(I've Had) The Time Of My Life di F l a n (/viewuser.php?uid=14740)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Walk Alone ***
Capitolo 2: *** All In All ***
Capitolo 3: *** Runaway ***
Capitolo 4: *** Incomplete ***
Capitolo 1 *** I Walk Alone ***
Titolo:
(I've had) The time of my life
Betareader: nessie_sun
Rating: dal
G al R+ (possibili variazioni) (ergo: dal verde all'arancione)
Pairing: Klaine,
Finchel, Faberry, Pezberry (probabilmente friendship), accenni Brittana.
Avvertimenti: Spoiler
sulla 4° stagione, break-up iniziale, angst
Note:
ebbene sì! Sono tornata con una nuova fanfiction. Il titolo
viene dalla celebre canzone del musical "Dirty Dancing". C'è
bisogno che ve la linki? chi non la conosce?
Questa fic infatti - credo - avrà "una canzone a capitolo",
o meglio, ci sono canzoni che mi ispirano, le quali daranno i titoli ai
capitoli.
Mi ero ripromessa di pubblicarne 3 diverse prima di questa (che stanno
tutte scritte nel mio pc, perlomeno parzialmente) ma gli ultimi spoiler
mi hanno dato l'impulso per cominciare questa nuova long che sento
molto "libera" e grazie alla quale sono uscita dal mio periodo di
blocco-scrittura.
Mi ero ripromessa di tornare con una commedia, ma purtroppo questa
fanfiction perlomeno inizialmente di commedia ha ben poco.
Ci terrei a sottolineare che questa è una mia personale e
molto libera interpretazione degli spoiler sulla quarta stagione, non
ho una linea precisissima da seguire ma so più o meno dove
andare a parare.
Spero che comunque gradiate la fanfiction e vi godrete la lettura.
Ci vediamo a fine capitolo!
Chapter 1: I Walk Alone
"My shadow's the only one that walks beside me
My
shallow hearts the only thing that's beating
Sometimes
I wish someone out there would find me
'Til
then I'll walk alone..."
Il cielo di New York
era plumbeo sopra la testa di Kurt e piuttosto fastidioso per gli
occhi, ma sembrava rappresentare il suo stato d’animo alla
perfezione.
Non c’era
niente di meraviglioso in quella giornata: né gli imponenti
palazzi intorno a lui, né le pubblicità a schermo
appese su ogni palazzo e nemmeno i poster dei musical di Broadway.
Provava solo un forte
senso di malinconia mentre si trascinava dietro i suoi trolley neri e
lucidi con aria stanca, carichi di abiti e nuove
responsabilità.
Il suo sogno era sempre
stato quello di andare a New York e di avere successo. Ci aveva provato
una volta ed aveva fallito senza nemmeno sapere il perché,
ci aveva provato una seconda volta con meno grinta e c’era
riuscito: un po’ per fortuna - che a quanto pareva aveva
deciso di esser dalla sua parte,- un po’ per merito.
Aveva cambiato
obiettivo quasi senza rendersene conto ed aveva trovato la propria
strada nel mondo della moda: mondo che alla fin fine era sempre stato
suo ed era ciò che lo aveva reso un po’
più speciale oltre alla propria voce.
Non era stata la sua
prima scelta, ma almeno era pur sempre una scelta.
Non era stato facile
dire addio a Lima e non era stata una bella giornata. Kurt odiava gli
addii ed i saluti, odiava dover fare promesse che sapeva di non poter
mantenere.
Kurt odiava
l’idea di essere lontano da tutta la sua famiglia ed odiava
l’idea di essere lontano da Blaine.
Ed ancor più
di questo, odiava l’idea di non stare più con
Blaine.
***
Era successo qualche
ora prima, fuori dall’aeroporto. C’era qualcosa che
non andava da un po’ di tempo e Kurt lo sapeva, ma si era
sempre ripromesso che sarebbe andato tutto bene, che la loro relazione
sarebbe durata nonostante la distanza.
C’erano un
sacco di persone che decidevano di basare le loro relazioni su un
rapporto a distanza, perché loro avrebbero dovuto avere
problemi? Kurt non riusciva proprio a capire, non riusciva a capire lo
sguardo ferito di Blaine, non riusciva a capire tutto il suo dolore.
Lo amava e proprio
perché lo amava così tanto non voleva minimamente
pensare ad una rottura. Il loro rapporto era troppo forte anche solo
per esser spezzato dalla distanza.
Ma piuttosto,
l’amore stesso era ciò per cui si erano dovuti
dividere.
“Ti amo
troppo,” sussurrò Blaine nel suo orecchio, con
dolcezza mista a tristezza nella voce mentre lo stringeva di fronte
all’aeroporto.
Poteva essere una
dannata scusa? Cristo, sembrava una dichiarazione degna di Finn Hudson,
Kurt sapeva che il suo fidanzato non era Finn Hudson, ma Blaine
Anderson e sapeva anche che Blaine Anderson aveva un briciolo di
intelligenza in più.
“Ti amo da
morire anch’io,” rispose Kurt, stringendolo di
più.
“Ti prego non
dirmelo,” ansimò l’altro, con la voce
rotta dal pianto. Kurt aggrottò la fronte.
“Perch-“
“Perché…
perché la distanza è troppa e mi fa male
l’idea che non potremo vederci. Lo sai, ho fiducia nel nostro
amore, ma conosco questo genere di cose. Io… non vorrei mai
perderti in qualche modo orrendo, dopo un sms o attraverso un pc, non
voglio che per qualche motivo le nostre strade si dividano in modo
brutale. Voglio… che possiamo ricordarci di questo momento e
dei nostri momenti assieme, voglio restare con te per sempre
e… voglio che tu vada a New York sereno. Incontrerai
tante… nuove persone, nuovi amici e nuovi ragazzi. Non
voglio che ci siano tradimenti tra di noi,” concluse Blaine
con voce spezzata, allontanandosi un poco da Kurt.
Kurt fece un passo
indietro.
“Cosa…
cosa stai dicendo, Blaine?” il suo tono era basso,
praticamente ferito. Cosa stava insinuando? Lo stava lasciando?
“Sto dicendo
che… voglio lasciarti, ma con una promessa. Noi torneremo
assieme, torneremo assieme il prossimo anno, non appena
verrò lì, a New York. Andremo…
prenderemo un appartamento assieme, e no… no Kurt non
piangere,” Blaine gli prese immediatamente le mani
racchiudendole nelle proprie, “Non piangere, il mio cuore si
spezza quando piangi,” ansimò, con voce tremula,
mentre Kurt sembrava incapace di reagire in qualsiasi modo.
“Ti si spezza
il cuore?! Tu hai… hai appena spezzato il mio! Tu non
credi… non mi credi,” gridò Kurt,
finché la sua voce non si affievolì di nuovo,
“non mi credi.”
“Ti credo. Ti
credo e ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Ma ci
aspettano troppi cambiamenti, troppi mesi di distanza ed io non voglio
perderti,” sussurrò Blaine, avvicinandosi a lui,
poggiando la propria fronte contro la sua.
“Noi non
dobbiamo perderci… io ti ho promesso che non mi avresti
perso e noi… noi ci stiamo lasciando,”
singhiozzò Kurt, contro di lui, stringendolo a sé.
Perché
quell’abbraccio era tutto ciò che aveva, era la
sua casa, era il suo legame con Blaine, era ciò che lo
faceva stare Blaine.
Blaine era una delle
cose migliori che la vita gli avesse mai dato, la sua fortuna, il suo
amore.
“Torneremo
assieme… se saremo ancora liberi, torneremo assieme.
Continueremo a sentirci questi mesi, continueremo a mandarci messaggi
magari, solo… non avremo impegni l’uno verso
l’altro. Sarà l’unico modo per capire se
siamo davvero destinati a rimanere assieme.”
Kurt
continuò a piangere e singhiozzare, incapace di trattenere
le lacrime mentre anche gli occhi di Blaine se ne riempivano.
“Non fare
così Kurt…”
“È
ingiusto,” mugugnò, “È
ingiusto che dobbiamo dividerci, che non possiamo… stare
assieme ancora.”
“Ma noi
torneremo assieme. Possiamo promettercelo, possiamo prometterci di
voler tornare assieme,” gli tenne le mani, stringendole
così tanto da fargli quasi male.
Era tutto
così inutile e drammatico, perché Kurt sapeva che
non ce n’era davvero bisogno: non dovevano lasciarsi, non
era… produttivo in alcun modo e non avrebbe giovato alla
loro relazione. Sarebbe stato solo un inutile stallo.
Avrebbe voluto dire
mille cose, urlargli di no, dirgli che non l’avrebbe lasciato
così, senza un motivo preciso e senza nemmeno aver provato a
stare assieme, ma dalle sue labbra non uscì niente, se non
un sospiro.
Si buttò
nuovamente tra le sue braccia e gli strappò un bacio
intenso, carico di emozioni.
Le labbra di Blaine
erano perfette come sempre, calde e morbide, ma per una volta erano un
po’ più amare.
Kurt aveva deciso di
entrare nell’aeroporto da solo, aveva salutato tutti, aveva
salutato Blaine piangendo come un bambino ed aveva dato un ultimo
abbraccio a suo padre, doveva essergli grato perché lo aveva
sempre sostenuto ed aveva sempre appoggiato ogni sua scelta, aiutandolo
a non smettere mai di credere nelle proprie capacità.
Doveva essere un giorno
felice per lui, ma mentre si trascinava verso l’aereo e
saliva le scalette, sentiva un pezzo di se stesso cadere e rimanere
lì, ben ancorato alla piattaforma di
quell’aeroporto.
Ricostruirsi non
sarebbe stato facile.
***
Quando
arrivò nel proprio appartamento a New York, fu assaltato
letteralmente da Rachel e Santana: già, le due nemesi nel
Glee Club sarebbero state le sue compagne di stanza fino a che non
avrebbe trovato qualcosa di più confortevole.
Il progetto iniziale di
Kurt era andare a vivere lì fino a quando Blaine non si
sarebbe diplomato, per poi aspettarlo ed andare a vivere con lui: ma da
quel giorno forse Kurt avrebbe dovuto rivedere tutto, perché
ormai non c’era più nessuna certezza per lui e
Blaine e per quanto potesse essere frustrante la verità.
Aveva voglia di
lanciare i propri bagagli nel primo spazio disponibile ed accasciarsi
sul letto, invece avrebbe dovuto dedicarsi alle mille domande delle due
ragazze.
“Com’è
andato il viaggio?” la voce di Rachel fu la prima ad arrivare
alle sue orecchie mentre cercava di posizionare i bagagli nella nuova e
piccola stanza. Era minuscola rispetto alla sua solita camera, ma alla
fine andava bene, si sarebbe adattato: almeno l’armadio era
piuttosto grande, sarebbe stato un disastro il contrario.
“Non sembri
molto felice,” commentò Santana, appoggiandosi
allo stipite della porta. Kurt le rivolse un’occhiata;
“non lo sono,” ammise, senza troppe spiegazioni.
“Non sembrava
così fino a qualche giorno fa, chiamavi la Berry con una
vocina da unicorno nel paese degli zuccherini ed oggi sembra che ti sia
caduto il mondo addosso,” disse, con un po’ di
acidità: in fondo era Santana, perciò Kurt non si
stupì.
“Blaine ed io
ci siamo lasciati,” rispose Kurt lapidario, senza fornire
ulteriori spiegazioni mentre cominciava a disfare la valigia.
“Tu e Blaine
COSA?!” Rachel Berry apparve nella stanza inchiodandosi sulla
porta, facendosi spazio e spingendo Santana da un lato - che era
rimasta a bocca aperta.
“Non lo
ripeterò un’altra volta,”
mugugnò Kurt, come se quelle parole fossero veleno.
“Tu…
e l’hobbit? E per quale motivo? Fino a qualche giorno fa non
eravate a giurarvi amore eterno?” chiese, allargando le
braccia in un gesto vagamente plateale.
L’altro
tirò su col naso e si sedette sul letto, cupo.
“Più
o meno.”
Il cielo di New York in
quel momento sembrava quasi più limpido di lui.
***
Blaine riusciva
soltanto a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, se fosse stato
il modo migliore di salvare la loro relazione.
Avrebbero evitato
qualunque tipo di tradimento o qualunque disagio a causa della
lontananza: non riusciva a vedere una soluzione più
promettente di quella che aveva trovato. Amava così tanto
Kurt che la sua unica e vera paura era quello di perderlo veramente e
quel pensiero si era insinuato nella sua testa da troppo tempo per
ignorarlo.
Aveva deciso che la
cosa migliore era una pausa, in modo tale che se Kurt avesse deciso di
cambiare direzione o avesse trovato qualcuno di migliore di lui, non
sarebbe stato un tradimento.
Forse era un
po’ egoistico, ma Blaine credeva che fosse anche la scelta
più saggia, nonostante facesse male, tremendamente male.
Kurt gli mancava
già da morire e sapeva che non si sarebbe abituato molto
presto all’idea di rimanere senza di lui: provava
già un profondo senso di solitudine rimarcato dal ricordo
delle ultime parole che gli aveva detto. Doveva cercare di ricordarsi
che l’aveva fatto per amore e che un giorno, se fosse stato
destino, sarebbero tornati assieme.
Si sedette su una sedia
del Lima Bean con un cappuccino caldo tra le mani e si
rannicchiò su se stesso, fissando fuori dalle ampie vetrate
del caffè.
Non faceva freddo, ma
provava qualcosa di molto simile,una sorta di disagio interiore che lo
portava a stare lì, mentre dei ricordi si riaffacciavano
alla sua mente.
Il loro primo
caffè assieme, il loro primo San Valentino da non fidanzati
trascorso lì, i loro dopo-scuola e le loro chiacchiere. Il
Lima Bean era sicuramente uno dei luoghi più significativi
per la loro relazione e stare seduto al loro tavolo proprio il giorno
in cui aveva dovuto dire ‘arrivederci’ a Kurt era
in qualche modo consolatorio e frustrante al tempo stesso.
Si portò le
mani al viso, strusciandoselo con nervosismo: voleva liberarsi di ogni
emozione e lasciare che la ragione si impossessasse di nuovo di lui.
Purtroppo, però, Blaine sapeva che non era esattamente
così facile.
Ci sarebbe voluto tempo
e non avrebbe nemmeno saputo immaginare quanto.
***
Burt aveva tenuto
stretto il più possibile suo figlio prima di doverlo lasciar
andare. Si sentiva tremendamente vuoto senza di lui a casa, con Finn
nell’esercito e Carole che preparava una misera cena per due.
Si era messo sul divano
ed aveva cominciato a girare i canali alla tv: non c’era
niente che riuscisse ad attirare la sua attenzione.
Avrebbe soltanto voluto
chiamare suo figlio, sentire come stava, ma non voleva essere troppo
assillante o protettivo. In fondo stava soltanto proseguendo la sua
strada e lui non gli avrebbe messo ansia, era sicuro che Kurt fosse
già abbastanza malinconico di suo. Aveva pur sempre dovuto
lasciare tutto ciò che aveva.
“Ti manca,
non è vero?” la voce di Carole lo fece sussultare,
la donna stava finendo di apparecchiare la tavola,
“è normale, sai? Ma prima o poi bisogna lasciarli
andare.”
Burt sbuffò.
“Questo
è vero… soltanto, è così
diverso non vederlo qui per l’ora di cena, mentre tenta di
cucinarmi qualcosa di estremamente dietetico e privo di
calorie,” abbozzò un sorriso e Carole gli
accarezzò una spalla.
“Sento ogni
giorno la mancanza di Finn… è normale. Ma prima o
poi ci si abitua. Sono sicura che Kurt avrà successo a New
York ed avrai modo di essere orgoglioso di lui…”
“Ma io lo
sono già,” rispose Burt, piuttosto sicuro di
quell’affermazione.
Carole si
limitò ad annuire. Chi non era orgoglioso del proprio
figlio?
Lei lo era, nonostante
si preoccupasse ogni giorno per Finn e controllasse ansiosamente la
casella delle lettere. Certo, Finn non era in guerra, ma la paura che
potesse rimaner ferito durante qualche esercitazione la pervadeva ogni
giorno ed era come rivivere un film già vissuto in passato.
Ma Finn era grande e
non avrebbe commesso gli stessi errori del padre, perché lui
era più maturo ed era suo figlio. Magari non era una
spiegazione molto valida, ma a Carole bastava.
***
Kurt appese al muro un
quadretto di Wicked identico a quello che aveva anche Rachel in camera
e con quello finì di arredare la propria stanza.
Lo aveva fatto con aria
mogia, senza un reale entusiasmo; la cosa lo aveva fatto quasi sentire
ancora più triste perché solitamente quando stava
male moralmente sentiva il bisogno di fare qualcosa che lo rilassasse e
solitamente arredare la propria stanza o dedicarsi alla moda riuscivano
a farlo calmare.
In verità,
il suo più grande calmate era parlare per ore al telefono
con Blaine, anche di cose stupide, mentre se ne stava tutto
rannicchiato sul letto. Ma cosa poteva fare quando la causa della sua
tristezza era proprio l’unico che riusciva ad alleviarla?
Aprì un
cassetto del comodino e prese una scatolina rossa; la aprì
lentamente per poi fissarne il contenuto: era l’anellino che
Blaine gli aveva regalato a Natale, quello fatto con le cartine delle
sue caramelle preferite. Sorrise, osservandolo e togliendolo dalla
scatolina. Ricordava benissimo quel momento ed ogni volta che si
sentiva solo o triste non faceva che scaldargli il cuore, ma
improvvisamente quell’anello racchiudeva solo ricordi di
qualcosa che forse non avrebbe potuto recuperare e l’idea gli
faceva più male di quanto non avesse voluto in
realtà.
Lo aveva lasciato con
una promessa, ma anche quell’anello a suo tempo stata una
promessa: gli aveva promesso di rimanergli sempre vicino, di baciarlo
dove avrebbe voluto e quando, di cucinare biscotti e…
quell’anello aveva così tante promesse in
sé per essere solo un insieme di piccoli pezzi di carta.
Chiuse la scatolina e
se la strinse al petto, lasciandosi andare completamente sul letto
morbido e chiudendo gli occhi.
Era stanco di piangere,
era stanco di pensare e di ricordare le parole di Blaine.
Voleva soltanto dormire.
Note
di fine capitolo:
La canzone ad inizio capitolo è dei Green Day, (I Walk
Alone) Boulevard Of Broken Dreams *cliccami tutta* infatti questa fic è nata
essenzialmente da questa canzone, mentre ero con una mia cara amica a
Roma, in auto (e la stavamo ascoltando.=
Non mi ucciderete vero? perché ho un cartello con scritto
"KLAINE" grosso quanto una casa da poter sventagliarvi in faccia in mia
difesa!
Scherzi a parte, l'angst iniziale è necessario per lo
sviluppo della fic, e siccome ho preso come ispirazione gli spoiler,
direi che questo è un capitolo abbastanza ovvio. Alla fin
fine li ho re-interpretati come preferivo, però quelli sono.
A parte questo, in realtà io sono una sostenitrice della
Klaine e questa fic è nata per sfogare la mia malinconia, ma
voglio assicurarvi che sono una fan dei finali felici, quindi vi lascio
interpretare la mia frase ;)
Se vi va, fatemi sapere se vi è piaciuta o magari ditemi -
perché no - le vostre congetture sulla 4° stagione.
Sto già preparando il secondo capitolo e spero di poterlo
pubblicare a breve! Per informazioni o per seguirmi, vi consiglio la
mia pagina Facebook
*QUI*
Alla prossima!
Flan
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Capitolo 2 *** All In All ***
All in All
Note
di inizio capitolo: Holaa!
Eccomi tornata con il secondo capitolo.
Purtroppo
ormai
far coincidere la mia versione delle cose con quella del telefilm
sarà alquanto impossibile dati gli spoiler usciti (Klainers,
li
conoscete, vero?) ma spero comunque di poter fare un buon lavoro e
chissà, magari azzeccare su qualche futuro cambiamento per
le
varie coppie.
Inutile
dirvi
che questi giorni ho consumato pacchetti e pacchetti di fazzoletti e
non sono molto sicura di volere il 4 ottobre, ma per adesso provo a
resistere. Vi assicuro che scrivere è dannatamente
liberatorio
in questi casi!
Il
capitolo è betato da nessie_sun, ed ora vi auguro una buona
lettura ;)
Chapter
2: All in All
"Things
don't stop and the others announced they're moving on
Salt
& tears in the minds in the mouths of a bad decision
Too
late for another mistake it's bringing me down
With
all your faults it isn't your fault
what's
going on
All
in all it's just another day now
You're
falling down
What
you gonna do
Standing
on top of the world tonight
No
ones looking back at you"
Quando Kurt
aprì gli occhi il
giorno seguente, quasi non si ricordò di essere a New York.
Aveva sognato di essere a Lima, con Burt, Carole e Blaine, ma
risvegliarsi in una stanza diversa e più piccola lo aveva
riportato immediatamente nella realtà.
Si passò una
mano sul volto,
portandosi indietro i capelli ed alzandosi piano piano, scostando le
coperte. Rimase seduto nel suo letto a fissare la luce che passava
dalla finestra ancora chiusa. Sospirò. Era un nuovo giorno
in
una nuova città, non avrebbe dovuto sentirsi il cuore
così pesante: non era giusto, l’indomani avrebbe
avuto il
suo primo giorno da stagista e doveva essere emozionato, non intimorito
o depresso: che figura avrebbe fatto?
Prese il cellulare e lo
accese.
Rimase per qualche secondo in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa: un
messaggio, una chiamata persa, qualche e-mail, ma la verità
fu
una soltanto: non arrivò niente, nemmeno uno straccio di
notifica se non un messaggio da parte di Carole che gli chiedeva come
si sentiva.
Kurt non aveva detto a
nessuno di
ciò che era successo con Blaine, se non a Rachel e Santana,
gli
altri li aveva salutati tutti prima che Blaine lo prendesse da parte e
gli dicesse che sì, lo stava mollando senza
possibilità
di replica. Per questo, nessuno gli aveva chiesto come stava o fatto
domande inopportune; in un certo senso ne era felice, doveva
risparmiarsi un sacco di spiegazioni inutili che avrebbe preferito non
dare.
Scese dal letto ed
afferrò i
pantaloni del pigiama che si era tolto per il caldo, infilandoseli per
andare in cucina, non sapendo se vi avrebbe già trovato
Rachel e
Santana.
Entrò nel
soggiorno e vide
che tutte le luci erano spente, le sue due compagne di appartamento
probabilmente stavano ancora riposando; meglio, pensò tra
sé e sé. Parlare di primo mattino non era una
cosa che lo
metteva di buon umore.
Accese la macchinetta
del
caffè e prese dal frigo un po’ di latte,
versandoselo in
una tazza con noncuranza: normalmente preferiva cucinarsi una colazione
con i fiocchi, ma era così stanco da non aver voglia di fare
nemmeno quello.
Si sedette al tavolo e
cominciò a mangiucchiare un paio di biscotti con il latte,
mentre aspettava che la macchinetta finisse di fare il caffè.
Si sentiva un
po’ deluso da se
stesso. Era sempre stato una persona entusiasta del proprio futuro e
ritrovarsi così depresso gli sembrava paradossale: andare a
New
York era ciò che aveva sempre sognato; affacciarsi alla
finestra, vedere una città piena di palazzi.
Lima gli era sempre
stata stretta e non era un mistero per nessuno, ma Lima significava
casa e casa significava Blaine.
Sospirò,
pregando se stesso
di smettere di pensare a lui. Rimuginarci su non avrebbe di certo
aiutato la situazione o cancellato il problema in qualche modo.
“Già
sveglio?” una voce lo fece sussultare e lo costrinse a
voltarsi, Kurt sorrise.
“Non riuscivo
a dormire oltre e tu?”
Rachel si strinse nelle
spalle.
“Mi sveglio
sempre presto, beh sai, i rituali mattutini e gli
allenamenti.”
“Già,
dovevo ricordare
la tua routine,” Kurt sorseggiò il suo latte e
caffè – che aveva aggiunto poco prima.
“Ferrea come
sempre!” esclamò la ragazza, prendendo dei cereali
da uno scaffale.
Kurt si
fermò ad osservarla
con un sorriso stirato sulle labbra, tipico di quanto in
realtà
stava pensando a qualcosa.
“Senti Rachel
ma tu… tu con Finn
com’è…”
La ragazza gli rivolse
uno sguardo triste, apparentemente ferito.
“Non ci
sentiamo da mesi, ormai,” disse, un po’ secca.
“Oh…”
“Blaine ti ha
lasciato per lo stesso motivo?”
Kurt fece le spallucce.
“Più
o meno, anche se non è andata proprio…
uguale.”
Rachel si sedette,
rilassandosi su una sedia.
“Ci si fa
l’abitudine, sai?”
“Ad essere
soli?”
“No…
non proprio, si
cambia pagina e si vede oltre. Attualmente sono talmente concentrata
sulla NYADA che non faccio molto caso all’amore. Senza
contare
che sono piena di rivali e devo cercare di competere ogni giorno. Sono
sicura che molto presto non penserai troppo a
Blaine…”
Kurt annuì,
ma nel suo
consenso non c’era una vera convinzione: sapeva benissimo che
l’amore che provava per Blaine era differente da quello che
provava Rachel per Finn. Senza screditarla, ma a volte dubitava che si
amassero veramente.
Certo lei era pronta a
rinunciare a
New York per lui, ma Kurt sapeva che Rachel sarebbe stata un anno in
lutto a piangersi addosso per un’occasione mancata.
Perché in
fondo Rachel era un
po’ così, un po’ viscida ed egoista, ma
Kurt non
poteva certo fargliene una colpa: era il suo carattere. Ed in fondo
erano amici, forse perché per i loro interessi non erano poi
tanto differenti.
Ma ciò che
infastidiva Kurt,
essenzialmente, era che loro non erano ‘I Finchel’
e che
quel genere di cosa – lasciarsi prima di partire –
faceva
terribilmente… Finchel.
“Probabilmente
hai
ragione,” disse, posando la sua tazza, “mi
passerà… sarà così bello
scoprire New York,
andare a lavoro…”
Rachel lo
guardò con
insicurezza. Non era molto convinta delle affermazioni di Kurt, ma
sperava vivamente che si riprendesse. Nel suo sguardo c’era
una
nota di pena e Kurt l’aveva colta immediatamente.
“Non
guardarmi così Rachel, penso sia solo una questione di
tempo, tranquilla…”
La ragazza si
versò una tazza
di latte e lo vide scomparire verso la camera, rivolgendo un breve
cenno a Santana che si era appena svegliata.
“Ummh, non
dirmi che è ancora depresso,” disse, strusciandosi
una mano sugli occhi.
“Non gli
passerà tanto in fretta, Santana, lascialo
stare…”
La ragazza prese un
bicchiere e ci versò della spremuta d’arancia.
“Beh,
dovrà pur riprendersi, se deve stare qua in queste
condizioni tanto vale che torni a Lima.”
“San, prova a
pensare cinque minuti a come sei stata l’ultima volta che hai
visto Brittany.”
La ragazza fece un
passo indietro e finì di prepararsi la colazione in completo
silenzio.
***
Blaine non poteva far a
meno di
chiedersi cosa stesse facendo Kurt. Se fosse solo, se stesse facendo
colazione, se avesse dormito bene.
Magari aveva
già conosciuto
qualcuno, un bell’imbusto a New York che lo aveva portato a
visitare la città la sera prima, magari anche in un bel
ristorante di lusso.
Provò
immediatamente un senso
di bruciante gelosia solo al pensiero. Lo sentiva ardere dentro come
fuoco, prendergli lo stomaco e strapparlo in qualche modo; ma Kurt non
era più suo, perciò non aveva diritto di parola.
Si erano lasciati con
una promessa ma, fondamentalmente, era liberissimo di fare
ciò che più desiderava.
Strinse il cellulare
tra le mani e
chiuse gli occhi: s’immaginò un ragazzo, magari
biondo,
alto, dagli occhi chiari e l’aria gentile e discreta, ed
immaginò Kurt così timido e tutto ben vestito
sedersi al
tavolo.
Li immaginò
conversare, li immaginò mangiare assieme e guardarsi con
occhi dolci.
Che effetto faceva? Era
peggio di prendere una fiala di cianuro.
Magari poi lo avrebbe
anche portato
a casa, su una macchina lussuosa, lo avrebbe fatto entrare e gli
avrebbe offerto un drink analcolico – era così che
si
faceva, no? E Kurt non sopportava l’alcol, - o magari avrebbe
sbagliato perché quel tipo non conosceva abbastanza Kurt e
non
poteva sapere che non ama gli alcolici.
Solo lui lo conosceva e
solo con lui poteva stare.
Strinse ancora di
più il
cellulare e si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
Provava rabbia, rabbia per se stesso perché non era stato
sincero, perché lo aveva stupidamente lasciato e gli aveva
spezzato il cuore.
Si sentiva uno schifo
perché
non aveva nemmeno il coraggio di mandargli un messaggio, considerando
che la sua paura più grande era quella di non ricevere una
risposta.
Non voleva realmente
pensarci, ma
non riusciva a fare niente di utile. Si voltava e pensava a quante
volte Kurt era stato lì, steso accanto a lui con il suo
respiro
caldo ed il suo sorriso.
Ricordò per
qualche secondo
anche la loro prima volta, ma la scacciò subito dalla mente:
non
voleva farsi poi troppo male.
Lo aveva lasciato
andare, era stata
una sua scelta: lo amava da morire e per questo aveva deciso di non
volergli essere d’intralcio: Kurt poteva diventare una grande
persona e lui non aveva intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote,
di tenerlo vincolato a sé.
Non ne aveva alcun
diritto.
Si
addormentò pensando e con una mano sull’addome,
provando un vago senso di fastidio.
L’indomani
avrebbe dovuto essere tranquillo e splendido, il perfetto e
l’intoccabile pseudo-leader del Glee Club.
***
Kurt uscì a
prendere una
boccata d’aria quella mattina: in fondo era a New York e come
diceva anche Rachel, prima o poi avrebbe dovuto ricominciare a vivere.
Perché non da quel giorno, allora?
New York era caotica,
immensa. Non
era Lima, di Lima non aveva nemmeno la metà delle cose:
certo
era sempre America, ma era sorprendente quanto, talvolta, le cose
potessero cambiare di luogo in luogo e se da un lato era rassicurante,
dall’altro era totalmente spiazzante.
Rachel era andata alla
NYADA,
perciò non aveva potuto far affidamento su di lei e Santana
era
andata agli allenamenti di cheerleader nella sua università.
Aveva un ultimo giorno
libero prima di andare a presentarsi allo studio di Vogue e voleva
sfruttarlo al meglio.
Passò per i
negozi più
alla moda di New York ammirandone ogni vetrina, sentendosi felice ed
esaltato: era un nuovo mondo, un mondo dove passava per le strade con i
suoi abiti eccentrici e non veniva guardato come se fosse stato un
alieno.
Qualcosa dentro di lui
tremò, avrebbe praticamente potuto commuoversi.
Entrò da
Starbucks e si
guardò intorno con un mezzo sorriso malinconico: ovviamente
non
era la prima volta che entrava in uno Starbucks, ma tutte le
caffetterie sembravano estranee e diverse dal Lima Bean, protagonista
di così tanti ricordi.
Ma era l’ora
di lasciare
indietro i ricordi e cominciare una vita nuova, ovviamente mantenendo
quelle piccole cose piacevoli nel suo cuore – tra le quali
anche
Blaine.
I suoi pensieri furono
immediatamente interrotti da una ragazza che si avvicinò a
lui
con fare guardingo e con due enormi occhi azzurri.
“Quella che
stai indossando
è una sciarpa di Alexander McQueen!”
esclamò,
entusiasta e prendendo posto al tavolo con lui senza nemmeno chiedere
il suo nome. Kurt spalancò gli occhi, sorpreso
dall’irruenza e dall’entusiasmo della ragazza. Poi
si
lasciò andare ad un sorriso, sembrava una ragazza carina ed
amichevole ed in fondo la moda era una passione comune –
senza
contare che si sentiva un po’ lusingato.
“Lo
è!” rispose,
“sono riuscito ad accaparrarmela in modi… diciamo
loschi,
sono un esperto nel cogliere le migliori occasioni quando si tratta di
moda!” esclamò con un ghignetto fiero.
La ragazza si
aggiustò per stare più comoda, mostrando la sua
borsetta di Luis Vuitton.
“Oh beh, la
moda è una
passione comune allora! Piacere, sono Kristine Jackson!”
disse
con gioia, parandogli la mano.
Kurt la strinse.
“Io sono Kurt
Hummel e… sono nuovo di New York.”
“Oh! Un
novizio! Non hai
nessuno che ti abbia aiutato a visitare la città?”
chiese,
sfiorandosi i capelli e riavviandoli.
“No, per il
momento ho…
visitato un po’ la città da solo,”
disse, facendo le
spallucce, “ma non è importante, ho un buon senso
dell’orientamento.”
Kristine sorrise.
“Sei venuto
da solo a New York?”
“Oh no, abito
con delle mie
vecchie amiche… avevo in programma di trasferirmi qualche
mese
fa se fossi entrato alla NYADA,” disse, un po’
intristito.
Kristine sorrise e poi
guardò l’orologio.
“Che sbadata!
Mi sono
ricordata ora di avere un appuntamento piuttosto importante! Devo
scappare, ma è stato davvero un piacere
conoscerti!”
“Anche per
me,” rispose, cortesemente.
“Ti andrebbe
di scambiarci i
numeri di cellulare? Così potresti chiamarmi nel caso tu
cercassi una guida per New York!” esclamò la
ragazza,
facendogli l’occhiolino.
Kurt rimase basito per
qualche
attimo, temendo il peggio: quella ragazza aveva forse…
intenzione di uscire con lui in quel senso?
Eppure era chiaro come
il sole che
era gay. Tuttavia, Kurt le dettò il numero di cellulare,
cercando di non pensare al peggio: forse era solo una ragazza che
desiderava avere un amico gay o magari amava la moda e voleva parlarne
con un ragazzo. Perché no, c’erano tante persone
come lei.
“A
presto!” esclamò poi, uscendo dal locale.
Kurt rimase con il
cellulare in mano
e l’aria perplessa. Girava per le strade con
un’insegna con
scritto “sono gay” praticamente stampata in fronte,
com’era possibile che una ragazza lo trovasse affascinante?
La cosa lo turbava, in
un certo qual senso.
Certo, anche Mercedes
anni prima
aveva avuto una cotta per lui, ma erano piccoli e… dei
ragazzini, era tutto più comprensibile.
Finì il
proprio cappuccino e
continuò la sua esplorazione di New York in solitaria,
gettandosi di negozio in negozio con aria entusiasta.
Tutto sommato, Kurt
poteva solo continuare a vivere la propria vita nel miglior modo
possibile.
Note
di fine capitolo:
Ebbene
ecco il secondo capitolo. Mi rendo conto che sono piuttosto corti, ma
spero non sia un problema per nessuno di voi.
Passiamo
alle note serie: la canzone citata e che da il titolo al capitolo
è All In All
dei Lifehouse *cliccami tutto*
e per la serie delle cose che non interessano a nessuno, è
stata
la loro prima canzone che io abbia mai sentito... la metterei ovunque.
LOL
A
parte questo,
spero di aggiornare quanto prima dato che sto già lavorando
al
terzo capitolo ed ho in mente un paio di punti focali che
amerò
scrivere. D'ora in poi l'angst dovrebbe essere molto ridotto e
diminuito, poiché questi due poveri cristi dovranno pur
andare
avanti con la loro vita.
Questo
è quanto! Nel caso vi andasse di tenervi in contatto con me,
ecco la mia pagina Facebook
*QUI* click sono
sempre molto disposta al dialogo ed a qualunque genere di commento
positivo o di critica!
Mi
farebbe
piacere sapere cosa ne pensate di questa fanfiction per poterne
discutere :) (insomma, voglio sapere le vostre teorie!)
|
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Capitolo 3 *** Runaway ***
Note
iniziali: capitolo
betato da nessie_sun.
In
questo capitolo verranno introdotti diversi nuovi personaggi
fondamentali per lo sviluppo della trama :)
Chapter 3: Runaway
“Credo che dovresti scrivergli. Fissare il cellulare non ti
aiuterà a risolvere la situazione,” la voce di
Tina risvegliò Blaine dai suoi pensieri, il quale
sussultò sulla sedia, sentendosi un po’ a disagio.
Da quando aveva lasciato Kurt non ne aveva praticamente più
parlato, ma tutti avevano capito cosa fosse successo tra loro
– non ci voleva molto.
“Mh, abbiamo rotto, Tina. Non posso scrivergli.”
“Ma lui ti manca!” esclamò la ragazza,
senza capire quale problema avesse Blaine, “Giuro che non ti
capisco, anzi, non vi capisco: vi amate ma vi siete mollati ed ora
state praticamente piangendo sui vostri cellulari… o almeno
tu.”
Blaine le lanciò un’occhiataccia, “cosa
pensi di saperne?”
“Penso che ne so fin troppo, visto che non stai nemmeno
più cercando di prenderti tutti gli assoli.”
Blaine storse leggermente il naso infastidito da
quell’affermazione: non si chiamava Rachel Berry, non era lui
a volere tutti gli assoli del Club. A volte si alzava e cantava senza
alcun motivo ma… non era come Rachel.
Sorrise, perché in fondo quel pensiero riusciva a
divertirlo, in qualche strano modo.
“Hai ragione… non sono io. Ma non posso chiedere a
Kurt di tornare con me. Sono stato io a lasciarlo, sai, per il suo
bene. Diventerà famoso e… bravissimo.
Perché Kurt ha talento ed io non sono nessuno per fermarlo
adesso. Se il prossimo anno sarà ancora libero e mi
avrà aspettato, allora torneremo assieme.”
Tina mugugnò, poco convinta.
“Ehi Anderson! Vieni a prendere un caffè con
noi?!” la voce di Sam interruppe la sua chiacchierata con
Tina. Si alzò, rivolse un sorriso amichevole
all’amica e la ringraziò velocemente per poi
fuggire via.
Avrebbe voluto davvero mandare anche solo un sms a Kurt, ma non era
ancora abbastanza pronto per farlo.
***
Kurt si svegliò presto quella mattina. Andò in
bagno, si sistemò i capelli ed applicò tutte le
proprie creme per il viso.
Era il suo primo giorno da stagista a Vogue ed era teso: tesissimo.
La sua mentore sarebbe stata Isabelle Conner, lo aveva saputo dalla
mail dove gli comunicavano che era riuscito ad entrare tra i quattro
nuovi inserzionisti.
Kurt ricordò con emozione il momento in cui aveva letto per
la prima volta la mail: avrebbe potuto mettersi a piangere.
C’era Blaine con lui, lo aveva stretto fortissimo e lo aveva
baciato.
Dopo il rifiuto alla NYADA, Kurt si era rassegnato a passare un anno a
Lima. Non sarebbe stato male, ma era stanco dei soliti luoghi, aveva
bisogno di un cambiamento.
Vogue era stato un bel cambiamento: inaspettato, certo, ma comunque
bello e stravolgente.
La moda era sempre stata una delle sue più grandi passioni
ed anche solo l’idea di poter far parte di uno staff di quel
calibro, seppur per uno stage, era a dir poco fantastico. Kurt non
aveva un curriculum ricchissimo, ma era dotato di determinazione, ne
aveva talmente tanta che avrebbe potuto praticamente venderla.
Prese un bel respiro, la propria borsa ed uscì di casa con
le gambe appena tremanti: era tutto un vortice di emozioni, tra la
paura di fare qualcosa di sbagliato e la sensazione che sarebbe stato
tutto fantastico.
Chiamò un taxi per arrivare il più velocemente
possibile agli studi e si guardò intorno: New York era
davvero frenetica, immensa. Il tempo sembrava scorrere tre volte
più velocemente e poteva sentire clacson suonare ovunque.
Era la città dei sogni per alcuni, ma indubbiamente non era
adatta alle persone tranquille. Kurt pensò che in fondo gli
sarebbero serviti almeno un paio di mesetti per abituarsi a quel ritmo.
Sfilò il cellulare dalla borsa e lo strinse nella mano,
scorrendo nella rubrica fino al numero di Blaine per poi fermarsi:
qualche settimana prima gli avrebbe sicuramente mandato un sms con i
propri stati d’animo ma, decisamente, non era più
il caso di farlo.
Il sorriso gli morì sulle labbra e ripose il cellulare nella
borsa, chiudendola ben bene. Raddrizzò la schiena non poteva
permettersi distrazioni e quella era la sua prima importante mattinata
a New York, non se la sarebbe rovinata con pensieri così
tristi.
Quando scese dal taxi si fiondò dritto dritto negli studi di
Vogue, si presentò nel primo ufficio vicino
all’ingresso dove una signorina dai capelli biondi raccolti
in un’elegante acconciatura stava scrivendo su delle
scartoffie.
Quel posto profumava:
di moda, di colori, di stile e di novità. Kurt si
sentì eccitato come un bambino di fronte ad un negozio di
caramelle, come una donna di fronte ad una profumeria e come suo padre
di fronte ad una partita di Football della sua squadra preferita.
C’era qualcosa in quel luogo che lo ammaliava e lo faceva
sentire incredibilmente bene – e teso per l’ansia.
“Buongiorno, immagino che lei sia il signor
Hummel,” disse la ragazza bionda dell’ufficio,
sorridendo e compilando un foglio con la foto di Kurt sopra.
Annuì.
“Esattamente… s-sono qui per lo stage per
Vogue.com,” spiegò con un mezzo sorriso.
“Allora mi firmi qui e qui,” la signorina
mostrò le sue lunghe unghie smaltate indicando dove doveva
mettere la firma.
Kurt lesse velocemente il contratto di conferma, sapeva di cosa si
trattava perché ovviamente si era informato: sarebbe rimasto
come stagista per Vogue.com per circa tre mesi, nel caso non fosse
piaciuto particolarmente rispetto ad altri stagisti, sarebbe andato via
– con comunque una ricchissima esperienza sulle spalle
– in caso contrario c’era la minima, piccolissima
ed infintesima possibilità che rimanesse a lavorare
lì.
Ma Kurt era fiducioso. In fin dei conti, Kurt era sempre fiducioso e
credeva nelle proprie capacità.
“Prima porta a sinistra, secondo piano. Lì la
aspetterà la signorina Isabelle Connor,” disse,
tornando poi a sfogliare diversi fascicoli.
Kurt si fece strada nel corridoio, tra le pareti tappezzate di poster
di modelle e modelli delle varie copertine di Vogue, dalle
più vecchie alle più moderne; un brivido percorse
la schiena di Kurt. Era una sensazione bellissima e non poteva proprio
crederci: era tutto vero.
“Immagino che tu sia Kurt Hummel,” una donna sulla
quarantina si presentò di fronte a lui con inaudita
eleganza, i capelli di un biondo scuro – quasi castano
– ed un sorriso stiratissimo sulle labbra.
Kurt balbettò appena, non riuscendo a tirar fuori la voce.
“Kurt Hummel” rispose, stringendo la mano della
donna.
“Isabelle Connor, la tua nuova tutor,” disse, con
cortesia.
Kurt arrossì vergognosamente sulle guance perché
ehi, quella donna era così piena di stile che il suo
orgoglio quasi ne risentì. Beh certo, forse lei non aveva
bisogno di star sveglia nottate intere per seguire aste on-line per
accaparrarsi i migliori abiti di moda.
“Allora Kurt, come forse avrai già letto sui
documenti che ti sono stati inviati, questo stage durerà tre
mesi ed io sarò la coordinatrice. Dovrai venire ogni mattina
alle otto in punto e questo,” aprì una porta,
“sarà l’ufficio dove lavoreremo. Come
vedi, qui ci sono altri due ragazzi, anche loro stagisti esattamente
come te,” spiegò la donna, indicando i due al pc.
Kurt rimase folgorato per un momento perché mentre non aveva
idea di chi fosse il ragazzo, aveva immediatamente riconosciuto la
ragazza al secondo computer. Rimase perplesso per un secondo,
perché il mondo doveva essere realmente più
piccolo di quel che credeva.
La ragazza era Kristine Jackson.
“Adesso vieni, devo portarti a conoscere la direttrice. Vuole
fare un colloquio con tutti i nuovi stagisti o dipendenti,”
la signorina Connor avanzò a passo veloce davanti a lui,
indicandogli di seguirlo lungo un corridoio.
***
Rachel non aveva detto a nessuno quanto fosse difficile e competitiva
la NYADA. Perché sì, era tornata ad essere una
delle tante, - anzi, per dirla tutta, lei non era mai stata una delle
tante, - trovarsi lì, a competere più di prima,
era tanto frustrante quanto stimolante.
Rachel pensava sempre a se stessa ed era la cosa che le riusciva
meglio: non era esattamente egoista o meglio, sì lo era, ma
era qualcosa che stava alla base del suo carattere. Voleva bene ai suoi
amici o a chiunque altro, ma lei ed il proprio successo venivano prima
di ogni altra cosa. Per quello si spingeva al limite allenandosi il
più possibile.
Lei doveva essere una spanna sopra a tutti e ci sarebbe riuscita.
Ci sarebbe riuscita anche mentre la sua insegnante di danza non faceva
che urlarle quanti passi facesse sbagliati e ci sarebbe riuscita anche
se i suoi compagni di corso la odiavano.
Non aveva bisogno della loro approvazione o amicizia.
A fine lezione, Rachel andò nel bar interno alla scuola, per
prendersi un cappuccino. Aveva bisogno di una vera sferzata di energie.
Si voltò con il cappuccino in mano e per poco non le se lo
versò addosso dopo essersi scontrata con un tizio.
“Guarda dove cammini!” esclamò,
contrariata.
“Scusami! Non volevo urtarti, non ti avevo vista!”
il ragazzo era alto e ben piazzato. Rachel lo osservò.
“D’accordo, ora fammi passare. Ho giusto cinque
minuti di pausa e non voglio sprecarli!”
esclamò leggermente stizzita perché no,
quella non era la sua giornata ideale.
Una volta superato il ragazzo, Rachel si sedette ad un tavolo: ma non
poteva sapere che il ragazzo di prima la stava ancora guardando.
Sorseggiò il suo cappuccino in tutta
tranquillità, ricordandosi con un lampo che Kurt doveva
essere dentro lo studio di Vogue; afferrò il cellulare e gli
mandò un semplice e breve messaggio. Avrebbe risposto non
appena avesse avuto tempo.
“Tutto okay?
Non sei svenuto per la troppa emozione, vero?" - R
***
Kurt sentì vibrare il cellulare nella sua tasca ma lo
ignorò bellamente. Non era il momento ed era teso come una
corda di violino, seduto su un divanetto di fronte alla direttrice di
Vogue.
La. Direttrice. Di. Vogue.
Kurt pensò che se non fosse morto in quel momento, con tutta
probabilità non sarebbe morto mai più.
La donna aveva dei capelli corvini ed un taglio corto, l’aria
piuttosto spavalda – che le si addiceva – ed era
ovviamente ben vestita. Sembrava avere un gran senso del gusto.
Lo smoking di Kurt era diventato improvvisamente troppo caldo per colpa
dell’ansia.
“Kurt Hummel,” disse finalmente Kurt, porgendole la
mano. Poco distante da loro, la signorina Conner li stava guardando.
“È il nuovo stagista,” intervenne
Isabelle, con un mezzo sorriso.
La donna lo squadrò.
“Bel completo. Hai gusto,” disse, con un mezzo
sorriso.
Il cuore di Kurt sembrava voler uscire dal petto per quanto batteva
forte. Gli aveva davvero fatto un complimento?! Arrossì come
un tredicenne.
“G-grazie.”
“Quanti anni hai?”
“Diciannove”
“Da dove vieni?”
“Lima, Ohio.”
“Oh, l’Ohio… e sei venuto a New
York.”
Kurt annuì.
“Cosa ti ha spinto ad andare così
lontano?”
Kurt rimase in silenzio per qualche secondo.
“La mia passione… per la moda,
suppongo,” disse, con le guance ancora un po’
arrossate. Era così stupidamente teso.
“mh…”
Kurt capì che avrebbe dovuto riprendere la conversazione,
non era bello mostrarsi senza parole di fronte alla direttrice.
“Amo la moda, amo lo stile. È qualcosa che adoro
da quando sono piccolo, da quando vedevo mia madre entrare nei negozi
per fare shopping. Sceglievo con lei i vestiti, sfogliamo le riviste di
moda, guardavo le sfilate in tv e sognavo ogni giorno di poter
indossare uno di quei meravigliosi abiti, da grande,”
sbottò Kurt; i suoi occhi si illuminarono. Improvvisamente
la paura ed il timore sembravano essere scomparsi, come se qualcosa li
avesse cacciati via.
La Direttrice continuò a guardarlo, ma in modo differente.
“La passione è ciò che mi spinge ad
essere qui, perché so di poter fare un buon lavoro e so che
questo fa parte della mia vita assieme ai musical ed al
teatro,” concluse, smettendo di parlare e prendendo un
respiro per cercare di recuperare un po’ di
tranquillità.
“Ammiro i ragazzi giovani come voi, così pieni di
voglia ed aspettative. Ma la passione non basta: costanza, impegno e
dedizione sono le chiavi del successo. La moda dovrà essere
la tua ragione di vita se vorrai lavorare in questo campo,
ragazzo,” disse, con tono duro, la direttrice.
Kurt annuì. Lui era pronto per quel tipo di lavoro, lo
sentiva nella propria anima.
“So di potercela fare,” buttò fuori,
senza rifletterci.
La Direttrice sorrise e scosse la testa.
“Bella determinazione, adesso, però dovrai
dimostrarcela,” concluse, guardando poi la signorina Connor.
“Isabelle sarà un’ottima tutor e ti
insegnerà tutto ciò che ci sarà da
sapere, ti affido a lei,” disse, “buona permanenza,
Hummel,” concluse, per far capire che sia lui che Isabelle
sarebbero dovuti uscire.
Kurt sorrise, riconoscente. “È stato un piacere
conoscerla.”
La donna annuì e lo congedò.
***
“Dobbiamo prepararci per le provinciali!”
esclamò il professor Shuester entrando nell’aula e
cominciando a scrivere sulla lavagna.
Un urletto di gioia provenne dai ragazzi dietro la sua schiena.
“Allora, il tema di quest’anno pare saranno le
band… direi di scegliere almeno un po’ di brani di
qualche band famosa. Possiamo rifarci agli anni ott-“
“Professore!” esclamò Artie,
“Io ho già un’idea. E non è
degli anni ottanta.”
Gli altri ragazzi tirarono un sospiro di sollievo perché
ehi, a volte erano stanchi di fare i soliti pezzi antiquati, per quanto
molte musiche degli anni ottanta li entusiasmassero.
“Marron Five! La prego! Molti di noi amano questo gruppo, non
è vero?” Blaine batté le mani con
decisione, “Assolutamente!” esclamò,
entusiasta, “Ed avrei già una canzone con la quale
cominciare,” disse, saltando giù dalla sedia ed
impossessandosi di un microfono.
Giusto la sera precedente aveva ascoltato uno degli ultimi cd e la
canzone ‘Runaway’ era perfetta per poter esprimere
cosa stava provando nell’ultimo periodo.
Cominciò a cantare, provando un misto di tristezza nel
petto, mentre il resto delle New Direction gli faceva da coro.
"I'm taking time to
thinking I
Don't think it's fair
for us to
Turn around and say
goodbye
I have this feeling when
I
Finally find the words
to say
But I can't tell you if
you turn around
And run away, run away"
Era inevitabile pensare a Kurt mentre intonava le parole di quella
canzone. Gli mancava e gli mancava da morire. Non poteva continuare a
rodersi l’anima per una scelta sbagliata, senza contare che
guardando dentro di sé sapeva che loro due non avevano
davvero rotto.
Terminò la canzone e guardò i suoi compagni,
sorridendo.
Le cose cominciavano a diventare pian piano più chiare.
***
Kurt vide il messaggio di Rachel una volta uscito dalla stanza della
Direttrice. Rispose velocemente, cercando di non farsi vedere dalla
signorina Isabelle.
“Ho
appena incontrato la direttrice di Vogue, penso di poter morire
adesso,” – K
Inviò il messaggio senza altre cerimonie e
ricacciò il cellulare in tasca, sospirando di sollievo. La
tensione se ne stava andando lentamente.
“Fanno tutti così, sai?” la signorina
Isabelle interruppe Kurt dai suoi pensieri, il quale si
voltò.
“Così come?”
“Sono tesi, quando la vedono. La Direttrice ha una
personalità molto forte e carismatica, è normale
rimanere intimiditi. Ma se devo essere sincera, te la sei cavata
piuttosto egregiamente.”
Kurt le fece un sorriso riconoscente. Si sentiva piuttosto meglio ed
infondo Isabelle sembrava una persona davvero gentile.
Era felice, sembrava un gran posto dove poter cominciare
un’eventuale carriera lavorativa.
Note
di fine capitolo: mi scuso
subito per il ritardo, purtroppo sono stata poco bene anche di salute,
perciò il capitolo ha ritardato a sua volta. Spero
però ne sia valsa la pena :)
Mi
piacerebbe sapere un parere concreto sull'entrata di Kurt a Vogue,
l'avete trovata troppo frettolosa? Mi sono fatta un sacco di paranoie
su questo proposito e davvero, spero di aver reso bene l'atmosfera e la
tensione di Kurt.
Mi
sono attenuta a dei vaghi spoiler, ma come al solito... è
solo la mia versione dei fatti XD
La canzone "Runaway" è dei Maroon 5.
Se
vi và, potete trovarmi sulla mia pagina facebook: *QUI*
(FB da dei problemi di visibilità, per ricevere le notizie
dovete cliccare su "Mostra nella sezione notizie" dopo aver messo mi
piace)
Altrimenti,
da oggi ho anche ASK.FM sulla
scia di tutta la gente che ha deciso di farselo xD
|
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Capitolo 4 *** Incomplete ***
cap 4
Note iniziali: Hello!
mi scuso per il ritardo, purtroppo la mia beta ha dei problemi
universitari perciò ho saputo solo da poche ore che non
poteva betarmi il capitolo. Lo farà successivamente ed
infatti questa è la versione senza betatura. Spero che non
troverete troppi errori, nel caso mi scuso!
Sto andando a rilento anche a causa degli esami, ma spero di poter
riprendere un ritmo più costante!
Chapter 4: Incomplete
"I've tried to go on like I never knew you
I'm awake but my world
is half asleep
I pray for this heart to
be unbroken
But without you all I'm
going to be is incomplete"
“Come mi sento?! Come… come se fossi entrato nel
paradiso della moda!” esclamò Kurt con entusiasmo,
di fronte a Santana e Rachel. Le due si scambiarono
un’occhiata complice.
“Voi… non potete capire. È
meraviglioso, tutto così chic, fashion e… alla
moda.”
“Kurt avrai ripetuto almeno dieci volte la parola moda in un
solo discorso,” notò Santana, roteando gli occhi.
“Lo so, ma cosa vuoi farci! È fantastico e non
vedo l’ora di cominciare seriamente.”
“A proposito, quando cominci?” chiese Rachel,
addentando una forchettata d’insalata.
“Domani! La mia istruttrice, Isabelle, ha detto che domani
comincerò lo stage. Ho già intravisto due dei
miei compagni e… ed una era una ragazza che ho incontrato in
una caffetteria quando sono arrivato a New York… era una
tipa strana ed esaltata che mi aveva lasciato il suo numero di
cellulare.”
“Non avrà pensato che fossi etero!”
sbottò Santana, schernendolo con una risata. Kurt
sbuffò.
“Spero vivamente di no.”
“Di etero non hai nemmeno le orecchie, sembrano quelle di un
elfo,” aggiunse.
Rachel si concentrò a mangiare, piuttosto pensierosa.
“Qualcosa non va’?” chiese Kurt, turbato.
Forse non era felice per il suo debutto?
“Oh no, è tutto… bellissimo. Solo,
vorrei che fosse così entusiasmante anche per me.”
Kurt provò un senso di bruciore nel petto. Era felice che
Rachel fosse entrata alla NYADA, ovviamente, ma le sconfitte facevano
male e nonostante il futuro a Vogue, la sua era una ferita ancora
aperta.
Si stava forse per lamentare di ciò che le facevano fare? Di
quanto doveva faticare? Lui avrebbe faticato ogni giorno della sua
vita. Ma era strano, insomma… non era da Rachel. Rachel non
sentiva mai il peso di combattere per arrivare ai propri obiettivi, per
questo erano simili: entrambi ambiziosi e determinati, praticamente
disposti a tutto.
“Quindi?”
“Quindi… credo che non stia più
brillando come dovrei o… o meglio sì,
però non sono compresa! È tutto così
competitivo e…” Rachel si portò una
mano tra i capelli, “sono stanca, prima non avevo bisogno di
combattere per primeggiare, adesso è così
difficile.”
Kurt fece le spallucce.
“Non potevi pensare che fosse facile, in fondo. La
concorrenza in questo campo è tanta e tu lo sai
più di me.”
Santana annuì, concordando con Kurt e finendo di pranzare.
Kurt guardò fuori dalla finestra e per un momento
pensò a quanto avrebbe voluto raccontare la sua giornata a
Blaine.
Riabbassò lo sguardo, fissando il piatto bianco con graziosi
decori blu e rassegnandosi al fatto che non avrebbe potuto farlo.
***
“Se c’è una cosa che voglio fare,
è tenermi occupato,” cominciò Blaine,
mentre in palestra si allenava tirando cazzotti al sacco da box.
“Che intendi per tenerti occupato?” Sam ed Artie si
guardarono, dubbiosi.
Blaine sorrise.
“Intendo dire che voglio iscrivermi a tutti i club possibili,
ottenere crediti e… poter così avere futuro
accesso ad una scuola a New York. Io e Kurt non ci siamo davvero
lasciati, in fondo, e se sarò davvero bravo magari
avrò l’occasione di entrare in qualche
università New Yorkese, trascorrere lì la mia
vita e… e magari vivere con lui come avevamo progettato fin
dall’inizio,” disse, fissando con un piccolo
sorriso i propri guanti.
“Ma ci sono soltanto pochi club qui a scuola… e le
attività di vero interesse sono il football,
l’hockey, il nuoto e… le cheerleader, oltre al
Glee, ovviamente,” disse Artie, mentre alzava un piccolo peso
con il braccio.
Blaine rivolse gli occhi al cielo con aria pensierosa e si
portò una mano sotto il mento.
“Beh… se non abbiamo Club creativi…
perché non ne facciamo uno noi?!”
esclamò, con vero entusiasmo.
Blaine ci aveva pensato a lungo; non era stata una decisione presa su
due piedi. Aveva riflettuto sulla sua condizione e sui suoi sentimenti,
l’unico modo per colmare il vuoto lasciato da Kurt, sarebbe
stato impegnarsi, fare qualcosa che fosse utile sia per se stesso, sia
per raggiungerlo a New York.
Mancava solo qualche mese e ce la poteva fare, se Kurt lo avesse
aspettato, ce l’avrebbe fatta di sicuro. E Blaine non ne era
certo, ma se lo sentiva, sentiva che Kurt avrebbe atteso e…
che lo avrebbe continuato ad amare nonostante il silenzio. Era
abbastanza fiducioso, anche se spesso la sua mancanza si faceva sentire
facendo quasi male.
La verità era che Blaine moriva dalla voglia di rivedere
Kurt. Se lo sognava praticamente ogni notte, pentendosi di non averci
nemmeno provato a mantenere quella relazione a distanza.
Non aveva mai smesso di pensarlo o amarlo, nemmeno per un minuto; ogni
canzone, ogni pensiero ed ogni gesto era come se fossero
irrimediabilmente collegati a Kurt.
Ancora non sapeva cosa fare di preciso, con lui. Non sapeva se poteva
contattarlo o se fosse stata la cosa giusta, ma nel frattempo, si
limitava a fare qualcosa per progettare un futuro, con lui.
“Ehi Blaine hai sentito?” la voce di Sam lo fece
risvegliare.
“Mh?”
“Pare che Brittany si candiderà come
rappresentante anche quest’anno; francamente, preferirei
qualcuno di serio. Niente contro Brittany ma… non
è molto adatta al ruolo,” intervenne Artie.
“Concordo, ci vorrebbe qualcuno con spirito
d’iniziativa… qualcuno che sia in grado di far
valere la sua parola.”
Sul volto di Blaine apparve un sorriso non appena Sam concluse la
frase. Sapeva esattamente cosa fare.
***
Santana chiuse il cellulare e lo gettò sul letto,
esasperata. Non poteva crederci, il suo rapporto a distanza con
Brittany si stava lentamente deteriorando e lei aveva decisamente
bisogno di un po’ di stabilità.
Non che non stesse andando bene a New York, si era trasferita da poco e
si stava trovando alla grande, solo che Brittany le mancava ma sembrava
non fare molto per rimanere in contatto con lei, specie in
quell’ultimo periodo.
E poi c’era quel tipo nuovo che si era trasferito al McKinley
di cui Brittany le parlava sempre che… non gliela raccontava
giusta.
“San? Posso?” Rachel entrò nella stanza
mentre l’altra ragazza faceva su e giù con
insistenza.
“Sì, sì entra
pure…”
“Sei triste?”
Santana la guardò stizzita e poi sbuffò.
“Solo un po’… per colpa di Brittany. Mi
sembra che… tra me e lei le cose non siano più le
stesse,” spiegò, semplicemente.
“Credi che ci sia una ragione precisa?”
“Suppongo la distanza,” rispose, la ragazza.
Rachel si fermò un attimo a guardarla: forse Finn aveva
fatto bene a lasciarla piuttosto che condurre una relazione a distanza?
Forse era… meglio piuttosto che soffrire così?
Non era la prima volta che vedeva Santana triste per quel motivo e se
ne dispiaceva. Sapeva cosa significava soffrire per amore.
“Brittany è… sempre così
ingenua, ma il suo sentimento è puro, per questo speravo
sopravvivesse nonostante i kilometri di lontananza. Ero titubante sai,
all’idea di trasferirmi. Ma poi mia madre mi ha fatto capire
che era giusto e che avrei soltanto gettato il mio talento rimanendo a
Lima.”
Rachel annuì, stringendosi nelle spalle.
“Ed aveva ragione, no? Tu hai un sacco… di
talento, San. Davvero, non devi e non ti permetterò di
sprecarlo. Poi non posso vedere la… regina delle stronze
abbattersi in questo modo,” le disse, dandole una spallata
leggera ed affettuosa.
***
Il cellulare di Kurt squillò in un momento totalmente
inaspettato.
Era in una caffetteria a prendersi un cappuccino quando
vibrò sul tavolo, attirando la sua attenzione: era un sms ed
il mittente era… Kristine. Quella tipa stramba che aveva
tentato di adescarlo la volta precedente in caffetteria e che era
dentro lo studio di Vogue.
Fissò il telefono per qualche secondo; in parte quella
ragazza lo inquietava e sentiva soltanto di doverle stare alla larga,
dall’altro lato, poteva anche rivelarsi una buona amica sul
campo e non sarebbe stato tanto male avere qualcuno con cui
socializzare durante le ore dello stage e magari anche avere qualche
compagnia all’infuori di Santana e Rachel.
Ci pensò su qualche attimo: non era solito a buttarsi,
specialmente perché era sempre un po’ diffidente
nei confronti delle persone, ma prese coraggio e lesse il messaggio
prima di cestinarlo o di riporre il telefono.
“Complimenti
per il completo di stamani. Domani ci sarai? Hai deciso di rimanere?
È stata una sorpresa trovarti lì. A presto, -
K”
Kurt inarcò le sopracciglia. Non sapeva come leggere quel
messaggio ed onestamente avrebbe voluto ridere perché
sembrava che quella ragazza provasse un vero e proprio interesse per
lui, ma come aveva detto Santana, come non aveva potuto accorgersi che
era gay fino al midollo?
Forse non c’era da pensar male, ma Kurt in quel momento non
riusciva a leggere in nessun altro modo quel semplice messaggio.
Decise di risponderle, in fin dei conti una risposta non faceva male a
nessuno.
“Ti ringrazio.
Sì, domani ci sarò ovviamente, sono rimasto
sorpreso anch’io. A domani, - K”
Decise di essere il più lapidario possibile, proprio per
evitare scompensi di qualunque tipo. Preferiva non dover dare spago a
nessuno ma essere comunque cortese.
Finì il suo cappuccino e si alzò, mettendosi la
tracolla in spalla. Era ora di tornare a casa a preparare la cena,
prima che Rachel o Santana potessero metter mano ai fornelli e fare
qualche pasticcio o cibo immangiabile.
***
“Un club di Supereroi,” disse Blaine, mentre
disegnava su un foglio – anche se sarebbe stato
più corretto dire scarabocchiava – una
stilizzazione ridicola di Batman e Robin.
“A me piace!” esclamò Sam, entusiasta.
“Andrete a salvare il mondo?” commentò
Brittany, girandosi verso Blaine, Artie e Tina si rivolsero
un’occhiata esasperata. Senza la supervisione di Santana, se
possibile, Brittany stava decisamente peggiorando, anche se quella non
era sicuramente la battuta peggiore del suo repertorio.
“Con così poco stile! Con quelle tutine di
spandex!” esclamò Wade, tirando su le mani,
“io me ne tiro fuori.”
“Nessuno ti ha obbligato ad entrare,” rispose Sam,
saggiamente.
“Allora? Che ve ne pare?” chiese ancora Blaine,
eccitato, “potremmo organizzare qualche raduno dove leggiamo
fumetti o veniamo tutti vestiti dai nostri supereroi
preferiti.”
“Ma… oltre a questo?” chiese Artie,
“si faranno anche tornei di videogiochi?”
Sam batté subito le mani, “Una specie di Club per
Nerd!”
“Una cosa del genere,” rispose Blaine, con un
sorriso sulle labbra.
“Noi ci stiamo!” esclamarono Artie e Sam in coro.
“Ma questa non è l’unica cosa che voglio
fare e credo sia giusto annunciarlo a tutti voi… intendo
candidarmi come presidente degli studenti?”
Brittany scoppiò a ridere.
“Come? Ma pensi davvero di vincere? L’anno scorso
ho sconfitto Kurt con una netta preferenza, sai?” disse,
riavviandosi i capelli, “non resisteranno al mio fascino.
Vuoi evidentemente perdere in partenza.”
I membri del club si guardarono. Nessuno di loro, con tutta
probabilità, avrebbe votato Brittany: l’anno
precedente non aveva fatto niente di utile, mentre Blaine aveva il
carisma giusto per proporsi come leader e questo Blaine lo sapeva
perfettamente.
“Vedremo. Intanto ti consiglio di trovare qualcosa di
geniale, perché hai fatto un fiasco lo scorso anno, se
avesse vinto Kurt sarebbe stato sicuramente più
utile,” disse, sentenziando con più nervosismo di
quanto non avrebbe voluto. Kurt gli mancava e per qualche motivo, era
sempre presente in ogni suo gesto e pensiero. Persino l’idea
di diventare rappresentante gli era venuta grazie a lui ed anche
l’idea di sconfiggere Brittany alle elezioni era alimentata
da un vago e sottile senso di vendetta.
Kurt avrebbe potuto fare dei buoni cambiamenti e forse, con qualche
nota in più sul curriculum, sarebbe anche potuto entrare
alla NYADA.
Blaine non portava rancore, non era il tipo, però quella
cosa non l’aveva mai dimenticata davvero, c’era
qualcosa di profondamente indigesto nel pensare che la
superficialità si vendesse più facilmente di
qualcosa di serio e sincero. Ma non avrebbe dovuto stupirsi, del resto
quella era la società in cui erano immersi, quella
discriminante che ti mette con le spalle al muro soltanto
perché sei nato gay e quindi sei automaticamente sbagliato.
“Pensi di poter sfondare cantando una hit da Katy Perry? Beh,
tu Anderson non hai qualcosa che noi donne abbiamo,”
spiegò Brittany, con modestia.
“Cosa?”
“Il fascino femminile, ovviamente.”
Blaine la guardò con aria di sfida: non si sarebbe certo
fatto abbattere da un po’ di sculettamenti e da una chioma
bionda fluttuante.
Ci voleva ben altro per schiacciare Blaine Anderson.
***
Passarono due giorni da quando Kurt mise per la prima volta piede a
Vogue ed aveva capito due cose fondamentali: la prima, era che tutti
erano assolutamente competitivi. Non c’era spazio per le
amicizie né per le collaborazioni - ma c’era
abituato, in fondo anche alle superiori era così. La
seconda, era che Kristine era davvero… assillante.
Aveva tentato di spiegare alla ragazza cose riguardo alla propria
sessualità, ma a lei sembrava non importare
granché. Kurt, quindi, si limitava ad evitarla. Era una
persona un po’ asfissiante; non cattiva, solo collosa e lui
non sopportava le persone eccessivamente collose.
La sua vera domanda, però, era perché Kristine
avesse quell’atteggiamento: spesso e volentieri poteva anche
solo essere un modo usato per distrarre le persone dal suo vero
obiettivo e magari Kristine voleva depistarlo, metterlo in ombra senza
però mostrarsi cattiva, far vedere qualche lato falso di
sé per poi pugnalarlo alle spalle.
Kurt era sinceramente preparato al peggio.
Vogue comunque era l’ambiente che aveva sempre desiderato.
Non era stato semplice inizialmente, abituarsi a ciò che
doveva fare, scrivere articoli ed informarsi ancora di più
sulla storia di Vogue, però era stato indubbiamente
interessante.
La signorina Isabelle era sempre molto sveglia e disponibile, capace di
riuscire a coinvolgere gli stagisti ed a farli appassionare ancora di
più al loro – probabile – futuro lavoro.
Kurt sfogliava sempre con un sussulto al cuore le riviste di Vogue
conservate nella piccola ‘biblioteca’ degli studi.
Quello era indubbiamente il suo mondo e grazie ad esso stava imparando
a colmare i propri vuoti e le proprie mancanze, anche se quella New
York rimaneva comunque un’enorme città e dentro
provava sempre un certo senso di vuoto.
Mentre sfogliava un numero della rivista, gli venne naturale pensare a
quanto sarebbe stato bello farlo con Blaine al suo fianco: ricordava
quando commentavano assieme, sul letto, solitamente, dei capi
particolari e come Blaine avesse troppo spesso un vero senso
dell’orrido: non sempre sempre, ma molte volte sì.
Kurt amava correggerlo e cercare di insegnargli ciò che
aveva imparato da solo sul “buon vestire”.
Kurt sapeva che chiamare Blaine sarebbe stato un errore, ma moriva
dalla voglia di farlo. Voleva sentire la sua voce, sentirlo vicino e
per l’ennesima volta si chiese perché mai non si
erano dati una possibilità, perché non aveva
impedito a Blaine di lasciarlo.
Non sapeva cosa stesse facendo a Lima poiché i suoi
compagni, con i quali si sentiva di tanto in tanto, evitavano
accuratamente di dirgli qualunque genere di dettaglio.
Era frustrante perché Kurt voleva saperlo, avrebbe voluto
sapere tutto di Blaine, della sua salute, della sua carriera nel Glee,
ma nessuno faceva riferimento alla sua esistenza e lui non aveva
nemmeno il coraggio di chiedere.
Ogni tanto, gli veniva naturale chiedersi se Blaine avesse mai chiesto
di lui, ma al tempo stesso sapeva benissimo che non aveva alcun senso
farlo.
Si morse il labbro inferiore, portandosi una mano alla testa. Era
così stressato, frustrato, avrebbe solo voluto riposarsi e
cancellare un po’ di quei pensieri.
C’era da dire che fortunatamente, il lavoro gliene spazzava
via un bel po’.
***
“Presto ci sarà il Ringraziamento,”
disse Tina, guardando Artie e gli altri, “credo che i nostri
compagni torneranno tutti a casa… la mia idea era quella di
fargli una sorpresa!” esclamò, con entusiasmo.
Infatti, poche ore prima aveva sentito al telefono Rachel, la quale le
aveva comunicato quella notizia: sia lei che Santana che Kurt sarebbero
tornati a Lima per il giorno del Ringraziamento.
Blaine trasalì al nome di Kurt quando Tina spiegò
chi sarebbe venuto.
“Una sorpresa di che genere?” domandò
Sam, armeggiando con il cellulare.
“Pensavo… ad un semplice pranzo tutti assieme, a
casa di qualcuno. Possiamo fare anche a casa mia, è
abbastanza grande,” spiegò, sorridendo.
“Io sono d’accordo,” annuì
Artie, “credo che farà molto piacere a
tutti.”
“Rachel mi ha detto che contatterà anche Quinn,
Mike sono certa che verrà e Sam potrebbe sentire Mercedes,
mh?” disse, guardando il biondo.
Sam annuì facendo una smorfia: non stavano più
assieme, si erano lasciati durante l’estate e
nessuno del club sapeva esattamente come, considerando che Sam non
voleva proferir parola, ma continuava a dire che erano comunque rimasti
in ottimi contatti.
“Perfetto! Allora si dia il via
all’organizzazione!” esclamò la ragazza
battendo alle mani.
Il resto dei compagni sorrisero e Blaine provò una serie di
emozioni contrastanti.
Gioia e nervosismo erano un bel conflitto di sentimenti da gestire.
Note di fine capitolo: eccoci qua! L'angst sta pian piano scemando e
sto cercando di soffermarmi sulle vite dei vari personaggi. Per le cose
su Kurt e Blaine ho evidentemente tratto ispirazione dagli spoiler, non
so poi quanto sarà coerente con ciò che
succederà nel telefilm, ovviamente.
Il capitolo mi è costato parecchie energie,
perciò spero vi sia piaciuto e che non vi abbia delusi :)
dal prossimo o comunque a breve torneremo a vedere qualche interazione
Klaine!
La canzone usata è "Incomplete" dei Backstreet Boys
(eggià.)
Per informazioni etc, vi invito ad iscrivervi alla mia pagina FB: *QUI*
ho un piccolo problema di visualizzazioni a causa di FB scemo,
perciò vi invito, nel caso vogliate, ad aggiungere la pagina
nella lista degli interessi e delle notizie! :)
Alla prossima,
Flan
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