Let me love you.

di herestous
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The start of something new ***
Capitolo 2: *** Kiss today goodbye. ***
Capitolo 3: *** I hear it's wonderful in California ***
Capitolo 4: *** My, my, how can I resist you? ***
Capitolo 5: *** I wanna get what I want, don't stop. ***
Capitolo 6: *** And we call it bella notte. ***
Capitolo 7: *** I don't know if I'm lost or found. ***
Capitolo 8: *** Was it love at first sight? ***
Capitolo 9: *** It's not right but it's okay. ***
Capitolo 10: *** Why don’t we go somewhere only we know? ***



Capitolo 1
*** The start of something new ***


Salve gente! (: Torno con una storia, stavolta Monchele1 Dopo tutti questi rumor, mi sentivo ispirata *-* I due tipi qui sono comunque famosi, ma la storia è completamente diversa, non c'entra Glee. Troverete comunque gli altri attori del cast, ma per il resto la storia si sconvolge! xD Buona lettura *-* Spero vi piaccia! (:


Erano le 8:00 di mattina e le strade di New York erano già completamente affollate, tra persone che camminavano velocemente e taxi gialli immersi nel traffico di tutti i giorni. I negozi stavano aprendo, per dare ancora più vita a quella grande città di grattacieli e costruzioni moderne. In un appartamento al 23esimo piano di uno dei grattacieli in Park Avenue, risuonò nella camera da letto la melodia della sveglia puntata per quell’ora. Una ragazza dai capelli castani e con la frangia arruffata si coprì il viso, impedendo ai piccoli raggi di filtrare dalle finestre semi aperte e di svegliarla. Si rigirò velocemente nel letto e dopo aver spento con una mano la sveglia richiuse delicatamente gli occhi. La suoneria del telefono, però, la fece svegliare immediatamente. Afferrò il suo iPhone e, dopo aver letto il nome lampeggiante sul display, rispose ancora assonnata.
Lea Michele, ti aspetto fra un’ora precisa davanti ad una tazza di cappuccino da Starbucks!” Si passò una mano contro la fronte, maledicendosi di essere andata a dormire tremendamente tardi, la sera precedente.
“Oh, Vic … Ma che ore sono?”
Le 8:00!” urlò entusiasta la ragazza dall’altra parte della cornetta.
“Comunque avrei un impegno questa mattina… Devo vedermi con Theo e..”
Disdici tutto, Theo puoi vederlo anche stasera! Ti prego, è importante!” Socchiuse gli occhi e lentamente si alzò, aprendo le finestre per far cambiare aria e per permettere al suo cervello di azionarsi ed iniziare a ragionare. Sbuffò alla richiesta della sua migliore amica, nonché sua manager da 4 anni, e dopo averle assicurato la sua presenza agganciò il telefono e si chiuse in bagno, pronta per una doccia rigenerante.

 

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“Sei in ritardo come al solito!” la accusò una ragazza dai lunghi capelli neri come il petrolio. Lea inarcò il sopracciglio ed entrando guardò l’orologio posto al di sopra del bancone.
“Sono le 9:07, è un orario anche troppo perfetto per me.” Le fece l’occhiolino e la ringraziò per la sua tazza di caffèlatte già pronta. “E comunque, ho dovuto spostare due appuntamenti che avevano priorità assoluta per questo incontro. Quindi ora ti accontenti del mio ritardo, o mi perdi per sempre.” Si guardarono accigliate per poi scoppiare a ridere all’unisono catturando l’attenzione dei pochi clienti seduti ai loro tavoli.
“Ok, Lea Michele. Preparati ad una notiziona.” La castana la fissò sorseggiando un po’ della sua bevanda, allo stesso tempo curiosa e ancora assonnata. Si attorcigliò una ciocca dei suoi lunghi capelli con un dito mentre in silenzio aspettava che la ragazza di fronte a lei tirasse fuori ciò che stava cercando nella sua enorme borsa firmata Chanel. “Eccolo.” Victoria le mise davanti un enorme blocco di fogli e un sorriso smagliante, entusiasta e impaziente di conoscere i pensieri di Lea, che lesse velocemente il testo scritto in grassetto e allontanò i fogli.
“Scordatelo!” rispose decisa Lea. “Ho appena finito di girare due film consecutivi. E poi sai che sto organizzando una vacanza con Theo, non posso dire di no. Ho bisogno di un po’ di tempo per me stessa, me lo avevi promesso.” La guardò negli occhi senza distogliere lo sguardo, aspettando che fosse lei a cedere per prima per avere vinta almeno quella battaglia.
“Ma Lea, è a Los Angeles!” trillò la brunetta. “E’ il sogno di una vita! E’ l’occasione per arrivare al livello superiore, quello che hai sempre detto di voler raggiungere!” Le tolse con forza la tazza di cappuccino, privandola della sua bevanda calda in quella mattina d’estate, stranamente fresca, a New York. La castana incrociò le braccia all’altezza del petto, distogliendo lo sguardo dalla sua amica e perdendosi nel traffico newyorkese. In effetti volare a Los Angeles per girare un film era un’occasione che non capitava tutti i giorni. Lea aveva 23 anni ed era entrata a far parte del mondo del cinema solamente da 1 anno. Si era sempre esibita sui palchi dei teatri, dal Canada all’Europa, fino a, ovviamente, Broadway. Ma tutto quello stress, la lontananza, i rapporti a distanza, le facevano venire l’ansia, e troppe volte aveva pensato di gettare la spugna. “E poi”, riprese Victoria, richiamandola alla realtà, “il copione ti appartiene. Ho letto la storia, Lea, e sembra scritta per te. Inoltre è un musical, ti piacerà sicuramente.” La fissò sperando di riuscire a convincerla, e notò nei suoi occhi una punta di curiosità. La castana giocherellò fingendosi indifferente con il copione, sfogliando le pagine con noncuranza. Alzò lo sguardo, incontrando quello della sua amica, che la implorava.
“Gli darò una letta.” Si arrese infine. La sua manager si era già alzata e la stava stringendo in un caloroso abbraccio. “Si, ma questo non vuol dire che ho accettato, eh!” precisò Lea sorridendo, consapevole della felicità che aveva procurato all’amica. Finì di bere la sua tazza di cappuccino che nel frattempo si era freddata per poi afferrare il copione, pagare velocemente ed uscire da Starbucks. Salutò frettolosamente Victoria, che aveva un incontro importante, e guardò l’orologio. Segnava le 10:15, e si meravigliò di come il tempo fosse passato in fretta e di come improvvisamente tutta la stanchezza non trovasse più posto nella sua mente né sul suo corpo. Inspirò l’aria calda di New York, alzando gli occhi al cielo e perdendosi nel sole che riscaldava la sua pelle. Non aveva voglia di tornare a casa, perciò decise di dirigersi verso Central Park, per perdersi nella natura e magari iniziare a leggere il nuovo copione.

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Capitolo 2
*** Kiss today goodbye. ***


Il sole occupava una posizione alta e centrale nel cielo newyorkese, segno che erano le 12:00. C’era ancora chi passeggiava, chi correva, chi parlava. Lea era rimasta per quasi due ore in silenzio, seduta sul prato distante dal caos che ormai caratterizzava le sue giornate. Aveva passato l’intera mattinata a sfogliare il copione che la sua migliore amica le aveva consegnato, e nonostante fosse partita decisa di non farsi convincere e di non mandare all’aria i suoi progetti almeno per una volta, quella storia l’affascinava tremendamente. La rispecchiava, una ragazza che aveva combattuto a lungo e con determinatezza pur di realizzare i suoi sogni, sopportando la cattiveria e la corruzione di quel mondo in cui lei viveva, circondata dagli affetti familiari, dalle amicizie, e dall’amore. La colpiva la forza di quel personaggio, la voglia di arrivare in cima nonostante gli ostacoli. Sfogliò le ultime pagine con una curiosità che non le piaceva affatto, perché sapeva che in qualche modo quel personaggio era già dentro di lei. Un enorme sorriso le illuminò il volto nel leggere le frasi finali del copione. Lasciò andare leggermente la testa all’indietro, ancora sorridendo, ma allo stesso tempo preoccupata perché non era un buon segno. Lo richiuse, infilandolo nella borsa e fece per alzarsi ma il suono del suo iPhone che squillava la spaventò e le impedì di alzarsi. Frugò velocemente nella sua borsa firmata Luis Vuitton e afferrò il telefono senza nemmeno leggere il nome.
Amore!” rispose una voce alquanto entusiasta aldilà della cornetta. Lea sorrise e si alzò, dimenticandosi completamente della storia che aveva appena letto. “Dove sei?
“Sono a Central Park, sto tornando a casa. Perché?” Chiese lei mentre si avviava verso l’uscita per dirigersi nuovamente a Park Avenue.
Mi chiedevo se avevi voglia di passare da me e pranzare insieme..” propose il ragazzo, suo fidanzato da oltre un anno. Lea sorrise mordendosi il labbro inferiore.
“Mmm, direi che è un’ottima idea..”
Ti aspetto qui, allora. Ti amo gioia mia.” Scosse la testa, sorridendo e chiedendosi come era possibile che un ragazzo tanto dolce potesse amarla ancora come se fosse il primo giorno dopo un anno di fidanzamento. Attaccò il telefono e decise che sarebbe passata velocemente a casa per rendersi presentabile e farsi una doccia fresca prima di giungere a casa di Theo.
 

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L’orologio del suo iPhone segnava le 13:00. Come al solito si era fatta aspettare, e su questo non si smentiva mai. Suonò il campanello dell’appartamento del suo ragazzo, che la accolse subito stringendola tra le sue braccia e lasciandole un casto bacio sulle labbra.
“Lea Michele, sei mozzafiato.” La castana aveva optato per un vestitino estivo giallo e bianco, con le spalline fine e ai piedi delle ballerine bianche di Chanel. Aveva legato i capelli lateralmente in una semplice treccia e aveva sistemato la frangia sulla fronte. Sorrise e si diresse verso la cucina, catturata da un ottimo odore che l’aveva colpita fin dall’inizio.
“Cosa mi cucini di buono?” Theo, oltre ad essere un bravissimo attore, come lei, era anche un ottimo cuoco. La prese da dietro, cingendole la vita con le braccia, e lasciandole un lungo bacio sul collo.
“Vedrai.” Il ragazzo si diresse verso i fornelli, mentre Lea si sedette sul bancone accanto a lui. Accavallò le gambe, mentre Theo era intento a cucinare e a controllare che non si bruciasse niente. Lea lo stuzzicò arruffandogli i capelli, perché improvvisamente tutta la fame era sparita. Sorrise maliziosa al ragazzo di fronte a lei, che nel frattempo la guardava inarcando un sopracciglio. Si avvicinò lentamente, fino a sfiorarle con una mano le gambe nude che Lea aveva volontariamente scoperto. Separarono la distanza che li allontanava con un bacio, schiudendo le labbra per far incontrare le loro lingue che si ricercavano impazienti. Le mani di Theo passarono dalle gambe alla vita, per poi sfiorare il collo e salire fino a tracciare il profilo di Lea, e riscendere sulla schiena per farla rabbrividire. La fissò negli occhi per alcuni istanti, compiacendosi di quanto fosse bella quella ragazza seduta sul suo bancone, che aspettava solamente lui. Le baciò il collo, stringendo le sue mani per non farla fuggire, anche se sapeva che non se ne sarebbe mai andata. Tornò a sfiorarle delicatamente le gambe, mentre Lea sorrideva maliziosa e abbandonava leggermente la testa all’indietro. Lui la prese in braccio, continuandola a baciare, e dopo aver contemplato ancora una volta la sua bellezza, senza perdere un istante, si diresse in camera.
 

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Lea non aveva avuto un momento di intimità con il suo ragazzo da troppo tempo. Erano stati entrambi impegnati con il lavoro e trovare un po’ di tempo per loro era diventato impossibile. Dischiuse gli occhi, illuminata dalla luce del sole che entrava dalle finestre. Si voltò e alla sua sinistra notò il suo ragazzo che dormiva beatamente, stringendola con un braccio. Si coprì il corpo nudo con il lenzuolo color panna e si girò, controllando l’ora dal suo iPhone. Erano le 15:00 e aveva 3 sms non letti.
Allora? Questo copione? Ti prego dimmi di si! xoxo V.
Ok, capisco che magari sei impegnata, ma almeno una risposta potresti darmela!
Insomma, Lea Michele! Che fine hai fatto?! Rispondimi appena puoi, e soprattutto se vuoi! La tua manager.”
Leggendo l’ultimo sms sorrise, trattenendo una risata. Sapeva che quando la sua migliore amica diventava la sua manager era davvero in guai seri. Tornò a fissare il volto angelico del ragazzo che le dormiva accanto e lo stomaco le si chiuse in una morsa. Aveva completamente cancellato dalla mente il fattore “nuovo film”, certa del fatto che vi avrebbe rinunciato per costruire una nuova vita insieme a Theo. Ma in quel momento, distesa accanto a lui, messa alle strette da Victoria, qualcosa dentro di lei cambiò. Si sentì spinta verso quel film, quella nuova avventura, lontana da casa, lontana dalla sua solita vita. Sapeva che avrebbe ferito Theo, in qualche modo, ma sapeva anche che lui avrebbe capito e che l’avrebbe lasciata libera di decidere.
Scusa Vic, non avevo il telefono vicino e non l’ho sentito. Volevo dirti che ho letto il copione, e avevi ragione. E’ mio. Per me va bene. Dammi il tempo di avvertire a casa e andiamo a Los Angeles. xoxo Lea.”
Spinse il tasto invio dopo aver riletto almeno quattro volte l’sms. Era sicura di quella scelta, anche se sicuramente avrebbe portato un gran cambiamento nella sua vita. Si girò su un fianco, tornando a guardare per alcuni istanti il viso di Theo, i suoi lineamenti, le sue forme, come se in qualche modo quella fosse l’ultima volta. Poi, facendo attenzione a non svegliarlo, si alzò delicatamente e, dopo essersi rivestita, uscì da quella casa. Per l’ultima volta.

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Capitolo 3
*** I hear it's wonderful in California ***


Il sole stava sorgendo sul cielo della Città degli Angeli, eppure sembrava che quel luogo non dormisse mai, tra locali, pub e discoteche stracolmi di gente a qualsiasi ora.
I raggi solari filtravano dalle finestre semi aperte a causa del caldo che caratterizzava le stagioni estive in California. Come fosse automatico, un ragazzo, sdraiato in un letto in chissà quale camera, spalancò gli occhi, guardandosi attorno. Notò una parete bianca, un quadro insolito, una camera troppo piccola rispetto a quelle a cui era abituato. Lasciò scivolare lo sguardo sul corpo nudo, coperto da un lenzuolo bianco che assomigliava fin troppo a quelli degli ospedali. La testa gli pulsava, e aveva un forte mal di stomaco, reduce da una serata di alcool e discoteca. Stava per richiudere gli occhi, quando ad un certo punto notò una figura femminile di cui non ricordava nemmeno il volto. La scrutò in silenzio, mentre la ragazza dormiva respirando lentamente . Scosse la testa e decise che era il caso di tornare a casa e lasciare sola quella ragazza così come aveva fatto con tutte le altre nei giorni precedenti. Si infilò velocemente e in silenzio i jeans e la maglia, mentre cercava sotto il letto le scarpe, chiedendosi come era possibile che fossero finite lì sotto. Nel rialzarsi la sua testa intruppò qualcosa di metallico e doloroso.
“Merda!” Non riuscì a trattenersi, e si maledì subito perché la ragazza sconosciuta aveva appena aperto gli occhi e la fissava con uno sguardo da bambina confusa. Lo guardò, sorridendogli appena, ancora assonnata e con i capelli totalmente sconvolti.
“Te ne volevi andare senza nemmeno salutarmi?” disse con fare malizioso, anche se, forse per il sonno o forse per la sua incapacità, non riuscì nel suo intento. Il ragazzo sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, nonostante fossero le sei di mattina.
“Si emh… Senti, ti chiamo io, ok?” Non aspettò nemmeno una risposta, era uguale per tutto il genere femminile. Entrò in ascensore, si infilò velocemente le scarpe e, appena uscito, si affrettò a tornare a casa.
 

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La prima cosa che aveva fatto una volta giunto a casa era stata quella di buttarsi sotto il getto d’acqua fredda per riprendersi dalla sbronza della sera precedente. Sentiva ancora la testa pesante, i muscoli deboli e lo stomaco che non stava per niente bene. Doveva smetterla di comportarsi come un adolescente, e questo lo sapeva bene. Sua madre glielo ripeteva in continuazione e questo non faceva che alimentare la voglia in lui di comportarsi come un cretino, di bere fino alle 5 di mattina e di finire poi a letto con la prima ragazza che passava e che ci stava. Era la sua vita, e per quanto sapeva che era sbagliato, non aveva il coraggio di mettere la testa a posto. Troppo faticoso. Cory Monteith era fatto così.
Una volta uscito dalla doccia, si asciugò velocemente per poi infilarsi il pantalone della tuta e gettarsi con noncuranza sull’enorme divano della sala da pranzo. Aveva appena acceso l’iPhone e già aveva ricevuto 3 sms, tutti dalla stessa persona, che riteneva tanto asfissiante da togliergli l’aria persino a migliaia di chilometri di distanza.
“Cory, domani mattina alle 8:00 agli Studios. Josh.”
“E ricordati il copione.”
“E la testa.”

Li ignorò completamente, infastidito soprattutto dall’ultimo sms. Non aveva bisogno di lui, non ne aveva mai avuto bisogno, ma lo teneva con sé perché voleva evitare tutte quelle cose noiose che avrebbe dovuto fare se lui non ci fosse stato. Si rese conto solo dopo che quel “domani mattina” era in realtà quel giorno e che erano le 7:40 e che aveva venti minuti di tempo per prepararsi, uscire e arrivare in perfetto orario agli Studios. Impossibile per lui.
Si alzò di scatto, raggiunse velocemente la camera da letto al piano superiore, aprì l’armadio e ne tirò fuori un paio di jeans scuri e una maglietta a maniche corte, dato che, nonostante fosse presto, il sole bruciava già. Afferrò il suo immancabile cappello, gli occhiali, le chiavi della macchina, l’iPhone e, naturalmente, il copione. Scese in strada, salì in macchina e sfrecciò a tutta velocità verso gli Studios. Non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare puntuale.
 
Arrivò con 10 minuti di ritardo, ma non se ne preoccupò affatto. Attraversò la lunga via che collegava il parcheggio con l’entrata principale degli Studios, era una strada che conosceva bene, dopo avervi girato così tanti film che nemmeno lui li ricordava più. Affrettò il passo, entrò nell’enorme edificio e si guardò intorno alla ricerca di qualcuno che fosse almeno un lontano conoscente. Incontrò alcune donne delle pulizie, impegnate a terminare il loro lavoro, e qualche addetto all’elettricità che sistemava dei cavi fuori posto. Si chiese se non avesse sbagliato giorno, ma non fece in tempo a controllare che udì una forte risata proveniente dalla sala principale. Vi trovò un gruppo di persone, sparse per la sala, che parlavano tra loro e che ridevano per chissà cosa. Entrò cercando di passare inosservato, ma un uomo sulla cinquantina d’anni lo fissò incrociando le braccia al petto.
“Cory Monteith, tu non cambi mai eh?” Sorrise, sollevando gli occhiali che nel frattempo erano leggermente caduti sul naso. Il ragazzo piegò le labbra in un ampio sorriso, sentendosi molto sollevato nel rendersi conto che l’unico che lo aveva notato quell’uomo che lo aveva diretto nella maggior parte dei film che aveva girato.
“Ciao Louis.” Disse sorridendo Cory, sfilandosi  gli occhiali da sole che infilò poi in tasca. “Scusa il ritardo, ma…”
“Sono abituato, ormai ti conosco bene.” Gli diede una pacca sulla spalle e lo rassicurò. Cory scosse la testa ancora sorridendo e si guardò intorno, studiando tutte le persone presenti nella sala. Notò un gruppo di ragazzi intenti a inventare alcuni passi di danza, chi sfogliava il copione. E poi c’era lei. Era una ragazza che non aveva mai visto prima, a Los Angeles, e che di certo non era mai stata sua co-star in un film. Era seduta su un divanetto di pelle giallo, le gambe incrociate, i capelli castani raccolti in una coda laterale, mentre la frangia le copriva la fronte, fermandosi proprio sopra le sopracciglia. Indossava un paio di pantaloncini jeans e una semplice maglia rossa, che risaltava i suoi capelli scuri e il suo viso che a Cory parve perfetto. Rimase a contemplare quella ragazza, i suoi movimenti, la sua risata, il modo in cui socchiudeva leggermente gli occhi quando sorrideva.
Qualcuno urlò il suo nome, distraendolo dai suoi pensieri e riportandolo alla realtà. Alzo lo sguardo, nella direzione in cui si trovava la ragazza, e si rese conto che la sua migliore amica lo stava chiamando, ed era proprio accanto a quella sconosciuta di cui non sapeva nulla, ma che lo aveva colpito fin troppo. Si diresse verso di loro, infilando le mani in tasca e sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori.
“Ciao, stupenda” disse una volta raggiunta la sua migliore amica, stampandole un dolce bacio sulla fronte. Spostò poi lo sguardo sulla sconosciuta, rendendosi conto di quanto il suo viso fosse ancora più bello visto da vicino.
“Cory, lei è Lea Michele, la tua co-protagonista.” La bionda, che si chiamava Dianna, sfoderò il suo sorriso bianco e perfetto e presentò la nuova arrivata a Cory, fissandoli con quei suoi occhi verde smeraldo. I due si strinsero la mano, sorridendosi a vicenda, e il ragazzo si soffermò a pensare che quella ragazza aveva qualcosa di speciale, qualcosa di unico, qualcosa che la rendeva diversa dalle altre. Si sentì quasi in imbarazzo, fuori luogo, imperfetto, lui che si era sempre ritenuto forte e insensibile.
“Allora, ragazzi!” Louis richiamò l’attenzione di tutti battendo le mani. “Iniziamo. Innanzitutto voglio registrare le prime canzoni, quindi Cory e Lea vi voglio entrambi in sala registrazioni!” Lea scattò in piedi, ponendosi accanto a Cory, il quale le fece un sorriso che lei ricambiò. “Dianna, Naya e Heather… Voi seguite Charles, lui vi mostrerà i primi passi delle coreografie! Il resto, ripassate il copione perché cominciamo a provare qualche scena!”
Cory fissò Lea per alcuni istanti, incapace di parlare, mentre sentiva le mani sudargli in tasca. La ragazza giocherellava con la sua coda laterale, e si guardava intorno, quasi spaesata non sapendo effettivamente dove andare.
“Ehi, andiamo.” esordì finalmente Cory, indicandole l’uscita che li avrebbe condotti alla sala registrazioni. “E’ meglio affrettarci, se arriviamo tardi rischiamo di trovare belve inferocite pronte a colpirci con qualunque strumento musicale!” Scoppiarono a ridere all’unisono, gli sguardi distanti, paurosi di incontrarsi. Si sorrisero a vicenda e, dopo che Lea ebbe preso le sue cose, si avviarono verso la prima tappa di quel lungo viaggio.

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Capitolo 4
*** My, my, how can I resist you? ***


Salve gente! :3 Intanto grazie a tutte voi che mi seguite *-* Allora, vi dico che a me personalmente questo capitolo non fa impazzire, non è niente di che, avevo un'idea in mente ma non è venuta come volevo ç_ç spero comunque che sia di vostro gradimento (: Un bacione! <3

 

Era stata la giornata più lunga della sua vita. Lea si buttò sul divanetto della sala principale, socchiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. Aveva passato all’incirca 3 ore e mezza nella sala registrazioni, con pause di 5 minuti che non le bastavano per riprendersi. Amava cantare, e si era divertita tanto, ma non era abituata a ritmi così frenetici. Era poi passata a provare alcune coreografie, di cui non si ricordava nulla, e aveva anche cominciato a socializzare con alcuni membri del cast, ma tutto ciò l’aveva fatta stancare ancora di più. Lasciò scivolare la testa all’indietro e si concesse qualche minuto di assoluto silenzio. Tutta quella confusione, quel lavorare senza un attimo per sé, l’avevano distrutta ed era solo al primo giorno. Erano le 18:00 e finalmente, almeno per quel giorno, il suo lavoro sul set era finito. Stava già pensando alla doccia calda, una cena leggera e un letto comodo che l’aspettavano nella villa compratale dalla sua migliore amica nei pressi di Hollywood, che avrebbero condiviso per un po’ di tempo. Aveva bisogno di spegnere il cervello, gettarsi sotto il getto d’acqua bollente della sua doccia ipertecnologica, di cui, secondo lei, la maggior parte delle funzioni era inutile, e chiudere gli occhi per riposarsi.
“I postumi della tua prima giornata di lavoro a Los Angeles, eh?” disse una voce familiare. Aprì gli occhi imbarazzata e sorrise ritrovandosi davanti quell’enorme ragazzo che l’aveva affiancata quel giorno.
“Sono a pezzi.” Esordì Lea, sdraiandosi completamente sul divanetto, senza preoccuparsi del fatto che altre persone, oltre a Cory, l’avevano raggiunta nella sala. Cory trattenne una risata, e cercò un piccolo spazio accanto al corpo minuto di Lea, che sembrava addormentata.
“Non addormentarti però, altrimenti sarai costretta a passare la notte sul divanetto di pelle, e ti assicuro che è veramente scomodo.” La ragazza scoppiò a ridere improvvisamente, aprendo gli occhi e specchiandosi in quelli del ragazzo che era seduto accanto a lei. Lo guardò attentamente, notando piccoli particolari a cui prima non aveva dato alcuna importanza. I lineamenti, il piccolo neo sulla guancia, il suo naso che sembrava disegnato per quanto era perfetto. Socchiuse nuovamente gli occhi, per paura di fissarlo troppo, e alzò la testa passando da sdraiata a seduta. Ora non si guardavano più, ma sentiva lo sguardo di Cory che ogni tanto la osservava per chissà quale motivo.
“Per non rischiare di passare la notte qui, me ne vado.” Disse Lea sorridendo, mentre con una mano afferrava la borsa. Cory scattò in piedi involontariamente, grattandosi la nuca imbarazzato, l’altra mano nella tasca dei jeans.
“Stasera io, Dianna e altri del cast ci vediamo da me… Sei dei nostri?” Le sorrise in maniera così dolce che a Lea parve un bambino indifeso, nonostante la sua altezza.
“Mi sarebbe piaciuto, ma sono davvero troppo stanca, rischio di addormentarmi in macchina.” Cory scoppiò a ridere e Lea lo guardò mentre socchiudeva gli occhi, con entrambe le mani in tasca, i vestiti semplici, il sorriso perfetto. “Ci vediamo domani, ok?” Il ragazzo annuì, e alzò una mano per salutarla; Lea contraccambiò, poi si voltò dall’altra parte e dopo aver raggiunto in fretta il parcheggio, entrò in macchina e si diresse a casa.

 

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“Cory, ti senti bene?” Il ragazzo si voltò, richiamato alla realtà dalla sua migliore amica, che lo guardava preoccupata. Alla fine i ragazzi avevano optato per un pub e qualcosa da bere, dopo aver cenato da Cory.
“Già, amico…” esordì Mark, anche lui componente del cast. “Non hai bevuto nemmeno un goccio di alcool.” Scoppiarono tutti a ridere, mentre Cory li guardava imbarazzato, abbozzando un sorriso. In realtà non desiderava essere in nessun altro posto se non a casa, in silenzio, da solo, per svuotare la mente da ogni pensiero e da quella confusione che si era insinuata dentro di lui quella mattina.
“Smettila, Mark!” lo richiamò Dianna, trattenendo una risata e spostando nuovamente lo sguardo sul suo migliore amico. “Davvero, sei sicuro di stare bene?” Il ragazzo le sorrise e annuì, osservando poi il cocktail ancora intatto di fronte a lui. Di solito gli piaceva risolvere ogni problema, o meglio scapparne, bevendo e finendo a letto con una sconosciuta. Quella sera, però, non aveva voglia di riempirsi le vene di alcool, né di spezzare il cuore di qualche ragazza sfortunata che avrebbe sicuramente tentato di baciarlo. Giocherellò con il bicchiere, facendo finta di ascoltare i discorsi degli altri ragazzi, ma perdendosi tra i suoi pensieri, mentre ritornava con la mente all’incontro di quella mattina. Aveva ammesso a se stesso, con una tale facilità, che quella ragazza l’aveva colpito, e forse più del dovuto. Il suo modo di fare, di camminare, di parlare, il modo in cui arrossiva appena quando lui compariva all’improvviso, la voce che aveva ascoltato nello studio di registrazione… Era totalmente attratto da lei. Ma non come poteva esserlo dalle altre ragazze. Lei era diversa. Lei era… Lei.
“Ehi Cory!” sussurrò ridendo Chris, un altro ragazzo del cast. “C’è una ragazza che ti sta facendo gli occhi dolci.” Si voltò all’improvviso, incontrando lo sguardo di una ragazza bionda che indossava un vestitino bianco a metà coscia, un trucco leggero, i capelli legati. Le sorrise, e lui ricambiò forzato. Afferrò di scatto il bicchiere, chiuse gli occhi e bevve in un sorso quello che conteneva. Sentì lo stomaco bruciare, la testa girare prima del dovuto, le voci dei suoi amici risuonare lontane. Aspettò che la ragazza si alzò, perché sapeva che l’avrebbe fatto, mentre, ancora una volta, si lasciò sopraffare dall’alcool, spegnendo ancora una volta il cervello e allontanando i pensieri. La bionda lo raggiunse, esordì con un “ciao”, mentre Cory le afferrava la mano e la guidava verso il bagno. Si chiuse la porta alle spalle, afferrò i suoi fianchi e iniziò a baciarla violentemente. Avrebbe voluto fermarsi, dirle che stava sbagliando, che non aveva voglia, che voleva scappare da quello che era diventato, ritornare come prima, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu accarezzarle il corpo con una mano, salendo dai fianchi alla vita e poi riscendere giù fino alle cosce.
“Ti va di andare da me?” sussurrò in un attimo di pausa la ragazza, i capelli in disordine, il vestito quasi slacciato. Cory annuì, il respiro affannato, gli occhi chiusi, i pensieri che si affollavano nuovamente nella sua testa. Si lasciò guidare dalla ragazza, che gli afferrò la mano e lo condusse fino alla macchina. Dopo aver guidato a tutta velocità, entrarono dentro casa richiudendosi la porta alle spalle, le labbra già incollate le une sopra le altre, le mani di Cory che sfioravano il corpo della sconosciuta. Giunsero in camera da letto, e in brevissimo tempo i vestiti ricoprirono il pavimento, lasciandoli completamente nudi.
Continuarono a baciarsi, a cercarsi, Cory entrò dentro di lei più volte con dei movimenti decisi e veloci, sentendola ridere per il piacere. Alla fine si addormentò, sfinita e sudata, poggiando la testa sul petto di Cory. Lui la guardò, poi rivolse lo sguardo al di fuori della finestra, da cui filtrava la luce lunare che rendeva la stanza poco buia. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era quel viso, quel corpo, la ragazza che non era quella che in quel momento dormiva accanto a lui. Non era Lea, non aveva la sua voce, la sua perfezione, il suo imbarazzo, la sua semplicità. Ora se ne rendeva conto, ora dava un nome ai suoi pensieri: desiderio. La voleva. E l’avrebbe avuta. 

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Capitolo 5
*** I wanna get what I want, don't stop. ***


Ciao gente! :) Innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma tra scuola e impegni vari (e anche un’ispirazione che non arrivava) non ho avuto modo di scrivere il capitolo! Ora eccolo qui, ma premetto che le cose, ancora per un po’, scorrono in modo lento e noioso ahahahahah Sono capitoli che servono per lo più a descrivere i loro pensieri, i sentimenti contrastanti e tutta questa roba xD Ancora non succede niente di particolare, perciò vi chiedo scusa se la storia risulterà noiosa o roba simile, prometto che prima o poi arriverà il colpo di scena :D ahahahahahah Un grazie enorme a voi che mi seguite <3 Un bacione, Marty :)
 
 
 
Aveva dormito per 12 ore eppure non le erano sembrate sufficienti per riprendersi. Il rumore della sveglia risuonò nella sua enorme stanza, richiamandola alla realtà e risvegliandola da un dolce sogno. Guardò l’orologio, segnava le 6:00. Non sapeva più cosa volesse dire svegliarsi alle 6:00, perché non ne aveva mai avuto bisogno. Non era mai stata la protagonista di un film. Avrebbe voluto prendersi altri minuti per lei, ma sapeva che si sarebbe riaddormentata e ciò non era possibile, visto che aveva un’ora di tempo per svegliarsi, prepararsi ed arrivare agli Studios. Decise di alzarsi e buttarsi immediatamente sotto il getto dell’acqua calda, che l’avrebbe rilassata ma anche svegliata. Dopo aver fatto una doccia veloce, uscì dal bagno e si diresse verso il suo armadio. Con il cervello ancora spento e la stanchezza che non le era per niente passata, scelse di indossare un paio di jeans chiari, stretti sulle caviglie, e una maglia blu elettrico, che le lasciava scoperta la schiena. Pettinò i capelli, lisciando la frangia sulla fronte e applicò sul suo viso un trucco leggero. L’orologio segnava le 6:30, e dato che aveva fatto più presto del previsto, sistemò velocemente la sua camera per poi chiudersi la porta alle spalle, lanciare una dolce occhiata alla sua migliore amica che dormiva beata nell’altra stanza ed uscire per dirigersi agli Studios.
 
Scese dalla macchina e fu avvolta dalla fresca brezza mattutina che le scompigliò i capelli. I suoi occhi color nocciola erano coperti da un paio di occhiali scuri, che li coprivano dalla luce solare, troppo forte per degli occhi che volevano tornare a chiudersi. Attraversò il cortile degli Studios, troppo impegnata a frugare nella borsa alla ricerca del copione per accorgersi della gente che la circondava e la fissava abbagliata dalla sua semplicità e bellezza. Lei era fatta così, era troppo umile persino per ammettere che effettivamente aveva un certo fascino.
Entrò velocemente nel suo camerino, si sfilò gli occhiali, posò la borsa e portò con sé solamente il copione, cercando di memorizzare qualche battuta. Aveva lo stomaco vuoto, il cervello ancora troppo stanco e la voglia di lavorare pari a zero. Erano appena le 7:00 e Lea non vedeva l’ora di tornare a casa.
“Ehi, straniera!” urlò una voce familiare. La ragazza si voltò incuriosita, incontrò lo sguardo dell’enorme ragazzo che l’aveva accompagnata nella sua prima giornata di lavoro, e sorrise dolcemente.
“Buongiorno.” Si avvicinò a lui, salutandolo con un cenno della mano, accorgendosi solo poi che Cory non era solo.
“Vuoi unirti a noi per colazione?” Stava per rifiutare, ma il suo stomaco rispose per lei. Cory scoppiò a ridere, notando le guancie di Lea che si coloravano di un soffice rosso a causa dell’imbarazzo. “Direi di si, eh!” La ragazza incrociò le braccia al petto, fingendosi offesa, e si lasciò guidare dal ragazzo, che le cinse le spalle con un braccio.
“Lea!” Dianna corse verso la nuova arrivata, allontanandola da Cory e stringendo il suo piccolo corpo in un caldo abbraccio. La piccola ragazza dai capelli castani ricambiò il saluto con un enorme e sincero sorriso, prendendo posto accanto ad altri ragazzi del cast, che la salutarono calorosamente. Cory prese posto accanto a lei, guardandola ogni tanto per stampare ogni minimo dettaglio nella sua mente. Era lì che sorrideva a Dianna, che parlava con Amber, che scherzava con Chris, e ogni movimento era perfetto, privo di incertezza, come se quel posto fosse sempre stato suo. L’aveva vista il giorno prima piccola e spaesata, indifesa, in una città che era troppo grande per lei, anche se aveva sempre vissuto a New York. La vedeva troppo fragile, troppo innocente per una città come Los Angeles.
“Dovremmo andare, sai?” Lea gli sorrise, distogliendolo dai suoi pensieri, di cui in quel momento si vergognò. Annuì, ancora distante, e dopo aver offerto la colazioni al gruppo di amici, si salutarono per poi dividersi. “Anche questa mattina ti toccherà passarla con me, eh…” Esordì improvvisamente Lea, richiamando ancora una volta l’attenzione del ragazzo. Cory si girò di scatto, incontrando i suoi occhi color nocciola, e sfoderò un dolce sorriso.
“Sai a cosa pensavo?” Disse improvvisamente il ragazzo, fermandosi nel bel mezzo del corridoio deserto. “Che sei appena arrivata a Los Angeles e non l’hai nemmeno mai vista!”
“Mmm…” La ragazza lo fissò, ancora confusa e incapace di capire dove volesse arrivare.
“Quindi stasera, non accetto obiezioni, ti farò da guida turistica!” Scoppiarono a ridere, entrambi spiazzati da quella proposta inaspettata. Cory, perché non si sarebbe mai immaginato di dire una cosa del genere a una ragazza che lo interessava, né soprattutto di pensarlo seriamente. Lea, perché non credeva che quel viaggio, quel set, quel cambiamento avrebbero potuto sconvolgerle la vita.
“Va bene, ci sto!” Dopo averlo guardato per un lasso di tempo che parve interminabile, annuì sorridendo, scuotendo la testa perché le sembrava tutto troppo assurdo. “Ma magari è meglio metterci a correre, altrimenti Los Angeles la guardo da una cartolina!” L’orologio sopra le loro teste segnava le 7:35, il che significava che avevano già 5 minuti di ritardo. La ragazza afferrò involontariamente la mano di Cory, unendola alla sua, per poi iniziare a correre verso il set. Li aspettava una lunga giornata lavorativa.
 
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Erano le 17:55 e Cory era disteso sul divano del suo trailer. Stranamente quel giorno aveva già finito di lavorare ed era riuscito a ricucirsi un momento per sé. L’unica cosa a cui pensava, se chiudeva gli occhi, mentre mangiava, sotto la doccia o anche mentre parlava con qualcun altro, era il viso di Lea, i suoi occhi grandi color nocciola, il suo corpo piccolo e statuario, la sua voce, la sua risata, il sorriso che le dipingeva il volto quando qualcuno le faceva un complimento.
“E tu dovresti essere la mia guida turistica?” Sussultò nell’udire quella voce, che ormai conosceva benissimo. Si alzò di scatto, sbattendo così la testa alla mensola al di sopra del divano. Si era sempre chiesto di chi fosse stata l’idea geniale di mettere una mensola ad una così poca distanza dal divano. Lea scoppiò a ridere, e Cory si sentì un perfetto idiota.
“Ridi delle disgrazie altrui!” Si finse offeso, nel frattempo alla ricerca di un po’ di ghiaccio da mettere in testa. La ragazza entrò nel trailer, chiudendosi la porta alle spalle, e aprì il piccolo frigo che si trovava in quello che poteva dirsi un angolo cottura.
“Tieni, genio…” Afferrò un piccolo cubo di ghiaccio, lanciandoglielo, e si sedette poi sul divano, guardandolo mentre, davanti allo specchio, si massaggiava la testa per alleviare il dolore.
“Comunque questa sera ti passo a prendere alle 8.00 precise!” Lea incrociò le braccia al petto, inarcando un sopracciglio, divertita da quella scena, in cui l’enorme ragazzo, che sembrava indistruttibile, ora appariva debole e, a tratti, anche dolce.
“Sono curiosa di sapere come farai, dato che non sai dove abito..”
“Ma infatti tu stai per darmi il tuo indirizzo!” Il ragazzo prese posto accanto a lei, una mano libera, l’altra che teneva sulla testa il cubetto di ghiaccio. Lea rideva ancora, mentre cercava nella borsa un pezzo di carta su cui scrivere il suo indirizzo. Si alzò, sorridendo a Cory, che nel frattempo si rigirava fra le mani il foglietto.
“Non farmi aspettare.” La ragazza fece per uscire, quando all’improvviso si voltò, di fronte alla porta del trailer aperta, da cui filtravano la luce dell’esterno. “Io odio i ritardatari.” Gli sorrise, per poi fare un mezzo giro su se stessa ed uscire completamente dall’abitacolo. Cory ricambiò il sorriso, poi abbassò lo sguardo e fissò il foglietto di carta, lo stomaco aggrovigliato, la confusione in testa, il cuore che batteva forte.

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Capitolo 6
*** And we call it bella notte. ***


Ciao bella genteee! Dopo un lunghissimo periodo di pausa eccomi qui! Dopo tutti questi eventi e foto Monchele direi che l’ispirazione c’è ed è anche tanta! Spero di non perderla più e di tenerla sempre con me xD Vi chiedo scusa per questa lunga assenza, ma vi posto il sesto capitolo di questa bella (spero ahaha) storia JIl capitolo non è davvero dei migliori, spero comunque vi piaccia. Buona letturaa.
Un bacione, Marty :3
 
 
“Cosa significa che stasera non sei a cena?” Victoria la fissava incuriosita, con un sorriso malizioso stampato sul volto.
“Significa che esco!”
“Si, ma con chi?” Lea correva per tutta la casa, come al solito in ritardo, dato che erano le 19:30 e doveva ancora vestirsi e truccarsi. “Lea Michele, rispondimi!” La ragazza si fermò all’improvviso, incrociò le braccia al petto e fissò la sua migliore amica sorridendo.
“Vic, fra mezz’ora Cory passa a prendermi, mi porta a fare un giro, niente di ch…”
“Oh mio Dio!”
“E non esagerare!” La brunetta era ora seduta sull’enorme letto a una piazza e mezza della sua migliore amica, intenta a rovistare nell’armadio in cerca di qualcosa di comodo da indossare.
“Io opterei per questo.” Victoria afferrò un vestito sul letto, arrotolato con noncuranza, che Lea aveva scartato senza nemmeno considerare. “E’ fresco e non impegnativo.” Le fece l’occhiolino, mentre la sua migliore amica la fulminava con lo sguardo, afferrando il vestitino. Era a motivi floreali, con un tessuto color pesca molto chiaro, e le arrivava poco sopra il ginocchio. Prese un paio di ballerine bianche e velocemente si diresse in bagno, impegnata a mettere le scarpe e a sistemare il suo viso senza trucco. Applicò un leggero strato di fondotinta, colorando il volto di una leggera sfumatura di marrone, e decorò gli occhi con un po’ di matita nera, aggiungendo poi il mascara e completando il lavoro con una passata di lucidalabbra trasparente. Lasciò che i boccoli le cadessero sulle spalle, piastrando la frangia che le arrivava sulle sopracciglia. Uscì dal bagno senza nemmeno guardarsi allo specchio, e trovò Victoria a fissarla, appoggiata all’anta dell’armadio ancora aperta.
“Sei sicura che sia solo un giro?”
“Vic! Ti ricordo che sono fidanzata!” Le lanciò il cuscino a forma di fiore che era caduto dal suo letto.
“Occhio non vede, cuore non duole…” La brunetta la guardò con un’espressione maliziosa, e Lea le avrebbe risposto se solo Cory non avesse suonato proprio in quel momento. Controllò l’orologio: segnava le 20:00. Scese di corsa le scale, lisciò il vestito passandovi sopra una mano e poi, dopo aver afferrato un giacchetto per precauzione e la sua immancabile borsa, aprì la porta.
“U A O.” Furono le uniche parole che uscirono dalla bocca del ragazzo. Lea gli diede una pacca sulla spalla, scoppiando a ridere dopo aver notato i segni rimasti a causa della botta data quel pomeriggio nel trailer.
“Ah, però!” Lea si voltò improvvisamente, le guancie si colorarono di scatto di un rosso porpora che sapeva non sarebbe passato inosservato.
“Emh, Cory lei è Victoria, la mia migliore amica e manager… Vic, lui è Cory.”
“Si, lo avevo capito.” La brunetta non perse l’occasione e si affrettò a stringere la mano dell’alto ragazzo di fronte a lei. “Mi raccomando, riportamela a casa sana e salva!” Lea la fissò imbarazzata, perché sapeva che la sua migliore amica sapeva essere piuttosto fastidiosa, quando voleva.
“Ok, noi andiamo. Ciao Vic!” La ragazza trascinò Cory verso la sua macchina, affrettandosi ad allontanarsi il più possibile dalla sua migliore amica. Il castano la guardava divertito, notando il suo imbarazzo nel rosso delle sue guancie di cui ancora non si era liberata. Salirono entrambi in macchina, e Lea si affrettò a parlare. “Scusami davvero, sa essere molto imbarazzante quando vuole…” Si passò una mano sulla fronte, scuotendo la testa, e Cory le sorrise.
“Non preoccuparti.” Mise in moto, immergendosi nel traffico serale di Los Angeles. “Piuttosto… Ti va una cena un po’ “casareccia”?”
“Stasera sei tu il capo. Decidi tu. Mi fido.” Abbassò il finestrino, sorridendo al ragazzo accanto a lei che, chissà perché, in quell’enorme città, da sola, le ispirava fiducia e sicurezza. Cory ricambiò il sorriso e prese la strada che costeggiava il mare, donando così alla vista di Lea un panorama spettacolare. Si perse nel tramonto di Los Angeles, quel sole color arancio che si rifletteva nel mare e che di lì a poco sarebbe sparito, lasciando posto alle stelle e alla luna. Il vento caldo le scompigliava i capelli, e per un po’ la ragazza si perse nei suoi pensieri, dimenticandosi della figura che le era accanto. “Bella Addormentata, siamo arrivati.” Cory la richiamò alla realtà, e si rese conto solo dopo che era stata in silenzio tutto il viaggio, e questa cosa la fece sentire in imbarazzo. Scesero dalla macchina e si diressero verso un piccolo pub, al quale si accedeva attraverso delle scale. La castana si guardò intorno, incuriosita da quel luogo appartato ma allo stesso tempo frequentato da parecchia gente. Sentì lo sguardo di Cory su di sé e si voltò, restando colpita e affascinata dal sorriso stampato sul volto del suo accompagnatore, che sembrava estasiato mentre continuava a fissarla. Il ragazzo si fece strada davanti a lei, salutando l’enorme uomo di colore appostato davanti all’entrata, incaricato di controllare che chi entrava fosse presente sulla lista che teneva con la mano sinistra. Lea sorrise appena, e seguì Cory all’interno, un luogo piuttosto buio, illuminato da alcune luci al neon poste al centro dell’ambiente. Il cameriere, un giovane sui 25 anni, indicò il tavolo per due che Cory aveva prenotato nel pomeriggio, in un angolo della sala, con una candela posta al centro. I due ragazzi presero posto ed iniziarono a sfogliare il menù, Lea imbarazzata, Cory fin troppo confuso. Ordinò del branzino ed una bottiglia d’acqua frizzante, poichè quella sera aveva deciso di non bere; la castana prese invece un’acqua minerale e un’insalata vegetariana.
“E tu questa me la chiami ‘cena casareccia’”? Esordì Lea per rompere il silenzio che si era creato tra loro. “Hai visto i prezzi?!” Non che per loro fosse un problema, del resto erano attori, e per una sera il loro stipendio non ne avrebbe sicuramente risentito. Ma quando le aveva proposto una cena casareccia aveva subito pensato ad un hot-dog e coca-cola. Improvvisamente si sentiva inappropriata, il vestito le sembrava troppo semplice, i capelli troppo disordinati, lei troppo distante da quella città.
“Beh, intendevo il posto, non è chissà che… Però mi piace.” Cory le sorrise e Lea arrotolò una ciocca di capelli intorno all’indice della mano destra, sorridendo appena. “Insomma, cosa ne pensi del film?” chiese poi Cory notando l’evidente imbarazzo della ragazza.
“Mi piace, mi rispecchia. Credo sia stato questo che mi ha spinta ad accettare.” Adesso si guardava le mani mentre il ragazzo continuava a guardarla. Avrebbero voluto entrambi sapere cosa passava per le loro menti, quali pensieri vi fossero, se si stavano deridendo a vicenda o chissà cos’altro.
“Sono contento di lavorare con te.” Uscì spontaneo dalla bocca di Cory, e non appena se ne rese conto volle quasi rimangiarselo. Lea lo fissò, per alcuni secondi esterrefatta, poi sorrise. Il cameriere arrivò proprio in quel momento, forse per salvarli da un discorso che non erano ancora pronti ad affrontare. “Buon appetito.”
“Buon appetito.”
 

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“Avresti dovuto lasciarmi pagare!” Erano appena usciti dal pub, il cielo era un manto blu scuro ricoperto da qualche stella poco visibile e una luna piena proprio nel mezzo.
“Non se ne parla proprio, ti ho praticamente costretta a venire e quindi è il minimo.” Si guardarono negli occhi per una frazione di secondo, mentre una leggera brezza scompigliò i capelli di Lea. Lo ringraziò per la cena, per essersi offerto di accompagnarla in giro per la grande città degli Angeli, per essere stato così carino fin da subito.
Cory la guardò. Si perse nella profondità dei suoi grandi occhi marroni, nella bellezza del suo sorriso perfetto, nel rosso delle sue guancie che si infiammavano ogni volta che sentiva il suo sguardo su se stessa. Era totalmente consapevole dell’effetto che lui aveva su di lei, anche se lei non voleva, e non poteva. Ma non riusciva a spiegare l’effetto che Lea avesse su lui. Lui che era sempre stato uno che delle donne guardava solo la misura del reggiseno, o che giudicava in base all’aspetto fisico, che se ne era sempre fregato, ora si perdeva nei dettagli di quella piccola grande donna che gli era di fronte.
“Forse dovremmo tornare indietro, altrimenti domani mattina ci ritroveremo senza lavoro.” Lea guardò l’orario segnato sul suo iPhone, le 23:45. Il mattino seguente avevano entrambi appuntamento alle 7:00 in punto agli Studios ed erano consapevoli che non potevano restare un minuto di più, altrimenti non ce l’avrebbero mai fatta ad alzarsi. Si recarono velocemente alla macchina e Cory la riaccompagnò a casa. Il tragitto questa volta fu breve, forse perché ormai aveva già osservato con attenzione ogni minimo dettaglio all’andata, anche se questo non toglieva al paesaggio quel meraviglioso che gli apparteneva.
“Eccoci qui.” Lea guardò fuori dal finestrino, la sua enorme villa silenziosa e buia era lì che l’attendeva. Si voltò verso il suo meraviglioso accompagnatore e sofderò un altro dei suoi meravigliosi sorrisi. “Grazie per questa serata, sono stata bene.”
“Sono contento.” Cory ricambiò il sorriso. Rimasero a guardarsi per alcuni istanti, dopo di che Lea uscì dall’abitacolo e si diresse verso l’entrata senza mai voltarsi indietro. Non si accorse perciò che Cory la stava fissando da dentro l’auto, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso anche se si era ordinato di farlo. Distolse lo sguardo per paura che la ragazza si girasse, mise in moto e guidò a tutta velocità verso il suo appartamento. 

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Capitolo 7
*** I don't know if I'm lost or found. ***


Sera gente! Mi sono data alla pazza gioia in questi giorni e ho scritto un bel pò di capitoli, a mio parere riusciti abbastanza bene dai :D Spero vi piacciano! :3
Un bacione enorme a tutti, Marty (:



Il sole filtrava appena dalla finestra quando Cory aprì gli occhi e si svegliò. L’orologio segnava le 6:02, e si meravigliò di essersi alzato ben ventotto minuti prima che la sua sveglia suonasse. Si rigirò nel letto, indeciso sul da farsi, mentre nella sua testa la prima immagine che si creò fu quella del viso della dolce ragazza con cui aveva trascorso la serata precedente. Aveva raccolto ogni minimo particolare, dal modo in cui si toccava i capelli quando era imbarazzata alla sua voce soave che lo aveva incantato sin dal primo istante. Gli piaceva il colore dei suoi occhi, la forma delle sue mani, il suo essere così semplice. Ma paradossalmente odiava sentirsi così malleabile, così… vulnerabile. La suoneria del suo cellulare lo distolse dai pensieri, e il ragazzo sobbalzò, afferrandolo.
 
Cory ciao, sono Lea. Ho dimenticato il giacchetto nella tua auto, ieri sera. Me lo porteresti oggi agli Studios? Grazie.
 
Sorrise, non appena i suoi occhi lessero “Lea”. Prima di rispondere decise di salvare il numero della ragazza, ringraziando il cielo di aver avuto quella brillante idea di darle il suo numero e dirle di mandargli un sms in caso avesse avuto bisogno di qualcosa, la sera prima. Poi guardò nuovamente l’ora, le 6:08.
 
“Certo! Ti andrebbe di vederci per fare colazione insieme, così di sicuro mi ricordo di portarti il giacchetto? C.”
 
Attese con ansia la risposta, mentre sceglieva velocemente un jeans e una maglia bianca da indossare. Sembrava fosse una donna in preda al panico e non riusciva più a spiegare quel suo comportamento. La desiderava, ovviamente, ma non nel modo in cui desiderava le altre. Desiderava averla senza spezzarle il cuore. Sembrava quasi amore a prima vista. Quasi.
 
Va bene! Fra 30 minuti davanti gli Studios. L.
 
Fece una doccia brevissima, giusto il tempo di insaponare e sciacquare corpo e capelli. Uscì avvolgendosi in un asciugamano che lo copriva solo dalla vita in giù. Si meravigliò della velocità con cui infilo boxer, jeans e maglia, lasciando i capelli inumiditi, sapendo che si sarebbero asciugati dopo poco. Infilò ai piedi un paio di trainer nere, afferrò lo stresso indispensabile e scese velocemente le scale che dal suo appartamento lo portavano nel garage. Raggiunse la sua macchina che erano le 6:28, e si rese conto che la sveglia sul suo iPhone stava per suonare e lui era già in piedi, vestito e pronto per andare a lavoro. In perfetto orario, anzi, persino in anticipo, forse per la prima volta in tutta la sua vita. Entrò nell’abitacolo e notò un giacchetto sul sedile accanto al suo. Lo afferrò e riuscì a sentire ancora l’odore di Lea che lo aveva accompagnato per tutta la serata. Poi mise in moto, fece un respiro profondo e raggiunse gli Studios.

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Di certo Lea Michele non poteva dire che Cory Monteith fosse un brutto ragazzo. Né che lui non l’avesse almeno un minimo colpita. Alto, castano, occhi color nocciola, fossette sulla guancia quando sorrideva, occhi che divenivano quasi due fessure se sfoderava uno dei suoi sorrisi mozzafiato. Aveva memorizzato ogni dettaglio, la sera prima, e non poteva di certo negare che quell’invito l’avesse colta di sorpresa, anzi e aveva fatto fin troppo piacere. A New York era diverso. Conosceva i suoi polli. Aveva un ragazzo, aveva un gruppo, frequentava determinati locali. In qualche modo la sua vita era quadrata, senza vie di fuga, senza permissioni. Conosceva chi aveva accanto e non aveva mai cercato di meglio. Non che volesse farlo. Ma ora, davanti allo specchio, nel semibuio della sua camera, alle 6:08 del mattino, per la seconda volta consecutiva, si ritrovava a pensare perché Cory le avesse chiesto di uscire per ben due volte di seguito. Di sicuro non significava niente, erano due colleghi che stavano imparando a conoscersi e andavano a fare colazione insieme. Però lei era lì, davanti a quello specchio, di nuovo, a chiedersi se aveva scelto l’abbigliamento adatto. Aveva optato per un paio di pantaloncini a vita alta neri, con sopra una camicia blu di tessuto velato con maniche a tre quarti, scollo a V, mostrando quel poco di decolté che poteva possedere. Aveva deciso di abbinare un paio di scarpe alte, sempre nere, per non sembrare davvero troppo bassa davanti a quel ragazzo che le appariva come un gigante.
Al rientro, la sera prima, si era resa conto di aver dimenticato qualcosa, ma non aveva avuto il coraggio di utilizzare subito il suo numero e mandargli un sms. Quella mattina, agitata per i troppi pensieri, si era svegliata mezz’ora prima del solito e aveva inviato quel messaggio, sicura del fatto che lui stesse dormendo. Eppure Cory l’aveva sorpresa, rispondendole subito e proponendogli la colazione.
Si guardò ancora una volta allo specchio, e dopo aver afferrato chiavi, iPhone e tutto ciò che le occorreva, uscì dalla camera in punta di piedi per non svegliare la sua coinquilina. Non aveva voglia di dare spiegazioni, anche se non c’era nulla da spiegare. E poi Victoria sapeva essere fin troppo invadente. Inoltre, la conosceva fin troppo bene e una presunta conversazione non avrebbe portato a nulla di buono. Davanti alla porta principale, si rese conto di un foglietto volante poggiato sul mobiletto in soggiorno.
 
Theo ti ha chiamata. Era abbastanza nervoso, dice che non l’hai più richiamato. Fatti sentire.
 
Per un attimo ebbe l’istinto di salire in camera, infilarsi una tuta e mandare un messaggio a Cory per disdire tutto. Ma erano le 6:28 e sapeva che Cory era già uscito, e non aveva intenzione di farlo aspettare per mezz’ora agli Studios da solo. Tanto lei sarebbe comunque dovuta andare a lavorare. Afferrò il foglietto di carta, lo mise in borsa con noncuranza, si sistemò per l’ultima volta e corse verso la macchina, per andare a fare colazione con Cory Monteith.
 

---

 
“Ecco il tuo giacchetto, prima che mi scordi di nuovo.” Il canadese le porse ciò che era suo e Lea lo ringraziò, sorridendogli. “Ordiniamo, ti va?” Si diressero verso il bancone senza dire nulla, stranamente in imbarazzo, forse ancora troppo assonnati.
 
“Scusami, ti avrò buttato giù dal letto inviandoti quel sms a quell’ora, ma avevo paura di dimenticarmene.”
 
“Ma figurati! Stranamente oggi sono mattutino, arriverò al lavoro abbastanza in orario e questo sorprenderà tutti.” Cory fece l’occhiolino, e Lea scoppiò in una calorosa risata. Era anche un ritardatario. Sorseggiò un goccio del suo cappuccino caldo, sporcandosi le labbra con un po’ di schiuma. “Umh, sei sporca qui.” Il ragazzo le indicò il punto sulla bocca in cui era sporca, per poi afferrare un fazzolettino e sfiorarle il labbro superiore, pulendolo dolcemente.
 
“Grazie.” Il rosso che aveva colorato le guance di Lea era visibile, ma Cory fece finta di niente e cambiò discorso.
 
“Cosa farai quando ci daranno qualche giorno di relax, fra un po’ di tempo?”
 
“Mhh, non so, credo che inviterò i miei per qualche giorno, non hanno mai visto Los Angeles e mi piacerebbe fargliela visitare.” Sorrise, bevendo l’ultimo sorso della sua bevanda, mentre Cory la fissava, il suo caffè finito da tempo. “Beh, magari chiamo te come guida” esordì alla fine sorridendo. Il ragazzo ricambiò il sorriso e fece per pagare. “Alt! Oggi tocca a me.”
Lea tirò fuori 5 dollari dal suo portafogli e pagò la colazione, lasciando il resto come mancia. Si stavano avviando verso l’uscita quando una chioma bionda si accorse della loro presenza e li chiamò.
 
“Cory, Lea!” Dianna fece cenno di raggiungerla, guardandoli con un’espressione curiosa. In effetti era davvero curiosa di sapere perché i due fossero insieme. Non ci fu bisogno di parole per capire quale fosse la domanda che Dianna stava per fare.
 
“Colazione. Insieme.” Tagliò corto Cory. Conosceva la bionda, era la sua migliore amica. Sapeva che non si sarebbe accontentata di quella semplice spiegazione ma allo stesso tempo era meglio darle il minor numero di informazioni possibile.
 
“Non sei mai così mattutino.”
 
“Oggi mi girava così.” Lanciò un’occhiataccia a Dianna, per intimarle di smetterla e continuare quella conversazione in privato. “Noi andiamo, per una volta che arrivo puntuale…” Fece un sorriso forzato alla sua migliore amica per poi spostare lo sguardo su Lea.
 
“Si, io aspetto Josh.” Josh era un componente della crew, lui e Dianna avevano lavorato insieme anche per un altro film e da qualche mese uscivano insieme. A Cory non era particolarmente simpatico, ma non lo aveva mai esplicitamente dimostrato. “Ci vediamo dopo.” La bionda lanciò al ragazzo uno sguardo accigliato, mentre i due si allontavano dalla caffetteria per dirigersi all’interno degli Studios.
 
“C’è qualcosa che non va?” chiese Lea mentre percorrevano lentamente i corridoi in silenzio.
 
“Nono, è solo che… Niente, a volte Dianna diventa insopportabile. Sembra debba sempre controllarmi.”
 
“Ci tiene a te, si vede.” Lea sorrise, e Cory passò nervosamente una mano tra i capelli.
 
“Già.”
 
“Se hai bisogno di qualcosa, io sono qui.” Erano fermi in mezzo ad un corridoio vuoto. Da lontano arrivavano vocii di gente che arrivava e si fermava perché era presto e poteva permetterselo. La brunetta lo guardò, e per un attimo il ragazzo ebbe voglia di stringere il suo fragile corpo in un abbraccio. Incontrarono l’uno lo sguardo dell’altra per quella che parve un’eternità, quando il telefono di Lea iniziò a squillare. Prese in mano il suo iPhone, quasi noncurante di chi fosse, quando lesse il nome sul display. Guardò Cory, poi nuovamente il telefono. Tempismo perfetto. Theo la stava chiamando.

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Capitolo 8
*** Was it love at first sight? ***


“Theo, ciao…” Sapeva già a cosa andava incontro. Theo avrebbe iniziato a dirle che lei non si faceva viva, che questa storia stava rovinando il loro rapporto. A  volte era fin troppo egoista e prevedibile.
 
Lea, ma che fine hai fatto? Sono giorni che ti chiamo e non rispondi!”
 
“Lo so, ma lavoro 12 ore al giorno, e non ho un attimo di pausa. Poi torno a casa e la prima cosa che faccio è mettermi a dormire.” Sospirò. “Los Angeles non è come New York.”
 
Mi manchi, amore.” Lea percepì dal telefono il sorriso del suo ragazzo, e a malincuore non fu in grado di ricambiarlo. Per la prima volta da quando stavano insieme, Theo le dava quasi fastidio.
 
“Già… Senti, ora devo andare. Ci sentiamo… Presto.” Non diede il tempo a Theo di risponderle. Agganciò velocemente e raggiunse Cory, che nel frattempo l’aveva aspettate pur rischiando di fare nuovamente tardi.
 
“Tutto ok?”
 
“Eh? Oh, si, diciamo di si.” Abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per quello che aveva fatto e per quello che aveva iniziato a pensare dal momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli del ragazzo che le era di fronte. “Andiamo, dai.” Gli sorrise, afferrò il suo enorme braccio e insieme si affrettarono per raggiungere la sala principale.
 

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“Bene così, Lea!” Esclamò Louis, dopo aver finito di girare la scena iniziale. “Dobbiamo girare solo alcuni primi piani, ma possiamo benissimo farlo tra cinque minuti.” Le fece l’occhiolino, e Lea lo ringraziò sorridendo. Aveva girato quella scena in giardino, indossando una gonna nera a vita alta e una maglia bianca, e tutto ciò le dava una carica e una grinta assurde. Afferrò la bottiglietta d’acqua sulla panchina grigia del giardino e si sedette per alcuni istanti, le battute che le rimbombavano in testa. Ma non era stanca, si stava divertendo e recitare le piaceva. Inoltre, metteva tutta se stessa in quel personaggio, proprio perché in qualche modo lo sentiva suo.
 
“Ciao, bellissima.” Udì una voce provenire dalle sue spalle e rabbrividì, perché seppe riconoscerla immediatamente.
 
“Cory, cosa stai -”
 
“Io sono Jake. So che sei nuova, qui. Se hai bisogno…” La ragazza scoppiò a ridere. Riconobbe quelle battute come quelle del primo incontro tra i loro rispettivi personaggi.
 
“Sei un idiota!” Esclamò Lea ancora divertita. Cory si mise seduto accanto a lei, stringendo il copione bianco tra le mani, fingendosi ancora qualcuno che non era. O forse qualcuno che non sapeva di essere.
 
“Lea, vieni! Finiamo di girare i primi piani e ti lascio libera per il weekend!” Lea sorrise, alzandosi in piedi. Aveva dimenticato che era venerdì, e che questo significava avere il sabato e la domenica liberi. Solo per quella settimana, però. Era la prima e Louis aveva concesso a tutti quei due giorni per rilassarsi prima dei grandi lavori. “Cory, con te abbiamo finito oggi, puoi anche andare.” Lo conosceva fin troppo bene, sapeva che non vedeva l’ora di svignarsela. Si era sorpreso del fatto che non fosse ancora andato via, o che quella mattina fosse addirittura arrivato in orario.
 
“Ah, emh… Oh, si. Stavo aspettando, emh… Dianna, si.” La bionda, poco più lontano di lui, stava ripassando gli ultimi passi che completavano la sua coreografia. Louis si girò, e Cory fece un respiro profondo. Sfogliò nuovamente il suo copione, sorridendo al pensiero dell’assurda recita fatta a Lea. Quando alzò lo sguardo, il respiro gli si bloccò per un secondo. Lea era lì, ferma, che fissava un punto lontano, poi camminava sorridendo, poi faceva qualche altra mossa a cui Cory non fece più caso. Tutto ciò che vedeva era lei. E questo non gli piaceva affatto.
 
“A che gioco stai giocando, Cory Monteith?” La voce della sua migliore amica lo richiamò alla realtà. Si girò di scatto, Dianna era lì che lo fissava accigliata, un sorriso che non era proprio un sorriso stampato sul volto.
 
“Ma che stai dicendo?” Disse lui, girandosi dall’altra parte e rendendosi conto che Lea non c’era più.
 
“Tutta questa improvvisa bontà nei confronti di Lea.” Dianna lo raggiunse, prendendo posto accanto a lui. “Cory, guardami. Lea è tua collega. Non puoi trattarla come una delle tante.
 
“Tu straparli.” Fece per alzarsi, ma la sua migliore amica lo bloccò. Rimase in silenzio, senza sapere cosa dire. Era stato ovviamente quello il suo primo pensiero, trattarla come trattava tutte le donne dell’universo. Solo sano sesso. Ma non era più quello che voleva. O meglio, non solo. Si sentiva molto più vicino a quella ragazza di quanto potesse immaginare. Era in qualche modo legato a lei, senza sapere come. Non riusciva a fare lo stronzo, non c’era riuscito quella prima sera, né la mattina successiva. Era così debole di fronte a lei, come se lei fosse in grado di schiacciarlo come un insetto.
 
“Non puoi scopartela, Cory.” Disse infine Dianna. Era quello il succo del discorso. Conosceva bene il suo migliore amico, aveva visto come la guardava, o almeno così pensava. “Tral’altro è fidanzata.” Si girò di scatto verso la bionda, il battito accelerato, il corpo improvvisamente incapace di fare qualsiasi movimento.
 
“Non me ne frega un cazzo.” Disse poi, alzandosi di scatto dalla panchina grigia del giardino. “Hai sbagliato strada. Sono solo stato gentile con lei, non vuoldire che voglio scoparmela.” Si girò di spalle, lasciando Dianna seduta da sola. “Sei prevenuta!” Le urlò, continuando a camminare. Poi, il più in fretta possibile, rientrò all’interno degli Studios, prese le sue cose e cercò di evitare Lea mentre si dirigeva verso la sua automobile.
 

---

 

“Ehi Dì!” Esclamò Lea uscendo dal suo trailer. “Hai visto Cory, per caso?”
 
“Mi ha lasciata 10 minuti fa al giardino, poi è come scomparso.” La bionda si avvicinò alla brunetta, stringendo il suo copione tra le braccia e tenendo in mano una bottiglia d’acqua. “Come mai?”
 
“Oh no, niente. Volevo solo ringraziarlo per ieri sera, e per la colazione di oggi.” Sorrise sincera. “E per avermi riportato il giacchetto.” Tirò fuori dalla sua borsa Gucci l’indumento che aveva dimenticato nella macchina di Cory e lo mostrò a Dianna.
 
“Ah, capisco.” Sembrava improvvisamente diventata fredda. Lea la guardò incuriosita, chiedendosi cosa fosse successo.
 
“C’è qualche problema?” Disse poi, incrociando le braccia al petto e sorridendo infastidita.
 
“Nono. Davvero, niente.” Dianna si rese conto di essere stata fin troppo dura. In fondo, lei non c’entrava nulla. E forse tutte quelle supposizioni erano appunto solo supposizioni. “Ora ti saluto. Josh e io partiamo questa sera, staremo via per due giorni.”
 
“Beh, divertiti!” Si sorrisero, poi si salutarono con un abbraccio. “Ah, se vedi o senti Cory puoi dirgli di chiamarmi?” Esordì infine Lea.
 
“Io… Va bene, glielo dirò.” La bionda le sorrise un’ultima volta, a malincuore. Poi si voltò e camminò fino al parcheggio senza mai voltarsi.

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Capitolo 9
*** It's not right but it's okay. ***


“Sono a casa!” Una volta giunta a casa, tutto ciò che Lea trovò fu un vuoto troppo grande e un silenzio spaventoso. Accese la luce e lesse il biglietto che la sua migliore amica le aveva lasciato.
 
“L stasera ceni da sola. Fuori con uno strafigo. Aspettami sveglia tanto so che domani sei libera. V.”
 
Sorrise accartocciando il biglietto fra le mani, e scosse la testa pensando a quanto fosse schietta la sua amica. Lei non era affatto così, e per un attimo si chiese come avevano potuto diventare così tanto amiche. Ma la fame e soprattutto la voglia di una bella doccia rigenerante presero il sopravvento. Salì in camera, si sfilò le scarpe ed entrò nel suo bagno personale, lasciando scorrere l’acqua nella vasca ad idromassaggio, per farla riempire. Aveva voglia di un bel bagno caldo e rilassante. Si sciolse i capelli, si sfilò i vestiti e lentamente entrò nella vasca e lasciò scivolare il corpo sul marmo che era ormai caldo a causa dell’acqua. Lasciò andare la testa all’indietro, socchiuse gli occhi e rilassò i muscoli. Ora si sentiva molto meglio. Sapere di avere due giorni di puro relax davanti la faceva stare meglio. Pensò a come la sua vita fosse cambiata in così poco tempo; Theo, Los Angeles, il film. E poi, Cory. Non seppe spiegarsi bene il perché iniziò a pensare a lui come qualcosa che faceva parte di un cambiamento, ma ci pensò. Pensò al momento in cui l’aveva incontrato, al suo cuore che perdeva un battito, alla loro uscita, e alla loro colazione, e al loro rapporto, la loro intesa. Cory Monteith non le era indifferente, e all’improvviso si era resa conto che fin dal primo giorno la sua presenza aveva colmato l’assenza di Theo. Assenza che lei non aveva minimamente percepito, e questo le fece suonare il primo campanellino d’allarme nella testa. Lei e Theo erano sempre stati insieme, e immaginarsi anche solo due giorni senza di lui per lei era davvero difficile. E adesso, dall’altra parte del Paese, senza vederlo né sentirlo per un’intera settimana, lei stava bene, e non sentiva il bisogno di sentirlo ogni giorno, né, soprattutto, voleva. E questa cosa la spaventava. Non sapeva come gestirla, né cosa pensare.
Uscì dalla vasca dopo mezz’ora di pensieri, riflessioni e relax. Avvolse il corpo in un asciugamano, e raccolse i capelli in uno chignon, lasciandoli bagnati. Si guardò allo specchio e si disse che era assurdo tutto ciò che aveva pensato. Doveva solo riposare un po’. Una volta in camera indossò l’intimo, poi infilò un paio di pantaloncini sportivi ed una maglia bianca sbracciata con una scritta azzurra. Prese il suo iPhone, il display come sempre, nessun sms, nessuna chiamata. Inspiegabilmente rimase delusa, forse si aspettava qualcosa che non era né in cielo né in terra. Scese al piano inferiore, optando per un’insalata al tofu e una lattina di Coca-Cola come cena. Aveva fame ma non voleva appesantirsi troppo, e poi sperava di riuscire a rimanere sveglia per l’ora in cui Victoria sarebbe tornata. Erano le 20:30, e la serata da sola si prospettava molto lunga. Accese il mega televisore al plasma, si sedette sul divano e mangiò l’insalata dall’enorme ciotola rossa, sentendosi completamente idiota a rimanere a casa da sola il venerdì sera.
Dato che Dianna le era sembrata fin troppo strana, decise di prendere il suo iPhone e mandare lei stessa un sms a Cory. Non sapeva se lo stava facendo per principio o perché voleva, ma lo fece. Digitò la lettera C sulla rubrica, raggiunse il suo nome, e ciccò sull’opzione ‘Invia un sms’.
 
Ehi attore! Sei scappato e nemmeno mi hai salutato, complimenti! Dovevi portarmi a fare il tour per la città stasera, sono a casa da sola senza sapere cosa fare! Comunque niente, volevo ringraziarti ancora per ieri sera, e per oggi. Sei stato grandioso. L.”
 
Presse ‘Invio’ e il messaggio fu recapitato. Ora sentiva il cuore martellarle nel petto, e l’ansia non la faceva ragionare. E se è con qualcuna? E se l’ho disturbato? E se non risponde? E se mi avesse evitata perché non vuole vedermi? Lea smettila.
Sembrava una ragazzina in preda al panico. Il trillo dell’iPhone la fece sobbalzare.
 
“Due palle. Un gran figo e un gran rompicoglioni. Mezz’ora e sono a casa. V.”
 
Gettò il telefono sul divano, sbuffando. Non si sentiva così dai tempi in cui aveva iniziato ad uscire con Theo. E non era un buon segno. Non poteva e non doveva interessarsi a lui. Non mentre era fidanzata con qualcun altro. Ebbe l’istinto di chiamare Theo e dirgli di raggiungerla, magari rivederlo le avrebbe fatto bene. Ma non lo fece, perché sapeva che non era così. Sapeva che avrebbe incasinato le cose ancora di più e non avrebbe concluso niente.
L’iPhone squillò una seconda volta. Questa volta, per quanto ci riuscisse, cercò di essere più calma. Lo afferrò e lesse l’sms.
 
“Ehi straniera! Si, beh scusami, ero di fretta! A saperlo! Comunque figurati, mi sono divertito! Ci vediamo lunedì al lavoro. C.”
 
Sbuffò nuovamente. Non era esattamente la risposta che si aspettava, ma almeno aveva risposto. Certo, non uno straccio di invito a vedersi in quei due giorni di pausa, ma forse chissà, aveva da fare. E poi lei non era nessuno, era appena arrivata e doveva stare al suo posto.
Il rumore di un motore fuori casa la riportò alla realtà. Si affrettò a bloccare lo schermo del telefono e a fare finta di niente, prima che Victoria entrasse da quella porta sbuffando perché il figo di turno non l’aveva soddisfatto.
 
“Ah, ma allora ci sei! Una risposta al sms no eh?” Sbattè la porta d’ingresso alle sue spalle e si gettò senza nemmeno spogliarsi sul divano.
 
“Cosa dovevo dirti?” Lea cercò di sembrare il più normale possibile, ma per quanto fosse una brava attrice sul lavoro, non sapeva mentire.
 
“Acidità a mille, eh.” Esordì Victoria, scaturendo il nervoso nella brunetta. Non era il momento adatto. “Che succede?”
 
“Niente.” Affermò Lea poco convinta. L’amica la fissò. “Sono una cogliona.”
 
“Sempre detto.” Scherzò Victoria. L’attrice la fulminò. “Scherzavo. Che c’è?” Le chiese sinceramente interessata. E Lea cedette.
 
“Credo di essermi presa una sbandata per Cory. Lo so, è assurdo, non c’è bisogno che tu me lo dica, lo conosco da nemmeno una settimana e già penso di essere interessata a lui. Ma ho bisogno di cercarlo, di sentirlo, e stare in sua compagnia 12 ore al giorno non mi aiuta di certo. Sul set sto sempre con lui, pranziamo insieme, parliamo. E poi mi fa ridere, tanto. Rido come non ridevo da tempo.” Fece un respiro profondo, una volta smesso di parlare. Non aveva respirato nemmeno un secondo, durante quel discorso. Victoria la fissava, impassibile, senza battere ciglio. Poi scosse la testa e sorrise appena.
 
“Sei incredibile, Lea Michele Sarfati.” La brunetta fissò l’amica alquanto confusa. “Ti conosco fin troppo bene, e sapevo che prima o poi sarebbe successo.”
 
“Oh beh grazie, mi sei di aiuto eh.” Disse sarcasticamente, tirandole poi uno dei cuscini del divano. “E cosa dovrei fare?”
 
“Semplicemente niente. Aspetta. Continua a comportarti come hai sempre fatto.”
 
“E dovrei dirlo a Theo?”
 
“No! Voglio dire… Non ne sei sicura! Fra poco avrai un periodo di pausa, no? Potresti andare a New York, e vedere cosa succede. Se va, bene, se no… Pazienza.” Victoria le sorrise, e per la prima volta dopo tanto tempo Lea sentì di aver ritrovato quella parte della sua migliore amica che aveva perso nel tempo. Si accucciò tra le sue braccia, ringraziandola, e respirò profondamente, sentendosi finalmente libera.
 
“Domani che si fa?” Chiese poi, ricordandosi del weekend libero che si prospettava.
 
“Ah, ecco… Io devo andare a San Francisco per un convegno, una di quelle cose pallose a cui però devo assolutamente partecipare.” Sbuffò, immaginandosi vestita elegante con la mente già sull’aereo di ritorno. “Quindi non so… Esci, organizza una festa, vedi Cory.” Sorrise maliziosamente, e Lea la fulminò. Victoria è tornata. “Piuttosto, io vado a dormire che domani alle 6:00 devo stare in aeroporto. Buonanotte L, ci vediamo domenica sera.” Le stampò un dolce bacio sulla guancia, e la lasciò da sola sul divano ritirandosi nella sua camera al piano di sopra.
Lea si sdraiò, rigirando il telefono tra le mani. Vedi Cory. Ci aveva già pensato, avrebbe voluto chiedergli di uscire, di fare qualsiasi cosa purchè fossero insieme, ma non ne aveva avuto il coraggio. Poi, guardando l’orologio affisso al muro, che segnava le 23:48, decise che avrebbe rimandato al mattino seguente.

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Capitolo 10
*** Why don’t we go somewhere only we know? ***


Si sentiva che quel giorno Cory non doveva lavorare. Si era svegliato alle 11:00, con il sole che filtrava dalle tende poco tirate, il caldo già forte, la città in pieno movimento. Non aveva progetti per la giornata: Mark era impegnato, Dianna era partita, Chris era a New York e il resto del cast sparpagliato in giro per gli Stati Uniti. Si ritrovava a Los Angeles, nel suo appartamento, circondato da tutte le ragazze con cui era stato a letto e… Lea. Dopo aver saputo che era fidanzata, aveva fatto in modo di evitarla il più possibile. Non riusciva a spiegarsi perché, ma di certo non gli dava fastidio il fatto che fosse fidanzata perché non poteva portarsela a letto. Non si sarebbe fermato neanche davanti a quello, se fosse stato solo quello. No, sapeva benissimo che c’era qualcos’altro, qualcosa che non conosceva e a cui non riusciva a dare un nome.
Si alzò dal letto con l’intento di fare colazione, ma il bip incessante sul suo iPhone lo fece innervosire. Afferrò con noncuranza il telefono, e aprì l’sms svogliato.
 
Ehi Cory! Vic è partita, perciò mi chiedevo se ti andava di fare un secondo giro turistico, a pranzo… Offro io, stavolta! Fammi sapere, L.”
 
Ebbe bisogno di chiudere e riaprire gli occhi per capire che non stava sognando. Stava davvero esagerando. Era semplicemente una conoscente, un’amica che gli chiedeva di vedersi per pranzo e girare ancora un po’ per Los angeles. Del resto, la città degli angeli era troppo grande per poterla visitare tutta.
 
Ehi! Va bene, passo a prenderti alle 12.30, ok?”
 
Attese la risposta, in silenzio. Era immobile, seduto sul suo letto, addosso solo i pantaloncini grigi del pigiama. Erano le 11.07, e aveva un’ora piene per prepararsi psicologicamente a quell’incontro. Si sentiva così stupido. Incontrava Lea tutti i giorni, per lavoro, e ora, in quella situazione, aveva il cuore a mille come fosse un primo appuntamento.
 
Ok, ti aspetto!”
 
Sorrise, e si alzò in piedi. Preparò un caffè veloce e lo bevve in un sorso, poi guardò l’orologio. Le 11:12. Aprì le finestre, sistemò la camera, si diresse nuovamente in cucina e bevve un sorso d’acqua. Le 11:20. Si chiese come era possibile che, nel momento in cui voleva che il tempo accelerasse, in realtà scorreva ancora più lento.
Optò per una doccia, per ammazzare il tempo, e quindi raggiunse il bagno, si spogliò e vi si infilò dentro. Lasciò scorrere il getto d’acqua tiepida sulla sua testa, in modo da bagnarsi i capelli, e poi sul suo corpo. Di certo avrebbe voluto che bastasse l’acqua per far scivolare tutti quei pensieri e farlo tornare il ragazzo che era prima.
Uscì dalla doccia che le erano le 11:52. Senza accorgersene aveva passato mezz’ora sotto l’acqua a pensare sempre all’unico punto fisso del momento: Lea Michele. Uscito dal bagno, si asciugò i capelli strofinandoli un paio di volte nell’asciugamano; poi, aprì l’armadio, afferrò i suoi jeans Levi’s corti, una maglia grigia con scollo a V e un paio di scarpe da ginnastica, per stare comodo. Era pronto, ma erano solo le 12:00. Casa di Lea distava solamente 15 minuti da casa sua, e stranamente, per la seconda volta consecutiva, era in anticipo. Si sedette sul divano in pelle del soggiorno, dopo aver socchiuso le finestre e tirato le tende del resto della casa. Era lì, che batteva il piede a terra nervoso, in attesa delle 12:15 per uscire da casa e raggiungere casa della ragazza che lo aspettava. Quando furono le 12:10, stanco di aspettare, Cory prese le chiavi dell’auto, chiuse la porta dell’appartamento dietro di sé e scese in garage per prendere l’auto e raggiungere Lea.
 

---

 
Anche quella volta Cory era arrivato in orario. Lea aveva imparato a conoscerlo attraverso le descrizioni degli altri, e c’era chi sottolineava il fatto che fosse ritardatario, chi quello che fosse un bel ragazzo. C’era però soprattutto chi diceva che fosse stronzo, un donnaiolo che le ragazze le trattava come pezzi di carta. Aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, ma era pur sempre la sua co-star, e avevano dei ruoli troppo uniti per cercare di rimanere ognuno sulle sue. Eppure, quando l’aveva portata a cena, e poi invitata a colazione il mattino seguente, lei aveva visto tutto in lui, tranne cattiveria.
Non ebbe bisogno di scendere le scale, lo aspettava da almeno 20 minuti ferma sul divano, impaziente di vederlo. Uscì di casa velocemente, sfoderando un sorriso enorme, che fece sciogliere Cory, all’interno dell’auto. Non solo il suo viso, con quel sorriso, sembrava ancora più dolce di quanto già non fosse. Era splendida, in una maniera diversa dal solito.
 
“Ciao!” Disse entrando nella vettura e accavallando le gambe scoperte. Indossava una minigonna di jeans che le lasciava scoperta metà coscia, ed una camicia bianca, con i primi due bottoni non allacciati.
 
“Stavo pensando… Ti andrebbe di andare al mare?” Lea lo guardò negli occhi, sorpresa da quella proposta perché era esattamente la stessa cosa che voleva chiedere lei. Sorrise, e annuì.
 
“Mi sembra un ottima idea.” Disse abbassando il finestrino dell’auto. Cory imboccò l’autostrada, poi si diressero verso Santa Monica.
 

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“E’ stato il pranzo più pesante di tutta la storia!” Esclamò Lea, passando una mano sulla pancia che si era gonfiata un po’, dopo aver pranzato al ristorante. Cory scoppiò a ridere, le mani infilate nelle tasche dei jeans. Erano le 14:30, e non aveva intenzione di lasciarla andare almeno fino alla sera stessa. Camminarono a lungo, il vento che soffiava ancora leggero, i loro corpi che sembravano muoversi insieme. Raggiunsero un pezzo di spiaggia isolata; le onde si infrangevano contro i piccoli scogli sparsi qua e là. Lea rimase affascinata da quella visione, era difficile che a New York vedesse il mare. Erano due stili di vita completamente diversi.
 
“Venivo qui ogni volta, quando ero piccolo. Spesso mi ci portavano i miei, poi verso i 16 anni ho cominciato a venirci da solo.” Disse Cory, sedendosi sulla spiaggia e facendo poi cenno a Lea di fargli compagnia. La ragazza si sedette accanto a lui, portando le ginocchia al petto e stringendole poi tra le braccia. “Era il mio spazio, nel mondo. Solo mio.” Guardò il mare. Era visibile una certa malinconia nel suo sguardo, ma Lea decise di passare oltre, e di non fare domande. Sentiva che era giusto così.
 
“Quindi, sono l’unica che fa parte di questo spazio, oltre a te?” Disse lei ironicamente, sapendo che non era così. Ma il ragazzo la stupì ancora, annuendo con un piccolo sorriso stampato sul volto. “Oh.” Si guardarono negli occhi. Cory non potè fare a meno di notare quanto gli occhi di Lea fossero profondi, belli, e adatti a lei. Lea non potè fare a meno di pensare che Cory le sembrava fin troppo perfetto, lì, in quel momento, e che avrebbe voluto baciarlo, se solo avesse potuto. Il vento smosse i suoi capelli, coprendole il viso. Alzò la mano all’altezza del volto per spostarli, ma lui la precedette e con un gesto rapido ma delicato scansò i capelli che le coprivano gli occhi. Era bella, fin troppo bella, e voleva baciarla. Non gliene fregava niente se era fidanzata, magari anche sposata. Doveva baciarla. Sentiva quel desiderio dentro di sé, e non era per sfizio o qualsiasi altra cosa. Doveva farlo perché ne aveva bisogno. Con la mano ancora sui suoi capelli, prese il suo viso e la guardò a fondo negli occhi. Lea non si mosse, con il cuore che le batteva a mille. Sapeva che non doveva, che era sbagliato, ma in quel momento c’erano solo lui e lei e quel pezzo di mondo che adesso era solo loro. Cory avvicinò le labbra alle sue, cancellando improvvisamente la distanza che li separava. Cercò improvvisamente la lingua di Lea, e fu accontentato poco dopo quando finalmente le loro lingue si intrecciarono e sembrava non volessero più staccarsi. Quando finalmente si lasciarono, nessuno dei due ebbe il coraggio però di separare le labbra. Sebbene fosse solo una settimana, entrambi si sentivano come se avessero nascosto quel desiderio così troppo a lungo che ora ogni secondo, ogni gesto valeva oro e non volevano più staccarsi l’uno dall’altro. Solo dopo un po’ Lea staccò, alla fine, le labbra, a malincuore, e si rese conto di ciò che aveva fatto. Di ciò che avevano fatto.
 
“I-io… Io non -”
 
“Non puoi, lo so. Sei fidanzata.” Lei lo fissò, la bocca aperta.
 
“Come fai a saperlo?” Chiese poi, un misto di sentimenti dentro. La voglia di baciarlo ora si era trasformata in… Nemmeno lei sapeva cosa. Era un misto di stupore, rabbia, delusione, tristezza.
 
“Me… Me lo ha detto Dianna.” E ora riusciva a spiegarsi tanti comportamenti. Perché Cory l’avesse ignorata, perché Dianna fosse diventata all’improvviso così fredda.
 
“Non avresti dovuto baciarmi.” Esordì alla fine Lea, lo sguardo distante. “Non avrei dovuto lasciarmi andare.”
 
“Lea…”
 
“Voglio andare a casa.” La ragazza si alzò, e Cory sperò che per un attimo potesse tornare indietro e tenere la bocca chiusa. Poi si alzò, e cercò di avvicinarsi a Lea, che però camminò più distante. Avevano rovinato tutto.
Fecero ritorno alla macchina, entrarono, e Cory mise in moto per tornare a casa. Per tutto il tragitto, entrambi, in silenzio.

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