Distorte le Menti e Vuote le Mani di LaMicheCoria (/viewuser.php?uid=53190)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1938 ***
Capitolo 2: *** 1943/1944 ***
Capitolo 3: *** 1950 ***
Capitolo 1 *** 1938 ***
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Disclaimer: i personaggi di
Hetalia Axis Powers
Non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
A AmyLerajie per aver indetto il contest ~
A Rota, la figlia Angleterre,
a l’Ele, alla Jo-San e a LadyBracknell per essersi
Subite le mie pare mentali ~
.: Distorte le Menti e Vuote le Mani :.
I.
-Allora? Ti piace, Germania?-
Oh, Veneziano sa che gli piace: se ne è accorto da
qualche minuto, forse già da quando lo sguardo di Germania ha colto lo
scintillare bianco del gomito del Discobolo.
Lo sa e se ne è accorto, perché Germania -che controlla e soppesa ogni parola come si
fa con la spada prima d’un duello- non sembra avere idea di quanto il suo
corpo supplisca alla mancanza di voce: Veneziano ha subito visto il respiro
aggrapparsi ai polmoni, le labbra serrarsi e gli occhi accogliere piano, con
dolce lentezza, il profilo della statua.
Sul volto della Nazione tedesca è comparsa un’espressione
così colma di adorazione e meraviglia, che Veneziano ha sentito il cuore
stringersi per la commozione.
Il Consiglio Superiore ha protestato, ha fatto
sentire le proprie ragioni, ha urlato, ha gridato, e anche Romano non è stato
da meno sacramentando più di quanto buona creanza vorrebbe, ma gli è bastato quello sguardo, solo quello sguardo per
tornare fermo nel suo proposito.
Il Cancellerie tedesco è un pittore, un uomo d’arte,
glielo ha detto Germania, quindi sa che non ci saranno rischi, che andrà tutto
bene, che può accordargli la stessa fiducia datagli dal Duce. Sarà in buone
mani, non gli accadrà nulla.
Veneziano incassa la testa nelle spalle e lancia un’occhiata
di sbieco al fratello: Romano, dietro di lui, lo sta fissando con le braccia
incrociate al petto e lo stesso sguardo vitreo che gli riservava in Spagna,
quando si trovava dalla parte sbagliata della ragione.
Un brivido lungo la schiena e Veneziano torna ad
osservare Germania, così rapito dall’accuratezza dei dettagli, dall’ombra che
si accavalla tra le fasce muscolari, dalla forza che si snoda nelle
articolazioni e nelle membra di marmo.
Sì.
Gli basta osservare il volto incantato della Nazione
tedesca per sentirsi finalmente tranquillo: persino gli occhi del Discobolo
hanno lasciato da parte la colpevolezza e la delusione, tornando ad essere
orbite vuote scheggiate dalla pialla.
Germania raddrizza la schiena e si volta verso
Veneziano, annuendo appena; la Nazione italiana dondola sui talloni e intreccia
le dita dietro la schiena, soddisfatto del sorriso che ha sfiorato le labbra
sempre corrucciate dell’altro.
-Sono sicuro che gli piacerà - conferma Germania, al
che Veneziano emette un pigolio contento e lo prende sottobraccio con un
saltello.
-Lo ha sentito, conte Ciano?- cinguetta, sporgendosi
verso l’uomo accanto a loro.
Galeazzo Ciano si china a sua volta, rivolgendo ad
entrambi un cauto sorriso. Sembra sempre a disagio quando parla con uno di loro
e Veneziano non riesce proprio a capacitarsi del motivo; Romano dice che le
persone importanti non parlano troppo con loro perché temono di vedersi messi a
nudo, scoperti di idee che non vogliono mostrare al popolo, ma nemmeno a se
stessi.
Veneziano sporge un poco le labbra e arriccia il
naso.
Il conte Ciano non dovrebbe farsi di simili
problemi, non con lui!
E’ sposato
alla bella Edda, è uno di famiglia ormai. Di lui si fida, anche se il Duce gli
rinfaccia continuamente di avere una condotta scellerata e di essere un viveur.
E’ il marito di Edda, quindi non può essere così cattivo, no?
Poi, lo sta aiutando a far felice il capo di
Germania e quindi anche Germania, e
Veneziano vuole, ha bisogno che
Germania sia felice, perché non gli piacciono quei tentacoli neri che incidono
di graffi lividi lo sguardo altrimenti limpido, non gli piace la piega dura
della mascella quando lo lascia da solo a pensare per troppo tempo, né il
freddo montante che avverte proprio lì, all’altezza del cuore, a soffocare ogni
scintilla di calore.
È disposto a tutto, Veneziano, anche a separarsi dal
ricordo che ruscella come sangue lungo le venature del marmo.
-Parlerà lei col signor Bottai, vero?-
Ciano annuisce di nuovo, sollevando timidamente le
labbra: è un assenso e all’italiano basta.
Basta per far nascere un sorriso spontaneo sul volto
di Germania, basta a cancellare l’espressione inorridita di Romano, le sue mani
chiuse a pugno e le nocche tremanti.
Ma non basta a lavare via la tristezza dallo sguardo
del Discobolo.
Note
“Alle
iniziali resistenze del Consiglio Superiore delle Scienze e delle Arti, in data
18 Maggio 1938 il conte Ciano scrisse a Bottai che in vista del personale
interessamento del Cancelliere del Reich
il Discobolo di Mirone, importantissima copia di età Antonina di proprietà del
Principe Lancellotti, notificato fino al 1909 come opera di alto interesse
culturale per ragioni amministrative
doveva partire entro una settimana per la Germania.
Con
lettera del 24 Giugno del 1938, il Presidente del Consiglio tedesco ringraziava
Bottai per aver soddisfatto Hitler, e il nostro coscienzioso Ministro venne a
conoscenza dell’espatrio del Discobolo”
(Manuale di Legislazione dei Beni
Culturali, Giulio Volpe)
Giuseppe Bottai è stato un politico italiano. Fu governatore di Roma,
ministro delle Corporazioni e ministro dell'Educazione Nazionale. (Wikipedia)
Il Ministero dell’Educazione
Nazionale in epoca fascista si occupava anche dell’ambito dei Beni Culturali.
Il Discobolo è una
scultura realizzata da Mirone intorno al 455 a.C. in bronzo, e oggi è nota solo
da copie marmoree dell'epoca romana, tra cui la migliore è probabilmente la
versione Lancellotti. (Wikipedia)
Il titolo
viene dalla canzone Il Centro del Fiume,
di Pierangelo Bertoli.
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Capitolo 2 *** 1943/1944 ***
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II.
Germania fa un gesto.
Il soldato si mette sull’attenti.
Veneziano trema.
Fermati, Germania,
fermati, ti prego.
Non sono tante parole e non dovrebbero essere così
difficili da pronunciarsi.
Sono una preghiera, un’invocazione, ma la voce non
esce: si sgretola nel petto e marcisce dentro i polmoni; la bocca si schiude,
il petto si alza, sollevato da un timido respiro…eppure è solo silenzio quello
che gli scivola dalle labbra.
Deglutisce, accenna un passo verso il soldato, tende
il braccio, fermati, fermati, lascialo,
non ti avvicinare, e alla fine sono solo dita serrate contro la spalla e il
mondo che si infrange.
Tutto sfuma, tutto si cancella, tutto si frantuma.
Il soldato allunga le mani, afferrando il quadro
senza darsi pena della grazia o della cura; si aggrappa alla cornice e la
stacca dalla parete con uno schiocco, le vene del collo spiccano gonfie per lo
sforzo e il corpo si inclina, piegato dal troppo peso.
Veneziano soffoca un gemito e si porta una mano al
cuore, serrando le palpebre.
Vorrebbe morire, morire e non svegliarsi più. Morire
e annegare e svanire e dormire, dormire e solo dormire, avvolto nei morbidi
panneggi del Raffaello, tinti del rosso sangue di Tiziano.
Da quando quadri e statue sono divenuti meno di
nulla? Da quando li si esamina come si farebbe con la chiostra di denti di un
cavallo? La forza del colore non è quella dello zoccolo, lo scatto che flette
il ginocchio di una scultura non è lo stesso dell’animale al galoppo!
Te l’ho spiegato
tante volte, Germania! Tante volte e tanto tempo fa, possibile che non ricordi?
Il tuo sguardo meravigliato allora mi stringeva il cuore in una dolce morsa,
ora invece lo dilania! Quegli occhi accesi dallo stupore ora sono per me fonte
della più profonda disperazione, sono una maledizione da cui non riesco a
salvarmi, e sacrificherei tutte le stagioni di questa vita per poter vedere la
disapprovazione e lo sdegno corrugarti la fronte!
Il soldato traballa sotto la cornice, i piedi
incespicano, Veneziano si tende, Germania non lascia la presa.
Se solo potesse, se solo non fosse costretto a
osservare con l’ordine tassativo di non parlare, di non muoversi a difesa di
quello che è suo e di suo fratello, di quelli che sono la loro vita e i loro
ricordi, allora si volterebbe di scatto e gli morderebbe la mano, affonderebbe
i denti nella carne, e stringerebbe, stringerebbe fino a sentire le ossa
cozzare contro il palato e il sangue riempirgli le guance.
No! Deve smetterla con simili pensieri! Non può, non
può mostrarsi ribelle a Germania…! Non può, non può, non può.
Fingi, annuisci, sii timido, stai in silenzio.
Sorridi se lui lo chiede, se lo impone, taci. Dimentica di essere l’Italia del
Nord, riduci te stesso ad un frammento di terra a strapiombo sul Golfo, guarda
il tuo riflesso mentre annega nel torbidume livido del lago.
-Il Kunstschutz
se ne prenderà cura, vedrai-
Mostrati sollevato, Veneziano. Alza timidamente gli
occhi, annuisci appena, concedigli un sorriso di ringraziamento, nascondi la
tensione dei muscoli. I suoi occhi slavati e vitrei ti fissano e si aggrappano
al tuo volto, cercando una scintilla, una speranza di comprensione.
Dimostragli in silenzio la tua fiducia
nell’Istituzione e in quegli imballaggi simili a moncherini fetidi, nella carta
di giornale stropicciata a coprire i vuoti tra le facce del cartone bucato, nelle
casse scardinate, nei chiodi piegati minacciosamente verso la tela, nei buchi e
negli spifferi da cui si intravedono gli occhi pietosi di una Vergine o la
scintillante, inutile spada di San Giorgio, levata contro uno sconquassato
serpente di legno.
-Lo so- mormora Veneziano e le parole si trascinano
a fatica dentro la bocca gonfia, impastata di sabbia
Sarebbe così facile spezzare Germania, in quel
momento. Negargli ogni appiglio. Ogni speranza. Ogni aiuto. Sarebbe così
facile. Spezzarlo e spezzarsi a propria volta, perché se Germania cade,
Veneziano cadrà con lui -e non per mera
politica.
-Non permetteremo a tuo fratello di distruggerlo-
Il respiro si conficca nei polmoni, ma Veneziano si
costringe di nuovo ad annuire.
Romano, fa’
attenzione, Romano.
Suo fratello corre e scappa e spara tra i monti e
gli arbusti, e Germania vede in lui l’unico
pericolo alla stabilità dell’occupazione sul territorio italiano. A Romano imputa
la colpa della guerriglia, dei convogli distrutti, dei ponti crollati, dei
prigionieri liberati.
Ah, Germania, se
solo tu sapessi.
Veneziano si obbliga a dimenticare d’essere ben più
che uno Stato fantoccio, ma Germania lo ha scordato per davvero.
Romano no, come non ha dimenticato il loro legame di
fratelli: lui si occupa dei balzi e delle gole, Veneziano scivola e si districa
in ragnatele di inganni e corruzioni. Romano si prende cura dei figli della
terra, Veneziano dei figli della politica. Si finge sottomesso, si finge
fedele, si finge sconfitto: mostra il volto sorridente e nasconde il petto che
brucia di libertà.
Non ti ho voltato
le spalle, Italia. Aspettami, aspettaci.
Solo qualche
settimana, solo qualche mese, solo qualche anno ancora! Ti libererò, Italia! Ti
libereremo!
Germania lo spinge verso un’altra Sala, verso altri animali da esaminare, catalogare alla
bell’e meglio e imballare in tutta fretta. Veneziano torce il collo e dietro le
spalle del tedesco coglie il luccicare delle lacrime della Vergine.
Tornerete a casa,
ve lo prometto.
E questa, lo sa, non è una menzogna.
Quando gli ha aperto le porte di Ville Triste,
Rodolfo Siviero ha annuito.
Note
Dall’autunno
del ’42 Goering strappava a Firenze capolavori inestimabili.
Con i
suoi treni speciali molte opere partivano senza alcuna noia amministrativa e
doganale. Siviero ci raccontava che “ questa situazione nel settore delle Arte fra
i gerarchi nazisti e l’Italia durò fino all’8 Settembre 1943, data in cui fu
istituito, al comando del colonnello Alexander Langsdorf, il Kunstschutz. Da questa data il
patrimonio artistico, storico e bibliografico italiano passò sotto la
protezione di Hitler e di Goering, e il programma del Governo Nazista per la
spoliazione delle opere d’arte in Italia poté così completare il suo ciclo (…)
Nel luglio del 1944, poco dopo l’occupazione di Roma da parte delle truppe
alleate, il quadro della situazione era questo: i tedeschi avevano portato in
Germania e al Nord più di duemila oggetti d’Arte di pertinenza di Gallerie
pubbliche e cittadini privati.”
(Manuale di Legislazione dei Beni
Culturali, Giulio Volpe)
E le truppe naziste che portavano via
i quadri e le sculture non si davano tanta pena nell’imballaggio: dovevano
trafugare, portarle via, e dovevano farlo in fretta.
Rodolfo
Siviero
è stato un agente segreto, storico dell'arte e intellettuale italiano noto
soprattutto per la sua importante opera di recupero delle opere d'arte
trafugate dall'Italia nel corso della Seconda guerra mondiale.
Dopo l'8 settembre 1943 Siviero si
schiera con il fronte antifascista. Si occupa prevalentemente di monitorare il
corpo militare nazista detto Kunstschutz, corpo istituito
originariamente con lo scopo di proteggere il patrimonio culturale dai danni
della guerra, ma che sotto le direttive naziste si occupava di trafugare
dall'Italia verso la Germania il maggior numero di opere d'arte. Nella casa
dello storico dell'arte ebreo Giorgio Castelfranco sul lungarno Serristori di
Firenze – oggi nota come Casa Siviero – Siviero si occupa di coordinare alcune
delle attività partigiane di intelligence.
Dall'aprile al giugno 1944 viene
imprigionato e torturato dalle milizie fasciste di Mario Carità nella nota
Villa Triste di via Bolognese, a Firenze. Resiste agli interrogatori e, grazie
all'interessamento di alcuni ufficiali repubblichini che in realtà collaborano
con gli alleati, viene rilasciato.
Grazie ai meriti acquisiti nella
Resistenza, nel 1946 il Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi
nomina Siviero "Ministro plenipotenziario" affidandogli l'incarico di
dirigere una missione diplomatica presso il governo militare alleato in
Germania con lo scopo di stabilire il principio della restituzione delle opere
trafugate all'Italia.
Riportate in Italia la maggior parte
delle opere, Siviero – a partire dagli anni cinquanta – si occupa
sistematicamente di ricercare, per conto del Governo, tutte le opere d'arte che
vengono rubate ed esportate dall'Italia.
(Wikipedia)
Vorrei, cioè, tipo, ringraziare quella donnaH di Rota e Sara_sakurazuka per aver recensito
<3 *Scuora e coccoleggia*
E poi, ringrazio anche Black Knight e KonataR per
aver messo la storia tra le seguite <3
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Capitolo 3 *** 1950 ***
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III.
Chiudi gli occhi e ascolta.
Il sospiro della pialla. Il fruscio delle setole. Il
crepitio del pigmento.
Da bambini il buio sfrigolava della torcia di
Konnakis, sgocciolando chiarore dorato sui seni cadenti, e i satiri danzavano
fuori dal cerchio di luce, agitando i ventri flaccidi e dondolando i falli i posticci.
Ma quando la tela d’ombra si è squarciata a metà,
quel tripudio di figure cremisi è esploso nell’attesa sempiterna del tocco
divino e si è riversato in un rigurgito di fiamme livide lungo il Canal Grande,
per poi ribollire all’orizzonte come una fumosa linea di confine.
Anche se solo, però, Veneziano non ha mai smesso di
giocare e aspettare e cercare le dita nodose dell’etèra: ad occhi chiusi, nelle
grandi sale dei palazzi si tendeva verso il mormorio di voci care e lontane; sorrideva,
perché un giorno avrebbe insegnato a Romano la lingua del Caravaggio e da lui
avrebbe imparato a conversare in spagnolo col Velázquez.
Negli anni ha davvero imparato, insegnato, ascoltato
con le mano di Romano stretta nella propria, e quando credeva che mai, mai più sarebbe
rimasto senza la compagnia dell’Arte…No, basta. Basta così.
Ora il silenzio è di nuovo colmo di sussurri.
Lento è l’incedere di Konnakis e i satiri le
volteggiano attorno, inciampando sulle zampe tozze; sotto le sferzate di luce
del Tintoretto il Bacchino Malato porge grappoli rosseggianti al Cristo
Furente, per mitigarne la rabbia e allontanare da sé la maledizione del
Giudizio.
Così tanti colori…! Così tante sensazioni che temeva
perdute per sempre…!
Una risata vibra ai lati della coscienza e Veneziano
apre timidamente un occhio, tornando ad essere parte del mondo che lo circonda.
Cerca il fratello con lo sguardo e tira un sospiro di sollievo nel vederlo poco
distante, mentre s’accompagna a belle signorine dall’aria distinta e offre loro
un braccio o un bicchiere di vino, intrattenendole con aneddoti e altre
storielle.
Sembra così felice, anche se l’allegria gli tocca le
labbra e non raggiunge gli occhi, anche se manca la sola persona in grado di
rendere quella serata davvero perfetta.
Almeno, Romano non ha più l’espressione cupa dei giorni spesi alla ricerca di
opere praticamente svanite nel nulla.
-Ho sempre sognato di poter vedere Palazzo Venezia
tornare al suo vecchio splendore-
Rodolfo Siviero non è una di quelle persone che si
perde in troppe parole: conosce il valore di ognuna, la forza del silenzio e la
debolezza della voce.
Veneziano lo stima per questo -e per molte altre cose.
-Io non ricordavo potesse essere così tranquillo- replica
e si porta il calice alle labbra, sorseggiando quel poco di vino rimasto.
Uno dei camerieri rallenta il passo, ma la Nazione gli
rivolge un cenno di diniego, invitandolo a riempire i bicchieri degli altri
invitati.
È strano, davvero strano non sentire più i muri
rombare e tuonare per la violenza di un’unica voce: i corridoi e le stanze
formicolano e crocchiolano di parole smozzicate, commenti e sussurri; non più discorsi
enfatici o gesti imperiosi a declamare antichità e grandezza, ma il mormorio
cadenzato dei quadri e il respiro marmoreo delle sculture.
-Vi ringrazio, signor Siviero-
L’ex partigiano dell’Arte china il capo, unisce i
talloni con uno schiocco e poi torna ad osservare il Tiziano davanti a loro; una
stilla rossa ravviva gli occhi ingrigiti dal tempo e dalla Guerra.
-Io ringrazio voi, Italia Veneziano-
-Non fatelo, vi prego-
-Voi mi avete liberato-
-Ma prima vi ho imprigionato-
La Nazione sfugge lo sguardo di Siviero ed è allora
che la vede, là, nascosta tra una signora imbellettata e un ometto tarchiato
col monocolo: una figura vestita di nero, le spalle un po’ piegate, la nuca
bionda sollevata verso la languida figura della Leda. Anche senza vederli
immagina gli occhi che scivolano sul profilo del corpo di lei, dalle perle che
cingono la crocchia ed il collo bianco fino ai piedi che tirano e tendono le
pieghe del panneggio. Si perderà nella contemplazione delle dita affondate tra
le piume del cigno, negli intrecci di colore sulle penne e lungo le strisce
scure che graffiano le orecchie del gatto.
-Scusate-
E senza una parola, una spiegazione di più,
Veneziano si allontana, posa il calice vuoto sul vassoio, rischia di inciampare
sul cameriere, su una vecchina, su Romano, addirittura, ma non gli importa.
E’ tornato ad essere un bambino con gli occhi chiusi
e nel buio l’unica luce è là, davanti a lui, si riflette contro la tenda
scarlatta e scintilla nel cordone dorato che oscilla tra le pieghe.
Veneziano si blocca dietro la figura, apre la bocca,
la richiude, si morde le labbra, tortura i polsini della camicia, deglutisce.
Basterebbe parlare, dire, fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ci sarebbero così tante cose, eppure non
gliene viene in mente nessuna. Ha la mente vuota e il cuore che straborda di
parole.
Prende un respiro e intreccia le dita dietro la
schiena, dondolando sui talloni.
Basterebbe dimenticare gli anni, scordarsi di essere
Nazioni e credersi umani, anche per una sera appena, ma senza alcun ricordo di
sculture da donare a Cancellieri, Re o Papi, senza casse di imballaggio o
cornici divelte in tutta fretta.
I quadri e le statue tacciono.
Basterebbe una sola domanda.
-Allora? Ti piace…Germania?-
Note
“Una mostra delle opere riprese fu
allestita in Palazzo Venezia sotto l’alto patronato dell’Accademia dei Lincei
nel Novembre 1950. Questa esponeva gli oggetti d’arte illegalmente acquistati
dai tedeschi in Italia e che sarebbero tornati ai luoghi di provenienza secondo
l’impegno assunto con il Governo Alleato.
(…) Non ci si nascondeva, allora come
ancora oggi, la difficoltà di individuare opere disseminate per l’Europa o
emigrate oltre oceano anche a seguito di transazioni o rocamboleschi
spostamenti dovuti ad eventi disparati, in gran parte successivi a quelli
conosciuti e documentati da Siviero nel suo mirabile archivio. Accanto a queste
considerazioni doveva aggiungersi da un lato, e fino agli ultimi anni ’80, la
scarsa collaborazione dei paesi dell’est (molti capolavori finirono in Russia,
ad opera dell’Armata Rossa, dopo la presa di
Berlino) a causa della “Guerra Fredda”, poi l’ostruzionismo anche
interno al nostro Paese, che poggiava su motivazioni di opportunità politica o
di cautela diplomatica”
(Manuale di Legislazione dei Beni
Culturali, Giulio Volpe)
Tra le opere esposte c’era anche la
“Leda” del Tintoretto.
“Gli esempi più significativi di
ceramica sovra dipinta appartengono alla prima fase della produzione [sott.
Magnogreca]; sono i vasi tarantini del gruppo detto di “Konnakis”, dal nome
dell’etèra raffigurata su un frammento di cratere nell’atto di avanzare,
danzando e agitando una fiaccola, verso la porta socchiusa dell’ala del
banchetto.”
(Le Arti Figurative, Piero Orlandini)
Le altre opere citate più chiaramente
sono:
-Frammento di Konnakis [Fossi
riuscita a trovare una foto su internet l’avrei messa volentieri D:]
-Vasi fliacici di satiri
-La Creazione di Adamo (Michelangelo)
-Bacchino Malato (Caravaggio)
-Giudizio Universale (Michelangelo)
Eccoci arrivati al capitolo finale :D
Vorrei ringraziare:
-Sara_Sakurazuka,
Chaska e Rota per aver recensito il
precedente capitolo;
-Chaska
e Sara_Sakurazuka per aver messo la storia tra le preferite;
-Ninja
girl e sasuchan7
per aver messo la storia tra le seguite.
Bien! Che dire, ancora?
Ringrazio ancora Amy per il contest, Rota per
avermi sopportato, seguito, recensito e soprattutto aspettato (La Midorima/Takao arriva. Te lo giuro <3) , la figlia
Angleterre,l’Ele, Jo-San e LadyBracknell per non avermi mandato a quel paese con le mie
paturnie mentali, e poi chaska,
Sara_Sakurazuka, Black Knight, KonataR, Ninja Girl e sasuchan7 per il
loro supporto.
Grazie
a
tutti voi <3
Nemeryal
Fin.
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