10 Things I didn't give to you- Missing Moments

di Writer96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Liam/Hayley- Payphone ***
Capitolo 2: *** Alice/Louis- Found Love ***
Capitolo 3: *** Liam/Hayley- Hey, I just met you ***
Capitolo 4: *** 4. Niall/Sarah- Love never lasts ***



Capitolo 1
*** 1. Liam/Hayley- Payphone ***


La scena si svolge durante il 9 capitolo e comprende l'inizio del decimo.
Il POV è di Liam e questa cosa mi ha mandata leggermente in confusione.
Spero vi piaccia.





Liam’s POV

 
Non amavo giocare a carte.
Trovavo inutile affidarsi alla sorte e a dei pezzetti di carta plastificata solo per poter urlare un semplice “ho vinto” e, soprattutto, odiavo dover rimanere immobile, la faccia che cercava di essere impassibile mentre mascheravo le mie emozioni.
Eppure, dovevo aver imparato, mio malgrado,  proprio bene, perché sembrava che fossi diventato il nuovo campione nazionale nel gioco “nascondi i tuoi sentimenti alla ragazza che ami”.
Nonché tua migliore amica.
 
Ripensavo a ciò che ci aveva detto Julie da circa una settimana, senza interruzione, ogni giorno ad ogni ora.
Zayn mi aveva già fatto un discorso simile, più di una volta, e più di una volta era finita con me che lo mandavo amorevolmente al diavolo dopo che mi aveva suggerito di fare cose impensabili, come prendere Hayley e schiaffarla contro un muro, baciandola di scatto e passionalmente. Non che non volessi farlo, ovviamente, ma mi sarei sentito assurdamente in colpa ad imporle così una decisione presa solamente dai miei ormoni o dal mio istinto.
Anni di conoscenza di Hayley Core mi avevano insegnato che niente la spaventava di più di qualcosa di imprevisto che non potesse controllare razionalmente in modo da essere sicura. Ridendo, l’avevo presa in giro in più occasioni paragonandola ad Hermione Granger di Harry Potter, ma lei si era sempre intristita al riguardo, sostenendo di non essere altrettanto coraggiosa.
Quando Hayley si sminuiva, mi veniva voglia di prenderla a schiaffi e di sbatterle in faccia la verità, e cioè che era solo lei a vedersi così, perché l’intero mondo –l’avevo imparato a mie spese- tendeva a considerarla molto più che una semplice ragazza di quasi diciannove anni londinese.
Mi spinsi dalla cucina al soggiorno senza un reale interessamento, lanciando un’occhiata sconsolata al libro di Chimica che giaceva scompostamente con le pagine aperte a caso sul tavolo. Ero più che certo che ogni mio sforzo di studiare sarebbe andato gentilmente a farsi benedire, perciò non tentai nemmeno di farlo, pensando a come passare quello che sembrava essere un noiosissimo pomeriggio uguale a tutti gli altri.
Di certo, continuare a giocare a “pensa cosa potrebbe aver pensato Hayley dopo il vostro- diciamo- bacio” sarebbe stato solo deleterio per la mia salute mentale e per i miei nervi e probabilmente anche quelli di Zayn una volta che fosse tornato a casa, perciò mi rassegnai ad accendere la Tv e a guardare le immagini che mi passavano davanti agli occhi, senza neanche provare a comprendere ciò che vedevo.

Il suono del telefono mi scosse dal mio torpore, facendomi cadere giù dal divano e lasciandomi intontito per qualche istante. Quando lessi sullo schermo del telefono il nome di Hayley, però, mi assicurai di essere abbastanza sveglio e abbastanza intelligente.
“Payne!” urlò, facendomi sobbalzare.
“Core?” Rise e sorrisi anche io, mentre mi chiedevo che idea strana avesse in mente. Era bello, bellissimo poter entrare nella quotidianità di Hayley, fatta di chiamate che ti stupivano e ti prendevano in contropiede, fatte senza un motivo ben preciso. Era questo che mi piaceva da morire di lei, quel suo sapermi stupire nonostante la conoscessi bene come le mie tasche.
“Ho bisogno di te.”
“Dimmi” sorrisi di nuovo, cercando di capire in cosa potessi servire a Hayley. Forse una mano in cucina. Forse una mano con l’ennesima sclerata di Julie. Forse un passaggio...

Forse un migliore amico di cui scoprirsi innamorata.

Mi schiaffeggiai mentalmente e per poco non mi persi quello che mi stava dicendo.
“Non mi hai mai dato consigli prima di un appuntamento al buio. E’ giunta l’ora che tu lo faccia!”
“Esci con qualcuno?” Silenzio dall’altro capo del telefono. Nella mia testa, una serie di bussi e suoni gutturali che sembravano dover ricondurre al mio cuore. L’idea di una Hayley, la mia Hayley, che usciva con qualcuno, che baciava qualcuno, che amava qualcuno mi faceva male, eppure allo stesso tempo sentivo ben chiaro e ben definito dentro di me che non sarei riuscito a dirle di non farlo, a negarle quella felicità che lei tanto si era impegnata a ricercare.
 “Sì. Un amico di Julie...”
“Che devo fare?”
“Dirmi cosa devo fare io...”
“Hayley...” Ennesimo sospiro. Mi sembrava di vederla, lì, che si muoveva frenetica, gli occhi che vagavano per il mondo alla ricerca di una risposta. Mi tremavano le gambe e tutta l’euforia che aveva portato con sé la telefonata di Hayley era sparita, sostituita da un senso di impotenza e anche una certa rabbia.
Su Mtv c’era un programma, Friend Zone, che mi ero sempre rifiutato di guardare. Eppure era così che mi sentivo, intrappolato in confini che avevo voluto e allo stesso tempo volevo negare io stesso.
Contrassi la mascella e mi morsi la lingua, mentre i secondi passavano e io non dicevo niente, troppo perso nel mio arrabbiarmi con me stesso per aiutare realmente Hayley.
 “Dovresti metterti qualcosa di comodo. Perché sei più rilassata e poi sei più bella. E non devi ridacchiare, ma devi aprire la bocca e spiazzarlo. Ma solo dopo un po’... e... Hay. Poi chiamami e dimmi com’è andata.”

Tutto lì. Fu tutto ciò che le dissi e tutto ciò che mi sembrò di scrivere sulla mia condanna a morte. Ogni mia parola, mentre me la ripetevo mentalmente, mi sembrava così vuota, così insulsa, così asettica e superficiale che mi chiedevo perché non fosse ancora arrivato nessuno ad uccidermi e a seppellire il mio cadavere in mille pezzi. Ripensavo alle mie parole e in sottofondo sentivo il respiro di Hayley che si contraeva e riprendeva, spasmodicamente, quasi come singhiozzando.
Le avevo detto di richiamarmi, dopo. Le avevo chiesto di parlarmene.
Ero un idiota al quadrato.
 “Grazie Liam. Mi è sempre piaciuto il tuo essere logorroico.” La sua voce era dura come non l’avevo mai sentita, mentre si incrinava leggermente sull’ultima parola. La consapevolezza di ciò che avevo detto e di come l’avevo detto mi stava pian piano uccidendo ed ogni colpo sferrato al mio cervello era guidato dalla mano di Hayley, che si rifiutava di guardarmi, preferendo mandare baci al suo nuovo e splendido ragazzo.

Ero un idiota alla n, prendendo n come un numero compreso tra un milione e infinito.

Il telefono era muto nel mio orecchio e non sapevo se fosse stata lei a chiudermi in faccia o se fosse stato l’urto del mio zigomo contro il tastino rosso a chiudere la conversazione. Staccai l’apparecchio da vicino alla mia testa e lo guardai, sperando di poterlo trasformare in un convertitore temporale che mi permettesse di tornare a qualche minuto prima. Rimasi così, in quella posizione, fino a quando non raggiunsi la lucida consapevolezza che il danno non si sarebbe riparato semplicemente con un me che guardava il telefono tentando di sovvertire le leggi della fisica.
Ricomposi il numero di casa di Hayley, ma all’ultimo momento mi fermai, mentre una paura cocente di ciò che lei avrebbe potuto dirmi mi bloccava, facendomi tremare e facendomi sentire un idiota.
Ero combattuto, profondamente combattuto a dire il vero, tra la paura di perderla e la paura di aggravare la mia situazione, ma di certo rimanere come un imbecille di dimensioni cosmiche a fissare un telefono non mi aiutava, perciò presi un grandissimo respiro e composi numero nuovamente, facendomi violenza interiore mentre premevo il tasto di chiamata.
Il telefono squillò per tre volte prima che un “Pronto?” abbastanza furioso mi permettesse di parlare.

“Hayley? Santo Cielo, Hay, mi dispiace di averti detto quelle cose, prima. Non stavo pensando, davvero. Quello che volevo dire è che tu sei perfetta come Hayley, non come ragazza che tenta di imitare la massa. Non voglio che tu cambi solo per impressionare qualcuno, perché, accidenti, fidati di me, sei splendida ogni giorno, senza doverti preparare per niente. Non hai bisogno che qualcuno ti dica cosa fare, perché mi basta pensare alle battute che fai alle sette di mattina per capire che nella tua testa c’è un tesoro più grande di quello del British. E... Hayley, accidenti. Dimmi qualcosa, dimmelo, ti prego.” Buttai fuori, trattenendo il respiro alla fine del mio discorso, che non aveva nessun senso, ma che Hayley doveva aver ascoltato.
“Se non avessi saputo che lei era così arrabbiata per colpa tua, avrei detto che tu e Hayley avete litigato per qualcosa di sbagliato che hai fatto tu.” Esclamò Julie e io volli solo sprofondare, nascondermi e scappare da qualche parte nel deserto del Sahara tutto insieme.
“Dov’è Hayley?” domandai, svuotato da qualsiasi emozione o enfasi.
“Andata.”
“Julie, devi aiutarmi.” Sussurrai, pregando che in uno dei suoi momenti di stranezza accettasse di aiutare il migliore amico della sua migliore amica che l’aveva appena fatta infuriare.
“Onestamente, non vedo perché dovrei. Voglio dire, Hay è appena uscita di qui con le lacrime che minacciavano di uscirle, urlando cose senza senso che però ti riguardavano. Ma fra le varie insensatezze, c’era qualcosa che ho capito bene, perciò ti concederò di spiegarmi” si sentiva magnanima e, mentre in un’altra occasione avrei alzato gli occhi al cielo borbottando, in quel momento desiderai solo dedicarle un idolo d’oro da santificare ogni giorno.
“Lei mi ha chiamato, chiedendomi consigli per un appuntamento. Io le ho detto due parole in croce, dicendole di essere normale, di non essere saccente o di non fare l’oca e di richiamarmi dopo. E lei era furiosa e a ragione. E io sono un immenso cretino.” Confessai, sedendomi sul bracciolo del divano e scansando un paio di calzoncini di Zayn che sembravano essere sul punto di decomporsi.
“Effettivamente, lo sei. Ma dimmi una cosa. Perché ha chiamato proprio te?” mi chiese, e io strabuzzai gli occhi, assolutamente incapace di capire dove volesse andare a parare.
“Perché sono il suo migliore amico... a chi avrebbe dovuto chiedere, scusa?”
“A me, per esempio, che sono una ragazza o a Zayn che, perdona la franchezza, in fatto di appuntamenti ne sa molto più di te.” Ribattè e io rimasi interdetto per qualche secondo. Non mi ero posto il problema perché, semplicemente, ai miei occhi non c’era. Io e Hayley ci eravamo sempre telefonati per parlare di tutto e il fatto che lei mi avesse chiesto una mano per un appuntamento non mi sembrava, paradossalmente parlando, neanche così strano.
“E perché avrebbe chiamato me, alla fine?”
“Liam, cosa provi quando chiami Hay e vi ritrovate a parlare di cavolate, come per esempio quella vostra stupida lista, senza un vero e proprio motivo?” mi chiese e di nuovo il telefono rischiò di cadermi per mano, mentre arrossivo, contento che Julie non potesse vedermi.
“Julie, perché...”
“Rispondi.” Ora capivo cosa intendesse Harry quando diceva che Julie sapeva prenderti e costringerti a sputare fuori la verità senza neanche toccarti.
“Io, ecco...”
“Sincero.”
“Julie, sei peggio di un dittatore. Cosa provo? Un caldo dentro, un caldo euforico. Come se tutte le parole di Hayley si proiettassero dentro di me e si diffondessero al mio interno, dandomi una forma e un volume. Ma tanto che te lo dico a fare? Mi sembra che tu e Zayn abbiate complottato abbastanza per arrivare a capire la verità, non trovi?” sussurrai, mentre ricadevo di nuovo all’indietro, sbattendo contro il telecomando.
Julie rimase in silenzio e io feci tesoro di quell’attimo privo di parole o di pensieri. Non esisteva che avessi appena detto a Julie che ero innamorato di Hayley o cose simili, non esisteva che avessi litigato con Hayley e che lei stesse uscendo con qualcuno. Non esisteva più niente, se non io, il telefono, il respiro di Julie dall’altro lato e il telecomando che mi aveva quasi perforato una gamba.
“Mi aspettavo che dicessi qualcosa di melenso e romantico e confusionario e invece sei deciso, Payne.”
“Non fare la spaccona, Julie. Non è divertente essere innamorati della propria migliore amica.” Brontolai e io la sentii ridere, a lungo, singhiozzando e fermandosi solo di tanto in tanto.
“Sai qual è la cosa buffa? Che tu e lei dite esattamente le stesse cose...”
Attesi qualche istante, cercando di rielaborare quello che mi aveva appena detto.
“Io e Hayley...”
“Tu e Hayley dovreste darvi una mossa e chiarirvi prima che ci pensi Louis a chiarire con lei.”
“Io le piaccio?”
“Sbrigati a chiamarla”
“Ma le piaccio, quindi?”
Silenzio. Nella mia testa, un milione di parole volteggiavano senza sosta, impedendomi di respirare o di ragionare. Piccoli tasselli riprendevano il loro posto, parole dette a metà di Hayley si completavano ed avevano il suono più bello che avessi mai sentito.
“Julie?”
“Payne, se non vuoi che ti infili questo telecomando su per l’ombelico, muoviti a chiamarla e a riprendertela.”
“Quindi le piaccio.”
“Muoviti!”

Spensi il telefono e respirai a fondo, trattenendo la mia voglia di saltellare su e giù come un idiota. Mi misi davanti allo specchio e mi concentrai, studiando il mio volto. Sembravo un bambino, in tutti i sensi. Le guance arrossate, i capelli sparati ovunque, un sorriso che non riusciva ad emergere per colpa dei miei muscoli facciali. Io ero vivo Era Hayley che mi riempiva.
E poi ricordai che lei era arrabbiata con me e che era uscita con un altro e ogni mia immagine mentale sembrò sgonfiarsi, distorcendosi grottescamente. Avevo pensato di dichiararmi sul serio un giorno, che sarebbe stato quello perfetto, in un luogo, che sarebbe stato quello perfetto. E invece sentivo solo un gran dolore dentro, un bisogno spasmodico di aria e di Hayley mischiati insieme.
Presi la macchina ed uscii, il cellulare in tasca e un’idea ben precisa in mente.
Guidai per dieci minuti ed ogni minuto era per me un nuovo dubbio, un nuovo dolore, una nuova domanda su cosa stesse facendo Hayley.
Mi fermai e alzai gli occhi al cielo, che si era ingrigito e rannuvolato e mi maledissi per non aver portato nessun ombrello. Tirai fuori il telefono e composi il numero di Hayley, tremando mentre pregavo che rispondesse.

“Liam?” domandò, e io mi sentii nuovo, fresco, rinato. C’era rabbia nel suo tono, ma non mi sarei mai aspettato che si cancellasse così, dopo così poco tempo. Presi un respiro profondo e ripensai a quello che avevo detto a Julie e a quello che mi ero vergognato a dirle, ma che pensavo lo stesso.
“Hayley, penso di dover parlare con te. Credo che la mia confusione... sia... si sia chiarita. Ma non nella maniera che forse speravo. Hayley, pensò che ci sia qualcos’altro che provo per te.”
“Bene?”
 “Hayley?” Le domandai, quasi incredulo riguardo a quello che mi aveva risposto. Passò un po’ di tempo in silenzio e io riuscii a mangiarmi le unghie di tre dita, tanto ero agitato.
 “Perdonami, ero sottopensiero...” risi, mentre l’euforia di prima mi riempiva di nuovo, lasciandomi incredulo davanti alla continua capacità di sorprendermi di Hayley.
“Sovrappensiero, semmai...”
“No, volevo dire proprio sotto. Insomma, i miei neuroni non stanno andando granchè bene, sai?” Risi di nuovo, mentre in realtà continuavo a tremare. Lei rimase in silenzio e io sentii chiaramente il mio cuore che batteva più forte. Ero stato un idiota, ero sempre stato un idiota e questo rischio di miocardia improvvisa sembrava esserne la conferma. Se Hayley non avesse parlato entro cinque secondi sarei corso lì da lei e avrei risolto tutto in due secondi.
Ma lei rispose.

“Dimmi dove sei. Sto arrivando.”
 
 
 


Writ's Corner
Elaborerò un banner anche per questa storia, lo giuro.
Ma.. credo mi ci vorrà un pochino.
Niente, i Missing Moments saranno così, più o meno.
A volte momenti mancanti, altre volte semplicemente cambi di POV.
Attendo vostri suggerimenti, come al solito.
E' stato strano scrivere di Liam.
Spero di essere stata abbastanza IC.
Ora che la storia in sè per sè è finita, mi dedicherò totalmente ai MM.
Ne approfitto per augurarvi buone, buonissime vacanze.
Per tre settimane scriverò (forse) e recensirò (se possibile) ma non riuscirò ad aggiornare.
Sappiate che vi amo, comunque.
Baci

Writ

Ps:Vi ricordo, come sempre, di passare dalla nuova pagina di facebook dedicata a 10 Things.. 
http://www.facebook.com/10ThingsIDidntGiveToYou

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Capitolo 2
*** Alice/Louis- Found Love ***


La scena si ambienta tra il decimo e l'undicesimo capitolo.
Volevate sapere cosa fosse successo?
Ecco qui.
Anche se fa schifo. #LOL





ALICE’S POV

Mi piaceva vedere quali persone ci fossero di sabato pomeriggio al bar, sedute ai tavolini da caffè e intente a fare conversazione. Scrutavo, senza farmi vedere, coppiette che litigavano, che si crogiolavano nel loro amore o che semplicemente si sorridevano, inebetite dal fumo del caffè, oppure uomini impegnati in entusiasmanti partite a carte, che ogni tanto lanciavano urla belluine, oppure ancora persone solitarie che leggevano o bei ragazzi soli che mescolavano e rimescolavano i loro caffè senza tregua, lo sguardo perso e qualche sospiro emesso di tanto in tanto.

Mi fermai, tenendo in mano una tazzina sporca appena portata via da un tavolino e tornai sui miei passi, portando di nuovo lo sguardo sul bel ragazzo solitario e depresso. Studiai i capelli pettinati e probabilmente fonati con cura che da un lato erano spettinati, segno che ci aveva passato molte volte la mano e notai come la felpa che indossava gli calzasse a pennello. Le mani erano delicate ed ero quasi certa che si potessero definire da pianista, anche se sinceramente non avevo mai capito il perché di quella definizione. Semplicemente, tutte le belle mani affusolate venivano dette da pianista e io mi adattavo a quel fatto, senza farmi troppe domande.
Lui alzò lo sguardo e mi vide, mentre ero ferma, in mezzo ad una discreta quantità di tavolini, con indosso la divisa da cameriera più oscena che si potesse desiderare –chi vorrebbe vestirsi con una maglietta giallo senape abbinata ad un grembiule acquamarina?- in mano una tazzina sporca e l’aria stravolta.

Decisamente, la mia apparizione migliore.

Il ragazzo sconosciuto fece scorrere gli occhi –azzurri, come da copione- su di me, con aria svogliata o distratta e tornò a mescolare il suo caffè. C’era qualcosa in me che mi spingeva a volerci parlare, a voler sapere chi era e perché era ridotto in quello stato. Non era la cosiddetta sindrome da crocerossina, quella che mi invadeva il cuore. Era qualcos’altro, qualcosa di diverso che non avrei potuto spiegare. C’era una tristezza non celata in quel movimento ritmico del suo polso che mi fece definitivamente correre dentro a posare la tazzina sul bancone e a dire a Jenny che avrebbe dovuto coprirmi gli ultimi dieci minuti del mio turno, prima di uscire e dirigermi con tutta calma verso di lui, una mano che sfiorava i miei capelli nel tentativo di renderli per lo meno scompigliati ad arte.
-Sai, credo che lo zucchero si sia sciolto, ormai.- dissi, un sorriso che mi occupava gran parte del volto e che doveva essere di incoraggiamento, ma che uscì solo come una smorfia che sapeva tanto di compatimento.
-Non ce l’ho nemmeno messo, ora che me lo ricordi…-ammise lui, sorridendo e guardandomi negli occhi. Aveva gli occhi dell’azzurro più sconvolgente che avessi mai visto, qualcosa che somigliava ad un miscuglio di tutte le tonalità blu e azzurro con la trasparenza più assoluta. Rimasi qualche istante a fissarlo, mentre mi chiedevo come fosse possibile che gli occhi di qualcuno potessero essere di un colore tale. All’improvviso mi accorsi che non aveva smesso di sorridere, ma che il suo sguardo era tornato vacuo e perso in chissà quali pensieri.
-Te ne posso portare una bustina, se vuoi. Per dare un senso al tuo mescolare, intendo.- provai e stavolta il sorriso si riaccese, più sincero di quanto fosse stato in precedenza. Mi ricordava un bambino, la stessa aria smarrita ma felice e la stessa tristezza così palese ed evidente. Tenero. Era decisamente tenero, quel ragazzo.
-Oh no, non fa niente, ma grazie dell’offerta…-
-Alice.- completai per lui, indicando la sedia vuota dall’altra parte del tavolino e mimando un “Posso?” con le labbra. Lui annuì e di nuovo mi diede la sensazione di trovarmi davanti ad un bambino, terribilmente bello, nonostante tutto. Sospirai e mi sedetti, allungando una mano verso il portatovaglioli e sistemando i foglietti di carta semi-oleata che conteneva.
-Di niente…- stavolta fu lui a completare, sorridendomi di nuovo.
-Louis. Mi chiamo Louis. E tu, Alice, hai spesso la tendenza a sfottere poveri clienti depressi?- chiese e io fui certa di essere arrossita. Non mi sentivo insultata, però. Aveva detto quella frase con la più totale innocenza e curiosità e questo contribuì ad arricchire l’immagine di lui che mi stavo facendo.
-No, a dire il vero no. Lo faccio solo con quelli brutti.- lo provocai io e lui scoppiò a ridere, mentre si passava una mano tra i capelli, facendone rizzare alcune ciocche e diventando così la rappresentazione vivente della schizofrenia.
-Molto malvagia la cosa…- disse e io alzai una mano, sbuffando e sorridendo insieme.
-Se non sai riconoscere l’ironia…- esclamai e per la seconda volta rise, ma più piano di prima, guardandomi negli occhi e sospirando a sua volta.
-L’ironia la riconosco benissimo, invece. Se non la riconoscessi, a quest’ora sarei rinchiuso in casa mia a dondolare avanti e indietro con aria sconfitta, mangiando Nutella e crogiolandomi nei miei dispiaceri.- ammise e fu il mio turno di ridere di cuore, immaginandomelo mentre faceva tutto questo.
-Fa molto…- dissi, cercando di non essere offensiva o di essere presa per volgare. Lui sembrò cogliere il senso di quello che volevo dire, perché mi concesse una sventolata di ciglia e un “Cara, non essere antipatica” molto effeminati.
-Seriamente, perchè sei ridotto in queste condizioni? Non mi sembra che il caffè fosse così caldo…-dissi infine, rompendo il silenzio pacato che si era creato fino a qualche istante prima.
Lui prese un respiro e si spinse contro lo schienale della seggiola, studiandomi per qualche istante e facendomi desiderare di non avere addosso quella ridicola maglietta e quell’orribile grembiule.
E’ così che ci prende, l’amore. Vestiti male, spettinati, al lavoro.
 

LOUIS’ POV

Era carina. Decisamente carina, mi dissi, mentre la studiavo, facendo passare lo sguardo sulla maglietta color senape che indossava. Va bene, se avesse indossato qualcosa di normale o dignitoso sarebbe stata ancora più carina, ma in quel momento i capelli biondicci e corti e gli occhioni color cioccolata potevano avere la maglio anche sull’aragosta che serviva il caffè disegnata proprio al centro del grembiule.
Era venuta da me senza un motivo preciso, con semplicemente un grosso sorriso in faccia che faceva molto “Faccio finta di ascoltarti, poi ti porto in un centro contro la depressione” e ora stava chiacchierando con me –insultandomi, certo, ma chi non lo faceva almeno una volta nella sua vita?- preoccupandosi della mia vita.

Inspirai e mi buttai contro lo schienale della sedia, cosa che Richard, mio amico d’infanzia, mi aveva spesso rimproverato, perché diceva che mi faceva sembrare ancora più pazzo-psicopatico-bambinone del solito.
-Dopo la tua precedente affermazione, ti stupirai sapere che è colpa di una ragazza…-cominciai. Lei rise e alzò le spalle, accavallando le gambe e ricominciando a giocherellare con il portatovaglioli, come aveva fatto prima.
-Capisco, ti ha lasciato..- disse, tamburellando sulla scatoletta di plastica con qualcosa che somigliava al fastidio stampato in faccia. Un sorriso mi uscì spontaneo dalle labbra e scossi la testa, rubandole il portatovaglioli di mano e ricevendo in risposta uno sguardo di disappunto.
-Veramente no. Uscivamo insieme e…- lei mi interruppe di nuovo, alzando la mano e prendendo su di sé un’aria da saputella che stonava con i sorrisi precedenti.
-Ha iniziato a parlare degli ex? Ti ha dato buca prima di venire?- disse e sperai vivamente che smettesse presto di fare la maestrina. Gli insegnanti mi avevano sempre irritato. Dicevano che non studiavo, che non mi applicavo, che ero disattento, quando io semplicemente avevo poca voglia di sentirli fare i sapientini e i superiori. Solo un insegnante mi era piaciuto davvero, il mio professore di Letteratura Inglese degli ultimi due anni delle superiori. Si metteva in gioco, si sentiva studente anche lui. Non aveva paura di dire “Non so”, ma piuttosto di dire “Non potrò mai sapere”. Quando mi ero diplomato era stato l’unico a dirmi che avevo un  futuro brillante e accademico davanti, dicendomi che non aveva mai visto nessuno applicarsi come avevo fatto io con lui. Non glielo dissi, ma mi ero impegnato solo perché era lui ad insegnare.
-Zitta e ascolta. E’ la mia storia o la tua?- la rimbeccai con un sorriso. Lei fece il segno di cucirsi le labbra e mi guardò, in attesa del continuo della mia storia.
-Ho conosciuto una ragazza ad una festa. Cioè, l’ho vista e ho chiesto alla sua migliore amica di farmici uscire insieme. Siamo usciti e sembrava che tutto fosse perfetto. E poi ha chiamato un ragazzo, che non so chi fosse, e lei mi ha lasciato lì, dicendomi che era troppo importante per lei…- sospirai e l’immagine di Hayley che parlava al telefono, con l’aria sempre più sconvolta e poi decisa mi procurò un gran tuffo al cuore. Alice mi guardò e sospirò, ma non disse nessun “Capisco…” detto magari con voce irritante e piena di compatimento. Le fui grato per quella reazione e per un po’ nessuno de due disse niente.
-Non che fossi innamorato o chissà quanto preso da lei. Ci avrò parlato una mezzora, tre quarti d’ora, però io ero lì a pensare “lei potrebbe essere la ragazza per me” e puntualmente guarda come mi ritrovo, scaricato e con l’autostima a pezzi.- terminai, facendo un largo gesto con la mano, indicando me stesso, la tazzina di caffè e pure il portatovaglioli che Alice aveva risistemato con tanta cura. Lei continuò a guardarmi, studiandomi e leggendo chissà quali cose nei miei occhi.
Mi piaceva quel suo modo tranquillo eppure esplosivo di fare. Era entrata nella mia sofferenza senza chiedermi neanche il permesso, ma la cosa non mi disturbava, o, per lo meno, non mi infastidiva se non faceva la saccente.
-Io dico che dovresti risollevarti. Insomma, lo so che è brutto essere piantati in asso così, ma pensaci. Cosa ti ha realmente fatto, lei? In un appuntamento non ci sono promesse o legami già formati, si esce insieme per conoscersi. Non trovi?- disse lei e io annuii, sconvolto dalla razionalità di quella ragazza. Lei sorrise nel vedermi così accondiscendente e io mi ritrovai a sorriderle in risposta.
-Vedi? Mi sorridi come se niente fosse dopo aver fatto tutta questa tragedia per… com’è che si chiama?- domandò e io continuai a sorriderle, mentre per un attimo il suo volto si sovrapponeva a quello di Hayley e i due sorrisi si confrontavano. Com’erano diverse! Hayley ti sorrideva come se avesse paura della tua reazione, con quella timidezza ma celata e quell’insicurezza che le usciva da tutti i pori, mentre Alice sollevava le labbra sopra le gengive, accattivante, e ti rassicurava pur senza essere eccessiva.
-Hayley. Hayley Core, sì…- dissi e, improvvisamente, Alice iniziò a ridere. Si accasciò sul tavolo e continuò a ridere per qualcosa come tre minuti ininterrotti, mormorando di tanto in tanto il nome di Hayley. Pensai al peggio: che Hayley fosse una con un’orribile reputazione, che fosse lesbica, che avesse già un ragazzo, che abbandonasse tutti così ad ogni appuntamento, che fosse una sfigata, o una ladra o una killer in missione segreta, o una principessina altezzosa o chissà cos’altro.
Alice, finalmente, interruppe il flusso dei miei pensieri frenetici e si degnò di parlare di nuovo, anche se scossa da qualche risatina.

-Hayley Core? Accidenti, Louis, non posso seriamente crederci. Ci credo che è scappata via così. Lasciatelo dire, non avresti avuto speranze. Lo sanno tutti, tutti, che è innamorata persa del suo migliore amico. Che, per caso quello che ha chiamato era un certo Liam?- domandò e io strinsi le labbra, al ricordo della telefonata che aveva rovinato il mio pomeriggio.
-Sì..- ringhiai e lei scoppiò in una risatina, che si spense subito nel vedere la mia espressione. Mi posò una mano sul braccio e per un attimo, quel breve contatto, quella mano piccola e calda, mi fecero bene. Ebbi voglia di stringerle la mano, anzi, di stringere lei tra le braccia e ringraziarla perché nonostante tutto la sua presenza mi faceva bene.
-Povero piccolo Louis. So che è stupido da dire, ma ti è andata meglio così. Se anche per caso lei si fosse messa con te, avreste sofferto come cani entrambi. Lei e Liam sono sempre stati… come dire, sull’orlo di un burrone, per quanto riguardava amore e amicizia. Qualcuno ha fatto anche una scommessa  su loro due…  Davvero, Louis, non c’è niente che avresti potuto fare. Mettiti il cuore in pace, dimenticatela e, se proprio vuoi, fattela amica, ma non sperare in qualcosa di più, fino a quando Liam sarà in circolazione…- continuò, strizzandomi un occhio e allungando una mano fino a toccarmi il naso. Mi ritrassi, un po’ indispettito, e vidi nei suoi occhi un’ombra di delusione che mi fece pentire del mio gesto. La guardai e le sorrisi e borbottai qualcosa che mi permettesse di riparare alla gaffe appena fatta.

-Scusa, ma i capelli sono off-limits..-
-Non intendevo toccarti i capelli, volevo solo darti un buffetto sul naso…- disse lei, un po’ contrita e io allungai la testa verso di lei.
-Fai pure, allora…- esclamai e lei fece un sorriso, non del tutto convinta, prima di sfiorarmi timidamente la punta del naso. Continuai a guardarla e ripensai a ciò che mi aveva detto. Sbuffai, mentre un sorriso mi usciva dalle labbra senza che io potessi farci niente e ripensai che, probabilmente, aveva ragione Alice e che mi stavo comportando decisamente da cretino.
-Tu come la conosci Hayley?- una piccola fitta mi giunse comunque alla bocca dello stomaco, ma mi sforzai di ignorarla, costringendomi a non pensare ad Hayley che mi sorrideva e preferendo continuare a rivedere lei che parlava al cellulare, così presa e così focalizzata su quell’oggetto da essersi dimenticata del resto del mondo, mentre, con voce un po’ tremante, annunciava quel serio e definitivo “Sto arrivando”.
-Andiamo in classe insieme, siamo più o meno amiche. E’ una tipa a posto, davvero, e si fa volere bene, ma non è assolutamente il caso di continuare a sperare che accada qualcosa con lei…- ancora una volta, Alice sembrava essere una sorta di toccasana nel mio cervello incasinato e sembrava anche che la sua mano calda fosse fatta apposta per sciogliere i nodi che si creavano all’interno del mio stomaco, senza darmi tregua.
-Va bene, ho capito il messaggio…- borbottai e la vidi sorridere, mentre tornava al suo posto e lanciava un’occhiata all’orologio. Quel gesto mi fece capire di non essere più desiderato –dopo anni in cui per molti amici sei solo il giullare con cui ridere due secondi e poi da mandare via, avevo imparato a capire quando la gente cercava di allontanarmi senza cacciarmi apertamente- e scostai la sedia dal tavolo, allungando le braccia sopra la testa e cercando degli spiccioli con cui pagare nella tasca dei jeans.

-Aspetta, vai via?- domandò Alice, guardandomi senza riuscire a mascherare un tono deluso.
-Oh. Ehm.. ho visto che guardavi l’orologio e ho pensato che dovessi andare via…- ammisi e lei sorrise –avevo perso il conto di tutte le volte che l’aveva fatto, ormai, ed ogni volta mi sorprendeva con una smorfia un po’ diversa dalle altre- scuotendo la testa e alzandosi a sua volta.
-No, veramente no, è solo che è ufficialmente terminato il mio turno e volevo approfittarne per andare a togliermi il grembiule, facendo finta di aver lavorato attivamente negli ultimi dieci minuti…- disse, facendo una strana smorfia con la bocca e prendendo la mia tazzina ancora piena, assumendo un’aria che fosse abbastanza seria e professionale e scompigliandosi i capelli.
-Mmh, c’est vrai, flirtare con i clienti e consolarli in caso di depressione non è contato come attività lavorativa..- le chiesi, beffardo e lei avvampò.
-Ti prego, il francese no…- piagnucolò lei, senza guardarmi in faccia. Alzai le sopracciglia, curioso e lei si strinse nelle spalle.
-Il mio professore di francese mi odia da sempre e io non vedo l’ora di finire le superiori semplicemente per non doverlo più vedere…-concluse. Io scoppiai in una risata che fece voltare alcuni clienti e chiesi loro scusa con un gesto della mano, prima di tornare a guardare verso Alice, che era ancora rossa ma aveva assunto un’aria piuttosto scocciata.
-In soldoni, non sei in grado di spiccicare mezza parola?- chiesi e lei, coprendosi con l’altra mano, mi mostrò il dito medio, facendomi scoppiare di nuovo a ridere. Era assolutamente incredibile come fosse riuscita a tirarmi su di morale nel giro di niente ed ancora più incredibile era il modo in cui scherzavamo, come se ci conoscessimo da un’eternità.
-Ok, va bene, niente più francese… però tu non hai detto niente sulla mia affermazione di prima..- dissi e lei, che aveva ripreso il suo colorito di pelle naturale, divenne simile ad una melanzana. Era buffissima, eppure allo stesso modo affascinante e mi preoccupai, pensando che sarebbe stato meglio evitare Julie e tutte le sue compagne di classe in futuro, se, conoscendone due, mi ero ritrovato piuttosto cotto di loro nel giro di pochissimo tempo.
-Hai dei filtri nel tuo cervello, o ciò che pensi va dalla tua mente alla bocca in linea diretta?- domandò e io ghignai, notando come mi stesse tenendo testa senza essere antipatica o presuntuosa.
-Però, stiamo diventando aggressivi..- sorrisi e alzai le mani in segno di resa. Lei scosse la testa e la vidi lottare contro se stessa nel tentativo di non sorridere. Mi piaceva il fatto che sorridesse così spesso. Senza neanche volerlo, me l’immaginai a ridere di ogni mia battuta e pensai che sarebbe stato bello, ma bello sul serio, poter condividere con lei la maggior parte delle cose che mi passavano per la mente.
Alice si incamminò verso il bar scuotendo la testa e da fuori la vidi mentre posava il grembiule dietro al bancone, spariva dietro ad una porta e riemergeva con una maglietta bianca al posto di quella gialla, parlottando con una ragazza di colore che la spintonava allegramente. Uscì velocemente e io mi piazzai davanti a lei, continuando a sorridere come un imbecille.
-Ancora qui sei?- chiese lei, ma si vedeva che era contenta di vedermi ancora lì.
-Sissignora. Non ci siamo nemmeno salutati, io non ti ho ancora allungato il mio numero in maniera furtiva scrivendolo sullo scontrino del caffè e tu non mi hai ancora detto sbuffando “E’ stato un piacere tirarti fuori dalla depressione”…- esclamai e lei annuì, arrendendosi al fatto che ci stessi spudoratamente provando con lei.
-D’accordo, facciamo così allora. Io ti offro il caffè, così non devo darti nessuno scontrino dove scrivermi il tuo numero, ma ti dò direttamente il cellulare, così lo scrivi lì salvandolo sotto la voce “Imbecille depresso del bar”…- disse lei, cogliendomi ancora una volta di sorpresa. Fece esattamente ciò che aveva detto e io seguii le sue istruzioni, salvandole però il mio numero come “Imbecille depresso e figo del bar”, cosa che lei notò subito e che accettò con un sorriso divertito.
-Allora… com’era?- chiese, posandosi una mano sotto il mento.
-E’ stato un piacere tirarti fuori dalla depressione- le suggerii e lei annuì, posizionandosi ancora una volta davanti a me.
-Giusto. Allora, Louis, è stato un piacere tirarti fuori dalla depressione…- disse ed entrambi scoppiammo a ridere, a conferma di ciò che aveva appena detto. Un’illuminazione giunse spontaneamente al mio cervello e per un attimo mi sembrò di tenere il mondo in una mano.
-Aspetta un secondo… tu non hai appena finito il tuo turno?- domandai e lei annuì, arrossendo leggermente. Mi morsi un labbro e lei mi imitò, sussurrando un “Beh, e quindi?” che mi fece una tenerezza immensa.
-Allora ti offro io un caffè. Ma in un altro bar, magari. Così puoi scoprire anche i segreti della concorrenza…- esclamai e lei mi sorrise, sbuffando e tirando fuori il cellulare, mentre ci incamminavamo, lei che ogni tanto mi chiedeva qualcosa sulla mia vita e io che le rispondevo inframmezzando ogni frase con una qualche battuta squallida.

Col senno di poi, mi sarei reso conto che è vero quello che ti dicono sempre: l’amore arriva e tu non te lo aspetti. Arriva e ti salta sulla schiena mentre mescoli un caffè freddo, dopo l’ennesima delusione. E si fa portare a bere un caffè in un bar che non è quello dove lavora, sostenendo che sarebbe più buono persino un caffè fatto da una scimmia.
 
 


ALICE’S POV

Non appena tornai a casa, mi stesi sul letto e pregai che Megan, la mia sorellina meravigliosa di appena dieci anni, non venisse a disturbarmi. Ero intenzionata a comportarmi proprio come facevano i protagonisti dei telefilm americani: mi sarei rimpinzata di schifezze, continuando a rivivere nella mia mente le scene più belle della serata, ignorando mia madre che mi chiamava per la cena e preferendo insultare gli amici di Louis che avevano organizzato una pizzata più partita all’Xbox proprio quel giorno.
Ero incredula, del tutto incapace di realizzare quello che mi era appena successo. Era la cotta più istantanea che mi fossi presa, il classico colpo di fulmine nel quale avevo sempre sperato e mai creduto.
Louis Tomlinson si era dimostrato il ragazzo più adorabile, caciarone, simpatico e infantile del mondo e ogni secondo passato con lui non aveva fatto altro che rafforzare la mia idea che fosse il mio ragazzo ideale.
Mi aveva offerto un caffè –quel caffè faceva schifo, si sentiva che usavano macchinette con acqua con troppo cloro- e poi portato a camminare lungo una strada poco trafficata e ricca di portici sotto i quali ripararci dalla pioggia battente, divertendosi a vedermi impazzire davanti ai nuovi vestiti della collezione estiva di Armani –che non mi sarei mai potuta permettere, ma che amavo comunque- e promettendomi che avrebbe comprato gli occhiali identici a quelli di Jonny Depp solo per farmi felice.

Lo squillo del mio cellulare mi riportò alla realtà e per un attimo, un banalissimo attimo, sperai che fosse proprio Louis a scrivermi, nonostante il messaggio “Questo pomeriggio è stato meraviglioso. E comprendo anche la parte che mi ha fatto deprimere, più o meno, perché sennò non ti avrei mai conosciuta. Promettimi che replicheremo, anche se non indosserò gli occhiali alla Depp” me l’avesse già mandato, lasciandomi incapace di formulare una risposta decente.
Invece era un semplice avviso del mio gestore telefonico, che mi avvertiva del rinnovarsi dell’offerta di chiamate gratis. Pensai ad Hayley e a tutte le volte che le avevo rubato interi pomeriggi per farmi aiutare ad imparare a memoria stralci di poesie di Baudelaire e decisi di chiamarla, anche spinta da una certa curiosità riguardante la telefonata di Liam e il suo mezzo appuntamento con Louis.

“Liam, piantala di rompere, Hayley si sta facendo una doccia e vi siete sentiti per messaggio fino a cinque minuti fa…” la voce di Julie, distorta dalla cornetta del telefono, mi fece morire dal ridere.
“Juls?”
“Alice?” il tono della mia amica era sorpreso e titubante e mi immaginai la sua faccia, che doveva essere diventata molto simile ad un pomodoro.
“Mago Merlino! Ahah, santo cielo, Liam e Hayley sono già arrivati a questo punto della loro relazione? Sei già stressata?” domandai e anche Julie rise dall’altro capo del telefono?
“E tu come fai a sapere che si sono messi insieme?” chiese lei, titubante.
“Io so moltissime cose, compreso il fatto che oggi lei è uscita con Louis, piantandolo in asso per correre da Liam…”
“Chi sei, tu, Cassandra?” altro tono sorpreso, ma mitigato da una risatina. Mi stesi per bene, facendo dondolare un piede fuori dal letto e osservando la mia pedicure decisamente da risistemare.
“No, la ragazza che è uscita con Louis questa sera..” esclamai e mi godetti il silenzio dall’altra parte del telefono, soffocando una risata mentre la faccia sconvolta di Julie mi appariva chiarissimamente nel cervello.
“Aspetta un secondo. Hay, smettila di tormentarti per quel poverino di Lou, si è già risistemato, il fanciullo”
“Cosa?”
“Ci è uscita insieme Alice!”
“Passami il telefono, Julie!”

“Alice!” la voce di Hayley, che fino ad allora mi era giunta attutita, risuonò forte e chiara, mentre alle sue spalle udivo Julie che borbottava qualcosa contro lo coinquiline che non si preoccupano di mettere delle ciabatte per uscire dalla doccia.
“Mrs. Payne!” la apostrofai io e sentii chiaramente la risata di Julie, segno che ero appena stata messa in vivavoce.
“Grazie, Ali, tu sei di conforto, proprio. Juls, smettila di ridere…”
“E’ tutta la sera che la chiamo così, Ali, comprendi il suo essere schizzata” di nuovo la voce di Julie. Altra risatina da parte mia, altro sbuffo da parte di Hayley.
Gentilissime entrambe… “
“Fa niente, cara…” sorrisi, mentre sentivo Hayley sbeffeggiarmi dall’altro lato del telefono.
“Piuttosto, tu, cos’è questa storia di te e Louis?” domandò Hay e arrossii istintivamente.
“Niente, l’ho trovato al bar dove lavoro, depresso come pochi e io sono andata a fargli compagnia e a cercare di capire cosa avesse…”
Certo, perché il fatto che sia un bellissimo ragazzo non ha aiutato minimamente la tua causa, vero?” sentii esclamare Julie, supportata dagli “Esatto” di Hayley, che rideva rumorosamente.
“Siete entrambe fidanzate, mi vergogno di voi…” borbottai e loro di nuovo risero, facendo sorridere anche me.
“Non hai negato, Alice…”
“Hay, mi meraviglio di te, che fine ha fatto la mia dolce amica timida e intelligente?”
Liam Payne l’ha soffocata con i suoi baci!” un tonfo. Hayley era decisamente una violenta, quando si trattava di lei e di Liam..
“Wow, spero solo di non diventare zia troppo presto..”
“Sta’ zitta tu, e continua a raccontare…” Hayley era perentoria e sospirai, osservando i disegni di luce fatti sul soffitto.
“Niente, abbiamo iniziato a parlare e a scherzare, lui mi ha detto he eri tu il motivo della sua depressione e io gli ho detto che non doveva nemmeno stare a preoccuparsi, che tu eri cotta e stracotta di Liam e queste cosine qui. E poi abbiamo continuato a scherzare e alla fine, quando ho finito il turno, mi ha invitata a bere un caffè con lui in un altro bar…” dissi e le sentii ridacchiare eccitate e mormorare tra di loro.
E immagino tu abbia rifiutato…” commentò Julie, di sottofondo, mentre Hayley ripeteva una serie infinita di “Sono così contenta per voi”
“Sicuro Juls, che ho rifiutato… sentite, belle fanciulle, vi abbandono che mia madre vuole buttarmi giù la porta della camera per farmi andare a cena… ci sentiamo domani?” domandai, sovrastando il bussare che di punto in bianco aveva sostituito le urla di mia madre, ignorate fino a quel momento.
No, non è che ci sentiamo, domani. Tu domani vieni qui da noi e ci racconti tutto. Tutto, capito?” mi minacciò Julie. Risi, pensando al povero Harry e alle minacce quotidiane che doveva ricevere.
“Stiamo pensando la stessa cosa, vero? Che Julie è una tiranna…” sussurrò Hayley, ridacchiando.
“E non sarà la sola ad esserlo, se tu domani non mi racconterai ogni singola cosa su te e Liam” dissi io, ridendo, mentre aprivo la porta e facevo segno a mia madre di aspettarmi giù.
“Tiranne…” borbottò Hayley, mandandomi poi una buonanotte e un bacio anche da parte di Julie, chiudendo poi il telefono.

Buttai il cellulare sul letto, pensando che quella doveva essere stata la giornata delle meraviglie e poi andai di sotto a cena, dove mio padre mi fece qualche laconica domanda sul lavoro al bar mentre mi serviva insalata e hamburger.
Erano buoni, buoni davvero.
Ma io, nella mia bocca, percepivo solo il gusto di un caffè che sapeva di cloro e sulle labbra la morbidezza di quelle di Louis che sfioravano le mie un attimo prima di lasciarmi sulla porta di casa.
Forse era meglio che non l’avessi ancora detto ad Hayley e a Julie. Decisamente, quella era una cosa che volevo tenere ancora per me, coccolandomela e gustandomela da sola.

Domani, mi dissi.
Domani inizia una nuova era.






Writ's Corner
Tadaaa! Sono dotata di una demenza che è del tutto innata, me ne rendo conto.
Parliamo del capitolo.
Fa schifo. Non osate contraddirmi.
Solo che serviva la storia di Alice e Lou e... beh. Eccola qui.
Sono dolciosi, loro, non trovate?
Una sorta di colpo di fulmine.
Qui si inizia a capire qualcosa di come "scoppia" l'amicizia tra Julie, Hayley e Alice.
Parliamo anche di Liam e Hay (tutti sparlano di loro, poveri cuccioli!)...
Non c'è molto da dire.
Quindi parlerò degli affaracci miei. u.u
*la folla scappa*

Innanzitutto: vi invito a mipiaciare la pagina di fb dedicata alle nostre 10cose.

http://www.facebook.com/10ThingsIDidntGiveToYou?ref=ts

C
i scrivo dentro tante cose carine e pucciose. u.u

Poi.. tutte pronte per il grande annuncio 1D? Sarà a momenti (qui sono le 13:57) LOL
E infine... uhm.
Potete contattarmi anche su Twittah (@Writ96)

Ok.
Basta.

Ps: per l'Ali. Ahahah, tesoro, non essere scioccata dal capitolo. :3

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Capitolo 3
*** Liam/Hayley- Hey, I just met you ***


La scena si ambienta prima del prologo.
Non vi svelo su che cos'è. ;)




HAYLEY’S POV

Quando incontri una persona speciale, di solito, nemmeno te ne rendi conto.
Quella persona ti entra pian piano nel cuore e solo dopo giorni, mesi o addirittura anni capisci quanto sia importante per te.
Ma quando incontri una persona che non solo è speciale, ma che addirittura è fondamentale per la tua esistenza, beh, allora lì è ovvio che tu te ne accorga.
 
Ero sveglia esattamente dalle cinque meno un quarto di mattina, reduce da una nottata praticamente in bianco e le mie tre ore di sonno spiccavano bellamente sulla mia faccia sottoforma di occhiaie decisamente marcate. Mi spostai davanti allo specchio di casa mia, sospirando e sbuffando perché neanche il correttore più potente, quello verde, che in teoria sarebbe dovuto riuscire a mascherare addirittura un succhiotto, riusciva a coprire la linea violacea sotto i miei occhi e posai il piccolo contenitore circolare sull’orlo del lavandino, mentre afferravo la spazzola sperando almeno di riuscire a dare una forma decente ai miei capelli.
Non avevo idea del perché qualcuno avesse ideato quella gita. Era la cosa più stupida che, in quattordici anni di sofferta vita, ero stata costretta a fare: una gita di una sola giornata in occasione di un nuovo museo sulle valigie –sulle valigie, accidenti!- inaugurato da poco in un paese distante due ore di pullman da Londra. Praticamente, avrei passato tutta la giornata in autobus, salvo quei brevi momenti in cui avrei ammirato la forma delle valigie cambiare attraverso i secoli da dietro un vetro antisfondamento.
Non che avessi qualcosa contro le valigie o contro i musei in generale, ma trovavo che tutta l’iniziativa fosse inutile, a meno che gli insegnanti non avessero come scopo quello di farci sbranare l’un l’altro in preda al sonno e all’irritazione di chi ha dormito troppo poco.
Nell’uscire dal bagno mi scontrai con mia madre, che mi squadrò da dietro gli occhiali da vista che usava quando non faceva in tempo a mettersi le lenti, una mano sul fianco sinistro e l’altra che reggeva la mia giacca di simil-pelle nera con impazienza.

-Prova a indovinare...-cominciò a dire e io annuii, prendendo la giacca e sospirando, mentre tentavo disperatamente di far sparire la macchia di mascara che mi era venuta nel bel mezzo della guancia senza un motivo effettivo.
-Siamo terribilmente in ritardo...- mugolai, completando quello che mia madre stava per dirmi. Lei alzò gli occhi al cielo, ma sorrise anche e io corsi a prendere il vecchio zaino malconcio che usavo per tutte le gite. L’assenza di Sam sarebbe stata pesante, lo sapevo persino prima di partire. Ero abituata alla sua presenza in ogni momento della mia giornata, nonostante non trascorressimo tutto il tempo insieme e il pensiero di dover essere in una città lontanissima da lei e incapace di avere la mia piccola via di fuga personale in caso di pericolo mi mandavano in confusione.
Non avevo particolari speranze di divertirmi quel giorno: conoscevo troppo poco i miei compagni per sapere con quali stare e del resto, anche se l’avessi saputo, dubitavo fortemente che sarei riuscita  a legare con loro in una sola giornata.

Salii in  macchina trascinando i piedi per la svogliatezza e per il sonno e soffocai uno sbadiglio mentre tiravo fuori l’ipod e lo rimettevo nella borsa, troppo stanca e scoraggiata persino per ascoltare quel po’ di musica che mi piaceva. Guardai il paesaggio che filava dall’altro lato del finestrino e mi chiesi se la mia vita sarebbe stata sempre così, un guardare il paesaggio e l’esistenza altrui che scorrevano troppo velocemente perché io potessi seguirli o farne parte. Decisi che detestavo i finestrini e, anzi, che il vetro in generale non mi andava particolarmente a genio. Sapevo benissimo che era solo una reazione di insofferenza, dettata dalla stanchezza, dalla poca voglia e dai complessi adolescenziali che già cominciavano ad afferrarmi prepotentemente, ma se avessi potuto avrei preso un martello e distrutto quel sottile vetro che mi divideva dal mondo là fuori e avrei accolto con gioia la ventata di aria gelida che mi avrebbe sferzato il viso.
-Dormi?- chiese mia madre e io negai, scuotendo la testa, mentre mio padre lanciava una risatina che lasciava intendere quanto poco fosse d’accordo con la mia risposta. Mi capitava spesso di perdermi nei miei pensieri, di isolarmi dal mondo e di lasciare che gli altri si facessero un’idea su di me senza che io facessi niente per condizionarla.
-Tengo il telefono in silenzioso, facciamo che vi chiamo io, va bene?- borbottai e mio padre annuì, guardandomi dallo specchietto retrovisore e strofinandosi una guancia per dirmi di pulirmi. Ringraziai che non avesse fatto commenti sul mio telefono, perché se ne avesse fatti probabilmente avrei potuto iniziare ad urlare istericamente. Da due mesi- e senza che ci fosse una ragione precisa per farlo- il mio telefono aveva smesso di avere una suoneria. Non che prima ne avesse una chissà quanto bella ed originale, ma insomma, intanto esisteva. Ora produceva solo una lunga ed inquietante vibrazione per ogni chiamata e mi era capitato di vederlo finire per terra dopo aver saltellato sul dorso lungo tutto il tavolo.
L’avrei cambiato volentieri, se solo non fosse stato un telefono comprato da appena un anno, perciò me lo tenevo così e con il mondo usavo come scusa che preferivo tenerlo sempre acceso ma in silenzioso.

Non tentai nemmeno di ripulire la macchia di mascara e quando scesi dalla macchina era ancora lì, in bella vista, in mezzo alla guancia, sovrastata da una ciocca di capelli che senza alcuna ragione precisa era arrivata da dietro alla testa fino in mezzo alla fronte e con l’aria di chi voleva essere da tutt’altra parte. Mi sforzai di sorridere mentre mia madre mi abbracciava e mi salutava e mi chiesi ancora una volta cosa ci facessi io lì. Anche i miei compagni avevano la mia stessa aria e più di uno era concentrato sul proprio telefonino o Game-Boy ignorando totalmente gli altri o, al massimo, borbottando qualcosa sottovoce a proposito di scambi di armi o di Pokèmons. Una ragazza bionda mi sorrise e agitò una mano nella mia direzione, prima di tornare a parlare con i suoi genitori, gli occhi che si alzavano periodicamente al cielo e le mani svogliatamente infilate in tasca.
La conoscevo, faceva Francese e Letteratura con me e sembrava essere simpatica, nonostante non avesse quel senso dell’umorismo che tanto apprezzavo in Sam. Mi passai una mano tra i capelli, mentre mi sforzavo di pensare positivamente e di sorridere, benchè fosse qualcosa di alquanto stancante e complicato. Lasciai vagare lo sguardo qua e là e vidi un paio di ragazzi che parlottavano tra loro, tranquilli, con degli zaini poggiati ai loro piedi e l’aria di chi sta benissimo là dove si trova.
I capelli biondo scuro del più alto si mischiavano a quelli neri dell’altro e non riuscivo a vederli bene in faccia, ma nonostante ciò ero certa che stessero sorridendo e fossero gli unici a non essere completamente scontenti tra tutta quella gente.
La voce della professoressa Hadkirk mi distolse dai miei pensieri e la vidi mentre stringeva in mano un microfono collegato all’interno dell’autobus, i piedi divaricati e le spalle cascanti in avanti.
Provavo pena per quella donna che si era sforzata di organizzare tutto con così tanta meticolosità e aveva ricevuto così poca gratitudine o felicità in cambio.

-Ragazzi, sono la professoressa Angela Hadkirk e per questa gita mi occuperò di voi insieme al professore Bascard. Come saprete, dal programma che vi è stato distribuito in questi giorni a scuola, andremo a visitare il nuovissimo museo dedicato alle valigie come mezzo di rappresentazione del fenomeno dell’immigrazione. La gita è stata ideata anche per permettervi di migliorare i rapporti con i vostri compagni, una sorta di benvenuto da parte del nostro Liceo. Sappiate che non saranno tollerati atti di bullismo, fughe, persone che tenteranno di nascondersi e maleducati. Ci aspettiamo da ognuno di voi un comportamento corretto e responsabile. Ora prendete posto in autobus e ricordatevi che è vietato mangiare e bere mentre siete a bordo.-

Una massa di studenti, improvvisamente svegli e vispi rischiò di travolgerla, mentre tutti si accalcavano contro le porte automatiche del pullman e si spingevano l’un l’altro per riuscire ad ottenere una posizione migliore. Io rimasi indietro, semplicemente troppo pigra per provare a conquistarmi un posto. Sapevo benissimo che là dove mi sarei messa io –abbastanza avanti, né nel mezzo, né con il fiato sul collo dell’autista- non sarebbe andato nessuno, perciò non avevo fretta.
Entrai inciampando nella moquette logora che c’era sull’ultimo scalino e puntai direttamente ad una coppia di sedili in quinta fila ancora vuoti. Mi sedetti accanto al finestrino e buttai lo zaino sul posto accanto, iniziando a rimestare nella tasca davanti alla ricerca dell’ipod. Mi infilai solo una cuffietta mentre mi guardavo intorno. Delle ragazze avevano portato smalti e limetta per le unghie e tentavano di non farsi vedere dalla professoressa mentre decidevano quale smalto stesse meglio all’una o all’altra, mentre qualche sedile dietro di loro dei ragazzi –tra cui quello moro che prima sorrideva- avevano tirato fuori le carte e si erano messi in maniera di poter giocare. Una coppia si baciava sui sedili in fondo e io distolsi lo sguardo, mentre ripensavo con malinconia al sorriso di Joshua, che tanto mi piaceva e tanto ignorava la mia esistenza. Il ragazzo dai capelli biondo scuro che prima stava con il moro sembrava essere sparito e fu quasi avendo un infarto che scoprii che, mentre io me n’ero stata girata a scandagliare l’interno del pullman con lo sguardo, lui si era seduto vicino a me e ora stava sorridendo nella mia direzione.
Mi portai una mano al petto e lui scoppiò a ridere, la risata coperta in parte dalla voce di Billie Joe Armstrong che cantava a squarciagola in American Idiot. Tolsi la cuffietta con un gesto rapido e ne approfittai per sistemarmi i capelli, che di nuovo mi erano atterrati sugli occhi senza alcuna causa reale.
-Scusa, non volevo spaventarti!- fece lui, con la voce bassa e gentile che si intonava con gli occhi allungati color nocciola. Aveva un bel viso, tondetto e paffuto e un sorriso contagioso, per niente tirato. Il colletto della camicia sbucava da dietro il giacchetto nero di nylon e lo faceva sembrare molto più grande, nonostante i tratti ancora un po’ infantili.
-Ma no, figurati. Ero io che ero sovrappensiero...- dissi, agitando una mano e rischiando di cavargli un occhio.
-Posso sedermi qui?- mi chiese e io annuii, studiandolo mentre buttava uno zaino quasi completamente vuoto sopra il mio. Non sembrava particolarmente a disagio, ma nemmeno uno di quei ragazzi assolutamente sicuri di sé che vanno in giro convinti di poter possedere il mondo. Una via di mezzo, insomma.
-Quindi... anche tu sei ansioso di fare questa gita, eh?- domandai, accavallando una gamba e guardando con astio la gamba del pantalone che si era sollevata e mi scopriva la caviglia.
-Non vedi che fremo all’idea?- scoppiammo a ridere quasi istericamente e per un po’ nessuno dei due disse niente. Il ragazzo stava con la testa appoggiata al poggiatesta, un po’ reclinata di lato e accompagnata da un sorrisetto appena accennato che gli faceva apparire una microscopica fossetta accanto al mento.
-Comunque sia, io sono Liam...- disse, cogliendomi di sorpresa. Gli tesi una mano e sollevai il busto quel tanto che bastava da permettermi di ruotarmi e guardarlo in faccia in maniera decente.
-Hayley.- borbottai e lo vidi annuire, concentrato sulle mie parole. Un sorriso mi sorse spontaneo, forse a rimpiazzare la poca cortesia con la quale avevo appena sputato il mio nome.
-Sei sporca di mascare sulla guancia, comunque....- disse, improvvisamente e io sbuffai, portandomi una mano lì dove c'era la macchia e poi scuotendola.
-Capita spesso, purtroppo...- commentai e lo vidi sorridere, prima di tornare a guardare per aria.
-Non sono un pazzo psicopatico che va a importunare ragazze desiderose di solitudine, semplicemente soffro il mal d’auto e là dietro tutti urlano e saltano. Le carte sono.... un elemento di esaltazione, credo...- spiegò, senza che gli avessi chiesto niente. Pareva quasi che mi avesse letto la domanda nel pensiero, eppure non mi sembrava impiccione, ficcanaso o fastidioso. Aveva quel che di ingenuo che lo rendeva assolutamente piacevole
-Mi sembra logico. Per non parlare della coppia che sembra volersi risucchiare, eh?- commentai e lui alzò le sopracciglia, sfiorando con esse i bordi del ciuffo che gli arrivava sulla fronte. Odiavo sparlare delle coppiette così, sapevo che la mia era tutta invidia e nient’altro, eppure non riuscivo a fare a meno di guardarle e chiedere perché dovessero sbattere la loro felicità in faccia al mondo. Come al solito, mi sembrava di essere indietro, di essere costretta a guardare tutto solo di sfuggita ed essere per questo obbligata, in un certo senso, ad invidiare chi poteva andare avanti velocemente e stare al passo con il mondo.
-Ti giuro, quando la professoressa ha detto “Sappiate che non saranno tollerati atti di bullismo, fughe, persone che tenteranno di nascondersi e maleducati.” pensavo aggiungesse anche “perché la gita è stata organizzata per farvi migliorare i rapporti con i vostri compagni, non per farvene avere di reali”- sussurrò Liam e io iniziai a ridere, chinandomi e rischiando di rompermi il naso sbattendolo contro il ginocchio. Lui cercò di mantenere un contegno serio, ma tempo qualche secondo era già chinato anche lui, scosso da delle risatine incredibili e tremende allo stesso tempo. Quando ci rialzammo, eravamo entrambi rossi, gli occhi lucidi e i capelli scompigliati.
-Potrei ucciderti per questo, lo sai, sì?- mormorai, in direzione della mia faccia ancor più disastrata del solito. Lui si strinse nelle spalle e io gli diedi una botta sul braccio, sconvolta da tutta quella confidenza. Pensai a tutte le situazioni in cui mi ero trovata a contatto con un ragazzo e mi resi conto che mi ero sempre vergognata persino di stringergli la mano. La volta in cui avevo addirittura chiesto scusa a Joshua dopo essergli finita addosso mi ero vergognata tantissimo e mi ero chiesta per settimane se lui non mi avesse trovata terribilmente patetica. Liam, invece, era un altro conto. Aveva qualcosa che mi spingeva ad essere sicura, perché doveva essere una di quelle persone incapaci di pensare male degli altri –per quanto la battutina appena fatta mi dimostrasse il contrario.
-Perdonami, non ti farò ridere mai più e ti lascerò sempre in un mondo di tristezza.- asserì lui e io soffocai un’altra risatina corredata da sbuffo.

Parlammo del più e del meno per tutto il viaggio. C’era, in lui, una semplice allegria mista a timidezza che mi spingeva a non mandarlo via, a non allontanarlo e a non isolarmi. Non avevo idea di come andasse a scuola, che sport facesse o se avesse una ragazza o un particolare gruppo d’amici. Sapevo però che aveva ucciso un pesciolino rosso mettendogli del vino nell’acquario, che una volta era rimasto chiuso in ascensore e quando era uscito avevano scoperto che aveva scarabocchiato tutte le pareti con una matita ritrovata per caso in tasca, che odiava le carte ma in compenso sapeva suonare un paio di canzoni alla chitarra e che il suo piatto preferito era il roast-beef ai funghi. Io d’altro canto gli avevo raccontato di come fossi riuscita a bruciare un intero pacco di tovaglioli tentando di fare un caffè, di quando ero rimasta chiusa fuori da casa ed ero andata alla panetteria lì davanti, strafogandomi di baguettes per un’ora buona e del fatto che mi piaceva fare atletica ma che detestavo con tutto il cuore i lanci.

Quando scendemmo fu con un certo rammarico che notai come lui si fosse diretto immediatamente verso i suoi amici e faticai a nascondere la delusione sul mio volto mentre mi stiracchiavo pigramente e mi guardavo intorno. Gli altri ragazzi sembravano essere contenti e chiacchieravano tra loro ormai perfettamente svegli, facendo risuonare di tanto in tanto qualche risata o strillo che attiravano l’attenzione dei professori. Mi diressi verso un gruppetto di ragazze e, accodatami a loro, le seguii mentre chiacchieravano allegre a proposito di non so quale nuova canzone appena uscita e la canticchiavano, chiedendomi poi se conoscessi il gruppo. Il museo era in cima ad una salita, un edificio basso e tozzo con i muri intonacati di uno strano color senape e il tetto piatto. Nel complesso, niente di invitante.

-Accidenti se è brutto. Non capisco perché la prof sia tutta esaltata...- la voce di Liam mi colse, ancora una volta, di sorpresa e fu con piacere che me lo ritrovai alle spalle, una giacca a vento ripiegata in mano e un paio di occhiali da sole sulla testa, mentre dietro di lui c’era un gruppetto di ragazzi che parlottavano tra di loro. Sorrisi e scossi la testa, scrollando le spalle per evitare che la scatoletta contenente il panino si rovesciasse in maniera tale da piantar misi fra le costole.
-Ma cosa dici, non vedi l’elevato livello culturale che trasudano quei muri?- chiesi, ghignando e Liam si sporse da sopra la mia spalla per vedere meglio. Era più alto di me di dieci centimetri buoni e perciò doveva abbassarsi leggermente per guardare così come guardavo io.
-Tu dici? No, perché a me, da questa angolazione, sembra semplicemente che quell’edificio trasudi una grande tristezza e decisamente pochi visitatori...- commentò e io risi, alzandomi sulle punte dei piedi per guardare meglio. Ci allontanammo l’uno dall’altra dopo qualche istante e io vidi che le sue guance si colorivano leggermente appena sotto gli zigomi.

Una volta terminata la salita, l’edificio si rivelò essere ancora più basso, sgraziato e piatto di quanto non sembrasse da lontano. Liam, tornato dai suoi amici, mi lanciò un’occhiata svelta e io dovetti trattenere una risatina mentre la professoressa Hadkirk ci parlava di come quel luogo fosse “un importante centro di raccolta di dati storici a lungo non visti, un luogo pieno di cultura che solo qualcuno dotato di una certa sensibilità avrebbe potuto notare”.
Io vedevo benissimo come lei stessa cercasse di rimanere seria, mentre ripeteva quelle parole che evidentemente ogni insegnante era obbligato a dire per conferire alle gite un carattere più scolastico e fu dimostrando un grandissimo autocontrollo che mi impedii di scoppiarle a ridere in faccia mentre la seguivamo all’interno. Il museo era piccolo, buio e decisamente afoso e la guida che ci accolse parlava con un forte accento che non riuscivo ad identificare, a bassa voce, strascicando le vocali, mentre ci accompagnava in giro mostrandoci come le valigie fossero passate prima da un materiale cartonato per poi arrivare alle moderne strutture assolutamente leggere. Mi chiesi se mai uno dei proprietari di quelle valigie avrebbe potuto pensare che sarebbero finite lì, in un museo, a essere guardate e toccate da sconosciuti annoiati e una sorta di tristezza mi pervase mentre mi rendevo conto che era davvero così e che tutti noi avremmo visto solo troppo tardi, magari, il vero essere prezioso di qualcosa.
Avvistai Liam e mi avvicinai a lui, un po’ titubante e in silenzio, mentre la guida borbottava qualcosa a proposito di “cartone ricoperto di catrame per garantire l’impermeabilità”. Osservai la schiena di Liam, il suo modo di tenere le braccia un po’ scostate dal corpo e mi venne spontaneo sorridere mentre lo vedevo dare un pugno scherzoso ad un amico accanto a lui. In quel momento si girò e mi vide e si avvicinò a me con quel passo un po’ balzellato che avevo imparato ad associargli.

-Ne vuoi una? Stavo appunto dicendo a Mike che ho sentito dire che le vendono a prezzi molto scontati...- soffiò, indicando con un pollice la valigia alle sue spalle. Cercai di mantenere un’espressione seria e feci il gesto di aprire il portafogli, mentre Liam mi guardava confuso.
-Quanto hai detto che costa, scusa?- replicai sottovoce:- Sai, non vorrei perdermi il modello della quattrocentultima collezione...-
Il professor Bascard si girò e ci fulminò con lo sguardo e io arretrai, andando a sbattere contro una ragazza dall’aria scorbutica che brontolò uno “Sta attenta!” abbastanza scocciato. Liam si era già di nuovo girato verso i suoi amici e io non avevo voglia di tornare lì a disturbare e a fare la figura della stupida disadattata, perciò me ne tornai là dove ero stata fino a poco prima e aspettai, impassibile, che tutte le spiegazioni fossero terminate. Mentre uscivamo accolsi con felicità il refolo di aria gelida che arrivava dallo spiraglio della porta non ancora intasato di ragazzi ansiosi di uscire fuori e sospirai, soddisfatta.

La discesa fu piena delle chiacchiere che nel museo erano state in parte trattenute e mi lasciai trascinare da esse, mentre la ragazza bionda del corso di Letteratura –avevo scoperto che si chiamava Julie- mi travolgeva con una marea di parole riguardanti il fatto che doveva ancora fare i compiti ma che sarebbe tanto voluta andare a fare un salto nel nuovo negozio di abbigliamento aperto appena vicino allo Starbucks a cinquecento metri da scuola. Una volta arrivati al pullman, Julie si dileguò con un sorriso e mi disse che a scuola avremmo parlato meglio. Mi sedetti al posto di prima, guardando fuori dal finestrino mentre gli ultimi ragazzi ritardatari salivano, infilando con circospezione la lattina di Coca o un pacco di biscotti presi nel bar vicino al museo dentro agli zaini o alle borse. Cercai Liam con lo sguardo e lo individuai che rideva insieme agli amici di prima che si avvicinava all’entrata del pullman. Istintivamente sorrisi e allungai una mano per togliere la borsa dal sedile vicino al mio, sperando inconsciamente che si sedesse di nuovo lì vicino a me. Fu con una certa delusione che lo vidi oltrepassarmi senza neanche degnarmi di un’occhiata e sbuffai, dandomi della stupida e raccogliendo la borsa per cercare l’ipod senza nemmeno tentare di dissimulare la tristezza e infilandomi stizzita le cuffiette nelle orecchie.

-Hai deciso che i Green Day sono più interessanti di me?- chiese Liam, buttandosi con malagrazia sopra la mia borsa e attirandosi un’occhiata stupita e scocciata insieme da parte mia. Scossi la testa e iniziai a tirare il manico della borsa in modo da sfilargliela da dietro la schiena mentre lui si sistemava più comodamente, scrollandosi e buttando la testa contro il poggiatesta.
-Non sono i Green Day, sono i Beatles .- risposi e lo vidi sorridere, mentre mi canzonava con lo sguardo e mi dava una botta sul braccio con una mano. Sorrisi a mia volta e lasciai perdere le cuffiette, mentre mi giravo nella sua direzione e lo guardavo strizzandogli un occhio.
Lui infilò una mano dentro allo zaino e tirò fuori una lattina di Fanta, sventolandomela sotto il naso.
-Sei pazzo?- chiesi, ridendo, portandomi platealmente una mano sul cuore.
-Ho sete!-
-Se ti vedono....-
-...Dirò che dovevo prendere una tachipirina...-
-Ma non sei malato!- la risata mi uscì spontanea, così come tutte le battute che ci eravamo scambiati fino a quel momento. Liam aveva quell’effetto su di me, quello di rendermi felice e allegra, diversa dal solito, priva della mia caratterizzante timidezza.
-Certo che sono malato! Tu pensa che scelgo volontariamente di starti vicino in pullman!- ridacchiò e io sorrisi, sbeffeggiandolo, mentre alzavo gli occhi al cielo con divertimento.
-Che fai, mi offendi già?- chiesi e lui abbassò lo sguardo, facendo pendere il labbro inferiore e poi rialzando gli occhi per guardarmi da sotto in su. Con il tempo avrei imparato a conoscere quello sguardo e a riderci su e basta, ma in quell’attimo sentii la tenerezza che premeva sul mio petto, che prendeva e mi impediva di non sorridere come un’ebete.
Fu un istante e io mi ero già allungata ad abbracciarlo e mi ero ritratta subito dopo con un labbro tra i denti e l’aria particolarmente impacciata.
-Se io ti offendo e tu mi abbracci non voglio pensare a cosa farai quando ti farò un complimento!- ridacchiò lui e io sorrisi, sentendomi abbastanza stupida.
-Quindi sei sicuro che un giorno mi farai un complimento, eh?- domandai e lui annuì con foga.
-Assolutamente. Sono sicuro che continuerò ad offenderti e a farti complimenti ancora a lungo!- esclamò, l’aria sicura e un sorriso adorabile sulle labbra.
-Ne sei così certo?- chiesi, continuando a sorridere e accavallando le gambe cercando di non urtare il sedile di fronte. La lattina di Fanta era ancora in mano di Liam, leggermente inclinata verso il basso e con la condensa tutta intorno all’involucro di alluminio. Spostai lo sguardo da quella e vidi che Liam era concentratissimo, la mascella contratta e le sopracciglia un po’ aggrottate.
Lui si rilassò e mi fissò, sorridente. Aveva l’aria di un bambino felice e pacifico, contento della sua vita e di ciò che vedeva. In tutti gli anni che sarebbero seguiti non mi sarei mai dimenticata di quella faccia, quella faccia convinta e decisa e allo stesso tempo tenera.

-Certissimo. Ti prometto, Hayley, che non ti libererai da me molto facilmente.-
 
 






Writ's Corner
Salve Popolo!
Sapevo di avervi promesso un capitolo su Niall, ma sono una vecchia e lenta bacucca e ho preferito scrivere questo (mettendoci, tra l'altro, secoli)
Spero vi siano piaciuti i nostri protagonisti così piccolini e spaventati.
Ho cercato di renderli più IC possibile, ma mi rendo conto che probabilmente sarò stata un completo disastro.
Ci ho infilato, comunque, anche quella macchitta di mascara che ormai avete imparato a conoscere.
Ho cercato di ricordare come fossi io in primo superiore, ma onestamente è stato un po' difficile dopo due anni ricordarselo perfettamente (lo ripeto, sono una vecchia bacucca).
Comunque sia, non ho niente contro le valigie... piuttosto, contro le gite inutili e imbarazzanti sì.
So che vi avrà fatto schifo e giuro che sarò un po' meno lenta la prossima volta.
Come al solito, spero di ricevere da voi suggerimenti e consigli.
Un bacione 
Writ


Ps: Vi faccio un angolino Pubblicità:
La mia OS Sempre con Liam protagonista:  Disney Addicted
L
a mia OS su Harry Potter e i Malandrini: I don't forget you
L
a pagina Facebook ispirata alla serie di 10 things: 10 Things I Didn't Give To You

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Capitolo 4
*** 4. Niall/Sarah- Love never lasts ***


La scena si ambienta durante l'ottavo capitolo (quello della festa, tanto per dire).
Finalmente il nostro Niall, non siete contente?
Sappiate che ho faticato come una bestiola ed è pure venuto OOC. E la sua dolce metà... ah. Ditemi poi se vi ho stupite <3







NIALL’S POV

Ci sono volte, nella vita di un uomo –e parlo di uomo nel senso di individuo maschile, non di essere umano- in cui uno vorrebbe solo prendere qualcuno e tirargli un pugno nello stomaco. Sono piccoli attimi di violenza che spesso prendono proprio le persone che non ti aspetteresti mai prendessero, ma per fortuna, solitamente, si esauriscono dopo poco.
Solitamente.

Erano esattamente diciotto minuti che avevo voglia di uccidere Zayn. Sarebbe stato comico quando si fosse trattato del diciannovesimo minuto del giorno del mio diciannovesimo compleanno che mandavo mentalmente a quel paese la diciannovesima persona che mi chiedeva come mai avessi organizzato quella festa così figa e così poco consona al mio stile, ma purtroppo ero ancora a diciotto minuti e le persone che mi facevano quella stupida domanda non volevano essere solamente diciannove.
Cosa volessero dire con quel “così poco consona al mio stile” dovevo ancora capirlo, a dire il vero. D’accordo, magari non organizzavo sempre feste con più di venti invitati e, d’accordo, magari non sempre c’era un Dj particolarmente capace alla consolle, ma c’era pur sempre della musica decente, diversa dai soliti bassi monotoni e ripetitivi che si sentivano alle altre feste, e anche la quantità di alcool che circolava non era mai troppa. Quindi, non capivo perché il semplice fatto che la festa fosse un po’ più in grande del solito dovesse essere etichettato sotto “cose non nello stile di Niall”.

Vidi Zayn che, da lontano, mi salutava sorridente con una mano alzata e un bicchiere nell’altra e scossi la testa prima di dirigermi verso di lui. Ancora c’era poca gente e quindi mi era facile passare indisturbato.
-Niall! Allora, questa festa? Ti piace? Ti ispira? La trovi troppo diversa dal tuo solito stile?- esclamò Zayn, un sorriso smagliante e malizioso allo stesso tempo stampato in faccia, gli occhi che brillavano come ogni volta che faceva qualcosa che lo mandava su di giri.
-Zayn! Cosa diavolo vuol dire “troppo diversa dal mio stile”? Sei la...- mi misi a contare mentalmente per un attimo e notai come Zayn avesse iniziato a ridacchiare- ventesima persona che me lo dice e potrei ammazzarti per questo...-
-Sembri uno di quegli attori da filmetti di serie b quando fai queste scene melodrammatiche, lo sai? Molto poco virile...- commentò lui, continuando a sorridermi e sporgendosi un attimo per battere il cinque ad un ragazzo che era appena passato in compagnia di una mia compagna di classe.
-E’ il mio compleanno, oggi, puoi evitare di darmi della checca, almeno...- mi lamentai e lui si portò una mano sul cuore, sbattendo le ciglia e mimando uno “scusa” molto poco convinto con le labbra.
-E comunque sia, devi ancora spiegarmi cos’ha questa festa di diverso da quelle che di solito sono nel mio stile.- continuai e lo vidi sospirare, mentre prendeva un sorso di quella che avevo appurato essere, almeno all’apparenza, Coca-Cola dal bicchiere.
-Niall, Niall, Niall. Questa festa ha di diverso dal solito che è una festa!- esclamò lui e io iniziai a tossicchiare, guardandolo sconvolto. Benchè mi fossi aspettato una risposta come quella, dovetti trattenermi per non prenderlo a pugni. Di nuovo. Quella festa mi stava trasformando in un manesco.
-Ma se organizzo tutte le feste con te! Andiamo, cosa c’è di diverso dal solito? Un po’ di gente in più e basta!- urlai e Zayn scosse la testa di nuovo. Sembrava di essere capitati in uno di quei programmi di MTV dove lo sfigato di turno viene aiutato da un Life Coach ancora più sfigato a diventare il popolare di turno.
-Un po’ di gente fra la quale sono comprese anche delle ragazze, amico.- spiegò flemmatico Zayn, facendo sì che fossi io a sospirare quella volta.
-Sai bene perché non invito ragazze di solito, Zayn...-
-Oh certo. La ragazza che ti ha spezzato il cuore un anno fa per colpa della quale hai smesso di frequentare ogni altro individuo di sesso femminile. Andiamo, Niall. Un conto è starci male. Un conto è chiudersi nella propria vita tornando a quando avevi dodici anni, ignorando ogni altra possibilità.- mi riprese Zayn, spingendomi leggermente all’indietro con una mano. Storsi la bocca in una smorfia e ci misi qualche istante a rispondere.

La verità era che, dopo Nathalie, non avevo più avuto voglia di distruggermi in quel modo. Per un diciottenne, un anno e tre mesi insieme sono una quantità decisamente grande di tempo e venire a scoprire che per lei era tutto finito semplicemente perché non voleva che io fossi l’unico uomo della sua vita mi sembrava una cosa così stupida e così infantile, nel suo tentativo di sembrare grande, da schifarmi per molto tempo. Non dicevo che ogni ragazza fosse così, ma per come ero fatto io –uno che una volta che si affezionava voleva una storia seria e matura- era meglio aspettare un po’, piuttosto che lanciarmi in una sequela di storielle senza senso e senza sentimento. Ero uscito con delle ragazze, magari, ma non ero mai andato troppo oltre e Zayn non perdeva occasione di dirmi quanto fossi stato idiota a fare una cosa del genere.

-D’accordo, magari mi sono un po’ chiuso in me stesso, però non vuol dire che le feste che organizzo di solito sono uno sfacelo. No?- domandai, retorico. Zayn non rispose e io sbuffai nella sua direzione.
-Ho detto, no?- ripetei e lui annuì, quasi mi stesse facendo un grandissimo favore. Mi fissò per qualche istante e poi scoppiò a ridere, battendomi una mano sul braccio.
-Dovevi vedere la tua faccia, Horan. Sembrava ti avessi appena preso a pugni. Sto scherzando, comunque. Semplicemente, questa festa è un po’ più grande delle altre...- mi disse Zayn e sorrisi, non del tutto convinto del fatto che stesse scherzando. Di solito era uno di quelli che se dovevano dirti la verità lo facevano, anche se magari moderando un po’ le parole. Un buon amico, ma anche un discreto e allegro rompipalle certe volte.
-D’accordo. La tua ironia ha ancora una volta sconfitto i miei poveri neuroni. Mi dispiace di non esserne all’altezza, Malik.- lo presi in giro e in risposta ottenni una sorta di abbraccio che mi lasciò per qualche istante interdetto.
-Zayn?- chiesi, titubante, mentre lui non accennava a staccarsi da me.
-Zayn!- urlai poi staccandolo da me e guardandolo mentre ghignava malefico.
-Scusa, ma la conversazione era iniziata da checche isteriche e volevo farla finire nello stesso modo...- mi rispose, schivando poi il mio pugno, che era diretto al punto d’intersezione dei muscoli del braccio, lì dove, anatomicamente parlando, doveva fare più male.
-Ma fottiti!- gli urlai dietro e lo lasciai lì che rideva da solo come uno scemo.
Rompipalle alcune volte, certo.
Meglio correggere con i nove decimi del tempo.
 

La festa era appena iniziata e ogni due secondi si avvicinava qualcuno per farmi gli auguri, borbottare qualcosa sulla grandiosità della festa  e andarsene contento verso il tavolo dei drink. Mi asciugai la fronte con una mano e mi guardai intorno: qualche ragazza carina stava ballando poco lontano da me ed io fui molto tentato di andare lì a ballare con loro.
Era il mio compleanno, del resto. Era normale che ballassi con loro, no?
Stavo davvero per farlo quando sentii una mano sul mio braccio e mi girai spaesato, pronto ad affrontare l’ennesimo invitato e gli ennesimi auguri.

Mi ritrovai davanti invece un sorriso che ricordavo davvero bene, nonostante gli anni, e una massa di capelli rossi che difficilmente avrei potuto scordare.
-Niall?-
-Sarah?- la salutai, gli occhi spalancati che correvano lungo il suo volto alla ricerca di dettagli che non mi sembrava di aver mai dimenticato. Ero incredulo e difficilmente sarei riuscito a formulare un pensiero decente in quel momento. E’ normale, del resto, quando ci si trova davanti la ragazza alla quale si è andati dietro per anni  e della quale si è stati anche piuttosto amici senza mai avere il coraggio di dirle ciò che si provava, no?
-Oh accidenti, ma che ci fai tu qui?- mi chiese e io spalancai ancora di più gli occhi. Oh bella. Questa domanda aveva appena raggiunto la vetta della classifica “Facciamo la domanda più stupida del secolo a Niall Horan”.
-Ehm, ci festeggio il mio compleanno?- domandai e lei si portò una mano davanti alla bocca, prima di scoppiare a ridere e avanzare per abbracciarmi.
-Avresti dovuto vederti. Eri tipo “Ho appena scoperto di essere una donna, oh mamma, questo è un problema”- esclamò lei, la voce soffocata a causa della bocca premuta contro la mia spalla.

Ecco, questa era Sarah. Poteva sembrare dolce e carina e forse anche innocente, ma era una di quelle ragazze così sarcastiche che facevano di quelle battutine in grado di ucciderti l’autostima. Era stato anche questo uno dei motivi per cui non mi ero mai dichiarato a lei: avevo troppa paura di sentirmi rispondere con una di quelle battutine ed essere deriso per tutta la vita. Il che, per una persona timida come me, non era esattamente il massimo dell’ispirazione.
-Vedo che non sei cambiata...- brontolai e lei per tutta risposta allontanò il viso dalla mia spalla e mi scoccò un bacio sulla guancia, che mi lasciò più interdetto di tutte le altre cose.
-Scusami, ma mi era mancato troppo vederti arrossire sconvolto...- commentò e io scossi la testa, mentre mi allontanavo dall’ingresso e raggiungevo il centro della sala, troppo sbigottito per parlare. Sarah sarebbe potuta sembrare irlandese per quei capelli rossi e la pelle bianca, ma era inglese al 100% e l’unica spiegazione che dava a quella sua chioma rosso fuoco era che il mondo aveva voluto avvertire la gente di starle alla larga. Se anche fosse stato così, dubitavo che avesse funzionato: era una di quelle ragazze piene di amici, socialmente attiva in tutto quello che esisteva, brava in ogni possibile sport e ancor più incredibile nel mostrarsi seria e pacata.

Eravamo andati a scuola insieme per un periodo ed eravamo diventati amici in poco tempo, poi lei aveva cambiato scuola e io non l’avevo più vista né sentita, benchè fossimo nell’era di Facebook, dei cellulari e di tutte quelle cose lì. Me ne stavo amaramente pentendo, in quel momento, visto e considerato che sembrava essere rimasta esattamente uguale a prima, cioè a quando ero follemente innamorato di lei.
-Sempre la solita vipera falsamente irlandese, vedo...- la presi in giro e lei, in tutta risposta, mi diede un pugno sul braccio.
-Cosa vuoi, ho detto falsamente!- replicai e lei sorrise, angelica, le labbra incurvate all’insù e il naso un po’ arricciato.
-Sarà meglio per te, Horan!- borbottò. Partì Sorry For Party Rockin’ dei Fun e io iniziai a ballare un po’ sul posto, imitato immediatamente da Sarah, che mi guardava come se non mi vedesse da un sacco di tempo.
-Allora, cosa mi racconti?- le chiesi, avvicinando il mio volto al suo. Sentii un po’ del suo profumo, diverso da quello che ricordavo, che tuttavia mi inebriò totalmente e mi ricordò quanto fosse pericolosa per me la sua vicinanza. Era facile parlarle se si trattava di scherzare, ma sapevo che sarebbe arrivato il momento dei discorsi profondi, quello in cui lei mi avrebbe stupito e sarebbe caduta tutta l’immagine che si costruiva di solito. Sarah non era sciocca o semplicemente ironica come poteva sembrare, ma lei preferiva riservare l’immagine dell’altra Sarah, come la chiamava lei, alla gente di cui si fidava e con la quale aveva un rapporto profondo. Tipo me, anche se era assurdo.
-Niente. Mi sono messa con un ragazzo...- iniziò e io faticai a dissimulare la delusione che mi colse. Era ovvio che stesse con qualcuno, più che normale. Del resto anche io ero stato con qualcuno, quindi, dove stava il problema? La verità era che la cosa mi faceva comunque male, perché era come essere stato rifiutato da lei senza neanche essere riuscito a provarci e non era per niente divertente.
-...ma ci siamo lasciati un mesetto fa. Era diventato insopportabile, tutto il tempo a dirmi che cosa dovevo fare, quali dovevano essere i miei programmi e cose così. Secondo lui, ero troppo.. uh, credo libera di avere una vita sociale. Che idiota, eh? E tu, che mi racconti?- concluse lei, con il potere di farmi tornare a sorridere in neanche un nanosecondo.

Scossi le spalle e per un attimo fui tentato di inventarmi mille e mille storie, più o meno importanti, giusto per non dimostrarle che ero stato con le mani in mano, esattamente come avevo fatto nella realtà. Ma alla fine mi ricordai che era Sarah quella con cui stavo parlando, la solita tipa particolarmente rompiscatole ma anche terribilmente capace di individuare una bugia in un mazzo di verità. Era per questo che le sue battute erano così efficaci: sapeva benissimo dove colpirti, lo sapeva con una precisione quasi analitica, e per questo non sbagliava un colpo.
-Eh. Sono stato con una per un bel po’ di tempo, però poi lei mi ha lasciato per una causa davvero stupida e quindi... sono stato un anno nel vasto e desolato oceano dei single...- borbottai e lei corrugò la fronte, aprendo la bocca per rispondermi. In quel momento alle sue spalle apparve l’amica di Zayn, Hayley, e mi salutò da lontano, agitando la mano senza avvicinarsi. Vicino a lei, con un braccio mezzo alzato, c’era Liam, l’amico idiota di Zayn, che mi aveva raccontato tutti i retroscena e le microscommesse che aveva fatto alle spalle di quei poveri ragazzi. Risposi al saluto di Hayley e agitai un braccio verso Liam, dopodiché tornai a concentrami su Sarah, che mi guardava attenta, un labbro fra i denti, le braccia leggermente distaccate dai fianchi e le mani un po’ contratte a mezz’aria. Mi tornarono alla mente i ricordi dei pomeriggi passati a studiare a casa sua, pomeriggi in cui di quattro persone che eravamo forse mezza era sana di mente, e neanche totalmente. Non avevo mai visto il mio essere timido come un ostacolo nelle relazioni sociali: avere Sarah prima e Zayn poi come amici significava avere sempre qualcuno che catturasse l’attenzione su di sé, distogliendo quella generale dal povero biondo che si impappinava nelle presentazioni. Con loro era più facile entrare nei giri di amici, e una volta entrato nei giri di amici, potevo quasi sembrare una persona normale, in grado di sostenere una conversazione come tutti. Sarah adorava farmi arrossire: diceva che così sembravo uno di quei putti degli alberi di Natale e si metteva a ridere da sola, sostenendo che magari ero un putto un po’ fuori misura.

-Quella che hai appena salutato era lei, vero?- mi domandò all’improvviso e io fui distratto dai miei pensieri riguardanti putti un po’ troppo cresciuti e alberi di Natale piegati sotto al loro peso.
-Helk, che fai, mi perdi colpi? Un tempo non avresti fatto un errore del genere!- esclamai, ridendo e avvicinandomi un po’ di più a lei, che sorrise furba, notando il gesto, senza però ritrarsi.
-Veramente volevo vedere se ti ricordavi il mio cognome e se ti ricordavi i vecchi tempi... prova superata, Horan...- si inventò lei sul momento e, dopo avermi guardato qualche istante negli occhi, scoppiò a ridere, appoggiandosi poi a me per evitare di cadere dai tacchi non troppo bassi che si era messa. D’istinto l’abbracciai, consapevole al massimo di essere arrossito fino alla punta dei capelli, ma non mollai la presa nel sentire che la canzone cambiava e diventava leggermente più lenta.
-Niall, che fai, mi porti su un letto?- domandò lei, la voce sovrastata dalle ultime note della canzone. Mi allontanai da lei di botto, registrando le sue parole e il loro possibile significato. Scossi la testa e la vidi guardarmi preoccupata.
-Come?- chiesi poi, titubante.
-Dicevo, mi porti su un lento?- ripetè lei, la voce di nuovo udibile sopra le altre note. Mi dovetti trattenere per non sospirare sollevato e attesi qualche istante prima di stringerla nuovamente a me, le guance che sapevo essere ancora rosse e gli occhi che quasi lacrimavano per lo sforzo di non ridere.
-Niall.- disse, perentoria –Niall, ti sento vibrare. Perché stai ridendo?-
Avvicinai il viso al suo orecchio e il suo profumo mi invase nuovamente l’intero apparato olfattivo, lasciandomi per qualche istante incapace di pensare.
-Se mi aspetti, vado a prendere qualcosa da bere e poi andiamo un secondo fuori, così ti racconto per bene.- le dissi, lasciando che le mie labbra le sfiorassero l’orecchio. Lei annuì e io mi allontanai, leggermente, aspettando che la canzone terminasse.
Dentro al petto, il cuore rombava sovrastando tutti i bassi del nuovo pezzo.
 


SARAH’S POV

Non sapevo esattamente come mi fossi ritrovata a baciare Niall.
Un attimo prima, ne ero certa, stavamo semplicemente discutendo di quanto fosse pervertito lui nello scambiare le parole letto e lento, e l’attimo dopo io ero lì, una mano che sfiorava la sua sopra il gradino dietro alla casa e l’altra che stringeva il bordo del vestito.
Sembravo stupida in quel momento, impegnata a discutere con me stessa e al contempo a baciare quel ragazzo meraviglioso, ma la verità era che non riuscivo mai a spegnere il cervello, soprattutto nelle situazioni in cui invece pensare era l’ultima cosa che avessi voglia di fare.
Premetti ancora leggermente le mie labbra su quelle di Niall –che per fortuna non sapevano di alcol, una nota più che positiva in una sinfonia di note positive- e poi mi staccai, lasciando il naso poco distante dal suo.

-Credo che tu mi piaccia ancora. Cioè, credo che tu mi sia sempre piaciuta, e che... Oh, insomma. Mi piaci e basta, d’accordo?- farfugliò lui, arrossendo in una maniera così adorabile che fui tentata di chiedergli di sposarmi seduta stante. Lo guardai negli occhi, decidendo che da quel giorno l’azzurro cielo era il mio nuovo colore preferito, e poi mi allontanai ancora un po’, per poter rispondere più tranquillamente.
-Si, beh, sai. Penso proprio che mi piaccia anche tu, vista la fatica che ho fatto per scoprire che oggi avresti fatto una festa....- spiegai, facendogli un occhiolino e baciandolo a stampo di nuovo.
La verità era che quando il nome di Niall mi era casualmente ricapitato sotto gli occhi nella lista di compleanno di Facebook non ero riuscita ad evitare di pensare con una fitta di nostalgia a quando, insieme, studiavamo prima di un compito in classe sdraiati sul tappeto color magenta del mio salotto. Praticamente tutto il mondo aveva intuito, all’epoca, che lui mi piaceva, ma se per una quindicenne timida dichiararsi è un’esperienza traumatica, per una quindicenne che di solito pensa a tutto meno che all’amore è ancor più traumatica. Niall era dolce, carino, simpatico, timido. Avevo paura che mai sarebbe riuscito a farsi piacere una come me, che di timidezza ne sapeva solo per sentito dire.

Quando mi ero trasferita ed avevo scoperto, tramite il mio ex ragazzo, che lui si era innamorato di me, mi ero sentita piuttosto stupida e cieca, cosa che, effettivamente, ero. Ma almeno c’era stata un’evoluzione in positivo, visto che ora lo stavo baciando seduta su un gradino sconnesso fuori dalla villa che ospitava la sua festa di compleanno, no?
-Penso che dovrei darti delle spiegazioni, insomma, io...- cominciò lui, staccandosi da me e guardandomi sottecchi. C’era quel suo modo di fare, quel suo guardarmi così, un po’ titubante, un po’ intento a studiarmi, che mi faceva letteralmente impazzire.
-No, direi di no. Te ne devo anche io, quindi penso che sia meglio lasciare che finisca questa serata e poi riparlarne domani con calma...- lo zittii e lui annuì, sorridendo imbarazzato e avvicinandosi a me. Sentivo la sua mano che mi sfiorava la schiena e istintivamente mi lasciai andare all’indietro per appoggiarmi contro il suo braccio. Peccato che il braccio non ci fosse e che io fossi appena caduta all’indietro, dando una considerevole schienata contro una strana fioriera che suonò minacciosa quando la colpii.

-Ahi...- mi lamentai e Niall iniziò a ridere, piegandosi in due e non riuscendo a guardarmi.
-Che c’è?- domandai, irritata.
-Sei una pazza!- esclamò, trascinando anche me nella sua risata. Mi buttai davvero addosso a lui, questa volta, e lasciai di buon grado che mi accarezzasse la schiena con una mano.
-Io? Pazza è una che c’è dentro, piuttosto. Prima sono andata da un ragazzo, uno riccio, che ho visto hai salutato mentre andavi a prendere da bere e insieme a lui c’era la sua ragazza. Gli ho chiesto se ti aveva visto e quando mi sono allontanata lei mi ha guardata stile “Adesso ti ammazzo e poi faccio un gonnellino hawaiano con il tuo scalpo”...- raccontai, ancora traumatizzata dall’esperienza. D’accordo, magari mi ero avvicinata troppo al riccetto, ma era perché la musica era troppo alta e io non riuscivo nemmeno a sentire la mia stessa voce. Scossi la testa e vidi che Niall mi guardava sorridendo.
-Che c’è? Non mi credi? Aveva uno sguardo pessimo, te lo giuro!- esclamai, di nuovo. Lui posò la testa sulla mia e quel minuscolo gesto ebbe lo straordinario potere di calmarmi.
-Ti credo, ti credo... E’ solo che... ah, non sei cambiata di un’acca. Non che sia un male, ovvio!- specificò poi lui, staccandosi e guardandomi. Teneva le labbra un po’ socchiuse e io non vedevo l’ora di baciarlo di nuovo e al diavolo tutto. Ma prima c’era una cosa che volevo dirgli.

-Veramente di un’acca sono cambiata eccome. E non solo di un’acca. Anche di una o, di una erre, di una a e di una enne...-
 





Writ's Corner
Ecco qui. Mi avevate richiesto in tanti il capitolo di Niall, così io l'ho scritto e.... è venuto un vero schifo.
Niall non sembra Niall, quanto piuttosto un demente effemminato e Sarah... una psicopatica (più o meno lo è, ma, nella mia testa, è anche simpatica e allegra) melensa alla fine (ditemi che avete capito il gioco di parole!)
Comunque sia, ci ho provato.
Ho fatto Sarah diversa dalle solite fidanzate che vengono "assegnate" a Niall. L'ho fatta piuttosto esuberante, una di quelle tipe che fanno sempre battutine ma ti capiscono subito. E' l'opposto di Niall, diciamo. E per quanto riguarda l'innamoramento, ho deciso che erano innamorati già da prima. Le condizioni in cui si baciano, ciò che succede precisamente non lo descrivo. Vi lascio i contorni.
Sperando che abbiate gradito almeno la buona volontà...
Un bacione

Writ

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