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Un’altra domenica
era arrivata. Tutti, durante quel giorno della settimana, si riposavano; lui
no…
Rukawa si allenava ogni
domenica, come ogni altro giorno, ed anche quella domenica ne aveva
l’intenzione.
Si diresse verso la palestra della scuola. La strada
era poco trafficata: con il caldo che c’era, pochi si avventuravano per
le vie, sotto il sole cocente di fine estate. Regnava la quiete più
assoluta e Rukawa, sulla sua bicicletta, procedeva lento; la maglietta larga
che indossava si modellava attorno al suo petto, e i capelli si muovevano
leggermente all’indietro per lo spostamento d’aria.
Entrò nel giardino scolastico ed
appoggiò la bicicletta al muretto. Si diresse, di corsa, verso la
palestra, impaziente d’incominciare ad allenarsi.
Arrivò davanti all’ingresso principale,
dove era stata posta una teca di vetro. La osservò per molto:
all’interno vi era contenuta la coppa, simbolo della vittoria del
campionato nazionale; era in bella vista, su un piedistallo, ed ai suoi piedi,
sopra ad un ripiano di velluto blu, vi erano le dodici medaglie consegnate ai
membri della squadra durante la premiazione.
Velocemente ritornò con la mente a quel giorno,
all’ultimo punto, agli urli del pubblico, alla gioia della
vittoria… Probabilmente quel punto decisivo avrebbe voluto farlo lui, ma
è il risultato che conta! Poteva ancora sentire la tensione degli ultimi
quattro secondi, quando il Quattrocchi, sceso in campo in sostituzione di
Mitsui infortunato al ginocchio, aveva ricevuto il passaggio perfetto di Miyagi
ed era corso nell'area avversaria; al limite di quest’ultima, aveva fatto
un passo indietro ed era riuscito a saltare, eludendo la difesa. Quel canestro
aveva portato lo Shohoku ad un solo punto di
vantaggio sulla squadra avversaria, ma fu un punto necessario per vincere.
Riusciva ancora a sentire l’ovazione del pubblico e gli applausi a loro
dedicati. Tutti i compagni corsero verso Kogure che gli aveva salvati; ormai
piangeva per la gioia. Il Gorilla, Mitsui e Aiako piangevano a loro volta: la
commozione era palpabile; il vecchio Anzai rideva in stile Babbo Natale, come
suo solito: sapeva che gli sforzi dei suoi ragazzi erano stati premiati. Quando
tutti si allontanarono da Kogure, Rukawa gli si avvicinò con freddezza e
si fermò ad un metro da lui; lo guardò fisso negli occhi in
lacrime, nascosti dagli occhiali, ed alzò il braccio; poi disse:
“Qua la mano, Quattrocchi… Un gran
tiro…”
Si diedero il < cinque > come due amici di
vecchia data.
Poi, in seguito alla premiazione, fecero tutti insieme
una foto ricordo.
Ora poteva vederla appoggiata al piedistallo a forma
di cubo della coppa, ricoperto anch’esso di velluto blu. Al centro della
foto, vi era Capitan Akagi che teneva in alto l’ambito trofeo con le
braccia tese; alla sua sinistra, Hanamichi stringeva la sua medaglia con la
mano sinistra, in segno di forza; al suo fianco, vi era Mitsui, sostenuto da
un’Aiako sorridente, che, dolorante, alzava il braccio destro, estasiato
per l’obiettivo raggiunto; alla destra del Gorilla, vi era il piccolo
Miyagi, che teneva alzati l’indice e il medio, in segno di vittoria;
più in basso, in ginocchio, vi erano i sei panchinari abbracciati, con,
al centro, il salvatore della squadra sorridente; infine, accanto a Miyagi, vi
era Kaede, messo di profilo, che teneva alto il pollice con orgoglio, e con lo
sguardo serio, ma colmo di soddisfazione.
Riprese ad osservare le medaglie, che erano state
sistemate secondo un ordine che metteva in luce chi era stato più
determinante per la squadra. Alla loro base, erano incisi i nomi dei giocatori
nel velluto, ed una frase ricordo che enunciava:
-Perché le generazioni future di sportivi
dell’istituto, vi prendano d’esempio e non dimenticano la passione
e la dedizione che voi, nostro orgoglio, avete dimostrato nel gioco del basket,
raggiungendo un obiettivo che l’istituto non era mai stato in grado di
raggiungere. Grazie ragazzi, siete grandi! Il preside-
Kaede guardò la sua medaglia; era la terza,
dopo quelle di Akagi, grande capitano, e Mitsui, miglior giocatore
dell’anno. Appoggiò, quindi, le mani e la fronte al vetro della
teca.
Pensò –La mia doveva essere la prima!- e,
determinato a migliorare ancora, raggiunse la porta d’ingresso.
Si accorse che era
già aperta e poi, avvicinandosi ancora, sentì che dentro
c’era qualcuno che palleggiava. Si stupì perché, di solito,
nessuno della squadra, durante le prime settimane di scuola, visto che il
campionato era lontano, rimaneva oltre gli allenamenti, men che meno si
allenava di domenica. Socchiuse leggermente la porta e spiò
l’interno: vide l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di
vedere…
Quella ragazza era davvero bella: aveva capelli
biondi, lisci e lunghi, che teneva legati per giocare meglio; aveva gli occhi
di un azzurro profondo ed espressivo; i lineamenti erano delicati, accompagnati
da un fisico invidiabile, tipico delle sportive; non era molto alta, ma saltava
abbastanza da riuscire a centrare il canestro; i pantaloncini larghi e la
canottiera lunga le davano l’aspetto di una vera giocatrice di basket.
Kaede ne rimase affascinato, ma non per il suo
aspetto, piuttosto per la bravura e la passione che metteva nel gioco: sembrava
una vera professionista. Il suo allenamento solitario era ipnotizzante. Non
ammetteva, però, di essere inferiore a lei, il suo orgoglio glielo
impediva: non sarebbe mai stato capace di riconoscere che una ragazza era
più brava di lui!
Rimase lì fermo a fissarla fino a sera: in
altre parole finché la ragazza non ebbe concluso e non si fosse diretta
verso gli spogliatoi.
Non appena la palestra fu vuota, entrò, chiedendosi
chi fosse quella giocatrice. Poco dopo cominciò il suo allenamento. In
ogni suo movimento, rivedeva le mosse di lei, tentando di imitarle; non faceva
altro che pensare a lei, alla sua bravura: si sentiva inferiore a quella
ragazza che neanche conosceva e, per questo, si alterava, impegnandosi sempre
più in un allenamento esasperato che lo sfiniva.
Ora aveva un nuovo obiettivo: arrivare allo stesso
livello di gioco di quella ragazza, e superarlo!
Kate aveva appena finito di fare una doccia
rinfrescante. Era esausta dopo una giornata passata, nella sua nuova palestra,
ad allenarsi. Di solito non si esercitava così a lungo, ma dopo tre anni
d’inattività n’aveva bisogno. Non era molto soddisfatta di
quell’allenamento in realtà, però non poteva certo tornare
subito ai vecchi livelli di preparazione, dopo essere stata così a lungo
lontana dei campi…
Si stava allontanando, uscendo dalla porta secondaria,
quando si accorse che la luce della palestra era ancora accesa.
-Che strano… mi sembrava d’averla spenta-
pensò, avvicinandosi all’entrata principale.
Si accorse, in seguito, che c’era qualcuno che
si allenava all’interno ed, incuriosita, osservò cauta.
Quel ragazzo era fantastico: alto, snello, moro, occhi
magnetici; era veloce nei movimenti e con una buona tecnica; aveva un ottimo
controllo di palla e un buon tiro, anche se si vedeva che giocava da poco.
Riconosceva, comunque, che aveva un gran talento e un modo di giocare da vero
campione. Nella sua divisa della squadra era magnifico e, quando saltava per
fare una schiacciata, i capelli si alzavano, assieme alla canottiera, per poi
ridiscendere, una volta che ricadeva a terra.
Ne rimase molto colpita e l’osservò per
molto.
Il ragazzo sconosciuto, ad un certo punto, si
fermò un attimo per riprendere fiato; si chinò, piegando
leggermente le gambe, fino a prendersi le ginocchia con le mani ed a sostenere
il busto con le braccia tese. Mentre faceva respiri grossi, il sudore gli
bagnava il volto, mostrando tutto il suo impegno.
Kate era affascinata da quel ragazzo che desiderava
conoscere: le sarebbe piaciuto scontrarsi con lui in uno scontro < uno
contro uno >. Ma era fiduciosa perché sapeva che il suo desiderio si
sarebbe realizzato presto: osservando la sua divisa, infatti, aveva capito che
era un giocatore dello Shohoku, e che quindi l’indomani si sarebbero
rivisti…
Il giorno seguente, Kate uscì di casa presto
per non ritardare proprio il primo giorno nella sua nuova scuola; non conosceva
nessuno e sapeva che si sarebbe sentita a disagio.
L’essersi trasferita dall’America era
già stato abbastanza traumatico; se a questo si fosse aggiunto anche il
malessere all’interno del nuovo ambiente scolastico, non avrebbe
resistito.
Le mancava già la vecchia città, anche
se si era trasferita solo da una settimana; le mancava specialmente la sua
ex-squadra. Con le compagne ne aveva passate: i duri allenamenti, i rimproveri
del severo mister, le partite di campionato… tutti bellissimi ricordi!
Com’era felice, in quel periodo…
Mentre avanzava sul marciapiede in quella calda
mattinata d’inizio settembre, ripensò a quel brutto giorno, a
tutto quello che aveva dovuto passare… Si sentì mancare. Si
fermò improvvisamente, facendo cadere la cartella che, aprendosi,
riversò sui ciottoli del marciapiede tutti i libri.
Rukawa, sulla sua fedele bicicletta, avanzava lento in
direzione dell’istituto. Era molto stanco: la sera prima non aveva
dormito… Dopo quell’allenamento, si sentiva talmente spossato da
rimanere sveglio tutta la notte. All’interno della sua stanza, nel buio
più totale, aveva ripensato per molto a quella ragazza e alla sua
bravura; non la conosceva neanche, e già non la sopportava: la sua
superiorità lo rendeva nervoso…
Perso nei suoi pensieri, non si accorse di quella
ragazza bionda che camminava davanti a lui; non si accorse che si era fermata
improvvisamente, e, quindi, le finì addosso, bici compresa.
Quando lui si riprese, alzando leggermente il capo,
notò che era disteso sopra alla ragazza che aveva appena investito. Si
mise in piedi velocemente, ma la sfortunata non aveva fatto altrettanto…
Lei era a terra, immobile sui ciottoli caldi, a pancia
in giù; i lunghi capelli, che teneva sciolti, si erano distribuiti sulla
schiena, ricoprendo buona parte della divisa scolastica nuova; il viso era
completamente ricoperto dalla bionda chioma, ed una guancia era a contatto con
il marciapiede.
Rukawa la continuava a fissare: non capiva
perché non si rialzasse, in fondo il colpo non era stato così
forte… La bicicletta era caduta a lato; aveva la ruota davanti un
po’ piegata, ma lui era convinto di non averle fatto poi così
male…
Dopo poco s’inginocchiò per fare
qualcosa, ma non ce ne fu bisogno, perché la ragazza si era arrangiata
da sola.
“Ah… Che mal di testa…
Cos’è successo?...” si chiese, mentre si massaggiava il
capo, un po’ scombussolata.
Rukawa, non appena la vide, la riconobbe: era la
ragazza che aveva visto in palestra! Diventato subito scontroso, l’aveva
aiutata a rialzarsi, porgendole la mano con aria di sufficienza.
Lei, subito, si rallegrò di quel gesto, ma
presto cambiò idea…
“Ehi tu… Sta più attenta la prossima
volta, sono stato abbastanza chiaro?!” disse lui, risalendo sulla bici
sgangherata e ripartendo.
Lei lo guardò allontanarsi, lasciandola
lì da sola, con aria stupita.
-Ma pensa un po’… Uno ti investe e poi ti
lascia da sola come un cane… Sono molto strane le persone in questo
paese…- pensò Kate.
Subito dopo abbassò lo sguardo, notando che i
suoi libri erano a terra, sparpagliati sul marciapiede.
“Ehi tu, maleducato! Potevi almeno aiutarmi a
raccoglierli! Incivile!...” urlò in direzione di Rukawa, ormai
lontano “… Me la pagherai!” ed alzò il braccio in
segno di sfida. Poi s’inginocchiò, arrangiandosi con i libri; con
gli occhi infuocati dalla rabbia, pensò –Non finisce qui, teppista
senza nome… La mia vendetta sarà crudele, razza di maleducato! Non
sai con chi hai osato metterti contro!-
Quando ebbe finito, riprese il cammino verso la
scuola.
“Ehi là, Rukauccio, cos’è
successo alla tua biciclettina?” chiese Hanamichi non appena lo vide
arrivare, facendo una faccia provocatoria.
“Non mi scocciare, Pel di carota” rispose
per le righe Rukawa.
Il loro rapporto non era molto cambiato
dall’anno precedente: Kaede considerava ancora Hanamichi un esaltato, ed
Aruko era ancora innamorata di Rukawa. Ogni pretesto era buono per
punzecchiarsi: non si sopportavano e non intendevano cambiare idea.
“Pel di carota a chi?!” urlò
Hanamichi, stringendo i pugni.
“A te, inutile perditempo” e gli passo la
mano tra i capelli rossi, ormai ricresciuti, dopo aver appoggiato la bici
scassata.
“Come ti permetti, schiappa del basket!”
allontanandosi dalla sua mano provocatoria.
“Chi sarebbe la schiappa tra noi due?!”
“Io sono il genio del basket! Non posso certo
essere io la schiappa tra noi…!” ed aveva gonfiato il petto in
segno di forza, ridendo a squarciagola.
“Mi stai annoiando. Ho di meglio da fare che
ascoltare uno come te” ed, ignorandolo, si diresse verso l’entrata
della scuola.
Hanamichi, ritornato serio ed accecato dall’ira,
gli prese la spalla, strattonandolo.
“Ehi, ehi… Dove credi di andare? Cosa ne
dici di chiudere i conti subito…”
Rukawa si voltò di scatto, fulminandolo con gli
occhi; subito dopo fece un sorrisetto spavaldo “Penso che tu abbia
ragione”
Entrambi si prepararono allo scontro, ed attorno a
loro si formò una numerosa folla curiosa. Mentre il primo colpo stava
per essere assestato, una voce femminile li fermò.
“Hanamichi! Non farlo!” urlò Aruko,
spuntando dalla folla.
“Aruchina cara, anche tu qui… Non starai
mica pensando che sarei stato capace di compiere una simile azione,
vero?” disse subito Hanamichi, cercando di nascondere le sue vere
intenzioni.
Non appena udite quelle parole, Aruko si
tranquillizzò
“Oh… Hanamichi… Sapevo che eri un
bravo ragazzo” e lo prese per mano, accompagnandolo fino
all’entrata.
L’imbarazzato ragazzo la seguì come un
cagnolino, pensando –Aruchina cara, come sei dolce... Ora non mi
laverò più questa mano che sta stringendo la tua così
delicata-
Rukawa, rimasto fermo in mezzo al cortile scolastico
mentre la folla si allontanava poco alla volta, era scocciato: come al solito
Pel di carota si faceva abbindolare da Aruko e rimandava la loro sfida.
Poi una voce amica lo distrasse
“Ciao Rukawa, ho visto il quasi scontro con
Hanamichi… Come al solito ha rimandato, ma forse è meglio
così: se no chi vi tiene più agli allenamenti” e sorrise, dandogli
una pacca sulla spalla; poi si allontanò richiamato dal suono di un
clacson.
“Ciao, Aiakuccia!” urlò Miyagi,
correndo verso la macchina dell’amata.
“Ciao cucciolo, ti vengo a prendere stasera dopo
gli allenamenti, ok? Ora però devo andare via, e in fretta anche, devo
correre all’università. Ciao e allenati bene” poi, dopo
avergli dato un bacio, chiuse il finestrino della sua macchina rossa e
partì.
L’innamorato, dopo aver visto la vettura sparire
in lontananza, ritornò dall’amico Rukawa. Quest’ultimo,
rimasto lì ad osservare con un po’ di disappunto, lo seguì
ed insieme entrarono per affrontare un’altra giornata di scuola.
Kate, arrivata a scuola dopo l’inizio delle
lezioni, si diresse subito nell’ufficio del direttore per scoprire quale
fosse la sua nuova sezione; in una settimana non aveva fatto altro che cercare
di abituarsi al nuovo ambiente: la ricerca dell’appartamento in cui
avrebbe vissuto da sola, il successivo trasloco, l’ordine dei nuovi libri
e della divisa scolastica… L’unica cosa che gli mancava, era la
sezione in cui avrebbe passato i prossimi mesi.
Non appena gli fu comunicata, si diresse verso la
nuova classe e relativi compagni; era un po’ agitata perché non
sapeva come si sarebbe dovuta comportare per non rovinare subito la sua immagine.
Non appena entrato, Rukawa, si addormentò sul
banco. La sua idea di scuola era quella di un gran dormitorio…
Certo al professore questo non faceva piacere, ma
ormai ci aveva fatto il callo; quel giorno però, il paziente professore,
non lo accettò perché non faceva certo apparire l’istituto
serio, specialmente davanti a lei…
La prima cosa che pensò Kate quando entro, fu
-Beh… la classe mi sembra abbastanza tranquilla…-, ma questo
pensiero cambiò radicalmente nel giro di due secondi, quando, prima del
suo discorso inaugurale, dal fondo della classe, arrivò un suono
abbastanza fastidioso: il russare di un ragazzo.
-Cominciamo bene…- pensò.
Poi, osservando meglio, distinse chiaramente quel
fisico slanciato, i capelli mori e lucidi… quello era chiaramente il
ragazzo della palestra!
“Oh no! Sei tu?!!! Non è possibile, non
poteva andare peggio: proprio con te dovevo essere in classe?!”
urlò Kate, stupendo tutti i presenti, tranne il diretto interessato che
se la dormiva beatamente.
Kate, non ancora scoraggiata, si diresse con decisione
verso il banco di lui, decisa a svegliarlo e a dirgliene quattro per quello che
era successo per strada poco prima. Lo prese per il colletto della camicia
bianca della divisa maschile della scuola, e gli alzò la testa dal banco,
scuotendolo successivamente. Il povero Rukawa aprì a fatica un occhio
per scoprire cosa stesse succedendo, ma lo richiuse subito dopo, aizzando la
ragazza.
Intervenne il professore che, schiarendosi la voce,
attirò l’attenzione di Kate; quest’ultima si accorse di
quello che aveva fatto e della brutta figura. Se prima era preoccupata per
l’impressione che avrebbe dato ai suoi compagni, ora era disperata! Per
colpa della sua impulsività e del solito Rukawa, la sua immagine era
rovinata!
“Ecco… Mi scusi, signorina Brandon…
ehm ehm… potrebbe spiegarmi il suo… ecco… comportamento
strambo, se così si può chiamare?” e si schiarì di
nuovo la voce, in attesa di una risposta, mettendosi a posto gli occhiali con l’indice.
La ragazza, diventata rossa per la vergogna, fece un
sorriso imbarazzato, guardandosi intorno per studiare gli sguardi dei compagni,
cercando una possibile spiegazione, distratta dalle risatine che la
circondavano.
“Ecco… dunque… io…”
“Cara signorina Brandon, le spiegazioni me le
darà alla fine della lezione, perché aspetterà fuori dalla
porta, e con lei aspetterà anche il qui presente Rukawa”
La ragazza e il ragazzo, che intanto si era svegliato
anche se non del tutto, uscirono dalla classe senza parlarsi.
Kate era furibonda. Appoggiata al muro del corridoio,
continuava a girare la testa in direzione di quel teppista che era in piedi
accanto a lei; ogni volta era pronta a dirgliene di tutti i colori, poi,
gonfiando le guance d’aria e soffiando rumorosamente, si rigirava
pensando che forse era meglio non aggravare la situazione: si conosceva e
sapeva che se avesse cominciato non si sarebbe più fermata.
Più passava il tempo, più
s’irritava; non riusciva più a stargli vicino: quel ragazzo non lo
sopportava, anche se ancora non lo conosceva. Di solito non giudicava le
persone dalle prime apparenze, ma con lui era diverso: aveva una sensazione
fastidiosa quando pensava a lui…
Finalmente si decise a dirgli qualcosa, ma non
potè farlo…
Quando Kate voltò lo sguardo, lo vide seduto a
terra addormentato.
-Sei proprio un maleducato!- pensò un po’
adirata.
Poi lo osservò meglio: era così
tranquillo… Il suo respiro era lento e ritmato e il viso era rilassato;
la testa era appoggiata sulle braccia conserte che teneva sulle ginocchia;
sembrava così diverso…
Kate s’inginocchiò accanto a lui e,
mettendo il peso del corpo sul braccio destro, gli spostò una ciocca di
capelli che gli aveva coperto l’occhio destro, con la mano sinistra. Ora
poteva vedere il suo viso interamente… Aveva le sopracciglia lunghe e
sottili ed un taglio d’occhi particolare; il naso aquilino tagliava a
metà il volto dai lineamenti decisi; la bocca era sottile e
proporzionata… Kate si accorse che era un ragazzo davvero bello; peccato
che avesse un carattere insostenibile…
-Però… Non è male…-
pensò, sorridendo. Subito dopo, accortasi del suo pensiero, si fece in
dietro, sedendosi sul pavimento della scuola, e portandosi una mano alla bocca,
sgranando gli occhi.
-Ma a cosa vado a pensare! Lui è un mio nemico,
mi ha trattato malissimo stamattina!-
Successivamente, della bocca di Rukawa uscirono delle
parole:
“Ti batterò… ti batterò
presto… vedrai…”
Kate non ne capì il senso, ma le fece
tenerezza.
-Anche durante il sonno pensa al basket, deve
piacergli molto…- e sorrise.
Poi si rimise in piedi e, con il volto sereno,
affrontò la punizione con un umore diverso: quel ragazzo era riuscito a
ridargli il buon umore nonostante tutto…
Grazie al ritrovato buon umore, Kate la passò
con tranquillità, buttando ogni tanto l’occhio sul suo compagno di
pene. Non credeva di poter cambiare idea su di lui semplicemente guardandolo
dormire, ma così accadde. Anche se sapeva che, non appena alzato, il suo
pessimo carattere l’avrebbe innervosita subito, per quel breve periodo
era stata bene con quel ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome.
Era curiosa: voleva saperne di più su di lui, e
aspettava con ansia l’orario degli allenamenti…
Passato il lungo discorso con il professore ed il
successivo con il direttore, finalmente arrivò il momento di andare in
palestra.
Kate si diresse con decisione verso l’ufficio
del signor Anzai per ricevere i fascicoli sui giocatori e le ultime direttive.
“Signorina Brandon, è un onore averla
qui; sono felice che abbia scelto proprio la mia squadra, i miei ragazzi ne
saranno entusiasti!”
“Oh… la prego, signor Anzai, mi dia del
tu: non merito questi onori…”
“Va bene, Kate… ti darò del tu, ma
ti meriteresti il voi…”
“La ringrazio”
“Allora spiegami perché hai scelto
proprio i miei ragazzi”
“Beh… per rispetto a mio padre: eravate
molto amici e so che voi, Anzai, siete una brava persona; vi conosco da quando
sono piccola e sono sicura che avete insegnato bene ai componenti dello
Shohoku. Infondo, è il primo anno che la squadra di quest’istituto
vince il campionato nazionale…”
“Oh… ma quello non è merito mio,
cara, sono loro, i miei giocatori, che hanno talento da vendere, te l’assicuro”
“Vi credo! Ora esaminerò subito ogni
soggetto di questi fascicoli sportivi e poi farò la mia scelta”
“Ho un’idea migliore…”
“Quale?”
“Perché non guardi gli allenamenti oggi,
prima di esaminare quei fogli: potresti renderti meglio conto di come giocano…”
Kate fece un sorriso d’assenso e, mentre a
stento riusciva a tenere tra le mani tutte quelle cartelle, seguì il
vecchio amico ed entrò in palestra.
Per un’ora intera osservò con attenzione
la squadra seduta in un angolo, vicino alla sedia di Anzai. Tutti si accorsero
di lei ma nessuno fece domande. Kate notò subito Rukawa, che giocava in
modo diverso dalla sera prima: sembrava che volesse mettersi in mostra, non
giocava con passione, era come accecato da manie di grandezza…
Notò che spesso, dopo una schiacciata o
un’azione da manuale, lo sguardo di quel ragazzo, così strano, si
dirigeva sempre verso di lei, come se volesse dimostrarle qualcosa e non ne
capiva il senso; infondo, non poteva sapere il vero significato della sua
presenza lì…
Rukawa, dal canto suo, stava dando il massimo; era
come impazzito: voleva solo stupirla, voleva che lo notasse, che notasse la sua
bravura, che quest’ultima le facesse invidia… Non ne capiva il
motivo, ma doveva provarle di essere un campione: voleva farla sentire come lui
si era sentito dopo che l’aveva vista la sera precedente.
Dopo ogni azione, studiava i suoi occhi per leggerci
l’ammirazione e lo stupore, ma ci vedeva solo sgomento, come se quello
non fosse quello che avrebbe voluto vedere. Questo lo innervosiva:
perché non era invidiosa? Perché non provava il suo stesso
sentimento?!
Le domande che si poneva erano continue; perché
si sentiva in dovere di dimostrarle qualcosa?… Forse era un processo
spontaneo; non lo sapeva, ma continuava ad insistere.
“Allora, dimmi, hai già inquadrato
qualcuno, Kate?”
“Eh… come… Ah, no, non ancora: devo
pensarci e valutare molte cose…” la ragazza era come impreparata
alla domanda: era così presa dall’osservare il cambiamento di
Rukawa, che si era completamente dimenticata del suo obiettivo.
Il vecchio Anzai cominciò a ridere di gusto,
capendo che, in realtà, qualcuno l’aveva notato…
Il ragazzo, nel vederli parlare e ridere insieme, si
chiese quale fosse l’argomento che stavano affrontando. Poi notò
che la ragazza misteriosa arrossì e che il mister aveva incominciato a
ridere più sguaiatamente.
Si fermò improvvisamente in mezzo al campo,
ricevendo una bella pallonata in faccia!
“Ehi, ma sei ancora fra noi?” chiese il
capitan Miyagi, avvicinandosi insieme agli altri.
“Rukauccio… non è che sei
interessato alla nuova ragazza, eh…” lo prese in giro Hanamichi,
mettendogli un braccio attorno al collo.
“E lasciami, idiota!!! Non è affatto
così! Mi sono distratto un attimo, tutto qua. Non rompere!!!”
“Oh… ma come siamo permalosi… Per
me, ho fatto centro!”
“Non dire idiozie! Pensa a giocare decentemente
ed a non fare delle figuracce come l’anno scorso, genio dei miei
stivali!”
“Che cosa hai detto!!! Prova a ripeterlo se ne
hai il coraggio!”
E si misero le mani addosso, come al solito. Tutta la
squadra cercò di fermarli, dividendoli, con scarso successo. Poi
intervenne Mitsui, da bordo campo, fischiando rumorosamente con il fischietto e
calmando gli animi.
“Adesso basta! Ricominciate ad allenarvi!”
“Ok ok… non ne vale la pena” disse
serio Hanamichi, sistemandosi i capelli con le mani.
“Per una volta sono d’accordo con te: non
vale la pena darsi tanto da fare per uno come te, bamboccio!” rispose per
le righe Kaede e, voltandosi, fece per andarsene.
“Ehi, ma dove vai?!” gli chiese Mitsui,
mentre gli altri tennero a bada Pel di carota.
Non ebbe risposta: Rukawa continuò il suo
cammino.
“Ah… Akagi… se ci fossi ancora tu,
tutto questo non accadrebbe. Ma perché sei andato
all’università?!” si chiese lo sfortunato Mitsui, mentre
s’immaginava la scena del Gorilla che menava quelle teste calde.
Successivamente, quando tutti si calmarono e Rukawa
uscì definitivamente, l’allenator Mitsui riprese il controllo
della situazione ed ordinò di continuare l’allenamento.
“Scusi, Anzai, potrebbe dirmi perché quel
ragazzo è così scontroso? Hai dei problemi in casa o è in
una compagnia sbagliata? Lei, lo sa? Sembra che se le cerchi apposta: crea
volontariamente casini…”
Anzai rise ancora.
“Vedo che sei molto interessata a lui”
“Me l’ha già detto prima che
cominciasse la rissa, questo, ma…”
“Già. E come prima, sei
arrossita…”
“Che cosa? Cosa ha detto? Io sarei
arrossita?!”
-Ma come è possibile che io arrossisca per quel
ragazzo?- pensò Kate, riprendendo l’osservazione –Sara
possibile che io… No… ma cosa vado a pensare! Concentriamoci sui
giocatori rimasti!-
“Scocciatore! Deve sempre rompere! Ma come gli
sarà venuto in mente di dire una cosa del genere?!” urlò
per strada Kaede, mentre camminava da solo.
Si stese sul prato dell’argine del fiume che
scorreva vicino a casa sua e si mise a pensare, osservando il rosso del
tramonto. Mettendosi un filo d’erba sottile tra le labbra e le braccia
incrociate sotto la testa, ripensò al suo obiettivo ed al suo progetto.
-Io, diventerò il più bravo giocatore
del mondo; batterò lei o chiunque altro si metterà tra me e il
mio scopo; non mi arrenderò, perché io sono il più forte!
Questo è il mio obiettivo e lo raggiungerò in qualsiasi
modo… Anche tu dovrai essere invidiosa di me, prima o poi!- e si
addormentò con il volto arrossito di Kate nella testa.
La ragazza, non appena fu entrata nel suo
appartamento, si sedette a tavola e dispose le cartelle in modo disordinato;
aveva incominciato la sua analisi.
Era un trilocale non molto grande: una camera con solo
un letto matrimoniale, un armadio ed il bagno, un cucinotto di piccole
dimensioni, ed un salotto, che fungeva anche da sala pranzo, con un divano,
degli scaffali e la tavola con sedie. Non era certo una reggia, ma lei si
trovava bene lì: possedeva tutto quello di cui aveva bisogno, anche se
la maggior parte delle sue cose era ancora inscatolata; per una persona sola
era più che sufficiente.
Sedutasi a gambe incrociate sulla sedia e dopo essersi
messa gli occhiali da lettura, con lenti sottili ed allungate e montatura nera,
stile dottoressa, si mise a leggere con attenzione…
-Ti troverò, fortunato giocatore! Il mio
obiettivo è darti un’opportunità, e non mi arrenderò
di fronte a tutti questi fogli!- pensò con decisione.
Passò mezz’ora e, stanca per la giornata
intensa, decise di prepararsi un caffè per svegliarsi e continuare:
doveva esaminare ogni giocatore entro quella sera perché il tempo
scorreva veloce e non gliene rimaneva molto…
Si alzò dalla sedia, si preparò una
tazza fumante di liquido nero e si risedette, tirandosi su i capelli con un
fermaglio.
Mentre beveva il suo primo sorso, prese un’altra
cartella.
“Dunque… uhm… questo è…
vediamo… Kaede Rukawa… Che strano nome” e sorrise,
appoggiando la tazza.
Quando aprì il cartoncino giallo, vi
trovò dentro un mucchio di fogli che riportavano la sua carriera
sportiva, se così si poteva chiamare, e, cosa che la interessò di
più, la sua foto; riconobbe subito quello strano ragazzo che tanto le
dava da pensare.
“Quindi il suo nome e Kaede…”
Lesse con interesse tutto quello che lo riguardava per
molto tempo, più di quanto ne dedicò agli altri.
Quindi lesse anche l’ultima cartella di
Hanamichi con velocità, ed andò a dormire.
Il giorno dopo, Kate si recò di buon ora a
scuola per incontrare Anzai prima dell’inizio delle lezioni. Non appena
entrata nel cortiletto, voltò a sinistra in direzione della palastra.
Per la prima volta notò la teca che esponeva la
coppa della vittoria.
“Cavolo! È proprio bella!” disse
fermandosi davanti ad essa.
Subito dopo vide le medaglie.
“Kaede Rukawa, miglior matricola
dell’anno… Accidenti! Ricopre il terzo posto nella classifica di
quelli che più hanno contribuito alla vittoria della squadra!
Però… non è male: un buon risultato per un giocatore che
gioca da così poco come lui! Vediamo gli altri… Dunque…
Akagi Takenori, capitano e miglior realizzatore; Mitsui Hisashi, miglior
giocatore dell’anno; quarto, Miyaghi Ryota, miglior play-maker; quinto,
Hanamichi Sakuragi, miglior rimbalzista… Accidenti! Era proprio la
squadra dei migliori!”
“Già… lo eravamo!” intervenne
una voce famigliare.
Kate si voltò di scatto per lo spavento.
“Ah, ma sei tu… Mitsui, giusto?”
“Sì, ti ricordi il mio nome… Ottima
memoria!”
“Cavolo! Mi hai spaventato! Non si arriva alle
spalle in questo modo!”
“Scusa, non volevo spaventarti”
“Scuse accettate!” e si mise a ridere.
“Hai un bellissimo sorriso, lo sai?”
Kate arrossì.
“Co… cosa ?”
“Oh… no no, non fraintendere…
Intendevo solo che hai una risata molto coinvolgente: fai simpatia”
cercò di giustificarsi, intuendo l’idea che si era fatta.
“Oh… Grazie! Scusa il mio
fraintendimento” e sorrise ancora, colpendosi delicatamente la testa con
il pugno e facendo una linguaccia spiritosa.
Mitsui rise con lei.
“Hai visto: è contagiosa!” e risero
ancora.
“Ma cosa avrà da ridere tanto?” si
chiese Rukawa, appoggiato al muretto con il volto quasi arrabbiato, mentre li
guardava da lontano.
“Allora… uhm… Kate, giusto?”
“Sì, ma come fai a sapere il mio nome? Io
conosco tutti i vostri nomi grazie ad Anzai, visto
che ieri abbiamo parlato molto di voi durante l’allenamento, ma tu
come…?”
“Dopo l’allenamento di ieri mi sono
informato, chiedendo al mister di te, e mi ha spiegato il motivo della tua
venuta qui”
“Ah… ecco”
“Allora, stavo dicendo, vuoi che andiamo a
parlare da qualche parte, visto che è presto e le lezioni inizieranno
tra molto: ti posso aiutare a trovare il fortunato giocatore che ti
seguirà. Che ne dici?”
“Mi sembra perfetto! Grazie!”
E si allontanarono insieme.
“E adesso dove va, insieme a lui? Non lo voglio
sapere! Almeno posso entrare in palestra adesso” disse Kaede, vedendoli
uscire dal cortile della scuola.
“Ti va di sederti qui?” chiese Mitsui,
avvicinandosi ad una panchina del parco vicino alla scuola.
“Va benissimo”
“Sai com’è… non riesco a
camminare per molto…” e si alzò il pantalone sinistro per
farle vedere il tutore.
“Capisco… ma come è successo?
Cioè… Anzai mi ha detto qualcosa, ma…”
“Non ti preoccupare: non mi da fastidio
parlarne; ti racconterò come è andata…”
Kate deglutì nervosamente: si sentiva a disagio
perché supponeva che per lui fosse molto difficile parlarne.
“Devi sapere che avevo già subito una
lesione al ginocchio sinistro qualche anno fa, ma ero guarito completamente in
seguito ad un periodo di riposo; a quel tempo ero piuttosto irascibile…
fu un periodo abbastanza burrascoso…”
“Posso capirti…” anche la ragazza
ripensò al suo ultimo periodo nella squadra americana.
“Poi, grazie al mister, rinsavii e mi rimisi a
giocare; portavo un tutore per sicurezza ma, in realtà, non ne avevo
bisogno: era un fattore psicologico”
“Ah ecco…”
“Ormai ero tornato agli antichi splendori: ero
di nuovo un vero giocatore! La squadra, devo essere sincero, mi aiutò
molto: eravamo i più forti! Essere circondato da tanti talenti mi spinse
a dare il massimo ed a superare le mie paure; ad un certo punto smisi pure di
mettere il tutore, pensa!”
“Cavolo… dev’essere stato
fantastico!”
“Già: il periodo più bello!”
“Già…” e fece un sorriso di
rassegnazione, pensando alla sua situazione: ormai si stava immedesimando nel
racconto del ragazzo che stava seduto di fianco, anche se il motivo del suo
ritiro era molto diverso…
Mentre il venticello del mattino spostava leggermente
alcune ciocche di Kate coprendole il viso, la ragazza voltò lo sguardo,
cominciando a guardare a terra con tristezza.
“Ehi… che hai? Vuoi che smetta?…”
e le mise una mano sulla spalla.
Kate spostò lo sguardo nuovamente sugli occhi
di Mitsui. Quest’ultimo notò che stava piangendo.
“Ehi ehi… calmati… su…
immagino come devi sentirti…” e l’abbracciò,
accompagnando la testa con la mano sinistra fino a farla appoggiare al suo
petto; lei pianse più forte, coprendosi il volto con le mani.
“So tutto di te… di quello che ti è
successo… posso capire che dev’essere un’agonia per te
ascoltarmi mentre ti racconto del mio ritiro…”
Kate si allontanò dal petto di Mitsui e lo
riguardò negli occhi.
“Come fai a sapere di me?!”
“Me l’ha detto Anzai: sai è proprio
un pettegolo”
La ragazza sorrise per l’affermazione spiritosa,
con gli occhi ancora pieni di lacrime.
“Ecco brava, devi sempre avere quel sorriso
coinvolgente sul volto, ok?!” e, sorridendo, le asciugò le lacrime
con i pollici.
“Ok…”
“Non temere: non dirò a nessuno del tuo
segreto. Anzai me l’ha rivelato perché crede che tu non debba
affrontare la tua situazione da sola: devi avere un amico su cui contare…
Beh, io sono qui, per te sarò sempre disponibile come spalla su cui
piangere quando vorrai”
“Ti ringrazio… Ma potresti spiegarmi una
cosa?”
“Sì, dimmi”
“Come mai hai accettato di aiutarmi se neanche
mi conosci?”
“Semplice! Adoro i casi disperati. Se no, come
sarei potuto diventare allenatore dello Shohoku, me lo spieghi?!”
Ed insieme risero per molto.
“Ma guarda un po’ chi ho pescato in
compagnia di chi…” si disse Hanamichi, notandoli mentre si dirigeva
verso la scuola, percorrendo la strada che costeggiava il parco.
“Ma pensa… E adesso come la
prenderà quell’idiota di Rukawa? Ah ah! Quando glielo
dirò…!”
“Dirai cosa e a chi?” intervenne una voce
femminile.
“Arukina cara! Come va oggi?” disse, tutto
arrossito.
“Molto bene, grazie!” e sorrise.
-Ah… quanto è bella!- si perse nei suoi
pensieri, l’innamorato ragazzo.
“Allora, mi accompagni a scuola?”
“Certo, certo!”
E si allontanarono.
“Ti piace allenare la squadra? Come fai a
guardarli giocare, sapendo che tu non potrai più farlo?” chiese
Kate a Mitsui, rincominciando la conversazione.
“Sì, mi piace molto: è un modo
come un altro per amare il basket”
Ci fu una pausa imbarazzante.
“Sai… Dopo che caddi durante
quell’ultima partita, non ho mai avuto rimpianti: il mio obiettivo
l’avevo raggiunto, infondo… Certo, non avevo ancora vinto, ma ero
comunque arrivato alla finale del campionato nazionale e credevo fermamente che
i miei compagni non mi avrebbero deluso: quella partita si sarebbe trasformata
nella vittoria che più desideravo! Anche se tutti ci davano per persi
ormai, io, grazie a diversi canestri da tre, ridiedi speranza alla squadra. A
quel punto mancava solo un ultimo canestro e lo stavo per realizzare, ma
l’avversario aveva deviato il tiro con un dito; il mio problema,
però, non fu quel punto in più che ci avrebbe dato la vittoria:
il mio problema fu la caduta successiva. Atterrai sul piede
dell’avversario, perdendo l’equilibrio e cadendo successivamente;
sbattei il ginocchio a terra… Non ti so esprimere il dolore che
provai…”
Kate deglutì di nuovo.
“Rimasi sulla panchina immobile, dopo che i
medici di campo mi curarono come poterono, perdendo qualche minuto; poi mi misi
a sedere con la gamba tesa per vedere la fine. La gioia che provai fu immensa
quando Kogure fece quel canestro che io fallii: eravamo campioni nazionali!”
“Una bella soddisfazione”
“Già… Per un momento non sentii
più dolore: l’entusiasmo lo superava. Subito dopo la cerimonia di
premiazione e la foto di gruppo, andai al pronto soccorso… Quel giorno
stesso scoprii che non avrei più potuto giocare: il ginocchio è
risultato irrecuperabile perché già instabile
dall’incidente precedente. Per un po’ non ho realizzato la mia
situazione: era come se fossi incosciente, non riuscivo a farmene una
ragione… Penso che tu possa capire questo stato d’animo”
“Lo capisco benissimo: è lo stesso che mi
perseguita da quando ho scoperto quello che mi era successo”
“Poi cambiò tutto: accettai la mia
situazione, senza alcun rimpianto, e valutai la proposta di Anzai di aiutarlo
come vice per guadagnarmi da vivere. Sai… l’università in
cui sarei andato l’avrei pagata grazie alla borsa di studio, ma, una
volta scoperto che non avrei più potuto giocare, è saltata anche
la mia copertura sportiva: non potevo più pagare, non riuscivo a
permettermela…”
“Accidenti… le tragedie non vengono mai
sole…”
“Hai proprio ragione… Beh, comunque, ora
faccio un lavoro onesto e sono sempre a contatto col basket; poteva andarmi
peggio, no?”
“Giusto! Bravo!”
“Bisogna sempre vedere il bello nelle
cose… Anche tu dovresti”
“Mi dispiace, ma io non sono come te”
“So che la tua situazione è molto
diversa, ma pensa che aiuterai il giocatore che sceglierai: a quel fortunato
darai un’opportunità unica, un’opportunità che magari
neanche si sogna!”
“Hai ragione…”
“Hai già in mente qualcuno?”
“Ho un’idea, ma vorrei sentire il parere
dell’allenatore”
“Ah già… è il motivo per cui
siamo venuti qua”
“Infatti”
“Allora… un parere, eccolo…”
Le parlò delle tre nuove matricole e dei
ragazzi del secondo anno, Hanamichi e Rukawa, ed infine di Miyagi del terzo
anno; le disse il suo parere su ognuno, confermando il suo: ora il ragazzo era
stato scelto definitivamente…
“Ti ringrazio molto, Mitsui: mi sei stato di
grande aiuto!”
“Non ho poi fatto molto”
“Comunque, sappi che se non ti fossi rotto il
ginocchio avrei scelto sicuramente te”
“Sì, certo, scherza pure sulla mia
situazione” rispose amichevolmente.
Kate fece una linguaccia spiritosa e si diresse verso
la scuola, lasciandolo solo.
-Povera ragazza… non si merita nulla di quello
che le è successo- fu l’unico pensiero che fece Mitsui mentre la
vide allontanarsi.
Arrivato a scuola, Hanamichi si recò subito in
palestra per comunicare a Rukawa quello che aveva visto; non sopportava che
Aruko fosse innamorata di lui e non aspettava altro per fargliela pagare: ora
che anche lui teneva a qualcuno, poteva farlo soffrire ed avere la sua
rivincita.
Arrivò di corsa, fermandosi davanti alla porta
spalancata. Si piegò fino a prendersi le ginocchia per riprendere fiato,
poi alzò lo sguardo e lo vide compiere un canestro da due punti in
sospensione. Spalancò gli occhi: rimase affascinato; gliene aveva visti
fare tantissimi, ma quella volta gli sembrò un tiro diverso. Gli pareva
addirittura che l’avesse fatto a rallentatore solo per farsi ammirare da
lui: l’aveva visto saltare, alzare le braccia con la palla ben salda nella
mano destra, tirare, e ridiscendere con una grazie ed un’eleganza che
solo i giocatori delle grandi squadre potevano permettersi.
“Straordinario, vero?” disse Eric, una
delle nuove matricole, mettendo la mano sinistra sulla spalla destra di Sakuragi.
-Maledetto Rukawa!- penso Hanamichi stringendo i
pugni.
“Su, non te la prendere. Lui è una stella
del basket, non è come noicomuni mortali. Rassegnati” ed alzò le spalle sorridendo,
chiudendo gli occhi e scuotendo la testa.
“Che cosa hai detto! Io sono il genio del
basket! Lui non è neanche paragonabile a me! Lo potrei battere ad occhi
chiusi!” si era voltato infuriato.
“Ok ok… Però non urlare, se no ci
sentirà e penserà che tu lo stavi spiando; non vuoi che lui pensi
che sei talmente debole da doverlo guardare di nascosto”
“No… questo non lo farò mai”
“Oh… ma lo so, amico, non ne hai
bisogno…”
Hanamichi s’insospettì.
“Non è che ti stai prendendo gioco di me,
vero?”
“Fa un po’ te…” e si mise a
ridere.
“Maledetto!” gli s’infuocarono gli
occhi ed incominciò a rincorrere l’amico.
Eric era entrato da poco nella squadra, ma si era
già ambientato. Aveva fatto amicizia con tutti, meno con il solito
Rukawa, grazie al suo carattere estroverso e scherzoso; era anche un bravo
giocatore: alto, agile e dotato di una grande tecnica... Un po’ come
Kaede l’anno prima, insomma.
Era un ragazzo molto carino, con capelli lunghi e
biondi, ed un fisico statuario un po’ abbronzato: il classico tipo da
spiaggia che tutti si aspettano di vedere con la tavola da surfin mano; lui però preferiva di
gran lunga il basket, anche se lo praticava da poco, e le ragazze…
Adorava il mondo femminile e circondarsi di belle ragazze; queste certo non gli
mancavano: bello com’era, aveva già trafitto molti cuori…
“Allora, Hanamichi, mi vuoi dire perché
lo fissavi in quel modo, prima?” rincominciò la conversazione
Eric, mentre stavano entrando nel corridoio per iniziare le lezioni, archiviato
lo scontro di poco prima.
“Per nessun motivo… in realtà non
lo so nemmeno io… Non pensare che lo stessi ammirando!” e
puntò un dito davanti la faccia di Eric minacciosamente.
“Ehi ehi… attento! In certi momenti sembri
davvero un tipo pericoloso”
“In ogni caso ero andato in palestra,
separandomi dalla mia Arukina cara, per parlargli di una cosa importante”
“Perché, tu sai anche fare un discorso
serio? Non credevo” affermò ironico.
“Ma la vuoi piantare di prendermi in
giro!”
“Ok. Di cosa si tratta? Cos’è che
gli devi dire di così importante? Di solito quando dovete parlare, in
realtà, vi massacrate di botte”
“Forse finirà in una lite anche questa
volta, ma non sarà colpa mia… Scoprirai cosa gli devo dire, oggi,
negli spogliatoi”
“Allora aspetterò: se non riguarda te,
è veramente importante… A dopo”
E si separarono, entrando in due classi differenti.
Rukawa, finito l’allenamento e sentendo che la
campanella aveva suonato, si cambiò in fratta e si diresse verso
l’entrata.
Proprio mentre stava uscendo dalla palestra, altre due
persone stavano entrando dal cancello, ritrovandosi gli uni di fronte
all’altro.
-Non è possibile! Sono ancora insieme quei due!
Ma me li devo trovare sempre davanti?!- pensò, guardando gli occhi di
Kate fissi su di lui.
“Ehi… Rukawa… ecco… potrei
parlarti... è importante…”
“Non ho tempo per ascoltarti!” e
passò davanti ai due, per poi entrare in corridoio.
“Ma che maleducato!” disse Kate,
arrabbiata ed imbarazzata allo stesso tempo.
Mitsui le mise una mano sulla spalla, avvicinandola a
lui, e stringendola a sé.
“Sei stata brava, non ti preoccupare: è
lui che è un po’ freddo con gli altri, ma vedrai che riuscirai a
cambiarlo… penso che solo tu possa farlo…”
Lei si allontanò imbarazzata.
“Non abbracciarmi dove ci possono vedere…
m’imbarazza…”
“Hai ragione, scusa” e si mise una mano
dietro alla testa, imbarazzato a sua volta.
“Comunque… perché pensi che io
riesca a cambiarlo… infondo, non lo conosco neanche…”
“Oh… vedrai! A giudicare dal comportamento
che ha da quando ti ha visto per la prima volta… Penso proprio di avere
ragione”
“Ragione su cosa?”
“Lo scoprirai” e le fece
l’occhiolino.
“Oh, uffa! Non essere antipatico: dimmelo! Sono
curiosa”
“No non te lo dico! Ora, su, va in classe. Io
andrò nel mio ufficio. Ci vediamo dopo le lezioni”
“Ok… Però sei un antipatico!”
e gli fece una linguaccia di risposta, entrando poi nell’edificio.
“Accidenti! Questo non me l’aspettavo!
Mitsui e la nuova… ma pensa un po’… non ha perso tempo il
ragazzo! Ah ah! E bravo Mitsui: è proprio una bella ragazza…
Complimenti!” sussurrò Miyagi dopo averli visti abbracciati,
nascosto dietro al muretto di sostegno al cancello, ancora aperto nonostante
l’orario.
Si voltò e si appoggiò con la schiena
allo stesso muretto.
“Però è strano… uhm…
dalla rissa di ieri, pensavo che si sarebbe fatto avanti Rukawa…
Mah… è un mistero” e, da quella posizione, si alzò e
si rivoltò con gli occhi chiusi e la testa occupata dai suoi pensieri,
intenzionato ad entrare, ma…
Non ci riuscì perché andò a
sbattere contro il cancello, chiuso da un bidello, nel frattempo.
Steso a terra, combatté con il mal di testa per
rialzarsi ed implorare quell’uomo di riaprirgli.
“Aspetti! La prego, mi faccia entrare!”
“Mi dispiace, ma è già tardi;
dovevi pensarci prima, invece di dormire, sfaticato!” rispose
scortesemente il bidello.
“La prego! Non potrò neanche fare gli
allenamenti così!”
“Mi dispiace, ma le regole sono regole, anche
per voi sportivi”
“Aspetti! Nooooo!!!”
E lo vide
allontanarsi.
-Maledizione!- pensò, seduto sul marciapiede,
rassegnato.
Rukawa procedeva deciso nel corridoio, voltandosi di
tanto in tanto per guardare con la coda dell’occhio Kate, che lo seguiva
a distanza, imbarazzata.
Ad un certo punto si voltò di scatto,
arrabbiato.
“Si può sapere perché mi stai
seguendo?! Perché non torni dal tuo amico, invece di rompere?!”
Kate, s’infuriò.
“Senti, bello, guarda che sto solo andando verso
la mia aula che, guarda caso, è anche la tua!”
“Davvero?...”
“Sì! Se non te lo ricordi, ieri era il
mio primo giorno nella nuova classe e tu me l’hai rovinato: grazie a te,
sono stata sbattuta fuori perché ho espresso un po’ troppo
vivacemente la mia rabbia verso di te! Ti è tornata la memoria,
ora?!”
“Veramente no… forse dormivo…”
“Quindi non ti sei accorto di niente? Neanche di
quando ti ho quasi strangolato?”
“Ah… sì… mi sta tornando in
mente qualcosa…” era immerso nei suoi pensieri.
“Senti, capisco che tu ce l’abbia con me
per ieri, ma non c’è bisogno di essere così scontroso! E
poi perché metti in mezzo Mitsui? Lui non centra niente”
Lui la guardò storto e si rivoltò
intenzionato ad interrompere la conversazione: non aveva capito il vero motivo
per cui ce l’aveva tanto con lei. E poi, sentirla parlare
dell’ex-compagno di squadra in quel modo…
“Ehi! Aspetta! Perché non deponi
l’ascia di guerra? Visto che dovremo passare insieme molto tempo,
potresti cercare di conoscermi prima di ignorarmi come fai con tutti”
“Noi cos’è che dovremmo fare?!
Perché dovremmo passare del tempo insieme?”
“Ecco… perché…”
“Non lo voglio sapere! Io non passerò del
tempo con te! Sei già impegnata a passarlo con un altro” e si
allontanò, lasciandola lì furiosa.
-Sei veramente antipatico!!!-
“Complimenti: sei la prima persona che riesce a
farlo parlare così tanto” intervenne Miyagi, che in qualche modo
era riuscito ad entrare.
“Grazie per i complimenti, ma non è stata
una vera conversazione: più che altro una discussione. Mi dispiace
perché, infondo, non mi conosce neanche e già mi tratta come una
nemica…”
“Fidati: tu sei l’ultima persona che si
potrebbe definire sua nemica” e le mise una mano sulla spalla.
“Lo pensi davvero?”
“Certo! Kaede è un ragazzo riservato, ma
non sa nascondere le cose… forse l’unico che non le vede è
proprio lui”
“Quali cose? Ma perché tutti parlano di
lui in modo così misterioso?! Non riesco a capire di cosa parli!”
urlò mentre Miyagi si stava allontanando per entrare in classe.
“Lo capirai. Ora è meglio che ti muovi, se
no ti lasceranno fuori” le rispose.
“Già, è tardissimo! Devo
muovermi!”
E corse in classe.
“Signorina Brandon! È inammissibile un
simile comportamento! Ieri ha aggredito uno studente, ed oggi si presenta in
ritardo! Mi spieghi cosa dovrei pensare di lei?!” disse leggermente
adirato il professore.
“Ha perfettamente ragione signore, ma la prego,
potrebbe chiudere un occhio per oggi: se dovessi ritornare in presidenza,
rischierei grosso. La prego!”
“Per questa volta passi, però non
dovrà più succedere. Mi ha capito bene?”
“Certo! Ho capito benissimo! La ringrazio”
“Su, ora si vada a sedere”
“Subito!” e si diresse verso il suo banco.
Non appena seduta, si voltò indietro fino a
raggiungere con lo sguardo l’ultimo banco della fila accanto alle
finestre: lì vi stava dormendo beatamente quel ragazzo scontroso ed
antipatico che la metteva sempre nei guai.
-Ma guarda… io mi becco la ramanzina e lui dorme
beato… è un’ingiustizia- pensò e, voltandosi verso la
lavagna, prese a seguire la lezione.
Finite tutte le lezioni, Kate si stava dirigendo verso
la palestra, quando fu fermata da una ragazza.
“Ehi tu… non sei la ragazza di Mitsui?
Quella nuova? La ragazza nuova della classe di Kaede?” chiese Aruko,
sopraggiungendo da un corridoio secondario.
“Che cosa sarei io?! Non sono la ragazza di
Mitsui! Chi te l’ha detto?”
“Oh… scusa il malinteso! È che
stamattina, vi ho visto insieme, e poi Hanamichi, che vi guardava da più
tempo, ha detto che… insomma… che eravate molto vicini…
Comunque io sono Aruko, molto piacere!”
“Piacere, io sono Kate. E… malinteso
perdonato!”
Si misero a ridere, stringendosi la mano.
“Quindi non stai con Mitsui?”
“No: lui è solo un amico”
“Accidenti, mi dispiace”
“E perché ti dovrebbe dispiacere?”
“Beh… perché Hanamichi n’è
convinto, ed in questo momento probabilmente lo starà dicendo a Rukawa…”
“E allora. A Rukawa non interessa questo
discorso”
“Allora meglio così… Sai, ci
guadagno anche io…”
“Perché?”
“Beh… perché a me piace molto
Rukawa e se, come dici tu, non è interessato a te, ho ancora delle speranze”
“Mi fa piacere”
“Almeno non si picchieranno come al solito, meno
male”
-Quindi a questa ragazza piace Rukawa, ma, se non mi
ricordo male, ad Hanamichi dovrebbe piacere lei… Che pasticcio! Ora
capisco perché litigano sempre quei due… Ma se a Kaede non interessasse
Aruko lascerebbe stare, quindi… a Rukawa piace… se no perché
venire alle mani… Beata lei: due ragazzi che litigano per lei…
Kaede che litiga per lei…-
Questi pensieri occuparono la mente di Kate mentre,
insieme ad Aruko, si stava dirigendo verso la palestra.
“Allora, la vuoi piantare con questa
storia!” urlò infuriato Rukawa.
“Forse non hai capito bene quello che ti ho
detto! Ti assicuro che gli ho visti insieme stamattina!” confermò
la sua tesi Hanamichi.
Nello spogliatoio si respirava aria di scontro. I due,
di solito, arrivavano alle mani per molto meno, ma questa volta
l’argomento era serio.
“Cavolo! Che rivelazione! Certo che Hanamichi
è proprio crudele a mettergli la verità in faccia davanti a
tutti” affermò Eric, sussurrando all’altra matricola.
“Ti ho detto di piantarla! Smettila di
parlarne!” ormai Kaede era al limite.
“Vuoi farmi credere che non t’interessa se
lei si stava abbracciando teneramente con Mitsui?”
“Non m’interessa questo discorso e
basta!”
“Ma sei sicuro di quello che hai visto?
Cioè… voglio dire… mi sembra strano che si siano appena
conosciuti e già si abbracciano in un luogo appartato… forse ti
sei sbagliato” cercò di calmare gli animi Eric, intromettendosi.
“Ne sono assolutamente sicuro! Ma non
c’è nessuno che mi crede?!”
“Beh… io sì…”
intervenne Miyagi
“Tu, Miyagi?” chiese spiegazioni Eric.
“Beh… anche io li ho visti stamattina, ma
davanti alla scuola”
“Se lo dice Miyagi vuol dire che è
vero…”
“Cosa vorresti insinuare, Eric? Che io non sono
affidabile!” chiese furioso Hanamichi, gettandosi sul ragazzo per
menarlo.
“No no, non intendevo questo!”
cercò di giustificarsi Eric, mentre gli altri fermavano Sakuragi.
“In ogni caso a me non interessa” disse
grave Rukawa, facendo scendere il silenzio nella stanza.
Tutti lo osservarono mentre, a testa bassa, si
allacciava le scarpe ed usciva con il volto cupo; sembrava quasi che, se
qualcuno si fosse azzardato a sfiorarlo, si sarebbe fulminato da quanto era
furioso.
“Ragazzi! Questa volta l’hai fatto
arrabbiare sul serio, Hanamichi” affermò Eric, quando Kaede
uscì.
Ma Pel di carota non capì che era meglio
lasciar perdere.
“Ehi… Aspetta! Tutto qui?! Non hai
nient’altro da dire?! Mitsui ti ruba la ragazza da sotto il naso e tu non
sai dire altro se non che non ti interessa?!”
Rukawa si fermò di colpo e, voltatosi
velocemente, colpì il rivale con un pugno nello stomaco ben assestato.
“Ti avevo detto di piantarla. Non sono affari
tuoi. Non intrometterti!”
“Quindi ti da fastidio?! Lo sapevo”
“Smettila! L’unica cosa che mi da fastidio
è la tua voce petulante”
“Come ti permetti di parlarmi
così!”
Ed incominciarono a lottare in mezzo al corridoio che
collegava gli spogliatoi e la palestra.
“Si può sapere cosa state combinando?!
Cos’è questo casino?!” arrivò Mitsui ed i due
cessarono di combattere.
“Ma siete impazziti?! Menarvi in mezzo al
corridoio, non ho parole! Volete rischiare come l’anno scorso di non
farvi ammettere al campionato scolastico per comportamenti violenti?!”
I due si alzarono e si misero uno di fianco
all’altro per scusarsi con l’allenatore.
“Allora, cos’è successo?”
I due non risposero: non potevano certo dirgli che il
motivo della lite era proprio lui.
“Va beh… non volete dirmelo. Non importa.
L’importante è che vi presentiate tra cinque minuti in palestra
pronti per allenarvi, ok?”
“Sì” risposero in coro.
Subito dopo entrò Kate, accompagnata da Aruko.
“Oh… Sei arrivata, finalmente!”
disse Mitsui, correndole incontro.
“Ma guarda te… Ora se la porta pure agli
allenamenti” disse Eric a Miyagi.
“Già… Oggi sarà una giornata
pesante”
“Allora, dove posso cambiarmi?” chiese
Kate a Mitsui, lontano dagli altri che non potevano sentire.
“Di qua, seguimi”
“Perché ti devi cambiare?” chiese
Aruko che gli aveva seguiti.
E Kate le spiegò tutta la storia, tralasciando
il segreto che solo Mitsui ed Anzai conoscevano.
“Capisco… Posso farti compagnia mentre ti
prepari per giocare?”
“Certo, mi farebbe molto piacere! Almeno, non
resto sola”
Ed entrarono nello stanzino che fungeva da spogliatoio
per Kate chiacchierando come due vere amiche.
Rukawa era rimasto molto colpito dalla comparsa di
Kate.
-Perché è venuta qui? Solo per vedere
lui… Non importa! Oggi le farò vedere quanto sono bravo e
dovrà provare invidia: non avrò pace finché lei non
sentirà quello che ho sentito io!- pensò mentre entrava in
palestra, pronto e deciso per il riscaldamento.
Quando tutti entrarono nella palestra, videro Kate
fare un canestro. Non capivano cosa ci facesse lì e perché si
stesse allenando da sola.
“Brava Kate! Continua così!” la
incitava Aruko.
“Ti ringrazio, ma non ho fatto niente di speciale”
“Ti assicuro che è stato un canestro
bellissimo”
-Si sta di nuovo mettendo in mostra… Non la
sopporto!- pensò Rukawa.
“Ti prego, fanne un altro. Adoro vederti
giocare!”
“Ok… Oh, ma guarda, abbiamo
compagnia…” affermò la ragazza, notando i ragazzi impalati
davanti all’entrata.
“Ehi! Ma che ci fai tu qui dentro?! Se vuoi
allenarti per conto tuo, devi usare la palestra quando è libera; adesso
ci siamo noi, quindi fatti da parte!” intimò Miyagi, in quanto
capitano della squadra.
“Se sei venuta per vedere il tuo Mitsui puoi restare,
ma libera il campo ora!” affermò scortesemente Hanamichi.
“Ehi! Come ti permetti di parlarle
così?!” urlò adirata Aruko.
“Arukina cara” ormai si era perso nelle
sue fantasie.
“Forse non sai con chi stai parlando!”
continuò Aruko, nonostante stesse parlando al muro visto che il ragazzo
era imbambolato dalla sua bellezza.
“Aruko, grazie per l’aiuto, ma non ne ho
bisogno” affermò con decisione Kate. Ebbe una determinazione che
non aveva mai mostrato; era sempre apparsa come una ragazza timida, che s’imbarazzava
facilmente, ma in quel luogo si sentiva a suo agio: la palestra le dava
sicurezza, tanto da fronteggiare quei ragazzi da sola.
“Hai ragione, la palestra è vostra
adesso, ma io ho un buon motivo per stare qui” sorrise con spavalderia.
“E quale sarebbe questo motivo?
Sentiamo…” disse Miyagi, incrociando le braccia, con una
espressione interrogativa.
“Perché non ti batti con me, in un uno
contro uno; se vinci ti dirò perché sono qui. Che ne dici?”
Miyagi si mise a ridere sguaiatamente.
“Cosa dovrei fare? Io non mi batto contro le
ragazze, e poi non sarebbe un incontro leale”
“Se la pensi così dovresti accettare,
visto che vuoi sapere perché sono qui” la ragazza alzò il
braccio di novanta gradi, fino ad avere la palla, che teneva sotto braccio,
davanti al volto.
“Già… Hai ragione. Però
così mi sembra di approfittarne…” e si avvicinò a lei
sorridendo, ormai sicuro della vittoria.
Dopo che Miyagi prese la palla, i due si misero in
posizione, uno di fronte all’altra, pronti per incominciare.
“Allora… vediamo se riesci a battermi in
velocità” disse Kate.
“Ah ah ah… Vorresti farmi credere che ti
credi più veloce di me. Hai scelto il giocatore sbagliato per dimostrare
la tua velocità: non potrai mai battermi!”
Gli altri giocatori si misero a ridere.
“Ma quella è pazza! È
un’illusa se spera di batterlo in velocità: lo sanno tutti che la
miglior qualità del capitano è proprio quella” disse Eric;
gli altri approvarono, annuendo.
“Io non ne sono tanto sicuro” affermò
Rukawa.
“Ma che dici, amico?!” chiese Eric.
“Io l’ho già vista giocare…
Gli darà del filo da torcere”
“Va beh… sarà anche brava, ma
veloce quanto Miyagi ne dubito”
“Vedrai” si limitò a dire.
-Cerchi ancora di mostrarti imbattibile, ma quando la
finirai?- fu il suo unico pensiero; ora i suoi occhi erano fissi su lei.
Scese il silenzio in palestra; si avvertiva la
tensione.
“Dovrai riuscire a passare la mia difesa e fare
canestro” dettò le regole il capitano.
“E no… così è troppo facile:
se mi lasci il possesso di palla non avrai speranze”
“Ora stai cominciando a rompere, bella! Non
avrò pietà: ti batterò subito così la smetterai di
atteggiarti!” e le lanciò la palla, facendola prima rimbalzare per
terra.
Kate l’afferrò con presa sicura e, con il
viso coperto parzialmente dalla sfera rossastra che teneva con tutte e due le
mani, sorrise. Quel sorriso era molto strano e fece trattenere il fiato a
Miyagi per qualche secondo: l’espressione della ragazza toglieva
sicurezza.
“Ora vedrai come si gioca veramente a basket”
fu l’unica cosa che disse.
Cominciò a palleggiare lentamente in posizione
eretta con gli occhi fissi sull’avversario; era immobile, l’unica
cosa che si muoveva era il braccio destro; l’arto continuava a scendere
ad a salire a ritmo alternato, seguendo il movimento della palla; ora
palleggiava più velocemente, ora più lentamente.
-Conosco questa tecnica: vuole confondermi alterando
il ritmo del palleggio. Ma non sono un principiante: non mi faccio ingannare da
un trucchetto così- pensò Miyagi seguendo con gli occhi il
movimento della palla.
Improvvisamente una parola uscì dalla bocca di
Kate.
“Cominciamo”
Con una velocità impressionante, la ragazza si
abbassò piegando le gambe, avanzò verso il ragazzo, passò
sotto il suo braccio destro steso in posizione di difesa, spiccò un
salto e fece canestro in sospensione.
Miyagi era rimasto quasi immobile: non era nemmeno
riuscito a seguire tutta l’azione con gli occhi. Subito si voltò,
guardando la palla rimbalzare a terra dopo essere uscita dalla rete bianca. Era
stato battuto da quella ragazza e quasi non se n’era reso conto.
Kate prese la palla e la lanciò a Miyagi,
facendola prima rimbalzare a terra.
Il ragazzo la riprese rimanendo immobile, ancora
stupito per quello che era successo.
Con gli occhi fissi su di lei pensò. -Ma chi
è questa ragazza? Come ha potuto fare una cosa del genere?-
“Cavolo! Avete visto quello che ha fatto?! Ma
come ha potuto? Come c’è riuscita?” chiese sconcertato Eric
ai suoi compagni, puntando un dito verso Kate.
“Come pensavo” disse Rukawa, appoggiato al
muro con le braccia incrociate, gli occhi chiusi e l’aria di chi ha
sempre ragione.
“Non pensavo fosse così forte!”
continuò Eric.
Kaede riapri gli occhi e guardò serio la
ragazza, che intanto aveva raggiunto l’amica che l’acclamava; poi voltò
lo sguardo e guardò il capitano che ritornava verso i compagni a testa
bassa.
-Quando gli ha ritirato la palla nel suo stesso modo,
l’ha umiliato. Non capisco cosa vuole dimostrare!- pensò.
“Salve ragazzi!” disse radioso Mitsui,
raggiungendo la sua squadra assieme ad Anzai.
Tutti si voltarono verso di lui con aria minacciosa,
come se fosse sua la colpa di quello che era successo.
“Ehi… che c’è? Perché
mi guardate così?”
“Te lo posso dire io” intervenne Aruko.
E gli raccontò l’accaduto.
“Accidenti, sei stata cattiva” disse sorridendo
a Kate, dopo aver ascoltato tutto.
“Sapevi che avresti vinto; perché hai
voluto umiliarlo?”
“Scusa” e fece una linguaccia spiritosa,
mettendosi una mano tra i capelli.
“Come sarebbe a dire che sapeva già di
battermi?! Ma si può sapere chi è questa ragazza?!” chiese
un po’ adirato Miyagi.
“Ve lo vorrei dire io, ma credo che debba essere
lei stessa a darvi qualche spiegazione; non è d’accordo signor
Anzai”
Il vecchietto rispose ridendo di gusto.
“Bene, visto che è d’accordo anche
lui… A te la parola” e lasciò il giusto spazio alla ragazza.
“Innanzi tutto mi vorrei scusare con il capitan
Miyagi: so che non è stato molto carino approfittare di lui per
dimostrarvi ciò che so fare, ma credo che fosse l’unico modo per
avere il vostro rispetto e la vostra attenzione…”
Miyagi fece una smorfia, ma era pronto ad ascoltarla.
“Dunque… Io sono Kate
Brandon…”
“Brandon?! C’era anche un giocatore
dell’NBA che si chiamava così!” disse impulsivamente
Hanamichi, non considerando le conseguenze.
“Già…” Kate abbassò lo
sguardo.
“Già… quello era mio padre”
“Cosa?!!!” tutti in quella palestra non
potevano credere alla proprie orecchie.
“Tu saresti la figlia del grande Adam
Brandon?!” chiese Eric con stupore.
“Esattamente. Come tutti saprete, mio padre
è venuto a mancare due anni fa a causa di una malattia incurabile; quel
periodo fu molto duro per me, ma lo superai e decisi di realizzare il suo
grande sogno: lui desiderava creare una scuola a suo nome in cui i giovani
talenti, oltre a studiare, potessero dedicarsi al basket per poi aprirsi la
strada verso il campionato di massima lega, l’NBA. Da allora ho girato il
mondo per trovare tanti bravi giocatori per regalargli la più grande occasione
della vita, e questo è il mio ultimo paese; lo Shohoku è la
squadra che ha vinto il campionato inter-regionale dell’anno scorso,
quindi siete la squadra giovanile più forte di tutto il Giappone. Ho
esaminato a fondo ognuno di voi, convinta di trovare il talento che stavo
cercando, e credo proprio di averlo trovato…”
“Che emozione!” disse Eric.
Tutti stavano con il fiato sospeso, aspettando che
quella ragazza dicesse il proprio nome.
“Ed il fortunato è Rukawa!” disse
sorridente.
“Congratulazioni!” urlò Mitsui.
“Ah… non è giusto: come può
essere stato scelto quell’invasato?! Dovevo essere scelto io, il genio
del basket!” protestò Hanamichi, arrabbiandosi molto.
“Su, ora calmati amico!” disse Eric,
mentre tutti gli saltarono addosso per fermarlo prima che distruggesse tutto.
“Hanamichi, non abbatterti. Andrà meglio
la prossima volta, vedrai!” lo tranquillizzò Aruko.
“Dici sul serio Arukina cara, tu credi in
me?”
“Certo!” e gli sorrise, placando il suo
animo adirato.
“Se vuoi proprio saperlo, sono sicuro che Kate
non ti abbia neanche preso in considerazione” affermò ridendo
Mitsui, alzando le spalle e scuotendo la testa.
“Tu credi?”
“Chiedi a lei”
Il ragazzo dai capelli rossi si mise a fissare Kate
con aria interrogativa.
“Beh… se devo essere sincera…”
era arrossita.
Hanamichi abbassò lo sguardo abbattuto dalla
cruda realtà.
“Lo sapevo”
“Mi dispiace”
E tutti si misero a ridere delle disgrazie di
Sakuragi.
“Allora, il mio fortunato amico come ha preso la
notizia?” chiese Eric a Rukawa.
Questo era appoggiato al muro in attesa che quella
ilarità terminasse, con lo sguardo scocciato, lontano dal gruppo.
“Ehi, ma non sei contento?”
Rukawa si limitò a voltare lo sguardo, facendo
intendere che non voleva continuare la conversazione.
Tutti si avvicinarono a lui.
“Allora… Rukawa… cosa ne pensi di
venire in America con me?” chiese imbarazzata Kate.
Lui non la guardò neanche.
“Sei proprio un ingrato! Questa ragazza ti sta
offrendo un biglietto per l’NBA e tu lo rifiuti in malo modo?!”
urlò Eric.
“Se ci tieni tanto vacci tu” disse senza
voltarsi.
“Maleducato!” e si stava preparando per
dargliene quattro.
“Dai… vediamo quello che sai fare” e
si tolse la canottiera, pronto per combattere.
“No, Eric! Non è necessario! Lui è
libero di scegliere: se vuole stare qui, può farlo. Io sceglierò
qualcun altro, ma ora calmati” intervenne Kate, calmando gli animi.
“Guarda com’è comprensiva, e tu la
tratti in questo modo?!”
“Deve essere lui a decidere, però me lo
deve dire subito, non ho molto tempo… Allora, Rukawa, vuoi seguirmi o
restare qui?”
Il silenzio scese in palestra: tutti aspettavano una
risposta da quel ragazzo scorbutico.
Improvvisamente, Kaede voltò lo sguardo e
guardò intensamente Kate. I loro occhi rimasero fissi gli uni sugli
altri per molto. La ragazza era quasi ipnotizzata dalla bellezza del loro
colore.
-Perché mi sta guardando così?-
pensò.
“Vuoi qualcuno che ti riaccompagni nel luogo da
cui provieni, non è così?” disse con freddezza il ragazzo.
“Beh… sì…” non sapeva
cosa rispondere.
Lui le si avvicinò, staccandosi dal muro, fino
a portarsi a qualche centimetro da lei; si percepiva tensione e tutti trattenevano
il fiato per la solennità del momento. Kate notò subito la
differenza d’altezza, una volta che se lo trovò a breve distanza:
solo in quel momento si rese conto che era davvero alto…
Lui si abbassò per avvicinarsi a lei.
-Ma che sta facendo?!- Kate era nervosa ed agitata;
sentiva il cuore batterle a mille e le guance arrossarsi.
“Beh… se vuoi un
accompagnatore…”
“Dimmi…” tratteneva il fiato.
“Cercati qualcun altro, perché io non
verrò mai con te fino in America” disse con disinvoltura, stupendo
tutti i presenti; poi si voltò e fece per andarsene.
“Cosa?!” la ragazza non voleva credere
alle sue orecchie.
“Come sarebbe a dire che dovrei cercarmi qualcun
altro?!” si stava alterando.
“Ora calmati, Kate!” disse Aruko.
La ragazza riprese il controllo di sé.
“Ok… e va bene… se è questo
quello che vuoi… Però sappi che, visto che ero convinta che
avresti accettato, ho chiesto al signor Anzai di toglierti dalla lista dei
titolari. Quindi sei liberissimo di restare, ma passeresti tutta la stagione in
panchina” gli aveva urlato dietro in modo da farsi sentire, orgogliosa di
averlo incastrato.
“Che cosa hai fatto?!” ritornò
subito indietro il ragazzo, incredulo.
“Allora cosa decidi?”
“Sei una ragazza impossibile!” e si
voltò di nuovo, raccolse la canottiera da terra, l’appoggio sulla
spalla e si diresse verso l’uscita.
“Ehi… ma dove vai?”
“Al campo dove ci alleneremo io e te; so che
prima di portarmi in America dovremmo passare del tempo insieme: me l’hai
detto stamattina, ricordi?”
“Quindi accetti?!” Kate era al settimo
cielo.
“Aspetta, ma come fai a sapere in quale campo ci
alleneremo?”
“Non è difficile intuirlo: qui intorno
l’unico campo esistente è quello vicino alla strada principale che
costeggia la baia di Blue sea; gli altri sono troppo lontani da qua e non penso
che, visto che qui ci sono gli spogliatoi, ci allontaneremo di molto”
“Caspita! Che intuito!” affermò la
ragazza.
Prendendo con sé una palla dal cestone,
raggiunse Rukawa, insieme si avviarono verso il campo dove si sarebbe svolto il
loro primo allenamento in coppia.
“E brava Kate! È riuscita ad
incastrarlo” affermò felice Mitsui.
“Già… Ma tu ce li vedi insieme quei
due? E poi come la prenderà il mister!” sussurrò Eric a
Miyagi.
“Non so come andrà a finire…
Vedremo”
“Allora voi due vi date una mossa! Iniziamo il
nostro di allenamento!” urlò il mister Mitsui ai due
chiacchieroni.
“Ecco… è già girato; ma
perché dobbiamo rimetterci noi?!”
Ed il duro lavoro iniziò con un po’ di
ritardo dettato dagli eventi straordinari di quel giorno.
I due camminavano una accanto all’altro in
silenzio. Kate si sentiva a disagio: era la prima volta che stavano da soli.
Ad ogni incrocio o bivio Kate rallentava per osservare
le strade in modo da capire quale prendere, poi vedeva Rukawa proseguire nella
sua direzione con decisione e capiva che era meglio seguire lui che certamente
conosceva la strada meglio di lei; Mitsui era stato molto vago nella
spiegazione della direzione da prendere, quindi si sarebbe persa di certo se
fosse stata sola.
Rukawa aveva notato il comportamento della ragazza ed
aveva intuito che non sapeva dove andare.
“Segui me, così non ti perderai”
aveva detto senza voltarsi e proseguendo per la sua strada.
Kate lo osservò da dietro con stupore per
quello che aveva detto. Poi sorrise e lo seguì con fiducia, contenta che
avesse rotto il ghiaccio tra loro.
“Allora… ehm… sei contento di quest’opportunità?”
chiese un po’ imbarazzata, non sapendo cosa dire.
Lui la guardò con la coda dell’occhio,
poi rincominciò a guardare avanti.
“Chiunque ami il basket sarebbe entusiasta di quest’opportunità”
“Quindi ti piace l’idea di venire in
America con me?! Ne sono felice! È così, giusto? e sorrise
compiaciuta.
Rukawa fu confuso da quel sorriso: era molto
coinvolgente e gli costò fatica non ridere a sua volta.
“Perché non rispondi?”
Il ragazzo non sapeva cosa dire.
“Ecco siamo arrivati” disse, notando il
campetto.
-Sono salvo… Questa è una ragazza davvero
invadente…- pensò.
Il campo non era grandissimo ed il canestro era
presente solo da una parte. Il tabellone era rovinato ed il cerchio non aveva
la rete. Non era certo il massimo, ma per quello che dovevano fare loro andava
più che bene.
Rukawa si sedette sul muretto che delimitava il
campetto su tre lati, e strinse i nodi dei lacci delle scarpe sportive; si
rialzò in piedi e si sistemò la canottiera che si era rimesso
durante il tragitto; infine si sistemò i capelli con le mani: non si
sentiva pronto con i capelli fuori posto.
Kate lo osservò con interesse compiere quelle
azioni. Era davvero affascinante e non poteva staccargli gli occhi di dosso. In
qualche modo si sentiva attratta da lui, ma non l’avrebbe mai ammesso
visto che pensava che a lui piacesse Aruko…
Kaede, dal canto suo, la osservò con
intensità quando si alzò dopo essersi preparato. Lei era girata
verso il tabellone e aveva il volto arrossato, quasi come se dovesse evitare di
guardare lui.
Cominciò dalle gambe che gli parvero lunghe,
snelle e lisce; ne teneva una tesa ed una piegata in avanti e la muoveva a
destra e a sinistra facendo leva sulla punta del piede, indice
d’imbarazzo. Poi salì con lo sguardo ed analizzò il fisico
magro e proporzionato nascosto dalla maglia un po’ troppo larga e lunga
che la copriva fin sotto il bacino, anche i pantaloncini aderenti si vedevano
appena. Continuò a salire ed incontrò il viso bellissimo e
delicato; notò che si stava mordendo il labbro inferiore, altro indice
d’insicurezza; osservò il nasino piccolo e proporzionato e gli
occhi grandi, del suo stesso colore; pensò che esprimessero tenerezza e
serenità. Infine osservò i capelli che teneva legati a coda di
cavallo; notò che gli aveva lunghissimi: le arrivavano a metà
schiena; il loro colore biondo acceso si legava benissimo con quello degli
occhi.
Era la prima volta che osservava tanto attentamente
una persona, notando ogni particolare in quel modo, e non ne conosceva il
motivo. Forse perché era l’unica persona che rispettava in quanto gran
giocatrice; effettivamente non aveva mai guardato le ragazze perché
nessuna poteva condividere la sua stessa passione per il basket… lei invece
poteva… lei amava il basket come lui… lei era addirittura
più brava di lui…
Per la prima volta ammise la sua inferiorità.
-Ma cosa mi sta succedendo? Io non posso ammettere che
questa ragazza sia più brava di me: il mio obiettivo è essere il
migliore!- si disse a sé stesso per occultare i suoi veri pensieri.
Mentre lottava contro essi, continuava a fissarla.
Kate, voltando lo sguardo di scatto, lo beccò in flagrante. Rukawa fece
finta di niente ed incominciò a guardare in un punto imprecisato alla
sua destra. Ma la ragazza l’aveva visto.
“Perché mi guardavi? Ho forse qualcosa
che non va?” disse, avvicinandosi a lui con le braccia dietro alla
schiena.
“Non guardavo te… e… comunque…
non hai niente che non va” rincominciò a guardarla, incrociando i
suoi occhi stupiti.
“Ti… ti ringrazio… è la prima
cosa carina che mi dici da quando ti conosco”
Lui le passò accanto e la superò,
avvicinandosi al canestro.
“Su… ora incominciamo
l’allenamento” affermò.
“Ok!” e rise spensieratamente, voltandosi
e raggiungendolo.
Ed incominciò la sua prima lezione di vero
basket.
Quando il cielo cominciò ad arrossarsi, i due
ragazzi smisero l’allenamento. Kate aveva fatto sgobbare Rukawa
dall’inizio alla fine, facendogli fare ogni tipo di esercizio:
partì dalle basi, fino ad arrivare ai tiri, e perfino a scontrarsi con
lei. Il ragazzo si era lamentato più volte all’inizio
perché riteneva che le basi fossero inutili per lui, ma alla fine aveva
sempre ceduto ai voleri di Kate; infatti, durante gli uno contro uno, aveva
notato che, infondo, aveva bisogno di ancora molto esercizio: non era mai
riuscito a batterla.
Quando tutto terminò, entrambi si sedettero su
un muretto completamente esausti. Kate porse a Kaede un asciugamano per
togliersi un po’ di sudore.
“Ti ringrazio” disse piano, quasi come se
non volesse farsi sentire.
Lei sorrise, poi prese un grosso respiro visto che
aveva il fiatone.
Il ragazzo asciugandosi la osservò di nuovo e
pensò
-Che strano: come fa una giocatrice come lei ad avere
già il fiatone? Oggi non ha fatto molto, a parte darmi ordini e quegli
incontri di pochi minuti… è impossibile che abbia una resistenza
così bassa- poi si voltò di nuovo e guardò a terra.
“Allora come ti è sembrato il primo
allenamento? Non è troppo intenso, vero?” chiese Kate.
-Proprio lei che ormai non ce la fa più, mi fa
questa domanda?-
“Sopportabile” rispose.
“Ne sono felice. Ehi… senti… posso
farti una domanda?”
Lui annuì.
“Perché stamattina volevi rifiutare
questa occasione se ci tieni tanto?”
Lui si alterò ed, alzandosi, buttò a
terra l’asciugamano.
“Non sono affari tuoi!”
“Ok ok… però stai calmo! Era solo
un dubbio, tutto qui”
“Beh, non devi avere certi dubbi! Devi limitarti
ad allenarmi, non impicciarti della mia vita!”
“Mi dispiace! Non pensavo ti alterassi
tanto” cercò di giustificarsi.
Lui non l’ascoltò neanche e se n’andò.
Kate lo inseguì in strada.
“Ehi! Aspetta!”
Lui si fermò improvvisamente e, senza voltarsi,
disse
“Forse non stata una buon’idea accettare
tutto questo”
“Quindi intendi rinunciare al tuo sogno per
così poco?!”
“Taci!!!” la zittii.
“Tu non sai quali sono i miei sogni!” e si
voltò guardandola negli occhi, spaventandola per la freddezza con cui lo
fece.
“Hai ragione… scusa” ed
abbassò lo sguardo.
“Io non ti conosco e non mi devo intromettere,
giusto?” si sentiva abbattuta.
“Forse è meglio che cerchi qualche altro
talento che ti accompagni in America” disse grave, poi si rivoltò
e si allontanò.
Kate, da sola in mezzo alla strada, disse
“Se è questo quello che vuoi… lo
farò” e si allontanò anche lei da quel campetto dalla parte
opposta, cercando di trovare la strada di casa senza perdersi.
Rukawa, invece di dormire come al solito, continuava a
guardare il banco vuoto in mezzo all’aula: si chiedeva se fosse sua la
colpa dall’assenza.
Successivamente, guardando fuori dalla finestra, le
immagini della sera precedente gli passarono davanti agli occhi.
-Forse sono stato troppo duro con lei… Ma che
dico?! Non è da me fare certi pensieri! Da quando la conosco, non mi
sento più lo stesso…- pensò; poi si appoggiò al
banco e prese a sonnecchiare.
Kate si alzò tardi quella mattina. Non appena
alzata, ripensò subito a cos’era successo con Rukawa e divenne
triste.
-Ma perché se l’è presa tanto?
Infondo non era poi una domanda così personale… Non lo riesco a
capire. Ed ora cosa farò? Lui non mi vuole più vedere e non vuole
neanche continuare il progetto… Dovrei abbandonarlo anche io? Facendo i
calcoli, ho già trovato abbastanza ragazzi e non c’è
bisogno che ne trovi un altro… Cosa devo fare, padre?- e si mise a
piangere davanti alla finestra.
Subito dopo si stese sul letto a pancia in giù,
con la faccia immersa nel cuscino, e continuò a piangere a lungo, decisa
a saltare la scuola.
Quel pomeriggio agli allenamenti tutti gli chiesero
spiegazioni della sua presenza lì, e lui si stava innervosendo.
“Vi ho detto che non sono affari vostri!”
urlò, quando tutti lo accerchiarono.
“E dai… Rukauccio… dicci come sono
andate le cose” insistette Hanamichi.
“Piantala Pel di carota! Io penserei alla tua di
situazione: non hai ancora conquistato la sorella del Gorilla, non è
così?”
Sakuragi si sedette a terra, abbattuto
dall’affermazione del nemico.
“Beh… Kaede… non puoi biasimarci se
siamo un po’ curiosi: ieri te ne vai insieme a quella ragazza stupenda ed
oggi torni da noi… Qualcosa dev’essere successo tra voi…
forse avete litigato…” intervenne Eric.
“Fatevi gli affari vostri!” urlò
per l’ennesima volta, poi fece per uscire dallo spogliatoio.
Sulla porta, senza volarsi, disse
“Preparatevi, perché probabilmente Kate
sceglierà qualcun altro”
“Qualcun altro?! Vuoi dire che rinunci
all’opportunità?! Ma così starai in panchina tutta la
stagione!”
“Che sia” e se ne andò, lasciandoli
increduli.
“Avete sentito bene?! Ha rinunciato
all’NBA ed è disposto a stare in panchina tutto l’anno!
Dev’essere successo qualcosa di veramente grave ieri: lui non è il
tipo che si arrende tanto facilmente” affermò sicuro Eric.
“Già… la cosa mi
puzza…” confermò Miyagi.
“Va beh, ora andiamo. Non serve stare qui a
pensarci su, se ce ne vorrà parlare, lo farà” intervenne
Hanamichi.
“Che pensiero profondo, amico! Mi stupisci ogni
giorno di più, complimenti!” scherzò il biondino.
“Ma la vuoi piantare di prendermi in giro una
buona volta?!” e tutti uscirono per recarsi in palestra.
“Vedo che Rukawa è con noi oggi”
disse Mitsui freddo.
“Bene cominciamo: venti giri del campo.
Muoversi!”
“Per fortuna il mister non ha infierito”
sussurrò Miyagi a Eric.
“Almeno il poveretto non si è subito
l’interrogatorio di prima; penso che siamo stati un po’ troppo
invadenti, infondo sono affari suoi…”
“Già, lo penso anche io. Su, ora
muoviamoci, se no Mitsui ci fa sgobbare come ieri”
“Giusto”
Ed i due si impegnarono a fondo.
-Perché lui è qui? Ho saputo anche che
Kate non è venuta a scuola… Cosa sarà successo ieri?-
pensò Mitsui, mentre osservava Rukawa che correva attorno al campo.
-Non sarà successo qualcosa a lei?! Più
tardi m’informerò- e riprese a dare ordini, con la preoccupazione
nei suoi pensieri.
Kate si risvegliò a pomeriggio inoltrato con
gli occhi ancora bagnati. Guardando la sveglia, si rese conto che si era addormentata
nuovamente e che l’aveva fatto per molto.
Si alzò di nuovo dal letto, si avvicinò
ancora alla finestra ed aprì le tende, che aveva chiuso durante il
pianto di qualche ora prima, inondando la stanza di luce.
Improvvisamente strinse più forte la tenda
sinistra con la mano, con aria decisa.
“Ho preso una decisione! Non mi arrenderò
per una lite stupida! Andrò da lui e gli parlerò: lo
convincerò a riprendere l’allenamento!”
Poi si vestì velocemente ed uscì
dall’appartamento.
Finito l’allenamento in palestra, tutti si
avviarono negli spogliatoi.
Rukawa rimase solo e si avvicinò ad una palla
lasciata in mezzo al campo. Rimase a guardarla per molto, quando la ebbe a
pochi centimetri dai piedi, con un’espressione smarrita.
-Di solito, a questo punto mi alleno da solo…-
pensò.
Subito dopo prese la sfera in mano ed
incominciò a palleggiare; correndo arrivò sotto canestro e
saltando tentò di fare punto, ma non ci riuscì.
Ricadendo a terra in piedi, piegò il busto fino
a prendersi le ginocchia, e riprese fiato; aveva gli occhi sbarrati: era
incredulo.
-Non sono riuscito a fare quel canestro così
semplice… Com’è possibile?!- pensò.
Poi, rialzando il busto e mettendosi in posizione
retta, osservò la palla rimbalzare a terra. Tirando un pugno al muro, si
allontanò, uscendo dal portone, senza nemmeno cambiarsi.
-Che ti è successo, amico mio?- pensò
Mitsui, osservandolo di nascosto dal corridoio che collega la palestra e gli
spogliatoi.
Poi, vedendolo uscire, si stacco dal muro, a cui era
appoggiato con la schiena, e si allontanò ancora più preoccupato.
Kate stava vagando per la città senza sapere
dove andare. Stava cercando disparatamente la casa di Rukawa, visto che a
quell’ora gli allenamenti erano sicuramente terminati, ma, non conoscendo
la strada, si era persa.
“Accidenti! Ma dov’è quella
maledetta via?!” disse in preda allo sconforto.
Poco dopo si accorse di essere arrivata casualmente
nella via di Mitsui.
“Certo! Potrei chiedere informazioni a lui”
e si avviò verso il palazzone con tantissimi appartamenti che gli si
stagliava davanti.
“Dunque… se mi ricordo bene quello che ho
letto nei fascicoli, il suo numero d’appartamento dovrebbe essere…
fammi pensare… il 202! Quindi al secondo piano. Devo fare in fretta: si
sta facendo tardi”
Salì velocemente la scala esterna e percorse il
lungo balcone, che si estendeva fino alla fine della facciata anteriore, che
fungeva da corridoio e collegava tutti gli appartamenti del secondo piano.
“Vediamo… 210… 209… 208…
Ho capito: su ogni piano ci sono dieci appartamenti, ed io devo arrivare fino
alla penultima porta”
Percorse in fretta il lungo corridoio ed arrivò
finalmente davanti alla porta con su scritto il numero 202; bussò ed
attese una qualche risposta dall’interno.
“Uffa! Ma chi saràa quest’ora?!”
brontolò il ragazzo, alzandosi dal divano e spegnendo il televisore; si
sistemò un po’ e si avviò verso l’entrata.
“Si può sapere chi è?!”
chiese scortesemente, spalancando la porta.
Rimase sorpreso di vederla lì, in piedi,
davanti al suo appartamento e fece una faccia buffissima che esprimeva stupore.
Lei rise.
“Ehi là! Come va?”
“Ma che ci fai qui, a casa mia?”
s’informò.
“Posso entrare?”
Lui mutò il suo volto da sorpreso ad ospitale.
“Ma certo, entra pure”
Ed entrò, tirando la porta dietro di sé
fino a chiuderla.
Kaede percorse lentamente le viottole che, dalla via
principale, conducevano a casa sua. Non gli piaceva quel posto, specialmente
chi ci abitava dentro, quindi non gli andava a genio di tornare lì ogni
sera. Quella sera in particolare era già irritato per conto suo e
l’idea di dover anche affrontare quell’uomo lo disgustava.
Raggiunse il portone della casa indipendente e,
prendendo con la mano il pomello dorato, senza girarlo, pensò
-Famiglia Rukawa… già, certo, come
no… la scritta incisa su questa porta non rispecchia ciò che
succede all’interno di questa casa…-
Rimase lì immobile per qualche minuto; poi
lasciò il pomello e, con lo sguardo scuro, si voltò e si diresse
altrove.
Kate si sedette sul divano blu, che le apparve un
po’ scomodo. Si guardò attorno ed esaminò
l’appartamento. Era molto più grande del suo ma, per
l’arredamento scuro e per la poca luce che filtrava dalle tende spesse,
appariva quasi d’identiche dimensioni. Il salotto era accogliente ed era
collegato alla cucina ed al corridoio notte; da qui si diramavano camera, bagno
ed una specie di ripostiglio. Nonostante un po’ di disordine, tutto
sommato, le fece bella impressione.
Osservò l’interno della cucina, dove
l’amico stava armeggiando con la caffettiera.
“Ma vivi da solo in una casa così
grande?” chiese curiosa.
“Infondo non è esattamente una
reggia… Comunque, sì: ci vivo da solo”
“Anche se non è una reggia, in confronto
al mio appartamento, questa è una suite!”
Il ragazzo si mise a ridere, poi rientrò in
salotto.
“Allora, mi vuoi dire perché sei qui o ti
devo estrarre le parole di bocca?!” disse dolcemente Mitsui, porgendole
una tazza di caffé.
“Ah… a proposito… tu bevi il caffé,
vero?”
“Certo! È la mia bevanda preferita! Noi
americani non berremmo altro!”
“Perfetto!”
“Allora, vuoi sapere perché sono
qui… è presto detto: sono qui perché vorrei che mi aiutassi
a trovare la casa di Rukawa”
Il ragazzo, a momenti, si affogò con la
bevanda: gli era andata di traverso.
“E a cosa ti servirebbe trovare casa sua?!”
“Beh… ecco… ieri sera abbiamo litigato
per un motivo sciocco: lui si era offeso dopo che gli avevo chiesto di
spiegarmi perché non aveva accettato subito di seguirmi, visto che mi
era sembrato entusiasta della giornata passata insieme. Ha minacciato di non
continuare, ma io non voglio che rinunci ad un’occasione simile per uno
stupido battibecco! Quindi vorrei andare a casa sua e scusarmi per la mia
domanda invadente, così che possa rincominciare. Mi aiuterai? Sai…
non riesco ad orientarmi in questa città… è un caso che ho
trovato la tua via”
“Non so se farei bene…” e si alzò
dal divano, allontanandosi dalla sua curiosità.
“E questo che vorrebbe dire?! Cosa ci sarebbe di
male?!” affermò con disappunto, inseguendolo per la casa.
“Tu non conosci alcuni fatti di Rukawa
che…”
“Che cosa?!”
“Senti, è meglio se cerchi un altro modo per
parlargli; non ti conviene andare a casa sua…”
“Quali fatti?! Perché non dovrei recarmi
in quella casa?! Cos’è che mi nascondi?!”
“Non credo sia corretto dirtelo… sono
fatti suoi”
“Non dovresti comportarti così con me:
dici che vuoi essermi amico, poi mi tieni all’oscuro delle cose!”
“Ok… senti… al massimo posso
indicarti come andarci, ma ti consiglio di non farlo… è meglio se
non conosci alcuni aspetti della vita di Kaede…”
“Cercherò di tener a mente il tuo consiglio.
Sei più contento. Adesso?”
Mitsui era confuso: sapeva che non doveva aiutarla, ma
non riusciva a rifiutarsi.
“Io ti spiegherò la strada, però
non andarci ora, visto che è già buio”
“Davvero? È già così
tardi?” e si avvicinò ad una finestra, spostò la tenda
facendo entrare la luce fioca dei lampioni della strada, e verificò che
era vero.
“Accidenti! Ed ora come faccio?! Non mi piace
camminare da sola per le viottole buie! Non me la sento di tornare a
casa…”
Mitsui lesse tra le righe di quella frase ed intuì
l’idea che frullava nella testa della ragazza.
“E va bene: puoi dormire qui” disse
rassegnato.
“Grazie! Grazie! Grazie!” disse euforica e
saltò per la gioia.
-Ci mancava solo questa- pensò il ragazzo,
mettendosi una mano tra i capelli.
“Ma dove sta andando?” si chiese
Hanamichi, vedendo Kaede allontanarsi dalla villettina indipendente della
famiglia Rukawa.
Non era una vera e propria villa da ricconi; si
sviluppava tutta su un unico piano ed era circondata da un modesto giardinetto
privato; le finiture erano di pregio; anche se ora appariva un po’
trascurata, di sicuro tempi addietro doveva apparire proprio come una bella
casa.
In ogni caso a Sakuragi sarebbe piaciuta qualunque
fosse il suo aspetto, ed avrebbe preferito dormire all’interno piuttosto
che nella palestra, come invece aveva preferito il suo nemico. Infatti seguendo
Rukawa di nascosto, lo vide entrare negli spogliatoi, togliersi la divisa della
squadra che ancora indossava, farsi una doccia, mettersi vestiti più
comodi e coricarsi su una panchina ed addormentarsi.
“Ma cosa gli sarà preso? Perché
viene a dormire in un posto simile, quando ha una casa come quella?! Non lo
capisco… All’inizio avevo deciso di seguirlo per saperne di
più su Kate, invece scopro che preferisce dormire in palestra! Chissà
cosa l’ha spinto a fare una cosa simile?... Forse per un po’
è meglio che lo lascio in pace… mi sembra che abbia già
troppi pensieri per la testa…” sussurrò, continuando ad osservarlo
da dietro lo stipite della porta che aveva lasciato aperta.
Successivamente, senza fare troppo rumore, se ne
andò a casa sua con mille dubbi in testa.
Mitsui non riusciva a dormire: il divano era davvero
scomodo!
Kate gli aveva detto più volte che si sarebbe
accontentata e che avrebbe dormito anche per terra se fosse stato necessario,
ma il ragazzo, da vero gentiluomo, le aveva offerto il suo letto; quel letto
ora l’apprezzava davvero tanto: gli appariva così
confortevole… In quel momento, però, ospitava la bellissima
ragazza americana…
Si alzò con un mal di schiena incredibile, e si
diresse verso la cucina per dissetarsi.
“Accidenti… mi sento invecchiato di
vent’anni… Io e la mia linguaccia lunga! Perché devo sempre
essere gentile con le ragazze?!” si chiese, non molto lucido, esaminando
il frigorifero, esausto e stanco.
“Chissà come se la gode Kate sul mio
lettone? Oh… mio caro lettone…” e strinse tra le braccia una
miriade di cose congelate che trovò all’interno
dell’elettrodomestico, come se fossero un cuscino;il suo cervello non riusciva più
a fare un ragionamento logico.
Subito dopo rimise tutto a posto, bevve, e si diresse
verso la sua camera. Osservò a lungo la ragazza rilassata a serena,
mentre si crogiolava tra le sua coperte. Si avvicinò e si sedette in un
angolo del letto; si avvicinò ancora a lei e, con un gesto delicato e
discreto, le spostò i capelli in modo da vederle il viso.
Lei trattenne per un attimo il respiro, poi riprese a
sonnecchiare come se niente fosse.
Lui sorrise, ma divenne subito serio.
-Ti prego… non andare in quella casa. Potresti
rimanerci molto male per quello che vedrai…- pensò, poi
ritornò discretamente sul suo divano e riprese i tentativi per cercare
di dormire.
“Accidenti a questo maledetto divano!”
disse e chiuse gli occhi.
Il mattino seguente Kate si alzò di
buon’ora e preparò la colazione per sé e l’amico
ancora sonnecchiante. Apparecchiò la tavola, sistemando gli innumerevoli
spuntini in piatti diversi, in puro stile americano; voleva assolutamente
sdebitarsi con Mitsui per l’ospitalità offertale.
Il ragazzo dormiva della grossa sul divano
nell’altra stanza, finché la ragazza non gli mise sotto il naso
l’odore di una brioche fumante e gustosa. Mitsui seguendo l’odore,
raggiunse la cucina con gli occhi ancora chiusi, guidato da Kate. Quando si
svegliò completamente ed ammirò quella tavola imbandita, rimase
stupito: non aveva mai visto niente di simile.
“Cavolo! Cosa si festeggia? Per quale motivo hai
preparato tanta roba?”
Kate gli sorrise.
“Da quando vivo in questa casa da solo, non ho
mai visto questa tavola così colma!” si sedette ed
incominciò a mangiare di gusto.
Rukawa si alzò presto, raccolse le sue cose, e
si avviò verso casa a sguardo basso e cupo. Camminava lentamente, quasi
trascinandosi, con il borsone da basket sulla spalla e una strana sensazione
nel cuore.
-Oggi l’affronterò e avrò la
meglio… quell’uomo non l’avrà vinta anche questa
volta!- pensò, avvicinandosi sempre di più a Villa Rukawa.
“Era tutto buonissimo! Non pensavo cucinassi
così bene” affermò Mitsui strofinandosi la pancia piena,
non appena finì di abbuffarsi.
“Ti ringrazio. È una delle mie
qualità: la cucina è quasi una passione, dopo il basket
ovviamente”
“In ogni caso non mi hai ancora spiegato il
motivo di questo banchetto”
“Non era un banchetto: in America tutti, di
mattina, mangiano una colazione sostanziosa; per me era una porzione
normale”
“Vuoi dire che tu ogni mattina mangi così
tanto?! Ma dove la metti tanta roba?! Come fa il tuo stomaco a sopportare
tanto?! Eppure il fisico non ti manca…”
Kate fece una smorfia.
“Lo prenderò come un complimento… Comunque
ti ho preparato questo banchetto, come lo chiami tu, per ringraziarti
dell’ospitalità: ti sono molto grata per questa notte”
“Ma figurati, è stato un piacere
ospitarti!”
“Ti ringrazio ugualmente: non me la sentivo
proprio di farmela a piedi da sola, ieri sera”
“Ehi, tranquilla! Puoi tornare qui ogni volta
che vuoi. Sono tuo amico e gli amici si aiutano: quando avrai bisogno di me, mi
troverai sempre qui. Tutto chiaro?”
“Tutto chiaro! Sei davvero un amico!” e
sparecchiò la tavola con il sorriso sulle labbra.
Rukawa si sedette sulla riva del suo fiume preferito;
il fiume dove, di solito pensava. Doveva prepararsi psicologicamente per
affrontare la persona che più odiava, anche se certo l’idea non
l’elettrizzava.
Non voleva avere a che fare con quell’uomo, ma
le circostanze lo richiedevano: finalmente aveva la possibilità di
vendicarsi, di colpirlo nel suo punto più debole, e di gioire della sua
invidia. Era impaziente di umiliarlo, ma allo stesso tempo non voleva vederlo:
il suo cuore era confuso e, di minuto in minuto, perdeva tutta la sua
determinazione.
Rimase tutta la mattina seduto lì, con il sole
che lo inondava con la sua luce; stringendo le gambe con le braccia ed appoggiando
il viso sulle ginocchia, guardò intensamente lo scorrere delle acque
senza mai distogliere lo sguardo, quasi ipnotizzato, per nulla preoccupato per
aver saltato la scuola, godendosi gli ultimi momenti di pace prima del fatidico
rientro a Villa Rukawa.
Scendendo di nuovo in strada dal suo appartamento,
Kate raggiunse Mitsui che l’aveva accompagnata fino a casa sua.
“Allora, hai cambiato i libri della tua cartella
per le lezioni di oggi? Possiamo finalmente andare a scuola?!”
“Ho fatto, stai calmo! Quanto sei noioso! Non
c’ho mica messo tanto…”
“Non c’hai messo tanto?! Sei rimasta su
per mezz’ora! Ma quanto ti ci vuole per prendere dei libri?!”
“C’ho messo un po’ di più
perché mi sono anche sistemata i capelli… Non sarà mica una
tragedia…” e gli fece una linguaccia, incominciando a camminare in
direzione dell’istituto.
“Accidenti, non capirò mai la
vanità femminile” si disse tra sé e sé Mitsui
scuotendo la testa ed alzando le spalle, raggiungendo l’amica.
Arrivati a scuola, furono raggiunti da Hanamichi ed
Aruko.
“Ehi là! Sempre insieme voi
due…” affermò Sakuragi, imbarazzando Kate.
“Kate, sai cosa mi ha appena detto
Hanamichi?” intervenne Aruko, cambiando discorso.
“No, cosa ti ha detto?”
“Ieri ha seguito Rukawa per sapere cosa fosse
successo tra voi ed il motivo del suo ritorno in squadra…”
Kate ripensò per un attimo alla litigata di due
sere prima.
“E quindi… cos’ha scoperto?”
chiese curiosa.
“Pare che abbia dormito qui, in palestra,
ritornando sui suoi passi dopo essere rimasto immobile per qualche minuto
davanti al portone della sua villetta… Chissà per quale motivo ha
fatto una cosa del genere”
Mitsui fece una faccia strana e Kate la notò.
“Vuoi dire che Rukawa è qui?! Devo
parlargli assolutamente!” affermò la ragazza e corse verso la
palestra senza dare spiegazioni a nessuno.
“Ehi! Dove vai?! Ma, si può sapere
cos’è successo tra di voi?!” le urlò Aruko un
po’ gelosa, ma la ragazza non l’ascoltò neanche.
Kate entrò negli spogliatoi, spalancando la
porta, ma non vi trovò nessuno.
Fu raggiunta da Mitsui; il ragazzo aveva una faccia serissima,
quasi preoccupante.
“Non c’è… Forse è
già in classe…” ipotizzò la ragazza.
“Mi dispiace, ma non c’è:
l’ha cercato anche Aruko prima, senza successo; me l’ha detto
quando ti ha visto correre fin qui”
“Che peccato! Potevo avere l’occasione di
risolvere la situazione”
Il ragazzo le si avvicinò e le prese le spalle
con le mani; il suo comportamento era strano e Kate l’avvertì.
“Promettimi che non andrai a cercarlo a casa
sua” disse grave.
Kate deglutì nervosamente: sentiva la
preoccupazione, quasi fraterna, di Mitsui.
“Non te lo posso promettere se ho già
intenzione di non mantenere la promessa” disse decisa la ragazza.
“Promettilo!!!” le urlò Mitsui,
spaventandola.
Poi l’abbracciò forte.
“Non voglio che tu veda cosa succede
all’interno di quella casa: ne rimarresti sconvolta. Non voglio che tu
veda che vita fa Rukawa: lo guarderesti in modo diverso, mutando i sentimenti
che provi per lui…”
Kate sgranò gli occhi: era sorpresa
perché Mitsui aveva capito che Rukawa le piaceva.
“Ma come…?” chiese, quasi
sussurrando, allontanandosi dal suo abbraccio.
“Come faccio a sapere quello che provi per
Rukawa? Era questo che volevi chiedermi, giusto? Lo so perché ti si
legge in faccia: ogni volta che lo guardi i tuoi occhi s’illuminano e la
tua attenzione è rivolta totalmente a lui” le sorrise.
Kate arrossì.
“Sono così trasparente?”
“Per me lo sei”
“Ma tanto non ho alcuna speranza: a Rukawa piace
Aruko”
“Chi è che piacerebbe a chi? Mia cara,
sei fuori strada: a Rukawa piace qualcuno, ma non è certo Aruko. Quando
anche lui riuscirà a capirlo, questa persona sarà felice assieme
a lui” e le sorrise.
“In ogni caso, non sono io la persona che occupa
il suo cuore. Sono ormai rassegnata e mi accontento di allenarlo, ma non
potrò più farlo se non riesco a farmi perdonare da lui. È
per questo che oggi andrò a casa sua: per parlargli; e se non
sarà lì, chiederò informazioni ai genitori per trovarlo.
Non ti posso promettere di non recarmi in quel luogo: significherebbe
rinunciare all’unico modo che ho per averlo vicino”
“Ti vedo decisa… Se è così
che la pensi, io non ti fermerò: è una tua decisione, ed io posso
solo limitarmi a consigliarti. Promettimi però che penserai a quello che
ti ho detto”
“Te lo prometto” disse seria Kate.
Mitsui l’abbracciò di nuovo.
“Se avrai bisogno di un aiuto, sai che la mia
porta è sempre aperta per te”
“Lo so” e ricambiò
l’abbraccio.
Finite le lezioni, Kate si diresse subito verso Villa
Rukawa.
Era molto tesa perché non sapeva cosa avrebbe
fatto quando se lo sarebbe trovato davanti: non sapeva come risolvere la
situazione, soprattutto perché per lei non esisteva un problema. Inoltre
le nuove rivelazioni di Aruko e la preoccupazione di Mitsui, le mettevano
agitazione.
-Cosa dovrei vedere in quella casa di tanto
sconvolgente? Cosa l’ha spinto a dormire in palestra? Cosa nasconde
Kaede? Cosa mi stupirà della sua vita al punto da cambiare i miei
sentimenti per lui?- si chiese mentre camminava da sola, pensando a Rukawa.
Non lo vedeva solo da due giorni e già ne
sentiva la mancanza: le mancava il suo sguardo intenso e deciso, i suoi occhi
profondi, e perfino il suo comportamento provocatorio. Non capiva cosa
l’attraesse tanto di lui; le persone come lui, taciturne ed
attaccabrighe, non le aveva mai sopportate: le riteneva troppo diverse dal suo
modo di essere allegro e spensierato. Fino al suo arrivo in quella
città, non aveva mai avvicinato persone come quel ragazzo che ora tanto
voleva per sé; fino alla conoscenza di Rukawa, non aveva mai provato un
sentimento tanto confuso, quanto intenso, per qualcuno.
Non sapeva nemmeno quando era iniziato tutto
ciò; forse proprio la prima volta che lo vide, quella sera in palestra, mentre
si allenava da solo: la sua classe, il suo talento, il suo impegno… n’era rimasta affascinata da subito…
Questi pensieri la spaventarono un po’:
ripensare a tutto quello che era successo, all’insorgere di quello strano
sentimento… Era spaventata dal fatto che tutto ciò era successo in
così poco tempo: in meno di una settimana era cambiata così
tanto.
-Possibile che io… che io mi sia innamorata
seriamente di Kaede…?- questo pensiero fulminò la sua mente,
facendola fermare in mezzo al marciapiede.
Rimase immobile, in piedi suoi ciottoli della strada:
riuscire ad ammettere a sé stessa che quel sentimento che occupava il
suo cuore fosse amore,e non solo semplice infatuazione, la preoccupò
ancora di più. Riuscire a riconoscere un sentimento che mai aveva
provato per nessuno, in quel momento, le fece ripensare alla sua situazione, al
suo segreto che tanto la spaventava; ora che finalmente aveva conosciuto
l’amore, non poteva goderselo: a Rukawa piaceva già una ragazza,
ed anche se fosse stata lei, il tempo rimasto ormai era poco…
Si sentiva tremendamente triste: aveva conosciuto
l’amaro aspetto dell’innamoramento, nello stesso istante in cui
aveva riconosciuto quel sentimento.
Mentre una lacrima bagnava la sua guancia, si strinse
le braccia, incrociandole; procedette lenta, contro un vento più intenso
che le stirava la divisa scolastica attorno al corpo: era decisa a finire
quello che aveva incominciato, nonostante i pensieri che angosciavano la sua
mente.
Arrivò dopo molto a quella casa che da tanto
cercava: come al solito, le indicazioni di Mitsui non erano mai abbastanza
precise…
Osservò con occhio incredulo la villetta;
rimase stupita e compiaciuta: quella casa era stupenda, anche se serviva
qualche lavoretto per rimetterla in sesto. Il suo appartamento, in confronto,
le sembrava una topaia. Certo che se i genitori di Kaede potevano permettersi
una casa simile, Rukawa non doveva navigare in cattive acque: finanziariamente
non doveva avere molti problemi.
-Non mi sembra che qui ci sia qualcosa che non
vada… Mi sembra una casa abbastanza normale per una famiglia
discretamente benestante… Cosa dovrei vederci di così
sconvolgente?- pensò Kate, ripresasi dalla sconforto di qualche minuto
prima, avvicinandosi all’ingresso.
“Famiglia Rukawa… uhm… Carina
l’insegna!” disse.
Successivamente fece per bussare alla porta, ma non poté:
Rukawa l’aveva già aperta.
Si guardarono per un istante, senza dire nulla. Lui
era serio e scontroso come al solito. Lei era imbarazzata e paralizzata dal suo
sguardo; rimase con il braccio alzato ed il pugno chiuso pronto per bussare,
per un po’, poi l’abbassò ed attese che le dicesse qualcosa.
“Che ci fai tu qui?” chiese freddo lui.
“Beh… ecco… io… dunque…
ecco… io vorrei scusarmi per quello che è successo l’altra
sera…” era un po’ impacciata.
“Scusa, ma non è il momento. Gradirei se
te n’andassi…”
Kate spalancò gli occhi: quella frase la
gelò.
“Certo… capisco… ce l’hai
ancora con me”
Lui rimase zitto; avrebbe voluto spiegarle come
stavano le cose, ma non voleva che lei entrasse in quella faccenda.
Kate si voltò e fece per andarsene; il suo
cuore era colmo di tristezza e sembrava che, più andasse avanti,
più questa aumentava.
“Allora, sei ancora qui?! Non te ne sei ancora
andato?! Per quanto ancora devo subire la vista di quella tua lurida
faccia?!” si sentì una voce urlare dall’interno della villa.
Kate si voltò stupita; quella voce era orribile:
carica d’odio e accentuata da qualche bicchierino di troppo che si doveva
essere bevuto chi aveva parlato.
“Ma che sta succedendo? Di chi è questa
voce?” chiese.
Rukawa rimase fermo in piedi davanti all’uscio,
mentre la fissava; quello sguardo era strano ed esprimeva sia un rifiuto, sia
una richiesta d’aiuto; sembrava che il ragazzo la volesse allontanare da
lui, ma, allo stesso tempo, la volesse lì, al suo fianco, come sostegno.
Kate non riusciva ad interpretare a pieno il vero
messaggio che Rukawa voleva comunicarle. Rimase semplicemente a fissarlo a sua
volta, con sguardo interrogativo e stupito.
Poco dopo, dalla porta, volarono vestiti ed oggetti
tipicamente maschili, insieme ad una valigia; Rukawa si chinò e, senza
accennare una parola, cominciò a riempire quest’ultima col resto.
Kate continuò ad osservarlo immobile: non
riusciva a realizzare un pensiero, era come ipnotizzata da quella vista e non
riusciva a capire cosa potesse fare per aiutarlo.
Quando ebbe finito, il ragazzo prese la valigia per la
maniglia e si allontanò dall’ingrasso di casa sua, fino a fermarsi
di fronte a lei con gli occhi fissi nei suoi.
“Vattene e non farti più vedere, lurido
verme!” disse l’uomo grande e grosso che aveva sbattuto fuori di
casa Rukawa.
Kaede chiuse gli occhi e fece un sorriso disperato,
poi proseguì per la sua strada, sorpassando la ragazza alla sua
sinistra, senza dirle niente. Quel silenzio sembrò più eloquente
di un intero discorso e Kate capì che quello non era certo il momento
per parlare del loro problema.
Poi, non appena si chiuse il portone dietro di lui e
quindi quell’uomo non poteva vederlo, Rukawa cadde a terra a pancia in
giù, svenuto, stanco e dolorante.
“Rukawa!!!” gridò Kate, correndo e
raggiungendolo; lo voltò, gli alzò il busto da terra e gli sostenne
la testa con il braccio.
“Rukawa! Che cos’hai?! Rukawa! Rispondi!
Che cos’hai?!”
E gli accarezzò la fronte e la guancia sinistra
con la mano destra, spostandogli un po’ i capelli e mostrando il suo
volto pallido.
“Che cosa devo fare ora?!” si chiese,
accompagnando la testa del ragazzo fino ad appoggiarla al suo petto.
In quel momento si sentì inutile: lui era
lì immobile e lei non sapeva come aiutarlo.
“Allora, come sta?” chiese Mitsui.
“Sembra meglio: sta dormendo tranquillo nel mio
letto” Kate osservò l’interno della sua camera, scorgendo il
corpo di lui fermo.
“E tu come ti senti?” Mitsui la
squadrò, cercando di scoprire il suo vero stato d’animo. Mentre
continuava a guardare alla sua sinistra, in direzione dell’altra stanza,
bevve l’ultimo sorso di caffé; sistemò la tazza sul tavolo
e si raccolse i capelli, mostrando appieno gli abiti che aveva indossato dopo
essersi tolta la divisa.
“Beh… tutto sommato, bene” rispose
in modo poco convincente.
“A
proposito, ti ringrazio per avermi aiutato a trasportarlo fin qui: da sola non
ci sarei mai riuscita” continuò.
“Ma ti pare. Quindi, alla fine, non hai
ascoltato il mio consiglio…”
“Mi dispiace… Anche se non ho capito molto
di quello che è successo, so che è stato buttato fuori di casa in
malo modo; tu sai quale potrebbe essere il motivo?”
“Credo che questo tu debba chiederlo a lui: sono
fatti suoi e non me la sento di parlartene”
“Hai ragione…”
“L’intera storia della vita di Kaede
è abbastanza agghiacciante e non so se, quando ne verrai a conoscenza,
lo guarderai con gli stessi occhi di adesso: conoscere quello che ha dovuto
passare nella sua vita, ti farà provare compassione per lui, che
sfocerà poi in pietà… Non so se lui riuscirà ad
accettare che tu prova questo sentimento nei suoi confronti: essere compatito
è l’ultima cosa di cui ha bisogno”
“Lo terrò a mente. Ti ringrazio”
“Ora però devo andare”
“Non ti preoccupare, ora posso cavarmela da
sola”
“Ok. A presto” ed uscì, lasciandola
da sola con lui.
Kate entrò nella sua camera e si
avvicinò al letto, ora occupato da Kaede. Stava dormendo su un fianco
tutto raggomitolato: sembrava un bambino ed il suo viso era rilassato.
“Sei stupendo quando dormi” gli
sussurrò.
Sorrise, poi si sdraiò accanto a lui, assumendo
la stessa posizione: erano simmetrici, con le teste, le mani e le ginocchia
vicine.
Con lo sguardo così vicino al suo, si sentiva
al settimo cielo ed il cuore le batteva forte.
“Credo proprio di essermi innamorata di
te…” sussurrò ancora e sorrise.
Poi, osservandolo meglio, notò un livido sul
collo; gli tolse la camicia bianca che indossava, senza svegliarlo, e rimase
allibita nel vedere che ne aveva molti altri su tutto il petto.
“Ma che diavolo ti ha fatto quell’uomo?!
Ora capisco il motivo del tuo svenimento: quell’uomo dalla voce
agghiacciate ti ha picchiato violentemente! Non importa, ora sei qui con me e
non devi temere che ti accadano altre cose spiacevoli” disse piano.
Successivamente si appoggiò con la testa sul
suo petto, visto che ora era posizionato a pancia in su, e gli abbracciò
l’addome, addormentandosi.
Rukawa con la mano destra le prese la spalla destra e
la strinse a sé più forte; si mise l’altra mano sotto la
nuca ed alzò la gamba sinistra; aprì gli occhi ed
incominciò ad osservare il soffitto della camera di Kate.
I suoi occhi erano seri e freddi; immobili, non
guardavano nulla di particolare: sembrava che guardassero il vuoto, come in
cerca di qualcosa.
Per tutto il tempo in cui la ragazza gli aveva
sussurrato quelle parole dolci, era rimasto sveglio, fingendo di dormire
tenendo gli occhi ben chiusi, per evitare che potesse, curiosa com’era, fargli
domande sull’accaduto: non voleva che lei si intromettesse ancora nella
sua vita.
Però gli faceva piacere stare in quella
posizione, in quel momento; percepiva calma e tranquillità: la sentiva
così vicina a lui…
-Non avrei voluto che tu entrassi in questa storia:
non voglio che tu conosca certe cose del mio passato. Proveresti pietà
per me e questo non lo potrei mai sopportare- pensò.
Poi richiuse gli occhi e si addormentò.
Ed insieme dormirono, ignari di quello che sarebbe
successo in seguito.
Il mattino seguente, Rukawa si svegliò con la
testa dolorante e se la massaggiò.
Si accorse subito che Kate non era accanto a lui,
tastando la parte sinistra del letto. Si alzò di scatto ed entrò
nel salotto di corsa, per cercarla.
Non sapeva il motivo di tanta fretta, ma voleva vedere
subito il suo viso sorridente…
“Ehi, quanta fretta! Non devi mica vincere una
maratona! Su ora va a farti una doccia, che ne hai bisogno… Scusa la
franchezza…” e s’imbarazzò.
Rukawa guardò con stupore la ragazza; era come
se la vedesse per la prima volta. Indossava un grembiule da casalinga colorato,
che nascondeva in parte la canottiera rossastra ed i pantaloncini scuri
aderenti; in testa si era messa una bandana bianca, per evitare che i capelli
sciolti la disturbassero mentre preparava la colazione. Assomigliava ad una
vera e propria casalinga: non era certo affascinante, ma il vederla con
quell’aspetto così semplice trasmise al ragazzo una sensazione di
pace.
“Allora, che fai lì impalato?! Su su,
muoviti. Ti ho già lavato la camicia che indossavi ieri, poi ti
laverò anche i pantaloni che indossi. Sull’armadietto del bagno ti
ho preparato i vestiti da metterti dopo che ti sarai lavato: gli ho presi dalla
tua valigia, spero non ti dispiaccia…”
Kaede era sbigottito: nessuno si era mai preso cura di
lui come stava facendo lei.
Decise di seguire le istruzioni della ragazza e si
andò a lavare. Quando fu sotto l’acqua corrente, scese con lo
sguardo fino a guardarsi il petto; era pieno di lividi e questo gli fece ripensare
a tutto quello che era successo. Rialzò il viso, chiuse gli occhi, e si
fece bagnare completamente dal getto d’acqua, come per togliersi di dosso
quella sensazione spiacevole.
Dopo essersi vestito con gli abiti che gli aveva
preparato Kate, uscì dal bagno e la raggiunse in salotto, dove
l’attendeva una colazione coi fiocchi.
“Finalmente sei uscito: si stava freddando il
cibo” affermò lei, vedendolo entrare.
Stava seduta al tavolo, sostenendosi il volto con le
mani.
Lui si sedette ed incominciò a mangiare di
gusto; aveva una fame: era da un po’ che non lo faceva…
Quando smise per un attimo d’abbuffarsi, la
guardò ed in cambio ricevette un sorriso. Lei continuava a guardarlo,
euforica, senza mangiare.
“Tu non mangi?” le chiese.
“Io ho già mangiato, non ti
preoccupare” e gli sorrise ancora.
E riprese il banchetto.
Non appena Rukawa ebbe terminato, Kate si alzò
in piedi, lo raggiunse dall’altra parte del tavolo, e si fermò a
pochi centimetri.
Lui si sentiva confuso: non capiva cosa avesse
intenzione di fare.
Improvvisamente la ragazza corse in bagno, prese un asciugamano,
e ritornò nella stessa posizione.
“Cosa vuoi fare?” chiese lui.
Lei gli fece intendere di fare silenzio.
Lui continuava a non capire, ma la lasciò fare.
Kate gli asciugò dolcemente i capelli. Quel
gesto gli fece piacere; era così delicato il suo tocco, e gli
trasmetteva serenità. Lei, mentre compiva questo gesto, lo guardava
fisso negli occhi, e lui faceva altrettanto.
“Non te li eri asciugati del tutto: non posso
mica lasciarti bagnare tutto il mio appartamento” e gli sorrise
“Però non eri niente male con i capelli in quello stato: quando
sono bagnati, ti rendono ancora più carino”
Lui era stupito, per la franchezza con cui glielo
aveva detto: pensava che trovasse il coraggio solo quando credeva di non essere
ascoltata, come la sera prima. Lo stesso era per lei: quella sicurezza
l’aveva sbalordita.
Successivamente si morse il labbro inferiore, come se
non fosse sicura di quello che stava per fare. Gli tolse lentamente la maglia
verde scuro, che lo rendeva affascinante. Lui trattenne il respiro per un
attimo. Dopo essersi inginocchiata per vederli meglio, osservò a lungo i
suoi lividi, incominciando ad accarezzargli il petto nei punti violacei con
molta dolcezza; facendo provare al ragazzo un brivido in tutto il corpo.
Lei diventò triste e chiuse gli occhi per un
secondo.
“Non riesco ad immaginare quello che hai passato
e quanto dolore devi aver provato… Mi dispiace”
Lui chiuse gli occhi e fermò la mano di Kate
con la sua; riaprì gli occhi velocemente e osservò il suo sguardo
interrogativo.
“Ti ringrazio… per tutto quello che hai
fatto” fu l’unica cosa che disse, compiendo un enorme sforzo: non
era bravo a formulare certi discorsi.
Subito dopo si alzò in piedi ed andò in
camera.
“Cosa stai facendo?” gli chiese la
ragazza.
“Me ne vado… ti ho già coinvolto
troppo” disse senza guardarla, prendendo la valigia.
“E questo che vorrebbe dire?! Dove hai
intenzione di andare?!” e lo seguì con lo sguardo mentre usciva
dalla porta.
Si fermò sull’uscio.
“Non intrometterti ancora nella mia vita…
non voglio che tu conosca certi aspetti della mia infanzia… non voglio
che tu prova pietà per me”
“Ma non accadrà, puoi fidarti di
me!”
“Scusami ma ora devo andare: tornerò da
quell’uomo per regolare un conto in sospeso”
“Non lo fare… ti prego…” ma se
n’era già andato.
Kate si sdraiò sul letto e strinse tra le mani
il cuscino su cui, la sera prima, aveva dormito Rukawa, trattenendo a stento le
lacrime.
Al pomeriggio Kate si diresse con decisione a casa di
Rukawa, voleva farla finita con quella storia: era stanca del fatto che nessuno
le spiegava mai niente, convinti che non avrebbe capito, o che potesse provare
pietà per lui. Voleva scavare a fondo di quella storia e l’unico
modo per farlo era parlare direttamente a quell’uomo. Non gli sarebbe
interessato se anche Rukawa non fosse stato d’accordo, lei gli avrebbe
parlato ugualmente.
Avanzava a passo deciso lungo la strada, senza mai
voltarsi indietro. Il vestito intero che si era messa per fare
bell’impressione a quello sconosciuto, faceva risaltare il suo fisico:
era azzurro, con le spalline e la gonna che superava di poco l’altezza
delle ginocchia; si era messa perfino i sandali eleganti che s’intonavano
col vestito… Era proprio bellissima, vestita in quel modo.
Una volta arrivata, bussò ed aspettò che
dall’interno vi fosse un qualche genere di risposta.
“Chiunque sia, se ne può anche andare:
non è il benvenuto in questa casa!” rispose la voce terrificante
del giorno prima.
Siccome la porta era socchiusa, Kate entrò lo
stesso, chiudendola poi dietro di sé.
L’interno non era bello come l’esterno:
c’era una confusione terrificante e tutto era sporco o rovinato. Quando
entrò nel salotto lo vide in uno stato pietoso: quell’uomo stava
seduto su di una poltrona tutta rovinata e da cui fuoriusciva la gommapiuma che
la componeva da alcuni buchi, teneva in mano una bottiglia di birra e per terra
ce n’erano molte altre, inoltre sembrava che non si lavasse da mesi da
quanto puzzava.
Avanzò con cautela, per timore che potesse
avventarsi su di lei da un momento all’altro.
“Scusi se non ho accolto il suo gentile invito,
signore, ma dovrei parlare con lei” cominciò a dire.
L’uomo si voltò di scatto e
squadrò Kate con occhio voglioso.
“Oh oh… Ma guarda un po’… un
bel angioletto è venuto a trovarmi; sei proprio un bocconcino, lo
sai?” disse con una voce che faceva ben intendere le sue intenzioni.
Kate s’irrigidì: era terrorizzata da lui.
-Ma come ha fatto Kaede a vivere con un uomo
così spregevole?- pensò.
“Ecco… io avrei bisogno di parlarle a
proposito di Rukawa e di quello che è successo ieri”
“Ma certo… tu sei la ragazza che stava
davanti alla porta, quando ho sbattuto fuori di casa mio figlio”
-Quest’uomo sarebbe il padre di Kaede?! Avevo
sperato che questo non fosse vero- ed un brivido le attraversò la
schiena.
“Ehi… perché non ci divertiamo un
po’ io e te, invece di parlare di quel fallito; non posso credere che una
ragazza come te si accontenti di mio figlio” e si alzò dalla
poltrona, avvicinandosi minacciosamente.
Kate era terrorizzata e si schiacciò contro la
parete, come se volesse buttarla giù per fuggire.
“Ok... forse non è stata una buona idea
venire qui… Ora è meglio che vada” cercò di salvarsi
la ragazza.
“No no, bella, tu non vai proprio da nessuna
parte!” gli urlò contro, quando le fu vicino, disgustandola per
l’alito che aveva.
“Mi sta spaventando, signore” disse
terrorizzata.
Lui ormai non la stava neanche ascoltando; le
fermò un braccio contro la parete con la mano destra, stritolandole il
polso; poi cominciò a baciarla sul collo e la strinse a sé con il
braccio sinistro, passandolo attorno al fianco sottile di Kate.
Lei cercava in ogni modo di togliersi di dosso
quell’omaccione di due metri con la mano libera, ma senza troppo
successo: era troppo forte per lei.
Era terrorizzata ed impossibilitata a salvarsi; ormai
si stava rassegnando all’inevitabile. Continuava a gridargli di fermarsi
e a chiedere aiuto; volava solo che Rukawa arrivasse lì per
salvarla…
Un colpo di mazza da baseball ben assestato,
colpì in pieno il signor Rukawa, facendolo cadere a terra privo di
sensi.
Kate l’osservò accasciarsi a terra e ne
provò un discreto piacere. Osservò il suo salvatore e vide che
era proprio lui: Kaede.
Ora si sentiva al sicuro ed era felice che fosse stato
proprio lui ad aiutarla. Provava, però, anche un tremendo disagio: era
imbarazzata perché sapeva che lui, infondo, l’aveva avvertita.
“Ma si può sapere che cavolo ci sei
venuta a fare qui?! Ti avevo detto di non intrometterti più! Sei stata
un’incosciente!” le urlò contro in preda all’ira.
Kate rimase sconvolta: si sarebbe aspettata parole
dolci di conforto, invece ricevette solo una ramanzina poco piacevole.
Cominciò a piangere e, senza rispondergli,
uscì da quella casa, sconvolta; si fermò un attimo per togliersi
i sandali in modo da correre meglio, e si allontanò a gran
velocità.
Il ragazzo, che si era reso conto di essere stato un
po’ troppo duro dopo quello che la ragazza aveva subito, uscì
dalla villa, cercando di raggiungerla; si fermò qualche metro più
tardi perché la perse di vista e perché era convinto che in quel
momento non avrebbe voluto vederlo o parlargli. Si voltò per ritornare
sui suoi passi, ma quando si ritrovò davanti all’odiata porta di
quella casa, si fermò, strinse i pugni e decise di ritrovarla e
scusarsi: glielo doveva.
Sapeva già dove andare; si diresse
nell’unico posto dove sarebbe potuta andare in quel momento:
l’appartamento di Mitsui.
Cominciò a correre sotto la pioggia, che
intanto aveva incominciato a cadere, più in fretta che poteva per
raggiungerla.
Kate bussò con forza alla porta di Mitsui,
urlando forte il suo nome. L’amico le aprì poco dopo. La vide
bagnata ed infreddolita, che piangeva copiosamente.
“Cosa ti è successo?!” chiese
preoccupato.
Lei non gli rispose e si buttò tra le sue
braccia, abbracciandolo e continuando a piangere.
“Ho capito non ne vuoi parlare… su entra o
ti prenderai un malanno” le disse con molta dolcezza, accompagnandola in
camera sua.
“Che ne dici di riposarti un po’?”
Lei si appoggiò sul letto e si
raggomitolò per scaldarsi, guardando fisso l’interno della camera
con lo sguardo assente.
Mitsui le porse una tazza di caffé fumante, ma
lei la rifiutò scuotendo la testa.
“Ok… allora te la metto sul comodino,
così se ti va più tardi è già qui” e le
accarezzò una guancia.
Subito dopo la coprì con una coperta per
scaldarla e la lasciò sola, con i suoi pensieri a farle compagnia.
Dopo mezz’ora, all’incirca, un’altra
persona bussò alla porta di quell’appartamento: era Rukawa.
Quando Mitsui lo vide, lo trattò con freddezza:
sapeva che era colpa sua se Kate era in quelle condizioni e non era
intenzionato a permettergli di farla soffrire ancora.
“Cosa ci fai tu qui?”
“Lei è qui, giusto?” chiese serio.
“Cosa le hai fatto per farla piangere in quel
modo?!” chiese arrabbiato.
“Ora spostati! Devo parlarle…” e lo
spintonò, facendolo indietreggiare.
Rukawa si recò subito verso la camera dove si
trovava lei.
La ragazza, non appena lo sentì arrivare,
alzò il busto dal letto per ritrovarsi seduta e poterlo guardare.
Era tutto bagnato ed infreddolito, esattamente come
lei; la maglietta verde ed i pantaloni scuri che aveva scelto lei per lui,
bagnati, lo rendevano ancora più bello; senza contare i capelli: erano
tutti spettinati e bagnati, e lo facevano apparire davvero stupendo agli occhi
di Kate.
“Perché sei venuto qui?” chiese
cautamente, temendo la risposta.
Lui non rispose, si limitò a sorriderle. Era il
sorriso più bello che lei avesse mai visto ed era convinta che si
dovesse sentire onorata di averlo visto: sapeva che non lo faceva spesso…
“Ma…?” non fece in tempo a finire la
frase perché lui le mise un dito sulle labbra.
Lei deglutì nervosamente: si sentiva tesa.
Lui si sedette accanto a lei e, continuando a zittirla
col dito, le disse:
“Non parlare”
L’aveva fatto con un tono così
convincente che lei obbedì senza protestare.
Subito dopo Rukawa l’abbracciò forte,
stupendola.
“Mi dispiace… mi dispiace infinitamente…
per tutto quello che è successo” le sussurrò
nell’orecchio.
Lei spalancò gli occhi: non riusciva a credere
a quello che aveva sentito.
Ma si riprese subito dallo stupore e ricambiò
l’abbraccio.
Mitsui, che aveva seguito Rukawa, quando li vide
riconciliarsi sorrise e, chiudendo la porta della stanza dietro di sé,
li lasciò soli.
Rimasero in quella posizione per molto, senza dirsi
nulla. Lei voleva dirgli tante cose, ma preferiva non rovinare quel momento;
rimase zitta, stretta a Kaede, mentre i capelli di lui, gocciolanti, le
bagnavano la schiena trasmettendole un brivido piacevole. Avrebbe voluto
rimanere così per sempre, ma sapeva bene che il suo desiderio non si
sarebbe mai realizzato…
A notte fonda lei si svegliò e notò che
aveva dormito tra le braccia di Kaede: lui era alle sue spalle che dormiva
beatamente, mentre l’abbracciava da dietro. Si sentiva così
felice: era un momento davvero sereno. La dolcezza che Rukawa le aveva
dimostrato l’aveva tanto stupita, da farle dimenticare persino
l’accaduto spiacevole di qualche ora prima.
Si voltò lentamente cercando di non svegliarlo,
restando all’interno del suo abbraccio; lo guardò intensamente e
rivide il suo viso così angelico e sereno che tanto gli piaceva.
Non resistette e l’accarezzò, ma
così facendo lo svegliò.
“Scusami, non volevo svegliarti” gli
sussurrò dolcemente e lo accarezzò di nuovo con la mano destra.
Lui chiuse gli occhi ed assaporò la dolcezza di
quel gesto, ma quando gli aprì di nuovo notò che il suo polso era
violaceo.
“Cos’è quello?! È un livido,
non è vero?!” e le prese il braccio per osservarlo meglio.
Lei diventò seria; dai suoi occhi trasparivano
tristezza e paura: i sentimenti che aveva provato durante
quell’aggressione.
Lui alzò il busto, fino a sedersi sul letto, e
strinse il pugno in segno di rabbia.
“Come ho potuto permettergli di farti
questo?!” disse rabbioso, guardando un punto imprecisato della stanza.
Lei si alzò a sua volta e gli strinse il pugno
con la sua mano, cercando di tranquillizzarlo.
“Non dire così! La colpa è stata
solo mia, che non ti ho ascoltato ed ho voluto mettere il naso in cose che non
mi riguardavano, come al solito. Non devi sentirti responsabile. E poi, se non
fosse stato per te, chissà a quest’ora come starei…”
Lui la guardò; si sentiva sollevato per quello
che gli aveva detto, ma non si sentiva estraneo alla faccenda: il suo senso di
colpa si era solo affievolito.
Dopo un momento di silenzio, Rukawa prese
l’iniziativa e disse:
“Vieni con me”
“Dove vuoi andare?” chiese curiosa Kate.
“Fidati”
“Mi fido” e lo seguì.
Passarono senza fare troppo rumore davanti al divano
dove cercava di dormire Mitsui, e lasciarono l’appartamento.
Camminarono per molto per le viottole poco illuminate
dai lampioni.
“Si può sapere dove mi vuoi
portare?”
Lui non rispose; le prese la mano ed affrettò
il passo.
“Perché tanta fretta?” lei
continuava a non capire.
“Se non ci muoviamo non faremo in tempo”
“In tempo per cosa?”
“Lo vedrai” si limitò a dire.
Arrivarono sulla riva del fiume preferito di Kaede, si
sedettero sul terreno in pendenza ricoperto d’erba bagnata, ed
aspettarono qualche minuto.
“Cosa siamo venuti a fare qui?” chiese
Kate, impaziente.
“Vedrai… Ecco comincia”
I primi raggi del nuovo giorno si intravidero ed
illuminarono il cielo, tingendo le nuvole di un colore rossastro; subito dopo
toccarono le acque in movimento, facendole risplendere di una luce accecante;
infine si estesero sul terreno che li circondava, illuminando ogni goccia di
pioggia mista a rugiada mattutina. Era uno spettacolo meraviglioso e Kate ne
rimase affascinata.
“Caspita! È stupendo!” urlò
la ragazza, alzandosi e correndo verso il fiume.
Poi si voltò ed incontrò il bellissimo
sorriso di Kaede; pensò che anche lui risplendeva di una luce diversa in
quel momento.
“Sono felice che ti piaccia”
“Allora, posso sapere il motivo che ti ha spinto
a portarmi in questo luogo?”
“Sai… questo è il posto che
preferisco di questa città: qui mi rilasso e ci vengo ogni volta che ho
bisogno di schiarirmi le idee… Sei la prima persona a cui lo dico”
ed abbassò lo sguardo.
Kate diventò seria: capì che il momento
era carico di tensione. Si avvicinò a lui e si sedette al suo fianco, in
attesa che lui le dicesse quello che le voleva dire.
“Ho deciso di raccontarti tutto”
Kate si voltò di scatto, sbalordita.
“No, non devi farlo se non vuoi! Non sei
obbligato”
“Te lo devo, dopo quello che hai passato a causa
dei miei silenzi. E poi sono stanco di nascondere fatti di cui io non ho
colpa!”
“Capisco” si limitò a rispondergli
lei.
Si sentiva a disagio; finalmente avrebbe saputo quello
che tanto voleva conoscere di lui, ma in quel momento non ne gioiva: sapeva che
tutto ciò, per lui, era una sofferenza.
“Sei pronta a sapere tutto di me?” e la
fissò negli occhi.
Lei non sapeva cosa rispondere, poi, sopraffatta dal
suo istinto curioso, rispose di sì, annuendo con la testa.
Lui voltò lo sguardo e, fissando il fiume che,
rapido trasportava le sue acque lontano da quel luogo, con i suoi bellissimi
occhi azzurri carichi di malinconia, cominciò il racconto straziante
della sua vita.
Rukawa si passo una mano tra i capelli: era un
po’ teso perché non aveva mai raccontato quei fatti a nessun altro.
Kate osservò la parte di viso che non era
nascosta dal braccio del ragazzo, e gli parve tirato e nervoso.
“Non so neanche da che parte
cominciare…” disse Kaede quando notò, con la coda
dell’occhio, lo sguardo preoccupato di lei.
Lei gli prese la mano che teneva tra i capelli con la
sua, e gliela strinse forte; poi riprese a guardare il fiume ancora illuminato
dall’alba, comprendendo che non voleva essere osservato.
Lui, sbalordito ed intenerito dal gesto affettuoso
della ragazza, la osservò per un istante, guardò a sua volta le
acque che scorrevano veloci davanti a lui, fece un sorriso sereno, e strinse
dolcemente la mano della ragazza.
Lei arrossì ed abbassò lo sguardo.
“Credo che parlare di mio padre sia… un
inizio…” cominciò Rukawa.
“Ti prometto che non giudicherò e non
proverò pietà” disse piano Kate.
Ed il ragazzo raccontò la sua storia.
“Devi sapere che mio padre era un gran giocatore
di basket: giocava in una grande squadra che concorreva al titolo più
prestigioso dell’intero Giappone. Aveva vinto moltissimo nel campionato
giovanile ed era stato contattato da un osservatore della serie superiore;
all’età di diciotto anni era tra le file della squadra più
competitiva, anche in campo internazionale. Era un vero prodigio di questo
sport ed in poco tempo riuscì ad aggiudicarsi una maglia da
titolare… Sbalorditivo, non è vero?”
“Era un vero talento! Ma come ha fatto a ridursi
in quello stato?... Scusala
schiettezza” aveva capito la gaffe che aveva detto.
“Non ti preoccupare; hai ragione, infondo: ora
è un vero rifiuto della società… ed è stata colpa
mia… sono stato io a ridurlo così” ed abbassò lo
sguardo.
Kate spalancò gli occhi. Com’era
possibile che fosse stato Rukawa? Non ci poteva credere.
“Capisco il tuo stupore… Devi sapere che
il più grande sogno di mio padre era quello di giocare nell’NBA,
nella prestigiosa NBA; sperava che un osservatore straniero lo notasse in una
delle partite del campionato giapponese. Questo avvenne nel suo quinto anno di
carriera professionistica, vale a dire all’età di ventitrè
anni”
“Era molto giovane”
“Già, molto giovane… Era al settimo
cielo per la comunicazione, ed andò subito a riferirlo alla sua
fidanzata per festeggiare con lei. Ma non poté mai farlo: non appena
entrò in casa, la sconcertante notizia che gli comunicò la
ragazza lo gelò… Quella ragazza era mia madre; gli aveva appena
rivelato di essere incinta, che stava aspettando me, il figlio che nessuno dei
due voleva”
Kate deglutì nervosamente.
“Dopo lo stupore iniziale, si era abituato
all’idea di avere un erede; rinunciò all’occasione della sua
vita, sposò mia madre ed andarono a vivere insieme… Non
l’avesse mai fatto: avrei di gran lunga preferito che l’avesse
abbandonata e che fosse partito per l’America!” si strinse la nuca
tra le mani, lasciando la presa di Kate, e scosse ripetutamente la testa; poi
si fermò e strinse i pugni, come in preda ad un attacco di rabbia.
-Cosa lo spinge a parlare così di suo padre
dopo quello che ha fatto per lui?- si chiese dentro di sé la ragazza,
intimorita dall’odio che traspariva dagli occhi di Kaede.
“Di certo penserai che mio padre si sia
comportato egregiamente, vista la situazione… Ti assicuro che non
è così, ed ora capirai il perché”
Kate ascoltò con attenzione.
“Quell’uomo non mi perdonò mai per
quello a cui era stato obbligato a rinunciare a causa mia. Ogni volta che
vedeva una partita di basket in tv, ripensava al suo sogno infranto e sfogava
su di me la sua rabbia. Quegli anni non li ho mai dimenticati; di solito i
bambini scordano il primo periodo di vita, io invece l’ho ben fissato nei
miei ricordi. Non credere che io provi rancore verso mio padre per questo,
infondo, ero abituato a prenderle; il mio odio per lui nasce da quello che ha
dovuto subire mia madre a causa sua e… anche mia,
indirettamente…” il ragazzo divenne triste.
Kate mise la sua mano su quella di Kaede, che aveva
appoggiato sull’erba umida del mattino; il suo palmo entrò in contatto
con il dorso dalla mano destra del ragazzo, e ne percepì i tremori per
lo stato d’animo in cui si trovava. Poi strinse per infondergli coraggio.
“Ogni volta che quell’uomo mi picchiava,
incattivito dalle birre che beveva per alleviare il suo sconforto, mia madre
veniva a soccorrermi, finendo per prenderle al posto mio. Io assistevo senza
fare niente: ero paralizzato dalla paura; piangevo e gridavo, mentre mia madre
sveniva sotto i colpi di quell’animale inferocito. Credo che con lei non
si risparmiasse; i colpi che arrivavano a me non erano certo di uguale
intensità: con lei usava tutta la sua forza, fino a sfinirla e facendole
perdere i sensi. Quando poi la vedeva a terra inerme, si fermava ed
incominciava a piangere, la portava sul letto e la soccorreva, poi si
addormentava al suo fianco. Io osservavo tutto. Credo che infondo amasse
veramente mia madre, ma il suo stato emotivo lo accecava fino a fargli compiere
quelle oscenità; la depressione in cui era caduto dopo aver rinunciato
al basket, che rappresentava tutta la sua vita, l’aveva distrutto, facendolo
bere e trasformandolo nel mostro che ora è”
-Ora capisco tutto; ora so cosa ha passato-
pensò Kate; trattenne a stento le lacrime, per non far credere al
ragazzo che stesse provando pietà, e continuò ad ascoltarlo.
“La tragedia accadde al mio ottavo
compleanno…”
-C’è dell’altro?-
“Quel giorno me lo ricorderò per tutta la
vita… Se chiudo gli occhi posso ancora vedere tutto quello che
successe”
Rukawa lasciò per la seconda volta la presa
della ragazza; incrociò le braccia, appoggiandole sulle ginocchia
piegate, e nascose il viso tra esse.
“Non c’è bisogno che mi racconti
tutto! Puoi smettere ora!” si affrettò a dire Kate, osservandolo
preoccupata.
“No! Avevo deciso di dirti tutto, e così
farò!”
“Come vuoi…” la ragazza si era
arresa al volere di lui.
“Quel giorno ero uscito con mia madre per
prendere la torta di compleanno; lo facevamo tutti gli anni, e si ripeteva
sempre la stessa storia: aspettavamo invano mio padre, che intanto si stava
ubriacando in qualche pub per dimenticare la nascita del figlio che gli aveva
rovinato la vita. Ogni anno mi prometteva di esserci e che, lo smettere di bere
sarebbe stato il suo regalo. Ormai ero abituato alle sue bugie, ma quell’
anno ci avevo creduto perché era riuscito a non bere per un breve
periodo. Mentre eravamo nel negozio di dolci, io e mia madre sentimmo delle
signore che ci sparlarono dietro; parlarono della nostra situazione come se noi
non ci fossimo, mentre mia madre si tirava giù una manica del vestito per
nascondere un livido sul braccio. Non ci vidi più e risposi alla
provocazione: dissi che quella volta era diverso e che mio padre sarebbe
cambiato. Quanto mi sbagliai…”
“Cosa successe?”
“Quella sera mio padre arrivò con mia
grande sorpresa, ma non per festeggiare. Era completamente ubriaco, forse
più del solito… faceva paura. Entrò con una bottiglia vuota
nella mano destra; discusse per un po’ con mia madre, poi mi vide. Ero
appoggiato allo stipite della porta della cucina, terrorizzato e con le lacrime
agli occhi. Mi disse che non dovevo piangere, ma non riuscivo a smettere; lui
si infuriò ancora di più; impugnò meglio la bottiglia, e
la spaccò contro lo stipite, pochi centimetri più in su della mia
testa, facendo ricadere su di me i frammenti di vetro. Mia madre mi difese e
quel mostro cominciò a picchiarla con tutte le sue forze, con una
violenza mai vista, facendola svenire; questa volta però il finale fu
diverso: la mattina dopo, lei non si rialzò come al solito. Mio padre la
portò subito in ospedale, ma non ce la fece… i colpi della sera
prima erano stati troppo violenti: gli avevano provocato un’emorragia
interna. Mi disse che era tutta colpa mia e che dovevo tenere la bocca chiusa:
lui avrebbe inscenato il furto ed avrebbe fatto passare l’ipotetico ladro
come un assassino; fece sparire alcune cose di valore e recitò bene al
processo contro di lui. Dopo la sua assoluzione, fu celebrato il funerale. Io
osservavo quell’uomo con attenzione. Come poteva far finta di dispiacersi
dopo tutto quello che aveva fatto?! Giurai sulla tomba di mia madre che gliela
avrei fatta pagare prima o poi, ma non con la violenza… l’avrei
colpito nel suo punto più debole: dovevo diventare un campione di basket
e realizzare il suo più grande sogno… avrei giocato
nell’NBA! È così che ho incominciato a giocare. Non pensavo
ad altro, dovevo solo migliorare e continuavo ad allenarmi da solo, sorretto
solo dal mio rancore. Col tempo ho finito per diventare un ragazzo
insopportabile e scontroso; infondo, non avere amici era un giusto prezzo da
pagare per umiliare mio padre” il ragazzo smise di parlare: aveva sentito
un rumore alla sua destra. Non gli piaceva quel suono; lui non aveva più
pianto dal giorno della sepoltura di sua madre, ed i singhiozzi di Kate gli
fecero uno strano effetto.
“Perché stai piangendo, Kate?”
chiese.
“Scusa… mi dispiace… so che non
dovrei… ma non riesco più a smettere…” rispose lei.
Continuava a guardare altrove, per non incontrare lo sguardo di Rukawa.
Lui le girò il viso delicatamente con la mano,
fino ad avere i bellissimi occhi della ragazza di fronte ai suoi.
“Non devi piangere per me” disse.
“Hai ragione… te l’avevo
promesso… ma non posso non pensare a quello che hai dovuto passare”
si mise in ginocchio e lo abbracciò, continuando a piangere.
Lui, con un lato del viso appoggiato al petto della
ragazza, si sentiva strano: era lui che doveva consolare lei, ed invece stava
avvenendo il contrario. Dopo un po’, esitando ancora per un momento,
ricambiò l’abbraccio.
In seguito le parti s’invertirono; pian piano Kate
si sedette sull’erba, divaricando la parte posteriore delle gambe
piegate. Kaede accompagnò il viso di lei con la mano, fino ad
appoggiarlo al suo petto: la ragazza stava continuando a piangere e lui voleva
consolarla.
“Ora però basta piangere” le sussurrò
dolcemente.
“Va bene, la smetterò” si tolse
dall’abbraccio e si asciugò gli occhi, tentando un timido sorriso.
“ Brava: il sorriso ti si addice di
più”
E fece un sorriso vero e proprio.
“Kaede, posso farti una domanda?” chiese
Kate dopo un po’.
“Si, dimmi”
“Perché, se ci tenevi tanto, hai
aspettato prima di accettare la mia proposta?”
“Ho esitato… Per un attimo sono stato
sopraffatto da quello stava succedendo: stavo per realizzare quello per cui ho
tanto lottato e non mi sembrava vero. Sembra strano che uno come me tentenni in
questo modo, non è vero? ” e fece un sorriso isterico.
“Ti posso capire: certi eventi ti capitano
all’improvviso e ne sei completamente sommerso…” divenne
improvvisamente triste.
Rukawa non era più certo che si stesse ancora
parlando di lui.
“Ora però non sono più sicuro che
potrò farcela”
“Cosa vorresti dire?! Hai intenzione di
rinunciare?! Per quale motivo?!” Kate non poteva credere alle sue
orecchie.
“Vedi… ecco… non sono più in
grado di fare canestri…” disse piano, quasi per non farsi sentire.
“Cosa??!! Ma questo non è
possibile!!!”
“Da un po’ non ne sono più capace,
all’incirca da dopo il nostro allenamento”
“Forse so il perché…”
“Allora illuminami. Da giorni mi sto allenando
in continuazione senza risultati. Anche ieri, mentre tu eri in casa mia, mi
stavo allenando… Mi dispiace, perché se, come avevo detto, mi
fossi subito recato il quel luogo, mio padre non ti avrebbe fatto niente;
glielo avrei impedito”
“Oh ma non ti devi preoccupare, infondo, senza
il tuo tempestivo intervento, sarebbe andata molto peggio. Ti ringrazio
ancora” e sorrise.
Lui rimase quasi incantato dalla sua serenità
di quell’istante. Era così dolce; si capiva che non voleva fargli
pesare il suo dolore.
Sorrise a sua volta, stupendo Kate.
“Vuoi veramente rinunciare? Proprio ora che puoi
realizzare quello per cui ti sei impegnato tanto?”
“Dovresti trovare un altro talento; non sarebbe
giusto tenermi: un campione che non riesce a realizzare, non è un
campione”
“Sai cosa facciamo adesso?” disse
sorridendo ad alzandosi in piedi.
“Ma mi hai ascoltato?” era un po’
indispettito.
“Ti insegno un trucco per scacciare i problemi.
Prendi una pietra, la stringi tra le mani, pensi intensamente al tuo problema,
e la lanci nel fiume; più salti fa, più in fretta sparirà
la tua angoscia”
“Non farò mai una cosa simile! È
infantile!”
“Oh, andiamo… non fare storie! È un
trucco che mi insegnò mio padre e ti assicuro che funziona!”
Il ragazzo la guardò per un attimo; alla fine
cedette e si prestò a quel gioco immaturo solo per farla felice.
“E a cosa dovrei pensare?” chiese,
stringendo il suo sasso nella mano sinistra, avvicinandosi a lei ed alla riva.
“Beh… è una cosa personale. Credo,
però, che per primo potresti pensare a tuo padre: il rancore che provi
per lui offusca la tua mente e non ti permette di giocare bene a basket; il tuo
cuore deve essere pieno di passione per questo sport, quando giochi: il solo
talento non basta. Quando entri in una palestra, la tua mente dev’essere
libera da ogni pensiero; devi sentire il profumo del parquet sotto le tue
scarpe, e devi abbracciare con le mani la palla per sentirla tua. Se non provi
tutto questo quando giochi vuol dire che non sei in grado di giocare il vero
basket, e che veramente dovrai abbandonare il progetto”
Kate, strinse intensamente il suo sasso e si
concentrò; subito dopo tirò la pietra, facendola rimbalzare tre
volte sull’acqua per poi sparire.
“Hai visto? È così che si
fa!” lo incoraggiò.
Lui guardò il suo sasso; ripensò al
discorso della ragazza e si concentrò. Strinse il pugno, si concentrò
e diverse immagini del suo passato gli passarono per la mente; tirò con
forza la pietra, facendola rimbalzare cinque volte.
“Caspita! Il tuo problema si risolverà
prima del mio! Complimenti!”
Lui si sentiva ridicolo, ma gli faceva piacere che lei
si divertisse.
“Ehi… ti… ti ringrazio per questa
mattina: mi è servito molto parlare con te” disse Rukawa,
imbarazzato.
“Non dirlo neanche per scherzo: è stato
un piacere starti accanto!”
Lui si voltò su sé stesso e si
allontanò.
“Dove stai andando?!” chiese preoccupata.
Lui non si voltò, e rispose
“Ti farò sapere se il tuo metodo
funziona”
“Se riuscirai di nuovo a giocare al massimo
delle tue possibilità, riprenderemo l’allenamento. Metticela
tutta!” e lo salutò con la mano.
Lui la salutò a sua volta senza guardarla, e si
allontanò, lasciandola sola.
-Metticila tutta e torna vincitore da me, mio caro
Rukawa. Però… cerca di fare in fretta… non ho più
molto tempo…- pensò.
Poi si allontanò anche lei da quel luogo che
tanto gli aveva avvicinati; quello si sarebbe di certo trasformato in uno dei
posti più belli dei suoi ricordi.
A pomeriggio inoltrato, Kaede si diresse verso la
palestra della scuola: voleva allenarsi e superare in fretta il suo blocco
emotivo.
Gli allenamenti ordinari erano già finiti da un
pezzo, ed in quel luogo non c’era anima viva.
Si cambiò velocemente negli spogliatoi ed
entrò con decisione.
Cominciò subito a palleggiare; non aveva perso
la sua classe in quello. Subito dopo tentò di tirare, ma non ce la fece;
tentò ancora, ed ancora, ed ancora, ma non ci riuscì.
Si sdraiò sul parquet a pancia all’aria.
Osservò a lungo il soffitto senza pensare a niente. Rimase fermo
così per molto; poi, d’un tratto, chiuse gli occhi, fece un
sorriso di rassegnazione, e si disse tra sé e sé.
-Lo sapevo che non avrebbe funzionato… Non
riuscirò più a giocare? È davvero finita la mia carriera
sportiva?-.
Improvvisamente, riaprì gli occhi, si
alzò in piedi, e fece un respiro profondo. Le sue narici furono invase
dal buon profumo di legno che inondava quel luogo.
-Il profumo del parquet sotto le mie scarpe!- si
stupì.
Guardò con intensità il canestro.
-La passione per questo gioco… devo pensare solo
a questo-
Si avvicinò alla palla, che aveva lasciato per
terra, e la prese in mano.
-Devo sentirla… La devo stringere tra le mani e
studiarne la forma-
Subito dopo la fece roteare sul suo indice,
osservandola. Con un rapido movimento della mano libera l’afferrò,
palleggiò velocemente fin sotto il canestro, e saltò. Il suo
sguardo era come infuocato: voleva assolutamente riuscirci… non pensava
ad altro.
Con enorme soddisfazione, fece canestro con un tiro in
sospensione all’indietro: la sua specialità. Riprese velocemente
la palla caduta e fece una schiacciata, urlando la sua gioia. Rimase appeso al
cerchio per alcuni istanti, osservando il rimbalzare della sfera sul parquet.
“Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!!! I
consigli di Kate sono serviti! Sì!!!”
Ricadde a terra e strinse i pugni in aria in segno di
vittoria.
-Devo dirglielo…- pensò; poi uscì
velocemente dalla palestra in direzione dell’appartamento della ragazza.
Arrivò in fretta e furia con la felicità
nel cuore.
Bussò ripetutamente alla porta, senza avere
risposta.
-Forse è ancora fuori- pensò.
Improvvisamente notò che l’ingresso era
aperto leggermente; tentennando, decise di entrare e vedere cosa fosse
successo.
“Kate, sei in casa? Come mai hai lasciato la
porta aperta?” chiese, ma non ebbe risposta.
Ispezionò il piccolo appartamento in cerca di
risposte.
Hanamichi inserì una moneta nel distributore
automatico.
Era ormai arrivato al sesto tipo di bibita; più
ne beveva, più si rendeva conto che non era prudente fidarsi di
quell’aggeggio: non trovava una bevanda con un gusto vagamente deglutibile.
D'altronde non sapeva più cosa fare:
l’operazione si stava dilungando più del previsto, creando non
poche preoccupazioni al gruppo d’amici riunito nella sala
d’aspetto, così ogni tanto si alzava e, con la scusa di una
bibita, si allontanava da quella tensione.
Finito di bere, buttò la lattina nel cestino
lì accanto, e ritornò sui suoi passi. Quando raggiunse nuovamente
i compagni, notò subito che Aruko si era isolata.
Tutti stavano già dormendo, sdraiati alla
meglio sulle poltrone foderate, lei invece si era seduta accanto alla finestra,
nell’angolo dalla sala d’aspetto. Guardava intensamente le luci
della notte, sostenendo il viso con il braccio che appoggiava al davanzale,
tirando un po’ la pelle del mento per l’attrito che il palmo della
mano generava.
“Ehi, che hai? Non riesci a dormire per la
tensione?” chiese il ragazzo, sedendosi accanto a lei.
Lei si voltò di scatto, quasi impaurita, quando
sentì la voce di Hanamichi.
“Scusa: non voleva spaventarti”
cercò di tranquillizzarla.
“No, scusami tu: stavo pensando ad
altro…”
“Ho notato che eri pensierosa. Non ti abbattere:
vedrai che Kate starà presto bene”
Lei ricominciò a guardare al di là del
vetro, facendo un sorriso triste.
“Sai, Hanamichi…” cominciò a
dire.
“Sì, dimmi”
“L’ho amato dalla prima volta che
l’ho visto, Rukawa intendo…”
Al ragazzo gli si gelò il sangue.
-Perché dice proprio a me questo?!-
pensò, stringendo i pugni. Poi però fece tacere la sua gelosia e
continuò ad ascoltarla.
“Sapevo di non piacergli, che non mi aveva mai
neanche guardata, però continuavo a sperare; mi accontentavo di
osservarlo da lontano, di guardarlo intensamente quando casualmente incrociava
il mio sguardo, e dei miei sogni mai realizzati. Poi è arrivata lei:
Kate; con la sua vitalità e la sua spensieratezza l’ha incantato,
facendolo innamorare. Ormai per me non c’è più speranza, ma
non m’importa più: ora desidero solo che lei guarisca!” e
guardò intensamente il ragazzo.
Lui ricambiò lo sguardo intenso e, dietro a
quell'espressione decisa, notò la tristezza di Aruko.
“Lui la merita: si merita una ragazza stupenda
come lei. Kate è capace di dargli quello che io non sarò mai in
grado di offrirgli…” e guardò a terra per nascondere le
lacrime.
“Aruko…” sussurrò Hanamichi.
-Se davvero non ti interessa, allora perché ora
stai piangendo…?- si chiese lui, sorridendo con rassegnazione.
Subito dopo l’abbracciò, stupendola.
“Hanamichi, che fai…?”
sussurrò lei.
Lui la strinse più forte.
“Sfogati pure, Aruko. Non devi trattenerti con
me: so che stai soffrendo”
“Hanamichi…” ed i suoi occhi si
bagnarono nuovamente.
“Io so benissimo come ti senti: anche io provo
la stessa cosa, ogni giorno, ogni volta che ti vedo, ogni volta che esulti per
Rukawa, ogni volta che gli regali quel tuo sguardo innamorato; provo tutto
questo dalla prima volta che ti ho visto, perché è stato in
quell’istante che mi sono innamorato di te”
“Oh, Hanamichi…”
“So che io non potrò mai darti quello che
meriti, che non potrò mai renderti davvero felice; non potrò mai
farti provare quello che solo Rukawa sa farti sentire. Quindi mi faccio da
parte con umiltà, ma sappi che ci sarò sempre per te; ogni volta
che avrai bisogno di qualcuno, io sarò disponibile” poi si tolse
dall’abbraccio e la guardò con sguardo deciso.
Lei aveva ancora le guance bagnate dal pianto, anche
se aveva smesso per la commovente dichiarazione di lui. Il ragazzo gliele
asciugò dolcemente con le dita e le sorrise.
“Ora smettila di piangere però,
ok?” e fece per andarsene.
Stava raggiungendo gli altri.
Lei lo osservò con attenzione, più di quanta
gliene avesse mai dedicata: fu quasi come un primo incontro. Osservò il
fisico alto e slanciato, la schiena possente e proporzionata, il viso di
profilo fiero e deciso, le braccia lunghe e muscolose al punto giusto.
Sgranò gli occhi. Era sorpresa e affascinata allo stesso tempo; non
l’aveva mai guardato con sguardo innamorato, e la prima volta fu
stupenda. Ora finalmente era riuscita a leggere tra le pagine del suo cuore ed
a trasformare quella sua cieca amicizia in un nuovo e splendido amore: la
dichiarazione di Hanamichi le aveva aperto gli occhi.
Si alzò in fretta e lo raggiunse.
“Hanamichi, aspetta!” e
l’abbracciò da dietro, appoggiando la guancia destra alla parte
terminale della scapola sinistra di lui.
“Aruko, ma che…” si fermò
stupito.
Lei gli strinse la maglietta all’altezza del
petto, per impedirgli di allontanarsi.
“Ti prego, resta ancora qui con me” gli
chiese tutto d’un fiato.
Lui le strinse le mani, poi si voltò,
mantenendo la presa.
“Ti prego: non mi va di restare sola...” e
lo guardò intensamente.
Lui annuì, sorridendole.
Lei ricambiò il sorriso; poi, stringendo
più forte le mani, sostenendosi sulle braccia tese di lui, ed alzandosi
sulle punte dei piedi, lo baciò.
Lui sgranò gli occhi, sorpreso per il gesto
della ragazza. Subito dopo si riprese e ricambiò; le lasciò le
mani e le accarezzò delicatamente le guance per sostenerle il viso,
nascondendo la parte finale delle dita tra i soffici capelli castani della
ragazza.
Poi Aruko appoggiò il viso di profilo sul petto
di Hanamichi; lui l’abbracciò forte.
“Non ti lascerò sola”
Lei chiuse gli occhi, abbandonandosi alle braccia del
ragazzo.
“Ti ringrazio, Hanamichi”
E rimasero insieme in attesa di notizie dalla sala
operatoria.
Rukawa si alzò di soprassalto.
Si era addormentato per la stanchezza e la forte
tensione, nonostante la scomodità delle sedie del corridoio davanti alla
sala operatoria. Si sentiva strano: aveva un brutto presentimento, un brivido
freddo gli irrigidì la schiena; cosa voleva dire quella sensazione? Era
forse una spiacevole premonizione?
Siccome era rimasto lì tutto il tempo da solo,
visto che gli altri si erano accomodati in sala d’aspetto,
affrontò il tutto in solitudine; cercò di tranquillizzarsi,
assicurandosi che tutto stava andando per il meglio, ma non ne era troppo
convinto…
Ogni ora che passava affievoliva la sua speranza;
ripensava in continuazione alle parole del medico: più tempo passava,
più si convinceva che fosse davvero troppo tardi, e che lei non ce
l’avrebbe fatta.
-Ti prego, Kate… torna da me… non
lasciarmi…- pensò, e strinse i pugni.
Passò un’altra ora senza novità.
L’intera comitiva si riunì al disperato
ragazzo.
“Ancora niente?” chiese piano Mitsui,
quasi per non fargli sentire la domanda.
Rukawa non fece in tempo a rispondere, che la porta
della sala operatoria si aprì, e ne uscì il dottore con il volto
inespressivo; questo non tranquillizzò certo i presenti.
Kaede si alzò in piedi di scatto e lo raggiunse
a gran velocità.
“Allora dottore, come sta? L’operazione
è riuscita? È guarita?” chiese frettolosamente, senza
lasciare il tempo di risposta.
Il medico aprì completamente la porta con la
mano, indicando al ragazzo di entrare.
Il silenzio di quell’uomo irritava Rukawa: non
sopportava più l’attesa ed entrò per accertarsi da solo
dell’esito del lungo intervento.
Si avvicinò lentamente a quella stanza, quasi a
rifiutare la vista dell’interno; cosa vi avrebbe trovato
all’interno? Un corpo freddo ed immobile, o la sua bellissima Kate,
felice e sorridente?
Superò l’entrata e fu subito accecato
dalle luci intense dei macchinari; il suo sguardo si diresse subito a quel
letto ed alla sua occupante.
Rimase fermo, in piedi, nello stesso punto per qualche
istante, cercando di capire il sentimento che occupava il suo cuore in quel
momento; poi corse verso il letto e s’inginocchiò accanto a Kate.
L’accarezzò delicatamente, facendo passare le dita tra i capelli
in disordine che le incorniciavano il viso.
Rukawa, non appena entrato in salotto, vide uno
spettacolo raggelante: Kate era distesa, immobile, in mezzo alla stanza. Il suo
corpo era appoggiato di lato sul pavimento freddo; i capelli nascondevano
parzialmente il volto bianchissimo, e nella mano sinistra teneva ancora la
cornetta del telefono che emetteva il classico suono della mancanza di linea
telefonica.
Il ragazzo corse a soccorrerla, ma non rinveniva. Le
sorresse la testa, spostando i capelli biondi e mostrando ai suoi occhi il
pallore della pelle di lei.
“Kate! Che hai?! Che ti è
successo?!” chiese, urlando, ma non ebbe risposta.
“Kate!” urlò di nuovo, ed
abbracciò il suo corpo caldo per la febbre.
Kaede non sapeva cosa fare: non conosceva il motivo
del malessere della ragazza.
“Ti aiuterò io, vedrai!” le
sussurrò nell’orecchio.
La prese in braccio e si diresse verso l’uscita,
deciso a portarla in ospedale.
-Non permetterò che ti accada qualcosa. Ti
aiuterò in ogni modo!- pensò.
Mentre stava per uscire dalla porta, un’ombra
gli sbarrò la strada.
“Bene sei qui anche tu: in due l’aiuteremo
meglio” disse il misterioso ragazzo, nascosto dall’intensa luce del
sole che stava tramontando dietro di lui.
“Ma tu che ci fai qui?” chiese Rukawa
quando lo riconobbe.
“Presto, sistemala nei sedili di dietro della
mia macchina: non abbiamo tempo da perdere!” e Mitsui si sedette nel
posto di guida.
Rukawa si sedette dietro, appoggiando la testa di Kate
sulle sue gambe.
Si avviò il motore, e l’auto si diresse a
gran velocità in direzione dell’ospedale più vicino.
“Ehi, come va lì dietro? Non si è
ancora ripresa?” chiese Mitsui mentre lottava con il traffico cittadino.
Rukawa osservò con preoccupazione il viso di
Kate. Ora respirava affannosamente e la sua fronte era ancora più calda
di prima; sembrava soffrire molto.
“Accidenti! Con questo traffico non faremo mai
in tempo!” gridò l’amico, entrando in una strada intasata
dalle auto degli operai di ritorno dal lavoro.
“In tempo?! Cosa intendi dire?!”
“Voi farmi credere che Kate non ti ha ancora
rivelato il suo segreto?!”
“Di cosa stai parlando?! Che segreto?!”
Rukawa era sconcertato.
“Se non arriveremo in tempo… Kate…
potrebbe non farcela” disse grave Mitsui.
“Cosa hai detto?!!!” la realtà lo
travolse in un attimo.
“E spostati, lumaca!!!” Mitsui era in
preda ad un attacco di nervi e se la prendeva con gli innocenti automobilisti
davanti a lui.
“Ma tu come fai a sapere che Kate potrebbe non
farcela? E come facevi a sapere che Kate stava male poco fa?”
indagò Kaede.
“La persona con cui era al telefono, ero io; non
appena si è sentita male, mi ha chiamato… è riuscita a
fatica a chiedermi aiuto, poi ho sentito un tonfo: avevo capito che era svenuta
e mi sono precipitato a casa sua. Non immaginavo di trovarci anche te”
“Ma che cos’ha?”
“Hai ragione... hai diritto di saperlo. Kate
è gravemente malata: lo stesso male che ha ucciso il padre. È una
rara malattia ereditaria; attualmente non ne esiste una cura. L’unica
soluzione è provare un intervento sperimentale… la guarigione non
è assicurata. Kate è venuta in questo paese non solo per
realizzare il sogno di suo padre, ma anche per sottoporsi alla sperimentazione:
solo in Giappone è autorizzato il delicato intervento, perché
è qui che si sono compiuti i dovuti studi e solo in questo paese
esistono gli specialisti adatti. Negli altri stati, se una cura sperimentale
non è certificata come efficace, non è consentita”
“Ma allora perché non si è
sottoposta prima alla cura? Perché ha aspettato?” chiese Rukawa.
“L’intervento è molto delicato ed
inoltre può essere eseguito solo quando la malattia è arrivata ad
uno stadio gravissimo: prima non si riesce a riconoscere il punto esatto dove
operare… Chi si sottopone alla cura sa che, se fallirà, non sopravviverà…”
Rukawa non riusciva a credere alle sue orecchie. Tutte
quelle rivelazioni l’avevano atterrito: non immaginava che Kate si fosse
tenuta dentro una cosa simile.
-Come ho potuto essere così cieco? Come posso esserle
stato accanto per tanto tempo e non aver capito nulla di lei?- si chiese dentro
di sé, mentre guardava impietrito il suo viso febbricitante e dolorante.
“Come
hai saputo tutte queste cose?” chiese improvvisamente.
“Intendevi chiedermi se me l’ha detto lei,
non è vero? No, sta tranquillo, di sicuro l’avrebbe detto prima a
te che a me… A lei non piace parlarne. L’ho saputo da Anzai: me
l’ha detto perché credeva che avrebbe avuto bisogno di qualcuno
con cui poter parlare. Non ho mai fatto domande specifiche, è per questo
che, come avrai capito dalla mia spiegazione scientifica, non ne so molto
riguardo la sua malattia”
“Capisco…” e rimase in silenzio.
-Nessuno vorrebbe restare da solo… nessuno
vorrebbe affrontare una cosa del genere senza nessuno accanto…- e
guardò fuori dal finestrino, ripensando alla frase che aveva detto
quella stessa mattina mentre parlavano sulla riva del fiume.
-Sei stata veramente sommersa da tutto
ciò… Il mio problema è così…
insignificante…- e le accarezzò una guancia bollente.
“Kaede… Kaede…” disse piano
una voce sofferente.
“Kate! Ti sei ripresa? Come ti senti?”
chiese piano Rukawa per non spaventarla.
“Kaede… devo… devo dirti una
cosa…”
“Dimmi!” era preoccupassimo.
“Voglio rivelarti… quello che… ho
pensato quando… ho tirato il sasso… nel fiume…” la sua
voce si stava affievolendo: era una grande sofferenza per lei parlare.
“Non ti sforzare. Me lo dirai quando ti sarai
ripresa, ok?” e le sorrise.
“Non ho più molto tempo…” e
fece un sorriso sofferente “Voglio dirtelo…” e tossì
ripetutamente.
Il ragazzo le sollevò il busto, e con la mano
le appoggiò il viso alla sua spalla.
“Ora basta: non voglio vederti soffrire in
questo modo” le sussurrò.
“Mentre ho tirato… quel sasso… ho…
pensato… alla mia paura di morire…”
Rukawa spalancò gli occhi.
“Ho… tanta paura… tanta…
paura…”
Lui la strinse a sé.
“Non devi avere paura: ci sono qui io. Prometto
che non ti accadrà niente” e la guardò intensamente; i suoi
occhi erano socchiusi, quasi a rifiutare gli ultimi raggi del sole che
penetravano dai finestrini della macchina.
Poi la ragazza sorrise tristemente.
“Mi fido… di te… Ti amo…
Kae… de…” e chiuse gli occhi, svenendo nuovamente per il
dolore; un’unica lacrima aveva bagnato la sua guancia caldissima.
“No!!! Kate!!!” ed osservò il suo
volto pallido.
“Qui non ci muoviamo di un millimetro e Kate sta
sempre peggio” concluse Mitsui, osservando la strada piena d’auto.
“A mali estremi…” fu l’umica
frase che disse Rukawa.
Aprì lo sportello; prese con sé la
ragazza, adagiandola sulla sua schiena, tenendola per le gambe e piegando un
po’ il busto per non farla cadere all’indietro.
-Ti porterò io all’ospedale- e cominciò
a correre tra le vetture più in fretta che poteva.
-Bravo amico! A mali estremi, estremi rimedi-
pensò Mitsui, vedendolo sparire tra il traffico.
Arrivò dopo poco all’ospedale.
Entrò immediatamente, urlando a gran voce che aveva bisogno di un medico.
Fu subito raggiunto e lui spiegò la situazione.
Kate fu adagiata su un lettino e portata subito via.
Il ragazzo la seguì fin che poté,
tenendole la mano, poi si divisero all’entrata della sua stanza.
“Lei non può entrare qui” gli disse
un’infermiera, chiudendo la porta dietro di sé.
Kaede rimase ad osservare Kate dalla finestra interna
della stanza per un po’; poi si sedette nella sala d’aspetto, in
attesa di notizie.
Rukawa si era addormentato in quella sala, sdraiandosi
su diverse sedie imbottite.
Fu svegliato da Mitsui che era riuscito a
raggiungerlo.
“Ehi, dormiglione… è già
notte, lo sai?”
“Notte…?” non pensava che fosse
già così tardi.
“Ti va? L’ho preso al distributore, non so
se sia buono…” e gli porse un caffé, cominciando a bere il
suo.
“Ti ringrazio” prese il bicchiere di
plastica, sedendosi e sorseggiando lentamente.
“Hai saputo qualcosa?”
“No, non mi hanno ancora detto niente” e
guardò il pavimento con sguardo distratto.
“Vedrai che starà bene” e Mitsui
chiuse la conversazione.
“Chi di voi due è un parente della
signorina Brandon?” chiese un medico, raggiungendo i ragazzi.
“Veramente, nessuno dei noi” ammise
Mitsui.
“Allora non posso dirvi niente” e fece per
andarsene.
“No, senta, lei mi deve dire come sta!”
disse Rukawa, prendendogli una spalla e fermandolo.
“La ragazza non ha nessun famigliare”
intervenne Mitsui.
“Lei, cos’è per la ragazza? Il
fidanzato, forse?” chiese il vecchio signore a Kaede.
“Beh…” non sapeva cosa rispondere.
“Sì, è esatto: è proprio il
fidanzato. Gli parlerà ora?” si intromise di nuovo Mitsui.
Rukawa lo guardò male.
“E va bene: visto che la ragazza non ha parenti,
dirò a te la diagnosi. Seguirmi” e il dottore si allontanò.
“Ma come ti è venuto in mente di dirgli
che sono il fidanzato?!” lo prese per il collo Kaede, rosso in volto.
“E dai, su. Guarda il lato positivo: ora saprai
come sta Kate. Questo è l’importante” cercò di
giustificarsi Mitsui, prendendolo un po’ in giro.
“Per questa volta te la sei cavata” e
lasciò la presa, seguendo poi il vecchio dottore.
Quando era ormai alla fine del corridoio, e stava per
entrare in un altro, Mitsui urlò
“E comunque è vero che sei il suo
fidanzato: si capisce da come arrossisci per lei” e si mise a ridere.
Rukawa si fermò e rivolse il suo sguardo,
imbarazzato e furioso allo stesso tempo, verso l’amico.
“Piantala di dire sciocchezze!” e si
allontanò.
-Spero di avergli tolto un po’ di tensione.
Chissà come starà Kate…- pensò Mitsui. Rimasto solo
si sedette nuovamente ed, immerso nei suoi pensieri, finì di bere il
caffé.
Rukawa entrò nello studio del dottore.
“Si sieda, la prego” gli disse il signore,
e lui eseguì.
“Allora, com’è la
situazione?” chiese nervoso.
“Molto seria. La malattia della sua fidanzata
è attualmente in uno stadio gravissimo. Sapeva che era malata,
vero?”
“Sì”
“Sa, per caso, se qualcuno della sua famiglia soffrisse
della stessa cosa?”
“Il padre”
“Capisco…”
“Ma ora come sta?!”
“Per il momento le abbiamo solo abbassato la
febbre; è sotto sedativi: il dolore la sfiniva…”
Rukawa deglutì.
“Dovremo aspettare che si svegli per decidere il
da farsi”
“Cosa intende dire?”
“Se non la operiamo in fretta potrebbe non
farcela, ma senza il consenso di lei non possiamo procedere”
“Acconsento io!” urlò Rukawa,
sbattendo i pugni sulla scrivania del dottore, alzandosi in piedi.
Il vecchio signore, osservò lo sguardo deciso
del ragazzo.
“Apprezzo la sua determinazione, ragazzo, ma lei
non è un parente diretto e la sua concessione non vale; la legge
è chiara: solo l’interessato, o un parente stretto, può
autorizzare un intervento tanto difficile e con una percentuale di successo
così bassa”
“Quindi non può fare niente per
lei?!”
“Ho le mani legate”
“Non è possibile! Sa come aiutarla, ma
non può farlo per un motivo tanto stupido?!”
Il medico annuì.
“Mi dispiace”
“Maledizione!!!” e si voltò, quasi
come se volesse rifiutare la realtà.
“Ma non si preoccupi: per il momento è
salva; dovrebbe riuscire a risvegliarsi nei prossimi giorni, così
potremo chiedere il suo consenso. Però se non riuscirà a
svegliarsi entro una settimana…”
“Se non si risveglierà entro una
settimana…?!”
“Credo che non potrò più fare
più nulla per lei” concluse con voce grave.
“No!!!” urlò Rukawa.
Uscì dallo studio, sbattendo la porta dietro di
sé, e corse verso la camera di Kate; la osservò a lungo,
appoggiandosi al vetro della finestra interna, sentendosi inutile.
-Riuscirò a mantenere la promessa…
guarirai presto- pensò.
E tornò nella sala d’aspetto per spiegare
a Mitsui la situazione.
Passarono sei giorni, e niente cambiò.
Rukawa andava a trovarla ogni giorno, dopo la scuola.
Si sedeva sempre accanto al letto di Kate, prendendole la mano. La osservava in
silenzio; le sistemava la coperta, nascondendo il corpo fino a metà
busto; le sistemava i capelli, incorniciandole il viso con la sua chioma
biondissima; infine, osservava il volto dall’alto, posizionandosi in modo
da avere il suo viso a pochi centimetri da quello di lei, sperando di rivedere
i bellissimi occhi blu che l’avevano cambiato così tanto in
così poco tempo.
Questo, però, non avveniva mai. Quindi si
risedeva e rimaneva a fissarla per molto tempo, senza fare niente.
Ogni tanto veniva a fargli compagnia anche Mitsui,
quando non era impegnato con il suo lavoro d’allenatore; ma le sue visite
non erano mai lunghe, e Rukawa si ritrovava di nuovo solo.
A volte capitava che si addormentasse sul letto di
Kate, esausto per la giornata passata a sperare in qualcosa che non accadeva, e
che solo l’infermiera lo risvegliasse di mattina all’ora delle
visite mediche.
Anche il sesto giorno si ripeterono le stesse azioni,
e la sera stava avanzando velocemente.
-Perché non ti svegli? Oggi è
l’ultimo giorno… e sta per finire- pensò stringendole la
mano, appesantita dalla flebo.
Poi le alzò il braccio in modo che le dita
senza forza di lei gli accarezzassero la guancia; chiuse gli occhi e si fece
trasportare dal gesto involontario di Kate. Subito dopo si alzò dalla
sedia e la baciò sulla fronte, accarezzandola successivamente.
Fece per andarsene, ma fu fermato da un suono
bellissimo.
“Kaede” sussurro la ragazza, compiendo uno
sforzo immenso.
Lui si voltò di scatto.
“Kate!” si limitò a dire, e corse
ad abbracciarla.
Rukawa poté rientrare dopo molto: quando i
medici la lasciarono in pace, avendole fatto tutti gli esami che dovevano farle.
“Allora, come ti senti?” le chiese piano.
Lei sorrise; quell’espressione serena
rincuorò il ragazzo: era da tanto che la voleva rivedere.
“Kaede, senti…” ora parlava quasi
normalmente.
“Dimmi”
“Mi dispiace”
“E di cosa?!” non riusciva a capire di
cosa stesse parlando.
“Di non essere stata onesta con te: non ho avuto
il coraggio di dirtelo. Tu mi hai rivelato ogni cosa del tuo passato, io
invece…”
Lui le sorrise.
“Davvero credi che io possa avercela con te per
un motivo tanto stupido” e le accarezzò la fronte con delicatezza.
Lei cominciò a piangere.
“Che ti succede? Perché stai piangendo
ora?” chiese preoccupato.
“Ho paura. Ho paura dell’operazione”
“Quindi hai accettato”
“Sì, ma ci sto ripensando…”
“Per quale motivo?!”
“Non vedo perché dovrei farla… non
c’è nessuno che mi aspetta fuori dalla sala operatoria: mio padre
non c’è più, mia madre è morta in seguito al
parto… Io non servo a nessuno: la mia nascita a ucciso mia madre, sono un
mostro!” e si nascose gli occhi con le mani, continuando a piangere a
dirotto.
Lui le prese i polsi, allontanandoli dal suo volto.
“Come puoi pensare delle cose simili?!” le
urlò contro.
Kate si spaventò per il tono del ragazzo.
“Come puoi fare dei discorsi tanto
egoistici?!” ora strinse la presa.
“Mi stai facendo male!” urlò per
cercare di fermarlo.
“Non pensi agli altri?! Alle persone che ti
stanno accanto?! Non pensi a come reagirebbero alla tua morte, sapendo che ti
sei arresa in questo modo?!”
“Ma tu che ne sai di come reagirebbero le
persone?! Che ne sai di come mi sento?! Tu non sai come ci si sente quando si
è soli!” gli urlò contro.
Lui le lasciò i polsi, e le rivolse uno sguardo
severo.
“Hai ragione. Io non so come ci si sente”
disse in tono sarcastico.
Si voltò ed uscì dalla stanza.
“Kaede, aspetta!” urlò.
“MI dispiace” sussurrò.
Si sdraiò di nuovo e, voltandosi dall’altra
parte, riprese a piangere.
Rukawa non ritornò a trovarla nei giorni
successivi.
Kate aveva rinunciato all’intervento ed era
peggiorata moltissimo; ormai era al limite della sopportazione: il dolore era
fortissimo, anche i sedativi non facevano più effetto.
Mitsui la vedeva sempre più debole e triste.
Non poteva stare lì senza fare niente: decise di parlare con
l’amico cocciuto.
Lo trovò al campetto del primo allenamento con
Kate, che si stava esercitando. Lo osservò per un po’, mentre
cercava le parole adatte da dirgli, e lo vide sbagliare canestri facilissimi.
“Ehi, amico. Come va? Che fai: ti alleni?”
Lui non rispose e fece come se non ci fosse.
“Ignorarmi non ti aiuterà a giocare
meglio. Scusa se telo dico, ma fai veramente pena. Che ti è successo?”
“Smettila di distrarmi!” e tirò
nuovamente, mancando di molto il tabellone.
Si sedette a terra per prendere fiato, umiliato
dall’insuccesso.
Mitsui si sedette al suo fianco.
“Non ho bisogno di una balia” disse
asciugandosi il sudore con la maglia.
Lui lo osservò con sguardo punitivo.
“Per quale motivo non sei più andato a
trovare Kate?” chiese grave.
Rukawa si fermò, spalancando gli occhi:
ripensò a lei sul letto d’ospedale sofferente.
“Non credo che siano affari tuoi” si
rialzò cercando di allontanarsi da Mitsui.
L’amico si alzò in piedi, parlando alla
schiena di Kaede.
“Non so cos’è successo tra voi, e
non m’interessa neanche, ma lei e peggiorata…”
Lui si fermò.
“Quindi si è arresa
definitivamente?”
“Esatto. Sta morendo. Devi farle cambiare idea!
Devi farla ragionare!”
“La scelta è sua”
“Vuoi dire che non ti interessa se soffre in
quel modo?! Mi vuoi far credere che non t’interessa se si sta spegnendo
lentamente?!”
Rukawa non rispose.
“Fai come ti pare! Fai puro il duro! Lasciala
fare, ma non ti disperare poi quando non potrai più fare niente per
lei!” e se n’andò, adirato.
-Kate…- pensò Rukawa; poi si
allontanò dal campetto, lasciando la palla a terra.
Si fermò sulla riva del suo fiume preferito; si
sedette e raccolse un sasso. Lo guardò a lungo, poi lo lanciò con
tutta la forza che aveva.
“Maledizione!!!” urlò.
Subito dopo, ripensò a quanto aveva appena
fatto e gli venne l’idea giusta; raccolse un altro sasso e attuò
il suo pensiero.
Kate stava fissando la città dalla finestra che
dava all’esterno; dalla sua stanza, all’ultimo piano, quella
città le era apparsa davvero bellissima. Voleva uscire da quel luogo e
correre per le strade senza una meta precisa, invece era bloccata lì
senza nessuno che l’andasse a trovare.
Poi, finalmente, ricevette una visita. Era al settimo
cielo: non vedeva qualcuno da molti giorni. Voleva alzarsi, ma era troppo
debole e rimase sdraiata. Non riusciva a riconoscere quella persona
perché vedeva tutto offuscato; vide solo un’ombra entrare e
chiudere la porta dietro di sé.
“Chi è?” chiese con un filo di voce
che quasi non si sentì.
“Come chi è? Non mi riconosci?”
chiese con voce dolce quella persona.
Kate lo riconobbe subito; man mano che si
avvicinò, riuscì anche a vederlo.
“Rukawa!” urlò, con gli occhi
bagnati da lacrime di felicità.
“Esatto. Sono proprio io. Come va? Ti trovo in
ottima forma”
“Bugiardo…”
Lui le sorrise.
Lei cominciò subito a scusarsi per il loro
ultimo incontro, ma fu fermata da lui che le mise un dito sulle labbra.
“Non parlare. Ti ho portato un regalo”
“Davvero?!” era felicissima.
“Ora chiudi gli occhi”
Lei eseguì. Il ragazzo le prese la mano e vi
porse il dono, chiudendo poi le dita in modo che non lo vedesse subito.
Lei riaprì subito gli occhi; osservò con
attenzione il contenuto della sua mano e riuscì ad alzare il busto e
abbracciarlo con tutte le forze che le rimanevano.
Lui si stupì in un primo momento, poi
ricambiò l’abbraccio.
“Hai capito il senso del regalo, vero?”
chiese.
“Certo! Come avrei potuto non capirlo? Le parole
che hai scritto sono bellissime! Ora sono pronta per sottopormi
all’intervento…”
Lui sgranò gli occhi, poi li richiuse subito
per godersi la dolcezza dell’abbraccio della ragazza.
Dopo alcune ore dalla comunicazione della scelta della
ragazza, la sala operatoria fu finalmente pronta e Kate fu trasportata
d’urgenza.
Mentre il lettino veniva spinto a gran velocità
per i corridoi, Kate chiese all’infermiere di fermarsi un attimo.
“Kaede…”
“Sono qui. Dimmi” si mostrò ai suoi
occhi.
“Mi stavi seguendo fino alla sala operatoria,
vero?”
“Sì. Ti aspetterò fuori”
“Quindi quel giorno parlavi di te: eri tu quello
che avrebbe reagito male alla mia morte”
Lui arrossì ed annuì.
Lei sorrise.
“Ora ho una persona che mi aspetta. Ora non sono
più sola. Sono felice”
“Io ti aspetterò. Quando sarai uscita torneremo
ad allenarci: ricordati che mi devi portare in America” ed alzò il
pollice in segno di vittoria.
“Farò più in fretta che
posso” e sorrise.
“Ora basta parlare! Non c’è
più tempo!” intimò un’infermiera, allontanando
Rukawa, e facendo sparire Kate dietro una porta chiusa.
Il ragazzo rimase a lungo ad osservare la luce
dell’insegna luminosa della sala operatoria, in attesa di buone notizie.
Kate, mentre si stava addormentando per effetto
dell’anestesia, riguardò il regalo che le aveva fatto Kaede.
Lesse le parole scritte su quella pietra di fiume
-La mia più grande paura è perderti per
sempre-
Era scritto con un pennarello indelebile con la
calligrafia di Rukawa.
-Lui l’ha scritto su questo sasso per farmi
sapere qual è la paura che lo sta angosciando in questo momento; solo io
posso aiutarlo a vincerla: devo riuscire a sopravvivere. Vincerò la mia
paura di morire, e ritornerò da lui- pensò.
Subito dopo si addormentò ed incominciò
il lungo e difficile intervento.
Rukawa stava seduto fuori da quella sala operatoria da
molte ore ormai.
“Come sta andando?” chiese Mitsui, che
sopraggiunse all’improvviso.
“Non so: l’operazione non è ancora
finita”
“Ho appena incontrato il dottore che
l’aveva in cura. Mi ha detto che forse è troppo tardi, che ha
aspettato troppo prima di accettare…”
“Ma che dici?!!!”disse in preda al panico.
“Io non gli credo: sono sicuro che ce la
farà. Riuscirà a tornare da te!”
Rukawa fece un sorriso triste e rassegnato.
“Anche tutti noi ne siamo più che certi:
Kate guarirà!” dissero in coro tutti gli amici di lui.
“E voi che ci fate qui?” chiese sorpreso.
“Anche noi siamo preoccupati per lei, cosa
credi?!” intervenne Aruko.
“Vi ringrazio di essere qui” si
limitò a dire.
Così tutti (Mitsui, Miyagi, Hanamichi, Eric, le
matricole e Aruko) rimasero a fare compagnia a Kaede. Aspettarono insieme, con l’ansia
nel cuore, l’esito dell’operazione.
“Ed ecco che Rukawa mette a segno altri due
punti! Quest’acquisto della squadra più forte di tutti gli Stati
Uniti è davvero un portento!” esultò lo speaker a bordo
campo.
Il pubblico non tratteneva certo gli urli da tifo:
assistere ad una partita dell’NBA era un’emozione di per sé,
ma vedere un vero e proprio campione come Kaede dominare con la classe che
riusciva a mostrare, lo era ancora di più.
“In una partita così importante il
giapponese non si è certo risparmiato. Ed ecco che l’arbitro segna
la fine dell’incontro; ha vinto di nuovo: la squadra più forte non
vuole proprio smentire l’appellativo di invincibile che i tifosi le hanno
dato. Anche quest’oggi si è assistito al grande basket: le azioni
spettacolari si sono susseguite ad un ritmo incessante. Tutti concorderanno
nell’affermare che chi ha avuto la fortuna di procurarsi il biglietto per
assistere a questa partita, non è rimasto certo deluso”
affermò l’uomo alla
fine dell’incontro.
Rukawa, dopo aver esultato con i compagni, si stava
allontanando dal campo, ma fu assalito da un’orda di giornalisti.
“Allora, come ci si sente ad essere l’asso
di questa squadra fantastica, signor Rukawa?” chiese uno di loro.
“Il miglior realizzatore della stagione,
dev’essere un’emozione unica. Che ne pensa?” chiese un altro.
“Finalmente dopo anni di gavetta come riserva,
uno da titolare. Il suo contributo è stato essenziale al punto da
meritare l’appellativo di uomo chiave della squadra migliore di tutta
l’NBA, il suo parere?” chiese il terzo.
Rukawa rimase zitto mentre si asciugava il sudore con
l’asciugamano. Poi, improvvisamente, si voltò e rispose.
“Mi dispiace, ma oggi non posso concedere
interviste. È un giorno importante per me ed un appuntamento che non
può essere rimandato mi attende. Spero che mi scuserete” e senza
dare il tempo di controbattere, si chiuse negli spogliatoi, dove si
cambiò velocemente.
-Oggi proprio non posso far tardi- pensò.
Appena sceso dalla macchina, corse come un forsennato
all’interno dell’aeroporto per non perdere il suo volo.
Salì sull’aereo e si sedette al posto
assegnato, facendo un respiro di sollievo per essere riuscito all’ultimo
secondo a prenderlo.
Il velivolo partì subito ed incominciò
il lungo viaggio.
Dopo alcune ore di volo, in cui dormì per
riposarsi, si risvegliò. Guardò fuori dal finestrino ed
incominciò a scorgere il Giappone. Dall’altoparlante si udì
la voce del comandante che confermò l’avvicinamento alla grande
isola. Tenne gli occhi fissi su quella vista stupenda e sorrise.
-Sono ritornato, caro e vecchio Giappone… Sono
dieci anni che non ritorno più qui… è un’emozione
indescrivibile rivederti- pensò, e si preparò
all’atterraggio.
Fuori dall’aeroporto si fermò un attimo
per respirare di nuovo l’aria del suo paese natale.
“Ah… l’aria del Giappone è
completamente diversa da quella americana; me l’ero completamente
dimenticata. Ma ora non ho tempo per questo: devo raggiungere in fretta quel
luogo” disse, e salì sulla macchina che si era fatto trovare ad
attenderlo; chiese poi all’autista di portarlo in una direzione precisa.
-Ed eccomi di nuovo qui, in questo luogo…-
pensò, mentre entrava nel cimitero della città.
-Da dieci anni non camminavo più su questo
prato…- e si avvicinò a quella lapide.
Riconobbe subito i suoi ex compagni dello Shohoku:
erano tutti lì, in piedi, immobili, in un rispettoso silenzio. Tutti
erano vestiti eleganti come lui: pantaloni e giacca nera, tenuta con un dito
sulla spalla per farla ricadere dietro la schiena visto il caldo che
c’era, camicia bianca, ed una cravatta scura per simboleggiare il lutto.
Gli fece piacere rivedere dopo tanto tempo Mitsui, Miyagi, Eric, Kogure, le ex
matricole e Sakuragi, ma spense subito il suo entusiasmo per il momento solenne.
Scorse poi, in fondo al gruppo, anche Akagi con la divisa militare delle
cerimonie; gli era giunta voce che si fosse arruolato, ma vederlo vestito in
quel modo gli fece uno strano effetto.
Si aggregò alla piccola comitiva ed
incominciò a fissare la tomba in silenzio.
Dopo poco si allontanò senza dire niente a
nessuno, attirando l’attenzione degli amici.
“Se ne va così?” chiese,
sussurrando, Eric a Miyagi.
“Così pare”
Poi si guardarono tutti negli occhi e, senza fiatare,
decisero di seguirlo per parlagli in un luogo più adatto.
Rukawa si fermò a pochi metri dalla sua
macchina nera, quando dall’interno si sentirono delle voci.
“Mamma, ti prego, voglio vedere anche io!
Lasciami andare con papà!” implorò il figlio di Kaede.
“Ti ho detto di no! Su, stai buono. Il cimitero
non è il luogo più adatto ad un bambino di soli sei anni”
disse dolcemente la madre.
Il bambino si voltò rassegnato, e così
vide dal finestrino il padre poco lontano.
“Guarda mamma! Papà sta ritornando! Ora
posso scendere? Posso corrergli incontro? Ti prego…” e le fece gli
occhi dolci.
Quando la donna vide quel visetto d’angelo, non
seppe dire di no.
“E va bene, ma non fare baccano!”
Il bambino scese e corse verso Rukawa; lui lo prese in
braccio e lo baciò sulla guancia.
“Ecco il mio angioletto! Allora, ti è
piaciuto il viaggio fin qui? Ti piace il Giappone?”
“Veramente non ho ancora visto niente…
Dall’aeroporto siamo venuti subito qui, e la mamma non mi ha fatto
nemmeno scendere dalla macchina…”
“Hai ragione. Scusami: è colpa mia se
abbiamo fatto tutto di fretta; stavamo per perdere l’aereo, ma dovevo
giocare una partita davvero importante”
“Lo so, e hai vinto! Il mio papà è
il giocatore più bravo del mondo!” ed alzò il braccio in
segno di vittoria.
Rukawa lo fece sedere sulla sua spalla sinistra; il
bimbo si sorresse stringendogli i capelli, spettinandolo un po’, e
ripresero ad esultare insieme.
“Papà…” riprese.
“Dimmi” ed alzò gli occhi per
incontrare lo sguardo del piccolo.
“Perché siamo venuti qui?”
“Perché il tuo papà doveva venire
a salutare una persona molto importante” e lo riprese tra le braccia.
“Davvero?” chiese, portandosi il dito alla
bocca.
“Già”
“Ora però possiamo andare a vedere il
campo dove ti allenavi quando eri giovane? Me l’avevi promesso!”
“Ehi! Guarda che non sono mica vecchio: sono
ancora giovane!” e sorrise.
“Allora, mi ci porti?” insistette.
“Sì; ora andiamo. Su, raggiungi la
mamma” e lo rimise a terra.
Seguì con lo sguardo la corsa del bimbo, fino a
quando non raggiunse quella donna con cui divideva la sua vita. Incontrò
quel bellissimo viso che tanto gli piaceva, e ritornò con la mente a
quel lontano giorno di dieci anni prima.
“Kate…” sussurrò Kaede a quel
corpo immobile.
“Kate, perché non ti svegli? Non
può essere vero! Non può essere tutto finito!” disse,
mentre continuava ad accarezzarla.
Poi le prese la mano e notò che,
all’interno della stessa, tratteneva il sasso che gli aveva regalato
prima di entrare nella sala operatoria.
Gli fece richiudere le dita attorno all’oggetto,
stringendole poi tra le sue mani; guidò il braccio di lei fino a fargli
accarezzare la sua guancia con un movimento innaturale.
-Kate… La mia paura più grande si
è dunque realizzata?- pensò, osservando con sguardo rassegnato la
ragazza.
“Dottore, è davvero tutto finito? Kate
non ce l’ha fatta?” chiese, timorosa della risposta, Aruko, fuori
dalla stanza.
Il dottore rimase zitto per un attimo, mentre si
sistemava gli occhiali con un dito, poi rispose.
“La ragazza…” cominciò.
“La ragazza?!” interruppe Eric.
“Lascialo parlare!” intervenne Mitsui.
“La ragazza, in realtà, si
riprenderà presto: l’operazione è perfettamente
riuscita!”
Tutti esultarono, attirando l’attenzione di
Rukawa che distolse per un attimo lo sguardo da Kate.
“Quindi ce l’ha fatta?! Sono felicissima
per Kaede!” esultò Aruko, voltandosi verso Hanamichi che le fece
un sorriso.
“Già, ce l’ha proprio fatta, non so
neanche io come: la malattia era davvero ad uno stadio preoccupante e
francamente non credevo che sarebbe sopravvissuta. Ma evidentemente aveva un
motivo per vivere, o qualcuno da cui tornare” affermò il dottore,
voltandosi verso la stanza sorridendo.
Tutti così rivolsero lo sguardo
all’interno per vedere che cosa stesse succedendo.
“Cos’è questo chiasso?”
chiese Rukawa.
Subito dopo si rivoltò e rincominciò ad
osservare quel viso dai lineamenti perfetti.
Subito dopo notò che le palpebre cominciarono a
tremare: Kate si stava risvegliando.
“Kate!” urlò, spinto dalla gioia
che provava in quel momento.
Lei aprì definitivamente gli occhi, ma non
poteva ancora vedere niente; riusciva solo a distinguere alcune ombre attorno a
sé. Una in particolare era molto vicina; quindi si concentrò su
quella, e pian piano cominciò a distinguere il volto del suo amato
Rukawa.
“Kaede…” sussurrò, ancora
debole.
“Kate! Ti sei ripresa! Come ti senti?”
chiese piano.
“Ora che ti rivedo, sto molto meglio” e
gli accarezzò la guancia.
Quel gesto era molto diverso da quello innaturale di
poco prima, ed il ragazzo si fece trasportare dalla dolcezza e delicatezza del
tocco di lei, chiudendo gli occhi.
“Già… credo proprio che avesse
qualcuno da cui tornare” disse Hanamichi, osservandogli e conducendo poi
l’intera comitiva fuori da quella stanza.
“Su, ora uscite tutti: lasciamoli un po’
soli” concluse, chiudendo la porta dietro di sé.
“Kaede” rincominciò Kate.
“Dimmi” disse curioso Rukawa, prendendogli
la mano.
“Sono felice perché sono riuscita a far
sparire la tua paura più grande: sono riuscita a ritornare da te”
“Ti sbagli: non hai sconfitto solo la mia paura,
ma anche la tua verso la morte. Sei stata davvero bravissima; sono molto
orgoglioso di te” rispose dolcemente.
Lei gli sorrise.
“Grazie Kaede”
“E di che?”
“Di avermi fatto apprezzare di nuovo la
vita”
“Al contrario dovrei essere io a ringraziarti:
prima di te, nessuna ragazza era riuscita a coinvolgermi al punto da farmi
dimenticare per un po’ la mia vendetta verso mio padre. Mi hai fatto
riaprire gli occhi, mostrandomi un mondo nuovo. Ti ringrazio”
“Riesci sempre a passare a me tutti i meriti. Mi
piace quando mi parli così dolcemente”
Lui le sorrise.
“Vorrei che continuassi a parlarmi così
per sempre…” ammise la ragazza, arrossendo.
Lui rimase per un attimo sorpreso per quella frase,
poi si riprese e la baciò con passione.
“Non potrei desiderare nient’altro per il
mio futuro” le sussurrò, sottraendosi per un attimo alle sue
labbra.
La ragazza si specchiò negli occhi bellissimi,
seri e decisi, di lui.
Subito dopo lo baciò con passione a sua volta,
trasportata dal grande sentimento d’amore che provava. Mettendosi a
sedere sul letto, gli passò le braccia attorno al collo, stringendolo a
sé; gli passò una mano tra i capelli, dietro la nuca,
spettinandolo.
Lui, a sua volta, si sedette sul letto accanto alle
gambe stese di lei, continuando ad assaporarsi le morbide labbra della ragazza;
poi la strinse a sé, abbracciandola all’altezza dell’addome.
Fu un bacio lungo ed intenso che confermò ad
entrambi i reciproci sentimenti, unendoli indissolubilmente.
Ora rivedeva quella stessa ragazza, più matura,
davanti a lui, con il loro figlio tra le braccia.
Da sei anni rivedeva la stessa scena, ed ogni volta
gli faceva provare una serenità che non sarebbe possibile descrivere a
parole.
Dopo la guarigione di Kate si trasferirono subito in
America per terminare il progetto del padre di lei, e dopo soli quattro anni
scoprirono che qualcun altro sarebbe entrato nelle loro vite. Si sposarono di
lì a poco e presero una casa più grande. La gioia che poi
provarono quando seppero che il bimbo non aveva ereditato la malattia della
madre, era davvero immensa; il medico gli spiegò che i geni dominanti di
Kaede avevano sovrastato quegli, indeboliti dalla cura, della madre, e che quindi
il piccolo Takeru era sano come un pesce. Lo videro poi crescere, fino a
diventare il bellissimo bambino che animava le loro giornate.
Lo osservava tra le braccia della madre; era
bellissimo. Gli occhi espressivi di Kate, i capelli scuri di Kaede, il sorriso
coinvolgente della madre ed i lineamenti del viso perfetti e proporzionati del
padre.
Ripensò a quando decisero il suo nome.
Erano in ospedale; Kate aveva partorito da appena una
settimana, ed il bimbo era stato sistemato in una culla trasparente in una
stanza, assieme ad altri numerosi pargoletti.
Stava dormendo beatamente; a Kate e Kaede sembrava il
bambino più bello di tutti ed erano orgogliosi di essere i suoi
genitori.
“Allora, hai deciso come chiamarlo?”
chiese la donna.
Lui la guardò, poi abbassò subito lo
sguardo rassegnato.
“Tanto lo so che ci hai già pensato tu, e
che niente ti farà cambiare idea”
“Esatto!”
“E quindi, quale sarà il suo nome?”
“Takeru”
“Takeru?!”
“Non ti piace?”
“No, è bello, ma perché gli vuoi
dare un nome giapponese, visto che ormai viviamo qui in America?”
“Beh… innanzi tutto sta bene con il tuo
cognome giapponese, e poi intendo ritornare nel tuo paese natale prima o
poi”
“Vuoi ritornare in Giappone?!”
“Sì. È una terra bellissima e
tranquilla, molto più della mia. Mi piacerebbe che nostro figlio
apprezzi al massimo la terra amata dal padre; guarda che lo so che lo desideri
anche tu: vedo come ti s’illumina lo sguardo quando parli di quel
luogo”
Lui le sorrise.
“E va bene. Vuol dire che prima o poi
ritorneremo in Giappone, così che il piccolo Takeru impari ad amare quel
paese bellissimo” disse.
Lei lo abbracciò.
“E per questo che ti amo: riesci sempre a
trovare le parole giuste e a dirle con quel tuo modo dolcissimo”
“Sto solo esaudendo il tuo desiderio, te lo
ricordi? Ti parlerò dolcemente per sempre” e la baciò.
“Allora, hai finito qui? Possiamo andare adesso?
Credo che Takeru sia impaziente di visitare la città” chiese Kate,
strofinando dolcemente il naso con quello del figlio.
“Sì, ora possiamo andare” rispose
l’uomo, avvicinandosi ai due.
“Eh no, Tu non vai proprio da nessuna parte!
Come puoi andartene senza salutarci?!” affermò Hanamichi,
sopraggiungendo da dietro insieme a tutti gli altri.
“Già… Credevi forse di svignartela
così?” chiese ironicamente Miyagi.
“Ragazzi, mi avete seguito?” disse Rukawa.
“Per forza: ti rivediamo dopo dieci anni e tu
non ci parli neanche!” intervenne Eric.
“Non mi sembrava il momento adatto per parlare:
qui, in questo luogo…”
“Però… sono già passati
dieci anni dalla morte del vecchio Anzai; come vola il tempo” disse serio
Mitsui.
“Mi stupisce che dopo tutti questi anni, vi
siate ricordati tutti della promessa che ci facemmo all’aeroporto, quando
partì per l’America” disse malinconico Rukawa.
“Era ovvio che ce lo ricordassimo tutti:
giurammo di rincontrarci per onorare la memoria del caro vecchio Anzai nel
giorno del decimo anniversario della sua morte; non potevamo dimenticarcene:
è stato un uomo fantastico, che ha significato molto, per ognuno di
noi” affermò deciso Hanamichi.
“Che pensiero profondo, Pel di carota; pensavo
che tu fossi il primo a dimenticartene, con la testa che ti
ritrovi…” disse ironico Rukawa.
“Che cosa vorresti insinuare?! Vuoi litigare
subito?!” urlò furioso, mentre Eric e Miyagi lo trattenevano.
Kaede rise di gusto.
“Ehi, ehi, stavo solo scherzando; sei sempre il
solito” affermò.
“Oh… avete visto; quella era una vera
risata: allora anche Rukawa è un essere umano” intervenne
ironicamente Mitsui.
“Come ti permetti di dirmi una cosa del
genere?!” e gli diede un pugno in testa.
“Sempre i soliti; quand’è che
crescerete?” chiese un po’ rassegnato Akagi.
Subito dopo, l’intero gruppo d’amici si
guardò negli occhi e scoppiò a ridere.
“Mamma, ma cosa sta facendo papà?”
chiese Takeru, che osservava da lontano senza capire cosa stesse succedendo.
Kate fece un sorriso isterico.
“Beh… ecco vedi… papà ha rincontrato
i suoi ex compagni dello Shohoku…” rispose.
“E perché gli picchia, poi si mette a
ridere?”
“E’ un po’ difficile da
spiegare…” non sapeva cosa dire.
“In ogni caso, a parte gli scherzi, Hanamichi
aveva ragione: Anzai è stato un grande uomo ed ha fatto molto per ognuno
di noi, specialmente per me…” ricominciò Rukawa.
E con la mente ritornò a suo padre.
Ripensò a pochi giorni prima della sua
partenza, quando denunciò quell’uomo spregevole per le violenze
subite e lo fece sbattere in carcere; non riuscì però a farlo
incarcerare per la morte della madre, e questo gli rimase sullo stomaco.
“Anzai è stato come un secondo padre per
me. Purtroppo però, dopo pochi giorni di esultanza per essermi liberato
di quello vero, persi anche lui per quel suo cuore debole: quell’infarto
che lo uccise, mi ha portato via una delle persone che più hanno segnato
la mia vita. Con i suoi insegnamenti mi ha aiutato a diventare l’uomo che
sono ora, e lo ringrazio per questo” aggiunse.
“Anche per me è stato lo stesso: dopo
aver perso mio padre, mi ero legato al signor Anzai, e perderlo nello stesso
modo è stato un duro colpo per me” intervenne Hanamichi.
“Già, quell’uomo rimarrà
sempre vivo nei nostri ricordi, ed è bello rincontrarci oggi proprio per
lui” concluse Kogure.
E tutti osservarono il cielo, con una pace ed una
serenità nel cuore che solo ognuno di loro saprebbe descrivere.
“Ehi là! Kate… Ehi, siamo
qui” urlò Aruko da lontano.
“Aruko! E c’è anche Aiako. Che
bello rivedervi dopo tanto tempo! Come state?” chiese, avvicinandosi alle
amiche di corsa, con Takeru in braccio.
Quando le raggiunse, mise a terra il figlio e le
abbracciò con gioia.
“Oh Kate, è bellissimo rivederti! Ti
trovo in forma” disse Aiako.
“Grazie; anche voi non siete da meno. Ma dove
eravate? Non vi ho visto fino ad ora: c’erano solo i ragazzi alla tomba”
“Eravamo in macchina. Ogni anno il gruppo si
riunisce per venire in questo luogo, e noi li lasciamo soli, aspettando in
disparte; noi andiamo dopo, sole, quando si allontanano per chiacchierare.
È una specie di rito: ogni anno si ripete e noi lo rispettiamo. Non so
perché, ma ci sembra giusto così: infondo era il loro
allenatore…” rispose Aruko.
“Capisco. Invece per Kaede è la prima
volta dopo dieci anni; non vedeva l’ora di arrivare: per lui è un
momento molto importante”
“Oh… Ma chi è questo bambino?
Dev’essere Takeru” cambiò argomento Aiako.
“Sì, è proprio lui” e la
donna prese per mano il bimbo, che cercava in ogni modo di nascondersi dietro
la gonna scura della madre, per farlo vedere alle amiche.
“Ricordo che mi avevi parlato di lui al telefono,
tempo fa. È molto somigliante a Rukawa” osservò Aruko.
“Già, è un vero angioletto, bello
come il padre” e lo spettinò, muovendo velocemente la mano che
teneva tra i capelli corvini.
“E dove sono Daisuke e Shiory?” chiese
curiosa Kate, riferendosi ai figli delle donne.
“Sono laggiù: stanno giocando in quel
parco che si trova dall’altro lato della strada” rispose Aiako,
indicando la direzione con il dito.
“E li lasciate lì da soli?!” si
stupì.
“Ma no, cosa credi?! Li stanno tenendo
d’occhio i nonni di Daisuke: i miei genitori sono sempre molto
disponibili a fargli da baby-sitter” rispose Aruko.
“Ah ecco…”
“Mamma, cos’è un nonno?”
chiese timidamente Takeru.
“Beh… come te lo posso spigare…
ecco, vedi… i miei genitori e quelli di tuo padre sono i tuoi
nonni”
“E perché io non gli ho mai
incontrati?” insistette.
Aruko ed Aiako si guardarono negli occhi: sapevano
bene la risposta a quella domanda…
“Questa è una risposta che richiede molto
tempo… perché ora non vai a giocare con i figli di queste due mie
amiche?”
“Posso davvero mamma?!”
“Ma certo, sta attento però!” e gli
sorrise.
“Andiamo tutti al parco” propose
Hanamichi, raggiungendo le donne.
“Buona idea!” concluse Mitsui.
E tutta la comitiva si allontanò da quel luogo.
“Complimenti per poco fa: sei riuscita ad
interrompere una conversazione spiacevole” sussurrò
all’orecchio di Kate, Aruko.
“Ci sono abituata: ogni volta che Takeru fa
domande di quel genere sul passato mio o di Kaede, di cui non vogliamo fargli
sapere la risposta, distolgo la sua attenzione; credo che sia ancora presto per
lui: è troppo piccolo per certi aspetti della nostra vita
passata…” rispose sottovoce.
“Comprendo benissimo. Sei davvero un portento!”
“Ti ringrazio”
“Che cosa confabulate voi due?” chiese
curioso Hanamichi.
“Uhm… Voi non me la raccontate
giusta” affermò lui con aria investigativa.
“E smettila di fare l’idiota!”
concluse Eric, colpendolo in testa, amichevolmente.
Tutto il gruppo si mise a ridere, a parte Sakuragi
ovviamente.
Kate osservò con la coda dell’occhio
Rukawa: era felice e spensierato. Subito dopo il marito voltò lo
sguardo, incontrando i suoi occhi, e le sorrise dolcemente.
-Lo sapevo… Sapevo che, per te, tornare era
importante: rivedere i tuoi vecchi amici, la tua terra, la tua
città… Tutto ciò ti rende davvero felice. Sono molto
contenta per te- pensò Kate.
“Lo sai, Rukawa mi
sembra molto diverso; la tua vicinanza gli ha fatto bene: non è
più il ragazzo scontroso ed irascibile che era un tempo”
osservò Aruko.
“Oh, ma non è merito mio. Da quando
riuscì a chiudere definitivamente il brutto capitolo della sua infanzia,
facendo incarcerare suo padre, non aveva più motivo per crucciarsi per
compiere la sua vendetta; era finalmente libero e poteva dedicarsi solo a
sé stesso, ritrovando la sua serenità. Standogli accanto posso
scoprire ogni giorno nuovi aspetti della sua personalità: riesce sempre
a sorprendermi; è una persona davvero stupenda e mi sento davvero
fortunata ad essere sua moglie” rispose la donna.
“E’ bellissimo sentirti parlare di lui:
sei davvero innamorata” constatò Aiako.
“Beh, suppongo che anche voi pensiate la stessa
cosa dei vostri mariti” e guardò i due tra il gruppo di uomini
davanti a loro.
“Hai ragione: siamo davvero fortunate; tutte e
tre” dissero in coro.
Poi le amiche risero insieme.
“Ma che hanno quelle tre?” chiese
Hanamichi, osservandole con la coda dell’occhio.
“Beh, mi sembra normale che dopo tanto tempo
passato lontano, si mettano a spettegolare tra loro: è una cosa normale
per le donne” disse Kaede.
“Già, è vero” concluse
l’amico, con il sorriso sulle labbra.
Arrivati al parco, tutti si sedettero attorno ad un
tavolone da esterno in legno, salutando prima gli anziani baby-sitter ed
affidandogli Takeru.
“Allora, che ci raccontate di bello? Sono dieci
anni che non ci vediamo; cosa vi è successo nel frattempo?”
cominciò Kate, passando il suo braccio attorno a quello di Rukawa, che
le si era seduto accanto, prendendogli poi la mano.
“Che ne dite se parlo io per tutti?”
chiese alla comitiva, Aruko.
Tutti diedero il proprio consenso.
“Beh… da dove posso cominciare…
Dunque, mio fratello si è arruolato nell’esercito circa un anno
dopo la vostra partenza, e non si è mai sposato; Kogure, dopo aver
frequentato l’università, è diventato l’architetto
più stimato del Giappone, e si è sposato da poco con una collega
che ha conosciuto durante un progetto importante; Mitsui ha continuato a fare
l’allenatore di basket nell’istituto Shohoku, prendendo il posto
del buon signor Anzai, e non ha ancora trovato la donna giusta per lui…”
“Grazie per averlo fatto notare…”
bofonchiò l’interessato.
“Mi dispiace dirlo, ma è vero: finché
non metterai la testa a posto, nessuna donna ti prenderà sul
serio” e si misero tutti a ridere.
“Uffa!” brontolò Mitsui.
“Dov’ero arrivata? Ah, sì…
Eric e gli altri giocano insieme in una squadra di basket della serie cadetta,
e se la cavano bene; Miyagi ed Aiako sono rimasti insieme per molto, lei
finì i suoi studi universitari, diventando pediatra, lui gioca insieme
ad Hanamichi nella massima serie di basket, infine, in seguito alla nascita
della piccola Shiory, si sposarono cinque anni fa; e per ultimi, io e Sakuragi
ci sposammo tre anni dopo la vostra partenza, e dopo un anno arrivò a
farci compagnia il nostro diavoletto Daisuke. Francamente non so come faccio
ancora a sopportarti, maritino mio…” concluse ironicamente, voltando
lo sguardo verso l’uomo.
“Ehi!” disse Hanamichi.
Aruko gli fece una linguaccia spiritosa e amorevole.
“Stavo scherzando, tranquillo” ammise.
“Ma certo: lo sapevo…” cercò
di salvarsi all’ultimo momento, incurvando le sopraciglia ed incrociando
le braccia indispettito.
“Bugiardo” ed Aruko sorrise.
“Ti ha proprio fregato, amico” lo prese
per il collo Eric.
“Non è vero!” replicò.
E tutti risero di gusto.
Rukawa e Kate si guardarono negli occhi e, dopo un
momento, cominciarono a ridere a loro volta.
“Piantatala! Non ridete di me!” insistette
Hanamichi.
Aruko quindi si voltò e lo baciò,
zittendolo.
“Sei felice ora?” chiese poi.
“Uffa! Mi hai proprio incastrato…”
ammise.
“Vedi, è per questo che ti ho sposato: ti
amo perché ammetti sempre i tuoi errori ed i tuoi limiti. Adoro gli
uomini sinceri!” e lo baciò di nuovo.
Lui le sorrise.
“E voi due, invece? Cosa ci raccontate?”
intervenne Aiako.
“Beh… non c’è molto da
dire… Dunque, Kaede si è iscritto come, d’accordo, nella
scuola voluta da mio padre; ha studiato per alcuni anni, giocando
contemporaneamente come riserva nella squadra più forte dell’NBA,
infine è riuscito, quest’anno, a guadagnarsi la maglia da
titolare, realizzando il suo più grande desiderio. Mi ha reso la moglie
più orgogliosa del mondo!” e gli sorrise.
“Caspita!” urlarono in coro tutti.
“Smettila di dire queste cose: mi fai apparire
un grand’uomo così” disse, un po’ imbarazzato, Rukawa.
“E per concludere, ci siamo sposati l’anno
che ha seguito quello dalla nascita di Takeru. È una bella storia,
vero?” finì il discorso Kate.
“Perché non esiste una donna che parla di
me nello stesso modo con cui, Aruko e Kate, descrivono i loro mariti?!”
si chiese disperato Mitsui.
“Perché non l’hai ancora trovata,
bello” gli rispose Eric.
“Bravo! Infila pure il dito nella piaga! Senti
da che pulpito viene la predica: mi risulta che non l’hai trovata neanche
tu, bello!” rispose a tono.
“E piantatela di comportarvi come dei bambini!
Alla vostra età…” intervenne Akagi.
“E tu che t’intrometti, Gorilla?!”
dissero i due in coro.
“Come mi avete chiamato?!” chiese furioso
l’enorme uomo, alzandosi in piedi ed intimorendo gli amici.
Mitsui ed Eric si zittirono subito, un po’
impauriti.
“Lascia perdere quello che abbiamo detto: non
è successo niente. Ora calmati, siediti e rilassati, ok?”
cercarono di salvarsi.
“Molto bene” concluse, ritornando
improvvisamente calmo e tranquillo come se non fosse successo niente; il cambio
improvviso d’umore era davvero molto buffo.
“Sono sempre i soliti” affermò, con
il sorriso sulle labbra, Rukawa.
“Ehi, mamma…” intervenne
improvvisamente Shiory.
La bambina bellissima, con i cappelli scuri e ricci
della madre e la pelle olivastra del padre, sopraggiunse tutta d’un
tratto, interrompendo i discorsi degli adulti.
Per attirare l’attenzione strattonò con
la manina una manica del vestito scuro ed elegante che Aiako indossava.
“Dimmi, piccola. Che c’è?” e
la prese in braccio.
La fece sedere sulla sua gamba sinistra, sostenendola
con le braccia: una mano le proteggeva la schiena, l’altra le accarezzava
il pancino, facendole il solletico.
La bimba fece un sorriso tenerissimo, illuminando tutto
il viso con un’espressione felice.
“Mamma, basta con il solletico” e
continuava a ridere.
“Allora che c’è? Vuoi
giocare?” chiese dolcemente.
“Daisuke e quell’altro
bambino…” cominciò.
“Che è successo?!” chiese
preoccupatissima Kate.
“Loro stanno litigando” rispose.
“Che cosa?!” urlò Aruko, correndo
verso i bambini, seguita da tutti.
Quando raggiunsero i genitori di Aruko, intenti a
cercare di fermare gli irrequieti ragazzini, trovarono i due occupati ad
azzuffarsi.
“Daisuke! Smettila immediatamente!”
urlò minacciosa Aruko, prendendo per un braccio il figlio.
“Takeru! Si può sapere cosa ti è
preso?!” chiese indispettita Kate, compiendo lo stesso gesto
dell’amica.
I due bambini si guardarono per un attimo, poi,
voltando lo sguardo per rifiutare la visione del viso dell’altro, e risposero
in coro.
“Ha cominciato lui” indicandosi a vicenda.
Le due mamme, con lo sguardo poco rassicurante,
squadrarono i rispettivi figli; quest’ultimi abbassarono gli occhi, con
espressione pentita, per non guardare le donne arrabbiate.
“Sto aspettando una risposta: perché ti
stavi azzuffando con Takeru? E poi guarda come ti sei conciato!”
affermò Aruko, riferendosi al fatto che era tutto sporco d’erba a
di terra.
“Io lo so! Io lo so!” si intromise Shiory.
“Shiory… Ti ci metti anche tu
adesso?” chiese Aiako.
“E quale sarebbe il motivo?” chiese
curioso Hanamichi.
La bambina fece un’espressione spavalda, di chi
sa sempre tutto, e, chiudendo gli occhi e prendendosi il mento tra due dita
come un vero detective, svelò il mistero.
“Stavano litigando per giocare con me: Daisuke
non voleva che quel bambino prendesse il suo posto”
Tutti i presenti rimasero allibiti.
“Caspita… la piccola fa già
infiammare i cuori…” intervenne Mitsui.
“Davvero stavano litigando per te…?
Neanche la tua mamma era così precoce.” ed Aiako fece un sorriso
isterico.
“Ehi! Non è andata così!”
protestò Takeru.
“Ah no?” chiese Rukawa.
“No! Non mi interessa affatto giocare con quella
mocciosa! Io non gioco con le femmine!” ed incrociò le braccia in
segno di rifiuto.
“Come non t’interessa giocare con me?!”
chiese arrabbiata la bambina.
“Non m’interessa! Io gioco solo con mio
padre, quando m’insegna i trucchi del basket”
La bambina cominciò a piangere per capriccio.
“Come ti sei permesso! Come hai osato! Non ti
hanno insegnato che non si devono far piangere le bambine?!” urlò
con rabbia Daisuke, mettendosi nella posizione tipica del combattimento.
“Già non te l’ha insegnato
nessuno?” chiese sarcastica Kate, facendo capire al figlio che doveva
scusarsi.
“Uffa; ma perché devo scusarmi con
lei?” chiese scocciato.
“Takeru…” intimò la madre.
“Oh, e va bene…” e si
avvicinò alla bimba in lacrime.
Il ragazzino si mise un braccio dietro la nuca e,
guardando a terra con il viso arrossito per l’imbarazzo, accontentò
Kate.
“Mi… dispiace…” disse
pianissimo, quasi per non farsi sentire.
Shiory smise subito di piangere ed, asciugandosi le
guance, porse al bambino il mignolo.
“Pace fatta!” affermò sorridente.
“Ehi! Io non faccio queste cose da femmina!
Accontentati delle scuse” si rifiutò Takeru.
Rukawa si schiarì la voce per far capire al
figlio che doveva farlo.
“No, mi rifiuto! È imbarazzante”
“Takeru…” insistette Kaede.
Il figlio, con poca convinzione, alzò la mano,
chiudendola a pugno ed isolando il mignolo. Shiory strinse con decisione il
dito del nuovo amico con il suo.
“Ora siamo amici per la pelle”
affermò.
Takeru si arrese alla bambina.
“Non è giusto! A me non ha mai strinto il
mignolo!” disse disperato, Daisuke.
“Non abbatterti figliolo: arriverà anche
per te il momento giusto. Vedrai che lei, prima o poi cadrà ai tuoi
piedi” affermò determinato Hanamichi.
L’uomo spettinò i capelli rossicci del
figlio; poi, inginocchiandosi al suo fianco, lo strinse a sé,
prendendogli la spalla.
Si specchiò negli occhi scuri e spaesati di
Daisuke, poi indico con il dito un punto imprecisato del cielo.
“La vedi la meta, figliolo? Quello è il
tuo obiettivo! Impegnati e lo raggiungerai”
“Ma io non vedo niente…” affermò
Daisuke, ancora più confuso.
“Ce la farai, lo so: infondo sei mio
figlio” continuava imperterrito Hanamichi.
“Ma che sta dicendo Sakuragi? È
impazzito” disse piano Eric a Miyagi.
“La situazione sta diventando un tantino
assurda” si limitò a rispondere l’amico.
“Questa è una banda di pazzi” disse
tra sé e sé Akagi.
Kogure continuava a ridere istericamente per la strana
situazione.
“Che strano; tutto ciò mi ricorda
qualcosa… dove ho già visto una situazione simile?” si
chiese Aiako.
Subito dopo, il passato gli mostrò vecchie
immagini dei suoi ricordi.
Poi si strinse la fronte con la mano, per quello che
aveva intuito.
“Oh no… si sta ripetendo la storia!”
affermò, attirando l’attenzione di tutti gli adulti.
“Che intendi dire?” chiese Mitsui.
“Pensateci… I figli di Rukawa e Sakuragi
che non si sopportano; Daisuke ha una simpatia per mia figlia, e Shiory sembra
interessata a Takeru… Non capite? Questi due bambini si stanno
comportando nello stesso identico modo dei loro padri quando litigavano in
passato: uno per l’amore di Aruko,
l’altro perché voleva dimostrare di essere superiore!”
spiegò la donna.
Tutti si arresero all’evidenza.
“Già, è vero…” disse
Aruko.
“Ora che me lo fai notare, in effetti… Fa
uno strano effetto rivedersi nel proprio figlio” affermò
Hanamichi.
“Fa provare anche a me una strana
sensazione” dichiarò Rukawa.
“A me fa piacere!” intervenne Kate,
attirando su di sé gli sguardi degli amici.
“Che avete da guardare? L’idea del veder
ripetersi la stessa storia, non mi dispiace affatto” si
giustificò.
“Infondo neanche a me dispiace” ammise
sorridendo Aruko.
E tutto il gruppo riprese a guardare, con sguardo
sereno, quei tre bambini che giocavano insieme felici.
Kate decise di allontanarsi per un po’ dal
gruppo.
Si diresse da sola verso la tomba del vecchio amico
Anzai. Quando la raggiunse piegò le gambe fino a sedersi sui talloni,
tirando un po’ il tessuto dalla gonna del vestito scuro che indossava.
Allungò un braccio in avanti ed
accarezzò le lettere incise sulla lapide, facendo un sorriso tenue.
“Ehi là! Come mai ti sei allontanata
improvvisamente da noi? Hai deciso di venire a salutarlo?” chiese Kaede,
sopraggiungendo da dietro.
“Già” si limitò a
rispondergli.
Lui si fermò alla sua sinistra, rimanendo in
piedi, mettendole la mano sulla spalla destra.
Lei si rialzò in piedi ed appoggiò la
sua mano sinistra su quella di lui, stringendola; chinò leggermente la
testa in direzione dell’uomo, quasi a cercare il suo conforto. Subito
dopo, trattenendo le lacrime, riprese a fissare quella lapide silenziosa, con
un po’ d’amarezza nel cuore. Una leggera brezza, il tipico venticello
giapponese che si alza al tramonto, spostò leggermente la chioma bionda
di Kate, nascondendo timidamente il suo sguardo triste.
“Ehi, tutto a posto?” chiese dolcemente
Kaede.
“Sì, sì, tranquillo. Stavo solo
ripensando alla mia infanzia. Sai, il signor Anzai era un grande amico di mio
padre e quindi spesso veniva a trovarci; era bellissimo passare il tempo con
lui: era un uomo straordinario, di una bontà immensa… Mi manca, lo
sai?”
“Manca a tutti noi. Anzai era davvero un uomo
insostituibile”
“Già” e gli sorrise.
Si guardarono intensamente negli occhi, e lei
trovò il conforto che prima cercava.
Infine, lei si rivoltò di nuovo; staccò
il giglio bianco che teneva attaccato al vestito come decorazione, annusandolo
delicatamente; si chinò e lo appoggiò con grazia ai piedi di
quella lapide di pietra, cupa e priva di vita, donandogli un po’ di
colore.
“Questo era il fiore che preferiva: il giglio
bianco. Spero che gli piaccia come regalo” disse malinconica.
“Gli piacerà sicuramente” fu
l’unica cosa che disse di Kaede.
Poi si allontanarono insieme per raggiungere gli
amici.
“Allora ti è piaciuto ritornare nella tua
città?” cominciò Kate, mentre si avvicinavano al gruppo.
“Certo che mi è piaciuto!” rispose
Kaede.
“E’ un vero peccato che ce n’andremo
così presto: dopodomani ripartiremo per l’America…”
affermò quasi sconsolata.
“Ti sbagli” disse lui, sorridendo.
Lei alzò lo sguardo per incontrare quello del
marito, che invece guardava avanti.
“Che vorrebbe dire che mi sbaglio? Hai
intenzione di rimanere? E dove vivremo? E come la metti con l’NBA?
Rinunci così al tuo sogno?” chiese sorpresa lei.
“Ehi, ehi! Quante domande! Per la casa non
c’è problema: possiedo ancora la villa di mio padre; per quanto
riguarda l’NBA, il mio sogno l’ho già realizzato… e
poi, se non ritornassi a giocare con Hanamichi e Miyagi, quegli idioti non
saprebbero resistere un giorno nella serie maggiore! In più
c’è un altro motivo… Quando decidemmo il nome di Takeru, tu
affermasti che saresti ritornata qui prima o poi; beh, quel tempo è arrivato:
ritornare in questa città e rincontrare i miei amici, mi ha fatto capire
quanto mi mancasse tutto questo. Quindi ti chiedo ufficialmente di acconsentire
a rimanere qui” rispose lui.
“Acconsento con enorme piacere” e gli
sorrise.
“Dai su, ora raggiungiamo gli altri. Lo sai, mi
hanno proposto un amichevole tra noi, in memoria dei vecchi tempi, mentre tu
non c’eri. Ho proprio voglia di mostrargli di che pasta è fatto il
miglior giocatore del mondo!” disse deciso.
“Eccovi finalmente! Dove eravate finiti? Dai,
ora andiamo al campetto di fianco all’istituto Shohoku”
guidò il gruppo Hanamichi.
“Finalmente vedrò il tuo campo preferito,
papà!” disse contentissimo Takeru, raggiungendo i genitori.
Kaede lo prese in braccio e gli pizzicò
dolcemente una guancia.
“Già, campione, ora vedrai dove è
nato il talento di tuo padre”
E la comitiva si allontanò da quel luogo di
ritrovo che aveva riacceso in ognuno di loro ricordi bellissimi e
significativi.
Il venticello dolce della sera, s’intensificò
leggermente.
Il giglio bianco venne sollevato ed incontrò la
fredda lapide; i suoi petali sfiorarono dolcemente le lettere incise, poi
volò via perdendosi nell’infinità del cielo.
Trasportò con sé le parole dedicate al signor Anzai.
ANZAI
In onore dell’uomo che ha condiviso con me gli
anni migliori della sua vita.