che potrebbe usare per ferirti in profondità senza nemmeno sfiorarti con un dito. 
Così come io ho fatto stupidamente con Russel. 
 
«Hai sentito tutto?» chiede Luca entrando in camera e io scivolando a terra annuisco. 
«Cosa pensi che farà adesso?» chiedo mentre si siede accanto a me. 
«Ora starà sicuramente andando a casa tua a cercarti, forse ti aspetterà un po’ lì e quando non ti vedrà tornare probabilmente verrà di nuovo qui a chiedermi se ti ho visto o sentito» 
«Lo penso anch’io, quindi vestiti e dammi il tuo telefono perché voglio uscire subito da casa tua» dico risoluta alzandomi in fretta. 
 
«Reb, lo sai vero che non potrai nasconderti per sempre, prima o poi dovrai affrontarlo. È sicuro che domani verrà a cercarti in ufficio» dice Luca spengendo il motore dall’auto.
«Infatti domani non verrò a lavoro e se sarà necessario me ne tornerò a casa» vedendo che mi osserva dubbioso capisco che non ha compreso cosa intendevo «In Italia, e se sarò sicura che non mi cercherà più forse tornerò a settembre quando se ne andrà a New York» aggiungo.
«Reb non puoi lasciarti condizionare la vita da lui così» 
«Beh è troppo tardi. Dovevo pensarci prima» 
Scendo dalla sua auto e prendo la borsa con dentro le maglie e le tute da ginnastica che mi ha dato. 
«Aspetta ti accompagno» dice scendendo.
«Non serve, va’ a casa. Ti chiamo più tardi» dico mentre lui mi viene di fronte.
«Lo sai vero che puoi contare su di me?» chiede appoggiandomi le mani sopra le spalle. Annuisco sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi «E sai anche che ti voglio bene?» mordendomi un labbro annuisco ancora «Bene. Ora vai» mi bacia la fronte e prima di scoppiare a piangere tra le sue braccia mi allontano in fretta.
Raggiungo il portone e suono il campanello, prima di sparire dentro al palazzo mi giro, non voglio che Luca si preoccupi per me, allora mento ancora, sorridendogli. 
«Matt, perdonami se ti ho chiamato, ma non sapevo dove andare» dico mentre lui tiene la porta aperta del suo appartamento.
«Non pensarci nemmeno. Ti ho già detto che puoi rimanere quanto vuoi. Vieni ti faccio vedere la camera degli ospiti» risponde sfilandomi dalle mani la borsa con dentro gli abiti di Luca.
Lo seguo attraverso il soggiorno fino a raggiungere la zona notte «Qui ci sono la mia camera e il bagno» dice indicandomi due porte a sinistra «E qui c’è la tua camera» dice proseguendo e svoltando a destra «Come vedi è piuttosto spoglia. È più di un anno che vivo in questa casa ma ancora non ho trovato il tempo per arredarla tutta» continua appoggiando la borsa sul letto matrimoniale.
«È perfetta» dico tenendo le mani nascoste dentro le tasche e guardandomi intorno timidamente «Matt ti devo delle spiegazioni per esserti piombata in casa all’improvviso» 
«Non devi sentirti obbligata. Se ti va di parlarne ti ascolto ma non farlo solo perché hai bisogno di stare qui da me»
«In effetti non mi va molto di parlarne ora. Ma devo farlo lo stesso perché…» mi siedo sul letto cercando di non pensare che solo ieri sera al club io e Russel abbiamo detto agli altri che ci stavamo frequentando e che tutti quanti, dopo lo stupore iniziale, almeno chi ancora non lo sapeva, hanno accolto la notizia tranquillamente senza farmi domande imbarazzanti riguardo a Dario come invece temevo, nemmeno le sorelle di George «Perché mi sto nascondendo da Russel e se lui dovesse chiamarti per chiederti se mi hai visto o sentito devi farmi il favore di mentire per me»
«Quando mi hai chiamato per chiedermi se potevi stare da me ho capito che lo stavi facendo perché era successo qualcosa fra te e Russel, ma non capisco perché ti vuoi nascondere. Non sarebbe più semplice affrontarlo e cercare di risolvere il problema con lui?»
«No, non c’è proprio niente da poter risolvere ormai e lo affronterò solo se sarà necessario, solo se lui non si rassegnerà che tra noi è finita, ma non ora, ora non ci riuscirei mai»
Si siede al mio fianco guardando di fronte a sé «Cioè mi stai dicendo che voi… che tu lo hai lasciato?»
«Sì» rispondo sospirando pesantemente. 
«Non capisco. Solo ieri voi due avete detto…»
«Lo so» dico interrompendolo «Ma solo qualche ora fa ho scoperto che ha fatto una cosa che non posso assolutamente perdonargli»
Mi guarda con il volto teso, so che vorrebbe chiedermi cos’è che ho scoperto ma so anche che non lo farà per non mettermi nell’imbarazzante situazione di rispondergli che non posso dirglielo o che non mi va di parlarne.    
Dopo un lungo minuto di silenzio chiedo «Tu cosa hai fatto quando hai scoperto Katherine?» non voglio riaprire una vecchia ferita ma la terribile esperienza che ha vissuto potrebbe aiutami a fare un po’ di chiarezza su cosa fare per superare la mia.
Sgrana gli occhi e una sua mano si posa sopra le mie che tengo abbandonate sulle gambe «È questo che hai scoperto? Che ha un’altra?»
«No, mi ha tradito ma non con una donna» il suo sguardo è ancora più incredulo «E nemmeno con un uomo» aggiungo capendo che ha frainteso le mie parole «Però ha fatto una cosa che non potrò mai perdonargli» 
Si rilassa e risponde alla mia domanda «Ho fatto come stai facendo tu. Mi sono allontanato da lei senza darle la possibilità di spiegarsi in alcun modo. Non ho più risposto alle sue chiamate che con il passare dei giorni sono diventate sempre meno frequenti fino a che non ho smesso di riceverne»
Quindi ho qualche possibilità anche io di uscirne? Peccato che Russel non sia Katherine, lui non si arrenderà tanto facilmente, non finché non potrà parlarmi per giustificare il proprio comportamento.
«Matt scusa ma io ora vorrei stendermi e riposarmi un po’» dico sentendo che sono a un soffio dallo scoppiare a piangere e sforzandomi al massimo per non farlo davanti a lui.
«Hai già pranzato?» chiede alzandosi e io nego muovendo appena il capo «Vuoi che ti preparo qualcosa?» 
«No, ora non mi va proprio di mangiare» 
«Okay. Se ti serve qualcosa sono in soggiorno» 
«Grazie» dico osservandolo mentre esce chiudendo poi la porta.
Sposto in fretta lo sguardo intorno alla stanza, sto scappando, ancora, solo che questa volta la distanza dall’uomo da cui fuggo è troppo poca e soprattutto lui a differenza di Dario sa che mi sto nascondendo per non affrontarlo. Ma ancora non posso, avendolo di fronte non sarei in grado di ragionare lucidamente, rischierei di cedere perdonandolo anche solo per un suo abbraccio. 
Gli starò lontana finché non sarò certa di essermi totalmente disintossicata di lui, finché ogni mia singola cellula non smetterà di chiamare il suo nome e il mio non finirà ad allungare la lunga lista delle persone che si disinnamorano dopo aver scoperto che le speranze e la fiducia riposte non erano nient’altro se non una bolla di sapone.
Prendo il mio telefono e sedendomi sul letto faccio partire la chiamata, senza nemmeno aspettare di sentir dire pronto inizio a parlare «Ti prego scusami io… io non so nemmeno che ore siano lì da te»
«Reb? Ma hai cambiato numero?» 
«No, cioè… sì. Ti sto chiamando con una scheda che mi ha dato Luca»
«Ma che succede? Perché stai piangendo?»
«Oh Alice ho fatto uno sbaglio, un enorme sbaglio, io avevo davvero ricominciato a sperare, mi fidavo di lui e credevo davvero che fosse quello giusto e invece no… nemmeno lui è riuscito ad amarmi senza tradirmi»
«Russel? Reb stai parlando di Russel o di…»
«Sì sto parlando di… lui» confermo senza tuttavia riuscire a dire il suo nome mentre mi stendo sul letto lasciandomi sopraffare dal pianto «Alice, vorrei tanto tornarmene subito a casa dalla mia famiglia» 
 
Nel dormiveglia sento il materasso che si abbassa e spalanco gli occhi «Meg! Che ci fai qui?»
«Me l’ha detto Luca che eri qui da Matthew»
«Certo che Luca quando deve tenere un segreto è davvero affidabile» dico sollevandomi e appoggiando le spalle alla testiera del letto.
«Oh avresti confessato anche tu sentendo la quantità e soprattutto la qualità delle minacce che ho usato per convincerlo» 
«Ma tu come facevi a sapere che io…» risponde prima che riesca a finire la frase. 
«Russel, ha chiamato prima me poi Brian, credo che stia assillando di domande tutti quelli che ti conoscono per sapere dove ti sei cacciata. Quando sono arrivata Matt ha detto che ha chiamato anche lui» 
Certo, l’avevo previsto. 
«Luca…» sospiro sentendomi terribilmente stanca «Luca ti ha anche detto perché me ne sono andata senza dirgli niente?»
«Mi ha solo detto che l’hai lasciato e che se ti andava di dirmi il motivo l’avresti fatto tu» 
Si toglie le scarpe e incrociando le gambe sul letto mi prende una mano, sollevo gli occhi dal lenzuolo e li fermo nei suoi.
«Che dici? Ti va di raccontarmi cos’è successo?»
Mordendomi l’interno di una guancia e lasciando che le lacrime ricomincino a scorrere muovo il capo annuendo. 
 
**
 
*******************************
 
Sono sadica, lo so, il titolo forse vi ha ingannati, almeno quelli che non si sono soffermati a leggere anche il testo della bellissima e malinconica canzone di Daniele. 
Però vi avevo avvertiti che qualche capitolo sarebbe stato cosi.
Russel ha confessato, quindi mi dispiace deludere chi lo difendeva ma è stato davvero lui. Lo so che pensate che in fondo l’ha fatto perché la ama, ma pensate che sia giustificabile un simile comportamento? Soprattutto, provate a chiedervelo mettendovi nei panni di Reb. 
 
Voglio ringraziare chi legge questa storia, in qualsiasi modo lo stia facendo, ma oggi mi sento di ringraziare in particolar modo chi lo fa dall’inizio o quasi, perché credo di avervi un po’ ingannato con i primi capitoli, anche se vi giuro che l’ho fatto involontariamente, era la trama che mi imponeva di “raggirarvi”, perché la storia sembrava molto più leggera, certo, che Reb avesse dei problemi si capiva fin dal primo capitolo, ma all’inizio tutto sembrava molto più leggero e divertente, almeno questa è la mia impressione, se mi sbaglio ovviamente potete dissentire, quindi voglio ringraziare i fedelissimi che sono andati avanti malgrado che la storia si sia appesantita nei contenuti. 
Ovviamente, ringrazio anche i nuovi arrivati, e perché no, anche chi se n’è andato, non si sa mai, potrebbe inaspettatamente affacciarsi per dare un’occhiatina, quindi grazie anche a te.
 
Vi chiedo tanta pazienza per il prossimo capitolo perché il lavoro mi chiama di nuovo, ahimè, gennaio è sempre un mese pesantissimo quindi non ho la più pallida idea di quando potrò rimettermi a scrivere tranquillamente.
 
A presto,
V.17
 
 
 

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Capitolo 34
*** Cap. 34 - Unò-dué ***


Forse in questo capitolo ho corso un po’ troppo, boh, poi mi direte.
A dopo e buona lettura.
V.17
 
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CAP. 34 - UNÒ-DUÉ
 
Unò-dué unò-dué unò-dué unò-dué
unò-dué unò-dué unò...
lo sguardo fisso fronte a te,
attento che l’incedere
sia stabile, stabile.
Unò-dué unò-dué
ti manca sempre un poco il tre,
inutile riflettere,
unò-dué unò-dué.
 
E quando arriveremo in fondo
presenteremo il conto,
ma intanto,
intanto siamo qua
e avremo pane
per non morire
e rabbia
per proseguire
e vino, e vino
per chi ci seguirà.
 
Unò-dué unò-dué
lo sguardo lì davanti a te,
attento che l’incedere
sia stabile, stabile.
Unò-dué unò-dué
ti manca sempre un poco il tre,
inutile riflettere,
unò-dué unò-dué...
 
Daniele Silvestri

**
 
Lunedì 6 Agosto 2012
 
Il terreno sotto i miei piedi cede, si sgretola in fretta, perde consistenza. Intorno a me il vuoto assoluto, niente e nessuno a cui possa aggrapparmi. 
Precipito. Grido e precipito. Piango e precipito.
 
Sussulto e m’irrigidisco arrestando il respiro, il cuscino fradicio mi fa piegare le labbra in una smorfia di fastidio e spostare un po’ indietro il viso per allontanarlo dalla chiazza umida, calda e appiccicosa.
Odio il risveglio improvviso dopo uno dei miei incubi, ma ancora di più odio svegliarmi con la convinzione che il letto si sia mosso all’improvviso come se volesse destarmi, ogni volta mi rimane addosso per diversi minuti la sensazione di essere riemersa all’improvviso dall’acqua dopo aver trattenuto per troppo tempo il respiro, e di solito mi ci vuole un bel po’ di tempo prima di riuscire a riaddormentarmi.
Mi raggomitolo su me stessa con le membra ancora rigide per lo scossone concentrandomi sul respiro calmo e rassicurante di Russel alle mie spalle. Dio che incubo assurdo. Peggio di quando ho sognato di rimanere ferma in mezzo alla strada ad aspettare che il furgone mi travolgesse.
Sorrido asciugandomi gli occhi. Che sciocca che sono, devo avere davvero la mente bacata per fare certi sogni. Russel che paga un fotografo per farci scattare delle foto in atteggiamenti intimi per poi mandarle a Dario. Sono proprio senza speranza.
Unisco le mani e le infilo tra le gambe, il tessuto ruvido dei jeans mi fa spalancare gli occhi. Sono andata a letto vestita? E perché sono distesa dall’altro lato? Io preferisco sempre dormire dal lato destro. Abituandomi lentamente all’oscurità comincio a distinguere le sagome del mobilio nella stanza e dopo un attimo di smarrimento realizzo che questa non è la mia camera. Ma perché mi sembra già di conoscerla? Questa sembra la stanza degli ospiti della casa di Matt, è esattamente come nel mio sogno. Ma non può esserlo davvero perché io a casa di Matt non ci sono mai stata. Allora perché so perfettamente che dietro a quella tenda bianca c’è la portafinestra del terrazzino? E perché so anche che a un metro e mezzo da me c’è un armadio?
Sollevo il busto e volto il capo guardando alle mie spalle.
Meg? Che ci faccio dentro un letto con lei? E perché tutto sembra identico al mio incubo?
Il respiro e il cuore accelerano e la vista mi si annebbia mentre sbatto gli occhi guardandomi intorno. Vedo la borsa di Luca appoggiata sopra una poltrona, non serve che ci rovisto dentro, so già che là dentro ci sono gli abiti che mi ha dato prima di accompagnarmi qui.
Scatto in piedi e incrociando le mani davanti alla bocca indietreggio fino a sbattere la schiena contro l’armadio. Sto ancora sognando, non c’è altra spiegazione, e questo è solo uno dei miei sogni che sembra non avere mai fine, quei sogni dove mi desto più e più volte finché il suono della sveglia non interrompe la matrioska dei miei incubi.
 
Smettila! Smettila di raccontarti stronzate, è tutto vero e lo sai, è tutto vero è devi accettarlo, devi accettarlo, affrontarlo e infine sconfiggerlo.
 
Mi sposto in fretta e senza preoccuparmi di far piano per non svegliare Meg afferro la maniglia della portafinestra, ho bisogno di aria, mi sento soffocare e la nausea ha già raggiunto la bocca del mio stomaco. Balzo fuori in terrazza e appoggiandomi alla ringhiera respiro affannata, poi cado a terra sopraffatta dal peso della realtà che mi è rovinato addosso.
 
Tu sai come affrontare il dolore, l’hai già fatto, è difficile, ma non impossibile. Basta imparare a fingere che chi ci ha fatto del male non sia mai esistito, basta trasformare l’amore in odio, e tu eccelli in questo. Ma questa volta dovrai affrontare un uomo in carne e ossa, dovrai affrontarlo, gridargli in faccia, questa volta hai la possibilità di farlo, non lasciarti scappare questa opportunità, sei legittimata, hai tutti i diritti di questo mondo per farlo, e dopo ti sentirai meglio, solo dopo averlo fatto potrai andare avanti, poi l’odio farà tutto il resto, vedrai, ti aiuterà  a cancellarlo per sempre dalla tua vita.
Ma fallo subito, fallo adesso, non aspettare che la rabbia si trasformi in nostalgia. Non aspettare che il timore della sua assenza muti parole di odio in parole di perdono. Pensa a Dario, pensa a quello che sta provando, pensa che sta soffrendo almeno quanto te, pensa a Dario e vendicalo, vendicalo perché se sarai capace di scaricare la colpa su qualcun altro a te ne rimarrà un po’ meno con cui fare i conti, potrai sentirti meno responsabile per ciò che hai fatto, potrai illuderti che volevi risparmiargli almeno il colpo di grazia, perché non sei stata tu a infiggerglielo, tu volevi liberarlo, tu volevi solo dargli la possibilità di essere felice con qualcun’altra, e nessuno, ripeto, nessuno, aveva il diritto di farlo soffrire più del necessario. 
In fondo non è colpa tua, la tua colpa è solo quella di esserti innamorata, non l’avevi di certo previsto, se fosse dipeso da te non sarebbe mai successo, ma questa volta hai fallito, non sei riuscita a impedirlo, ma ora devi fare un passo indietro, voltarti e ricominciare a correre, perché ti sei innamorata della persona sbagliata. 
Però, malgrado il dolore, malgrado le lacrime, la rabbia, l’odio, l’errore, l’orrore, hai scoperto qualcosa che un giorno riuscirà a farti guardare a questi mesi pensando che non sono stati una totale sconfitta, perché finalmente sai che anche tu sei capace di amare un uomo. E anche se non succederà mai più, ti consolerai pensando che tuo padre ha perso, che tu sei riuscita a sconfiggerlo, che tu, da oggi, ti senti molto più forte, molto più di lui, da oggi sai che il tuo cuore può battere ancora, tutto, ogni sua fibra è capace di riprendere vita, e un giorno tu sorriderai, sorriderai di questo.
Un giorno, tu, sorriderai ripensando a tutto questo. Credimi, tu sorriderai. Te lo prometto. 
Ma di più non posso fare. Il resto tocca a te.
Tu lo sai già, sai che puoi farcela, che ce la farai, lo sai che il dolore fa male, ma sai anche che il dolore non uccide, lascia solo cicatrici che ogni tanto ricominciano a pulsare, a prudere, a bruciare, forse anche a sanguinare, ma non uccide. Tu sai che chi ha sofferto ha una marcia in più, perché chi ha sofferto sa che si sopravvive, si sopravvive sempre, a ogni dolore, a ogni tradimento. Tu non sei come tuo padre, tu non ti lasci sopraffare, tu non ti arrendi, hai deciso molti anni fa che non saresti mai stata come lui, tu non vuoi essere come lui.
Tu non puoi concederti il lusso di essere come lui…
 
È tutto vero. Fottutamente vero. Sono scappata per non affrontare Russel. Perché niente di quello che potrebbe dirmi sarebbe in grado di cancellare quello che ha fatto. Perché sono la solita codarda che invece di affrontare le situazioni complicate si chiude a riccio lasciando fuori tutto quello che la fa star male, affilando gli aculei e puntandoli in ogni direzione per spaventare e tener lontano il nemico. Un nemico di cui però questa volta mi sono innamorata. Un nemico di cui ricordo ogni singola parola, ogni abraccio, ogni carezza, ogni bacio. Un nemico che se in questo momento fosse di fronte a me forse vedrebbe la mia resa incondizionata. Ma non sarà così.
Sollevo gli occhi da terra e, guardando l’alba che si affaccia timida all’orizzonte, capisco cosa devo fare. Un passo alla volta, un passo alla volta e ne uscirò. Come sempre. Quando Meg si sveglierà farò il primo.
 
«Ehi, che fai lì a terra?»
«Stavo pensando. E aspettavo che ti svegliassi» rispondo spostando lo sguardo su Meg «Tu riusciresti a perdonarlo?»
Sospirando si siede accanto a me e appoggia la schiena alla ringhiera «Se fossi innamorata sì. Ci sono donne che per amore perdonano cose ben peggiori al loro uomo. Quindi ti rispondo che sì, se fossi innamorata credo proprio che lo perdonerei»
«Ma le donne che perdonano, non pensi che lo facciano solo per timore di rimanere sole? Come si può continuare ad amare un uomo che ti ha delusa?»
«Non lo so. Forse, come dici tu, non sempre lo fanno per amore, forse semplicemente si chiedono come sarebbe la loro vita senza quell’uomo e arrivano alla conclusione che sia meglio perdonarlo che vivere senza di lui anche se quello che ha fatto le ha fatte disinnamorare»
Io posso vivere senza Russel? Perché no? In fondo fino a pochi mesi fa non sapevo nemmeno chi fosse. Devo resettare la memoria e andare avanti come se non avessi mai incrociato il suo cammino. Devo solo riempire il vuoto che sento con altro: la famiglia, gli amici, il lavoro, un uomo, prima o poi ne arriverà un altro che per un po’ mi farà star bene.
Ma per avere una minima possibilità di riuscire a farlo e andare avanti devo prima zittire l’eco del suo nome che rimbomba nella mia testa e nel mio petto.
«Meg, devo parlagli. Portami subito da lui per favore»
Scatta in piedi porgendomi una mano, la afferro con decisione ma appena le sono di fronte sentendo il coraggio venirmi meno inizio a piangere.
 
«Avevi ragione, ti sta davvero aspettando in casa»
«Già» rispondo a Meg sospirando mentre entrambe guardiamo la macchina di Russel poco distante da noi nel parcheggio del residence.
«Che… che devo fare? Vuoi che ti accompagno? Che vado a casa e aspetto che mi chiami?»
«Non preoccuparti per me. Vai a casa e se ne hai voglia vai pure in ufficio. Quello che devo fare, devo farlo da sola e subito» annuisce mentre apro lo sportello. Le sorrido e sentendo i piedi pesanti come macigni li metto uno davanti all’altro avvicinandomi al mio appartamento con le chiavi già strette in una mano.
Davanti alla porta esito, stringo il mazzo di chiavi perché non tentenni facendo rumore e fisso il legno scandagliando le venature. Ignorando l’istinto che mi sta ripetendo di voltarmi in fretta e andarmene via immediatamente, trattengo tra due dita la chiave di casa e lascio scivolare fuori dalla mano il resto del mazzo e, invece di scappare, la infilo nella toppa e spalanco la porta.
Russel mi guarda, seduto sul divano, con i pantaloncini e la maglia senza maniche che probabilmente aveva indossato ieri mattina prima di uscire per andare a correre, volta la testa appoggiata allo schienale e mi guarda, con espressione stanca, sconfitta, arresa, non fa nient’altro, mi guarda, con il telefono dentro la mano abbandonata di fianco e l’altra in grembo che stringe la statuetta della Sirenetta, mi guarda, con la mascella contratta e ogni muscolo in tensione, mi guarda. Mi chiedo cosa stia vedendo, se malgrado i sei, forse sette, metri che ci separano, riesca a sentire il baccano che sta facendo il mio cuore, se i suoi occhi, che non accennano né a sbattere le palpebre né ad abbassarsi, abbiano compreso perché sono qui, se quello che hanno davanti sia per loro già un’anticipazione di quello che gli dirò quando sarò di nuovo in grado di parlare.
Alla fine sono io che abbasso lo sguardo, che lo lascio scivolare sul pavimento spingendo fuori una lacrima che si era formata senza che nemmeno me ne accorgessi, tradendo così la mia insicurezza, mostrandomi vulnerabile. E ora so per certo cosa sta vedendo, perché davanti a lui c’è una donna stanca, provata, una donna che non ha più voglia di combattere, che sta per arrendersi, che con lui aveva quasi smesso di aver paura, che aveva ricominciato a sperare, e che per questo vorrebbe solo gettare la spugna, arrendersi ora per darsi la possibilità di vincere in futuro.
Ma la mia guerra l’ho già vinta, ho finalmente sconfitto mio padre, oggi posso anche permettermi di perdere una battaglia, per vincere ci sarà sempre tempo. Mi asciugo in fretta la guancia e sollevo gli occhi, lui ora è in piedi, la statuetta abbandonata sopra al tavolino.
Carico l’arma che impugno di tutta la mia rabbia e mi preparo a sparare fuori una scarica di menzogne.
«Non sono venuta per parlare con te. Non mi interessano né le tue motivazioni né le tue giustificazioni. Le conosco già e non mi va di perdere tempo ad ascoltarle. Sapevo fin dal principio che non sarebbe durata a lungo, che noi due non siamo fatti per stare insieme. Sono qui solo per dirti di andartene e di sparire dalla mia vita» dico «Ora scusa, ma vorrei farmi una doccia, indossare degli abiti puliti e andare in ufficio»
«Quindi è così che fai di solito? Sono quasi tentato di chiederti lezioni su come voltare pagina e far finta che una persona non sia mai esistita»
«Non è così difficile. Non quando hai la certezza che quella persona non è quella giusta. Non quando non la ami e soprattutto quando sai già che non ti innamorerai mai di lei. Anche se forse quella stessa persona pensa il contrario»
«Non cambierai mai, rimarrai sempre la solita bugiarda»
«Già, finalmente l’hai capito. Ma per una volta ti dirò la verità. Ti ho detto un sacco di balle, fin dall’inizio, volevo solo togliermi lo sfizio di spassarmela un po’ con te. E ammetto che è stato bello finché è durato. Ma ora ho deciso di passare oltre. Mi dispiace, ma il tuo tempo è scaduto. E ci tengo anche che tu sappia che io non avevo nessuna intenzione di lasciare Dario, è per questo che non ti volevo tra i piedi quando sarebbe venuto qui e puoi anche non credermi, ma lui mi ha perdonata, ha perdonato tutto quanto, anche la mia scappatella con te. Ha comprato una bella casetta in campagna per noi due e quando tornerò in Italia andrò a vivere con lui, forse gli darò anche quel figlio che tanto desidera» la sua mascella contratta e i pugni stretti mi fanno capire che l’ho colpito e affondato, esattamente quello che volevo.
Cammina verso di me, in silenzio, sempre più scuro in volto, mi scanso da davanti la porta, voglio solo che se ne vada in fretta. Quando afferra la maniglia con energia aggiungo solo un’ultima cosa «E non andare come sempre a chiedere spiegazioni a Luca, tanto questa cosa non la sa nemmeno lui, perché quello che faccio nella mia vita sono solo affari miei e di nessun altro»
«Hai finito?» chiede retorico e prosegue senza darmi il tempo di rispondere «Perché se hai finito di dire stronzate vorrei che mi ascoltassi. Tranquilla, sola una cosa poi me ne vado» con una mano sopra la maniglia volta il capo piantando gli occhi nei miei «Ti credi davvero tanto brava a raccontare balle? Beh, mi spiace per te ma non lo sei affatto, non con me. Non credo a una sola delle cazzate che hai detto. Ma preferisco fingere di credere a tutto quanto piuttosto che rovinarmi l’esistenza chiedendomi perché le hai dette. Ho sbagliato, è vero, ma rifarei tutto un’altra volta perché se l’ho fatto è solo colpa tua, perché anche se sono assolutamente certo dei tuoi sentimenti nei miei confronti, non lo sono altrettanto delle tue vere intenzioni con me. Non mi vuoi più nella tua vita? Bene, ti accontenterò. Ma ricordati che questa volta non tornerò a cercarti, se un giorno cambierai idea e mi vorrai di nuovo dovrai dimostrarmelo. Dove o come trovarmi lo sai» lancia le chiavi di casa mia sopra al mobile dell’ingresso e sbattendosi la porta dietro le spalle esce, da qui, e dalla mia vita.
Resisto alla tentazione di corrergli dietro, a quella che mi assale un secondo dopo che grida di chiamarlo dalla terrazza, rimango ferma, immobile sulle mie posizioni, ripetendomi che questa era l’unica soluzione possibile, l’unica via da percorrere.
E adesso… adesso posso lasciarmi andare e crollare… finalmente…
 
Sto fissando il divano del mio ufficio da quando sono entrata qua dentro. Lo stavo fissando anche quando Luca è entrato per sapere come stavo. Ho continuato a fissarlo mentre gli dicevo che avevo parlato con Russel e che tra noi era finita definitivamente, e non ho smesso nemmeno mentre parlavo al telefono con Matt che mi ha chiamata perché quando è rientrato dopo il turno in ospedale non mi ha trovata in casa. Lo fissavo fingendo di ascoltare Meg mentre cercava di distrarmi parlando di lavoro. Ho continuato a fissarlo per ore, vedendoci un uomo e una donna che lì sopra, tra sospiri, gemiti, parole sussurrate, avevano deciso di darsi una possibilità.
Annuisco distrattamente a Meg quando mi chiede se sono pronta per tornare a casa ed esco dall’ufficio continuando a fissare il divano, sapendo che appena varcherò la soglia di casa sarà ancora peggio, perché non c’è un solo angolo del mio appartamento che non mi faccia pensare a lui, noi.
 
«Cazzo che palle! La volete smettere di chiamarmi per chiedermi come sto!» sbotto agitandomi nel letto e ignorando l’iphone che suona facendo vibrare il comodino. Appena smette di suonare tiro un sospiro di sollievo e mi raggomitolo ancora di più sotto la coperta asciugandomi gli occhi e richiudendoli. E pensare che il numero della nuova scheda non ce l’ha quasi nessuno, tranne Meg, Luca, Matt, Alice e la mia famiglia. Scatto a sedere, forse era mia madre, o mia sorella, o la zia.
Guardo il display e richiamo subito mia sorella.
«Milla!»
«Becca, ciao. Ti ho disturbato per caso?»
«No, che dici. Tu non disturbi mai»
«Bene… perché… ho bisogno del tuo aiuto»
«Che succede?»
«Non è che potresti avviare la telecamera?»
«Certo, lo faccio subito ma perché hai questa voce preoccupata?»
«Tra poco lo capirai»
Accendo la telecamera e vedo il viso serio di mia sorella, alle sue spalle riconosco le piastrelle lillà del suo bagno.
«Allora, vuoi dirmi che succede?»
«Devo fare una cosa e volevo farla con te»
«Cosa?»
«Questo» dice sventolandomi davanti qualcosa che riconosco solo quando finalmente lo ferma.
«Oddio Milla! Sei incinta?»
«Ancora non lo so, è per questo che devo fare il test»
«Oh merda! Allora che aspetti? Dai muoviti che voglio sapere subito se diventerò zia per la seconda volta»
«Okay, tu però non muoverti da lì, torno subito»
«Sì sì» rispondo mentre lei sparisce dallo schermo.
«Mi tremano le mani» la sua voce arriva un po’ da lontano.
«Fermale o rischi di sbagliare mira»
«Scema, non farmi ridere o sbaglierò davvero. Questi cosi costano un sacco di soldi non voglio sprecarlo»
«Okay, me ne sto zitta, ma tu sbrigati!»
Passo almeno un interno minuto a fissare le piastrelle nello schermo, finché la sento esclamare «Fatto! Ora dobbiamo solo aspettare»
«Quanto?» le chiedo in ansia.
«Tre minuti. Ho letto così tante volte le istruzioni che potrei recitartele a memoria»
«Fallo, magari ti distrai, e soprattutto forse riuscirai a distrarre me. Oddio, sono così emozionata!»
«A chi lo dici»
«Ma Andrea lo sa che hai un ritardo?»
«No. In questo momento è in cucina a fare colazione con Susy, pensa che sto facendo la doccia»
«Se sarà positivo dovrà farsene una lui, e bella gelata per riprendersi dallo shock»
«Sempre se non stramazzerà al suolo privo di sensi»
«In quel caso gettagliela in faccia un po’ d’acqua» mi contorco le mani sempre più agitata «Quanto tempo è passato?»
«Un minuto e mezzo, e la clessidra qui continua a lampeggiare. Ora metto il telefono lì sopra. Me lo dici tu il risultato?»
«Io? Ma io non le ho lette le istruzioni» dico mentre la sua immagine viene sostituita dal piano in marmo su cui è appoggiato quella specie di termometro digitale «Che dovrebbe apparire scusa? Delle lineette, un pallino, una stella? Come faccio a capire se sei incinta?» chiedo a raffica.
«Se sono incinta apparirà la scritta incinta»
«Ah, okay, allora posso farcela. Però sta’ ferma con quella mano o non vedo niente»
«Sì scusa. La vedi la clessidra?»
«Sì sì ma stai zitta che sono concentrata»
«Oh merda! C’è una scritta!»
«E quindi?»
«Un attimo» sbatto gli occhi piegandomi sullo schermo «C’è scritto incinta! Cazzo sei incinta per davvero!»
Non vedo più niente, lo schermo è tutto nero «Milla, dove sei finita?»
«Scusa… oddio, sono incinta…»
«Sì!» esclamo mentre vedo delle immagini velocissime del suo bagno e poco dopo il suo viso sorridente «Devi andare a dirlo subito a Andrea»
«Ancora no. Prima voglio sapere anche di quanto sono»
«Ma per quello ci vorrà un ginecologo, non puoi aspettare devi dirglielo subito»
«No no, ora questi test ti dicono anche da quante settimane. Aspetta un po’ e te lo dico»
«Sì ma poi glielo vai a dire subito, e lo farai con il telefono in mano perché voglio vedere la sua faccia. E poi lo devi dire anche alla mamma, alla zia… ma ci pensi come saranno felici… e Susy? Come la prenderà? Secondo me all’inizio bene, ma quando sarà nato…» mi interrompe con voce eccitata come la mia mentre mi asciugo le lacrime di felicità.
«Allora, qui dice… 2-3 settimane»
 
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Giovedì 9 Agosto 2012
 
Quattro giorni passati a piangere, dallo sconforto pensando a Russel, ma anche dalla felicità pensando a mia sorella. Il mio viso è gonfio come quello di un’attrice schiava del chirurgo plastico e del botulino. Sempre più spesso mi ritrovo, come in questo momento, a girarmi tra le dita la scheda del telefono che ho tolto quando ho scoperto quella delle foto nel portafoglio di Russel, e ogni volta sono sempre più tentata di inserirla nel mio iphone per vedere se ci sono messaggi o chiamate di lui, ma poi mi dico che non cambierebbe niente, che in fondo non m’importa sapere veramente se mi ha cercata dopo che l’ho visto l’ultima volta, che ho fatto la cosa giusta e che devo smettere di pensare a lui. Non ho chiesto niente nemmeno a Luca, e lui non ha detto niente a me, esiste una specie di tacito accordo tra noi che non ci permette di nominarlo.
Lascio scivolare la scheda sopra la scrivania e rispondo al telefono dell’ufficio prima che il suo incessante squillare mi perfori i timpani.
«Che cazzo avete combinato tu e quell’idiota di mio fratello?» Connie? Rimango zitta sospirando. Non mi va di parlare con lei «Mi vuoi rispondere?»
«Connie sono a lavoro, non ho proprio tempo per stare al tel…»
«Non me ne frega un cazzo dove sei o cosa stai facendo. Voglio sapere perché mia madre mi ha appena detto che Russel l’ha chiamata per dirle che quando avrà sbrigato una cosa urgente poi verrà da noi anticipando il suo arrivo. Che c’è i due piccioncini hanno litigato di nuovo?»
«Perché non lo chiedi a lui? Sempre se avrà il coraggio di dirti la verità»
«Che vuoi dire? Che ha fatto?»
«Chiedilo a lui»
«Lo farei molto volentieri, peccato che tanto so che non me lo direbbe»
«Avrà i suo buoni motivi, probabilmente sa che non sono affari tuoi e forse anche perché teme una tua reazione, che so, violenta»
«Quindi è più grave di quello che pensavo. Rebecca, che ha fatto mio fratello?» insiste.
«Ti ho già detto che da me non saprai niente. Sappi solo che non stiamo più insieme e che questa volta è una decisione definitiva»
«Ti prego, ho bisogno di sapere che è successo perché quando arriverà almeno saprò se dovrò consolarlo o riempirlo di botte»
«Non ti dirò cos’è successo, ma cercherò di aiutarti lo stesso a sciogliere il tuo dilemma: gonfialo di botte e stai sicura che non sbaglierai. Ora perdonami ma devo davvero riattaccare» taglio corto.
«Rebecca aspetta…»
«Non posso, è appena arrivato un cliente. Stammi bene Connie» riattacco senza darle il tempo di rispondermi.
Dovevo aspettarmelo che mi avrebbe chiamata, spero solo che non verrà a trovare Karen a breve perché in quel caso me la troverò dietro la porta di casa che tenta di buttarla giù a spallate prima che riesca anche solo ad aprirla.
Quindi Russel andrà a casa prima di cominciare a girare il film. Meglio per lui, là avrà modo di pensare ad altro, stare con la sua famiglia e… e anche con Amy e Liam. Chissà lei come reagirà sapendo che non stiamo più insieme. Cercherà semplicemente di consolarlo, o approfitterà della situazione per provare a cambiare il suo perenne status di amica fedele in qualcosa di più?
Probabilmente farà prima una poi l’altra cosa. Il mio stomaco per un attimo si contrae, ma per fortuna dura solo un attimo.
 
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Domenica 12 Agosto 2012
 
E siamo sempre qui, io, il divano, una coperta, e la scheda del telefono tra le dita, un oggetto così minuscolo ma al contempo potentissimo, così potente da riempirmi la testa di domande.
Mi avrà cercata? Avrà lasciato un messaggio in segreteria? Mi avrà scritto qualcosa? Forse mi sta chiamando proprio in questo momento, dopo ore che penso a lui non cedendo tuttavia al bisogno di sapere. Non sono in grado di capire da cosa nasca l’esigenza di scoprire se ancora mi cerca oppure no. Soprattutto non so ancora quale delle due ipotesi vorrei che fosse vera. Mi dico fino alla sfinimento che non deve importarmi, che devo andare avanti, che è nato tutto per errore e che solo come un errore poteva finire. In questo fine settimana che ho trascorso rigorosamente da sola, ho preso una decisione, allontanarmi per un po’ credo che mi farà bene. Ho già prenotato il volo, giovedì torno in Italia e ci starò una decina di giorni, trascorrerò qualche giorno con la mia famiglia e i restanti al mare con Alice, è stata lei a propormelo e io ho accettato subito. Stare un po’ con lei mi aiuterà sicuramente, c’è solo un problema: non so se dopo avrò ancora voglia di tornare qui.
 
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Martedì 14 Agosto 2012
 
«Meg, ti prego. Lo sai, non mi va di uscire. E poi devo ancora finire di fare le valige»
«Chissà perché la tua mi sembra solo una scusa come sempre»
«Ma non lo è, davvero. Dopodomani parto e ancora sono in alto mare, inoltre devo fare anche due lavatrici» ribatto un attimo prima di scendere dalla sua auto.
«Allora sali subito in casa e vai a caricarne una, poi ti fai una doccia, ti vesti, ti fai bella, e aspetti che arriviamo io e Karen»
«Ma è possibile che non accetti mai un no come risposta?»
«Cominciavo a chiedermi quando l’avresti finalmente capito» risponde affiancandomi e spingendomi dentro il residence «Ora sbrigati che tra un’ora al massimo siamo da te»
Sbuffando cammino con passo fiacco stringendo la borsa al petto.
«Ti ho detto di sbrigarti!» mi grida dall’altro lato della piscina mentre si avvia in fretta al suo appartamento.
 
«Cavolo! Non trovo il telefono» dico rovistando dentro la borsetta.
«L’avrai lasciato a casa» sollevo gli occhi e pensierosa guardo Karen seduta dall’altro lato del tavolo.
«No, sono sicura che quando sono uscita di casa ce l’avevo. Ho controllato perché avevo detto a mia madre che l’avrei chiamata per dirle di preciso a che ora atterrerà il mio volo» mi alzo mettendomi la borsa sopra una spalla «Meg, dammi le chiavi della tua auto, forse mi è scivolato nel sedile quando hai inchiodato al semaforo»
«Tieni» dice porgendomele «Noi intanto ordiniamo il dolce. Tu che vuoi?»
«Mah, non so» rispondo mettendomi dietro di lei per consultare il menù che tiene in mano «Prendimi una fetta di cheesecake con i frutti di bosco»
Esco dal ristorante camminando in fretta e poi mi dirigo verso l’auto di Meg parcheggiata lungo il marciapiede a una cinquantina di metri dal locale. Già dal finestrino vedo il mio iphone abbandonato nel sedile di dietro, lo recupero, richiudo l’auto e mentre torno verso il ristorante controllo se ci sono messaggi o chiamate perse.
Poi, succede tutto in un attimo. Qualcuno mi afferra per un braccio e mi trascina dentro un vicolo, il mio telefono cade a terra e mentre una mano mi preme la bocca sento una voce alle mie spalle che speravo di non dover risentire mai più «Signorina Leoni, ma che piacere rivederla…»
 
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Meditate gente, meditate…
 
Ho corso troppo? Forse sì, ma effettivamente, a parte lei che piange e che si chiede se Russel l’abbia cercata oppure no, in questa settimana non era previsto che succedesse altro e non amo molto allungare il brodo.
La scena di lei al telefono con la sorella è da tanto che me la immaginavo e non vedevo l’ora di scriverla. Come non vedo l’ora di scrivere il prossimo capitolo che è mesi che mi tormenta e spero che riuscirò a farvelo leggere in tempi un po’ più brevi di questo.
 
***
 
PICCOLO… SPAZIO… PUBBLICITÀ… bevi la coca cola che ti fa… scusate, mi sono sbagliata.
Per chi ancora non lo sa, ho iniziato  a scrivere una nuova storia, il titolo è Disneyland After Dark e per ora ho pubblicato il primo capitolo, questa settimana dovrei riuscire a terminare anche il secondo, mi farebbe piacere se gli deste un’occhiata.
 
***
 
A presto,
V.17

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 35
*** Cap. 35 - Il topo mangia il gatto ***


Eccomi! Ce l’ho fatta a pubblicare!
Il capitolo è cortino, ma qualcosa mi dice che vi piacerà lo stesso…
Buona lettura.
V.17
 
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CAP. 35 - IL TOPO MANGIA IL GATTO
 
Perché ci sono volte che
tutto non è poi come sembra.
 
Tu credi già di avere dato scacco matto,
è lì che il topo mangia il gatto…
 
ahia ahia…
 
Francesco Baccini
 
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Esco dal ristorante camminando in fretta e poi mi dirigo verso l’auto di Meg parcheggiata lungo il marciapiede a una cinquantina di metri dal locale. Già dal finestrino vedo il mio iphone abbandonato nel sedile di dietro, lo recupero, richiudo l’auto e mentre torno verso il ristorante controllo se ci sono messaggi o chiamate perse.
Poi, succede tutto in un attimo. Qualcuno mi afferra per un braccio e mi trascina dentro un vicolo, il mio telefono cade a terra e mentre una mano mi preme la bocca sento una voce alle mie spalle che speravo di non dover risentire mai più «Signorina Leoni, ma che piacere rivederla…»
«Non si agiti» sussurra Gordon al mio orecchio con voce controllata mentre scalcio come un toro inferocito tentando di liberarmi dalla mano sopra la bocca e dal braccio intorno al torace. Stringendo le chiavi di Meg le uso per colpire con tutta la forza che riesco il dorso della sua mano sopra la mia vita. 
Smorzando il grido di dolore mi strattona trascinandomi ancora di più all’interno del vicolo, aumentando la pressione sia sulla bocca che sul torace.
«Non sono qui per farle del male, voglio solo fare quattro chiacchiere con lei. Se mi promette che non griderà le tolgo la mano dalla bocca»
Mi fermo immediatamente e inclino gli occhi per guardare i suoi che sporgono dalla mia spalla.
È buio in questo vicolo, riesco appena a scorgere la sagoma del suo viso, così vicino al mio, così disgustosamente vicino al mio. Questa visione, insieme al suo corpo che preme sul mio, mi fa ricominciare a scalciare con ancora più energia, ora di un toro rabbioso ho anche il respiro, ma purtroppo non la forza.
«Ho detto che non voglio farle del male» sibila sfiorandomi quasi la tempia con le labbra e indietreggiando ancora di qualche passo «Ma se non la smette mi costringerà a rivedere le mie intenzioni»
Mi fermo di nuovo, ho il fiatone e il cuore che martella impazzito. Guardo davanti a me, a una decina di metri c’è la strada illuminata che mi garantirebbe la salvezza, ma non ho la minima idea di cosa ci sia alle nostre spalle, questo potrebbe essere un vicolo cieco, ma esiste anche la possibilità che non sia così e che in fondo a questa stradina buia e stretta ci sia la sua auto parcheggiata, e se continuo ad agitarmi e lui a trascinarmi indietro, finirei solo col mettermi ancora di più in pericolo.
Annuisco con il capo per fargli capire che starò buona e che può fidarsi.
«Bene. Ora le libererò la bocca, ma si ricordi, un solo grido e perderò la pazienza» mi minaccia.
Annuisco di nuovo stringendo saldamente le chiavi nella mano destra e facendone scivolare una fuori tra l’indice e il medio per usarla come arma.   
Mentre il mio torace si solleva in fretta contro il suo braccio, la mano dalla bocca scivola di lato lungo il mio collo, mi sfiora la spalla, fermandosi infine ad afferrarmi il gomito.
«Lasciami» è la prima cosa che dico, ostentando molta più sicurezza nella voce di quella che ho in realtà in questo momento.
«Da quando siamo passati a darci del tu?» chiede divertito, e la sicurezza nella sua voce, a differenza della mia, non è affatto simulata.
«Perché sei qui? Mi hai seguita?» vuole davvero parlare? Bene, finché parliamo forse non mi succederà niente «Cosa vuoi ancora?»
«Volevo solo sapere come sta il tuo bel giornalista. Corsi, giusto? Si chiama così o sbaglio?»
Trattengo il respiro mentre cerco di far lavorare in fretta il cervello, non ricordo di aver nominato Dario nemmeno una sola volta in sua presenza. Sono assolutamente certa di questo. Ma allora come fa a sapere di lui?
«Ti stai chiedendo come faccio a sapere di lui? Diciamo che ho i miei metodi per ottenere le informazioni e che so molte più cose su di te di quello che pensi» 
«Hai preso informazioni su di me?» chiedo con un filo di voce «Perché? A cosa ti servivano?»
«Volevo sapere se era la presenza di un uomo nella tua vita che ti impediva di accettare, chiamiamolo, il mio invito a cena. Quando ho saputo che in Italia avevi un fidanzato mi ero quasi rassegnato. Ma poi… ti ho incontrata in quel ristorante con Rush e ho capito che il problema non era Corsi»
«No, infatti, il problema è che mi fai schifo» pronunciando l’ultima parola capisco di essere stata imprudente, ora sicuramente si infurierà.
Allerto ogni senso per non farmi trovare impreparata alla sua reazione, con lui è sempre così, non posso abbassare la guardia nemmeno un attimo perché cambia atteggiamento in un batter di ciglia, e infatti, come sempre, mi sorprende perché invece di aggredirmi verbalmente, o ancor peggio fisicamente, scoppia a ridere, con quella sua risata consistente e violenta come uno schiaffo a mano piena sul viso.
«E tra poco ti farò ancora più schifo, vedrai» non capendo il senso delle sue parole, ma consapevole che non tarderò a scoprirlo, fremo contro il suo petto per il suo tono soddisfatto e strafottente e mi sforzo al massimo per non rispondergli che è impossibile che possa farmi ancora più ribrezzo.
Il suo braccio inaspettatamente allenta la tensione intorno a me, quando mi sento completamente libera scatto in avanti per allontanarmi, ma la frase che grida alle mie spalle mi blocca sul posto a pochi metri dall’angolo «Prima di andartene, dimmi almeno come Corsi ha preso la notizia che te la spassavi con Rush»
Mi volto in fretta e vedo che si avvicina a passo lento con le mani affondate dentro le tasche dei pantaloni, mentre appare dalla penombra il suo sorriso di scherno si allarga. Sembra un gatto che dopo tanto affanno ed energie investite nella caccia ha finalmente scovato il topo che tremante e terrorizzato sa che il suo destino sarà quello di essere ingoiato in un solo boccone. E io, sentendomi come quel povero topolino, sto davvero tremando, per la paura, la rabbia, ma soprattutto perché ho la vivida sensazione che mi stia per rivelare qualcosa che mi farà ancora più male delle fauci di un gatto affamato e senza scrupoli.
«Sicuramente non avrà preso bene la notizia, ma ci terrei a conoscere qualche dettaglio. Ti ha gridato contro? Ti ha dato della puttana?» sbatto gli occhi confusa e in silenzio lo guardo fermarsi a un metro da me «Racconta, dai. Te lo chiedo per favore. Fammi divertire un po’. Dammi almeno la soddisfazione di farmi sapere se ha gradito il piccolo regalo che gli ho fatto recapitare in albergo»
Sentendo le gambe che stanno per cedere mi appoggio con una spalla al muro.
«Sei stato tu» lo aggredisco sentendo la rabbia che mi scuote da capo a piedi «Sei stato tu a far scattare quelle foto. Perché?» chiedo passandomi il dorso di una mano sulla fronte.
«Te l’ho detto, volevo sapere se avevi un uomo. E non sai che sorpresa è stato scoprire che in realtà ne avevi due. Sapevo che sotto a quell’aria da maestrina si nascondeva una sgualdrina» risponde ghignando malefico.
«Cosa pensavi di ottenere facendo sapere a Dario di me e Russel?» malgrado che questa conversazione inizi a sembrarmi solo frutto della mia immaginazione per quanto mi appare surreale, mi faccio forza e lo incalzo di domande.
«È dal giorno in cui mi hai cacciato dallo showroom che vi faccio pedinare da un fotografo, la reazione di Rush mi ha fatto capire che tra voi due c’era molto di più di una semplice amicizia, come volevi farmi credere. Quando mi sono trovato tra le mani la prova della vostra relazione per un attimo ho pensato di usarla per ricattarti e avere da te quello che mi avevi negato. Poi invece ho realizzato che avrei goduto molto di più a rovinarti la vita che ad avere il tuo corpo. E ora, posso confermarti che avevo ragione» termina, con il chiaro intento di puntualizzare che la sua ritorsione è stata esclusivamente una conseguenza al mio rifiuto, scaricando quindi la responsabilità su di me.
«Tu hai fatto tutto questo solo per vendicarti?» indietreggio scivolando con il fianco lungo il muro, voglio che mi dia tutte le informazioni possibili, ma è meglio se mi avvicino alla strada alle mie spalle.
«Ora almeno sai che enorme sbaglio hai fatto a fare tanto la preziosa con me. Nessuno può permettersi di negarmi qualcosa senza subirne le conseguenze»
Avevo già il sospetto che fosse un bastardo senza precedenti e che quello che era successo tra noi fosse solo un misero assaggio di quanto potesse diventare pericoloso per chiunque si opponesse a lui, ma il ghigno statico sul suo viso, mentre probabilmente vede il mio che perde colore e le mie labbra tremule, va al di là di ogni mia precedente supposizione.
«Hai ragione, ora mi fai ancora più schifo di prima, anche se mi sembra impossibile»
«Ti consiglio di fare attenzione a quello che dici» mi minaccia avvicinandosi di un passo «Ricordati che ho ancora quelle foto e potrei anche decidere di mandarle a qualche rivista, e forse lo farò, visto che ho un conto in sospeso anche con il tuo amichetto»
Spaventata dalla convinzione con cui ha pronunciato le parole e dal suo sguardo sempre più freddo, indietreggio ancora fino a trovarmi a un passo dall’angolo «Non puoi farlo» rispondo sorreggendomi al muro con una mano.
Se avessi saputo prima le sue intenzioni, avrei lasciato che Russel lo riducesse davvero a un vegetale, avrebbe fatto un favore non solo a me e a se stesso, ma all’intera umanità.
«E perché no? Hai forse una proposta migliore da farmi? Non dirmi che ci hai ripensato malgrado che continui a dire che ti faccio tanto schifo? O forse è perché ti sta tanto a cuore quell’attorucolo da quattro soldi e temi che la divulgazione di quelle foto potrebbe mettere a rischio la sua carriera?»
Devo ribattere, devo convincerlo a non usare quelle foto in nessun modo, ma l’unica cosa che riesco a pensare è che ho sbagliato, che Russel non c’entra niente con le foto che ha visto Dario, che ho rinunciato all’unico uomo che ho mai amato per colpa delle macchinazioni di questo stronzo che continua a sorridere come se questo fosse il giorno più bello della sua intera vita, mentre per me si sta trasformando in fretta nel peggior incubo che io abbia mai fatto.
Devo andare da Russel, devo parlargli subito, deve dirmi cosa ci faceva quella scheda a casa sua e perché ha ammesso di essere stato lui a far fare le foto quando invece non è così. Oddio, spero che non sia già partito.
Devo subito mettere fine a questa assurda conversazione, non voglio star qui a perdere tempo con lui, voglio andare da Russel, e l’unico cosa che mi viene in mente per accelerare i tempi è passare al contrattacco e minacciarlo a mia volta.
«Non puoi farci un bel niente con quelle foto perché chi le ha fatte si è introdotto illegalmente in una proprietà privata. Sarai anche un uomo potente e con le giuste conoscenze, ma alla famiglia Ferraris non mancano né la determinazione né i mezzi per scoprire chi sia stato a introdursi nella loro villa»
«Posso sempre spedirle anonimamente. E non illuderti, nessuno potrà mai collegare il mio nome a quello di chi ha fatto le foto, anche perché in questo momento sarà chissà dove a godersi la cospicua ricompensa che gli ho dato»
Alla sua affermazione vacillo, sia dentro che fuori, ha pensato a tutto e sembra deciso ad andare fino in fondo al suo progetto di vendetta.
Mi scrollo di dosso l’angoscia e assumo un tono aspro e determinato «Peccato che mi hai appena confessato tutto quanto»
«Io non ho confessato un bel niente. Io non sono nemmeno in questo vicolo in questo momento, sono a cena con una dolce fanciulla, bella e disponibile, che confermerà che siamo stati insieme tutta la sera e anche tutta la notte. Nessuno mi ha visto arrivare, e nessuno mi vedrà andar via quando salirò nella mia auto che mi sta aspettando alle mie spalle»
Il suo sguardo vittorioso mi preme addosso, sostenendomi con una mano al muro barcollo arretrando, mi sento schiacciata, dalla sua sicurezza, dalla sua determinazione, dal suo odio.
Solleva un sopracciglio assumendo un’espressione ancora più estasiata. Sembra un boia che ogni volta che cala l’ascia mettendo fine a una vita allunga la sua.
«Sai, non pensavo che con quelle foto avrei ottenuto anche la tua rottura con Rush. Sono giorni che non vi vedete, mentre lui è stato visto spesso in compagnia della sua vecchia fiamma»
Stringo le chiavi fino a sentire dolore, non so cosa ancora mi stia trattenendo dal colpirlo, ci penso giusto un secondo, non servirebbe a niente, ha già raso al suolo quel poco che avevamo costruito io e Russel, ma la certezza che servirebbe almeno a sfogarmi desta i muscoli del mio braccio che inizia a tremare teso per il bisogno di scagliarsi contro di lui.
«Non guardarmi così, in fondo ti ho fatto un favore. Gli attori sono tutti dei farfalloni, e tu sei stata solo l’ennesimo fiore da impollinare»
Lui crede di sapere tutto, invece non sa un bel niente, non sa nemmeno che se Russel è stato visto a giro con Helen è solo perché devono fare un nuovo film assieme. Può dire ciò che vuole, ma niente mi farà cambiare idea, io so che quello che c’è stato tra noi era molto di più di una semplice infatuazione con annessa scappatella.
Non sa nemmeno che stupidamente, solo perché volevo che se ne andasse in fretta per paura di crollare davanti a lui, finendo sicuramente col trattenerlo invece di cacciarlo, ho parlato d’impulso, tentando per l’ultima volta di nascondergli i miei veri sentimenti sotterrandoli sotto strati abbondanti di menzogne, scordandomi completamente che con lui mentire non serve. Ma in quel momento ho pensato che se gli avessi detto che non volevo più vederlo perché mi ero sentita tradita avrei indirettamente ammesso che se non fosse stato per quelle foto non avrei mai messo fine alla nostra relazione. Quando mi ha detto di non credere a nessuna delle cose che gli ho detto ho sentito la frustrazione che provava, so perfettamente quanto poco tollera quando mi nascondo dietro alle mie bugie anche con lui, gli ho sbattuto in faccia ancora una volta che lui per me non è affatto un gradino sopra agli altri e che quindi non sento l’esigenza di aprirmi nemmeno con lui. Anche se sono sicura che ha capito che se non voglio dire a voce alta i miei sentimenti è perché farlo per me sarebbe la resa, significherebbe accettarli, e darmi la possibilità di viverli fino in fondo senza mettermi più alcun limite.
«Ti do un consiglio» la voce di Gordon non suona affatto come quella di chi sta per dare un suggerimento, ma come quella di chi sta per impartire un ordine, un ordine senza alcun margine di trattativa e che richiede da parte dell’interlocutore sottomissione e obbedienza assoluta «Domani prendi il volo per l’Italia, e una volta arrivata, restaci, o al tuo rientro non farai in tempo a mettere un solo piede fuori dall’aereo che non ci sarà una sola rivista, trasmissione televisiva, sito web, che non abbia sbandierato le foto con te e Rush mentre ve la spassate»
Non può davvero chiedermi questo, non può impedirmi di parlare con Russel, di vederlo almeno un’ultima volta, di dargli, e di darci, un’altra possibilità ora che so che lui non c’entra niente con le foto, non almeno con quelle che ha visto Dario.
Lo guardo con odio, cercando di reprimere la rabbia e la frustrazione per la mia impossibilità a difendermi, ma soprattutto perché non so cosa fare per proteggere Russel senza dover rinunciare a lui prima di aver chiarito tutto quanto. Vorrei urlare, avventarmi su di lui e colpirlo fino a non avere più forze, strappargli l’anello dal dito e farglielo ingoiare insieme ai denti. Cerco ancora di resistere, di fregarmene della bile che si sta riversando nel mio stomaco, di trattenere le parole che vorrei vomitargli in faccia, che servirebbero almeno a sfogarmi ma che metterebbero ulteriormente in pericolo l’immagine pubblica di Russel, che finirebbero solo per mettermi alla mercé di squali a caccia di notizie bomba, che scaverebbero inevitabilmente nel mio passato sbattendo in prima pagina quello che da una vita cerco di nascondere. Ho detto a Russel che non mi sarei mai messa tra lui e il suo lavoro, e voglio mantenere la promessa. Posso fare solo una cosa, arrendermi.
Chino il capo e annuncio a un compiaciuto Gordon la sua vittoria «D’accordo, non metterò mai più piede a Los Angeles»
«Ottima scelta»
Scelta? Fino a che punto può spingersi il desiderio di vendetta di quest’uomo? Non è ancora soddisfatto? Deve anche congratularsi con me e farmi sentire complice del suo piano come se avessi acconsentito volontariamente ad allontanarmi da Russel? Come se non fosse colpa sua se ho dubitato che l’uomo che mi amava fosse sincero con me?   
Con un altro fiotto di velenosa bile che mi corrode le viscere retrocedo dell’ultimo passo che mi separa dalla strada illuminata, ho un tale peso sullo stomaco che, per la prima volta da quando ho cominciato a soffrire di gastrite da bambina, spero di poter vomitare fino a che non mi sentirò completamente svuotata.
«Buon viaggio di sola andata, signorina Leoni» queste le sue ultime parole, lapidarie e definitive, prima di voltarsi in fretta e avviarsi verso l’auto che a un suo cenno della mano qualcuno mette in moto accecandomi con i fari.
Distogliendo lo sguardo serro le palpebre, giusto il tempo di far scomparire dai miei occhi il bagliore e le spalanco di nuovo, sentendo alle mie spalle il grido di una voce familiare «Fermo lì, stronzo!»
I miei capelli si sollevano sbattendomi sul viso mentre Meg mi sfreccia a fianco per poi piazzarsi al centro del vicolo con le sue lunghe gambe aperte ben piantate sull’asfalto e i pugni sui fianchi «Ti ho detto di fermarti!» grida ancora andando incontro all’auto di Gordon che inchioda facendo stridere le gomme mentre lei colpisce il cofano con entrambe le mani, con rabbia e violenza, sembra quasi che l’abbia fermata lei come se fosse Wonder Woman. Il fisico effettivamente ce l’avrebbe.
«Scendi!» ordina colpendo il cofano con un pugno. Sollevo una mano per coprirmi gli occhi dalle luci dei fari, all’interno dell’abitacolo non si muove niente «Cazzo! O scendi di tua spontanea volontà o giuro che ti tiro fuori a forza io» insiste lei scuotendo la testa come un’indemoniata e cominciando a dare calci all’auto.
«Meg, smettila» le vado incontro correndo, se continua così lo farà solo infuriare e andrà a finire che se la prenderà anche con lei.
Lo sportello dietro a quello del guidatore si apre e Gordon scende visibilmente adirato «E ora tu che diavolo vuoi?» chiede, facendo poi cenno all’autista che stava per scendere di rimanere al suo posto.
Meg gli va di fronte e io le afferro un polso per tirarla via «Meg, andiamo via» la prego ma liberandosi con uno strattone si para davanti a Gordon, sussulto quando lo spintona facendolo sbilanciare e arretrare di un passo per non cadere.
«Ho sentito tutto, dalla prima all’ultima parola. Non azzardarti mai più a minacciarla o di te e di quel tuo merdosissimo anello rimarranno solo le briciole»
Lui le presta finalmente attenzione, come me del resto, osservandola attentamente e contraendo la mascella. La bile smette di affluire nel mio stomaco e viene sostituita in fretta da un timido bagliore di speranza che mi illumina anche il sorriso.
«E se non ti basta ho anche registrato tutto» continua sventolandogli sotto al naso quello che riconosco essere il mio iphone che ha tirato fuori dalla tasca della giacca «Quindi ora piazzi le tue chiappe sul sedile della tua macchina e te ne vai a fanculo una volta per tutte se non vuoi beccarti una denuncia» la sua minaccia sembra finalmente disgelare quel pezzo di ghiaccio di Gordon che massaggiandosi il mento pare aver perso l’uso della parola dopo aver sentito quelle di Meg. 
«Non ti conviene metterti contro di me» le dice dopo qualche secondo fissandola negli occhi.
Per niente intimorita Meg gli si avvicina fino quasi a sfiorargli il viso «Perché? Sennò che fai? Mi mandi qualcuno a casa per fotografarmi mentre sono sotto la doccia?» lo deride «Che c’è, sei così scarso a letto che questo è l’unico stratagemma che ti rimane per poter vedere una donna nuda?» oddio Meg, dopo stasera giuro che ti faccio un monumento e che lo intitolerò: “Meg, la lingua più veloce dell’West”. 
«Allora? Che vuoi fare? Ti levi dalle palle lasciandola in pace per sempre o preferisci che chiamo un paio degli avvocati migliori di Los Angeles nostri clienti e che li faccio venire subito qui?» gli chiede accendendo il display del mio telefono e guardandolo con sufficienza.  
«Non è affatto necessario» Gordon mastica le parole come la più amara delle medicine e si avvicina in fretta all’auto. Meg si sposta per lasciargli lo spazio necessario per aprire lo sportello, ma prima che possa sparire all’interno dell’abitacolo aggiunge un’ultima cosa «Mi aspetto a breve che Rebecca riceva tutto il materiale che hai ottenuto illegalmente e non su di lei» poi gli sbatte in faccia lo sportello e si rivolge all’autista «Porta questo stronzo lontano da qui prima che cambio idea e che decida di spaccare la faccia anche a te solo perché lavori per lui»
Ci voltiamo entrambe e in silenzio osserviamo l’auto che sparisce in mezzo al traffico.
«Stai bene?» mi chiede Meg. Annuisco lasciando che la rabbia repressa defluisca insieme alle lacrime mentre lei mi stringe accarezzandomi i capelli.
«Grazie» dico avvinghiandomi alla sua vita «Se non fossi arrivata tu ora non avrei la possibilità di parlare con Russel»
«Ero venuta a cercarti, quando ho visto il tuo telefono a terra ho capito subito che ti era successo qualcosa, mentre mi chinavo per raccoglierlo ho sentito la tua voce, stavo per avvicinarmi ma poi ho sentito anche quella di Gordon così sono rimasta ad ascoltare nascosta dietro l’angolo»
Mi asciugo gi occhi e sollevo la testa per guardarla «Meg, puoi portarmi subito da Russel?»
«Certo. Hai ancora le chiavi dell’auto?»
«Sì» rispondo aprendo la mano per mostrargliele.
«Vado a chiamare Karen. Arriviamo subito, tu intanto va’ ad aspettarci in macchina» mi restituisce il telefono e poi mi spinge fuori dal vicolo «Ah, è inutile che cerchi la registrazione» dice indicando l’iphone «Ho mentito, non ho registrato un bel niente» le sorrido e lei mi strizza un occhio, poi si volta.  
Mentre lei si allontana dalla parte opposta accelero il passo e raggiunta la sua auto la apro e salgo nel sedile posteriore.
Chino il capo passandomi le mani sulla faccia. Sono sconvolta dalle ammissioni di Gordon, quell’uomo è completamente pazzo, ma ancora di più dall’aver scoperto che non è stato Russel. Non riesco a trovare un filo logico in tutto questo. Ho sentito con le mie orecchie Russel ammettere tutto quanto con Luca, ma se non è stato lui perché l’ha fatto? Deve esserci per forza una spiegazione. Ma quale sarà?
“Non mi vuoi più nella tua vita? Bene, ti accontenterò. Ma ricordati che questa volta non tornerò a cercarti, se un giorno cambierai idea e mi vorrai di nuovo dovrai dimostrarmelo. Dove o come trovarmi lo sai”. Le sue ultime parole risuonano insistentemente nella mia testa.
Mi giro e guardo l’ingresso del ristorante, di Meg e Karen nemmeno l’ombra. Ma io ho fretta, una fretta che si mescola all’ansia che mi fa temere che forse è troppo tardi, che quello che ho detto a Russel l’abbia ferito troppo perché possa avere ancora voglia di vedermi e parlarmi, una fretta che però soffoca tutti i miei timori caricandomi di una determinazione che mai ho provato come adesso.
Osservo le auto che sfrecciano al mio fianco e, ripetendomi che posso farcela, salto nel sedile del guidatore, lo regolo in fretta, sistemo gli specchietti, e allacciata la cintura di sicurezza metto in moto.  
 
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Bastarda, sì, lo sono. Vi ho fatto credere che le foto fossero opera di Russel, invece no. Davvero pensavate che il mio adorato Russel potesse fare una cosa tanto squallida?
Qualcuno una volta mi ha accennato all’esistenza della lapidazione virtuale via web, se proprio dovete, almeno tiratemi dei diamanti.
Ce la farà Reb a guidare fino a casa di Russel?
Per il titolo del capitolo sarebbe stato meglio: “Meg mangia il gatto”, ma non ho trovato canzoni con questo titolo, quindi.
 
Baci,
V.17
 
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PICCOLO… SPAZIO… PUBBLICITÀ…
 
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Sono una Pecora Nera, non un Agnellino
 
Dal terzo capitolo POV ETHAN: “Con disappunto muove il musetto da un lato all’altro agitando i capelli lisci come la seta e sculettando si avvicina al divano, ci getta sopra la borsa e, porca della miseriaccia ladra, si toglie la giacca lasciandola sul bracciolo. Con le mani in tasca aspetto che si volti verso di me con la stessa inquietudine di un condannato a morte che attende che cali l’ascia del boia, e come già temevo, il colpo di grazia arriva, dritto e preciso, però non dietro al mio collo, ma di fronte a me e al di sotto della cintura. Tiro fuori le mani dalle tasche per osservarle ancora, no che non ci stanno, ma forse con entrambe riesco a circondarne almeno una. 
«Beh, che stai facendo lì impalato?» impalato? Quindi se n’è accorta «Dammi una mano» veramente sono appena arrivato alla conclusione che mi servono tutte e due.
Sollevo lo sguardo, però qui si gioca scorretto coniglietta, non te ne puoi stare di fronte a me con le mani ai lati della tua scrivania e piegata in avanti sbattendomi in faccia le tue tette di zucchero filato.”
 
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Disneyland After Dark
 
Il Disneyland After Dark brulicava di ragazzi urlanti, eccitati, accaldati. Addossati uno all’altro quelli in pista investiti dalla cascata di luci che si riversava sopra le loro teste erano una sequenza veloce di diapositive, alcuni gruppi si muovevano seguendo il ritmo della musica, altri saltavano scoordinati con le braccia protese verso il soffitto, qualcuno sull’orlo dello straripamento ormonale era avvinghiato a un altro corpo altrettanto interessato a rifocillare l’appetito sessuale. Davanti al bancone del bar i bicchieroni di plastica trasparente passavano di mano in mano terminando la corsa sopra bocche che li svuotavano con avidità, per placare il caldo soffocante, sciogliere la tensione, annientare la timidezza, potenziare a dismisura l’aggregazione.
Le note rock frustavano le pareti macchiate da scritte e disegni di varie dimensioni e colori, il soffitto che sembrava un caleidoscopio per opera delle luci colorate in continuo movimento, il bancone di legno consumato e graffiato che vibrava al ritmo dei bassi, gli stomaci ebbri di birra e super alcolici, i palati e le lingue che talvolta accoglievano una pasticca accompagnandone poi la discesa attraverso la gola con sorsi abbondanti di miscele più o meno alcoliche.
 
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Capitolo 36
*** Cap. 36 - Guarda l'alba ***


CAP. 36 - GUARDA L’ALBA
 
Guarda l’alba che ci insegna a sorridere,
quasi sembra che ci inviti a rinascere,
tutto inizia,
invecchia,
cambia forma,
l’amore, tutto si trasforma,
persino il dolore più atroce si addomestica.
Tutto inizia,
invecchia,
cambia forma,
l’amore, tutto si trasforma,
nel chiudersi un fiore al tramonto si rigenera…
 
Consoli-Ferro
 
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Mi giro e guardo l’ingresso del ristorante, di Meg e Karen nemmeno l’ombra. Ma io ho fretta, una fretta che si mescola all’ansia che mi fa temere che forse è troppo tardi, che quello che ho detto a Russel l’abbia ferito troppo perché possa avere ancora voglia di vedermi e parlarmi, una fretta che però soffoca tutti i miei timori caricandomi di una determinazione che mai ho provato come adesso.
Osservo le auto che sfrecciano al mio fianco e, ripetendomi che posso farcela, salto nel sedile del guidatore, lo regolo in fretta, sistemo gli specchietti, e allacciata la cintura di sicurezza metto in moto.  
 
È come andare in bicicletta. È come andare in bicicletta…
Frena! Frenaaa! Qui siamo in America, se non ti fermi allo STOP ti mettono in gattabuia, e non hai nemmeno la patente con te, è a casa dentro a chissà quale cassetto perché mai avresti pensato che oggi potesse servirti.
 
Muovendo in fretta lo sguardo cerco di focalizzare tutto ciò che mi circonda per assicurami che nessuno mi travolga all’improvviso e riparto schiacciando piano il pedale del gas. Non oggi, non ora, nessun furgone impazzito mi fermerà questa volta.
Sussulto e boccheggio arrestando il respiro ad ogni auto che mi acceca con i fari dall’altra carreggiata, mentre il cuore va alla stessa velocità dei giri del motore, se rallentano, rallenta, se accelerano, accelera. La schiena è rigida, i muscoli delle braccia così tesi che mi dolgono.
Per fortuna siamo venute a cena a Downtown e la strada da fare non è molta.
Mentre controllo lo specchietto retrovisore, alle mie spalle il telefono comincia a suonare. Sarà sicuramente Meg, mi dispiace ma ora non posso fermarmi per rispondere, non posso proprio distrarmi adesso, rischierei di perdere la concentrazione, o ancor peggio il coraggio.
Prendo un respiro profondo e cerco di rilassare la schiena appoggiandola al sedile. 
I miei movimenti comincino a essere più fluidi, l’incedere dell’auto costante, mantengo la distanza di sicurezza e muovo gli occhi a destra e sinistra, gettando di tanto in tanto un’occhiata anche allo specchietto. Tutto okay. Nessun furgone fuori controllo in vista.
Solo un pensiero mi preoccupa in questo momento: spero di ricordarmi la strada per arrivare a casa di Russel. Sono nata completamente priva di senso dell’orientamento e i nomi delle vie non mi dicono assolutamente niente. Ho solo dei vaghi ricordi di alcuni punti di riferimento, il primo l’ho appena sorpassato: Starbucks. Quindi non sono molto lontana… a quell’incrocio mi sembra di ricordare che devo svoltare a sinistra, o forse prima a destra e poi a sinistra? No, quella è la strada per andare in showroom. Per andare a casa di Russel e Luca devo procedere a dritto per tutto il viale e poi girare a sinistra verso la vecchia zona industriale.  
Mentre mi avvicino a passo di lumaca alla zona est di Downtown, il traffico va diminuendo, mi rilasso ulteriormente e aprendo il finestrino prendo una lunghissima boccata d’aria fresca.
Il panico che ancora non è divampato del tutto, aumenta considerevolmente nel momento in cui da lontano vedo la mastodontica fabbrica di biscotti in mattoni rossi, con la vecchia insegna ancora impressa che sembra darmi il benvenuto come se avessi raggiunto un’allegra cittadina.
Non posso fermarmi adesso, sono riuscita a guidare fin qui, e già questo fino a pochi minuti fa lo credevo impossibile, ora devo andare fino in fondo e affrontare anche Russel, devo assolutamente sapere cos’è successo veramente.
Parcheggio dal lato opposto del palazzo, spengo il motore, e sporgendomi con il capo fuori dal finestrino osservo ancora la scritta National Biscuit Company, spostando poi lo sguardo a sinistra dove sono le finestre del loft di Russel. Le luci sono accese, e mi sembra che lo siano anche quelle della terrazza.
Okay, quindi non solo non è ancora partito, ma in questo momento è anche in casa. 
Mi osservo un attimo allo specchietto riordinando sommariamente i capelli con le mani, prendo la borsa mettendoci dentro il telefono, scendo dall’auto, sistemo il vestito sui fianchi, e dopo aver fatto scattare la chiusura elettronica getto anche il telecomando dell’auto nella borsetta e attraverso la strada puntando prima il portone e subito dopo la pulsantiera dei campanelli.
Mentre faccio scorrere inutilmente lo sguardo sui pulsanti solo per prendere tempo, visto che so perfettamente quale devo premere, il portone si apre e mi trovo di fronte un ragazzo che tiene al guinzaglio un piccolo cane meticcio con il pelo grigio e arruffato.  
«Devi entrare?» mi chiede rimanendo dentro e tenendo il portone aperto.
«S-ì. Grazie» rispondo sorpassandolo in fretta.
Mentre aspetto l’ascensore il mio iphone suona.
«Meg, scusa, ti ho praticamente rubato la macchina»
«Dove sei?»
«Sto aspettando l’ascensore per salire in casa di Russel»
«Tu hai davvero guidato fin lì?»
«Sì» rispondo passandomi una mano sulla faccia.
«Grande!» esclama.
«Sì, spero solo di avere altrettanto coraggio ora che sto per parlargli. Meg, non dire niente a nessuno di quello che è successo con Gordon, nemmeno a Brian. Puoi farlo? Non voglio che Russel lo sappia»
«Sì, già immaginavo, e poi se vorrai glielo dirai tu. Comunque, mi sono scordata di dirti che Brian mi ha detto che…»
«Meg… cosa? Cosa ti ha detto Brian?» chiedo mentre l’ascensore sta salendo. Ma lei non mi sente più, probabilmente qui dentro il telefono non prende.
Oh insomma, datti una mossa e accelera il passo in questo corridoio, in fondo è colpa di quel pazzo di Gordon se hai dubitato di Russel e l’hai malamente cacciato dalla tua vita. Non vuoi sapere tutta la verità prima di prendere il volo per l’Italia? Non vuoi vederlo? Risentire la sua voce? Forse addirittura abbracciarlo? Baciarlo? Annuisco da sola come un’idiota davanti alla sua porta mentre vedo la mia mano che a rallentatore si solleva per poi posarsi sul piccolo campanello e premerlo.
Il suono all’interno dell’appartamento mi irrigidisce le spalle e mentre la porta si apre indietreggio di un passo perché al di là della soglia c’è l’ultima persona che mi auguravo di vedere.
«E tu che diavolo ci fai qui?»
Non che mi aspettassi di essere accolta con striscioni di bentornato e gente con cappellini colorati in testa che grida “sorpresa” gettandomi addosso coriandoli e stelle filanti, ma non pensavo nemmeno che ad aprirmi la porta sarebbe stata una Helen con voce aggressiva ed espressione battagliera.
Niente panico, probabilmente… anzi no, sicuramente, lei è qui solo per ragioni di lavoro, e anche se la mia palpebra destra sta vibrando perché in ogni caso non mi sembra un motivo sufficientemente valido, stringo i pugni e mantengo i nervi saldi.
«Devo parlare subito con Russel. Puoi chiamarlo per favore?» anche se in realtà vorrei infierire su di lei dandole ripetutamente calci sugli stinchi, cerco di modulare un tono educato e addirittura sorrido, augurandomi che colga il mio messaggio subliminale di peace&love
«In questo momento siamo molto impegnati. Io e Russel non abbiamo tempo per le tue stronzate»
Io e Russel? Non mi sembrava di averla inclusa nella mia richiesta.
Se continua così, almeno un calcio non glielo toglie nessuno.
«Sentimi bene, non m’interessano le tue manie di possesso. Togliti dai piedi e fammi parlare con lui» dico guardando oltre la sua figura per scorgere l’interno dell’appartamento. L’unica cosa che però riesco a vedere, mentre lei accosta la porta il più possibile rimanendoci nel mezzo, è un set di valigie in pelle, il colore fucsia e il beauty case mi fanno capire che non può essere di Russel.
Lei segue il mio sguardo, e quando sollevo gli occhi e la osservo interrogativa mi sorride compiaciuta alzando un sopracciglio.
«Russel è di sopra a preparare le sue valigie» il suo sguardo è tornato quello di un predatore selvatico, della Helen remissiva e trasandata che mi ha pregato di perdonarla per avere la possibilità di lavorare ancora con Russel non è rimasto nemmeno il distillato. Quella che ho di fronte, con le unghie e l’acconciatura fresche di estetista e parrucchiere, con addosso abiti di marca e ricercati, è la rediviva Helen che gioca a fare la diva e che rivendica il diritto di esclusiva su Russel.
Peccato per lei che io me ne frego totalmente di quello che pensa.
«Helen, non farmi incazzare. Ti garantisco che non è proprio la serata giusta»
Sollevo una mano per spingerla dentro, ma lei è più veloce di me, afferrandomi una spalla mi fa arretrare e venendomi quasi addosso accosta la porta tirandosela contro la schiena.
«Tra poche ore partiamo. Mi ha chiesto di andare a casa dei suoi perché ha capito che è me che vuole, e questa volta ha intenzione di fare sul serio. Quindi smetti di comportarti come una delle tante ragazzine che gli corrono dietro, sei ridicola. Non è la prima volta che si diverte con qualcuna, ma alla fine torna sempre da me e mi ha promesso che questa è stata l’ultima volta e che non si lascerà più abbindolare da nessuna. Noi due ci apparteniamo e tu sei solo il fastidioso terzo incomodo. Lui non vuole vederti, non vuole ascoltarti. Sparisci e lasciaci in pace»
Era questo che stava per dirmi Meg? Che Russel e Helen si sono rimessi insieme? Maledizione, perché non me l’ha detto prima di farmi venire fin qui?
Tardi, come sempre sono arrivata troppo tardi, con la mia impulsività ho asfaltato la strada che la donna di fronte a me non ha esitato un solo istante a percorrere, e mentre io rallentavo il passo lei ha raggiunto la meta.  
Non piangerò mentre lei mi osserva vittoriosa, non le darò anche questa soddisfazione, non la metterò al corrente che vorrei non essere mai venuta fin qui, che vorrei non aver mai conosciuto Russel, che vorrei non essermi mai trovata a fare il terzo incomodo tra due persone che hanno condiviso così tanto da farmi sentire una stupida illusa ad aver pensato che io e Russel eravamo molto di più di una parentesi ormai chiusa.
In fondo non ce l’ho né con lei né con Russel, è solo colpa mia se mi sono lasciata trascinare in acque così profonde da temere che non sarò mai in grado di risalire in superficie.
Okay, messaggio ricevuto, forte e chiaro.
Mi allontano dalla porta attraversando il corridoio come se stessi fluttuando in un liquido vischioso e denso che mi impedisce di muovermi agevolmente, ignoro l’ascensore e procedo fino a raggiungere le scale.
A ogni piano che scendo il cuore mi sale nel petto avvicinandosi sempre di più alla gola e la mia vista è sempre più annebbiata dalle lacrime. Scivolo sopra uno scalino ritrovandomi con entrambi i piedi in quello di sotto, me ne frego e continuo a passo spedito come se un serial killer mi stesse rincorrendo. A questo punto posso anche rompermi l’osso del collo e rimanerci secca all’istante, tanto ormai non ho più niente da perdere. Se mi fracassassi il cranio su questi scalini, non l’avrei certo deciso io di abbandonare chi mi vuole bene. Sarebbe solo un incidente, giusto?  
 
Vaffanculo Russel!
Vaffanculo tu e tutte le stronzate che mi hai detto e che mi hanno fritto il cervello!
Vaffanculo perché ora che ti ho conosciuto provare ad andare avanti senza di te sarà ancora più difficile, se non addirittura impossibile!
Vaffanculo perché mentre attraverso la strada vorrei veder comparire il furgone e so che messa come sto in questo momento non esiterei un solo istante prima di gettarmici contro!
Vaffanculo perché il dolore che sto provando è talmente soffocante da farmi pensare che forse è lo stesso che provava mio padre, e io non voglio provarlo, non voglio sapere cosa lo ha spinto ad abbandonarmi perché rischierei di perdonarlo e io non posso e non voglio farlo, l’unica cosa che ancora mi lega a lui è quest’odio che mi logora da anni. Se lo perdonassi dovrei dirgli addio e io ancora non sono pronta a lasciarlo andare. 
E vaffanculo anche a me, che dopo anni mi sono sentita amata e accudita, unica e insostituibile per qualcuno e…
 
«… e vaffanculo!»
Rovisto in fretta dentro la borsa alla ricerca del telecomando, ignorando i pochi passanti che, camminando sul marciapiede dall’altra lato dell’auto, rallentano il passo per osservarmi perché sto piangendo e singhiozzando come una donnetta isterica davanti a un film strappalacrime.              
Insieme al telecomando afferro anche il pacchetto di fazzoletti di carta, ne prendo uno e dopo essermi asciugata gli occhi mi soffio il naso, poi con un respiro profondo cerco di darmi un contegno.
Mentre due ragazze mi stanno guardando, tossicchio per fingere di avere il raffreddore o un attacco di allergia e faccio scattare le serrature, nel momento esatto in cui l’auto squittisce, sento una mano che si appoggia sopra la mia spalla destra. Pensando che Gordon mi abbia seguita fin qui e che sia dietro di me, mi volto di scatto sbattendo la schiena contro lo sportello. 
Ma invece di Gordon mi trovo di fronte il petto di Russel, è così vicino che probabilmente riesce a sentire i battiti del mio cuore notevolmente accelerati, per colpa dello spavento prima, e della sua presenza adesso.
«Questa è l’auto di Meg» afferma guardando il mio pugno stretto attorno al telecomando «Lei dov’è?»
«Credo… credo che in questo momento sia già a casa» rispondo continuando a fissare la sua t-shirt non riuscendo a sollevare gli occhi per timore di incontrare i suoi.
«Hai guidato tu?»
Annuisco soffermandomi a guardare i nostri piedi distanti tra loro solo pochi centimetri.
«Da quant’è che hai ricominciato a guidare?»
«Da… da una ventina di minuti»
Dopo qualche secondo di silenzio chiede «Perché sei venuta fin qui? E perché te ne stai andando senza aver avuto nemmeno il coraggio di vedermi? Ancora non hai capito che scappare non è mai la soluzione giusta?»    
«Come perché?» chiedo sollevando finalmente lo sguardo. La sua espressione è severa mentre muove svelto gli occhi sul mio viso scandagliando le prove evidenti del pianto «Mi ha aperto Helen e… mi ha detto che eravate impegnati così me ne sono andata» terminando la frase sbuffo, solo nominarla mi rivolta lo stomaco.
«In realtà stiamo ancora aspettando Kevin che è in ritardo, pensavo che fosse lui quando hai suonato il campanello, ma se le avessi detto di chiamarmi non ti avrei mai fatto andar via. Avrei detto a lei e al suo agente che dovevamo rimandare l’appuntamento e che avremo dato l’ultima occhiata al contratto quando Helen tornerà dal suo viaggio» 
Lo osservo confusa mentre cerco di riordinare le idee «Lei sta partendo?» chiedo e lui mi guarda come se avessi sbagliato domanda.
«Sì, tra poche ore ha il volo per andare in vacanza non so bene dove» risponde con aria totalmente disinteressata all’argomento scrollando le spalle.
Ora torno su e giuro che quella stronza la disintegro! Mentre sto gustando il sapore della vendetta che dalla punta della lingua si irradia fino allo stomaco, Russel mi solleva il mento «Allora, vuoi dirmi perché hai guidato per la prima volta dopo tutti questi mesi per venire da me?»
I suoi occhi stanno cercando la risposta nei miei, chissà se riescono a vederla.
«Perché hai una scheda con tutte quelle foto di noi due?» riesco a chiedere malgrado che vorrei poter rimanere ancora un’infinità di tempo solo a fissarlo negli occhi per continuare a fargli leggere i miei. 
Raddrizza la schiena e dopo aver osservato un attimo oltre le mie spalle torna a guardarmi «Lo sai già»
«No io non lo so. Credevo di saperlo ma… ma stasera ho capito che invece mi ero sbagliata. Oddio Russel, ti prego dimmi tutto fin dall’inizio o finirò per impazzire» lo supplico, mentre nuove lacrime fanno capolino agli angoli dei miei occhi.
Si guarda intorno a disagio, so bene che questo non è il posto adatto per parlare ma io non posso più aspettare «Russel, ti prego» 
«L’ho comprata» soffia espirando.
«Che significa? Comprata in che senso?» chiedo ancora più confusa.
«Significa che stanco di trovarmi quello stronzo di fotografo sempre tra i piedi, un giorno mi sono avvicinato a lui per minacciarlo e intimargli di andarsene e che lui mi ha detto di avere tantissime foto di noi due e mi ha proposto di comprarle prima di rivolgersi a qualcun altro. Mi ha lasciato il suo biglietto da visita e qualche giorno per pensarci»
«È successo quel giorno che hai chiesto a Luca di portarti da me?» chiedo.
«Sì» risponde serrando poi la mascella «Mi dispiace» continua scuotendo il capo «Avrei voluto evitarti tutto questo ma non mi è stato possibile. Ma almeno sono riuscito a tenerlo lontano da casa tua» aggiunge abbozzando un sorriso.
«Quindi…» sospiro e chiudo un attimo gli occhi «quindi non mi hai detto niente e hai deciso di comprarle per evitare che le pubblicassero?»
«Sì. Aveva tre schede piene zeppe, quella che hai trovato tu era l’ultima e me l’aveva portata al club la sera prima. Ho dovuto insistere molto per averla, voleva tenerla come garanzia perché non lo denunciassi per estorsione, allora ho alzato il prezzo e l’ho convinto a portarmela quel giorno stesso perché non volevo rischiare che cambiasse idea»
«Ma perché l’hai fatto?» tutte queste rivelazioni mi stanno stordendo «Perché non mi hai detto tutto quanto?» chiedo lasciandomi andare con la schiena contro lo sportello dell’auto sentendomi esausta.
Mi guarda serio come se la risposta fosse più che ovvia, e in effetti lo è: l’ha fatto per me, perché più volte gli ho detto quanto mi spaventava che scoprissero di noi due e che non volevo diventare carne da macello da gettare in pasto a lupi affamati di gossip.
«La tua caparbietà nel voler nascondere la nostra relazione mi ha fatto capire che dovevo tenerti lontana da tutto quello che disgusta anche me della mia vita, e pensavo che finché ci fossi riuscito non ti avrei perso, anche se speravo che avessi solo bisogno di tempo, tempo che volevo darti comprando quelle foto. Ma quando le hai trovate e te ne sei andata, ho creduto che l’avessi fatto perché vedendole avevi capito che non saresti mai stata pronta. Dopo che me ne sono andato da casa tua ho pensato molto. So quanto sia irritante e insopportabile ritrovarsi al centro dell’attenzione di perfetti estranei, e finché continuerò a fare il mio lavoro sarà sempre così, ma se per recitare il prezzo da pagare sei tu…» quando si interrompe sollevo la testa di scatto e lui mi sorride «non sono disposto a pagarlo. Girerò il film a New York, e farò il seguito di “Letters from Paris” solo perché mi hanno offerto un bel po’ di soldi, e dopo mi ritirerò» continua a sorridermi come se in realtà non mi avesse appena detto che ha intenzione di rinunciare a fare la cosa che ama di più al mondo, oltretutto per una persona che questo sacrificio non lo merita affatto, perché è solo una stupida idiota che ha rischiato di perdere l’uomo che ama perché pensava che fosse solo un egoista insensibile ai bisogni e ai sentimenti degli altri, mentre lui senza la minima esitazione e con serenità le sta invece confessando di averla messa al primo posto nella propria vita.
«Non…» sbatto gli occhi ricacciando indietro le lacrime «non voglio che rinunci al tuo lavoro. È vero, io sono molto preoccupata di finire sulle riviste e tutto il resto, ma di questo forse è meglio se ne parliamo in un altro momento» dico mentre lui appoggia una mano sul tetto dell’auto accanto alla mia testa.
«Okay. Vuoi che ce ne andiamo da qui?» chiede avvicinandosi al mio viso. Sto per rispondergli di sì ma veniamo accecati da un flash. Voltiamo entrambi la testa di lato e rimaniamo sorpresi vedendo che tre ragazze ci stanno puntando contro i loro iphone iniziando poi a scattare una foto dietro l’altra. Guardo dall’altro lato e ne vedo altre due.
«Ce ne sono un paio anche dietro di te» sibila Russel al mio orecchio.
«E quattro stanno attraversando la strada in questo momento» dico a bassa voce.
«Sbrighiamoci ad andarcene» grugnisce raddrizzandosi e afferrando la maniglia dello sportello al mio fianco mentre siamo praticamente circondati da almeno una dozzina di ragazze dai quindici ai trentacinque anni che continuano imperterrite a scattare fotografie malgrado l’evidente irritazione di Russel.
«No, aspetta» dico bloccandogli il polso prima che apra lo sportello. Mentre mi guarda perplesso penso che ora è il mio turno di dimostrare quanto ci tengo a lui, e che non voglio lasciarmi sfuggire l’occasione di fargli capire che non c’è assolutamente niente che m’impedirà di stargli accanto perché in realtà amo tutto ciò che lo riguarda.
«Prima di andare, diamogli qualcosa che davvero valga la pena di essere immortalato» prendendogli il viso tra le mani e mettendomi in punta di piedi lo invito in silenzio a piegarsi su di me per baciarmi. Guardandoci negli occhi vedo lo stupore e l’esitazione sfumare in fretta dai suoi e stingendomi tra le braccia mi bacia. Sospiro sulle sua labbra e dischiudo le mie per avere qual contatto più profondo che tanto ho sognato in questi giorni, mentre le mie braccia salgono a circondargli il collo e le sue mani mi premono la schiena per spingermi contro il suo petto.
Semplice. Ecco come mi sento con lui. Tutti i miei timori, le mie mille teorie sull’amore, hanno cominciato a vacillare nel momento esatto in cui l’ho baciato per la prima volta sopra il divano di casa sua. E oggi non mi sento più tanto complicata, non per lui. Lui che è stato capace di ascoltare i miei silenzi, che ha liberato i miei sentimenti solo con la sua presenza. 
«Ora possiamo andare?» mi sussurra all’orecchio, annuisco nascondendo contro il suo petto il viso ormai paonazzo per colpa degli schiamazzi e dei gridolini di approvazione intorno a noi.
«Okay, guida tu» dice lasciandomi un bacio sulla fronte e allontanandosi subito dopo per fare il giro dell’auto schivando le ragazze che tentano di fermarlo per fare una foto con lui o avere un autografo.
«No aspetta. Forse è meglio se guidi tu perché non ho la patente con me»
«Nemmeno io. Non ho preso nemmeno le chiavi di casa» risponde salendo in auto «Dai» mi incita aprendomi lo sportello da dentro «Se ti arrestano giuro che vengo a trovarti in prigione»
Lo guardo sollevando un sopracciglio «Mi sembra il minimo» rispondo entrando in macchina.
Prima di mettere in moto gli chiedo «Andiamo da me?» annuisce mentre dalla tasca dei jeans tira fuori l’iphone, manda un messaggio in fretta, poi lo spenge e lo getta sul cruscotto.
«Ho scritto a Kevin che sono uscito e che appena arriva da me può dire agli altri due che dobbiamo rimandare l’appuntamento»
Mettendo in moto ridacchio pensando all’espressione furiosa di Helen, chissà, forse si sarà goduta tutto lo spettacolo dalla terrazza. Resisto alla tentazione di verificare se ci sta osservando e sollevo una mano accennando un timido sorriso per salutare le ragazze che si stanno spostando ai lati dell’auto per lasciarci andar via.
«Dai, fammi vedere cosa sai fare» dice ridacchiando e strizzandomi una coscia.
«Se vuoi che arriviamo a casa sani e salvi, è meglio se togli quella mano» ribatto immettendomi nel traffico e cercando di concentrarmi solo sulla guida.
«Perché? Ti dà fastidio?» chiede infilando la mano sotto la gonna e accarezzandomi la gamba.
«Mi distrae… molto» la sua mano sta avanzando come se non avessi detto niente «Senti, già ho dei seri problemi perché non guido da mesi e a mala pena ricordo la strada, se continui così…» nemmeno mi ascolta, sta già trafficando con le mie mutandine «Okay, allora cambio di programma»
«Dove vai?» chiede mentre svolto a destra infilandomi dentro un parcheggio sotterraneo di non so cosa.
Invece di rispondergli procedo fino a raggiungere un angolo piuttosto sgombro di auto «Che ci facciamo qui?» domanda guardandosi intorno.
Spengo l’auto e sorridendo furba mi tolgo la cintura di sicurezza e gli salto addosso circondandogli le gambe con le mie «Così impari a non ascoltarmi» dico e faccio subito mia la sua bocca. Sospiro baciandolo, passando le mani tra i suoi capelli, stringendolo, mentre le sue mani entrano sotto al mio vestito e raggiungono la mia schiena e lì iniziano ad accarezzarmi. 
«L’ho fatto per te sai, per la tua incolumità» dico staccandomi solo un attimo dalle sue labbra.
«E io che pensavo che l’avessi fatto perché volevi baciarmi»
«Anche» rispondo mentre le sue labbra scendendo sul mio collo diventano sempre più calde e le sue mani sempre più ardite.    
«Russel, siamo in un parcheggio. E poi dobbiamo prima parlare» dico, anche se so che è perfettamente inutile perché in questo momento entrambi desideriamo la stessa cosa.
«Ti ascolto» mormora scansandomi di lato le mutandine.
«Intanto devi sapere che domani parto, torno in Italia e starò via per…»
«Tu non vai da nessuna parte» la sua voce vibra sopra la mia spalla che sta mordendo.
«Ah no?» chiedo stupita.
«No, tu rimani qui con me»
«Ah… d’accordo»
«Che altro devi dirmi?» chiede mentre con la mano libera sale fino a stringermi un seno.
«Niente…» rispondo appoggiando la testa sopra la sua spalla e cominciando ad armeggiare con la sua cintura «Niente che non possa aspettare»
Ma qualcosa c’è che invece non può aspettare, così, quando finalmente siamo uniti e Russel mi stringe fin quasi a stritolarmi e dalle sue labbra esce un «Ti amo» appena sussurrato, rallento i miei movimenti sopra di lui e ignorando le sue proteste gli circondo il viso con le mani e, fissando i suoi occhi blu, gli dico «Anch’io» mi concedo giusto un secondo per riprendere un po’ di fiato che fatica a entrarmi nel petto e lo ripeto «Anch’io ti amo, ma questo già lo sai» le sue mani sui miei fianchi si fermano mentre io continuo «Però tu devi promettermi che non mi pentirò mai di amarti, che non mi farai mai del male, in nessun modo. Che non mi volterai mai le spalle. Che se hai deciso di entrare nella mia vita è per rimanerci, anche se sono complicata, anche se ci saranno dei giorni in cui mi chiuderò in un mutismo che per te sarà snervante e incomprensibile. Anche se dovrai svegliarti nel cuore della notte per stringermi tra le braccia perché ho fatto un incubo. Anche se non voglio sposarmi e difficilmente cambierò idea riguardo all’avere dei figli. Anche se…»
«Te lo prometto» arresta il mio sproloquio coprendomi le labbra con le sue «Te lo prometto perché non posso più vivere senza la mia Sirenetta» dice baciandomi tutto il viso, poi si ferma e mi guarda scrutandomi con attenzione «Ma tu devi promettermi che non scapperai e non mi mentirai mai più»
«Nemmeno una bugia piccola piccola?» chiedo fingendomi imbronciata e lui nega con il capo. Sollevo una spalla scrollandola «Potrò almeno omettere qualche particolare se lo riterrò insignificante?»
«Stai mettendo alla prova la mia pazienza?» chiede sollevando un sopracciglio mostrandosi severo.
«Qualcosa del genere» rispondo sfiorandogli il petto lasciva e ricominciando a muovermi.
«Ne sai una più del diavolo» dice accompagnando il mio oscillare con le mani.
«Io sono, il diavolo, ricordi: De Mon»
«Sì sì, ricordo. Ora però non fermarti che se proprio dobbiamo finire al fresco per atti osceni vorrei almeno che succedesse dopo che abbiamo concluso»
«Magari ci mettono in una celle matrimoniale» ridacchio sul suo collo pensando che sono riuscita a distrarlo prima di promettere, perché alcuni fatti recenti ho intenzione di ometterli, non voglio che sappia di Gordon, conoscendolo finirebbe col mettersi nei guai e non posso permetterlo.
Quindi dovrò anche inventarmi qualcosa quando mi chiederà perché l’ho lasciato, visto che gli ho praticamente detto che non l’ho fatto perché vedendo le foto temevo di diventare una presenza costante nelle riviste di pettegolezzi.
Cavolo! Non ne uscirò mai…
Però posso almeno cercare di avvicinarmi il più possibile alla verità.
 
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Mercoledì 15 Agosto 2012
 
«Sì Russel, io ho avuto paura, e non solo per me. Ci sono dei fatti che riguardano la mia famiglia e che non voglio assolutamente che si vengano a sapere, sono cose personali e ancora molto dolorose per tutti noi, quindi quando ho visto quelle foto mi sono spaventata e… e sono scappata»
Okay, credo di essere stata piuttosto convincente, e infatti lui non chiede nient’altro.
Fuori dalla finestra di camera mia sta spuntando l’alba. Non abbiamo chiuso occhio nemmeno per cinque minuti, sembra che pochi giorni di lontananza non ci permettano di smettere di baciarci o toccarci. Almeno è così per me. Averlo di nuovo accanto a me, sopra di me, sotto di me, e pensare che potrebbe essere così per sempre, mi ha messo addosso tanta di quell’adrenalina che forse non riuscirò a dormire per giorni. Gli ho detto ti amo almeno un milione di volte, ogni volta che queste due parole mi salivano dal petto ho lasciato che mi uscissero anche dalle labbra.
«Quindi ancora non hai firmato per il seguito di “Letters from Paris”?» gli chiedo giocherellando con i suoi capelli e lui nega sfregando il viso sul mio seno nudo.
«Quanto… quanto hai pagato le foto?»
Solleva la testa e mi scruta con gli occhi socchiusi «Cosa sta elaborando la tua testolina? Non so perché ma ho la certezza che queste due domande sono in qualche modo collegate tra loro»
Sospiro scocciata, dovrò allenarmi di più per riuscire a nascondergli cosa penso.
«Stavo solo pensando che se le hai pagate molto e se come mi hai detto ti hanno offerto così tanti soldi per fare il film, forse è meglio se lo fai. Anche se…» mi zittisco e sbuffo.
«Anche se?» chiede mettendosi al mio fianco.
«Niente. Fai finta che non ti abbai detto niente» rispondo affondando il viso nel suo collo e chiudendo gli occhi.
«Non sono rimasto al verde, se è questo che ti preoccupa, e la casa è già pagata, un posto dove stare ce l’abbiamo. E ti ho già detto una volta che se non vuoi non lo farò»
«Lascia fare, ormai stai per firmare il contratto, non pensare a quel…»
«Ehi» si allontana e mi solleva il mento «Farò altri film, quindi non è affatto un problema se non farò questo. E poi stavo pensando anch’io di lasciar perdere, non voglio stare tutti quei mesi a Parigi. Almeno che tu non accetti di venire con me»
«Non posso, lo sai già»
«Allora niente film»
«Sei davvero sicuro? Cosa dirà Kevin? E Helen?»
«Kevin lavora per me, non può obbligarmi. E Helen… boh, fatti suoi»
A questo punto posso ritenere vendicata la mia mano, e a dirla tutta mi sento molto più soddisfatta che se l’avessi trascinata per i capelli per tutti e cinque i piani del palazzo di Russel.
Sospiro rannicchiandomi contro il suo petto e chiudo gli occhi ascoltando il suo cuore. Mai in tutta la mia vita mi sono sentita così… libera, sì, libera. Finalmente mi sembra di ricominciare di nuovo a respirare dopo anni di apnea, e tutto grazie a Russel. So che manterrà la promessa. So che posso fidarmi di lui.
Volto appena il capo e guardando la debole luce dell’alba che entra dalla finestra decido di incamminarmi insieme a Russel verso l’uscita del labirinto. E il primo passo lo faccio baciandogli il petto e chiedendogli «Ti va di ascoltare una storia?»
«Certo» risponde con la bocca appoggiata sopra la mia testa.
Respiro forte il suo odore e stingendolo comincio a raccontare «C’era una volta una bambina che amava tanto il suo papà…   
 
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Che dire, ho faticato molto a scriverlo perché ogni dettaglio di questo capitolo ce l’ho in testa da così tanto tempo che in realtà non sono nemmeno molto contenta del risultato. Spero però che a voi sia piaciuto ugualmente.
A questo punto posso garantirvi che la strada di Reb e Russel sarà, se non proprio in discesa, quantomeno in pianura. La storia sta giungendo alla fine, rimane solo un’ultima cosa in sospeso e poi potremo salutarli.
 
*Mi sono sempre scordata di dirvi che la fabbrica ristrutturata e divisa in loft dove abitano Luca e Russel esiste veramente, se siete curiosi di vederla cercate: Vincent Gallo loft Downtown Los Angeles. Mi sono a dir poco innamorata dell’appartamento di questo straordinario uomo, almeno quanto lo sono di lui (non a caso il cugino di Roxy di Disneylan After Dark ha il suo stesso nome).
 
Vi do appuntamento a… boh, non so quando, ma comunque mi vedrete arrivare in compagnia di Jo e Ethan.
 
Baci,
V.17

 

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Capitolo 37
*** Cap. 37 - Close to me - Russel ***


Il capitolo che state per leggere è un pov di Russel. È una specie di EXTRA che non aggiunge nulla alla storia. Mi ero promessa che avrei scritto esclusivamente dal punto di vista di Reb. Però, oggi, ascoltando Close To Me dei The Cure, mi sono improvvisamente calata nei pensieri di Russel non riuscendo a fermarli. Così ho cominciato a scriverli e questo è quello che ne è venuto fuori.
Si riallaccia al precedente in cui Reb inizia a raccontare a Russel di suo padre.
 
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CAP. 37 - CLOSE TO ME
 
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RUSSEL
 
Mentre lei mi parla di suo padre, mi sento sprofondare sempre di più nel letto, appesantito e spinto dal dolore che trapela dalle sue parole, dalle frasi appena sussurrate, cariche di malinconia, rabbia, rassegnazione.
Assaporo l’amarezza di un’infanzia che ha abbandonato la speranza di ritrovare la serenità e la spensieratezza troppo presto. Mi parla di sogni agitati nel letto della sua cameretta, della luce sempre accesa sopra al comodino, della porta che voleva rimanesse sempre aperta perché aveva paura di rimanere sola o di non essere udita se si svegliava all’improvviso per colpa di un incubo, dell’attaccamento morboso per sua madre perché unica fonte concreta di affetto e sostentamento, del perché non riesce ad addormentarsi se non beve un bicchiere di latte caldo prima di coricarsi.
Provo a immaginarla da bambina e vedo una cosetta molto più piccola di come è oggi, che sotto i riccioli e le codine alte sulla testa cerca di nasconde il dolore per non far soffrire ancora di più sua madre, che aspetta il padre facendo la brava, mangiando tutto quello che ha nel piatto, facendo i compiti e mai nessuna bizza, perché l’ultima cosa che le ha detto lui è che non doveva far arrabbiare la mamma.
Finché ha saputo la verità, e allora ha smesso di aspettarlo, ma non di fare la brava bambina perché non voleva essere di peso per sua madre, e per non dover raccontare tutto quanto a chi le chiedeva perché non aveva un padre, ha cominciato a inventare storie. Forse anche perché sentirsi dire la verità a voce alta l’avrebbe costretta ad ammettere con se stessa che suo padre l’aveva abbandonata definitivamente di sua spontanea volontà.
Ho il fiato sempre più corto e mentre la stringo per farle capire che sono qui e darle conforto, mi parla dell’adolescenza che ha risvegliato timori che sembravano sepolti sotto gli spessi strati delle attenzioni familiari. Attenzioni che per anni hanno dissimulato l’assenza di un ingranaggio importante, fondamentale, senza il quale, a un certo punto, è stato inevitabile non riuscire più a far funzionare il meccanismo che ha cominciato a stridere, straziato, e tristemente consapevole di essere guasto alla fine si è fermato completamente. Tutto quanto in lei si è risvegliato di botto. Il dolore era solo assopito, pronto a balzar fuori quando ormai sembrava sconfitto.
Vorrei farle mille domande, chiederle soprattutto perché suo padre si è suicidato, ma da come ha liquidato il discorso, accennando brevemente alla depressione di cui soffriva già da prima che lei nascesse, lascio perdere. Forse, un giorno, se vorrà, sarà lei a parlarmene, quando si sentirà pronta lo farà senza che debba farle nessuna domanda, come è successo oggi.
Una volta mi ha detto che sono come un balsamo per le sue ferite, e pur non capendo appieno le sue parole, in fondo sapevo solo che suo padre era morto e pensavo che si riferisse a quello, ricordo di essermi sentito davvero molto importante per lei, sfido qualunque uomo a non sentirsi un supereroe sentendo la donna che ama che gli confessa una cosa simile, ma ora mi si sta aprendo un quadro ancora più agghiacciante di quello che credevo, e sto comprendendo che per quanto io possa amarla, niente e nessuno potrà mai colmare il vuoto che ha avuto anni per farsi largo in lei e attecchire come erba infestante che cresce in un terreno fertilizzato dai timori e dai dubbi, soffocando tutto quello che c’è di buono intorno.   
Di quanto dolore è impregnato il suo cuore? Ora che so la verità, questi ultimi mesi, il suo comportamento, le fughe, le bugie, la mia testardaggine per averla che si scontrava costantemente con la dura scorza con cui aveva circondato il suo cuore, hanno finalmente un nome: abbandono. Ma non è l’abbandono di un padre che un giorno fa le valigie e sparisce. Quello che mi sta raccontando è l’abbandono di un padre che non le ha lasciato alcuna possibilità di vomitargli addosso la rabbia e il rancore, nemmeno il minuscolo barlume di speranza che un giorno potrà rivederlo e farsi ascoltare da lui. Non potrà mai farsi conoscere o provare a farsi di nuovo amare da lui.
Mi porta l’esempio di quei figli che da adulti cercano i genitori biologici con ostinazione perché vogliono provare a capirli, toccarli, avere la conferma che esistono davvero e sapere cosa si prova a guardarli negli occhi e, soffocando i singhiozzi per impedirsi di cedere e terminare la frase, dice ciò che già immaginavo, e cioè che lei non potrà mai avere questa opportunità perché se suo padre ha fatto quel che ha fatto è proprio perché non riusciva più a specchiarsi nei suoi occhi e in quelli di sua madre e sua sorella cercando in loro la forza per andare avanti e che probabilmente i sensi di colpa hanno fatto tutto il resto.
La premo sul mio petto mentre le sue parole si mescolano alle lacrime che non riesce più a trattenere. Si vergogna, lo capisco da come sfugge al mio sguardo, da come cerca di sdrammatizzare curvando le labbra per abbozzare un sorriso. Ma le sue mani sono chiuse a pugno, la voce le vibra, e in questo momento sento che non è qui con me. È immersa in un passato impossibile da gestire per una bambina, che le ha impedito di fidarsi e lasciarsi andare quando è diventata adulta. 
E la sua paura ora è anche la mia. Sarò capace? Posso davvero arginare i suoi timori? Darle tutto l’amore che merita senza risparmiarmi e tenere però sempre a mente che un mio errore, seppur insignificante, potrebbe allontanarla da me con una velocità disarmante e inarrestabile? Stare con lei è l’unica cosa che desidero, ma non pensavo che mi sarei dovuto addentrare in un terreno tanto scivoloso.
Sono frasi fatte, lo so, ma vorrei davvero potermi far carico del suo dolore, farle scordare tutto quanto e fare di lei la donna più felice al mondo.
Le bacio una tempia, le accarezzo i capelli, so quanto questi piccoli gesti la calmino, non voglio che smetta di raccontare, anche se ogni frase è un cazzotto nello stomaco, un ferro rovente che mi trapassa il petto, un baratro che si apre sempre di più sotto i miei piedi.
Man mano che prosegue mi sento sempre più inadeguato, e mi assale la paura che il mio amore potrebbe non bastare, anche se però so che potrebbe aiutarla a comprendere che non tutti gli uomini sono come suo padre, che non tutti sono incapaci di rispettare gli impegni, le promesse, le persone che amano, e comunque so che aiuterebbe me a sentirmi utile per lei.
Vorrei dirle che io lo farò, che voglio farlo, che non sarò mai né un passo avanti né uno indietro rispetto a lei, che in qualsiasi momento si volterà, mi troverà al suo fianco, perfettamente allineato alla sua esile figura, che le terrò la mano, le accarezzerò la testa ogni volta che si sentirà persa, sola, triste, incompresa, che le cullerò il cuore per farlo battere ancora.
Si asciuga gli occhi, continuando a evitare i miei, poi sospira, e la sua ultima frase é come un colpo che mi fa cadere in ginocchio ansimante «Sono complicata, Russel, e se tutto quello che ti ho detto per te è troppo, se sei spaventato, ti chiedo solo una cosa: cerca di non metterci molto a capire se vuoi davvero stare con me» poi si zittisce, e la sua pausa mi sta uccidendo. Possibile che ancora non abbia capito?
Cerco il suo sguardo, ora lo pretendo, perché se devo convincerla che non ho nessuna intenzione di tirarmi indietro posso farlo solo se mi osserva. Ma prima che possa aprire bocca, assumendo un’espressione grave mi posa una mano sulle labbra, e malgrado i suoi occhi arrossati e stanchi, intravedo in loro la scintilla della sfida che tanto mi piace.
La piccola battagliera che è in lei non trova pace, non vuole proprio arrendersi. Dovrò armarmi fino ai denti per tenerle testa e ottenere la sua completa resa.
Intreccio una mano alla sua e aspetto paziente che ricominci a parlare, resistendo non so come alla tentazione di spronarla. Devo imparare a rispettare i suoi tempi, a incoraggiarla senza però obbligarla, a insegnarle che non serve rimuginarci troppo, che le parole non fanno male quando nascono dal cuore.
Prende tempo, sospirando e cercando un incastro ancora più saldo con la mia mano. Le mie gambe attorno a lei sentono la rigidità del suo corpo, e mi sento perso, la sento così lontana in questo momento. Cazzo, non ora, non mollare. Non chiuderti di nuovo, credici almeno un decimo di quanto ci credo io. Possiamo essere felici, io, tu, possiamo provarci, dobbiamo assolutamente provarci. Però cazzo aiutami. Torna qui con me, vorrei che tu stessi qui vicino a me per sempre. Se ti lasci raggiungere e afferrare ti prometto che non ti lascerò andare via mai più.
«Ehi» dico sollevandole il mento. Non devo forzarla, okay, lo so, ma non la lascerò andare senza averle provate tutte «Ti stai allontanando. Invece vorrei che rimanessi vicino a me, stai qui con me. Non sei obbligata a dirmi niente, lo sai, ma non tagliarmi fuori, non sbattermi la porta in faccia perché temi che io non sarò all’altezza di affrontare il tuo dolore. Partiamo svantaggiati, d’accordo, ma possiamo sostenerci a vicenda. Però tu devi almeno darmi la possibilità di provarci»
Chiude gli occhi, ha le labbra serrate e sembra respirare a fatica, cerco di trattenere la sua mano che scivola fuori dalla mia, ma poi cedo e la libero. La stringo più forte con le gambe avvicinandola a me, finché ricordo quanto sia piccola e fragile, così prima di farle del male mi obbligo a diminuire la forza. Pensando anche che non è intrappolando il suo corpo contro il mio che riuscirò ad averla.
Chiudo gli occhi anch’io, anche se vorrei prenderle le spalle e scuoterla.
Dio, non sono mai stato così paziente in tutta la mia vita come con lei in questi pochi mesi. L’ho sentita scivolare fuori dalle mie mani così tante volte, riuscendo per fortuna a riafferrarla sempre un attimo prima che se ne andasse del tutto, che non dovrei sentirmi così spaventato, dovrei essermi abituato ormai.
Non credo nel colpo di fulmine, e infatti, anche se mi ci è voluto poco tempo, non mi sono innamorato subito di lei, almeno credo, ma fin dalla prima volta che l’ho vista, mentre era immersa in chissà quale pensiero davanti all’ascensore dello showroom, quella curiosità che mi aveva invaghito di lei vedendola in foto, non mi ha lasciato nessuna possibilità di sottrarmi, volevo conoscerla, parlarle, e ogni giorno, ora, attimo, che trascorrevamo insieme, mi incatenava sempre di più a lei. E finché non avrò la certezza che quelle dolci catene saranno abbastanza strette da non darle alcuna possibilità di fuggire, non mi risparmierò in alcun modo, la voglio solo per me, la voglio per sempre al mio fianco.
Quando ieri sera mi ha detto di aver guidato di nuovo per venire da me, se non mi fossi imposto di mantenere un atteggiamento dignitoso perché volevo farle pesare ancora un po’ di avermi lasciato su due piedi, probabilmente mi sarei messo a ballare in mezzo alla strada. Mi è mancata così tanto, ma non era imponendole la mia presenza che l’avrei riavuta. Ho resistito alla tentazione di cercarla, di andare a casa sua o di piombarle all’improvviso in ufficio solo perché sapevo che sarebbe tornata, ho capito che mi ama già da molto prima che lo ammettesse con se stessa. Aveva solo bisogno di tempo per accettarlo. Anche se a volte, no, spesso, mi assaliva la paura che la vita che faccio fosse per lei un ostacolo troppo insormontabile da valicare, allora in quei momenti le mandavo mille messaggi sul telefono, sia di giorno che di notte. Chissà se li ha letti. Forse no, altrimenti me l’avrebbe detto.
Rimango in silenzio, anche se vorrei chiederle come faccia a non rendersi conto di quanto in realtà lei sia forte, perché malgrado il dolore riesce ancora a sorridere, e soprattutto a far sorridere gli altri, è divertente la mia Sirenetta, e quando è di buon umore contagia tutti quelli che le stanno attorno, in quei momenti mi sento davvero molto fortunato di potermi beare della sua allegria. E se dipendesse solo da me vorrei vederla sempre con il sorriso sulle labbra.
Sfiorandole un orecchio con le labbra sussurro «Ti amo, Sirenetta» sperando che servirà a riportarla qui con me, e lei si muove sul mio petto alzando finalmente gli occhi.
«Anch’io» risponde «E anche se sono convinta che l’amore non può bastare, sono altrettanto sicura che solo tu hai le capacità per aiutarmi. E sì, anche io voglio darci una possibilità, in questo momento l’unica cosa che desidero è stare qui vicino a te»
Okay, posso ricominciare a respirare, non sono morto per colpa sua nemmeno questa volta. Anzi, non mi sono mai sentito così vivo come in questo momento. Posso finalmente rilassarmi un po’, manca solo un’ultima cosa per sentirmi totalmente soddisfatto: voglio vederla sorridere e godere per le mie attenzioni.
«Ti sfido» dico assottigliando gli occhi e pizzicandole il fianco nudo.
«Sentiamo» mi sprona accennando un sorriso strafottente. Ha già capito le mie intenzioni, forse anche perché l’ho già stesa sul letto e una mia mano è tra le sue gambe.  
«Scommetto che malgrado questa notte, riuscirò lo stesso a farti avere un altro orgasmo»
«No, aspetta, vuoi dire che per vincere non devo venire?» chiede sollevando la testa di scatto con espressione incredula.
«Esattamente» confermo mentre le allargo le gambe per far posto al mio viso.
«Ma che sfida è?» insiste sostenendosi sui gomiti.
«Beh, puoi sempre decidere che per una volta è meglio perdere» affermo accarezzandole le cosce e provocandole piccoli brividi che già preannunciano la mia vittoria.
«Non succederà mai» risponde per poi serrare le labbra stizzita «E comunque, se voglio posso essere molto silenziosa, e tu non saresti mai in grado di capire se sto venendo o no»
«Mi hai appena dato un’idea, cambio la sfida. Scommetto che non sei capace di venire senza farti uscire dalla bocca almeno un gridolino»
Sorride ruffiana infilando una mano tra i miei capelli, sta per fregarmi, lo sento.
«E se mentre vengo mi sfugge dalle labbra un ti amo? Perdo anche in quel caso? O ti amo è concesso in questa sfida?»
Lo sapevo, mi ha fregato, è furba la Sirenetta, o forse sono io che sono troppo prevedibile.
«Fanculo!» esclamo sollevandole i fianchi dal letto per avvicinarla alla mia bocca «Sfida annullata. Vieni e grida quanto ti pare»
 
**

 
  
 

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Capitolo 38
*** Cap. 38 - Un giorno lontano ***


In questo capitolo faremo un salto temporale di qualche mese, e si svolge in Italia.
Buona lettura.
V.17
 
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CAP. 38 - UN GIORNO LONTANO
 
Un giorno lontano
sorriderò persino,
ma adesso non ci sei più.
 
Domani per caso
confonderò il tuo viso,
ma adesso non ci sei più.
 
Non basta che giuri
che scorderò chi eri,
adesso, adesso ci sei tu,
nei miei occhi adesso ci sei tu,
nelle orecchie adesso ci sei tu…
 
Daniele Silvestri
 
**
 
Giovedì 3 Gennaio 2013 - Milano
 
Questi ultimi giorni sono stati… strani, sì, strani. Russel è il primo uomo che frequento che ho fatto conoscere alla mia famiglia, e con tutta me stessa spero che sarà anche l’ultimo, e non solo perché non desidero stare con nessun altro che non sia lui, ma anche perché è stato piuttosto stressante.
Vederlo gironzolare nella casa in cui sono cresciuta, seduto a tavola con noi il giorno di Natale, dormire abbracciata a lui nel mio letto da una piazza e mezza, mi sembra così… strano.
Non riesco a trovare una parola più adatta di questa.
Le cose tra noi hanno subito un’accelerata improvvisa. Probabilmente anche per il fatto che lui è stato per più di tre mesi a New York, e quindi l’unico modo che avevo per vederlo era andare a trovarlo a casa dei suoi.
Mi è mancato così tanto in quei tre mesi e mezzo, e le poche volte in cui andavo a trovarlo non bastavano mai a saziarmi di lui, anche perché avevamo sempre i suoi familiari attorno.
Suo padre e sua madre mi hanno accolta in casa come se fossi una figlia, per me è stato molto imbarazzante, soprattutto le prime volte, e soprattutto per le battutine che Connie rivolgeva sia a me che a suo fratello, almeno fino a che non sono passata al contrattacco cominciando a sfottere lei e Karen per tutte le loro smancerie. Connie sta facendo sul serio con Karen, le ha addirittura chiesto di trasferirsi da lei inventandosi la scusa che avrebbe bisogno di qualcuno che le desse una mano con le scartoffie della palestra. Karen sta giocando ancora a fare la preziosa, ma so che tra non molto alla Vicky perderemo una valida assistente.  
Ho conosciuto anche Liam, sembra un piccolo ometto, è molto sveglio e sempre allegro, ho intravisto un’ombra di malinconia nei suoi occhi solo il giorno in cui io e Russel siamo partiti per tornare a Los Angeles dopo che erano terminate le riprese del film. So che anche a Russel è dispiaciuto lasciarlo, gli vuole davvero molto bene. In realtà ho capito che gli piace proprio stare con i bambini, è divertente vederlo giocare con Susy, nessuno dei due capisce una sola parola di quello che dice l’altro, ma questo non impedisce loro di trascorrere intere serate distesi a terra nel soggiorno di mia sorella a giocare con le costruzioni facendo case e macchinine ogni giorno più grandi. 
A volte mi capita di pensare che la mia scelta di non avere figli potrebbe spingerlo a lasciarmi, non abbiamo mai affrontato l’argomento, e talvolta mi sale l’ansia perché temo che lui stia solo aspettando che io cambi idea, mentre altre volte mi angoscio perché ho ancora più paura che un giorno cambierò idea davvero, ma che quando lo farò forse sarà troppo tardi.
Anche se cerco di arginare simili pensieri, sempre più spesso mi chiedo come sarebbe, non tanto avere un figlio, ma avere un figlio da lui. E in quei momenti mi sembra di desiderarlo davvero. Una sera, mentre lo guardavo giocare con Susy, per un attimo me lo sono immaginato lì a terra a costruire un fortino assieme a un bambino di tre-quattro anni con gli occhi turchesi come i suoi che rideva mostrando una graziosa fossetta sopra la guancia. Per un attimo ho sorriso da sola come una cretina, ma un attimo dopo sono scattata in piedi alzandomi dal divano e ho detto a tutti che ero stanca e che volevo andare a dormire.
Non so se parlare o meno a Russel di questi miei vaneggiamenti, non vorrei illuderlo, ma diventa ogni giorno più faticoso ricacciare indietro le parole e soffocare simili pensieri.
Forse fino ad oggi ho scacciato l’idea di avere un figlio solo perché non mi ero mai innamorata e non pensavo che avrei mai desiderato trascorrere il resto della mia vita con qualcuno. Mentre ora che so che posso amare davvero e che con Russel ho sorpassato i limiti che mi ero imposta, non vedo più nessun impedimento perché io non possa superarne altri.
 
Anche portarlo con me per le vacanze di Natale è stata una scelta obbligata, e anche se all’inizio tremavo all’idea, adesso sono contentissima di averlo fatto. Avrei preferito aspettare, ma tra poco uscirà il suo film in Europa e in qualche modo i miei familiari avrebbero saputo di noi.
Mia madre non me l’avrebbe mai perdonato, ancora mi rinfaccia di essere venuta a conoscenza della mia relazione con Dario solo a causa del mio incidente. Per lei è stata una doccia fredda scoprire che le tenevo nascosto un rapporto che andava avanti da un anno. Non potevo rifare lo stesso errore.
Ho dovuto anche dire a tutti che forse un giorno verrà fuori la storia di papà, per fortuna non sembravano molto turbati, non almeno quanto lo sono io. Da quando sono uscite le foto di noi due che ci baciavamo per strada, in America i cacciatori di gossip ci stanno già addosso, ma per il momento non sono troppo invadenti. In fondo se quel giorno l’ho baciato davanti casa sua era proprio perché volevo che si sapesse di noi, perché dovevo fargli capire che niente mi terrebbe lontana da lui, nemmeno la mia riluttanza a finire sulla prima pagina di una rivista di pettegolezzi, e qualche volta ci siamo già finiti, con titoli assurdi che dicevano o che ero incinta, o che stavamo per sposarci, o che addirittura ci eravamo già lasciati. Che scrivano pure tutto quello che vogliono, a me non interessa.   
Quando per telefono ho detto a mia madre che sarei venuta a trovarli per le feste insieme a Russel, credo che abbia avuto un mancamento. Ancora non le avevo nemmeno detto che stavamo insieme.
Il secondo mancamento l’ha avuto quando le ho detto che lavoro fa. Russel era ancora in camera mia che dormiva, eravamo arrivati solo la sera prima e non avevamo avuto modo di parlare molto con lei perché eravamo stanchissimi. Mentre preparavo la colazione lei ha cominciato l’interrogatorio: Come vi siete conosciuti? Da quanto state insieme? Perché non mi hai detto che tu e Dario vi eravate lasciati? Quanti anni ha? Fate sul serio? Come si guadagna da vivere?
Dopo che le ho detto come si guadagna da vivere, non mi ha fatto nessun’altra domanda. Probabilmente quelle che voleva ancora farmi se l’è scordate tutte di botto, è rimasta in silenzio seduta su una sedia della cucina dimenticandosi anche di bere il suo caffè. Poi per un paio di giorni ha gravitato attorno a Russel studiandolo, probabilmente pensa che non me ne sia accorta, ma so che stava cercando di capire se lui fa sul serio o no con me. E lei non è certo un tipo da farsi abbindolare facilmente dalle smancerie, e anche se negli ultimi giorni la vedo molto più rilassata con lui, so che continua a non andarle molto a genio che faccia l’attore. Non me l’ha detto apertamente, ma so che pensa che non sia un lavoro serio, e forse incide anche il fatto che non avendo mai visto nessun film con lui, continua a non credere che sia davvero bravo e molto richiesto come invece le ho detto. Probabilmente pensa a lui come ad un attore di soap opera, e che, se un giorno gli sceneggiatori decideranno di far morire il suo personaggio, rimarrà senza lavoro.
In ogni caso, a parte la sua ancora evidente mancanza di entusiasmo per la nostra relazione, mi faccio un sacco di risate con loro due. Lei non sa mezza parola di inglese, ma, gesticolando e a volte irritandosi un po’, cerca lo stesso di farsi capire da lui, che a sua volta, non capendo assolutamente niente di quello che lei gli sta dicendo, cerca continuamente il mio aiuto incitandomi con lo sguardo, ma io invece di tradurre scoppio quasi sempre a ridere in faccia a entrambi. Tranne quando Russel, approfittando proprio del fatto che lei non capisce l’inglese, mentre siamo tutti e tre a tavola, fingendo di chiedermi di passargli una qualsiasi cosa e indicandola, in realtà mi dice cosa mi farà quando saremo a letto. La prima volta, rossa in viso come un peperone, ho sollevato gli occhi di scatto per guardare mia madre, e lei stava sorridendo a Russel compiaciuta per i suoi modi gentili. È proprio un attore con quella sua faccia da schiaffi. Allora io ho sorriso a mia madre, lei ha sorriso ancora a Russel, lui ha sorriso a me, tutti insomma stavamo sorridendo, ma io in realtà stavo solo pensando a come gliel’avrei fatta pagare. Dopo tre o quattro volte che mi faceva questo scherzetto, ho cominciato a chiedere io a lui di passarmi qualcosa, sorridendo e dicendogli cosa gli avrei fatto quando saremo stati da soli in camera mia. Dopo che durante un pranzo si è quasi strozzato con una forchettata di spaghetti, ha smesso di molestarmi, almeno con le parole, peccato per lui che io invece ci ho preso gusto e mi diverto a torturarlo anche la mattina a colazione, mentre lui e mia madre sorseggiano il loro caffè e io inzuppo i biscotti nel latte. Se mia madre sapesse quello che ci diciamo davanti a lei, sicuramente smetterebbe di sorridergli tanto.
Con mia zia Anna invece è stato amore a prima vista. La prima volta che l’ha visto mi ha trascinata lontana da lui e, testuali parole, mi ha chiesto: “Ma dove l’hai trovato quel fustacchione Californiano?” Da quel giorno non fa che ripetere che deve assolutamente venire a trovarci a Los Angeles.
Poi lei per fortuna parla benissimo l’inglese e fanno sempre delle lunghissime chiacchierate assieme. Quando non sono vicina a loro li vedo che mi guardano e sghignazzano, mi sa che se la spassano un mondo a sfottermi. 
 
«Ehi, che fai ancora lì?» chiedo a Russel vedendolo disteso nel mio letto, senza scarpe e con le braccia incrociate sotto la testa «Hai preparato le valige?» nega continuando a osservare il soffitto.
«Forse è meglio se ti sbrighi. Sai che prima di andare in aeroporto voglio passare… sì insomma, te lo ricordi, vero?»
«Certo che me lo ricordo» battendo una mano al suo fianco mi incita a sedermi accanto a lui.  
«Che c’è? Ti piace così tanto la cucina di mia madre che non vuoi più tornare a casa?»
«No. Cioè, sì, mi piace molto come cucina» dice mentre mi siedo sul letto «Però non vedo l’ora di essere a casa per poter fare l’amore con te senza dovermi preoccupare di tua madre che dorme nella camera accanto»
«Stai dicendo che ti sei stancato di giocare al pervertito davanti a lei?» chiedo piegandomi su di lui fino a sfiorargli le labbra con le mie.
«Assolutamente no. Però vorrei poter mettere tutto in pratica senza dovermi tappare la bocca con il cuscino»
Sorrido sulle sue labbra e dopo averlo baciato mi stendo al suo fianco, circondandogli la vita con una gamba.
«Ma c’è anche un altro motivo se non vedo l’ora di essere a Los Angeles»
«E me lo diresti?» chiedo, mentre infila una mano sotto al mio accappatoio per sfiorarmi la schiena.  
«Be’, sì. Penso che prima o poi dovrò dirtelo, anche perché riguarda te» risponde distrattamente.
«Allora dimmelo!» gli ordino impaziente.
Dopo qualche secondo, vedendo che non si decide a dirmelo, gli salgo a cavalcioni sullo stomaco e tra due dita afferro un ciuffetto di peli che esce dallo scollo a V della sua maglia.
«Parla o conoscerai il dolore che proviamo noi donne quando ci facciamo la ceretta» lo minaccio.     
«Non lo faresti mai» mi sfida sollevando un sopracciglio.
«Sei davvero sicuro?» chiedo afferrando meglio il ciuffo di peli chiari e torcendolo un po’.
«No, okay, so che lo faresti. Quindi molla prima che qualcuno si faccia male» supplica afferrandomi i polsi.
«Prima che tu, ti faccia male» puntualizzo, allentando poi le dita per liberargli i peli «Ora però parla, prima che cambio idea e decida di farti sapere quanto è doloroso depilarsi l’inguine»
Solleva le mani per farmi capire che si è arreso e finalmente inizia a parlare «Stavo pensando che quando arriviamo, dopo esserci riposati un po’, potremo portare un po’ di roba tua a casa mia»
«A casa tua c’è già un po’ di roba mia» gli ricordo.
«Sì, ma solo qualche vestito che ti serve per andare a lavoro quando rimani a dormire da me»
«Be’, è tutto quello che mi serve» ribatto, e lui sospirando solleva gli occhi esasperato.
«È assurdo continuare a stare un po’ da me e un po’ da te. E poi il mio appartamento è più vicino allo showroom, sarebbe più comodo anche per te se ti trasferissi definitivamente a casa mia»
Lo osservo corrucciando la fronte mentre lui sembra spazientito perché me ne sto zitta invece di rispondergli.
«Allora? Che ne pensi?» chiede sollevando un po’ i fianchi per scuotermi.
«Mi stavo chiedendo com’è che in una manciata di secondi sei passato dal portiamo un po’ di roba tua da me, al vieni a vivere a casa mia»
Sorride divertito scuotendo il capo «In realtà puntavo fin dall’inizio di chiederti di venire a stare da me, ho solo pensato che prendendola un po’ alla larga ti saresti spaventata meno»
«Non mi spavento di certo per così poco» minimizzo sollevando un po’ il mento e distogliendo lo sguardo per osservare il muro.
«Quindi verrai a stare da me» afferma pizzicandomi un fianco per attirare la mia attenzione.
«Devo pensarci»
«Hai paura»
«No, è che tu sei troppo disordinato»
«E tu invece sei troppo pignola»
«E poi il tuo frigo è sempre vuoto»
«Andremo a fare la spesa insieme o ordineremo la pizza tutte le sere»
«Devo pensarci» ripeto.
«Quanto?»
«Almeno…» mi picchietto un dito sulle labbra guardandogli il petto «Almeno… un paio di secondi. Okay, ci sto»
«Crudelia che non sei altro. Ti divertivi a tenermi sulle spine» dice gettandomi di lato sul letto.
«Forse. E comunque ho accettato solo perché mi piace il tuo loft. È così grande e luminoso»
«Non è vero, tu hai accettato perché mi ami e non puoi più stare senza di me»
«E tu come fai a saperlo?» chiedo appoggiandomi su un gomito e sollevando le sopracciglia per fingermi stupita.
«Lo so perché me l’hai detto anche stanotte» risponde slacciandomi la cintura dell’accappatoio.
«Tra quanto torna tua madre?» chiede lanciandosi sul mio seno.
«È uscita mezz’ora fa. Per andare da mia sorella, prendere Susy e tornare… penso che abbiamo almeno tre quarti d’ora»
«Perfetto» afferma, poi mi bacia mentre si sbottona in fretta i jeans.
 
**
 
Avevo giurato a me stessa molti anni fa che non sarei mai venuta qui, ma in questi ultimi mesi mi sono rimangiata tante di quelle promesse che mi ero fatta che non sono nemmeno più così certa di averci creduto davvero.
La ghiaia ghiacciata scricchiola ad ogni mio passo, stringo la gerbera gialla tra le dita e premo il cappotto contro il petto mentre continuo a seguire la mappa che ho stampata in testa da anni.
È la prima volta che entro in questo cimitero, ma ho sempre saputo dove avrei dovuto svoltare e dove guardare per trovare la tomba che sto cercando.
L’odore dei fiori freschi non riesce a coprire del tutto quello dei gambi marci in alcuni vasi, il fetore è talmente pungente che non posso fare a meno di arricciare il naso. I cimiteri mi danno la nausea, questi visi quasi tutti sorridenti sopra le lapidi sono un tale contrasto con la desolazione dell’ambiente e i volti tristi di chi li osserva. In luoghi come questo sembra che il tempo si sia fermato, che la frenesia, gli impegni, tutto ciò che fa parte del quotidiano di noi vivi non sia di nessuna utilità. Ci affanniamo tanto a cercare un po’ di tranquillità, e alla fine la troviamo solo quando ci chiudono in una bara, gettandoci qualche metro di terra sopra la testa e lasciandoci in un posto dove i fiori che marciscono dentro ai vasi appestano l’aria.
Sapevo che entrando qui dentro il buon umore che avevo accumulato in questi giorni si sarebbe dissolto, ma sono venuta lo stesso, ma solo ora che sto osservando la tomba di mio padre so perché questa mattina ho deciso di venire.
 
Non mi metterò a piangere o disperarmi per come sono andate o dovevano andare le cose. Sono qui solo per dirti addio. Per liberarmi di te, una volta per tutte. Non riesco a perdonarti per quello che hai fatto, non ci riuscirò mai, ma posso provare a perdonare me stessa perché ero solo una bambina e non potevo né capire che stavi male né quello che avevi intenzione di fare. 
Anche tu sorridi in quella fotografia, lo ricordo bene il tuo sorriso, avevi quel canino leggermente sporgente, ricordo come mi pizzicava quando ti divertivi a mordicchiami se tornavi dal lavoro e non era ancora pronta la cena, e io ridevo con te mentre fingevi di mangiarmi il braccio perché dicevi di essere “taaanto affamaaato, affamato come il lupo di Cappuccetto Rosso”. 
Vorrei davvero smettere di immaginarti morto dentro la tua auto e ricordare solo il tuo sorriso e le tue risate. 
Ridevo sempre tanto con te, e anche tu ridevi con me, e allora non capisco, continuo a non capire.   
Osservando Camilla con il suo pancione, suo marito e Susy in questi giorni di festa, ho capito che solo un dolore così immenso da far sentire già morto dentro potrebbe spingere un genitore fino a rinunciare a veder crescere i propri figli.
E tu un dolore così insopportabile lo conoscevi bene, e dopo tanti anni hai deciso di non volerci convivere più.    
Non mi sono mai soffermata a pensare cosa provavi tu, sono sempre stata troppo impegnata a rimuginare al modo in cui mi avevi lasciata, ero talmente imbrigliata nel mio dolore che non riuscivo a mettere da parte l’odio neanche per un solo istante per cercare di comprenderti. 
Però vorrei provarci, da un po’ di tempo comincio a pensare che forse se mi impegno di più potrei riuscire a capirti.
So cosa ti ha spinto, lo so da tutta la vita, e so anche che hai finto per sette lunghi anni che il senso di colpa non ti stesse logorando l’anima. So che non sei più riuscito ad andare avanti perché non avresti mai visto crescere uno dei tuoi tre figli, e so anche che hai finto che in realtà non maledivi te stesso ogni giorno per una stupida distrazione, per quella porta lasciata aperta mentre scendevi in strada perché avevi scordato in auto il regalo per un fratello che non ho nemmeno mai conosciuto. Non posso nemmeno immaginare cosa puoi aver provato a vedere l’auto che lo investiva davanti ai tuoi occhi, ma sono sicura che il tuo cuore si sia fermato nel momento esatto in cui si è fermato il suo sopra l’asfalto. 
Come so che si è fermato il mio quando ho capito che non ti avrei più rivisto, che non mi avresti più scaldato il latte la sera, che non ti saresti più disteso accanto a me nel mio letto per leggermi una favola mentre mi accarezzavi i capelli, quando ho capito che non ti avrei più potuto raccontare cosa avevo fatto all’asilo. 
Tu lo amavi, e se quel maledetto giorno avessi chiuso la porta invece di accostarla solamente, non ti avrebbe seguito in strada. Però poi sono nata io, è nata Camilla, lui non c’era più ma c’eravamo noi. E noi avevamo bisogno di te. Io avevo un disperato bisogno di te.  
Ma malgrado tutto, forse adesso riesco a capire il tuo dolore, solo ora che amo così tanto Russel che il solo pensiero di perderlo mi rende incapace di ragionare per qualche istante, e non solo perché oggi è lui che mi prepara il latte caldo, che mi accarezza la testa prima di addormentarmi e che mi chiede cosa ho fatto durante la giornata, ma soprattutto perché con lui ho ricominciato a sperare, a desiderare, a vivere.
Anche sapere che voi due non vi conoscerete mai è una piccola cicatrice, sai. A Natale eravamo tutti insieme a casa di mamma, mancavi solo tu, ma sono sicura che con Russel accanto mi mancherai sempre meno, non sarei qui se lui non fosse già riuscito ad alleggerire almeno in parte il mio cuore dai brutti ricordi. Certo, alcuni rimarranno, e quasi sicuramente saranno anche i più dolorosi, quelli che per quanti colpi di spugna tu cerchi di dare, se ne staranno sempre lì come una macchia ormai indelebile, ma non mi impediranno più di prendermi delle responsabilità nei confronti di un uomo che mi ama e che amo, né di affidarmi completamente a lui. 
Forse sono qui proprio perché voglio che tu sappia che ho accanto un uomo che con una semplicità disarmante è riuscito a sgretolare il muro che avevo eretto intorno a me dopo la tua morte. Forse perché vorrei alleggerire un po’ anche il tuo cuore facendoti sapere che ormai riesco a muovermi piuttosto agevolmente sopra alle macerie che sono rimaste, non cado più e non mi sbuccio più le ginocchia, sono diventata un’equilibrista che saltella da una pietra all’altra con agilità. 
Però, sappi che un pochino ti odierò sempre, mai quanto ti ho amato, ma un po’ di odio nei tuoi confronti ci sarà sempre, è un mio diritto. Lasciami almeno quello. 
 
«Credo… credo di averti detto tutto, o forse no, ma non fa niente, in ogni caso so dove trovarti, e so anche che non serve che venga fin qui se mi verrà in mente qualcos’altro. Ora… ora devo andare»
Sono proprio un’idiota, mi sento in imbarazzo davanti alla tomba di mio padre. Non mi sono mai concessa di immaginarmi in una situazione simile, ed ora posso dire che è stato molto più facile di quello che pensavo, forse perché questo era semplicemente il momento giusto.
Stringo il fiore e mi concentro soltanto sulla sua fotografia. Fa male guardarla, ma mi impongo di farlo perché vorrei portare con me solo il ricordo del suo viso allegro.
«Non so nemmeno qual era il tuo fiore preferito, quindi ti ho portato quello che preferisco io, spero che ti piacerà»
Un po’ titubante faccio un passo e con movimenti impacciati inserisco la gerbera al centro del mazzolino di fiori appena un po’ appassiti.
«Spero solo che tu sia riuscito a trovare la pace che cercavi. Addio, papà»
 
Mi volto e faccio a ritroso il vialetto che mi porterà fuori dal cancello di questo cimitero, sapendo che non ci metterò mai più piede.
Appoggiato al taxi, con le braccia incrociate, Russel mi sta aspettando. Solo lui sa che sono venuta qui, non volevo nessuno dei miei familiari con me, e malgrado le loro proteste perché volevano accompagnarci in aeroporto sono riuscita a spuntarla. Era una cosa che dovevo fare da sola, mi bastava sapere che Russel sarebbe stato a pochi metri da me.
Non dice niente, allarga le braccia e io affondo il viso nel suo piumino. Sono riuscita a trattenere le lacrime fino ad ora, ma abbracciata a lui sembrano non volersi fermare più, vorrei smettere di singhiozzare e dirgli tutto quello che mi sta passando per la testa in questo momento, ma so anche che non ce n’è affatto bisogno perché lui già lo sa. Ormai lui sa tutto di me, ed è così liberatorio sapere di non dovergli più spiegare niente.
Sciolgo l’abbraccio e mi asciugo gli occhi con le mani «Possiamo andare» dico guardando a terra mentre cerco un fazzoletto nelle tasche del cappotto.
Mi circonda le spalle con un braccio e baciandomi la fronte apre lo sportello del taxi «Okay. Torniamo a casa»
Mentre mi accomodo sul sedile per abbracciare meglio Russel, mi torna in mente la risposta che mi dette quando gli chiesi perché aveva pensato che Dario fosse così furioso con me da arrivare addirittura a picchiarmi, con una scrollata di spalle e l’espressione più ovvia che gli ho mai visto fare, disse semplicemente: “Perché io mi preoccupo sempre per te”.
Quello è stato il momento esatto in cui ho capito che desideravo stare con lui per tutta la vita, e anche quello in cui ho realizzato che forse, un giorno, un giorno lontano, sarei riuscita a gettarmi tutti i brutti ricordi dietro alle spalle e guardare solo avanti.  
 
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Vi confesso che sono piuttosto emozionata. Questo è il penultimo capitolo, e dopo più di un anno che mi diletto a scrivere di Reb e Russel mi sembra di stare per dire addio a due amici che amo tantissimo. Questo è anche il motivo per cui ci ho messo così tanto prima di decidermi a scriverlo. Io sono di quelle un po’ folli che quando stanno per terminare di leggere un libro, se mi è piaciuto tanto, lo lascio sul comodino anche per dei mesi prima di riprenderlo in mano per leggere le ultime pagine, mi affeziono ai personaggi, che ci volete fare.
Comunque, per chi ancora non lo sa, li ritroveremo nella storia che ho intenzione di scrivere con protagonista Luca.
Ora vi saluto, ma per l’ultimo capitolo, che sarà un altro pov di Russel, intanto ascoltatevi la canzone dei KISS che ho scelto per il titolo: I was made for loving you.
 
Ringrazio davvero tutti quelli che leggono, non m’importa come, sapere che ci siete è confortante e stimolante al tempo stesso.
 
Un bacio,
V.17

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PICCOLO… SPAZIO… PUBBLICITÀ…
 
SEX LIST

Questa sarà una raccolta di one shot ispirata al film SEX LIST - OMICIDIO A TRE.
Ho rubato l’idea del club che tramite una semplice telefonata smista a caso le richieste di incontri al buio tra gli iscritti. Ogni capitolo avrà due protagonisti diversi, che ancora non sono sicura, ma probabilmente non saranno solo di sesso opposto, che si incontreranno solo per fare sesso e solo un’unica volta.  

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Capitolo 39
*** Cap. 39 - Penso positivo ***


Nel precedente capitolo vi avevo scritto che ne mancava solo uno prima di dover salutare Reb e Russel, beh, spero di farvi cosa gradita dicendo che invece ne manca un altro, e che quindi il penultimo è questo. Tra l’altro è anche bello lungo e pieno di sorprese.
Buona lettura,
V.17
 
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CAP. 39 - PENSO POSITIVO
 
Uscire dal metro quadro
dove ogni cosa sembra dovuta,
guardare dentro alle cose
c’è una realtà sconosciuta,
che chiede soltanto un modo
per venir fuori a veder le stelle
e vivere l’esperienze sulla mia pelle,
sulla mia pelle.
 
Jovanotti
 
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Sabato 16 Febbraio 2013
 
«Piantala e stai fermo se non vuoi che ti buco» rimprovero Russel anche con lo sguardo, perché smetta di tirarmi i capelli che ho raccolto in una treccia che mi ha tirato in avanti su una spalla e, mostrandogli minacciosa quanto è appuntita la spilla che tengo in mano, lo osservo spazientita sollevando un sopracciglio, attendendo che si decida a star fermo.
«Okay» finalmente si arrende e scatta sull’attenti. Il tintinnio degli speroni allacciati agli stivali che indossa, mi provoca un brivido alla nuca che mi costringe a socchiudere impercettibilmente gli occhi per ritrovare la concentrazione necessaria, perché anche se ciò che devo fare è decisamente semplice, fin da quando ho cominciato a guardare i maschietti non più come compagni di giochi infantili, ho sempre associato questo suono a vagonate di testosterone che si riversano su di me sommergendomi totalmente e azzerando la mia capacità di concludere un solo pensiero sensato. Questo è forse il vero motivo per cui amo così tanto i film western, ma mi vedrò bene dal confessarlo a Russel, perché, geloso com’è, rischierei di veder sparire in un batter d’occhio la mia amatissima collezione di dvd (per primo, probabilmente, il cofanetto di tutta la raccolta di quelli con Clint Eastwood), e non soddisfatto, sono sicura che cancellerebbe anche la sintonizzazione dei due canali a pagamento che trasmettono western ventiquattro ore su ventiquattro. In poche parole: non mi permetterebbe di vedere un solo film di quel genere per tutto il resto della mia vita. E piuttosto che rinunciare alla mia dose di virili maschi a cavallo armati di pistole e fucili, con le labbra talvolta serrate attorno a un sigaro, magari che si sfidano a duello su strade polverose, lanciandosi occhiate infuocate, sarei anche disposta a farmi tagliare un braccio.    
Cerco con tutta me stessa di ignorare il brusio che ho in testa e che mi confonde, così come l’ennesimo brivido che è solo uno dei tanti che mi sta attraversando la schiena fin da quando Russel è sceso dalle scale con addosso il costume da sceriffo che gli ho fatto confezionare, e che finalmente ho potuto vedere su di lui. Non mi sbagliavo, sapevo che sarebbe stato un perfetto, sexy, affascinante, sceriffo del Far West.
«Dai, sbrigati ad appuntarmi quella spilla o faremo tardi. Non vorrai arrivare in ritardo proprio tu che hai avuto l’idea di fare questa festa in maschera?» mi incita, ridacchiando e tirandomi ancora la treccia.
Già, e se non fossi riuscita a convincere Luca, forse sarei stata disposta anche a proporti una serata un po’ diversa, ma è molto meglio così, almeno posso godere di te e di tutto il testosterone che trasuda da ogni tuo poro, mantenendo comunque integra la mia dignità.
Lo ammonisco con lo sguardo e, sistemandomi la lunga treccia dietro la schiena, afferro il suo gilet di pelle strattonandolo «Appuntarti la spilla è una specie di rito per me. Quindi fai la persona seria, almeno per un minuto»
Sono mesi che desidero farlo, non può rovinarmi questo momento proprio adesso, continuando incessantemente a sfottermi per l’abito che ho scelto di indossare.
Mi sistemo le pistole sui fianchi, perché il cinturone pesante continua a spostarsi a ogni mio movimento, e, pizzicando la lingua tra i denti, stringo in una mano il gilet «Stai fermo, o rischio di bucarti, e se dovesse succedere finiresti per sgonfiati, pallone gonfiato»
«Non è colpa mia se vestito così sono un gran figo» ribatte, sollevando il petto e infilando i pollici nel suo cinturone.
Sto per rispondergli che non lo sarà mai quanto Clint, anche se io e i miei ormoni, che stanno facendo la ola ininterrottamente fin da quando ho sentito gli speroni mentre scendeva di sotto, non la pensiamo affatto così, ma intercettando il mio sguardo critico mi anticipa affrettandosi ad aggiungere «E non negarlo, so perfettamente che effetto ti faccio vestito così» e accompagna le parole con una presa salda alla mia nuca scoperta, per bloccarmi e baciarmi fino a rubarmi il respiro. Il sospiro che faccio sulle sue labbra, quando si stacca raddrizzando la schiena per rimettersi sull’attenti, mi tradisce ancora una volta, dimostrandogli che ha ragione. Ormai è un dato di fatto che non riesco a nascondergli praticamente niente di quello che provo.
Sbuffo scocciata per il suo sguardo spavaldo che mi rimescola lo stomaco, nonché il basso ventre, e, schiarendomi la voce, foro la pelle del sue gilet con la spilla «Dovresti sentirti onorato di essere insignito del titolo di sceriffo della Contea di Little Mermaid» dico, leggendo la scritta sopra la stella dorata mentre chiudo il gancetto. Perfetto, ora è davvero perfetto, penso sollevando gli occhi per guardarlo, mentre si cala un altro po’ il cappello da cowboy in testa.
Certo, che ora che il suo costume è completo, chi ha più voglia di uscire. Lo sapevo che vestito così sarebbe stato da urlo. Se non avessi stressato Luca per giorni per convincerlo che doveva dare una festa in maschera al club, e solo perché volevo una valida scusa per poter vedere Russel vestito così, insistendo soprattutto sul fatto che se fossimo stati a Milano, saremmo andati sicuramente insieme da qualche parte per festeggiare l’ultimo giorno di carnevale, questa sera la farei sparire io la chiave di casa, mi si è diffuso un tale calore addosso che sarei in grado di fonderla stringendola in una mano, così saremmo costretti, per modo di dire, a rimanercene qui dentro finché a qualcuno che non si fa gli affari propri non venga l’idea di chiamare i pompieri per sfondare la porta e verificare se siamo vivi o morti. Io forse viva non lo sarei, non dopo giorni e giorni di sesso con lui, soprattutto non dopo averlo visto vestito da sceriffo. Se sono sopravvissuta la settimana in cui ce ne siamo stati chiusi in casa dopo che aveva terminato le riprese del film a New York, questa volta mi darebbe il colpo di grazia, perché sarà anche vero che ne sono uscita viva, ma solo per miracolo, e comunque mi ci sono voluti altrettanti giorni per riprendermi del tutto.
Deglutisco, osservando i suoi occhi blu che ammiccano maliziosi sotto al cappello perché sicuramente ha captato i miei pensieri e, dandomi un contegno, mi consolo ripetendomi ancora una volta che tra qualche ora potrò aspettarlo a letto dopo che gli avrò ordinato di salire in camera con solo il cappello e il cinturone addosso.
Cercando di stemperare i bollenti spiriti, sfioro con i polpastrelli la stella «Sei stato carino a farci scrivere Contea di Little Mermaid»
«E tu saresti stata molto carina vestita da Sirenetta» dice stringendomi la vita e sollevandomi da terra. Incliniamo entrambi il viso e ci baciamo sotto al suo cappello. Ed ecco un altro brivido, chissà quanti saranno quelli che attraverseranno il mio corpo prima della fine di questa serata.
«Il vestito da Sirenetta sarebbe stato troppo stretto e scomodo, così posso muovermi meglio, anche perché stasera ho voglia di ballare, soprattutto con un certo sceriffo» dico, circondandogli il collo mentre gli faccio l’occhiolino.
«Allora potevi vestirti da Crudelia»
«Beh, sarebbe stato divertente, ma purtroppo non sono riuscita a trovare novantanove cuccioli di dalmata per farmi una pelliccia per stasera» ironizzo «E poi volevo due pistole anch’io»
«Oh, ma io ti batto, perché ne ho tre» risponde, strizzandomi il sedere con una mano e premendo contro di me la… ehm… terza pistola.
«È carica» affermo dopo una veloce verifica.
«Carica e pronta a sparare» risponde a bassa voce.
«Beh, Mister Colt, mi dispiace ma dovrai aspettare un po’ prima di poter premere il grilletto, perché dobbiamo andare» dico, non riuscendo a nascondere del tutto la delusione che leggo anche sul suo viso.
«Quindi sei assolutamente convinta di uscire vestita cosi?»
Sospiro esasperata e appoggio la fronte contro la sua spalla «Ti prego, non puoi avermelo chiesto davvero un’altra volta. Credo che questa sia almeno la quarta da quando mi sono vestita»
«Beh, vestita mi sembra una parola grossa»
«Oddio, Russel, ti prego. Non puoi essere così petulante a causa di un semplice paio di shorts»
«A causa di un semplice e praticamente inesistente paio di shorts, vorrai dire»
«Per quanto ancora pensi di stressarmi perché ho scelto di vestirmi da Lara Croft?»
«Fino a che non ti deciderai a metterti dei pantaloni lunghi, e magari anche una maglia larga con le maniche»
Mi divincolo tra le sue braccia e lui mi mette a terra.
«Con Luca abbiamo pensato che sarebbe stato divertente venire alla festa io vestita da Lara Croft e lui da Ezio Auditore» rispondo scrollando le spalle mentre mi osservo. Ci siamo divertiti così tanto a scegliere le foto su internet e a fare le prove a lavoro, ed entrambi siamo assolutamente soddisfatti del risultato. Solo un cocciuto uomo delle caverne come Russel non può capire quanto impegno ci abbiamo messo sia io che Luca per far confezionare in tempo record, non solo il suo e i nostri costumi, ma anche quelli di tutti i nostri amici.
«Avrei preferito il contrario, così invece di avere addosso solo quel top e gli shorts, ora saresti coperta da capo a piedi dal mantello»  
«A proposito di pistole» cerco di cambiare discorso, sapendo perfettamente che se non lo distraggo, continuerebbe a ribattere fino a farmi passare la voglia di uscire vestita così «Sai che la Colt è una rivoltella a sei colpi?» chiedo con aria saccente, indicando le due pistole finte ai suoi fianchi «Quindi, facendo un rapido calcolo, sei per due fa dodici. Ben dodici colpi» dico, sgranando gli occhi per fargli capire che sott’intendo tutt’altri colpi. E lui, sorridendomi ironico, afferra al volo il vero significato della mia frase.
«Sì» risponde, poi apre la porta di casa e mi indica di uscire, dopo avermi affiancata la richiude e mi prende una mano «Però ti sei sbagliata» aggiunge, mentre camminiamo nel corridoio. Lo guardo dubbiosa, non capendo cosa posso aver detto di sbagliato, perché sono assolutamente certa, sia che una Colt è una pistola a sei colpi, e ancora di più che due per sei fa dodici.
«Cosa avrei sbagliato?» chiedo, premendo il pulsante dell’ascensore.
Da dietro si china a sussurrami all’orecchio «Ti sei scordata di una pistola. Quindi i colpi sono diciotto»
Scoppio a ridere «Non ti starai sopravvalutando troppo?» chiedo voltandomi a guardarlo, mentre la porta dell’ascensore si sta aprendo «Già dodici sono una quantità di colpi improponibile, ma diciotto è assolutamente impossibile. Anche per te» sottolineo.
Solleva un sopracciglio e, con un’abile mossa da pistolero navigato, abbassa il cappello sorpassandomi e entrando in ascensore. Senza che riesca a impedirlo, i miei occhi scendono subito a guardargli il sedere, che pur considerandolo al pari di un’opera d’arte fin dalla prima volta che mi sono concessa di osservare attentamente, mai come adesso ho desiderato così tanto di afferrarlo e stringerlo tra le mani, perché è fasciato dai pantaloni in pelle nera che barando sulle sue misure ho fatto confezionare leggermente più stretti del necessario, tanto che mentre li indossava l’ho sentito lamentarsi non poco dal piano di sopra, mi ha anche gridato che doveva esserci qualche errore perché gli tiravano troppo sul davanti, e io, guardando verso l’alto, e sentendo le gambe molli mentre già mi pregustavo il momento in cui l’avrei visto scendere da là sopra, gli ho gridato, mentendo spudoratamente, che dopo averli portati un po’ si sarebbero allentati. Ho barato anche sulle misure del suo torace, così anche la camicia nera gli sta incollata addosso come una seconda pelle.
Rimango immobile osservandolo da capo a piedi, compiacendomi con me stessa per l’effetto ottenuto dall’insieme del suo abbigliamento, e anche perché so che quello che è nascosto sotto ai suoi vestiti, beh, per la verità non molto nascosto, è tutto quanto solo mio.
Che le altre si riempiano pure gli occhi di tutto questo ben di dio stasera, io tanto posso riempirmene anche le mani… la bocca… e…
Il sorriso mi sparisce immediatamente dalle labbra, mentre lui appoggia la schiena contro la parete di fronte a me, stringendo tra le mani la piccola sbarra in metallo su cui ha poggiato il sedere e spingendo in alto le spalle, la sua postura e lo sguardo da duro mi fanno capire che si è già calato nella parte che gli ho assegnato appuntandogli quella spilla. Deglutisco passandomi poi la lingua sopra le labbra.
«Allora? Hai paura anche a entrare in ascensore con me?» chiede incrociando le braccia e sollevando un piede per appoggiarlo dietro di sé, facendo tintinnare inevitabilmente gli speroni.
Mi sono fregata da sola, stanotte sarò io a fondermi nel suo letto.
«Dai, Lara Croft tascabile, non temere, te li terrò lontani io i cattivi… brandendo le mie pistole» mi strizza un occhio, porgendomi una mano per farmi entrare.
«Non lo metto in dubbio» rispondo, intrecciando le dita con le sue e mettendomi al suo fianco «Ma chi mi proteggerà da te?» chiedo, premendo il pulsante del piano terra.
«Nessuno che sia abbastanza sano di mente da non avvicinarsi a te stasera, ma visto che purtroppo per me di idioti ce ne sono anche troppi, rassegnati, perché ti starò appiccicato per tutto il tempo che staremo alla festa»
Gli sorrido, e mettendomi tra le sue gambe gli afferro il gilet per farlo chinare su di me per poterlo baciare, pensando che non sarà certo un problema averlo addosso per le prossime ore, spero solo che farà altrettanto questa notte.
 
Il club è un tripudio di costumi di tutti i generi, ma i più belli di tutti sono quelli che abbiamo fatto fare io e Luca. Sapevo che Meg sarebbe stata una splendida Wonder Woman e Brian un perfetto Jack Sparrow, appena li ho visti, avrei voluto far notare a Russel che lei è molto più scoperta di me, e che Brian non sembra affatto turbato per tutti gli occhi che sono perennemente puntati sulla scollatura o sulle lunghissime gambe della sua ragazza, ma ho preferito starmene zitta perché non volevo ricominciare a discutere con lui. Anche Karen sta benissimo, e poi sembra davvero una bambina vestita da Alice nel paese delle meraviglie, mentre Connie, anche se la sua tuta è semplicissima, con i capelli legati sulla nuca e il suo fisico, sembra nata per interpretare Eva Kant. Anche Peter, con il suo aspetto mingherlino, è un azzeccatissimo Edward mani di forbice, e Matt un compostissimo Albus Silente, anche se non fa che lamentarsi perché la barba gli fa il solletico. George invece quasi spaventa nelle vesti di Hulk Hogan, ho il sospetto che abbia scelto il noto campione di wrestling, oltre che per poter mettere in mostra il suo fisico palestrato, soprattutto perché poteva legarsi in testa la bandana e fingere almeno per una sera di avere ancora i capelli, anche se sono bianchi, e penso che vada anche molto fiero di quei buffissimi baffoni. Mentre Hanna e Tracy mi hanno fatto gridare dallo spavento quando mi si sono presentate di fronte, con i loro vestitini azzurri, il fiocco rosa in vita e i capelli appuntati da un lato con una molletta, tenendosi per mano e identiche alle gemelle del film Shining, erano anche perfettamente sincronizzate quando mi hanno chiesto: “Ciao Rebecca, vieni a giocare con noi? Vieni a giocare con noi, Rebecca? Per sempre… per sempre… per sempre… “ Quelle delinquenti, è tutta la sera che se ne vanno a giro mano nella mano, ripetendo sempre la stessa frase e terrorizzando tutti quanti.
Luca invece non l’ho praticamente visto, cioè, l’ho visto, ma non in faccia, perché continua a nascondersi sotto al cappuccio, mentre si muove furtivamente per tutto il locale. Ti appare e scompare all’improvviso alle spalle come se fosse davvero Ezio Auditore. Comincio sul serio a pensare che non crescerà mai.
 
Mi allontano dalle ragazze con cui sto ballando e vado alla ricerca di Russel che poco fa è andato a prendermi un gin tonic. Guardandolo di spalle mentre è appoggiato al bancone, mi mordo un labbro, e, continuando ad avvicinarmi a lui, faccio dondolare le pistole sui fianchi al ritmo della canzone Come Out and Play degli Offspring, che però, guardandogli il sedere, nella mia testa viene sostituita in fretta da SexyBack di Timberlake, che comincio anche a canticchiare a denti stretti.
Continuo ad avanzare lentamente, finché, quando sono a un paio di metri da Russel, che sta chiacchierando con Brian, alias Jack Sparrow, che è alla sua destra, mi blocco, perché invece a sinistra, seduta su uno sgabello, con le gambe accavallate e una cannuccia tra i denti, c’è una Marilyn Monroe che sembra gradire almeno quanto me il fondo schiena del mio uomo. E non è nemmeno la prima volta che la vedo gironzolargli attorno stasera, tra l’altro non è la sola che ha sbavato sopra ai suoi stivali trovandoselo di fronte, ma sicuramente quella che mi infastidisce di più, forse a causa del suo abito bianco svolazzante e piuttosto scollato sul davanti. Okay, Marilyn, la legittima proprietaria è tornata, quindi mi dispiace per te ma sono finiti i giochi, stasera hai decisamente messo gli occhi addosso all’uomo sbagliato.
Circondando la vita di Russel con un braccio, mi metto tra lui e Brian «Il mio gin tonic?» chiedo sorridendo a entrambi.
«Eccolo!» Robert lascia il mio bicchiere sul bancone sorridendo e si allontana in fretta per servire altri clienti.
«Meg dov’è? Sta ancora ballando?» mi chiede Brian, facendo svolazzare le treccine mentre si volta per guardare verso la pista.
«Credo che siano già salite in terrazza, volevano andare a sedersi un po’» gli rispondo, portandomi alle labbra il bicchiere e dando poi una lunga sorsata. Oh, Robert, tu si che sai preparare un gin tonic come si deve, e soprattutto come piace a me: tanto gin e poco tonic.
«Salgo anch’io» dice Brian e, dopo averci salutato sollevando il cappello, si allontana. Anche lui sembra essersi completamente calato nei panni di Sparrow. Oh beh, ogni tanto fa bene a tutti tornare un po’ bambini.
«E tu, non ne hai abbastanza di ballare stasera?» mi chiede Russel, circondandomi le spalle con un braccio.
Nego con il capo mentre sto bevendo, poi lascio il bicchiere vuoto sul bancone e guardo alle sue spalle. Marilyn è sempre lì, che imperterrita continua a squadrarlo da capo a piedi.
Sorrido a Russel, sollevando gli occhi su di lui «No, anche perché ancora non ho ballato con il mio sceriffo preferito» mentre termino la frase, sposto la mano dal fianco di Russel, e posandola sul suo sedere glielo stringo con forza, poi guardo di nuovo Marilyn, che, dopo aver strabuzzato gli occhi e essersi quasi strozzata con il suo drink, scende in fretta dallo sgabello e si allontana. Saggia decisione.
«Ehi!» esclama Russel ridacchiando.
«Beh? Che c’è? Tu lo fai sempre con me»
«Ma non in pubblico»
«E io invece lo faccio proprio in pubblico. Ti dà forse fastidio?» chiedo sollevando un sopracciglio.
«No, per niente» risponde tranquillamente, ma poi mi osserva con più attenzione, e un attimo dopo ricomincia a ridere «Ho capito perché l’hai fatto»
«Per toccarti il sedere, è chiaro»
«Oh sì, anche per quello, ma soprattutto per segnare il territorio. Marilyn è ancora qua dietro?» chiede strizzandomi un occhio con complicità.
«No, se n’è andata» rispondo scocciata per essere stata beccata da lui «Ma quindi te n’eri accorto che è tutta la sera che ti gironzola attorno?»
«Era praticamente impossibile che non me n’accorgessi. Mi è anche venuta a sbattere addosso un paio di volte, ma ti giuro che non ho mai abbassato gli occhi per guardarle dentro la scollatura, anche se me l’ha sventolata insistentemente sotto al naso»
È incredibile quanto siano sfacciate alcune donne, non può non aver capito che io e lui stiamo insieme.
«E comunque non ho bisogno di segnare nessun territorio» sottolineo «Perché solo a me è concesso calpestarlo. Giusto?» chiedo con fare ovvio.
«Giusto» ripete «E nemmeno io, ma lo farò lo stesso. Tu hai voluto dimostrare a tutte a chi appartengo, ma visto che nemmeno tu sei passata del tutto inosservata con questi shorts, ora tocca a me»
«E che vorresti fare?» chiedo allarmata, pensando che voglia darmi una palpatina anche lui davanti a tutti.
«Vieni qua» dice, battendo una mano sul petto e allargando subito dopo le braccia.
«Oh no, qui non siamo a casa, e non devi portarmi a letto perché mi sono addormentata sul divano» dico, indietreggiando lentamente per allontanarmi da lui.
«Beh, che vuoi che m’importi. Dai, salta su» ribatte avvicinandosi «E poi non volevi ballare con lo sceriffo?»
«Sì, ma non così» insisto, mentre continuo ad andare indietro, anche se so che ora che ha quello sguardo determinato, niente di quello che dirò potrà servire a fargli cambiare idea «Russel, ti prego. E poi non ho nemmeno più voglia di ballare. Sono stanca» mento.
«Proprio perché sei stanca voglio prenderti in braccio»
Sorride sornione, sapendo di avermi fregata, e come ogni volta che si mette in testa qualcosa, nemmeno mi sta ad ascoltare. Con due dita dà un colpetto sotto alla tesa del cappello, facendolo cadere sulle spalle e lasciando che rimanga sorretto dal laccetto di cuoio che ora ha intorno al collo, e circondandomi la vita mi solleva da terra, cerco di opporre resistenza premendo le mani contro il suo petto, ma con un colpo secco del bacino mi spinge in alto, e a me non rimane che avvolgergli la vita con le gambe, e, mentre mi stringe il sedere con entrambe le mani, sbuffo sul suo viso a pochi centimetri dal mio.
«Vuoi davvero portarmi a ballare così?» chiedo aggrappandomi al suo collo.
Mi fa cenno di sì con la testa, dandomi una strizzatina al sedere «Così Spider-Man…» parlando sposta impercettibilmente lo sguardo alla sua destra, e anch’io do una breve occhiata nella stessa direzione, e vedo un gruppo di supereroi seduti su un divanetto che stanno chiacchierando tra loro, tranne Spider-Man, che invece ci sta osservando «smetterà di calcolare la distanza per lanciarti la ragnatela»
Scoppio a ridere appoggiando la fronte sulla sua spalla «L’unico che mi ha preso in trappola sei tu, e se finora non sono scappata è solo perché non voglio farlo»
«Tanto non te lo permetterei mai» ribatte sicuro di sé.
«Ti consiglio di non sottovalutarmi» rispondo osservando il suo profilo.
«E tu non sottovalutare me» dice, voltandosi per guardarmi negli occhi «O non toccherai mai più terra per il resto della tua vita» la sua occhiata affilata e tutt’altro che giocosa, mi fa capire che non sta più scherzando, e che quindi è meglio se non ribatto, o davvero andrà a finire che anche i clienti a lavoro dovrò incontrarli stando appesa alle sue spalle.
«Ora ti va di ballare con me?» chiede raggiungendo il centro della pista mentre schiva i tanti che intorno a noi si dimenano.
«Sì, ma dovrai mettermi giù» provo almeno a buttarla lì, prima di darmi completamente per vinta.
«Nah, voglio ballare con te così» dice cominciando a dondolare sui piedi, stringendomi sempre di più il sedere e sfiorandomi una guancia con le labbra «Anche perché mi hai detto che sei stanca. Non è meglio così?» chiede mordicchiandomi un orecchio.
«Ma questo non è un lento» soffio le parole sul suo collo, e chiudendo gli occhi mi rilasso tra le sue braccia, fregandomene totalmente se noi due siamo in mezzo alla pista praticamente fermi, mentre tutti gli altri intorno a noi stanno ballando e saltando al ritmo di Song 2 dei Blur, e ad ogni woo hoo, penso che -woo hoo- sto proprio bene così abbracciata a lui, godendomi le sue labbra che mi sfiorano una tempia.
Quando la canzone termina, e sento le prime note del pezzo dei The Who che è uno dei miei preferiti e che soprattutto ultimamente ascolto spesso, sollevo il capo dalla spalla di Russel, e dietro di lui vedo Luca che, ballando con una ragazza vestita da ballerina di cancan, tira indietro il cappuccio e mi strizza un occhio. Gli sorrido per ringraziarlo, perché sono certa che sia stato lui a far mettere Love, Reign o’er Me proprio adesso che io e Russel stiamo ballando insieme.
«Sai che in fondo non mi dispiacerebbe affatto stare per sempre così? Appesa alle tue spalle e con le labbra incollate alle tue?» sussurro a Russel, e un attimo dopo lo stringo più forte e chiudendo gli occhi lo bacio.
No, non mi dispiacerebbe proprio per niente passare il resto della mia vita a baciarlo e stringerlo. Anzi, sarebbe proprio il futuro che vorrei, e comincio davvero a pensare che forse non sarà così impossibile da realizzare. Non ho mai creduto nel destino, nelle anime gemelle, o in altre stronzate simili, credo semplicemente di essere stata molto fortunata ad averlo conosciuto.
Chi l’avrebbe mai detto, quel giorno di dieci mesi fa, che arrivando a Los Angeles la mia vita sarebbe cambiata così tanto, che quello che pensavo fosse un corriere grunge, era in realtà l’uomo di cui mi sarei innamorata. Che quel pennelone a cui chiesi di darmi una mano per andare al bagno, sarebbe diventato l’uomo più importante della mia vita.
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal lento movimento di Russel, mentre la voce di Roger Daltrey canta che “solo l’amore può far piovere nel modo in cui la spiaggia è baciata dal mare, solo l’amore può far piovere come il sudore degli amanti stesi nei campi, solo l’amore può portare la pioggia che ti fa struggere verso il cielo, solo l’amore può portare la pioggia che cade come lacrime dall’alto. Un brivido mi percorre la schiena sentendo il suo grido disperato: “Oh Dio, ho bisogno di un sorso di fresca, fresca pioggia! Amore, regna su di me. Piovi su di me!” 
Stringo ancora più forte Russel, e dopo avergli baciato la mascella gli sfioro l’orecchio con le labbra, sussurrandogli che lo amo, e ad occhi chiusi aspetto che mi risponda, perché lo fa sempre.
«Anch’io»
 
Salgo le scale al fianco di Russel, stringendo in una mano la sua e nell’altra il terzo gin tonic della serata, arrivati in terrazza cerchiamo gli altri, e li troviamo in un angolo, seduti a terra sul prato attorno a un paio di pouf su cui sono appoggiati i loro cocktail, oltre alle mani di forbice di Peter e alla bacchetta di Matt.
«Ragazzi, è ufficiale…» dico guardandoli un po’ tutti, mentre mi lascio cadere a terra e incrocio le gambe «credo di essere sbronza» poi scoppio a ridere, seguita da Karen alla mia sinistra, che essendo quasi astemia non credo che abbia bevuto così tanto come la sottoscritta, ma che è ancora più su di giri di me perché è venuta a trovarla Connie per il finesettimana.
«Beh, allora benvenuta nel club degli ubriaconi» dice George, sollevando in aria la sua birra su cui ciascuno di noi fa scontrare a turno il proprio bicchiere, poi soddisfatti beviamo tutti quanti.
«Allora possiamo anche dirglielo» dice Meg di fronte a me, rivolgendosi a Brian al suo fianco «Tanto domani nessuno di loro se lo ricorderà»
«Forse allora è meglio se aspettiamo, perché sarebbe solo fatica sprecata» le risponde lui, osservandoci tutti quanti divertito.
Luca fa cadere il cappuccio alle sue spalle e li guarda terrorizzato «Meg, ti prego, non dirmi che sei incinta. Non ora che Karen sta per andarsene»
«No, ancora no» Brian risponde al posto di lei, e Luca tira un sospiro di sollievo «Ma solo perché prima vogliamo sposarci»
Tutti e dieci strabuzziamo gli occhi, guardando sia Meg che Brian, George risputa addirittura un po’ di birra che stava bevendo addosso a Peter, che scatta in piedi disgustato «Dio! Ma sei proprio un animale!» esclama, togliendogli dalla testa la bandana a cui sono attaccati i capelli e usandola per asciugarsi il costume.
«Ehi, ridammi subito i miei capelli!» grida George, tentando di afferrarli mentre Peter glieli sventola sotto al naso.
«Scusate» dice Tracy, agitando le mani per attirare la loro attenzione, e tutti e due si bloccano e la osservano «Se non ve ne siete accorti, qualcuno ha appena detto che sta per sposarsi, e tutti noi vorremmo ascoltare anche il resto. Quindi potete smettere di fare gli idioti almeno per cinque minuti?»
«Sì, certo» dice Peter, mentre rimette in malo modo la bandana in testa a George, che subito si affretta a sistemarla meglio, peccato che non si è accorto che è al contrario, e che quindi il ciuffettone di capelli bianchi ora ce l’ha davanti anziché dietro, ma invece di metterlo nel verso giusto, si passa una mano sulla fronte e mette tutti i capelli dietro un orecchio. Guardandolo, scoppiamo tutti a ridere, ma lui non si scompone «Beh, che c’è?» chiede scrollando le sue corpulente spalle e guardandoci con espressione altezzosa «Ho sempre desiderato la frangia» 
Quando a un soffio dal soffocamento, smetto di ridere, mi sento tirare la treccia, così mi volto a destra e sorrido a Russel, che dopo aver allargato le gambe batte una mano davanti a sé «Vieni qua» mi dice.
Mi accomodo con la schiena contro il suo petto e intreccio le mani alle sue, e in silenzio, come tutti gli altri, ascolto Meg e Brian che ci dicono che dalla prossima settimana andranno a vivere insieme a casa di lui, che hanno deciso di sposarsi in estate, che ovviamente siamo tutti invitati, e che sono tutti e due al settimo cielo dalla felicità. Sorrido a entrambi, mentre cominciano a volare pacche sulle spalle di Brian da parte dei ragazzi, e Meg si lascia stritolare in abbracci soffocanti dalle ragazze.
«Io già lo sapevo» mi sussurra in un orecchio Russel vantandosi.
«E perché non me l’hai detto?» giro la testa e lo guardo con espressione fintamente irritata.
«Brian mi aveva chiesto di non dirtelo perché Meg voleva fare una sorpresa a tutti»
«Dov’è finito quell’individuo che mi ha fatto promettere di digli sempre tutto?» chiedo sarcastica.
«Non stavo certo parlando degli affari degli altri» puntualizza.
«Sì sì certo» liquido il discorso e mi rivolgo agli altri «Direi che questa rivelazione merita un brindisi»
 
E così, mi sono scolata l’ennesimo gin tonic, e da leggermente alticcia… beh, penso di essermi presa una sbronza colossale… anche se non ne sono certa, perché di quello che è successo da quel momento in poi non ricordo un granché. L’unica cosa che so con certezza, è che mi ha portato dentro casa Russel, tenendomi a cavalcioni sulla sua schiena, e che, con il suo cappello da cowboy in testa e una Colt giocattolo stretta in mano, fingevo di sparare ai nemici, mentre lo incitavo a correre più veloce, e, visto che quando devo fare una figura di merda non mi faccio mancare niente, cantavo anche a squarcia gola: “Non siamo miiica gli americani, che loro possono sparare agli indiani… Vacca gli indiani!”. Per fortuna che lui non può aver capito le parole, e penso che non sappia nemmeno chi è Vasco Rossi. Forse avrà pensato che stavo ripetendo fino allo sfinimento una specie di filastrocca per bambini. Però è stato divertente, anche se adesso vorrei potermi tagliare la testa per non sentire più pulsare le tempie.
Sposto un braccio alla ricerca di Russel, ma il suo lato del letto è vuoto, poi apro un occhio e guardo la sveglia. Cazzo, è quasi mezzogiorno. Volevamo andare da Pablo. Va be’, ci andremo nel pomeriggio.
Prima di scendere dal letto mi guardo, indosso solo le mutandine e ho i capelli sciolti. Russel mi deve aver disfatto la treccia, oltre ad avermi spogliata e messa a dormire. Recupero una delle sue tante t-shirt gettate sopra la poltrona alla rinfusa ed entro in bagno.
Mentre scendo di sotto, sento il borbottio della caffettiera sul fuoco, quindi anche Russel si è alzato da poco, strano, perché di solito è piuttosto mattiniero, si sveglia sempre presto, anche se la sera prima abbiamo fatto tardi. E infatti mi sono sbagliata, perché indossa una canotta bianca, dei pantaloncini e le scarpe che usa per andare a correre, ed è di fronte al fornello, con una mano appoggiata al bancone che aspetta che il caffè sia pronto.
In punta di piedi lo raggiungo, e da dietro gli circondo la vita con le braccia «Buongiorno» dico, baciandogli la schiena leggermente sudata.
«Buongiorno» risponde, allargando le mie braccia per liberarsi «Ancora non ho fatto la doccia, aspetta prima di abbracciarmi»
Come se fosse un problema, anzi, non che sia una sostenitrice del detto che l’omo, pe’ esse omo, a ‘dda puzzà, però, un po’ non mi dispiace, non se l’odore è il suo.
Ma forse sono piuttosto io che questa mattina non profumo come una rosa. Rimanendo nascosta dietro di lui, che nel frattempo sta spengendo il fuoco sotto alla moka, con una mano davanti alla bocca butto fuori un po’ d’aria e do un’annusatina al mio alito. Come immaginavo: alcol. Prima di avvicinarmi di nuovo a lui è meglio se faccio colazione e mi lavo i denti. Disgustata, sventolo la mano per dissolvere il mio fiato e mi allontano in fretta da lui, andando a sedermi a tavola davanti alla tovaglietta, dove sono già pronti la mia tazza, il latte, i biscotti, e un flacone di aspirine. Un uomo che pensa a tutto, sarebbe un uomo da sposare. Beh, sarebbe, perché su quel fronte sono assolutamente irremovibile.
«Sono così contenta per Meg e Brian» dico versando del latte nella tazza «E anche se si conoscono da poco, hanno preso la decisione giusta, in fondo non sono due ragazzini, sanno sicuramente quello che vogliono»  
Russel versa del caffè nella sua tazza e lascia la moka sul tavolo, rimanendo poi in piedi con il sedere appoggiato al piano della cucina.
«Non lo pensi anche tu?» chiedo, mentre sgranocchio un biscotto.
«Sì, certo» risponde con poco entusiasmo.
«Ehi, ti sei svegliato di cattivo umore?»
«No» continua a guardare a terra mentre sorseggia il caffè.
«Sei arrabbiato con me perché… sì, insomma, mi sono addormentata prima di aver onorato come era giusto che facessi il tuo costume?» che idiota che sono, mi sono ubriacata proprio ieri sera, dopo che ho atteso per mesi per potermelo gustare in tutto il suo splendore.
«Che vuoi che m’importi» risponde indifferente, poi lascia la tazza vuota dentro al lavandino e mi sorpassa in fretta «Vado a farmi la doccia»
Lo seguo con lo sguardo mentre sale le scale, continuando a darmi della cretina per essermi lasciata sfuggire l’occasione di copulare con lui vestito da sceriffo, e soprattutto perché la cosa sembra averlo innervosito. Cercherò di farmi perdonare. Potrei sempre infilarmi sotto la doccia con lui.
Mangio svelta un paio di biscotti, infilo in bocca un’aspirina per cancellare ogni traccia di mal di testa, e finisco il caffelatte. Poi raggiungo Russel al piano di sopra, entro in bagno mentre lui è già sotto la doccia, prima di entrarci dentro anch’io faccio degli sciacqui con il colluttorio mentre mi spoglio, annusandomi poi l’alito. Ora va molto meglio.  
«Ehi, che fai qua dentro?» chiede, voltando appena il capo, mentre per togliere lo shampoo si passa le mani tra i capelli. È un peccato che quando ha fatto il film a New York glieli abbiano tagliati, mi piace da impazzire con i capelli lunghi, anche se comunque nel frattempo sono già ricresciuti molto, gli arrivano già al mento.
«Mi sembra evidente, vorrei fare la doccia»
Mi metto di fronte a lui e sollevo il viso verso il getto dell’acqua chiudendo gli occhi, ma sentendo lo scatto dello sportello li spalanco, e vedo Russel che ha già un piede fuori dalla cabina.
Lo osservo incredula, mentre richiude lo sportello lasciandomi sola lì dentro. Cazzo, quindi la situazione è molto più grave di quello che pensavo. Devo aver ferito il suo orgoglio maschile ieri sera addormentandomi.
Mi lavo in tempo record ed esco dal box doccia, e dopo essermi avvolta un asciugamano addosso, con una spalla appoggiata contro la porta bagno, lo osservo mentre indossa un paio di jeans e apre poi un cassetto alla ricerca di una t-shirt, mentre continua a passarsi una mano tra i capelli per togliere i ciuffi umidi che continuano a ricadergli sulla fronte ogni volta che abbassa la testa. 
«Mi stai evitando?» chiedo a bassa voce, appuntandomi l’asciugamano sopra al seno.
Prima di rispondere si ferma, e, tenendo la maglia stretta in una mano, richiude il cassetto con un colpo secco «No» dice, senza nemmeno voltarsi a guardarmi.
«Mi sembrava» rispondo, mentre gli passo accanto per andare a sedermi sul letto «Quindi questa mattina sei semplicemente di poche parole» affermo, ma lui continua ad ignorarmi, e dopo aver preso l’asciugamano che probabilmente ha usato dopo la doccia, rientra in bagno. Beh, almeno ogni tanto qualcosa lo rimette al suo posto. Anche se in questo momento è chiaro che riportare l’asciugamano in bagno è solo una scusa per non stare nella stessa stanza con me. Sbuffo, lasciandomi cadere con la schiena sul materasso e vagando con lo sguardo sul soffitto.
Non capisco, non è mai così scorbutico, a volte capita che sia un po’ nervoso, ma comunque solo a causa del suo lavoro, e in ogni caso unicamente quando è costretto a partire, anche se deve star via per pochi giorni, e solo perché so che non gli va di allontanarsi da me.
Forse ieri sera ho fatto o detto qualcosa che l’ha infastidito. Sì, deve essere sicuramente così. Oddio, chissà cosa ho combinato. La mia passione sfrenata per il gin tonic, prima o poi mi metterà in guai seri.
Sentendolo uscire dal bagno, sollevo la testa e mi appoggio sui gomiti «Ehi» cerco di attirare la sua attenzione, e lui si ferma davanti alle scale un attimo prima di scendere il primo scalino «Russel…» insisto, dato che imperterrito evita il mio sguardo sollevandolo al soffitto «è chiaro ce l’hai con me. Ho forse fatto qualcosa di sbagliato ieri sera?»
Finalmente mi concede una veloce occhiata, e dal suo sguardo sfuggente capisco che sì, è decisamente incazzato con me, però ora vorrei anche sapere per quale motivo.
Sospira e serra la mascella, sto per chiederlo di nuovo, ma invece rimango zitta perché parla lui «Non fatto, ma detto, ora però… non mi va di parlarne» risponde sbrigativo, e, mentre scende di sotto, aggiunge a bassa voce «E forse nemmeno più tardi»
Okay, quindi ieri sera, con la mente annebbiata dall’alcol, e come mi capita sempre quando alzo troppo il gomito, ho straparlato e ho detto qualcosa che l’ha fatto incazzare. D’accordo, ma che diavolo posso aver detto da non meritarmi nemmeno di essere guardata negli occhi da lui? Non mi viene in mente niente che possa averlo offeso così tanto. Anche perché ormai con lui non ho più segreti…
Cazzo! Tranne uno!
Schizzo in piedi e mi lancio di corsa per le scale, non ho sentito sbattere la porta di casa, quindi ancora non può essere uscito per andare a cercare Gordon. Che cretina che sono! Finora ero riuscita a tenergli nascosta la storia delle foto, e invece ieri sera devo avergli raccontato tutto quanto! Non può esserci nessun’altra spiegazione. Maledizione! Sia io che Meg eravamo state così brave a tenerci tutto quanto per noi e a distruggere ogni prova dopo che in ufficio mi hanno recapitato tutta la valanga di foto e informazione che quello stronzo si era procurato su di me.
«Russel!» grido, poi tiro un sospiro di sollievo, vedendolo tranquillamente seduto al centro del divano mentre con il telecomando in mano accende la tv. Mi schiarisco la voce e, per non avvicinarmi troppo a lui, mi siedo sul bracciolo, mentre lui mi osserva con aria interrogativa «Lo so perché ce l’hai con me. E hai ragione, perché in fondo la cosa coinvolge anche te, ma se te l’ho tenuto nascosto è solo perché temevo che ti saresti arrabbiato»
«Arrabbiato?» chiede stupito spalancando gli occhi.
«Sì certo» annuisco con poca convinzione, chiedendomi come sia possibile che se ne stia qui seduto tranquillamente, invece di essere già sotto casa di Gordon per spaccargli la faccia. Forse perché alla fine le cose sono andate per il meglio e non ha voglia di sollevare di nuovo un polverone. Però ora è incazzato nero con me, e come dargli torto, c’era anche lui in quelle foto, senza contare che abbiamo anche rischiato di allontanarci del tutto per…
«Scusa, che hai detto?» chiedo, non essendo sicura di aver capito quello che stava dicendo mentre ero immersa nei miei pensieri.
«Ti ho chiesto perché mi sarei dovuto arrabbiare con te se mi avessi detto che desideri un figlio»
Ah! Quindi avevo capito bene. E lui come fa a saperlo? E poi cosa c’entra con Gordon? Mi sa che come sempre ho galoppato un po’ troppo con la fantasia e ho preso l’ennesima enorme cantonata.
«Quindi io ti avrei detto… che…» chiedo timorosa, non riuscendo nemmeno a terminare la frase.
«Che vuoi un figlio. Anzi, per la precisione, poco prima di addormentarti, hai detto che vuoi un figlio da me»
Oh merda! Quindi è ancora peggio di quel che credevo, forse, se gli raccontassi subito di tutta la storia di Gordon, riuscirei a distrarlo e a evitare di dovergli dare una spiegazione per quello che mi è uscito di bocca ieri sera. Maledetto gin tonic! Giuro che non berrò mai più in tutta la mia vita.
Ora sono io che evito il suo sguardo, mentre invece lui sta tentando di intercettarlo muovendo il capo nella mia direzione.
«Non hai niente da dire?» chiede.
Nego muovendo appena la testa, mentre continuo a guardare l’asciugamano che mi copre le gambe. Lui sospira, spenge la tv e getta il telecomando accanto a sé.
«Sono incazzato perché sono sicuro che se ieri sera non ti fossi ubriacata, probabilmente non me l’avresti mai detto. E invece mi avevi promesso che tra noi non ci sarebbero stati più segreti»
«Non è che te lo stavo tenendo nascosto… è che…»
«Non dire stronzate!» grida scattando in piedi «E hai anche il coraggio di dirmi che non me l’hai detto perché mi sarei arrabbiato? Te lo chiedo di nuovo: per quale motivo mi sarei dovuto arrabbiare? Eh?»
«Non intendevo dire che ti saresti arrabbiato» cerco di rimediare a quello che ho detto prima, ma faccio fatica a formulare anche una sola frase sensata, perché è vero che non volevo dirglielo, e mi sembra impossibile che davvero sia stata così idiota da averglielo detto. Non so proprio cosa dire. Tranne che in ogni caso è ancora troppo presto, anche solo per parlarne. Ma lo stesso rimango in silenzio. Ora vorrei solo sbattere la testa contro il muro per punirmi per essere stata così stupida e non aver tenuto a freno la lingua ieri sera.
«Russel…» dopo qualche secondo, sollevo gli occhi e lo guardo «ero ubriaca, completamente andata, non sapevo nemmeno cosa stavo farneticando»
«Mi stai dicendo che quando bevi è tua abitudine dire a chiunque che vuoi un figlio da lui?» chiede incrociando le braccia, e rimane immobile a osservarmi dall’alto con l’espressione di chi sa già la risposta.
«Certo che no» sussurro.
«Da quant’è che lo pensi?»
Invece di rispondergli, mi alzo e mi dirigo verso le scale «Stai dando troppo importanza a questa stronzata»
«E tu invece gliene stai dando troppo poca. La donna che amo si lascia sfuggire che vuole un figlio da me, e io dovrei fregarmene e fare finta di niente? Eh? È questo che dovrei fare? Non sarebbe più giusto chiederle perché ha cambiato idea dopo che non ha fatto altro che dichiarare di non volerne?» a metà delle scale mi fermo, e stringendo il corrimano trattengo il respiro «Soprattutto perché anche io lo vorrei. Anche più d’uno, tutti quelli che mi sarà possibile avere… con te»
Ha ragione, almeno una minima spiegazione devo dargliela «Non so dirti di preciso da quant’è che ci penso, ma comunque non ha importanza, perché stiamo insieme da appena una manciata di mesi, quindi è assurdo anche solo parlarne»
«Non è affatto assurdo, perché voglio sapere tutto quello che ti passa per la testa. Non credi che sia un mio diritto? E soprattutto non posso permetterti di ignorare i tuoi desideri, perché saresti capace di continuare a fingere con te stessa che non sono così importanti, mentre invece lo sono eccome» la sua voce mi arriva da qualche scalino sotto di me «E riguardo al fatto che è poco che stiamo insieme, non ha nessuna rilevanza per me, che sia un mese, un anno, dieci anni, io ho già deciso che voglio stare con te per tutto il resto della mia vita. Avrei fatto un figlio con te anche dopo la prima volta che abbiamo fatto l’amore» sento una sua mano che si appoggia alla mia vita, mentre i miei occhi si stanno inumidendo. Il modo in cui a volte mi dice quello che prova, mi fa sempre salire un groppo in gola, invidio la semplicità con cui riesce sempre a confidarmi i suoi sentimenti. Vorrei davvero riuscirci anch’io, soprattutto in certi momenti, quando percepisco chiaramente che avrebbe davvero bisogno che mi aprissi con lui.
Si ferma dietro di me, intrecciando una mano con quella che tengo lungo il fianco «Non sto dicendo che devi smettere subito di prendere la pillola… anche se in realtà, beh, se dipendesse solo da me ti chiederei di farlo, ma non è questo il punto, ti sto solo pregando di tornare a sederti sul divano e parlare con me»
«Russel, la verità è che non ho molto da dirti. E quel poco non so nemmeno come spiegartelo. So solo che ultimamente ci penso sempre più spesso, e mi spaventa, tantissimo. Perché mi sento così… inadeguata» rimango in silenzio un attimo, scostandomi i capelli bagnati dal viso e radunando quel poco di coraggio che ho e che sta già cercando di sparpagliarsi in fretta. È una tale fatica dirgli tutto quanto, ma ormai non ho scelta «Ma lo stesso a volte quando ti guardo, mi capita di pensare che sarebbe divertente scegliere insieme a te i colori per dipingere la cameretta di nostro figlio, andare per negozi per comprargli il regalo di Natale, o… o guardare un tuo film seduta sul divano con lui in braccio e dirgli: “Guarda, quello è papà”»
Ora non ho davvero nient’altro da dirgli, o forse potrei aggiungere che se non l’avessi conosciuto e non mi fossi innamorata così follemente di lui, non sarei mai stata in grado nemmeno di immaginare che si potesse desiderare così tanto, perché la verità è che io non voglio un figlio, io voglio suo figlio. Ma questo credo che l’abbia già capito. Potrei anche dirgli che pur essendo spaventata, sento lo stesso una strana smania di espandere l’amore che provo per lui per riversarlo anche su qualcun altro, qualcun altro che gli assomigli. Ma lo stesso rimango zitta, mentre mi circonda la vita con le braccia stringendomi.
«Vedi che non è stato così difficile» sussurra, baciandomi la nuca.
Accenno un sorriso che non può vedere e sospiro «Se lo dici tu»
«Ogni tanto hai bisogno di una dose di coraggio, ma io sono qui anche per questo: per impedirti di pensare che tutto quello che desideri è sbagliato, o, ancora peggio, che sei tu quella sbagliata. Non c’è niente di strano a desiderare un figlio, certo, non se lo vuoi con me» sghignazza contro il mio orecchio, strappandomi una risatina «Allora? Che dici? Lo facciamo questo bambino?»
Mi volto di scatto e spalanco gli occhi «No! Certo che no! È ancora troppo presto. Il lavoro mi prende un sacco di tempo, e soprattutto ora che Karen sta per andare a vivere da tua sorella, finché non troveremo qualcuno in grado di sostituirla sarà un dramma. E anche tu sei pieno di impegni, e poi… e poi ora devo vestirmi e preparare il pranzo, perché dopo mangiato voglio andare subito da Pablo per fare una lunghissima passeggiata con lui» ho parlato a raffica, e solo adesso che mi sta sorridendo divertito, capisco che mi stava prendendo in giro «Idiota!» grido, colpendolo sul petto con un pugno.
«Dai, vai a vestirti» dice, dandomi un colpetto sul sedere «Lo preparo io il pranzo» sollevo le sopracciglia, trattenendomi non so come dallo scoppiargli a ridere in faccia «Pizza o cinese?» chiede, strizzandomi un occhio.
Ah ecco, mi sembrava «Pizza» rispondo, circondandogli il collo con le braccia. Poi lo bacio, chiudendo gli occhi mentre le sue mani si muovono lente sulla mia schiena.
Mi allontano dalle sue labbra e appoggio la fronte contro la sua «Sai, dovremmo baciarci più spesso sulle scale. È comodo averti alla mia stessa altezza»
«Beh, anche distesa su un letto puoi avermi alla tua stessa altezza»
«Sì, certo» ribatto. Non perde mai l’occasione per fare simili battutine «Ora però lasciami che voglio andare ad asciugarmi i capelli»
Mi volto e salgo in fretta le scale, ma dopo pochi scalini mi fermo, perché sono nuda. Sbuffo scocciata e lo guardo.
«Oh, scusa, mi è rimasto attaccato alla mano» mi sfotte, sventolando l’asciugamano.
«Sai, forse ci ho ripensato, non lo voglio più un figlio, perché un bambino già ce l’ho» dico, strappandogli l’asciugamano di mano e avvolgendomelo di nuovo addosso.
«Sirenetta?» in cima alle scale mi volto «Sappi che comunque sono disponibile fin da subito per provarci»
«Non avevo alcun dubbio» rispondo, maledicendo ancora me stessa e i gin tonic che ho bevuto ieri sera, perché ora che mi sono sbottonata completamente con lui, le sue battutine si moltiplicheranno a dismisura «Ma ti ho già detto che è ancora troppo presto» gli rammento, poi mi allontano per andare in bagno.
«Sirenetta?»
Sbuffo socchiudendo gli occhi, sperando che questa volta voglia solo chiedermi cosa deve far mettere sopra la pizza, perché per un po’ vorrei non dover più toccare l’argomento, neanche per scherzo.
«Dimmi?» chiedo, affacciandomi alla balaustra e guardando in fondo alle scale dove è ancora immobile con il viso sollevato verso di me.
«Ti amo»
Gli sorrido, fermando lo sguardo sul piccolo spicchio di luna che riesco a vedere bene anche da quassù «Anch’io»
 
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Sabato 11 Maggio 2013
 
Mi sollevo appoggiandomi a un gomito e controllo che Russel al mio fianco stia ancora dormendo, devo scendere di sotto prima che si alzi per andare a correre. Vedendolo ancora completamente addormentato, sgattaiolo fuori dal letto e in punta di piedi scendo di sotto, afferro la mia borsa dal tavolino accanto alla porta di casa e vado a chiudermi in bagno.
Sono talmente nervosa, che mentre cerco il numero di telefono di mia sorella sull’iphone mi tremano le mani.
«Milla, buongiorno»
«Becca! Beh, buongiorno anche a te, anche se qui è pomeriggio»
Già, che scema «Come… come stai?» le chiedo, per fare un po’ di conversazione prima di sganciare la bomba.
«Benone, e tu?»
«Oh, bene, sì sì, sto bene anch’io»
«Quando ti deciderai a venire a conoscere tuo nipote? Hai detto a quel gelosone di Russel che se non vuole lasciarti venire da sola è il benvenuto anche lui?»
«Sì, ci stavamo pensando, ma ancora non abbiamo deciso quando»
«Non aspettate troppo però»
«No, tranquilla» la rassicuro, anche se in questo momento sono io che avrei bisogno di essere un po’ tranquillizzata «Sei impegnata o puoi stare un po’ con me al telefono?» le chiedo, sapendo che con due bambini così piccoli, spesso va talmente di corsa che riusciamo a mala pena a farci un salutino frettoloso.
«No no, posso stare al telefono con te quanto vuoi perché qui con me c’è la mamma. Anzi, vuoi che te la passo?»
«No, non adesso. Anzi, potresti allontanarti da lei, senza però farle capire che te l’ho chiesto io?»
Per qualche secondo penso che sia cascata la linea, perché non sento più niente, ma all’improvviso sento una porta che viene chiusa e la sua voce preoccupata «Okay, vuoi dirmi che sta succedendo? Hai litigato con Russel?»
«Oh, no no, assolutamente no»
«Allora cosa sta succedendo?» chiede di nuovo con impazienza.
«Ho solo bisogno del tuo aiuto, perché devo fare una cosa che non ho mai fatto in vita mia, e, oltre ad aver paura di sbagliare qualcosa, sono anche molto agitata»
«Oh cazzo!» quasi mi perfora un timpano «Stai per far quello che penso?»
«Sì» confermo.
«Accendo subito la telecamera. E tu sbrigati, che voglio sapere subito se diventerò finalmente zia»
«Se… se dovesse essere positivo, puoi dirlo tu a Russel? Non credo che avrei il coraggio di farlo io»
«Certo che glielo dico io, non mi perderei la sua faccia per niente al mondo. Però devi dirmi come si dice in inglese, non vorrai mica tradurre, altrimenti sarebbe del tutto inutile il mio aiuto»
«Intanto è meglio se faccio il test» le ricordo, dato che mi sembra anche troppo sicura del risultato e di essere a un solo passo dal dirlo a Russel.
Quella faccia da schiaffi! Con quei suoi occhioni dolci e quantità spropositate di sorrisini ruffiani, non ci ha messo niente a convincermi a provarci subito. E in questo momento è di sopra che dorme beato, mentre io sono chiusa qua dentro che me la sto facendo sotto. Va be’, tanto un po’ di pipì mi serve.
«Di quanto sei in ritardo?» mi chiede Camilla, mentre sto tirando fuori dalla confezione il test di gravidanza.
«Più o meno una quindicina di giorni»
«Quindici giorni?!» grida «E hai aspettato così tanto prima di fare il test?»
«Beh, sì, volevo essere sicura» rispondo, mentre accendo la telecamera «Tu quale pensi che sarà il risultato?» le chiedo, giusto per prendermi ancora un po’ di tempo, osservandola sul display.
«Penso positivo»
Beh, convinta lei. Però ora vediamo anche se ha ragione. Oddio, mi gira la testa, e non c’entra niente il fatto che forse sono incinta, ma è perché sono terrorizzata.
«Quindi? Cosa dovrò dire al quasi papà?» chiede, sempre più eccitata.  
Sbatto gli occhi per tornare in me e le rispondo «Tre parole saranno più che sufficienti per farlo svenire all’istante, basterà che gli dici: “Good morning, Daddy”»
 
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Il risultato del test di gravidanza che sta per fare Reb, penso che abbiate già capito che sarà positivo, e so anche che probabilmente avreste voluto leggere quale sarà la reazione di Russel, ma ho preferito lasciare loro un po’ di intimità, e poi sarei sicuramente caduta nel banale, con occhi a cuoricino e frasi stucchevoli, quindi ho preferito evitare (non avete idea di quanto sia faticoso per me scrivere le parti sdolcinate, non sono romantica, che ci posso fare). E poi ormai avete imparato a conoscerli, e non credo che per voi sarà troppo difficile immaginarvi le loro reazioni. Anzi, sarebbe divertente se me le scriveste, tanto per farci quattro risate.  
Comunque, il prossimo sarà davvero l’ultimo capitolo, sarà un pov di Russel e dal titolo  I Was Made for Lovin' You.
 

La canzone di Vasco Rossi, da cui ho estrapolato la frase che canta Reb da ubriaca, è (Per quello che ho da fare) Faccio il militare, contenuta nell’album Non siamo mica gli americani, pieno di canzoni che sono una più spassosa e bella dell’altra, prima tra tutte la famosissima Fegato, fegato spappolato.

Vi lascio il link del pezzo dei The Who, Love, Reign O'er me, perché se non lo conoscete dovete assolutamente ascoltarlo almeno una volta nella vita.

Ora vi saluto, e vi do appuntamento a non so quando, ma sicuramente con quello che sarà davvero l’ultimo capitolo.

Grazie a tutti.

V.17

 

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Capitolo 40
*** Cap. 40 - I Was Made For Lovin' You - Russel ***


CAP. 40 - I WAS MADE FOR LOVIN’ YOU
 
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RUSSEL
 
Già da un po’, talvolta mi capitava di beccarla a scrutarmi con una strana espressione dipinta in volto che non riuscivo a decifrare, con i suoi occhietti indagatori mi osservava di nascosto, e li spostava in fretta quando me ne accorgevo. Mai avrei sospettato cosa stava pensando in quei momenti. Ma dopo una divertente serata con gli amici, tante risate e qualche bicchierino di troppo, finalmente mi ha detto cosa le stava frullando in testa. Sia benedetto il gin tonic.
Mentre eravamo in ascensore aveva preso il mio cappello e se l’ere messo in testa, e dopo mi aveva ordinato di abbassarmi perché voleva salirmi sulla schiena, e appena le porte si sono aperte, ha cominciato a canticchiare una specie di filastrocca, dopo avermi gridato di correre più veloce perché i cattivi stavano scappando. E io ridevo, ridevo come un pazzo, mentre attraversavo il corridoio per raggiungere la porta di casa.
Poi, come siamo entrati nel nostro appartamento, si è spenta, ha gettato a terra la pistola e il cappello, pregandomi di portarla a letto perché voleva dormire. E così ho fatto.
L’ho spogliata, le ho sciolto la treccia e le ho rimboccato le coperte, mentre lei stava praticamente già dormendo, ma dopo essermi spogliato anch’io e appena le sono scivolato al fianco, ha aperto gli occhi. Aveva il tipico sguardo di chi ha bevuto troppo, lucido e assente, ma sono sicuro che sapeva che ero lì accanto a lei, perché i suoi occhi vagavano lentamente sul mio viso mentre mi sorrideva. Così, certo che in quel momento le sue difese fossero in parte crollate, ho deciso di approfittarne.
Vedendo che aveva chiuso gli occhi l’ho chiamata dolcemente, sfiorandole una guancia “Ehi, Sirenetta, c’è qualcosa che devi dirmi?”
Sentivo che mi stava nascondendo qualcosa, qualcosa di importante, ma sapevo anche che affrontare di petto con lei l’argomento non sarebbe servito a niente, dovevo assolutamente approfittare della sua sbronza per estorcerle una confessione.
Nella mia mente si stavano sovrapponendo gli scenari più raccapriccianti, temevo che mi avrebbe detto che si era sbagliata, che non mi amava, che venire a vivere a casa mia era stato uno sbaglio, che si era già stancata di me.
In fondo anche io non ero del tutto lucido, i brindisi per Brian e Meg si erano protratti fino a notte fonda e l’alcol che avevo in circolo mi stava facendo un brutto scherzo. Stavo dubitando dei suoi sentimenti, della sua sincerità quando mi aveva promesso che mi avrebbe sempre detto tutto, e soprattutto della mia capacità di capire quando mentiva. E poi c’era quello sguardo, quello sguardo che mi riservava ultimamente e che mi faceva sentire ogni volta come se mi stesse soppesando.
Lei non rispose e non aprì nemmeno gli occhi. La chiamai ancora, ormai deciso a svegliarla, chiedendole di nuovo se c’era qualcosa che doveva dirmi.
“Ho sonno” si lamentò, sfregando il viso sul cuscino. Poi parlò a voce bassissima, come se mi stesse per rivelare un segreto e la camera fosse piena di gente “E poi non posso dirtelo.”
Quella fu la riprova che mi stava nascondendo qualcosa, così mi feci più insistente, e le scossi una spalla, alzando la voce per essere certo che mi stesse sentendo “Mi hai promesso che mi avresti detto sempre tutto, quindi non hai scelta. Dimmi cosa mi stai nascondendo” invece di rispondermi, con un movimento brusco si voltò dall’altra parte. Sapevo che non si era ancora addormentata, perché, stando sollevato su un gomito alle sue spalle, vedevo che sbatteva le ciglia insistentemente, come se si fosse innervosita o come se stesse cercando di scacciare le lacrime.
Si decise a parlare solo quando mi avvicinai ulteriormente e le circondai la vita con un braccio “A te… a te piacciono molto i bambini, vero?”
Capii che stava usando l’unica tecnica vincente e ormai super collaudata che adottavo anche io con lei: stava partendo da lontano per avvicinarsi lentamente al nocciolo della questione, e pur non capendo il senso della domanda, annuii appoggiando il viso alla sua spalla “Ti ho visto con Susy e con Liam, ti diverti molto con loro.”
Cominciavo a capire, e sapevo che alla fine mi avrebbe chiesto se fossi davvero convinto di passare il resto della mia vita con una donna che non desidera avere figli, così mi preparai mentalmente a risponderle che doveva smettere di pensare che quello sarebbe stato il motivo per cui un giorno l’avrei lasciata. Ne avevamo già parlato altre volte, e le avevo sempre risposto che non sarebbe mai successo, ma evidentemente non le entrava in testa.   
Sapevo che un’altra piccola Sirenetta che gira per casa o un maschietto avrebbero aumentare a dismisura la mia felicità, magari entrambi, ma visto che i figli si fanno in due, non potevo imporle un mio desiderio, e rinunciare a lei per questo non era nemmeno contemplabile.
“Ehi, lo sai che ti amo, vero?” lei annuì, stringendo la mano che avevo appoggiato sul suo ventre “E sai anche che ti amerò per sempre?”
“Sì, lo so, e so anche che è lo stesso per me.”
“E sai anche che sarà così anche se non avremo dei figli?”
Stavo pensando di far cadere il discorso, pensando che in fondo parlare con lei mentre era alticcia non avrebbe portato da nessuna parte, perché sapevo che tutto quello che le stavo dicendo, la mattina dopo se lo sarebbe scordato sicuramente, quindi la strinsi più forte, deciso a lasciarla dormire in pace ma intenzionato ad affrontare nuovamente il discorso il giorno dopo.
Ma lei si divincolò per liberarsi dal mio abbraccio e si mise seduta, guardandosi un po’ attorno. Per un attimo pensai che la sbronza le fosse passata di botto, ma poi vidi il sguardo assente puntato sulle lenzuola.
“E se… se avessi cambiato idea?” chiese, senza guardarmi.
Cazzo! Quindi avevo ragione, si era pentita di stare con me!
“Riguardo a cosa?” le chiesi in ansia. Ricordo che mi misi a sperare con tutto me stesso che mi stessi sbagliando, che intendeva tutt’altro, che ero ubriaco fradicio anche io e che quella conversazione in realtà non stava avvenendo.
“Riguardo ai figli. Se invece avessi capito che voglio un bambino?”
Be’, il discorso stava prendendo decisamente una piega migliore rispetto alle mie terribili previsioni, ma mi fece male lo stesso sentirle dire quella frase.
Mi sollevai e le presi il viso in una mano per obbligarla a guardarmi, ma si allontanò impedendomi di incrociare il suo sguardo.
Raccolsi tutta la pazienza che avevo a disposizione e le parlai cercando di addolcire il più possibile il tono “Non devi farlo per me. Un figlio si deve desiderare in due, e se tu lo vuoi solo perché temi che se non ne avremo io smetterò di amarti, non sarebbe giusto, né per te né per lui.”
“No no, tu non hai capito!” esclamò, con maggiore sicurezza nella voce e nello sguardo che aveva spostato su di me “Voglio davvero un bambino, e non lo faccio per te o… o perché temo che altrimenti mi lasci. Davvero. Lo so che mi ami, lo so che vuoi stare con me. Sono io che lo voglio, che voglio un bambino da te. Ma solo da te
“Vuoi un bambino da me?” ero sbronzo, non poteva esserci altra spiegazione. Lei voleva un bambino, anzi, voleva un bambino da me.
“Sei ubriaca, non sai cosa stai dicendo” dissi, passandomi una mano tra i capelli.
“Oh sì che so cosa sto dicendo. Ed è già da un bel po’ che lo penso” detto questo, si gettò all’indietro e coprendosi le spalle chiuse gli occhi, sembrava una bambolina che aveva finito le batterie. Mentre io rimasi immobile a pensare a quello che mi aveva appena detto, destando l’udito appena la sentii aggiungere un’ultima cosa con un filo di voce “E vorrei che avesse i tuoi occhi, e lo spicchio di luna sulla guancia.”
Un attimo dopo dormiva, io invece trascorsi l’intera notte in bianco, seduto accanto a lei.
 
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“Cosa hai pensato quando Reb ti ha detto di essere incinta?”
Più di un mese fa, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Meg e Brian, Luca si è avvicinato e mi ha fatto questa domanda. E io sono rimasto zitto per un po’, perché non sapevo cosa rispondere. Stringendo una bottiglia di birra in mano, ho cercato con lo sguardo la Sirenetta, stava chiacchierando con Meg, Karen e Connie sotto al gazebo dove avevano allestito il buffet.
Era davvero carina quel giorno, e l’abitino leggero e a fiori che indossava non riusciva a nascondere del tutto la pancia che si incominciava a vedere, anche a causa di quel gesto istintivo che ha di passarci una mano sopra distrattamente. Ed è esattamente quello che stava facendo, mentre sghignazzava con le amiche. E io mi sono sentito immensamente felice quando ha sollevato lo sguardo e mi ha sorriso.
“Luca, è stato talmente strano che non so nemmeno spiegartelo.”
 
Rebecca mi ha svegliato scuotendomi una spalla, e quando ho aperto gli occhi mi ha messo di fronte il suo Iphone, nello schermo sua sorella gridava frasi incomprensibili e piangeva. L’unica parola che avevo capito era baby, e vedendo che anche la Sirenetta aveva gli occhi rossi e gonfi, sono schizzato fuori dal letto e ho afferrato un paio di jeans, pronto a correre in aeroporto per prendere il primo volo per l’Italia, convinto che fosse successo qualcosa al piccolo Tommaso.  
Lei, rimanendo seduta sul letto, ha detto qualcosa alla sorella e ha lanciato il telefono tra le lenzuola.
“Che diavolo stai facendo?” mi ha gridato, mentre chiudevo i bottoni dei jeans.
“Come cosa sto facendo? Forza, vestiti anche tu, e prepara le valigie. Muoviti!”  
Invece di fare come le avevo detto, ha spalancato gli occhi, e un attimo dopo ha cominciato a piangere a dirotto, farfugliando qualcosa in italiano. Ed io mi sono sentito un perfetto cretino, perché invece di metterle fretta avrei dovuto consolarla, e soprattutto cercare di capire cosa fosse successo a Tommaso. Così ho cercato di rimediare, e inginocchiandomi di fronte a lei le ho preso le mani “Ehi, lo sai che se parli in italiano non ti capisco. Ce la fai a dirmi cosa è successo a Tommaso?” le ho chiesto, porgendole un kleenex. Lei, invece di afferrare il fazzolettino, mi ha guardato un attimo ed è scoppiata a ridere. Spiazzato dalla sua reazione e pensando che fosse colpa dello shock, sono scattato in piedi. Solo che non sapevo come comportarmi, dovevo estirparle quante più informazioni possibili, ma non sembrava in grado di parlare, rideva e piangeva, piangeva e rideva. Finché ha fatto un respiro profondo, e recuperato il fazzoletto che era caduto ai suoi piedi, si è asciugata gli occhi e soffiata il naso.
“Tu non hai capito una sola parola di quello che ha detto Camilla, vero?”
“No… ho solo capito che parlava del bambino… e che piangeva, come… come te” mi stavo preparando a vederla scoppiare di nuovo a piangere da un momento all’altro, quindi mi muovevo lentamente e con circospezione mentre mi avvicinavo di nuovo a lei.
“E io che pensavo che volessi cacciarmi da casa!” e scoppiò a ridere istericamente.
“Cacciarti da casa?” stava delirando, decisamente “Perché dovrei cacciarti da casa?”
“Quando hai detto che dovevo fare le valigie, ho pensato che avessi cambiato idea, che non volevi più un bambino, che…”
Sedendomi al suo fianco la interruppi “Ma cosa c’entra tutto questo con Tommaso?”
“In realtà è Tommaso che non c’entra niente con quello che ti stava dicendo mia sorella.”
“Be’, allora posso sapere cosa mi stava dicendo tua sorella?” stavo cominciando a spazientirmi perché sembrava che si stesse prendendo gioco di me, e il suo sorrisino compiaciuto, tipico di chi sa un gran segreto e che sta valutando se svelartelo o no, me lo confermava.
“Bene, seduto sei seduto, quindi posso anche dirtelo, e se hai intenzione di svenire, ti pregherei di cadere all’indietro sul letto invece che in avanti sul pavimento. Perché per i prossimi mesi, anzi, per tutto il resto della nostra vita, mi servi tutto intero”
Ero sempre più confuso, e spazientito, ovviamente.
“Okay, basta girarci intorno, che diavolo sta succedendo?” la spronai, lanciandole un’occhiataccia.
Dopo aver chiuso un attimo gli occhi e un lungo sospiro, si decise finalmente a rispondermi senza più nessun giro di parole “Sono incinta.”
Solo la sua prontezza mi impedì di cadere in avanti e farmi seriamente male, perché la testa cominciò a girarmi all’improvviso, e tutt’oggi ricordo ben poco di quel che è successo nell’ora successiva, so solo che l’euforia di diventare padre si alternava al timore per lei e per il bambino, e ancora non mi hanno abbandonato, e penso che mai lo faranno.
 
Bevvi un sorso di birra e mi voltai verso Luca che paziente al mio fianco aspettava ancora una risposta.
“Euforia e timore” dissi, e lui annuì, come se la risposta l’avesse sempre saputa.
 
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Venerdì 13 Settembre 2013
 
Con un calcio chiudo la porta di casa alle mie spalle e lascio cadere a terra le valigie.
La cerco in fretta con lo sguardo ma non la vedo «Sirenetta, sono tornato» grido verso il piano di sopra.
Sto morendo dalla voglia di vederla, cinque giorni a New York per lavoro sembravano non passare mai, un’altra notte lontano da lei e sarei impazzito, ne sono certo. Mi affretto verso le scale per raggiungerla, ma sentendo la sua voce assonnata mi blocco sul primo scalino e mi volto.
«Sono qui» farfuglia con la voce impastata dal sonno, e vedo una sua manina che sbuca da sopra la spalliera del divano.
Torno indietro sui miei passi e faccio il giro intorno al divano, trovandola distesa là sopra, è avvolta in una coperta e sbadiglia coprendosi la bocca con una mano.
«Ehi, come mai dormi a quest’ora?» le chiedo, piegandomi sulle ginocchia e sfiorandole il viso con una mano «Stai male?»
«Perché, che ore sono?»
«È l’ora di cena»
«Cavolo! Quando sono rientrata dal lavoro mi sono distesa un attimo, ma evidentemente mi sono addormentata come sempre»
«Ma stai male?» le chiedo di nuovo.
«No, ero solo stanca» si solleva e appoggiandosi su un gomito mi bacia. Sorrido sulle sue labbra, sentendomi finalmente a casa. Quanto mi sono mancati i suoi baci.
Scivolo con le ginocchia a terra e circondandole le spalle con un braccio cerco di approfondire il bacio, ma lei si ritrae.
«Ma non dovevi tornare domani mattina?» chiede, corrucciando poi le sopracciglia «Oh no, non dirmi che me l’avevi detto e me lo sono scortata» passandosi una mano sul viso, si lascia cadere con la schiena sul divano.  
«No, non te lo sei scordata. Ho solo finito l’ultima intervista prima del previsto e ho preferito prendere il primo volo disponibile invece di tornare domani. Volevo chiamarti ma poi ho pensato di farti una sorpresa»
Lei si toglie la mano dal viso e mi sorride «Meno male, cominciavo davvero a pensare di avere dei seri problemi di memoria» mi accarezza il viso, e io chiudo gli occhi sfregandomi contro il suo palmo.
«Mi sei mancata. Tanto» le dico, riaprendo gli occhi per incontrare i suoi.
«Anche tu»
Mi piego su di lei e la bacio, mentre le sue mani passano insistentemente tra i miei capelli, so bene quanto le piace farlo, soprattutto quando li ho lunghi come adesso, ma forse non sa quanto piace a me. Mi sento squagliare ogni volta che mi sfiora.
«E la mia bambina come sta?» sollevo la coperta leggera in cui è avvolta e sorrido come un cretino guardandole la pancia. Possibile che in soli cinque giorni sia cresciuta così tanto? Mi sembra decisamente più grossa.
«Sta bene, sono io che sono a pezzi, stanotte mi ha svegliato diverse volte, scalciava un bel po’, e poi aveva il singhiozzo»
«Davvero?» spalanco gli occhi e appoggio una mano sulla sua pancia «E come fai a sapere che era davvero singhiozzo?»
«Mah, non ne sono sicura, però sembrava proprio singhiozzo. Sentivo dei leggeri colpetti a ritmo regolare, poi dopo qualche minuto sono terminati, ma io sono rimasta sveglia lo stesso perché speravo di poter sentire ancora qualche movimento. Sembra che succeda quando bevono per sbaglio un po’ di liquido amniotico»
Sorrido con le labbra appoggiate sopra la sua pancia «Ehi, non diventerai mica un’ubriacona come la tua mamma?»
«Idiota!» mi becco uno scappellotto che già sapevo sarebbe arrivato «Io non sono un’ubriacona!»
«Non vorrai negare che ti piace il gin tonic?» le chiedo sollevando un sopracciglio con fare ovvio.
«No che non lo nego, ma da lì a darmi dell’ubriacona ce ne corre. E poi ti ricordo che è proprio grazie alla mia, chiamiamola predilezione per il gin tonic…» dice sventolando una mano «se mi hai raggirata e sei riuscito a portarmi a letto con te la prima volta»
«Sì, peccato che hai dormito come un ghiro tutta la notte» le ricordo.
«Beh, questo è quello che hai detto a me, ma la verità non la saprò mai»
Scoppio a ridere e lei mi guarda sbuffando. È colpa mia se ritorna spesso sull’argomento, perché ogni volta che mi prega di dirle quello che è successo davvero quella notte, le do sempre una versione diversa, divertendomi anche ad aggiungere qualche particolare assolutamente falso, e non contento concludo sempre dicendole che è meglio per lei se non verrà mai a sapere tutta la verità perché altrimenti potrebbe anche morire per la vergogna. E quasi sempre chiudiamo il discorso con lei che mi zittisce dicendo che mi diverto a sparare una marea di balle e che la verità è che quella notte non è successo assolutamente niente, e che quindi devo smettere di prendermi gioco di lei. Ma come faccio? È troppo buffa quando si arrabbia. Soprattutto da quando ha cominciato a crescerle la pancia a vista d’occhio e gira per casa con addosso simpatici vestitini colorati, sbuffando e gonfiando le guanciotte su quel faccino sempre più paffuto. Non farebbe paura nemmeno a un topolino.
Ma stasera è meglio se non la stuzzico troppo perché sembra davvero molto stanca, così cambio discorso «Sei davvero sicura di voler andare al club domani sera?» le chiedo accarezzandole i capelli.
«Assolutamente. È il compleanno di Matt e non possiamo mancare» risponde decisa.
«Va bene, ma non faremo tardi, perché la mia bambina è ancora troppo piccola per far baldoria la sera»
Sorride prendendomi il viso tra le mani, e io mi sento completo, così sorrido anch’io, ad occhi chiusi, mentre le sue dita indugiano sopra la fossetta che ho sulla guancia.
«Non pensi che sarebbe meglio se smettessi di parlare sempre come se avessi l’assoluta certezza che è una femmina?»
Spalanco gli occhi «Ma io ho la certezza che là dentro si nasconde un’altra Piccola Sirenetta» ribatto assolutamente convinto.
«E se invece fosse un Sirenetto?»
Storco il naso e le bacio la pancia, lasciandoci poi la bocca sopra «Non darle retta» sussurro «La mamma non sa che parliamo sempre di nascosto e che quindi questa scommessa la vincerò io»
«Ah, davvero, vorresti dire che voi due avete già fatto comunella contro di me?» chiede la Sirenetta muovendo un dito da me al suo ventre.
«Certo»
«Be’, se alla prossima ecografia si deciderà ad allargare le gambette, vedremo se hai ragione o se invece sei stato vittima di un suo scherzetto»
«Dici che ha mentito?» le chiedo, spalancando gli occhi per fingermi preoccupato.
«Chi lo sa. Magari è d’accordo con me e ti sta prendendo in giro» assume un’espressione presuntuosa come se davvero fosse certa che nascerà un maschietto. In questi mesi mi sono chiesto spesso come abbia fatto a non cedere alla curiosità, non è decisamente da lei, comincio a sospettare che abbia fatto un’ecografia di nascosto e che in realtà sappia già qual è il sesso del bambino.
«Sei troppo sicura di vincere. Dimmi la verità, sai qualcosa che io non so?»
«Ma piantala di essere così sospettoso»
«Se hai mentito me la pagherai cara» le dico minaccioso «E comunque, da padre geloso, se la mia bambina continua a tenere strette le gambe, può farmi solo piacere»
Scoppiamo a ridere e dopo un bacio fugace mi spinge via «Fammi alzare, svelto, che mi sto facendo la pipì addosso»
Prendendole una mano l’aiuto a sollevarsi. È sempre più goffa. Ed è adorabile.
La osservo mentre si allontana, ha messo su anche qualche chilo, se c’è una cosa che non le manca ultimamente è l’appetito, e per fortuna non ha sofferto molto di nausea, e a causa della sua gastrite era quello che più ci ha preoccupato fin dall’inizio della gravidanza.
Il campanello di casa mi fa distogliere lo sguardo da lei per posarlo sulla porta di casa.
«Merda!» impreca fermandosi «Mi ero scordata che veniva Luca per cena» si passa entrambe le mani tra i capelli poi mi guarda, ancora non mi sono mosso «Be’, che aspetti? Vai ad aprirgli» nel frattempo il campanello suona di nuovo, e sento Luca che la chiama «O penserà che sto male. Poi portava la pizza» aggiunge con sguardo famelico «Sto morendo di fame. Arrivo subito, intanto voi apparecchiate. O anche no, possiamo sederci davanti alla tv. Basta che mi fate mangiare» poi si volta in fretta.
Col cavolo che Luca cenerà con noi! Ora che è tornato il legittimo proprietario del bambino che ha in grembo, non c’è alcun bisogno che lui stia qui a farle da balia. Ho rimandato ogni impegno lavorativo a data da destinarsi proprio per non doverla lasciare più sola nemmeno un giorno, quindi da oggi ristabiliamo le regole.
«Che ci fai qui?» chiede Luca appena apro la porta. In una mano ha un cartone della pizza gigante e nell’altra la custodia di un dvd. Piego il capo per leggere il titolo: “Django Unchained”. Perfetto, un film western è proprio quello che ci vuole per allertare i suoi ormoni. Lei crede che io non sappia che effetto hanno su di lei questo genere di film, e invece lo so benissimo e quando posso ne approfitto spudoratamente.
«Forse ci abito?» rispondo saccente.
«Non dovevi tornare domani?»
«Ho anticipato il rientro»
«Per fortuna ho preso la pizza gigante»
Quanto è ingenuo, se spera che gli farò varcare la soglia è proprio un illuso. Infatti, appena tenta di entrare, mi pianto al centro della porta bloccandogli il passaggio.
«Be’, togliti»
«Sono tornato prima per stare con Rebecca, quindi, se non ti dispiace, preferirei rimanere solo con lei»
«Non ho certo intenzione di disturbare i piccioncini» ribatte sarcastico «Mangio e me ne vado subito»
«Dai, Luca. È cinque giorni che non ci vediamo e non ti voglio tra i piedi»
«Certo che sei proprio uno stronzo!»
«Già» confermo soddisfatto.
«E da quando Reb è incinta lo sei ancora di più»
«E sarà sempre peggio. Fidati»
«Non ne dubito. Dammi almeno qualcosa per metterci un po’ di pizza per me, il resto ve lo lascio»
«Oh no!» gli sfilo il cartone dalle mani e lui preso alla sprovvista spalanca gli occhi «Non vorrai togliere il cibo di bocca alla mia donna e alla mia bambina?»
«E io con cosa dovrei cenare? Lo sai che ho sempre il frigo vuoto» cerca di riagguantare il cartone ma lo allontano in fretta dalla sua mano.
«Vai a comprarti una pizza»
«Ma io l’ho già comprata una pizza! E se tu non fossi così stronzo me ne lasceresti portare via almeno un pezzo!»
«Lo sai anche tu che ultimamente Rebecca mangia come un lupo, e quando anche tu avrai una famiglia, capirai perché lo sto facendo»
«Russel, sto davvero morendo di fame»
«Be’, allora sbrigati, o finiranno la pizza»
Gli sbatto la porta in faccia e sghignazzo soddisfatto, mentre lo sento imprecare contro di me.
Forse sto davvero diventando troppo possessivo, ma Luca a volte si comporta come se fosse lui il padre di mia figlia.
«Quando sarà grande lo zio gli regalerà questo e quello. Quando sarà grande con lo zio farà questo e quello» lo scimmiotto avvicinandomi al divano per appoggiare il cartone sopra al tavolino «Ma che cazzo!»
Forse però dovrei darmi una calmata, in fondo sono anche sereno sapendo che quando non ci sono si prende cura della Sirenetta. Sospiro un po’ scocciato e torno sui miei passi. Apro la porta e vedo Luca che sta per svoltare l’angolo.
«Luca!» lui si ferma e lo raggiungo in fretta.
«Lo sapevo che non potevi essere così stronzo» dice voltandosi e sorridendo.
«Ehm… veramente mi serve il dvd» glielo strappo di mano e torno verso casa.
«Che grandissimo figlio di puttana!»
«Buona serata, zio Luca» lo sfotto, e senza voltarmi rientro in casa. Molto, ma molto soddisfatto. Pizza e cinema, e tutto gratis.
«E Luca dov’è?» mi volto di scatto. Mentre inserivo il dvd nel lettore non mi ero accorto che la Sirenetta era uscita dal bagno.
«Oh… è dovuto scappare. Un imprevisto» tergiverso, aprendo il cartone della pizza. Wow, doppia mozzarella!
«Problemi al club?» chiede la Sirenetta sedendosi a terra davanti alla pizza.
«Sì, sembra che abbiano finito le noccioline, ed è dovuto correre a comprarle» sghignazzo da solo per la mia battuta, e lei mi osserva corrucciando la fronte. Forse è meglio se faccio meno il simpatico, o finirà per capire che l’ho sbattuto fuori «Non so perché sia scappato, ma in compenso ci ha lasciato la pizza, e questo» dico mostrandole la custodia del dvd.
Sapevo che sarei riuscito a distrarla, le si sono illuminati gli occhi «”Django Unchained”, fantastico!» afferra un pezzo di pizza e mi indica il lettore «Dai, fallo partire»
«Tutto quello che vuoi» le dico, dandole un bacio prima che addenti la pizza.
 
Della sua gravidanza, l’unico aspetto negativo è la speculazione dei media. Spesso Rebecca si lamenta per la troppa pressione a cui è sottoposta, e vorrei poterle risparmiare tutto questo.
Già da un po’ uscivano articoli in cui parlavano di una sua sospetta gravidanza, e pur sapendo che prima o poi non sarebbe più stato un segreto, ci eravamo accordati per mantenere la massima discrezione e poter così rimandare il più possibile l’assalto dei fotografi.
Ma qualche giorno prima che partissi per New York, involontariamente, lei ha fatto un passo falso, ed ormai che aspettiamo un bambino è di dominio pubblico.
Ero andato a prenderla a lavoro per pranzare con lei. Indossava uno dei suoi abitini nascondi pancia, come li chiama lei, e in effetti, fra tutte quelle pieghe di stoffa, faticavo anch’io a credere che là sotto ci fosse davvero la mia bambina.
Mentre camminavamo per strada tenendoci per mano, dal niente è spuntato un fotografo e ha cominciato a scattare una foto dietro l’altra, girandoci attorno e tartassandoci di domande.
Quando si è avvicinato a meno di un metro da noi e il suo tono è diventato arrogante, ero sul punto di atterrarlo con uno spintone, ma Rebecca, percependo il mio nervosismo e le mie intenzioni, mi ha strinto più forte la mano, e senza rendersene conto, si è appoggiata l’altra sul ventre. In quell’istante, ho capito che avevo delle responsabilità e che quindi dovevo darmi una calmata. Ovviamente quel suo gesto non è sfuggito al fotografo, che ha smesso di chiedere se fosse davvero incinta, passando a domande più dirette “Quando nascerà?”. “È maschio o femmina?”. “Come lo chiamerete?”. Nel frattempo, un folto numero di curiosi ci guardava, mentre alcuni negozianti che conosciamo perché ci serviamo da loro, erano usciti per strada, e solidali con noi gridavano al fotografo di lasciarci in pace.
Io ho tirato un profondo respiro per calmarmi, e dopo aver scambiato una veloce occhiata con la Sirenetta, ho posato la mia mano sopra la sua. Lei ha abbassato la testa e ha spalancato gli occhi, davvero non si era accorta che stava camminando con la mano sopra la pancia come se volesse proteggere nostra figlia da quel fotografo. In quel momento ho sentito di amarla oltre ogni limite, e non ho potuto fare a meno di sfiorarle le labbra con le mie e accarezzarle la pancia per farle capire che per lei e per nostra figlia ci sarò sempre, che non sarà mai più da sola ad affrontare il mondo, perché da quando la conosco ho capito di essere nato solo per amarla.
 
«Ehi, non lo guardi il film?» si accoccola meglio sul mio petto e mi sfiora i capelli.
«Certo che lo sto guardando, solo non sapevo che fosse così lungo» se avessi saputo prima che durava tre ore, avrei lasciato che Luca si portasse via il dvd, perché speravo di poter andare a letto presto per fare l’amore con lei, ma da come è presa da questa banda di omaccioni armati, temo che non riuscirò mai a trascinarla a letto prima che appaia la scritta fine sullo schermo.
«Bugiardo, non lo stai seguendo già da un po’. Dimmi cosa stavi pensando»
«Vuoi davvero saperlo? Perché non credo che ti piacerà»
«Certo che voglio saperlo!» insiste.
«Tu sai quanto desidero una bambina» affermo, e lei annuisce facendosi seria «Ma sai anche che sarò ugualmente felice se sarà un maschio» 
«Dove vuoi arrivare?» chiede affilando lo sguardo perché ha capito che sto tergiversando.
«Vorrei una promessa da te»
«Quale?» chiede circospetta.
Mi schiarisco la voce e caricandomi di coraggio le dico il resto «Voglio che mi prometti che se sarà maschio, proveremo almeno un’altra volta ad avere una femminuccia»
«Tu sei pazzo!» esclama sfuggendo al mio abbraccio «Sono a metà gravidanza e tu già pensi alla prossima. Tipico di voi uomini!»  
«Non ci vedo niente di male»
«Non ci vedi niente di male? Quando ho detto che volevo un figlio era proprio quello che intendevo. Un. Figlio. Non due o tre o quattro. Ma uno»
Forse avrei fatto meglio ad aspettare ancora un po’ prima di dirglielo.
«Ne riparliamo più avanti, okay?»
«Col cavolo! Ne parliamo adesso invece. Anche perché conoscendoti non ti darai per vinto tanto facilmente. Quindi chiariamo subito che questo…» si indica la pancia «è l’unico figlio che avrai da me»
«Stai dicendo che posso averne anche con altre?»
Attraverso la t-shirt mi afferra un capezzolo tra due dita e lo torce, facendomi lanciare un urlo di dolore.
«Non azzardarti nemmeno a pensarlo! O giuro che non vedrai mai crescere tuo figlio perché ti ammazzo ancor prima di partorirlo»
«Ma stavo solo venendo dietro al tuo discorso!» mi giustifico, liberandomi dai suoi artigli per massaggiarmi il petto.
«Allora impara a non venirmi dietro quando dico stronzate!» 
«Okay okay. Chiudiamo il discorso qui» le circondo le spalle con un braccio e la riporto al mio fianco.
«Ecco, bravo, chiudiamo il discorso e lasciami guardare il film»
Certo che chiudiamo il discorso, ma solo perché se ti faccio arrabbiare troppo dopo non vorrai fare l’amore con me, e solo per dimostrarmi che hai ragione tu e che non hai intenzione di cedere. Ne riparleremo quando sarà il momento giusto, e se non cederai, cosa che dubito, manometterò il blister delle tue pillole o forerò i preservativi.
 
***
 
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È finita, più o meno. Più o meno perché di tanto in tanto pubblicherò qualche capitolo extra, giusto per continuare a farci un po’ gli affari loro. Non sono ancora pronta a lasciarli andare, perché Reb e Russel mi hanno davvero dato tantissimo.
 
Non so come ringraziarvi per aver aspettato questo capitolo per così tanto tempo, spero solo di non avervi deluso. Io mi sono divertita a scriverlo, perché stare nella testa di Russel è sempre uno spasso.
Vi informo che prossimamente pubblicherò un capitolo della raccolta delle scene rosse e uno dal punto di vista di Dario perché glielo devo, e poi devo confessarvi che sono follemente innamorata di lui. Sarà una cosa piccola piccola ma che ho in testa già da un po’. Ancora non ho deciso se inserirlo qui o fare una one-shot a parte.
 
Vi ringrazio tutti infinitamente, perché questa è stata una storia molto complicata e sofferta da scrivere, soprattutto alcuni capitoli in cui ho davvero pianto molto, perché… insomma… molte esperienze vissute da Reb le ho vissute io, ed avevo bisogno di scriverle.
 
Sono gradite le impressioni finali, le critiche, e anche i pomodori se volete lanciarmeli.
 
Tempo permettendo, riprenderò in mano PECORA, SEX LIST (con la storia di Craig e Gabrielle) e DAD.  
 
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui, perché è vero che si scrive per se stessi, ma se si pubblica si fa per essere letti.
 
Claudia
 
 

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Capitolo 41
*** Cap. 41 - Je suis venue te dire que je m'en vais - Dario ***


Dunque, nell’avviso precedente ho scritto che cancellerò questa storia per revisionarla, e lo farò, ma visto che qualcuno mi ha chiesto di aspettare un po’ perché doveva ancora finire di leggerla e già da un po’ avevo buttato giù queste due righe e, ok, Russel è Russel, questo non è in discussione, ma lo stesso provo un amore viscerale per Dario, prima di lasciarvi ho pensato che, anche se corto e a mala pena riletto, vi avrebbe fatto piacere sapere come se la passa il mio bel testardo moro dagli occhi verdi.  
 
 
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JE SUIS VENUE TE DIRE QUE JE M’EN VAIS
 
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DARIO
 
Mettere definitivamente la parola fine a un rapporto sul quale avevi riposto grandi speranze per il futuro è sempre doloroso, anche quando sai con certezza che la vera fine è già passata da un pezzo e che sarebbe tempo di pensare piuttosto a un nuovo inizio per tentare di reinventarsi. Poi, un giorno, un giorno che sapevi benissimo sarebbe arrivato, ricevi uno scossone, e non puoi più rimandare. Così cominci ad assemblare quel poco che sei riuscito a trarre in salvo di te stesso e fai l’unica cosa sensata che puoi fare: provi a vivere, anziché sopravvivere soltanto.
Per me quel giorno è arrivato un venerdì. Un venerdì 17.
Era gennaio, faceva freddo ed era tutto il giorno che pioveva, ed io, come sempre, non avevo voglia di far niente, però almeno quel pomeriggio avevo la scusa del tempaccio per starmene rintanato in casa, con la tuta che pendeva sui fianchi ogni giorno più sottili, la barba un po’ troppo lunga e la voglia e l’ispirazione per scrivere un articolo pari a zero.
Ero seduto alla mia scrivania da due ore e avevo scritto solo quattro righe, così non provai alcun senso di colpa quando, senza nemmeno perdere tempo a rileggerle, ci passai sopra il cursore e con un colpo secco e stizzito le cancellai.
Malgrado tutto, la giornata però cominciava a volgere al meglio: erano passate da qualche minuto le quattro, quindi potevo farmi un goccetto.
Un paio di mesi prima mi ero svegliato a terra, tra il divano e il tavolino che traboccava di bottiglie di birra e super alcolici ormai vuote, non ricordando da quanto tempo ero lì mezzo morto e nemmeno che giorno fosse. Quando qualche ora dopo mi sentii più lucido, conclusi che anche se sbronzarmi poteva essere accettabile, e spesso raccomandabile, dovevo per lo meno tentare di evitare che succedesse ogni santo giorno, ma soprattutto non potevo farlo cominciando a bere fin dalla mattina. Così, le quattro erano l’ora in cui potevo farmi una birra, mentre i super alcolici erano riservati esclusivamente a dopo cena, e solo se affettivamente avevo cenato, cosa che in quel periodo non facevo spesso. Anche il piacere di mettermi ai fornelli era totalmente sfumato da quando non c’era più lei.
Fuori continuava a piovere insistentemente e scemato completamente il suono di un tuono lontano, mentre bevevo il secondo sorso di birra e annoiato facevo zapping, squillò il telefono e un brivido mi risalì in fretta dalle reni alla nuca. Quando mi alzai dal divano e vidi il nome sul display del telefono, mi congratulai in silenzio con me stesso per l’intuito che mi aveva suggerito immediatamente chi mi stava chiamando. Ma il compiacimento mi abbandonò in fretta, sostituito dalla consapevolezza che non era stato affatto intuito, perché la verità era che non pensavo ad altro da giorni e che ogni volta che il mio telefono suonava pensavo sempre e soltanto che fosse arrivato il momento di affrontare una volta per tutte la realtà.
Mi feci coraggio, e dovetti recuperarne molto di più di quanto avessi pensato, per portarmi il telefono all’orecchio e rispondere: «Anna!» esclamai, carico di falso entusiasmo e combattendo con la nausea che dallo stomaco stava salendo implacabile fino alla gola.  Strinsi con forza il telefono in una mano e la bottiglia di birra nell’altra, pensando che se avessi saputo che quello sarebbe stato il gran giorno, avrei trasgredito alle regole e avrei macchiato il primo caffè del giorno con la grappa, pranzato con la Vodka e fatto uno spuntino con il Bourbon, così forse in quel momento non sarei stato in grado di rispondere e avrei potuto continuare a ignorare un altro po’ la realtà e posticipare quella conversazione. Conversazione che, anche se avevo voluto io, in quel momento sentivo di non desiderare più un granché.
Stronzate! Non solo non la desideravo, ma sentivo forte l’impulso di scagliare il telefono contro la parete, sprangare poi porte e finestre, spengere il computer e tirar via la spina del telefono fisso per poter andare in letargo come un orso, e magari non svegliarmi nemmeno all’arrivo della primavera, già, possibilmente avrei preferito non svegliarmi più.  Ma in quel momento ero sveglio, ero sveglio e Anna mi stava chiedendo come stavo. Cristo! Cosa avrei dovuto dirle?
“Oh, come vuoi che stia? Una favola! Sai, quando alzo troppo il gomito riesco addirittura a pensare che malgrado tutto sono stato fortunato ad averla avuta con me, anche se per poco. Poi però mi passa la sbronza e maledico il giorno in cui le sono andato addosso con l’auto e i miei tentativi andati a buon fine con cui sono riuscito a strapparle un appuntamento. In quei rari momenti in cui mi sento vivo e mi sembra di ragionare un po’ lucidamente, invece vorrei andare fino a Los Angeles per ammazzare lui e riprendermela.”
No, non potevo decisamente risponderle così, ma dovevo lo stesso dirle qualcosa, anche se il groppo che avevo in gola mi stava impedendo anche solo di respirare. Scelsi saggiamente di sviare la domanda sul mio stato di salute psico-fisico, non solo perché non mi andava di inventarmi balle che la tranquillizzassero, ma soprattutto perché avevo l’urgente necessitò di farle io una domanda, e dovevo farlo subito, prima che l’angoscia e la preoccupazione m’investissero del tutto. Così, fregandomene di passare per maleducato, senza risponderle e senza nemmeno salutarla, con un fil di voce che tradiva la mia inquietudine, le chiesi: «Come sta lei?»
La risata di Anna mi raggiunse prima della sua risposta, e anche questa volta il mio intuito non fu necessario, perché era così allegra che mi rilassai immediatamente.
«Bene, stanno bene, sia lei che il bambino»
Provai immediatamente sollievo. Ero perfettamente cosciente che fin da quando Anna mi aveva informato della gravidanza di Rebecca, oltre agli istinti omicidi, la frustrazione e altri miliardi di stati d’animo negativi che a fasi alterne contrastavo o assecondavo, provavo anche una costante apprensione per timore che qualcosa durante la gravidanza o il parto potesse andare storto.
“Stanno bene, sia lei che il bambino.”
Be’, io avevo chiesto solo di lei, non del bambino, in tutti quei mesi non avevo pensato nemmeno un minuto a lui. Non me ne fregava proprio niente di lui, anzi, nei momenti di maggiore rabbia ho pensato anche che lo odiavo. Non solo, pensavo proprio che il mio odio nei suo confronti fosse totalmente giustificato e non provavo nemmeno un briciolo di vergogna, perché quel bambino aveva preso il posto di mio figlio. Era stato desiderato, sarebbe stato amato e coccolato, mentre il mio…
Strinsi con maggior forza la bottiglia per scacciare i ricordi dolorosi che riaffioravano con testarda costanza e sfiancante determinazione, uno fra tutti era oramai come un parassita annidato nel mio cervello che probabilmente avrebbe continuato a crogiolarsi là dentro fin tanto avessi vissuto anch’io: il momento in cui scoprii che stavo per diventare padre e l’attimo immediatamente dopo in cui invece capii che non sarebbe mai successo.  Quanto ho odiato Rebecca in quel momento! E per quanto io cerchi di ignorarlo negandolo a me stesso con ogni mezzo a mia disposizione, alcol compreso, so perfettamente che quel giorno capii anche che lei non mi amava e che non l’avrebbe mai fatto, non almeno come io amavo lei. Ma la volevo lo stesso, malgrado tutto e… Merda! Avevo già ricominciato a divagare, a ricordare, a fare mille congetture su cosa avrei dovuto fare per tenerla con me, e come sempre la prima cosa che mi rimproveravo era non averle impedito di partire. Forse, se non fosse andata a Los Angeles, se fosse rimasta qui con me…
Mi sembra ieri quando mi disse che stava per partire, ricordo il suo nervosismo, lo sguardo sfuggente, il modo distratto con cui spilluzzicava dal suo piatto, il suo piede che batteva incessantemente sul parquet della mia sala da pranzo.
“Vado per un po’ a Los Angeles.” Poche parole e subito la sentii così distante, ma come un cretino le sorrisi prendendole una mano per tranquillizzarla, pensando che se era tempo ciò di cui aveva bisogno, glielo avrei dato, l’unica cosa che m’importava era che poi tornasse da me. Per sempre, e non solo fisicamente.
Ma invece non è più tornata. Ha voltato definitivamente pagina, ha conosciuto un uomo, si è innamorata di lui e hanno avuto un figlio, mentre io sono ancora qui a girovagare in questa casa che avevo comprato per noi e vivo di ricordi.
Sentivo la voce di Anna solo come un bisbiglio, parlava del bambino, del suo peso, del nome che gli avevano dato, di quanto fosse eccitata all’idea di raggiungere sua nipote la settimana seguente per vederlo di persona, e ogni notizia in più che mi dava era un tassello che si aggiungeva alla consapevolezza che ormai era tutto finito, che dovevo andare avanti, smettere di vivere di soli ricordi, stiparli da qualche parte e scordarmi di loro per sempre. Cristo! Non ci sarei mai riuscito, già solo stare in quella casa mi faceva pensare a Rebecca, la vedevo ovunque. E forse era per quel motivo se ancora non ero riuscito a metterla in vendita. Sentii una stretta al petto immaginando lì dentro qualcun altro che non fossimo io e Rebecca. Spazio ce n’era a sufficienza, era una casa perfetta per una famiglia, quella che non saremmo mai stati noi due, non insieme almeno.
Raggiungendo lo studio come una furia repressi un gemito di dolore, poi con la rabbia che non riuscivo più a trattenere cominciai a rovistare nei cassetti della scrivania. Parlavo del più e del meno con Anna, o meglio, lei parlava e io grugnivo qualche sì o no in risposta, mentre rivoltavo carte e spostavo cianfrusaglie che non sapevo nemmeno di avere, alla ricerca di quel dannato bigliettino da visita che ero certo di avere ancora. Finché lo trovai e, rigirandolo tra le dita, capii che se non l’avessi fatto subito non l’avrei mai fatto. E non potevo rimandare, non più.
«Anna, perdonami ma devo fare una telefonata urgente»
«Oh, scusa se ti ho rubato un sacco di tempo» il suo tono era allegro e amichevole come sempre «Ma sai come son fatta, quando comincio con le chiacchiere non mi fermo più»
Sorrisi perché era vero, ma a me non dispiaceva, anzi, mi ero affezionato a lei e apprezzavo i suoi tentativi di tirarmi su il morale, poi in fondo ero stato io a chiederle di avvertirmi quando Rebecca avesse partorito.
Ci salutammo come due vecchi amici ma prima che riattaccasse le dissi un’ultima cosa: «Anna, devi farmi un ultimo favore, quando sarai là, da’ un bacio al bambino da parte mia» sapere che l’avrebbe fatto fu come passare uno straccio sulla mia anima per ripulirla, avevo odiato quel bambino già da prima che nascesse, pur sapendo che sbagliavo e che non era con lui che dovevo prendermela, ma non avevo alcuna intenzione di continuare a farlo. Di più: non avevo alcuna intenzione di prendermela con nessuno, nemmeno con me stesso.
Riattaccai il telefono, mi sedetti davanti alla scrivania e in fretta composi il numero dell’agenzia immobiliare per fissare un appuntamento per vendere la casa. Da qualcosa dovevo pur cominciare per poter arrivare davvero un giorno a mettere la parola FINE.

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Per il momento vi saluto e vi ringrazio, e non sarebbe male qualche vostra impressione, anche critica, che possa aiutarmi a fare un lavoro sensato con la revisione. Alcuni punti deboli della storia li conosco, ma magari voi potete suggerirmene altri su cui lavorare.
Abbiate fede, non è che sparisco, a breve riprenderò in mano sia PECORA che D.A.D.
V.17

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