IL VERO GIOCO DEL BASKET
UNA DOMENICA DI RICORDI
Un’altra domenica
era arrivata. Tutti, durante quel giorno della settimana, si riposavano; lui
no…
Rukawa si allenava ogni
domenica, come ogni altro giorno, ed anche quella domenica ne aveva
l’intenzione.
Si diresse verso la palestra della scuola. La strada
era poco trafficata: con il caldo che c’era, pochi si avventuravano per
le vie, sotto il sole cocente di fine estate. Regnava la quiete più
assoluta e Rukawa, sulla sua bicicletta, procedeva lento; la maglietta larga
che indossava si modellava attorno al suo petto, e i capelli si muovevano
leggermente all’indietro per lo spostamento d’aria.
Entrò nel giardino scolastico ed
appoggiò la bicicletta al muretto. Si diresse, di corsa, verso la
palestra, impaziente d’incominciare ad allenarsi.
Arrivò davanti all’ingresso principale,
dove era stata posta una teca di vetro. La osservò per molto:
all’interno vi era contenuta la coppa, simbolo della vittoria del
campionato nazionale; era in bella vista, su un piedistallo, ed ai suoi piedi,
sopra ad un ripiano di velluto blu, vi erano le dodici medaglie consegnate ai
membri della squadra durante la premiazione.
Velocemente ritornò con la mente a quel giorno,
all’ultimo punto, agli urli del pubblico, alla gioia della
vittoria… Probabilmente quel punto decisivo avrebbe voluto farlo lui, ma
è il risultato che conta! Poteva ancora sentire la tensione degli ultimi
quattro secondi, quando il Quattrocchi, sceso in campo in sostituzione di
Mitsui infortunato al ginocchio, aveva ricevuto il passaggio perfetto di Miyagi
ed era corso nell'area avversaria; al limite di quest’ultima, aveva fatto
un passo indietro ed era riuscito a saltare, eludendo la difesa. Quel canestro
aveva portato lo Shohoku ad un solo punto di
vantaggio sulla squadra avversaria, ma fu un punto necessario per vincere.
Riusciva ancora a sentire l’ovazione del pubblico e gli applausi a loro
dedicati. Tutti i compagni corsero verso Kogure che gli aveva salvati; ormai
piangeva per la gioia. Il Gorilla, Mitsui e Aiako piangevano a loro volta: la
commozione era palpabile; il vecchio Anzai rideva in stile Babbo Natale, come
suo solito: sapeva che gli sforzi dei suoi ragazzi erano stati premiati. Quando
tutti si allontanarono da Kogure, Rukawa gli si avvicinò con freddezza e
si fermò ad un metro da lui; lo guardò fisso negli occhi in
lacrime, nascosti dagli occhiali, ed alzò il braccio; poi disse:
“Qua la mano, Quattrocchi… Un gran
tiro…”
Si diedero il < cinque > come due amici di
vecchia data.
Poi, in seguito alla premiazione, fecero tutti insieme
una foto ricordo.
Ora poteva vederla appoggiata al piedistallo a forma
di cubo della coppa, ricoperto anch’esso di velluto blu. Al centro della
foto, vi era Capitan Akagi che teneva in alto l’ambito trofeo con le
braccia tese; alla sua sinistra, Hanamichi stringeva la sua medaglia con la
mano sinistra, in segno di forza; al suo fianco, vi era Mitsui, sostenuto da
un’Aiako sorridente, che, dolorante, alzava il braccio destro, estasiato
per l’obiettivo raggiunto; alla destra del Gorilla, vi era il piccolo
Miyagi, che teneva alzati l’indice e il medio, in segno di vittoria;
più in basso, in ginocchio, vi erano i sei panchinari abbracciati, con,
al centro, il salvatore della squadra sorridente; infine, accanto a Miyagi, vi
era Kaede, messo di profilo, che teneva alto il pollice con orgoglio, e con lo
sguardo serio, ma colmo di soddisfazione.
Riprese ad osservare le medaglie, che erano state
sistemate secondo un ordine che metteva in luce chi era stato più
determinante per la squadra. Alla loro base, erano incisi i nomi dei giocatori
nel velluto, ed una frase ricordo che enunciava:
-Perché le generazioni future di sportivi
dell’istituto, vi prendano d’esempio e non dimenticano la passione
e la dedizione che voi, nostro orgoglio, avete dimostrato nel gioco del basket,
raggiungendo un obiettivo che l’istituto non era mai stato in grado di
raggiungere. Grazie ragazzi, siete grandi! Il preside-
Kaede guardò la sua medaglia; era la terza,
dopo quelle di Akagi, grande capitano, e Mitsui, miglior giocatore
dell’anno. Appoggiò, quindi, le mani e la fronte al vetro della
teca.
Pensò –La mia doveva essere la prima!- e,
determinato a migliorare ancora, raggiunse la porta d’ingresso.
Si accorse che era
già aperta e poi, avvicinandosi ancora, sentì che dentro
c’era qualcuno che palleggiava. Si stupì perché, di solito,
nessuno della squadra, durante le prime settimane di scuola, visto che il
campionato era lontano, rimaneva oltre gli allenamenti, men che meno si
allenava di domenica. Socchiuse leggermente la porta e spiò
l’interno: vide l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di
vedere…
Quella ragazza era davvero bella: aveva capelli
biondi, lisci e lunghi, che teneva legati per giocare meglio; aveva gli occhi
di un azzurro profondo ed espressivo; i lineamenti erano delicati, accompagnati
da un fisico invidiabile, tipico delle sportive; non era molto alta, ma saltava
abbastanza da riuscire a centrare il canestro; i pantaloncini larghi e la
canottiera lunga le davano l’aspetto di una vera giocatrice di basket.
Kaede ne rimase affascinato, ma non per il suo
aspetto, piuttosto per la bravura e la passione che metteva nel gioco: sembrava
una vera professionista. Il suo allenamento solitario era ipnotizzante. Non
ammetteva, però, di essere inferiore a lei, il suo orgoglio glielo
impediva: non sarebbe mai stato capace di riconoscere che una ragazza era
più brava di lui!
Rimase lì fermo a fissarla fino a sera: in
altre parole finché la ragazza non ebbe concluso e non si fosse diretta
verso gli spogliatoi.
Non appena la palestra fu vuota, entrò, chiedendosi
chi fosse quella giocatrice. Poco dopo cominciò il suo allenamento. In
ogni suo movimento, rivedeva le mosse di lei, tentando di imitarle; non faceva
altro che pensare a lei, alla sua bravura: si sentiva inferiore a quella
ragazza che neanche conosceva e, per questo, si alterava, impegnandosi sempre
più in un allenamento esasperato che lo sfiniva.
Ora aveva un nuovo obiettivo: arrivare allo stesso
livello di gioco di quella ragazza, e superarlo!
Kate aveva appena finito di fare una doccia
rinfrescante. Era esausta dopo una giornata passata, nella sua nuova palestra,
ad allenarsi. Di solito non si esercitava così a lungo, ma dopo tre anni
d’inattività n’aveva bisogno. Non era molto soddisfatta di
quell’allenamento in realtà, però non poteva certo tornare
subito ai vecchi livelli di preparazione, dopo essere stata così a lungo
lontana dei campi…
Si stava allontanando, uscendo dalla porta secondaria,
quando si accorse che la luce della palestra era ancora accesa.
-Che strano… mi sembrava d’averla spenta-
pensò, avvicinandosi all’entrata principale.
Si accorse, in seguito, che c’era qualcuno che
si allenava all’interno ed, incuriosita, osservò cauta.
Quel ragazzo era fantastico: alto, snello, moro, occhi
magnetici; era veloce nei movimenti e con una buona tecnica; aveva un ottimo
controllo di palla e un buon tiro, anche se si vedeva che giocava da poco.
Riconosceva, comunque, che aveva un gran talento e un modo di giocare da vero
campione. Nella sua divisa della squadra era magnifico e, quando saltava per
fare una schiacciata, i capelli si alzavano, assieme alla canottiera, per poi
ridiscendere, una volta che ricadeva a terra.
Ne rimase molto colpita e l’osservò per
molto.
Il ragazzo sconosciuto, ad un certo punto, si
fermò un attimo per riprendere fiato; si chinò, piegando
leggermente le gambe, fino a prendersi le ginocchia con le mani ed a sostenere
il busto con le braccia tese. Mentre faceva respiri grossi, il sudore gli
bagnava il volto, mostrando tutto il suo impegno.
Kate era affascinata da quel ragazzo che desiderava
conoscere: le sarebbe piaciuto scontrarsi con lui in uno scontro < uno
contro uno >. Ma era fiduciosa perché sapeva che il suo desiderio si
sarebbe realizzato presto: osservando la sua divisa, infatti, aveva capito che
era un giocatore dello Shohoku, e che quindi l’indomani si sarebbero
rivisti…