(I've Had) The Time Of My Life

di F l a n
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Walk Alone ***
Capitolo 2: *** All In All ***
Capitolo 3: *** Runaway ***
Capitolo 4: *** Incomplete ***



Capitolo 1
*** I Walk Alone ***


Titolo: (I've had) The time of my life
Betareader: nessie_sun
Rating:
dal G al R+ (possibili variazioni) (ergo: dal verde all'arancione)
Pairing:
Klaine, Finchel, Faberry, Pezberry (probabilmente friendship), accenni Brittana.
Avvertimenti:
Spoiler sulla 4° stagione, break-up iniziale, angst
Note:
ebbene sì! Sono tornata con una nuova fanfiction. Il titolo viene dalla celebre canzone del musical "Dirty Dancing". C'è bisogno che ve la linki? chi non la conosce?
Questa fic infatti - credo - avrà "una canzone a capitolo", o meglio, ci sono canzoni che mi ispirano, le quali daranno i titoli ai capitoli.
Mi ero ripromessa di pubblicarne 3 diverse prima di questa (che stanno tutte scritte nel mio pc, perlomeno parzialmente) ma gli ultimi spoiler mi hanno dato l'impulso per cominciare questa nuova long che sento molto "libera" e grazie alla quale sono uscita dal mio periodo di blocco-scrittura.
Mi ero ripromessa di tornare con una commedia, ma purtroppo questa fanfiction perlomeno inizialmente di commedia ha ben poco.
Ci terrei a sottolineare che questa è una mia personale e molto libera interpretazione degli spoiler sulla quarta stagione, non ho una linea precisissima da seguire ma so più o meno dove andare a parare.
Spero che comunque gradiate la fanfiction e vi godrete la lettura.

Ci vediamo a fine capitolo!


Chapter 1: I Walk Alone


"My shadow's the only one that walks beside me

My shallow hearts the only thing that's beating
Sometimes I wish someone out there would find me
'Til then I'll walk alone..."




Il cielo di New York era plumbeo sopra la testa di Kurt e piuttosto fastidioso per gli occhi, ma sembrava rappresentare il suo stato d’animo alla perfezione.
Non c’era niente di meraviglioso in quella giornata: né gli imponenti palazzi intorno a lui, né le pubblicità a schermo appese su ogni palazzo e nemmeno i poster dei musical di Broadway.
Provava solo un forte senso di malinconia mentre si trascinava dietro i suoi trolley neri e lucidi con aria stanca, carichi di abiti e nuove responsabilità.

Il suo sogno era sempre stato quello di andare a New York e di avere successo. Ci aveva provato una volta ed aveva fallito senza nemmeno sapere il perché, ci aveva provato una seconda volta con meno grinta e c’era riuscito: un po’ per fortuna - che a quanto pareva aveva deciso di esser dalla sua parte,- un po’ per merito.
Aveva cambiato obiettivo quasi senza rendersene conto ed aveva trovato la propria strada nel mondo della moda: mondo che alla fin fine era sempre stato suo ed era ciò che lo aveva reso un po’ più speciale oltre alla propria voce.
Non era stata la sua prima scelta, ma almeno era pur sempre una scelta.

Non era stato facile dire addio a Lima e non era stata una bella giornata. Kurt odiava gli addii ed i saluti, odiava dover fare promesse che sapeva di non poter mantenere.
Kurt odiava l’idea di essere lontano da tutta la sua famiglia ed odiava l’idea di essere lontano da Blaine.

Ed ancor più di questo, odiava l’idea di non stare più con Blaine.


***


Era successo qualche ora prima, fuori dall’aeroporto. C’era qualcosa che non andava da un po’ di tempo e Kurt lo sapeva, ma si era sempre ripromesso che sarebbe andato tutto bene, che la loro relazione sarebbe durata nonostante la distanza.
C’erano un sacco di persone che decidevano di basare le loro relazioni su un rapporto a distanza, perché loro avrebbero dovuto avere problemi? Kurt non riusciva proprio a capire, non riusciva a capire lo sguardo ferito di Blaine, non riusciva a capire tutto il suo dolore.
Lo amava e proprio perché lo amava così tanto non voleva minimamente pensare ad una rottura. Il loro rapporto era troppo forte anche solo per esser spezzato dalla distanza.

Ma piuttosto, l’amore stesso era ciò per cui si erano dovuti dividere.

“Ti amo troppo,” sussurrò Blaine nel suo orecchio, con dolcezza mista a tristezza nella voce mentre lo stringeva di fronte all’aeroporto.

Poteva essere una dannata scusa? Cristo, sembrava una dichiarazione degna di Finn Hudson, Kurt sapeva che il suo fidanzato non era Finn Hudson, ma Blaine Anderson e sapeva anche che Blaine Anderson aveva un briciolo di intelligenza in più.

“Ti amo da morire anch’io,” rispose Kurt, stringendolo di più.
“Ti prego non dirmelo,” ansimò l’altro, con la voce rotta dal pianto. Kurt aggrottò la fronte.
“Perch-“
“Perché… perché la distanza è troppa e mi fa male l’idea che non potremo vederci. Lo sai, ho fiducia nel nostro amore, ma conosco questo genere di cose. Io… non vorrei mai perderti in qualche modo orrendo, dopo un sms o attraverso un pc, non voglio che per qualche motivo le nostre strade si dividano in modo brutale. Voglio… che possiamo ricordarci di questo momento e dei nostri momenti assieme, voglio restare con te per sempre e… voglio che tu vada a New York sereno. Incontrerai tante… nuove persone, nuovi amici e nuovi ragazzi. Non voglio che ci siano tradimenti tra di noi,” concluse Blaine con voce spezzata, allontanandosi un poco da Kurt.

Kurt fece un passo indietro.

“Cosa… cosa stai dicendo, Blaine?” il suo tono era basso, praticamente ferito. Cosa stava insinuando? Lo stava lasciando?
“Sto dicendo che… voglio lasciarti, ma con una promessa. Noi torneremo assieme, torneremo assieme il prossimo anno, non appena verrò lì, a New York. Andremo… prenderemo un appartamento assieme, e no… no Kurt non piangere,” Blaine gli prese immediatamente le mani racchiudendole nelle proprie, “Non piangere, il mio cuore si spezza quando piangi,” ansimò, con voce tremula, mentre Kurt sembrava incapace di reagire in qualsiasi modo.
“Ti si spezza il cuore?! Tu hai… hai appena spezzato il mio! Tu non credi… non mi credi,” gridò Kurt, finché la sua voce non si affievolì di nuovo, “non mi credi.”
“Ti credo. Ti credo e ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Ma ci aspettano troppi cambiamenti, troppi mesi di distanza ed io non voglio perderti,” sussurrò Blaine, avvicinandosi a lui, poggiando la propria fronte contro la sua.
“Noi non dobbiamo perderci… io ti ho promesso che non mi avresti perso e noi… noi ci stiamo lasciando,” singhiozzò Kurt, contro di lui, stringendolo a sé.
Perché quell’abbraccio era tutto ciò che aveva, era la sua casa, era il suo legame con Blaine, era ciò che lo faceva stare Blaine.
Blaine era una delle cose migliori che la vita gli avesse mai dato, la sua fortuna, il suo amore.
“Torneremo assieme… se saremo ancora liberi, torneremo assieme. Continueremo a sentirci questi mesi, continueremo a mandarci messaggi magari, solo… non avremo impegni l’uno verso l’altro. Sarà l’unico modo per capire se siamo davvero destinati a rimanere assieme.”
Kurt continuò a piangere e singhiozzare, incapace di trattenere le lacrime mentre anche gli occhi di Blaine se ne riempivano.
“Non fare così Kurt…”
“È ingiusto,” mugugnò, “È ingiusto che dobbiamo dividerci, che non possiamo… stare assieme ancora.”
“Ma noi torneremo assieme. Possiamo promettercelo, possiamo prometterci di voler tornare assieme,” gli tenne le mani, stringendole così tanto da fargli quasi male.
Era tutto così inutile e drammatico, perché Kurt sapeva che non ce n’era davvero bisogno: non dovevano lasciarsi, non era… produttivo in alcun modo e non avrebbe giovato alla loro relazione. Sarebbe stato solo un inutile stallo.
Avrebbe voluto dire mille cose, urlargli di no, dirgli che non l’avrebbe lasciato così, senza un motivo preciso e senza nemmeno aver provato a stare assieme, ma dalle sue labbra non uscì niente, se non un sospiro.
Si buttò nuovamente tra le sue braccia e gli strappò un bacio intenso, carico di emozioni.

Le labbra di Blaine erano perfette come sempre, calde e morbide, ma per una volta erano un po’ più amare.

Kurt aveva deciso di entrare nell’aeroporto da solo, aveva salutato tutti, aveva salutato Blaine piangendo come un bambino ed aveva dato un ultimo abbraccio a suo padre, doveva essergli grato perché lo aveva sempre sostenuto ed aveva sempre appoggiato ogni sua scelta, aiutandolo a non smettere mai di credere nelle proprie capacità.

Doveva essere un giorno felice per lui, ma mentre si trascinava verso l’aereo e saliva le scalette, sentiva un pezzo di se stesso cadere e rimanere lì, ben ancorato alla piattaforma di quell’aeroporto.

Ricostruirsi non sarebbe stato facile.

***


Quando arrivò nel proprio appartamento a New York, fu assaltato letteralmente da Rachel e Santana: già, le due nemesi nel Glee Club sarebbero state le sue compagne di stanza fino a che non avrebbe trovato qualcosa di più confortevole.
Il progetto iniziale di Kurt era andare a vivere lì fino a quando Blaine non si sarebbe diplomato, per poi aspettarlo ed andare a vivere con lui: ma da quel giorno forse Kurt avrebbe dovuto rivedere tutto, perché ormai non c’era più nessuna certezza per lui e Blaine e per quanto potesse essere frustrante la verità.

Aveva voglia di lanciare i propri bagagli nel primo spazio disponibile ed accasciarsi sul letto, invece avrebbe dovuto dedicarsi alle mille domande delle due ragazze.

“Com’è andato il viaggio?” la voce di Rachel fu la prima ad arrivare alle sue orecchie mentre cercava di posizionare i bagagli nella nuova e piccola stanza. Era minuscola rispetto alla sua solita camera, ma alla fine andava bene, si sarebbe adattato: almeno l’armadio era piuttosto grande, sarebbe stato un disastro il contrario.

“Non sembri molto felice,” commentò Santana, appoggiandosi allo stipite della porta. Kurt le rivolse un’occhiata; “non lo sono,” ammise, senza troppe spiegazioni.
“Non sembrava così fino a qualche giorno fa, chiamavi la Berry con una vocina da unicorno nel paese degli zuccherini ed oggi sembra che ti sia caduto il mondo addosso,” disse, con un po’ di acidità: in fondo era Santana, perciò Kurt non si stupì.
“Blaine ed io ci siamo lasciati,” rispose Kurt lapidario, senza fornire ulteriori spiegazioni mentre cominciava a disfare la valigia.
“Tu e Blaine COSA?!” Rachel Berry apparve nella stanza inchiodandosi sulla porta, facendosi spazio e spingendo Santana da un lato - che era rimasta a bocca aperta.
“Non lo ripeterò un’altra volta,” mugugnò Kurt, come se quelle parole fossero veleno.
“Tu… e l’hobbit? E per quale motivo? Fino a qualche giorno fa non eravate a giurarvi amore eterno?” chiese, allargando le braccia in un gesto vagamente plateale.
L’altro tirò su col naso e si sedette sul letto, cupo.
“Più o meno.”

Il cielo di New York in quel momento sembrava quasi più limpido di lui.


***


Blaine riusciva soltanto a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, se fosse stato il modo migliore di salvare la loro relazione.
Avrebbero evitato qualunque tipo di tradimento o qualunque disagio a causa della lontananza: non riusciva a vedere una soluzione più promettente di quella che aveva trovato. Amava così tanto Kurt che la sua unica e vera paura era quello di perderlo veramente e quel pensiero si era insinuato nella sua testa da troppo tempo per ignorarlo.
Aveva deciso che la cosa migliore era una pausa, in modo tale che se Kurt avesse deciso di cambiare direzione o avesse trovato qualcuno di migliore di lui, non sarebbe stato un tradimento.
Forse era un po’ egoistico, ma Blaine credeva che fosse anche la scelta più saggia, nonostante facesse male, tremendamente male.

Kurt gli mancava già da morire e sapeva che non si sarebbe abituato molto presto all’idea di rimanere senza di lui: provava già un profondo senso di solitudine rimarcato dal ricordo delle ultime parole che gli aveva detto. Doveva cercare di ricordarsi che l’aveva fatto per amore e che un giorno, se fosse stato destino, sarebbero tornati assieme.

Si sedette su una sedia del Lima Bean con un cappuccino caldo tra le mani e si rannicchiò su se stesso, fissando fuori dalle ampie vetrate del caffè.
Non faceva freddo, ma provava qualcosa di molto simile,una sorta di disagio interiore che lo portava a stare lì, mentre dei ricordi si riaffacciavano alla sua mente.

Il loro primo caffè assieme, il loro primo San Valentino da non fidanzati trascorso lì, i loro dopo-scuola e le loro chiacchiere. Il Lima Bean era sicuramente uno dei luoghi più significativi per la loro relazione e stare seduto al loro tavolo proprio il giorno in cui aveva dovuto dire ‘arrivederci’ a Kurt era in qualche modo consolatorio e frustrante al tempo stesso.
Si portò le mani al viso, strusciandoselo con nervosismo: voleva liberarsi di ogni emozione e lasciare che la ragione si impossessasse di nuovo di lui. Purtroppo, però, Blaine sapeva che non era esattamente così facile.

Ci sarebbe voluto tempo e non avrebbe nemmeno saputo immaginare quanto.


***


Burt aveva tenuto stretto il più possibile suo figlio prima di doverlo lasciar andare. Si sentiva tremendamente vuoto senza di lui a casa, con Finn nell’esercito e Carole che preparava una misera cena per due.
Si era messo sul divano ed aveva cominciato a girare i canali alla tv: non c’era niente che riuscisse ad attirare la sua attenzione.
Avrebbe soltanto voluto chiamare suo figlio, sentire come stava, ma non voleva essere troppo assillante o protettivo. In fondo stava soltanto proseguendo la sua strada e lui non gli avrebbe messo ansia, era sicuro che Kurt fosse già abbastanza malinconico di suo. Aveva pur sempre dovuto lasciare tutto ciò che aveva.

“Ti manca, non è vero?” la voce di Carole lo fece sussultare, la donna stava finendo di apparecchiare la tavola, “è normale, sai? Ma prima o poi bisogna lasciarli andare.”
Burt sbuffò.
“Questo è vero… soltanto, è così diverso non vederlo qui per l’ora di cena, mentre tenta di cucinarmi qualcosa di estremamente dietetico e privo di calorie,” abbozzò un sorriso e Carole gli accarezzò una spalla.
“Sento ogni giorno la mancanza di Finn… è normale. Ma prima o poi ci si abitua. Sono sicura che Kurt avrà successo a New York ed avrai modo di essere orgoglioso di lui…”
“Ma io lo sono già,” rispose Burt, piuttosto sicuro di quell’affermazione.

Carole si limitò ad annuire. Chi non era orgoglioso del proprio figlio?
Lei lo era, nonostante si preoccupasse ogni giorno per Finn e controllasse ansiosamente la casella delle lettere. Certo, Finn non era in guerra, ma la paura che potesse rimaner ferito durante qualche esercitazione la pervadeva ogni giorno ed era come rivivere un film già vissuto in passato.
Ma Finn era grande e non avrebbe commesso gli stessi errori del padre, perché lui era più maturo ed era suo figlio. Magari non era una spiegazione molto valida, ma a Carole bastava.


***


Kurt appese al muro un quadretto di Wicked identico a quello che aveva anche Rachel in camera e con quello finì di arredare la propria stanza.
Lo aveva fatto con aria mogia, senza un reale entusiasmo; la cosa lo aveva fatto quasi sentire ancora più triste perché solitamente quando stava male moralmente sentiva il bisogno di fare qualcosa che lo rilassasse e solitamente arredare la propria stanza o dedicarsi alla moda riuscivano a farlo calmare.
In verità, il suo più grande calmate era parlare per ore al telefono con Blaine, anche di cose stupide, mentre se ne stava tutto rannicchiato sul letto. Ma cosa poteva fare quando la causa della sua tristezza era proprio l’unico che riusciva ad alleviarla?

Aprì un cassetto del comodino e prese una scatolina rossa; la aprì lentamente per poi fissarne il contenuto: era l’anellino che Blaine gli aveva regalato a Natale, quello fatto con le cartine delle sue caramelle preferite. Sorrise, osservandolo e togliendolo dalla scatolina. Ricordava benissimo quel momento ed ogni volta che si sentiva solo o triste non faceva che scaldargli il cuore, ma improvvisamente quell’anello racchiudeva solo ricordi di qualcosa che forse non avrebbe potuto recuperare e l’idea gli faceva più male di quanto non avesse voluto in realtà.

Lo aveva lasciato con una promessa, ma anche quell’anello a suo tempo stata una promessa: gli aveva promesso di rimanergli sempre vicino, di baciarlo dove avrebbe voluto e quando, di cucinare biscotti e… quell’anello aveva così tante promesse in sé per essere solo un insieme di piccoli pezzi di carta.

Chiuse la scatolina e se la strinse al petto, lasciandosi andare completamente sul letto morbido e chiudendo gli occhi.
Era stanco di piangere, era stanco di pensare e di ricordare le parole di Blaine.

Voleva soltanto dormire.



Note di fine capitolo:

La canzone ad inizio capitolo è dei Green Day, (I Walk Alone) Boulevard Of Broken Dreams *cliccami tutta* infatti questa fic è nata essenzialmente da questa canzone, mentre ero con una mia cara amica a Roma, in auto (e la stavamo ascoltando.=
Non mi ucciderete vero? perché ho un cartello con scritto "KLAINE" grosso quanto una casa da poter sventagliarvi in faccia in mia difesa!
Scherzi a parte, l'angst iniziale è necessario per lo sviluppo della fic, e siccome ho preso come ispirazione gli spoiler, direi che questo è un capitolo abbastanza ovvio. Alla fin fine li ho re-interpretati come preferivo, però quelli sono.
A parte questo, in realtà io sono una sostenitrice della Klaine e questa fic è nata per sfogare la mia malinconia, ma voglio assicurarvi che sono una fan dei finali felici, quindi vi lascio interpretare la mia frase ;)

Se vi va, fatemi sapere se vi è piaciuta o magari ditemi - perché no - le vostre congetture sulla 4° stagione.

Sto già preparando il secondo capitolo e spero di poterlo pubblicare a breve! Per informazioni o per seguirmi, vi consiglio la mia pagina Facebook *QUI*

Alla prossima!

Flan

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Capitolo 2
*** All In All ***


All in All
Note di inizio capitolo: Holaa! Eccomi tornata con il secondo capitolo.
Purtroppo ormai far coincidere la mia versione delle cose con quella del telefilm sarà alquanto impossibile dati gli spoiler usciti (Klainers, li conoscete, vero?) ma spero comunque di poter fare un buon lavoro e chissà, magari azzeccare su qualche futuro cambiamento per le varie coppie.
Inutile dirvi che questi giorni ho consumato pacchetti e pacchetti di fazzoletti e non sono molto sicura di volere il 4 ottobre, ma per adesso provo a resistere. Vi assicuro che scrivere è dannatamente liberatorio in questi casi!
Il capitolo è betato da nessie_sun, ed ora vi auguro una buona lettura ;)


Chapter 2: All in All



"Things don't stop and the others announced they're moving on
Salt & tears in the minds in the mouths of a bad decision
Too late for another mistake it's bringing me down
With all your faults it isn't your fault
what's going on

All in all it's just another day now
You're falling down
What you gonna do
Standing on top of the world tonight
No ones looking back at you"



Quando Kurt aprì gli occhi il giorno seguente, quasi non si ricordò di essere a New York. Aveva sognato di essere a Lima, con Burt, Carole e Blaine, ma risvegliarsi in una stanza diversa e più piccola lo aveva riportato immediatamente nella realtà.

Si passò una mano sul volto, portandosi indietro i capelli ed alzandosi piano piano, scostando le coperte. Rimase seduto nel suo letto a fissare la luce che passava dalla finestra ancora chiusa. Sospirò. Era un nuovo giorno in una nuova città, non avrebbe dovuto sentirsi il cuore così pesante: non era giusto, l’indomani avrebbe avuto il suo primo giorno da stagista e doveva essere emozionato, non intimorito o depresso: che figura avrebbe fatto?

Prese il cellulare e lo accese. Rimase per qualche secondo in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa: un messaggio, una chiamata persa, qualche e-mail, ma la verità fu una soltanto: non arrivò niente, nemmeno uno straccio di notifica se non un messaggio da parte di Carole che gli chiedeva come si sentiva.

Kurt non aveva detto a nessuno di ciò che era successo con Blaine, se non a Rachel e Santana, gli altri li aveva salutati tutti prima che Blaine lo prendesse da parte e gli dicesse che sì, lo stava mollando senza possibilità di replica. Per questo, nessuno gli aveva chiesto come stava o fatto domande inopportune; in un certo senso ne era felice, doveva risparmiarsi un sacco di spiegazioni inutili che avrebbe preferito non dare.

Scese dal letto ed afferrò i pantaloni del pigiama che si era tolto per il caldo, infilandoseli per andare in cucina, non sapendo se vi avrebbe già trovato Rachel e Santana.
Entrò nel soggiorno e vide che tutte le luci erano spente, le sue due compagne di appartamento probabilmente stavano ancora riposando; meglio, pensò tra sé e sé. Parlare di primo mattino non era una cosa che lo metteva di buon umore.

Accese la macchinetta del caffè e prese dal frigo un po’ di latte, versandoselo in una tazza con noncuranza: normalmente preferiva cucinarsi una colazione con i fiocchi, ma era così stanco da non aver voglia di fare nemmeno quello.
Si sedette al tavolo e cominciò a mangiucchiare un paio di biscotti con il latte, mentre aspettava che la macchinetta finisse di fare il caffè.
Si sentiva un po’ deluso da se stesso. Era sempre stato una persona entusiasta del proprio futuro e ritrovarsi così depresso gli sembrava paradossale: andare a New York era ciò che aveva sempre sognato; affacciarsi alla finestra, vedere una città piena di palazzi.
Lima gli era sempre stata stretta e non era un mistero per nessuno, ma Lima significava casa e casa significava Blaine.
Sospirò, pregando se stesso di smettere di pensare a lui. Rimuginarci su non avrebbe di certo aiutato la situazione o cancellato il problema in qualche modo.

“Già sveglio?” una voce lo fece sussultare e lo costrinse a voltarsi, Kurt sorrise.
“Non riuscivo a dormire oltre e tu?”
Rachel si strinse nelle spalle.
“Mi sveglio sempre presto, beh sai, i rituali mattutini e gli allenamenti.”
“Già, dovevo ricordare la tua routine,” Kurt sorseggiò il suo latte e caffè – che aveva aggiunto poco prima.
“Ferrea come sempre!” esclamò la ragazza, prendendo dei cereali da uno scaffale.

Kurt si fermò ad osservarla con un sorriso stirato sulle labbra, tipico di quanto in realtà stava pensando a qualcosa.
“Senti Rachel ma tu… tu con Finn com’è…”
La ragazza gli rivolse uno sguardo triste, apparentemente ferito.
“Non ci sentiamo da mesi, ormai,” disse, un po’ secca.
“Oh…”
“Blaine ti ha lasciato per lo stesso motivo?”
Kurt fece le spallucce.
“Più o meno, anche se non è andata proprio… uguale.”
Rachel si sedette, rilassandosi su una sedia.
“Ci si fa l’abitudine, sai?”
“Ad essere soli?”
“No… non proprio, si cambia pagina e si vede oltre. Attualmente sono talmente concentrata sulla NYADA che non faccio molto caso all’amore. Senza contare che sono piena di rivali e devo cercare di competere ogni giorno. Sono sicura che molto presto non penserai troppo a Blaine…”

Kurt annuì, ma nel suo consenso non c’era una vera convinzione: sapeva benissimo che l’amore che provava per Blaine era differente da quello che provava Rachel per Finn. Senza screditarla, ma a volte dubitava che si amassero veramente.
Certo lei era pronta a rinunciare a New York per lui, ma Kurt sapeva che Rachel sarebbe stata un anno in lutto a piangersi addosso per un’occasione mancata.
Perché in fondo Rachel era un po’ così, un po’ viscida ed egoista, ma Kurt non poteva certo fargliene una colpa: era il suo carattere. Ed in fondo erano amici, forse perché per i loro interessi non erano poi tanto differenti.
Ma ciò che infastidiva Kurt, essenzialmente, era che loro non erano ‘I Finchel’ e che quel genere di cosa – lasciarsi prima di partire – faceva terribilmente… Finchel.

“Probabilmente hai ragione,” disse, posando la sua tazza, “mi passerà… sarà così bello scoprire New York, andare a lavoro…”
Rachel lo guardò con insicurezza. Non era molto convinta delle affermazioni di Kurt, ma sperava vivamente che si riprendesse. Nel suo sguardo c’era una nota di pena e Kurt l’aveva colta immediatamente.

“Non guardarmi così Rachel, penso sia solo una questione di tempo, tranquilla…”
La ragazza si versò una tazza di latte e lo vide scomparire verso la camera, rivolgendo un breve cenno a Santana che si era appena svegliata.
“Ummh, non dirmi che è ancora depresso,” disse, strusciandosi una mano sugli occhi.
“Non gli passerà tanto in fretta, Santana, lascialo stare…”
La ragazza prese un bicchiere e ci versò della spremuta d’arancia.
“Beh, dovrà pur riprendersi, se deve stare qua in queste condizioni tanto vale che torni a Lima.”
“San, prova a pensare cinque minuti a come sei stata l’ultima volta che hai visto Brittany.”

La ragazza fece un passo indietro e finì di prepararsi la colazione in completo silenzio.


***


Blaine non poteva far a meno di chiedersi cosa stesse facendo Kurt. Se fosse solo, se stesse facendo colazione, se avesse dormito bene.
Magari aveva già conosciuto qualcuno, un bell’imbusto a New York che lo aveva portato a visitare la città la sera prima, magari anche in un bel ristorante di lusso.
Provò immediatamente un senso di bruciante gelosia solo al pensiero. Lo sentiva ardere dentro come fuoco, prendergli lo stomaco e strapparlo in qualche modo; ma Kurt non era più suo, perciò non aveva diritto di parola.
Si erano lasciati con una promessa ma, fondamentalmente, era liberissimo di fare ciò che più desiderava.

Strinse il cellulare tra le mani e chiuse gli occhi: s’immaginò un ragazzo, magari biondo, alto, dagli occhi chiari e l’aria gentile e discreta, ed immaginò Kurt così timido e tutto ben vestito sedersi al tavolo.
Li immaginò conversare, li immaginò mangiare assieme e guardarsi con occhi dolci.

Che effetto faceva? Era peggio di prendere una fiala di cianuro.

Magari poi lo avrebbe anche portato a casa, su una macchina lussuosa, lo avrebbe fatto entrare e gli avrebbe offerto un drink analcolico – era così che si faceva, no? E Kurt non sopportava l’alcol, - o magari avrebbe sbagliato perché quel tipo non conosceva abbastanza Kurt e non poteva sapere che non ama gli alcolici.

Solo lui lo conosceva e solo con lui poteva stare.
Strinse ancora di più il cellulare e si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Provava rabbia, rabbia per se stesso perché non era stato sincero, perché lo aveva stupidamente lasciato e gli aveva spezzato il cuore.
Si sentiva uno schifo perché non aveva nemmeno il coraggio di mandargli un messaggio, considerando che la sua paura più grande era quella di non ricevere una risposta.

Non voleva realmente pensarci, ma non riusciva a fare niente di utile. Si voltava e pensava a quante volte Kurt era stato lì, steso accanto a lui con il suo respiro caldo ed il suo sorriso.
Ricordò per qualche secondo anche la loro prima volta, ma la scacciò subito dalla mente: non voleva farsi poi troppo male.

Lo aveva lasciato andare, era stata una sua scelta: lo amava da morire e per questo aveva deciso di non volergli essere d’intralcio: Kurt poteva diventare una grande persona e lui non aveva intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote, di tenerlo vincolato a sé.
Non ne aveva alcun diritto.

Si addormentò pensando e con una mano sull’addome, provando un vago senso di fastidio.
L’indomani avrebbe dovuto essere tranquillo e splendido, il perfetto e l’intoccabile pseudo-leader del Glee Club.


***



Kurt uscì a prendere una boccata d’aria quella mattina: in fondo era a New York e come diceva anche Rachel, prima o poi avrebbe dovuto ricominciare a vivere. Perché non da quel giorno, allora?

New York era caotica, immensa. Non era Lima, di Lima non aveva nemmeno la metà delle cose: certo era sempre America, ma era sorprendente quanto, talvolta, le cose potessero cambiare di luogo in luogo e se da un lato era rassicurante, dall’altro era totalmente spiazzante.

Rachel era andata alla NYADA, perciò non aveva potuto far affidamento su di lei e Santana era andata agli allenamenti di cheerleader nella sua università.
Aveva un ultimo giorno libero prima di andare a presentarsi allo studio di Vogue e voleva sfruttarlo al meglio.
Passò per i negozi più alla moda di New York ammirandone ogni vetrina, sentendosi felice ed esaltato: era un nuovo mondo, un mondo dove passava per le strade con i suoi abiti eccentrici e non veniva guardato come se fosse stato un alieno.
Qualcosa dentro di lui tremò, avrebbe praticamente potuto commuoversi.

Entrò da Starbucks e si guardò intorno con un mezzo sorriso malinconico: ovviamente non era la prima volta che entrava in uno Starbucks, ma tutte le caffetterie sembravano estranee e diverse dal Lima Bean, protagonista di così tanti ricordi.
Ma era l’ora di lasciare indietro i ricordi e cominciare una vita nuova, ovviamente mantenendo quelle piccole cose piacevoli nel suo cuore – tra le quali anche Blaine.

I suoi pensieri furono immediatamente interrotti da una ragazza che si avvicinò a lui con fare guardingo e con due enormi occhi azzurri.
“Quella che stai indossando è una sciarpa di Alexander McQueen!” esclamò, entusiasta e prendendo posto al tavolo con lui senza nemmeno chiedere il suo nome. Kurt spalancò gli occhi, sorpreso dall’irruenza e dall’entusiasmo della ragazza. Poi si lasciò andare ad un sorriso, sembrava una ragazza carina ed amichevole ed in fondo la moda era una passione comune – senza contare che si sentiva un po’ lusingato.
“Lo è!” rispose, “sono riuscito ad accaparrarmela in modi… diciamo loschi, sono un esperto nel cogliere le migliori occasioni quando si tratta di moda!” esclamò con un ghignetto fiero.
La ragazza si aggiustò per stare più comoda, mostrando la sua borsetta di Luis Vuitton.
“Oh beh, la moda è una passione comune allora! Piacere, sono Kristine Jackson!” disse con gioia, parandogli la mano.
Kurt la strinse.
“Io sono Kurt Hummel e… sono nuovo di New York.”
“Oh! Un novizio! Non hai nessuno che ti abbia aiutato a visitare la città?” chiese, sfiorandosi i capelli e riavviandoli.
“No, per il momento ho… visitato un po’ la città da solo,” disse, facendo le spallucce, “ma non è importante, ho un buon senso dell’orientamento.”
Kristine sorrise.
“Sei venuto da solo a New York?”
“Oh no, abito con delle mie vecchie amiche… avevo in programma di trasferirmi qualche mese fa se fossi entrato alla NYADA,” disse, un po’ intristito.
Kristine sorrise e poi guardò l’orologio.
“Che sbadata! Mi sono ricordata ora di avere un appuntamento piuttosto importante! Devo scappare, ma è stato davvero un piacere conoscerti!”
“Anche per me,” rispose, cortesemente.
“Ti andrebbe di scambiarci i numeri di cellulare? Così potresti chiamarmi nel caso tu cercassi una guida per New York!” esclamò la ragazza, facendogli l’occhiolino.

Kurt rimase basito per qualche attimo, temendo il peggio: quella ragazza aveva forse… intenzione di uscire con lui in quel senso?
Eppure era chiaro come il sole che era gay. Tuttavia, Kurt le dettò il numero di cellulare, cercando di non pensare al peggio: forse era solo una ragazza che desiderava avere un amico gay o magari amava la moda e voleva parlarne con un ragazzo. Perché no, c’erano tante persone come lei.

“A presto!” esclamò poi, uscendo dal locale.

Kurt rimase con il cellulare in mano e l’aria perplessa. Girava per le strade con un’insegna con scritto “sono gay” praticamente stampata in fronte, com’era possibile che una ragazza lo trovasse affascinante?
La cosa lo turbava, in un certo qual senso.
Certo, anche Mercedes anni prima aveva avuto una cotta per lui, ma erano piccoli e… dei ragazzini, era tutto più comprensibile.

Finì il proprio cappuccino e continuò la sua esplorazione di New York in solitaria, gettandosi di negozio in negozio con aria entusiasta.

Tutto sommato, Kurt poteva solo continuare a vivere la propria vita nel miglior modo possibile.


Note di fine capitolo:

Ebbene ecco il secondo capitolo. Mi rendo conto che sono piuttosto corti, ma spero non sia un problema per nessuno di voi.

Passiamo alle note serie: la canzone citata e che da il titolo al capitolo è All In All dei Lifehouse *cliccami tutto* e per la serie delle cose che non interessano a nessuno, è stata la loro prima canzone che io abbia mai sentito... la metterei ovunque. LOL
A parte questo, spero di aggiornare quanto prima dato che sto già lavorando al terzo capitolo ed ho in mente un paio di punti focali che amerò scrivere. D'ora in poi l'angst dovrebbe essere molto ridotto e diminuito, poiché questi due poveri cristi dovranno pur andare avanti con la loro vita.

Questo è quanto! Nel caso vi andasse di tenervi in contatto con me, ecco la mia pagina Facebook *QUI* click sono sempre molto disposta al dialogo ed a qualunque genere di commento positivo o di critica!
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di questa fanfiction per poterne discutere :) (insomma, voglio sapere le vostre teorie!)

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Capitolo 3
*** Runaway ***


Note iniziali: capitolo betato da nessie_sun.
In questo capitolo verranno introdotti diversi nuovi personaggi fondamentali per lo sviluppo della trama :)


Chapter 3: Runaway




“Credo che dovresti scrivergli. Fissare il cellulare non ti aiuterà a risolvere la situazione,” la voce di Tina risvegliò Blaine dai suoi pensieri, il quale sussultò sulla sedia, sentendosi un po’ a disagio.
Da quando aveva lasciato Kurt non ne aveva praticamente più parlato, ma tutti avevano capito cosa fosse successo tra loro – non ci voleva molto.
“Mh, abbiamo rotto, Tina. Non posso scrivergli.”
“Ma lui ti manca!” esclamò la ragazza, senza capire quale problema avesse Blaine, “Giuro che non ti capisco, anzi, non vi capisco: vi amate ma vi siete mollati ed ora state praticamente piangendo sui vostri cellulari… o almeno tu.”
Blaine le lanciò un’occhiataccia, “cosa pensi di saperne?”
“Penso che ne so fin troppo, visto che non stai nemmeno più cercando di prenderti tutti gli assoli.”
Blaine storse leggermente il naso infastidito da quell’affermazione: non si chiamava Rachel Berry, non era lui a volere tutti gli assoli del Club. A volte si alzava e cantava senza alcun motivo ma… non era come Rachel.
Sorrise, perché in fondo quel pensiero riusciva a divertirlo, in qualche strano modo.
“Hai ragione… non sono io. Ma non posso chiedere a Kurt di tornare con me. Sono stato io a lasciarlo, sai, per il suo bene. Diventerà famoso e… bravissimo. Perché Kurt ha talento ed io non sono nessuno per fermarlo adesso. Se il prossimo anno sarà ancora libero e mi avrà aspettato, allora torneremo assieme.”
Tina mugugnò, poco convinta.

“Ehi Anderson! Vieni a prendere un caffè con noi?!” la voce di Sam interruppe la sua chiacchierata con Tina. Si alzò, rivolse un sorriso amichevole all’amica e la ringraziò velocemente per poi fuggire via.

Avrebbe voluto davvero mandare anche solo un sms a Kurt, ma non era ancora abbastanza pronto per farlo.

***

Kurt si svegliò presto quella mattina. Andò in bagno, si sistemò i capelli ed applicò tutte le proprie creme per il viso.
Era il suo primo giorno da stagista a Vogue ed era teso: tesissimo.
La sua mentore sarebbe stata Isabelle Conner, lo aveva saputo dalla mail dove gli comunicavano che era riuscito ad entrare tra i quattro nuovi inserzionisti.
Kurt ricordò con emozione il momento in cui aveva letto per la prima volta la mail: avrebbe potuto mettersi a piangere. C’era Blaine con lui, lo aveva stretto fortissimo e lo aveva baciato.

Dopo il rifiuto alla NYADA, Kurt si era rassegnato a passare un anno a Lima. Non sarebbe stato male, ma era stanco dei soliti luoghi, aveva bisogno di un cambiamento.
Vogue era stato un bel cambiamento: inaspettato, certo, ma comunque bello e stravolgente.
La moda era sempre stata una delle sue più grandi passioni ed anche solo l’idea di poter far parte di uno staff di quel calibro, seppur per uno stage, era a dir poco fantastico. Kurt non aveva un curriculum ricchissimo, ma era dotato di determinazione, ne aveva talmente tanta che avrebbe potuto praticamente venderla.

Prese un bel respiro, la propria borsa ed uscì di casa con le gambe appena tremanti: era tutto un vortice di emozioni, tra la paura di fare qualcosa di sbagliato e la sensazione che sarebbe stato tutto fantastico.

Chiamò un taxi per arrivare il più velocemente possibile agli studi e si guardò intorno: New York era davvero frenetica, immensa. Il tempo sembrava scorrere tre volte più velocemente e poteva sentire clacson suonare ovunque.
Era la città dei sogni per alcuni, ma indubbiamente non era adatta alle persone tranquille. Kurt pensò che in fondo gli sarebbero serviti almeno un paio di mesetti per abituarsi a quel ritmo.
Sfilò il cellulare dalla borsa e lo strinse nella mano, scorrendo nella rubrica fino al numero di Blaine per poi fermarsi: qualche settimana prima gli avrebbe sicuramente mandato un sms con i propri stati d’animo ma, decisamente, non era più il caso di farlo.
Il sorriso gli morì sulle labbra e ripose il cellulare nella borsa, chiudendola ben bene. Raddrizzò la schiena non poteva permettersi distrazioni e quella era la sua prima importante mattinata a New York, non se la sarebbe rovinata con pensieri così tristi.

Quando scese dal taxi si fiondò dritto dritto negli studi di Vogue, si presentò nel primo ufficio vicino all’ingresso dove una signorina dai capelli biondi raccolti in un’elegante acconciatura stava scrivendo su delle scartoffie.
Quel posto profumava: di moda, di colori, di stile e di novità. Kurt si sentì eccitato come un bambino di fronte ad un negozio di caramelle, come una donna di fronte ad una profumeria e come suo padre di fronte ad una partita di Football della sua squadra preferita.
C’era qualcosa in quel luogo che lo ammaliava e lo faceva sentire incredibilmente bene – e teso per l’ansia.

“Buongiorno, immagino che lei sia il signor Hummel,” disse la ragazza bionda dell’ufficio, sorridendo e compilando un foglio con la foto di Kurt sopra.
Annuì.
“Esattamente… s-sono qui per lo stage per Vogue.com,” spiegò con un mezzo sorriso.
“Allora mi firmi qui e qui,” la signorina mostrò le sue lunghe unghie smaltate indicando dove doveva mettere la firma.
Kurt lesse velocemente il contratto di conferma, sapeva di cosa si trattava perché ovviamente si era informato: sarebbe rimasto come stagista per Vogue.com per circa tre mesi, nel caso non fosse piaciuto particolarmente rispetto ad altri stagisti, sarebbe andato via – con comunque una ricchissima esperienza sulle spalle – in caso contrario c’era la minima, piccolissima ed infintesima possibilità che rimanesse a lavorare lì.

Ma Kurt era fiducioso. In fin dei conti, Kurt era sempre fiducioso e credeva nelle proprie capacità.

“Prima porta a sinistra, secondo piano. Lì la aspetterà la signorina Isabelle Connor,” disse, tornando poi a sfogliare diversi fascicoli.

Kurt si fece strada nel corridoio, tra le pareti tappezzate di poster di modelle e modelli delle varie copertine di Vogue, dalle più vecchie alle più moderne; un brivido percorse la schiena di Kurt. Era una sensazione bellissima e non poteva proprio crederci: era tutto vero.

“Immagino che tu sia Kurt Hummel,” una donna sulla quarantina si presentò di fronte a lui con inaudita eleganza, i capelli di un biondo scuro – quasi castano – ed un sorriso stiratissimo sulle labbra.
Kurt balbettò appena, non riuscendo a tirar fuori la voce.
“Kurt Hummel” rispose, stringendo la mano della donna.
“Isabelle Connor, la tua nuova tutor,” disse, con cortesia.

Kurt arrossì vergognosamente sulle guance perché ehi, quella donna era così piena di stile che il suo orgoglio quasi ne risentì. Beh certo, forse lei non aveva bisogno di star sveglia nottate intere per seguire aste on-line per accaparrarsi i migliori abiti di moda.

“Allora Kurt, come forse avrai già letto sui documenti che ti sono stati inviati, questo stage durerà tre mesi ed io sarò la coordinatrice. Dovrai venire ogni mattina alle otto in punto e questo,” aprì una porta, “sarà l’ufficio dove lavoreremo. Come vedi, qui ci sono altri due ragazzi, anche loro stagisti esattamente come te,” spiegò la donna, indicando i due al pc.

Kurt rimase folgorato per un momento perché mentre non aveva idea di chi fosse il ragazzo, aveva immediatamente riconosciuto la ragazza al secondo computer. Rimase perplesso per un secondo, perché il mondo doveva essere realmente più piccolo di quel che credeva.
La ragazza era Kristine Jackson.

“Adesso vieni, devo portarti a conoscere la direttrice. Vuole fare un colloquio con tutti i nuovi stagisti o dipendenti,” la signorina Connor avanzò a passo veloce davanti a lui, indicandogli di seguirlo lungo un corridoio.

***

Rachel non aveva detto a nessuno quanto fosse difficile e competitiva la NYADA. Perché sì, era tornata ad essere una delle tante, - anzi, per dirla tutta, lei non era mai stata una delle tante, - trovarsi lì, a competere più di prima, era tanto frustrante quanto stimolante.

Rachel pensava sempre a se stessa ed era la cosa che le riusciva meglio: non era esattamente egoista o meglio, sì lo era, ma era qualcosa che stava alla base del suo carattere. Voleva bene ai suoi amici o a chiunque altro, ma lei ed il proprio successo venivano prima di ogni altra cosa. Per quello si spingeva al limite allenandosi il più possibile.

Lei doveva essere una spanna sopra a tutti e ci sarebbe riuscita.

Ci sarebbe riuscita anche mentre la sua insegnante di danza non faceva che urlarle quanti passi facesse sbagliati e ci sarebbe riuscita anche se i suoi compagni di corso la odiavano.
Non aveva bisogno della loro approvazione o amicizia.

A fine lezione, Rachel andò nel bar interno alla scuola, per prendersi un cappuccino. Aveva bisogno di una vera sferzata di energie. Si voltò con il cappuccino in mano e per poco non le se lo versò addosso dopo essersi scontrata con un tizio.
“Guarda dove cammini!” esclamò, contrariata.
“Scusami! Non volevo urtarti, non ti avevo vista!” il ragazzo era alto e ben piazzato. Rachel lo osservò.
“D’accordo, ora fammi passare. Ho giusto cinque minuti di pausa e non voglio sprecarli!” esclamò  leggermente stizzita perché no, quella non era la sua giornata ideale.

Una volta superato il ragazzo, Rachel si sedette ad un tavolo: ma non poteva sapere che il ragazzo di prima la stava ancora guardando.
Sorseggiò il suo cappuccino in tutta tranquillità, ricordandosi con un lampo che Kurt doveva essere dentro lo studio di Vogue; afferrò il cellulare e gli mandò un semplice e breve messaggio. Avrebbe risposto non appena avesse avuto tempo.

“Tutto okay? Non sei svenuto per la troppa emozione, vero?" - R

***

Kurt sentì vibrare il cellulare nella sua tasca ma lo ignorò bellamente. Non era il momento ed era teso come una corda di violino, seduto su un divanetto di fronte alla direttrice di Vogue.
La. Direttrice. Di. Vogue.
Kurt pensò che se non fosse morto in quel momento, con tutta probabilità non sarebbe morto mai più.
La donna aveva dei capelli corvini ed un taglio corto, l’aria piuttosto spavalda – che le si addiceva – ed era ovviamente ben vestita. Sembrava avere un gran senso del gusto.
Lo smoking di Kurt era diventato improvvisamente troppo caldo per colpa dell’ansia.

“Kurt Hummel,” disse finalmente Kurt, porgendole la mano. Poco distante da loro, la signorina Conner li stava guardando.
“È il nuovo stagista,” intervenne Isabelle, con un mezzo sorriso.
La donna lo squadrò.
“Bel completo. Hai gusto,” disse, con un mezzo sorriso.

Il cuore di Kurt sembrava voler uscire dal petto per quanto batteva forte. Gli aveva davvero fatto un complimento?! Arrossì come un tredicenne.

“G-grazie.”
“Quanti anni hai?”
“Diciannove”
“Da dove vieni?”
“Lima, Ohio.”
“Oh, l’Ohio… e sei venuto a New York.”
Kurt annuì.
“Cosa ti ha spinto ad andare così lontano?”
Kurt rimase in silenzio per qualche secondo.
“La mia passione… per la moda, suppongo,” disse, con le guance ancora un po’ arrossate. Era così stupidamente teso.
“mh…”
Kurt capì che avrebbe dovuto riprendere la conversazione, non era bello mostrarsi senza parole di fronte alla direttrice.
“Amo la moda, amo lo stile. È qualcosa che adoro da quando sono piccolo, da quando vedevo mia madre entrare nei negozi per fare shopping. Sceglievo con lei i vestiti, sfogliamo le riviste di moda, guardavo le sfilate in tv e sognavo ogni giorno di poter indossare uno di quei meravigliosi abiti, da grande,” sbottò Kurt; i suoi occhi si illuminarono. Improvvisamente la paura ed il timore sembravano essere scomparsi, come se qualcosa li avesse cacciati via.
La Direttrice continuò a guardarlo, ma in modo differente.
“La passione è ciò che mi spinge ad essere qui, perché so di poter fare un buon lavoro e so che questo fa parte della mia vita assieme ai musical ed al teatro,” concluse, smettendo di parlare e prendendo un respiro per cercare di recuperare un po’ di tranquillità.

“Ammiro i ragazzi giovani come voi, così pieni di voglia ed aspettative. Ma la passione non basta: costanza, impegno e dedizione sono le chiavi del successo. La moda dovrà essere la tua ragione di vita se vorrai lavorare in questo campo, ragazzo,” disse, con tono duro, la direttrice.

Kurt annuì. Lui era pronto per quel tipo di lavoro, lo sentiva nella propria anima.

“So di potercela fare,” buttò fuori, senza rifletterci.
La Direttrice sorrise e scosse la testa.
“Bella determinazione, adesso, però dovrai dimostrarcela,” concluse, guardando poi la signorina Connor.
“Isabelle sarà un’ottima tutor e ti insegnerà tutto ciò che ci sarà da sapere, ti affido a lei,” disse, “buona permanenza, Hummel,” concluse, per far capire che sia lui che Isabelle sarebbero dovuti uscire.

Kurt sorrise, riconoscente. “È stato un piacere conoscerla.”

La donna annuì e lo congedò.


***

“Dobbiamo prepararci per le provinciali!” esclamò il professor Shuester entrando nell’aula e cominciando a scrivere sulla lavagna.
Un urletto di gioia provenne dai ragazzi dietro la sua schiena.

“Allora, il tema di quest’anno pare saranno le band… direi di scegliere almeno un po’ di brani di qualche band famosa. Possiamo rifarci agli anni ott-“
“Professore!” esclamò Artie, “Io ho già un’idea. E non è degli anni ottanta.”
Gli altri ragazzi tirarono un sospiro di sollievo perché ehi, a volte erano stanchi di fare i soliti pezzi antiquati, per quanto molte musiche degli anni ottanta li entusiasmassero.
“Marron Five! La prego! Molti di noi amano questo gruppo, non è vero?” Blaine batté le mani con decisione, “Assolutamente!” esclamò, entusiasta, “Ed avrei già una canzone con la quale cominciare,” disse, saltando giù dalla sedia ed impossessandosi di un microfono.

Giusto la sera precedente aveva ascoltato uno degli ultimi cd e la canzone ‘Runaway’ era perfetta per poter esprimere cosa stava provando nell’ultimo periodo.

Cominciò a cantare, provando un misto di tristezza nel petto, mentre il resto delle New Direction gli faceva da coro.

"I'm taking time to thinking I
Don't think it's fair for us to
Turn around and say goodbye
I have this feeling when I
Finally find the words to say
But I can't tell you if you turn around
And run away, run away"

Era inevitabile pensare a Kurt mentre intonava le parole di quella canzone. Gli mancava e gli mancava da morire. Non poteva continuare a rodersi l’anima per una scelta sbagliata, senza contare che guardando dentro di sé sapeva che loro due non avevano davvero rotto.

Terminò la canzone e guardò i suoi compagni, sorridendo.
Le cose cominciavano a diventare pian piano più chiare.


***


Kurt vide il messaggio di Rachel una volta uscito dalla stanza della Direttrice. Rispose velocemente, cercando di non farsi vedere dalla signorina Isabelle.

 “Ho appena incontrato la direttrice di Vogue, penso di poter morire adesso,” – K

Inviò il messaggio senza altre cerimonie e ricacciò il cellulare in tasca, sospirando di sollievo. La tensione se ne stava andando lentamente.

“Fanno tutti così, sai?” la signorina Isabelle interruppe Kurt dai suoi pensieri, il quale si voltò.
“Così come?”
“Sono tesi, quando la vedono. La Direttrice ha una personalità molto forte e carismatica, è normale rimanere intimiditi. Ma se devo essere sincera, te la sei cavata piuttosto egregiamente.”

Kurt le fece un sorriso riconoscente. Si sentiva piuttosto meglio ed infondo Isabelle sembrava una persona davvero gentile.
Era felice, sembrava un gran posto dove poter cominciare un’eventuale carriera lavorativa.




Note di fine capitolo: mi scuso subito per il ritardo, purtroppo sono stata poco bene anche di salute, perciò il capitolo ha ritardato a sua volta. Spero però ne sia valsa la pena :)
Mi piacerebbe sapere un parere concreto sull'entrata di Kurt a Vogue, l'avete trovata troppo frettolosa? Mi sono fatta un sacco di paranoie su questo proposito e davvero, spero di aver reso bene l'atmosfera e la tensione di Kurt.
Mi sono attenuta a dei vaghi spoiler, ma come al solito... è solo la mia versione dei fatti XD

La canzone "Runaway" è dei Maroon 5.

Se vi và, potete trovarmi sulla mia pagina facebook: *QUI* (FB da dei problemi di visibilità, per ricevere le notizie dovete cliccare su "Mostra nella sezione notizie" dopo aver messo mi piace)
Altrimenti, da oggi ho anche ASK.FM sulla scia di tutta la gente che ha deciso di farselo xD

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Capitolo 4
*** Incomplete ***


cap 4
Note iniziali: Hello! mi scuso per il ritardo, purtroppo la mia beta ha dei problemi universitari perciò ho saputo solo da poche ore che non poteva betarmi il capitolo. Lo farà successivamente ed infatti questa è la versione senza betatura. Spero che non troverete troppi errori, nel caso mi scuso!
Sto andando a rilento anche a causa degli esami, ma spero di poter riprendere un ritmo più costante!


Chapter 4: Incomplete




"I've tried to go on like I never knew you

I'm awake but my world is half asleep
I pray for this heart to be unbroken
But without you all I'm going to be is incomplete"


“Come mi sento?! Come… come se fossi entrato nel paradiso della moda!” esclamò Kurt con entusiasmo, di fronte a Santana e Rachel. Le due si scambiarono un’occhiata complice.
“Voi… non potete capire. È meraviglioso, tutto così chic, fashion e… alla moda.”
“Kurt avrai ripetuto almeno dieci volte la parola moda in un solo discorso,” notò Santana, roteando gli occhi.
“Lo so, ma cosa vuoi farci! È fantastico e non vedo l’ora di cominciare seriamente.”
“A proposito, quando cominci?” chiese Rachel, addentando una forchettata d’insalata.
“Domani! La mia istruttrice, Isabelle, ha detto che domani comincerò lo stage. Ho già intravisto due dei miei compagni e… ed una era una ragazza che ho incontrato in una caffetteria quando sono arrivato a New York… era una tipa strana ed esaltata che mi aveva lasciato il suo numero di cellulare.”
“Non avrà pensato che fossi etero!” sbottò Santana, schernendolo con una risata. Kurt sbuffò.
“Spero vivamente di no.”
“Di etero non hai nemmeno le orecchie, sembrano quelle di un elfo,” aggiunse.
Rachel si concentrò a mangiare, piuttosto pensierosa.
“Qualcosa non va’?” chiese Kurt, turbato. Forse non era felice per il suo debutto?
“Oh no, è tutto… bellissimo. Solo, vorrei che fosse così entusiasmante anche per me.”
Kurt provò un senso di bruciore nel petto. Era felice che Rachel fosse entrata alla NYADA, ovviamente, ma le sconfitte facevano male e nonostante il futuro a Vogue, la sua era una ferita ancora aperta.
Si stava forse per lamentare di ciò che le facevano fare? Di quanto doveva faticare? Lui avrebbe faticato ogni giorno della sua vita. Ma era strano, insomma… non era da Rachel. Rachel non sentiva mai il peso di combattere per arrivare ai propri obiettivi, per questo erano simili: entrambi ambiziosi e determinati, praticamente disposti a tutto.
“Quindi?”
“Quindi… credo che non stia più brillando come dovrei o… o meglio sì, però non sono compresa! È tutto così competitivo e…” Rachel si portò una mano tra i capelli, “sono stanca, prima non avevo bisogno di combattere per primeggiare, adesso è così difficile.”
Kurt fece le spallucce.
“Non potevi pensare che fosse facile, in fondo. La concorrenza in questo campo è tanta e tu lo sai più di me.”
Santana annuì, concordando con Kurt e finendo di pranzare.

Kurt guardò fuori dalla finestra e per un momento pensò a quanto avrebbe voluto raccontare la sua giornata a Blaine.
Riabbassò lo sguardo, fissando il piatto bianco con graziosi decori blu e rassegnandosi al fatto che non avrebbe potuto farlo.


***



“Se c’è una cosa che voglio fare, è tenermi occupato,” cominciò Blaine, mentre in palestra si allenava tirando cazzotti al sacco da box.
“Che intendi per tenerti occupato?” Sam ed Artie si guardarono, dubbiosi.
Blaine sorrise.
“Intendo dire che voglio iscrivermi a tutti i club possibili, ottenere crediti e… poter così avere futuro accesso ad una scuola a New York. Io e Kurt non ci siamo davvero lasciati, in fondo, e se sarò davvero bravo magari avrò l’occasione di entrare in qualche università New Yorkese, trascorrere lì la mia vita e… e magari vivere con lui come avevamo progettato fin dall’inizio,” disse, fissando con un piccolo sorriso i propri guanti.
“Ma ci sono soltanto pochi club qui a scuola… e le attività di vero interesse sono il football, l’hockey, il nuoto e… le cheerleader, oltre al Glee, ovviamente,” disse Artie, mentre alzava un piccolo peso con il braccio.
Blaine rivolse gli occhi al cielo con aria pensierosa e si portò una mano sotto il mento.
“Beh… se non abbiamo Club creativi… perché non ne facciamo uno noi?!” esclamò, con vero entusiasmo.

Blaine ci aveva pensato a lungo; non era stata una decisione presa su due piedi. Aveva riflettuto sulla sua condizione e sui suoi sentimenti, l’unico modo per colmare il vuoto lasciato da Kurt, sarebbe stato impegnarsi, fare qualcosa che fosse utile sia per se stesso, sia per raggiungerlo a New York.
Mancava solo qualche mese e ce la poteva fare, se Kurt lo avesse aspettato, ce l’avrebbe fatta di sicuro. E Blaine non ne era certo, ma se lo sentiva, sentiva che Kurt avrebbe atteso e… che lo avrebbe continuato ad amare nonostante il silenzio. Era abbastanza fiducioso, anche se spesso la sua mancanza si faceva sentire facendo quasi male.
La verità era che Blaine moriva dalla voglia di rivedere Kurt. Se lo sognava praticamente ogni notte, pentendosi di non averci nemmeno provato a mantenere quella relazione a distanza.
Non aveva mai smesso di pensarlo o amarlo, nemmeno per un minuto; ogni canzone, ogni pensiero ed ogni gesto era come se fossero irrimediabilmente collegati a Kurt.

Ancora non sapeva cosa fare di preciso, con lui. Non sapeva se poteva contattarlo o se fosse stata la cosa giusta, ma nel frattempo, si limitava a fare qualcosa per progettare un futuro, con lui.

“Ehi Blaine hai sentito?” la voce di Sam lo fece risvegliare.
“Mh?”
“Pare che Brittany si candiderà come rappresentante anche quest’anno; francamente, preferirei qualcuno di serio. Niente contro Brittany ma… non è molto adatta al ruolo,” intervenne Artie.
“Concordo, ci vorrebbe qualcuno con spirito d’iniziativa… qualcuno che sia in grado di far valere la sua parola.”

Sul volto di Blaine apparve un sorriso non appena Sam concluse la frase. Sapeva esattamente cosa fare.


***



Santana chiuse il cellulare e lo gettò sul letto, esasperata. Non poteva crederci, il suo rapporto a distanza con Brittany si stava lentamente deteriorando e lei aveva decisamente bisogno di un po’ di stabilità.
Non che non stesse andando bene a New York, si era trasferita da poco e si stava trovando alla grande, solo che Brittany le mancava ma sembrava non fare molto per rimanere in contatto con lei, specie in quell’ultimo periodo.
E poi c’era quel tipo nuovo che si era trasferito al McKinley di cui Brittany le parlava sempre che… non gliela raccontava giusta.
“San? Posso?” Rachel entrò nella stanza mentre l’altra ragazza faceva su e giù con insistenza.
“Sì, sì entra pure…”
“Sei triste?”
Santana la guardò stizzita e poi sbuffò.
“Solo un po’… per colpa di Brittany. Mi sembra che… tra me e lei le cose non siano più le stesse,” spiegò, semplicemente.
“Credi che ci sia una ragione precisa?”
“Suppongo la distanza,” rispose, la ragazza.

Rachel si fermò un attimo a guardarla: forse Finn aveva fatto bene a lasciarla piuttosto che condurre una relazione a distanza? Forse era… meglio piuttosto che soffrire così? Non era la prima volta che vedeva Santana triste per quel motivo e se ne dispiaceva. Sapeva cosa significava soffrire per amore.

“Brittany è… sempre così ingenua, ma il suo sentimento è puro, per questo speravo sopravvivesse nonostante i kilometri di lontananza. Ero titubante sai, all’idea di trasferirmi. Ma poi mia madre mi ha fatto capire che era giusto e che avrei soltanto gettato il mio talento rimanendo a Lima.”
Rachel annuì, stringendosi nelle spalle.
“Ed aveva ragione, no? Tu hai un sacco… di talento, San. Davvero, non devi e non ti permetterò di sprecarlo. Poi non posso vedere la… regina delle stronze abbattersi in questo modo,” le disse, dandole una spallata leggera ed affettuosa.
 

***


Il cellulare di Kurt squillò in un momento totalmente inaspettato.
Era in una caffetteria a prendersi un cappuccino quando vibrò sul tavolo, attirando la sua attenzione: era un sms ed il mittente era… Kristine. Quella tipa stramba che aveva tentato di adescarlo la volta precedente in caffetteria e che era dentro lo studio di Vogue.
Fissò il telefono per qualche secondo; in parte quella ragazza lo inquietava e sentiva soltanto di doverle stare alla larga, dall’altro lato, poteva anche rivelarsi una buona amica sul campo e non sarebbe stato tanto male avere qualcuno con cui socializzare durante le ore dello stage e magari anche avere qualche compagnia all’infuori di Santana e Rachel.
Ci pensò su qualche attimo: non era solito a buttarsi, specialmente perché era sempre un po’ diffidente nei confronti delle persone, ma prese coraggio e lesse il messaggio prima di cestinarlo o di riporre il telefono.

“Complimenti per il completo di stamani. Domani ci sarai? Hai deciso di rimanere? È stata una sorpresa trovarti lì. A presto, - K”

Kurt inarcò le sopracciglia. Non sapeva come leggere quel messaggio ed onestamente avrebbe voluto ridere perché sembrava che quella ragazza provasse un vero e proprio interesse per lui, ma come aveva detto Santana, come non aveva potuto accorgersi che era gay fino al midollo?
Forse non c’era da pensar male, ma Kurt in quel momento non riusciva a leggere in nessun altro modo quel semplice messaggio.
Decise di risponderle, in fin dei conti una risposta non faceva male a nessuno.

“Ti ringrazio. Sì, domani ci sarò ovviamente, sono rimasto sorpreso anch’io. A domani, - K”

Decise di essere il più lapidario possibile, proprio per evitare scompensi di qualunque tipo. Preferiva non dover dare spago a nessuno ma essere comunque cortese.

Finì il suo cappuccino e si alzò, mettendosi la tracolla in spalla. Era ora di tornare a casa a preparare la cena, prima che Rachel o Santana potessero metter mano ai fornelli e fare qualche pasticcio o cibo immangiabile.


***


“Un club di Supereroi,” disse Blaine, mentre disegnava su un foglio – anche se sarebbe stato più corretto dire scarabocchiava – una stilizzazione ridicola di Batman e Robin.
“A me piace!” esclamò Sam, entusiasta.
“Andrete a salvare il mondo?” commentò Brittany, girandosi verso Blaine, Artie e Tina si rivolsero un’occhiata esasperata. Senza la supervisione di Santana, se possibile, Brittany stava decisamente peggiorando, anche se quella non era sicuramente la battuta peggiore del suo repertorio.
“Con così poco stile! Con quelle tutine di spandex!” esclamò Wade, tirando su le mani, “io me ne tiro fuori.”
“Nessuno ti ha obbligato ad entrare,” rispose Sam, saggiamente.
“Allora? Che ve ne pare?” chiese ancora Blaine, eccitato, “potremmo organizzare qualche raduno dove leggiamo fumetti o veniamo tutti vestiti dai nostri supereroi preferiti.”
“Ma… oltre a questo?” chiese Artie, “si faranno anche tornei di videogiochi?”
Sam batté subito le mani, “Una specie di Club per Nerd!”
“Una cosa del genere,” rispose Blaine, con un sorriso sulle labbra.
“Noi ci stiamo!” esclamarono Artie e Sam in coro.
“Ma questa non è l’unica cosa che voglio fare e credo sia giusto annunciarlo a tutti voi… intendo candidarmi come presidente degli studenti?”
Brittany scoppiò a ridere.
“Come? Ma pensi davvero di vincere? L’anno scorso ho sconfitto Kurt con una netta preferenza, sai?” disse, riavviandosi i capelli, “non resisteranno al mio fascino. Vuoi evidentemente perdere in partenza.”

I membri del club si guardarono. Nessuno di loro, con tutta probabilità, avrebbe votato Brittany: l’anno precedente non aveva fatto niente di utile, mentre Blaine aveva il carisma giusto per proporsi come leader e questo Blaine lo sapeva perfettamente.

“Vedremo. Intanto ti consiglio di trovare qualcosa di geniale, perché hai fatto un fiasco lo scorso anno, se avesse vinto Kurt sarebbe stato sicuramente più utile,” disse, sentenziando con più nervosismo di quanto non avrebbe voluto. Kurt gli mancava e per qualche motivo, era sempre presente in ogni suo gesto e pensiero. Persino l’idea di diventare rappresentante gli era venuta grazie a lui ed anche l’idea di sconfiggere Brittany alle elezioni era alimentata da un vago e sottile senso di vendetta.
Kurt avrebbe potuto fare dei buoni cambiamenti e forse, con qualche nota in più sul curriculum, sarebbe anche potuto entrare alla NYADA.
Blaine non portava rancore, non era il tipo, però quella cosa non l’aveva mai dimenticata davvero, c’era qualcosa di profondamente indigesto nel pensare che la superficialità si vendesse più facilmente di qualcosa di serio e sincero. Ma non avrebbe dovuto stupirsi, del resto quella era la società in cui erano immersi, quella discriminante che ti mette con le spalle al muro soltanto perché sei nato gay e quindi sei automaticamente sbagliato.

“Pensi di poter sfondare cantando una hit da Katy Perry? Beh, tu Anderson non hai qualcosa che noi donne abbiamo,” spiegò Brittany, con modestia.
“Cosa?”
“Il fascino femminile, ovviamente.”

Blaine la guardò con aria di sfida: non si sarebbe certo fatto abbattere da un po’ di sculettamenti e da una chioma bionda fluttuante.
Ci voleva ben altro per schiacciare Blaine Anderson.


***


Passarono due giorni da quando Kurt mise per la prima volta piede a Vogue ed aveva capito due cose fondamentali: la prima, era che tutti erano assolutamente competitivi. Non c’era spazio per le amicizie né per le collaborazioni - ma c’era abituato, in fondo anche alle superiori era così. La seconda, era che Kristine era davvero… assillante.
Aveva tentato di spiegare alla ragazza cose riguardo alla propria sessualità, ma a lei sembrava non importare granché. Kurt, quindi, si limitava ad evitarla. Era una persona un po’ asfissiante; non cattiva, solo collosa e lui non sopportava le persone eccessivamente collose.
La sua vera domanda, però, era perché Kristine avesse quell’atteggiamento: spesso e volentieri poteva anche solo essere un modo usato per distrarre le persone dal suo vero obiettivo e magari Kristine voleva depistarlo, metterlo in ombra senza però mostrarsi cattiva, far vedere qualche lato falso di sé per poi pugnalarlo alle spalle.
Kurt era sinceramente preparato al peggio.

Vogue comunque era l’ambiente che aveva sempre desiderato. Non era stato semplice inizialmente, abituarsi a ciò che doveva fare, scrivere articoli ed informarsi ancora di più sulla storia di Vogue, però era stato indubbiamente interessante.
La signorina Isabelle era sempre molto sveglia e disponibile, capace di riuscire a coinvolgere gli stagisti ed a farli appassionare ancora di più al loro – probabile – futuro lavoro.
Kurt sfogliava sempre con un sussulto al cuore le riviste di Vogue conservate nella piccola ‘biblioteca’ degli studi. Quello era indubbiamente il suo mondo e grazie ad esso stava imparando a colmare i propri vuoti e le proprie mancanze, anche se quella New York rimaneva comunque un’enorme città e dentro provava sempre un certo senso di vuoto.

Mentre sfogliava un numero della rivista, gli venne naturale pensare a quanto sarebbe stato bello farlo con Blaine al suo fianco: ricordava quando commentavano assieme, sul letto, solitamente, dei capi particolari e come Blaine avesse troppo spesso un vero senso dell’orrido: non sempre sempre, ma molte volte sì. Kurt amava correggerlo e cercare di insegnargli ciò che aveva imparato da solo sul “buon vestire”.

Kurt sapeva che chiamare Blaine sarebbe stato un errore, ma moriva dalla voglia di farlo. Voleva sentire la sua voce, sentirlo vicino e per l’ennesima volta si chiese perché mai non si erano dati una possibilità, perché non aveva impedito a Blaine di lasciarlo.
Non sapeva cosa stesse facendo a Lima poiché i suoi compagni, con i quali si sentiva di tanto in tanto, evitavano accuratamente di dirgli qualunque genere di dettaglio.
Era frustrante perché Kurt voleva saperlo, avrebbe voluto sapere tutto di Blaine, della sua salute, della sua carriera nel Glee, ma nessuno faceva riferimento alla sua esistenza e lui non aveva nemmeno il coraggio di chiedere.
Ogni tanto, gli veniva naturale chiedersi se Blaine avesse mai chiesto di lui, ma al tempo stesso sapeva benissimo che non aveva alcun senso farlo.
Si morse il labbro inferiore, portandosi una mano alla testa. Era così stressato, frustrato, avrebbe solo voluto riposarsi e cancellare un po’ di quei pensieri.
C’era da dire che fortunatamente, il lavoro gliene spazzava via un bel po’.


***


“Presto ci sarà il Ringraziamento,” disse Tina, guardando Artie e gli altri, “credo che i nostri compagni torneranno tutti a casa… la mia idea era quella di fargli una sorpresa!” esclamò, con entusiasmo. Infatti, poche ore prima aveva sentito al telefono Rachel, la quale le aveva comunicato quella notizia: sia lei che Santana che Kurt sarebbero tornati a Lima per il giorno del Ringraziamento.
Blaine trasalì al nome di Kurt quando Tina spiegò chi sarebbe venuto.
“Una sorpresa di che genere?” domandò Sam, armeggiando con il cellulare.
“Pensavo… ad un semplice pranzo tutti assieme, a casa di qualcuno. Possiamo fare anche a casa mia, è abbastanza grande,” spiegò, sorridendo.
“Io sono d’accordo,” annuì Artie, “credo che farà molto piacere a tutti.”
“Rachel mi ha detto che contatterà anche Quinn, Mike sono certa che verrà e Sam potrebbe sentire Mercedes, mh?” disse, guardando il biondo.
Sam annuì facendo una smorfia: non stavano più assieme, si erano lasciati durante l’estate e  nessuno del club sapeva esattamente come, considerando che Sam non voleva proferir parola, ma continuava a dire che erano comunque rimasti in ottimi contatti.
“Perfetto! Allora si dia il via all’organizzazione!” esclamò la ragazza battendo alle mani.
Il resto dei compagni sorrisero e Blaine provò una serie di emozioni contrastanti.
Gioia e nervosismo erano un bel conflitto di sentimenti da gestire.




Note di fine capitolo: eccoci qua! L'angst sta pian piano scemando e sto cercando di soffermarmi sulle vite dei vari personaggi. Per le cose su Kurt e Blaine ho evidentemente tratto ispirazione dagli spoiler, non so poi quanto sarà coerente con ciò che succederà nel telefilm, ovviamente.
Il capitolo mi è costato parecchie energie, perciò spero vi sia piaciuto e che non vi abbia delusi :) dal prossimo o comunque a breve torneremo a vedere qualche interazione Klaine!

La canzone usata è "Incomplete" dei Backstreet Boys (eggià.)

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Alla prossima,

Flan


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