Erice Volturi di Pleasance Carroll (/viewuser.php?uid=34896)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ERICE ***
Capitolo 2: *** Verdetto ***
Capitolo 3: *** Verdetto (parte 2) ***
Capitolo 4: *** Verdetto (parte 3) ***
Capitolo 5: *** Regole da Rispettare ***
Capitolo 6: *** punizione ***
Capitolo 7: *** punizione (parte 2) ***
Capitolo 8: *** quella soglia mai attraversata ***
Capitolo 9: *** quella soglia mai attraversata(parte 2) ***
Capitolo 10: *** quella soglia mai attraversata(parte 3) ***
Capitolo 11: *** insegnamenti affilati ***
Capitolo 12: *** AVVISO ***
Capitolo 13: *** insegnamenti affilati(parte 2) ***
Capitolo 14: *** il ruolo della Discordia (parte 1) ***
Capitolo 15: *** il ruolo della Discordia(parte 2) ***
Capitolo 16: *** una storia della buonanotte ***
Capitolo 17: *** l'abbraccio freddo della morte ***
Capitolo 18: *** Erice Volturi ***
Capitolo 19: *** il compagno della Discordia ***
Capitolo 20: *** il cambiamento serpeggia ***
Capitolo 21: *** trappola ***
Capitolo 22: *** il castello di carte ***
Capitolo 23: *** caccia e fuga ***
Capitolo 24: *** caccia e fuga (parte 2) ***
Capitolo 25: *** caccia e fuga (parte 3) ***
Capitolo 26: *** la verità ***
Capitolo 27: *** la verità (parte 2) ***
Capitolo 28: *** RINGRAZIAMENTI ***
Capitolo 29: *** AVVISO/SORPRESA ***
Capitolo 1 *** ERICE ***
CAPITOLO
I
ERICE
Una
misteriosa figura incappucciata correva con grazia, mentre lo scuro
mantello si
sollevava svolazzante attorno alle sue gambe, per via del vento
innaturale
causato dalla corsa.
Di
colpo, dinnanzi alla sua vista acuta si parò un maestoso
spettacolo e quella
smise di respirare: come fossero abbracciate dai monti, delle
affascinanti torri
bianche si stagliavano nel cielo di velluto blu, simili a stelle, in
quella
notte.
Attorno
alle torri sembravano esserci i resti diroccati di una cinta muraria
forse
risalente al medioevo e, poco distante, qualche colonna probabilmente
appartenente
ad un antichissimo tempio, stava ancora dignitosamente in piedi, come
fosse un
anziano che avesse visto molti secoli passare dinnanzi ai suoi occhi.
Quel
luogo era così bello da sembrare appena uscito da una fiaba,
la figura tremò
rispettosamente, doveva aver perso la concezione di ogni luogo e tempo,
alla
vista di quel posto antico quanto lei. Restò ferma, senza
respirare; quasi le dispiaceva
esser giunta fin lì alla ricerca di qualcosa da mangiare, se
avesse placato la
sua fame, quel paese si sarebbe per sempre ricordato di lei con
terrore…
Cosa
doveva fare dunque?
Voltarsi,
e tornare indietro?
Oppure
perseverare nella sua ricerca?
D’un
tratto una folata di vento l’investì in pieno
viso, portando con sé il profumo
di sangue umano, pulsante di vita,proveniente dalla
città…
Quel
profumo era così invitante che in un attimo, simile ad uno
squalo in frenesia
alimentare, la figura mandò all’aria tutti i suoi
buoni propositi e riprese a
correre con rinnovata energia: in breve rese nulla la considerevole
distanza
che la divideva da quel piccolo borgo; attorno a lei le sagome degli
alberi,delle rocciose montagne sfrecciavano veloci,diventando solo una
massa
indistinta di colore. Ma la sconosciuta non ci badava perché
ormai il veleno le
inondava la bocca, la sete le bruciava ardente in gola, ed i suoi occhi
cremisi
scintillavano minacciosi nel buio, esaminando veloci e precisi ogni
cosa la
circondasse.
Favorita
dalle tenebre,avanzava indisturbata e silenziosa come un fantasma
danzante tra
le strade ciottolose del centro abitato, alle sue orecchie attente
giungevano i
battiti cardiaci degli umani,che dormivano al sicuro nelle loro case.
La
figura abbassò il cappuccio ridendo beffarda:era sicura che
avrebbe potuto
uccidere tutti in pochissimo tempo, e nessuno se ne sarebbe accorto,
avrebbe
lasciato dietro di sé una città fantasma che al
sorgere del sole non si sarebbe
più svegliata…
Un’altra
folata di vento la colpì, ed i capelli,che aveva
accuratamente raccolto in una
crocchia si sciolsero, riversandosi in una fluida cascata
d’argento sulle sue
spalle e rivelando la sua femminilità.
Quel
sospiro d’aria aveva portato alle narici della donna
l’ancora più intenso
profumo di sangue, distinse il pulsare di due cuori, uno batteva
più frenetico
rispetto all’altro…
Era
vicina. La sete stava diventando insostenibile, ma quella donna era
un’esperta
cacciatrice e sapeva essere paziente.
Finalmente,dopo
aver oltrepassato l’ennesimo vicolo giunse ad una graziosa
piazza e li vide:ad
un metro da lei un uomo con i capelli color nocciola le dava le
spalle,fissando
una donna, il cui cuore batteva frenetico e spaventato, la cui schiena
era
schiacciata contro un muro e sembrava sul punto di piangere.
-
dammi la
bambina…-sussurrò
lui, ma alle orecchie della donna ammantata quelle parole velate di
minaccia,giunsero come se fossero state urlate.
La
donna costretta al muro, scosse piano la testa ed una massa di riccioli
bruni
ondeggiò con lei;strinse con decisione al petto un involto
di coperte
canute,con fare protettivo.
La
donna incappucciata, protetta dalle tenebre, seguiva la scena in
silenzio
simile ad uno spettro notando ogni minimo particolare: l’uomo
ripeté una
seconda volta ciò che aveva detto,e dinnanzi ad un nuovo
rifiuto estrasse fulmineo
un oggetto di metallo nero,ed uno sparo ruppe il silenzio,straziante
come un
urlo.
La
donna bruna si accasciò
a terra senza un
suono,il respiro affannoso e gli occhi scintillanti d’odio
mentre fissava l’uomo
avvolgendo con le braccia la neonata, che iniziò a piangere.
La
figura ammantata chiuse gli occhi,riconoscendo la musica prodotta dal
lento
flusso di sangue che fuoriusciva dal corpo della donna per poi toccare
terra;si
leccò le labbra desiderosa di assaporarlo ma fu distolta dai
propri pensieri
avvertendo il respiro calmo dell’uomo che disse ancora:
-
dammi la bambina…-
lo si udì sollevare il braccio e la cacciatrice si mosse con
un unico scatto,
per impedirgli di sparare.
La
pistola infatti si disintegrò subito nella sua mano
affusolata e bianca,dura
come roccia:
-e
se non volesse?-gli domandò,con un ringhio minaccioso mentre
vedeva la paura
animare i suoi occhi.
Per
un attimo lei incontrò lo sguardo smeraldino della donna
riversa a terra,poi
tutto avvenne in pochissimo tempo:la sconosciuta cacciatrice
gettò lontano la
pistola, ormai ridotta ad una piccola sfera di metallo nero,
afferrò l’uomo per
il colletto del giubbotto di pelle,sollevandolo da terra,e mentre
questo si
dibatteva terrorizzato,alla vista dei suoi occhi rossi,lei gli
spezzò il collo,ponendo
fine alla sua vita.
Calato
il silenzio,la donna resistette a stento all’animalesco
impulso di avventarsi
su di lui e bere il sangue che sgorgava dalla morbida carotide,ma se lo
impose poiché
poteva ancora sentire il respiro agitato di quella
donna,l’unica testimone di
quanto era appena successo,l’unica testimone della natura vampiresca di quella cacciatrice che
l’aveva appena salvata.
La
donna ringhiò ancora,poi cercò di darsi un
contegno e si avvicinò con passo
eccessivamente lento alla vittima,ferita.
-come…come
vi chiamate?-chiese la donna,parlando per la prima volta, con voce roca
ed
affaticata,rivolta alla sua salvatrice ammantata.
-
Didyme…-bisbigliò lei quando si fu inginocchiata
a terra;era sicura che nessuno
oltre quella donna morente l’avrebbe sentita,ed inoltre non
aveva nulla da
temere poiché quella vittima non sarebbe sopravvissuta a
lungo.
-dove
ci troviamo?-continuò la donna chiamata Didyme,ricordando di
aver perso la
concezione spazio-temporale.
-Erice…-sibilò
la donna,con una smorfia,si strinse la pancia rabbrividendo.
-non
temere…ti farò smettere di soffrire…-
la rassicurò Didyme mentre le sollevava
la testa con forza.
La
donna rabbrividì per la paura,ma suo malgrado
sorrise,perché sentiva che la
morte stava per sopraggiungere.
Lo
sentì anche Didyme,ma prima di spezzarle il collo,fu fermata
dalla mano della
donna che sfiorò timorosa la sua pelle gelida e,
raccogliendo le ultime forze
supplicò,con voce strozzata:
-
Vi prego
Didyme…prendetevi
cura di mia figlia- spinse la neonata piangente verso la sua
salvatrice,ed
osservò sollevata mentre questa prendeva in braccio il
piccolo fagotto con aria
perplessa;quindi stremata dalla ferita al ventre,si lasciò
spezzare il collo
dal bellissimo angelo della morte che le stava davanti.
Alla
fine la fascinosa vampira dalla pelle di gesso, si godé il
silenzio e quando respirò
a pieni polmoni l’odore del sangue, si scagliò sui
due cadaveri, dedicandosi
alla sua cena:prosciugò entrambi i corpi sin
dall’ultima goccia di sangue,
succhiando avidamente il liquido vitale persino da terra per non
lasciare
tracce,sembrava simile ad un gatto che beve il latte, agì
velocissima con
estrema maestria.
Quando
fu finalmente sazia, i suoi occhi si accesero di un intenso color
rubino, e si
sollevò da terra lentamente mentre si inumidiva le labbra
con la lingua…
Sorrise,
nel momento in cui il suo sguardo si posò sulla bambina:se
ne era completamente
dimenticata. L’aveva abbandonata a
terra,ed ora quella stava in silenzio.
Didyme
quindi si avvicinò a quella neonata:sarebbe stata un
perfetto coronamento di
quella cena,simile ad un dolce paffuto. Ma quando la prese tra le
braccia,lei
sorrise e delle dolcissime fossette le comparvero sulle guance.
La
vampira rimase interdetta per un secondo, ma, solerte si
chinò sul suo collo
senza farsi troppi scrupoli, eppure,nel momento in cui comprese che non
era
abbastanza buona da mangiare perché ancora troppo
piccola,disse rivolta alla
bambina:
- vieni
piccola,ti chiamerò Erice…attenderò
che tu cresca per onorarti di essere il mio
cibo…- la neonata rise,udendo quella voce melodiosa come
un’eco di campane, ed
allungò una manina piccola e grassoccia verso la donna dalla
pelle bianca come
neve,poi insieme, quello spirito puro e quell’angelo della
morte scomparvero
nel buio.
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Capitolo 2 *** Verdetto ***
Capitolo II
Verdetto
Didyme sbuffò infastidita.
Sarebbe voluta giungere a
Volterra via mare, ma non era certa che la bambina sarebbe
sopravvissuta a
lungo sott’acqua.
Di certo un’immersione le
avrebbe fatto impiegare meno
tempo, ma- si disse, mentre si sistemava il cappuccio sui capelli e
nascondeva
la neonata sotto il proprio mantello- anche la corsa, per quanto
dispendiosa
potesse essere, aveva i suoi vantaggi: le dava forza, la faceva sentire
invincibile e, inoltre, le venne quasi da ridere nel momento in cui
scorse le
labbra della bambina che era al suo fianco, tese in un sorriso sincero,
con
tanto di fossette. Comprese che la velocità divertiva
persino quel cucciolo
d’uomo.
La vampira si muoveva come se volasse
sul terreno, i suoi
piedi non sembravano toccare terra; lei e la bambina erano accoccolate
nell’aria gelida, che man mano si faceva più
calda, per accogliere il mattino.
Attorno a loro, alberi, monti e
pianure guizzavano veloci,
simili ad un’enorme distesa di colori, armoniosi ed
ammalianti, che sembravano
volersi inchinare al loro passaggio.
Pian piano, le pianure si
inginocchiarono, prendendo la
forma di dolci colline. L’acuto sguardo di Didyme si
posò su una di esse, -
nonostante fosse ancora distante- più ripida delle altre,
sulla quale troneggiava
una corona di mura orlate, circondate da torri che, accarezzate dai
tenui
colori dell’alba, sembravano risplendere di una sfumatura
opale.
Volterra aveva sempre avuto
quell’aspetto maestoso, che
suscitava reverenziale timore in chiunque vi entrasse, ma per lei non
era mai
stato così: Didyme viveva lì da tempo
immemorabile, assieme a suo fratello Aro,
e l’aveva vista nascere, oscurarsi a causa delle nebbie del
tempo e risorgere
durante il Rinascimento. Quello era stato un periodo da cui aveva
appreso l’amore
per l’Arte e per la Bellezza,
ma, soprattutto durante il quale aveva scoperto lo sconfinato,
magnifico e reale sentimento che
Marcus, il suo
compagno, provava per lei.
Infatti, sin da quando Aro
l’aveva trasformata, Didyme aveva
compreso di possedere un’abilità non comune: era
sempre circondata da vampiri
che l’adoravano, prostrandosi con fare venerante ai suoi
piedi, ma Marcus…che
era sempre apparso immune al suo “potere”, infine
era stato l’unico che l’aveva
davvero amata e le aveva dichiarato la sua passione, pura, reale, quasi
tangibile in quella fredda mattina
romena rinascimentale.
Volterra aveva sempre rappresentato
questo per lei:
un’alleata antica quanto lei, all’interno della
quale nascondersi dalla luce
del sole, o avere la possibilità di stringere tra le braccia
il suo amato
Marcus.
Quando il viso del suo compagno le
apparve dinnanzi agli
occhi, la vampira sorrise beatamente, dimenticandosi di ogni altra
cosa…all’improvviso poi, riconobbe le strade
ciottolose della città sotto i
propri piedi, ed a stento ricordò di essere passata per
Porta Diana, sul lato
nord di Volterra, dopo aver mostrato alla bambina la necropoli
ellenistica poco
distante, dicendole:
-
presto anche tu
avrai l’onore di riposare qui…-
ormai- si disse- era vicina e lo
avrebbe riabbracciato…
non udiva alcun rumore attorno a
sé, se non lo scroscio
delicato dell’acqua proveniente dalla fontana in Piazza dei
Priori ed il canto
degli uccelli che dovevano aver nidificato tra le chiome profumate
degli
alberi, tutt’attorno.
Compiaciuta, Didyme
realizzò che la città era completamente
deserta così, senza pensare, si infilò in uno dei
vicoli bui senza uscita che
attorniavano i palazzi color ocra e, ormai al riparo dal sole- che
stava
sorgendo proprio allora- si tolse il cappuccio, potendo finalmente
respirare
l’aria carica di profumi, mentre i capelli le si
raccoglievano fluenti sulle
spalle.
Riconobbe immediatamente la grata
dalle sbarre enormi che
spesso la
Guardia
utilizzava per portare delle prede già stordite,
all’interno del Palazzo dei
Priori, e decise di servirsene. Dopo averla sollevata senza troppi
problemi dal
muro, la richiuse e si lasciò scivolare nel buio, chiaro
come il giorno ai suoi
occhi, per ritrovarsi poi nei sotterranei…
Oltrepassò con sicurezza
un lungo corridoio, illuminato a
chiazze e popolato da lunghe ombre a causa delle crepitanti fiaccole
appese ai
muri umidi, che sembravano volerla abbracciare.
Poi, Didyme prese tra le braccia la
neonata, sussurrando:
-
vedi, piccola
Erice? Quelle sono le celle dove vengono
torturati tutti quei vampiri che sono incerti se unirsi a noi Volturi,
o meno.
Sono stata io a richiederne la costruzione…- la vampira
puntò un dito
affusolato verso quell’ammasso di sbarre e pavimenti muffiti,
che erano “le
Prigioni” e per un secondo, lo sgocciolio regolare
dell’acqua che risuonava in
lontananza, cessò.
Erice sorrise affascinata e Didyme le
fece eco, muovendo la
testa con grazia mentre rideva.
Per un attimo, sfiorati dalla luce
delle fiaccole a cui si
stava avvicinando, i capelli della vampira risplendettero come una
notte
stellata, carezzati da sfumature blu. Infine, Didyme fece un ultimo
passo:
sollevò appena una delle fiaccole che aveva davanti, e la
rimise a posto.
A quel gesto, una sezione dello
spesso muro, si aprì
cigolando, per lasciarla passare.
Ad occhi chiusi, la vampira percorse
quello stretto tunnel e
d’un tratto, mentre correva, sentì
sentì il muro richiudersi con pesantezza
alle sue spalle.
La bambina strinse in una delle sue
manine grassocce, una
delle dita pallide di Didyme e rise, emettendo una specie di singulto,
e lei la
fissò perplessa. Cos’aveva, quella piccoletta, da
gioire tanto?
La strinse a sé.
Assicurandosi, mentre sbuffava, che
quell’esuberante neonata non facesse alcun rumore.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Dopo una vita e mezza
ho deciso di riprendere
questa storia, perché credo mi stia tornando
l’ispirazione. Dunque, questo
secondo capitolo ho dovuto ripostarlo, perché non mi piaceva
come avevo scritto
l’altro, e così ci ho aggiunto qualche particolare
di Volterra( ma io non ci
sono mai stata, tutto merito di wikipedia)spero vi piaccia
Fatemi sapere cosa ne pensate
Un baciotto
Marty23
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Capitolo 3 *** Verdetto (parte 2) ***
Capitolo II
Verdetto
Parte 2
Quel lungo corridoio, ancora e poi
sarebbe stata finalmente
al sicuro, nella sua stanza.
Non avrebbe più avuto
bisogno di utilizzare la sua capacità
di persuasione, per allontanare i
sospetti, per evitare gli sguardi interrogativi della Guardia- che fino
ad
allora aveva incontrato- poiché sicuramente si domandava
perché l’odore umano,
attorno a lei, fosse ancora tanto vivido.
Ma quell’ultimo corridoio,
il pavimento di marmo accarezzato
dalla luce solare che filtrava dalle finestre aperte, era vuoto.
Così Didyme
decise di prendersela comoda: d’altro canto aveva tutta
l’eternità dalla sua
parte, no?
Tolse il mantello di lana e se lo
sistemò, ripiegato, su un
braccio, mentre con l’altro stringeva la bambina che, solo
allora riemerse,
libera da quell’indumento che per lei era stato una sorta di
coperta.
Un passo dopo l’altro,
fluida come l’acqua, Didyme avanzava
lentamente sul pavimento-su cui si rifletteva la luce del
sole-indicando di
tanto in tanto gli affreschi e le statue, che ornavano quel luogo, a
quella
neonata umana che, poiché non poteva capirla, si limitava a
sorriderle,
ascoltando rapita la sua voce che le parlava dolcemente.
D’un tratto, Didyme si
fermò davanti ad una finestra
spalancata-sentiva la leggera puntura della luce che, riflettendosi sul
pavimento, le solleticava le caviglie- e incurante del fatto che il
sole avesse
posato i suoi raggi anche sulla sua pelle, facendola scintillare,
afferrò,
tenendola per la testa, quella ragazzina paffuta e la guardò
per la prima
volta: lei la fissava a sua volta, aprendo e chiudendo di tanto in
tanto le
mani a pugno. Non sembrava avesse paura, piuttosto appariva ammirata,
come se
avesse appena posato gli occhi su un essere divino, fatto di pura luce,
eppure
dalla chioma- e dalla natura- oscura come la notte.
-
sai,
piccolina…- esordì Didyme, mentre le sfiorava con
la punta delle dita la pelle delle guance…
-
amore mio, cosa
fai sotto la luce?- la voce profonda di
Marcus le giunse dalla porta della sua stanza, distante appena un
metro, e nel
momento in cui incontrò i suoi occhi bordeaux, ogni altra
cosa perse di
significato: il tempo, lo spazio, persino quella bambina e
ciò che stava per
dirle. Esisteva solo Marcus, e c’era solo il suo amore.
Con una folata di vento innaturale,-
il mantello cadde in
terra, ovviamente- lei gli fu immediatamente accanto, e le
sembrò di sentirsi
di nuovo completa.
Nei suoi occhi scorse palese
soddisfazione e…amore.
Nonostante lei fosse in grado di
procurare felicitò a tutti
coloro che le stavano intorno, non le era mai capitato di vederlo da vicino, se non nel suo compagno, ed
ogni volta ne rimaneva colpita, come se fosse la prima.
-
sembra che io ti
sia…mancata.-
bisbigliò Didyme, vicinissima, mentre con un braccio
già
circondava il collo di Marcus, e con l’altro stava attenta a
tenergli lontano
la bambina.
Il vampiro le cinse la schiena
delicatamente, scendendo fino
ai fianchi con le sue carezze sensuali e lente…e in un
attimo la spinse contro
il muro.
Didyme sorrise, complice e si morse
appena un labbro, stupita
da quel comportamento: sembrava che Marcus non riuscisse a rimanere
troppo a
lungo senza di lei, e quando erano insieme, la felicità
traboccava dal suo
animo, come se venisse investito da tutto l’amore del mondo,
in ogni sua
sfumatura; da quello adolescenziale, sensuale e fisico, a quello
più
spirituale, profondo, fondato sulla reciproca fiducia.
-
quando sei via,
sento sempre la tua mancanza, dolce
Dee: ogni momento mi sembra vuoto e di un’eternità
insostenibile, senza di te…-
confessò, carezzandole le braccia con i palmi delle mani, ed
a Didyme si mozzò
il respiro. La semplicità ed allo stesso tempo, la
verità di quelle poche
parole, la spiazzarono.
Marcus si chinò per
baciarle le spalle seminude ed in breve
la vampira avvertì un’ondata di brividi che le
corse sotto la pelle, come fuoco
liquido: era certa che se avesse avuto un cuore pulsante, questo,
avrebbe preso
a battere freneticamente.
Oltrepassati ormai il collo e le
guance,- la stretta di
Didyme era quasi convulsa, attorno a lui- Marcus era vicinissimo alle
labbra
carnose della sua compagna, tanto che lei poteva sentirne il respiro
fresco
sulla lingua…
Un vagito leggero e divertito
riempì l’aria, mandando del
tutto in frantumi quel silenzio magico.
-
che
cos’è, questa?
Hai portato la colazione, perché potessimo gustarla
insieme?- domandò il
vampiro, mentre creava un po’ di spazio tra loro per
osservare verso il basso,
quella neonata che, appollaiata sul braccio della sua compagna, lo
guardava
ridendo.
Didyme sussultò appena,
ricordandosi solo allora della
presenza di quell’umana, afferrò quindi il
compagno per il bavero della camicia
bianca, semiaperta sul petto scolpito di lui e, dopo avergli posato un
dito
sulle labbra, sorrise maliziosamente e lo trascinò nella
camera con sé.
Quella stanza era enorme: tutti i
muri erano affrescati e,
di tanto in tanto, le figure degli angioletti- che popolavano il
dipinto e si
aggiravano attorno a Marcus e Didyme, ritratti come
divinità, e posti al
centro- sembravano appoggiarsi alle finestre che illuminavano a giorno
ogni
cosa.
Poggiato alla parete di fronte alla
porta, stava un elegante
letto a baldacchino in mogano avvolto in splendide coperte blu notte e
argento,- sui quattro pilastri, intagliati e circondati da motivi di
rose e
foglie, si leggevano i nomi intrecciati di Marcus e Didyme.
Sulla lunghissima parete del lato
sinistro, si posava
un’austera cassettiera, fiancheggiata da un ordinato armadio,
e da uno specchio
dalla cornice dorata, che arrivava fino a terra.
E, se quella parte appariva in un
certo senso “frivola”,
poiché era arredata con tutto ciò che riguardasse
il vestiario; la parete
destra, poteva essere definita “sublime”,
perché dominata da un bellissimo
pianoforte a coda che sembrava voler sfiorare l’arpa che gli
stava vicino.
Accanto a tutto ciò, un piccolo scrittoio faceva compagnia
ad una libreria,
colma di spessi volumi.
Didyme osservò ancora una
volta quella stanza, che le era
tanto familiare, con un sospiro e, mentre alle sue spalle sentiva
Marcus che
chiudeva la porta, si preoccupò di adagiare la piccola Erice
sul letto,
curandosi anche di circondarla di cuscini, perché era
davvero piccola, appariva
fragile e suscitava il timore che
un
minimo soffio di vento potesse ferirla.
-
ed ora, per
favore, raccontami…- Marcus le cinse le
spalle, fulmineo, abbracciandola da dietro.
-
Stanotte sono
andata a caccia. Dopo una lunga corsa mi
sono ritrovata in paesino chiamato Erice, e lì ho assistito
ad uno scontro tra
due umani: un uomo minacciava una donna, puntandole contro un oggetto
piccolo e
nero, perché voleva questa bambina, e lei la proteggeva con
fierezza. Poi,
l’uomo, impaziente, le ha sparato; io l’ho ucciso,
distruggendo anche la sua
arma nera e, prima di togliere la vita anche alla donna-
perché ormai era in
fin di vita- e cibarmi così di entrambi, ho accolto le sue
ultime suppliche. Mi
ha pregata di prendermi cura della sua bambina e, siccome questa
piccoletta è immangiabile,
perché puzza ancora di
latte, ho deciso di esaudire quella madre infelice. Ed ora
l’ho portata qui per
sottoporla al giudizio del Consiglio. Vorrei sapere se è
necessario ucciderla-
ma non capisce ancora niente, e lo trovo inutile- oppure mangiarla
ugualmente?
Comunque, l’ho chiamata Erice per onorare il luogo in cui
l’ho trovata, che,
inoltre, secondo la pronuncia Inglese, ricorda il termine
greco…- stava
narrando Didyme, con gli occhi sulla neonata e la testa adagiata sulla
spalla
del compagno.
-
“eris”
ovvero “discordia…ingegnoso amore mio…-
iniziò
Marcus, poi annusò l’aria e convenne con la
moglie.- hai ragione: puzza ancora
di latte. Comunque, pur facendo parte del Consiglio, ora sono solo e,
non
potendo prendere decisioni in nome di tutti, suggerisco di aspettare
che ci
riuniamo, per decidere della sorte di quest’umana. Ma, devo
chiederti una cosa:
sei stata vista da qualcuno?- chiese infine.
-
No, mio signore
Marcus, gli unici testimoni di quanto
avvenuto erano i genitori di Erice, ma sono morti, inoltre non oserei
mai
mettere in pericolo tutto ciò che servo ed amo, tutto il mio
mondo. E poi…le
Tenebre mi hanno protetta.- disse la vampira, utilizzando un tono
formale, e
voltandosi per guardare fermamente negli occhi il suo compagno, mentre
gli
carezzava una guancia.
Lesto, Marcus le prese la mano tra le
sue, e ne baciò
dolcemente il palmo:
-
sono
così geloso del buio stellato di questa notte, che
ti ha abbracciato, per proteggerti, e del cielo blu che, con un suo
bacio ti ha
fatto dono di questa splendida chioma…- sussurrò,
sfiorandole i capelli, mentre
la fissava con desiderio.
-
Marcus, gli unici
baci, ed i soli abbracci che voglio
sono i tuoi…- mormorò Didyme.
Il vampiro sembrava non attendere
altro: dopo averle
accarezzato il corpo, rimasto nudo, si chinò con un sorriso
sul suo collo,
baciandolo con passione. La compagna invocò il suo nome
più volte e,
sopraffatta dalla passione, per poco non cadde in ginocchio,
così fu costretta
ad avvinghiarsi al marmoreo petto di Marcus, riducendo a brandelli la
camicia,
che giacque a terra, abbandonata.
La stanza era arredata con gusto ed
elegante oltre che molto
ampia, ma i due vampiri, travolti dal piacere ed ormai fusi in una cosa
sola,
si gettarono sul letto, coccolandosi. Il continuo rimbalzare delle
molle cullò
con costanza la piccola Erice che, dapprima rise divertita, ma poi si
assopì
dolcemente.
-
penso che, semmai
riuscissimo ad ottenere di tenerla in
vita e crescerla, insegnandole che il suo destino è
compiacerci e, quando sarà
il momento offrirsi a noi come nostro cibo, sarebbe un’ottima
allieva…-
sussurrò Didyme, dopo qualche tempo, mentre osservava la
neonata, standosene
sempre stretta tra le braccia del suo amato.
-
Intendi crescerla
come un ibrido? Qualcosa a metà tra
una figlia per noi due, e una sorta di “tacchino
all’ingrasso” che sarà
mangiata al momento opportuno, e nel frattempo obbedirà
all’intero clan?-
domandò Marcus, mentre le accarezzava il corpo, prestando
attenzione a come i
suoi lunghi capelli scuri si posassero sulle curve di lei.
-
Esatto, amore
mio.- convenne Didyme, accarezzando il
delicato capo della neonata e bisbigliando il suo nome.
In quel momento dalla torre
campanaria del Porcellino, si
udì un rintocco che annunciava l’inizio di ogni
cosa.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Chiedo venia per il
ritardo nel postare il
capitolo però mi auguro che vi sia piaciuto(fatemi sapere
cosa ne pensate),
vorrei ringraziare tutti coloro che hanno lasciato un commento: non
avete idea
di quanto mi faccia piacere che vi piaccia la storia!
Vorrei però aggiungere
che: non so se veramente in Inglese
“Erice” si pronuncia “eris”,
l’ho inventato io,e, “il porcellino”
è il soprannome
della torre del Podestà a Volterra(indicazione presa da
youtube) non so se il
suo ruolo sia quello di torre campanaria.
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 4 *** Verdetto (parte 3) ***
Capitolo 2
Verdetto
Parte 3
Gli intensi raggi del mattino ed il
suo ambasciatore, il
gallo, sorpresero i due vampiri a scambiarsi un ultimo bacio.
Marcus e Didyme, voltati su un
fianco, si fissavano beandosi
ognuno della vista dell’altro. Al centro del letto, avevano
posto la bambina e
si tenevano per mano, con le dita intrecciate, sopra la testa di Erice,
ma lei,
che dormiva tranquilla tra loro, non si accorse di nulla.
-
fa presto, amore.
A breve inizieranno le udienze…-
esordì Didyme, dopo qualche attimo, con
l’espressione lievemente tesa, mentre
non riusciva a staccare gli occhi da suo compagno, che si stava
rivestendo.
-
Non temere dolce
Dee, non farò parola con nessuno di
questo avvenimento finchè non ti presenterai nel Salone
Principale per
presentarci questa bambina. L’unica cosa che ti consiglio
è di venire dagli
Anziani, adesso, o almeno quanto prima: è importante,
infatti, che solo il
Consiglio e la
Guardia
siano messi a parte della faccenda di Erice. Se dovessero venirne a
conoscenza la
Corte e i Viandanti,
perderemmo prestigio, credibilità, e per noi sarebbe la
fine.- la rassicurò
Marcus, mentre, porgendole una mano l’aiutava ad alzarsi dal
letto, e quando se
la trovò davanti le accarezzò spalle e guance con
i palmi.
La sua compagna annuì, poi
si mise ad intrecciargli i lunghi
capelli scuri in un’unica treccia, nel tentativo di scaricare
la tensione.
-
grazie, mi
darà un aspetto decisamente elegante- fece
l’Anziano, le labbra distese in un sorriso sincero mentre si
faceva passare la
treccia sulla spalla sinistra, in modo da potersela toccare.- ma ora
vestiti.
Credimi, pur essendo splendente come una stella e…il mio
unico amore, non sono
certo che Aro e Caius apprezzeranno se ti presentassi nuda con una
supplica per
Erice.- detto questo, prese le mani di Didyme tra le sue, e subito dopo
scomparve oltre la porta per andare a riunirsi agli Anziani.
Rimasta sola, la vampira corse
all’armadio ordinato che si
trovava nella sua stanza e trascorse cinque eterni minuti davanti allo
specchio, gettando in aria involti che un tempo dovevano essere
magnifici
indumenti: era veramente a disagio, sentiva il respiro corto. Possibile
che
senza Marcus si sentisse tanto fragile? Cosa avrebbe indossato?
Finalmente, quando si
trovò tra le mani un abito ero dallo
stretto corsetto, le maniche a campana e l’orlo della larga
gonna ricamata con
rose rosse, decise di indossarlo. Sulle spalle, lasciate lievemente
scoperte,
si adagiavano i suoi capelli corvini, resi ondulati da leggeri boccoli,
che si
preoccupò di celare sotto un velo di pizzo nero.
Infine, completata l’opera
prese la bambina tra le braccia,
e fissò quel grazioso quadretto riflesso nello specchio
dalla cornice dorata.
“magnifico! Ho l’aspetto di una perfetta supplice.
Chi potrà non darmi
ascolto?”pensò, sorridendo mentre pregustava il
sapore della vittoria sulle
labbra.
Tutti, Guardie e schiavi si
scansavano con piccoli sussulti
formando due ali distinte, prostrandosi al passaggio di
quell’avvenente figura
velata di nero e gettavano rapidi sguardi al bianco involto che teneva
tra le
braccia, incuriositi dal battito cardiaco che ne proveniva.
Didyme avanzava regale e solenne,
facendosi scivolare
addosso qualsiasi occhiata, respiro o commento che provenisse da quella
marmaglia; si permise di fare un profondo respiro solo quando si
trovò dinnanzi
alla porta di legno intagliato, a due ante del Salone Principale ed
incontrò lo
sguardo perplesso della segretaria umana, che sedeva alla sua
scrivania, con
aria assonnata, poco distante.
Bussò due volte poi, con
voce chiara, disse:
-
Chiedo il permesso
di avere un’udienza con il
Consiglio…- non urlò ma fu certa di esser stata
udita.
Subito, le porte si aprirono e non
appena Didyme ebbe mosso
qualche passo sul pavimento di marmo, Felix e Demetri, immobili ai
lati, si
preoccuparono di richiudergliele alle spalle.
-
sorella!
Perché giungi così tardi? Perché mai
ci chiedi
udienza quando ti attendevamo per sapere il tuo parere su
una…e quella
cos’è?- la squillante e mielata
voce di suo fratello Aro, le fece capire che si era alzato dal trono
centrale-
che era sempre stato il suo posto- per accoglierla come di dovere, ma
si era
fermato quasi subito, notando l’involto di coperte.
Incurante dell’espressione
sconvolta che sicuramente il
vampiro doveva avere, Didyme si inchinò e poi
guardò i tre Anziani- ammantati
con nere tuniche- negli occhi:
-
questo, che ho tra
le braccia, è un cucciolo d’uomo. La
sua storia è alquanto singolare e vorrei sottoporla al
Consiglio ed al Corpo di
Guardia, miei signori, perché confido nella vostra
benevolenza per lasciarmi
parlare ed in seguito decidere della sorte di questa bambina. Giungo al
vostro
cospetto ora perché comprendo che se la Corte
dovesse venirne a conoscenza, la nostra
credibilità potrebbe venir minata.-
Aro, Caius e Marcus la fissarono
senza parole- solo il suo
compagno aveva un’aria complice- ed il biondo dei tre si
lasciò sfuggire,
mentre stringeva i braccioli del suo trono, un basso ringhio.
Nella stanza però,
d’un tratto si udì una sola voce, che
sentenziò:
-
e sia.-
Mentre Felix e Demetri sparivano
oltre la porta, ad un cenno
del capo degli Anziani, e si occupavano di radunare l’intera
Guardia, Didyme si
permise di sollevare lo sguardo ed osservare quella stanza che,
nonostante le
fosse tanto familiare, ogni volta le suscitava profonda meraviglia: la
pianta
era circolare e, dalle piccole finestre poste al limitare della cupola
che
costituiva il soffitto, filtravano intensi raggi di luce che, tuttavia,
non
arrivavano mai a sfiorare le bianche colonne che sostenevano la
struttura-
nelle cui zone d’ombra venivano custoditi gli abiti che i tre
Anziani erano
soliti indossare durante le occasioni speciali- oppure il centro della
Sala,
dove erano posti tre eleganti troni in legno scuro e dallo schienale
alto, che
terminava con la decorazione di un sole.
-
mentre aspettiamo
gli altri, ti prego sorella, dimmi, perché
sprechi il tuo tempo con questa fragile, stupida umana? Ti ho
trasformata per
destinarti ad essere parte di un progetto di grandezza e
potere…- disse Aro,
avvicinandosi a Didyme e guardando schifato la neonata che dormiva.
Tuttavia, Didyme non ebbe la
possibilità di rispondere perché,
proprio in quell’istante tutti i Volturi fecero la loro
comparsa nel Salone
Principale:
-
cosa accade,
nobili signori?- chiesero all’unisono
Sulpicia ed Anthenodora, lampi di chiome dorate avvolte in scintillanti
e
semplici tuniche d’argento.
Le due, insieme presero posto in
piedi, accanto ai troni dei
rispettivi mariti, in attesa.
Come ombre rapide e silenziose, tutti
i componenti della
Guardia seguirono il loro esempio, disponendosi, secondo un ordine ben
preciso,
nella stanza.
Un silenzio tombale piombò
in quel luogo poi, Didyme, con un
altro inchino, disse:
-
mio dolce e
magnanimo fratello, ti ringrazio per aver
esaudito il mio desiderio di far assistere tutti i Volturi a questo
evento. Vengo
presso di voi come supplice, perché ascoltiate quanto mi
è accaduto stanotte e
decidiate, insieme, secondo il giudizio illuminato che vi si
attribuisce da
secoli, del destino di quest’umana.- con voce e tono degni di
un oratore dell’Antica
Roma, la vampira in quel momento si zittì e fece un giro su
se stessa per
mostrare a tutti l’involto che aveva tra le braccia.
Le due massicce figure di Felix e
Demetri, rimasti accanto
alla porta si tesero in avanti, con i denti scoperti. Sulpicia ed
Anthenodora
si coprirono le bocche sottili con una mano, sospirando orripilante. I
temibili
gemelli Jane ed Alec – che Aro tanto adorava- tesero i loro
volti d’angelo
dalle labbra piene, in una smorfia.
-
continua sorella,
ti prego, voglio conoscere questa
bizzarra storia in ogni particolare.- supplicò interessato
il fratello di
Didyme, mentre muoveva teatralmente una mano.
-
Questa notte,
mentre ero a caccia sono giunta in un
paesino chiamato Erice, dove ho assistito allo scontro tra due umani: i
genitori
di questa neonata, che se la stavano contendendo. Il padre aveva
già ferito la
madre, così mi sono occupata di finire entrambi, ma la
donna, mi ha pregata di
prendermi cura della figlia.
Signori, con questo non vi sto supplicando di lasciarla vivere,
ciò su cui vi sto chiedendo di
deliberare è semplicemente il destino di questa bambina: io
mi sono nutrita,
stanotte, attenta anche a non lasciare testimoni
dell’accaduto che potrebbero
costituire una minaccia per noi…- stava dicendo Didyme.
-
lei stessa
potrebbe esserlo!- ringhiò Caius, puntando
un dito artigliato contro la bambina.
-
Sta dormendo, mio
signore e poi non ricorderà nulla, te
lo assicuro. È d’indole docile e speravo che
avreste potuto prendere in
considerazione l’idea di “adottarla”,
insegnarla a portarci rispetto ed a
servire il clan. – intervenne pronta lei, con gli occhi
ardenti come braci.
-
Penso che dovremmo
mangiarla…- fece Jane, sorridendo
maligna.
-
È una
delle opzioni che vi ho proposto, certo, ma come
avrete notato dall’aroma che impregna l’aria, la
bambina puzza di latte materno;
è ancora troppo piccola per essere il
nostro cibo. Avrei voluto che rifletteste anche sulla
possibilità di crescerla,
perché avremmo potuto insegnarle che al momento opportuno
sarebbe diventata il
nostro cibo; all’incirca come la segretaria che è
qui fuori. Ma se questa è la
vostra decisione…- Didyme, con la testa alta e il portamento
fiero, si diresse
vero la piccola scalinata al termine della quale stavano i tre troni, e
si
inginocchiò sul primo gradino, porgendo verso di loro la
bambina.
Ci fu un attimo di silenzio in cui
Didyme fissò ancora una volta
tutti i presenti, pronta ad usare il proprio potere per persuaderli.
-
aspetta, sorella.
Credo sia giusto che, poiché quest’umana
nutrirà tutti noi, la sua situazione sia messa ai voti, ma
prima devo chiederti
un’ultima cosa: vuoi crescerla come un maiale da macello e,
finchè non arriverà
il suo momento, potremmo insegnarle l’amore per
l’Arte, per la Bellezza e per la Musica?
Farla diventare ciò
che vogliamo?- soggiunse Aro, chinandosi verso di lei.
Quella si limitò ad
annuire mentre sorridendo si rimetteva
in piedi.
-
bene, allora. Miei
cari questa faccenda va ai voti! Chi
di voi è favorevole a crescere la piccola tra noi?-
intervenne Marcus, con una
strana luce di soddisfazione negli occhi.
Immediatamente, fulminee, si alzarono
molte mani- la sua e
quella di Didyme comprese- e qualcun'altra, più tardiva si
unì a loro, con qualche
secondo di ritardo poiché un bisbiglio sul fatto che
puzzasse davvero troppo
per essere mangiata, volava di bocca in bocca.
-
quanti, contrari?-
domandò Caius, già con la mano
alzata.
Solo otto mani si sollevarono, questa
volta: la sua, quella
della moglie, quella di Aro e quella di Sulpicia, seguite da Felix,
Demetri,
Jane ed Alec.
-
bhè…otto
soltanto, contro il resto di noi. Direi che la
bambina resta.- bisbigliò Marcus, sorridendo mentre notava
che Aro aveva posato
i suoi occhi di ghiaccio su Renata che, contrariamente a quanto si
aspettava,
aveva votato a favore.
-
Mi aspetto che le
insegnerete bene a restare al proprio
posto, ed a rispettare le nostre leggi, perché in esse
è previsto che noi mangiamo
gli umani, non che li adottiamo.-
tuonò Aro, alzandosi in
piedi e zittendo, per un attimo la piccola folla che si era radunata
attorno a
Didyme.
La sorella del fondatore di quella
congrega, alzò il viso ed
annuì; Marcus, che era sceso dal suo trono per andare ad
abbracciarla, seguì il
suo esempio.
La vampira stava per uscire, seguita
dalle altre mogli e
dalla maggior parte dei membri del clan:
-
come avete deciso
di chiamarla, mia signora Didyme?-
domandò d’un tratto un vampiro di nome Santiago,
dalla riccia chioma scura ed
il pizzetto, proveniente dal clan messicano distrutto qualche anno
prima.
-
Erice. Come la
città dove l’ho trovata; termine che,
pronunciato in Inglese, ricorda la parola greca…-
-
Discordia.-
completò il suo compagno per lei, come
aveva fatto poco prima.
A quel commento quasi tutti risero,
ma Aro consigliò:
- non dovreste dare nomi al cibo: vi ci affezionereste.-
- temo anche che finirà
per distruggerci…- osservò Caius,
più rivolto a se stesso che a qualcuno in particolare.
Un altro nuvolo di risate
riempì l’aria mentre la Sala
lentamente si svuotava
ed il terzo Anziano riprendeva il suo posto.
Nessuno in quel clan sapeva che in
realtà, le due
osservazioni presto non sarebbero rimaste più solo parole.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi qua
l’ultima parte del secondo capitolo,
mi auguro vi piaccia!
Fatemi sapere cosa ne pensate
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 5 *** Regole da Rispettare ***
Capitolo III
Regole da rispettare
Una malinconica figura era seduta
alla piccola finestra che
illuminava quella stanzetta in mansarda, le gambe raccolte al petto,
per tenere
meglio in equilibrio lo spesso foglio di carta su cui la matita che
teneva in
mano, grattava, nel tentativo di riprodurre con fedeltà la
magnifica vista che
si poteva avere da quel posto così in alto, nel Palazzo dei
Priori.
Dalle splendide schegge di cielo
turchese, che si
intravedevano attraverso le nuvole ovattate, faceva trionfalmente
capolino
qualche raggio di sole, che andava ad accarezzare, con aria di sfida,
il viso
di quella silenziosa ragazza, tutta concentrata sul suo disegno.
Il sole, tuttavia, le colpiva solo un
profilo del viso- la
parte lasciata libera dalla massa riccioluta dei suoi capelli,
ordinatamente
sistemati dietro un orecchio- e nonostante inondasse completamente con
la sua
luce quella minuta camera dal soffitto obliquo, sembrava non riuscisse
a fare
molto sul volto di lei, che appariva pallido e tirato come quello di
chi
trascorre troppo tempo sui libri, e pretende molto da sé.
Finalmente, dopo un ultimo,
interminabile sguardo al cielo,
quella quattordicenne, dal corpo formoso e i seni generosi, si decise
ad
alzarsi: i lucenti boccoli castani le vennero avanti, rilucendo di
sfumature
ramate mentre le coprivano in parte gli occhi e, si posarono sulle sue
labbra
carnose.
Con pochi passi, lei coprì
interamente lo spazio in cui si
estendeva quel luogo arredato in modo spartano- che era da sempre stato
il suo
piccolo centro del mondo- e si gettò sul letto, tenendo il
disegno tra le mani,
raggomitolate al ventre.
Tesa, lei gettò rapidi
sguardi attorno a sé, contemplando,
come già aveva fatto altre volte, le decine di libri che
tappezzavano ogni
centimetro di quella stanza. Quei titoli- ai quali si era avvicinata
sin da quando
aveva imparato a leggere- erano stati i suoi amici, la sua cultura,
avevano
alimentato la sua curiosità, i suoi sogni…ed ora
rappresentavano praticamente
la fonte di qualsiasi sua conoscenza.
Nonostante però,
ricordasse con piacere le centinaia di ore
trascorse a sfogliare pagine, a sforzarsi di praticare tutto
ciò che leggeva (sperimentare
nuovi tipi di disegno e pittura, realizzare vestiti, piegare la carta
in modo
che prendesse forme che ricordavano degli animali…); non
aveva memoria di
qualcuno che la elogiasse per i suoi progressi, - come i vestiti sempre
diversi
che indossava, poiché aveva imparato a confezionarli da
sola, o la bambola di
pezza che lei stessa aveva cucito, usando delle vecchie imbottiture e
qualche
bottone ( tra le braccia della quale si rifugiava quando la solitudine,
sua
inseparabile compagna, minacciava di soffocarla)- piuttosto, quella
famiglia,
di esseri dalla pelle cerea, tanto belli e saggi da sembrare
divinità, non
faceva altro che imporle regole ferree, disciplina, e pretendere
venerazione,
mentre i loro occhi cremisi duri come pietra, passavano in rassegna il
suo
aspetto slanciato ma gracile, con evidente disappunto.
Contrariamente a quanto sembrasse, la
ragazza non intendeva
insinuare che si trovasse male presso di loro, perché a quel
gruppo di
divinità, protette da un folto Corpo di Guardia, doveva la
sua intera
esistenza: grazie a loro, infatti, lei era in grado di cucire senza
pungersi
con l’ago, dipingere, disegnare e parlare correntemente
cinque lingue diverse (bhè,
non che il latino ed il greco antico si parlassero ancora, nel mondo,
ma
durante le cerimonie importanti, i tre splendidi Anziani che serviva,
comunicavano utilizzando quelle, perciò doveva
saperle).
Le dispiaceva, tuttavia che, a
dispetto di tutto l’impegno
che metteva nell’imparare le loro lezioni, la cieca devozione
che aveva per
loro, quei vampiri si comportavano nei suoi confronti, come se non
valesse
nulla, come se non fosse all’altezza di niente.
Ma questo triste pensiero diveniva
quasi vano quando la
ragazza rifletteva sul vero scopo della sua vita: sin da bambina,
mentre
camminava sulle traballanti travi del soffitto, - cosa un po’
dura e spaventosa
ma molto utile per migliorare il suo portamento- o mentre mangiava-
rigorosamente con le spalle legate allo schienale della sedia, per
migliorare
la sua postura- le era stato insegnato che, al
momento opportuno, sarebbe diventata cibo per quelle
divinità e, privandosi
della sua vita, avrebbe contribuito a rendere eterna quella dei
vampiri, presso
i quali viveva. Ed allora, pensandoci, diventava quasi felice.
Solo che, si chiedeva spesso, come
avrebbe riconosciuto quel
tanto decantato “momento opportuno”?
D’un tratto,
l’aria, prima tanto silenziosa, si riempì di
uno strano mormorio, e i pensieri nella mente di quella ragazza si
dissolsero
rapidi come una nube. Incuriosita, si affacciò alla
finestrella e notò, non
senza un certo stupore, che quattro figure ammantate si affaccendavano
attorno
ad un gigantesco tronco d’albero, posto proprio al centro di
Piazza dei Priori.
Uno sbuffo di vento improvviso
carezzò i capelli di
quell’attenta osservatrice, tradendo la sua presenza. Una
delle quattro figure,
infatti, alzò il volto di scatto, annusando avidamente
l’aria, proprio in quel
momento.
-
Erice! Vieni
giù, piccola umana. Ti mostro una cosa!-
disse, alzando appena la voce e sorridendo, con i denti in vista,
quando
riconobbe lo scintillio degli occhi verdi dell’umana.
La ragazza chiamata Erice, sentendo
fare il suo nome,
sussultò, con un brivido; quindi si affrettò a
fare un veloce inchino, a
legarsi i capelli- in modo da lasciare il collo scoperto, come le era
sempre
stato chiesto- e si precipitò nella piazza, poco prima di
aver rivolto un
rispettoso sguardo allo stemma dei Volturi, scolpito sulla facciata del
Palazzo
dei Priori.
Per quanto cercasse di essere lesta,
l’infinita quantità di
scale sembrava moltiplicarsi ad ogni gradino che scendeva, ed a
ciò si unì la
capiente quantità di schiavi che le ostruirono
inconsapevolmente la strada, e
quindi fu costretta quasi a saltarli per evitarli e non andar loro
addosso. Di
conseguenza, arrivò “tardi” dinnanzi al
vampiro che l’aveva chiamata, e subito
dopo, senza pensarci, si inchinò di nuovo a lui.
Quello, dopo una risata beffarda, le
mise due dita sotto il
mento, costringendola ad alzarlo, e si tolse il cappuccio: la sua
identità fu
così rivelata, mentre il sole gli colpiva il viso. Era Felix.
Erice, col fiato smorzato in gola per
la magnificenza di
quello spettacolo, cadde in ginocchio, il cuore che le batteva senza
sosta per
la sorpresa e, incapace di staccare gli occhi da quella massiccia
figura, fissò
per alcuni attimi- anche se non le era permesso- la pelle di quel
vampiro che
aveva fama di possedere una forza sovrumana, la quale, al cospetto del
sole,
sembrava brillare come fosse fatta di diamanti.
-
Quando ti chiamo, ragazzina,
devi venire subito. Non posso
aspettare anni prima che ti presenti qui, capito?- la voce tagliente di
lui la
ferì, così, per paura di qualche punizione, poco
prima di annuire chiuse gli
occhi, evitando il suo sguardo cremisi. Ma anche quello fu un errore,
perché
non poté vedere lo schiaffo che Felix le tirò: ne
sentì solo la potenza
devastante su una guancia, e subito dopo si ritrovò a terra,
inerme e
dolorante.
Non riusciva a capire
perché la stesse picchiando. Era forse
perché aveva fatto tardi? O perché
l’aveva guardato?
Felix ormai torreggiava su di lei,
producendo una marcata
ombra con la sua possente stazza, che la ricoprì
completamente.
Solo allora Erice capì,
tremando, che quello s’era rialzato
il cappuccio sulla testa, ed osò riaprire gli occhi.
Tuttavia, prima che
riuscisse a mettere completamente a fuoco il mondo che la circondava,
due
possenti mani le strinsero le braccia e per un attimo, mentre queste la
sollevavano- i suoi piedi non toccavano più terra!- temette
che le si spezzasse
qualche osso.
-
Era questo che
volevo mostrarti!- disse Felix, il suo
profumo riempì le narici di Erice, nauseandola.
La ragazza venne girata su se stessa,
da lui, che non sembrò
fare alcuno sforzo, e gettata a terra, ancora una volta, mentre le
giungevano
delle risatine di scherno da una delle quattro figure- Demetri
sicuramente.
Quindi, alzò lo sguardo su una gigantesca pira che era in
allestimento a pochi
metri da lei. Rabbrividì per la paura, ma non aveva voglia
di sfogarsi
piangendo- anche se sentiva le lacrime bruciarle sotto le palpebre-
altrimenti
avrebbe mostrato a tutti la sua debolezza.
Così, automaticamente
cercò conforto nello sguardo degli
altri vampiri, che disposti tutt’attorno, fino ad allora
erano rimasti muti ed
immobili, ad osservare la scena.
-
Ci sarà
un’esecuzione?- volle informarsi lei, in un
soffio.
-
Oh sì!
E…bhè potrebbe essere la tua se non impari a
rispettarci!- tuonò Felix, che si stava godendo
l’espressione di puro terrore
sul volto di Erice.
-
Cosa? Credevo che
quando sarebbe giunto il momento,
avreste bevuto il mio sangue…- sospirò lei,
pallida, mentre si metteva in
ginocchio.
-
Fremi
così tanto affinché giunga quel giorno, Erice?
Posso accontentarti subito, se lo desideri…-
bisbigliò il vampiro, infido,
mentre le sollevava il mento per posarle le labbra sul collo.
Erice sentì il suo respiro
freddo addosso e, schifata,
chiuse gli occhi, rifiutandosi di credere che gli occhi maligni di quel
possente
essere, sarebbero stati l’ultima cosa che avrebbe visto, se
davvero quello
fosse stato il suo momento.
-
Felix, ora basta!
Ti sei divertito a sufficienza: la
stai terrorizzando.- intervenne all’improvviso una voce, e la
ragazza avvertì
distintamente lo spostamento d’aria prodotto da un corpo che
spostava Felix,
per far sì che lui mollasse la sua presa d’acciaio
su di lei.
Fu esattamente ciò che
avvenne e, in una frazione di secondo
Erice si ritrovò libera; tuttavia non ebbe la forza di far
altro che non fosse
accasciarsi a terra, come un ammasso di stracci, tenendo gli occhi ben
aperti
per osservare quanto accadeva, e la bocca cucita: lo sconosciuto
vampiro che
era accorso in suo aiuto, allontanò Felix con qualche
spinta, e dopo avergli
ringhiato contro,- con un verso che le fece accapponare la pelle- si
precipitò
da lei, con una velocità impercettibile all’occhio
umano.
-
Stai bene?- le
sussurrò l’incappucciato, aiutandola a
rialzarsi.
Nell’insicurezza
più totale, Erice pensò di aver
riconosciuto nel suo tono, un leggero accento spagnolo, ma non
trovò la forza
per alzare lo sguardo, e non poté accertarsi di quanto
pensava: si sentiva le
gambe molli, la gola come avvolta da centinaia di spine che le
impedivano di
respirare, e delle grosse lacrime, pronte a far capolino dai suoi
occhi.
Pur sentendosi debolissima
però, riuscì a spostare lo
sguardo altrove, e, intravedendo tra i resti del tronco ancora da
trasformare
in pira, un solitario ramoscello che forse avrebbe potuto esserle
utile,
chiese, ad occhi bassi:
-
Potrei averlo?- e
vi puntò un dito contro.
Pochi attimi dopo avvertì
un tocco gelido che le depositava
tra le mani il ramo che l’aveva tanto interessata. Per
qualche secondo la
ragazza se lo rigirò tra le dita, sentendosi ancora fragile,
incerta se ringraziare
quel vampiro che il suo sguardo fisso su di lei.
Sarebbe stato meglio darsela a gambe
e rifugiarsi nella sua
stanza- si disse- ma…
-
Cosa succede qui?-
tuonò proprio in quel momento una
voce, melodiosa e nello stesso tempo ferma come quella di un
condottiero.
Erice l’avrebbe
riconosciuta ovunque, così, sussultando,
mentre gli altri si inchinavano alla personalità appena
giunta, lei si prostrò
a terra, toccando il lastricato con la fronte.
-
Erice?!
Perché sei uscita?- domandò quella nuova
familiare voce, allarmata, avvicinandosi tanto che lei ne
sentì l’ombra
addosso.
-
Mia signora
Didyme, stavo disegnando nella mia stanza,
poi quando ho scorto dalla finestra che qui si stava allestendo una
pira, sono
venuta per avere questo…- spiegò, alzando
timidamente lo sguardo e porgendo con
entrambe le mani il piccolo fuscello alla vampira che le stava davanti,
perché
lo vedesse, nonostante fosse completamente avvolta in uno scuro
mantello con
cappuccio.
-
Un ramoscello?
Cosa pensi di farne?- iniziò Didyme,
sospettosa.
-
Vorrei ricavarne
un flauto, mia signora. Mi piacerebbe
imparare a suonare…- si giustificò
l’umana, guardando di sott’ecchi quella
magnifica vampira che, sin da quando ricordava, l’aveva
trattata meglio di
chiunque altro.
-
Vieni, allora:
provvederemo.- le assicurò, con quello
che ad Erice sembrò il fantasma di un sorriso, mentre le
porgeva la sua
elegante mano bianca, perché si alzasse.
Fu così che quella
vampira- senza sospettare nulla di quanto
era appena accaduto- portò via da quel momentaneo inferno la
giovane Erice,
che, con la sua mentore preferita accanto, si sentì
improvvisamente più forte,
ed al sicuro; tanto da non degnarsi neppure di voltare indietro la
testa, per
mostrare a tutti l’aria trionfante che le risplendeva in
viso, specchio della
serenità che era piombata nel suo cuore.
Non appena le venne dato il permesso
di ritirarsi, Erice
corse nella sua stanza come se avesse avuto gli abiti in fiamme. Una
volta
chiusa la porta alle proprie spalle, vi si accasciò contro
con la schiena,
sentendosi di nuovo debole, e fragile.
Possibile che solo in presenza della
sua adorata Didyme
aveva l’impressione di essere forte, di poter fare tutto?
Inattese lacrime calde le bruciarono
sotto le palpebre; non
aveva alcuna intenzione di abbandonarsi al pianto a causa di quanto le
era
appena successo.
Da sempre aveva accettato
l’idea che presto o tardi la sua
vita sarebbe giunta al termine, e il suo sangue avrebbe nutrito i
divini
vampiri che serviva, ma mai si era trovata così vicina alla
morte e, per via
del comportamento di Felix, aveva capito di averne paura.
Inoltre, non era mai stata picchiata o umiliata davanti a
quello che si poteva definire “un pubblico”, ed ora
si sentiva a pezzi.
Le lacrime erano di nuovo in agguato,
lo sentiva; si morse
quindi le labbra con forza, per impedirselo e serrò i pugni
fino a conficcarsi
le unghie nei palmi.
All’improvviso, nonostante
la vista appannata, riconobbe il
ramoscello, per cui aveva subito tutto quanto, abbandonato in terra, ed
iniziò
ad intagliarlo, nella speranza che quel lavoro manuale le sgombrasse la
mente
dai tetri pensieri che la popolavano.
Dapprima, i colpi
dell’affilato coltello preso dalle Cucine,
erano stati incerti, infatti, in seguito però, si erano
fatti sempre più forti,
decisi, brevi e rabbiosi, tanto che Erice si ritrovò presto
a sorridere,
divertendosi mentre quel selvaggio fuscello prendeva via via
più forma,
preciso, armonioso e sempre più simile ad un flauto.
Finalmente, la ragazza si rese conto
che aveva la mente
libera, vuota, leggera,- il discorso di Felix ormai non esisteva
più, ed era
lontano anche il machiavellico quesito
sull’identità del vampiro che l’aveva
salvata- mentre lo teneva in mano, si sentiva invece, pervasa soltanto
dal
piacevole senso di vittoria che scaturisce nel cuore di coloro che
capiscono di
aver creato qualcosa di finito, da una
“massa”inizialmente indefinita.
Erice rimase per un attimo raccolta
in un silenzio
reverenziale, pieno di stupore, mentre contemplava la sua piccola
opera: un
semplice flauto color nocciola.
D’un tratto, un rintocco
proveniente dalla torre del
Porcellino squarciò l’aria, portando via con
sé quel magico momento di quiete,
e la ragazza sussultò. Nel momento in cui, poi, i suoi occhi
si posarono su un
lembo di cielo scuro, scorgendolo fuori dalla finestra, e facendole
comprendere
che notte, il suo cuore piombò nella disperazione: Didyme,
le aveva dato
appuntamento nella sua stanza- onore rarissimo per tutti, escluso il
suo
compagno Marcus – cinque ore prima!
Ora, come si sarebbe giustificata per
quel larghissimo
ritardo?
Rabbrividì, il cuore che
le tremava per la paura; ma infine
decise che qualsiasi sarebbe stata la situazione alla quale fosse
andata
incontro, avrebbe trovato giovamento se si fosse mossa, e subito perché, presso i
Volturi c’erano delle regole da rispettare-
soprattutto per lei- e per ogni momento di trasgressione, la pena
sarebbe stata
più grave.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi il nuovo
capitolo!innanzitutto,
ringrazio Ramona37 per aver commentato il precedente pezzo: mi fa
piacere che
ti sia piaciuto! Chiedo
scusa per il
ritardo(solo ora sono riuscita a trovare un po’ di tempo per
scriverlo e
postarlo)e per eventuali errori grammaticali o ripetizioni che
troverete nel
testo, mi auguro che vi piaccia lo stesso! Fatemi sapere le vostre
opinioni!
Un baciotto
Marty23
Ps: non so se nei prossimi giorni
riuscirò a mettere insieme
qualcos’altro da postare, eventualmente quanto sareste
disposti ad aspettare?
|
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Capitolo 6 *** punizione ***
Capitolo IV
Punizione
I passi leggeri e scattanti di Erice
risuonarono per le
scale mentre, spiccando una corsa dalla quale traspariva agitazione,
reggeva
faticosamente tra le mani il flauto appena costruito, ed il coletto che
aveva
sottratto dalle Cucine.
Correva a perdifiato, e nonostante la
paura che
l’attanagliava sperò di poter porre rimedio, anche
se solo per pochi minuti,
alla sua imperdonabile mancanza, con quel tentativo.
Senza che si rendesse conto di come
ci fosse arrivata, d’un
tratto si ritrovò in un lungo corridoio, coi muri tappezzati
da affreschi, dal
pavimento di marmo, che le parve stranamente familiare, nonostante
quella fosse
la prima volta che ci metteva piede. Come poteva ricordarsi di quel
luogo, se
solo quel giorno le erano state date indicazioni su come arrivare alla
stanza
di Didyme?
Una scossa la risvegliò
dal torpore dei suoi pensieri
quando, aguzzando lo sguardo, riconobbe, distanti appena un metro da
lei, due
figure che piantonavano come statue di cera, la porta che, secondo le
informazioni
di Erice, era proprio quella che dava accesso alla stanza della sua
mentore
preferita.
La ragazza sentì il cuore
mancarle un colpo, come per
avvisarla di un brutto presentimento su qualcosa che presto sarebbe
successo,
ma lei, dopo un profondo respiro si fece ugualmente coraggio ed
avanzò,
coprendo il poco spazio che la divideva dalla sua meta, con passo
sicuro e
deciso, finchè non si trovò dinnanzi a quei due
vampiri.
-
i miei ossequi a
voi, Jane, Alec. Nonostante il mio
imperdonabile ritardo, speravo di poter parlare con la mia signora
Didyme.-
esordì lei, bisbigliando, mentre faceva loro
l’inchino.
-
Oooh,
l’hai combinata grossa! Il Consiglio ti attende
nella Sala dei Colloqui…- la informò Jane,
canzonandola mentre dischiudeva le
sue labbra piene in un sorriso crudele che le permetteva di fare bella
mostra
dei suoi denti affilati.
-
L’intero
Consiglio si è radunato…per
me?- domandò esterrefatta Erice, rivolgendo un
fugace sguardo
al gemello di Jane, del quale aveva sempre subito il fascino-
nonostante avesse
sempre taciuto i suoi sentimenti, per paura della splendida e temibile
sorella
di lui che, si diceva, fosse in grado di far piagare tra le
più atroci
sofferenze, anche il più forte componente del Corpo di
Guardia dei Volturi-
forse a causa del suo aspetto di eterno tredicenne, come la sorella, o
magari
dei suoi corti capelli scuri sempre perfetti.
Alec le si parò davanti
con un unico movimento fluido, e
senza degnarla di una risposta raccolse le braccia al petto, sorridente
-somigliando,
nella sua posa da modello, in tutto e per tutto ad un angelo, avvolto
in un
elegante completo grigio perla. Sfruttando l’ascendente che
aveva su di lei, (era
infatti in grado di farle completamente perdere la capacità
di ragionare) quello
approfittò del fatto che Erice fosse rimasta immobile,
incapace di formulare un
pensiero coerente al cospetto di tanta bellezza, al suo
cospetto, per dare la possibilità alla sua gemella, di
scivolarle alle spalle.
Quando la ragazza notò che
era circondata da quei due
diabolici angeli,- si trovavano uno davanti, l’altra dietro
di lei- era ormai
troppo tardi: si sentì in trappola, e trattenne il respiro.
Jane le posò una
mano sulla spalla e, cercando di rassicurarla falsamente, disse, mentre
si
sistemava i capelli scuri:
-
piccola
insignificante umana, conosci le regole: non ti
è permesso conoscere l’ubicazione della Sala dei
Colloqui. Dovrai seguirci,
docile come un agnellino…- le accarezzò piano una
guancia per far sì che il
gelo pungente di quell’affermazione le penetrasse fin nelle
ossa.
La durezza di quella frase si
scagliò contro di lei con
l’imponenza di un muro, ed Erice indietreggiò come
se fosse stata colpita da
una scarica elettrica.
Abbassò il volto,
sospirando con rassegnazione. Era vero: le
era proibito sapere dove si trovasse la Sala
dei Colloqui e tuttavia, pur non essendo in grado di
arrivarci, sapeva perfettamente che in quella stanza avveniva di tutto, eccetto l’atto del
colloquiare.
In quel momento prese piena coscienza
di ciò che le sarebbe
successo, nonostante nessuno gliene avesse parlato, e fu in grado
perché
l’intero Consiglio si fosse radunato esclusivamente per lei:
le avrebbero fatto
pagare caro il suo ritardo.
Serrò gli occhi con forza,
avvertendo una fitta al cuore;
poi, dopo un secondo che le parve interminabile, sollevò lo
sguardo verso Alec,
e senza aspettare che le sue labbra carnose si muovessero per darle
qualche
indicazione, Erice allungò una mano verso di lui….
Nel preciso istante in cui le loro
dita si sfiorarono, la
ragazza si sentì avvolgere da una densa, soffocante ed
infida nebbia che la
avvinse lentamente, come una mortale serpe.
Dapprima avvertì che le
gambe perdevano sensibilità, poi
quella spiacevole sensazione passò al ventre, quindi alle
braccia e man mano le
si intorpidì tutto il corpo.
L’ultima cosa che gli occhi
verdi dell’umana videro, fu
l’espressione diabolica in cui era tirato il viso angelico di
Alec, i suoi
occhi ardenti, animati da infernali fiamme; uno spettacolo antitetico,
inquietante e terribile. Cercò anche di aggrapparsi a lui,
in cerca di aiuto,
ma il ragazzo vampiro si scansò, fissandola con disprezzo
suscitando le risate
crudeli di Jane- per un attimo fu certa che, se avesse potuto, le
avrebbe
sputato. Infine, cadde inerme a terra, con la sensazione che il suo
corpo,
ormai di pietra, non fosse più in grado di sostenere il suo
peso, e cadde in un
oblio freddo, oscuro e senza quiete.
Finalmente, dopo quello che le era
sembrato un sonno durato
mille anni, Erice si risvegliò. Come un animale appena
ridestato dal letargo,
senza riuscire ad aprire gli occhi, iniziò a tentar di
muovere le dita delle
mai, poi il collo. Tuttavia, seppur gioendo inconsapevolmente(un debole
gemito
le sfuggì dalle labbra) per il trascorso effetto della
“nebbia”scatenata da
Alec – che aveva privato il suo corpo di qualsiasi
utilità- il sollievo di aver
ripreso possesso di se stessa, svanì presto dalla mente
della ragazza,
sostituito da una spiacevole sensazione di dura freddezza, che, man
mano che
lei tornava a contatto con ciò che la circondava, si faceva
più solida e tangibile,
impedendole quindi
di compiere i movimenti completamente.
Per un secondo Erice temette che
quella sensazione di gelo,
che le si stava espandendo inesorabilmente in tutto il corpo- guance
comprese-
altro non fosse che il potere di Alec, che continuava ad accanirsi su
di lei.
L’ultima cosa che la
ragazza ricordo, prima di avere la
sensazione di precipitare nel vuoto, fu il terrore che le attanagliava
le
viscere, avvolgendole in una stretta convulsa, alla sola idea che
quell’ipotesi
si stesse verificando…
Sollevò di scatto la testa
e, dinnanzi ai suoi occhi
appannati, si parò uno strano spettacolo: qualcuno
l’aveva distesa su un
pavimento di granito nero(forse si spiegava così
l’origine del freddo che aveva
avvertito)sul quale sembravano fluttuare sei vampiri, che la fissavano
biechi.
Tre di essi erano avvolti in eleganti tuniche nere, che li facevano
somigliare
a dei giudici; mentre gli altri tre, indossavano semplici abiti
purpurei,
tipicamente femminili, che ricordavano lo stile dell’Antica
Grecia.
Mentre un sorriso le sbocciava
spontaneo sulle labbra, senza
neppure accorgersene, Erice si ritrovò prostrata in
ginocchio. Tuttavia, prima
che riuscisse a presentare i suoi saluti al Consiglio, - come di
dovere- udì
una voce tagliente e melliflua, che le fece gelare il sangue nelle vene:
-
ben svegliata,
piccola umana…-
con un sobbalzo che la
portò ad incassare la testa nelle
spalle per lo spavento, la ragazza girò il viso verso Jane -
che si trovava
alla sua sinistra- e scrutò il perfetto ed angelico volto di
quella vampira,
incorniciato da soffici capelli castani, abbandonati sulle spalle; le
labbra
carnose tirate in un sorriso crudele.
-
miei signori, come
da vostra richiesta, eccovi “la
preda”. Questo è ciò che le abbiamo
trovato addosso…- al suono di quella voce
bassa e sensuale, il cuore di Erice mancò un colpo; quasi
non notò che Alec
aveva usato il soprannome con il quale, da qualche anno, tutti i
Volturi erano
soliti chiamarla, riuscì solo a fissare di
sott’ecchi quel vampiro che, avvolto
nel suo splendido completo grigio perla stava alla sua sinistra e
reggeva in
una mano il flauto che lei aveva realizzato, come per mostrarlo ad Aro,
Caius e
Marcus, mentre nell’altra il coltello di cui si era servita.
L’atmosfera in quella
stanza divenne di ghiaccio: l’umana
sentì su di sé gli sguardi di tutti, per un
istante eterno; sicuramente si
stavano chiedendo come mai l’avevano trovata in possesso di
un coltello.
Pur temendo che avrebbero usato
quella scusa per infliggerle
una punizione, la ragazza si fece forza, perché il suo
motivo era dei più
innocenti, e lo avrebbe spiegato a tutti.
-
Il mio
flauto…- bisbigliò Erice, iniziando a mettere in
pratica la sua tattica difensiva.
-
Cosa, questo?- le
parve che Alec guardasse la sorella
prima di rivolgere a lei, una
fugace
occhiata di disgusto mentre si rigirava tra le mani il flauto-
questo…non è
definibile come tale…- e con una smorfia(entrambi gli angoli
della bocca si
rivoltarono improvvisamente in giù), mosse appena le dita
così che il flauto si
riducesse in un milione di piccoli trucioli, che si riversarono in
terra.
La ragazza si sentì
svuotata, non riusciva quasi a
respirare: quel piccolo oggetto, sul quale aveva riversato impegno ,
fatica,
rabbia e soddisfazione, per lei rappresentava una sorta di liberazione,
di
affermazione di sua superiorità rispetto a tutti gli eventi
accaduti nella
mattinata, ma ora che non c’era più quel barlume
di speranza sembrava essere
svanito.
-
smettila di fare
la bambina, Erice. Non serve piangere
per uno stupido pezzetto di legno.
Invece di frignare, perché non spieghi come mai avevi con
te, questo?- stavolta, a prendere
la parola
ed a farsi beffe dell’amarezza e della frustrazione che
sicuramente
trasparivano sul viso di Erice, era stata di nuovo Jane, che aveva
iniziato a girarle
attorno con fare accusatorio e, nel frattempo, giocherellava con il
pugnale che
era stato tolto alla ragazza, spostandoselo da una mano
all’altra con una serie
di complicati e velocissimi movimenti. Erice stessa riuscì a
vederlo solo
quando, dopo che aveva finito di porle la sua domanda, glielo
puntò alla gola.
Lei non ne provò paura,
piuttosto si irrigidì perché,
vedendoselo davanti, non era riuscita a capire come
quell’arma potesse essere
finita dalle mani di Alec a quelle di Jane.
Possibile che il fratello fosse
riuscito a passarle l’arma
con un movimento tanto impercettibile agli occhi dell’umana
che, mentre lei lo
guardava impotente, fare a pezzi il suo flauto, non era riuscita a
notare
nulla, neppure lo spostamento d’aria che sicuramente quel
passaggio aveva
causato?
Erice chiuse per un attimo gli occhi,
facendo un respiro
profondo: da tutta la mattina ormai veniva umiliata, ed ora iniziava a
stancarsi.
Gli occhi le si incendiarono,
contaminati dalla rabbia
irrefrenabile che sentiva montarle nel petto, violenta come una
tempesta;
rilucendo come i rami verdi e scuri di quelle foreste tanto fitte che
non
riescono mai a vedere la luce del sole; e drizzò fieramente
la schiena,
nonostante il peso del corpo le gravasse sulle ginocchia. Non le
importava della
lama fredda che aveva, puntata sulla carotide, né della mano
di Jane,
aggrappata convulsamente al collo
della
sua maglietta e replicò, con decisione:
-
cosa ti aspetti,
Jane? Che mi metta a piangere? È un
coltello, null’altro: l’ho preso dalle Cucine-
visto che è l’unico luogo in cui
entro solo io, perché voi non mangiate- ed era
l’unico oggetto tagliente
che potessi usare per intagliare il
ramoscello che avete
distrutto, fino a farlo diventare un flauto. Tuttavia, se questo
giochino
sadico ti diverte, fa pure; tagliami la gola, , d’altro canto
oggi non saresti
l’unica che ci prova. Sappi solo che non ti
renderò la vita facile: sarai
costretta a leccare il mio sangue da terra, e questo non si addice ad una
vampira di stirpe regale come te, ti pare?-
prima che potesse accorgersi di
quanto stava per accaderle
in torno, Erice sentì la presa attorno alla sua maglietta,
abbandonarla
improvvisamente, ed avvertì un brutale schiaffo distruggerle
la guancia, tanto
potente da riecheggiare minacciosamente nella stanza silenziosa.
-
calma mia cara.
Avete fatto un ottimo lavoro scoprendo
come mai “la preda” aveva con sé un
coltello, ma ora vi prego di lasciarci soli
con lei, ti assicuro che la puniremo per l’affronto nei tuoi
confronti, tu
intanto, per favore riporta il coltello nelle Cucine: sono
così contento che la
nostra umana non ci si sia ferita.- la voce tranquilla ed armoniosa di
Aro
coprì subito qualsiasi rumore, ed Erice se lo
immaginò con un sorriso serafico
stampato sul volto pallido, le braccia raccolte in grembo, simile ad un
saggio,
mentre la calma serpeggiava tra tutti.
Le parve che Jane sogghignasse poco
prima di inchinarsi al
suo signore e sparire accanto ad Alec, oltre la porta che si chiuse
alle
spalle, e la fissasse soddisfatta, probabilmente a causa della promessa
presente nelle parole di Aro, e della beffa nei confronti della ragazza.
Erice, rimasta sola con i tre Anziani
e le loro mogli, tirò
un sospiro di sollievo, nascondendo il viso tra le mani per
massaggiarsi le
tempie.
-
piccola mia,
ascoltando le tue parole ho udito qualcosa
che mi porta a porti una domanda, e ti prego, rispondi sinceramente:
hai detto
Jane che non sarebbe la prima che oggi prova a tagliarti la gola, ti
prego,
spiegami, cosa intendi?- la voce melodiosa di Didyme risuonò
dolcemente
vicinissima alla ragazza, e lei, che con un sobbalzo alzò la
testa,
ritrovandosi la moglie di Marcus inginocchiata vicinissima al suo viso,
quasi
si spaventò.
Rimase per alcuni momento a fissare
rapita il suo viso
perfetto, e scorgendo nel profondo degli occhi cremisi della vampira,
una
fiammella di preoccupazione, di curiosità,
avvertì una carezzevole sensazione
di calma che la pervadeva, e fu persuasa di potersi fidare di quella
donna che
la chiamava “piccola mia” e si preoccupava per lei.
Abbozzando un sorriso, Erice
dischiuse le labbra, sembrando
sul punto di riordinare i pensieri, per rivelarle quanto era successo
quella
mattina in Piazza dei Priori, quanto le aveva quasi
fatto Felix e quanto invece non si era verificato grazie
all’intervento di quel vampiro sconosciuto agli occhi della
ragazza.
Ma…d’un tratto
il volto rabbioso di Felix le comparve
dinnanzi agli occhi ed il brivido di paura che la pervase al solo
pensiero che
il vampiro potesse fargliela pagare in un modo mille volte peggiore di
come aveva
fatto Jane, per aver parlato, fu talmente violento da farla
rannicchiare a
terra, con gli occhi serrati.
-
non
posso…- sussurrò con voce tremante, mentre si
mordeva le labbra.
-
Bene, allora. Mi
spiegheresti invece, perché sei
arrivata con tanto ritardo beffandoti dell’appuntamento che
ti avevo dato?-
sibilò ringhiando Didyme, le labbra contratte per il
disappunto.
-
Mia signora
Didyme, mi dispiace per il mio errore, non
era intenzionale: avevo perso il conto del tempo dopo qualche attimo
trascorso
ad intagliare il flauto, inoltre non riuscivo a trovare la strada per
la vostra
stanza, dove mi avete dato appuntamento…- disse contrita
Erice.
Didyme le prese le mani tra le sue,
alzandosi ed invitandola
a fare lo stesso. Quando furono in piedi, l’una davanti
all’altra, la vampira
sorrideva di nuovo, serena.
-
ti chiedo ancora
una volta cosa ti abbia portato a
pronunciare quelle parole, per avere una più chiara visione
di quanto ti sia
successo oggi…- riprese la moglie di Marcus, iniziando a
passeggiare per la
stanza accanto alla “preda”.
-
Ne siete forse
già a conoscenza, mia signora?- domandò
Erice, con gli occhi bassi, sentendo il respiro che le moriva in petto
ed il
cuore che, in mancanza d’aria, veniva risucchiato in gola e
restava incastrato
lì, per iniziare poi a pulsare follemente.
-
Oh sì,
certo. Felix ci ha detto tutto.- Didyme aveva
quasi ruggito nel pronunciare quelle parole.
Erice, sentendosi persa aveva
sollevato gli occhi nella
stanza, distrattamente.
Sino a quel momento, accecata
dall’abbagliante bellezza del
Consiglio e delle mogli, non aveva prestato attenzione a dove si
trovasse e,
nonostante sapesse che si trattava della Sala dei Colloqui, non si era
concentrata sul particolare arredamento di quel luogo.
Ora, facendo scorrere gli occhi su
ogni centimetro di
pavimento e pareti, represse a stento un grido di terrore.
Sul lucido muro color onice,
circondati di tanto in tanto
dal simbolo dell’Inquisizione, erano appese armi
d’ogni genere: pugnali, pinze,
strani ferri lunghi e sottili dall’estremità
ricurva, fruste, legacci e collari
di ferro con l’in terno “decorato” da
acuminate punte di metallo.
Inoltre, sparse per la stanza,
c’erano altri strumenti di
tortura: una ruota della tortura studiata per allungare o accorciare la
distanza di alcune cinghie di cuoio poste su una scheggiata tavola di
legno;
una sedia larghissima, ma con gli interni rivestiti da minacciose punte
di
ferro.
E, tutta quella splendida esposizione
storica, di tanto in
tanto risplendeva come schegge di stelle, colpita dalla luce del sole
che,
giustiziere entrava attraverso l’unica finestra della stanza,
nonostante fosse
stata ostruita il più possibile, con una pesante tenda;
tuttavia, quello
spettacolo, anziché tranquillizzare Erice - i Volturi le
dicevano sempre che
era eccellente nello scorgere la bellezza anche nei particolari
più temibili-
le davano la sensazione di avere sangue gelato nelle vene.
La ragazza quindi, mentre veniva
scossa da uno sconvolgente
brivido di paura, si rese conto del perché le fosse stato
raccontato che la
Sala dei Colloqui era anche
nota come “la Stanza
di Anthenodora” tuttavia, pur sapendo abbastanza sulla moglie
di Caius, non
immaginava che lei fosse tanto affezionata al periodo storico che si
era
lasciata alle spalle, diventando una vampira, da curare
un’esposizione di tutte
le armi usate dall’Inquisizione, in quella stanza.
Anthenodora era stata trovata da
Caius attorno al 1190 in
una sperduta cittadina d’Europa, il quale, dopo qualche
insistenza, era
riuscito ad ottenere che Aro la trasformasse, proprio pochi giorni
prima che
ardesse al rogo al quale era stata condannata. E da allora erano stati
sempre
insieme, forse si erano amati, ma sicuramente due particolari li
avevano
accomunati: la sete di potere e la rabbia distruttrice che li aveva
animati
poiché dinnanzi ai loro occhi era lampante che, come vampiri
non avevano
poteri, a differenza invece, di tutti i vampiri del clan di cui
facevano parte.
Prima che riuscisse a dire qualcosa
però, la stretta di
Didyme attorno alle sue mani divenne più serrata, fino a
farsi stritolatrice, e
lei ebbe solo il tempo di gemere di dolore perché subito
dopo si ritrovò contro
una colonna.
Didyme le stava davanti, fissandola
con un cipiglio
furibondo e le teneva ferme mani e braccia per evitare che scappasse,
che
facesse il minimo movimento:
-
allora, piccola
Erice, ora esigo di sapere cosa
è successo veramente
in Piazza dei Priori, questa mattina con Felix.- le ordinò.
Erice sentì che aveva
l’anima lacerata, e il cuore che
batteva a fatica: come avrebbe dovuto comportarsi? Sarebbe stato
meglio, per
lei, dire la verità oppure stare in silenzio?
Per un momento fu di nuovo sul punto
di parlare, poi, il
volto di Felix passò davanti agli occhi, lesto come un flash
e ricordò che la
moglie di Marcus aveva detto che ormai loro erano a conoscenza di tutto
in
merito all’accaduto, per bocca di Felix,
perciò…anche se avesse parlato, ormai
lei aveva già perso.
Abbassò il viso,
sospirando e dopo alcuni minuti, quando
Didyme comprese che non le avrebbe rivelato nulla, urlò:
- Anthenodora!-
Subito Erice sentì un
innaturale spostamento d’aria e,
mentre si irrigidiva, spaventata, la stretta della moglie di Marcus si
faceva
maggiormente convulsa; poi udì il rumore di uno strappo,
lacerante che risuonò
nell’aria…
Lo schioccare secco di una frusta la
portò ad urlare. Solo
dopo qualche attimo comprese che questa stava infierendo sulla sua
schiena,
rimasta nuda e, nonostante si sforzasse di non urlare- mordendosi le
labbra o
sussultando-, avvertiva sulla pelle la sensazione di centinaia di
pugnali che
si abbeveravano della sua carne, portandone piccoli frammenti via con
sé, o del
suo sangue, poiché ad ogni colpo le ferite sulla sua schiena
si facevano più
profonde.
- gli insegnamenti di questi anni
sono stati vani per te,
quindi, Erice. Sei quello che sei grazie a noi, e l’unica
cosa che ti chiediamo
è di venerarci, di rispettarci
tuttavia, restando in silenzio, dimostri di farti beffe del rispetto
che ci
devi oltre che dell’unico divieto che ti abbiamo dato:
evitare di guardare un
vampiro sotto la luce del sole. Mi spieghi perché Felix ci
ha detto che oggi
sei uscita dalla sua stanza con l’unica intenzione di
osservare il suo viso
colpito dal sole? Quella del flauto, dunque, era solo una scusa. Ti sei
presa
gioco di me, che ti ho dato fiducia, ed ora, per giustificare la tua
assenza
nella mia stanza ad un’ora stabilita, ti nascondi dietro una
scusa come quella
che, non riuscivi a trovare la strada?
Dimmi la verità, umana o avrai una frustata per ogni
menzogna che hai detto!-
tuonò Didyme, inchiodandola con lo sguardo e mostrando i
denti mentre parlava.
Erice riuscì a notare ance che, man mano che il suo sangue
le arrivava
all’olfatto, i suoi occhi si facevano più famelici.
- La bocca
sollevò dal
fiero pasto / quel peccator,
forbendola a'capelli / del capo
ch'elli
avea di retro guasto. / Poi
cominciò:
«Tu vuo' ch'io rinovelli/
disperato
dolor che 'l cor mi preme /
già pur
pensando, pria ch'io ne favelli. / Ma
se le mie parole esser dien seme /
che frutti infamia al traditor ch'i' rodo, / parlare e lagrimar vedrai
insieme.-
recitò la ragazza, nonostante il cuore le piangesse per aver
deluso la persona
a cui teneva di più in quel clan, ma…non poteva
dire la verità, altrimenti Felix gliel’avrebbe
fatta pagare. Inoltre quel
bastardo l’aveva messa con le spalle al muro e nessuno
avrebbe creduto alla sua
parola quando contro di lei, c’era un vampiro come lui.
- interessante la citazione dal canto
XXXIII dell’Inferno di
Dante, però non mi interessa
se tu sia stata tradita o se piangerai mentre parli, voglio solo sapere
la
verità.- replicò Didyme, con
un’indifferenza che la ferì dolorosamente.
Le sferzate continuavano, sempre
più prepotenti, violente,
ed Erice, pur sentendo le lacrime di dolore e tristezza pungerle sotto
le
palpebre, e sapendo che quel comportamento infantile non le recava
onore, non
riusciva a staccare gli occhi dalla sua mentore, sentendo di averla
tradita.
D’un tratto, quando ormai
le frustate stavano diventando
insopportabili per il dolore che le arrecavano, e la ragazza
– con profondo
stupore da parte degli Anziani- tentava di mantenere un contegno,
udì che le
porte della Sala dei Colloqui che si aprivano impetuosamente, come se
lì stesse
per piombare un uragano.
-
Santiago, cosa
vuoi? Non vedi che siamo impegnati?-
ululò Caius, facendo qualche passo verso la guardia che era
appena entrata,
interrompendo la punizione di Erice e,- immaginò lei-
sicuramente anche Aro gli
si era avvicinato, contrariato per quell’intrusione e
desideroso di
“insegnargli le buone maniere”.
-
Miei signori,
perdonatemi per non aver rispettato
questo vostro rito ma, solo ora sono venuto a sapere quanto vi ha detto
Felix
e…poiché ero presente in Piazza dei Priori,
stamane, vorrei raccontarvi io la
verità, perché egli non è
stato
sincero con voi.- nonostante non potesse vederlo, dato che gli dava le
spalle,
Erice si sentì mancare nel momento in cui riconobbe la voce
del vampiro che
l’aveva soccorsa in Piazza dei Priori, come quella di
Santiago.
Per un secondo il tempo si
congelò, e tutto il Consiglio
attorniò quella guardia, per ascoltarne quella che lui
chiamava “la verità”.
-
ebbene,
“la preda” è giunta in Piazza dei Priori
perché
chiamata dallo stesso Felix, che intendeva mostrarle la pira che
stavamo
allestendo lì. Lei ha dovuto obbedire- perché
è così che deve comportarsi nei
nostri confronti- e, nonostante Felix avesse tentato di spaventarla,
dicendole
che sarebbe stata arsa lì, lei si è dimostrata
rispettosa degli insegnamenti
che le avete dato e ferma nelle sue convinzioni, soprattutto in merito
a quello
che sarà il suo trapasso. Felix, d’un tratto, per
metterla a disagio si è tolto
il cappuccio ed ha mostrato all’umana il suo aspetto sotto la
luce del sole…-
raccontò quello, col suo accento spagnolo e la voce bassa,
agitata da scosse di
rabbia che a stento erano tenute a bada. Ed in tutto questo parve che
il
fortissimo profumo di sangue di lei, attirasse la sua attenzione.
Erice si morse con violenza le
labbra, sentendo la
frustrazione imperversare dentro di lei. Aveva voglia di piangere per
la rabbia
poiché non riusciva a capire il motivo
dell’intromissione di Santiago in quella
faccenda. La verità era stata rivelata e da un vampiro, per
giunta, il che
significava che aveva maggiori possibilità di essere
ascoltata, tuttavia, non
era forse più giusto che Erice venisse punita, seppur
innocente? Così magari
l’ostilità di Felix nei suoi confronti, si sarebbe
placata…
Ora invece, chi poteva assicurarle
come quel folle avrebbe
reagito? Soprattutto se avesse saputo che in suo soccorso era
intervenuto
ancora una volta Santiago?
-
lascia
quell’umana, sorella. Ha assaggiato la frusta- e
non le fa mai male- ed imparerà a rispettarci, ma non
l’abbiamo punita per la
cosa giusta. Presto parleremo con Felix ma ora credo sia giusto che le
venga
inflitta una pena equa, ossia solo in base al fatto che ha ritardato al
tuo
appuntamento. Visto che non riusciva a trovare la strada,
perché non la
lasciamo nella Cinta Muraria della città.- intervenne Aro,
guardando verso
Didyme, che era rimasta per tutto il tempo a stringere le braccia di
Erice.
Solo quando annuì,
accettando la proposta del fratello, la
lasciò andare, e lei scivolò a terra, sulle
ginocchia, sentendosi soffocare.
ANGOLO AUTRICE
Ciao! Eccovi la prima parte del 4
capitolo, che ne pensate
del riferimento all’Inferno di Dante? E dei trascorsi di
Anthenodora?(ho
inventato io la sua vita umana, com’è?) mi auguro
vi piaccia, e come sempre
oltre a chiedervi di farmi sapere una vostra opinione in merito, vi
chiedo di
essere pazienti perché non so quando riuscirò ad
aggiornare. A proposito grazie
mille per chi ha avuto la pazienza di attendere e commentare il post
precedente
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 7 *** punizione (parte 2) ***
Capitolo IV
Punizione
Parte 2
L’intero Consiglio
approvò all’unanimità la proposta di
Aro,
ed ordinò che Erice venisse abbandonata- sola, senza cibo
né acqua- nella Cinta
Muraria di Volterra, finchè non fosse riuscita a trovare da
sé la strada per
tornare al Palazzo dei Priori.
Udendo la sentenza, la ragazza
annuì, accettando fieramente
quello che sarebbe stato il suo destino e, mentre indossava il pesante
mantello
grigio che Didyme le aveva gettato ai piedi- per far sì che
l’odore del sangue
fresco venisse tamponato il più possibile- si
affrettò a seguire Santiago, il
quale era stato incaricato di guidarla sino al luogo designato.
Per tutto il tragitto, pur
sforzandosi di camminare dritta e
col passo deciso, Erice si morse le labbra per evitare di urlare,
cedendo
quindi al dolore che il mantello grigio le causava, ogniqualvolta
veniva a
contatto con la pelle martoriata e sanguinante della sua schiena.
Ad un certo punto, per scacciare il
brivido che
improvvisamente aveva avvertito nascerle alla base della spina dorsale,
al
ricordo della frusta- scorta fugacemente sul pavimento della Sala dei
Colloqui-
che Anthenodora aveva usato contro di lei- fini corde di cuoio decorate
al
termine da affilati uncini di metallo-, spostò lo sguardo
sull’imponente figura
del massiccio vampiro spagnolo che le stava accanto, e ben presto si
ritrovò a
serrare con forza le dita a pugno, fino a ferirsi i palmi con le
unghie,
sentendo ancora una volta la rabbia montarle nel petto a causa
dell’inspiegabile comportamento di lui.
Nel momento in cui, però,
i due si ritrovarono in Piazza dei
Priori, tutti i sentimenti negativi in lei svanirono, soffocati
dall’emozione
suscitata dalla vista dello splendido panorama: il cielo, di un blu
tendente al
pervinca, profumava dell’aria frizzante tipica di quel
momento appena
successivo alla notte, ma ancora troppo presto per essere mattina.
Alcune
stelle pigre se ne stavano ancora lì, brillando debolmente
mentre la fissavano;
la ragazza allora, si sforzò di restare col naso
all’insù, per restituire loro
lo sguardo, per distogliere gli occhi da Santiago –che, le
sembrava, le
facessero ribollire il sangue nelle vene- e per non mostrargli che le
veniva da
piangere alla sola idea di doversi lasciare alle spalle quel magnifico
spettacolo, senza peraltro sapere quando i suoi occhi ne avrebbero
goduto di
nuovo.
-
togliti il
mantello, Erice.- un sussurro le punse le
orecchie, somigliando ad una supplica.
La voce pacata e profonda di Santiago
la risvegliò dal
torpore che l’aveva avvolta fino a quel momento e, con un
sussulto si rese
conto che erano ormai abbastanza lontani dalla città,
dinnanzi alla volta che
nascondeva la grata in ferro battuto che dava accesso alla Cinta
Muraria.
-
come, scusa?-
trovò il coraggio di domandargli,
cercando contemporaneamente una risposta a quella strana richiesta- che
poteva
apparire equivoca- nei luminosi occhi cremisi di lui.
-
Togliti il
mantello…- ripeté, mentre sollevava le mani
per mostrarle un unguento e delle bende che, celate sotto il mantello,
aveva
portato con sé, e questo parve tranquillizzarla.
-
Perché
dovresti disinfettarmi le ferite? Ti è stato
ordinato?- bisbigliò ancora Erice, confusa.
-
No, ma non voglio
lasciarti andare lì dentro, senza
sapere quando tornerai e con il pensiero che le tue ferite- essendo
tanto
profonde- potrebbero infettarsi fino a condurti alla morte.- le
spiegò, deciso,
con gli occhi accesi per la rabbia poi, fece un passo avanti,
costringendola
quindi ad indietreggiare.
-
Non hai mai
pensato che forse è proprio questo che i
Volturi vogliono? Farmi morire qui per venire in seguito a bere il mio
sangue?-
gli chiese, cinica mentre raccoglieva le braccia al petto, per coprire
i seni
nudi, sotto il mantello.
-
Ne parli con
assoluta tranquillità. Non hai paura di
ciò che potrebbe accaderti?- domandò lui,
guardandola da sotto una maschera di
severità che mal celava, tuttavia, una forte ammirazione.
-
Come posso temere
quello che so sarà il mio destino?
Non mi spaventa neppure la prospettiva di restare da sola, per un tempo
indeterminato, senza mangiare o bere, nel dedalo infinito di corridoi
della
Cinta Muraria perché, da quando servo i Volturi, la
solitudine è come una
compagna per me, e già altre volte sono stata punita con la
privazione dei
viveri. L’unico particolare che mi fa un po’
tremare è il fatto che starò costantemente
al buio…- Erice iniziò a parlare sostenendo,
convinta, lo sguardo di Santiago
per poi finire col fissare il pavimento ciottoloso di quel luogo,
mentre le sue
parole assumevano l’amaro sapore di una confessione.
-
È solo
questo che temi? Il buio?- le soffiò in un
orecchio, delicatamente; con una nota si sorpresa.
Ad Erice parve di sentire un uragano
sconvolgerle il cuore
quando avvertì una lesta ed intensa scossa gelida, correrle
lungo una guancia.
Ci mise qualche secondo a realizzare che il vampiro, col quale si era
aperta,
le aveva fatto una carezza e, quando lo comprese, era già
troppo tardi:
Santiago, infatti, l’aveva fatta girare su se stessa
-così che gli desse le
spalle- le aveva tolto il mantello ed aveva iniziato a curarle e
fasciarle le ferite
sulla sua schiena.
-
buona
fortuna…- le augurò lui, quando ebbe finito(
“troppo presto” pensò la ragazza), e le
chiuse la porta in ferro battuto in
faccia, sparendo, un attimo dopo averle restituito il mantello grigio.
La ragazza avanzò in quel
buio che sembrava volerla
inghiottire, per qualche tempo, sentendosi svuotata, sotto choc. Per un
po’ non
si rese conto di dove andava, anzi, sapeva addirittura che faticava a
camminare
in linea retta per via degli abbagli di luce che la disorientavano,
causati dal
passaggio repentino da un posto assolato, ad uno in ombra; il cuore le
batteva
a singhiozzo, dandole la sensazione di fluttuare, leggera come una
piuma, ad un
palmo da terra.
Con la testa popolata da farfalle,
Erice si ritrovò a
riflettere sul discorso appena avuto con Santiago. Non sapeva se
essergli
grata- poiché con quel suo particolare gesto, era riuscito a
farle dimenticare
la sua paura- o se odiarlo ancora di più, perché
da quella mattina, aveva
iniziato a comportarsi in modo strano, nei suoi confronti.
Quella sensazione di calma, tuttavia,
durò poco: presto
infatti, lei sentì il respiro che tornava ad accelerarle,
avvertiva sulla pelle
la paura per quelle tenebre, pronte ad assalirla. Si costrinse quindi a
distendersi al suolo, impregnato del tanfo di muffa, ed
abbandonò in terra il
mantello che aveva con sé.
D’un tratto
però, mentre era tutta impegnata a concentrarsi
su qualcos’altro,- chiudeva e riapriva gli occhi,
massaggiandoseli, nella
speranza di scacciare gli abbagli di luce- una serie di vorticosi
pensieri le
fece girare la testa, investendola con veemenza, simili ad una valanga
di fango
ed acqua.
Erano un insieme di accecanti flash
di quanto le era
accaduto, dalla mattina fino a quel momento, che le sfrecciavano
davanti agli
occhi; di una portata tanto intensa da sembrare reali e
così, mentre riviveva
la discussione con Felix, il discorso di Didyme, la chiacchierata con
Santiago,
tutte le emozioni provate la attaccarono, come uno sciame
d’api. Lei non seppe
dare loro un nome e quelle continuavano ad incalzarla, sempre
più intense e
frequenti, disorientandola, perché lei ne sembrava
sottomessa.
Doveva ribellarsi, e subito.
Altrimenti sarebbe stata
schiacciata da quei ricordi.
Decise di tentare a trovare un modo
per ritrovare la
tranquillità: aveva la sensazione che dei conati le
raschiassero la gola e, dopo
essersi quindi, quasi infilata un pugno in bocca per impedirsi di
strillare,
non riuscì più a trattenere le grida,
così, all’improvviso, il silenzio muto e
mortale che la circondava, si saturò delle sue stesse urla.
Non funzionava! Come sarebbe
sopravvissuta lì dentro, ora
che il panico, crudele si divertiva a terrorizzarla?
I flash che aveva in testa, nel
frattempo, mutarono in vere
e proprie emozioni che la assalivano, la soffocavano, la distruggevano.
Tutti gli avvenimenti di quel giorno
si ammassarono l’uno
sull’altro, compattandosi come fossero stati un muro, e
quella paura
dell’ignoto che provava adesso; le umiliazioni che aveva
subito; quella
punizione che, seppur avesse ritenuto ingiusta, doveva
scontare, le vennero addosso violentissime e, poiché le
diedero la sensazione di esser stata sconfitta, di trovarsi in una
prova che
non avrebbe superato, questa volta, la spinsero, con un unico colpo di
reni, a
rannicchiarsi con le ginocchia al petto.
Da quella posizione, che la faceva
somigliare ad un riccio,
Erice fu costretta a dondolarsi lentamente avanti e indietro, per
ritrovare un
minimo di calma. Tuttavia, nonostante il cuore avesse smesso di
minacciare di
fuoriuscirle da petto, anche questo suo metodo si rivelò
errato. Ottenne
infatti l’effetto contrario: ben presto si ritrovò
a piangere, mentre si
cullava, pensando a ciò che era stata la sua vita fino ad
allora.
Lei adorava i Volturi, li venerava,
vedendoli come divinità,
faceva di tutto per obbedirgli, compiacerli, apprendere qualsiasi cosa
loro
avessero voluto insegnarle; nei momenti di sconforto- come quello- se
si
fermava a riflettere, non riusciva a comprendere il motivo per cui si
ostinavano a tenerla con loro, se erano perfettamente consapevoli della
loro
superiorità rispetto a lei, e se non perdevano occasione per
rimarcarglielo.
La ragazza sapeva di essere solo
un’umana, era a conoscenza
del suo destino, le era stato dipinto senza preamboli, sin dalla tenera
età: il
suo sangue avrebbe irrigato il pavimento del Salone Principale, e lei
avrebbe
avuto il privilegio di guardare i tre Anziani, che si cibavano del suo
fluido
vitale poco prima di udire il suo cuore che smetteva di battere, e
chiudere gli
occhi per sempre.
Sapeva anche, però,-
nonostante non le fosse mai stato
permesso di partecipare- che durante la festa di San Marco, ricorrenza
in cui
si festeggiava il compagno di Didyme, e la cacciata dei vampiri dalla
città,
piccoli gruppi di turisti sconosciuti venivano attirati nel Salone
Principale e
divorati.
Perché per lei doveva
essere diverso? Perché la sua vita
doveva essere un cammino fatto di paura, umiliazioni, costanti prove ed
estrema
sottomissione? Non potevano limitarsi ad accettare il fatto che lei li
adorava
incondizionatamente, e lasciarla studiare Musica, lasciare che si
innamorasse
dell’Arte, e della Bellezza?
Versò altre lacrime, e
stavolta un brivido di freddo le
corse lungo la schiena. Ne rimase colpita perché ricordava
che il sole doveva
ancora sorgere poco prima che entrasse nella Cinta Muraria, possibile
che lì,
non arrivasse il suo calore?
Sconfitta e terrorizzata si
raggomitolò nel mantello, nella
speranza di riuscire a ritrovare un po’ di
lucidità e forza perché altrimenti
non sarebbe stata uccisa solo dalla mancanza di cibo ed acqua, ma anche
dalla
sua “tiepidezza”dalla sua ignavia. E non poteva
lasciare che, semmai un giorno
fossero venuti a cercarla, avrebbero detto di lei, che non era stata in
grado
di reagire alla prova cui l’avevano messa di fronte.
Quella sorta di schiaffo morale che
si era data da sola,
servì un po’ a calmarla; e forse proprio grazie
alla concentrazione che aveva
deciso di spostare sul proprio cuore che, tornava a battere
regolarmente, e sul
silenzio logorante e spaventoso che l’avvolgeva, solido;
riuscì a percepire
qualcosa che cadeva dal mantello che si era gettata addosso,
nell’oscurità.
Perplessa, impiegò qualche
secondo a capire che doveva
cercare quell’oggetto a tentoni e tentare di indovinare cosa
fosse tramite il
solo tatto. Di conseguenza, mentre la malinconia svaniva dalla sua
anima come
un soffio, Erice fu costretta ad inginocchiarsi e cercare a caso
quell’oggetto
che era scivolato in terra, con la leggerezza di una foglia autunnale.
Per diverso tempo, mentre stendeva le
mani e le braccia
davanti a sé, compiendo dei piccoli cerchi, cercò
invano, tesa. Poi, come fosse
stata colpita da un incantesimo, quasi scordò ciò
che stava cercando e
involontariamente si accorse che quel bagno nel silenzio le stava
facendo
ampliare l’udito. All’inizio era stata terrorizzata
dal buio, perché lo vedeva
come qualcosa di logorante, così cupo com’era, di
vivo e maligno, pronto a
toglierle qualsiasi energia, eppure ora, lentamente, le sembrava di
riuscire a
sentire il fruscio del vento contro le mura di pietra, che parevano
ricordare
lo scroscio di gentili risate, o il delicato verso degli uccellini che
spesso
si posavano negli alberi in Piazza dei Priori.
Senza neppure volerlo, la ragazza
allontanò il mantello da
sé, abbandonò la ricerca e si distese a terra,
rimanendo immobile, incapace di
qualsiasi movimento, poiché temeva di rovinare quella quiete
allegra e
rassicurante. Il freddo del pavimento prima divenne pungente poi pian
piano,
mentre le penetrava nella pelle, nelle ossa si fece lenitivo e lei si
concentrò- nell’attesa che i suoi occhi si
abituassero all’oscurità- sui propri
respiri.
Ottantasette respiri più
tardi- Erice non seppe dire se era
trascorso un minuto, un’ora o un giorno intero, da quando era
lì il tempo
sembrava essersi allontanato da lei, lasciandola in quel luogo fatto di
attimi
indefiniti- la ragazza si rese conto che stava gelando. La guancia dove
Santiago l’aveva accarezzata, però,-
pensò con un sussulto lei, mentre l’odore
dell’eucalipto che il vampiro aveva usato per disinfettarle
le ferite, le
riempiva delicatamente le narici- sembrava riarsa dalle fiamme.
Per resistere all’impulso
di correre da lui e domandargli il
motivo delle sue premure, Erice incollò la schiena al
pavimento chiuse gli
occhi in attesa che la musica di ciò che la circondava si
facesse più intensa
e, inaspettatamente scivolò nell’abbraccio caldo
del sonno.
La stanchezza l’aveva
trascinata via come una marea
inesorabile e quando si stropicciò gli occhi per mettere
meglio a fuoco il
luogo in cui si trovava, la ragazza notò di essere
circondata da lunghi e
spaziosi corridoi le cui pareti erano tappezzate di torce crepitanti.
Si alzò a
fatica; non riusciva a capire come mai, se era stata condannata a
vagare nell’oscurità
finché non avesse ritrovato la strada, ora invece, il buio
era scomparso. Tentò
di concentrarsi di nuovo su quelle schegge di vita di cui aveva sentito
solo il
suono, tanto per ritrovare qualcosa che le fosse famigliare, ma tutto
era
silenzioso, eccetto il crepitio delle fiamme nelle torce, e un lontano
ma
costante gocciolio d’acqua.
All’improvviso una risata
saturò l’aria, facendola
rabbrividire: non era una risata maligna, anzi, cristallina tuttavia,
pensò che
la sua reazione fosse normale poiché era stata abituata da
un bel po’ al
silenzio.
La risata continuava, così
lei, nella speranza di scoprire
dietro essa qualcuno che avrebbe potuto offrirle il suo aiuto, si
affettò a
seguirla…ma scoprì con delusione, più
lei si avvicinava, più il suono prendeva
le distanze.
Ad un certo punto, stanca per la
corsa e con il cuore in
tumulto, fu quasi decisa ad interrompere l’inseguimento
attraverso quelle
svolte infinite, così uguali l’una
all’altra, che sembravano non avere fine,
però- si disse dopo essersi piegata sulle ginocchia ed
essersi morsa le labbra
fino a farsi uscire il sangue- non doveva
arrendersi, non poteva farlo: non
era
il suo destino lasciarsi morire lì. Doveva, almeno
un’ultima volta, parlare con
Didyme, per tentare di riconquistare la sua fiducia e doveva
ringraziare
Santiago, o inventarsi una qualsiasi altra scusa, perché agognava avere un’altra carezza
così delicata, da lui.
Spiccò di nuovo una corsa,
lanciandosi in avanti e, con sua
grande sorpresa, svoltato un altro angolo, si ritrovò, come
se ci si fosse
tuffata, come se aver pensato a lui, l’avesse fatto
materializzare, tra le
braccia di Santiago.
La ragazza sollevò piano
la testa, tremando per l’emozione,
le sembrava di essere paralizzata, di non riuscire a fare nulla. Con un
sorriso, il vampiro spagnolo la prese il mento tra le mani:
-
Erice, per uscire
di qui devi imparare ad ascoltare,
non a guardare. Se riesci a non
fare affidamento sui tuoi occhi, avrai la
possibilità di ampliare gli altri sensi, così
potrai vedere il mondo in modo
diverso. Insegna al tuo corpo a conoscere ciò che ti sta
intorno ed avrai tutte
le risposte, ma fa presto: puoi resistere solo tre giorni
senz’acqua.- la
istruì, veloce, chiaro e conciso mentre lei nel frattempo
aveva come la
sensazione che il suo abbraccio le donasse calma, fermezza.
Erice si limitò ad
annuire, beandosi della vista
rassicurante di lui, dei suoi preziosi insegnamenti e delle sue forti
braccia
gelide che la stringevano:
-
ora devo
andare…- bisbigliò lui
-
no, ti prego: non
lasciar…- ma prima che lei riuscisse
a terminare la frase, l’affascinante vampiro dalla pelle
olivastra e il
pizzetto si vanificò nel nulla, come fosse fatto
dell’essenza dei sogni.
Erice si sentì come se le
fosse stata strappata una parte di
cuore dal petto, quella sensazione, contrapposta a quanto aveva appena
provato,
significava forse che tra le braccia di Santiago si sentisse bene, al
sicuro,
protetta?
Erice si risvegliò di
soprassalto, il cuore incastrato in
gola che batteva a mille, la pelle pervasa da brividi e la bocca arida
come
sabbia.
Disorientata, tardò a
comprendere quanto fosse successo ed a
far attivare il suo senso pratico: aveva bisogno d’acqua,
quella sensazione era
insopportabile; quindi si portò alla bocca le poche lacrime
che le erano
rimaste all’angolo degli occhi, o sulle guance, per bere un
po’ nonostante fossero
leggermente salate e con amarezza scoprì che la sua saliva
aveva un dolciastro
sapore di sangue.
Quanto tempo era trascorso? Possibile
che Santiago fosse
stato davvero lì, o si era immaginata tutto?
Una pigra sensazione di stanchezza la
stava abbandonando
come una biscia lenta e, solo quando inarcò la schiena e
spalancò le braccia
per stiracchiarsi, Erice comprese che si era addormentata. Dunque era
stato
solo un sogno…
All’improvviso qualcosa di
delicato le sfiorò le dita, era
sottile, forse poteva essere carta….chissà, se
avesse sforzato la vista,
avrebbe potuto leggere ciò che c’era scritto(
riusciva a sentire i solchi
lasciati dalla penna)…
No! Non c’era tempo da
perdere in futili ragionamenti. Che
fosse un sogno o meno, il Santiago che lei aveva incontrato le aveva
detto la
verità: da brava umana poteva resistere solo tre giorni
senza bere e se voleva
uscire viva di lì doveva seguire il consiglio del vampiro,
affidandosi solo ed
esclusivamente all’udito o al tatto per muoversi
nell’oscuro mondo che le stava
intorno.
Quando si alzò in piedi,-
il foglietto ormai abbandonato in
una tasca dei pantaloni- Erice si accorse che, nel buio,
c’era qualcosa di
simile ad un’orchestra brulicante di vita: fuori dalle mura
il vento soffiava,
danzando assieme agli uccelli che cantavano; all’interno di
quel dedalo di
corridoi, l’odore delle erbe che crescevano selvatiche tra
una mattonella e
l’altra del pavimento, le arrivava fortissimo alle narici,
offuscando quasi il
rinfrescante profumo dell’ unguento all’eucalipto
sotto le sue bende.
All’improvviso…udì
il fruscio di qualcosa di simile ad una
risacca a distanza le parve di riconoscere un ritmato e regolare
gocciolio
d’acqua, come quello che aveva sentito nel suo sogno.
Trattenne il respiro, sopraffatta
dall’emozione: come
avrebbe potuto fare per intraprendere il suo
“viaggio” ed essere sicura di
arrivare a destinazione?
Raccolse il viso tra le mani,
contando i propri respiri
mentre si affrettava a ripiegarsi il mantello su un braccio…
Poi, di colpo le tornò in
mente la favola di Hänsel e
Gretel, e le avventure di Teseo nel labirinto del Minotauro, che Didyme
le
leggeva quando era piccola, forse per stimolare la sua fantasia, o la
sua
memoria…non lo sapeva, ma ricordava sempre con piacere
quelle schegge
d’infanzia.
In una situazione come la sua, forse
Erice poteva agire
ispirandosi ai due fratelli o all’eroe greco, pur non
disponendo né di briciole
di pane né di gomitoli di filo.
Iniziò a fare dei passi
decisi dal luogo in cui si trovava,
approssimando più o meno una distanza, finchè non
si ritrovò le mani posate
contro un muro umido.
“bene, saranno due metri da
qui…se camminassi rasente i
muri…” pensò.
Subito quindi, posando con fare
vittorioso una mano su
quella parete, tornò a girarsi verso la direzione da cui era
partita e...senza
pensare, o forse con un’idea già in mente, si
gettò a terra, con un unico
movimento fluido, come se avesse ricevuto un’illuminazione, e
prese a raspare,
grattare con le unghie i piccoli ciuffi d’erba che le avevano
solleticato le
dita mentre era alla ricerca di quel foglietto.
Decise che, come aveva ipotizzato,
avrebbe camminato lungo i
muri e si sarebbe gettata alle spalle una manciata d’erba,
per ogni passo che
faceva.
D’altro canto se era stata
così intelligente da distinguere
quell’insieme armonioso di suoni, attorno a lei, senza
l’aiuto della vista,
sarebbe senz’altro riuscita a riconoscere l’odore
delle piantine che aveva in
mano, no?
Con un sorriso, mosse un passo
avanti, poi un altro. Il
cuore già cantava vittoria nel suo petto, mentre carezzava
con la mano la
parete accanto a lei e, nell’altra custodiva la piccola
scorta di “briciole”
che si era procurata.
Erice sfruttò quel cammino
per apprendere, ascoltare,
immaginare ciò che la circondava ed ampliare i suoi sensi,
le sue emozioni, le
sue sensazioni.
Pur essendo stata ingiusta, quella
punizione le avrebbe
insegnato qualcosa- magari ad avere più fiducia in
sé stessa- e sarebbe tornata
tra gli dei terreni che serviva, migliore, cresciuta.
Tuttavia il viaggio non fu sempre
facile: c’erano momenti in
cui il cammino procedeva dritto, altri in cui Erice era costretta a
contare le
svolte dei corridoi che aveva preso e attimi in cui, sentendosi
più forte, si
concedeva il lusso di procedere più velocemente, mentre in
altre occasioni, a
causa della mancanza d’acqua e di cibo si sentiva debole, e
nel momento in cui
si passava la lingua sulle labbra, il dolce sapore del sangue la faceva
rabbrividire.
D’un tratto, quando ormai
sentiva che le gambe l’avrebbero
abbandonata, e si ritrovò ad incitarsi da sola
perché non si lasciasse
scivolare nell’oblio, svoltò verso un ultimo
corridoio, e senza saperlo, giunse
alla salvezza.
Lo spettacolo che le si
parò davanti agli occhi, le ferì la
vista con veemenza, dopo tutto quel tempo durante il quale si era
impegnata a
non farne uso: una fila di torce fissate al muro crepitava
solennemente,
illuminando a sprazzi delle piccole celle.
Cos’era quel luogo? A cosa
servivano quelle celle?
Qui vengono
rinchiusi
quei vampiri che sono indecisi se unirsi o meno ai Volturi…
La voce di Didyme risuonò
nelle orecchie di Erice, come
fosse stata vicinissima a lei…
La ragazza ebbe la sensazione che
tutto ora, le fosse
familiare, il luogo, le celle, la voce della sua mentore…ma
non per le torce,
che erano state un elemento del suo primo sogno, bensì per
l’insieme in sé: un
piacevole formicolio le pervase il petto e si propagò in
ogni angolo del suo
corpo, era come se avesse sempre saputo che quel luogo
esisteva…
Si avvicinò con fermezza
alle torce e, esaminandole
attentamente, nonostante le rimanesse poca lucidità, prese a
sollevarle una ad
una, rimettendole poi a posto…
All’improvviso, dopo che
aveva ripetuto il movimento per la
quinta volta, una piccola sezione del muro che le stava davanti si
aprì
cigolando…
Con un sospiro di vittoria, le gambe
ormai pesanti come
piombo, la ragazza si addentrò in quel corridoio in
penombra, riuscendo a
mettere un piede davanti all’altro solo grazie
all’appoggio saldo delle sue
mani contro i muri grigi che sembravano volerla abbracciare.
Man mano che avanzava, le sembrava di
sentire la voce di
Didyme che la spronava, e da quella- nonostante temeva fosse solo
frutto della
sua mente, che iniziava a vaneggiare a causa del lunghissimo ma
indefinito
periodo di privazioni- prese forza per continuare a muoversi, a
perseverare in
quanto aveva cominciato.
Nel momento in cui iniziò
a muoversi meccanicamente, trovò,
come unico espediente per combattere le palpebre pesanti, il gorgoglio-
ormai
simile ad un ruggito - dello stomaco e le labbra lacerate e
sanguinanti, il
ripetersi incessantemente sottovoce che non doveva arrendersi
perché ormai era
vicina alla fine di tutto, era salva.
Dopo un tempo che le parve
interminabile, vide la fine del
corridoio, scorse una luce intensissima- pur coprendosi gli occhi con
un
braccio per il fastidio che le procurava- e riuscì a sentire
sotto i piedi il
liscio pavimento del Palazzo dei Priori.
Pur sapendo di non sapersi muovere
lesta come un vampiro,
leggiadra come una farfalla o silenziosa come un gatto; non
immaginò che il suo
arrivo da una fessura del muro, richiamasse l’attenzione di
Didyme e Marcus
che, forse per puro caso o magari per qualcosa di prestabilito, si
erano
ritrovati a passeggiare insieme in quel corridoio, di cui Erice
riusciva solo a
vedere le pareti che vibravano.
bisbigliavano tra di loro, e
sembravano preoccupati, ma la
ragazza non riuscì a capire quanto si stessero
dicendo…
All’improvviso
sentì solo il corpo farsi molle, e temette di
scivolare a terra, ferendosi.
Fortunatamente, al respiro
terrorizzato che le sfuggì dalle
labbra accorsero due mani, che la afferrarono, sostenendola e
l’ultima cosa che
Erice vide fu lo splendido viso di Didyme che la fissava, muovendo le
labbra
come se le stesse parlando, evidentemente sollevata.
L’umana le sorrise
comprendendo- senza sentire le parole
della vampira- che finalmente poteva abbandonare il corpo e lasciarsi
trascinare nell’oblio dalla stanchezza accumulata.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Innanzitutto vorrei
ringraziare ramona37 ed enifpegasus
per aver commentato: mi fa davvero molto piacere che il capitolo vi sia
piaciuto, mi auguro sia lo stesso anche per questo, fatemi sapere cosa
ne
pensate!
A proposito, mi scuso per eventuali
parti poco chiare o
ripetizioni, ma non ho avuto tempo di controllarlo
e…bhè come sempre, non so
quando riuscirò a postare il prossimo pezzo,
quindi…quanto siete disposti ad
aspettare?
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 8 *** quella soglia mai attraversata ***
Capitolo V
Quella soglia mai attraversata
-
ti
confesso che
mi sento davvero…sollevato,
ora che è
di nuovo qui. Mi sembra impossibile ma credo di essermi
preoccupato per lei, amore…-
-
anche
per me è
stato lo stesso: in ogni momento mi sentivo tesa ed in ansia per
lei….alla
fine, tuttavia, ce l’ha fatta! Sai che è uscita
dallo stesso passaggio che
avevo usato io la prima volta che l’ho portata qui, da
bambina?-
-
pensi
sia stato
un caso che ci trovassimo lì, proprio nel momento in cui lei
usciva? Ritengo,
comunque, che si stia dimostrando all’altezza delle prove cui
la sottoponiamo:
la stiamo addestrando davvero bene, Dolce Dee. –
-
infatti.
Credevo
che le ferite che aveva alla schiena, l’avrebbero debilitata,
e invece, è solo
leggermente disidratata…ma, dopo tre giorni nella Cinta
Muraria, mi riesce
difficile credere che, per questa piccola umana, sia
diversamente…-
-
sei
stata brava
ad inumidirle le labbra con dell’acqua, durante tutta la
notte, mi sembra che
stia già meglio. Appena si sveglia, però,
dovrà fare un bagno: ha la pelle
tutta sporca, il che mi porta a credere che abbia dormito a terra. Il
mantello
che aveva con sé deve esserle servito a poco. Chi credi
possa averglielo dato?-
-
chi
altri, se non
Santiago? Sin da quando era bambina si è interessato a lei:
è stato il primo a
chiedermi come volessi chiamarla, quando l’ho presentata al
Consiglio; voleva
sempre tenerla in braccio, giocare con lei…poi,
però, quando lei ha iniziato a
poter ricordare quanto la circondava, lui ha dovuto prendere le
distanze, per farle
capire che in noi avrebbe trovato degli dei da temere e venerare, non
degli
amici o degli alleati. Tuttavia, il nostro caro vampiro messicano, ha
sempre
cercato di prendersi cura di lei, seppur “a
distanza”; ed ho come la sensazione
che tenga alla nostra Erice…-
-
Didyme,
guarda:
si sta svegliando…-
Erice aprì gli occhi
lentamente, ma a fatica: era come se le
palpebre, dapprima cucite insieme, le venissero strappate via.
Da quel momento, tutto, attorno a
lei, l’aggredì con
veemenza: aveva la sensazione di avere la gola sommersa dalla sabbia,
tanto era
riarsa per la sete; il magnifico e proibito odore che, i vampiri che
venerava,
erano soliti emanare, l’avvolse, come fosse qualcosa di
solido, ma lei anziché
respingerlo, se ne lasciò assuefare, quasi soffocare
(più tardi avrebbe
confessato a se stessa che, in quell’oscurità, che
regnava nella Cinta Muraria,
ne aveva sentito la mancanza); e tuttavia, allontanò proprio
ciò che, in quel
periodo di buio, non aveva potuto guidarla, scaldarla, illuminarla. Il
sole.
Nonostante le pesanti tende fossero
tirate in quell’enorme
stanza in cui si trovava, ma che non conosceva, un raggio di luce
mattutina,
ribelle, si spinse ad accarezzarle il viso, incurante del fatto che le
avrebbe
ferito gli occhi- abituati ormai da molto alle tenebre.
Ed Erice di conseguenza,
sobbalzò, dolorante, subito
costretta a nascondersi- con uno scatto tanto repentino che sorprese
persino
lei- tra i morbidi cuscini del letto dove era stata adagiata, con un
grugnito
di fastidio.
-
sei stata per tre
giorni nel buio della Cinta Muraria,
posso comprendere che il ritorno alla luce non sia facile,
ma…bentornata.- una
voce melodiosa le soffiò nelle orecchie e la ragazza, con un
brivido di piacere
la riconobbe come quella che aveva udito in quello stato di incoscienza
fluttuante in cui si trovava prima di svegliarsi, credendo di stare
ancora
sognando. Didyme.
-
Mia signora
Didyme…- bisbigliò con reverenziale
rispetto. Tutto ciò che uscì dalle sue labbra,
però, fu un mugugno rauco.
-
Tieni piccola,
bevi.- il moro e tenebroso Marcus le
porse un bicchiere d’acqua, sorridendo. Erice riconobbe come
sua la seconda
voce che aveva udito nel suo sogno e si meravigliò del suo
gesto perché non lo
aveva mai visto fare gentilezze nei suoi confronti.
La ragazza ne trangugiò
immediatamente tutto il contenuto,
con avidità, sentendo con piacere che quasi le pungeva la
gola e, dopo essersi
stropicciata gli occhi ed aver tratto un profondo respiro, disse di
nuovo:
-
buongiorno, miei
signori…-
-
ciao, piccola
Erice. È un sollievo rivederti, dopo
quattro giorni…presto, fatti un bagno: il Consiglio chiede
di te da ieri…- la
esortò Didyme, tirando via, con un solo fluido gesto, le
coperte che
l’avvolgevano fino alla vita.
Erice sussultò, presa alla
sprovvista.
-
Erice,
perché ho la sensazione che tu ti senta…persa?- le domandò Marcus,
notando i
brividi che scuotevano l’umana e l’espressione
spaesata sul suo volto.
-
Perché…mio
signore Marcus, mi riesce impossibile
credere che siano passati quattro giorni…-
farfugliò, cercando di ricordare se
in qualsiasi momento avesse avvertito lo scorrere del tempo.
-
Per
l’esattezza sei stata nella Cinta Muraria solo tre
giorni- un tempo molto breve se consideriamo che sei
un’umana- il quarto lo
abbiamo trascorso io e Marcus assieme a te, qui, mentre eri
incosciente,
cercando di ridarti un po’ di vita. Quando sei svenuta tra le
mie braccia,
ieri, infatti, eri pallidissima ed avevi le labbra
sanguinanti…- le raccontò
Didyme, e subito dopo tentò di prenderla in braccio, per
paura che non
riuscisse a camminare e perché lei ancora faticava a
muoversi.
-
Non fatico a
credervi, e vi ringrazio per le vostre
premure. Tuttavia, mi riesce difficile pensare che abbia passato tre
giorni,
lì. – Erice rabbrividì, il volto basso
e la mente popolata da mille pensieri.
-
Perché
mai dici questo?- le chiese Marcus, scrutandola attentamente
con i suoi occhi cremisi, dopo essersi seduto con grazia ai piedi del
letto.
-
Perché
lì il tempo non scorre: c’è solo il
buio e il
silenzio e…- sussurrò la ragazza, gli occhi tanto
abbandonati ai suoi ricordi,
al vuoto, che non mostrò un briciolo di rispetto al vampiro
che le aveva fatto
quella domanda.
Rabbrividì ancora, e fu
costretta a raccogliere le ginocchia
al petto.
-
allora, come hai
fatto, in così poco tempo, a trovare
la strada giusta?- volle sapere Didyme, mentre prendeva posto sul
letto,
seguendo l’esempio del marito.
-
All’inizio
ero spaventata, mi sembrava di trovarmi in
un luogo senza senso; poi ho fatto un sogno ed ho capito che,
poiché mi trovavo
al buio, non mi avrebbe aiutato fare affidamento sugl’occhi.
Così ho tentato di
escluderli, convincendomi che esistessero solo gli altri quattro sensi.
E per
un po’ si è rivelato corretta l’idea che
avevo avuto ma, dopo non so quanto
tempo sono arrivata in un luogo dove c’erano delle fiaccole
alle pareti e delle
celle…e…a causa di quella luce mi sono sentita
ancora una volta persa. Questa
volta però, sapevo che mi restava poco tempo, non sarei
riuscita a rialzarmi di
nuovo ed a svegliarmi, se fossi caduta e avessi chiuso gli
occhi…d’un tratto
ho sentito la vostra voce, mia signora
Didyme e sono riuscita ad aprire un passaggio nella parete…-
narrò lei, mentre
si guardava le mani, a disagio.
-
Sai come si
chiama, il “metodo” di cui ti sei servita?-
le chiese Didyme, cercando di sorridere dopo essersi scambiata
un’occhiata
stupita con il marito. Possibile che nella sua voce Erice percepisse
una nota
di soddisfazione?
La ragazza scosse la testa,
sollevando timidamente gli occhi.
-
deprivazione
sensoriale. Annullare uno dei cinque
sensi, serve, per voi umani, a potenziare gli altri quattro. Era una
lezione
che avevo pensato d’impartirti durante il prossimo mese, ma a
quanto pare, ci
sei arrivata da sola.- fece la vampira, sfiorandole il naso piccolo,
con una
delle sue dita gelide.
Erice rimase quasi paralizzata da
quel gesto perché non era
abituata a vedere che i vampiri le mostravano affetto,
ma, pian piano, l’atmosfera si fece più calda e
rilassata,
e lei- come persuasa da qualcosa
di
superiore- si ritrovò a ridere tranquilla ed a dimenarsi
come un’anguilla
quando, senza alcun preavviso, la sua mentore se la caricò
sulle spalle- senza
neanche il minimo sforzo- e la condusse nella stanza da bagno, facendo
chiudere
a Marcus la porta.
Non appena la ragazza potè
rimettere i piedi per terra,
rimase senza parole: era circondata da marmi e porcellane finissime che
decoravano quel capiente bagno con raffinata eleganza.
Erice posò i suoi occhi
sognanti sull’immensa vasca poco
distante da lei, e subito li chiuse per provare ad indovinare i profumi
che
emanava.
-
sono sali da
bagno…alla cannella e…alla lavanda!-
esultò felice, dopo aver esaminato l’aria con
l’attento uso dell’olfatto.
-
Bene! Vedo che la
deprivazione sensoriale funziona
ancora su di te. Tuttavia, a me non serve chiudere gli occhi per dirti
che la
cannella e la lavanda sono le essenze che preferisci,
assieme…all’eucalipto,
che al momento, per la
cronaca, cosparge completamente la tua schiena.- le disse Didyme, con
un
sorriso etereo, mentre si portava alle sue spalle. Un attimo dopo le
sfilò di
dosso il mantello lacerato che indossava, lasciandola nuda davanti a
sé, con le
sole bende che le fasciavano la schiena ed i seni.
Erice tremò e perse colore
sul viso, mentre si voltava
lentamente verso la sua mentore.
-
chi ti ha fatto
questo?- le domandò la vampira, con
dolcezza, sfiorandole delicatamente il punto in cui la fasciatura era
annodata.
– perché ti batte più forte il cuore?
Non temere, non ti farò nulla, voglio
solo sapere chi ti ha curato le ferite.- continuò.
La ragazza rimase ancora in silenzio,
gli occhi bassi. Memore
del suo vano tentativo di proteggersi mantenendo il silenzio su quanto
era
successo con Felix, non voleva mentire di nuovo, per paura di una nuova
punizione, ma non voleva neppure esporre Santiago. Cosa avrebbero
pensato di
lui gli altri vampiri?
-
ti dirò
quello che penso, piccola mia.- esordì la
compagna di Marcus, sollevandole il mento con due dita- non puoi aver
fatto da
sola queste fasciature: non ne avresti avuto il tempo, mentre Santiago
ti
conduceva alla Cinta Muraria, né ne avresti avuto la
possibilità più tardi, al
buio. La persona, o meglio, il vampiro che ti ha aiutata- visto che il
tocco
qui mi sembra preciso e rapido, come solo quello di un vampiro potrebbe
essere-
deve tenere molto a te, perché altrimenti non avrebbe usato
un unguento ad un’essenza
che ami e…siamo solo in tre
a
conoscenza di questo particolare.- le spiegò, con decisione
e lucidità.- che ne
pensi se rivolgessi i miei “sospetti” su Santiago?-
Ad Erice mancò il respiro,
le sembrò di soffocare: Didyme
sapeva tutto, e c’era
arrivata con
l’aiuto della sua infallibile deduzione, senza sapere nulla o
senza bisogno che
lei parlasse.
Possibile allora che, quei discorsi
su Santiago che forse
teneva a lei, che era certa di aver immaginato, trovandosi in quello
stato di
incoscienza fluttuante da sonno, fossero invece, veri?
La vampira sorridendo, le
sfiorò una guancia con un dito
freddo e lei sobbalzò, solleticata anche dai lunghi capelli
scuri di quella,
che le si erano praticamente adagiati sul collo, di conseguenza Didyme,
scambiando i suoi brividi per freddo e non per paura, si
affrettò a toglierle
le bende, mentre la ragazza rimaneva in silenzio, inerme.
Infatti, quasi non riuscì
a sentire l’acqua calda che le
scivolava sulla pelle; non si rese conto che la sua mentore la stava
lavando
con delicatezza, che le stava disinfettando le ferite quasi rimarginate
e,
subito dopo si curava di fasciargliele.
Quando finalmente Erice riemerse
dalle sue riflessioni,
dalle sue paure, si ritrovò avvolta in un abito blu intenso,
semplice, senza
maniche e che le arrivava sotto il ginocchio. Doveva essere di Didyme
–
considerò, mentre la sua mentore la faceva girare su se
stessa, per far sì che
osservasse il proprio riflesso nello specchio che ornava la stanza-
eppure, non
riusciva ad essere felice di quel prestito, perché il timore
delle conseguenze
che lei- o peggio, Santiago – avrebbe potuto subire a seguito
di quanto la
vampira avesse detto al Consiglio, la distruggevano.
-
sta tranquilla, il
Consiglio vuole solo parlarti. Ti
accompagnerò io. – tento di rassicurarla Marcus,
notando che era ancora
pallida, posandole una mano sulla spalla.
-
Mia signora, voi
non venite?- chiese, con voce
tremante, fissando Didyme attraverso lo specchio.
-
No, devo fare una
cosa prima…ma non temere: non ti
mangeranno.- disse, tentando di ridere mentre si chinava su di lei per
darle un
bacio su una guancia.
Erice, la “preda”
dei Volturi avanzava con passo titubante
per i corridoi del Palazzo dei Priori. Si mordeva continuamente le
labbra, da
poco risanate, si inanellava nervosamente i ricci attorno alle dita e,
di tanto
in tanto, Marcus era costretto a posarle una mano sulla spalla per far
sì che
mantenesse una linea retta mentre camminava. Lei sapeva che non stava
facendo
altro che dimostrare al suo signore di essere un’incapace, di
non essere
neppure in grado di mettere un piede davanti all’altro, ma
non le importava. Non
riusciva a smettere di pensare al fatto che Didyme aveva capito tutto,
senza
che lei avesse aperto bocca; e non riusciva a smettere di tremare,
perché non
sapeva come la sua mentore avrebbe reagito.
Certo, quando l’aveva
aiutata a spogliarsi, scoprendo così
le sue bende, era apparsa tranquilla, premurosa, persino curiosa come
una
ragazzina che scopre che una sua amica è innamorata; eppure,
ora aveva appena
detto di non poterla accompagnare perché aveva qualcosa da fare…e se quel
qualcosa fosse stato dirigersi da Aro e
Caius, per raccontare tutto ciò che aveva scoperto, ed
indicare loro Santiago,
come “il vampiro che aveva aiutato l’umana, senza
permesso”?
D’altro canto, lui era l’unico
oltre a Didyme e Marcus a conoscere i suoi gusti.
-
eccoci…-
bisbigliò Marcus, distraendola.
Erice sollevò gli occhi ed
ebbe un brivido: ben presto,
troppo presto, comprese che lei e l’Anziano si trovavano
dinnanzi
all’intagliata porta del Salone Principale.
Come avevano fatto ad arrivarci tanto
presto?
La ragazza trattenne il respiro.
Quello, non era un luogo
adatto a lei. Da sempre, le era stato insegnato che quella soglia
rappresentava
un limite che lei non doveva mai varcare; e non avrebbe mai neanche
potuto, perché, in quanto umana, non ne era degna.
Inoltre, era, in un certo senso, sacra, perché, da dentro
quella stanza, i vampiri che lei onorava,
decidevano i destini del mondo.
-
io…non
posso stare qui…- mormorò, fissando Marcus di
sott’ecchi.
-
Le regole per te,
sono queste. Ma se il Consiglio
intende vederti, e chiede di te, qui, allora devi
entrare.- il tono del vampiro questa volta era fermo, serio,
rigido. Infatti, con il volto dall’espressione irremovibile,
bussò alla porta
annunciando, con voce neutra, che erano giunti.
Poi, un attimo prima che Felix e
Demetri gli aprissero, per
lasciarli passare, Marcus si girò verso di lei e, notando
che era scossa da
tremiti di paura, le rivolse un lieve sorriso. Lei tuttavia non ci fece
quasi
caso, troppo intenta a chiedersi se quello fosse davvero il momento giusto. Per quale altro motivo,
altrimenti, sarebbe stata convocata, se non la morte?
Appena varcata la “soglia
proibita”(come l’aveva
soprannominata tante volte, da
bambina) Erice
avvertì un’innaturale folata di vento e,
sollevando appena lo sguardo, comprese
che Marcus aveva preso il suo posto, nell’unico trono rimasto
vuoto.
Fu tutto ciò che vide
perché, per il resto del tempo, si
costrinse a fissare il pavimento di marmo, o addirittura, a chiudere
gli occhi,
mentre avanzava lentamente.
Giunta in un punto indeterminato,
decretò di doversi
inginocchiare, ed esordì:
-
so che il
Consiglio ha chiesto di me. Eccomi.-
-
finalmente! Dopo
quattro giorni iniziavamo a
preoccuparci, Erice.- replicò, in tono di mellifluo scherno,
Aro. La ragazza
comprese che aveva alzato la voce solo per far sì che lei lo
udisse.
-
Mi rincresce
avervi fatto attendere tanto, miei
signori.- sussurrò in risposta lei, senza muovere un muscolo.
-
Siamo curiosi di
sapere quanto ti è accaduto nella
Cinta Muraria. Dicci, come hai agito? Sei andata avanti a tentoni?- le
domandò
Caius, gelido, mentre si sporgeva lievemente dal suo trono. Lei, in
teoria,
avrebbe dovuto sentire solo la prima domanda, tuttavia, grazie ai
giorni trascorsi
al buio, a sviluppare l’udito, udì anche
l’altra che, però, era stata detta
unicamente perché solo il Consiglio la sentisse,
giudicandola così, degna di
umiliazione.
-
Veramente, la mia
signora Didyme ha definito il mio
“metodo” per uscire dalla Cinta Muraria, come
“deprivazione sensoriale”,
signori del Consiglio.- intervenne Erice, sentendosi punta nel vivo.
Un attimo di pesante silenzio, denso
di stupore, piombò
nella Sala.
-
perché
non ci spieghi in cosa consiste?- la esortò
Marcus, tentando di alleggerire la situazione.
La ragazza rimase interdetta, per un
attimo. Perché lui le
faceva quella domanda, se ne aveva sentito da poco la spiegazione,
dalla sua
compagna? Era forse per ridicolizzarla ancor di più?
Poi, però le
tornò in mente la gentilezza che aveva usato
nei suoi confronti, del sorriso che le aveva rivolto e, rilassandosi,
un po’
credette che Marcus si stesse comportando così solo per
dimostrare al Consiglio
quanto, invece, fosse scaltra.
Rincuorata da quell’idea,
azzardò un mezzo sorriso, mentre
spiegava:
-
altro non
significa che è necessario escludere uno dei
cinque sensi per potenziare gli altri. Nel mio caso, ho dovuto rendere
cieca la
mia vista per ampliare udito, tatto ed olfatto, i sensi che mi sono
serviti da
guida per tornare qui…-
-
ma che
bell’escamotage! E pensi che questa punizione,
che ti abbiamo inflitto, ti sia servita? Pensi che in futuro perderai
di nuovo
la strada?- le domandò Aro, giungendo le mani sottili in
grembo.
-
Sì, mio
signore Aro, vi ringrazio per questa
possibilità che mi avete dato, mi è servita
immensamente e vi prometto che in
futuro non ricadrò in errore di nuovo.- disse, inclinando la
testa.
-
Bene piccola
umana. Siamo soddisfatti dei tuoi
progressi. Ora và, non ti è permesso stare qui
oltre.- soggiunse allora Marcus,
guardandola con intensità.
Solo in quel momento Erice ebbe il
permesso di alzarsi e,
sempre tenendo gli occhi bassi, si affrettò ad uscire di
lì, sentendo il cuore
più leggero ed un’inaspettata sensazione di
vittoria sulle labbra.
Solo dopo aver sentito la porta del
Salone Principale
chiudersi alle sue spalle, osò spiccare una corsa
liberatoria, tuttavia, dopo
aver voltato l’angolo si sentì svuotata e
ciò che vide le gelò il cuore,
mandandoglielo in frantumi.
Didyme, i capelli color pece raccolti
appena sulle tempie in
un’infinità di boccoli che le ricadevano sulle
spalle bianche, sembrava una
ninfa- fasciata dal suo abito verde bosco- rispetto al massiccio e
scuro
Santiago, con il quale si era fermata a parlare, o meglio, a
sussurrargli
qualcosa in un orecchio.
Non appena la videro, entrambi si
zittirono, ma ebbero due
reazioni contrastanti: Didyme le sorrise, in un attimo fu accanto a lei
e le
accarezzò la testa, fugacemente, infine, incontrò
un’ultima volta lo sguardo
del vampiro messicano e si dileguò.
Santiago invece, attese che la sua
signora non fosse più a
portata d’orecchio per avvicinarsi ad Erice, inesorabile come
la morte.
-
credevo che
avresti mantenuto el silencio su quanto ti
avevo fatto!- l’aggredì, con il volto sconvolto
dalla rabbia e gli occhi illuminati
da ardenti fiamme.
-
Cosa? Io
non…- fece lei, tentando di difendersi.
Ma la voce le uscì dalle labbra in un soffio
terrorizzato.
Dove potevano essere finite tutta la
soddisfazione e la
forza provate dopo la conversazione con gli Anziani?
Prima che la ragazza riuscisse a
replicare altro, il vampiro
scomparve, senza una parola, sembrando ai suoi occhi,
null’altro che una massa
di ricci scuri dalle spalle possenti.
Così lei fu costretta ad
allontanarsi, sconfitta e, ad ogni
passo si sforzava di non piangere.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Finalmente sono
riuscita a rimettere insieme
due parole ed a farle sembrare un nuovo post, chiedo venia per il
ritardissimo
che porto, ma mi auguro che questa prima parte del cap 5 vi piaccia.
Fatemi sapere che ne pensate
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 9 *** quella soglia mai attraversata(parte 2) ***
Capitolo V
Quella soglia mai attraversata
Parte 2
Lo sapeva. Se lo sentiva che non
sarebbe riuscita a
trattenere molto a lungo le lacrime, per quanto era successo con
Santiago. Non
appena, infatti, aveva sentito gli occhi bruciarle e le guance farsi
umide,
Erice aveva spiccato una corsa folle -senza curarsi troppo degli
schiavi che
avrebbe rischiato di urtare- col solo intento di rifugiarsi nella sua
stanza,
sperando che, una volta chiusa la porta alle proprie spalle, avesse
potuto
allontanare da sé il resto del mondo.
Ed ora, se ne stava sul suo piccolo
letto, a pancia in giù,
il viso affondato nel cuscino, piangendo senza ritegno, da dieci
minuti, o
forse mezz’ora; non lo sapeva con esattezza,
perché era stata travolta con
tanta violenza dalle emozioni che l’avevano portata a perdere
la calma, da
sembrarle un’eternità anche il più
piccolo secondo.
D’un tratto, qualcuno
bussò alla porta, ma la ragazza non
parve udire null’altro che non fossero i suoi singhiozzi,
perciò, nel momento
in cui Didyme comparve sulla soglia della sua camera, quasi
sussultò.
-
Che succede qui?-
domandò la vampira, con una nota di
preoccupazione nella voce.
Nessuna risposta. Solo lacrime e
singhiozzi.
-
Che
cos’hai, Erice?- in quel momento la voce della sua
mentore, giunse all’umana, vicinissima. Un attimo dopo,
infatti, riuscendo
difficilmente a dominarsi, la ragazza realizzò che Didyme si
era seduta accanto
a lei, con un unico impercettibile movimento; ed ora le stava
accarezzando
delicatamente i ricci castani.
Questa volta ci fu solo silenzio.
-
È con
le lacrime che intendi festeggiare il tuo
compleanno, piccola?- continuò la donna.
-
No, no! Non
voglio! Che senso ha festeggiare, se devo
essere ancora viva?-
replicò Erice,
mettendosi seduta con un balzo, accecata dalla frustrazione.
-
Non credo di
capire…- Didyme si fermò, restando a
fissare quella ragazza, tanto diversa da quella che aveva visto appena
un
attimo prima.
-
Da quando sono qui
mi è stato promesso che prima o poi
sarebbe arrivato il momento giusto
per me, che avrei nutrito voi tutti con il mio sangue! Quando sono
stata
convocata dal Consiglio, oggi, mi aspettavo che succedesse proprio
quanto
attendo da molto tempo, ormai, ma ancora niente, niente!- la ragazza si
ritrovò
ad urlare contro la donna che le stava vicina, gli occhi arrossati per
il
pianto, la voce roca.
-
Poco fa, quando ti
ho incontrata nei corridoi, non mi
sembravi tanto amareggiata, anzi, eri piuttosto felice; e persino
Marcus mi ha
confermato che ti ha vista soddisfatta…come
mai questo repentino cambiamento d’umore?- Didyme
fissò intensamente la
quindicenne che le stava davanti, le labbra tese in un sorriso severo
ed
indagatore, quasi ostile.
Erice rimase interdetta per un
secondo. Non sapeva cosa
dire, come replicare. La scusa che aveva inventato non sembrava esser
servita a
nulla,: Didyme sembrava aver, ancora una volta, capito tutto.
Devi
rispetto e
venerazione a questa donna, ma lei ha detto qualcosa a Santiago, e
l’ha messo
contro di te. Menti.
La ragazza si asciugò con
decisione il viso, assunse
un’espressione fiera, e disse, fissando con fermezza la sua
mentore:
-
Ciò che
mi fa star male, è un pensiero che ho avuto
appena ho rimesso piede nella mia stanza: che senso ha tenermi in vita,
qui,
tra gli Immortali, se poi non mi fate l’onore di donarvi la
mia energia proprio
nel giorno in cui si festeggia la mia venuta tra di voi? Sembra quasi
che vi
divertiate ad umiliarmi, a farmi soffrire, rimarcando costantemente la
mia
condizione.- ringhiò Erice, a denti stretti, attenta a
regolare i battiti
cardiaci, poiché sapeva che Didyme avrebbe compreso
facilmente proprio da quel
particolare, se stava mentendo o no. Le parole le uscirono con fervore
dalle
labbra, come se le bruciassero sulla lingua: in
quell’emozione, in quella
frustrazione, c’era un fondo di verità.
-
Potrei privarti
della vita in un secondo, con un
semplice gesto: mi basterebbe stringere appena un po’ di
più la presa attorno a
questo morbido collo…- all’improvviso Didyme si
era avventata sul suo collo,
spingendola contro il muro con forza, producendo un lieve tonfo e
stringendo
appena le dita attorno al suo collo, fino a sentire il sangue che
pulsava nelle
vene di Erice.
-
Fatelo, allora,
mia signora Didyme…- sussurrò la
ragazza. Aveva il respiro corto per la sorpresa e per la stretta ferrea
della
vampira, che quasi la soffocava, mentre fissava Didyme con freddezza,
cercando
di apparire calma e caparbia. In realtà si sentiva persa:
sicuramente la sua
bugia era stata scoperta. Tuttavia, fu quasi contenta al pensiero che
l’ultima
cosa che avrebbe visto, sarebbe stata Didyme. Sarebbe morta con la
bellezza
negli occhi- quella divinità dagli occhi rossi e la natura
angelicata, la
sorprendeva ogni volta che vi posava sopra lo sguardo- e la certezza
che non
avrebbe mai più sofferto.
-
Non posso. Non
finché gli Anziani non daranno l’ordine.-
sembrava quasi sconvolta per la reazione di Erice, dapprima sempre
remissiva ed
ora invece, diversa.
Mollò
immediatamente la presa e la ragazza si accasciò in avanti,
tossendo
leggermente.
-
Mi dispiace che
ogni volta che ti guardo, ti sento
parlare di morte. Povera piccola, forse stare troppo tempo tra noi ti
sta
nuocendo? Da tempo sto cercando di insegnarti ad amare la Bellezza,
l’Armonia.
Perché i tuoi pensieri sono sempre rivolti alla
distruzione?- le domandò poi,
prendendole piano il viso tra le mani e scrutandola con afflizione.
-
L’ultima
volta che ho creato qualcosa che per me era
Bello, Alec lo ha distrutto…- bisbigliò
rammaricata Erice, raccogliendo le
gambe al petto ed annodandosele con le mani, tanto per fare qualcosa.
-
Il tuo…flauto,
sì, me ne ricordo. Mi dispiace. Ho un’idea!
Vorresti, come regalo di
compleanno, che ti insegnassi a suonare? Ma…pur facendoti
questa promessa ti
avverto che dovrai essere paziente, non credo che Aro
l’approverà molto presto-
chiese, battendo le mani con fare compiaciuto. Il suo viso perfetto si
rianimò
subito e sembrò sperare che la sua emozione si trasferisse
in Erice.
-
Mia signora, vi
ringrazio! Posso chiedervi però, il
perché di tanto interesse nel festeggiare il mio
compleanno?- volle sapere
l’umana, dopo aver versato qualche lacrima di
felicità per la proposta che le
era stata fatta.
Didyme era di nuovo in piedi,
appoggiata allo stipite della
porta. Con le braccia raccolte al petto aveva fissato
quell’umana, fino allora,
con gioia, ma a quella domanda parve irrigidirsi.
-
Devi capire,
Erice, che quando io e Marcus abbiamo lottato
per tenerti qui, pregando il
Consiglio di lasciarti vivere a Volterra, - alla condizione che quando
sarebbe
giunto il momento saresti diventata una fonte di sostentamento per noi-
molti
si sono opposti. Tutt’ora, di conseguenza si percepisce
palesemente la lieve
ostilità, verso di te, da parte di chi non era
d’accordo. Per quanto mi
riguarda, tengo molto a festeggiare il giorno della tua nascita
perché…ti ho
presa in braccio la prima volta, che eri ancora in fasce
e…ti ho vista crescere…-
le spiegò, muovendosi
lentamente verso di lei, muovendo le mani con armonia, per farle capire
meglio
i concetti che stava esprimendo. Sembrava completamente assorbita dai
propri
ricordi, emozionata nel viso millenario ed etereo, tanto che Erice se
ne sentì
risucchiare, le parve di esserne partecipe e si vergognò di
averle mentito, di
averla quasi detestata per averle messo contro Santiago.
La ragazza sentì la mano
della sua mentore che le sfiorava
una guancia, con dolcezza ed intensità e si
ritrovò ad adagiarvisi contro,
sopraffatta dall’affetto
che quel
gesto trasudava.
-
Questo
è per te. Buon compleanno, piccola mia.- le
bisbigliò in un orecchio Didyme, dopo essersi tesa verso di
lei. Senza neppure
accorgersene, Erice scoprì con una frazione di secondo di
ritardo che aveva il
polso circondato da un semplice braccialetto d’oro, sottile
ma con tanti
ciondoli.
Poi, come d’incanto, tutto
tornò come prima: la vampira
svolazzò via, velocissima e, prima di chiudersi la porta
della stanza della
ragazza, alle spalle, disse ancora:
-
Ah, dimenticavo:
Aro ti ordina di presentarti alla
Cinta Muraria, domani mattina. Vuole che impari ad orientarti anche
alla luce
del giorno. E Santiago…ti farà da guida.-
Erice avvertì
un’emozione che le dava la sensazione di avere
del terreno franato, sotto i piedi, non ebbe, però, il tempo
di reagire. Venne
lasciata sola dalla sua mentore e, troppo felice per come quella
mattina
-dapprima fausta, poi triste, poi, ora, di nuovo allegra- si stesse
svolgendo,
per dedicarsi a ciò che aveva provato sentendo parlare di
Santiago; si
abbandonò sul letto, sorridendo come una bambina, ammirando
di tanto in tanto
il suo regalo di compleanno, e ripensando all’inusuale
affetto che Didyme stava
iniziando a dimostrarle.
Tuttavia, proprio quando il viso
della splendida compagna di
Marcus le passò davanti agli occhi, un dubbio atroce
sembrò volerle offuscare
la mente: cosa poteva aver detto Didyme a Santiago, di tanto
compromettente da
riuscire a metterlo contro di lei? E, perché ora, invece,
sembrava quasi affezionata a lei?
Erice si rannicchiò su se
stessa, riflettendo sul fatto che,
comunque, pensava di esser stata molto fortunata a non venir scoperta
mentre
mentiva e, prima di chiudere gli occhi qualsiasi cosa
l’abbandonò, eccetto
l’idea che l’indomani sarebbe stato finalmente il
“Giorno del Giudizio” perché
finalmente avrebbe potuto confrontarsi con Santiago.
La felicità che aveva
provato la ragazza prima di chiudere
gli occhi, però scomparve immediatamente, non appena giunse
al camminamento
della Cinta Muraria.
Non lo sapeva ancora, ma quelli
sarebbero stati i sei mesi
più strani della sua vita.
Santiago, completamente avvolto nel
suo pesante mantello con
cappuccio, doveva avere il turno di guardia e la stava aspettando
impaziente,
stagliandosi sotto il sole mattutino come fosse stato una montagna.
Erice, giunta lì puntuale,
trovandoselo davanti con la sua
massiccia stazza e l’aspetto imponente di un titano,
rabbrividì e si inchinò al
suo cospetto, salutandolo rispettosamente.
-
Vamos,
chica!-
le disse solo, con voce adirata e le voltò le spalle con
strafottenza,
iniziando a camminare tanto veloce che la ragazza fu costretta a
correre per
tenere il suo passo.
Lei avrebbe voluto dirgli mille cose,
chiedergli cosa gli
avesse detto Didyme, ma, notando fugacemente l’espressione
rabbiosa e sconvolta
del vampiro, riuscì solo a tenere gli occhi bassi.
Il cuore le pianse per tutta la
mattinata, si sentiva in
trappola, la gola serrata in una morsa di rovi; aveva la sensazione che
qualsiasi cosa avesse detto, non sarebbe stata ascoltata o peggio, lui
l’avrebbe derisa. Doveva quindi mantenere il silenzio,
perché sicuramente, se
Santiago l’avesse vista versare anche una sola lacrima,
l’avrebbe trattata in
maniera molto più rude di quanto non stesse facendo ora:
dopo lunghe
passeggiate senza neppure un’occhiata a controllare se Erice
fosse ancora con
lui, si fermava all’improvviso, indicando con le sue dita
bianche, piccole
porzioni di quel magnifico paesaggio e le parlava in spagnolo.
Ogniqualvolta lei non replicava- e
questo avveniva ogni singola volta,
poiché lei non capiva la
lingua del vampiro- Santiago si voltava ad incenerirla con gli occhi
cremisi
che sembravano ardere delle fiamme dell’Inferno.
Erice tornò nella sua
stanza,- quando le venne dato il
permesso; a sera inoltrata, ormai- correndo come se avesse avuto i
vestiti in
fiamme e senza curarsi di guardare alcuno in viso. Le lacrime le
pungevano gli
occhi e fu quasi costretta ad infilarsi un pugno in bocca, per non
urlare.
Didyme la trovò ancora una
volta in lacrime, il volto
nascosto nel cuscino mentre il corpo, completamente adagiato sul
materasso,
veniva scosso da forti singhiozzi.
-
È
già la seconda volta che ti trovo in queste
condizioni, Erice. Ero venuta a domandarti come avessi trascorso questa
giornata, ma vedendoti così, mi è naturale
pensare che sia successo qualcosa
con Santiago.- il tono di voce della vampira era duro. Che avesse
scoperto
tutto?
Erice capì immediatamente
che non le importava: che la punisse
pure per la colpa di una menzogna, che la giustiziasse! Avrebbe
accettato che
le venisse fatta qualsiasi cosa, purché quella pena,
quell’umiliazione che
stava provando, avesse una fine.
Le era sempre stato detto che il
più grande timore dei
vampiri era avere un’anima dannata e quindi, a causa di
questo requisito, avere
la consapevolezza di accedere direttamente all’Inferno, dopo
il Giudizio
Universale di Dio ( che poi, chi era mai? Aro- Erice se lo domandava
spesso e, ogniqualvolta
glielo chiedeva- ne parlava sempre come un’entità
inferiore a lui, alla quale
piaceva mettere in soggezione gli uomini, facendo loro dono di una
condizione
debole, effimera e caduca; e, ora che lui e gli altri vampiri avevano
acquisito
tanto potere da elevarsi al suo stesso livello, lui li aveva
condannati,
privandoli dell’anima).
Ma, ciò lei non riusciva a
capire era il semplice motivo per
cui loro, -vampiri
senz’anima-
costringevano lei, -che invece si
trovava in una condizione debole, effimera e caduca, oltre al fatto che
aveva
un’anima- a muoversi in un perenne inferno terreno.
-
Mia signora
Didyme, io non capisco! Quando mi è stato
chiesto di imparare il greco ed il latino, avevo almeno dei libri a mia
disposizione! Invece ora, no! Santiago si ostina a parlarmi in spagnolo
e mi mangia- letteralmente- con lo
sguardo,
nel momento in cui non rispondo a ciò che chiede. Non
capisco perché si è
risolto a trattarmi così, come se gli avessi fatto qualcosa.
È forse un crimine
ringraziarlo per avermi curata?- sbottò la ragazza,
mettendosi a sedere sul
letto, con fare aggressivo.
La vampira, che era rimasta in
silenzio, in ascolto, per
tutto il tempo; osservò con occhio clinico ogni singola
reazione di Erice e,
d’un tratto, avvicinandosi circospetta le strinse ancora una
volta il collo:
-
Perché
tanto attaccamento a quel vampiro, umana?
Perché ti struggi tanto per un
semplice “grazie”? Devo forse pensare che tu mi
abbia mentito, ieri? Lo sai, Erice,
che ti è proibito provare altro
sentimento verso di noi, che non sia la venerazione, o il timore. Non
potrai
mai legarti ad uno dei Volturi con un sentimento che sia amicizia, o amore.- Didyme la spinse con veemenza
contro il materasso, gettando il cuscino sul pavimento e stringendole
implacabilmente la gola. Le mostrò i denti perfetti, color
perla, ringhiando ad
ogni singola parola.
Erice tentò di afferrare
le mani della sua mentore, per
allentarne la presa. Ormai non sentiva più nulla, le
orecchie le fischiavano
come se vi fosse esplosa una tempesta dentro, e il respiro le mancava.
-
Mia…mia
signora…- tentò di farfugliare lei. Ma
già
faticava a tenere gli occhi aperti.
Didyme, la lasciò
improvvisamente andare e la ragazza
avvertì delle fiamme arderle in gola, un opprimente macigno
che le veniva tolto
dal petto.
-
Mia
signora…persino le divinità accettano la
gratitudine di chi li venera….come potete pensare che possa
avere pensieri
tanto impuri nei confronti di
Santiago?- le domandò, con innocenza.
Anche questa volta la vampira parve
crederle, tuttavia
mantenne un rigido contegno e, poco prima di andarsene, disse solo:
-
I libri di
spagnolo sono in biblioteca…-
Erice si massaggiava ancora il collo
rosso, tirando di tanto
in tanto un sospiro di sollievo, mentre camminava cauta
nell’immensa,
labirintica e polverosa biblioteca del Palazzo dei Priori.
Era dovuta scendere al pianterreno,
dove il freddo e
l’umidità la facevano starnutire.
Procedeva a piccoli passi, osservando
attentamente le minute
porzioni di scaffali in mogano, che la candela accesa che aveva portato
con sé,
era in grado di illuminare.
Quel posto le aveva sempre fatto
paura, - timore ormai
sviluppato dall’infanzia- soprattutto la notte,
perché troppo esposto
all’esterno a causa delle larghe vetrate che si trovavano
praticamente su tutte
le pareti; tuttavia, ora cercando di fare respiri profondi, Erice stava
tentando di convincersi a cercare ciò per cui era venuta.
Negli ultimi tempi le umiliazioni da
parte dei vampiri che
la circondavano- Didyme compresa- si stavano facendo sempre
più incalzanti,
crudeli, violente e lei era stanca.
Era stufa di ogni cosa, e si era ripromessa che quella sarebbe stata la
sua
personale sfida: non le importava quanto tempo avrebbe impiegato,
imparando lo
spagnolo, forse avrebbe potuto dimostrare a tutti che era in grado di
fare
qualsiasi cosa volesse, e per questo era degna di rispetto.
Finalmente, trovato ciò
che cercava, si affrettò a tornare
in camera sua, con le braccia cariche di libri di qualsiasi peso e
dimensione.
Li gettò stancamente sul
tavolo della sua stanza,
ricoprendolo completamente, senza troppa grazia, e se ne sommerse,
decisa a
voltare pagine ed apprendere finché le palpebre le fossero
rimaste aperte.
Rimase sveglia tutta la notte,
prendendo appunti su ciò che
imparava, su come dovesse essere pronunciata una parola, su un
quadernino dalla
copertina rigida e le pagine completamente bianche, che aveva trovato
al suo
ritorno dall’incursione in biblioteca. E la mattina seguente,
non appena il
sole sorse, si sbrigò a lavarsi e vestirsi, indossando
l’abito blu che le aveva
dato Didyme.
Poteva considerarlo un regalo, visto
che la vampira non ne
aveva più replicato la restituzione?
Era pronta. Le sembrava quasi che
delle fiamme le ardessero
dentro e quando si presentò a Santiago, infatti, non si
lasciò intimorire dalla
sua presenza, dai suoi modi di fare ma sostenne decisa il suo sguardo
implacabile.
La passeggiata ricominciò
ed Erice questa volta gettò
occhiate al paesaggio che la circondava, anziché al vampiro
taciturno che le
faceva da guida e, quando questo parlava, si affettava a scrivere
ciò che diceva
sul suo quadernino.
Solo quando il sole era
già alto nel cielo Santiago, con un
guizzo furtivo d’occhi, la
scoprì con il
volto basso, tutta presa a scrivere qualcosa e, in un attimo fu davanti
a lei,
le strappò il taccuino dalle mani e lo gettò
lontano, diverse miglia indietro,
sul camminamento delle bianche mura che avevano già percorso.
Erice sollevò il viso
fieramente verso di lui e, sentendo
gli argini della sua sopportazione, straripare con forza, lo
attaccò:
-
qué has
hecho, Santiago? Cómo
crees que puedo
escribir lo que usted dice si usted
lanza lejos mi cuaderno?- le parole le uscirono dalle labbra
autoritarie, crude come
secchi colpi di frusta, tanto che ebbe il tempo di correre indietro a
riprendere il suo prezioso taccuino e tornare da lui, trovandolo
immobile come
una statua, come l’aveva lasciato, con una lieve sorpresa
stampata sul viso
bellissimo.
-
Vete!
Vattene via!- replicò lui, dopo un attimo di silenzio,
durante il quale una fredda folata di vento circondò
entrambi; aveva gli occhi
ridotti a fessure.
Infine,
le voltò definitivamente le
spalle, rigido.
Erice si allontanò
correndo, il cuore le batteva a mille.
Era pieno giorno, eppure Santiago l’aveva allontanata in malo
modo da lì.
“oh, no! Cosa gli ho detto?
Vediamo…che cosa hai fatto,
Santiago? Come credi che posso scrivere quello che
dici se butti via il mio quaderno?bhè…che
c’è di male? Mi sono ribellata
e sto imparando lo spagnolo!
Spero solo che non me la facciano
pagare…”pensò.
Senza neppure prestare attenzione a
dove andava, ben presto
si ritrovò nella sua stanza a prendere a pugni il suo
cuscino largo e morbido,
mentre implacabili ondate di rabbia imperversavano violente dentro di
lei.
Si sentiva dilaniata, divisa tra due
emozioni antitetiche:
la paura le attanagliava di tanto in tanto le viscere al solo pensiero
che
presto o tardi sarebbe stata duramente punita per ciò che
aveva fatto. Era
forse stata una stupida ad agire così?
Ma c’era anche
l’ira, violenta come non l’aveva mai provata,
che la scuoteva dentro, ordinandole di ribellarsi a quanto aveva subito
fino a
quel momento, continuando ad essere caparbia e decisa come quella
mattina.
Un ambasciatore, infatti, giunse a
chiarire i suoi dubbi,
prima che scendesse la sera:Didyme.
Forse
era stata
insospettita dal baccano che stava facendo, o magari era lì
solo perché era
stata avvisata dell’accaduto.
Comunque, l’avvenente
vampira si presentò prima del previsto
nella camera di Erice, e, dopo averla salutata senza ottenere la minima
risposta, le afferrò i polsi, per tenerglieli fermi,
poiché la trovò che ancora
si accaniva sul suo cuscino.
-
so quanto
è successo, piccola mia. Ti faccio i
complimenti per il proficuo studio, iniziato solo ieri.
Ma…ti serve moderazione.
Ricordati di portare
rispetto a tutti noi, ti prometto che domani stesso
solleciterò Aro a
risolversi sulla mia richiesta di insegnarti a suonare. Rimettiti a
studiare,
ora.- le bisbigliò solo, e dopo una lesta carezza- i capelli
color pece della
vampira solleticarono il collo dell’umana- scomparve oltre la
porta.
Erice, sentendosi improvvisamente
più calma,- era forse
stato merito della persuasione di
Didyme oppure della sua forza di volontà?- si
tuffò letteralmente tra i libri e
si immerse nella lettura, mentre teneva davanti a sé il
quadernino aperto.
Man mano che, giunta la sera, la
stanchezza le accarezzava
le palpebre, cullandola verso l’oblio, si ripromise che nel
periodo successivo
sarebbe stata più cauta, calma e, soprattutto avrebbe
cercato di far capire a
Santiago che esisteva e che, di
qualsiasi cosa lui l’avesse giudicata colpevole, era vana.
Tuttavia, i suoi buoni propositi di
rinnovamento si
presentavano solo la notte e, col passare delle settimane, le venivano in mente sempre
più di rado, a causa
della stanchezza, della rabbia, e della tristezza- delle quali la
ragazza
sembrava tornare intrisa dopo ogni giornata nella Cinta Muraria.
I mesi trascorrevano come una
tempesta che minacciasse ogni
giorno di peggiorare, ed Erice, quando restava sola, spesso si
ritrovava a
versar lacrime in silenzio, tra le coperte, a picchiare il cuscino, a
chinarsi
paziente sui libri che, da quando erano stati presi in biblioteca, non
si erano
più mossi dalla sua scrivania.
E,
puntualmente,
quando lei pensava a Santiago, rimpiangendo che ogni volta che gli era
vicino,
le sembrava si rivolgersi ad un muro, si sentiva abbandonata e
rifletteva sul
fatto che desiderasse ardentemente tornare anche solo a rivolgergli una parola, per non essere sottoposta al
dolore che l’essere ignorata, le provocava in quel momento.
Come fosse in grado
di leggerle nel pensiero, Didyme si presentava proprio in quei momenti
sulla
porta, chiedendole, con fare distaccato, di comportarsi con moderazione
e
lamentandosi con lei per il suo comportamento estremamente infantile
che, solo
in quell’età, sembrava stesse sviluppando.
Le sofferenze che Erice
provò in quel periodo, erano
indescrivibili; le sottili fredde, umiliazioni cui fu sottoposta,
immemorabili;
i colpi che dovette incassare, in silenzio, innumerevoli; e le sembrava
di
soffocare, di non avere più via d’uscita.
Così- sentendosi
stranamente isolata dal mondo,
condannata in un limbo senza fine- si ritrovava
ad agognare sempre con maggior fervore la morte o,- quando riusciva a
riacquistare lucidità, fissando il braccialetto che Didyme
le aveva donato, e
si ricordava delle sue parole- per scacciare quel triste pensiero, si
gettava
nello studio di quella lingua orecchiabile ed autoritaria, che iniziava
ad
odiare e che la frustrava poiché, rispetto alle ore, i
giorni, durante i quali
vi si era dedicata, esso non sembrava dare frutti.
Una fredda sera settembrina, di tre
mesi più tardi- mentre
il vento gelido soffiava maligno sulla schiena china sui libri, della
quindicenne- lei se ne stava, con fare rassegnato, a prendere appunti
sul suo
ormai inseparabile taccuino.
Poco prima di addormentarsi, posando
il viso sulle sue stesse
mani, realizzò che le parole che aveva scritto su quei fogli
bianchi si erano
intrecciate, incatenate fino a formare i versi di una poesia, piuttosto
che gli
schemi che le sarebbero serviti per lo studio dello spagnolo.
Dannata,
magnifica,
bugiarda
luna.
In
quel buio oscuro
e
freddo
mi
sembravi
la
mia unica guida.
Ho
cercato a lungo
Il
tuo viso amico,
ma
tu mi stai voltando le spalle,
mi
stai condannando
ad
una notte perpetua.
Cosa
me ne faccio di un cielo
di
vuoto velluto,
se
tu non ci sei?
Cosa
me ne faccio
della
poca razionalità che ho,
se
le gelose stelle che mi circondano
non
sono altro che crudeli schegge di vetro lucente?
Sorto
il sole, Erice aveva guardato e
riguardato mille volte quel testo, sconcertata. Quando le era sembrato
di
posarci gli occhi-la sera precedente, prima di assopirsi- aveva
immaginato che
fosse tutto frutto di un suo sogno, e invece, quella strana poesia
priva di
senso, era lì, nero su bianco a testimoniare che forse la
sua rabbia le aveva
fatto perdere la testa.
Possibile
che l’avesse scritta lei? Chi
potevano essere mai la luna, e le stelle?
La
ragazza- che ormai conosceva anche
ad occhi chiusi il percorso che era costretta a fare ogni mattina, da
mesi-
quel giorno sembrava distante, persa nei meandri di uno strano mistero
e si
rese conto di essere arrivata alla Cinta Muraria solo quando Santiago
si parò
davanti a lei. Quasi sobbalzò e questa volta fu costretta ad
abbassare lo
sguardo, sentendo gli occhi indagatori del vampiro, su di sé:
-
la prossima volta,
renditi màs
presentabile…- la
rimproverò, le labbra sottilissime, simbolo che stava
cercando di contenere il
proprio risentimento.
Erice
strinse al petto il taccuino,
con il mento rifugiato praticamente nell’incavo del collo:
era consapevole di
non avere un aspetto decente- la
paura di fare tardi mista alla sorpresa per aver trovato quella poesia
sul suo
quaderno, l’avevano spinta a non curarsi minimamente del
proprio aspetto- ma
fortunatamente per il resto della mattinata il vampiro messicano
davanti a lei,
si rinchiuse nel silenzio, lasciandola libera di dare un ordine ai
propri
pensieri.
D’un
tratto, stanca per il poco sonno
della notte precedente, la ragazza si sedette in una rientranza delle
mura,
attenta a non farsi notare, fingendo di prendere appunti e godendosi il
calore
dei raggi del sole.
Lo
sguardo all’improvviso, le si posò
-come avesse avuto una volontà propria- su una piccola
radura ornata di
ciliegi, in lontananza, e solo in quel momento si accorse che le parole
che
aveva preso a scrivere sui fogli del taccuino, si stavano intrecciando
di
nuovo, in maniera sempre più febbrile in strani versi.
Ascolta
il caldo abbraccio del sole
che
rispettoso sfiora anche queste mura:
una
scintillante corona d’opali,
baluardo
e forza
degli
Immortali…
Erice
strabuzzò gli occhi. Ora
iniziava a spiegarsi qualcosa: quelle strane poesie sembravano pronte,
in
agguato, ad uscirle fuori della penna, ogniqualvolta si sentisse stanca.
Ma
ancora non riusciva a capire la
sua necessità di parlare con delle metafore, trasformando la
realtà che la
circondava: chi avrebbe immaginato, per esempio, che la
“corona d’opali” era
una perifrasi per parlare delle mura di cinta di Volterra?
La
ragazza balzò in piedi,
improvvisamente illuminata su molti di quelli che fino a poco tempo
prima erano
stati, per lei, oscuri dubbi: quelle “poesie” le
servivano come fonte di sfogo,
per quanto le era accaduto in quei sei mesi e quanto stava accadendo.
Era
più debole e decisamente inferiore
per condizione ai vampiri che
serviva,(loro erano più veloci, più forti,
più intelligenti perfino) perciò,
lei non aveva modo di scappare da quella realtà, non poteva
ribellarsi, non
aveva la possibilità di far valere le sue ragioni, di fronte
a loro e di
conseguenza, il suo cervello- come via di fuga e come urlo di
ribellione- aveva
elaborato la composizione di alcune poesie, usando versi completamente
trasformati rispetto alla realtà che stava vivendo la
ragazza, perché ormai era
chiaro che non potesse muovere un passo o fare un respiro senza che i
Volturi
non lo sapessero.
Quei
componimenti quindi, erano una
forma delicata e nobile di menzogna, che nessuno avrebbe potuto capire,
se non
avesse “decifrato” il linguaggio che la ragazza
stava usando; del quale lei,
peraltro si stava servendo esclusivamente perché dopo
ciò che aveva fatto
Didyme nei suoi confronti- e d’altro canto per un motivo che
le appariva
ignoto- non riusciva più
a fidarsi di nessun
vampiro, non si
sentiva capace di portare loro rispetto.
Erice,
dinnanzi a quella rivelazione,
si sentì di nuovo libera, come lo era stata quando aveva
creato con le sue
stesse mani un flauto, intagliando un ramoscello; e le venne voglia di
urlare
di gioia.
“ma
secondo questo codice allora, la luna potrebbe essere Santiago,
e le stelle…i vampiri
come Felix che
mi stanno rendendo la vita impossibile” riflettè,
cercando di dare una risposta
a quella domanda che ormai da troppe ore l’assillava.
Un
sorriso tanto radioso da farle
male ai muscoli del volto le si stampò in viso, ed Erice
–nascondendo il viso
tra le mani, per non far intravvedere la sua felicità al
vampiro che era a
qualche metro di distanza da lei- finalmente comprese il
perché del suo
disperato tentativo di riappacificarsi con Santiago: lo detestava,
perché era un bugiardo incostante che, nonostante
l’intelligenza superiore alla sua, in tutti quei mesi non era
riuscito a capire
che dietro alle parole di Didyme, c’era sempre stata una
bugia ed il solo
desiderio di allontanare lui da quell’umana.
La
ragazza spiccò, senza alcun
preavviso, una corsa, decisa ad andare a parlare con Didyme del fatto
che si
sentisse in grado di comporre poesie, e per rammentarle della promessa
che la
vampira le aveva fatto; Santiago però, fu più
veloce di lei ed in breve le fu
alle spalle, le afferrò le braccia con forza,
bloccandogliele e costringendola
ad inginocchiarsi in terra.
-
che stai facendo, Erice?
Dove pensi di andare?- le domandò, freddo. Erice
sentì il suo respiro fresco
sulla pelle scoperta del collo e per un secondo abbandonò i
suoi propositi,
sentendo le gambe ed il cuore che le tremavano, la mente offuscata, e
si
ritrovò ad immaginare Santiago con i ricci scuri che gli
coprivano appena gli
occhi rossi, dandogli un aspetto ancora più minaccioso,
simile a quello di un
predatore.
-
Devo immediatamente parlare
con la mia signora Didyme. E poi…non farmi credere che,
finalmente, dopo sei
mesi, durante i quali, non mi hai praticamente guardata,
solo ora ti stai curando di dove sto andando!- riuscì a
dire, costringendosi a mantenere un tono fermo e, nel momento in cui il
vampiro
trattenne il respiro, forse intento a riflettere sulle sue parole, lei
approfittò di quel suo attimo di distrazione, per alzarsi in
piedi e guardare
in faccia Santiago, nonostante avesse ancora le braccia ingabbiate
nella sua
stretta.- Estoy muy molesto
porque
de su comportamiento, Santiago! Cómo puedes pensar que yo
había dicho a Didyme
lo que hizo para mí? Durante este período he
intentado darle las gracias porque
me has curado!* Ma tu mi stai evitando, ti comporti
freddamente e non riesco
a capire di cosa mi incolpi, dal momento che io non ho mai rivelato a
nessuno
cosa mi hai fatto prima che scivolassi nei sotterranei della Cita
Muraria. Ora,
lasciami andare: sai meglio di me che dopo tutto questo tempo ho
imparato a
memoria ogni singolo centimetro di questo camminamento.-
gli confessò, urlando e mantenendo un tono controllato
alternativamente.
Una
nuvola oscurò il sole. Il cono
d’ombra permise a Santiago di abbandonarsi il cappuccio sulle
spalle e, parve
accompagnare il logorante silenzio che avvolse il vampiro e
l’umana, mentre lui
la lasciava andare ed i due rimanevano a fissarsi, fiamme cremisi in
uno
scintillante luccichio verde bosco.
-
non hai più bisogno di
stare qui, chica. Hai imparato
ciò
che dovevi e…se ciò che dici è vero, lo
siento**…- bisbigliò, prendendo la mano
della ragazza tra le sue e
portandosela alle labbra, per lasciarvi un bacio leggero.
-
cosa ti ha detto,
Didyme?- volle sapere Erice, il cuore le batté
più veloce, sentiva che il gelo
tra loro stava per sciogliersi e si sentiva incapace di allontanarsi da
lui, di
staccare gli occhi dai lineamenti perfetti, massicci e protettivi dei
suo volto
dalla pelle olivastra.
Ancora
una volta silenzio, e questa
volta lui non rispose: fissò qualcosa oltre la spalla della
ragazza e, con la
morte dolorosa e rabbiosa nello sguardo la allontanò, poco
prima di sparire
lungo la Cinta
Muraria.
*
Sono
molto turbata a causa del tuo comportamento, Santiago! Come
puoi pensare
che io abbia detto a Didyme quello che ha fatto per me? Durante
questo tempo ho provato a ringraziarti perché mi hai guarito!
**
mi dispiace
ANGOLO
AUTRICE
Ciao
a tutti! Innanzitutto vorrei
ringraziare Ramona37 per aver commentato. Poi, vorrei dire altre 3 cose:
1)
con vostro grande
rammarico, il cap si è rivelato più lungo del
previsto, di conseguenza devo
fare anche una parte 3 nella quale, spero si capirà cosa ha
detto Didyme a
Santiago.
2)
la visione di Dio di cui
parla Erice, non è la mia ma è quella che ho
cercato di fornire attraverso gli
occhi di Aro, cercando di immedesimarmi in lui.
3)
Non so praticamente nulla
di spagnolo ma spero che con la traduzione ci si sia capito qualcosa.
Fatemi
sapere che ne pensate,
un
baciotto
marty23
|
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Capitolo 10 *** quella soglia mai attraversata(parte 3) ***
Capitolo V
Quella soglia mai attraversata
Parte 3
Erice non aveva smesso di correre da
quando aveva lasciato
Santiago, alla Cinta Muraria e, nonostante il silenzio la circondasse,
non sembrava
più capace di calmarsi, non riusciva a smettere di pensare a
Santiago, al suo
respiro che le aveva carezzato soavemente il collo ed al suo sguardo
intenso su
di lei.
Ora, piegata su se stessa ed
appoggiata ad un muro in un
corridoio del Palazzo dei Priori, aveva il respiro corto, ma non
riusciva a
provare dolore per i suoi polmoni in fiamme; piuttosto il pensiero di
che cosa
potesse aver visto il vampiro, di tanto sconvolgente da spingerlo a
comportarsi
di nuovo in maniera fredda e distaccata con lei -dopo un fugace lampo
di
dolcezza- le occupava praticamente ogni fibra della mente.
Dalla torre del Porcellino giunse un
intenso rintocco. Tirò
un sospiro di sollievo: era mezzogiorno. Un particolare peraltro
confermato da
un imbarazzante borbottio del suo stomaco. Fortuna che non ci fosse
nessuno nei
paraggi.
-
non sai, cara
Erice, che non puoi disertare dagli ordini
che ti abbiamo dato?- ecco, aveva parlato giusto in tempo:
una voce
delicata ma pungente la fece sussultare. La ragazza sollevò
lo sguardo, il
cuore le batteva a mille, e trovò dinnanzi a sé,
la splendida figura slanciata
di Didyme che, puntellandosi contro la parete con la schiena, la
osservava a
braccia conserte, con una nota di severità nel sorriso
lucente.
-
Mia signora
Didyme…Santiago mi ha confessato che non ho
più nulla da fare al suo fianco, di conseguenza sono tornata
subito qui, per
mangiare qualcosa e chiedervi la possibilità di parlare con
voi: devo mostrarvi
una cosa e chiedervi cosa vi ha risposto il mio signore Aro in merito
alla
richiesta che gli avete fatto…- spiegò Erice, il
viso imperlato di sudore, i
ricci incollati alla fronte.
La vampira non disse nulla, sorrise
semplicemente dinnanzi
al tono tremante eppure lento e chiaro dell’umana e, senza
attendere un
permesso di qualche tipo, avvolse un braccio attorno alle sue spalle,
sollevandola
appena da terra, ed iniziò a correre lesta come il vento.
Erice, sorpresa da quella reazione,
si irrigidì- mentre si
sforzava di non urlare- e chiuse gli occhi avvinghiandosi alla sua
mentore,
poiché non aveva modo di sottrarsi alla sua stretta
d’acciaio.
Nel momento in cui potè
rimettere a fuoco la realtà, e
riprese a respirare naturalmente, si ritrovò seduta al
tavolo lucido delle Cucine-
un “regno” solo suo peraltro, visto che i vampiri
non mangiavano; nel quale
però si divertivano a fare incursioni, di tanto in tanto,
per verificare che
fosse tutto in ordine. Davanti a lei, una succulenta e profumata
bistecca che
attendeva solo di essere divorata.
Lei sollevò lo sguardo
verso Didyme che, intenta a
sciogliersi la cascata scura di capelli, sulle spalle, doveva aver
cucinato per
lei.
Quando quella le diede il permesso di
iniziare con un
semplice cenno del capo, Erice si sforzò di ricordare quanto
le era stato
insegnato sul buon comportamento a tavola, ed iniziò a
mangiare, silenziosa.
-
hai capito
perché ti abbiamo detto di andare di nuovo
alla Cinta Muraria?- le chiese Didyme, d’un tratto, posando
le mani sul tavolo
e tendendosi verso di lei.
La ragazza, la bocca ancora piena, la
fissò- con quella
scintilla negli occhi cremisi, era magnifica, nonostante la sua posa
avesse un
che di animalesco.
-
perché
sapessi orientarmi anche non protetta dal
buio…ed imparassi lo spagnolo.- replicò lei,
pensando a quanto spesso Santiago
le avesse mostrato il paesaggio attorno al camminamento, che avevano
ammirato
per mesi, insieme e che, per lei ormai era divenuto familiare, una
sorta di
punto di riferimento.
Dopo un eterno secondo di silenzio-
durante il quale la
ragazza temette di dover tremare per aver risposto in maniera errata-
Didyme,
annuendo, scoppiò in una melodiosa risata e, dopo aver
ripreso il controllo di
sé,- sistemandosi in maniera fulminea i capelli dietro un
orecchio- iniziò a
camminare avanti e indietro, gettando di tanto in tanto occhiate ad
Erice, che
continuava a mangiare.
-
pronta e coerente,
come risposta: molto bene, piccola
Erice. Ora, per tornare a quanto ti avevo promesso: ho parlato con mio
fratello, ed ha accettato che sia io ad insegnarti a suonare
ma…ha anche
aggiunto che, poiché devi imparare la moderazione,
vuole che tu impari a disporre i fiori
e l’arte della poesia, da
sua moglie
Sulpicia.- le comunicò, parlando della strana arte dei fiori
quasi con
disgusto. “pazzesco- pensò Erice, ammirandola-
è bellissima persino quando
prova repulsione.”
-
Mia signora, vi
chiedo scusa per il mio comportamento
di questi giorni, che sicuramente non può definirsi consono.
Ogni cosa era
legata alla frustrazione che provavo poiché lo spagnolo mi
sembrava una lingua
impossibile da imparare, vi prometto che non accadrà mai
più; inoltre vi
ringrazio per ciò che avete ottenuto dal mio signore Aro ed
accetto di buon
grado ciò che lui mi comanda.- disse la ragazza, con tono
formale.
Finalmente, l’acuto occhio
cremisi di Didyme si posò sul
taccuino che Erice teneva sulle proprie ginocchia e lei, nonostante
rabbrividisse all’idea che la sua mentore potesse
rimproverarla, si sforzò di
sorridere:
-
vedo che hai
apprezzato il mio regalo, piccola…- fece
la vampira, avvicinandosi a lei, rassicurante.
-
Mia
signora…è voi che devo ringraziare per questo?-
replicò l’umana, tanto sbalordita da
quell’affermazione che rischiò di mandarsi
di traverso un pezzo di carne.
Didyme si mosse con tanta
velocità da rendersi invisibile
agli occhi di Erice: lei comprese che la vampira aveva preso il suo
quadernino
solo grazie all’innaturale spostamento d’aria che
improvvisamente si produsse
nelle Cucine e, grazie anche al fatto che, un attimo dopo, glielo vide
in mano.
-
noto con piacere
che lo stai anche usando…- considerò
quella, rigirandoselo tra le mani e scorgendo tracce
d’inchiostro lungo le
pagine. D’un tratto, senza troppi scrupoli lo
aprì, leggendo le due poesie
composte dalla ragazza.
-
No…no
mia signora. Potreste trovare banali quella
specie di vaneggiamenti…- intervenne l’umana,
scattando in piedi preoccupata,
con il cuore in gola,- ed inoltre spostando anche di malagrazia, con il
suo
movimento, il piatto vuoto che si trovava sul tavolo- alla vista della
sua
mentore che si impicciava dei suoi scritti.
Tra quelle righe nere,
c’era parte dell’anima di Erice, del
suo pensiero, delle sue emozioni e, nonostante fosse un linguaggio
“in codice”,
la ragazza scoprì per la prima volta una strana emozione che
le sorgeva nel
cuore, una sorta di prurito, un fastidio provocato dall’idea
di non poter avere
neppure dei pensieri da poter definire propri.
-
non sono affatto
banali, invece…chissà cosa ne
penserebbe Sulpicia…- sussurrò Didyme,
più a sé stessa che alla ragazza, mentre
restava immobile come una statua di cera, sfogliando pagine nel bel
mezzo delle
fredde Cucine. Poi, all’improvviso sollevò lo
sguardo e, tirando indietro la
testa con un gesto che la fece sembrare ancora più sensuale,
fece segno ad
Erice di seguirla.
Ormai era sera, ed attraverso le
splendide vetrate lo
scroscio impetuoso della pioggia e il rombo borbottante dei tuoni,
affascinava
Erice, che si muoveva in quella parte- a lei sconosciuta, nonostante i
quindici
anni trascorsi- del Palazzo dei Priori, sollevando lo sguardo,
ammaliata.
Didyme la precedeva, avanzando sicura
come una dea.
Le due camminavano da tutto il
pomeriggio e nonostante di
tanto in tanto la vampira sollecitasse Erice ad accelerare il passo, la
ragazza
non sembrava avvertire lo scorrere del tempo perché troppo
intenta a
trasformare la violenta tempesta di emozioni che imperversava dentro di
lei,
alla vista di quello spettacolo, in parole.
D’improvviso, Didyme si
fermò, e la ragazza quasi rischiò di
scontrarsi con la sua marmorea pelle di gesso, quando si rese conto che
lei si
era arrestata dinnanzi ad una porta di sinistro frassino.
La moglie di Marcus la
spalancò, e subito disse:
-
i miei ossequi a
te, dolce cognata. Ti porto un’allieva
che ai miei occhi appare piuttosto promettente per la delicata arte
della tua
amata poesia…-
Un tuono accolse il loro ingresso, e
la stanza subito venne
rischiarata a giorno da un lampo che seguì tutto, ma
nonostante quel frastuono,
le parole di Didyme risuonarono chiare in ogni angolo.
Sulpicia, la bionda e posata moglie
di Aro, completamente
coperta di indumenti neri- persino i suoi capelli erano celati da un
delicato
foulard di pizzo di quel colore- aveva dato loro le spalle fino ad
allora,
perché, troppo rapita a scrutare il mondo attraverso una
delle grosse finestre
della stanza, di colpo si avvicinò alle due, svolazzando sul
pavimento a
scacchi di quel luogo, mentre declamava versi poetici col tono
monocorde di un
rosario.
Dopo aver degnamente salutato la
sorella del marito,
Sulpicia chiese ad Erice di farsi avanti e, nascondendo con un falso
sorriso
rivolto a Didyme, la smorfia di delusione che riservò alla
ragazza, iniziò ad
esaminarla, girandole attorno e fermandosi di tanto in tanto, con una
mano
sotto il mento, per sottolineare a se stessa chissà cosa.
Erice, messa in soggezione da quel
modo di fare, chiuse
finalmente il quadernino, e lo strinse al petto raggomitolando
lì, con quello,
anche le proprie braccia. Tento di non far notare che era scossa da
leggeri
brividi, sintomo che simboleggiava quanto la infastidisse essere
“studiata”
come un animaletto da laboratorio, e così, per non
appesantire con troppe
emozioni la sua mente, si soffermò a rievocare il ricordo
formatosi non appena
aveva varcato la soglia di quella stanza: rischiarata dal chiarore dei
lampi,
quella vampira le era sembrata uno spettro, così vestita e-
si disse Erice –mai
come ora pensava di aver avuto ragione.
Sulpicia si muoveva attorno a lei in
maniera fluida, ma con
un che di viscido nell’intimo che la faceva apparire un
serpente. La ragazza,
per non far sì che anche il cuore la abbandonasse, si
sforzò di ricordare ciò
che sapeva di Sulpicia, visto che non aveva mai avuto troppi contatti
con lei:
le era sempre sembrata un essere divino, ma sospeso tra
realtà ed
immaginazione, eclissata nel suo mondo fatto di parole e Bellezza
eterna, dal
quale lei, fisicamente ogni tanto tornava, per mostrare rispetto al
marito o
alla sua famiglia, ma non il suo spirito, non i suoi occhi, che
apparivano
costantemente velati, persi in un altro luogo e un altro tempo.
D’un tratto vide, tra le
sue scheletriche mani bianche come
quelle di un cadavere, il suo taccuino ed ebbe un fremito. Come poteva
averlo
preso senza che lei se ne accorgesse?
Didyme, dietro di lei, le
posò una mano su una spalla, per
rassicurarla e farle un cenno che, le fece capire che era stata lei a
passarglielo.
-
non
c’è che dire, le sue poesie sono passabili….sì,
sì se il mio signore lo
comanda, penso di poterle insegnare qualcosa di ciò che so.
– bisbigliò la
moglie di Aro, dopo qualche attimo trascorso a sfogliare pagine- e con
una mano
sola-si disse la ragazza, osservandola- perché
nell’altra reggeva un grosso
bicchiere di vetro, chiamato “grand ballon” ed
usato solitamente per i vini
rossi e corposi- Erice non ricordava dove l’aveva letto ma la
definizione le
venne subito in mente- eppure, quel liquido rosso che lo riempiva per
metà, non
poteva essere vino, visto che i
vampiri non ne bevevano….che fosse, dunque, sangue?
Ad Erice rombarono le orecchie, una
violenta rabbia le montò
nel petto e le parve che la pelle le andasse a fuoco. Oltre ad essere
spaventata per quello che sarebbe stato il suo destino una volta che
fosse
stata lasciata sola con Sulpicia –l’avrebbe
divorata, oppure avrebbe succhiato
la sua linfa vitale fino a non lasciarne neppure una goccia per gli
Anziani?-
si chiese, adirata, come potesse, quell’essere distaccato da
cielo e terra,
definire le sue poesie passabili,
se
Didyme, appena un attimo prima, le aveva detto che non erano affatto
male?
La ragazza già sapeva come
sarebbe andata a finire: avrebbe
sicuramente odiato Sulpicia, come non aveva mai detestato nessun altro
della
sua razza.
-
ah, Aro mi diceva
oggi, di domandarti se potevi
insegnare ad Erice, l’arte di disporre i fiori, per
migliorare la sua calma interiore…-
disse d’un tratto
Didyme, e la sua voce armoniosa parve risvegliare Erice che, con
sorpresa la
individuò ormai già con metà del busto
fuori della porta.
-
Molto bene,
Didyme. Farò ciò che Aro mi chiede.- le
assicurò la vampira bionda, rigirandosi con perizia il
bicchiere tra le mani e
bevendo d’un sorso le ultime gocce di sangue rimaste.
-
E,
Erice…da adesso, fino a tutta la mattina ascolterai
ciò che Sulpicia ti dirà poi, io e te ci vedremo
questa sera nella Sala da
Musica…- aggiunse la moglie di Marcus, ammiccando verso la
ragazza con un
sorriso, prima di sparire oltre la porta.
Le successive ventuno ore- durante le
quali, ovviamente, le
fu vietato di dormire- furono le peggiori in assoluto di tutta la vita
di Erice
–o perlomeno di tutta quella che aveva vissuto fino a quel
momento.
Sulpicia inizialmente la
riempì di domande, poi iniziò a
parlare della Poesia, come Arte coinvolgente; in grado di calmare il
più
irruento degli animi; di incitare alla rivolta il più mite
agnellino; di creare
musica anche con poche sillabe o di risollevare il cuore- e questo
argomento,
notò Erice, sembrò farla gongolare come il
più buffo essere umano- più tardi
evidenziò nel suo monologo, il fatto che, al mondo,
esistevano solo due tipi di
poeti: quelli che nascevano con la Poesia
nel sangue, e quelli che, invece, traevano
ispirazione- molto misera rispetto a quelli che erano dotati per
natura- dalle
più piccole cose, dalle più semplici emozioni.
Sulpicia, ovviamente si riteneva
parte della prima categoria, ed aveva relegato Erice nella seconda, con
un
gesto di sufficienza e le parole “ma
solo
se avrai la pazienza di starmi un po’ a sentire, fragile umana”.
Lei aveva parlato tanto veloce che la
ragazza faticò a
comprendere tutto il discorso, tuttavia, la moglie di Aro si
curò di scandire
le parole ben bene per farle comprendere che la considerava meno di
nulla come
poetessa ed Erice a stento riuscì a controllarsi per evitare
di serrare i denti
e ringhiarle contro.
In seguito, -il sole finalmente era
alto nel cielo-si
preoccupò di mostrarle il tono giusto da usare per declamare
i suoi
componimenti e di farle capire come doveva incedere mentre declamava.
Ed
infine, si sedette in terra, invitando Erice ad imitarla e dispose dei
fiori
alla rinfusa, perché la ragazza li sistemasse secondo il
proprio gradimento.
Erice inizialmente esitò,
tremando: Sulpicia, in quella
posizione le ricordava più un’oscura sirena
assetata di vendetta, che non una
vampira. Poi, quasi costringendosi, riuscì a sedersi e, dopo
essersi rigirata
tra le dita dei magnifici tulipani e delle margherite, chiuse gli occhi
in
attesa di un’ispirazione.
Quando riuscì a calmarsi
completamente, i battiti del cuore
rallentarono e nella sua mente apparve chiara, un’immagine:
il bellissimo prato
di ciliegi osservato di sfuggita qualche tempo prima, dalla Cinta
Muraria, e le
parve fosse quello a guidarla perché terminò in
breve tempo e riuscì
addirittura ad inebriarsi del profumo di quei fiori.
- ora devo andare, mia signora, la
mia signora Didyme mi
aspetta…- disse, alzandosi in piedi e prostrando appena il
viso a Sulpicia,
rimasta a terra.
Senza attendere una parola dalla
vampira, la ragazza corse
via, allontanandosi da quella strana figura che le comunicava
così tanta
freddezza, troppo attaccamento alle regole, soffocamento, insomma per
la sua
poetica d’occasione legata soprattutto alle emozioni che
provava.
Quelle ore le erano sembrate pesanti
e rafferme come metallo
che al trascorrere di ogni minuto, si consolidavano attorno a lei,
andando a
formare una sorta di gabbia immaginaria.
Giunta finalmente nella Sala da
Musica, ne ammirò con
stupore il bianco colonnato, il pavimento di granito che sembrava avere
riflessi rosa ed ovviamente l’arredamento: un’arpa
dal rivestimento dorato
sembrava fissarla con altera fierezza da un lato, così come,
dalle loro
custodie semiaperte negli angoli, i lucenti violini. Tuttavia lo
strumento che
più di tutti sembrava esercitare un richiamo forte su di lei
era il regale
pianoforte a coda che, dal centro della stanza sembrava un leone che
vegliasse
sul suo reame.
-
allora, come
è andata la tua “lezione” con
Sulpicia…?-
le domandò una voce che somigliava ad un delicato
scampanellio.
Didyme, avvolta in un semplice abito
blu notte comparve da
dietro una colonna come se vi ci si fosse appena materializzata e le
sorrise.
-
molto bene, mia
signora. È stato piuttosto facile
disporre i fiori, tuttavia non capisco la necessità- che la
mia signora
Sulpicia ha sottolineato mille volte- di declamare ciò che
si compone e,
soprattutto, di camminare mentre si
declama…- il tono di voce di Erice sembrava quasi uno sbuffo
seccato, così
Didyme non potè fare a meno di ridere mentre le si
avvicinava, e dopo averle
avvolto un braccio attorno alle spalle la fece sedere allo sgabello del
pianoforte. Per un attimo, la ragazza, avvolta da
quell’atmosfera che le
appariva di nuovo familiare e rassicurante si promise di far cadere i
suoi
propositi di odio contro Sulpicia.
-
Vedrai che
andrà meglio…- la rassicurò Didyme,
regalandole un sorriso.
-
Me lo
auguro…- replicò lei. “ma sono comunque
certa che
sia io che Sulpicia stiamo facendo di tutto per renderci la vita
impossibile”
pensò, ma non aprì bocca stavolta.
Le ore trascorse con Didyme, si
rivelarono piacevoli e
fluide,- al contrario di quanto era accaduto con la moglie di Ari-
tanto che la
ragazza esibì una buffa smorfia di tristezza nel momento in
cui la sua mentore
le comunicò che poteva andare a riposare.
Didyme aveva usato con lei maniere
dolci, pazienti e posate,
per tutte e tre le ore che avevano trascorso insieme e non si era fatta
scrupoli nell’elogiarla quando le sue mani avevano cominciato
a svolazzare
sicure e delicate come farfalle sui tasti d’avorio del
pianoforte, producendo una
piacevole melodia.
Per i tre mesi successivi le giornate
di Erice divennero
fitte d’impegni: al mattino vedeva Sulpicia e con lei si
esercitava a disporre
fiori atteggiandosi nello stesso tempo con maniere accorte e posate, e
provava
a comporre( facendo anche chilometri sul pavimento di quella stanza) ma
lo
stretto- e quasi soffocante- legame della vampira con le regole,
l’importanza
eccessiva che dava alla forma, facevano solo chiudere la ragazza a
riccio e non
riusciva a comporre così si allontanava con la mente e
desiderava di evadere-
non troppo lontano- il suo limite era la Sala
da Musica, dove Didyme la attendeva sempre
con gioia, le insegnava la fluidità dei suoni,
l’importanza delle emozioni in
quanto esse potevano influenzare le composizioni al piano, ed Erice
tornava a
sognare, ad emozionarsi e, ogniqualvolta tornava nella sua stanza,
componeva
poesie fino a tardi.
Non poteva immaginare
però, che il suo pensiero silenzioso,
espresso tre mesi prima proprio davanti alla mentore che di
più adorava, era
divenuto realtà tanto che, un giorno di maggio, il livello
di sopportazione di
Sulpicia per Erice, giunse al limite- di pari passo probabilmente al
livello di
sopportazione della pelle della vampira per il sole- e
sbottò:
-
è
impossibile insegnarti qualcosa, in quella testa
vuota non entrerebbe comunque nulla, tu,
che ti definisci “poetessa”e sei così
sdolcinatamente legata alla tua
preziosa…ispirazione! Togliti dalla mia vista e va a
cercarla da qualche altra
parte.-
Erice non fu offesa dalle sue parole,
anzi, le sembrò di
aver ottenuto ciò che da mesi agognava: la
libertà.
Subito, quando la domanda “dove potrei cercare
ispirazione?”le affollò la mente, le
apparve
davanti agli occhi un unico luogo: il prato dei ciliegi.
Per nulla scoraggiata dal fatto che
quel posto fosse fuori
dalle mura di Volterra, Erice - dopo essersi equipaggiata di qualcosa
da
mangiare, una penna, il proprio taccuino e un ago che, dopo aver
rammendato
l’abito che indossava, dimenticò nel risvolto di
una manica (sopraffatta
com’era dalla felicità) passò per i
sotterranei della Cinta Muraria,
ripromettendosi che sarebbe tornata in tempo per la lezione con Didyme
e, attenta
a non essere vista, si lasciò finalmente Porta
all’Arco alle spalle pronta ad
abbracciare la sua piccola avventura.
La radura era più distante
di quanto avesse immaginato, ma
la passeggiata per le verdi e dolci colline toscane- nonostante fosse
accaldata
ed avesse la fronte imperlata di sudore- contribuì a
calmarla ed a non farle
notare quel particolare.
Le aspre parole di Sulpicia ormai
erano un’eco lontana.
Finalmente, poté
abbandonare il corpo sul soffice prato
smeraldino della radura e, dopo essersi rotolata spensieratamente
sull’erba
ridendo come una bambina, si decise a mettersi seduta per ammirare
ciò che la circondava.
La semplice bellezza di quel luogo le tolse il fiato: era uno spazio
circolare,
circoscritto da numerosi ed eleganti ciliegi in fiore; il sole che
colpiva ogni
piccolo particolare come una mano che carezza qualcosa, mise in luce
dinnanzi a
lei, le tonalità pastello dei morbidi fiori di ciliegio; i
tronchi nodosi
eppure dall’aria rassicurante e saggia, degli alberi; le
sfumature del prato,
così simili a quelle dei suoi occhi.
Quando riuscì a dare di
nuovo un senso logico ai propri
pensieri, Erice notò l’infinità di
margherite che spuntavano qua e là tra gli
steli d’erba e si adoperò per raccoglierne quante
più potesse. Sedendosi a
gambe incrociate, utilizzò la gonna del vestito per
custodire quante più
margherite possibile, con un unico pensiero in mente:
“ne farò un
bracciale da regalare a Didyme!”
Si servì infatti, anche di
steli d’erba un po’ più duri e si
ritenne soddisfatta solo quando quelle margherite assunsero la forma di
un
piccolo cerchio perfetto.
D’un tratto il vento
iniziò a soffiare facendo sì che i suoi
capelli danzassero assieme alle armoniose fronde degli alberi.
Ad Erice venne
un’improvvisa, irrefrenabile voglia di
scrivere: non aveva mai sentito un profumo di fiori tanto intenso, non
le era
mai capitato di vedere un luogo dove regnasse tanta armonia, non le era
mai
capitato di sentirsi tanto libera, le sembrava tutto un sogno, a causa
della
tanta perfezione che la circondava!
Di colpo iniziò a scendere
la pioggia: delle gocce delicate
e fresche, tipicamente primaverili che, quando toccavano la ragazza, la
facevano sentire pura come fosse appena nata. Ed ebbe voglia di
celebrare tutte
quelle scoperte con una danza.
Erice non sapeva ballare, ma non le
importava, si muoveva
come le ordinavano il vento, la pioggia, il proprio corpo- girando di
tanto in
tanto su se stessa, lasciandosi sfiorare i capelli o sollevando le mani
affinchè la l’acqua gliele baciasse;
poiché, visto che attorno a lei ogni cosa
sembrava danzare, le sembrava una scortesia restare ferma ad osservare.
La ragazza allora, sentì
la voce della pioggia, riconobbe il
suo canto delicato che, scrosciando contro le foglie, accompagnava i
suoi
passi; ogni cosa ora sembrava illuminata da una luce diversa,
più tranquilla,
ancora più magica ed Erice si sentì perfetta in
quel quadro naturale,
finalmente libera.
E quando fu tanto stanca da sentire i
polmoni arderle per la
fatica, si accasciò in terra, carezzando con le dita i fili
d’erba che le
capitavano a tiro.
- bene, bene, bene…ma che
brava ballerina sei…posso
chiederti come ti chiami, ragazza?- una voce vellutata e suadente,
apparsa dal
nulla per disturbare la sua quiete, fece sobbalzare la ragazza, che si
rimise
immediatamente in piedi.
Erice se lo trovò davanti,
ed avvertì la terra che le
franava sotto i piedi: un vampiro dalla schiena leggermente ricurva,
scalzo ed
avvolto completamente in una pelle di leone; la chioma disordinata,
color
carota sbiadita e gli occhi rossi, praticamente tendenti al nero, che
rilucevano febbrili, animati dalla follia.
Era affascinante, come tutti i
vampiri selvaggio ma
pericoloso come una pianta carnivora.
La ragazza solo allora comprese di
avere veramente paura di
lui ma, come le era stato insegnato, poiché non era
onorevole mostrare la
paura, si concentrò per studiarlo attentamente, in silenzio,
curandosi di non
fare il minimo movimento o di non lasciar palpitare il proprio cuore
perché
sapeva che lui avrebbe percepito tutto.
“è un nomade,
senza dubbio e…i suoi occhi…sta morendo di
fame…”ponderò Erice, che aveva
sentito parlare dei vampiri nomadi solo da Marcus, e
considerò anche- non senza
tremare- che lei era l’unica preda commestibile nel raggio di
chilometri.
-
dimmi prima il tuo
nome…e perché sei qui? Non sai che è
vietato cacciare a Volterra?- gli domandò di rimando lei,
ripensando alle dure
leggi dei vampiri che le erano state insegnate sin da piccola.
-
Mi chiamo Justin,
e sono stato convocato dai Volturi
assieme a mio fratello Logan, ma abbiamo percorso così tanta
strada che ora mi
sento molto affamato…e tu, col tuo delicato profumo di loto,
sei così invitante…posso
approfittare del tuo
sangue quanto voglio, sai? visto che siamo fuori dalle mura di
Volterra,
piccola saccente!- disse il vampiro, ed in un attimo le fu addosso;
Erice sentì
soltanto il tonfo del suo di loro due che urtavano un albero
lì vicino ed
avvertì il lancinante dolore che ne conseguì.
Il corpo di quel folle nomade,
Justin, le premeva
fastidiosamente contro mentre, bloccata tra lui e il tronco
d’albero non poteva
far altro che assecondare i suoi movimenti- un’opposizione
sarebbe stata
inutile contro la sua stretta d’acciaio- ora che lui le stava
spingendo il
volto in su, in modo da lasciarle il collo scoperto, e si preparava a
morderla…
Erice chiuse gli occhi, le gambe che
le tremavano, e tre
volti le apparvero subito dinnanzi: quelli di Didyme, Marcus e Santiago.
Il cuore ormai aveva preso a batterle
senza sosta e lei
riuscì solo a mormorare:
-
Santiago…aiutami.-
-
Ah, ah, ah! Chi
è Santiago? Il tuo ragazzo?- le chiese
Justin, schernendola mentre rideva senza ritegno e saltellava sempre
tenendole
il collo fermo.
“è davvero
pazzo…” pensò Erice.
-
Justin! Lasciala
andare!- ordinò perentoria una voce,
poco distante. Con la poca lucidità che le era rimasta,
Erice immaginò si
trattasse del fratello di cui Justin aveva parlato, Logan.
-
Sta’
zitto, occhi
gialli! Invece di essere contento della preda che ho trovato
e cibartene
subito, te ne stai lì a rimproverarmi…oh! E tra
poco sicuramente ricomincerai
con la storia che
“ci-dobbiamo-cibare-di-animali-perché-è-più-giusto”!-
replicò
il nomade che la teneva ferma, sempre continuando a ridere e
saltellare, da
bravo schizofrenico.
-
È
un’umana, e non ti lascerò farle del male!-
minacciò
il fratello. Erice, che sino ad allora aveva pensato che la sua
condanna a
morte fosse ormai doppiamente firmata a causa della sua
stupidità, si ritrovò a
ringraziare il cielo per averle mandato Logan Occhi Gialli.
All’improvviso un paio di
possenti mani afferrarono Justin
per la schiena e di conseguenza Erice venne trascinata via, visto che
il
vampiro non si decideva a mollare la presa su di lei; tuttavia, lei, a
differenza del nomade, fu scagliata lontano, praticamente
sull’altro versante
della piccola radura e subito, prima che avesse la
possibilità di aprire gli
occhi, percepì uno strano spostamento d’aria, il
sole che veniva oscurato.
Logan, del quale però ora
poteva vedere solo la schiena
muscolosa, si era parato davanti a lei, e nonostante Erice ipotizzasse
che il
motivo fosse la sua difesa, non riuscì ad impedirsi di
tremare.
Cosa ne sarebbe stato di lei, ora?
-
perché
ti comporti così, Justin? Abbiamo avuto lo
stesso creatore eppure io mi cibo di animali, tu di umani. Hai ucciso
nostro
padre perché non condividevi la sua scelta di vita, ci hai
lasciati orfani…e
lui ti chiamava “il Giusto”!- nella voce vellutata
del vampiro c’era
un’intensissima nota di disperazione e, Erice, pur non
conoscendolo si ritrovò
a condividere il suo tormento.
-
Ho fatto
ciò che era giusto!
Siamo vampiri, è
questa la nostra natura! Tu sei un mostro contro natura, non
io! Ed ora lasciami passare, ho
fame!- gli urlò contro, il fratello, acquattandosi in
posizione di attacco.
-
Per questo ti ho
portato dai Volturi, perché siano
loro, la nostra suprema autorità, a decidere!
E…no! Per toccare quest’umana
dovrai passare sul mio cadavere!- lo minacciò Logan,
imitandolo nella posizione
d’attacco.
Erice chiuse di nuovo gli occhi,
rannicchiandosi, in attesa
del peggio e…meno di un secondo più tardi tutto
ciò che udì fu il rombo
straziante di un tuono.
-
sbagliato, hombres!
Non l’avrete mai!- la ragazza riconobbe immediatamente quella
voce e nel cuore
le sbocciò un’ondata di sollievo tanto violenta da
sommergerla.
Santiago era lì, tra i due
fratelli e li teneva saldamente,
a distanza di sicurezza, ognuno in una delle sue mani.
Sembrava un angelo vendicatore che
allontana i propri nemici
da una sua protetta e, nel momento in cui i loro sguardi si
incontrarono, ad
Erice sembrò di scorgere sul volto d’alabastro di
lui, un timido sorriso, gli
occhi pieni di gioia nel saperla salva.
Tuttavia, un’improvvisa
folata di vento, fece arrivare il
suo odore, reso ancora più intenso dalla pioggia di cui si
era bagnata, alle
sue narici, e Santiago si trasformò in una belva tanto
implacabile da
terrorizzare anche la ragazza.
Scaraventò lontano Logan
con un solo movimento,che andò a
sbattere contro un albero, distruggendolo. Quello però,
rimasto incastrato lì
sotto, decise saggiamente di restare dov’era.
Poi, il vampiro spagnolo
dedicò tutte le sue energie a
Justin che però si muoveva velocissimo e lo confondeva.
Erice, vide che era in
difficoltà e si sentì stupida,
inutile. Cosa poteva fare per lui?
Un’altra zaffata di vento
le accarezzò i capelli bagnati, e
stavolta Santiago respirò a pieni polmoni il suo profumo di
loto. Ormai
distratto dall’intensità di
quell’essenza, stava avanzando verso Erice,
inesorabile come la morte; la bocca inondata di veleno.
La ragazza comprese che ormai
probabilmente era giunta la
sua ora- il vampiro che era suo salvatore, ora stava per trasformarsi
in suo
carnefice- e si rese conto della fame che doveva avere Santiago,
osservando i
suoi occhi: erano cremisi, ma tendenti al nero e con profonde occhiaie
scure
sotto, simili a bruciature.
Le era sempre stato detto che, quando
i vampiri che serviva
soffrivano la fame, era meglio per lei star lontana da loro, ora che il
suo
profumo aveva assunto una tonalità…dissetante.
Cosa poteva averle detto la
testa, quel giorno di tanto stupido, da spingerla ad impelagarsi in un
simile
pericolo?
Ormai Santiago era ad un metro da
lei, ed Erice iniziò a
piangere: non voleva morire sapendo che sarebbe stata
l’ultima volta in cui
avesse visto il viso bellissimo e proibito del suo amato Santiago.
Amato?
Ma cosa
andava blaterando? Possibile che la morte la facesse vaneggiare a tal
punto.
Finalmente si riscosse e, nonostante
avesse la vista
appannata da un velo di lacrime, riuscì a distinguere la
figura di Justin che,
dalla sommità di un albero, si preparava ad attaccare il
vampiro messicano.
-
Santiago,
attento!- urlò, indicando quel punto con un
dito.
Ma il balzo del nomade avvenne
comunque…
Fortunatamente, Santiago
riuscì a voltarsi repentinamente, e
ad afferrarlo prima che questo gli azzannasse il collo. I due vampiri
finirono
a terra, lottando furiosamente, menando colpi potenti e veloci, spesso
a vuoto
sotto lo sguardo atterrito di Erice e Logan, poco distante da lei.
-
vattene, Erice!-
riuscì ad urlare il vampiro messicano,
fissandola di sfuggita mentre, con la schiena premuta contro
l’erba, cercava di
respingere Justin.
Erice non se lo fece ripetere due
volte: nonostante la stanchezza
e la paura, si mise in piedi, la mente vuota, preoccupandosi solo di
mettere
quanta più distanza possibile tra lei e i tre vampiri. Solo
quando fu al sicuro
tra le mura d’opali di Volterra, udì distintamente
il suono secco di membra che
venivano strappate, ed il crepitio di un fuoco che veniva appiccato e,
ringraziando il cielo che ancora piovesse, si lasciò andare
ad un pianto
liberatorio, pregando che le gocce di pioggia, nascondessero
ciò che provava.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi qui il mio nuovo
pezzo, l’ultima parte
del 5 cap, mi auguro vi piaccia!
Un ringraziamento a ramona37 (grazie
x la dritta in spagnolo
scritto ma…per caso sai come si fa sulla tastiera il ? o il
! al contrario? E
per favore, potresti controllare che i miei vaneggiamenti spagnoli
siano
scritti bene?)e a luce70,(anche a me piacciono i lieto fine ma qui mi
sa che la
notte sarà scura come pece, subito prima dell’alba
;) )per aver commentato, mi
fa davvero piacere leggere cosa ne pensiate della mia storia, mi sprona
a
continuare, a migliorare…insomma, GRAZIE!
Fatemi sapere che ne pensate anche di
questo
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 11 *** insegnamenti affilati ***
Capitolo VI
Insegnamenti affilati
Erice, la schiena abbandonata ad un
muro possente e
muschioso, si mordeva le labbra per costringersi a non piangere.
D’un tratto, dopo un unico,
appannato, rapido sguardo al
cielo- da dove un fulmine le ringhiò contro-si decise a
riprendere a correre, la
pioggia le scrosciava sulla pelle con fare sempre più
rabbioso; l’istinto di
sopravvivenza, la paura e la vergogna la dilaniavano e si
sentì al sicuro solo
quando entrò nel Palazzo dei Priori dove, oltrepassando i
corridoi più in
fretta che poté, stette attenta a ricacciare indietro le
lacrime, per non farsi
sentire da tutti i vampiri che sicuramente, in seguito alla sua
entrata,
stavano tenendo le orecchie tese.
Si fermò davanti alla Sala
da Musica dove, certamente,
Didyme la stava aspettando ed allungò una mano, per bussare
ma, mentre cercava
di ricomporsi, realizzò che gli abiti bagnati le pesavano
fastidiosamente
addosso, facendola apparire patetica.
Fu allora che una scossa di terrore
puro l’attraversò: era
bagnata fino al midollo e, nel prato dei ciliegi, era stata proprio la
pioggia
a rendere più invitante il suo odore alla narici di quel
folle vampiro che
quasi l’aveva uccisa…
Di colpo, dopo tutto quel tempo
trascorso a respingere i
ricordi di quanto era appena accaduto, il viso di Santiago le
passò dinnanzi
agli occhi e lei rabbrividì ancora; il suo sguardo omicida,
famelico, mortale
le avevano reso chiaro che lui aveva bramato
ardentemente il suo sangue, la sua essenza, -che Justin aveva definito
“fiore
di loto”- e nulla l’avrebbe fermato…
Cosa avrebbe impedito ora, dunque, a
Didyme di mangiarla non
appena avesse sentito il suo profumo intenso?
La ragazza fece un passo indietro,
gli occhi persi nel
vuoto, le orecchie che le fischiavano, mentre quasi si infilava un
pugno in
bocca per non urlare ed in breve si ritrovò a spiccare una
corsa, senza
pensare, parlare o respirare e dalla quale riemerse, sentendosi al
sicuro solo
quando udì il tofo della porta della propria stanza
chiuderlesi alle spalle.
Erice, la schiena premuta contro la
porta, sentì le gambe
che le si sbriciolavano sotto il peso di tanta tensione e, senza
rendersene
conto, scivolò lentamente verso il pavimento. Finalmente
potè tirare un sospiro
di sollievo e dedicare un po’ di tempo a riordinare i propri
pensieri: la
pioggia di quel pomeriggio aveva reso più intenso il suo
odore, cosa che aveva
attirato il vampiro Justin e suo fratello Logan, che avevano dichiarato
di
esser stati convocati dai Volturi.
“ok, questi sono i
problemi; ora è necessario che cerchi delle
soluzioni: appena smetto di tremare, vado a fare una
doccia…magari l’odore si
attenua con un’acqua che sia diversa da quella piovana; ma il
mio odore, ha
attirato Justin e Logan, due vampiri abbastanza…singolari, che come unica cosa
comprensibile, hanno detto di essere
stati convocati dai miei signori. Logan è stato chiamato dal
fratello ‘occhi gialli’e
sembra che abbia tentato
di proteggermi…vorrei
parlarci, ma
sicuramente Santiago lo avrà arso vivo”.
Sin da ragazzina, Erice aveva
imparato che quando la sua
razionalità veniva offuscata dalla paura, lei stessa doveva
prendere in mano la
situazione e, darsi delle indicazioni su quanto doveva fare per
rilassarsi. Fu
esattamente ciò che fece, anche questa volta: cercando di
riscuotersi dal
timore che le attanagliava le viscere, al ricordo di quelle immagini
davanti a
sé, ed all’idea delle conseguenze che avrebbe
potuto subire se solo avesse
cercato di spiegare come mai si trovava fuori dalle mura di Volterra; e
riuscì
a nascondersi in bagno dove il potente getto della doccia,
abbracciò le sue
membra nude, cercando di scacciare il freddo dovuto alla paura, che la
ragazza
sentiva dentro di sé.
-
Erice! Erice,
perché non sei venuta alla lezione?-
all’improvviso, la voce cristallina di Didyme,
tuonò al di là della porta,
assieme a possenti scosse contro la porta.
Erice, che per un attimo aveva
dimenticato ogni cosa la
circondasse, riemerse con violenza dal suo stato di abbandono mentale
e, col
cuore in gola, si affrettò a tornare in camera, avvolgendosi
come meglio potè
in un semplice asciugamano bianco. Era il momento della
verità. La sua signora
Didyme avrebbe saputo ogni cosa…
O forse no?
- mi dispiace mia signora!
Ma…vedete, la mia signora
Sulpicia mi ha dato la possibilità di uscire da Volterra, e
rimanere nei
dintorni per cercare ispirazione per le mie poesie. Dopo qualche tempo
sono
stata sorpresa da…un temporale
e…ora
sono completamente bagnata…- tentò di spiegarle,
mentre tentava di tenere a
bada le pulsazioni cardiache.
Udì distintamente la
vampira che inalava, attraverso la
porta chiusa a chiave e, quando quella tentò di trattenere
un ruggito, Erice
comprese che anche lei bramava il suo sangue, ma immaginò
che la sua mentore
-nonostante stesse di certo provando gli stessi istinti di Santiago,
verso di
lei- cercasse a stento di dominare la sua natura animalesca per evitare
di
distruggere la piccola porta che le separava, e saltarle addosso.
-
in nome del Cielo!
Il tuo profumo è fortissimo,
piccola! Ascolta, porterò con me, lontano da qui,
l’intero Corpo di Guardia e
gli Anziani: è molto che non ci nutriamo
e…rischieremmo di farti del male.
Resterai da sola con i servi. Perché tra venti minuti non
vai ad esercitarti al
pianoforte? Sarai sola e…al sicuro.-
le disse Didyme, parlando tanto in fretta che lei dovette concentrarsi
per
capire tutto ciò che le stava dicendo. La sua voce giungeva
alle orecchie di
Erice attutita, come se tenesse la mano davanti alla bocca, mentre
parlava.
La ragazza avvertì un moto
di commozione nascerle nel petto:
Didyme si stava preoccupando per lei, stava facendo di tutto per non
farle del
male e lei…le aveva mentito. Ma la vampira al momento,
sembrava non essersene
accorta.
-
sì,
sì mia signora, farò come dite. Vi…vi
ringrazio.-
sussurrò lei, la voce di nuovo incrinata da altre lacrime in
agguato.
Poi, in un battter
d’occhio, tutto si fece silenzioso, sia
al di là della porta della sua stanza, sia in tutto il
Palazzo dei Priori-
Erice se ne accorse qualche minuto più tardi, quando,
più calma, praticò la
deprivazione sensoriale.
Finalmente al sicuro, pulita e
circondata dalla quiete più
assoluta, quasi tombale, si affrettò ad attraversare i
corridoi, fino a
rinchiudersi nella Sala da Musica, dove trascorse ore intere a far
scivolare
armoniosamente le dita sui tasti d’avorio del pianoforte a
coda.
In realtà quel tempo
interminabile, ai suoi occhi, si
ridusse ad una semplice manciata di minuti e, pian piano che suonava,
le sue
paure; il rimorso per aver detto solo parte della verità a
Didyme; l’agitazione
del suo cuore; svanirono, scivolandole via da dosso, come fossero state
acqua.
Quando il sole stava per sparire
all’orizzonte, proiettando
la sua calda luce obliqua nella stanza, Erice iniziò ad
avvertire la stanchezza
che, delicata e trascinante le si era insinuata nelle membra, e stava
rischiando
di farla assopire.
D’un tratto, la porta della
Sala da Musica si spalancò, e
sulla soglia comparve la graziosa figura di una vampira minuta, i
capelli
argentei raccolti in due spesse trecce abbandonate sulle spalle.
Sorrise
all’indirizzo della ragazza:
-
piccola Erice, sei
qui da oggi pomeriggio, e non hai
ancora mangiato. Vuoi che ti prepari qualcosa?- la ragazza sapeva chi
era: si
chiamava Evangeline, ed era la serva cui era stata affidata da neonata,
una dei
pochi che l’aveva sempre trattata come fosse stata sua
figlia; l’unica che non
sentiva mai i morsi della fame quando le stava accanto, in quanto i
Volturi la
costringevano a bere sangue animale, a causa della sua condizione
sociale.
L’umana si alzò
e, con quanto slancio riuscisse ad avere,
piroettò delicatamente davanti a quella vampira eternamente
intrappolata nel
corpo di una trentacinquenne, e ne prese le fredde mani tra le sue.
-
no grazie, dolce
Evangeline. Non ho fame, penso che
andrò a riposare.- le disse, incapace di distogliere lo
sguardo dai suoi
profondi occhi neri.
-
È molto
strano, non è da te privarti del cibo. Ho
notato subito che il tuo profumo è più intenso
del solito…è forse per questo
che l’intera Corte e tutte le Guardie sono andate a caccia?-
le domandò,
osservandola con fare materno.
-
Ecco…vedi…-
stava per blaterare Erice, ma all’improvviso,
alle spalle di Evangeline, comparve un vampiro smilzo, quasi denutrito,
gli
occhi vitrei ed i capelli color grigio topo.
-
Evangeline, nelle
Prigioni c’è un vampiro che è stato
catturato da Santiago…gli ordini sono di non dargli da
mangiare finchè non ci
dice chi è ma….non riesco ad avvicinarmi a
lui…- la informò quello, e mentre
parlava nessuna emozione gli solcò il volto di creta quasi
sgretolata; sembrava
addirittura non essersi accorto della presenza di Erice.
-
E
quindi…hai pensato che, siccome sono una donna,
potrei persuaderlo meglio a
parlare, no?- replicò, decisa con un tono a metà
tra il divertito ed il
seccato, mentre raccoglieva le braccia al petto.
Un silenzio teso calò tra
i tre, Evangeline era immobile
come una statua, ferma, ed attendeva che il vampiro desistesse dal suo
proposito. Erice, sembrava non essere in grado di udire nulla di quanto
le
stesse accadendo intorno, contenta com’era di poter provare
di nuovo emozioni
che non le distruggessero l’anima; era davvero sollevata che
Santiago avesse
catturato qualcuno.
Quasi sicuramente si trattava di
Logan, uno dei due fratelli
che aveva incontrato alla radura oltre le mura, - Justin doveva essere
ormai
ridotto ad un mucchietto di cenere- e l’unico pensiero che
ora le vorticava
nella mente era la certa possibilità di poter parlare con
quello sconosciuto, e
chiedergli perché fosse stato definito “occhi
gialli” dal fratello, oltre a
come mai avesse tentato di proteggerla.
Se lei era umana, ed era destinata a
diventare cibo per
vampiri, non era normale da parte sua, cercare di…proteggerla, no?
-
verrò
con te, Evengeline!- propose allora, riemergendo
dai suoi ragionamenti con un leggero balzo di felicità.
La vampira la fissò
perplessa, come se si stesse chiedendo
se quella aveva tutte le rotelle al suo posto, mentre si sistemava
distrattamente una spallina della sua semplice tunica, ma alla fine le
sorrise,
e le avvolse un braccio attorno alle spalle, premendosela contro il
gelido
corpo ossuto; poi, insieme, si diressero alle Prigioni.
Quel luogo buio era solito mettere i
brividi a tutti,
infatti, il servo coi capelli color topo aveva lasciato sole le due
durante il
tragitto. Evangeline tremava ad ogni passo; ma non Erice. La ragazza
ormai
conosceva a memoria ogni angolo di quei sotterranei, ed inoltre, la
presenza
accanto a sè dell’unica vampira, oltre a Didyme,
che l’avesse coccolata e
trattata con dolcezza, sembrò darle forza.
Di colpo, la pacata, Evangeline, la
vampira dal sorriso
splendido si bloccò, proprio quando si trovarono ad un metro
di distanza dalle
celle: Erice vide distintamente – nonostante le torce sul
muro illuminassero
ogni cosa con strisce di luce tremolante- il suo volto di cera
contrarsi in una
smorfia di sofferente tormento, mentre ringhiava appena.
Lei non ringhiava mai.
-
Evangeline,
va’ pure, se non ti senti bene…penso io a
parlare con questo vampiro.- le consigliò lei, bisbigliando.
In breve, nonostante le avesse
gettato un’ultima occhiata
preoccupata, la vampira scomparve, senza parlare ed Erice, chiudendo e
riaprendo velocemente gli occhi, scoprì di essere rimasta
sola.
Fece un ultimo respiro profondo e,
cercando una qualche
fonte che le desse tranquillità, mosse qualche passo
avanti…
Di punto in bianco ebbe la sensazione
di scontrarsi con
violenza contro una montagna, di avere un’opprimente peso che
le passasse da
parte a parte; le ginocchia le cedettero e la ragazza fu costretta a
rannicchiarsi su se stessa, boccheggiando, mentre uno straziante,
sconosciuto
tormento la schiacciava a terra.
Sollevò lentamente lo
sguardo, decisa a non farsi vincere da
quella brutta sensazione, e vide che le sbarre della cella che aveva
davanti,
tremavano leggermente, rendendole impossibile fissarle a lungo.
-
ah, sei tu,
ragazza! Sono così contento di vederti
viva, sapendo che mio fratello non ti ha fatto del male. Ma se sei
qui…significa che i Volturi hanno catturato anche te
e…il destino che ti
attende ora, sarà molto peggiore del mio…- la
sensazione di tormento abbandonò
Erice, lesta come un battito d’ali, ed il vampiro chiamato
Logan apparve, come
dal nulla, al di là delle sbarre.
la ragazza aveva ascoltato con
attenzione le sue
malinconiche, accorate parole, mentre tentava di rimettersi in piedi,
provando
a riprendere a respirare regolarmente: sembrava che lui tenesse veramente a lei.
-
cosa mi hai fatto,
Logan?- gli domandò lei, sconvolta.
Si sentiva addirittura incapace di guardarlo, tanto le era sconosciuto
ciò che
le era appena successo.
-
Dimentico che
conosci già il mio nome. Mi dispiace, per
tutto, per oggi pomeriggio e per…questo:
è il mio potere e, aspettandomi chiunque, tranne te,
l’ho usato per difendermi.
Investo coloro che mi circondano con ondate di tormento, tanto che
riesco a
rendermi invisibile ai loro occhi…- le spiegò,
dapprima sorpreso, poi pacato,
mentre la fissava con urgenza, come se temesse di averla ferita.
Era così diverso da
Justin, più pacato; sembrava che
emanasse calma.
In quel momento, forte di quella
nuova sensazione, Erice si
costrinse a sollevare lo sguardo verso di lui, per esaminare
quell’essere,
mentre con fare circospetto, sedeva sul pavimento dinnanzi alla sua
cella: era
un uomo appena fatto, intrappolato per sempre nel corpo di un ventenne
dal
fisico atletico ed asciutto; aveva una folta chioma castano rossiccia,
raccolta
in una coda di cavallo e i suoi occhi avevano una strana sfumatura
dorata. Un
colore che la ragazza non aveva mai visto.
-
perché
i tuoi occhi sono dorati?
Perché tuo fratello Justin ti ha chiamato “occhi
gialli”? e
perché hai tentato di proteggermi?-
solo quando le parole le sgorgarono dalle labbra come un fiume in
piena, Erice
si rese conto del suo forte bisogno di avere delle risposte, in barba
al fatto
che si fosse ripromessa di mantenere la calma. Non aveva affatto
pensato mentre
parlava, e aveva spesso distolto lo sguardo poichè le era
riuscito difficile
sostenere lo sguardo di quello sciagurato prigioniero.
-
Vedi….ragazza,
sono stato trasformato in un vampiro a
causa di un incidente, ma non accettavo la mia natura, la mia continua sete di sangue, e così ho
iniziato a
vagare per il mondo in attesa di…qualcosa.
Quando mio padre mi ha trovato, ho
saputo che lui era ciò che attendevo: ho imparato che potevo
sopravvivere senza
uccidere alcun essere umano, nutrendomi di sangue animale. Per questo i
miei
occhi sono così. Devo molto a mio padre, in quanto mi ha
fatto comprendere che
noi vampiri dovremmo proteggere gli
umani, poiché siamo più forti, e più
veloci di…voi.- iniziò, e le parole
uscirono dalle sue labbra sottili, amare piene di ricordi, ma anche
appassionate, tanto che Erice si sentì invadere da queste
emozioni, e tuttavia
rimase anche perplessa.
-
Cosa? Vuoi dire
che i vampiri possono trasformare gli umani
in altri vampiri?- fece lei, senza
parole.
Logan annuì, il suo viso
di granito mutò in una maschera di
dolore e tormento, antichi quanto lui, probabilmente.
La ragazza, il cuore che aveva
iniziato a batterle più
velocemente, si avvolse nel mantello che aveva portato con
sé dalla sua stanza,
quello di cui le aveva fatto dono Santiago, poco prima che venisse
rinchiusa
nella Cinta Muraria. Sul pavimento umido cadde un foglio, lo stesso che
lei
aveva toccato, al buio, ma che non era riuscita ancora a leggere.
Bè, quello non era proprio
il momento adatto: doveva ancora
assimilare il senso delle parole appena udite.
-
quindi…i
vampiri possono bere anche sangue animale?-
chiese di nuovo, mesta.
-
Certo, tu non
mangi la carne degli animali? Ma pochi lo
fanno, la maggior parte dei vampiri si nutre di sangue umano ed i
Volturi sono
una sorta di vessillo, per questi. Ecco perché mi rammarico
del tuo destino,
ora che ti hanno catturata.- mormorò Logan, scrutando la
pelle d’avorio di lei,
con tristezza.
-
Cosa dici? Io sono
nata
qui, non sono stata catturata, ed
amo
i Volturi, li venero. Sono pronta a
dare il mio sangue per loro. È questo il mio destino.- quasi
gli ringhiò contro
mentre rispondeva, sentendosi punta nel vivo.
In quel momento di furore, lei si era
alzata in piedi,
avvicinandosi tanto a Logan da premere il corpo contro le sbarre della
cella di
lui.
Il vampiro le scoccò
un’occhiata sdegnosa, quindi prese a
camminare avanti e indietro, come un leone in gabbia ed infine, senza
alcun
preavviso, si fermò davanti a lei, e strinse le proprie
braccia attorno alla
sua vita, per far sì che il suo sguardo si incatenasse
meglio al suo.
-
devi essere folle.
Dovresti essere attaccata alla vita,
come tutti quelli della tua razza. Non so proprio come fai ad adorare dei vampiri, che prima o poi ti
uccideranno, privandoti del tuo bene più prezioso, e
berranno il tuo sangue…-
la rimproverò, con forza.
-
Onestamente non lo
capisco neppure io…ma sei stata
brava piccola umana, hai scoperto più di noi, nel minor
tempo possibile.- una
voce profonda risuonò nel buio striato di luce, facendo
sobbalzare entrambi.
Erice, che avrebbe riconosciuto
ovunque quella voce, si girò
nella sua direzione nonostante fosse un po’ impacciata dalla
presa di Logan;
aveva gli occhi lucenti e centinaia di brividi le pervadevano ogni
centimetro
di pelle. Logan non la lasciò andare, anzi, il suo sguardo
si fece feroce,
protettivo e, a giudicare da come il vampiro appena arrivato si teneva
a
distanza da loro, e tentava di guardare verso i due senza essere capace
di
vederli, Erice indovinò che lui doveva aver attivato il suo
“scudo”.
-
ti ostini a
restare legata a noi, Erice, nonostante sai
che siamo diversi, che Didyme, come qualsiasi altra vampira non
può averti
partorita, perciò non sei….nata
qui,
e non sarai mai una di noi. Ma a te non importa, no? E ci adori e ci
difendi
con fierezza. Sono molto sorpreso dal fuoco che ha animato i tuoi
occhi, quando
quest’insulso vegetariano
ti ha
provocata, chica.-
la ragazza avvertì il
cuore che le si incastrava in gola.
-
Santiago,
perché parli così? Perché metti in
dubbio la
mia fedeltà ai miei signori?- urlò lei, dapprima
il suo tono era stato
spaventato e sottomesso ma ora, la rabbia l’aveva invasa,
come una marea,
rendendola cieca, sorda e muta a qualsiasi cosa che non fosse quanto
stava
provando in quel momento.
Con un’energia ed uno
scatto repentino che neppure lei sospettava
di avere, si avventò contro Santiago,sciogliendo facilmente
la stretta
d’acciaio di Logan e piombando sul vampiro messicano con
irruenza, forte
soprattutto del fatto che, grazie allo “scudo”
poteva godere dell’effetto
sorpresa.
Quando avvertì il tonfo
della schiena di Santiago contro il
muro di spessa pietra, comprese anche di avergli immobilizzato le mani,
stringendole nelle sue.
I due si fissarono in cagnesco per
diversi momenti, ma negli
occhi di lui, sembrava esserci più sorpresa che rabbia:
- perché ti comporti
così, Santiago? Perché mi lasci credere
che posso fidarmi di te, dal momento che curi le mie ferite, ma poi mi
eviti, e
metti in dubbio la mia fedeltà verso questa famiglia?! Ti
odio!- lo accusò,
liberandosi finalmente per la prima volta di tutta la rabbia accumulata
nei
suoi confronti, e sempre trattenuta.
Il vampiro messicano la
fissò per un altro secondo poi rese
nulla l’opposizione fisica che lei gli faceva e la situazione
di vantaggio
dell’umana, ebbe breve vita: senza alcuno sforzo e con un
solo movimento, lui
fece sì che fosse Erice ad avere le spalle al muro, e lui,
invece, potesse
tenerla ferma, premendo il proprio petto contro i suoi seni.
In quel momento lei comprese di
essere in trappola, la tanta
vicinanza con Santiago, inoltre, col suo respiro fresco, col suo fisico
perfetto le facevano risultare difficile respirare, o formulare un
pensiero
coerente e non riusciva a spiegarsi il perché.
Santiago le sollevò il
mento e, dopo un fugace attimo in cui
lei si concesse di gettare uno sguardo ai suoi occhi e potè
rilassarsi poiché-
visto che le sue iridi erano tornate a brillare di un rosso intenso,
come
quello delle rose appena colte- seppe che aveva mangiato;
abbassò gli occhi e
rimase sempre zitta.
-
non osare farle
del male, bastardo!- lo minacciò Logan
dalla cella, probabilmente vedendo sparire la ragazza dietro la stazza
possente
del vampiro.
Sia Erice che Santiago lo ignorarono,
però. Sembrava che,
ora che erano l’uno alla presenza dell’altra,
null’altro esisteva.
Fu allora che, dalla tasca del
mantello della ragazza,
scivolò fuori quel foglietto, di nuovo. Fortunatamente
Santiago ebbe la
prontezza di afferrarlo prima che toccasse terra.
-
è
questo che pensi di me, chica? Mi
odi?- il suo tono era quasi divertito.
Erice non rispose, mantenne il mento
praticamente
schiacciato contro la mano del vampiro che aveva davanti,
preoccupandosi di
controllare le emozioni che imperversavano in lei, e mantenere il
respiro
regolare.
-
non sai quindi
che, quando eri piccola,mi sono preso
cura di te? Ho giocato sempre con te, ti ho raccontato delle
favole…vuoi sapere
cosa c’era scritto su questo biglietto?- fece,
mostrandoglielo- “buona fortuna,
chica. Ti voglio bene.”.
Didyme deve
averlo trovato mentre ti curava, perché subito dopo mi ha
avvertito di starti
alla larga- ed era proprio lei che ho visto, qualche giorno dopo,
mentre
eravamo alla Cinta Muraria- altrimenti saresti stata fuorviata, e non
avresti
compreso che dovevi venerarci e non
amarci, ma…io non posso
fermare ciò che sento…-
continuò il vampiro, fissandola
serio, dopo essersi sistemato un ricciolo scuro dietro
l’orecchio.
La ragazza avvertì che le
gambe le tremavano(fortuna che
Santiago la sorreggeva): grazie a quelle parole, ora si spiegava molte
cose, ma
ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che Santiago le volesse bene.
Poteva quindi considerare vere le
parole che aveva udito da
Didyme e Marcus, tempo fa?
Rimase di nuovo in silenzio, mentre
scrutava il suo viso
d’alabastro, rapita.
-
va’ ora,
chica.
Didyme vuole vederti perché le ho spiegato cosa è
successo veramente e…dice che
devi imparare a difenderti.- la informò, dopo averla
contemplata per un po’ con
un sorriso.
Questa volta, nell’udire
quella frase, Erice non si lasciò
sopraffare dalla preoccupazione, perché troppo intenta ad
attraversare il
passaggio segreto in quel punto del muro, col passo leggero di una
farfalla,
dopo che Santiago l’aveva lasciata andare.
ANGOLO AUTRICE
Ciao ad entrambe, ragazze, vi
ringrazio molto per le vostre
recensioni, scusate se non mi dilungo ma sono un po’ di
fretta, mi auguro che
il cap vi sia piaciuto.
Fatemi sapere che ne pensate
Marty23
|
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Capitolo 12 *** AVVISO ***
AVVISO
Ciao a tutte!(perché siete
TUTTE vero? Non ci sono anche dei
TUTTI…o sì?)vabbè comunque ciao!
Metto qui questo avviso innanzitutto
per ringraziarvi(nel
capitolo precedente- parlo dell’ultima parte del cap 5- ero
un po’ di corsa e
non ho potuto rendere giustizia alle belle parole che ho letto tra i
commenti.)Allora…grazie mille a Ramona37 che,con poche ma
brevi righe mi ha
praticamente fatto ritrovare il sorriso e grazie tante anche a Luce70,
mi fa
piacere che tu abbia notato tanti particolari ma devo
chiederti…come mai ti
dispiace per Justin? D’altronde è lui il carnivoro
e si stava per divorare
Erice e Logan invece il vegetariano(poi vedrai nella seconda parte del
cap 6,
perché ti ho fatto questa domanda…)
Ora passo ai ringraziamenti per il
capitolo 6 ad Edwardina4e
che ringrazio infinitamente sia per il commento, semplice ma davvero
dolce!
Ed anche Luce70 ovviamente: la tua
capacità di osservazione
si sta affinando sempre di più, mi lasci senza parole!
Ringrazio ognuna di voi
perché con le vostre parole, con la
presenza mi spingete sempre a migliorarmi e…diciamo che mi
ispirate ispirazione
per scrivere!
Altra cosa: FINALMENTE SONO STATA A
VOLTERRA! Inutile dirvi
che è una città strepitosa! Ma così,
potrò anche descrivere fedelmente senza
inventare cose campate in aria…
Di nuovo grazie a tutte
Marty23
Ps a proposito
raga…guardavo la lista delle persone che
hanno inserito questa storia tra le seguite o tra quelle da ricordare,
o le
preferite…caspita quanti siete! Wow mi commuovo, mi viene da
pensare che la
storia piaccia davvero allora! Sicuri che non è troppo
noiosa o troppo
descrittiva? Accetto qualsiasi tipo di commento costruttivo
|
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Capitolo 13 *** insegnamenti affilati(parte 2) ***
Capitolo VI
Parte 2
Come promesso, Didyme la stava
aspettando all’uscita del
cunicolo oscuro che si inerpicava in Palazzo dei Priori dalle Prigioni.
Erice la fissò di
sfuggita: era immobile come una statua,
splendida, ma i suoi occhi rabbiosi le ricordavano l’ira
implacabile di una dea
greca.
Dopo che la ragazza le ebbe fatto un
rispettoso inchino,
quella l’affiancò, senza dire una parola, mentre
continuò, per tutto il
tragitto nei corridoi, a gettarle addosso occhiate inceneritrici.
Erice tuttavia, non se ne accorse,
presa com’era a camminare
ad un palmo da terra, ogni volta che l’idea che Santiago le voleva bene, le sfiorava la mente.
In effetti, considerò in
un momento di malinconica lucidità,
mentre saliva le scale di marmo, erano pochi i vampiri dei quali era
sicura
nutrissero tale sentimento nei suoi confronti: Santiago, Evangeline, e
Didyme
–anche se era molto incerta su quest’ultima,
poiché da un anno a questa parte
sembrava aver assunto un comportamento piuttosto ambiguo verso di lei.
A
confermarlo, giunsero le sue glaciali parole, pungenti come lame (le
uniche di
tutta la giornata)pronunciate davanti ad una porta all’ultimo
piano.
-
Non avvicinarti al
vampiro che si trova nelle Prigioni,
Erice. Ho sentito tutto ciò che vi siete detti: sappi che
non ti trasformeremo
mai, perché il tuo ruolo qui è già
stato stabilito, e non sei una di noi.
Inoltre, sta’ lontana da Santiago, non ricordi
cosa ti avevo detto? Venite da due mondi differenti, vi sarebbe
impossibile
stare insieme.- la ragazza si risvegliò improvvisamente
dallo stato di torpore
sognante in cui si trovava, colpita da quelle parole, appena sussurrate
ma
minacciose, con tanta violenza da sentire che dentro di sé,
qualcosa andava in
frantumi. Sapeva che se avesse alzato lo sguardo sarebbe scoppiata a
piangere,
e non voleva che Didyme avesse quella soddisfazione, non voleva che
sapesse che
le sue parole l’avevano ferita.
Perciò, si limito ad
annuire, ma subito dopo notò qualcosa
di strano: era una sua impressione- causata dalla velocità
con cui aveva fatto
guizzare gli occhi sulla vampira- o lo sguardo di lei appariva intriso
di
dolore? E…quel sospiro tormentato che era appena uscito
dalle sue labbra, era
tutta una sua fantasia?
Un velo di opprimente silenzio
avvolse entrambe e Didyme
finalmente si decise a spalancare la porta…Erice
restò senza parole: quella era
la
Sala dei
Colloqui, dove Anthenodora l’attendeva, e la ragazza la vide,
per la prima
volta, in un semplice ed attillato abito nero, i capelli raccolti in
una
crocchia sulla nuca.
Che fosse stata portata lì
per essere torturata?
Probabilmente la moglie di Caius
iniziò a parlare non appena
Didyme si fu chiusa la porta alle spalle. Di sicuro spiegò
ad Erice il motivo
per cui entrambe si trovassero lì e quale tipo di
allenamento avrebbero seguito
insieme. L’umana tuttavia, non l’ascoltò
perchè, dopo aver ritrovato un po’ di
calma grazie al fatto che aveva scoperto che nessuno
l’avrebbe torturata, le
sembrava di non poter udire quell’esile vampira asciutta e
tutta nervi;
concentrata com’era nel vortice dei propri pensieri.
D’un tratto
però, fu certa che Anthenodora avesse iniziato a
scagliarle addosso la propria frusta, che schioccava cruda ad ogni
colpo sul
pavimento. La ragazza non ricordò come avesse fatto ad
evitarla, rammentava
solo che il corpo le si era come separato dalla mente e, mentre lei
continuava
a pensare, fantasticare, ascoltare le parole di Santiago, le sue membra
si
muovevano agili piroettando e saltellando qua e là per
evitare i colpi.
Al calar del sole, quando tutto era
cessato, forse
Anthenodora si era addirittura complimentata con lei, o magari
l’aveva sgridata
perché mentalmente non era stata lì per tutto il
tempo, chissà…Erice non
avrebbe saputo dirlo.
La ragazza seppe solo che, scesa la
notte, avvertì
l’irrefrenabile impulso di andare di nuovo a parlare con
Logan. Le sembrava si
sentirsi il colpa per come l’aveva lasciato, qualche ora
prima, quindi, scivolò
senza problemi nei sotterranei e, giunta in prossimità delle
Prigioni, tentò di
ignorare l’ondata di tormento che la sommerse, con
più vigore di quanto si
aspettasse:
-
che ci fai qui?-
le domandò il vampiro vegetariano,
aggredendola.
Solo quando lui si decise a
disattivare lo “scudo”- forse
infastidito dalla caparbietà di Erice che, nonostante
rischiasse di avere dei
conati, continuava a stare seduta davanti alla sua cella- lei
iniziò a sentirsi
meglio.
-
sono venuta a
portarti delle notizie…- esordì lei,
riprendendo a respirare naturalmente.
-
O magari sei
venuta solo per farmi mille domande ed
estorcermi informazioni da riferire ai tuoi
signori…- la schernì con durezza il
prigioniero, inchiodandola con lo
sguardo.
Erice si sentì come se
qualcosa di pesantissimo l’avesse
colpita, togliendole tutta l’aria dai polmoni;
avvertì che era sull’orlo delle
lacrime. Si era verificato ciò che temeva: Logan aveva perso
fiducia in lei.
Si scambiarono un’ultima
occhiata. A lui sembrava non
importare che la ragazza somigliasse ad un cagnolino bastonato;
riuscì a farle
lasciare quel luogo con la testa bassa.
-
ecco
brava…và via. Non è un posto sicuro
per te,
questo…- le bisbigliò dietro, prima che la
ragazza svanisse tra le ombre ma non
fu sicuro che lei l’avesse sentito.
“ non è
possibile, non è possibile! Le umiliazioni che ho
subito fin ora, sono state cento volte più infide di quella
di Logan, ieri
sera. Oggi mi allenerò con Anthenodora, ma non appena
avrà finito, andrò da lui
alle Prigioni. Al diavolo il divieto di Didyme! Non riesco a capire
perché si
comporti così con me, perché tenti di tenermi
lontana dai vampiri se tanto il
mio destino è vivere tra di loro! E come faceva a sapere che
il mio più grande
desiderio è essere trasformata in vampira? Cosa
può esserci, poi, di sbagliato
nella mia amicizia con Santiago?” pensò Erice la
mattina seguente, -dopo
essersi alzata prestissimo a causa del dolore causato dalle parole di
Didyme,
del giorno prima, e del comportamento del vegetariano- mentre,
irrequieta e
tesa si vestiva per andare ad incontrare la moglie di Caius. Ormai
aveva
deciso, e nulla l’avrebbe fermata.
Fortunatamente la rabbia ed i dubbi
che la dilaniavano,
scivolarono via non appena si ritrovò nella Sala dei
Colloqui con la sua nuova
mentore, e si trasformarono in vigore, che la pervase per tutta la
durata
dell’addestramento e le permise di superare discretamente le
mille sfide cui
Anthenodora la sottoponeva.
Flessioni, addominali, salti da varie
altezze, ed infine
tutto si ridusse ad una lotta tra le due: Erice vide la pacata
Anthenodora, che
per lei era sempre stata praticamente invisibile, mutare in una belva
feroce e,
nonostante si muovesse velocissima, la ragazza non si perse
d’animo, e si
costrinse a restare concentrata, spesso facendo uso della deprivazione
sensoriale o immaginando mille e mille volte, al rallentatore, i
complicati
movimenti del corpo della vampira.
Quel primo giorno non fu certo il
migliore, tuttavia, Erice
fu felice di sentirsi più leggera, come scaricata della sua
rabbia, oltre che,
ovviamente, di essere illesa. Persino Anthenodora si
complimentò con lei e,
tornata innocua come sempre, le rivolse un sorriso prima di lasciarla
andare.
La ragazza decise di andare a fare
una passeggiata nella
città bagnata dalla calda luce del tramonto e, giunta nelle
vicinanze di
Palazzo Viti, si sedette sui gradini in pietra, per riposarsi. Per un
attimo
quasi dimenticò i suoi propositi di astio verso Didyme
poiché la sua attenzione
veniva trascinata via dai progressi ottenuti quel giorno e dal vociare
brulicante di vita dei volterrani.
Era così diverso appena
fuori dalle mura di Palazzo dei
Priori: dentro le mura bianche con quel silenzio tombale e spesso
logorante,
Erice sentiva il peso dell’intero mondo sulle spalle, ed ogni
sua parola,
errore o pensiero, sembrava essere proibito; ma fuori,
all’aperto, nelle piazze
di Volterra, tra la gente nulla sembrava avere importanza, se non la
vita che
le scorreva sui palmi delle mani.
D’un tratto, a disturbare
il flusso di quei nuovi pensieri,
sorse il miagolio vicino di un grosso gatto che- poiché lei
era ignorante in
fatto di razza- riuscì solo a definire come “una
gigantesca palla di pelo”. E
all’improvviso, ebbe un’idea: e se avesse portato
quell’animale a Logan? Era da
molto tempo, d’altro canto che non mangiava e, -
poiché per lei sarebbe stato
pericoloso trovarsi accanto ad un vampiro che, nonostante dicesse di
essere
vegetariano, era pur sempre affamato- forse se gli avesse offerto quel
genere
di cibo, lui avrebbe potuto di nuovo fidarsi di lei.
Animata da una nuova speranza, la
ragazza non ebbe
difficoltà ad attirare l’attenzione
dell’animale che, con fare circospetto di
avvicinò cautamente alla sua mano distesa. Ciò
che risultò più problematico per
lei, fu entrare in Palazzo dei Priori con quel gattone peloso tra le
braccia e
scendere lesta nelle Prigioni, senza essere vista dalle Guardie, mentre
accarezzava la schiena dell’animale per non farlo miagolare
troppo.
Fortunatamente nessuno parve notare
quella ragazzina
fasciata da un paio di jeans ed una semplice maglietta, con un grosso
gatto
selvatico al petto. Erice quindi, s azzardò a tirare un
sospiro di sollievo non
appena si ritrovò dinnanzi all’ormai famigerata
cella che visitava da tre sere,
e quasi sorrise quando fu travolta dalla familiare ondata di tormento
sprigionata da Logan. Tentò di aguzzare la vista mentre si
accorse che il gatto
soffiava infastidito e lei iniziava a respirare a fatica: ancora non lo
scorgeva tra le sbarre, però. Possibile che i suoi occhi,
dopo tutto quel
tempo, non si fossero ancora abituati alla semioscurità di
quel luogo?
-
mi dispiace per
quanto è successo, credimi Logan. Non
avevo idea che ci fosse qualcuno che mi controllava; sono venuta da te
quando
tutti i miei signori erano andati a
caccia…perché…dovevo
sapere: è così diverso ciò
che rappresenti dalla realtà sui
vampiri che conosco.- iniziò lei, parlando ad una sezione
d’aria vuota, ma che
sembrava tremare. Nonostante il gatto tentasse di graffiarla, era
riuscita ad
alzarsi in piedi, e fissava straziata quel vuoto nella cella
-
caspita che
carina! E quello cosa sarebbe, il mio
pasto?- una voce d’uomo, animata da duro sarcasmo,
risuonò nell’ombra, e subito
il corpo di Logan, prese forma.
Erice sorrise, più
rilassata, quando il tormento artificiale
scomparve tuttavia, fu comunque colpita a nervi scoperti dalle sue
amare
parole.
-
sì. La
tortura a cui vogliono sottoporti i miei signori
è la fame, almeno fino a quando non rivelerai loro chi sei.-
replicò in
risposta, sforzandosi di sorridere solidale, nonostante quel gatto
stesse
cominciando a soffiare, irrigidirsi ed agitarsi, mettendola a disagio.
-
Ah, ora si spiega
il motivo delle tue premure verso di
me: sai perfettamente che, se dovessi ridurmi alla fame, non sarebbe
sicuro per
te venire qui, ma la tua curiosità è
così forte che ti sei costretta a trovare
un modo per mantenermi lucido ed aiutarti così a rispondere
ai tuoi dubbi.-
fece Logan, mentre si avvicinava alle spalle, a lei e con gli occhi
venati di
un nero dolore la studiava.
Erice rimase senza parole. Come aveva
fatto quel vampiro ad
indovinare i suoi intenti? Possibile che fosse così facile
per gli altri,
comprenderla? Ora forse si spiegava come mai Didyme
sapesse che sognava di essere trasformata
in una vampira.
Con gli occhi bassi per la delusione
di essere stata
scoperta, si avvicinò anche lei alle sbarre per passare il
gatto tra le braccia
protese di Logan e, non appena quello l’ebbe preso,
tornò a sedersi sul
pavimento.
-
non avrai
intenzione di restare lì a guardarmi, mentre
mangio?!- esclamò il vegetariano, quando, distolti per un
attimo gli occhi
dall’animale e richiamata un po’ di
lucidità, si rese conto che la ragazza
non si muoveva, e
continuava, invece, a
fissarlo.
Lei, in tutta risposta, si
limitò ad annuire.
-
Non vedi cosa stai
facendo? Ti stai abituando alla
violenza. Cosa speri di
dimostrare così? Non ti bastano le angherie che sicuramente
i Volturi ti fanno
subire? Ti ostini a chiamarli signori,
ad amarli, a venerarli, pur sapendo che un giorno ti
uccideranno…come ci
riesci? Non ti rendi conto che ti faranno subire delle pene atroci
prima di
bere il tuo sangue?- sbottò lui, esasperato, distogliendo a
malapena lo sguardo
dal gatto che tentava invano di graffiarlo.
Perché nelle sue parole
c’era tanta disperazione?
Sembrava quasi che si rammaricasse per lei.
Erice sollevò il mento,
ferma, e lui comprese che non doveva
aggiungere altro.
Fu in quel momento che, posati gli
occhi sull’animale, la
ragazza vide Logan trasformarsi in una bestia, un cacciatore, vide
uscire la
sua vera natura di vampiro.
In una frazione di secondo, si
acquattò a terra, pronto ad
attaccare, scoprì i denti, emise un cupo suono di gola e,
prima che il gatto
potesse dileguarsi al di là delle sbarre, con un balzo
fulmineo fu su di lui e
lo sbatacchio contro il muro come fosse stato di pezza. Dalle sue
labbra
intrise di sangue, spuntava anche qualche pelo bruno
dell’animale, ma il
vampiro sembrava quasi non rendersene conto troppo concentrato a bere
quella
linfa vitale.
“forse, si disse Erice-
mentre fissava leggermente nauseata
la carcassa fatta a brandelli dell’animale, eppure estasiata
per le movenze e
gli istinti di caccia di Logan- la sete è tanto forte per i
vampiri da non far
capire loro più nulla quando sono in presenza del sangue,
come gli squali in frenesia alimentare.”
La sanguinosa ma concitata lotta in
un attimo cessò, così
come era iniziata e tra il vampiro e l’umana calò
il silenzio. Lui non sembrava
neppure in grado di guardarla, ma a lei quasi non importava
perché ormai sapeva
tutto; aveva visto il più docile dei vampiri trasformarsi in
un lupo, accecato
dalla fame. Non c’erano più segreti per i suoi
occhi.
-
contenta, ora? Mi
hai visto per ciò che sono: un mostro.
Non posso credere che tu voglia
trasformarti in qualcosa come me. Se qualcuno ti volesse bene, qui
dentro, te
lo impedirebbe, esattamente come ti stanno impedendo di vivere, di amare…non arrossire, non
serve; è chiaro
che tieni molto a quel vampiro grosso come un armadio, che è
venuto qui.- nella
voce del prigioniero c’era tormento ed un velo di disprezzo
per sé.
Sebbene fosse rimasta colpita dalle
sue parole, Erice non
potè fare a meno di sorridere, sentendo quella strana
descrizione di Santiago:
-
è
questo che ti reputi? Un mostro? Non serve come
attenuante il fatto che bevi sangue animale?- chiese, dopo qualche
secondo di silenzio,
mentre lo fissava negli occhi, tornati un po’ più
chiari.
-
Non ho scusanti:
sono un mostro, un dannato. Ogni
mio respiro è pericoloso
per un essere umano, e quando giungerà il Giudizio di Dio,
Egli non poserà
neppure il Suo sguardo su di me, perché ho venduto
l’anima per una vita
eterna…-
La ragazza rimase senza fiato,
sconvolta. Logan era il primo
vampiro, oltre ad Aro, che parlava di Dio a differenza del suo signore,
però,
non lo faceva con disprezzo, ma con timore; come se la sua condizione
di
Immortale non contasse nulla poiché infine si sarebbe dovuto
sottomettere a Lui
in quel “Giudizio”.
-
sei il primo che
mi parla di Dio…cosa sai in merito?-
domandò, scoprendosi improvvisamente avida di notizie.
Logan balzò in piedi,
sorpreso, mentre la fissava come se
venisse da un altro pianeta:
-
i Volturi non ti
hanno mai parlato di Lui? Non ti hanno
fatta battezzare? Povera piccola…hanno davvero monopolizzato
la tua esistenza.
Sappi che alcuni credono in Dio, ma altri no. È il principio
regolatore
dell’Universo si dice abbia creato gli uomini, li definisce
“suoi figli” ed ha
in mente per loro un destino, nonostante abbia fatto loro dono di un
libero
arbitrio e di un’anima. La vita dei suoi figli è
breve ma lui ha assicurato
loro una vita del corpo e dell’anima dopo la morte grazie
all’amoroso
sacrificio che fece per loro, millenni fa…- la semplice e
precisa spiegazione
del vampiro ammutolì Erice: quella versione le mostrava Dio
come un’entità
buona, che provava amore verso coloro che aveva creato. Era
così diverso dal
dipinto che ne aveva fatto Aro, di una divinità tirannica e
gelosa!
-
Come sai tutte
queste cose?- volle sapere ancora lei, gli
occhi accesi di passione, che le sembrava le fossero stati aperti solo
ora e si
trovassero dinnanzi ad una nuova realtà.
-
Mio padre era un
prete, prima di essere trasformato.
Aveva incontrato il vampiro che lo trasformò in
Transilvania. Questo gli insegnò
cosa doveva fare, come doveva nutrirsi ma, poiché mio padre
si rifiutava di
uccidere degli esseri umani, lui lo rinchiuse in una cella. Una sera,
il suo
creatore gli portò nella cella dove lo aveva relegato in
attesa che imparasse
le “buone maniere”, Justin, moribondo. Mio padre
non beveva da giorni ed era
affamatissimo, perciò si avventò su di lui, ma
all’ultimo momento, i precetti,
i valori che aveva appreso come uomo di Chiesa ebbero la meglio e lui
riuscì a
non ucciderlo. Accadde però, che Justin, a causa di tutto il
veleno di vampiro
che aveva nelle vene, si trasformasse in un Immortale e mio padre,
sentendosi
responsabile di lui, lo portò via dalla Transilvania,
perché non fosse vittima
del suo stesso destino, ed insieme cercarono un posto ed un modo
migliori di
vivere.
Quando mio padre mi trovò,
con Justin non c’era quasi più
nulla da fare: lui odiava mio padre, il suo
“creatore” per ciò che gli aveva
fatto e per la vita di astinenza da sangue umano cui l’aveva
condannato. Per
impedire che mi frapponessi tra lui e mio padre, mi staccò
una bamba, ed accese
una pira tutt’attorno a me, servendosi delle assi del
pavimento. Poi, davanti
ai miei occhi, fece a pezzi mio padre e lo gettò tra le
fiamme, riducendolo in
cenere…-
Le ultime parole del vampiro rimasero
in aria, tra i due,
pesanti come il fumo di un’eruzione vulcanica.
Erice era immobile, pietrificata;
sentiva di avere la testa
estraniata dal corpo. Logan aveva parlato dei suoi ricordi con
distacco, ma la
stima che provava per il padre, così come il dolore per la
sua perdita, erano
quasi tangibili e la ragazza si ritrovò a condividere il suo
dolore.
-
vai ora, dolce
Erice. Si sta facendo tardi…- bisbigliò
il vampiro, guardandola con affetto mentre raccoglieva sulla punta di
un dito
una delle lacrime di lei.
Quella notte Erice non
riuscì a dormire, perché troppo
concentrata a riflettere sulle parole di Logan: se era vero
ciò che diceva,
ossia che non possedeva più un’anima, la sua fede
doveva essere davvero
immensa, perché continuasse a credere in Dio. E
poi…quelle riflessioni sul
fatto che, se qualcuno, a Volterra, le voleva veramente bene, non
avrebbe mai
accettato di trasformarla, continuarono a ronzarle insistentemente in
testa…
E se Didyme le avesse detto che non
era una di loro, che non
sarebbe mai stata trasformata, solo per salvarle l’anima?
Quell’interrogativo
continuò ad assillarla ogni giorno ed
ogni notte, durante i mesi successivi.
Di giorno, la ragazza non incontrava
più la moglie di Marcus
per le lezioni di musica, ma solo Anthenodora che, oltre sottoporla ad esercizi
ginnici di qualsiasi
tipo e farla saltare da diverse altezze, si divertiva ad insegnarle ad
usare
un’arma diversa per ogni mese.
Di sera invece, Erice portava sempre
a Logan qualcosa da
mangiare, e si fermava volentieri a fare una chiacchierata con lui. Era
piacevole parlare con quel vampiro, perché sembrava la
invitasse a ragionare,
oltre ad avere la soddisfazione di vedere gli occhi di lui riempirsi di
fiducia
nei confronti di lei, ogni volta di più.
Tuttavia, nei momenti in cui la
ragazza tentava di
riflettere sul misterioso motivo dell’allontanamento e della
freddezza di
Didyme verso di lei, si sentiva assalire da una profonda tristezza; a
nulla
quindi servivano gli incoraggiamenti di Logan, o il fatto che lei si
aggrappasse
alle parole che Santiago le aveva detto l’ultima volta che si
erano visti: ti voglio bene…
Che fine aveva fatto, poi, Santiago?
Era molto che Erice non
vedeva neppure lui…possibile che Didyme gli avesse di nuovo
ordinato di starle
lontano?
Con la mente annebbiata da quelle
domande, la ragazza si
sentiva sempre più frustrata e l’unico modo che
aveva per liberarsi da quella
brutta sensazione era gettarsi a capofitto negli allenamenti che, oltre
a
rendere ogni giorno più felice la pallida Anthenodora,
sembravano l’unico
rimedio per l’umana, per sentirsi un po’
più leggera.
Un giorno la moglie di Caius si
rifiutò di allenarla,
dicendo solo:
-
Erice, sono molto
soddisfatta dei tuoi progressi: sei
molto più agile e veloce di quando ti ho vista la prima
volta ed in quattro
mesi hai imparato ad usare la frusta il bastone, coltelli di vario
genere e le
spade…oggi, poiché è il tuo
compleanno, ho deciso di regalarti questo…-
La ragazza rimase sbalordita dinnanzi
allo spettacolo
sorprendente che le si parò davanti agli occhi: Anthenodora,
fasciata da un
bianco mantello con cappuccio, aveva strappato via di colpo, le tende
che in
quei mesi avevano sempre impedito al sole di entrare; stando attenta a
non
scoprire neppure un lembo della sua bella pelle, e lasciò
che un raggio di luce
colpisse la lama dell’arma che teneva in mano.
Era un piccolo pugnale
dall’elsa in ferro ed alabastro, ma
la lama era ciò che colpiva di più. Quando Erice
si avvicinò per esaminarla
comprese cosa le stesse accadendo intorno: la lama di quel pugnale era
doppia
ed una parte tra le due stava illuminando, colpita dalla luce solare,
ogni
angolo della stanza con bellissimi chiarori iridescenti. Erice,
sbalordita, si
coprì la bocca con una mano.
-
è un
pugnale corto, ma efficace: usando questa parte
della lama- e lo girò per mostrarle che era realizzata in
argento(gli
arcobaleni sul muro, infatti, si incupirono per un attimo- potrai
uccidere un
licantropo, se mai ne incontrerai uno, e con questa- girò il
pugnale dall’altra
parte e gli arcobaleni risplendettero, illuminando il luogo a giorno-
metterai
fine alla vita di un vampiro. Mi sembri pronta- fece, esaminandola
fieramente.
Dopo averle messo in mano
l’arma, senza attendere che il
cuore di lei si calmasse o che la ringraziasse, Anthenodora
afferrò Erice per
un polso e la trascinò fuori dalla Sala dei Colloqui.
La moglie di Caius, con Erice alle
calcagna, fece solo un
cenno alla segretaria nel corridoio e, senza esitazione,
varcò la soglia del
Salone Principale. Erice si accorse troppo tardi di dove si trovasse,
presa
com’era dalla felicità e dall’ironia di
aver ricevuto un pugnale per il suo
sedicesimo compleanno. Perciò, nonostante la presa
d’acciaio di Anthenodora
impedisse alla circolazione del braccio di scorrere, non appena le fu
possibile
si gettò a terra, in ginocchio.
Lì, erano riuniti tutti i
suoi signori: Aro, Caius e Marcus
sui loro scranni erano circondati da quei vampiri che Erice aveva
sempre
soprannominato “i fantastici quattro”- Felix,
Demetri, Alec e Jane- e
sembravano intenti a discutere animatamente sulle tattiche di una
battaglia
probabilmente imminente.
-
quel bastardo
conte transilvano crede che,
nascondendosi dietro il suo titolo può sperare di
travalicare il limite che gli
abbiamo magnanimamente imposto!- ringhiò Caius, gli occhi
scintillanti di
rabbia.
-
Dovremmo andare in
Transilvania per “insegnargli le
buone maniere…che ne pensi Jane, cara?- domandò
Aro, mellifluo ma teso mentre
faceva guizzare lo sguardo tra i suoi quattro vampiri prediletti.
-
Scusate
lì’interruzione, miei signori, speravo poteste
prendere in considerazione l’idea di portare con noi
“la preda”.- soggiunse
Anthenodora, attirando l’attenzione di tutti.
In un attimo nella stanza
calò il silenzio. Erice sentiva gli
occhi di tutti su di sé,- più rabbioso di tutti,
quello di Didyme- mentre le
guance le si ricoprivano di rossore. Quando fu in grado di comprendere
appieno
il senso della proposta di quella vampira, l’unica
spiegazione che fu in grado
di darsi fu che Anthenodora doveva essere pazza.
Aro rise, con fare effeminato dopo
qualche altro attimo di
quiete; uno scroscio argentino che risuonò in ogni angolo di
quel posto,
facendo sobbalzare la ragazza.
-
cosa? Ti stai
prendendo gioco di me, bellicosa
Anthenodora? Perché dovremmo portare con noi il dessert? Intendi bere il suo sangue a
battaglia terminata? Non
sarebbe saggio visto che nessun altro, all’infuori del Copro
di Guardia e del
Consiglio è a conoscenza della sua esistenza e del suo
ruolo. Ciò di cui tu
parli è impossibile…immagina se lo venisse a
sapere la
Corte.- sentenziò,
alzandosi in piedi sorridente mentre teneva le mani raccolte in grembo.
-
Tu, folle umana!
Come osi pensare ad una simile cosa?
Dovresti prostrarti ai nostri piedi solo perché ti abbiamo
lasciato vivere
tanto a lungo.- la rimproverò duramente Caius, scattando in
piedi.
-
Miei
signori…non è stata una mia idea…-
tentò di
farfugliare, ma sentiva che tutte le forze, così come i
colori al viso la
stavano abbandonando.
Non le fu data la
possibilità di terminare la frase perché
subito intervenne Marcus:
-
Basta
così! Il Consiglio e la Guardia
partirà domani
all’alba. Tu, resterai qui: tra una settimana si
festeggerà la ricorrenza di
San Marco, e voglio che tutto sia perfetto per il nostro ritorno, in
quella
data. Perciò direi che ti occuperai di questo compito,
Erice.-
Era stato un “no”
chiaro e deciso. Erice si morse le labbra
per quella proposta che Anthenodora aveva fatto, apparentemente per
metterla
solo nei guai, e mentre la moglie di Caius la lasciava andare, forse
amareggiata, la ragazza si alzò in piedi e, con un ultimo
inchino scomparve
oltre la porta.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Finalmente ci sono riuscita:
è stata una faticaccia ma ecco
a voi l’ultima parte del 6 cap(perché io se non
divido i cap in più parti non
sono felice)mi auguro comunque che vi sia piaciuto e soprattutto che ci
si sia
capito qualcosa…si è capito chi è il
conte trasilvano che i Volturi stanno
andando ad attaccare? Che ne pensate della storia di Logan? Fatemi
sapere le
vostre opinioni
Un baciotto
Marty23
Ps cara Luce70, grazie mille per non
aver mancato neppure
nel commento dell’ “avviso”, ti facevo
quella domanda su Justin e Logan perché,
come avrai visto Justin non è esattamente uno stinco di
santo…
Comunque sto provando ad immaginarmi
Santiago accanto a
Sulpicia e Aro accanto ad Erice…bha…ci si
potrebbe provare XD
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Capitolo 14 *** il ruolo della Discordia (parte 1) ***
Capitolo VII
Il ruolo della Discordia
Parte 1
Erice, rifugiatasi nella sua stanza
dopo l’imprevista
umiliazione subita davanti al Consiglio, ora camminava inquieta, avanti
e
indietro mentre faceva appena frusciare i piedi sul pavimento, le
braccia
raccolte al petto, il pugnale che sporgeva da una delle tasche
posteriori dei
suoi jeans.
“perfetto, ci mancava solo
questa! Il Consiglio avrà pensato
che sono folle, ma Anthenodora…Anthenodora
dev’essere pazza. Come ha
potuto pensare anche solo di proporre
di mandarmi a combattere in Transilvania accanto al Corpo
di Guardia? Che mi abbia addestrato semplicemente perché
già lo meditava?
D’altro canto…a cos’altro poteva servire
tutto ciò che ha fatto per me? Ma
io…non ho mai combattuto
veramente e
non avevo mai sentito i miei signori parlare di un possibile scontro in
Transilvania…”pensò, il suo viso si
imperlava di sudore freddo e lei si
rosicchiava le unghie per la tensione.
Dunque si fermò per un
secondo al centro della sua
cameretta, distratta dal dolore pungente di una punta di spillo, sul
dito.
Ecco! Era anche riuscita a farsi uscire il sangue!
Subito, si affrettò a
ficcarsi tra le labbra l’unghia tinta
appena di sangue, per inumidirla con la saliva e limitare i danni, ed
in quel
momento il suo cervello fece uno strano collegamento: non appena la
parola Transilvania le
passò di nuovo tra i
pensieri- forse sollecitata dalla vista di una goccia del suo stesso
sangue-
Erice ricordò che il padre di Logan era stato mutato in
vampiro da un abitante
di quel luogo.
Che fosse lo stesso conte che i
Volturi sembravano decisi ad
attaccare?
Inoltre, Logan stesso le aveva
confessato di esser stato
convocato dai Volturi…
Ed Erice non riusciva a spiegarsi il
motivo di quel gesto,
da parte dei suoi signori. Che avessero meditato di rinchiuderlo nelle
Prigioni
sin dal principio, finché non avesse detto loro
ciò che sapeva sulla
Transilvania e sullo sconosciuto conte?
Un’improvvisa ondata di
rabbia la sommerse, all’idea che i
vampiri che lei serviva, stessero riducendo alla fame quel vegetariano
solo per
usarlo, tanto che, neppure si
accorse
che Didyme aveva fatto impetuosamente irruzione nella sua stanza.
Quando gli sguardi delle due si
incontrarono, Erice scoprì
che la sua mentore aveva fiamme liquide negli occhi, somigliava in
tutto e per
tutto alla statua di una bellicosa guerriera, tanto era immobile. Una valchiria- si divertì a
pensare lei- a
causa delle sue fattezze divine.
Dopo un attimo di timore dinnanzi a
quello spettacolo
tuttavia, la ragazza scoprì che era sconvolta dalla rabbia
e, sostenendo senza
esitazione lo sguardo minaccioso della sua mentore, non
esitò a mostrare quanto
quell’emozione la rendesse ferma e decisa.
-
Chi ti ha messo in
testa che saresti potuta partire con
noi, alla volta della Transilvania? Non hai pensato che ciò
che hai chiesto ti
ha fatto apparire, ai nostri occhi, come una tracotante?
Come hai osato travalicare il limite che è stato scelto per te?-
l’aggredì, dura, Didyme
mentre i muscoli delle braccia le si contraevano come fossero fatti
d’acciaio.
-
È stata
tutta un’idea di Anthenodora, mia signora!- si
difese lei, parlando con disprezzo mentre sollevava fieramente il
mento.- oggi
non ha accettato di allenarmi, mi ha invece regalato questo per il mio
compleanno, e subito dopo mi ha trascinata davanti al Consiglio.-
quando ebbe
finito di parlare, Erice estrasse il pugnale dalla tasca e lo
mostrò alla sua
mentore. La vampira lo prese con attenzione dalle sue mani, e lo
esaminò,
affascinata ma inquieta.
-
Puah! Donarti un’arma
per il tuo compleanno! È una cosa deplorevole, ed
è inoltre ovvio che il
suo piano sia farti combattere. - sentenziò la moglie di
Marcus, mostrando i
denti mentre parlava.
-
Perché
non dovrei, mia signora? D’altro canto sono mesi
che mi addestro per questo.- fece lei, punta nel vivo, anche se ritenne
saggio
fingersi sottomessa.
In quel momento la maschera
d’intransigenza e d’autorità
dietro cui Didyme si era trincerata, crollò, e lei, gettato
il pugnale a terra
con tanta forza che la lama si piantò nel pavimento,
abbracciò Erice, con impeto,
con amore e sospirò,
come se fosse
sul punto di piangere:
-
Piccola mia, ti
prego, resta qui. Ho capito solo poco
fa perché Anthenodora vuole che tu venga con noi:
poiché è molto tempo che sei
al nostro fianco, pensa che stiamo diventando magnanimi ed ha
intenzione di
farti morire in battaglia, per bere il tuo sangue. Io, invece, voglio
saperti
al sicuro. Non siamo a conoscenza di molti particolari, su questo conte
che noi
stessi, secoli fa, creammo e relegammo in Transilvania: si fa chiamare
Vlad
“Dracula” che significa
“diavolo”, si diverte ad impalare le sue vittime ed
a
passeggiare tra di loro, in compagnia delle sue tre mogli, ascoltandone
i
lamenti d’agonia. Mio fratello si sente minacciato da lui
poiché troppi umani
si stanno accorgendo dell’esistenza dei vampiri;
perciò stiamo andando ad
abbatterlo ma Caius e Marcus hanno ritenuto necessario inviare
Santiago, Afton,
Chelsea e Corin in avanscoperta in quelle terre. Noi partiremo domani
all’alba,
ma tu resta qui, ti supplico; ti occuperai, assieme agli schiavi, dei
preparativi per la festa di San Marco…- Didyme aveva parlato
velocissima, ed
Erice aveva avuto qualche difficoltà a seguirla ma comprese
che sembrava
davvero tormentata. Quando ebbe terminato, la ragazza sciolse appena il
suo
abbraccio; quel tanto che bastava per guardarla negli occhi e, notando
i suoi
bei lineamenti deformati dal dolore, disse solo:
-
Molto bene, mia
signora. Farò come dite.-
L’espressione della vampira
si addolcì e, dopo averla
stratta ancora al petto, la lasciò sola nella sua stanza,
per scivolare
elegantemente a prepararsi per lo scontro.
Erice si sentì stranamente
sollevata di aver accontentato
Didyme con una semplice promessa e, senza pensare, si sedette alla
finestra con
le gambe raccolte al petto- come faceva spesso quando leggeva o
disegnava- e,
mentre il sole inondava il suo profilo con la luce rossastro-dorata,
tipica del
tramonto, si ritrovò inaspettatamente sommersa da mille
pensieri e dubbi:
perché mai Anthenodora
doveva comportarsi in modo tanto subdolo? Possibile che la detestasse
tanto da
mettere in dubbio il ruolo dei Volturi e da doverla condannare alla
morte su un
campo di battaglia? Non poteva aspettare il fatidico “momento
opportuno” in cui
Erice avrebbe donato ai suoi signori il proprio sangue?
E Didyme? Perché era
così ambigua nei suoi confronti? Perché,
un attimo prima si dimostrava gentile ed affettuosa, verso di lei, e
poi
irascibile, astiosa come nel discorso appena avvenuto o durante le
innumerevoli
volte in cui aveva tentato di allontanarla da Santiago?
Santiago…il
nome
di quel vampiro e la repentina comparsa del suo splendido viso, la
fecero
sussultare mentre sentiva una fiamma sottile correrle sotto la pelle.
Didyme aveva detto che era stato
inviato in perlustrazione
in Transilvania e, con un sorriso, finalmente Erice riuscì a
spiegarsi come mai
non l’avesse visto per tutto quel tempo ma, allo stesso
tempo, fu pervasa da
una cieca paura che lì, in quella terra sconosciuta, sarebbe
potuto capitargli
qualcosa.
In preda all’ansia, le
membra aggrovigliate ed un peso
soffocante nel petto, Erice prese a camminare su e giù per
la propria stanza,
di nuovo inquieta, il sollievo di poco prima, che Didyme le aveva
infuso,
sembrava totalmente scomparso. Non si era neppure resa conto, fuorviata
dalle
proprie emozioni, che ormai era scesa la notte e che, di tanto in
tanto, quando
passava davanti alla finestra, la luce opaca delle stelle, le
illuminava il
viso.
Era, invece, così presa da
alcuni nuovi interrogativi che le
affollavano la mente, da metterla inevitabilmente dinnanzi ad una
scelta: una
volta scoperti i veri intenti di Anthenodora, aveva visto in Didyme una
sorta
di salvatrice, e si era sentita quasi grata della promessa che le aveva
fatto;
tuttavia, - ripercorrendo mentalmente la conversazione che aveva avuto
con la
sua mentore, e sentendosi ferita dalle parole in merito al limite che
era stato
scelto per lei- accantonò senza indugio la prospettiva di
occuparsi dei
preparativi per la festa di San Marco, consapevole di saper combattere
e, come
tale, sentiva la necessità, il dovere di partecipare a
quello scontro. Avrebbe
così dimostrato ad Anthenodora e, soprattutto a se stessa,
che difficilmente
sarebbe stata uccisa, che valeva e che aveva qualcosa per cui battersi.
Inaspettatamente, il gallo
cantò: era già l’alba! Senza
pensarci troppo, Erice si piantò davanti alla finestra, le
braccia raccolte al
petto, ed osservò esterrefatta ciò che stava
accadendo nella piazza
sottostante: i primi raggi del gentile sole mattutino, vegliavano la
sfilata di
decine di mantelle con i cappucci, che si stavano disponendo a rombo,
secondo
il criterio- a lei sconosciuto- secondo cui le mantelle grigio chiaro
dovessero
rimanere esterne e, man mano che si scivolava verso il centro si
potevano
notare mantelle di un grigio più scuro, fino ad arrivare al
nero che,
sicuramente, vestiva gli Anziani.
Una delle sei mantelle
guardò proprio in quel momento verso
l’alto, verso di lei, ed Erice si arrischiò a
salutarla con la mano, sicura che
fosse Didyme.
Restò qualche minuto
ancora ad osservare quell’insieme
perfettamente immobile di statue ammantate, che probabilmente stavano
prestando
attenzione alle bassissime parole di Aro e che, d’un tratto,
come ad un segnale
prestabilito- o forse solo per merito di secoli di allenamento- si
mossero a
passo di marcia, che tuttavia somigliava ad una musica e non aveva
nulla di
troppo rigido ed aveva in sé un che di regale, maestoso e
magnetico.
In breve, rigorosa,
l’intera Guardia dei Volturi scomparve
all’orizzonte ed Erice rimase paralizzata, i pensieri confusi.
Erano ormai le dieci, mattina
inoltrata quando la ragazza,
fermamente decisa di ciò che stava per fare grazie ad un
piano ingarbugliato in
testa, scese nelle Cucine trepidante, lo sguardo infervorato, le guance
rosse.
In tutta fretta cercò tra
gli scaffali un po’ di pane ed un
pezzetto di formaggio che, senza prestarvi troppa attenzione, raccolse
in un
panno, del quale poi legò i quattro angoli a mo’
di vagabondo.
-
Evangeline!
Evangeline!- iniziò a chiamare, ad alta
voce.
In un batter d’occhio
l’agile vampira dalle trecce argentee,
comparve al suo fianco, sconcertata da quella chiamata.
-
Erice, cosa
succede?- domandò, preoccupata.
La ragazza si lanciò in
una camminata lesta mentre le parole
le uscivano dalle labbra veloci come grilli; era sicura che la vampira
avrebbe
tenuto il suo passo:
-
ascolta,
Evangeline: sto partendo per la Transilvania,
temo
che succederà qualcosa ai miei signori, ed io sono
l’unica a poterlo impedire.-
spiegò, mentre scendeva freneticamente, le scale che
conducevano alle Prigioni.
Pur non guardandola, sapeva che Evangeline era alle sue spalle e,
nonostante
fosse di certo perplessa, la seguiva come un’ombra.
-
Ma le istruzioni
che abbiamo ricevuto, piccola mia,
sono che tu devi rimanere qui, ed
occuparti dei preparativi della festa di San Marco…-
tentò di replicare la
vampira, bisbigliando.
-
Il Consiglio mi ha
concesso una settimana di tempo
ma…non posso, dovrai occupartene tu. Del resto avrai
partecipato molto più
spesso di me a questa ricorrenza.- mormorò, concitata.
-
Sì, va
bene, posso farlo. Quando tornerai troverai
tutto pronto ma…come hai intenzione di viaggiare per
arrivare in Transilvania?
Pensi che arriverai in tempo?- ormai, erano arrivate entrambe alle
Prigioni
quando, esponendo i suoi dubbi, Evangeline, comprese in un lampo il
piano della
ragazza, e si portò una mano davanti alla bocca, sconvolta.-
hai intenzione di
farti aiutare da quel vampiro…-
Per la prima volta dal giorno
precedente, Erice sorrise,
anche se in modo stanco, a causa del sonno perduto quella notte:
-
Esatto. Ora,
potrei avere le chiavi della sua cella?-
domandò, tendendo la mano col palmo aperto verso Evangeline
che, dopo
avergliele consegnate, scomparve in una folata di vento innaturale.
Fu allora che, incuriosito da quello
scambio animato di
battute, Logan riemerse dai contorni indefiniti di nausea che egli
stesso
emanava e si rese visibile alla ragazza, rimasta sola.
-
Erice, che
succede?- fece, stringendo le sbarre con le
mani e, tentando di sporgere la testa il più possibile.
-
Logan, ho bisogno
del tuo aiuto: i Volturi sono partiti
all’alba alla volta della Transilvania per combattere un
certo conte…- iniziò
mentre gli scrutava gli occhi venati di nero ed infilava, rapida e
tremante, la
chiave nella toppa.
-
Dracula.
Combattono contro il conte Dracula, vero? È il vampiro che
trasformò mio
padre…che gli mise contro mio fratello…- il
vampiro vegetariano assaporò quel
nome tra le labbra con odio, mentre, ormai fuori di prigione, rilassava
i
muscoli cercando di tenere a bada la tensione.
-
Sì,
proprio lui. Temo che a causa delle poche
informazioni che i miei signori hanno sul suo conto, possa succedere
loro
qualcosa, ed ho pensato a te per farmi aiut…-
farfugliò la ragazza, spaventata,
gli occhi che guizzavano a destra e a manca.
-
Erice, non temere,
ti aiuterò in ogni modo possibile.
Ti accompagnerò in Transilvania, lo prometto e una volta
lì potrai fare ciò che
vorrai ma…Dracula devi lasciarlo a me. –
sibilò, il vampiro posando le mani
sulle spalle di Erice. Nei suoi occhi c’era la fermezza e la
sincerità di
quella promessa.
-
Dove pensate di
andare, con tutto questo sole, voi
due?- la voce di Evangeline risuonò argentina nel luogo
vuoto. Era riapparsa
dal nulla con due mantelli rossi tra le braccia. Logan era scattato,
ringhiandole contro, forse a causa del lungo tempo trascorso in
prigione, ed
Erice aveva sussultato appena, prima di comprendere che il mantello con
cappuccio che stava indossando, era di quelli utilizzati per la festa
di San
Marco. Sorrise -mentre Evangeline si scusava per non aver trovato altro
e le
faceva scivolare nelle tasche il pugnale, che era stato un dono di
Anthenodora,
e il panno con il cibo- e si abbandonò ad una risata
liberatoria: era la prima
volta, in tutta la sua vita, che aveva la possibilità di
fare ciò che voleva e
ricevere tanto appoggio da chi le stava attorno.
Avvinghiata alle spalle di Logan,
Erice sfrecciava per le
strette viuzze ciottolose di Volterra come fosse il guizzo di una
fiamma
cremisi. La torre del Porcellino la salutò con i suoi sonori
rintocchi in
Piazza dei Priori, mentre i suoi sospiri gioiosi si perdevano nel forte
vento
che avvolgeva sia lei che il vampiro. I severi palazzi che
costeggiavano ogni
via, ogni vicolo, sembravano scrutarla dall’alto, con fare
accusatorio, e per
un secondo lei fu tentata a desistere dai propri intenti; ma fu solo
una
frazione di secondo poiché, un attimo dopo, Logan
uscì, lesto ed invisibile, da
Porta San Francesco e lei non ebbe neppure il tempo di riflettere su
quella
prima volta che lasciava la città.
Prima di addormentarsi sulle marmoree
spalle del
vegetariano, cullata dalla sua velocissima corsa, ebbe la
possibilità di
osservare il cielo turchese, terso, senza nubi che si estendeva a
perdita
d’occhio, fuori dalle mura, e sentì una fitta al
cuore costatando che, dove una
volta c’era stato il Giardino dei Ciliegi, ora erano state
piantate spighe
dorate di grano, che ondeggiavano nella brezza e qualche colorata
ginestra.
Quando riaprì gli occhi,
era ancora giorno ed il sole del
tardo pomeriggio l’accecava, rischiarando anche
l’erba smeraldina sulla quale
era stata distesa. Poco distante da lei, giacevano due mantelle rosse.
Attorno
a sé sentiva che ogni elemento emanava
tranquillità e sapeva di essere sola.
Sarebbe volentieri rimasta a godersi quella placida calma, ma
c’era qualcosa che la
tratteneva…
-
Logan! Logan!-
chiamò, allarmata mentre saltava su a
sedere, con un unico scatto. Aveva improvvisamente ricordato ogni cosa.
-
Sono qui.-
dall’ombra di un grosso albero, distante
appena un metro, giunse la voce calma e profonda del vampiro- hai
dormito per
tutta la mattina di ieri, la sera, e la mattina di oggi. Ora ci
troviamo a
Budapest. Tra non molto, probabilmente stasera, saremo in
Transilvania.- la
informò, fissandola dalla penombra.
-
Abbiamo impiegato
solo un giorno ?! vedo che…hai
mangiato a dovere.- fece, sorpresa e un secondo dopo si riprese,
osservando le
carcasse di animali che giacevano ai piedi del vampiro.
Si stropicciò gli occhi e,
svelta, indossò di nuovo il
mantello rosso, assicurandosi, con un gesto inosservato ed automatico,
che nelle
tasche ci fossero ancora il pugnale e il cibo che, sotto lo sguardo
dorato e
vigile di Logan si affrettò a mangiare, più per
necessità che per voglia,
poiché era convintissima di dover essere in forze per lo
scontro imminente
contro il conte transilvano.
Non appena fu di nuovo sulle sue
spalle, Logan tornò a
correre ed Erice si gustò tra le labbra e lungo il corpo il
vento innaturale
che sollevava; la natura attorno a loro mutava, il tempo si incupiva e
le
temperature, pienamente invernali, sembravano voler accogliere il
minaccioso
profumo di una tempesta. Il sole visto in Toscana fino ad un attimo
prima era
ormai un ricordo lontano, un sogno che a Budapest non era mai realmente
esistito.
La scura e fredda regione della
Transilvania, nel centro
della Romania, aveva il terreno arido, ghiacciato, il cielo scuro,
plumbeo e
borbottante di tempesta. Non c’erano stelle, solo nubi nere
che sembravano
godere del freddo che spirava da ogni parte, cancellando il cielo; ed
Erice
tremando, ringraziò che accanto a lei ci fosse Logan, che
vedeva perfettamente
anche nel buio più pesto.
Prima che avesse il tempo di
bisbigliare qualsiasi cosa
nell’orecchio del suo accompagnatore, però,
dinnanzi agli occhi di entrambi si
parò un inquietante e magnifico spettacolo:
nell’immensa conca che ospitava la
radura, che si poteva scrutare dalla piccola collina dove lei ed il
vegetariano
si trovavano, infuriava una battaglia! La visibilità,
tuttavia, era ridotta per
il fumo densissimo che si alzava verso l’alto, proveniente
dagli ardenti roghi
di vampiri deceduti che, anche da morti, emanavano un odore dolciastro.
Centinaia di vampiri dalle movenze
selvagge ed
indisciplinate, tentavano di scontrarsi con la formazione rigida e
perfetta dei
Volturi. Attaccavano ai lati, ma vampiri lesti come Eleazar li
dilaniavano
prima che potessero sfiorarlo; così si dirigevano,
più impetuosi, verso il
centro del rombo, mirando alle sei mantelle nere e, tuttavia, prima di
giungervi incappavano in quattro mantelle grigio scuro, schierate in
prima
linea, a protezioni dei tre Anziani e di Didyme. Erice scommesse con
sé stessa-
anche osservando ciò che accadeva ai vampiri transilvani,
quando arrivavano
nelle loro vicinanze- che sotto quelle quattro mantelle ci fossero
Felix,
Demetri, Alec e Jane.
Ad osservare quello scontro, al
termine della conca, c’era
anche un imponente castello di pietra, le cui guglie svettavano verso
il cielo.
Logan, vi ringhiò contro, non appena lo riconobbe:
-
è il
castello Hunyad, residenza del conte Dracula e
delle sue tre mogli.- mormorò, senza spostare lo sguardo su
Erice.
Lei lo ascoltò, ma era
troppo concentrata a mantenere gli
occhi a due fessure, per voltarsi verso di lui; ora stava osservando,
seppur
con difficoltà, la strana formazione dei vampiri
transilvani: sembrava non
avere logica ma, nella retroguardia, alcuni vampiri sembrano difendere
con il
proprio corpo la vista di alcuni umani innocui. Perché mai
quel comportamento?
Fu allora che la spiegazione venne
dal cielo, poiché, dalle
nubi buie che oscuravano tutto, una densa luna piena, rischiarando
tutto e
mutando quegli uomini transilvani in enormi lupi mannari.
Ululati feroci ed intensi si
espansero dovunque, ed anche
quelli, così come già stavano facendo i vampiri,
si prepararono ad attaccare i
Volturi.
Erice stava per replicare qualcosa in
direzione di Logan, ma
qualcosa dentro di lei si paralizzò, le fece gelare il
sangue nelle vene, il
respiro le si condensò in una piccola nuvola di vapore. Lei
non aveva mai visto dei lupi
mannari.
I secondi si dilatarono, ed avvenne
tutto in brevissimo
tempo: i licantropi, il pelo ritto sulla schiena mentre ringhiavano
contro i
Volturi, si gettarono con pochi balzi sui loro nemici, e vennero tenuti
difficilmente a bada dai poteri di Jane ed Alec, che avevano fatto
qualche
passo avanti, spalleggiati da Felix e Demetri.
La ragazza rimase immobile, incapace
di staccare gli occhi
da ciò che avvenne poi: tutti indietreggiarono, persino
Heidi che, nelle
retrovie, difendeva con il proprio corpo, Sulpicia ed Antenodora. Gli
Anziani
rimasero senza protezione – eccetto lo scudo prodotto da
Renata, la quale,
tremante, sembrava avere le dita cucite al mantello di Aro- e
bastò un attimo
di distrazione generale- soprattutto di Renata, che sussultò
alla vista di quei
colossi pelosi- affinchè lo sventurato Caius rimanesse senza
difese. La
vicinanza con i lupi gli causò un fremito incontrollabile e,
meravigliato che
nessuno degli Anziani si fosse accorto di qualcosa, cadde a terra,
evitando per
miracolo una poderosa unghiata di quelle bestie.
Sembrava pietrificato dal terrore, e
fu quel particolare a
far sciogliere in Erice la paralisi che sentiva addosso;
provò invece,
l’impellente bisogno di correre in soccorso di quel vampiro
biondo, sempre più
pallido per la paura.
-
Logan, tu occupati
di Dracula e di quante più mogli
puoi, vendicati, fa’ giustizia, fagliela pagare. Io devo
pensare a quei lupi
mannari.- sentenziò quindi, in tono monocorde, lo sguardo
perso lontano, fisso
su Caius. Probabilmente il vegetariano, stava tentando di replicare, ma
lei era
già distante, aveva iniziato a correre in direzione dei tre
licantropi che
ormai circondavano Caius.
Si sentì un po’
goffa mentre si lasciava alle spalle la
collina, ma ormai le gambe le si muovevano da sole, il coltello era
sguainato e
scintillava sotto la luce della luna. Aveva ormai preso il ritmo della
corsa, e
la sua presenza, lì, era necessaria.
Si ritrovò nel pieno della
battaglia, in parte accecata dal
fumo dolciastro che si sollevava dai roghi; in parte costretta a
saltare tra le
carcasse che le ostruivano il cammino. Attorno a lei, l’aria
era densa di
ringhi e ululati e, gli scontri diretti tra vampiri e licantropi
sembravano
complicatissime danze. Mentre avanzava le parve di riconoscere molti
visi:
Afton, Chelsea, Santiago, Corin…fu felice di rivedere
soprattutto loro quattro,
di sapere che stavano bene e, dopo essersi concessa quel secondo di
distrazione, tornò a concentrarsi, così che forte
dell’appoggio ricevuto da una
grossa pietra che sporgeva dal terreno, saltò tanto da
potersi avvinghiare alla
schiena del primo licantropo e decapitarlo, senza troppi problemi la
parte di
lama in argento.
Gli altri due- così come
Caius- sembravano non essersi
accorti di nulla. Sfruttando, quindi, il fatto che il primo licantropo
sembrava
ancora reggersi in piedi, e cadere come al rallentatore, la ragazza
spinse le
gambe contro il suo torace, tanto da far cadere il secondo licantropo a
terra.
Con la mente svuotata da qualsiasi altro pensiero, si accanì
su quell’animale,
senza pietà, alzando ed abbassando la lama finchè
non fu certa di averlo
dilaniato, non si sarebbe più mosso.
Ne restava solo uno. Ma questo era
stato più furbo: si era
fermato e, tenendo fermo Caius con una zampa, aveva osservato, attento,
tutta
la scena. Ora, la fissava teso, in posizione d’attacco. Ad un
segnale
sconosciuto scattò e le corse incontro, ululando.
Erice era rimasta calma, ferma fino
all’ultimo,
concentrandosi solo sul proprio respiro, poi, quando fu il momento,
piegò i
muscoli, saltò e conficcò il pugnale, rigirandolo
con impeto nel cuore di quell’essere.
Il tempo, apparso stranamente fermo
in quei momenti, riprese
a scorrere, seppur con lentezza e, lo sguardo dell’umana si
incrociò con quello
di Caius che, nonostante lo choc, sembrava aver capito cosa fosse
successo…
In quel momento, anche Didyme e
Marcus sollevarono lo
sguardo, insospettiti da quel fracasso, e la riconobbero, nonostante
avesse il
viso rintanato nel cappuccio così lei, pur sapendo di aver
agito bene, si sentì
scoperta e fu costretta a dileguarsi nella radura, celata solo dal
denso fumo
dei roghi.
Aveva il respiro corto quando, ormai
quasi al sicuro, venne
circondata da due vampire dall’aspetto mozzafiato: erano
praticamente nude, le
lunghe chiome- bronzea e dorata- ne coprivano i seni turgidi; le labbra
viola
erano scoperte a mostrare i denti di perla nella sua direzione.
-
guarda che bel
bocconcino! Che cosa facciamo di lei,
Mariska?- chiese la bionda, muovendosi con una grazia animale.
-
Non so, Aska.
È l’unica umana che ho visto, oggi qui.-
osservò l’altra, gli occhi famelici fissi su di
lei.
Prima che Erice avesse il tempo di
fare un passo indietro e
prendere in considerazione l’idea che quelle fossero le mogli
di Dracula,
Mariska ed Aska le furono addosso, e lei cadde a terra.
La ragazza prese a lottare con
accanimento, scalciando e
muovendosi come meglio potè, ma quelle due erano come
montagne dalla
temperatura gelida. Per la prima volta, quel giorno, la ragazza
avvertì il
panico, il terrore di non poter tornare a casa, farle tremare il cuore.
-
oh, guarda:
l’umana ha paura! No, no. Non averne
piccola…presto diventerai la nuova moglie del mio signore
Dracula, o forse…ti
mangerò prima che possa succederti altro. Tu cosa ne pensi,
Aska?- domandò la
vampira castana, premendo il corpo perfetto contro quello di Erice.
Insospettita dal silenzio che
proveniva dalle sue spalle,
voltò la testa, bloccando le braccia dell’umana
con le proprie mani. Un attimo
dopo ringhiò spaventata, verso un punto che Erice non
riusciva a vedere; così
lei, approfittando di quella distrazione, impugnò la sua
arma e, dopo aver
girato la lama dalla parte di diamante, la piantò con
violenza nelle braccia
della vampira, nel suo collo ed in qualsiasi altra parte del corpo le
capitasse
a tiro…
-
vuoi sapere cosa
penso io? Penso che non dovresti
perdere tempo a discutere quando devi mangiare!-
scherzò, sarcastica, in preda alla rabbia mentre fissava gli
occhi cremisi di
Mariska che diventavano vitrei.
In quel momento, sconvolta da quanto
aveva fatto, fece
cadere a terra il pugnale e, quando quello toccò terra, le
sembrò che
producesse un tonfo tanto assordante, che tutti avrebbero dovuto
sentire.
Era difficile allontanare i tremori
che la scuotevano ed i
sensi di colpa e, tuttavia, si rimise in piedi con un rapido balzo
quando si
trovò dinnanzi Logan; più che mai simile a suo
fratello Justin, ora che il
vento gli scuoteva i capelli, e gli occhi gli scintillavano di follia.
In
entrambe le mani teneva due teste, dagli occhi vitrei e la pelle
pallida: con
un sussulto, tra quelle Erice riconobbe Mariska ed Aska, che fino ad un
attimo
prima respiravano, volevano mangiarla, ed ora i loro corpi stavano di
certo
ardendo tra le fiamme dei due roghi che scintillavano alle spalle di
Logan.
-
stai bene?- le
chiese, la voce bassa, tormentata, anche
se appariva visibilmente sollevato.
Erice riuscì solo ad
annuire, gli occhi ancora fissi sulle
teste mozzate che non perdevano sangue: quella dell’uomo dai
capelli neri,
doveva esser appartenuta a Dracula…
-
vieni…-
le disse ancora il vegetariano, poi, vedendo
che non si muoveva, la prese per mano e quasi dovette trascinarla per
riportarla sulla collina dalla quale entrambi erano partiti; infine, le
mostrò
una visione d’insieme di ciò che il loro
intervento aveva causato: la radura
era disseminata di roghi dai fumi fittissimi e dolciastri, i Volturi
stavano
vincendo ma nessuno di loro pareva essersi accorto che il castello
gotico di
Hunyad si stava infossando nel terreno che gli franava
tutt’attorno.
-
vai…-
la invitò, spingendola appena sull’orlo. Ma lo
choc che Erice provava era tanto forte da averla ridotta ad una sorta
di stato
vegetativo; non notava nulla, non reagiva, così Logan fu
costretto a
risistemarle il mantello, affinchè nessuno la notasse e,
dopo averle lasciato
tra le mani le teste di Dracula, Mariska, Aska ed Annika, si nascose
per osservare
come si comportava.
Quella piccola, fragile umana, che si
era dimostrata tanto
determinata e coraggiosa, si riscosse con difficoltà dai
suoi pensieri e
strinse con forza i capelli di quelle quattro teste tra le dita;
approfittando
della distrazione dovuta al fatto che alcuni membri della Guardia si
stavano
ancora battendo, nel momento in cui una forte folata di vento
soffiò,
scuotendole il mantello, e rendendola simile ad una piccola fiamma nel
cielo
plumbeo della Transilvania; lanciò le teste nella conca
della radura e, quando
fu certa che tutte e quattro le teste fossero giunte ai piedi dei suoi
signori,
attirandone così l’attenzione, fece loro un
inchino e voltò le spalle, salendo
sulle spalle di Logan, abbracciato dall’ombra, per poi
sparire lontano da
quelle terre, assieme a lui.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Dopo tutta
quest’attesa, eccomi di nuovo qui
con la prima parte del 7 cap(le parti saranno due). Mi auguro che vi
sia
piaciuto; fatemi sapere cosa ne pensate ^__^
A proposito, vorrei ringraziare per
aver commentato il
capitolo precedente! J
Un’ultima cosa: il castello
di Hunyad esiste veramente, l’ho
cercato su Wikipedia visto che in Transilvania non ci sono mai stata e,
per i
nomi e le battute delle mogli di Dracula mi sono ispirata al film
“van
helsing”.
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 15 *** il ruolo della Discordia(parte 2) ***
Capitolo VII
Il ruolo della Discordia
Parte 2
Erice respirò a pieni
polmoni la fresca, ventilata brezza
che soffiava tra le strette vie di Volterra. Era a casa! Nulla era
cambiato da
quando aveva lasciato la città: quell’aria che
spirava dovunque, ora sembrava
volerla abbracciare, riaccogliere; i palazzi la guardavano ancora,
dall’alto,
ma ora, anziché scrutarla fin nell’anima,
accusatori, pareva volessero
complimentarsi con lei, strizzarle l’occhio; i rintocchi
della torre campanaria
si spandevano in ogni dove.
Lentamente, si voltò verso
Porta San Francesco: Logan era
scomparso da lì con tanta velocità che, si disse
lei, quello che loro due
avevano fatto insieme, ma anche semplicemente lui, sarebbe potuto
essere un
sogno…
La ragazza
aveva
trascorso i due giorni sulla via del ritorno per la Transilvania,
verso
Volterra, avvinghiata a lui. Inizialmente, i tremori che
l’avevano scossa e le
lacrime che erano sgorgate, quando aveva capito cosa avesse veramente
fatto,
erano stati tanto violenti da spingerla a trasformare la
realtà in una nube dai
contorni indefiniti, e da costringere il vampiro vegetariano a
fermarsi, per
attendere che lei si immergesse nelle limpide acque di un piccolo lago.
A giudicare
dall’impeto che metteva nel lavarsi, dall’irruenza
che usava quando si sfregava
le membra, Logan capì che quella ragazza si sentiva
colpevole fino al midollo
delle proprie azioni, che con quei gesti voleva cancellare dal proprio
corpo e
dalla propria mente gli avvenimenti appena accaduti. Così,
lasciò che lei le si
addormentasse sulle spalle e, nel momento in cui il loro viaggio giunse
al
termine, e si ritrovarono entrambi sulla soglia di una delle entrate di
Volterra, lui l’aveva abbracciata sussurrandole la sua
convinzione che non
avesse fatto nulla di male, se non che aveva dimostrato a se stessa
quanto
valesse; infine, l’aveva ringraziata per la
possibilità che gli aveva offerto,
di fare giustizia.
Era stato
allora che
lei l’aveva lasciato senza parole, carezzandogli una guancia
gelida e dicendo:
-
è
stato tutto merito
tuo, devo a te ciò che è successo e per questo
credo sia giusto che ti sia
restituita la libertà…va’ e cerca
ciò che pensi ti renderà felice, vivi una
vita serena.-
Logan
l’aveva fissata,
stupito, sull’orlo della commozione e, dopo averle preso le
mani tra le sue ed
averle baciate, era scomparso creando un vento innaturale attorno a
sé, in cui
veleggiò ancora per un secondo un sentito
“grazie”.
Al ricordo di
quell’avvenimento, Erice sorrise, spalancando
le braccia alla brezza che spirava, e chiudendo gli occhi per godersi
quell’attimo di libertà sospeso nel tempo con ogni
fibra del suo essere, con il
cuore e con la mente…
Rimase così ancora per un
po’, camminando tra i viottoli
ciottolosi mentre osservava la città, che sembrava
trasformata, ricoperta di
una sorta di manto purpureo: stendardi e bandiere di seta rosso sangue
svettavano ovunque, appesi alle finestre dei palazzi o penzolanti, in
balia del
vento, dalle grondaie, dai tetti; e, dalla sommità dei
graziosi lampioni nelle
vicinanze di Piazza dei Priori, erano state posate decine di ceste
piene di
morbidi petali cremisi.
“Evangeline è
stata formidabile! Ha pensato davvero a
tutto!” pensò Erice, con le mani che nascondevano
le labbra spalancate per lo
stupore.
-
chi sei tu,
Cappuccetto Rosso?- una voce squillante e
delicata, come un dolce suono di campane, le giunse alle orecchie,
nonostante
il vento ed il cappuccio che ancora indossava.
La ragazza sollevò svelta
lo sguardo, il cuore che batteva a
mille, ma ebbe appena il tempo di riconoscere- sotto un cielo
lievemente
plumbeo- la smilza figura di una vampira dalle trecce argentee, le mani
posate
sui fianchi; che subito quella la prese tra le braccia e la
portò, velocissima,
all’interno di Palazzo dei Priori.
L’umana scoppiò
a ridere, per via del vento innaturale
sollevato da quella corsa e, quando potè rimettere i piedi a
terra, si ritrovò
nella sua piccola stanza, Evangeline davanti a lei, splendida e con lo
sguardo
pieno di felicità, la guardava, tutta sorridente:
-
Ti trovo bene,
Evangeline. Mi sei mancata. Ma perché
sei tanto su di giri?- disse, il cuore che le frullava veloce, le
guance
arrossate per quella strana accoglienza.
La vampira
l’abbracciò con slancio ed intensità,
tanto da
farle sollevare i piedi da terra.
-
non hai idea di
quanto io sia contenta del tuo ritorno,
Erice. Sono così felice di vedere che stai bene, che sei
sana e salva. In
questi quattro giorni sono stata molto in pensiero per te…-
confessò la donna,
come se, vedere quella ragazza davanti a sé, costituisse
l’alleggerimento di un
peso dal suo cuore fermo.
Erice la fissò ancora un
attimo e, passandole una mano tra i
capelli di seta si lasciò sfuggire una lacrima di
commozione. Fu allora che
Evangeline, dopo un altro sorriso, prese a girarle intorno velocissima,
così
che lei si ritrovò circondata da un piccolo tornado e,
presto, senz’abiti.
-
presto: sotto la
doccia!- la vampira rise mentre
ripiegava il mantello rosso della ragazza ad un suo braccio.
-
Potresti lavarlo,
quello? Vorrei che vi venisse tolto
“l’odore di Transilvania”- si
raccomandò Erice, notandolo tra le braccia di
Evangeline.
Entrambe sussultarono a quelle parole
e, per un attimo si
scrutarono, avvolte da un silenzio carico di tensione ma anche di
consapevolezza; Evangeline si affrettò allora a frugare
nelle tasche di quell’indumento
per lasciare il pugnale della ragazza sul suo piccolo letto e poi
svanire al di
là della porta, dopo essersela chiusa alle spalle, per
lasciare alla piccola
umana un po’ di intimità.
Nei due giorni che seguirono,
nessuno, in tutta Volterra
fece domande sulla Transilvania, né si arrischiò
a nominarla con semplici
pensieri o allusioni; Erice, sotto la guida e la protezione di
Evangeline si
occupò, assieme agli altri schiavi, degli ultimi preparativi
per la festa di
San Marco ed era attenta, curiosa, calma quando le veniva spiegato
qualcosa di
nuovo, come per esempio la necessità che tutti
gli umani, presenti lì quel giorno avrebbero
indossato mantelle o abiti
rossi e, man mano che calava la sera, tutti gli indumenti sarebbero
stati di
una tinta via via più scura; mentre, i componenti della
Guardia che avrebbero
perlustrato la città, sarebbero stati riconoscibili a causa
delle loro mantelle
grigie, sin dalle prime ore del mattino. Ma, la ragazza, pur essendo
tranquilla, forte di quella quotidianità, ogni sera guardava
l’orizzonte
inquieta, con la paura di veder comparire i Volturi alle porte della
città, da
un momento all’altro.
Perciò, non appena aveva
un momento libero, si infilava
sotto la doccia e, coccolata dal getto d’acqua calda, cercava
di tenersi
stretta il ricordo delle parole di Logan, o del suo abbraccio.
Il settimo giorno, quasi
l’avesse presentito, Erice si
svegliò in piena notte e, dopo essersi presa cura di
sé ed aver indossato un
comodo paio di jeans ed una maglietta, si rannicchio alla finestra, e
li vide…
Una forma romboidale -compatta ma
melodiosa- di mantelli
dalle diverse gradazioni di grigio, si stava dirigendo ordinata e
solenne,
fluida come il flusso di un fiume, verso una delle entrate di Volterra,
e
sembrava portasse l’alba sulle proprie spalle.
Erice sentì il cuore
tremare: spesso, in quei giorni di
lontananza, aveva sentito la mancanza dei suoi signori
ma…ora che una di loro
aveva palesemente espresso il desiderio di vederla morire per berne
così il
sangue, ed altri tre l’avevano chiaramente scorta in
Transilvania, mentre
disobbediva ad un loro ordine, cosa avrebbero detto?
Per tutta la mattina rimase nella
propria stanza,
paralizzata, irrequieta, in attesa che il clamore del rientro del
Consiglio e
dell’intera Guardia, si trasformasse per lei in una sorta di
marcia verso il
patibolo.
Ma non avvenne nulla. Almeno fino a
quando…due lucenti
chiome scure ed una color platino, non fecero irruzione nella sua
stanza.
Lei se ne accorse appena, le parve
che un lembo di cielo,
assieme ad un guizzo di stelle fossero caduti nella sua stanza,
tuttavia, un
attimo dopo, distinse perfettamente la figura di Didyme, la furia negli
occhi
cremisi, i denti perlacei digrignati e in bella vista; che stava al
centro di
una piccola ambasceria: Marcus alla sua destra, e Caius alla sinistra,
che
sorrideva maligno.
La ragazza non si mosse,
voltò semplicemente verso di loro
la testa, con lentezza e, dopo un respiro profondo, esordì:
-
buongiorno
miei…-
ma non ebbe il tempo di terminare la
frase, perché Didyme,
in uno scatto d’ira, l’aveva afferrata per la
maglietta e spinta contro il
muro, sollevandole i piedi da terra. Quanta differenza c’era
dall’abbraccio
ricevuto da Evangeline il giorno prima!
-
come
hai…osato
disobbedire ai nostri ordini? Non ti avevo forse detto di rimanere qui?
Perché
ho visto qualcuno che ti somigliava tremendamente, in Transilvania? Con
uno dei
nostri mantelli addosso? C’era un limite che non dovevi
varcare…- la vampira
aveva sibilato bassi ringhi per tutto il tempo, astiosa, per farsi
capire e
terrorizzarla mentre la avvinceva nella morsa del suo sguardo; ma fu
allora,
udendo quelle sue ultime parole che Erice sentì che stava
per scoppiare.
-
Ah,
già! Il limite-
ribattè, sarcastica- ma non è forse vero che un
uomo deve poter saggiare il proprio
limite con le sue forze? Senza opposizioni esterne, o-se ci sono-
forzarlo
finchè non riconosce di aver fatto la cosa giusta?- la
ragazza sostenne lo
sguardo implacabile della sua mentore e lo ricambiò. Quella
la lasciò andare
con lentezza, sbalordita per la sua reazione.- perché, non
mi sembra di aver
agito male: vi ho portato la testa del vostro nemico e delle sue tre
mogli.- il
cuore della ragazza pulsava follemente ma si sentì
stranamente più leggera, ora
che le parole le erano uscite dalle labbra.
Marcus, che aveva abbracciato la sua
compagna cingendole le
spalle, guardando quella ragazza sorpreso, come se durante quella
settimana, in
cui era stata lasciata sola, fosse improvvisamente sbocciata e maturata.
-
cosa dici, dunque,
della cella dove il vampiro
transilvano era stato relegato, che è stata ritrovata vuota?- chiese, gli occhi accesi di
soddisfazione e stupore.
-
Sì,
sono stata io a liberare quel vampiro. Era inutile
che continuaste a torturarlo, a ridurlo alla fame, dal momento che
della
Transilvania sapeva molto poco, e che voi siete tornati vittoriosi da
lì, senza
il suo aiuto.- replicò lei, fissando il vampiro moro.
-
Touchè.
Il
tuo è stato un gesto nobile, lo riconosco. Ti abbiamo
addestrato davvero bene.-
Per un momento, in quella stanza
calò il silenzio. Il
compagno di Didyme- che aveva appena parlato- la fissava soddisfatto,
gli occhi
scintillanti come mai prima d’allora; Didyme era senza
parole, sembrava vedesse
per la prima volta, in quella ragazza, la donna che sarebbe diventata;
e Caius
era ammutolito.
-
signori, ora che
avete concluso, potrei chiedervi di
lasciarmi da solo con “la preda”?-
bisbigliò il vampiro biondo, non appena si
fu ripreso; anche se sembrava che la sua fosse cortesia forzata.
Marcus e Didyme si scambiarono
un’occhiata d’intesa poi,
voltandosi verso Caius, dissero:
-
molto bene, ma non
tardate: Erice è attesa nel salone
principale, tra breve.- e infine, scomparvero oltre la porta,
chiudendosela
alle spalle.
La ragazza si irrigidì
immediatamente: restare sola con
Caius la metteva fortemente a
disagio, ed inoltre, l’imbarazzante silenzio che si era
venuto a creare tra lei
e quel vampiro spietato, dalla bellezza assurda- che ora sembrava una
statua di
cera- le gelava il sangue nelle vene.
“resta calma, Erice. Caius
potrebbe sapere tutto del piano
di Anthenodora…o magari vuole parlarti di quanto
è successo in
Transilvania…resta calma, qualsiasi cosa
succeda.”pensò, cercando di
convincersi, mentre lo scrutava per capire cosa pensasse.
-
ciò che
sto per dirti non mi fa onore, perché hai visto
la mia paura più grande e potresti usarla contro di me,
ma…mi hai salvato la
vita, per ben tre volte qualche
giorno fa, e sono tre volte in debito con te. –
mormorò, conciso. Mantenne gli
occhi bassi mentre parlava, non la guardò mai; aveva i denti
digrignati e le
mani strette a pugno: sembrava che la sua dignità, il suo
orgoglio, ne
risentissero a dovere la vita ad un’umana,
ad esserle grato.
Poi, senza aggiungere altro le fece
segno di precederlo nel
corridoio, ed insieme, silenziosi, giunsero al Salone Principale.
Una volta lì, prima di
entrare, Erice si costrinse a fare un
respiro profondo: era il momento della verità. Anche se il
gesto compiuto da
Marcus, Caius e Didyme le lasciava pensare che non avessero parlato di
quanto
avevano visto in Romania, ora avrebbe finalmente visto la reazione dei
Volturi
alle sue azioni. Infine, decisa, varcò quella soglia che le
era stata proibita
per tanto tempo.
-
miei signori,
bentornati. È un sollievo rivedervi.- li
salutò, accennando un mezzo sorriso mentre si inchinava al
cospetto degli
Anziani e delle loro mogli.
Vedere quei sei vampiri era sempre
uno spettacolo magnifico
e terribile insieme, per lei: Aro, Caius e Marcus avevano un aspetto
regale,
temibile ed onnisciente; Sulpicia, Anthenodora e Didyme, in piedi
dietro i
troni dall’alto schienale, stavano lì, docili e
pronte ad assecondare i loro
compagni ma apparivano anche bellissime ed irrequiete come
divinità. In più,
fasciati tutti da abiti settecenteschi, sembravano un magnifico quadro,
entità
nate con il mondo ed trascendenti allo scorrere del tempo.
Anthenodora, in particolare, alle
spalle di un nervoso
Caius, la squadrava come un’infida serpe.
-
i miei ossequi a
te, piccola preda…di ritorno dal
nostro viaggio in Transilvania ho avuto modo di notare che hai portato
bene a
termine il compito che ti era stato assegnato, quindi, il Consiglio ha
deciso
di concederti l’onore di partecipare alla festa di San Marco.
È da poco
iniziata la messa ed in seguito vi sarà una rievocazione di
ciò che ci è
accaduto in passato. Nel pomeriggio ti prego di tornare
qui…chissà che magari
sia giunto per te il momento giusto, che tanto hai agognato in questi
anni. -
bisbigliò Aro, le mani sottili da pianista intrecciate in
grembo, un sorriso
gelido stampato falsamente in faccia, la voce pacata e gentile.
A quelle parole Erice
sussultò e si sforzò di sorridere
mentre si inchinava ai suoi signori, prima di andarsene.
Le venne subito in mente che un tempo
sarebbe stata felice
di ricevere quella notizia, ma ora, dopo i gesti un po’ folli
che aveva
compiuto voleva vivere, voleva
avere
accanto amici come Logan che l’abbracciassero, la
confortassero e la
spronassero a fare sempre meglio.
Era talmente confusa che
notò a malapena Alec e Jane che,
per poco, non si scontravano con lei mentre entravano nel Salone
Principale.
Per tutto il giorno quindi, pur
essendo affiancata a
distanza da Heidi, Felix, Santiago ed Evangeline; – che si
era preoccupata di
restituirle il mantello rosso, affinchè si confondesse tra
la folla- pur
essendo felice di godersi l’insolita tranquillità
che si respirava in quel
giorno a Volterra, il brulicare allegro di vita; Erice
continuò sempre a
chiedersi se il premio che le era stato concesso, quel suo ultimo
giorno di
vita, non fosse invece una punizione per aver smesso di sottomettersi
ai
Volturi.
Nonostante fosse rimasta sempre
vigile, tesa, si gustò ogni
singolo attimo di quella giornata, si curò di spargere i
petali rossi in terra,
poco prima del passaggio della fiumana di persone, ricoperte di
indumenti
rossi, che portavano a spalla il simulacro di San Marco, dalla chiesa
principale della città a Palazzo dei Priori.
Gioì come una ragazzina
alla vista del corteo settecentesco
che, a tappe, attraversò tutte le vie di Volterra,
ripercorrendo la storia del
vescovo Marcus, di come avesse cacciato i vampiri da quella
città servendosi di
aglio e crocefissi, e di come, una volta spintosi in Romania per
combattere
anche quei vampiri- stavolta di stirpe “reale”- si
fosse innamorato di una
vampira di nome Didyme; un amore che lo aveva condotto alla morte.
Apprendendo quelle notizie, si
sforzò di non ridere: Marcus
era stato davvero astuto ad inventare falsi scongiuri contro i vampiri
e…oh, se
solo tutti avessero saputo la verità! Come si poteva
spiegare agli altri umani
che la morte del vescovo Marcus era
stata solo apparente? E che il suo amore per Didyme era eterno ed
indissolubile?
Verso l’ora di pranzo, la
ragazza osservò i volterrani
fermarsi a mangiare nei ristorantini tipici delle piazze principali e,
scorgendo Heidi nella sua bella mini gonna scozzese e maglietta rossa
aderentissima- allo stesso tempo si atteggiava da preda e cacciatrice-
che
aveva attirato una copiosa folla di turisti(grazie al suo potere) e li
stava
conducendo verso Palazzo dei Priori, decise di seguirla.
Le porte del Salone Principale erano
chiuse, a chiave. Erice
notò come gli umani che le stavano attorno fossero come
accecati dalla bellezza
di quella sala, tanto da non accorgersi che, due vampiri alle loro
spalle, li
avevano intrappolati; o da non prestare attenzione a lei che, in quel
momento
si era tolta il mantello e lo aveva abbandonato sul pavimento di marmo.
Si fece
largo tra di loro con noncuranza ma studiò uno ad uno i loro
volti, chiedendosi
se, una volta divenuti pasto dei suoi signori qualcuno si sarebbe
curato di
seppellirli, o se quell’onore sarebbe spettato solo a
lei…
Mentre gli Anziani parlavano
dolcemente a quelle vittime
ignare, informandoli sulla data di fondazione della città o
della costruzione
del Palazzo, la ragazza si inginocchiò un po’ a
distanza, restando a guardare,
in attesa che il suo destino si compisse.
La torre del Porcellino
tuonò con un rintocco e da allora
tutto accadde in brevissimo tempo: Caius, che era stato
l’unico ad essersi
alzato per sottoporsi- assieme alle mogli- ai flash delle macchine
fotografiche
di quei curiosi, le si avvicinò, carezzandole fugacemente
una guancia e, una
volta inchiodato il suo sguardo al proprio, spezzò
facilmente il collo di uno
di quegli umani, sotto i suoi occhi.
Fu allora che, dopo un secondo di
incredula quiete,
iniziarono le urla: molti tentarono di scappare, ma Alec e Jane furono
loro
addosso prima che quelli potessero muovere un solo passo. Altri,
sentendo la
fine dei loro giorni, rimasero immobili, freddati dalla paura ma anche
ammaliati
dalla bellezza di quelli che ormai avevano capito essere…vampiri.
Erice se ne stava in silenzio, la
pelle dilaniata dai
brividi, il cuore che le martellava nel petto: attorno a lei, vide i
vampiri
dal fare schivo, gentile e freddo, trasformarsi in animali; predatori
spietati
dagli occhi rossi. Attorno a sé, vide fiumi di sangue
sgorgare dalle morbide
gole di quegli umani, Didyme, Anthenodora e Sulpicia che, senza
problemi
spegnevano urla umane, ancora prima che nascessero, che frantumavano
ossa, azzannavano
gole, come se fossero state fatte di cristallo…e tutto quel
liquido rosso, che
non arrivava mai a toccare terra, le fece ricordare la moltitudine di
persone
che aveva visto quella mattina, alle porte della città.
D’un tratto, seguito dal
guizzo della chioma chiara di
Caius, Erice ebbe solo il tempo di notare una ciocca di capelli neri
come la
notte, che subito dopo ne fu avvolta e si sentì trascinare
via…
Non voleva morire, ma non voleva
neppure piangere o urlare,
non voleva mostrare debolezza così, chiuse gli occhi, sempre
aspettando, i
muscoli tesissimi sotto la pelle.
-
sei pallida
più di me, piccola Erice. Questo mondo non
è fatto per te, solo ora lo capisco…- era la voce
di Marcus. Sembrava
preoccupato, quasi pentito, ogni ombra dell’affascinante e
inumano predatore
era scomparsa. L’aveva presa tra le braccia, per tenerla
lontana da quella
carneficina.
-
Ma…v-voi
siete la mia famiglia e io…voglio restare
qui.- tentò di replicare lei, ma scoprì che le
tremava la voce; faticava
persino a trovare le parole, e ringraziò che il suo signore
avesse un udito
finissimo.
-
Quanto rispetto ci
porti, piccola, quanto ci onori! Ti
chiedo di restare solo qui, a distanza. Non vorrei che ti venisse fatto
del
male.- si raccomandò pacato il vampiro mentre la lasciava in
piedi vicino ad
una delle alte finestre della stanza.
Marcus si rituffò
immediatamente nella mischia, accanto a
Caius, dopo averle gettato un ultimo sguardo.
La ragazza era sotto choc. Stava
facendo quanto le era stato
ordinato, ma sembrava un automa, pareva guardasse la disperata
situazione che
le infuriava attorno, con occhi vuoti, persi in un altro luogo.
All’improvviso, Aro si
alzò, agile ed aggraziato, e si
avventò, con uno svolazzo, su un uomo sulla quarantina che,
nonostante i
ripetuti morsi al collo, ed il sangue che perdeva dimostrò
tanta forza d’animo
da essere capace di muovere, carponi, qualche passo, per trascinarsi
morente
fino ai piedi di Erice ed afferrarne i lembi del mantello.
-
aiutami…ti…pre…go.
– il fratello di Didyme, i
lineamenti alieni, eppure bellissimi anche in quel momento di caccia,
con un
balzo lo raggiunse.- mettiti in…salvo.- mugugnò
l’uomo, dopodiché la luce
scomparve dai suoi occhi castani e i capelli gettarono
un’ultima ombra sul viso
stanco mentre si accasciava a terra come un pupazzo di pezza. Non si
mosse più.
Erice ed Aro si fissarono, muti. Lei,
il cuore che tremava,
messo a dura prova da quanto le era appena successo, si chiese se il
vampiro
approvasse quanto aveva appena fatto Marcus o se, stanco del troppo
tempo in
cui l’aveva avuta tra i piedi, era venuto lui stesso a far
sì che morisse.
-
ehi! Ma che
succede in quella stanza? Hai visto? Hai
ripreso tutto?- una voce lontana, dal forte accento americano distrasse
entrambi e mise in allarme la ragazza che -dopo essersi voltata ed aver
incontrato lo sguardo di due ragazzi sulla trentina, dalla pelle rosea,
i
capelli corti, raccolti in tante piccole punte ordinate sopra la testa,
che
guardavano esterrefatti nella sua direzione, dalla piazza sottostante-
ritrovò
immediatamente la sua prontezza di spirito ed avvertì il suo
signore:
-
potrebbero esser
stati testimoni di quanto è accaduto.
Siete tutti in pericolo. Vado a prenderli.- e, tra lo stupore e il
silenzio
generale di tutti i vampiri, si precipitò fuori dalla
stanza, gettandosi velocemente
addosso il mantello cremisi, mentre qualcuno apriva per lei le porte
del Salone
Principale.
Faceva caldo nonostante il vento, ed
Erice si sentiva
ribollire di rabbia e paura per il compito che si era assegnata da
sola. Il
mantello le assicurava invisibilità tra la folla e sarebbe
potuta piombare
addosso a quei due ragazzi, non vista, facendo giustizia. Magari se
avesse
riportato ai suoi signori le teste di quei due umani si sarebbe
assicurata un
premio, forse di non essere mangiata, come Marcus voleva. Ma la festa
di San
Marco era nel pieno dei suoi festeggiamenti e le persone, come
un’unica
compatta montagna, la disorientavano, trasportandola dove lei non
voleva. E se
non fosse riuscita a trovarli?
Il cuore le pulsava incessantemente
nel petto, si sentiva
persa quando, di colpo, mentre girava la testa da una parte
all’altra,
freneticamente individuò due chiome, una castana e
l’altra bionda che
sfrecciavano verso Porta all’Arco, per uscire dalla
città.
Li seguì, aiutata anche
dai colori sgargianti delle loro
T-shirt e dal fatto che uno dei due stringesse convulsamente in mano
una
videocamera.
Era alle loro spalle, veloce come il
vento, invisibile come
un’ombra; ma doveva impedire loro di lasciare Volterra
così, con un fischio si
assicurò di aver attirato l’attenzione delle due
mantelle grigie che le erano
più vicine ma non si preoccupò di capire chi
erano, si concentrò piuttosto
sulla propria corsa visto che i due turisti impiccioni
l’avevano sentita, si
erano accorti della sua presenza ed ora avevano aumentato la falcata,
distaccandosi dalla folla per sfuggirle.
Muovendosi quasi automaticamente-
ormai conosceva ogni
centimetro di Volterra come le sue tasche- fece sì che
ripercorressero Via di
Porta all’Arco e li spinse verso Vicolo Mazzoni, buio e
stretto, decisamente
poco accogliente.
I due ragazzi ansimarono, a disagio,
trovandosi in quel
vicolo buio, con le spalle al muro mentre l’avanzare di
quella slanciata figura
dal viso coperto, faceva perdere colore ai loro volti. Il biondino
proteggeva
ancora con tutte le proprie forze la videocamera.
- che cosa avete visto?-
intimò Erice, venendo avanti,
minacciosa mentre cercava di mantenere la voce bassa, alterata, per non
essere
riconosciuta.
L’altro ragazzo si
lasciò sfuggire un singhiozzo.
Erice smise immediatamente di
pensare: quello spettacolo-le
lame di luce che venivano dalla via ed illuminavano il vicolo, i visi
terrorizzati di quei due uomini- era raccapricciante, straziante ma
avevano
visto troppo e sicuramente ne avevano una prova in quella videocamera.
Ormai
avevano firmato la loro condanna a morte.
Facendo un respiro profondo corse
verso i due, che non
avevano più via di scampo e si avventò su di
loro, estraendo dalla tasca il
pugnale che aveva portato con sé in Transilvania.
Riuscì a colpire uno dei due
ragazzi alla gola- infatti, quello cadde subito in ginocchio respirando
a
fatica mentre vomitava fiotti di sangue- ma fermare l’altro
fu più difficile:
la paura aveva reso i suoi riflessi molto pronti.
Erice fece per pugnalarlo al collo,
ma quello cercò di
allontanarla colpendola con la videocamera; fortunatamente lo
evitò e la sua
lama andò a conficcarsi nell’addome di lui.
La ragazza riprese fiato a fatica.
Era tutto finito. Ma…se
avesse fatto troppo rumore? Se qualcuno avesse visto, o si fosse
accorto di ciò
che aveva fatto? Si girò per controllare, il sangue
ghiacciato nelle vene…
-
non capisco
perché mai tu ci abbia chiamati, se sei
riuscita a cavartela da sola.- all’entrata del vicolo si
potevano distinguere
due figure ammantate di grigio. Erice riconobbe nel vampiro che aveva
parlato,
il tono di voce lievemente arrogante di Felix.
-
È stata
solo fortuna. Sono tutti vostri. Quello con la
videocamera ha ripreso tutto: distruggetela.- disse, la voce che
tremava
leggermente mentre indicava il ragazzo castano.
Felix sfrecciò subito su
quello che ancora respirava ed
iniziò a bere il suo sangue, avido eppure preciso come un
killer; l’altro
vampiro che lo accompagnava, invece, si mosse con più
cautela perché sembrava
maggiormente preoccupato dell’angoscia che Erice stava
provando, che era
chiaramente dipinta sul suo volto: non faceva altro che nascondere le
mani
strette a pugno, nelle tasche e cercava di regolarizzare il respiro,
mentre
teneva la testa bassa, gli occhi serrati.
Sentendo improvvisamente i morsi
della fame, il vampiro più
cauto strinse fra le proprie mani la videocamera, fino a ridurla ad un
ammasso
scomposto di trucioli e poi si dissetò col sangue che
sgorgava dalla gola
dell’altro umano, ancora caldo, nonostante quello fosse morto.
-
gracias,
Erice…- disse allora, dopo aver finito il pasto ed essersi
pulito le labbra.
Vide che la ragazza sobbalzava,
sentendolo parlare in
spagnolo e cercò il suo sguardo mentre la consapevolezza di
chi fosse si
insinuava in lei.
-
Santiago…?-
sussurrò, carezzando quasi quel nome a voce
bassa, mentre le guance le si tingevano lievemente di rosso.
Santiago sorrise e la prese per mano,
per far sì che gli si
avvicinasse. Si beò della vista del delicato viso di lei
illuminarsi, per la
sua vicinanza, così come si era beato del suono della sua
voce la sua voce, che
si era fatta dolcissima quando l’aveva riconosciuto, o del
battito del suo
cuore leggermente accelerato. Avrebbe voluto stringerla tra le braccia,
scacciare dal suo animo l’angoscia che tutta la morte che
doveva aver visto in
quel giorno, le aveva causato; o magari complimentarsi con lei per
quanto aveva
fatto in Transilvania, e parlarle della paura che aveva avuto, per lei,
vedendola sul campo di battaglia, ma comprese che un semplice abbraccio
non
sarebbe stato abbastanza, non per lui: non voleva altro che farla
felice, ed
averla vicina, sempre.
Perciò, dopo averle
accarezzato lentamente le spalle, si
chinò su di lei e, facendo molta attenzione…la
baciò.
Santiago sentì il cuore di
Erice frullare felice come il battito
d’ali di una farfalla, i respiri di entrambi si fecero
più accelerati, lei
sembrava tesa, come se avesse paura di non sentirsi
all’altezza, ma a lui non
importava: in quel momento comprese che da quando le aveva fasciato le
ferite
alla schiena, alla Cinta Muraria,(ma probabilmente anche da prima) non
aveva
desiderato altro che quel momento, perfetto e senza tempo.
Le spalle della ragazza erano
poggiate contro il muro freddo
del vicolo, e d’un tratto il vampiro messicano la
sentì irrigidirsi…la sua rigidezza
mutò in una sorta di rifiuto- perché non poteva
essere interpretata altrimenti
la spinta delle sue mani contro il suo petto marmoreo- e Santiago,
sconcertato
da quella reazione fu costretto a staccarsi da lei, con tanta fretta e
veemenza
che le morse le labbra.
Per un istante si guardarono.
Santiago sembrava deluso,
ferito dal modo di comportarsi di lei, ma Erice, pur tenendosi il
labbro, che
perdeva sangue, lo fissava spaventata, spaesata quasi si sentisse
tradita.
Negli occhi verdi scintillava un’unica preoccupazione che le
labbra non
sarebbero mai state in grado di esprimere: no!
È sbagliato! Cosa diavolo ho fatto?
Poi corse via, lasciandosi quei due
vampiri e le carcasse
degli umani alle spalle.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutte/i!
Chiedo venia per il mega ritardo ma
sono tornata domenica
dalle vacanze.
Innanzitutto vorrei ringraziare le
tre campionesse di
pazienza che mi hanno lasciato un commentino:
Ramona37grazie
mille per i complimenti, non hai idea di quanto sia contenta di
rivederti qui,
era un po’ che non ti leggevo tra i commenti J
grazie davvero. A
proposito spero che la reazione dei Volturi non ti abbia delusa.
Dolce
bambolina
benvenuta! E grazie per aver aggiunto la storia tra le preferite e le
seguite(se non sbaglio)ti chiedo scusa per la lentezza con cui ho
aggiornato ma
mi ero un attimo persa l’ispirazione per strada. Mi ha fatto
molto piacere il
tuo commento ;-)
Luce70
ciao, o
sempre fedelissima! Visto che nel cap precedente hai avuto modo di
notar tante
qualità di Erice, chissà che penserai di quello
che ha fatto in questo cap? e,
siccome ti è piaciuto come si è comportata
Didyme, che ne pensi del modo di
agire di Marcus? E che dici del ritorno di Santiago? È un
ritorno “col botto” o
si poteva migliorare?
A proposito, domanda per tutti quelli
che leggeranno e gli
verrà la voglia di darmi una loro opinione…che ne
pensate di Logan? Perché in
futuro pensavo di farlo ricomparire nella storia.
Ultimo appunto poi vi lascio: pur
essendo stata a Volterra,
non l’ho visitata tutta e perciò mi sono dovuta
“inventare”il percorso di
Erice, sfruttando una cartina della città che
avevo…
Grazie mille ancora a tutti, mi
auguro che il capitolo vi
sia piaciuto
Un baciotto
marty23
|
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Capitolo 16 *** una storia della buonanotte ***
Capitolo VIII
Una storia della buonanotte
Erice continuò a correre,
la mente svuotata da qualsiasi
pensiero, dominata solo dalle emozioni e non pensava neppure dove
andasse;
sentì le membra pesanti persino quando le imponenti membra
di alabastro del
Palazzo dei Priori l’accolsero. Per lei, quello era sempre
stato un luogo in
cui sentirsi al sicuro, ma ora i corridoi, le scale, le porte delle
stanze, le
passavano davanti come fossero una nebulosa indistinta; persino il
mantello di
velluto rosso che aveva indossato per la festa di San Marco, tentava di
farsi
notare carezzando leggero e maestoso il pavimento, o sbattendo contro
le
caviglie della ragazza, ma quella, aveva davvero la testa altrove.
Sentendosi persa,
abbandonò con forza la schiena contro il
ritaglio di muro lontano dalle finestre, lontano dal sole che ormai
stava
tramontando, in un trionfo di tonalità vermiglio,
così simili al sangue che le
macchiava le mani; per poi scivolare lentamente a terra, le gambe
raccolte al
petto.
Ora che si era fermata, le
sembrò che la confusione che
aveva in testa l’avesse raggiunta, amplificandosi: un
penetrante freddo le
aveva ghiacciato il sangue nelle vene, facendole tremare i muscoli e le
membra;
il cuore le batteva come impazzito nel petto, un dolore lancinante le
torturava
il labbro- la bocca era inondata del sapore ferroso del sangue- e si
fissava le
mani, ricoperte di liquido rosso, con orrore, come se non le
appartenessero.
Cosa poteva averla ridotta
così? La vista del banchetto di
umani imploranti, di cui i suoi signori si erano nutriti- in sua
presenza- nel
Salone Principale? La scoperta che due umani avevano accidentalmente
assistito
al macabro spettacolo, dalla Piazza sottostante? Il repentino
inseguimento, da
parte sua, di quelle due minacce ambulanti e la loro successiva
uccisione in
uno dei vicoli della città, lontani dalla folla? Il fatto
che Santiago e Felix
fossero accorsi per cibarsi- dinnanzi a lei- dei loro resti e non
lasciarne
traccia? Oppure il delicato e sconvolgente bacio ricevuto subito dopo
da
Santiago?
Nonostante il cappuccio le avvolgesse
morbidamente il capo,
tenendole in ombra il viso, le lacrime che sgorgarono silenziose dai
suoi
occhi, non sfuggirono alla presenza che torreggiava su di lei:
-
piccola Erice, mia
coraggiosa lady Macbeth, cosa ti
succede? Perché piangi? – chiese, una vicina
voce melodiosa.
Erice sobbalzò, colta di
sorpresa e, dopo aver sollevato lo
sguardo, riconobbe, seppur con la vista appannata, la bella chioma di
Didyme
scura come la notte, e il suo profondo sguardo cremisi fisso su di lei,
preoccupato.
La ragazza avvertì un nodo
che le serrava la gola, che le
impediva di parlare, e si sentì in colpa per quella
splendida vampira che
attendeva, paziente, una sua parola. D’un tratto
sembrò comprendere tutto, e le
afferrò gentilmente un braccio per aiutarla a rimettersi in
piedi.
Nel momento in cui la sua palle
gelida la sfiorò, Erice
abbandonò la realtà, non prestò
attenzione ai gesti della sua signora, alle
premure nei suoi confronti; seppe solo che, dopo qualche minuto- in cui
udì due
porte chiudersi alle proprie spalle, e dell’acqua scorrere in
lontananza-
mentre Didyme la spogliava con lentezza, riprese conoscenza e
capì di essere
circondata da piacevole acqua tiepida, nella vasca da bagno nella
stanza della
vampira.
-
dimmi cosa ti
succede, piccola mia, ti prego…- mormorò
ancora Didyme, mentre la lavava.
Erice si morse un labbro, tesa,
perché sapeva che presto o
tardi le sarebbe stato chiesto del taglio che aveva, e preferiva che la
colpa
fosse addossata a lei, piuttosto che a Santiago.
-
mia signora,
io…ho ucciso…-
bisbigliò, abbassando lo sguardo sulle mani, che si sfregava
ossessivamente.
-
Ora stammi bene a
sentire, Erice: poco fa mio fratello
mi ha messa a parte dell’inseguimento che hai sostenuto e
della morte che hai
dato a quei due umani che avevano involontariamente assistito al nostro
banchetto. Credimi, non devi incolparti delle tue azioni, devi esserne
fiera
invece, poiché sicuramente avrebbero parlato con altri della
loro esperienza, e
il nostro segreto sarebbe stato in pericolo. Tu hai semplicemente
scelto di proteggerci, facendo
ciò che ritenevi giusto;
inoltre, hai anche dato la
possibilità a Santiago e Felix di nutrirsi, rendendo
così, un giorno che poteva
essere infausto, una splendida festa.- Didyme parlò con
convinzione e veemenza,
mentre le teneva dolcemente le mani ferme, e le sollevò il
mento, affinchè la
guardasse e, nel frattempo, l’asciugava e la vestiva.
Erice, che tremava ancora, si
costrinse ad incatenare i
propri occhi smeraldini a quelli cremisi della sua signora e,
rassicurata dalle
sue parole, attese, tranquilla che i suoi battiti cardiaci
rallentassero.
Quindi, si lasciò condurre dalla sua mentore nella stanza da
letto dove, solo
dopo qualche minuto, notò la presenza di Marcus, e si
inchinò al suo cospetto.
-
Erice, sono
così fiero di te. È un sollievo sapere che
stai bene! Ti meriti ogni complimenti per le tue lodevoli azioni,
perciò
permettimi di ringraziarti per aver salvato Caius dai licantropi, in
Transilvania- anche se lui l’avrà sicuramente
già fatto- e per averci
consegnato la testa del conte Dracula…(non so tu ma a me
è sembrato di
riconoscere Cappuccetto Rosso).- iniziò il vampiro, con voce
soave e gioiosa,
venata di rispetto, mentre pizzicava affettuosamente, con fare paterno
una
delle guance di Erice, diventata improvvisamente rossa.- e ancora
grazie, per
ciò che hai fatto oggi, per aver scelto di difenderci,
uccidendo quei due
umani, ed offrendo il loro sangue a Santiago e Felix…-
La ragazza questa volta
rabbrividì, e chiuse gli occhi,
rintanando il capo quasi nell’incavo del collo.
Una mano fredda si posò
sulla sua spalla…e lei sussultò,
giurando a se stessa che quella appartenesse a Didyme…
Infatti, voltandosi, riconobbe il
profilo della sua signora…
Tuttavia, il timore che ella potesse
scoprire tutto su
quanto era avvenuto con Santiago, svanì, non appena la
vampira le sorrise…
-
sarai stanca,
vieni, riposa. Hai meritato che ti
raccontassimo la nostra storia, e sarà per te come una fiaba
della buonanotte…-
sussurrò, facendola sdraiare sul letto, tra lei e Marcus.
-
Dunque, devi
sapere che Aro, Caius ed io, rinascemmo
come vampiri nel 1300 prima di Cristo, nel caldo Egitto, in
prossimità del
Nilo…- Marcus iniziò a raccontare quella
millenaria storia con voce bassa, come
se si trattasse di una favola, ed accarezzò piano una delle
guance di Erice per
far sì che si togliesse dal viso quell’espressione
stupita.- e dapprincipio,
accecati dalla sete di sangue, uscivamo solo di notte, terrorizzati da
ciò che
la luce del sole avrebbe potuto farci, e ci cibavamo delle carcasse dei
guerrieri che avevano partecipato alle battaglie che, frequenti,
infuriavano in
quel tempo.
Nessuno di noi tre aveva un nome, ci
sentivamo emarginati, e
perciò uniti, dal nostro comune destino; invincibili, e
così, facendoci credere
divinità dagli umani, osservammo per qualche decennio le
persone, la loro vita
semplice, quasi insulsa, quella che ci eravamo lasciati alle spalle, e
invece,
gli imperi che erano stati in grado di creare, fiorenti e
dall’aspetto eterno-
allora erano principalmente quello egizio e quello ittita- le loro
grandi
innovazioni, le leggi…gli umani erano fragili, inferiori
rispetto a noi, ma le
loro istituzioni ed i loro ideali erano alti, una fonte
d’ispirazione per noi
famelici vampiri; soprattutto per Aro, che ci disse di voler creare una
“società perfetta” di soli vampiri,
difesa dalle sue capacità di scrutare nei
pensieri altrui attraverso un semplice contatto fisico; dalla mia
abilità, di vedere i
legami che univano le persone;
e dalla rabbia e la caparbietà di Caius- probabilmente
dovuta al fatto che lui,
nella sua seconda vita non aveva sviluppato
“poteri”(non puoi immaginare come
ci fece sentire, saggiarli le prime volte, per qualche decennio!).
Aro, come del resto anche noi, si era
allontanato dalla sua
famiglia e tuttavia, quindici anni dopo la sua trasformazione in
vampiro, venne
a sapere che sua sorella era da poco divenuta una donna, ed espresse il
desiderio che anche lei fosse parte del suo grande progetto. Io, che
ero la
persona di cui si fidava di più, suggerii che divenisse come
noi, affinchè i
due restassero per sempre insieme.- detto questo, Marcus si
fermò un secondo,
per accarezzare i capelli della sua compagna e guardarla con amore.
-
una volta divenuta
vampira guardai il mondo con occhi
nuovi e, mentre assecondavo qualsiasi desiderio di mio fratello-
cercando
disperatamente il potere che lui aveva detto di vedere il me-
comprendevo le
infinite possibilità che avevo dinnanzi agli occhi, a
portata di mano. Proposi
perciò a tutti, di viaggiare, per apprendere gli usi di
altre civiltà che
sicuramente, in qualche luogo lontano- anche se mai troppo lontano per
noi-
stavano nascendo e…per saggiare le nostre
capacità vampiresche. Tutti
approvarono la mia proposta, ed intraprendemmo il nostro Cammino,
durante il
quale, scoprii di non dover mai dormire, di essere più
veloce del vento, di
potermi trovare al centro di un tornado senza essere mossa di un
millimetro.
Osservavo la natura attorno a me, sentendomene padrona, e non mi
preoccupai più
di un mio possibile “potere”; Aro, invece, studiava
nell’ombra le grandi
civiltà nascere, fiorire e perire, cercando di imparare e
carpire quanto più
potesse: dalla mistica Cina, apprendemmo che ci saremmo potuti
nascondere
dietro delle leggende; dall’Antica Grecia, ci vennero gli
ideali di Bellezza,
Perfezione ed Amore, l’efficacia delle leggi, la forza e
l’indipendenza di una
città; dalla Maestosa Roma- dove, peraltro, i cittadini ci
diedero i nomi che
portiamo ora- l’importanza dei passaggi
dall’Età Regia, alla Repubblica,
all’Età imperiale e l’imponenza che in
tutti suscitava come fosse un faro nel
buio. Erano tutte diversi, eppure questi imperi erano accomunati dalla
credenza
degli uomini che li formavano, nelle Divinità, dietro le
quali potemmo
facilmente nasconderci.
Il sogno di mio fratello, di creare
una potentissima
congrega di vampiri, che avesse potuto ispirare il mondo, dettando
leggi e
fornendo grandi ideali, iniziò a prendere corpo quando,
durante una nostra
battuta di caccia, assistemmo- nel 480 avanti Cristo- alla battaglia
delle
Termopili. In quella strana parte della Grecia, ci imbattemmo in Afton,
uno
schiavo moribondo dell’Impero Persiano, al quale offrimmo la
libertà e la vita
eterna. Dopo esser stato mutato in vampiro ed essersi unito a noi, fece
sfoggio
di un potere, e Aro gongolò di soddisfazione…
Più tardi, nel 509 avanti
Cristo, durante la Prima Repubblica
romana,
trovammo Corin, un ragazzo appena ventenne, dalle discendenze sabine,
console
in quell’anno, che mutammo in uno di noi e, come puoi
immaginare, anche lui
dimostrò di avere un potere…e così
stranamente triste, circondata da tutte
quelle particolari abilità, tornai a chiedermi se ne
possedessi una anch’io…-
Didyme aveva dato il cambio al compagno, nel racconto ed ora, al
ricordo di
quella sensazione provata in quell’anno lontano,
abbassò gli occhi.
-
qualche anno dopo,
durante l’Età Augustea, sul finire
del I secolo avanti Cristo, ci trovammo di nuovo a Roma, dopo una breve
“gita”
in Oriente, e Aro si innamorò di Sulpicia,
un’aristocratica, nipote di Marco
Valerio Messalla Corvino, e poetessa nel suo circolo, che sospirava
invece per
un uomo chiamato “Cerinthus”.- Marcus che aveva di
nuovo preso la parola, per
completare le frasi della moglie, mostrò alla ragazza una
poesia.
Erice prese tra le mani tremanti la
pergamena ingiallita,
che trattò con timore reverenziale e, senza problemi,
tradusse dal latino:
“ più
di tutte io
brucio; è un bene, o Cerinthus, ch’io bruci se in
te c’è per me un uguale fuoco”
-
che bella poesia!
È davvero romantica.- commentò
subito, fissando sognante quei versi.
-
Sì,
l’animo di Sulpicia era innamorato di quell’uomo,
perciò ella era cieca in merito a chi lui veramente fosse;
di conseguenza, Aro
le mise davanti agli occhi la pura verità: Cerinthus la
tradiva con una
prostituta.
Sulpicia si chiuse in sé,
ed Aro le approfittò per starle
vicino. Iniziarono a scambiarsi dei bigliettini, a vedersi di sera, e
lui si
mostrò insolitamente impacciato e timido, perché
comprendeva che la loro natura
era diversa. Sulpicia compose due
poesie per lui.- di nuovo Marcus le fece leggere quelle poesie e,
ancora una
volta Erice tradusse i versi dal latino, senza pensarci:
“anche
il giovane
formula lo stesso mio desiderio, ma più segretamente
perché si vergogna di dire
tali parole apertamente.”
Davvero non riusciva ad immaginare
Aro in atteggiamenti timidi.
“vi
sia reciproco
amore, io prego, per i nostri dolcissimi incontri furtivi, per i tuoi
occhi e
per il tuo Genio”
-
Sulpicia aveva
capito che Aro era un vampiro, che le
era superiore?- domandò
la ragazza,
insospettita ed affascinata dalle parole dell’ultimo
componimento, mentre
rifletteva sul fatto che non aveva mai
visto né Corin né Afton e non sapeva quali poteri
avessero.
-
Sì, lo sentiva…ma
ne ebbe la certezza solo quando Aro le mostrò come si
nutriva, la stessa sera
in cui la trasformò…per giorni Sulpicia stette
male, agli occhi degli umani e,
quando fu in punto di morte, o meglio di rinascita,
volle Aro accanto a sé, e stanno insieme da quando lei
riaprì gli occhi sulla
sua nuova vita…-
Marcus allora si zittì,
fissando Didyme in attesa, per dare
la possibilità ad Erice di assimilare e comprendere a fondo
tutte quelle
informazioni, anche se le erano state messe davanti agli occhi quasi
per gioco.
Sembravano davvero preoccupati e, per tutta risposta, lei
sospirò, sorridendo
felice e curiosa.
-
ma mia signora,
voi avete
un potere…quando lo avete scoperto se alla fine del I secolo
non ne eravate
ancora cosciente? Inoltre, non mi avete ancora accennato a come vi
siete legata
al mio signore Marcus…- osservò la ragazza,
completamente assorbita da quei
fiumi di parole.
Didyme sorrise, fissando Marcus con
soddisfazione e
complicità.
-
nel Medioevo-
periodo molto buio a seguito dell’impero
romano, durante il quale la paura della gente in merito
all’Ignoto, degenerò in
ipocrisia- ci stabilimmo a Volterra, dove potemmo nasconderci agli
occhi di
tutti, difesi da queste mura, ed avemmo la possibilità di
continuare a cercare
componenti per la Guardia. Di
certo conoscerai la storia di Anthenodora, vero?- domandò
infine, Didyme dopo
aver ripreso la narrazione ed aver esposto all’umana il
quadro storico di quel
periodo.
-
Sì mia
signora.- replicò, ubbidiente.
-
Quindi avrai
capito che a quell’epoca eravamo già in
molti a possedere dei poteri…- intervenne Marcus, facendo
leva su un gomito per
guardarla bene negli occhi.
-
Per ora, ne ho
contati otto…- considerò, l’umana,
tenendo il conto con le dita.
-
Esatto…e
la situazione era difficilmente controllabile,
l’ordine che avevamo stabilito si sarebbe potuto facilmente
sovvertire. Ma non
accadde mai perché- e me ne resi conto solo attorno al 1300,
quando Demetri si
unì spontaneamente a
noi(o magari
sollecitato dalla mia persuasione)- capii che era merito mio.
All’inizio credevo che il
fatto che tutti mi adorassero e
rispettassero ciò che dicevo semplicemente grazie al mio
aspetto di vampira
tuttavia, pur essendo garante dell’ordine e
dell’armonia nel nostro clan, ero
infelice poiché, sì, tutti i vampiri che avevo
intorno mi adoravano, ma nessuno
mi amava davvero; e io era proprio
quello che volevo, l’amore puro, quello che mio fratello
aveva, così come
Caius…ma nessuno si accorse dei miei desideri di
ciò che provavo, e tutto
rimase tranquillo tra di noi, perché controllato da me.
Poi, improvvisamente, un giorno si
ridestò: geloso del potere
che il vicino clan romeno esercitava in tutta Europa, qualche anno dopo
la
scoperta dell’America- nel 1550 esattamente- decise di
imbarcarsi per il Nuovo
Continente, assieme alla moglie e mi chiese di accompagnarli, mentre
lasciavamo
Volterra nelle sapienti mani di Caius, Marcus e parte
dell’attuale Guardia.
Lì mio fratello
cercò disperatamente “un’arma”
che potesse
aiutarlo a vincere la battaglia che già progettava contro i
Romeni; così
visitammo ogni angolo di quell’immenso Paese, felici anche
del fatto che
potevamo nutrirci indisturbati. Io, come sempre affascinata dalle
grandezze
della Natura, ammiravo tutto, quasi dimenticando il motivo per cui ero
giunta
lì e il mio ruolo, ma fu una fortuna, perché fu
per puro caso che, in un
bordello della Virginia, incontrai Heidi.
Era una prostituta, anche abbastanza
carina a dir la verità,
ma ciò che mi spinse a trasformarla, sperando che si
dimostrasse dotata di un
potere, fu la sua particolare dote: ammaliava le sue
“prede” e le spingeva a
fare qualsiasi cosa lei volesse.- Didyme sembrava non aver mai bisogno
di
riprendere fiato, eppure le parole le uscivano dalla bocca chiare,
solenni.
Erice sollevò appena una
mano, per pregare la sua mentore di
fermarsi e darle il tempo di riordinare le idee: ora che conosceva la
storia di
Heidi, non aveva difficoltà a capire come avesse fatto ad
attirare tanti
turisti per il banchetto di San Marco o come mai spesso
l’avesse vista
amoreggiare sia con Felix che con Demetri.
-
continuate, per
favore…- le chiese, quando il suo cuore
ebbe ripreso a battere regolarmente.
-
A metà
del ‘600, quando ormai malattie orribili
uccidevano la maggior parte della popolazione, capii di essere immune a
qualsiasi morbo e, mentre un giorno mi aggiravo tra i malati di peste
di New
Orleans, trovai Chelsea- che saprai essere la compagna di Afton- che,
nonostante fosse moribonda, mi raccontò di essere una
contessa che si divertiva
a sfasciare legami matrimoniali, disseminando relazioni scandalose.
Intravedendo delle potenzialità anche questa volta, la
trasformai.
La nostra visita in America, in cerca
di talentuosi vampiri,
terminò nel 1692 quando, giungendo a Salem, assistemmo
all’ipocrisia della
gente di quel luogo che sfociò in diversi roghi di
innocenti, condannati per
stregoneria. Aro scovò Alec e Jane che, accusati di essere
figli del demonio,
stavano per essere arsi vivi. Mio fratello li mutò in
vampiri e,
particolarmente felice dei “doni” che i due
manifestarono, li tratta ancora
adesso come fossero i figli che non ha mai avuto.- concluse Didyme, i
begl’occhi
rossi persi tra i ricordi.
-
tornarono tutti in
Italia attraversando a nuoto
l’Atlantico e il Mediterraneo ed Aro diede disposizioni
affinchè tutto il clan si
spostasse a combattere in Romania.
La formazione era quella che hai
visto in Transilvania: un
gigantesco rombo, Heidi a proteggere Sulpicia ed Anthenodora; e tutti i
“dotati” ad usare i loro poteri contro i nemici
prima che si giunga allo
scontro diretto; ma quella volta, in quell’alba del gennaio
1700, furono
principalmente Jane ed Alec ad agire ed a farci vincere contro quei pezzi di pietra di Vladimir e Stefan,
mentre io mi rendevo conto di quanto mi sentissi completo in quel
momento, con
Didyme accanto, del senso d’assenza che avevo provato quando
era stata lontana,
della rabbia che sentivo allora, sapendola in pericolo su quel campo di
battaglia…è da quel giorno che ci siamo scelti
come compagni, ed è da allora
che si festeggia San Marco e la cacciata dei Vampiri…-
sussurrò Marcus,
sorridendo in armonia con Didyme.
-
durante tutto il
‘700, mentre le grandi monarchie umane
si affermavano, noi diventavamo la grande monarchia europea dei
vampiri,
promulgammo leggi e regole che i vampiri dovevano rispettare per vivere
tranquilli, passando inosservati tra gli umani. Per 150 anni,
consolidammo il
nostro potere, la nostra egemonia in Europa ma, nel decennio tra il
1860 e il
1870, scoprimmo che nel Nuovo Continente infuriavano le Guerre
Vampiriche,
scorrevano fiumi di sangue che difficilmente sarebbero passati
inosservati agli
occhi degli umani, e decidemmo d’intervenire...-
spiegò Didyme, fissandola di
tanto in tanto per assicurarsi che la stesse seguendo: ormai era notte,
ma la
ragazza non dava segni di cedimento.
-
Così
che, forti delle decine di vampiri con delle
abilità formidabili, che avevate nel clan, avreste potuto
vincere facilmente,
ed imporre la vostra supremazia anche in America, per avere il rispetto
dei
vampiri di tutto il mondo.- dedusse Erice, concludendo il pensiero
della sua
mentore.
-
Proprio
così. Fu nel 1870 che, abbattendo il clan
messicano, annettemmo tra le nostre fila Felix, Santiago, Renata ed
Eleazar. E
pensa: solo 100 anni dopo, ti sei unita a noi anche tu…-
fece Didyme,
carezzando dolcemente i ricci di Erice, che iniziava a sentire la
stanchezza
sulle membra.
-
Ma quindi,
significa che, se io sono nata nel 1970, voi
adesso avete…4586 anni…- sussurrò la
ragazza, le palpebre pesanti.
Didyme e Marcus le sorrisero mentre
disfacevano le lenzuola
e ce la coprivano.
Erice scivolò facilmente
nell’oblio, sognò il Tempo e la Storia,
due maestose entità
che, passando accanto ai suoi signori non li scalfivano mai e si
ritraevano,
gelose dinnanzi alle gloriose battaglie che i Volturi vincevano, o al
cospetto
delle passioni e dei legami duraturi che gonfiavano per
l’eternità i loro cuori
fermi.
Gli avvenimenti di quel giorno erano
solo un’amarezza
lontana e tuttavia, si ritrovò a desiderare ancora una volta
le labbra di
Santiago sulle sue, a sperare che avesse agito così
perché la volesse come
compagna, convinta che, quella che aveva visto nei suoi occhi, quella
mattina,
quando si erano fissati, altro non fosse che un’ombra
dell’amore che univa
Marcus e Didyme.
ANGOLO AUTRICE
Riciao di nuovo a tutti! Eccomi
ancora qua con un post lampo!
Con questo capitolo siamo a metà ff e mi auguro vi sia
piaciuto. Anche se io
non sono particolarmente amante della Storia ho cercato comunque di
attenermi a
fatti realmente successi e di ispirarmi a personaggi realmente
esistiti(Sulpicia per esempio è stata veramente una poetessa
romana vissuta
alla fine del I secolo)
Fatemi sapere che ne pensate
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 17 *** l'abbraccio freddo della morte ***
Capitolo IX
L’abbraccio freddo della
morte
Nel sogno di Erice
l’atmosfera di tranquillità dovuta alla
supremazia dei suoi signori, mutò in un universo buio,
freddo, oscuro in cui
lei vagava senza meta, smarrita. Ed ogni volta che apriva la bocca per
chiamarli,
un albero ghignava, stendendo i suoi robusti artigli fino a lei, per
graffiarle
il viso…poi si ritrovò a dover lottare contro
l’impetuoso e freddo scorrere
dell’acqua di una cascata, infine, la terra tremò
e lei precipitò nell’ignoto,
urlando spaventata.
-
Erice!-
udì un ringhio lontano mentre una voce
melodiosa, venata di preoccupazione, la chiamava.
Riaprendo gli occhi, la ragazza
riconobbe il bel viso di
Didyme, le lunghe ciocche scure le mettevano in risalto gli occhi
cremisi,
intrisi di paura, ma anche di rabbia. Accanto a lei, a una spanna dal
viso
dell’umana, c’era Marcus.
Entrambi i Volturi erano illuminati
da strane rossastre,
crepitanti, particolare che lasciava pensare- come suggeriva anche il
loro
atteggiamento- che alle loro spalle dovessero esserci altre sagome.
-
cosa succede, miei
signori?- riuscì a farfugliare
Erice, ancora intorpidita dal sonno, mentre, con difficoltà,
metteva a fuoco
l’ambiente che la circondava.
-
Perché
non ce lo dici tu, umana?- l’aggredì una voce,
dura come lo schiocco di una frusta. Una figura uscì
dall’ombra con una
rapidità sorprendente, e la schiaffeggiò,
facendole sbattere la testa contro il
muro di pietra alle sue spalle.
Immediatamente più
sveglia, Erice si mise a sedere di
scatto, scoprendo, con un semplice tocco, che perdeva sangue dalla
guancia.
Guardò con odio il vampiro che l’aveva colpita, e
riconobbe nei suoi lineamenti
perfetti, alieni, Aro.
Davanti a lei, accanto al vampiro,
perfetti come statue,
stavano Caius, Marcus e Didyme che le sbarravano l’uscita
della cella che un
tempo era stata di Logan. In quel momento, confusa com’era le
parve che l’unica
cosa che la stesse sorreggendo, fosse il muro di pietra alle sue spalle.
-
perché
sono qui?- chiese, perplessa.
-
Credo che debba
essere tu a dircelo!- sussurrò Aro, con
voce fredda e tagliente.
Fu allora che Erice si
sentì persa: perché si trovava in
quella cella? Per quale motivo? Che avessero saputo della sua fuga in
Transilvania? O magari del fatto che aveva liberato Logan? O- ancora-
forse era
lì perché era fuggita dal Salone Principale, e
quindi- indirettamente- non
aveva accettato di farsi mangiare?
Per quale altro motivo, altrimenti,
si spiegava tale
trattamento, dal momento che Didyme e Marcus si erano complimentati
con lei, per aver ucciso quei due umani ficcanaso?
Poi, all’improvviso, una
consapevolezza la colpì in pieno
viso, con la stessa veemenza dello schiaffo ricevuto da Aro: Felix non
era
stato in grado di tenere la bocca chiusa in merito a quanto era
successo
durante San Marco, ed aveva parlato al Consiglio del bacio che lei
aveva strappato a Santiago.
Per questo era in una cella, di
sicuro; Felix aveva
certamente alterato qualche particolare sul reale svolgimento della
faccenda.
Da sempre, infatti, le era stato
vietato di avere una
relazione, di qualsiasi genere, con Santiago, in quanto lui era un
vampiro e
lei una fragile, imperfetta, inferiore
umana; ed ora che era successo qualcosa
tra loro, la ragazza doveva essere punita.
-
non credevo che
sarei stata punita per aver salvato
l’intero clan, con l’uccisione di quei due
turisti…- osservò, dura. Lo sguardo
implacabile, il viso rigido, le labbra strette.
-
Ma bene! La
tracotante umana si fa beffe di noi.-
ringhiò Aro, raccogliendo le braccia al petto mentre, con un
cenno, faceva sì
che sua sorella, Marcus e Caius lo circondassero, più vicini.
Erice sollevò il mento con
arroganza e fierezza: avrebbe
tenuto segreto quanto avvenuto con Santiago, fino alla morte se
necessario! Lei
stessa aveva mantenuto un comportamento scostante nei confronti del
vampiro
messicano, perché sapeva che un altro atteggiamento sarebbe
stato sbagliato, ma…Dio,
com’era stato bello,
quel fugace momento in cui le loro labbra si erano toccate! Le era
parso di
sentire sulla pelle la furia implacabile di una tempesta,
l’impeto di un copioso
fiume che l’avvolgeva sconvolgendole il cuore, e Santiago era
sempre stato lì,
accanto a lei, artefice di quelle intense sensazioni, ma anche unico
baluardo
pronto a salvarla da esse, attraverso il dono del suo amore.
Se avesse raccontato ai suoi signori
ciò che aveva provato,
loro non avrebbero mai potuto capire. Ma forse, visto com’era
iniziata la
storia di Aro con Sulpicia…
No, no! Lui non si sarebbe mai abbassato a comprenderla,
lo sapeva; sicuramente, non appena una
sola parola le fosse uscita dalle labbra, lui avrebbe spedito
al rogo sia
lei che Santiago, all’istante; incarnando così una
Legge, che sarebbe passata
per imparziale, per quanto crudele potesse apparire. Era lui il vero
tracotante, ai suoi occhi!
-
mi dispiace, ma
continuo a perseverare nella mia
convinzione di aver agito in modo corretto.- sentenziò,
scrutandoli amara.
Prima che avesse quindi il tempo di
battere le ciglia, udì
la porta della cella sbattere, venir poi chiusa accuratamente e
freneticamente
a chiave, ed infine, Aro, che la fissava acido come una serpe.
-
pagherai per la
tua superbia, umana!- quella minaccia
tuttavia, non la sfiorò minimamente. Quante volte era
già stata punita con
“l’esilio” in quei cunicoli?
-
Giuro che se uno
di voi le si avvicina, vi farò ardere
vivi!- continuò, spostando il suo sguardo freddo sugli altri
vampiri presenti,
mentre ringhiava loro contro.
Ora terrorizzata, Erice, si
affrettò a scrutare
l’espressione dolente di Marcus, quella lacerata e
preoccupata di Didyme, ma
anche e soprattutto quella sul volto bianchissimo di Caius, che
sembrava diviso
tra il suo abituale comportamento crudele e la riconoscenza che doveva
alla
ragazza, per il debito nei suoi confronti.
Fu questo a gettarla nella
disperazione, più di tutto: seppe
che, non appena il Consiglio avesse lasciato le Prigioni, sarebbe stata
sola, e per lei sarebbero iniziate
le
torture.
La prima settimana, infatti, Erice
temette di impazzire. Una
volta si era abituata a quel silenzio, tanto da farlo suo alleato,
parte di sé,
da riconoscere la vita che vi scorreva attraverso; ma ora che, grazie a
Logan,
aveva conosciuto la libertà, aveva imparato a vedere il
mondo, si sentiva
soffocare da quegli spazi vuoti, costantemente rischiarati dalle torce
e quella
quiete mortale sembrava non far altro che dilatarsi, ingoiare in
sé il tempo
per non farlo trascorrere, rendendola così irrequieta e
perforandole il cuore.
Spesso sognava il vampiro dagli occhi
gialli che era stato
suo amico, ma quello, nei sogni, non diceva nulla, invece, la fissava
con
disapprovazione e rammarico, per poi fuggire via. E tutte le volte,
tentando di
inseguirlo, si ritrovava intrappolata tra le gallerie infinite che
portavano
inevitabilmente alle Prigioni e così, si risvegliava in
quella cella, in
lacrime, sentendosi sempre più sola, fragile, indifesa.
Un giorno, quando si
ridestò, scoprì che qualcuno, durante
la notte- mentre lei dormiva e non aveva sentito nulla- le aveva
lasciato
accanto il suo quadernino, dove era solita scrivere le sue poesie,
alcune penne
e qualcosa da mangiare.
Da allora la ragazza ebbe la
possibilità di tenere il conto
dei giorni che trascorrevano, i suoi pensieri, le emozioni che provava,
le
paure(ovviamente curandosi di camuffare le sue parole dietro metafore e
similitudini, nel caso qualcuno avesse letto i suoi scritti mentre lei
dormiva)
e si nutrì con il cibo che quello sconosciuto angelo custode
le lasciava nella
cella, quando lei riposava.
Trascorsero così sei mesi,
durante i quali Erice rischiò di
lasciarsi andare alla follia, a causa di quella calma che, infida,
faceva
nascere dalle proprie ombre angeli che si prendessero cura di lei, solo
quando
lei scivolava nell’incoscienza. Tuttavia, non poteva sapere
che quel periodo
era stato davvero più tranquillo,
rispetto ai tre mesi che gli sarebbero succeduti…
Una mattina infatti, Jane ed Alec,
fecero il loro ingresso
nella cella della ragazza e lei, pur percependo che erano pericolosi, che i loro sorrisi
malcelavano malvagità e cattiveria,
fu tremendamente felice di vederli, di abbeverarsi della strepitosa
bellezza dei
loro volti pallidi, angelici- dopo mesi che non vedeva anima viva.
-
Aro dice che da
sei mesi non parli…chissà che magari,
qualche urlo, io non riesca a strappartelo? E senti che bella
notizia…se io non
dovessi riuscirci, accorrerà in mio aiuto l’intera
Guardia!- sibilò beffarda la
giovane vampira castana, fissandola astiosa.
“bene, guarda il lato
positivo Erice: ora conoscerai tutti i
poteri dei componenti del Corpo di Guardia; e se Aro ha dato
quest’ordine,
significa che ti teme.” Cercò di farsi coraggio
con quei pensieri, ma più di
ogni altra cosa, temeva la capacità di Jane.
La bambina vampira
dall’aspetto androgino le sorrise, e
d’istinto l’umana chiuse gli occhi, preparandosi al
peggio…
In un attimo le parve di essere scesa
all’Inferno: sentì
ogni singola cellula del suo corpo andare in fiamme, mentre la pelle,
le
sembrava esser ricoperta di ghiaccio e pungolata da centinaia di
coltelli.
Urlò, con l’illusione che, così
facendo, quel dolore straziante sarebbe finito
presto…
Ma non avvenne e quasi subito, Jane,
stanca delle grida
dell’umana, la incalzò, chiedendole cosa fosse
successo durante la festa di San
Marco; ma quella non rispondeva, continuava, invece ad urlare,
così la vampira
la schiaffeggiò, scaraventandola contro il muro che le stava
alle spalle.
Neppure quella fu una sensazione
piacevole, fece però
svanire, per un secondo, l’illusione del dolore causato da
Jane, dando il tempo
alla ragazza di sgombrare la mente, di concentrarsi. I suoi pensieri
corsero
subito ai membri del Consiglio, cui sicuramente non erano sfuggite le
sue urla,
e che forse, si stavano torturando d’angoscia ad ogni suono
che emetteva; ma
Erice pensò anche a Santiago: di certo gli era stato
proibito di vederla, ma
anche il suo udito era finissimo, e chissà quanto dolore
stava provando nel
sentirla soffrire.
“solo per te,
Santiago”riuscì a pensare la ragazza, prima
che il potere di Jane le si avventasse di nuovo contro.
Anche allora provò un
dolore lancinante in ogni fibra del
suo essere, ma col volto di Santiago ben chiaro tra i suoi pensieri, si
sforzò
di serrare le labbra, per restare muta. Un attimo dopo,
sentì che il suo corpo
si stava ribellando, contorto tra mille spasmi, ma almeno, questa volta
aveva
vinto, contro Jane: la vide, infatti, smettere di sorridere di colpo,
come se
le innocenti fossette le fossero state lavate via con un colpo di
straccio.
Adirata, lasciò il posto di
“torturatore” al gemello, Alec.
Ancora una volta la sensazione che
Erice provò, fu
tutt’altro che piacevole ma, in quel momento- probabilmente
complice il fatto
che una volta si era invaghita dell’affascinante Alec- la
ragazza fu quasi
contenta di sentire che effetto avesse quel potere su di sé:
sembrava che un
serpente, lento e minaccioso, le strisciasse, salendo, lungo il corpo;
avvinghiandosi al suo ventre, alle sue spalle, al collo, fino ad
accecarla…
Con i sensi completamente fuori uso,
Erice potè finalmente
abbandonarsi all’oblio, quasi con il sorriso, aspettandosi
che in quel buio
nebuloso avrebbe trovato il suo Santiago.
Ebbe tuttavia, un comportamento
analogo qualche giorno più
tardi, che la portò a credere che i poteri di
disorientamento sensoriale, su di
lei, avevano solo l’effetto di un felice abbandono ad un
tranquillo sonno. Per
l’esattezza, quando entrarono nella sua cella- per sottoporla
ai loro poteri-
un vampiro smilzo, dai tratti esotici e lucenti capelli scuri, al
fianco di una
piccola vampira dal viso di porcellana come quello di una bambola(che
scoprì
essere Afton e Chelsea).
Bastò un rosso, penetrante
sguardo di Afton, perché Erice
avesse la sensazione che una nebbia fitta e lenta,
l’avvolgesse, dandole l’idea
che si stesse sgretolando. Di nuovo, ebbe la possibilità di
abbandonarsi
all’incoscienza che, questa volta, la trascinò via
come fosse stata una marea.
Chelsea invece, agì dopo
che la ragazza, più calma, aveva
ripreso consapevolezza dell’ambiente a lei circostante:
riuscì ad inimicarsela
perché, mentre cercava di capire quanto fosse intensa la sua
devozione per i
Volturi, forte il suo legame con
loro; cancellava, affievoliva, o rendeva nulli tutti gli altri legami,
stretti
con persone che per Erice avevano significato qualcosa. Vi
riuscì sempre, quella
biondina, - facendo
precipitare nel terrore la ragazza, dandole l’idea che fosse
completamente
sola- tranne che per una persona:
Erice custodiva gelosamente nel cuore il ricordo di Santiago,
l’unico che fosse
riuscito ad alleviarle ogni paura, ad allietarla durante quel periodo,
e
nessuno sarebbe riuscito a cancellarlo dai suoi legami!
In seguito, in quella cella che ormai
sarebbe diventata un
“porto di mare” si presentò un vampiro
dall’aspetto di un ventenne, i capelli
ramati, le labbra piene e l’abbigliamento stravagante, quasi
fosse stato un
console dell’Antica Roma.
-
tu sei Corin,
vero?- gli bisbigliò Erice, svegliandosi
una mattina, con un lieve sorriso sulle labbra al ricordo della storia
che le
era stata raccontata da Didyme.
Ma quello, nonostante apparisse
sorpreso dal fatto che
quell’umana conoscesse il suo nome, pur non avendola mai
vista prima; replicò
solo, senza neppure guardarla:
-
dicono che tu sia
riuscita a resistere a Jane, Alec ed
Afton…mi chiedo come te la caverai, con me…-
A quelle parole, Erice
sussultò, ma- contenta com’era di
vedere per la prima volta quel vampiro di cui aveva solo sentito
parlare- non
fu in grado di rendersi conto del pericolo che rappresentava,
finchè lui non la
inchiodò con il suo sguardo, duro come pietra e, con un
movimento distratto
della mano, la sollevò a mezz’aria. La ragazza
colta di sorpresa, si irrigidì
e, nel momento in cui il potere di Corin si manifestò,
procurandole tagli sulla
pelle, simili a quelli di una lancia- senza che il vampiro la
sfiorasse- lei
comprese(tra un gemito e l’altro, per non urlare) che doveva
aver ereditato
quell’abilità perché nella sua vita da
umano, doveva esser stato un grande
guerriero; o magari, tutto dipendeva dall’origine del suo
nome che, in Sabino,
significava “lancia”.
La notte seguente, insonne, Erice la
trascorse a
disinfettarsi le ferite come meglio potè, riflettendo sul
fatto che era la prima volta, in
quell’arco di tempo, che
veniva picchiata. E se era cominciata così, poteva andare
anche peggio, poiché
non aveva ancora visto Demetri, né Felix.
La mattina dopo, vedendoli comparire
sulla soglia della sua
cella, Erice si maledisse, convinta di averli chiamati per la propria
rovina.
Erano rigidi come statue, splendidi e dall’aspetto
impeccabile, diabolico, come
fossero stati due demoni.
-
ciao, piccola
Erice! Visto cosa succede, a mettersi
contro di noi?- la sbeffeggiò Felix, le spalle larghe, la
carnagione
leggermente olivastra, mentre entrava- al seguito del suo amico- e si
chiudeva
la porta alle spalle.
-
Bastardo!
È colpa tua quanto mi sta succedendo, come
sono state colpa tua la maggior parte delle punizioni che ho dovuto
subire! E
pensare che, durante San Marco mi sono macchiata le mani di sangue per
lasciare
che ti nutrissi!- lo accusò, sputando ai suoi piedi.
-
Come osi! Devi
rispettarmi dannata umana!- la
rimproverò, avventandosi su di lei ed assestandole calci nel
ventre, tra le
costole, pugni dove gli capitasse e schiaffi, mentre faceva pesanti
battute su
Santiago.
Erice credette che, sotto quella
violenta raffica di botte,
sarebbe riuscita a resistere se, come sempre, avesse avuto ben chiaro
in mente
il viso di Santiago, ma la verità era che presto
iniziò a girarle la testa, le
parve di avvertire dei conati e temette di poter perdere i sensi.
D’un tratto Felix si
fermò ed Erice scoprì che gli faceva
addirittura male respirare.
-
Santiago te la
farà pagare per questo…il tuo
comportamento…le tue parole…- gli promise,
sollevando la testa quanto potesse e
cercando di mantenere un tono duro, nonostante sapesse che invece, non
le
usciva dalle labbra più di un semplice sussurro.
Felix rise scompostamente, con
crudeltà e, mentre si
divertiva a picchiarla ancora osservò:
-
credi
che…vendicherebbe una stupida umana come te?-
continuò ancora, e si placò solo quando si
accorse che la ragazza non reagiva
più momento del quale, Demetri approfittò per
toccarle appena una mano livida
ed informarla:
-
da questo momento
saprò sempre dove sei, umana…-
Erice allora comprese che il vampiro
aveva usato su di lei
la sua abilità di segugio e non sarebbe più
potuta scappare, a meno che, certo,
non avesse riconquistato la fiducia dei Volturi, tanto da spingerli a
non avere
motivo per controllarla. Ma, per il momento, era così
stanca, così umiliata nel
sentire il suo sangue che colava sul pavimento, da non riuscire a
pensare ad
altro che non fosse la sua speranza che- poiché quando
Demetri l’aveva toccata,
Erice stava pensando solo ed esclusivamente a Santiago- se un giorno
fosse
scappata, sarebbe stata ritrovata solo se avesse pensato al vampiro
messicano.
Man mano che i giorni trascorsero,
sempre più vampiri della
Guardia rinunciarono a far visita ad Erice, sorpresi dalla sua fibra
morale,
dalla sua capacità di non mostrare dolore- persino Heidi
che, quando era
venuta, era quasi riuscita a far
fare
alla ragazza ciò che voleva, non si mostrava più
presso di lei- e così, solo i
“fantastici quattro” venivano da lei, per
picchiarla, o sbeffeggiarla, spronati
dai suoi disperati tentativi di resistere alle loro angherie.
E, durante la notte che sarebbe stata
l’ultima di quei tre
mesi infernali, Alec, Jane, Felix e Demetri vennero da lei,
svegliandola
bruscamente, e tenendola ferma per far sì che non si
dimenasse mentre le
iniettavano una strana sostanza, dal forte odore di mandorla, da una
siringa.
Erice, intorpidita com’era
dalla stanchezza, non capì perché
si stessero comportando così, né cosa le stavano
iniettando; ma le parve di
comprendere che la stavano punendo perché non aveva mostrato
di patire dolore,
e perciò, a loro parere, non aveva sofferto abbastanza.
I quattro vampiri svanirono nel
nulla, nel buio subito dopo,
lasciandola sola mentre il cianuro
le
entrava in circolo nel sangue. Erice urlò per quel dolore
mai provato, e si
contorse, pianse, spaventata dall’idea che, se proprio doveva
morire, era stata
condannata a farlo da sola.
Stava per essere avvolta dal buio
così come i suoi occhi, e
qualsiasi altra cosa attorno a lei; le forze la stavano abbandonando, e
si
ritrovò a domandarsi se fosse stato diverso, se la sua vita
avesse preso una
piega migliore qualora avesse scelto di andare via con Logan,
anziché di
partecipare alla festa di San Marco.
Poi
all’improvviso…eccolo lì che varcava la
soglia della sua
cella per venire a salvarla!
Ma…quel Logan era
così diverso da quello che ricordava…aveva
lunghi capelli biondo platino e inquietanti occhi rossi…fu
accanto a lei in un
lampo e la afferrò per le braccia, iniziando a scuoterla con
forza mentre
apriva e chiudeva la bocca, come per parlare, anche se alle orecchie di
lei non
giungevano altro che aspri ringhi.
Erice avrebbe voluto opporsi alla sua
presa d’acciaio,
urlargli di smettere di strattonarla così, o avrebbe anche
potuto staccarle
qualche parte del corpo ma, nel momento in cui aprì le
labbra, non vi uscì
altro che un gorgoglio bianco e schiumoso.
Il vampiro biondo, in preda
all’agitazione le diede un pugno
sulle labbra, con tanta forza da tumefargliele ma, anche se
provò un dolore
acutissimo, Erice comprese che era grazie a quel gesto se stava
lentamente
riprendendo possesso di sé. Un secondo dopo
quell’azione, distinse il clamoroso
rumore dell’impetuosa entrata di altri due vampiri, dalle
chiome corvine, che
si affaccendarono attorno a lei, massaggiandole le spalle e le altre
membra,
per far sì che il sangue infettato dal veleno fluisse verso
le labbra, spaccate
e cadesse a terra.
Uno dei tre vampiri la strinse a
sé, parlandole mentre
l’avvolgeva tra le sue braccia fredde, ma la ragazza, scossa
da quel tempestivo
intervento che le aveva salvato la vita, ed annebbiata dalla poca
lucidità
mentale che le era stata restituita, non guardò negli occhi
quel vampiro, come
anche gli altri tre, le sue parole le giunsero lontanissime, simili ad
un’eco e
lei credette di trovarsi stretta nel freddo abbraccio della morte.
Quando, la mattina seguente Erice si
risvegliò nella sua
cella, comprese di essere sola, circondata dal pavimento umido,
ricoperto di
sangue. Le girava la testa, era lucida ma ricordava a malapena cosa
fosse
successo…
Chi era stato a salvarla dagli
effetti del cianuro? Era
davvero stata la morte ad averla abbracciata, la notte prima?
Di colpo, mentre faceva scorrere lo
sguardo nella cella, nel
tentativo di ricostruire qualche particolare, riconobbe la massiccia
figura di
Santiago, al di là delle sbarre.
Si fissarono per qualche minuto, in
silenzio e dopo un
attimo di esitazione, lui entrò nella cella, chiudendosi la
porta alle spalle
Erice rimase paralizzata dalla
sorpresa, dalla sua presenza
e nonostante avesse cercato di indietreggiare appena, il cuore le
cantava
felice, battendole all’impazzata nel petto.
C’erano mille cose che
voleva dire a quel vampiro, ma tutto
ciò che riuscì a dire fu:
-
sei stato uno dei
pochi- oltre a Renata- che non avevo
ancora mai visto qui. Sei venuto a finirmi, Santiago?- una richiesta
triste,
amareggiata.
In realtà era
contentissima di rivederlo, di saperlo sano e
salvo; rappresentava una sorta di luce in quella notte che, per lei,
era durata
tre lunghi mesi.
Il vampiro messicano, il viso
adombrato dai ricci scuri, la
scrutò addolorato: sembrava distrutto, non riusciva a
guardarla in faccia
perché convinto di essere la causa della sofferenza di lei,
del suo labbro
tumefatto, del viso livido e delle membra sanguinanti. Le si
avvicinò con
lentezza esagerata, umana e si
inginocchiò vicino a lei, senza mai abbandonarne il profilo.
-
no, non voglio
farti del male, Erice. Non dovrei
neppure essere qui ma…dovevo
vederti.
Mi dispiace per quello che è successo, non volevo che
finisse così…- mormorò
mentre le sfiorava lentamente i capelli e le guance.
La ragazza avrebbe voluto mettere tra
loro un po’ di
distanza, visto che grondava sangue ma sentì di nuovo
l’elettricità scorrerle
sulla pelle dove Santiago faceva passare il suo tocco; stava per
ripetersi un
momento magico, simile a quello durante il quale si erano baciati e,
sarebbe
stata pronta a riviverlo una, dieci, mille volte ma…cosa
sarebbe successo
quando fosse passato? Come li avrebbero puniti allora, i Volturi?
Ma non ebbe il tempo di domandarselo
perché sentì le labbra
fredde di Santiago sulla pelle, che le sfioravano delicatamente la
fronte, le
guance…ad un centimetro dalle sue labbra, tuttavia, Erice
gli impedì di darle
un bacio- voltando di colpo la testa dall’altra parte,
poiché le braccia le
facevano troppo male- e sussurrò:
-
no, Santiago
fermati. Non ricordi cosa è successo alla
festa di San Marco? Ci punirebbero entrambi, questa volta, se ci
vedessero…tu
non dovresti neanche essere qui…e…sono stata
avvelenata con del cianuro che,
anche se mi è stato fatto uscire dalle labbra potrebbe
essere ancora qui…e non
mi va di metterti in pericolo…-
-
di quello non mi
importa affatto: io sono già morto e
il cianuro non avrebbe alcun effetto su di me e non temo neppure
punizioni
perché…credi che starti lontano, tutto questo
tempo, non sia stata una
punizione, per me? Non mi importa quanti dei miei signori
dovrò sfidare perché
mi trovo qui, dal momento che ho trovato un modo per
curarti…- le confidò,
dolce, sincero e deciso.
-
Per
l’emozione e la sorpresa suscitate da quelle
parole, Erice si rigirò di nuovo, di scatto e, avrebbe
parlato, sorriso, se non
avesse incontrato le labbra di Santiago premute sulle sue, in un bacio
appassionato
e struggente, da far bollire il sangue nelle vene.
Quando le loro fronti si toccarono, i
respiri di entrambi
erano accelerati.
Il vampiro messicano la
fissò felice, per un attimo,
esplorando il suo profilo con le dita, ma solo per un attimo
perché, subito
dopo fece scivolare le labbra lungo la guancia della ragazza, sul suo
collo
e…veloce e delicato d’un tratto affondò
i denti nella sua morbida, rosea pelle.
Erice boccheggiò, colta di
sorpresa. Ebbe l’impressione di
sentire una lama nella carne. Dopo aver tentato invano di respingerlo,
gemette
appena arrendendosi alle centinaia di brividi che, travolgendola, le
corsero
lungo la schiena: seppur con fatica, sollevò le braccia ed
avvolse il collo di
Santiago in una stretta dolce, ma indissolubile, ferrea. Le dita le
affondavano
ingorde, febbrili tra i ricci di lui; ogni loro impronta grondava
passione.
Incapace di allontanarsi di un solo
centimetro, accecata
dall’uragano di sconosciute emozioni che stava provando, la
ragazza inarcò
d’istinto la schiena, facendo completamente aderire il
proprio corpo a quello
di Santiago. Il suo cuore aveva cantato allegro fino a quel momento per
quell’estasi violenta, ma ora singhiozzava spaventato
dall’idea che il vampiro-
una volta abbeveratosi del suo sangue, come stava facendo- non sarebbe
più
stato in grado di fermarsi.
In quel preciso istante, quasi
leggendole nel pensiero,
Santiago, si staccò, senza preavviso, tanto che Erice
crollò tra le sue
braccia, sfinita, quasi senza notare che fu prontamente sorretta.
Risollevando gli occhi, dopo un
attimo, si trovò dinnanzi il
petto marmoreo, perfetto di Santiago, e su di esso un taglio dal quale
sgorgava
un rivoletto di sangue.
-
bevi.- le
ordinò il vampiro, carezzandole appena la
testa. Lui cercava di incoraggiarla, di tranquillizzarla, ma era chiaro
che
entrambi tremavano al cospetto di quella novità.
Erice lasciò scorrere le
dita sul suo ombelico, timida,
titubante ma poi eseguì, nonostante fosse stanca per la gran
quantità di sangue
della quale era stata privata.
Sulle prime Santiago rise, dicendole
che somigliava ad un
bambino appena nato che beveva il latte, ma poi, quando la
sentì irrigidirsi
andò a sciogliere dolcemente la presa con cui lei gli aveva
avvinto il ventre
ed intrecciò le sue dita a quelle della ragazza,
poi…inaspettatamente fu
travolto anche lui da una sorta di strana, veemente estasi ed infine fu
costretto a sussurrarle di fermarsi.
Un attimo dopo, tutto avvenne in un
lampo: Erice sorrise al
suo salvatore, la bocca lievemente sporca del suo sangue e stava per
avvicinare
le sue labbra a quelle di Santiago per baciarlo ancora
quando…il sangue di
vampiro si mescolò a quello umano e prese a scorrere
velocissimo nelle sue
vene. Lei si ritrovò stesa a terra, schiacciata e soffocata
dal dolore che
provava simile a quello di un fuoco che le ardeva dentro,
il corpo sembrava fuori controllo, scosso da violentissimi
spasmi mentre tentava invano di graffiarsi per allontanare quella
sofferenza.
Sotto lo sguardo sbalordito di
Santiago la pelle piena di
ferite e cicatrici della ragazza si rimarginò, tornando
rosea come se non le
fosse mai successo nulla, e…le sue labbra si rimarginarono
in un lampo,
assumendo però una sospetta, preoccupante sfumatura violacea.
E così, tanto veloce
com’era iniziata, quello strano
avvenimento terminò con la stessa rapidità: Erice
riprese a respirare
normalmente, il suo cuore batteva vigoroso, ora si sentiva in grado di
spostare
le montagne, con quella inaudita, nuova forza che le scorreva dentro,
tanto che
aprire gli occhi e sorridere al vampiro che le stava davanti le
sembrava
riduttivo, ma fu tutto ciò che riuscì a fare
poiché, poco dopo quella forza che
sentiva dentro l’abbandonò e, come una bambola di
pezza chiuse gli occhi,
perdendo i sensi.
Santiago la osservò ancora
una volta, così indifesa, serena
e dolce, ora che dormiva, nessuna ombra di sofferenza le solcava il
volto,
tutte le sue ferite erano rimarginate.
Quello che le aveva fatto, che aveva
fatto ad entrambi- lo
Scambio di Sangue- era andato a buon fine: ne aveva letto in proposito
su un
libro che parlava delle abitudini dei vampiri arabi(i quali, tra le
tante mogli
vampire qualche volta volevano legarsi anche a delle umane)ma, per
ciò che il
libro aveva definito “cambiamenti fisici della
persona” avrebbe dovuto
attendere anche se- dovette confessare a se stesso- un cambiamento
c’era stato
e pareva anche irreversibile: lui
aveva salvato la vita ad Erice, facendo qualcosa per alleviarne le
sofferenze,
eppure gli sembrava che fosse stata lei
ad entrargli dentro.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Innanzitutto ringrazio chi mi ha
lasciato un commentino, mi
hanno fatto davvero molto piacere:
Luce70:
sei
sempre puntualissima e hai l’occhio davvero allenato a notare
mille
particolari. Spero che, il comportamento di Marcus non ti abbia deluso
anche
qui, così come quello di Didyme e di Caius inoltre, dimmi
che ne pensi del modo
in cui Santiago e Erice si sono riavvicinati, mi auguro non ti abbia
delusa.
Ayumi_L(spero
di
averlo scritto bene): grazie mille per aver aggiunto la storia tra le
seguite(dico bene? ?-? ) e per il tuo commento, mi è
piaciuto davvero il fatto
che tu abbia visto Marcus e Didyme come una sorta di mamma e
papà per Erice.
Due paroline sul capitolo: mi
è venuto in mente questa
mattina perciò è buttato giù in fretta
e furia ma spero vi piaccia lo stesso!
Per quanto riguarda lo “scambio di sangue”spero se
ne sia capita la dinamica(se
non è molto chiara chiedete e vi darò
delucidazioni), me lo ha consigliato una
mia amica(che ringrazio) che legge “il diario del
vampiro” e spero lo
apprezziate.
Qualche domandina per tutti(chiunque
passi per leggere il
post o chi avrà tempo di lasciare un commento)cosa ne
pensate della reazione
iniziale di Aro? chi pensate che siano i tre vampiri che salvano Erice
dall’avvelenamento da cianuro? E
“l’angelo custode” che le lascia da
mangiare
nel primo periodo di prigionia? Perché secondo voi, le
labbra di Erice, guarite
grazie al sangue di Santiago sono diventate viola?
Ultima info per tutti…tra
poco dovrò tornare tra i banchi a
fare la “persona seria” perciò non credo
di poter aggiornare tanto presto e con
tanta facilità, non so se sospendere la storia o lasciarvi
in attesa, che dite?
Grazie a tutti
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 18 *** Erice Volturi ***
Capitolo X
Erice Volturi
Didyme entrò a passo
deciso, rapido nel Salone Principale,
aprendo le porte di scatto, l’atteggiamento imperioso, come
fosse stata una
regina. Un raggio di sole rischiarò il suo passaggio,
colpendola e facendola
risplendere come un prisma.
-
Signori, perdonate
il mio ritardo. Immagino sappiate
perché ho chiesto di riunirvi qui: ho bisogno di parlare, a
tutti voi, di una
questione importante.- esordì, lasciando scorrere un
eloquente sguardo cremisi
sui tanti vampiri che affollavano ordinatamente la stanza. Non mancava
nessuno:
era presente l’intera Guardia, e tutti i membri del
Consiglio. Ognuno però, la
guardava perplesso, ammutolito.
Dalla prima fila, quella
più vicina ad Aro, Alec e Jane
sghignazzarono.
Aro posò il suo sguardo su
di loro, così come Didyme, che li
incenerì con un’occhiata ma, contrariamente a
quanto la vampira si aspettasse,
il fratello si unì alla loro risata mentre si spalmava
arrogantemente sul suo
trono.
-
Ho come la
sensazione di avere un dejà vu, la favola si
ripete non trovi, sorella? Sei venuta di nuovo a parlarci di Erice. Davvero non capisco
perché le dai
tanta importanza, è solo un’umana,
dopotutto. Ora che il suo sangue è stato contaminato dal
veleno, inoltre, non
possiamo neanche mangiarla. Di che utilità potrà
esserci, d’ora in avanti? Se
non ti conoscessi direi che ti stai legando a lei come se la
considerassi tua figlia.- la
sbeffeggiò, con voce
cantilenante, muovendo in aria una mano, con noncuranza.
Senza alcun preavviso la vampira
emise un inquietante, poderoso
ringhio che risuonò in ogni angolo della quieta sala,
facendo impietrire tutti
i vampiri che si trovavano lì. I “fantastici
quattro” scattarono in posizione
di difesa, stringendosi attorno ad Aro.
-
Molto bene,
fratello. Hai espresso la tua opinione…ebbene
sì, è di Erice che sono venuta a parlarvi; vorrei
che mi diceste cosa pensate
di lei.- sussurrò, dopo aver ritrovato un po’ di
contegno, rivolgendosi alla
Guardia attorno a lei, mentre si sistemava, tesa, la camicetta di seta
che
indossava.
-
La stiamo
addestrando molto bene: ha un buon udito e la
vista aguzza, è veloce e intelligente. È molto
rispettosa nei nostri confronti,
e più di una volta ha dimostrato di esserci fedele,
nonostante sia dovuta
ricorrere a metodi poco ortodossi.- rifletté Caius, con
convinzione incrociando
lo sguardo di Marcus al termine del suo discorso, per un silenzioso
riferimento
alla Transilvania.
-
Se permettete, mio
signore Caius, forse “rispettosa”
non è un termine che le si addice dal momento che, quando mi
recavo nella sua
cella, per eseguire gli ordini, l’umana non faceva altro che
travalicare la mia
autorità e quella che voi rappresentate attraverso di me. -
s’intromise Felix,
assumendo un falso atteggiamento angelico mentre esprimeva la sua acida
opinione.
-
Eppure, quando ho
sondato l’intensità del suo legame
con noi, attraverso il mio potere, vi assicuro che- per provare- ho
tentato
anche di annullarlo e mi è stato praticamente
impossibile…la ragazza ci venera,
ci adora, farebbe qualsiasi cosa per noi perché credo ci
consideri la sua…famiglia.-
mormorò Chelsea, facendosi
leggermente avanti perché tutti la vedessero.
-
Sì,
è la sensazione che ho avuto anch’io quando le ho
fatto subire il mio potere. Il fatto che non abbia mai mostrato
apertamente il
dolore che provava, mi ha inquietato visto che,
insomma…è umana
ed io l’ho spinta al limite,
ma lei non ha mai ceduto. E…anche questo particolare per me
è stata una sorta
di dimostrazione del suo desiderio di sentirsi alla nostra altezza.-
soggiunse
Afton, affiancando la sua compagna.
-
Già ma
non lo sarà mai,
non sarà mai come noi. Tutte le qualità che ne
avete elencato- l’udito, la
vista, la velocità, l’intelligenza, la
sopportazione del dolore, persino quelle
strane poesie che scrive e che ho potuto leggere quando mi trovavo
nella sua
cella- non la renderanno altro che una patetica imitazione
di noi!- sentenziò dura Jane, fissando tutti con gli
occhi che mandavano lampi, adirata forse dal ricordo di come Erice si
fosse
tenuta dentro le urla, quando lei l’aveva torturata.
-
Calma Jane, la
nostra signora Didyme ci ha solo chiesto
cosa pensavamo di lei, non cosa pensiamo che lei diventi come noi.-
fece
Eleazar, muovendo un timido passo avanti, la pelle olivastra del viso
tesa, le
mani coi palmi in vista davanti a sé, sebbene la voce fosse
pacata mentre
cercava di mantenere un atteggiamento calmo, per acquietare
l’atmosfera resa
precaria dall’atteggiamento astioso di Jane. Era risaputo,
infatti, quanto
tutti temessero la sua abilità.- comunque, se posso, vorrei
mettervi a parte
dell’impressione che mi sono fatto di quella piccola umana.-
nessuno replicò,
perciò lui proseguì – ho avuto modo di
osservare Erice da lontano, poiché da
quando è uscita dalla cella in cui era rinchiusa, qualche
mese fa, sembra
terrorizzata da noi, e mantiene le distanze. Le sue ferite si sono
rimarginate
con più velocità del normale, è
più agile ora, più veloce e forte di quanto non
fosse prima. Pensate che ha addirittura rotto uno specchio, dal momento
che
detesta guardarsi le labbra, nelle quali, quando si sono rimarginate
è rimasto
del cianuro, con cui era venuta a contatto nella cella. Qualche
settimana fa,
passeggiando tra le vie di Volterra, si è imbattuta in due
umani che avevano
commesso un furto: le è bastato uno sguardo, per capire che
erano colpevoli, che non avevano il
cuore
puro, e i suoi occhi sono diventati neri.
Vi assicuro, signori, che Erice ha sviluppato un potere,
l’ho percepito:
è
in grado di vedere nell’animo delle persone…non so
come sia potuto succedere
ma, visto che prima non aveva mai mostrato questo genere di segnali, ho
ragione
di credere che tutto sia avvenuto a seguito della sua prodigiosa
guarigione, e
magari tutto dipende dal veleno che le scorre nelle vene .-
spiegò a quei
vampiri che, ammutolitisi improvvisamente, lo ascoltavano curiosi.
Didyme perse per un attimo il
contatto con la realtà che la
circondava e fu travolta dai ricordi collezionati negli ultimi mesi
attorno
alla figura di Erice…quello che aveva detto Eleazar era
vero: sembrava
terrorizzata da loro, tanto che, ogni volta che vedeva un vampiro, si
rifugiava
nella sua stanza, tremando. Nel periodo successivo alla sua uscita da
quella
cella, la ragazza era cambiata; sembrava regredita,
come se il suo quattordicesimo e quindicesimo anno di vita, non fossero
mai
esistiti. Stava quasi sempre al chiuso, da sola, con il volto nascosto
dietro dei
libri; inoltre, non aveva mai fatto cenno con nessuno a come avesse
fatto a
guarire tanto in fretta dalle ferite che aveva, e non si guardava mai
allo
specchio, nascondendo poi i suoi begl’occhi dietro scuri
occhiali da sole,
quelle rare volte che decretava di dover prendere un
po’d’aria.
Spesso Didyme si era anche chiesta
come mai il colore verde
delle sue iridi mutasse in nero o in dorato, ogni volta che incontrava
qualcuno, ed ora che Eleazar le aveva fornito una spiegazione per il
primo
cambiamento di pigmentazione, la vampira si arrischiò a
supporre che il colore
dorato apparisse ogniqualvolta si imbattesse in qualcuno dal cuore puro.
-
grazie Eleazar.
Ma, in effetti, senza nascondervi il
mio sollievo nell’udire le belle qualità che avete
trovato nella piccola Erice,
vorrei chiedervi- poiché domani compirà 17 anni-
quanti di voi siano favorevoli
a che Erice entri a far parte della Guardia dei Volturi.- disse Didyme,
il
mento alto l’espressione fiera e felice. Attendeva fiduciosa
una risposta, per
nulla spaventata dal silenzio sgomento che era calato nella stanza,
come una
coppa di vetro. Forse molti stavano valutando la possibilità
che fosse
impazzita, ma a lei non importava, si sentiva così forte
spalleggiata anche dal
sorriso radioso di Marcus.
Aro proruppe in una squillante,
femminea, prolungata risata
che la irritò non poco.
-
ah, ah ah! Che
bello scherzo sorella.- ma Didyme non
cambiava espressione. Era ferma, e perseverava nella sua convinzione.-
cosa?
Stai dicendo sul serio? Vuoi far entrare un’umana
nella Guardia? Sei impazzita? Perderemmo credibilità come
congrega!- mormorò
scandalizzato, mentre balzava in piedi.
-
Aro, fratello, tu
definiresti “umana” una persona che
ha affinato i suoi sensi fino a renderli simili ai nostri, per avere
qualcosa
di simile alla nostra percezione
del
mondo? Che si è spinta al limite delle sue
capacità e possibilità per diventare
migliore, per compiacerci? Definiresti “umana” una
che venera dei vampiri? E poi, non
hai sempre detto che
nella congrega vuoi dei componenti che siano degni di questo nome? Dotati? E lei non ha forse sviluppato un
potere come ci ha
fatto gentilmente
notare Eleazar?- domandò la compagna di Marcus, sibilando
mentre inchiodava il
fratello con lo sguardo, nonostante cercasse di mantenere un
atteggiamento
diplomatico.
I “fantastici
quattro” ringhiarono, probabilmente offesi da
quelle parole che avevano osato comparare una stupida umana alla loro
perfezione.
- mi sembra
di capire
che il vostro sia un “no”.- osservò la
vampira mora, obiettiva, ma quasi
divertita.
- ma il mio è un
sì. Per quanto Aro possa pensare che questo
verdetto sia contro natura, credo che, dal momento che non possiamo
più
nutrirci del suo sangue, tanto vale volgere le capacità di
Erice a nostro
vantaggio.- intervenne Caius, alzandosi in piedi.
Marcus lo seguì a ruota,
mormorando un semplice sì.
Molti altri vampiri della Guardia
imitarono il suo esempio,
tra cui Afton, Chelsea, Corin, Eleazar… facevano un passo
avanti e davano il
loro consenso, incuranti dell’espressione di Aro, di quella
dei “fantastici
quattro” o di un’ammutolita Heidi, affiancata da
una sconvolta Renata.
Didyme sorrise al cospetto di quella
dimostrazione di
solidarietà; se avesse potuto, probabilmente avrebbe pianto.
-
visto, fratello?
Anche l’ultima volta ti sei mostrato
contrario, eppure “la mozione” è stata
approvata grazie al giudizio del
popolo…- bisbigliò, soddisfatta, sulle labbra
perfette un sorriso vittorioso,
che non mostrava i denti.
Bastò che il suo sguardo
si posasse su Santiago perché
quello svanisse in un lampo all’ombra delle colonne del
Salone, per riemergerne
un attimo dopo, con una scatolina nera tra le mani, ornata da un
delicato
nastro di raso rosso.
-
Santiago, tu sei
l’ultimo da cui mi sarei aspettato un
simile comportamento: da sempre sei vicino ad Erice, e più
volte hai dimostrato
quanto lei ceda facilmente al richiamo della carne. Come puoi, ora,
mostrarti
favorevole a che lei diventi una Volturi?- gli domandò Aro,
freddo, pungente
mentre quello gli dava le spalle.
Il vampiro messicano
scoprì i denti adirato all’idea che ciò
che provava per Erice, tutto quello che aveva fatto per lei in quegli
anni,
potesse essere considerato in maniera tanto greve e vile; ma Didyme
interpretò
la sua reazione come quella di un traditore che veniva smascherato.
Così, folle
di rabbia al pensiero che, quella che aveva sempre considerato come la sua bambina,- della quale si era
sempre presa cura, anche nel periodo di prigionia quando, aiutata dalla
schiava
Evangeline(che non faceva certo un segreto di quanto l’umana
le fosse
cara)aveva fatto sì che alla ragazza giungessero il suo
quaderno e del cibo con
cui sfamarsi- potesse essere circondata da un tale bastardo,
strappò dalle mani di Santiago la scatolina e
lasciò la
stanza, seguita da tutti quei membri del Corpo di Guardia che si erano
mostrati
favorevoli ad accogliere Erice tra loro.
Quella notte, verso mezzanotte,
seguita da Marcus, la
sorella di Aro entrò nella stanza di Erice, tenendo tra le
mani la scatolina
nera presa nel Salone Principale e un pasticcino sormontato da una
candelina
accesa.
Delicatamente la svegliò
mentre, sorridente, pensava che non
aveva mai visto nulla di tanto bello…
Ma l’umana, trovandosi
davanti i suoi signori, sobbalzò e si
rannicchiò, tremante, contro il muro, i piedi posati sul
cuscino.
-
piccola mia,
reagisci così adesso, quando si festeggia
il tuo compleanno? Certo, mi rendo conto che ci siamo presentati qui ad
un
orario poco consono
ma…non riuscivo
ad aspettare, ero troppo trepidante all’idea di festeggiare, insieme il tuo diciassettesimo
compleanno!- disse Didyme, continuando a sorridere.
Erice si rilassò appena e,
mentre il suo volto riacquistava
un po’di colore, gli occhi assunsero improvvisamente una
tonalità dorata…
I tre si irrigidirono leggermente,
non ancora del tutto
abituati a quella novità; poi, tutto passò in un
lampo e la ragazza sorrise,
timida ancora scostante, ma certa che poteva fidarsi dei vampiri che le
erano
accanto.
Stendendosi piano verso la candelina,
la spense in un
soffio, provando un’emozione nuova in
quell’istante, dal sapore sconosciuto.
Didyme sembrava più felice
di lei quindi, incapace di
trattenersi, la fece alzare e l’abbracciò di
slancio, senza lasciarle il tempo
di esternare la felicità che stava contagiando anche lei. Un
attimo dopo le
porse la scatolina nera, osservando curiosa la reazione della ragazza
dinnanzi
a quello che conteneva.
Ad Erice infatti, mancò il
respiro. Le tremavano le gambe.
Cosa significava il dono che aveva tra le mani?
Perplessa, col respiro corto
studiò quel ciondolo…era una
piccola “V”in oro, fissata da due rubini nel centro
di un disco d’argento dalla
forma ovale.
-
cosa…cosa?-
farfugliò, senza parole.
Didyme sorrise mentre le carezzava
una guancia, e la fece
girare per fissarle la sottile catenella d’argento da cui
pendeva il ciondolo,
al suo collo.
-
benvenuta tra noi,
Erice Volturi.- la salutò la
vampira, seria dopo che Marcus l’ebbe affiancata.
La mente della ragazza si
annebbiò per lo choc, i pensieri
vorticavano tanto veloci da confonderla; quelle parole non avevano
senso.
-
miei
signori…?- fece.
-
Erice, sbagli. Ora
sei cresciuta e ti serve un radicale
cambiamento: da adesso fai parte della Guardia dei Volturi e domani
mattina
dovrai presentarti alla Cinta Muraria. Dovrai ostentare sicurezza,
consapevolezza di chi sei, di cosa rappresenti e di chi proteggi. Ora
che sei
in tutto e per tutto una Volturi, non avrai tempo per essere remissiva,
dovrai
obbedire agli ordini, dimostrare coraggio ma dovrai anche trovare la
forza di
rischiare nel prendere decisioni da sola, laddove le riterrai giuste,
anche se
distanti dagli ordini che ti saranno impartiti. Ma siccome hai
già dimostrato
di possedere la maggior parte di queste qualità, nelle
Prigioni ed in generale
da qualche anno a questa parte, direi che puoi cominciare con questo
enorme
cambiamento chiamandoci “madre” e
“padre”.- le spiegò Didyme,
abbracciandola
per bloccare il flusso delle sue domande e, infine, indicando prima se
stessa
poi Marcus.
Erice sorrise con
sincerità, davvero felice, per la prima
volta nella sua vita e, alzando la testa, ripetè ancora e
ancora quei nomignoli
ad alta voce, scoprendo che tra le labbra avevano un sapore di stima,
rispetto,
affetto.
Marcus e Didyme la trascinarono per i
corridoi di Palazzo
dei Priori, dopo un po’ e, rifugiatisi con lei in una delle
tante stanze
affrescate presenti in quel posto, trascorsero tutta la notte cosa
significasse
in pratica “cambiare
radicalmente”.
Non fu affatto come quando si era allenata con Anthenodora o aveva
preso lezioni
da Sulpicia, questa volta Erice si divertì, rise, e
provò il piacere di
abbracciare sua madre e suo padre, inalando il loro profumo dolcissimo,
o
stampandosi a fuoco nella memoria i particolari dei loro volti tanto
che,
quando si fece giorno, a tutti e tre parve che il tempo fosse trascorso
troppo
in fretta.
Erice stava per lanciarsi spensierata
verso la Cinta
Muraria, avvolta nella
sua nuova mantella grigio fumo( in parte per uniformarsi al nuovo
gruppo cui
apparteneva, ma anche per non destare sospetti in eventuali umani che
l’avessero vista presso le Mura), quando Didyme la
fermò, afferrandole un
braccio e, dopo un grave sospiro le raccontò del colloqui
avuto con Aro-
parlandole quindi della sua convinzione che, da allora in avanti, per
evitare
di ricevere critiche da lui, sarebbe dovuta essere impeccabile,
eccellente nel
suo ruolo- senza tralasciare di dar rilievo alla sua certezza che
Santiago,
fino a quel momento, non avesse fatto altro che umiliarla, su preciso
ordine di
Aro.
Erice si intristì a quella
notizia, stando però attenda a
nascondere il volto nel cappuccio, come una tartaruga, e
portò istintivamente
una mano alle labbra scure, carnose, sopraffatta dal ricordo
dell’ennesimo
gesto- stavolta molto più significativo di altri fatti in
anni passati- che il
vampiro messicano compiuto per salvarla, qualche mese prima.
Certo, ora aveva le labbra piene di
cianuro ed era certa che
avrebbe dato la morte a qualsiasi umano
che avesse baciato, ma era anche convinta che, proprio grazie allo
Scambio di
Sangue, alla mescolanza del suo sangue con quello di Santiago, era
dovuto il
fatto che avesse ereditato dei poteri, oltre che migliorato i suoi
riflessi, e
le sue capacità.
Dunque, nulla aveva senso: se
Santiago era sempre stato agli
ordini di Aro, perché mai avrebbe dovuto baciarla, guarirla,
venire nella sua
cella nonostante non gli fosse stato concesso?
-
terrò
le distanze da lui, madre…- promise. Ma non
riusciva a smettere di farsi tormentare da quella domanda, a togliersi
le mani
dalle labbra.
-
Lo so, ti
infastidisce che le tue belle labbra siano di
quel colore, ma…Marcus, Caius ed io non siamo riusciti a
fare di meglio.- fece
Didyme con tono di scuse, notando, di sott’ecchi, che la
ragazza era fossilizzata
in quella posizione.
Erice si riscosse, sforzandosi di
sorridere e mormorò un
basso “mi avete salvato la vita”, prima di scappare
via, in direzione della
Cinta Muraria.
Lì trovò
l’intera Guardia ad attenderla e festeggiò con
loro
per due ore, tra risate e un clima di spensieratezza, tuttavia,
ogniqualvolta
il viso di Santiago faceva capolino tra i suoi pensieri o lui in
persona
tentava di avvicinarla, la tristezza per le parole di Didyme, tornava a
farsi
sentire. Poi, si mise al lavoro, e da allora i giorni scivolarono via
come un
festoso ruscello dalle rapide correnti. Il suo ruolo era duro, ma le
dava molte
soddisfazioni(soprattutto perché, ispirata dal discorso che
sua madre le aveva
fatto la notte del suo diciassettesimo compleanno, si sforzava di fare
sempre
del suo meglio)prima tra tutte, vedere la sua bella città
che prosperava
tranquilla, sotto la protezione di uno stuolo di vampiri e sua.
Ogni giorno, ad Erice sembrava di
vivere una nuova avventura
e, man mano che imparava a conoscere i vampiri che le erano sempre
accanto-
scoprendo un attimo confidente in Eleazar, pacato e riflessivo; capendo
che
Chelsea era dotata di una risolutezza, fermezza ed un istinto
protettivo verso
di lei, non comuni; e che Afton era dotato di
un’affabilità ed una giovialità
inaspettate…- si sentì finalmente parte di una
famiglia.
Eppure, tutte le sere, quando tornava
nella sua stanzetta,
la ragazza sentiva che le mancava qualcosa
e il velo di malinconia che l’avvolgeva allora, non faceva
altro che acuire
quella sensazione di assenza.
-
non fraintendermi
Eleazar, io sono felicissima di
quanto ho, di quanto perché mi sento finalmente parte di una
famiglia, e sarei pronta a dare
qualsiasi cosa per i Volturi, anche se non sono una vampira, ma solo
un’umana
dai sensi più fini e dalle capacità
più sviluppate rispetto agli altri(senza
contare il cianuro che ho nelle labbra); ma…mi sembra che mi
manchi qualcosa…-
confessò una mattina al
vampiro che un tempo aveva fatto parte dello stesso clan di Santiago,
mentre
insieme avanzavano sul camminamento della Cinta Muraria.
Ma Eleazar non rispose, stava fermo
come una statua e
fissava perplesso- o magari solo con l’aria di uno che la
sapeva lunga- qualcosa
davanti a lui. Erice sollevò subito lo sguardo, leggermente
infastidita dalla
causa- qualsiasi essa fosse- dell’interruzione. E nella
frazione di secondo che
seguì non potè fare a meno di notare quanto
realmente fosse cambiata: un tempo
non sarebbe forse
rabbrividita all’idea di essere interrotta e scoperta mentre
parlava con un
vampiro di tali faccende?
Davanti a loro, le braccia raccolte
al petto, la schiena
poggiata sul muretto di pietra del camminamento, stava Santiago; il
portamento
rigido, sembrava emanare ondate di rabbia pura che partivano dagli
occhi e si
spandevano in tutto il corpo ma era comunque bello come un qualche
sconosciuto
dio pagano della vendetta.
-
il problema che
hai, c’entra forse qualcosa con me, chica?
Perché quello che ho io, ha come fulcro
te, e devo parlarti…- disse,
veloce, conciso mentre cercava di sembrare impenetrabile, mentre invece
era
perfettamente udibile nella sua voce, il dolore che provava.
ANGOLO AUTRICE
Tadaaaaaaaaaaaan!
Ciao a tutti!
Eccomi ancora qui, ho tentato di
aggiornare il più presto
possibile! Spero che il capitolo vi sia piaciuto anche se credo di
avervi dato
parecchie cose su cui riflettere. Che dite?
Fatemi sapere che ne pensate!
Ora passo a ringraziare “i
commentatori” ai quali, non
smetto mai di dire che mi fa veramente molto moltissimo piacere leggere
ciò che
pensano di quello che scrivo, perché mi spinge a migliorare
e mi da idee per
continuare questa ff.
Rasoiner:
benvenuto/a! grazie per aver lasciato un commento ed aver inserito
questa
storia tra le seguite. Per quanto riguarda il veleno (di Santiago.
Perché era
quello che intendevi, no?) come hai potuto leggere in questo capitolo,
ha prodotto
altri effetti in Erice, come lo sviluppo della sua “vita
dell’anima delle
persone”e, non si è trasformata perché
ho deciso di distaccarmi dalla versione
data dalla Meyer. Ho preferito ricollegarmi a Anne Rice(la quale dice
che un
vampiro trasforma un altro umano in vampiro bevendone il sangue e poi
facendo
sì che quest’ultimo beva il suo. Una sorta di
scambio di sangue, per capirci)e
nello stesso tempo dare una versione nuova: lo Scambio di Sangue
produce
nell’umano “super capacità” ma
solo temporaneamente, (in quanto siccome il
sangue nelle vene dell’uomo, scorre, il sangue di vampiro che
ha in sé viene
presto sostituito da del sangue nuovo e “le
capacità”svaniscono)e un umano
diventa vampiro solo se, dopo aver fatto lo Scambio di Sangue, viene
ucciso(comunque
ne parlerò meglio nel prossimo capitolo). Spero di essermi
spiegata in modo
chiaro e soprattutto mi auguro che, nonostante questo distacco da zia
Steph, le
circostanze ti piacciano lo stesso. ^___^
Luce70:
piaciuto
come si è evoluto il capitolo- anche se dopo una sorta di
riavvicinamento
Santiago ed Erice si sono allontanati di nuovo? Che ne pensi di come si
sta
mettendo per Erice e il ruolo che ormai hanno assunto Marcus e Didyme
nella sua
vita? Direi che la figura di Aro, il suo carattere li hai pienamente
azzeccati(infatti se hai notato è stato uno dei pochi a
contrastare la proposta
di Didyme, e questo contrasto con sua sorella, ma anche con Erice, si
farà via
via più aspro…non anticipo nulla
però!)inoltre, sul ruolo dei “tre
salvatori”c’hai preso, e invece solo in parte per
l’identità dell’angelo
custode(in quanto Evangeline era solo l’esecutrice e Didyme
invece la
“mandante”). Spero di aver risposto a tutte le tue
supposizioni(che, veramente,
ogni volta è un piacere leggere)altrimenti, se ne ho
dimenticata qualcuna,
spero troverà risposta nel capitolo che hai appena letto.
ayumi_L:grazie
davvero del tuo commento e dei complimenti che mi hai fatto(in merito a
ciò che
pensi dei miei personaggi) mi ha fatto moltissimissimo piacere oltre al
fatto che
sono stata davvero felice di trovare il tuo “messaggio
privato”(si può chiamare
così?)e scusami se ti rispondo qui, ma non so come si faccia
a rispondere
usando lo stesso metodo!(a proposito, sei liberissima di rispondermi
privatamente per espormi teorie o eventuali domande sulla ff)
Allora, rispondo alle tue
domande…come avrai capito Aro non
ama Erice, di conseguenza sta cercando ogni modo possibile per farla
soffrire o
togliersela dai piedi; Caius(come avrai letto dalle parole che dice per
far
sapere che accetta Erice nella Guardia)è un opportunista
legato al potere, ma
siccome è in debito con Erice, gli salva la vita, aiutato
anche da Marcus e
Didyme. L’identità dell’angelo custode,
anche tu, l’hai azzeccata, ma solo in
parte perché sono due persone distinte, Didyme ed
Evangeline. Le labbra di
Erice sono nere perché in esse è rimasto del
cianuro quando si sono rimarginate
grazie al sangue di Santiago.
Per quanto riguarda il cambio di
nick, non ti nascondo che
sono rimasta sorpresa quando me lo hai detto(con gli occhioni
dolciotti, per
intenderci)ma se vuoi cambiarlo non ho problemi, l’imput deve
partire da te
^__^
Di nuovo grazie a tutti!
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 19 *** il compagno della Discordia ***
ATTENZIONE: SICCOME NON
SAPEVO COME CAMBIARE
IL RATING DI QUESTO SINGOLO CAPITOLO, VE LO SCRIVO
ALL’INCIPIT: QUESTO CAPITOLO
POTREBBE AVERE UN RATING ROSSO PER LE SCENE PROPOSTE.
Capitolo XI
Il compagno della Discordia
Le tante sfumature colte nel tono di
voce di Santiago
avevano spinto Erice ad afferrare la sua mano, a lasciare che lui la
caricasse
sulle proprie spalle per poi trascinarla via mentre, con sua grande
sorpresa si
allontanavano da Volterra.
Ben presto però, nel cuore
della ragazza scomparve l’ansia
per quell’allontanamento forzato, così come
andò a farsi benedire la sua
razionalità ed i suoi propositi di parlare immediatamente
con Santiago: era
ammaliata dalla sua presenza, dalla sua vicinanza ma soprattutto era
ipnotizzata dalla corsa velocissima che aveva spiccato il vampiro;
erano
praticamente invisibili mentre passavano- senza quasi toccare terra-
tra
stradine e campi di grano, e la luce del sole, che carezzava ogni cosa
non li
toccava mai.
L’impetuoso vento generato
dal loro spostamento rischiò
addirittura di far scivolare il cappuccio di Erice sulle proprie
spalle, ma lei
non se ne curò: era completamente assorbita dalla nuova
emozione che lei e
Santiago stavano vivendo, insieme;
il
cuore le batteva all’impazzata ed una felicità
indicibile si mischiava
all’adrenalina in ogni fibra del suo corpo. Impetuosa,
strinse più forte le
mani attorno al collo del vampiro, annodò meglio le gambe
alla sua vita e si
spinse appena in avanti per baciargli il collo. Finalmente si
sentì completa e seppe
che quel senso
d’assenza che provava, non dipendeva da altri che da lui.
Quando Santiago si fermò,
Erice si rese conto che si
trovavano in qualche isolato boschetto, sperduto nella campagna
toscana, gli
alberi distavano l’uno dall’altro circa tre metri e
solo qualche lama di luce
si insinuava tra le loro chiome, bagnandolo appena d’ombra.
Dopo un momento di silenzio stupito,
la ragazza rimise
agilmente i piedi a terra e subito, tenendo la testa alta si tolse il
mantello,
lo gettò sul terreno profumato di umido, per lasciarsi
pervadere completamente
dal profondo sollievo e appagamento che la vista e la vicinanza con
Santiago le
davano.
Il vampiro messicano la
fissò per un lunghissimo secondo,
contemplando la sua bellezza, il senso di mancanza che ora veniva
finalmente
placato e la serenità che lei sembrava irradiare; per un
attimo se ne lasciò
persino contagiare ma poi, memore dell’indifferenza di Erice,
durante tutti
quei mesi, mostrò i denti, ringhiando appena mentre i
lineamenti del suo viso
tornavano ad indurirsi. Stava per ringhiare ancora, con più
forza questa volta,
all’ultimo tuttavia riuscì a trattenersi ed a
decidere- per non spaventarla- di
incanalare la sua rabbia e scaricarla sull’albero
più vicino che però, al suo
minimo tocco, crollò con un tonfo, andando a posare la sua
capiente stazza tra
Santiago ed Erice.
Lui osservò quella scena
così muta, semplice, ma piena di
simbolismo: non era solo un baratro a dividerlo da Erice, a dividere lui ed Erice, ma un baratro
rappresentato dalla sua specie, dalla sua natura.
Vide il suo bel viso intristirsi e
sbiancare e si maledisse
per essere ugualmente riuscito a spaventarla; il suo cuore fermo
(magicamente
ricomparso grazie durante la corsa con lei sulle spalle, e scomparso,
invece
quando lei aveva iniziato ad evitarlo)ringhiò e pianse
amareggiato perché lei
stava soffrendo a causa sua.
Avrebbe
voluto essere vicino a lei, in un lampo, abbracciarla, vedere il suo
sorriso
che rifioriva e saperla più tranquilla mentre il suo cuore
batteva allegro
contro il suo petto. Ma pensò anche che fosse
così che doveva essere,
era giusto
che un’umana temesse dei vampiri, non che ne baciasse
uno.
Un brivido gli corse lungo la schiena
quando comprese che,
nonostante non volesse, doveva
essere
duro con lei al fine di farle capire quanto fossero sbagliate
le parole che le aveva sentito dire ad Eleazar.
Come aveva potuto pensare di dire che
era felice di far parte della
Guardia,
quando era risaputo quanto Aro la
detestasse e quanto si fosse opposto a che lei avesse un posto tra
loro? Ma
soprattutto, dal momento che lei era un’umana
(per quanto super dotata)e loro invece dei vampiri
che, per ordine di natura, avrebbero dovuto mangiarla?
E…dios,
nonostante
per tutti quei mesi, la lontananza da lei gli avesse causato dolori
tanto
lancinanti da impedirgli di ragionare, Santiago sapeva benissimo cosa-
o
meglio, chi- l’avesse
spinta a
prendere le distanze da lui…
Possibile che- magari usando il
potere che aveva sviluppato
e di cui tutte le guardie parlavano- non fosse stata in grado di capire
che lui
non complottava con Aro per danneggiarla, e che non l’avrebbe
mai fatto?
Quel pensiero, la colpa di cui era
ingiustamente stato
accusato tornò a soffocarlo e sentì la
necessità di sollevare di scatto la
testa e ringhiarle o urlarle contro che era colpa sua il dolore che
provava,
della sua stupidità. Riuscì miracolosamente a
trattenersi, ma le parole,
sgorgarono dalle sue labbra come un fiume.
-
Vedi
quest’albero, chica?
Presto ricrescerà non temere, le sue radici sono
salve…ma per ora consideralo un
simbolo: la netta divisione tra te e me. Perché io sono un vampiro e tu…una semplice
umana…non vedi quanto siamo diversi?
Quanto ti ho sentito dire ad
Eleazar, chica, mi ha fatto pensare
che tu non lo capisca, che tu sia
una
stupida: dici di essere contenta di
ciò che ti è stato concesso, che sei felice di
far parte dei Volturi, ma…ciò
che hai fatto è contro natura perché noi dovremmo
mangiarti, non accoglierti
tra le nostre fila!- disse, con tono duro, freddo, tagliente, mentre
indicava
l’albero e la inchiodava con uno sguardo intensissimo.
-
Di cosa diavolo
stai parlando, Santiago? Come osi
offendermi? Io sono diversa da voi,
è la verità, ma mi sono guadagnata
un posto nella Guardia
esattamente come ognuno di voi ha fatto, prima di me!- Erice, che per
ogni
secondo, fino a quel momento aveva tenuto gli occhi fissi sul vampiro,
rapita
dalla sua bellezza che, mista alla rabbia che lo scuoteva, sembrava
ancora più
accentuata e fiera; abbandonò violentemente il torpore che
l’aveva persuasa a
rilassarsi a seguito della prima reazione di Santiago e gli
urlò contro,
adirata, mentre una mano correva istintivamente al pugnale che aveva
con sé, e
l’altra al ciondolo che le pesava al collo.
-
Folle umana, dici
di sentirti parte del nostro gruppo,
ma c’è molto che non sai di noi, perché
fai ancora fatica ad assumere un
atteggiamento diverso da quello che ti è stato impartito
quando eri piccola, e voglio che tu
capisca cos’è un vampiro…-
mormorò frustrato.
Erice assunse una posizione rigida,
quasi superba e si tese
leggermente in avanti, verso Santiago mentre i suoi occhi verdi
mandavano
lampi.
-
Cosa sarebbe
ciò che non so?- sibilò.
-
Ad esempio quello
che accade ad un vampiro quando si
espone alla luce solare…- sottolineò il
messicano, alzando la testa verso le
chiome degli alberi.
-
Beh,
perché non me lo dimostri?- fece lei, in tono di
sfida, i nervi a fior di pelle.
Una raffica di vento improvvisa e,
colta di sorpresa la
ragazza si schermò il viso con un braccio; quando Erice
poté riaprire gli
occhi, mettendo bene a fuoco ciò che la circondava, Santiago
era sparito.
Impiegò diversi secondi a capire dove fosse. Che
l’avesse lasciata lì, dopo le
parole dure che le aveva rivolto? Ma poi riconobbe, appesa ad un ramo,
la sua
maglietta attillata, bianca che sventolava nella brezza pomeridiana.
Doveva per
forza essere vicino…come si sarebbe ripresentato,
altrimenti, a Volterra, senza
camicia?
Poi, finalmente distinse il suo
massiccio profilo all’ombra
di un albero, gli occhi cremisi, purpurei come morbide rose, fissi su
di lei,
in attesa.
-
Sei davvero sicura
di voler vedere? Di essere pronta?-
domandò, ancora una volta lui, preoccupato che magari quanto
sarebbe successo
le avrebbe procurato uno choc. Lei però annuì,
poiché, con i sensi distorti
dalla paura interpretò la sua domanda come scherno.
Fu allora che Santiago
avanzò lentamente, respirando ad ogni
passo e, nel momento in cui capitò sotto un fascio di luce
naturale, sollevò la
testa verso il cielo, le braccia leggermente larghe.
Erice, nonostante fosse arrabbiata,
non poté nascondere lo
stupore per ciò che vide, anzi, parve che esso offuscasse
qualsiasi altra
emozione avesse dominato il suo cuore, prima.
Senza parole, sconvolta da tanta
bellezza avesse davanti
agli occhi, si portò una mano alle labbra, il cuore che
pulsava in maniera disordinata…
Santiago, sotto la luce, era
stupefacente: i raggi del sole
si infrangevano sul suo petto scolpito, sulle braccia, sul collo
(appena i
ricci scuri gettavano qualche ombra sullo sguardo), come fosse stato un
prisma,
e mille riflessi iridescenti punzecchiavano gli alberi
tutt’attorno.
Ad Erice sembrò di
trovarsi in un’immensa cupola di vetro
all’interno del quale scintillavano un milione di arcobaleni
brillanti; di
essere al cospetto di un’apparizione divina la cui pelle
sfavillava più chiara
del giorno.
Santiago abbassò lo
sguardo su di lei, ma questa volta
invece di trafiggerla con un’occhiata, la ragazza
notò che sembrava indossare
una maschera di antichissimo dolore e malinconia.
-
Vedi? È
questo ciò che sono…- il suo tono era basso,
sembrava quasi che si odiasse, o piuttosto odiasse ciò che
le stava mostrando.
Erice non riuscì a
parlare, le mancava il respiro ed il
cuore, che batteva impazzito d’emozione, pareva incastrato in
gola. Le
cedettero le ginocchia, invece, e Santiago, dimentico di qualsiasi suo
proposito, di qualsiasi pensiero o preoccupazione, che non fosse lei, si precipitò al suo
fianco in un
lampo, cingendole le spalle con le braccia.
Tremava, e questo non gli faceva
affatto piacere; erano
tremiti violentissimi, che la squassavano come singhiozzi. Poi,
all’improvviso
Erice aprì gli occhi e, quasi vergognandosene,
sollevò piano la testa, fino ad
incontrare lo sguardo di Santiago.
Il vampiro messicano si
irrigidì, sconvolto da ciò che vide.
Qualche attimo più tardi, più tranquillo,
lasciò le spalle di Erice per
prendere il suo viso roseo tra le mani e, sorpreso, osservò:
-
Dios,
tutta la
Guardia parlava del tuo potere,
ma non pensavo dicessero la
verità! Non credevo che fosse qualcosa di tanto
stupefacente!-.
-
È per
questo che sono felice di far parte dei Volturi,
capisci, Santiago? Perché
mi sento
accettata, perché questa mia diversità scompare,
tra di voi…- sussurrò la
ragazza, lo sguardo basso, le palpebre che bruciavano,
sull’orlo delle lacrime;
le parole del vampiro l’avevano davvero ferita.
-
Perdona, chica,
è una diversità che ti ho causato io,
tramite lo Scambio di sangue…il mio veleno ha curato le tue
ferite e,
probabilmente, misto al cianuro che era rimasto nelle tue labbra, ti ha
dotato
di questo potere.- disse, asciugandole velocemente le lacrime che le
arrossavano appena le guance.
-
Perché
il tuo veleno non mi ha trasformata in vampira?-
chiese lei, perplessa. Quanto le era successo aveva dei punti di
contatto con
quanto le aveva raccontato spesso Logan, sulla nascita dei vampiri, ma
era
totalmente diverso da ciò che si poteva definire una
“trasformazione” in
vampiro.
Santiago rimise ancora una volta le
mani sulle spalle della
ragazza mentre l’aiutava ad alzarsi; non riusciva ad
allontanare gli occhi da
lei, dalle sue iridi d’oro liquido e dalla sua pelle, che
rifletteva i suoi
scintillii iridescenti. La fissò con uno sguardo furbo negli
occhi: non era
vero che Erice non sapeva nulla sui vampiri, semplicemente non dava a vedere ciò che sapeva.
-
Da ciò
che ho potuto leggere su un libro che parlava
delle abitudini dei vampiri Arabi, in merito a questo Scambio di Sangue
si
diceva che, l’umano deve essere morso da un vampiro e subito
dopo bere il
sangue di quest’ultimo, di modo da acquisire,
così, capacità fuori dal comune,
come la velocità o la forza…ma l’umano non
viene trasformato in vampiro. Ciò avverrebbe solo qualora il
vampiro che ha fatto lo Scambio per
primo, decidesse di uccidere l’umano mentre il suo
sangue scorre ancora nelle vene di quest’ultimo*. Ma non ho
ritenuto corretto nei tuoi confronti, trasformarti in ciò
che sono, tuttavia,
abbastanza intelligente da capire che non sono mai stato uno scagnozzo
di Aro,
tanto da danneggiarti; sì. – spiegò
lui, alterandosi mentre pronunciava le
ultime parole. La lontananza ed il distacco da lei, a seguito
dell’ammissione
di Erice nella Guardia, gli avevano fatto molto male, ed era lampante
come il
sole.
-
Credi che non mi
sentissi incompleta, mentre eravamo
lontani? Ogni fibra del tuo essere è
rimasta impressa a fuoco nella mia anima, dopo lo Scambio di Sangue, e
durante
ogni momento lontana da te mi sembrava di morire; ma il mio potere
funziona
solo quando sono sotto forte stress, perciò -pur sentendo che non avevi colpa
perché, altrimenti, che motivo avresti
avuto di venire nella mia cella a salvarmi?- ho dovuto dar retta alle
parole di
mia madre, ed allontanarti visto che nulla era certo…- disse
la ragazza,
angosciata al ricordo di quanto era avvenuto nei mesi precedenti.
-
Tua madre?
E
tua madre, Didyme, ti ha detto che tutti
i componenti della Guardia hanno il diritto
di trovare un compagno ed essere felici, dal momento che,
l’equilibrio dei
singoli assicura la stabilità dell’intera
congrega?- replicò Santiago. Il
ricordo del loro distacco gli faceva ancora perdere il controllo.
-
No, non ne sapevo
nulla, ma…se questo diritto vale
anche per me, allora ho già scelto il vampiro che voglio al
mio fianco. È lui a
dover scegliere me, e il problema è che non credo che lo
farà, non dopo quello
che è successo…- mormorò Erice,
afflitta, mentre voltava le spalle a Santiago.
Il vampiro messicano sorrise,
soddisfatto e colpito da
quelle parole. Lo aveva ammesso: lo voleva, almeno quanto lui volesse
lei.
Afferrò quindi, senza
difficoltà, un braccio della ragazza
facendola girare su se stessa, velocemente, per poi ritrovarsela tra le
braccia, e l’abbracciò forte mentre gli occhi di
lei si perdevano nei suoi,
cremisi, tornando a brillare come degli smeraldi.
-
E se ti dicessi
che quel
vampiro ti ha già scelta? Che è
un’eternità che ti aspetto, che da tutta la vita
non desidero altro che averti accanto, e saperti mia, mia soltanto, dal
momento
che io mi sento completamente tuo?- gli chiese lui, di rimando mentre
avvertiva
che tra loro ogni barriera stava cedendo. Non avevano più
segreti ormai, ognuno
acquisì la consapevolezza della verità insita in
quelle parole: si erano
cercati a lungo, attesi ed ora non dovevano- e potevano- far altro che
stare
insieme, dal momento che qualcos’altro- magari le loro
emozioni, o forse il
Destino- aveva già scelto per loro.
Finalmente, dopo aver agognato e
sognato a lungo quel
momento, Santiago ed Erice si baciarono. Il tempo si fermò
ed a scandire lo
scorrere di ogni raggio di sole sulla pelle di entrambi, rimasero solo
il cuore
dell’umana, che pulsava allegro, di nuovo completo; il sangue
che le ribolliva
nelle vene; o il respiro affannoso dei due, unito l’uno nelle
labbra
dell’altra; le mani di entrambi che esploravano con foga e
gentilezza ogni
tratto dei rispettivi volti. Erice sembrava più titubante,
emozionata: il viso
freddo di Santiago o il suo addome perfetto scintillavano come un
arcobaleno
alla luce del sole.
D’un tratto, travolta dalle
centinaia di sensazioni che
imperversavano dentro di lei, la ragazza lasciò che le
ginocchia le cedessero.
Santiago andò verso il
suolo con lei, le braccia strette
attorno alla sua vita piccola, rendendo quasi nullo l’impatto
a terra.
Erano inginocchiati l’uno
davanti all’altra, e d’un tratto
si fermarono, guardandosi; gli occhi traboccanti di felicità
mentre attorno a
loro si formava una bolla di serenità atemporale, colma di
sguardi, silenzi,
sospiri…
-
Ti amo, Erice
Volturi. - dichiarò Santiago, lasciandole
un altro morbido bacio sulle labbra poi, un ultimo sguardo, che quasi
chiedeva
un permesso e, le sue mani delicate e attente, sbottonarono un
bottoncino della
camicia che lei indossava.
Erice si fermò, toccando
la fronte del vampiro con la sua.
Sorrise, lievemente a disagio. Cosa stavano per fare? Era qualcosa che
lei voleva?
Ripensò ai mesi trascorsi
lontana da Santiago, a quanto il
suo cuore, la sua mente, e persino il suo corpo ne avessero
sofferto…perché ora
aveva tanta paura se già era successo qualcosa di simile?
Durante lo Scambio di
Sangue, non si erano forse uniti in una cosa sola, anche se in maniera spirituale? Quanto stava per accadere
ora, era di certo un avvenimento nuovo per entrambi, ma si sarebbero
finalmente
uniti in una cosa sola, sarebbero stati compagni, seppur attraverso una
via
carnale per giungere a qualcosa di più spirituale.
Perciò cosa poteva esserci
di male, in quanto sarebbe accaduto
di lì a poco?
Erice si riscosse dai suoi pensieri e
riprese a baciarlo,
con maggiore sicurezza, attesa di quello che sarebbe avvenuto; mentre
Santiago
le toglieva la camicetta e la faceva stendere sul proprio mantello,
sotto di
lui. Presto si ritrovarono nudi (non prima però, che Erice
si fosse maledetta
per aver indossato dei jeans, i quali, - credeva- l’avrebbero
resa più goffa di
quanto già non fosse, quando li avesse tolti. Ma era ovvio
che non aveva tenuto
conto della velocità sovrumana di cui disponeva Santiago,
del desiderio che
nutriva nei suoi confronti…); i corpi di entrambi che
sembravano chiedere
quell’atto, muovendosi con lo
stesso ritmo, lenti come la risacca del mare.
La ragazza avvertì
– a contatto con la pelle gelida di Santiago
ondate di gelo e di calore che le correvano lungo la schiena,
imperversando
follemente, e d’un tratto, man mano che il ritmo saliva,
iniziò a sentire
dolore ma, per non mettere in ansia il suo amato, - che, era lampante,
stava
affrontando per la prima volta quella per la prima volta, dal momento
che lei
non l’aveva mai visto tanto tormentato e teso-
afferrò la sua mano e ne
intrecciò le dita con le sue, sperando che quel gesto,
potesse tranquillizzare
entrambi.
Poi, di colpo, mentre si scambiavano
un bacio dolcissimo,
Erice sentì un’onda che le si infrangeva addosso,
violentissima e, abbracciando
con passione Santiago, seppe che il dolore che aveva provato, quello
che
l’aveva resa rigida e un po’ spaventata, era mutato
in piacere, puro ed intensissimo,
tanto che le mozzò il fiato. Infatti, quasi si
vergognò del suo respiro che
accelerava, del gemito che le sfuggì dalle labbra quando la
sua schiena si
inarcò o del fatto che, ancora avvinta
nell’abbraccio in cui aveva stretto il
vampiro, le parve di sentire lo
spirito di lui, che si congiungeva con la sua anima, indissolubilmente.
Infine, il piacere scemò,
lento, quasi fosse stato una dolce
tortura, ed i due amanti rimasero abbracciati, mentre Santiago,
l’orecchio
posato sul petto di Erice, ne ascoltava il cuore battere, cantare, al
culmine
della felicità.
-
Ti amo, Santiago.-
soffiò Erice, sorridendo dolcemente
mentre gli accarezzava i riccioli neri, sentendosi in pace con se
stessa.
Santiago sollevò il volto
tremendamente bello, bianco ed
ormai tiepido, contemplando con sollievo la sua bellezza, la sua
nudità
armoniosa e perfetta, la bella donna in cui era appena sbocciata, nella
quale
rimaneva solo qualche reminescenza della dolce bambina cui lui aveva
voluto
bene.
Ora si conoscevano
a vicenda e nel profondo; ora la conosceva
completamente, e, a contatto con l’anima luminosa
ed integra di lei, si
sentì completo, come non era mai stato prima.
Di punto in bianco, senza dire nulla,
iniziò a lasciarle una
scia di baci sulla fronte, sulle guance, sul naso…e,
dapprima Erice rise,
felice di quel momento piacevole ed infantile ma, nel momento in cui
Santiago prese
a baciarle il collo, le spalle, i seni…la ragazza riconobbe
il piacere che
tornava ad insinuarsi sotto la pelle, come una fiamma sottile ma
incontrollabile,
una carezza gentile e profonda.
Fu mentre le labbra gelide del
vampiro scivolavano lungo il
suo ventre piatto, che Erice un’infinità di
brividi caldi correrle lungo la
schiena. Ormai, il disagio iniziale era scomparso, come se non fosse
mai
esistito; lei e Santiago si conoscevano
e non aveva di che temere.
Il vampiro messicano allora si
fermò, guardandola negli
occhi con amore, e sussurrò, piano:
-
d’ora in
poi mi apparterrai, sarai sempre e soltanto
mia…- carezzò per un secondo quell’idea
come fosse stata un sogno di cristallo
e, un attimo dopo, senza attendere la risposta della sua
Erice, ne baciò le cosce, mentre lei sussultava,
mordendosi le
labbra, dal momento che avvertiva il contatto con i ricci di seta nera
di lui;
e lambì la sua intimità, cercando la sua parla
mentre si beava del corpo della
ragazza che, rispondendo al suo richiamo, si inarcava, muovendosi come
una
forza della natura.
Infine, mentre lei urlava di piacere,
gettando la testa
indietro, gli occhi chiusi, a godere ancora più intensamente
di ogni attimo ed
sensazione; Santiago raccolse sulla lingua ogni lacrima di sangue della
sua
virtù perduta, come a suggellare il fatto che ora lei fosse
solo sua.
-
per sempre, amore
mio. Sarò sempre e solo tua.- promise
la ragazza, con tono solenne ed appassionato mentre il vampiro la
stringeva a
sé, in un abbraccio intenso come il loro amore.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Eccomi ancora qui con un nuovo post,
spero di non essere in
ritardo. Mi dispiace ma credo che il rating di questo capitolo possa
essere
definito rosso (a voi il giudizio)il problema è che non so
come si fa a
cambiare il rating di un singolo capitolo. Mi auguro che, nonostante le
scene
proposte siano abbastanza forti (credo sia la definizione esatta)il
capitolo vi
sia piaciuto lo stesso, dal momento che, ho cercato di dare un tono
elevato a
tutto quanto stava succedendo, anche agli attimi più fisici
(per esempio il
termine conoscere che ho messo più volte in corsivo, indica
una conoscenza
profonda data solo a seguito di un rapporto fisico intimo).
Chiedo scusa per eventuali
ripetizioni, ma ho scritto il
capitolo in fretta senza ricontrollare con attenzione e soprattutto,
per quanto
riguarda l’ * spero che la dinamica dello Scambio di Sangue
spiegata da
Santiago sia chiara.
Ora rispondo ai tre fedelissimi
commentatori: ^__^
Ramona37: grazie mille per aver
lasciato un commento cara, e
grazie per i complimenti per la bellezza della storia(pensa che per me
era
cominciato tutto come un gioco dopo aver letto NM, Ecl e BD)e la sua
struttura(
davvero si nota che ne ha una? Perché a volte, nonostante lo
schema dei
capitoli, mi sento un po’ persa in merito alla struttura
perché ci sono sempre
un sacco di cose che vorrei dire)e tranquilla, non preoccuparti per la
scuola,(anche io non potrò aggiornare spesso…)
potrai passare quando ti va! J
Luce70:
che ne pensi
di questo chappy, luce? Il potere di Erice ha funzionato a dovere,
anche se “a
scoppio ritardato”? Per quanto riguarda la reazione di
Didyme, è stata un po’
avventata(e infatti Santiago è leggermente adirato con lei
per le conseguenze
che ha causato)ma lo ha fatto solo perché voleva proteggere
Erice(spero si sia
capito). ^__^
Ayumi_L: ciao! Grazie mille per il
tuo commento (e per
avermi spiegato come si contatta privatamente un utente)vedrai che
più in là il
“rapporto” tra Aro ed Erice si farà
sempre più teso ed ostico…
Un baciotto e grazie anche ai lettori
silenziosi
Marty23
|
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Capitolo 20 *** il cambiamento serpeggia ***
Capitolo XII
Il cambiamento serpeggia
Il tramonto tingeva d’oro,
rosso e rosa le cime degli
alberi, i campi di grano…quando Erice e Santiago fecero
ritorno nei pressi di
Volterra. Era un momento magico, la ragazza lo sapeva, lo sentiva in
ogni fibra
del corpo e del cuore, e desiderò non finisse mai.
Nonostante gli spifferi
d’aria fredda, sollevati dalla
corsa, che le penetravano sotto il mantello, Erice si sentiva pervasa
da
profonda calma e al sicuro, le pareva di essere in equilibrio con se
stessa e
qualsiasi cosa la circondasse. Santiago ora, la teneva tra le
braccia(non come
prima, quando l’aveva fatta salire sulle proprie spalle) e,
di tanto in tanto
le lasciava un intenso bacio sulle labbra o la guardava dolcemente,
come per
accertarsi che quel profondo legame, che si era venuto a creare tra
loro, non
fosse solo un sogno. La ragazza lo fissava di rimando, con gioia,
perpetuando
l’idea che tra quelle possenti braccia gelide, si trovasse in
una sorta di
bolla piena di felicità, che non poteva essere scalfita
dallo scorrere del
tempo; non si preoccupava minimamente del fatto che potesse
rappresentare una
distrazione per il suo bel vampiro, perché sapeva benissimo
che i sensi
affilatissimi di Santiago, la sua velocità perfino,
funzionavano anche se lui
non vi si concentrava del tutto.
Poco prima di entrare nella
città, il vampiro messicano si
fermò e fece dietrofront- con leggera sorpresa della sua
compagna- fino ad una
cava di alabastro, poco distante.
Erice prese a tossire in
prossimità di quel luogo, e Santiago
ebbe la cura di lasciarla, perché lo attendesse, per
avventurarsi da solo alla
ricerca di qualcosa, anche se- visto che non aveva accennato a nulla,
neppure a
quella deviazione- la ragazza non aveva idea di cosa di trattasse.
In un lampo lui fu di ritorno con un
oggetto stretto nella
mano chiusa a pugno e, dopo aver stretto con un po’ pi di
forza le dita, posò,
con un sorriso soddisfatto, un cuore d’alabastro bianchissimo
e leggermente
pesante, - grande come il pugno di un neonato- nel palmo della mano di
Erice.
Rimase lì, a fissarla,
come se la sua felicità dipendesse da
un sorriso di lei. Così, nel momento in cui disse:
-
amore mio, ora
avrai sempre la certezza che sarò tuo:
ti dono il mio cuore, tienilo vicino al tuo e saremo entrambi
completi.- con
voce dolce e solenne; Erice comprese il più profondo
significato del ciondolo
che aveva tra le mani.
Fu immediatamente sommersa da
un’ondata intensissima di
felicità e, scivolando sulle ginocchia, si portò
una mano a coprire le labbra,
sorpresa.
Santiago rise con lei, mentre la
ragazza rideva e, dopo
averle messo il ciondolo al collo, con una collanina di corda- poco
più sopra
dello stemma dei Volturi- la baciò appassionatamente, fino a
spingerla piano
sul terreno, e possederla ancora una volta, con tenerezza.
Al crepuscolo, mentre un velo di
tranquillità argentea
scendeva su di loro, tenendoli uniti anche quando si tennero per mano,
i due
amanti entrarono a passo d’uomo a Volterra, accompagnati da
una brezza gelida.
Vedendoli entrare, avanzando su un
ultimo raggio di sole,
l’intera Guardia si precipitò in Piazza dei
Priori, formando attorno a loro un
largo cerchio di mantelli scuri, e di volti tremendamente belli,
sorridenti;
tutti salutarono con rispetto e gioia la nuova coppia, le attenzioni
però,
sembravano essere tutte per Erice, la quale poteva dirsi finalmente
integrata
tra i Volturi, ora che aveva trovato la sua metà. Mentre
vampiri come Afton,
Chelsea o Corin, la abbracciavano fieri, lo sguardo della ragazza
vagò per le
finestre di Palazzo dei Priori, fino ad incontrare gli occhi di Didyme
e di
Marcus che, affacciati l’uno accanto all’altra, la
scrutavano, immobili come
splendide statue, eppure leggermente soddisfatti.
Qualche finestra più in
là, circondato dai volti bellissimi
e diabolici di Jane, Alec, Demetri e Felix, stava Aro che,
differentemente da
sua sorella e il compagno, sembrava voler incenerire Erice con lo
sguardo.
Quest’ultima visione fece
gelare il sangue nelle vene della
ragazza, tanto che le parve che le conquiste ottenute in quei mesi
fossero
nulle, che le sue certezze crollassero…così, per
farsi forza strinse la mano di
Santiago nella sua e, comprese che, forse, una volta scesa la sera, era
necessario che lei parlasse con sua madre e suo padre.
Rimase tra i suoi compagni a ridere e
scherzare ancora per
un po’, ritrovando così quella
tranquillità che lo sguardo di Aro le aveva
fatto perdere; infine, quando il sole scomparve all’orizzonte
e tutti i vampiri
poterono abbassare sulle spalle i cappucci dei mantelli, Erice
trascinò via a malincuore
sé e il proprio compagno, da quel cerchio di vampiri tutti
sorridenti e
soddisfatti, per dirigersi all’interno di Palazzo dei Priori.
Per tutto il tragitto nei corridoi
custodì in silenzio la
fredda mano di Santiago nella sua, intrecciandone le dita poi, una
volta che
entrambi furono davanti alla porta della stanza di Marcus e Didyme, si
scambiarono un ultimo, rapido bacio e, poco prima di andarsene,
Santiago spiegò
alla ragazza come arrivare alla sua stanza, dove sarebbero stati
insieme,
quella notte. Ma, alla fine, Erice fu costretta ad attraversare quella
soglia
da sola: sarebbe stato il momento della verità, in cui
avrebbe parlato dei suoi
desideri, col cuore in mano.
Fin dal principiò
però, dinnanzi alla postura rigida di sua
madre e suo padre, alla vista dei loro sguardi rossi e duri, la ragazza
si
sentì piccola ed indifesa: le parole le morirono in gola,
così come il respiro.
Fissò Didyme, il viso di
una dea guerriera splendida e,
concentrandosi sulle braccia di lei, raccolte al petto,
bisbigliò:
-
immagino che
sappiate già tutto…- si era ripromessa di
assumere un tono deciso e fermo, invece si odiò per quella
vocetta sottomessa
che le uscì.
-
Questo
è vero, ma ti ringraziamo ugualmente per essere
qui a parlarci di quanto ti sta accadendo!- sibilò acida, la
vampira.
Erice sobbalzò e si
retrasse come se avesse ricevuto uno
schiaffo: era chiaro che sua madre non approvava la sua relazione con
Santiago…
Risollevò a fatica il
viso: era da tempo che non si sentiva
tanto inadatta, insignificante, ma doveva andare avanti!
-
siamo legati
l’uno all’altra, indissolubilmente; ci
amiamo. Volevo che lo sapeste…- dichiarò, le dita
convulsamente strette attorno
al ciondolo a forma di cuore in alabastro.
-
…forse
è meglio dire che ci stai informando perché
cerchi la nostra approvazione. Il legame che hai stretto con Santiago,
è un tuo
diritto in quanto ora fai ufficialmente parte della Guardia dei
Volturi, ma…non
scordare che sei anche un essere umano, differentemente da ognuno di
noi;
perciò dovrai aspettare per avere la nostra
“benedizione”: vorremmo prima osservarti,
per essere sicuri che sarai
veramente felice con quel vampiro al tuo fianco…- intervenne
Marcus. Le sue
parole erano state realistiche ma anche pacate e, in un certo senso,
pungenti.
Erice chiuse gli occhi, ferita, aveva
la sensazione che un
peso le opprimesse il cuore, ma si sforzò ugualmente di
restare calma per non
dare loro la soddisfazione di vederla crollare a pezzi; invece, decise
di
accettare le loro parole, e prenderle come una sfida.
Quella sera, tuttavia,
mangiò come un automa e, sentendosi
vuota, si rifugiò nella stanza di Santiago. Stesa al suo
fianco, dopo avergli
rubato qualche bacio, si rannicchiò tra le sue braccia, con
una gran voglia di
piangere, ma anche con la consapevolezza che, se lo avesse fatto,
avrebbe
minato la serenità di entrambi; finchè non si
addormentò.
Nei mesi successivi, Erice
continuò a comportarsi come se
quanto le stava accadendo fosse la cosa più normale del
mondo, come se nulla
fosse cambiato; ostentando orgoglio e felicità per il suo
ruolo e la famiglia
cui apparteneva. Di tanto in tanto, però, le parole di
Marcus le riecheggiavano
nelle orecchie e lei, si perdeva a riflettere molto su di esse, come
anche su
un modo grazie al quale sua madre e suo padre, avrebbero potuto
accettare lei e
Santiago come coppia.
Non si sarebbe fatta abbattere da
delle, seppur velate,
offese! Voleva dimostrare a tutti che ormai, erano l’uno il
prolungamento
dell’altra; soprattutto a Marcus e Didyme in quanto, mai come
ora si sentiva
tanto regredita allo stato di “pasto”, come era
sempre stato fino a qualche
anno prima.
Il vampiro e la ragazza infatti,
erano molto riservati in
merito all’amore che li legava: svolgevano le loro mansioni
in maniera
eccellente, non erano mai tanto sdolcinati da tenersi per mano o
scambiarsi
bigliettini-durante il giorno- tutt’al più
Santiago sorrideva ad Erice quando
si incontravano sul camminamento della Cinta Muraria o, quando erano
lì, di
turno insieme; prima di cominciare “a lavorare”, il
vampiro messicano le carezzava
fugacemente una guancia.
Entrambi erano molto attenti ed
osservavano le regole che
quel luogo e quella situazione avevano tacitamente imposto loro. Al
tramonto,
quando i turni di sorveglianza venivano cambiati e spettavano a qualcun
altro;
si davano brevi appuntamenti fuori dalle mura di Volterra, presso un
albero
prestabilito o, più solitamente, al campo di grano dove una
volta sorgeva il
Giardino dei Ciliegi. Si baciavano. E talvolta Santiago raccoglieva
delle
ginestre, le intrecciava in tante ghirlande e poi, ne ornava i capelli
di
Erice.
Passavano tutte le notti insieme,
nella stanza di Santiago
(della quale, dapprincipio Erice si era meravigliata, visti i disegni a
mano
appesi alle pareti, che ritraevano tutti gli ex componenti del clan
messicano;
ma ora quel luogo le era famigliare almeno quanto lo era lui per il suo
cuore)
: il desiderio cresceva puro dentro di loro come né Erice
né Santiago l’avevano
mai provato, e lo si poteva appagare semplicemente con un sorriso, un
abbraccio
o un bacio, ma c’erano volte in cui era impossibile per
entrambi resistere alla
passione; allora facevano l’amore, ed esistevano solo loro.
Il resto del mondo
spariva.
Nelle mattine che seguivano quelle
nottate di coccole, i
vampiri della Guardia che erano loro
“sostenitori”(come Afton e Chelsea) sorridevano
loro in maniera dolce ed eloquente: un chiaro segno del fatto che
avessero
sentito tutto.
Ma, in particolare, la ragazza
avvertiva costantemente(ed
ancora più intenso dopo quelle
nottate) lo sguardo da falco di Didyme e Marcus su di sé.
Inizialmente quella prospettiva le
diede non poco fastidio
perché, l’idea di trovarsi sempre sotto esame, non
le dava mai la possibilità
di rilassarsi come avrebbe voluto; tuttavia, dopo qualche tempo,
iniziò a
sperare che i due vampiri, vedessero nei suoi occhi un riflesso, una
scintilla
dell’amore che li univa.
Sei mesi più tardi,
però, la relazione di Erice e Santiago,
smise di essere l’argomento principale che richiamava
l’attenzione dell’intera
congrega dei Volturi; in quanto, in un freddo giorno di febbraio,
Eleazar(o,
“il sensore di potenzialità”, come
l’aveva scherzosamente soprannominato Erice)
richiese udienza al Consiglio ed annunciò che,
poiché era stato ricontattato
per via epistolare da un ex componente del suo precedente clan, in Sud
America;
era intenzionato a raggiungerla in Canada e riunirsi a lei, per
condividere
così insieme nuova avventura, di cui Carmen(questo il nome
dell’avvenente
vampira messicana, che veniva dalla stessa congrega di cui avevano
fatto parte-
oltre ad Eleazar- anche Santiago, Renata e Felix)gli aveva parlato: uno
stile
di vita vegetariano.
Non appena “il sensore di
potenzialità” finì di esporre,
alla presenza degli Anziani e dell’intera Guardia, questi
motivi, per i quali
aveva a lungo meditato di lasciare il clan; la compagna di Santiago
sorrise
radiosa mentre il suo pensiero correva al ricordo di Logan.
Aro, invece, inizialmente lo
canzonò un poco, cercando di
sottolineare che, dopo tanti anni di onorato servizio presso i Volturi,
non era
sicuro che Eleazar sarebbe riuscito a resistere, nutrendosi
esclusivamente si
sangue animale.
Tuttavia, al cospetto del teso
silenzio che si era venuto a
creare nel Salone Principale e, dinnanzi alla caparbietà ed
alla pacatezza di
Eleazar, fu costretto a ricredersi, così che- facendo leva
proprio sui tanti
anni che aveva trascorso a Volterra- gli concesse di congedarsi
pacificamente
dai Volturi, per cercare uno stile di vita che lo rendesse
più felice,(sempre
nel rispetto delle Leggi, certo) se era quello che desiderava, e per
riunirsi
alla sua Carmen.
Quella sera stessa, dopo esser stato
toccato sulla fronte da
Chelsea che, grazie al suo potere, rese più vacuo il legame
che lo aveva sempre
unito ai Volturi, Eleazar lasciò Volterra, e fu accompagnato
fino a Porta Diana
da Santiago ed Erice.
Mentre il suo compagno salutava
“il sensore di potenzialità”
con una pacca su un braccio, e lo pregava di portare i suoi ossequi
alla
misteriosa Carmen(evidentemente memore di chi fosse quella vampira);
Erice
rifletteva sul fatto che, senza Eleazar, i Volturi, Volterra, persino
lei non
sarebbero più stati gli stessi.
Si trattava davvero di un profondo
cambiamento!
Lo abbracciò, leggermente
triste per quella perdita, ma
anche felice perché finalmente anche lui avrebbe trovato
ciò che lei aveva
ottenuto da poco; e, non riuscendo più a trattenere la
domanda sulle labbra, gli
domandò:
-
come ha fatto,
Carmen a contattarti? Se volessi
scriverti, mentre sei in viaggio, le mie lettere come potrebbero
arrivarti?-
-
basterà
che le affidi al vento, dolce Erice. Non
temere, non perderemo i contatti: se vorrai scrivermi sarò
felicissimo di
leggere e rispondere alle tue lettere.- le spiegò Eleazar,
guardandola negli
occhi mentre le carezzava una guancia. Sapeva quanto l’umana
detestasse quel distacco,
e voleva rassicurarla il più possibile.
-
Buona fortuna,
fratello.- gli augurò Santiago, un
secondo dopo, prima che lui e la sua compagna lo vedessero sparire, in
una
folata di vento innaturale, oltre la porta della città.
Se avesse avuto la mente sgombra dai
pensieri che
l’affollavano, Erice, di certo avrebbe pianto; ma ora, con il
viso di Logan ben
chiaro in testa, la ragazza era distratta e fortemente decisa a tenersi
strette
le informazioni appena acquisite. Così, non appena le fu
possibile tornare a
Palazzo dei Priori e restare un po’ sola, prese carta e penna
e diede sfogo
alle mille parole che, in tutto quel tempo di lontananza, avrebbe
voluto dire a
Logan.
Dopo diverse ore di ragionamenti,
chiusa nella sua stanza,
alla luce di una candela tremolante; il risultato fu una serie di fogli
appallottolati e sparsi sul pavimento, tutt’attorno alla sua
sedia, ed
un’unica, chilometrica lettera che poteva definirsi
“soddisfacente”.
Erice scrisse solo Logan
sulla busta sigillata e, affacciata alla finestra, attese un soffio di
vento
più possente degli altri, per abbandonare alla brezza, con
un ultimo sospiro
terrorizzato e pieno di speranza, quello scritto tanto prezioso.
Il tempo fu clemente con la ragazza
poiché, appena il giorno
seguente, Erice trovò, al risveglio, sul comodino accanto al
letto, un piccolo
triangolo di carta ripiegato, col suo nome scritto sopra. Ricompose con
attenzione il foglio, fino a farlo tornare un quadrato e lesse, ancora
assonnata.
Cara Erice,
grazie per
aver trovato un modo di comunicare: era molto tempo che ti pensavo e
desideravo
scriverti, ma non avevo idea di come. Sono stato davvero contento di
ritrovarti! Grazie per avermi raccontato quanto ti è
accaduto in quest’ultimo
anno: sono davvero felice che tu abbia trovato la tua anima gemella; un
po’
meno che tu ora faccia parte dei temuti Volturi, anche se questo,
credo, ti
assicurerà che tu non venga uccisa da loro per il tuo
sangue. Poi, avere il
loro cognome ti rende felice, no? Tanto mi basta.
Se in futuro
vorrai scrivermi ancora o se ti andrà di venire a farmi
visita, sappi che mi
troverai sempre presso la Città
delle Mille Chiese.
Logan
La ragazza sorrise mentre stringeva
al petto quel pezzo di
carta con la calligrafia piccola, ordinata e…gotica
del vampiro vegetariano. Le sfuggì qualche lacrima: era
davvero felice di aver riallacciato i contatti con lui,
ma…seppur ricordasse
che amava le chiese, non aveva idea che potesse essere lo stesso per
gli
indovinelli…
Quale città poteva mai
essere definita “la Città delle
Mille Chiese”?
Certo, per aver ricevuto una risposta
da Logan tanto in
fretta, doveva significare che il luogo nel quale lui si trovava,
doveva essere
vicino ma…davvero non aveva idea di dove si trovasse!
L’indovinello la tenne
occupata e lontana dalla realtà per
ben due ore, tanto che era ancora in pigiama, seduta immobile sul
letto, quando
Didyme e Marcus entrarono nella sua camera.
I due vampiri dalle chiome scure ed i
volti splendidi, la
fissarono con preoccupazione, rassegnazione e…consapevolezza.
La madre si avvicinò ad
Erice con il passo aggraziato di una
ballerina e, inginocchiatasi davanti a lei, le posò le mani
sulle spalle.
-
Erice…io
e Marcus ti abbiamo osservata attentamente
e…abbiamo riflettuto.- Didyme, gli occhi splendenti come
rose cremisi, si morse
le labbra perfette, per la prima volta a disagio, in tutta la sua
esistenza, in
cerca delle parole giuste.
-
Erice,
piccola…non ti avevamo mai vista tanto felice
come ora che Santiago ti affianca, ma…sai, da tempo
progettiamo di lasciare
Volterra e i Volturi, perché non ci interessa più
la sete di potere della
congrega; solo la nostra felicità…e la tua.
Così, pensavamo di portarti con
noi…- Marcus venne in aiuto della compagna, parlando
lentamente, per essere
sicuro che Erice comprendesse ogni parola, mentre le teneva gli occhi
verdi
inchiodati ai suoi.
-
Co…cosa?
Quello che dite non ha senso…dichiarate di non
avermi mai vista tanto felice come ora…eppure vorreste
portarmi via da Volterra
al vostro seguito, allontanarmi da tutto quello che è sempre
stato il mio
mondo…come potete? Io amo Santiago.- la ragazza
reagì come se le fosse stata
gettata addosso dell’acqua gelida; gli occhi le si riempirono
di paura e lacrime.
-
Reagisci
così perché questo è l’unico
mondo che conosci. Se avessi trascorso più tempo tra gli
umani, non saresti stata costretta a cercare un compagno tra i vampiri.
Dolce
Erice, lo facciamo solo per te, perché vogliamo che tu sia libera. Anche noi desideriamo la
libertà: questo mondo subdolo,
questa congrega in cui Aro fa il bello ed il cattivo tempo, non fa
più per noi
e…vorremmo solo che tu ci seguissi.- ripetè
Didyme, angosciata questa volta.
Immaginava che sarebbe stata dura cercare di convincere la figlia, ma
non
credeva che le sarebbe stata tanto a cuore la sua sorte; che si sarebbe
preoccupata a tal punto da sperare che fosse riuscita a trascinarla con
sé e
Marcus, alla ricerca di un nuovo mondo, una nuova felicità e
forse anche…un
nuovo stile di vita.
Erice fissò sua madre
sentendosi persa: il congedo di
Eleazar dai Volturi l’aveva ispirata ad andar via anche lei,
seguita da quanti
avessero voluto(perché doveva ammettere che le angherie
subite da parte di Aro,
ed i suoi sguardi rabbiosi degli ultimi giorni,l’avevano
logorata fino al
limite)ma…non pensava di doverlo fare in
quel modo. L’idea di doversi separare da Santiago,
per seguire i suoi
genitori, la dilaniava, la distruggeva.
Riuscì a stento a non
crollare sulle ginocchia tremanti,
mentre sussurrava, con voce rotta:
-
madre,
padre…penso che dovreste prima parlarne con
Aro…-
Didyme sorrise mentre, alzandosi di
scatto, stampava un
bacio sulla fronte di Erice.
-
lo farò
oggi stesso!- promise, prima di scivolare oltre
la porta, dopo aver baciato una delle mani di Marcus.
Fu in quel momento, rimasta sola, che
la ragazza si permise
di crollare, nascondendo il viso tra le mani, mentre rifletteva sul
fatto che
Didyme era la sorella di Aro,
Marcus,
il componente del Consiglio del quale si fidava di più e, se
il capo di quella
congrega avesse acconsentito a lasciarli andare, sarebbe stato un bel cambiamento.
Se tutti,
avessero
seguito l’esempio di Eleazar, presto la congrega dei Volturi
si sarebbe sgretolata.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Eccomi di nuovo qua con un nuovo
capitolo! Scusate il
ritardo, a dire la verità ho cercato di fare più
in fretta che potevo, anche
se, come vi ho accennato in precedenza, non credo che in futuro
avrò molto
tempo per postare…mi auguro comunque che quello che ho
scritto vi sia piaciuto!
Allora, come avrete notato ci sono
alcuni punti salienti in
questo post:
1)
il
congedo di Eleazar che si è
allontanato dai Volturi per seguire Carmen(e, sicuramente ve ne sarete
accorti,
mi sto riallacciando a quanto si diceva in BD…)
2)
il
discorso finale di Marcus e Didyme ad
Erice. So che magari può sembrare che loro la
vogliano allontanare dal
vampiro che ama, dal mondo che lei ha imparato ad amare, ma la
verità è
un’altra, nascosta soprattutto nelle parole di Didyme, che,
da brava madre
vuole solo proteggere sua figlia…
il prossimo capitolo sarà
arduo da scrivere perché(se riesco
a renderlo decente)ci sarà uno scontro tra due vampiri(chi
potrebbero mai
essere?), due mondi, due modi diversi di vivere…non vi
anticipo nulla però…
anche se, penso che chi ha letto BD possa immaginare cosa potrebbe
accadere…
ora passo a ringraziare “i
commentatori”:
luce70:
sono
davvero contenta, luce, che il cap precedente sia stato il tuo
preferito, spero
che anche questo non ti abbia delusa. Come puoi vedere Santiago ed
Erice non
sono stati divisi ma…certo, nell’aria
c’è profumo di cambiamento.
ayumi_L:
ecco
ancora una volta uno spazio tutto per te nella pagina, Ayumi! Sono
molto felice
che ti sia emozionata al fatto che l’amore tra Erice e
Santiago sia sbocciato(ci
si è girato intorno per troppi capitoli
vero?)e…sai come si dice…se son rose…
grazie davvero a tutti per aver letto
e per aver commentato,
fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, in particolare dei
punti che
ho evidenziato.
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 21 *** trappola ***
Capitolo XIII
Trappola
Era trascorso appena un giorno dalla
partenza di Eleazar e,
ora che il sole non era altro che una luce soffusa che pian piano
andava
intensificandosi, all’orizzonte; l’intera congrega
dei Volturi era riunita per
una nuova udienza nel Salone Principale.
Erice avrebbe potuto prendervi parte,
certo, ma quella volta decise di
non volerlo né poterlo
fare, presa com’era a camminare,
inquieta, avanti e indietro in Piazza dei Priori, rosicchiandosi le
unghie e
giocherellando nervosamente con il suo ciondolo d’alabastro.
Nonostante non
sentisse o vedesse nulla- completo merito della pesante tenda rossa che
oscurava la finestra che dava sulla piazza; e del bassissimo tono di
voce
proprio di tutti i vampiri- sapeva benissimo quali parole, quali richieste stavano riecheggiando in
quel luogo: il clan stava
discutendo del desiderio di Marcus e Didyme di cambiare vita,
e…della sua libertà.
La ragazza aveva cognizione di quanto
fossero spiccate le
doti oratorie di sua madre, perciò dava per certo, sentiva che Didyme stava pregando suo
fratello e tutti i presenti,
di lasciare che lei, il suo compagno e sua
figlia si congedassero pacificamente da Volterra-
così com’era stato per
Eleazar- alla ricerca di qualcosa di diverso.
La questione sembrava così
semplice: non appariva altro che
una semplice udienza durante la quale, il Consiglio avrebbe dovuto
decidere se
accogliere la richiesta oppure no. Il problema, agli occhi
“esterni”di Erice,
almeno, era un altro se non, era più
di
uno. In primis, nulla era
ciò che
sembrava. Inoltre, più
volte quella
mattina l’umana, in preda all’angoscia per la
notizia di un’ipotetica partenza,
aveva iniziato a pensare, a riflettere, fino alla paranoia, avvezza
com’era
all’idea che, almeno in quel mondo, persino gli atteggiamenti
potevano dirsi
fittizi.
La decisione che gli Anziani
avrebbero dovuto prendere,
sarebbe stata abbastanza imparziale, considerato che in seno a loro
c’era un
componente che voleva lasciarli ad ogni costo? E, se anche fosse stato
dato
loro il permesso, Aro sarebbe stato pronto ad accettare una separazione
da sua
sorella, oltre che dal membro del Consiglio del quale si fidava di
più?
Erice chiuse gli occhi e
provò ad immaginare come sarebbe
stato se, realmente, il capo della
congrega avesse dato loro il suo placet…subito,
tra i pensieri, le apparve il volto dai lineamenti alieni, famelici di
Aro, gli
occhi neri assetati di potere…
No. Chiaramente non avrebbe mai dato a nessuno dei tre il permesso di
lasciare i Volturi,
bramoso com’era di dominio; anzi, per evitare che la
situazione gli sfuggisse
di mano, avrebbe trovato un modo per fare di Marcus e Didyme un esempio per tutti coloro che erano
intenzionati ad andarsene -probabilmente percependo, come aveva fatto
Erice,
che presto tutti i vampiri non eccessivamente legati al potere,
sarebbero stati
desiderosi di imitare Eleazar. Altrimenti, nella peggiore delle
ipotesi, Aro
avrebbe concesso solo a sua sorella ed a Marcus di allontanarsi, mentre
avrebbe
preteso che Erice rimanesse
lì, per
avere modo di scaricare su di lei tutta la sua rabbia ed il suo
risentimento.
La ragazza rabbrividì:
alla luce di quelle supposizioni, lei
cosa avrebbe dovuto e voluto, fare?
Doveva
forse unirsi ai suoi genitori ed imparare a conoscere
qualcos’altro, che non
fosse il mondo che le era stato messo davanti agli occhi,
com’era desiderio di
Didyme? Oppure, dal momento che non riusciva neppure a concepire
l’idea di separarsi da Santiago, sarebbe stato più
giusto
che fosse rimasta tra i Volturi, ad accettare quindi, tutto
ciò che sarebbe
venuto, qualsiasi cosa fosse?
“ sì, certo.
Così non appena Didyme sarà lontana e non
potrà
più proteggermi, come ha fatto, invece, durante tutti questi
anni, Aro si
vendicherà su di me in qualsiasi modo, facendomi addirittura
pagare per essere
nata…” pensò lei, torturando nel
frattempo il cuore d’alabastro che le aveva
donato il suo compagno.
Davvero non riusciva a sopportare
l’idea di stargli lontana
ora che, dopo troppo tempo si erano
dichiarati…ma…se avesse chiesto a
Santiago di seguirla, lontano dai Volturi?
“ah, ovvio! Bella idea,
Erice! Così Aro ti farà dare la
caccia da Demetri per farti soffrire fino al limite
dell’umana sopportazione e
vendicarsi quindi, del fatto che tu
saresti la causa della disgregazione della millenaria congrega dei
potenti
Volturi…” si rimproverò da sola,
mordendosi un labbro mentre il flebile barlume
di speranza, suscitato dalla possibilità di non dover
rimanere senza il suo
amore, si spegneva rapidamente.
Era letteralmente dilaniata.
Come avrebbe dovuto agire? Non ne aveva la minima idea…
All’improvviso il portone
nero di Palazzo dei Priori si
spalancò con un tonfo violentissimo e, prima che avesse il
tempo di aguzzare lo
sguardo, per capire cosa lo avesse causato, fu avvolta da un innaturale
tornado
che, a causa della sua repentina veemenza, minacciò di farla
cadere. In breve,
quando si riprese, la ragazza si ritrovò circondata da tutti
quei vampiri, ai
quali si era avvicinata, durante i turni alla Cinta Muraria.
C’erano Corin,
Afton, Chelsea, i visi terrei…e, esattamente davanti a lei,
leggermente fuori
dal cerchio perfetto di mantelle grigie, stava Santiago, il cui sguardo
tormentato, distrutto era perfettamente visibile nonostante il
cappuccio calato
sul viso, e non prometteva nulla di buono…
Non appena i loro sguardi si
incrociarono il vampiro fu
addosso ad Erice e, velocissimo, la prese in braccio, per trascinarla
in Vicolo
Mazzoni, dove, col favore dell’ombra avrebbero guadagnato un
po’ di
riservatezza, per parlare, da soli.
La ragazza si ritrovò con
le spalle al muro quando riaprì
gli occhi; Santiago era davanti a lei, le mani posate sui suoi fianchi
come per
assicurarsi che non fuggisse, lo sguardo quasi nero, straziato.
Senza il cappuccio era
così bello- si perse a pensare, Erice
nel tentativo di imprimere a fuoco tra i suoi ricordi, anche la
più piccola
inezia che lo riguardasse- il viso bianco e splendido in parte celato
dall’ombra, un leggero accenno di baffi e una piccola chiazza
di barba sotto il
mento; ma gli occhi, adombrati appena dai ricci neri, esprimevano tutto
il
dolore che condivideva anche lei.
Ad Erice, che allora stava per dire
qualcosa, mancò il
respiro, il cuore le si incastrò in gola.
-
cos’è
successo…?- si sforzò di domandare, la voce
rotta.
Santiago cadde sulle ginocchia,
stremato e, stringendo le
braccia attorno alla sua vita, affondò il volto nel ventre
della sua compagna;
tremava ed era scosso da violentissimi singhiozzi, mentre continuava a
bisbigliare
qualcosa che somigliava ad un “perché?
Perché?”. Se avesse potuto, avrebbe sicuramente
pianto.
In quel momento Erice comprese che
non ci sarebbe stato
bisognò di alcuna parola: quella scena tanto drammatica
parlava da sé. Sentì la
sua anima sgretolarsi, il cuore le pulsava impetuosamente ma si sentiva
spaesata, senza parole; tanto che carezzava i capelli di Santiago con
un gesto
automatico, come se avesse avuto la mente distaccata dal corpo.
-
Didyme si
è presentata qualche ora fa nel Salone
Principale, dicendo che lei e il suo compagno avevano intenzione di
lasciare i
Volturi, per cercare un nuovo stile di vita, qualcosa di diverso,
come ha da poco fatto Eleazar…questa notizia ha
rattristati grandemente il nostro signore Aro
ma…ciò che ha rattristato maggiormente
me, è stato sapere
che…hanno
intenzione di portare via anche te…- sussurrò il
vampiro, sconvolto.
La ragazza si riscoprì
tesa e vibrante d’emozione e paura,
per una snervante attesa dell’unica informazione che non
aveva udito. Solo in
un secondo momento si concentrò davvero
sulle parole del messicano, tanto da notare che non aveva chiamato
“miei
signori” né Didyme né Marcus, forse per
punirli del loro intento di separarlo
dalla sua donna.
-
e…l’…l’esito?-
chiese lei, lo sguardo perso nel vuoto.
-
Alec, Jane, Felix
e Demetri sono stati mandati come
ambasceria al seguito di Marcus, per esplorare la zona dove
dovranno…dovrete passare.
Aro nel frattempo
intende dare la sua benedizione a
Didyme per la partenza così…entro questa sera
sarete liberi.- mormorò Santiago,
contro il suo ventre.
Quella reazione, quella dimostrazione
di fragilità- in
particolare da un vampiro possente come il suo compagno- scioccarono
Erice più
di quanto lei stessa si aspettasse, tanto che, impiegò
diversi minuti a comprendere che la
libertà di
cui si stava parlando, comprendeva anche
lei.
Tentò allora di trovare
conforto negli occhi scuri di
Santiago, ma le tremarono le ginocchia, ed i contorni del vicolo buio,
umido,
attorno a lei presero a vibrare…
Prima che avesse la
possibilità di dire qualsiasi cosa,
avvertì che due mani fredde l’afferravano, due
possenti braccia la stringevano
con fare protettivo e, nel momento in cui la nebbia si
diradò dai suoi occhi, Erice
riconobbe il soffitto della sua stanza. Fece per alzarsi, ma il suo
compagno,
apparso come per magia al suo fianco, si preoccupò di non
farla muovere troppo
velocemente; quindi, quando lei riuscì a mettersi seduta,
prese posto ai suoi
piedi, con sguardo implorante:
-
quello che hai
sentito è vero, amore mio: entro questa
sera lascerai Volterra al seguito di Didyme e Marcus - le
carezzò una guancia,
lentamente. Si sentiva svuotato, era evidente, dal momento che la
possibilità
di perderla si stava concretizzando; tuttavia, si sforzò
ugualmente di mostrare
forza, risolutezza e persino un pizzico di felicità
per la sua amata, per la nuova avventura che le si prospettava, anche
se senza
di lui- dai, dovresti preparare i bagagli.- le consigliò,
offrendosi di
aiutarla.
Erice annuì, come un
automa e, dopo qualche minuto trascorso
racchiusa in un silenzio incredulo, depositando tutti i suoi indumenti
sul
piccolo letto; parve risvegliarsi di colpo e, in un impeto
d’ira, iniziò a
gettare a terra tutte le magliette che le capitavano a tiro mentre
urlava che
era ingiusto che non li potevano separare perché si amavano
e condividevano
molto di più della sola carne.
Santiago, vedendola così,
fu in parte sbalordito dalla sua
reazione ma in parte soffrì anche maggiormente di quanto
già non facesse, e si
odiò per non avere la possibilità di piangere; di
conseguenza, straziato, fu
costretto ad avvolgere la compagna nella propria stretta
d’acciaio, attendendo
che si calmasse. La ragazza però, non dava cenni di
cedimento, addirittura
parve che non le importasse di avere una sorta di montagna di pietra
gelida,
davanti a sé, e continuò ad inveire, anche su di
lui, dando pugni alla cieca
sul suo petto.
Quando, d’un tratto, si
stancò, il vampiro messicano cadde
sulle ginocchia assieme a lei, e scivolarono insieme sul pavimento.
-
io ti
amo…- mugugnò sfinita Erice, incapace di
guardarlo a causa del dolore che provava e della consapevolezza che
stavano per
dividersi.
L’unica soluzione che
Santiago riuscì a trovare, per
alleviare il dolore di entrambi, fu sollevarle il mento con due dita e
premere
le proprie labbra contro le sue.
Passione, rabbia, disperazione, un
che di violento ed un po’
di dolcezza furono le contrastanti emozioni che grondavano da ogni loro
gesto,
respiro e movimento ma, in breve, i due si ritrovarono avvinti in un
reciproco,
intenso abbraccio e fecero l’amore.
Entrambi sembravano aver dimenticato
che appena oltre la
porta, c’erano decine di vampiri in grado di udire ogni cosa.
Ma non gli
importava: esistevano solo loro.
Era mattina inoltrata quando gli
amanti, con un ultimo bacio
e la morte sulle labbra, si rivestirono; Santiago, gettando uno sguardo
furtivo
al bel viso della compagna ed al ciondolo d’alabastro che
aveva al collo, si
obbligò, seppur sconvolto, a comportarsi con naturalezza e
quindi ad andare
presso la Cinta
Muraria,
per svolgere le proprie mansioni. Erice invece, rimasta sola,
tornò a
preoccuparsi di gettare i suoi abiti in una borsa.
Di colpo, ad un tintinnio
più forte del braccialetto che
anni fa le era stato donato da Didyme, il suo cervello corse a lei, a
sua
madre, insospettito dal fatto che ormai dovevano essere trascorse ore
da quando
Marcus e Didyme si erano divisi. Poteva certo comprendere che
l’ambasceria al
seguito del compagno di Didyme impiegasse molto tempo a mostrargli la
strada da
percorrere, dal momento che Marcus non lasciava Volterra da quando il
clan si
era diretto in Transilvania.
Ma…possibile che per una
semplice benedizione, a Aro e
Didyme, servisse tanto tempo?
Con uno strano presentimento nel
cuore spaventato, ed i
nervi a fior di pelle, Erice afferrò senza pensare la sua
mantella grigio fumo,
e se la gettò sulle spalle, iniziando a correre
già mentre scendeva le scale;
forte del fatto che, grazie allo Scambio di Sangue appena rinnovato con
Santiago, che aveva contribuito a potenziare le sue qualità,
nessuno l’avrebbe
fermata.
Alcuni minuti più tardi,
abbastanza lontana da Volterra, ma
non a sufficienza da aver trovato Didyme ed Aro, Erice fu costretta a
calmarsi
e concentrarsi per far uso della deprivazione sensoriale, e riconoscere
così i
loro profumi portati dal vento…
Spostatasi in un boschetto, riprese
quindi a correre fino ad
avere il fiato corto per l’inquietudine e la fretta; di tanto
in tanto fu
costretta a fermarsi per tornare a respirare con naturalezza e, con gli
occhi
chiusi riprendere la sua ricerca delle loro tracce.
Dopo un tempo interminabile che si
sarebbe potuto distendere
in ore, oppure in semplici minuti, la ragazza si ritrovò
dietro un possente
albero che dava su un piccolo spiazzo erboso. Didyme e suo fratello Aro
erano
lì, distanti un metro l’uno dall’altra,
tanto immobili da sembrare mute statue;
tuttavia, qualcosa le suggerì che si stavano parlando,
seppur a bassissima
voce.
Erice trovò saggio
nascondersi alla loro vista, porsi
sottovento affinchè nessuno dei due potesse sentire il suo
odore ed essere
abbastanza lontana e calma da non far arrivare alle loro orecchie, i
suoi
battiti cardiaci. Nonostante tutto, però, qualcosa di
celato, sconosciuto ma
insito nell’aria, le suggeriva di dover restare
all’erta, irrequieta. In
effetti, una volta spostato lo sguardo sull’espressione di
Aro, vide una
maschera di ghiaccio che tentava di nascondere- anche se piuttosto
male- un’emozione
di rabbia intensissima che sfociava quasi in odio puro; e si
augurò che sua
madre Didyme, nonostante avesse i sensi annebbiati dalla
felicità, fosse tanto
sveglia da accorgersene.
-
e così,
mia dolce sorellina, vuoi lasciarmi, lasciare i
Volturi…- esordì il vampiro, esibendo una smorfia
che sembrava triste.
-
Ti ringrazio per
la possibilità che ci hai dato,
fratello…ti confesso che mi elettrizza la prospettiva di
ritrovare il mondo,
vedere com’è cambiato; forse proverò
anche ad assaggiare lo stile di vita vegetariano,
tanto decantato da Eleazar.
Ma, non essere triste per questo nostro distacco perché, ti
prometto che non ti
abbandonerò del tutto: faremo ritorno prima o
poi…- replicò Didyme, lo sguardo
perso e felice di una ragazzina, mentre con le mani giunte dietro la
schiena si
dondolava leggermente e sorrideva, bella come una dea. Un sospiro di
vento le
scosse la gonna del vestito.
-
Ah, sono sicuro
che lo farete immediatamente, dal
momento che non avete mai provato altro stile
di vita che non fosse quello carnivoro.
Inoltre, non oso pensare a quanto saranno scarsi i livelli di
resistenza tuoi e
di Marcus, con un’umana tra di voi, tutti i giorni e tutte le
notti…quando mi
hai pregato di ottenere la libertà anche per lei, giuro che
ho creduto che
voleste Erice per un ultimo pasto che possa definirsi
serio…- l’espressione
gentile di Aro, i suoi modi pacati, scomparvero di colpo, ed il suo
viso si
fece duro, beffardo, tanto che Didyme(che, a differenza di Erice, aveva
sempre
potuto fare affidamento sui suoi sensi di vampira) rimase impietrita e
spaventata, per quel repentino, inaspettato cambiamento. Anche se con
qualche
secondo di ritardo, riuscì a reagire in una sola maniera: si
irrigidì scoprendo
appena i denti, ed emettendo un ringhio tanto basso da sembrare un
sibilo. Mai
come in quel momento- pensò Erice- i due fratelli avevano
somigliato a dei
vampiri, feroci, spietati, adirati.
-
Sorella, mia
splendida sorella; non avercela con me: ti
sto dicendo solo la verità. E la tua reazione mi dice che
stai facendo questo
radicale ed inutile cambiamento- e stai costringendo
anche Marcus a seguirti- solo per lei, solo per
un’insignificante umana.- Aro
intrecciò le mani in grembo, un sorriso falso sulle labbra
sottili.
Didyme, allora, esplose: si
piegò rapida in posizione
d’attacco, e ringhiò contro il fratello con tanta
veemenza da far rabbrividire
persino Erice, che da una vita intera
era abituata ai modi dei vampiri.
-
non osare
offendere la mia Erice!- fece, fredda; gli occhi ridotti a fessure. La
ragazza,
da dietro l’albero tratteneva il respiro, tentando
d’immaginare il bellissimo
volto di sua madre, trasfigurato dalla rabbia.
-
La tua
Erice?- la canzonò il capo dei Volturi, mentre scuoteva la
testa e faceva
schioccare la lingua come se si trovasse davanti ad un caso
irrecuperabile.
-
Tu non hai mai
capito, Aro, non potresti mai capire.
Hai odiato Erice sin dal primo momento in cui l’ho portata
tra noi, ma non ti
sei mai curato di osservare come io
l’ho sempre guardata: la considero mia figlia, e in tutto
questo tempo l’ho
protetta ed amata come una qualsiasi altra madre farebbe. È stata una
parte della mia femminilità che
ho dovuto recuperare dopo la mia morte,
poiché, quando mi hai trasformata in vampira, ti sei
preoccupato solo di
attendere che divenissi una donna, e così mi hai privato dei
miei bisogni, dei
miei desideri.- la vampira mora iniziò il suo discorso con
un sospiro e un’aria
di superiorità, ma, infine, il disprezzo represso nei
confronti del fratello,
il vuoto causato dalla privazione di sé come persona, donna
e madre, ebbero il
sopravvento sulla sua lucidità.
-
Puttana ingrata!
Dovresti essermi riconoscente per ciò
che ho fatto per te! Ti ho resa splendida, veloce e forte; ti ho
sottratta
all’abbraccio della morte, allora e sempre, fino alla fine di
ogni tempo. Ho
fatto sì che tu fossi parte del mio grande progetto, di
fondare il clan dei
Volturi: una stirpe gloriosa che avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi.
Ti ho
anche fatto dono di un compagno che potrai avere sempre
al tuo fianco. E tu come mi ripaghi? Cercando di portarmelo
via, lasciando così che i Volturi rimangano solo un
ricordo…
È
colpa tua e di quell’inutile
umana, se presto andrà tutto in rovina!- anche Aro aveva
fatto mostra del
rancore e dell’odio che provava verso Erice, ed ora anche nei
confronti di
Didyme, perché stavano vanificando tutti gli sforzi compiuti
dal vampiro in
quei millenni.
La
ragazza, non ebbe il coraggio
di sporgersi a guardare quanto stesse accadendo; aveva lo stomaco
serrato in
una morsa gelida. Tuttavia, dal momento che non aveva mai sentito quel vampiro perdere il controllo in
quel modo, provò ad immaginare la rabbia titanica di Aro, i
pozzi neri che
dovevano esser divenuti, i suoi occhi.
Didyme,
che nonostante in tutta
la sua esistenza aveva cercato di compiacere suo fratello, era sempre
stata una
vampira indipendente e sveglia, in quel momento, contrariamente alle
sue stesse
aspettative, indietreggiò spaventata, ferita da quelle
parole mentre apriva per
la prima volta gli occhi su chi
fosse
veramente suo fratello.
-
di me non ti
è mai importato nulla, vero, fratello?-
mormorò, con voce rotta anche se le bruciava la lingua a
pronunciare
quell’appellativo.
Aro fece un respiro profondo e,
quando apparve più calmo voltò
appena la maschera di bronzo in cui era mutato il suo viso, per
studiare con
sufficienza Didyme.
-
no sorella. Hai
ragione. Amo di più il potere,
per questo…quando ti ho
trasformata mi aspettavo grandi cose da te- visto il potere che ho
ereditato
io- ma…mi hai davvero deluso quando ho scoperto quale fosse realmente la tua qualità. Ora,
infatti,
ti detesto perché vuoi privarmi del membro più
fidato che ho nel Consiglio.
Vedi io…devo impedirtelo,
devo fare
di te un esempio per far
comprendere
a cosa andranno incontro tutti coloro che in futuro vorranno
abbandonare i
Volturi.- dichiarò il vampiro, con voce tagliente, quasi
fosse una
dichiarazione di guerra.
In quell’istante Erice
decise di girarsi verso lo spiazzo
erboso, più concentrata sul pensiero che non vedeva nulla di
male in una
capacità di persuasione che poteva tornare utile in
qualsiasi momento, facendo
piegare le persone a qualsiasi volere; piuttosto che
sull’ultima promessa del
capo dei Volturi.
Ciò che vide appena un
secondo dopo, infatti, la paralizzò,
facendola tremare come una foglia, togliendole il respiro…
Aro, ridotto ad un’aura
nera come la pece, ai suoi occhi, si
avventò lesto su sua sorella e la scaraventò
contro un albero, sfruttando
l’elemento sorpresa. Quella impiegò un
po’ a riprendersi dallo stupore, ma ebbe
solo il tempo di rialzarsi saltando il tronco, sull’erba,
ormai ridotto ad un
ammasso di trucioli; perché, un secondo più
tardi, il fratello le fu di nuovo
addosso, per non lasciarle il tempo di prepararsi ad uno scontro
fisico, e
prese a strapparle a morsi ogni “appendice” del suo
corpo: le braccia, le
gambe, le orecchie, le labbra…
Le urla di Didyme erano strazianti,
tanto che Erice avrebbe
voluto soccorrerla, essere lì al suo fianco a proteggerla e
salvarla, ma,
nonostante avesse portato con sé il pugnale dalla lama
doppia che le era stato
regalato da Anthenodora, la ragazza non riusciva a muoversi, la mano le
tremava
in modo incontrollato, e si sentì fragile e spaventata
mentre scopriva un
sentimento dannatamente umano: la paura.
Senza alcun preavviso, sotto lo
sguardo impietrito
dell’umana, Aro iniziò a sradicare alberi ed a
distruggerli, gettandoli
tutt’attorno al corpo mutilato della sorella, che ormai non
poteva più neanche
urlare, perché privata della lingua.
Erice comprese troppo tardi quale
fosse l’intento di quel
vampiro sadico e, udendo un semplice “mi dispiace, ti ho
voluto bene” uscire
dalle labbra di lui, rivolto agli occhi imploranti ma consapevoli della
sorella; si decise a muoversi solo quando le fiamme roventi di quel
rogo
colossale, le avvamparono sul viso.
Lì in mezzo, nel fuoco
crepitante e rosso come l’inferno,
c’era Didyme. Erice si sentì impotente in quanto
una presa di freddo acciaio
era serrata attorno al suo corpo, e le impediva di muoversi. Sapeva di
non
poter fare nulla, di non aver mai potuto fare nulla a causa della sua
condizione umana, caduca e svantaggiata rispetto a quella di un
vampiro; così,
frustrata dalla paura e dall’odio verso Aro e verso se
stessa; si sorprese ad
urlare:
-
bastardo
assassino! Pagherai per questo!-
allora, nonostante quasi tutti i
rumori fossero coperti
dallo scoppiettio delle fiamme, Aro sollevò la testa di
scatto, come fosse
stato un segugio a caccia.
La forza che teneva Erice inchiodata
al suo posto, la lasciò
improvvisamente andare, con una spinta, e lei si ritrovò al
centro della
radura, al cospetto di Aro; il pugnale stretto nella mano che tremava,
il viso
sconvolto e terreo.
La ragazza non seppe mai cosa fosse
successo dopo,
esattamente…forse i riflessi delle ultime fiamme che si
stavano estinguendo,
avevano illuminato il viso di Erice tanto da renderlo minaccioso e
spingere il
vampiro, spaventato, a dileguarsi in un tornado invisibile ed
innaturale…o
forse, poiché era senza mantello, dal momento che era
bruciato assieme alla
sorella, fu il sole- che si trovava nel punto pi alto del cielo- ad
impedirgli
di muoversi, di avvicinarsi a lei e, per quella volta le
salvò la vita.
Comunque,dopo attimi interminabili
passati a scrutare quel
folle vampiro, Erice rimase sola in quel luogo devastato. Dinnanzi alle
ceneri
sparse a terra, l’unica traccia rimasta
dell’esistenza di sua madre, si sentì
svuotata. Cadde in ginocchio, senza parole, tenendosi invece stretta
un’ultima,
vana speranza: giunse le mani in preghiera implorando ossessivamente
sempre la
stessa cosa. Magari quel qualcuno
cui
si stava rivolgendo, le avrebbe davvero restituito la vampira che aveva
amato,
tutta intera.
La ragazza riaprì gli
occhi dopo poco tempo e fu costretta a
supplicare quella richiesta ad alta voce, quasi ad urlarla. Ma non
accadeva
nulla. Non c’era nessuno
ad
ascoltarla.
Persa, distrutta e logorata non ebbe
altra soluzione se non
quella di gettarsi tra le generi di sua madre e piangere, immaginando
di averla
vicina un’ultima volta, ora che cominciava a comprendere in
modo profondo quale
vuoto aveva lasciato dentro di lei, la sua perdita.
Fu allora che, per quanto fosse
consapevole della sua
condizione di inferiorità rispetto ai vampiri ostili
che da quel momento l’avrebbero circondata- poiché
non ci
sarebbe più stata Didyme, a proteggerla- Erice si fece una
promessa, e la
estese anche alle polveri che, dalla terra, si stavano disperdendo nel
vento:
sua madre era morta come una martire, pura, aveva sofferto, certo; ma
era anche
riuscita a dimostrare la vera indole, malvagia, del fratello; il suo
sacrificio, quindi, non sarebbe stato vano, perché lei,
Erice, sua figlia,
sarebbe riuscita presto a fare giustizia, mostrando a tutti di quale
crimine Aro
aveva voluto macchiarsi le mani, pur di mantenere il proprio potere.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Come state?(soprattutto, scelta
giusta chiederlo dopo un
capitolo simile XD)
Scusate il ritardo; ho cercato di
fare il prima possibile ad
aggiornare.
Spero che, nonostante questo capitolo
sia un po’
particolare(non so voi ma a me viene da piangere) vi sia piaciuto lo
stesso;
chiedo venia per il linguaggio un po’ “di
strada” di Aro, ma ho cercato di
immedesimarmi il più possibile in lui in una situazione
simile(ah, se trovate qualche ripetizione di concetti o termini, sorry
ma non ho avuto tempo di ricontrollare).
In particolare mi auguro che questo
post abbia reso
giustizia a ciò che vi avevo promesso nel precedente
“spazio d’autore” o
meglio, che sia stato abbastanza “da fuochi
d’artificio” come lo aveva definito
Ayumi, se non sbaglio. Grazie davvero ad entrambe, Luce e Ayumi per i
vostri
commenti, e per il fatto che mi seguite sempre, scusate se non vi
ringrazio a
dovere ma sono un po’ di fretta…
Spero comunque di non aver deluso le
aspettative, fatemi
sapere che ne pensate, vi ringrazio in anticipo
Marty23
|
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Capitolo 22 *** il castello di carte ***
Capitolo XIV
Il castello di carte
La luce obliqua del tramonti sfiorava
delicatamente ogni
cosa, ormai, ogni profilo della splendida campagna toscana; tutto
sembrava
emanare calma, torpore, pace…eppure, un unico, straziante
lamento portato dalla
brezza leggera, si spargeva ovunque, mutando il bel viso di quella
tranquillità
in un’inquietante atmosfera da cimitero.
Erice era ancora sdraiata sul prato
di quel boschetto
sfigurato dalle fiamme, le ultime ceneri di sua madre strette nei palmi
serrati, graffiati, come se non avesse voluto lasciarla andare. Il
lamento
proveniva da lei; il volto distrutto dal dolore, nelle narici ancora
tracce
dell’intensissimo profumo dolciastro del rogo.
All’improvviso il vento
calò d’intensità, e le sue deboli
orecchie umane percepirono un minimo scalpiccio di passi:
-
umana,
Erice…- la chiamò una voce dura, simile ad un
ringhio che si abbassava via via di tono.
La ragazza sobbalzò,
mettendosi carponi di scatto nonostante
si sentisse totalmente annientata nei sensi ed in ogni fibra del
proprio
essere. Le mani tremanti corsero subito alla chiazza d’erba
dove ricordava di
aver sentito cadere il pugnale, ma dovette procedere a tentoni,
febbrile,
persa: non c’era nulla!
Con un sospiro soffocato
capì che la sua arma era sparita e,
consapevole di essere ormai indifesa, non ebbe altra scelta che alzarsi
in
piedi, volgersi in direzione della voce e scrutare la figura
sconosciuta
attraverso gli occhi appannati di lacrime. Una sagoma inquietante stava
davanti
a lei, rigida come una statua, il volto bianco, l’abito lungo
e nero come un
mantello…se non avesse avuto quella chioma tanto bionda da
sembrare bianca,
Erice avrebbe detto che quel vampiro fosse la morte.
-
Ca…Caius?
Siete venuto a finirmi?- mormorò, la voce
rotta dal pianto mentre tremava; gli occhi guizzavano ancora qua e
là alla
ricerca del pugnale.
-
Non ti sei accorta
che quando che, quando si è
dileguato, Aro ha preso con sé il tuo pugnale, vero?- la
rimbeccò, pungente; lo
sguardo ridotto a due fessure. A quelle parole, la testa
dell’umana vorticò
tanto da destabilizzarla.- avevo deciso di seguire quel
folle questa mattina, quando ho notato che aveva sottratto
dalla mia collezione quell’oggetto tutto inciso e decorato,
che gli hai visto
usare per dar fuoco a…- Caius perse in quella particolare
spiegazione, forse
perché si sentiva in dovere di dare qualche risposta alle
mille domande che
brillavano mute negli occhi verdi della ragazza, ma non disse il suo nome, e tuttavia, pur essendogliene
grata, Erice trattenne a stento un singhiozzo.- e sarei anche riuscito
a
proteggerti, e far sì che quel
vampiro
non ti vedesse, se non ti fossi dimenata come un animale e non avessi
urlato!-
La figlia di Didyme rimase in
silenzio, sbalordita; se non
si fosse trovata in una circostanza così…strana,
avrebbe anche avuto modo di riflettere sul perché Caius si
riferiva ad Aro
usando nomignoli che servivano a sminuire la sua autorità,-
dal momento che
fino a qualche giorno prima gli aveva mostrato il massimo rispetto- ma
si
sentiva tanto spaesata dalla situazione in cui era capitata che quella
parole
la ferirono come fossero state qualcosa di solido.
Poi, improvvisamente, il suo cervello
tornò a quanto le era
accaduto poco prima…possibile che quella
stratta gelida che aveva avvertito attorno a sé, che
l’aveva tenuta ferma,
provenisse da Caius e non dal suo
intimo?
-
penso che da
ciò che hai sentito e visto, oggi, tu
abbia avuto la possibilità di capire veramente
chi è Aro, dopo tutto questo tempo. Didyme avrebbe dovuto
sapere che suo
fratello è tanto attaccato al potere, che le avrebbe negato
la possibilità di
lasciare i Volturi, ancor prima che lei glielo avesse chiesto.
L’idea è
divenuta assolutamente proibita, poi, quando lei ha fatto cenno al
fatto che
nella sua idea di “nuova vita” eravate previsti
anche tu e Marcus.- continuò il
compagno di Anthenodora, le mani raccolte dietro la schiena mentre
passeggiava
avanti e indietro, come se stesse discutendo di una semplice questione
politica
o burocratica; invece che di quel caso tanto delicato.
-
Perché
Aro avrebbe fatto…questo?
Rischierebbe tanto pur di tenere me e Marcus nella
congrega? Perché si è spinto fino ad uccidere sua sorella?- intervenne lei, tanto
confusa da non riuscire neppure
a capire se, il sussurro nel quale si era espressa, fosse stato
comprensibile.
-
Ha ucciso sua
sorella perché si sentiva minacciato
da lei; le voleva bene ma
credo abbia cominciato a vederla come un elemento destabilizzante per
il clan
quando Didyme si è affezionata
a te;
ed inoltre, il fatto che volesse portargli via Marcus(che è
il membro degli
Anziani di cui Aro si fida di più, oltre che quello
più potente, ai suoi occhi-
dal momento che la sua abilità è molto utile su
un campo di battaglia) gli ha
fatto capire che sua sorella rappresentava un pericolo:
se tutti i membri dei Volturi avessero seguito il suo
esempio, infatti, presto la congrega avrebbe perso
credibilità e potere. Il
bastardo voleva tenere anche te perché ti considera solo una
preda, non un membro della Guardia,
ed
intendeva insegnarti che non puoi mutare condizione; rimarrai per
sempre marchiata con quella sotto la quale sei nata.
Ora
che ti sei esposta, credo,
però, che si senta minacciato anche da te, perché
conosci uno dei suoi segreti,
e lo hai sfidato. Smetti di piangere, stupida! Questo non
riporterà Didyme in
vita! Apri bene le orecchie su quanto sto per dirti, invece!- Caius
perse la
pazienza, vedendola piangere, così
l’afferrò per le spalle, scuotendola con
forza.
L’idea che sua madre Didyme
ormai non fosse altro che
polvere lontana, faceva perdere ad Erice ogni speranza, ogni voglia di
vivere.
Sentì che le ginocchia le tremavano, ogni particolare del
paesaggio attorno a
lei, vibrava…
-
il fatto che tu
abbia assistito a quanto ha fatto, ti
ha reso, agli occhi di Aro, una minaccia, perciò
cercherà di renderti la vita impossibile.
Ti consiglio di comportarti come se non fosse accaduto nulla, di
mantenere un
profilo basso, e di restare sempre incollata
a Santiago, perché- in quanto tuo compagno- ti proteggerebbe
a costo della sua
stessa vita, ed inoltre, ha giurato di vendicarsi di Alec, Jane, Felix
e
Demetri, per quello che ti hanno fatto…- ripetè
lentamente il vampiro, mentre
la teneva per un braccio, per essere sicuro che lei avesse compreso
bene quanto
fosse ostica la situazione che le si stava proiettando dinnanzi.
Erice cercò di riprendere
il controllo di sé mentre quello
parlava, ma, soggiogata com’era dalle emozioni, non le
risultava affatto
semplice mantenere il cervello attento, freddo, pronto ad accogliere
tutte
quelle informazioni, le quali, tra l’altro, non avevano
senso, le sembravano impossibili.
-
ma
cosa…diavolo state dicendo, Caius? Come potete anche
solo pensare che io possa fingere di essere cieca davanti a
ciò
che è accaduto? Aro ha ucciso sua sorella, mi ha privato di mia madre, ed ha dovuto far ricorso ad
una trappola per impedirci di partire; per avere- a quanto dite- la
sicurezza
di mantenere unita la congrega! Come dirò a Marcus cosa
è successo? Ne sarà di
certo distrutto e vorrà vendicarsi, fare
giustizia…che è ciò che
voglio…che esigo
anch’io, anche se non riesco a
spiegarmi perché quell’assassino vigliacco abbia
rubato il mio pugnale!- la
ragazza prese coscienza di tutto il dolore che provava, che
l’avvolgeva; giunti
quindi al limite della sopportazione, il suo cuore e la sua mente, lo
mutarono
in qualcosa di solido, facendo sì che fuoriuscisse dalle sue
labbra con
violente irruenza, in un conato di parole.
Caius tese le labbra sottili in un
sorriso maligno e, con
durezza dichiarò:
-
sarai costretta
a fingere, poiché altrimenti dovresti spiegare la
verità, e nessuno nel
clan dei Volturi metterebbe
mai in dubbio la parola del fondatore della congrega, in favore di un’umana, seppur membro della
Guardia.
Marcus, poi, non dovrà sapere nulla, per
alcuna ragione: lascia che si crogioli in torturanti dubbi
sul motivo della
scomparsa della compagna; nel frattempo osserva
il comportamento di Aro con attenzione. Questo ti permetterà
di anticipare le
mosse del tuo nemico e quindi avere salva la vita. Creati
però, degli alleati,
come Santiago, Evangeline- ti difenderebbe sempre anche lei, come il
tuo
compagno, dal momento che ti ha cresciuta ed aiutata anche in altre
occasioni-
e…potrai contare anche su di me: ti proteggeremo. Ma dovrai
tenere segreto con tutti
ciò che hai visto oggi.- la
fissò con gli occhi cremisi che mandavano lampi; era aspro e
serio tanta era
l’importanza del patto che stavano stringendo; ma sembrava
anche amareggiato, forse
perché era la prima
volta che si scontrava con emozioni umane
e passionali, come il dolore che stava provando la ragazza.
-
Perché
state facendo questo, Caius? Perché dovreste proteggermi?-
domandò Erice, scioccata
da quell’intuizione mentre cercava di chiarire a se stessa il
motivo di un
aiuto tanto provvidenziale, da parte di un vampiro spietato come Caius.
-
Se riesco in
quest’intento, avrò estinto il secondo
dei tre debiti che ho nei tuoi
confronti…- chiarì subito, nonostante facesse
fatica ad ammetterlo. Lo sguardo
fisso sul terreno, il volto seminascosto dalla chioma bionda.
La ragazza rimase tanto sorpresa
dalle parole di quel
vampiro che sentì una scossa di riconoscenza dentro di
sé, avvertì la necessità
di abbracciarlo ma si paralizzò, poiché non
sapeva come il vampiro avrebbe
reagito.
Caius rimase ad osservarla per
qualche secondo poi, notando
che non era divenuta in tutto e per tutto simile ad una statua, fu
costretto a
caricarsela sulle spalle, per far sì che entrambi si
allontanassero da quel
luogo.
Mentre correva veloce come il vento,
il compagno di
Anthenodora era rigido e non respirava. Erice non si accorse
minimamente del
vento innaturale e tagliente che le si era alzato attorno, durante il
tragitto
di ritorno a Volterra; era troppo impegnata ad accogliere la
consapevolezza di
un’urgente necessità di cambiare,
a
raccogliere i pezzi di ciò che era rimasto della sua purezza
bambina, che
sembrava però, sparita come la polvere del corpo di Didyme.
Molte cose che avevano costituito il
suo mondo erano
cambiate o scomparse, in un batter d’occhio: sua madre non
c’era più; non
sarebbe più apparsa dal nulla come una divinità,
per consigliarla e
proteggerla; da quel momento in poi si sarebbe trovata sola
nell’ostilità più
pura (tra assassini e bugiardi che non avrebbero atteso altro che un
suo passo
falso per schiacciarla) e, per sopravvivere, non si sarebbe potuta
permettere
il lusso di mostrarsi debole.
Il compito che doveva assolvere era
difficile e, dubbiosa,
non si sentiva pronta a calarsi in una fossa di serpi tanto profonda e
buia…cosa avrebbe dovuto fare?
Sentendosi già persa,
trovò la sua unica forza nel
richiamare alla mente il bel viso di sua madre e, con quel ricordo
stretto al
petto fu animata dalla sola sete di giustizia; quindi, si
esercitò a mutare il
proprio cuore in pietra…
Dopo innumerevoli tentativi,
centinaia di lacrime versate e
ferite aperte, la ragazza capì di essere riuscita nel suo
intento: in vista delle
Mura di Cinta scoprì di essere capace a piangere ma anche a
ricacciare indietro
le lacrime, perché facessero posto alla rabbia;
avvertì che il cuore le
brillava e si induriva alternativamente, era, ora cuore ora pietra, ora
cuore
ora pietra, ora cuore ora pietra…
Era notte fonda quando Caius e la
figlia di Didyme tornarono
a passeggiare tra le strade della città: un manto stellato
di velluto scuro
avvolgeva ogni cosa, donando ad ogni angolo buio un che di inquietante e facendo risplendere Palazzo
dei Priori di migliaia di
scintillanti sfumature bianche. Erice tremò di paura
all’idea che, da
quell’oscurità, che un tempo l’aveva
sempre protetta, ora sarebbe potuto
sbucare un vampiro pronto a divorarla; così, per un riflesso
incondizionato,
strinse la mano di Caius. Nonostante il ringhio infastidito che
proruppe dalle
labbra di lui, l’umana si sforzò di sorridere
all’idea che, dopotutto, in
quella desolante situazione, non era sola:
qualcuno era ancora disposto a
proteggerla.
Quella notte, tuttavia, la ragazza
non riuscì a dormire: pur
essendo riuscita ad evitare tutti, riconoscere(anche se di sfuggita) il
viso
angosciato di suo padre Marcus, la distrusse, spingendola a cercare
rifugio tra
le braccia gelide e possenti di Santiago.
Il vampiro sapeva che la sua compagna
era sveglia, ma non
osò aprir bocca per fare domande; nel silenzio che venne a
crearsi tra i due,
infatti, il messicano comprese che da allora in avanti avrebbe dovuto
proteggere la sua compagna da tutto e tutti, perché Erice
era cambiata- o
meglio, pur rimanendo sempre la stessa, sembrava esser stata costretta
a
“maturare” troppo rapidamente?
Che avesse avuto un qualche diverbio
con i genitori, pur di
spiegare perché il suo desiderio più grande
consisteva nel non lasciare il suo
compagno?
Durante gli interminabili giorni che
seguirono, la tensione
si percepiva come qualcosa di solido sulla pelle; c’erano
momenti in cui Erice
si sentiva più fragile del vetro, attimi in cui avrebbe
voluto porre fine a tutto
e raggiungere sua madre, ovunque si trovasse, dal momento che credeva
impossibile riuscire a sopportare anche un solo secondo di
ciò che stava
avvenendo, di quello che sarebbe avvenuto poi, ma….aveva
fatto una promessa a
Caius, ed a sua madre in particolare, perciò non poteva
arrendersi, bensì
doveva lottare finchè la verità non avesse
trionfato.
Quando l’impellente
necessità di far conoscere la verità,
però, la colpì, la ragazza fissò bene
tra i ricordi l’alieno, meschino volto di
Aro; si nascose dietro una maschera piatta, un cuore duro come la
pietra, ed
armata di un silenzio che allontanava chiunque: non sentiva caldo o
freddo, non
vedeva colori, passione…semplicemente un grigiore uniforme
in cui tutti- tranne
lei, dal momento che conosceva il segreto-
erano stati gettati a tradimento dal fratello di Didyme, che faceva
credere
loro che era tutto ciò che desiderassero. Questo fu
ciò che non impedì all’umana
di crollare:quell’ossessione,
(che
stava diventando quasi uno stillicidio) di sapere qualcosa in più rispetto agli altri,
nonostante la sua condizione
svantaggiata, e di avere un ruolo tanto delicato quanto decisivo, in
quel caso.
Ma, per non dare
nell’occhio, la ragazza svolgeva
regolarmente ogni compito con la sua abituale solerzia, senza obiettare
e, nel
frattempo studiava anche i “fantastici quattro”
che, in ogni momento,
sembravano avere a loro volta gli occhi fissi su di lei, oltre al fatto
che non
si allontanavano mai dal capo dei Volturi.
Di tanto in tanto, incontrava Caius
nei corridoi di Palazzo
dei Priori, ma si comportava come se fosse tutto
normale, forte del fatto che la maschera la proteggesse e che
era
trincerata dietro uno spesso strato di silenzio: tali particolari
inquietarono
non poco gli altri membri della Guardia, i quali, percependo un
radicale,
seppur recondito, cambiamento nella
“collega”,nell’ignoranza seppero solo
collegarlo allo stato di angoscia nel quale era scivolato Marcus;
ipotizzarono
che i due avessero litigato o che magari il nucleo famigliare che
avevano
sempre costituito si era sfaldato dal momento che Erice era stata
l’unica ad
opporsi all’abbandono di Volterra, visto il suo legame con
Santiago. Nessuno
pensò mai di chiedere a Caius
se
sapesse qualcosa, e la figlia di Didyme, dal canto suo, non
parlò più con lui:
ormai, il loro patto era stipulato e non c’era bisogno di
altre parole.
Venne, tuttavia, un periodo in cui
Erice si sentì
assolutamente nuda, nonostante fosse armata di mutismo e nascosta
dietro un
volto che non era il suo: infatti, non aveva il coraggio di avvicinarsi
a suo
padre, poiché sapeva che, se avesse visto il dolore che lo
dilaniava, che
appariva in maniera tanto lampante sul suo viso; sarebbe stata indotta
a far
sgretolare la maschera di pietra che indossava ogni giorno e che
toglieva solo, e neppure sempre, in
presenza di
Santiago.
Quando i due facevano
l’amore, la ragazza si stringeva a lui
con quanto più vigore potesse, come se fosse stato la sua
unica ancora di
salvezza; cercava, incessantemente, sulle labbra del compagno una via
di fuga
dal soffocante vortice che la stava risucchiando. C’erano
momenti in cui si
abbandonava anche alle lacrime- quando la sofferenza per la perdita di
sua
madre la soffocava- ma al suo compagno, che la fissava preoccupato,
spiegava
che erano frutto di felicità dal momento che ora, avevano la
certezza che
sarebbero stati sempre insieme.
In un giorno triste e così
dannatamente uguale agli altri,
Erice fu invitata a seguire gli Anziani e le loro mogli in una battuta
di
caccia, lontano da Volterra.
Nonostante il disagio, cercando lo
sguardo dell’unico
alleato che avesse in quel gruppo e, sforzandosi di mantenere il
respiro
regolare, fu costretta ad annuire accondiscendente, consapevole che un
rifiuto
avrebbe destato sospetti.
Doveva essere una normale battuta di
caccia, no? Eppure…c’era
qualcosa nello sguardo di Aro, che
la
inchiodava, spaventandola, qualcosa di sadico
e malefico…
La Famiglia
fu scortata fin presso Porta all’Arco e da lì,
senza
che nemmeno dover attendere o dover chiedere, Marcus, col suo bel
mantello nero,
prese sua figlia sulle spalle ed iniziò a correre, assieme
agli altri quattro
vampiri. Nel momento in cui il vento innaturalmente tagliente le
sferzò i
capelli sotto il cappuccio del mantello, Erice si odiò per
la tensione che
aveva tenuto insieme i suoi pezzi fino a quel momento; per il
comportamento
duro, scostante, gelido e sospettoso che aveva tenuto in quei giorni,
soprattutto nei confronti di suo padre che, dal momento che non
riusciva a
trovare pace, non meritava affatto che gli venisse nascosta la
verità.
Si augurò, però
che almeno quella corsa potesse alleviare il
suo dolore- il cuore le piangeva ed urlava, sembrava volersi rifiutare
di
battere- si avvinghiò quindi, a lui nel tentativo di fargli
sentire la sua
vicinanza. Marcus sussultò come a voler trattenere un
singhiozzo e la strinse a
sé con affetto, dal momento che, sospettava,
l’idea di poter perdere anche lei,
gli sarebbe stata fatale.
Allora, entrambi aprirono gli occhi e
la bolla che li
avvolgeva, a fatica tratteneva tranquillità
scoppiò quando Erice si rese conto
quanto potessero essere crudeli le macchinazioni di Aro: la famiglia si
ritrovò
nella radura bruciata dove era stata uccisa…
Mentre tutti i vampiri si
acquattavano tra i cespugli, in
attesa dell’arrivo di alcuni umani dei quali avevano sentito
l’odore vicino, la
ragazza ritenne più saggio allontanarsi ed eclissarsi dalla
realtà: c’era già
stato molto dolore nella sua vita, non serviva di certo la vista di
altro
sangue!
La confusione ed il dolore che
provava rischiarono di farla
prorruppere in urla e pianti ma, per miracolo, si trattenne imponendosi
di
restare calma. Marcus le venne vicino, delicato, inerme,
l’ombra di un bambino
indifeso, e lei, nascosta di nuovo dietro l’albero che era
stato già il suo
rifugio, scoprì che era stato l’unico a non
essersi nutrito.
“questo è
davvero troppo! Abbiamo permesso a quel vigliacco
bastardo di disporre delle nostre vite a suo piacimento, ed ora ci sta
distruggendo!” pensò, adirata, le mani serrate a
pugno.
Aveva davvero varcato un limite: la
pietà che la vista delle
condizioni di suo padre le suscitarono, le suscitò pura
furia; Aro si stava
prendendo gioco di loro, apertamente poiché li aveva
condotti in quel luogo e
non stava facendo altro che alimentare tensioni, dubbi e paure, con
l’unico fine
di attendere che lei crollasse.
Accecata dall’odio, la
ragazza smise di pensare: senza farsi
troppi problemi sottrasse un coltello da cacciatore al cadavere di uno
dei
cinque scalatori, uccisi dai membri della Famiglia; e gli
tagliò la gola,
invitando delicatamente suo padre a bere il sangue che sgorgava, ancora
caldo.
Marcus, ammirato da quel gesto, si
sforzò di mascherare lo
sconforto che provava e fece quanto gli chiedeva la figlia. Per un
secondo, la
ragazza e il vampiro, scordarono tutto e godettero dell’ombra
di gioia che li
pervase, per quel momento condiviso insieme,
per quanto macabro fosse.
Erice avrebbe voluto sollevare gli
occhi al cielo ed urlare
a sua madre che l’amava, che aveva capito che
l’indissolubile, amoroso legame
che la univa a Marcus non era altro che quello di una vera famiglia, e
che le
avrebbe dato l’energia necessaria per lottare, fintanto che
ne avesse avuto la
forza.
Ma…
-
Erice…dov’è
il tuo pugnale? Quello che ti ho donato?-
intervenne Anthenodora, confusa, poiché trovò
strano che la ragazza avesse
usato, per quell’azione, un’arma diversa da quella
cui non si separava mai.
Un gelido ed insopportabile silenzio
calò, con un tonfo, tra
tutti che, ammutoliti, sembravano attendere una risposta. Gli occhi di
Aro
inchiodarono l’umana: eccolo, quel passo falso che aveva
atteso tanto a lungo;
ormai, quella stupida era in trappola e difficilmente sarebbe riemersa
dal buco
nero al quale si era condannata.
-
devo…devo
averlo dimenticato…- inventò, improvvisando
nervosa.
“perfetto! Ora so a quale
scopo Aro mi ha sottratto il
pugnale! A causa di una stupida risposta- di certo studiata da quel
folle- mi
sono scavata la fossa con le mie stesse mani! Ora il bastardo
farà risultare-
facendo leva proprio su questo mio scivolone, magari- che sono stata io ad uccidere mia
madre! E forse riuscirà anche a persuadere tutti
che avevo un
valido motivo, ossia che non volevo lasciare Volterra…cosa
faccio adesso?”
Erice, chiusa nella sua stanza da quando la Famiglia
aveva fatto ritorno dalla caccia, era
chiusa nella sua stanza, si era posta sempre le stesse domande, anche
ora, a
notte inoltrata, si stava torturando con quegli interrogativi; non
riusciva a
calmarsi e, da un tempo indeterminato stava camminando avanti e
indietro, nella
speranza di ritrovare quel sangue freddo che, fino ad allora, le aveva
salvato
la vita; era perfettamente consapevole però, di aver ormai
superato un punto di non ritorno…
Cosa avrebbe dovuto fare? Quali
azioni le avrebbero giovato
da quel momento in avanti? Non riuscì a darsi una risposta e
finì per
accasciarsi a terra e piangere mentre le spire della paura e della
solitudine
la ingoiavano.
Fortunatamente, la mattina seguente
un angelo vampiro si
presentò alla sua porta e l’abbracciò,
con forza e calore. La ragazza si sentì
meno sola quando scoprì che il suo angelo custode,
Evangeline, le stava
davanti, dolce e risoluta e, come sempre pronta ad aiutarla, di
qualsiasi cosa
avesse avuto bisogno. Bastò lo scambio di un solo sguardo,
ed Erice comprese
che la sua nutrice le era stata inviata da Caius, perché
fosse la sua ancora di
salvezza.
Un’ultima carezza, poi la
vampira dalle trecce argentee
consegnò alla sua “creatura” un
biglietto tutto ripiegato, senza destinatario
né mittente.
La ragazza lo aprì,
attenta a non far leggere nulla alla sua
alleata, anche se, nonostante quella precauzione, le fu impossibile
celare le
forti emozioni che la vista di quella lettera le provocò.
Ieri
hai fatto un
passo falso epocale che ti ha compromessa ed ha concesso ad Aro di
vincere. Mi
aspettavo che avresti resistito più a lungo ma,
d’altro canto sei solo
un’umana…
Le
tue parole,
storpiate dal bastardo, hanno gettato nel dubbio Marcus il quale, ora
crede ciò
che quel dannato vuole fargli pensare, ossia che sia stata tu la causa
della
scomparsa della sua compagna; tuttavia, visto che Marcus ti vuole bene,
sta
lottando contro se stesso per accettare questa
“verità”: si è isolato dalla
congrega per riflettere e decidere cosa fare. Ma non sono i suoi
dolori, quelli
che devono preoccuparti, ora; piuttosto- dal momento che, riconoscerai
anche tu
di esserti offerta ad Aro su un piatto d’argento- dovresti
ringraziarmi perché
ho trovato un modo di farti uscire viva da questa
situazione: tra una
settimana esatta ricorrerà San Marco, e progetto di farti
allontanare da
Volterra proprio in quell’occasione. Neppure Evangeline ne sa
molto, perciò non
chiedere. Potrebbero scoprirti. Prepara invece, quanto credi ti serva
per andar
via e agisci con cautela non sono sicuro che in
futuro saprò ancora
salvarti con tanta rapidità ed astuzia.
C
Se si fosse trovata in una situazione
meno tesa ed
insostenibile, Erice avrebbe di quelle parole così
traboccanti di tracotanza
così come della scrittura di Caius, tutta piena di ghirigori
ma, si sentiva
così indifesa che l’unica cosa che
riuscì a fare fu fissare con accanimento il
foglio mentre tremava, all’idea di una fuga.
Il tempo di anticipo con il quale era stata decisa era poco, certo, ma
se Aro
l’avesse scoperta, dal momento che con un solo tocco poteva
leggere la mente di
chi gli stava intorno? Scambiò con Evangeline uno sguardo
disperato.
La vampira le sorrise dolcemente e,
dopo essersi armata di
una penna, la lasciò scorrere su un foglio del taccuino di
Erice; si mosse con
tanta rapidità da renderne quasi impercettibile il rumore.
Caius
progetta di
farti fuggire da Volterra il giorno di San Marco. Sarà
semplice mescolarsi alla
folla; ci procureremo dei mantelli rossi, ma per questo poco tempo che
ti
allontana dalla ricorrenza, dovrai restare calma e rimanere sempre con
Santiago: ti proteggerà. Io, nel frattempo mi
occuperò dei dettagli per far sì
che tutto sia pronto, per allora.
Lette quelle parole Erice
provò di nuovo la sensazione di
camminare su un filo, ma quella volta fu diverso: c’era
qualcuno a tenderle una
mano, e questo dava una tonalità un po’ meno
grigia a ciò che era stata la sua
vita fino a quel momento…
Seppur con fatica e la morsa gelida
della paura che le
attanagliava le viscere, Erice Volturi tentò di comportarsi
in maniera normale,
come le era stato consigliato nonostante avvertisse che gli sguardi
sospettosi
di qualsiasi vampiro incontrasse, erano un chiaro segnale del fatto
che, il
ghiaccio già incrinato sul quale camminava da qualche tempo,
si era ormai del
tutto frantumato, diventando instabile e pericoloso.
Lo scorrere dei pochi giorni che la
separavano dalla
salvezza, infatti, era odioso perché molto simile
all’acqua stagnante, tanto
che rischiava di farla impazzire. D’altro canto
però, consapevole di quanto
poco mancasse alla sua fuga, non le importava più di nulla e
gli unici momenti
che agognava, durante i quali le sembrava di poter respirare, erano
quelli che
trascorreva in intimità con Santiago anche se, a causa dei
suoi silenzi e per
via del nervosismo che si percepiva tra loro, Erice capì che
anche lui stava
iniziando a riflettere sul
cambiamento della sua compagna e, se non era sospettoso, appariva di
certo
preoccupato. Ogni volta che si presentava l’occasione di
parlare, quindi, il
vampiro messicano faceva per aprire bocca, ma, pronta,
l’umana gli posava un
dito sulle labbra, gli confessava sinceramente e teneramente di amarlo,
lo
abbracciava o lo baciava: per quanto meschino potesse essere quel
comportamento, Erice lo preferiva alle bugie che altrimenti avrebbe
dovuto
inventare e propinare all’uomo che amava; si detestava
però, dal momento che
era certa che il suo amato avrebbe capito tutto, al solo contatto della
morte
sulle sue labbra.
Quanto odiava l’idea di
doversi allontanare da lui, per di
più, per un tempo indeterminato! Come avrebbe fatto, per far
sì che lui
continuasse ad amarla, a conservare un bel ricordo di lei, se presto
tutto
l’avrebbero creduta un’assassina?
Solo quando Volterra si
ricoprì di rosso Erice seppe che
l’eternità del suo purgatorio infernale era
terminata, che era il giorno stabilito.
Vedendo ovunque il
colore rosso che dominava, però, la ragazza temette che
sarebbe stato versato
il suo sangue; forse fu proprio per
questo che fu pervasa da ondate di terrore ghiacciato che la
paralizzarono a
tal punto da farle scordare come si respirava. Ad un passo dalla
salvezza, dopo
una dura settimana trascorsa a mantenere le apparenze, le parve di non
avere il
coraggio, di non saper fare né potere più nulla,
di sbriciolarsi come quella
volta che aveva provato sulla pelle l’effetto del potere di
Afton. Sarebbe
voluta tornare indietro: si maledisse per non esser riuscita a salvare
sua
madre e si detestò per l’oceano di menzogne in cui
stava per lasciare suo
padre.
Rimase paralizzata dalla titanica
potenza di tutte quelle
considerazioni, davanti ad una finestra al secondo piano del Palazzo,
ad
osservare le persone, le decine di mantelli rossi che rendevano quasi
impraticabili le strade, e si ritrovò a domandarsi quando
sarebbe venuto il suo
momento…
-
Erice, dai!
Andiamo!- disse, per la terza volta, una
figura incappucciata di rosso, scuotendola dal sonno ad occhi aperti in
cui si
era rintanata.
Solo allora comprese che la gelida
mano che stava stringendo
e che la stava trascinando tra la fiumana di gente in Piazza dei
Priori, -
molto più copiosa dell’ultima volta che
l’aveva osservata dal momento che era
mattina inoltrata- apparteneva ad Evangeline. Che fosse stata lei a
gettarle
addosso il mantello rosso simile al suo che le rendeva uguali a
qualsiasi altra
persona presente?
La sua nutrice continuava a
trascinarla, ed Erice non seppe
fare altro che opporre una lieve resistenza, intorpidita
com’era dalla caotica
situazione che le era piombata addosso, dal nulla, senza che lei se ne
fosse
accorta.
Pur sapendo che in quel luogo
dimorava un assassino, e che
non avrebbe alcun modo all’infuori della fuga, per salvarsi,
la ragazza non si
sentiva pronta. Prima che potesse
rendersene conto, però, si ritrovò avvinghiata
alle spalle di Evangeline,
lanciata in una corsa che sembrava gareggiare con il vento.
Erice Volturi ebbe
un’ultima possibilità di ammirare le
bianche mura, scintillanti come opali, che abbracciavano Volterra.
Quella città
era stata il suo mondo, lì aveva scoperto gioie e dolori,
lì era cresciuta; ma
ora sentiva che tutti i suoi ricordi stavano crollando, fragili come un
castello di carte. Voltate le spalle a quel luogo ebbe la
consapevolezza che
nulla sarebbe stato più come prima.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Scusate il ritardo ma,
pensando(erroneamente)di riuscire a
postare questo fine settimana, alla fine ho avuto la
possibilità solo adesso di
aggiornare.
Vi chiedo scusa anche per eventuali
ripetizioni nel testo o
per la sua troppa rapidità.(a proposito, soprattutto i
discorsi, sono chiari? E
poi, la lettera di Caius, si legge?)
Ditemi cosa ne pensate di quello che
ho scritto, in
particolare, che dite della figura e del ruolo di
Caius?(perché pensate che,
parlando di Aro, usi tutti quei volgari nomignoli?)
Grazie davvero a tutti, lettori
silenziosi e
“commentatori”(ai quali rispondo ora)
Ayumi_L:
ciao!
Ancora una volta hai uno spazio a fine pagina tutto per te! Grazie del
commento(anche
se, con te sembro partire in svantaggio visto che ti aspettavi
la morte di Didyme… J ) che ne pensi di
questo capitolo? Come avrai notato Aro è più
subdolo, più malvagio di ciò che
avevi ipotizzato, non entra in gioco uno sconosciuto bensì
(anche se qui è solo
un’ipotesi lascio chiaramente capire le intenzioni di Aro)
presto infatti
attribuirà la colpa dell’omicidio di
Didyme,direttamente ad Erice. Allora,
quanto sono machiavellica?
Luce70:
ciao
Lux!(scusa sto sentendo l’influenza del latino, ultimamente!)
grazie mille per
il commento che mi hai lasciato e, bhè hai tutto il diritto
di avercela con me
per la morte di Didyme(è abbastanza crudo ed ingiusto ma in
qualche modo mi
dovevo ricollegare a ciò che diceva la Meyer,
ossia che, prima dell’inizio della saga di Twilight,
Didyme è già morta…)devo confessare
che dispiace anche a me, e da quanto hai
letto in questo capitolo, non solo ho di nuovo dovuto dividere Erice e
Santiago, ma ora penserai che Aro riesce a farla franca…
Spero di riuscire ad aggiornare presto
Un baciotto
Marty23
|
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Capitolo 23 *** caccia e fuga ***
Capitolo XV
Caccia e fuga
Caius Volturi si passò la
larga manica della tunica scura-
da festa- che indossava, sulle labbra, per pulirle dal sangue che le
aveva
imbrattate dopo l’abituale pasto pomeridiano che si consumava
sempre, durante
Sa Marco.
Prima di alzarsi dal trono dove
sedeva, gettò uno sguardo
sui suoi compagni del Consiglio e, dopo aver constatato- non senza
pietà e
sdegno- che Marcus se ne stava tristemente ripiegato su se stesso, ed
era
l’unico a non essersi nutrito, un fugace pensiero gli
attraversò la mente;
sentì anche, tuttavia, l’impellente bisogno di
allontanarsi il più possibile da
Aro mentre ragionava.
Ora che dava le spalle al Salone
Principale, ed il suo
pallido viso si rifletteva nel vetro della finestra che dava su Piazza
dei
Priori, si arrischiò a lasciarsi sfuggire un sorriso che,
però, non aveva nulla
di rassicurante: quel giorno il tramonto era più rosso che
mai, molto sangue
era stato versato ma, fortunatamente, non lo era stato quello della
figlia di
Didyme che- Caius aveva ragione di credere- ormai doveva essere
lontana, al
sicuro. Si era infatti allontanata, nel primo pomeriggio sulle spalle
della
solerte Evangeline, ed ora sicuramente era più distante del
punto in cui i suoi
occhi cremisi potevano posarsi, su quelle colline; ed ovviamente, ogni
cosa,
era stata ideata da lui. Erice avrebbe sempre ricordato quel suo gesto,
quella
fuga che le aveva permesso di mettersi in salvo dall’ira di
Aro; come il
secondo debito di Caius saldato, nei suoi confronti. Ma ciò
che quell’umana non
avrebbe mai sospettato, era che il
sadico compagno di Anthenodora, nascondesse un secondo
fine, in quel suo modo di agire: agognava infatti, -
assetato com’era di potere- di avere la
possibilità di sostituire Aro. Quindi,
una volta che Erice si fosse fortificata abbastanza a livello morale,
da fare
della vendetta per la morte di sua madre il proprio scopo di vita;
sarebbe di
certo tornata per uccidere il fratello di Didyme. Perciò,
quando il bastardo fosse stato
eliminato, Caius e
la sua compagna avrebbero potuto prendere il suo posto e regnare
incontrastati
su Volterra, dominare e dettar legge su qualsiasi vampiro al mondo.
A quella fantasia, il ghigno si
allargò ancora di più.
D’un tratto, tuttavia, con
la coda dell’occhio notò che Aro
si era alzato dal proprio trono e stava sussurrando qualcosa ad Alec e
Jane…di
certo stava ordinando loro di andare a prendere Erice nella sua stanza-
che lui
stesso si era curato di chiudere a chiave- per portarla lì e
giustiziarla
davanti agli occhi del padre.
“dannazione!- si
ritrovò a pensare il vampiro biondo, con
una voglia incontrollabile di ringhiare- credevo che avrei avuto
più tempo! Se
si scopre ora che Erice non c’è, le sue ricerche
inizieranno questa sera
stessa!”
Infatti, così fu. In pochi
secondi i due “gemelli stregati”
lasciarono il Salone Principale e vi fecero ritorno, senza
la ragazza. Data quindi la notizia ad Aro, - mentre lui
tratteneva a stento un ringhio frustrato e rabbioso; spaventati, per
sottrarsi
alla sua ira- fu loro compito ordinare di diramare un qualsiasi allarme
inventato, abbastanza credibile da allontanare tutti gli umani.
Dunque, una volta chiuse le porte
della città, Volterra
divenne una fortezza inaccessibile in cui presto si sarebbe diffuso un
messaggio di morte.
Quando l’intera Guardia si
radunò in Piazza dei Priori, il
capo del clan fu il primo- seguito da Caius e Marcus(in stato
vegetativo)- a
dirigersi sul grande balcone che si affacciava sulla piazza e, ottenuta
l’attenzione dell’uditorio, sorpresa da
quell’avvenimento tanto inusuale,
annunciò:
- miei fedeli compagni che da sempre
siete al nostro fianco
e ci proteggete, mi addolora grandemente darvi questa
notizia…ne avevo da
sempre il sospetto, ma pochi di voi hanno voluto darmi ascolto- allora
il suo
sguardo acuto si posò con un sorriso compiaciuto verso il
basso, sui
“fantastici quattro”- ed ora che, da poco ne ho la
certezza, spero sarete in
molti altri a seguirmi. Tra di noi, nel nostro giardino ameno,
c’è un serpente,
un traditore!- immediatamente,
al suono di quelle parole, tutti i componenti della Guardia si
irrigidirono, e
si scrutarono l’un l’altro, indagatori.
- Non riuscite ad immaginare chi sia?
Non vi siete chiesti
come mai, da qualche giorno, la nostra dolce Didyme sia sparita? Ve lo
dirò
io…Erice l’ha uccisa!- dal nulla, il vampiro, che
aveva continuato il suo
discorso, fece apparire tra le proprie mani bianche, il pugnale a lama
doppia
che Anthenodora aveva regalato all’umana figlia di Marcus.
Solo quando tutti lo videro e dalla
folla si levarono dei
ringhi, miste a delle esclamazioni di sorpresa, Aro si
arrischiò a far
indugiare il proprio sguardo cremisi su Marcus, che era impietrito; e
su
Santiago che, tanto era evidente il dolore che provava -quasi gli fosse
stato
appena strappato il cuore- che sembrava perso ed a malapena si
mimetizzava tra
i mantelli scuri attorno a lui.
-
la bastarda
umana
ci ha portato via Didyme, ed è sparita. Ho mandato a
cercarla in tutto il
Palazzo ma non si trova. Crede forse che, con una fuga,
potrà affermare la sua
superiorità su di noi? Dovete promettermi che la troverete:
dobbiamo fargliela
pagare! Non appena calerà il sole, potrete iniziare le
ricerche, o meglio, la
caccia.- promise Aro, solennemente, pronunciando
quell’arringa come un vero
oratore, tanto che, dalla folla sottostante si levarono osservazioni di
apprezzamento mentre già Alec, Jane, Felix e Demetri
organizzavano in piccoli
gruppi quei vampiri che sarebbero partiti per la “caccia
all’umana”.
Santiago rimaneva impalato al suo
posto, immobile come una
pietra quando la corrente implacabile di un fiume gli passa accanto,
senza
smuoverla; sembrava incapace di fare qualsiasi altra cosa che non fosse
nascondersi dietro i suoi stessi ricci e pensare e ripensare,
all’infinito a
tutte le azioni e della sua amata, in quegli ultimi tempi, nel vano
tentativo
di capire se fosse stata degna di
essere considerata un’assassina. Marcus, invece, riscosso da
quelle parole,
riemerse dal suo stato di apatia vegetativa e, avvicinatosi ad Aro, gli
domandò:
-
fratello, ti
prego, dimmi…se anche fosse vero che mia
figlia ha ucciso…sua madre, perché, per il
feretro di Didyme, non hai
organizzato ricerche tanto repentine quanto queste, per Erice?- sul suo
viso di
creta bianca, improvvisamente vecchio di mille anni, apparvero
chiarissime le
emozioni di Marcus, tutta la confusione ed il dolore che provava.; era
la prima
volta- notò, come anche se ne accorsero Caius ed Aro- che
aveva la forza di parlare di feretro, riferendosi alla sua compagna
scomparsa.
Aro lo squadrò per un
interminabile attimo, muto; - l’unico
flebile rumore proveniva dalla piazza dove il corpo di guardia si stava
coordinando- la posa rigida del capo clan lasciava presagire che presto
o tardi
lo avrebbe divorato… “se anche fosse
vero” ma come osava? Non credeva quindi,
alle sue parole? Bene…presto- giurò Aro a se
stesso- avrebbe messo anche Marcus
al proprio posto…
Poi, inaspettato, un sorriso
piegò le sue labbra femminee,
ma era un sorriso freddo e falso almeno quanto l’accusa che
aveva mosso contro
Erice. Allora passò un braccio attorno alle spalle di Marcus
e, con una
suadente promessa di spiegazioni, lo ricondusse dentro mentre, senza
farsi
vedere, lanciava un’eloquente occhiata a Caius, che appariva
come un ordine.
Il vampiro biondo ebbe i brividi ma
fu costretto ad
eseguire, per non destare sospetti così, tirato il cappuccio
della veste che
indossava, sugli occhi, in breve si ritrovò in Piazza dei
Priori a parlare con
Chelsea, che era stata convocata al cospetto degli Anziani.
La compagna di Afton, seppur confusa
trovandosi davanti il
compagno di Anthenodora, dopo aver ascoltato le sue parole, non ebbe
altra
scelta se non quella di abbandonare il progetto di partire, per
obbedire
all’ordine di convocazione; quindi, lo seguì e,
nonostante non volesse
coinvolgerlo, fu costretta a trascinarsi dietro anche il compagno, che
non
voleva lasciarla andare sola.
Allora, mentre Volterra si riapriva
al mondo per una caccia
spietata ed inesorabile come la morte; le porte del Salone Principale
venivano
sigillate poiché, ciò che sarebbe avvenuto
lì, non avrebbe dovuto oltrepassare
quella stessa soglia.
Nel momento in cui Caius
tornò, seguito da Afton e Chelsea,
Marcus continuava a fare domande, rannicchiato ai piedi di Aro,
avvinghiato
alle sue ginocchia come un supplice. Persino il compagno di Anthenodora
ebbe un
moto di pena osservando quella scena, e le condizioni in cui si era
ridotto il
compagno di Didyme.
-
Aro, fratello,
perché non mi spieghi?- domandò ancora
una volta il vampiro moro.
-
Marcus, fratello,
non temere: ti farò smettere di
soffrire…- gli promise Aro, sempre sorridente mentre gli
accarezzava la testa,
come fosse stato un bambino.
Fu allora che, con
un’occhiata dura e fredda come il
ghiaccio, sibilò, in direzione di Chelsea che, senza avere
la possibilità di
opporsi a quanto doveva fare, o chiedere spiegazioni sul
perché avesse dovuto
agire così, fu costretta a toccare Marcus sulla nuca ed a cancellare così, tutti i suoi legami
con Erice e Didyme.
L’addolorato vampiro
tremò mentre si accasciava sempre di
più a terra, senza poter quindi capire da dove provenisse
quella forza che lo
stava prosciugando
dall’interno e che
lo lasciò vuoto, come un guscio d’ostrica.
Si rialzò e prese posto
sul suo trono, guardò, inebetito e
spaesato i visi che popolavano quella stanza: Afton appariva sconvolto;
Chelsea,
basita si copriva le labbra con una mano; gli occhi di Aro, invece, non
avevano
mai brillato di una così felice
crudeltà…persino Caius aveva qualcosa
che non andava; di solito aveva
un modo di fare beffardo e duro, ma ora il suo sguardo perennemente
adirato
sembrava offuscato…dalla
paura?
Marcus non seppe mai rispondere a
quel suo dubbio, perché
non chiese delucidazioni: non aveva la forza di parlare…si
sentiva piatto e senza nessun altro
scopo
all’infuori di uno, lo sconosciuto vincolo che appariva
indissolubile, che lo
obbligava a restare nel clan, magari in attesa di una qualsiasi
spiegazione di
Aro.
Era notte, ormai. Solo Santiago,
Chelsea, Afton e Corin
erano rimasti a Volterra. Caius era di nuovo in piedi davanti alla
finestra che
dava su Piazza dei Priori: lo infastidiva guardare Marcus che se ne
stava
immobile come una statua sul suo trono, lo faceva sentire impotente.
D’un tratto la sua vista
arguta riconobbe una sagoma che,
entrata da Porta all’Arco, si avvicinava veloce alla piazza
principale della
città. Un gemito di sorpresa lo tradì, infatti
Aro, insospettito da quella sua
insolita reazione, gli fu accanto in un batter d’occhio,
così da scrutare anche
lui ciò che il fratello vedeva.
Non disse nulla ma, dopo
un’amichevole pacca sulla spalla di
Caius –come per ringraziarlo di
quell’“avvistamento”- scomparve e, un
secondo
più tardi, fu nella strada sottostante. Paratosi davanti
alla misteriosa
sconosciuta gli strappò di dosso il mantello e le vesti, con
una veemenza ed
una rabbia tali da attirare l’attenzione dei vampiri presenti
e farla
circondare da questi, dopo che era rimasta a terra ed era stata
lasciata nuda.
-
e
così…sei tu, Evangeline.- fece Aro, osservandola.
Camminava avanti e indietro con atteggiamento teso ma diplomatico,
tuttavia, il
suo tono di voce era tanto alto e tagliente da poter giungere fino al
Salone
Principale, ancora sigillato.
-
Aspettavate forse
qualcun altro, mio signore?- chiese
lei, spaventata, mentre cercava di arretrare facendo leva sulle mani.
-
Ma certo che
aspettavo qualcun altro…tu però dovresti
saperlo dal momento che il suo odore, è forte su di te
più di quanto non lo sia
su qualsiasi altro vampiro della Guardia. E, poiché nessuno
ti vede a Volterra,
da questa mattina, ho ragione di credere che tu l’abbia
aiutata a scappare!-
gli occhi del vampiro mandavano lampi, sembrava un demone, illuminato
com’era
dalla luce della luna: era chiaro che ormai aveva intuito tutto. Fece
per
toccarla- lento, in modo da prolungare l’agonia della povera
serva- così che
avrebbe potuto sapere ogni cosa che la riguardasse e lei, intuendo che
una
tremenda condanna le era piombata sulle spalle, che ormai la fine era
giunta;
ebbe solo il tempo di incontrare lo sguardo di Caius, che la fissava
dall’alto,
e quindi leggere le sue labbra sottili, mentre scandiva
“proteggi con le
emozioni i tuoi pensieri e i ricordi”.
Perciò, l’ultima
cosa che vide fu il possente Santiago che
sussultava, forse combattuto tra il desiderio di chiederle qualcosa su
Erice, e
la necessità di compiere il suo dovere; poi, chiuse gli
occhi e si lasciò
pervadere dal profondo affetto che nutriva per quella piccola umana,
nella
speranza che sarebbe riuscita a portare con sé nella tomba
il segreto di dove
fosse nascosta la ragazza e dell’implicazione di Caius in
tutta la faccenda…
Aro ringhiò, e con un suo
semplice gesto l’ordine venne
eseguito…
Caius distolse lo sguardo dalla
finestra, di scatto,
nauseato.
Il rogo dall’odore
dolciastro che, nel centro di Piazza dei
Priori, custodiva geloso le pure membra di Evangeline, levava alto le
sue
fiamme rossastre, fino al cielo, rischiarando la notte.
Il compagno di Anthenodora
sperò che Erice fosse abbastanza
lontana da non riuscire a vederlo, altrimenti, altro dolore si sarebbe
aggiunto
a quello che già aveva sopportato e, non era sicuro che il
suo fragile cuore
umano avrebbe retto.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Scusate il ritardo, ho cercato di
fare il prima possibile a
postare questo nuovo capitolo( la prima parte, almeno, delle tre o
forse due
che andranno a costituire il 15 capitolo.
Io lo so che adesso vorrete venirmi a
prendere sotto casa e
picchiarmi ma…ho cercato il più possibile di
immedesimarmi(dal momento che
questo post riguarda in maniera assoluta i Volturi)
nell’indole di Caius- che
spero di aver reso abbastanza opportunista, come la sensazione che ho
provato
quando ho letto come ne parlava la Meyer- di Aro che,
vabbè lo sappiamo che non è esattamente uno
stinco di santo- per come ha agito
pur di avere la sicurezza di tenere Marcus con sé nel clan-
e di Marcus- il
fatto Aro abbia fatto cancellare da Chelsea i suoi legami affettivi
facendo di
lui un apatico, lo rende abbastanza fedele alla descrizione della Meyer?
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un baciotto
Marty23
Ps ora ringrazio i
“commentatori”.
Luce70:
luce
bella, se ben ricordi non avevo fatto promesse su chi altro doveva
morire, ma
ti prego non mi uccidere perché, oltre ad aver ucciso Didyme
e diviso i
piccioncini ho fatto fare una brutta fine anche ad Evangeline.
È tutta colpa di
Aro, non mia!
Ilovejackson_rathborn:
benvenuta(lo deduco dal nik)tra i commetatori e grazie per i
complimenti! Spero
che il nuovo post non sia risultato troppo crudo.
Ayumi_L:
grazie mille per il tuo commento, eccoti uno spazio a fine pagina
tutto per te! Mi dispiace che, nel post precedente la lettera di Caius
si sia
letta a caratteri cubitali e non con il carattere che le avevo dato
io(hai
presente il carattere miniato che usavano i monaci? È una
cosa simile…)vedo che
Caius ha sorpreso anche te assieme alle altre: che ne pensi della sua
caratterizzazione?
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Capitolo 24 *** caccia e fuga (parte 2) ***
Capitolo XV
Parte 2
Il treno avanzava alla massima
velocità e, agile come una
freccia si faceva largo tra ciò che rimaneva delle verdi
colline toscane; c’era
però, chi, in quel rassicurante fattore, non riusciva a
trarre vantaggio: ad
Erice, infatti, sembrava che tutto scorresse troppo
lentamente.
Lo scompartimento nel quale
viaggiava, era molto
affollato(particolare al quale aveva dato molto rilievo, a seguito del consiglio ricevuto poco prima) e, se
avesse iniziato a camminare freneticamente avanti e indietro, ad urlare
o a
dondolarsi ossessivamente, con le gambe raccolte al petto- come sentiva
di dover fare, dal momento che il
cuore le
pulsava follemente, il sangue le fluiva alle orecchie con un gran
fracasso ed
aveva la sensazione di essere terribilmente impotente- avrebbe senza
dubbio
attirato l’attenzione di tutti i presenti…
Decise quindi di rannicchiarsi sul
sedile e fingersi
addormentata agli occhi di quegli ignari umani, nella speranza che, con
l’avvento del buio, avrebbe potuto, almeno un minimo,
riordinare le idee e
riacquistare quella fredda lucidità che da sempre le era
stato insegnato a
mantenere e che, adesso tuttavia, a poche ore dalla sua fuga da
Volterra,
sembrava perduta per sempre.
Il buio giunse immediato non appena
le palpebre si toccarono
e, subito, l’etereo viso di Evangeline fece capolino dinnanzi
ai suoi occhi.
Quello stesso pomeriggio la vampira l’aveva fatta scendere
dalla propria
schiena e, con le fredde mani posate sulle sue spalle, si era
raccomandata:
-
piccola mia, non
so cosa stia succedendo…Caius mi ha
informata poco, ed è meglio così
perché, se Aro dovesse toccarmi, non ti
esporrei; posso però, immaginare in cosa tu sia rimasta
coinvolta e voglio
avvisarti, poiché presto sarai in pericolo: i
morti cavalcano in furia, e non si fermeranno
finchè non ti avranno trovata
e riportata a Volterra per giustiziarti, secondo gli ordini di Aro.
Anche se
questo vantaggio potrà sembrarti nullo, dinnanzi ad una
schiera di vampiri
infuriati e sguinzagliati solo contro di te, sappi che la Guardia
ha un grande
limite: può viaggiare solo di notte. Nessun vampiro,
infatti, si esporrebbe mai
alla luce del sole, specie se in presenza di molti umani. Sfrutta,
quindi,
questo particolare e qualche mio consiglio: spostati spesso, non
rimanere in
una città per più di una settimana; viaggia
prevalentemente di notte, così che
il tuo odore possa confondere i segugi che ti si scaglieranno addosso,
ma di
giorno, impara a diventare invisibile ed a confonderti nella massa,
lascia che
essa ti protegga; cambia anche spesso abito, modo di fare,
atteggiamento…così,
la tua essenza non si depositerà su un unico capo; fa che
nessuno ti riconosca.
Mi dispiace, dolce Erice, ma sono costretta a lasciarti qui(sempre a
causa del
potere di Aro e del rischio che correresti se sapesse dove sei).
D’ora in
avanti dovrai cavartela da sola. Ti voglio bene, piccola. Buona
fortuna!-
nonostante avesse cercato di apparire tranquilla, la nutrice vampira
della
ragazza, non l’aveva mai guardata negli occhi mentre parlava
e, dal suo modo di
fare appariva chiaro che era turbata, addolorata; che era consapevole
di un
unico “problema” che avrebbe sempre
impedito all’umana di salvarsi la vita:
l’abilità di Demetri. E la ragazza era
stata toccata da lui poco prima di diventare un membro dei
Volturi…come sarebbe
potuta sfuggirgli? Evangeline allora, accecata da quella paura, si
dileguò
all’orizzonte, rapida come una gazzella, portando con
sé il mantello cremisi di
Erice, al fine di spargere il suo odore su più piste, per
creare più tracciati
che avrebbero confuso i Volturi.
Terrorizzata da ciò che
quel ricordo aveva suscitato in lei,
Erice versò qualche invisibile lacrima. Come avrebbe potuto
superare, da sola,
un’impresa tanto titanica? Si sentì già
sconfitta, dal momento che iniziava
quell’epica fuga senza speranza, già svantaggiata:
lei era solo una fragile
umana, i suoi inseguitori, invece, agili, velocissimi, spietati
vampiri…
Dinnanzi a lei si prospettava,
infinito, l’ignoto. Una morsa
implacabile le congelò lo stomaco: per la prima volta nella
sua vita, aveva veramente paura.
Non sapeva se sarebbe
riuscita a vincere quella forza soffocante e terrificante che
minacciava
d’inghiottirla, di farle dimenticare il proprio essere in quella battaglia per una
verità che era stata negata e
seppellita come non contasse nulla. Sentì improvvisamente la
mancanza di ciò
che le era stato caro, per quanto ora, per lei, rappresentasse un non
trascurabile pericolo; e si rammaricò di aver abbandonato
tutto ciò che
conosceva nella speranza che i Volturi si sarebbero presto dimenticati
della
falsa colpa con la quale l’avevano tacciata, e magari in
futuro, sarebbe stata
riconosciuta innocente.
Il suo pensiero corse a Santiago, il
suo protettivo amato,
la sua ancora di salvezza, che molte volte aveva giurato di proteggerla
da
chiunque rappresentasse una minaccia…chissà
quanto soffriva in quel momento,
dilaniato tra l’amore che provava per lei, e
l’imposizione- da parte del
sistema tirannico che sicuramente si era affermato a Volterra- di
accettare che
la sua amata umana, altro non fosse che
un’assassina…
Le venne da piangere mentre rievocava
con la mente tutti gli
attimi che avevano trascorso insieme e si augurò, pregò
un’entità in cui non credeva, che il suo dolce
compagno non
cedesse alla menzogna che Aro stava tentando di inculcargli. Poi,
all’improvviso, come un lampo che- seppur breve- rischiara a
giorno anche la
tempesta più nera; un altro ricordo piombò nella
mente di Erice, imponente come
una montagna: la prima ed unica volta in cui era stata toccata da
Demetri non stava
forse pensando a Santiago? E, subito dopo, non si era forse augurata
che
potesse rintracciarla solo se lei
avesse rivolto i propri pensieri al suo amato? Quindi…se i
suoi ragionamenti
erano esatti, pensare a Santiago equivaleva lanciare una fune diretta a quel temibile segugio, per far
sì che la trovasse; perciò, se non
avesse pensato al suo amato- per quanto impensabile fosse quel
proposito- si
sarebbe mutata, agli occhi di Demetri, in un’anonima ombra,
confusa nel mare di
altre ombre che altro non erano che la costante moltitudine che
l’avrebbe
sempre protetta.
Aggrappata a quel flebile barlume di
speranza, che tenne
vicinissimo al cuore, Erice si concesse di lasciarsi invadere dal
ricordo del
padre che, come un’ingrata, aveva abbandonato in un covo di
serpi bugiarde:
ritrovata un po’ della propria determinazione,
giurò, quindi, a se stessa, che
gli avrebbe mostrato la verità, che avrebbe fatto
sì che Didyme ottenesse
giustizia.
Forte di quei propositi che le
circolavano tutt’a un tratto
nel corpo come linfa vitale, vivificandola; la ragazza si
sentì abbastanza
pronta per aprire gli occhi, per esaminare discretamente ogni singolo
volto che
popolava quel vagone e, accantonata l’idea che, a causa della
sua presenza lì,
quegli umani potevano trovarsi in pericolo, iniziò a
studiarli, per capire se
costituissero un pericolo per lei.
In quel divertente modo- dal momento
che riuscì a distrarla
dalle sue opprimenti preoccupazioni, le lunghe ore di viaggio
trascorsero come
fossero state una manciata di minuti.
Erice non aveva idea di come si
chiamasse la città in cui si
trovava così, per alleviare la sua ignoranza decise che era
ora di seguire il
consiglio della sua nutrice e, ringraziando l’ingente somma
di denaro che
Evangeline le aveva lasciato, si diresse in quello che le fu indicato
come il
più grande centro commerciale di quel luogo. Una volta
lì, due gentili commesse
col sorriso da barbie, la seguirono in ogni suo acquisto; tuttavia,
dopo averle
messo tra le mani una gran quantità di vestiti, scarpe,
borse- oltre a diverse
varietà come un set da manicure e delle parrucche- la
cortesia delle due donne
sfumò in sospetto. Perciò, affinchè
non le chiedessero documenti- dal momento
che non ne aveva e mai ne aveva avuti- la ragazza fu costretta ad
uscire dal centro
commerciale, mentre stentava a mantenere la calma.
Riuscì a tranquillizzarsi
solo quando trovò rifugio in
un’anonima toilette di
una stazione di
treni. Lì, con la porta chiusa a chiave, indossò
un paio di jeans larghissimi,
ed una felpa più grande di una taglia- perché
nessuno potesse distinguere chi
fosse- poi, si coprì bene con uno spesso piumino ed infine,
dopo essersi legata
i ricci castani in un’unica treccia, a seguito di un attimo
di esitazione,
senza guardarsi nello lurido specchio dinnanzi a lei, si
tagliò i capelli,
all’altezza dell’orecchio.
Evitò anche di guardarsi
attorno, quasi avesse avuto paura
del gesto che aveva appena compiuto, poi si coprì la testa
con un berretto
scuro e, singhiozzando commossa, raccolse da terra la sua treccia e
tutti
quelli che erano stati i suoi vestiti; per nasconderli in una delle
borse
appena acquistate, con la sola intenzione di bruciare tutto
ciò che le era
appartenuto, per non lasciare prove, o tracce di qualsiasi tipo.
Era notte inoltrata, ormai. Erice
camminava lenta in quella
che sembrava la buia, degradata ma tranquilla periferia della
sconosciuta città
che aveva accettato di nasconderla; mentre cercava di apparire
disinvolta
sebbene, sotto il suo piumino blu, tremasse di paura ed i muscoli
fossero tesi,
all’erta, quasi aspettandosi che da un momento
all’altro di veder comparire da
qualche angolo una figura dalla pelle di gesso ed un manto con
cappuccio
grigio.
Respirò piano,
profondamente e si ripeteva sottovoce che non
era altro che un’ombra invisibile che avanzava
nell’oscurità, rischiarata di
tanto in tanto da caldi fuochi.
Cosa? Fuochi? Erice
sobbalzò, leggermente sorpresa quando,
con la coda dell’occhio, riconobbe il guizzo di una fiamma.
Si avvicinò al
centro di una delle tante strade che stava attraversando, silenziosa, e
comprese che in un’infinità di grigi bidoni, posti
esattamente al centro di
quelle strane vie ghiaiose, ardevano invitanti fuocherelli attorno ai
quali
erano riunite più persone, ignote ma dignitose che, di tanto
in tanto scambiavano
tra loro battute che miravano ad alleviare la solitudine che sentivano
dentro
di sé.
A quella vista, la ragazza ebbe la
sensazione che un masso
imponente come una montagna le si gettasse addosso, togliendole tutta
l’aria
dai polmoni e facendole diventare le ginocchia molli, tanto che le
sembrava non
potessero più sostenere il peso del proprio corpo.
Era passato solo un giorno da quando
si era allontanata da
Volterra, eppure sentiva, acuta e
soffocante come un rovo di spine che le si era incastrato in gola, la
mancanza
di ogni singolo vampiro che avesse significato qualcosa nella vita che
aveva
trascorso in quella splendida città-fortezza dalle spesse
mura d’opale.
Si rese conto che allora, era la solitudine ciò che la
spaventava di più. Quanto avrebbe voluto,
anche lei, avere qualcuno con cui condividere tutto ciò che
le passava per la
mente, soprattutto in quel momento!
Quatta come un gatto- dal momento che
aveva già deciso- fece
quindi per avvicinarsi a quel gruppo scanzonato di uomini che ora
avevano iniziato
a cantare; sperava infatti che, magari, la vicinanza ad un altro essere
umano,
un qualsiasi semplice sorriso, anche se avvolto dal silenzio, avrebbe
potuto
farle dimenticare le paure che provava, la maschera di ghiaccio che
aveva
indossato nel periodo immediatamente successivo all’omicidio
di Didyme e che
ora, minacciava di tornare a soffocarla, all’improvviso
però…
-
brutta troia!
Mi hai chiesto quei dannati documenti ed io te li ho portati, ma tu, tu
che
fai? Te ne sbatti altamente di tutti i miei sforzi e fingi di dimenticarti della promessa di compenso
che mi hai fatto? Chi pensi che sia, bella? La Fata
Turchina? Devi pagarmi, e subito!-
dalla buia quiete crepitante di
fiammelle tuonò una voce dura ed astiosa a rompere quella
sorta di religioso
silenzio, e d’un tratto tutti si zittirono, voltando i visi
barbuti in
direzione di quell’urlo minaccioso.
-
Non ho soldi con
me, te lo giuro! Il cliente di
stanotte non mi ha voluta pagare…- sussurrò,
implorante, una voce femminile.
Poi si udì lo schiocco
secco di uno schiaffo e,
immediatamente dopo, da uno degli stretti vicoli poco illuminati- non
molto
distante da dove si trovava Erice - comparve, o meglio cadde malamente
a terra,
una donna che sembrava pesantemente truccata ed i cui abiti ne
coprivano appena
le parti intime. Balzò quasi subito a sedere, singhiozzando
e respirando a
fatica mentre indietreggiava spaventata, facendo leva sulle mani.
Erice, che
non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, capì subito che
stava fuggendo da qualcuno;
sentendo quindi, montare
dentro di sé l’impellente necessità di
accorrere in suo aiuto, poiché le era
parso di vedere, nella scintilla di terrore dei suoi occhi, una parte
di sé,
fece per guardarsi attorno, nella speranza di poter fare affidamento su
qualcuno di quei barboni che fino ad un secondo prima aveva cantato a
squarciagola. Li squadrò in viso uno per uno. Nulla, tutti
avevano i visi bassi
e mangiavano ciò che erano riusciti a racimolare, muti come
conigli.
“bel coraggio avete-
pensò l’ex membro dei Volturi- a cantare
e, un attimo dopo, appena le cose si mettono male, ad
ammutolirvi”
Quindi, seccata ed adirata- anche se
consapevole che forse
non avrebbe dovuto immischiarsi- strinse forte al petto la borsa che
ancora
aveva con sé, piena dei suoi vecchi vestiti e, a passo di
marcia si diresse
verso il vicolo da dove era sbucata la donna.
Lo spettacolo che le si
parò davanti agli occhi era
inquietante: la prostituta era a terra, ansimante, e distoglieva,
spaventata,
lo sguardo dall’imponente figura che troneggiava su di lei;
un uomo calvo
completamente vestito di nero, che aveva iniziato a prenderla a calci
nel
ventre.
Non appena quello si rese conto che
Erice era vicina ed
osservava sconvolta la scena, si avventò su di lei,
spingendola contro il muro
e stringendo il suo piccolo collo tra le mani:
-
non lo sai che ti
devi fare i cazzi tuoi, ragazzino?-
la minacciò, mentre la osservava agonizzare.
Erice probabilmente avrebbe riso
all’idea che il consiglio
di Evangeline era stato tanto efficace da far sì che la si
potesse scambiare
per un ragazzo, ma quello non le sembrava il momento più
adatto, poiché le si
stava appannando la vista mentre fissava quell’ammasso di
muscoli dagli abiti
neri che stava per condannarla a morte…le mancava
l’aria, e le forze stavano
scivolarle via dal corpo…che senso aveva più,
lottare?
All’improvviso
però, una rabbia urticante ed indescrivibile
prese a scorrerle come fuoco nelle vene, le labbra le bruciavano tanto
che
aveva voglia di urlare…non era certo arrivata fin
lì- sfuggendo quasi per
miracolo a dei vampiri folli- per lasciare che un fragile essere umano
le
facesse del male! Non lei, che era riuscita ad uccidere tre licantropi
grazie
all’addestramento ricevuto dalla sua famiglia!
Senza rifletterci troppo, quindi,
animata da quei pensieri,
da quei ricordi, serrò la mano a pugno ed assestò
un colpo nella mascella del
suo aggressore, -con tanta violenza da farlo cadere a terra- per poi
lasciare
che la soddisfazione mista a zaffate d’aria fresca, la
invadessero mentre la
donna che fino ad un attimo prima era stata aggredita, e
l’uomo stesso,
osservavano la sua figura che si stagliava nel buio.
-
quanti soldi ti
deve, questa donna?- domandò allora
Erice, con un atteggiamento di superiorità ed
un’aria astiosa, forte del fatto
che l’oscurità la proteggeva.
-
Mille…-
mimò dopo un po’ l’uomo, con le labbra,
visto
che- poiché sulle prime non voleva rispondere, la
sconosciuta che lo aveva
colpito si era avvicinata e gli aveva posato un piede sulla gola, che
gli
impediva di parlare bene.
-
Ti faccio
un’offerta: pago io i documenti di cui hai
parlato, ma dovrai darli a me.
Inoltre…- propose, siccome ormai aveva capito che quel losco
figuro faceva
documenti falsi e, anche se era consapevole che quello che lei stava
facendo
non poteva definirsi legale; almeno avrebbe soddisfatto la sua
necessità di
possedere dei documenti di cui fare uso se glieli avessero chiesti.
-
Ehi! Ma come ti
permetti? Chi cazzo ti credi di
essere?- la interruppe la prostituta, che si era rialzata da terra e la
fissava
con gli occhi ridotti a fessure, come se le stesse rubando qualcosa.
Erice, allora, si girò
verso la donna, seccata di esser
stata interrotta e la fulminò con lo sguardo, tanto che
quella fece qualche
passo indietro, intimorita.
-
sono quella che ti
sta salvando la vita- replicò, acida,
mentre le tirava la borsa che aveva sempre avuto con sé e
dalla quale si era
curata di togliere la sua treccia bruna, nascondendosela addosso.
– perciò
adesso sparisci e usa quello che c’è lì
dentro per rifarti una vita.-
la prostituta non se lo fece ripetere
due volte e, dopo
essersi quasi inchinata al cospetto della sconosciuta, per prendere la
sua
sacca colorata, svanì nella notte dalla quale era apparsa.
-
dicevamo, caro
sconosciuto? Ah, sì! Pagherò io quei
documenti anche se, immagino, dovrai cambiarne la foto, dal momento che
ora
sono miei…inoltre, ho
bisogno di
un’altra carta d’identità a nome
“Esther Prinne”. Credi di potermela
procurare?- questa volta parlò con falsa gentilezza,
aumentando volutamente la pressione
del piede sulla
gola dell’uomo.
D’un tratto, dopo aver
ringraziato il fatto che da ragazzina
era stata costretta a leggere “la lettera
scarlatta”- poiché la protagonista di
quel libro le aveva dato un grande aiuto per scegliere quello che
sarebbe stato
il suo nome falso, ora- avvertì che un’ondata di
disprezzo verso se stessa, la
invadeva: prima, infatti, quando si trovava tra i Volturi, nonostante
qualche
essere umano avesse potuto suscitarle odio a prima vista, non si
sarebbe mai comportata in quel
modo; non avrebbe
mai procurato volutamente dolore ad
un individuo!
Poteva quindi considerare vera la
colpa di cui era stata
tacciata da Aro? Era veramente un’assassina?
Impressionata, tolse immediatamente
il piede dalla carotide
dell’uomo vestito di nero ed indietreggiò di
qualche passo, terrorizzata da se
stessa.
-
non avrei mai
immaginato di incontrare una cliente in
questo modo!- ironizzò quello, mentre, rimessosi a sedere,
si massaggiava la
gola- comunque, sì: se li vuoi, i documenti di quella
sgualdrina sono tuoi. E
posso darteli anche ora, visto che le foto devi metterle da te. Per
l’altra
“commissione” che hai chiesto, dovrai aspettare due
giorni; la sera del secondo
giorno, vieni al locale “devil” e chiedi di Eric
Prothero…- le disse l’uomo; e
stava sicuramente per aggiungere quanto le sarebbe venuta a costare
quella
“commissione”, ma in quel momento Erice raggiunse
il limite della sua
sopportazione e, trattenendo a stento la nausea causata dallo squallore
che le
trasmetteva quell’uomo; lanciò verso di lui il
denaro, quindi, si sentì
autorizzata- siccome aveva ricevuto abbastanza informazioni- a svanire
tra le
braccia del buio, con il documento di quella prostituta ben stretto in
mano.
Due giorni. Due giorni. Due
giorni…
Da diverso tempo Erice si arrovellava
il cervello per capire
come sarebbe riuscita a far trascorrere ben due
interminabili, strazianti giorni. Se da un lato, infatti, era di vitale
importanza per lei, arrivare intera
al temine di quella lunga attesa, per ottenere i documenti che tanto
agognava
dal momento che- credeva- l’avrebbero resa ancora
più invisibile di quanto già
non stesse cercando di essere; da un altro lato, tuttavia, le sembrava
una
prospettiva quasi impossibile- quella di arrivarci viva,
ad un possibile terzo giorno- dal momento che, sicuramente,
le migliori Guardie dei Volturi erano già sulle sue
tracce…
Tremò di paura, a
quell’idea, anche se sapeva benissimo che il
suo nascondiglio era perfetto: quale vampiro dall’anima
dannata, infatti,
avrebbe mai osato entrare in una chiesa?
Solo la notte precedente Erice aveva
fatto il suo accordo
con Eric Prothero e, non riuscendo a darsi pace per via di quel
comportamento
che le appariva tanto estraneo, aveva deciso di trovare un posto
tranquillo
dove avrebbe potuto cercare di capire come poter mettere la propria
foto sul documento
della prostituta- la quale, aveva scelto come nome “Angela
Deportago”. Aveva
girato tutta la città, ma quella dormiva indisturbata e
quindi, aveva dovuto
rimboccarsi le maniche da sola…certo, era stato un problema
che l’aveva privata
di una notte di sonno, ma del quale alla fine era venuta a capo!
L’adrenalina
però, era presto scivolata via e, non appena aveva avvertito
le palpebre farsi
pesanti, aveva trovato un posto sicuro dove nascondersi. Una volta
entrata
nella chiesa principale della città, infatti, aveva atteso
che tutti andassero
via e che fosse chiusa, prima di iniziare a camminare avanti e indietro
nella
navata centrale per riordinare un po’ le idee.
Sorto il giorno successivo, un nuovo giorno, Erice s’era
sentita abbastanza forte da uscire e,
spronata dal fatto che la città era abbracciata da uno
strato di nebbia perenne
che avvolgeva cose e persone; si confuse facilmente tra la folla,
sentendosi al sicuro mentre
esplorava ogni angolo
di quel luogo ignoto; la notte seguente poi, tornò a dormire
nella chiesa ed il
secondo giorno, di conseguenza trascorse sfumato di novità
ma fondamentalmente
intriso di tranquillità. Quella sera, tuttavia, le tensioni
e le paure che
parevano svanite, tornarono a farsi sentire, lente ed insidiose: era
infatti giunto
il momento designato, ed lei avrebbe dovuto affrontare una situazione
strana,
nuova ma, soprattutto, venata di pericolo perché sembrava
appesa ad un filo…nei
due giorni trascorsi l’ansia dovuta all’attesa era
stata colpevole di averla
fatta dormire poco ed averla tenuta costantemente con i nervi a fior di
pelle,
tesa come una corda di violino; le poche ore che la separavano
dall’incontro
con il falsario però, rischiarono davvero di farglieli
saltare, i nervi.
Per ingannare il tempo Erice
approfittò della presenza dello
specchio a parete nella stanza dove aveva visto un prete vestirsi prima
di dire
la messa, e tentò di impiegare quanto più potesse
ad indossare un attillato
tubino di raso nero senza maniche che le arrivava a metà
coscia; ed a pettinare
il ribelle cespuglio in cui ormai si erano trasformati i suoi capelli,
per poi
nasconderli sotto una parrucca color pece.
La ragazza non ebbe
difficoltà a trovare il “devil”- dal
momento che, appena un giorno prima vi si era recata, con il solo fine
di avere
un’idea di come fosse strutturato e quali sarebbero potute
essere le vie di
fuga in caso di eventuale bisogno- perché le fosforescenti
luci verdi e blu che
lo illuminavano(dandogli un’aria psichedelica e futuristica),
si notavano
dall’inizio della strada. Tutta la tranquillità
che derivava dalla familiarità
di quel luogo svanì, e l’unico pensiero di Erice
divenne quello di poter fare
una figuraccia a causa dei vertiginosi tacchi a spillo sui quali stava
camminando.
La fila per entrare nel locale era
lunga ma, una volta lì si
scoprì ben disposta ad attendere, poiché per
ingannare il tempo ed allontanare
la tensione, si divertiva a studiare le persone che le erano vicine.
Non pochi
ragazzi che si trovavano tra quelle, infatti, la lasciarono passare
attirandosi
le ire delle ragazze che erano con loro oppure accompagnando la sua
camminata
con fischi d’apprezzamento. Se si fosse trovata in una
situazione più calma,
Erice ne avrebbe riso di certo; ma ora era così concentrata
sul suo obiettivo
da essere cieca a tutto ciò che la circondava.
Dinnanzi al buttafuori dalla stazza
ben piazzata,
all’entrata del “devil”, la ragazza ebbe
un attimo di esitazione ma poi, si
fece coraggio e, sottovoce, domandò di poter vedere Eric
Prothero.
E non appena quel nome
fluttuò nell’aria, il calvo falsario
comparve quasi dal nulla e, lanciata un’occhiata
d’intesa al buttafuori, fece
uno squallido e bavoso baciamano
ad
Erice, dopo averla trascinata all’interno del locale.
La riempì di smielati
complimenti, praticamente
urlandoglieli a causa dell’alto volume della musica poi,
conducendola verso il
bancone color ghiaccio dove servivano cocktail facendo strane
acrobazie, le
chiese:
-
beve qualcosa,
signorina…?-
-
può
chiamarmi Angie, signor Prothero. E, grazie, ma no;
non bevo. Preferirei parlare subito di affari.- tagliò corto
Erice, risoluta;
ringraziando l’aiuto che il nome di “Angela
Deportago” le aveva dato,
nell’inventare così in fretta un falso nome per
sé.
-
Come desidera,
Angie. Avrei voluto solo che si
rilassasse di più…- l’uomo le
toccò con una delle sue mani grasse, ed unte una
spalla nuda, e lei si retrasse appena, per le occhiate ardenti che le
lanciava,
per i suoi gesti…trattenendo persino il respiro per via
dell’intenso e
disturbante profumo che Prothero emanava.
Dopo aver attraversato parte del
locale, si ritrovarono in
un salottino privato dalle luci soffuse e le vetrate scure: Erice aveva
il mal
di stomaco ma, seduta rigidamente su uno di quei divanetti rossi,
riconosceva
di buon grado che quello era un posto decisamente più
riservato e che, inoltre,
lì, le sue orecchie erano al sicuro dall’alto
volume della musica, che si
spandeva in ogni luogo e che, tuttavia, pareva esser rimasto fuori di
lì.
-
ho notato che
è una persona diretta, Angie; perciò, lo
sarò anch’io con lei: ho i documenti che mi ha
chiesto e, come sa, dovrà
mettevi lei stessa una sua foto…- riprese Eric, ed Erice
notò che le occhiate
ardenti non avevano fine; perché manifestavano un suo chiaro
desiderio…
-
quanto le devo,
signor Prothero?- lo interruppe la
ragazza, fissandosi le mani: la nausea era tale da farle girare la
testa.
-
Vede…potrei
farle un prezzo di favore se lei
acconsentisse a….diciamo…lasciarsi
andare.- Erice fu colpita da
quelle parole come una cascata d’acqua fredda sulla pelle
nuda e si paralizzò.
Aveva capito benissimo a cosa mirava, quell’essere
e, ne ebbe la conferma quando, spostati gli occhi sulla voce
dell’uomo- che
sembrava provenire dal pavimento- la ragazza trovò Eric
Prothero inginocchiato
sul pavimento, davanti a lei, che stava per baciarle le cosce
nude…
Erice ebbe un moto di repulsione,
allontanò quel verme
viscido con un gesto ma, subito dopo, sentendo le labbra che le
bruciavano,
pensò che avrebbe potuto fare giustizia, liberando
così il mondo da un serpente
perverso come quello.
Inchiodò gli occhi ai
suoi, e, ringraziando che lui non
riuscisse a vedere il colore delle sue iridi, scoprì- come
si aspettava- che
Prothero non si era ridotto ad altro che un’aura nero fumo.
Quindi, afferrò la
sua cravatta viola scuro e, mentre la tirava lentamente verso di
sé, sussurrò:
-
sa cosa credo che
meriti, Prothero?-
-
cosa…?-
chiese di rimando lui, fremendo in attesa di
soddisfare la sua libido.
-
Di morire!-
sentenziò Erice, disgustata. Prima che il
falsario potesse capire cosa stava succedendo, lei premette le labbra
sulle sue
e lo bloccò mentre si dimenava come un’anguilla,
nel vano tentativo di sfuggire
al cianuro che gli stava entrando in corpo.
All’improvviso tutto
finì, ed Erice avvertì solo il tonfo di
quel corpo che cadeva a terra come un sacco inanimato. Costringendosi
all’apatia- dal momento che le sembrava di sentirsi vuota-
prese i documenti
che voleva ed evitò di soffermarsi sullo sguardo perso nel
vuoto, spento ma
ancora orripilato di Prothero, mentre usciva di lì e,
lasciandosi tutto alle
spalle tentava di convincersi di aver fatto la cosa giusta.
“giustizia? Non ho fatto
giustizia, sono solo una volgare
assassina: Aro ha sempre avuto ragione su di me!” questo era
l’unico pensiero
che avesse tormentato Erice negli ultimi giorni,- poiché
aveva deciso di
seguire il consiglio di Evangeline e di trattenersi in quella
città fino alla
fine della settimana. Ma, alternato a quel pensiero c’erano i
centinaia di
chilometri che copriva, camminando avanti e indietro nella chiesa;
c’era
l’attesa, insostenibile, snervante, perché mille
volte peggiore di quella alla
quale si era già sottoposta; c’erano i fiumi di
lacrime che aveva versato ed i
graffi carichi di disprezzo per se stessa con i quali s’era
rovinata il viso.
Chi era lei per decidere della morte
di un altro essere
umano? Ancora ricordava- non senza brividi di nausea- la sensazione
provata
quando aveva sentito le ultime scintille di vita abbandonare il corpo
di
Prothero!
Dopo qualche notte insonne,
però, aveva deciso: sarebbe
ritornata nella sua terra natale, presso i Volturi, ed avrebbe lasciato
che la
giustiziassero perché, dopotutto, Aro non aveva visto nulla
di sbagliato nella
sua anima portatrice di morte.
A nulla era servita la lettera che
aveva scritto a Logan,
subito dopo l’omicidio commesso, dove gli raccontava del
perché era dovuta
fuggire da Volterra; come avesse cercato rifugio in un’altra
città e ciò che
era successo lì; e del fatto che ora intendeva tornare
presso i suoi signori,
per trovare la morte, dal momento che non si riteneva degna di vivere.
Quella domenica notte in cui sarebbe
tornata in Toscana,
Erice lesse quel figlio- che era stato ripiegato fino a farlo diventare
di
pochi centimetri- più e più volte, mentre il
treno viaggiava veloce, ed attese
che tutti i passeggeri del suo vagone dormissero per versare qualche
silenziosa
lacrima di commozione: era incredibile quanto Logan credesse in lei e
fosse
disposto a difenderla- persino da se stessa- anche dopo tutto
ciò che aveva
saputo.
Cara Erice,
devo ammettere
che leggere la tua
ultima lettera mi ha molto colpito, ma lascia che ti dica per prima, la
cosa
più importante di tutte: tu non sei un’assassina!
Non lasciare che ciò che
dicono di te influenzi una tua visione di te stessa, errata.
Ciò che hai fatto-
fuggire dai Volturi- è stato molto coraggioso e
l’”omicidio” che hai commesso
nei confronti di quell’uomo, è avvenuto solo per
fini di difesa dal momento
che, come hai detto tu, la sua anima era nera e, se non avessi agito,
non oso
immaginare cosa avrebbe potuto farti quando avesse capito che non
intendevi
piegarti al suo volere…
Non tornare dai
Volturi, te ne prego!
Non capisci che sei un pericolo, per loro; che ti cercano solo per
annientarti,
dal momento che conosci una verità che potrebbe capovolgere
le Leggi dei
Volturi, così come le conosci? Se ti consegni, ogni sforzo
di tua madre Didyme
sarà stato vano. Ogni giorno in più che
sopravvivi, invece, rappresenta un
giorno in più in cui l’autorità di Aro
viene messa in discussione.
In secondo luogo
voglio
complimentarmi con te per gli stratagemmi che hai escogitato per non
farti
trovare. Perché non ti fai anche battezzare, così
che sarai per sempre al
sicuro dai Volturi; anziché tornare da loro per ammettere
che la loro menzogna
su di te, è vera?
Potrai sempre
trovarmi presso la Città delle
Mille Chiese.
Sarò sempre disposto ad aiutarti, se lo vorrai.
Logan
La ragazza fissò di nuovo
quella scrittura gotica che tanto
le era familiare…ipotizzò per un secondo che il
suo amico vampiro avesse
ragione e, anche se si sentiva impura
fino al midollo per aver avvelenato quel falsario, decise di dare alle
parole
di Logan l’opportunità di accendere in lei una
flebile speranza: avrebbe
ritardato i suoi propositi di un po’, giusto il tempo di fare
una passeggiata e
vedere se il mondo le suggeriva che era giusto- nonostante la colpa di
cui si
era macchiata- andare avanti per sua madre, e per rivelare la scomoda
verità di
cui era custode, anche a costo della vita.
Era notte inoltrata quando il treno
si fermò nei dintorni di
Siena. Erice respirò a pieni polmoni la fredda ma profumata
aria di fine
stagione che soffiava in quella cittadella beatamente addormentata ed
ignara
del suo tranquillo passaggio.
Un passo dopo l’altro tra
l’erba- resa umida dalla notte- di
quelle verdi colline e la ragazza si riappropriò di se
stessa con la stessa
gioia con cui si accoglie di nuovo un amico rimasto a lungo lontano;
non sapeva
esattamente cosa stesse cercando ma non aveva paura, non aveva
più paura perché
ogni soffio di vento sembrava guidarla, richiamare dolcemente il suo
nome e le
fronde degli alberi parevano volerla abbracciare. Neppure quando aveva
fatto
ritorno dalla Transilvania aveva ricevuto un’accoglienza
tanto soave e calda, o
forse sì, visto che ad accoglierla quella volta, era stata
proprio la sua amata
Volterra; ed ora, dopo un esilio breve ma amaro come il fiele, a farne
le veci
era una sua sorella.
Poi, mentre camminava tra vigneti ed
olivi, all’improvviso,
la vide: una chiesa possente, di pianta semicircolare, dalle spesse
mura
candide e scintillanti come opali- che le ricordava una piccola
Volterra - le
si parò davanti agli occhi e, l’unico messaggio
che quell’edificio in stile
romanico pareva volerle inviare era che sarebbe stata pronta a
difenderla da
ogni pericolo.
Le ginocchia di Erice tremarono
mentre il fantasma di una
scintilla di felicità le fece battere il cuore. Si
paralizzò: sarebbe voluta
restare a godere di quel momento, di quella sicurezza che si insinuava
nelle
sue membra, per sempre…si costrinse però ad
andare avanti, su quel viotttolo
sinuoso finchè non avesse trovato riparo
all’interno della chiesa. Da qualche
parte lesse anche che veniva chiamata Abbazia di
Sant’Antimo…
Lo spesso portone in legno era
chiuso. Le venne quasi da
piangere: possibile che venisse tradita tanto presto persino da
un’abbazia la
cui prima impressione che ne aveva avuto era stata di sicurezza?
Decisa più che mai ad
entrare in quel luogo sacro- l’unico
dove sarebbe stata al sicuro, in effetti, dal momento che era
più vicina di quanto
non lo fosse mai stata, ai vampiri che le davano la caccia- e,
guardando verso
i Garoyle di pietra che la fissavano dalle mura, fece per scusarsi ma
entrò
ugualmente, forzando la porta.
Stava per abbandonare le ginocchia e
tutto il resto del suo
corpo stanco, sul pavimento di pietra ma si accorse che, il gran
fracasso che
aveva provocato, aveva attirato qualcuno…
Con il cuore che le pulsava
all’impazzata, percorse le due
navate laterali alla ricerca di una qualsiasi nicchia sicura che
avrebbe potuto
lasciarla passare inosservata…in effetti, dopo qualche
ricerca, si ritrovò a
salire, fino all’alta stanza dove veniva tenuto
l’organo e, la cui semplice
finestra di pietra abbracciava tutta la navata principale: da
lì Erice notò che
delle figure incappucciate e vestite completamente di bianco erano
accorse per
constatare quanto era successo; si guardavano intorno come a chiedersi
chi mai
potesse aver aperto il portone dell’abbazia. Tuttavia, dopo
alcune vane
ricerche- Erice, nascosta in un angolino della stanza
dell’organo, stava
attenta persino a non respirare mentre teneva d’occhio ogni
movimento di quei
monaci- si inchinarono al grande crocifisso in legno posto dietro
l’altare ed
infine, se ne andarono, sigillando ancora una volta quel luogo sacro.
Quello del
portone che si chiudeva fu l’ultimo suono che la ragazza
sentì perché, un
secondo dopo, la tensione scemò velocissima, la stanchezza
sopraggiunse e lei
si lasciò transitare via, da quella che le sembrava
un’onda marina; con un
piccolo inevitabile sorriso sulle labbra: era al sicuro, e si sentiva
serena,
dopo tanto tempo.
Il delicato cinguettio degli uccelli
destò Erice la mattina
seguente da un sonno tranquillo e, mentre distendeva le membra
rilassate,
riprendeva pian piano contatto con il nuovo mondo che la circondava. Si
rese
conto che dalla navata centrale si levavano canti solenni che
risuonavano
magnificamente in ogni angolo di quell’abbazia
dall’alto tetto. Gl’infidi
brividi della paura di essere scoperta la paralizzarono solo per un
secondo- quel
secondo in cui attese, impietrita, che qualcuno la vedesse e le
intimasse di
andar via; anche se non avvenne- perché, quando si sporse
per osservare tutto
dall’alto, notò che molti fedeli erano riuniti per
la messa e che gli stessi
monaci vestiti completamente di bianco, che erano venuti la sera prima
a
cercarla, ora cantavano e pregavano in latino, muovendosi come alberi
animati
da un vento divino.
-
beati
quelli che
hanno fame e sete di giustizia, perché saranno
saziati…-
Fu allora che Erice Volturi si
concesse di ascoltare veramente
cosa stesse dicendo
uno di loro.
-
beati
i puri di
cuore, perché vedranno Dio…-
gli occhi verdi della ragazza
scivolarono sulla folla
ammutolita mentre contava uno, due, tre dei suoi lenti respiri.
-
beati
i
perseguitati per causa di giustizia, perché di essi
è il Regno dei Cieli…-
i suoi sguardi sembrarono venir
richiamati da una Forza
esterna a lei fino alla parete che le stava di fronte, da dove, la
scultura in
pietra di un angelo che stringeva tra le sue mani sottili, un pugnale;
pareva
osservarla…subito, anche se non seppe spiegarsi il
perchè, Erice sentì il
bisogno di studiarne più da vicino i tratti gentili, quasi
notasse in quella
scultura una guida, o magari un “fratello”, dal
momento che la sua arma
somigliava moltissimo a quella che Anthenodora aveva donato tempo fa
alla
ragazza.
Da quel punto semibuio, lontano dalla
folla cui Erice si era
avvicinata di soppiatto, rimase ad ascoltare tutta la messa.
-
la
carità non invidia, non
si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene
conto del male ricevuto, ma si compiace della verità…-
le parole del monaco- che sembrava
vibrare di passione dal
momento che era fermamente convinto di ciò che diceva- la
colpirono
profondamente perché erano intrise di Giustizia, Amore e
Pace, ed inoltre,
rispecchiavano alla perfezione ciò che stava cercando:
quelle Forze lasciarono
un’impronta a fuoco nella sua anima e avvertì
anche che stavano andando
lentamente a colmare il vuoto che sentiva dentro; quello stesso vuoto
lasciato
dalla morte di sua madre, dalle angherie, dalle accuse, che aveva
dovuto subire
fino ad allora da parte dei Volturi e dalla fuga cui era stata costretta, pur conoscendo la
verità su
colui che regolava il mondo dei vampiri.
Nel momento in cui ebbe
necessità di prostrarsi al cospetto
della statua dell’angelo, le ginocchia le cedettero e,
incurante di tutte le
persone che, uscendo le passavano accanto e la fissavano perplessi; la
ragazza
giunse le mani e pregò nella speranza che, un giorno- magari
quando avrebbe
rincontrato i Volturi- sarebbe potuta diventare come lui: una
portatrice di
giustizia.
-
figliola, ti
prego, alzati…- le sussurrò, una voce
gentile.
Erice sobbalzò, e si mise
in piedi di scatto. Attorno a lei
stavano la figura di sette anime purissime, completamente inondate di
luce. Si
rilassò immediatamente, capendo che poteva fidarsi di quegli
uomini, che
identificò come i monaci dell’abbazia, e tuttavia,
non seppe mai quale fosse il
loro aspetto fisico, abbagliata com’era dalla lucentezza
delle loro anime, che
il suo potere le permetteva di scorgere.
-
la messa
è finita, figliola. Perché non torni a casa?-
le venne domandato, con dolcezza.
-
Non ho
più una casa a cui tornare…- si lasciò
sfuggire,
e quando le parole vennero fuori sentì che la maschera e le
armature che aveva
indossato fino a quel momento, stavano crollando, lasciandola
così, nuda, forte
solo della sua sincerità.
-
Vieni, allora.
Resta pure qui, se lo desideri. Il
Signore accoglie tutte le pecorelle smarrite.-
Nelle ore successive, i monaci le
parlarono quasi sempre di
Dio, della sua Misericordia; della sua Pazienza; del suo Amore; della
sua
Giustizia; della sua Onnipotenza; del fatto che lasciava agli uomini,
suoi
figli delle regole ma poi faceva loro dono della possibilità
di scegliere se
seguirle o meno; di fare da soli i propri errori…e ad Erice
venne da piangere
più di una volta: era di Libertà
che
si stava parlando e, in effetti, - anche se ne aveva guadagnata una
briciola
nella “seconda parte” della sua vita accanto ai
Volturi; dovendo pur sempre
lottare per farsi accettare e per poter stare accanto
all’uomo che amava- era
ciò che si era guadagnata lei, fuggendo da Volterra.
Tuttavia, non l’aveva mai
vista sotto quella luce perché, ora che poteva avvalersene,
l’unico sentimento
che provava era puro terrore; il suo unico, costante pensiero era
l’affermazione di un’urgente verità, che
avrebbe distrutto dalle fondamenta un
sistema millenario.
Ma le lacrime che versava venivano
prontamente asciugate da
tutti i monaci dell’abbazia di Sant’Antimo, nei
giorni in cui rimase lì, e le
venne citato il libro dell’Apocalisse per spiegarle che era
normale che
reagisse in quel modo dinnanzi alla paura per la repentina fine del suo
mondo, tuttavia,
doveva anche essere
pronta ad abbracciare uno nuovo fatto di misericordia, pazienza e
perdono. Ed
oltre a questo le veniva insegnato sempre qualcosa di nuovo, tanto che
Erice
iniziò ad apprezzare il rendersi utile poiché la
faceva sentire di nuovo parte
di qualcosa.
Perse la cognizione del tempo, in
quel luogo; sarebbe
voltura restare lì per sempre. Solo quando si rese conto che
era il giorno del
suo diciottesimo compleanno, qualcosa dentro di lei si smosse: passando
davanti
alla statua dell’angelo- la mattina- provò grande
gioia, e tuttavia, quando-
quella sera- si ritrovò tra le mani il braccialetto che le
era stato regalato
da Didyme ed il cuore in alabastro di Santiago, si sentì
anche molto triste.
Proprio il giorno successivo, quindi, pur senza rammaricarsi di aver
gettato
via il ciondolo dei Volturi(poiché non si sentiva
più parte della loro
famiglia) capì che- dal momento che aveva reso quel posto,
un luogo migliore-
poteva anche osare portare a compimento la sua missione- che ormai non
poteva
più essere ignorata, poiché la verità
doveva essere ristabilita e lei, per
assicurarsene, doveva essere investita a garante di
giustizia-così, chiese di
essere battezzata.
Le era stato insegnato come segarsi
il petto e come pregare,
ma nulla era paragonabile alla sensazione dell’acqua
benedetta che le scendeva
sulla fronte: si sentì pura, libera e protetta, tanto che
ebbe la certezza che Demetri non
potesse più
vederla, perché ora si era trasformata in una lucente stella
di Dio, su cui la
sua anima dannata non poteva posare
gli occhi.
Dopo aver ringraziato i monaci per
ciò che avevano fatto per
lei, Erice tornò a far parte di quel grande fiume che
scorreva costantemente
imperterrito, chiamato mondo; ed aveva una sola speranza a guidarla:
dal
momento che, rileggendo le lettere di Logan era riuscita ad individuare
Roma,
dietro quella che veniva definita “la Città
delle Mille Chiese”, era salita sul primo treno- che
portava la notte sulle sue spalle- diretto in quella città
ed ora sperava di
potersi ricongiungere al suo amico vampiro, e chiedergli se era ancora
disposto
ad aiutarla a far sì che la verità sulla morte di
Didyme fosse ascoltata e
soprattutto, creduta.
Era notte fonda quando la ragazza
giunse alla stazione dei
treni di Roma. Era abituata a viaggiare di notte perciò non
aveva paura; tuttavia,
mentre se ne stava da sola sotto l’alone di luce di un
lampione a rabbrividire,
dovette ammettere a se stessa che quel luogo era molto più
grande della città
che l’aveva ospitata la prima volta.
Che strano…aveva inviato a
Logan una lettera gettandola
fuori dal finestrino del treno in corsa, - dove gli diceva solo che era
arrivata alla soluzione
dell’”indovinello” che lui più
volte le aveva scritto,
e che ora stava venendo a trovarlo- possibile che non
l’avesse ricevuta?
-
Erice…Erice,
sei tu?- in quel momento, dal buio giunse
una voce incerta, una chiamata. La ragazza si voltò verso lo
sprazzo di
oscurità dal quale le sembrò che provenisse la
voce, con un leggero sobbalzo; i
muscoli lievemente tesi.
In una frazione di secondo si
ritrovò con la faccia premuta
contro un petto gelido, marmoreo e profumato; la stretta dolce di due
braccia
d’acciaio le cingeva affettuosamente le spalle…la
sorpresa scaturita da
quell’azione inaspettata, fu tale da spingere Erice ad
opporre una leggera
resistenza….quando però, il volto del vampiro fu
rischiarato dal lampione e la
ragazza ne riconobbe gli occhi d’oro fuso, fu certa di
trovarsi davanti a Logan
e fu lei stessa a gettarsi tra le sue braccia, con gioia pura mentre-
carezzando il suo nome con la voce- si rendeva conto di quanto le fosse
mancato.
-
sono
così felice di vederti, amico mio!- confessò
allora lei, versando qualche lacrima di commozione.
-
Lo dici a me?
Credevo ti fossi consegnata ai Volturi…-
replicò quello mentre le sfiorava i capelli
bruni che, da quando erano stati tagliati, avevano avuto
solo l’ardire
di spingersi timidi lungo il collo: era stato quello strano
particolare- spiegò
sottovoce Logan- ad averlo tratto in inganno.
-
È vero,
all’inizio volevo tornare dai Volturi per
consegnarmi, con tutta me stessa; ma poi, lungo il mio cammino mi sono
imbattuta in un angelo, o meglio in più angeli- sorrise
quando il suo pensiero
tornò ai monaci di Sant’Antimo- e così,
molte cose sono cambiate in me, anche
il mio modo di vedere la vita…-
-
Raccontami
tutto…- la invitò il vampiro, con gli occhi
che scintillavano di felicità, mentre prendeva la ragazza
tra le braccia ed
insieme sparivano nella notte.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Innanzitutto vi ringrazio per essere
stati tanto pazienti e
fiduciosi nei miei confronti( vi confesso che ad un certo punto,
siccome
l’ispirazione non tornava, ho davvero temuto di dover
chiudere questa ff…)poi,
oltre a ringraziarvi perché continuate a seguirmi, credo sia
d’obbligo spendere
due paroline su questo capitolo:
1)
la
prima città in cui Erice scappa, non ha nome
perché me la sono completamente
inventata(anche se, ammetto che per il particolare della nebbia- pur
non
essendoci mai stata- mi sono ispirata alla città di Milano)
2)
la
figura del falsario, potrebbe richiamare quella presente in BD ma vi
assicuro
che non c’entra nulla; era un personaggio la cui unica
funzione è quella di
raccordo, ossia mi serviva solo perché dovevo ricollegarmi
un attimo al fatto
che le labbra di Erice contengono cianuro( a proposito, il nome del
personaggio
è l’incrocio di due nomi presenti nel film
“V per Vendetta- Lewis Prothero ed
Eric Finch)
3)
la
settimana scorsa sono stata davvero all’abbazia di
Sant’Antimo e vi assicuro
che è stupenda(anche se non ho visto la stanza
dell’organo)solo che la scultura
dell’angelo è un elemento gotico che ho visto in
un’altra chiesa e che ho
aggiunto solo ai fini della storia, perché le pareti
dell’abbazia sono
completamente spoglie.
4)
Tutti
gli altri nomi(tipo quelli dei passaporti)sono di mia pura invenzione.
5)
L’espressione
“i morti cavalcano in furia” (detta anche in altro
modo “i morti viaggiano
veloce”) è tratto dalla
“Lenore” di Burger e tutte le frasi che Erice sente
in
chiesa sono tratte dalle Beatitudini e dall’ “inno
alla Carità”
Detto questo, aggiungo:
Care commentatrici, scusate se non vi
ringrazio a dovere, ma
sono un po’ di fretta. Comunque sappiate che è
anche grazie ai vostri
bellissimi commenti che ho trovato lo spunto per andare avanti con la
ff ;-) mi
scuso con entrambe con il linguaggio un po’ poco
“oxfordiano” che avete letto
all’inizio del capitolo ma mi auguro che il pezzo vi sia
piaciuto lo stesso.
Che succederà adesso?
Logan accetterà di aiutare Erice? E se
sì, come faranno loro due soli a contrapporsi ai Volturi,
poiché hanno dalla
loro parte solo la verità?
Un baciotto e grazie ancora a tutte/i
Marty23
|
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Capitolo 25 *** caccia e fuga (parte 3) ***
Capitolo XV
Caccia e fuga
Parte 3
Erice Volturi era distesa con la
schiena sull’erba di uno
dei tanti parchi pubblici della Città Eterna e, anche se
quella giornata era
uggiosa- tanto da non far passare un filo di luce solare- le, sorrideva
osservando il cielo attraverso i rami della quercia sotto la quale se
ne stava
riparata. Al suo fianco, immancabile- con ogni centimetro di pelle
coperta, per
sicurezza e il lo scudo di repulsione attivo, per proteggerli-
c’era Logan.
Più e più volte
la ragazza aveva raccontato al vampiro la
sua storia- dapprima dubbiosa e tesa, perché temeva che lui
le avrebbe
rifiutato il suo aiuto; ma poi, quando il vegetariano le aveva
assicurato che
l’avrebbe sempre trovato accanto a lei; l’umana
aveva iniziato a rilassarsi.
Nei mesi che i due avevano trascorso
a Roma, le
preoccupazioni avevano abbandonato Erice a tal punto che lei,- forte
del potere
di Logan, che la rendeva praticamente invisibile- aveva iniziato a
godersi
tutte le piccole cose che notava in quella città,
dimenticando quasi
completamente che era il bersaglio di una caccia senza fine. Di tanto
in tanto
però, all’improvviso, mentre passeggiavano nei
pressi di una chiesa, o di una
via poco affollata; Logan le chiedeva ancora una volta di spiegargli
ciò che le
era successo, facendole sempre delle domande diverse, eppure sempre
precise, di
modo che potesse aggiungere nuovi particolari allo sconosciuto- almeno
per
Erice- quadro, che gli si stava formando in testa.
E, in quel giorno plumbeo si stava
ripetendo proprio uno di quei
momenti in cui, a seguito del suo
racconto, Erice ascoltava il suo amico, che le riassumeva quanto
riusciva a
capire.
- te lo ripeterò sempre,
dolce Erice: hai avuto molto
coraggio ad agire come hai agito. Ammetterai, tuttavia, che
ciò che hai fatto non
sarebbe stato possibile senza l’aiuto di Caius ed Evangeline(
della quale però,
non sono sicuro sia ancora viva, anche se sapeva così
poco)…- la sua voce soave
si arrestò e, con una delle sue dita fredde si
affrettò ad asciugare la lacrima
che, solitaria, stava rigando il viso della ragazza. Infatti, anche se
lei
aveva ipotizzato che, non appena aveva rimesso piede a Volterra dopo
averla
messa in salvo, la sua nutrice fosse andata incontro alla morte;
quell’idea le
metteva profonda tristezza. – ciò che mi fa
riflettere con particolare
attenzione, ogni volta che ne parli, è il comportamento del
compagno di Anthenodora.
Non hai forse detto che la principale caratteristica della sua indole
è la
brama di potere? Perché allora, avrebbe dovuto salvarti,
questa volta (della
precedente che mi hai raccontato, ne posso capire il motivo, siccome
erano
presenti entrambi i tuoi genitori…)dopo la colpa
così eclatante di cui ti ha
accusata Aro?- continuò a ragionare, mentre si tirava su
puntellandosi sui
gomiti, e la chioma fluente gli si adagiava sulle spalle.
- conosci già la risposta
a questa domanda, Logan: Caius era
in debito con me di due favori, e gliene resta ancora uno, visto che
l’ho
salvato da tre lupi mannari, in Transilvania.- replicò
pronta la ragazza, spostando
appena il viso roseo verso di lui, per osservare bene
l’espressione del
vampiro. Non si preoccupò neppure del proprio tono di voce
poiché, ormai, era
abituata a parlare con la stessa intensità dei vampiri.
- sì, questa potrebbe
essere una spiegazione. Ma non hai mai
pensato che, vista la sete di potere di Caius, lui stesso ti abbia
mandato via,
in attesa che tu ti fortifichi e torni, animata dal desiderio di
giustizia
contro chi ha ucciso tua madre? Così che, una volta fatto
fuori Aro, sarà Caius
a prendere il suo posto al potere?- ipotizzò il vampiro
dagli occhi dorati.
- non lo escludo. Dimentichi
però, che gli Anziani sono una
triade, perciò, anche se Caius distruggesse Aro, resterebbe
mio padre…-
intervenne lei, ma con più pacatezza questa volta, gli occhi
persi nel vuoto
perché stava prendendo seriamente in considerazione quelle
delucidazioni sulla
reale disposizione di Caius.
- non sei stata forse tu a dirmi che
della Guardia fa parte
una certa Chelsea, il cui potere è quello di annullare
o rafforzare i
legami? Non ti è mai venuto in mente che Aro- per evitare
che Marcus gli
facesse troppe domande e scoprisse quindi la verità sulla
morte della sua
compagna(visto quanto i due erano legati) abbia fatto intervenire
Chelsea per
rendere innocuo tuo padre?- iniziò ad incalzarla il
vegetariano. Erice lo
odiava quando si comportava così, perché
insinuava in lei mille dubbi;
tuttavia, in quei casi, somigliava ad un vero Socrate, e forse le
faceva
esattamente le domande giuste al momento giusto.
Fu allora che la ragazza,valutando
quella possibilità, si
mise a sedere di scatto, una mano che le copriva la bocca e
l’espressione
orripilata.
-
povero padre mio,
che stupida sono stata ad
abbandonarlo in quella fossa di serpi…- si
rammaricò, tremando appena, gli
occhi lucidi.
-
Non temere: se
davvero le cose stano così, e se i piani
di Caius sono realmente questi; per il favore che ti deve e per
l’indole ormai
mite di Marcus, non farà altro che continuare a cercarti
così, quando ti avrà
trovata, di renderà tuo padre sano e salvo, chiedendoti
però, di partecipare,
al suo fianco, ad una “crociata” contro Aro.-
-
Demetri non riesce
più a percepire la mia essenza. Mi
sono fatta battezzare e questo ha reso nullo il potere che aveva su di
me. A
causa della sua anima dannata, la sua abilità con me non
funziona e non potrà
nemmeno più posarmi gli occhi addosso.- spiegò
lei cercando di ostentare
lucidità, anche se l’insieme
d’informazioni ricevute in quei pochi attimi, le
faceva girare la testa e, l’unico pensiero che le solcava la
mente era
l’impellente bisogno di aiutare suo padre.
-
Certo, lo so: me
ne hai parlato. E confesso che è stata
una mossa davvero scaltra da parte tua. Ma considera che io e te siamo
solo in
due(anche se io sono un vampiro) e dalla nostra parte abbiamo
unicamente la
verità- che è un’ottima arma- tuttavia,
inefficace per combattere un sistema
corrotto sin nelle fondamenta. Non hai mai pensato che dovremmo
rivolgerci a
qualcuno che ci appoggi e faccia sì che avremo maggiore
credibilità quando
saremo dinnanzi alle massime autorità del mondo dei vampiri?-
Erice sobbalzò mentre
manciate di brividi freddi le
correvano implacabili lungo la schiena, ed i suoi occhi si riempirono
di
confusione.
-
intendi
affrontarli direttamente?- chiese. Il suo amico
vegetariano, che se ne stava lì ad annuire, in quel momento,
sembrava calato
nelle vesti di Sherlock Holmes, visto il pensiero che aveva esposto e
le
domande che le aveva posto: il suo ragionamento, senza dubbio, filava.
Come
avrebbero fatto però, a trovare un vampiro- che non avesse
cieca fede nei
Volturi- del quale avere la sicurezza che, una volta spiegatagli la
verità
sulla morte di Didyme, credesse a loro- ad Erice- e non ai Signori dei
Vampiri?
-
Pensi che dovremmo
cercare qualcuno che ci farebbe da testimone?
Nessuno sarebbe tanto folle
da mettersi contro i Volturi, per me; una semplice umana che, sin dal
principio, non doveva essere altro che il pasto di quei
vampiri…- continuò.
Oddio, ora la testa le faceva davvero male. Quella di cui parlava
Logan, era la
loro unica speranza ed Erice si detestò mentre, con le gambe
raccolte al petto,
percepiva che il suo sguardo si spegneva. Si odiò per
essersi concessa di
sperare di poter essere creduta innocente, per quanto quella speranza-
seppur
vera- fosse flebile come il lume di una candela in una notte di
tempesta.
-
Sarà un
suicidio, lo so. Ma vale la pena tentare perché
voglio saperti davvero libera; voglio vederti felice di vivere la tua
vita,
anziché costantemente tesa mentre ti guardi le spalle, per
paura di essere
braccata…- disse Logan sincero, mentre le afferrava un
ricciolo castano che si
stava perdendo nella fresca brezza pomeridiana, e poi le carezzava una
guancia,
asciugando nello stesso tempo le copiose lacrime che le appannavano la
vista,
facendole brillare gli occhi.
Durante l’anno e mezzo in
cui era stata lontana da Volterra,
Erice cercato di trovare un equilibrio, un suo spazio nel mondo
nonostante le
molte minacce che la seguivano- e questo Logan lo capiva, e lo
apprezzava, ma
sapeva anche che la paura, non l’aveva mai abbandonata.
-
hai…hai
già pensato a…qualche vampiro che potrebbe
aiutarci?- gli domandò la ragazza, dopo che i singhiozzi si
furono lentamente
diradati; anche se aveva ancora la voce attutita, per via del fatto che
s’era
rifugiata sul petto del vampiro.
-
Ad Eleazar,
l’ex componente della Guardia cui è stato
permesso di lasciare i Volturi per convertirsi alla vita vegetariana.
Chi più
di lui sarà disposto, almeno ad ascoltarci?- rispose pronto
il vegetariano, con
una nota di gioia nella voce.
Allora, senza attendere oltre, Erice
si fece forza e, dopo
aver strappato un foglio dal quadernino che le aveva regalato Didyme, e
che
ancora portava con sé, vi scrisse sopra due righe e lo
abbandonò nel vento.
Era ormai sera quando, passeggiando
con Logan per le vie del
centro, la ragazza si ritrovò tra le mani il foglio di
risposta atteso con
trepidazione tutto il giorno.
Cara
Erice,
non
immagini che felicità abbia provato nel leggere la tua
lettera.
Durante
l’ultimo anno ho viaggiato molto ma, ormai da qualche mese,
io e la mi compagna
ci siamo stanziati in Alaska dove, secondo ciò che ho
sentito dire, vive anche
un altro clan vegetariano, cui progettiamo di unirci presto.
Tu e
Santiago siete liberi di venire a trovarci quando vorrete, non vedo
l’ora di
presentarvi la mia Carmen.
Eleazar
Erice ebbe una fitta al cuore vedendo
il nome del suo amato
tra quelle righe dalla calligrafia obliqua ed elegante. Quanto le
mancava il
suo adorato Santiago!
Tuttavia, decise di nascondere a
Logan- che si stava
chinando su di lei per leggere- la malinconia che provava
così gli annunciò,
con il sorriso più spontaneo che riuscisse a foggiare:
-
si parte per
l’Alaska!-
ANGOLO AUTRICE
Eccomi di nuovo qua!
Nuovo post fresco fresco(e
soprattutto postato in un lampo)
è l’ultima parte del capitolo 15, spero vi piaccia.
Erice e Logan sono diretti da
Eleazar, cosa succederà? Lui
crederà alla verità?
Ora passo a ringraziare la
“commentatrice”:
Ayumi_L:
ciao
bella! Grazie mille del tuo commento, mi ha fatto molto piacere
leggerlo, ora
sono curiosa di sapere cosa pensi di questo.
|
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Capitolo 26 *** la verità ***
Capitolo XVI
La verità
L’aereo decollò
librandosi elegantemente in aria. Il cuore
di Erice perse un colpo e lo stomacò le salì fino
in gola, restando incastrato
lì; subito, mossa dall’impeto della sorpresa-
solitamente causata in tutti,
dallo sperimentare ciò che è nuovo- la mano della
ragazza corse a stritolare,
nella sua stretta umana, le lunghe, gelide dita da pianista del vampiro
vegetariano che le stava accanto. Logan voltò verso di lei,
il suo bel viso
pallido e affusolato, la fissò sorpreso, poi, dopo averle
sorriso dolcemente,
le carezzò una guancia rosea e la invitò a posare
la testa riccioluta sulla sua
spalla marmorea, mentre le sussurrava:
-
È una
novità per te, vero? Ci aspettano quasi dodici
ore di volo: ci farai l’abitudine…-
L’umana si
irrigidì appena, vergognandosi della sua
reazione, ma dopo alcuni profondi respiri, ogni tensione
iniziò ad abbandonarla
e s’arrischiò delicatamente a sorridere, dal
momento che le stavano tornando in
mente i tanti ricordi che l’avevano portata a prendere quella
decisione…
Per una lunga, interminabile
settimana- dopo aver ricevuto
la lettera di Eleazar- infatti, Erice aveva impiegato molto del suo
tempo-
perdendo anche qualche ora di sonno- a riflettere su come lei e Logan
sarebbero
potuti giungere in Alaska nel minor tempo possibile, e soprattutto,
senza
attirare l’attenzione dei Volturi che, di certo, la stavano
ancora cercando: il
suo amico vegetariano aveva proposto di attraversare
l’Atlantico a nuoto, ma
aveva immediatamente ritirato l’idea, una volta resosi conto
che, tra i due,
era lui l’unico che
poteva
permettersi di non respirare sott’acqua; c’erano
anche state decine di altre
pensate(una pi particolare dell’altra), alla fine, tuttavia-
in accordo- i due
avevano optato per salire sul primo aereo che li avesse portati nella
città pi
vicina al confine tra Canada ed Alaska e, una volta lì,
avrebbero proceduto a
piedi- o meglio, Logan avrebbe
corso,
e lei gli sarebbe stata aggrappata alle spalle- fino a dove Eleazar
abitava.
Ma…dopo che fossero riusciti ad arrivare, il vampiro che era
stato un
componente della Guardia, le avrebbe creduto?
Il tocco quasi soffiato di una mano
fredda risvegliò la
ragazza dalla sua unica preoccupazione, facendola sobbalzare ma,
scrutati in un
secondo gl’impensieriti occhi dorati di Logan,
realizzò che il respiro le si
era fatto affannoso ed abbassò lo sguardo, quasi per
scusarsi.
-
Erice, rilassati.
Ti prometto che andrà tutto bene. Nel
frattempo, perché non trovi qualcosa che ti tenga occupata?-
le consigliò il
vampiro guardandola intensamente, mentre, grazie al suo udito
finissimo,
ascoltava le pulsazioni del cuore di lei, che tornavano a
regolarizzarsi. Non
c’era stato bisogno che aprisse bocca perché lui
aveva compreso alla perfezione
il suo timore. Nei giorni precedenti, infatti, ogniqualvolta
l’avesse scorta
imprigionata nel suo silenzio denso di paure, l’aveva
esortata a non farsi
schiacciare da quelle, bensì a combatterle.
Ed ora, molto probabilmente, stava di
nuovo lasciando che
questa la soffocassero, perché non si calmava, anzi,
sembrava sull’orlo delle
lacrime così, dopo un sospiro rassegnato, Logan ebbe
un’idea…
Nella frazione di secondo in cui
battè le ciglia, la ragazza
si ritrovò tra le mani una penna ed un foglio di carta e,
con un’espressione
commossa notò con la coda dell’occhio che Logan le
sorrideva incoraggiante e,
subito dopo, si ritirava con discrezione verso il finestrino, per
lasciarle un
po’ di tranquillità ed intimità.
Erice Volturi, in quel momento si
sentì nuovamente sola ed
ebbe paura: il cuore le si rannicchiò nel petto fino a
compattarsi tanto da
somigliare ad un buco nero, doloroso e pesante. La spaventava non poco
doverlo
aprire per far sì che tutto ciò che provava si
tramutasse in parole; tuttavia,
sapeva che c’era un unico vampiro che avesse mai veramente
amato e conosceva
anche la profonda urgenza del suo bisogno di fargli arrivare la
verità. Perciò,
si fece coraggio e lasciò scorrere la penna
finchè l’inchiostro nero non prese
la forma delle sue emozioni, e la carta vibrò delle sue
stesse passioni.
Amore mio,
mi manchi
immensamente.
Mi dispiace
di averti
deluso ed abbandonato in quella putrida fossa di serpi bugiarde che non
sicuramente non fanno altro che instillare in te, infidi dubbi su di
me: non
avrei mai voluto. Perdonami.
Il mio
desiderio
invece, era che vivessimo ogni secondo, che superassimo ogni cosa, insieme, ma sono stata costretta ab alto a lasciare la nostra amata Volterra.
Spero che le
menzogne
di coloro che servi non ti abbiano indotto a perdere
l’immensa fiducia che hai
nei miei confronti, quella stessa che, ogni giorno- nonostante le mie
mille
paure- mi spinge a continuare la mia missione per ristabilire la
verità. Ti
vorrei al mio fianco, vorrei trovarmi tra le tue braccia, ma non posso
permettere che tu corra dei pericoli a causa della mia innocenza
rinnegata.
Non ci sono
scusanti
per il mio comportamento, lo so, e se non riuscirai a perdonarmi, lo
capirò,
come saprò anche, se le mie parole sono arrivate troppo
tardi, perché hai perso
la fiducia in me.
Ma, se non
è così, oso
sperare che non sia stato istillato in te tanto odio da farti arrivare
a
bruciare questa lettera, prima di leggere queste parole: ti amo,
Santiago. Ti
amerò sempre.
Ti sto
parlando con il
cuore e mi auguro tu sappia che questa è l’unica
verità; spero tu lo senta,
anche se nel tuo cuore non fosse rimasto
nulla- oppure sopravviva anche solo un briciolo- del grande sentimento
che ci
univa.
Per sempre tua,
Erice
La ragazza la rilesse
un’ultima volta e, non appena si rese
conto di quanto quel foglio fosse simile ad uno specchio del suo cuore,
trattenne a stento le lacrime. Non diede però, tempo a Logan
di consolarla
perché, un attimo dopo, l’aereo atterrò
ed i due misero piede nell’ultima
cittadina canadese, al confine con l’Alaska, che stava per
essere avvolta dalle
prime, fredde spire del buio.
Una volta allontanatisi discretamente
dall’aeroporto e dalla
zona abitata, bastò un’occhiata dorata di Logan
perché Erice gli si
raggomitolasse sulle spalle; così, insieme, si tuffarono
negli ultimi folti
boschi verde bottiglia del Canada, che nascondevano alla vista i primi
ghiacci
dell’Alaska, che stavano per essere abbracciati
dall’oscurità.
Erice, per un po’
viaggiò con la bocca spalancata per lo
stupore- la realtà che le sfrecciava attorno in tante
macchie di colore, la faceva
sentire parte di un grande quadro- poi però, d’un
tratto, pur sapendo che la
velocità cui Logan viaggiava, ed il suo potere, attivo, li
rendevano
praticamente invisibili; la tensione s’impadronì
di lei e le impose di fare
sempre gli stessi gesti: voltava indietro la testa, come per
assicurarsi
che(nonostante non vedesse nulla) da un angolo non sarebbe sbucato da
un
momento all’altro, qualche vampiro per tender loro un
agguato. Oppure, con una
mano, si toccava la giacca, all’altezza del cuore, dove aveva
nascosto la
lettera indirizzata a Santiago, che non aveva avuto il coraggio di
affidare al
vento, per paura che potesse essere recapitata a qualcun altro.
Presto però, tutte quelle
paranoie si dileguarono a causa
delle ventiquattro ore precedenti in cui non aveva chiuso occhio, e la
stanchezza la vinse, facendo sì che fluttuasse nel mondo dei
sogni mentre Logan
vegliava su di lei.
Possibile che stesse ancora sognando?
Il magnifico
spettacolo che le si presentò dinnanzi, le svuotò
in breve tempo la mente ed in
quel momento, quello era l’unico pensiero che le vagava nella
testa: stava
davvero vivendo la realtà, o tutto ciò che vedeva
era un sogno?
Logan l’aveva svegliata
dolcemente ed ora, le stava di
fronte, parlandole; ma lei non riusciva a concentrarsi su
ciò che il vampiro
diceva, perché era rapita dai riflessi roseo-dorati
dell’alba che stava
sorgendo all’orizzonte e che, sfiorando la pelle
d’alabastro del suo amico, lo
facevano somigliare ad un’aurora boreale. Ma non era tutto!
Persino
l’immacolata collinetta su cui si trovavano, bagnata dallo
scintillio
iridescente della belle di Logan, brillava come fosse un arcobaleno!
La ragazza fece,
all’indirizzo del vampiro, un ultimo
sorriso radioso poi, decise di prestare attenzione alle sue parole:
-
Siamo arrivati,
Erice. Sulla sommità di questa collina
c’è la casa di Eleazar: ne ho riconosciuto
l’odore dalla lettera che ti ha
inviato. Mi dispiace dirtelo, perché non vorrei pensassi che
ti sto
abbandonando- dal momento che non è così- ma temo
sia necessario che ti
presenti alla sua porta da sola: ti
conosce e si fiderà, altrimenti, vedendomi, potrebbe
insospettirsi(dal momento
che l’ultima volta che ci siamo incontrati, ero rinchiuso
nelle Prigioni di
Volterra)e non aver nemmeno voglia di ascoltare ciò che hai
da dirgli sulla
morte di tua madre. Come ho detto, non ti
sto abbandonando: ti avevo promesso che saremmo arrivati
insieme alla fine
di questo viaggio e così sarà, te lo giuro.
Tuttavia, per ora, dovrò
allontanarmi per perlustrare la zona qui attorno ed assicurarmi che
siamo
davvero al sicuro; poi, ti raggiungerò.- promise, prendendo
le mani di Erice
tra le sue, e baciandogliele con attenzione, sperando che il panico nel
respiro
di lei si diradasse e, un attimo dopo, svanì, sollevando al
suo passaggio una folata
di vento innaturale.
Silenzio. Ed
un’interminabile, immensa distesa di bianco.
Era sola. Erice era di nuovo sola. Ad un passo dal conseguire un altro
traguardo, dall’ottenere la sua prima
vera vittoria, era stata abbandonata.
Sentiva che da un momento
all’altro sarebbe crollata in
mille pezzi…non avrebbe permesso a nessuno però-
neppure a se stessa- di ostacolarla
in quel tentativo di rivendicare la sua
innocenza, quindi, nonostante le ginocchia le tremassero, la gola era
serrata
per il terrore; si costrinse a mettere un piede davanti
all’altro, per iniziare
a salire quella collina che, seppur dolce, le appariva insormontabile.
Ripeteva
ossessivamente a bassa voce sempre la stessa frase, nel tentativo di
farsi
forza:
-
devo parlare con
Eleazar, devo far sì che mi creda…-
Ma, quella ripetitività
meccanica la portò ad escludersi
dalla realtà, la rese cieca in merito a quanto stava facendo
e, invece, diede
libero sfogo alle fantasie della sua mente spaventata, che le
sussurrò,
fuorviante:
-
più
tempo sprechi qui, a camminare, minore sarà la
possibilità che avrai di parlare con Eleazar…e
poi, anche se arrivassi da lui,
cosa inventeresti per far sì che ti creda, assieme alla sua
compagna? Ho paura
che lui, visto il suo passato legame con i Volturi, li
chiamerà(perché
preferirà metter in dubbio te, piuttosto che la loro
autorità…)e, una volta che
Aro sarà arrivato, metterà fine al tuo atto di
ribellione nel peggiore dei
modi…così, Didyme sarà morta invano
perché tu non sei stata in grado di tener
fede alla promessa che le avevi fatto.- era una voce dalla
tonalità quasi
serpentina, destabilizzante, e rischiò di farla impazzire,
tanto che Erice non
si rese conto di aver bussato alla porta di una graziosa casetta con i
vasi di
fiori alle finestre ed il profumo di legno che si spandeva ovunque.
Non capì neppure che le
ginocchia le avevano ceduto e che
ora piangeva, rannicchiata con la schiena contro lo stipite di quella
porta
ancora chiusa. Tutto per colpa del suo cervello paranoico, che era
sicuro che
nessuno le avrebbe creduto, non quando il termine di paragone erano i
Volturi!
E quindi, adesso, era sicuramente condannata a perdere
quell’innaturale caccia
senza regole né confini, né una fine, solo
perché era un’umana! Se solo ci
fosse stato Logan al suo fianco…no! Anche lui
l’aveva abbandonata, dopo aver di
certo considerato quanto fossero disperate le sue
possibilità!
-
Erice…?
Sei tu?- una voce titubante, dal timbro
profondo, comparve dal nulla e la ragazza, sentendo che qualcuno la
chiamava
per nome, si sforzò di aprire gli
occhi…nonostante la vista appannata dalle
lacrime, dopo qualche secondo distinse un’imponente figura,
che sembrava essere
davvero troppo grande per la porta sulla cui soglia si trovava.
L’umana
considerò di doversi gettare ai suoi piedi ed
avvinghiarsi alle sue ginocchia come una supplice, ma il freddo
dell’ambiente
sembrava esserle penetrato nelle ossa. Non riusciva a muoversi, fu solo
in
grado di bisbigliare appena, con le labbra viola:
-
Eleazar…mi
serve il tuo…aiuto…- il suo tono era
supplichevole, umido di lacrime e la ragazza se ne vergognò:
quanto doveva
apparire cambiata agli occhi di quel vampiro che l’aveva,
invece, sempre
conosciuta come una persona caparbia!
Non vi fu alcuna risposta dalla
figura solo un gesto
invisibile che fece ritrovare Erice sollevata da terra, il tempo di un
battito
di ciglia; non seppe dire se le mani che le avvolgevano le gambe e la
schiena
fossero fredde, fu solo consapevole che in breve venne portata
all’interno di
un’abitazione che emanava calore. Aveva il viso poggiato
contro una leggera
camicia, che copriva un petto marmoreo emanante profumo, che Erice
riconobbe
essere- con un tuffo al cuore- lo stesso di Eleazar.
-
piccola Erice,
benvenuta a casa mia. Mi dispiace di non
averti aperto immediatamente, ma….non riconoscevo il tuo
odore! Sono davvero
felice di vederti, ma perché piangevi e come mai Santiago
non è con te?-
disse il vampiro, con un marcato accento spagnolo.
-
Eleazar…sono
dovuta scappare da Volterra e…ho bisogno
del tuo aiuto…- ripetè la ragazza in un soffio,
con le labbra screpolate. Pur
sapendo che non era stato saggio introdurre quelle informazioni,
perché di
certo l’avrebbero fatto insospettire, e forse non avrebbe
avuto la possibilità
di raccontargli la verità; l’aver incontrato il
suo viso radioso e fiducioso,
l’aveva spinta ad aprirsi. Sembrava davvero
felice di vederla, almeno quanto pareva realmente preoccupato per la
sua
situazione attuale!
Erice avrebbe voluto abbracciarlo con
gratitudine per la sua
sincerità, tuttavia, sentire il nome di Santiago tra le
parole del suo amico,
le fece provare una fitta lancinante al cuore- come se stesse
sanguinando(o
forse era la lettera che aveva ancora con sé?)- che la
paralizzò:
-
Erice…stai
tremando- che ti succede? Carmen,
ayudan me!- continuò
l’ex componente della Guardia, notando che la
ragazza tra le sue braccia, era scossa da violenti tremiti.
l’umana
sentì che le lacrime stavano tornando a pungerle, sotto le
palpebre e, anche se
non riusciva a tenere gli occhi aperti, avvertì del
movimento attorno a sé…un
secondo più tardi, infatti, si rese conto di esser stata
distesa su un divano,
davanti ad un fuoco che scoppiettava allegro (doveva esser stato acceso
appena
un secondo prima ed esclusivamente per lei, probabilmente) nel camino;
una
coltre morbida la copriva quasi completamente, tenendola al sicuro.
Erice
si sforzò di sorridere, piacevolmente sorpresa da tutte
quelle premure, ma
d’improvviso un pensiero le balenò nella mente e
lei si ritrovò a farsi una
sola, ossessiva domanda…perché loro e lei
stessa, stavano perdendo tempo in quel modo? Lei doveva
assolutamente
parlare con Eleazar e la sua compagna, e di una cosa molto importante,
peraltro! E loro…bhè, sperava
le
avrebbero creduto…
-
non
temere, Erice: ascolterò tutto ciò che avrai da
dirmi. Per il
momento riposa e rilassati, non appena Tanya sarà andata
via, tornerò da te.-
le promise lo spagnolo, chinandosi per baciarle la fronte. Lei si
coprì le
labbra con le mani mentre le guance le si tingevano di rosso,
perché aveva
capito di aver esposto le proprie paure ad alta voce.
-
Eleazar,
amico mio, grazie…- gli sussurrò, afferrandogli
un braccio, un
attimo prima che se ne andasse.
Da quel momento venne lasciata sola
e, per acquietare la
paura, riscaldare le membra e calmarsi, rimase ad osservare le fiamme
che
danzavano attorno a spessi ciocchi di legno, così piccole da
non sembrare furbe
e invece, erano astute, perché lentamente logoravano i
ceppi, assumendo
tonalità arancioni e rossastre. Ben presto quella calda
tranquillità mutò in
torpore ed Erice si ritrovò a chiudere gli occhi, il respiro
regolare. Quasi
immediatamente, quindi, la sua capacità d’udito si
acuì, e captò- attraverso
quello che appena un secondo prima le era sembrato un silenzio
densissimo- il
basso tono tipico dei vampiri:
-
allora Tanya, qual
è il tuo verdetto? Potremmo entrare
a far parte del clan di Denali?- stava domandando Eleazar, e la ragazza
se lo
immaginò con il suo solito atteggiamento filosofico, pacato
ed aperto, da
mediatore.
-
Avete dimostrato
di saper fare dei sacrifici, saper
sopportare la mancanza del sangue umano a favore di quello animale, e
ne ho
avuto prova certa proprio ora, che hai soccorso quella ragazza,
Eleazar. Siete
degni di entrare nel clan di cui sono a capo, ma prima di accettarvi
definitivamente, voglio sapere bene come conosci
quella…insomma, il suo cuore
batte: è un’umana. Come mai siete così
intimi, Eleazar? Sai bene quale sarebbe
la pena per un umano qualsiasi che conosce il nostro segreto,
e…per il vampiro
che gliel’ha rivelato. Conosci la legge…-
tentennò la vampira chiamata Tanya,
con voce squillante, simile a quella di tante campanelle
d’argento.
-
Conosco benissimo
le leggi dei Volturi, Tanya.-
l’ammonì con durezza il vampiro, ed Erice se lo
immaginò rigido, con le braccia
conserte, che fissava la vampira con gli occhi infiammati.- Comunque,
se
proprio ci tieni a saperlo, il nome di quella ragazza, è
Erice e non hai nulla
da temere da lei: è cresciuta tra i nostri simili, a
Volterra, da quando era
bambina. Il suo destino era quello di sfamarci, quando avesse avuto
l’età giusta,
ma Marcus e la sua compagna Didyme si sono affezionati a lei a tal
punto da
volerla “adottare” e chiedere che venisse ammessa
nella Guardia. Da allora è
fidanzata con Eleazar, un vampiro che faceva parte del mio stesso clan,
prima
che fosse smembrato e noi entrassimo a far parte del Corpo di Guardia
dei
Volturi…- le spiegò Eleazar, paziente, e col tono
che nascondeva qualche
sorriso, a quei ricordi.
Ci fu un secondo di silenzio poi,
violento, un ringhio
squarciò la calma di quel luogo, tanto che Erice, a qualche
metro di distanza,
sobbalzò.
-
questo non
è…possibile.
Non ti credo! E anche se fosse la verità, perché
la ragazza poco fa avrebbe
detto che è dovuta scappare da
Volterra?-
li attaccò Tanya. La sua voce trasudava rabbia pura ma
poteva dipendere dal semplice
fatto che aveva paura di quelle nuove informazioni. L’umana
comunque, se la
figurò con le labbra che lasciavano i denti scoperti, e
sentì una nuova ondata
di tristezza che la invadeva.
Le lacrime le appannarono di nuovo lo
sguardo ma si sforzò
di non fare alcun rumore…che stupida era stata! Con la sua
comparsa lì, stava
distruggendo la felicità che Eleazar stava cercando di
costruirsi. Possibile
che minacciasse tutto ciò cui si avvicinava?
No, questa volta sarebbe andata
diversamente! Eleazar era stato
uno degli amici più sinceri che avesse avuto, e non meritava
che la sua voglia
di cambiare, di essere migliore- che stava per essere premiata ora che
aveva
trovato un altro clan di vegetariani- subisse danni o addirittura,
venisse
distrutta.
-
basta! Non voglio
essere di nuovo causa
d’infelicità…Tanya, vuoi sapere la mia
storia, la mia verità? Te la racconterò.
Ma devi promettermi che sarai pronta ad ascoltare qualsiasi
cosa…- Erice si
sollevò di scatto a sedere, si asciugò in fretta
gli occhi arrossati ed
incontrò lo sguardo ambrato di una donna dal viso tanto
bianco da sembrare di
porcellana(come quello di una bellissima bambola) incorniciato da
lucenti ricci
biondi con sfumature rosa.
-
Ciò che
ti è stato raccontato da Eleazar è vero:
infatti, dopo esser entrata a far parte della Guardia, ho potuto
assumere il
cognome dei Volturi e di diventare la compagna di Santiago.
È risaputo, però,
che Aro mi detesta sia perché ho “travalicato il
limite” che mi era stato
imposto- e questo è sempre stato inammissibile per lui, in
qualsiasi occasione-
sia perché…mi crede responsabile della scelta di
mia madre Didyme e mio padre
Marcus di lasciare la congrega, secondo l’esempio di
Eleazar.- confessò la
ragazza ma, man mano che continuava, al ricordo della triste sorte che
la madre
aveva dovuto subire, la voce le si affievoliva.
Improvvisamente, si rese conto di
avere tre paia di occhi
puntati su di sé: Tanya pareva stupita, come se fosse stata
rapita dal racconto
di una bella favola; l’alta vampira dai folti ricci scuri e
la pelle olivastra
che doveva essere Carmen, era orripilata(quasi si aspettasse
ciò che sarebbe
successo dopo) ma solo Eleazar sembrava tanto fermo ed interessato da
pregarla
di continuare con un semplice gesto.
-
Aro quel
giorno…ha finto di dar loro la sua benedizione
per la partenza e…non appena è rimasto solo con
Didyme l’ha insultata,
accusandola di non capire il grande dono che lui le aveva fatto-
rendendola una
vampira e dandole la possibilità di far parte del clan
più potente, nel mondo
dei vampiri- : mia madre gli ha spiegato che, pur essendogli grata,
diventare
una vampira non era ciò che voleva perché, anche
se aveva trovato un compagno,
era stata privata della sua femminilità; cosa che sembrava
esser stata
risvegliata in lei, invece, dalla mia vicinanza…-
-
Perciò,
come andò a finire? Da come parli temo che Aro
non abbia concesso a Didyme e Marcus di andar via- cosa che,
sicuramente, gli
avrà fatto guadagnare il loro odio- ma, visto che sei qui da
sola, e dici di
dover essere “scappata da Volterra” ho ragione di
credere che, almeno a te, sia
stato permesso di lasciare la congrega…- il vampiro spagnolo
non completò la
sua ipotesi perché Erice, il viso basso, aveva iniziato a
scuotere la testa con
tale veemenza da farsi diventare le guance scarlatte.
-
So come
andò a finire perché li avevo seguiti, dal
momento che mi stavo insospettendo per il troppo tempo che
impiegavano.- le
lacrime tornarono a scorrerle copiose sul viso. - e l’ho visto…Aro aveva
l’anima nera come
la pece e…l’ha uccisa, sotto i miei occhi…- Erice si
premette
le mani sulle labbra mentre veniva scossa da forti singhiozzi.
Tanya fece un sospiro,
abbozzò qualche parola con un tono di
scuse- che somigliava ad un congedo- e, col passo veloce ma aggraziato
lasciò
il salotto per rifugiarsi in un’altra stanza, forse per
pensare.
-
quando ha scoperto
che ero lì, che potevo essere una testimone
che, con una parola avrebbe
potuto fargli perdere credibilità e potere, ha rubato il mio
pugnale e l’ha
mostrato a tutta la Guardia
per far sì che io apparissi
colpevole
della morte di mia madre…sono riuscita a scappare- prima di
assistere a tutto
questo- durante la festa di San Marco ma non oso pensare cosa sia stato
fatto a
Santiago e a…mio padre(che, ho motivo di pensare, abbia
subito una sorta di
“annebbiamento” tramite l’influsso del
potere di Chelsea.- la
rivelazione di quella verità terminò
così,
senza preghiere né suppliche ma solo le piccole mani di lei
strette a pugno, le
nocche bianche- a causa della tanta tensione che a ragazza provava- e
le
braccia rigide lungo i fianchi. – è la
verità, credetemi.- soffiò infine,
notando che era nuovamente circondata dal silenzio.
Una leggera risata risuonò
nell’ambiente, ed Erice sussultò
come se fosse stata bastonata.
-
questo non
possibile, Erice. Aro non avrebbe mai fatto
del male a sua sorella, né ad uno dei suoi fratelli.-
considerò il vampiro
spagnolo, guardando quella figuretta che, fragile come un foglio di
carta,
andava ripiegandosi su se stessa quasi fosse ferita.
-
Aspetta, Eleazar.
Pensa alle parole della tua amica e
ricorda come avvenne la distruzione del nostro clan. Non sei forse tu
che mi
racconti sempre che, dopo la rovina del nostro capo clan, hai
incontrato lo
sguardo di Aro(dalle cui labbra hai udito il nome “Chelsea
”)ed hai
immediatamente provato il desiderio di unirti alla sua congrega?-
intervenne
Carmen, avvicinandosi al suo compagno e guardandolo negli occhi mentre
gli
prendeva una mano tra le sue.
Eleazar la guardò
amorevolmente ma un secondo dopo aggrottò
l’alta fronte d’alabastro e…in seguito
ogni cosa avvenne in pochissimo tempo:
Erice si ritrovò le spalle circondate dalle fredde, belle
braccia di Carmen
che, per consolarla, le cantava una ninna nanna in spagnolo mentre le
sussurrava all’orecchio che le credeva. Il suo compagno,
invece, aveva iniziato
a passeggiare(con la velocità caratterizzante dei vampiri,
però)avanti e
indietro per la stanza, le braccia raccolte dietro la schiena; poi,
d’un
tratto, come colpito da un’illuminazione, annunciò:
-
hai ragione, mi
amor. Il potere di Chelsea è un’arma a
doppio taglio: può annullare o
rafforzare a piacimento i legami interpersonali, e i Volturi ne fanno
sistematicamente uso quando, dopo aver sterminato un clan, vogliono
appropriarsi dei vampiri dotati, che ne facevano parte. Ti credo,
Erice.- fece,
guizzando al fianco della ragazza e sfiorandole delicatamente un
ricciolo
castano.- e, da questa prospettiva sono propenso a distinguere due
motivi che
hanno spinto Aro a quell’orribile gesto: o ha agito
così perché Didyme sapeva
troppo in merito ai costumi e agli usi dei Volturi; oppure ha ucciso
sua
sorella perché…non voleva che Marcus abbandonasse
la congrega, dal momento che,
altrimenti, avrebbe perso potere…- Eleazar, detto questo, si
inginocchiò
davanti a lei, e le gettò le braccia al collo mentre la
ragazza mugugnava,
contro la sua spalla, qualcosa come “ io avevo pensato solo
al legame con
Marcus, perché si addice molto di più ad Aro, da
quello che ho potuto
apprendere su di lui…”ed infine, scoppiava a
piangere, commossa. Ce l’aveva
fatta!
Quando finalmente Erice si fu calmata
ed ebbe abbastanza
curiosità nei confronti della nuova coppia che aveva
davanti, da chiedere loro
come si fossero conosciuti o qualsiasi altra cosa le venisse in
mente…insieme i
tre s’erano aperti molto, l’uno con
l’altro, ed avevano riso, dimenticandosi
quasi della presenza di Tanya; e l’umana era stata
un’attenta uditrice di tutto
ciò che quei due vampiri avevano voluto raccontarle delle
loro avventure, ma
aveva anche osservato con occhio analitico, i loro modi di fare, dolci
e delicati,
così- dopo una fitta al cuore che le aveva ricordato
Santiago – decretò che
erano davvero fatti l’uno per l’altra.
Ora, sedeva sul pavimento di legno
del salotto, tra Carmen
ed Eleazar, sorseggiando cioccolata calda e, d’un tratto, il
suo amico spagnolo
le chiese:
-
se manchi da
Volterra da tanto tempo, come hai fatto a
sfuggire all’abilità di Demetri?-
-
Ti ricordi il
vampiro transilvano che i Volturi
catturarono poco prima di battersi con il conte Dracula?-
replicò lei, dopo un
sospiro, mentre, a disagio(dal momento che avrebbe dovuto rivelare
altri
segreti) si mordeva le labbra.- ecco…mi sono fatta battezzare e poi l’ho
rintracciato perché, grazie a…lui,
sono stata praticamente invisibile
in questo periodo.- confessò la ragazza, anche se non
spiegò quale fosse il
potere di Logan.
Non appena incrociò gli
occhi neri di Eleazar, notò con
dispiacere che il suo bel viso cereo era atterrito e velato di
tristezza.
-
e…ti
rende…felice?-
s’arrischiò a domandarle ancora il vampiro, con
fare timoroso.
-
Eleazar,
l’unico vampiro che può rendermi veramente
felice è Santiago, e lo sai.-
lo ammonì lei con un lieve sorriso, dopo aver riso,
poiché aveva compreso il
vero motivo della sua preoccupazione. – Logan si è
solo offerto di proteggermi
e di arrivare assieme a me fino all’affermazione della
verità. Se non fosse
stato per lui, nella situazione di svantaggio in cui mi trovavo, sarei
morta
dopo pochissimo tempo. Ti assicuro che non è mai accaduto
nulla tra me e lui,
perché il mio unico amore è Santiago, ed anche
Logan ne è consapevole.- gli
giurò, fissandolo negli occhi con espressione seria.- anzi,
dal momento che ho
scritto una lettera per il mio amato, non sapresti darmi qualche
consiglio su
come potrei fargliela avere, con la certezza che nessun altro
potrà leggerla?- s’informò
Erice, e stava per estrarre il foglio di carta dalla tasca interna del
giubbotto per mostrargliela, quando, all’improvviso, qualcuno
bussò alla porta.
La ragazza balzò in piedi
in un attimo, mentre Carmen
fissava la porta con espressione perplessa ed Eleazar, invece, si
irrigidiva.
-
questo
dev’essere lui! Logan mi aveva promesso che
sarebbe venuto a conoscervi dopo aver dato un’occhiata nei
dintorni, per
assicurarsi che fossimo al sicuro.- annunciò
l’umana e si sorprese a sorridere
perché la paura che lui l’avesse abbandonata-
assieme a quella di non essere
creduta- era stata scacciata.
Quindi, con slancio quella
coprì la distanza che la separava
dalla porta e la spalancò: il freddo che penetrò
in casa spense il fuoco nel
camino…
Il cuore di Erice mancò un
colpo e la tazza vuota che aveva
tra le mani scivolò a terra, producendo un’eco che
le parve lontanissima…
Fuori, nella bufera di neve che
imperversava, Logan non
c’era- anche se lei era consapevole della sua presenza, dal
momento che
percepiva l’aura del suo scudo. Davanti a lei, stava, invece,
un gruppo di
vampiri…
-
non pensavo
sareste venuti…è quasi l’alba e siete
stati
davvero tempestivi.- considerò la voce squillante di Tanya,
dallo stipite della
porta della cucina, cui lei era appoggiata.
Erice fece un gesto millimetrico
della testa verso di lei,
perché si sentiva tradita, ma la verità era che
non riusciva a distogliere lo
sguardo dalle quattro figure ammantate, disposte a rombo che, da fuori,
la
fissavano…l’ultima cosa che ricordò di
aver pensato, era che, secondo le parole
di Tanya, doveva già esser trascorso un giorno. Poi, tutto
ciò che vide, fu il
buio…
ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti!
Anche se si sente un’eco
assordante, perché manco davvero da
parecchio, vi prego non tiratemi i pomodori per la mia assenza. Mi
dispiace di
non aver postato prima ma la verità era che,
all’inizio mi mancava
l’ispirazione, e quando sono tornata a scrivere, non trovavo
un secondo
stiracchiato per passare tutto su pc e postarvi questo nuovo
capitolo(che, tra
parentesi, vi annuncio sarà il conclusivo di questa ff, ma
diviso in due post,
per via della prima e della seconda parte).
Allora, che ne pensate? Vi
aspettavate che Eleazar avrebbe
creduto alle parole di Erice? E che Tanya avrebbe tradito? Chi saranno
mai le
“quattro figure ammantate disposte a rombo” e
sbucate dal nulla?
Vi lascio con gli arrovellamenti di
cervello XD
Alla prossima con l’ultimo
post!
Un baciotto
Marty23
Ps: vorrei ringraziare le
commentatrici.
Ayumi_L:
Ciao
Ayumi! Ti ringrazio per il tuo commento, come sempre sei immancabile,
mi fa
sempre piacere leggere quello che pensi.
dunque, passo alle spiegazioni di
ciò che mi avevi detto ti
era poco chiaro( e non preoccuparti, non sei offensiva!): Erice era
stata
toccata da Demetri prima di diventare una Volturi, ricordi?
Perciò lui poteva
rintracciarla in qualsiasi momento in qualsiasi luogo si trovasse,
anche se con
il vincolo che Demetri poteva "percepire" Erice solo quando lei
pensava a Santiago. Siccome mi serviva un modo per rendere
definitivamente
libera Erice dalla capacità di Demetri di rintracciarla, ho
pensato di farla
battezzare( e prima ancora farla nascondere nelle
chiese)perchè le chiese sono
luoghi sacri e il battesimo è un sacramento. Tutto
ciò che è sacro rappresenta
in un certo senso un "ostacolo" per i vampiri che, essendo con
l'anima dannata sono fuori dalla grazia di Dio. Ovviamente il fatto che
Demetri
non potrà posare gli occhi su Erice è
un'esagerazione, (perchè, come hai visto,
Logan riesce a guardarla ed a toccarla pur essendo un
vampiro)semplicemente,
ora la sua capacità di rintracciarla è nulla.
spero di essere stata chiara,
altrimenti, dimmelo e cercherò
di rispiegartelo J
comunque, spero di non averti deluso,
alludendo ai Denali
come clan vegetariano e non ai Cullen…
Luce70:ciao
Luce!
Mi dispiace di avere una presenza così saltuaria e
“lunatica” dal momento che,
come dici giustamente tu, a volte non ci sono per molto e a volte
aggiorno in
frettissima! Spero che il capitolo ti sia piaciuto e mi auguro di aver
“placato” almeno un po’ la tua sete di
romanticismo con la lettera di Erice a
Santiago,(anche se non sono sicura che i due si incontreranno entro il
prossimo
post). Sono davvero curiosa di sentire il tuo
“verdetto”. J
A proposito grazie ad ognuno di voi,
per l’infinita pazienza
che avete dimostrato!
|
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Capitolo 27 *** la verità (parte 2) ***
Capitolo XVI
La verità
Parte 2
Erice riaprì gli occhi
lentamente e mise a fuoco il mondo
con prudenza: Logan era praticamente sdraiato su di lei, faceva forza
sulle
mani per non imporle il peso del proprio corpo, ma teneva il bel volto
di gesso
ad una spanna dal suo, e la fissava come se fosse stato preoccupato per
qualcosa, o ansioso.
-
Logan…-
esordì la ragazza, col tono innocente di chi si
è appena svegliato- sai? Ho fatto un sogno stranissimo:
andavamo a trovare
Eleazar per raccontargli cosa è successo a Didyme, ma tu non
aspettavi di
vedere se mi avrebbe creduto, andavi via, ed io credevo che mi avessi
abbandonato…alla fine, venivo creduta ma una vampira col
viso da bambola
tradiva me, Eleazar, e la sua compagna (non immagini che viso grazioso,
piccolo
e sempre illuminato da un sorriso); e faceva arrivare i Volturi a
nostra
insaputa…non lo trovi strano? Credo che sia stato tutto
frutto delle mille
paure che ho provato in questo periodo, ma era
così…realistico! Fortuna però
che sei qui, significa che ho immaginato tutto.- Erice si
stropicciò gli occhi
ingenuamente, non riusciva a capire come mai Logan
scuotesse la testa in maniera tanto
perentoria ed apparisse così teso, mentre la inchiodava con
lo sguardo. Lo
scansò con atteggiamento noncurante, mostrandogli un sorriso
sereno, perché le
lasciasse la possibilità di mettersi seduta.
Un attimo dopo, però,
mentre il sorriso le si spegneva sulle
labbra, si pentì del suo gesto perché, seppur
fiducioso, era risultato
avventato: Logan aveva esteso il suo scudo attorno a loro come una
cupola- la
ragazza fu colpita da quell’aura con tale veemenza da
rischiare di rimettere
per la nausea- perché li isolasse dagli altri vampiri che si
trovavano nella
stanza.
L’umana sentì
che il respiro le moriva in gola, il cuore che
le pulsava nel petto con il ritmo di un tamburo di
guerra…che gli occhi la
stessero tradendo?
Eleazar, nonostante mostrasse un
atteggiamento rispettoso
nei confronti dei quattro vampiri che erano entrati in casa sua,
stringeva la
mano della sua compagna e le nascondeva leggermente dietro di
sé, come per
proteggerla. Delle quattro figure, ancora coperte dai lunghi mantelli,-
di cui
due neri e due grigio fumo- solo uno
osava guardare dritto negli occhi verdi di Erice, anche se era
chiaramente a
disagio(come ogni altro, lì dentro)per via del potere di
Logan; e lei sentì che
decine di brividi le correvano lungo la schiena e tuttavia, non
riusciva a
distogliere lo sguardo dal suo viso in ombra.
Dopo qualche secondo, seppur con un
certo sforzo, riuscì a
voltare la testa verso Logan,- che le stava toccando piano una spalla,
per
richiamare la sua attenzione- ed a fissarlo interrogativa, in preda al
panico
puro.
-
e già: non è
stato un sogno, i Volturi sono davvero
qui.- le spiegò lui, con espressione rassegnata: era chiaro
che, ormai, quello era
l’unico modo in cui potesse
proteggerla- Da ciò che mi hanno detto, sono stati chiamati
da una certa Tanya
Denali.- in quel momento, nell’udire il suo nome pronunciato
da un punto
indefinito della stanza(visto che non poteva vedere né Erice
né Logan), Tanya
ringhiò.- ma secondo il mio punto di vista, lei ha agito
così perché vederti,
osservare il tuo ruolo, l’ha spaventata e di conseguenza si
è aggrappata
all’unica cosa che- nonostante le abbia procurato danni,
visto ciò che è accaduto
nella sua famiglia- le desse sicurezza: la zelante osservanza delle
leggi dei
Volturi…- il fatto che Logan avesse preso le difese di
quella che lei
considerava una traditrice, la ferì ma, allo stesso tempo,
l’aiutò a vedere il
comportamento di Tanya sotto un’altra luce. Tuttavia,
riflettendo sulle parole
dell’amico, scovò un dettaglio che le fece sorgere
un dubbio:
-
come sarebbe
“da quello che ti hanno
detto”? li hai incontrati, venendo qui? Perché mi
ricordo di
aver avvertito l’aura del tuo potere prima, tra di
loro…- fece, in un sussurro.
-
Già,
un’ “aura” terribilmente
fastidiosa…- osservò il
tono astioso di Caius, ed Erice, seppur con i brividi, fece un sorriso
amaro in
direzione dell’altra figura dal mantello nero- quella che,
come quasi tutti,
non guardava fisso verso di lei- per quell’esile battuta.
-
Sì
Erice. Ho incontrato i Volturi mentre venivo qui:
Marcus ha riconosciuto il tuo odore addosso a me ed ha
voluto…- ammise Logan.
-
Marcus?!- lo
interruppe lei, mentre un po’ di saliva le
andava di traverso.
-
…ha
voluto parlarmi, per spiegarmi che non intende
farti del male. Vuole solo proferire con te, ed ha portato con
sé dei
“testimoni”…- riprese a raccontarle.
– pensi di poter lasciare che ti spieghi
da sé perché è qui, o vuoi andar via?
Personalmente credo che dovresti dargli
la possibilità di riavvicinarsi a te, perché, per
essere qui, deve aver
affrontato diversi conflitti, anche personali…- le
consigliò.
Erice sorrise genuina al maldestro ma
dolce tentativo di
Logan di farla desistere dal suo desiderio di allontanarsi il
più possibile da
quella situazione di pericolo. Ciò che però lui
non sapeva, era che la ragazza
aveva agognato, invece, sin
dall’inizio- o almeno sin da quando aveva appreso che Marcus
era presente in
quel gruppetto di nuovi arrivati- riappacificarsi con suo padre.
Posò una mano sulla spalla
del suo amico vegetariano,
sorridendo, per fargli capire che era d’accordo con quanto
pensava anche lui,
così, mentre si rimettevano in piedi insieme, Logan faceva
sparire lo scudo
tutt’attorno a loro e, all’improvviso, lo sguardo
di tutti i vampiri presenti,
si posò su quei due.
Ci fu un momento di silenzio
densissimo.
Erice fece un respiro profondo(era
convinta di ciò che
faceva, ma le albergava ancora nel cuore, un briciolo di paura) e, dopo
un lunghissimo
secondo, sollevò la testa per fissare la figura dal mantello
nero che,
temeraria, aveva incrociato il suo sguardo fino a un momento prima,
nonostante
il potere di Logan fosse stato attivo. Il viso della sconosciuto di
mosse
appena, lasciando che almeno le labbra sottili emergessero dalla pozza
di buio
prodotta dal cappuccio che indossava: sottili ma bellissime, si
incurvarono in
un sorriso e, subito dopo lui, - attento a muoversi con tanta lentezza
da fare
invidia ad un essere umano- abbassò il cappuccio, lasciando
che la lunga chioma
scura gli si adagiasse sulle spalle.
Le tre figure che erano con lui,
voltarono le teste in sua
direzione, come se avessero atteso un segnale, che dava loro il
permesso di
seguire il suo esempio; poi, rapidi come solo un vampiro sa essere,
mostrarono
i loro volti, abbandonando sulle spalle i cappucci dei
mantelli…
Il cuore di Erice ebbe un sussulto di
felicità ed
immediatamente prese a batterle come un folle nel petto: dinnanzi a lei
c’erano
quattro componenti dei Volturi, ma non i famigerati quattro che aveva
temuto
fossero(Alec, Jane, Demetri e Felix), bensì quattro vampiri
che sicuramente
sarebbero stati suoi alleati…Caius, Afton, Chelsea e Marcus!
La ragazza fece per lanciarsi tra le
braccia del padre-
sentire la stretta protettiva ed affettuosa delle sue braccia fredde,
avrebbe
sicuramente fatto dimenticare ad entrambi la dolorosa, prolungata
lontananza
che avevano dovuto patire- ma, all’ultimo momento, una morsa
d’acciaio la
trattenne…Erice guardò biecamente Logan, che
sembrava teso come quando si
acquattava in posizione d’attacco. Perché prima
aveva parlato di riconciliazione,
se ora non le
permetteva di muovere un passo? Perché si stava
contraddicendo in quel modo?
-
Logan, hai tutte
le ragioni di voler essere prudente,
ma credo che la scelta spetti ad Erice. Ti confesso però,
che non mi aspettavo
che, dopo aver ascoltato le mie ragioni- poco fa- tu fossi ancora
così restio a
darmi credito. Tuttavia, voglio ringraziarti per aver convinto mia
figlia a
volermi parlare; inoltre, ti sono ancora più grato per
averla protetta, per
tutto questo tempo.- disse Marcus, con la voce pacata di un gentiluomo.
-
Non l’ho
fatto per
voi. Non l’ho protetta per voi, Marcus.-
replicò il vegetariano, mostrando
i denti.
La ragazza avvertì la
testa girarle tanto vorticosamente che
riusciva a concentrarsi su un unico pensiero, ossia il bisogno
impellente di
mettere più distanza possibile tra lei e quel luogo, e
sparire, sparire e basta
perché immaginava che, se fosse andata avanti
così, lei sarebbe scoppiata a
piangere (chissà che magari tutto il dolore che sentiva-
come una minacciosa
voragine pronta a trascinarla giù- non sarebbe svanito,
annegando tra le
lacrime?) poiché temeva che presto o tardi, entrambi i
vampiri- Logan e Marcus-
le avrebbero chiesto di scegliere da che parte stare.
Ma lei non voleva questo: desiderava
invece, solo raccontare
la verità, in maniera oggettiva;
senza prese di parte né scelte. Pertanto quella situazione
iniziava a darle la
nausea: Nonostante infatti da bambina fosse stata
“accettata”tra coloro che
certo non potevano definirsi suoi simili,
e s’era costruita una vita
con quei
vampiri; era già successo che lei stessa fosse causa di una
rottura all’interno
del clan, ed ora che stava per accadere di nuovo, poiché lei
era rimasta
vittima di un sistema corrotto,
rischiando di venirne schiacciata a causa delle machiavelliche
macchinazioni di
Aro; Erice era così stanca che avrebbe voluto chiudere gli
occhi, in attesa che
tutto ciò che aveva attorno, sparisse…
Con un impeto di rabbia, invece,
strattonò via la propria
mano dalla stretta gelida di Logan, lo fissò caparbia e,
decisa, fece un passo
indietro mentre la spessa barriera che tanto faticosamente
s’era costruita dopo
la morte di Didyme- le sue maschere, e la sua possente armatura- che
tornava ad
avvolgerla per proteggerla da tutto ciò che sentiva pronto a
minacciarla ancora
una volta. Lei era un’umana, null’altro,
perché mai s’era dovuta immischiare in
quegli “affari” dall’aria eterna?
Marcus soffocò a stento un
sospiro di dolore. Vedere nella
figlia quella repentina regressione gli aveva riportato alla mente il
ricordo
di quanto era successo subito dopo la morte di sua
moglie…era la stessa
sensazione di allora: Erice si era volutamente
ritirata dal mondo, per la sua percezione di non avere più
un posto, di non
appartenere più a nessun luogo.
Indifferente allo sguardo astioso del
fratello e dei suoi
tentativi di trattenerlo, quindi, il vampiro moro si mosse con un
guizzo, ad
una velocità inaudita e subito comparve dinnanzi
all’umana. Inginocchiatosi al
suo cospetto, le afferrò la veste, come un supplice.
Logan ringhiò teso,
accanto a lei, ma l’umana quasi non lo
sentì, perché il suo cuore ebbe un moto di
commozione; quando prese fiato per
parlare si rese conto che la sua voce tremava:
-
hai ragione padre,
la scelta è la mia. Ma
ho paura, ora più
che mai, perché per ciò che ne so potreste esser
stati inviati da Aro- ben
celati sotto la maschera della fiducia- solo per uccidermi. E
sinceramente sono
stanca di dover fuggire da ogni
cosa;
di dover far risuonare la mia voce nel silenzio, senza la certezza di
essere
creduta; sono stanca di dover risolvere una situazione più
grande di me…-
in quel momento un dito gelido si
posò sulle sue labbra, e
lei si acquietò.
Marcus Volturi l’aveva
zittita con delicatezza. Sul suo bel
viso sembrava esserci la consapevolezza pura delle parole che aveva
appena
udito, ed un desiderio di condivisione tanto intenso che a guardarlo,
faceva
male. Per un istante i due si guardarono. Nell’aria
veleggiò tutta la tensione
che entrambi provavano, ma anche l’affetto che li aveva
uniti, e mentre il
vampiro si concedeva di carezzare fugacemente una guancia della figlia-
augurandosi che avrebbe smesso di tremare- ; Erice, valutando se poteva
fidarsi
davvero di lui e dei nuovi arrivati, cercava invece, quella certezza
nei suoi
occhi neri- dai quali non riusciva ad allontanare gli occhi- e si
detestò
immediatamente per aver dubitato di suo padre, dal momento che il suo
sguardo
diceva chiaramente che avrebbe preferito morire di fame, piuttosto che
averla
lontana. E magari era lì per confessarle che le credeva
davvero.
-
hai ragione
piccola mia. Hai tutte le ragioni del mondo
e mi dispiace di esser stato la causa dei tuoi malesseri, dei pericoli
che hai
corso, ma ti prego di concedermi di spiegarmi. Poi deciderai se
potrò aiutarti
ad affrontare questa situazione in cui ti sei trovata, più
grande di te; oppure
se dovrò andar via. Se così sarà ti
prometto che nulla ti minaccerà più, ma per
prima cosa, ti prego: ascoltami.- il tono supplichevole e sofferente
dell’Anziano distrusse in mille pezzi le
“protezioni” dietro cui, un attimo
prima la ragazza si era trincerata e, mossa da una compassionevole
fiducia,
Erice prese la bianca mano del padre e, custodendola amorevolmente tra
le sue,
lo aiutò a rialzarsi. Non voleva che se ne andasse, e
probabilmente Marcus
glielo lesse in faccia perché sorrise, sincero; sedette
quindi, al suo fianco
solo dopo essersi assicurato che sua figlia fosse a proprio agio sul
divano
dinnanzi al fuoco.
-
Ti ascolto,
padre.- sembrò quasi che lei le avesse dato
il permesso di parlare, ma in realtà era
emozionatissima(oltre al fatto che
contribuiva anche un po’ la vicinanza con il camino acceso).
-
C’è
così tanto che vorrei raccontarti, Erice, che non
so da dove iniziare. Mi sei mancata immensamente.- esordì il
vampiro,
imbarazzato e teso, ma emozionato al tempo stesso; la confusione e la
felicità
che provava erano come due titanici pilasti che gli avvolgevano cuore e
mente.
Ciò che provava era talmente nuovo per lui che non seppe
dargli un nome: tutto
ciò che sapeva era che a causa di ciò che
sentiva, aveva la lingua annodata,
tanto da non riuscire a parlare; o almeno non abbastanza da riuscire ad
esprimersi completamente, come avrebbe voluto. Quindi
preferì restare a
guardare il viso della figlia, studiarne ogni piccolo particolare per
coglierne
l’essenza, nella speranza che si colmasse l’immenso
vuoto che aveva avvertito
durante il periodo in cui erano stati lontani.
Erice fece praticamente la stessa
cosa: ammirò, colse,
esaminò ogni movimento, sguardo o parola di Marcus- che per
molto tempo aveva
sognato, ed invece ora era dinnanzi a lei, in tutto il suo splendore-
e,
nonostante vi fosse ancora un briciolo di diffidenza nel suo cuore,
alla fine-
ricordando quanto il suo sguardo nero le avesse parlato di
ciò che anche lui
aveva sofferto, ciò di cui era stato privato, per trovarsi
lì- si lasciò
sopraffare dalla nostalgia che in quell’anno aveva cercato di
nascondere,
ignorare, tacere. Presto quindi, si ritrovò con la guancia
premuta contro la
gelida mano del padre, la vista offuscata da lacrime di gioia. In quel
momento
il tempo si fermò, fluttuò, senza scorrere e non
esisteva altro all’infuori di
loro due.
Quasi immediatamente però,
qualcuno si schiarì la voce:
padre e figlia sussultarono, poi l’umana scoppiò a
ridere perché, scoperto che
il suono proveniva da Caius, ricordò che il compagno di
Anthenodora non era
abituato alla vista di dimostrazioni d’affetto di qualsiasi
tipo.
-
ehm…come
ti dicevo, inizierei complimentandomi con te
perché…sì, ti abbiamo addestrato bene
ma hai anche recepito ogni cosa in fretta
ed alla perfezione…ed è merito tuo se ora so.-
continuò il padre di Erice, ma
lei lo guardò perplessa: la confusione dovuta
all’emozione poteva anche concedergliela,
ma ora non riusciva davvero a capire cosa volesse dirle.
-
Ciò che
tuo padre cerca di dirti, Erice, è che ha
scoperto ha scoperto i misfatti di Aro, ormai e vorrebbe complimentarsi
con te
perché sai pensare con la tua testa, senza paura e le
ipotesi che hai fatto su
ciò che è successo ad Evangeline, su come
“l’assassino” si è comportato
con suo
fratello…sono giuste, e
di
quest’ultima posso esserti testimone in prima persona
poiché Aro si servì di me
per “cancellare la memoria affettiva”
del mio signore Marcus. Fu quando egli iniziò a fare molte
domande al Consiglio
in merito a quanto fosse accaduto a sua moglie, o sul perché
tu fossi
sparita…allora Aro mi ordinò di cancellare dalla
mente di tuo padre qualsiasi
ricordo tuo, o di Didyme, che egli serbasse. Mi spaventai,
perché dovevo farlo, non
avevo modo di oppormi,
eppure avevo ridotto il mio signore, tuo padre, a null’altro
che un fantoccio…-
intervenne Chelsea, con voce amara ma riuscì a spiegare ogni
cosa, salvando la
situazione. Erice le sorrise mentre notava che era bellissima, come
sempre ma,
man mano che continuava a raccontare, il suo splendido viso di cera si
rabbuiava, celato dai suoi folti capelli biondo scuro e pareva
sciuparsi, per
via del peso dell’indicibile segreto che a lungo aveva dovuto
mantenere.
Erice riprese a tremare come una
foglia a quelle notizie,
poiché la terrorizzava l’idea di non esser stata
la sola ad aver subito
privazioni e sofferenze, quindi, si coprì le labbra con una
mano mentre il suo
cervello lavorava spedito e, un attimo dopo, posò
l’altra sulla spalla della
vampira bionda dall’ambiguo potere, per dimostrarle che le
era vicina; che,
almeno in quel momento, condividevano le stesse emozioni e che, se si
sentiva
in colpa per qualsiasi cosa, aveva il suo perdono.
Nello stesso istante a mostrarle eguale solidarietà,
comparve, sull’altra
spalla della bella Chelsea, la mano di gesso di Marcus. Il vampiro e
sua figlia
intrecciarono i propri sguardi con aria complice ed un lieve sorriso a
fior di
labbra…forse, l’affetto che li aveva uniti non era
mai stato qualcosa di
effimero ma, cautamente celato sotto la cortina di apatia di Marcus
aveva
resistito alle menzogne di Aro, vincendo ed ora stava facendo mostra di
quanto
fossero profonde le sue radici.
-
grazie delle tue
parole, Chelsea.- le sussurrò Marcus,
grato.
Con un sorriso allora, lei
chiamò accanto a sé il proprio
compagno, ed insieme sedettero sul pavimento, ai piedi di Erice. Alla
ragazza
fece piacere rivederli, accorgersi che i sorrisi che le indirizzavano
erano
sinceri, tuttavia, le faceva male osservare i loro atteggiamenti
intimi: le
ricordavano tremendamente Santiago, che forse lei aveva perso per
sempre…mordendosi le labbra però, si costrinse a
riportare la propria
concentrazione sulla conversazione che stava avendo e
domandò, ora che riusciva
a fare un po’ di chiarezza con le informazioni ottenute:
-
ma…se
Aro ti ha ordinato di cancellare la “memoria
affettiva” di mio padre, affinchè non ricordasse
nulla di me, come mai siete qui?-
-
in principio
infatti, mi sono sentito svuotato,
senza scopo, ma un ossessione- che
però non avevo ben
chiara- continuava a tenermi vigile, facendomi quasi
impazzire…continuavo a
vivere ogni giorno, a causa di essa, e continuavo ad avere delle
domande anche
se avevo una sorta di consapevolezza latente di non poterle esporre ad
alta
voce. Così, per un po’, ossessionato, sono rimasto
estraneo al mondo che
continuava a scorrermi intorno…
Poi,
un giorno, incontrai
Santiago: sembrava avere difficoltà a starmi vicino, quasi
provasse ribrezzo
per me, e soffriva visibilmente, glielo leggevo in viso…era
come se fosse stato
privato di una parte di sé, tanto che riconobbi nei suoi
occhi lo specchio del
dolore che provavo. Dopo essermi a lungo chiesto cosa lo avesse ridotto
così,
iniziai ad invidiarlo perché eravamo nella stessa
situazione- anche io infatti
mi sentivo defraudato di qualcosa, eppure non ricordavo
di cosa si trattasse- lui però riusciva ad esprimere
il proprio dolore, a
differenza di me. – riprese a raccontare il vampiro moro. Sua
figlia ascoltava
rapita e, dopo aver notato di sfuggita che Marcus appariva di nuovo
molto
simile all’uomo appassionato e determinato che aveva
conosciuto, lasciò che le
sue parole le penetrassero fin sotto la pelle, quindi, con uno scatto
strinse
la sua mano bianca in una morsa estremamente umana…non
riusciva a concentrarsi
su altro all’infuori del proprio respiro(che s’era
fatto affannoso)e delle
pareti della stanza che tremavano pericolosamente…
-
Erice!- la
chiamò una voce lontanissima, quasi fosse
l’eco di un sogno, ma all’improvviso quello divenne
realtà e lei distinse il
suo volto, e le sue mani bianche, che l’afferrarono,
trascinandola in salvo,
riportandola alla realtà.
-
Ti fa ancora
male parlare di Santiago, vero?- volle sapere Logan, - che Erice
ritrovò
stranamente accanto a sé- preoccupato. La ragazza avrebbe
giurato di averlo
visto far guizzare uno sguardo rabbioso verso i quattro Volturi, per
far
comprendere loro quanto ancora lei stesse soffrendo. Erice allora
raccolse le
ginocchia al petto, senza alzare lo sguardo e, felice che i folti ricci
castani
nascondessero quanto stesse male, parlò, consapevole di
essere attorniata da
ogni singolo vampiro presente in quella stanza.
-
Sì, mi
fa male, malissimo. Principalmente perché sento
moltissimo la sua mancanza e…dopo aver udito ciò
che Aro ha inflitto a tutti
voi, a tutti coloro che amo, non oso pensare…ho paura di sapere cosa gli possa esser
capitato, cosa il mio amato
abbia dovuto subire…temo che…che non
mi
ami più…-confessò, con voce
fragile, mentre il cuore le piangeva. D’un
tratto dopo un sospiro addolorato che parve restare sospeso in aria,
qualcuno
le sollevò il mento con due dita e la ragazza
trovò il bel viso del padre,
vicinissimo, ad una spanna dal proprio.
-
Piccola mia, lui
ti ama.
Profondamente. E mai una volta si è fatto sedurre dalle
menzogne dell’assassino
di mia moglie. Quando ci incontrammo, iniziai a studiarlo, a
seguirlo…finchè
non scoprii che durante il giorno assolveva ai suoi compiti, nella
Guardia, ma
il dolore che provava lo aveva spinto ad isolarsi dai suoi simili(tanto
che,
per qualche tempo Aro lo considerò una minaccia), e
riuscì a sfruttare ciò a
suo vantaggio poiché, notte dopo notte, caparbio, si
spingeva sempre più
lontano da Volterra nella speranza di ritrovarti…Una mattina
fece ritorno tra
noi con le spalle tinte di un’alba nuova, e il viso baciato
da una tenue, ma
diffusa, emozione. Venne da me, scansando chiunque altro si parasse sul
suo
cammino, e mi mostrò una cosa…- la
rassicurò Marcus, con tono dolce, accorato,
intriso di verità, e quando si fermò, Erice
rimase col fiato sospeso, il cuore
colmo di speranza. Avrebbe voluto pregarlo di continuare ma suo padre
tirò fuori-
con estrema delicatezza- dal mantello, il medaglione con lo stemma dei
Volturi
che le era appartenuto; quello che aveva sempre portato, almeno fino a
quando
non lo aveva gettato via, nei pressi dell’abbazia di
Sant’Antimo. Se n’era
quasi dimenticata! Con un sospiro emozionato lo accolse tra le mani
quasi fosse
una perla purissima e, con un tuffo al cuore, riuscì solo a
chiedere:
-
È
stato…Santiago a trovarlo, vero?-
-
Sì, lo
ha scovato vicino ad un…monastero. Quando me lo
ha mostrato ho ricordato tutto di te, di mia moglie e del mistero che
circondava la sua scomparsa. Da allora, presi una decisione: fingendomi
apatico, com’ero sempre apparso agli occhi di tutti, non
avrei perso occasione
di ascoltare i discorsi di Aro, per essere sempre un passo avanti a lui
su
qualsiasi sua idea, o futura azione. Fu Caius l’unico ad
accorgersi del mio
“doppio gioco” e si offrì di aiutarmi:
mi spiegò che avevo un solo modo per
nascondere ad Aro(o meglio, al suo potere) che sapevo; ossia coprire le
mie
nuove consapevolezze sotto una cortina di apatia. Nel frattempo, mentre
lui mi
circondava di pochi “fedeli” degni di
fiducia,(vampiri come Chelsea- che mi
spiegò cos’era stata costretta a farmi- Afton;
Corin e Santiago)insieme
elaborammo un piano per ritrovarti e…parlarti. Infatti,
scoperti i misfatti di
Aro, lo odiai ferocemente perché ci aveva allontanati, e
isolati, quasi messi
l’uno contro l’altra. Agognavo averti al mio
fianco, poterti dare delle
sicurezze e sapere la verità sulla…morte
di Didyme.
Il
tuo compagno non si arrese
mai, non smise mai di cercarti, ma i risultati sono sempre stati vani,
almeno
fin ora.- Marcus si fermò ed i suoi occhi neri, velati di
riconoscenza
incrociarono quelli di Tanya.- Adesso che, dalle tue stesse labbra ho
appreso
cosa sia veramente accaduto a mia moglie, non hai idea di quanta sete
di
giustizia mi arda nel petto.- ascoltare le parole di suo padre, quel
tono
espressivo e coinvolgente trascinarono completamente la ragazza in un
tuffo,
una sorte di finestra aperta su quanto fosse accaduto a Volterra in sua
assenza. Erice sollevò lo sguardo su suo padre(che la
fissava con le pupille
che scintillavano come fiamme nere)ed avrebbe volto dirgli che la sete
di
giustizia che lui sentiva, che anche lei aveva provato, era un fuoco e, nel suo caso, si era esteso
persino agli occhi. Ma non c’era bisogno di parole
perché ormai non c’erano più
segreti tra loro due, così, più rilassata, la
ragazza adagiò la testa sulla
spalla del padre, lì dove una volta gli aveva pulsato, con
tanto impeto, il
cuore.
Il
vampiro moro abbozzò un
sorriso a quel gesto: immaginando quanto sua figlia dovesse esser
rimasta
delusa dal “tradimento” di tutti quelli che avevano
fatto parte della sua vita,
non si aspettava un atteggiamento così fiducioso ed intimo,
eppure lo accolse
con profondo piacere. Avrebbe voluto anche abbracciarla o accarezzarle
una
guancia ma si rese conto che forse era troppo presto
e che l’avventatezza avrebbe potuto fargli perdere tutto
ciò
che aveva conquistato fino ad allora.
Erice
rimase per un po’
accoccolata sulla spalla del padre: il suo cuore cantava di
felicità. Sentiva
di aver ottenuto una grandissima vittoria; aveva vicino tutti coloro
cui teneva
– o quasi- tuttavia, comprendeva che, pur avendo conseguito
l’obiettivo che si
era prefissata, ormai il tempo delle parole era terminato: era giunto
il
momento dell’azione.
-
padre…non
sai quanto mi renda felice averti vicino. Temevo
che non mi avresti creduto, e ora che le mie paure sono state
scacciate…anche
se capisco il motivo per cui non hai portato con te Santiago(avrebbe di
certo
suscitato molti sospetti in Aro, una sua partenza assieme a te) ho una
domanda:
intendi fare qualcosa per rendere giustizia a mia madre?-
s’arrischiò a
domandare, gli occhi persi nel vuoto.
Da un punto indefinito alle spalle
dell’umana, giunse un
ringhio soddisfatto, dal tono così alto che lei si
ritrovò a sobbalzare con
violenza. Il cuore le pulsava atterrito nel petto ma tentò
di ironizzare- con
scarso successo- sulla propria reazione e sul particolare intervento di
Caius
che, seppur muto, era stato davvero loquace: pareva aver detto qualcosa
come
“finalmente si parla di cose serie!” e questo le
fece comprendere che neppure
l’ipotesi del doppio fine di Caius nel suo salvataggio, fosse
errata.
Marcus avvolse le spalle di Erice con
fare protettivo e
scoprì i denti, ringhiando appena in direzione del compagno
di Anthenodora:
come aveva osato spaventare sua figlia?
-
calmati Caius! Se
ciò che abbiamo pianificato andrà a
buon fine, avrai Volterra, come pattuito. A me interessa solo avere
giustizia,
per Didyme e per Erice, e lo sai. – lo rimproverò,
lo sguardo durissimo.
Erice perplessa cercò gli
occhi del padre, chiedendo
spiegazioni:
-
vedi piccola mia,
Caius ed io ci siamo confrontati non
appena ho riacquistato un po’di
“capacità di intendere e volere”; anche
se i
nostri desideri sono differenti, abbiamo lo stesso obiettivo:
distruggere Aro.
Siamo tra i Volturi da abbastanza tempo per sapere che prima o poi, per
un
motivo occasionale, nostro fratello vorrà appagare il suo
solito capriccio di
acquisire nuovi talenti, e per farlo dovrà distruggere un
clan dal quale
fingerà di sentirsi minacciato. Progettiamo di fargli
saltare la testa proprio
durante quella battaglia, così che, con la sua morte,
Didyme, tu ed io, avremo
avuto giustizia. Caius invece, potrà regnare su Volterra al
fianco della sua
compagna, come ha sempre desiderato. E…anche se hai
già esaudito il desiderio
che avevo, vorrei chiedertelo: prenderesti parte a
quest’impresa?- le disse
Marcus, lo sguardo nero intrecciato a quello verde della figlia. Non
intendeva
costringerla, era chiaro, ma probabilmente gli avrebbe fatto piacere la
sua
vicinanza in quel momento.
Erice balzò in piedi con
uno scatto, i volti sorridenti di
Logan ed Eleazar si spensero e, per un attimo, calò un
silenzio densissimo,
soffocante.
La ragazza fece qualche passo
indietro e si inginocchiò a
terra, per osservare con distacco quella situazione…suo
padre non aveva pretese
nei suoi confronti, ma cosa le si stava chiedendo di fare? Quando
avrebbe
dovuto attendere per vedere la fine del vampiro assassino, assetato di
potere
che ormai era divenuto il suo incubo peggiore? E, nell’attesa
del Giorno del
Giudizio di Aro, lei cosa avrebbe fatto? Chi le assicurava che, nel
frattempo,
Alec, Jane, Felix o Demetri, non la prendessero? Ma, d’altro
canto, non era
quella la promessa che aveva fatto a sua madre? Non le aveva giurato di
raccontare a tutti la verità? Aveva sette vampiri dalla sua
parte, in quel
momento e, per assicurarsi l’appoggio degli altri doveva solo
fare un piccolo
salto nel vuoto. Di quello però, ormai, non aveva paura. Non
più, perché non
era sola.
-
e sia.-
sentenziò, mentre si rimetteva in piedi.-
Accetto di essere al tuo fianco quando arriverà il momento
di fare giustizia,
padre. Non aspettatevi però, che non tornerò a
Volterra con voi, adesso.
Piuttosto continuerò a nascondermi e, nel frattempo, mi
terrò in contatto con
ognuno di voi (perché, riconoscerete che, pur sapendo la
verità, non potrete
fare ritorno a Volterra e raccontare alla Guardia ciò che
avete scoperto;
perciò servirà un’adeguata
“spinta esterna”- della quale mi
occuperò io- per
insinuare nelle loro menti il dubbio sulle parole di Aro);
così che avremo
abbastanza alleati per il Giorno del Giudizio.- le sue stesse parole
suonarono
alle orecchie di Erice tremendamente saccenti, tanto che
arrivò ad odiarsi per
aver di nuovo messo tra lei ed il padre una distanza, proprio ora che
si erano
riconciliati. Tuttavia, ogni vampiro che aveva davanti la stava
fissando come
se avesse detto qualcosa di davvero assennato; come se avessero avuto
davanti
un’attenta stratega; come se fosse cresciuta in tutto quel
tempo.
-
Come desideri,
figlia mia.- le promise il padre, e
mancò poco che lei si sciogliesse per la commozione: suo
padre stava finalmente
tornando a riconoscerla come propria figlia, o forse, non aveva mai
smesso.
Ormai, il patto era suggellato. Non
erano necessarie strette
di mano o firme su inutili pezzi di carta: Erice sapeva che quelle
parole si
sarebbero impresse a fuoco nella mente di tutti.
Così, dopo aver
abbracciato Afton e Chelsea, averli
ringraziati e pregati di fare attenzione finchè non si
fossero rivisti, vide che
sparivano oltre la porta di quella piccola casa, dispersa in Alaska.
Venne poi
il momento di osservare Caius che, puntando un dito contro Tanya, le
parlava a
bassa voce: sicuramente la stava avvertendo di non fare parola con
nessuno di
quanto aveva visto e sentito, quel giorno. In quel momento, allora,
l’umana si
ricordò che il vampiro biondo le doveva ancora un favore:
-
ah,
Caius…come ultimo favore, per la prossima volta in
cui ci incontreremo, ti chiedo di farmi avere il mio pugnale: se devo
combattere, non riesco davvero ad immaginarmi senza.- riuscì
a strappargli solo
l’ombra di un sorriso che, su quelle labbra sottili, aveva un
che di
inquietante. Infine, dopo averlo salutato con la mano, Erice vide che
anche il
compagno di Anthenodora spariva oltre la porta di casa di Eleazar.
-
Piccola mia,
grazie per tutto ciò che hai fatto per
noi. Ti abbiamo tradito ed avresti benissimo potuto voltarci le spalle,
ma non
l’hai fatto: sei più degna di ognuno di noi, del
tuo cognome. Tua madre sarebbe
fiera di te; io sono fiero di averti come figlia. Coraggioso Logan,-
aggiunse
rivolgendosi al transilvano- ti prego: proteggi mia figlia
finchè non arriverà
il momento di combattere. E se vorrai unirti a noi- nella battaglia per
spodestare Aro- inoltre, ti basterà solo dirlo e sarai il
benvenuto; magari riusciremo
a trovarti un posto per nasconderti, tra i
Testimoni…-sussurrò, e con quelle
poche frasi di congedo fece per andarsene, ma Erice- che stava per
andarsi a
rifugiare tra le braccia del suo amico vegetariano per festeggiare la
vittoria-
gli corse dietro e lo abbracciò, sulla soglia. Custodendogli
le mani tra le
sue, disse:
-
Grazie per avermi
creduto. Potresti consegnare questo
ad Aro, per favore?- chinando la
testa, si tolse il ciondolo in alabastro, a forma di cuore, che
Santiago aveva
realizzato per lei.- così, se dovesse fare domande su dove
siete stati, potrai
mostrargli questo e inventare di avermi ucciso. Ma, ti prego,
poiché
sicuramente Santiago lo riconoscerà, assicurati che lui e solo lui, abbia anche questa(almeno,
non si comporterà come Romeo, venendo a sapere della mia
falsa morte)- e, con
quelle parole consegnò al padre la lettera che aveva scritto
per il suo amato.
Marcus le sorrise e si
chinò per pizzicarle affettuosamente
una guancia. Ad Erice venne voglia di piangere: perché
dovevano separarsi
proprio ora che si erano ritrovati?
Perciò, seguendo il
consiglio di molti filosofi dei quali
aveva letto, colse quell’attimo e se lo tenne ben stretto al
cuore: fece un
leggero balzo ed allacciò con affetto le braccia al collo di
suo padre.
Marcus ebbe un lieve sussulto di
sorpresa ma ricambiò
immediatamente la stretta, emozionato, al culmine della
felicità. In quel
momento no esisteva nient’altro, c’erano solo loro.
Dal momento in cui lui fosse sparito
al di là di quella
porta però, una lunga ed ignota separazione avrebbe diviso
padre e figlia, ma
entrambi sapevano che nessuna distanza avrebbe potuto farli soffrire o
vacillare, perché ormai si erano riconciliati; avevano
trovato il loro
equilibrio.
-
ti voglio bene,
papà. – disse Erice, con le lacrime
agli occhi.
-
Anch’io
ti voglio bene, piccola mia.- replicò il
vampiro sincero e sereno come poche altre volte prima
d’allora. Inoltre, era
certo che, se avesse potuto, avrebbe pianto.
Non c’era però
bisogno di altre parole perché sia Erice che
Marcus sapevano che ciò che avevano detto, veniva dal loro
cuore. Erano
consapevoli anche che, ciò che stavano per fare avrebbe
riportato pace, ed un
nuovo ordine. E in seguito, qualsiasi fosse stato il loro futuro- buio
o
luminoso che si prospettasse- di una cosa erano assolutamente
certi: lo avrebbero affrontato insieme.
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Comincio con dei mega auguri di un
BUON ANNO NUOVO! E come
si sa, quando comincia una cosa nuova, c’è sempre
qualcos’altro che finisce…come
questa ff per esempio, perché quello che avete appena letto
è l’ultimo
capitolo!
Spero che vi sia piaciuto, che non
siate rimasti delusi(e
che si sia capito tutto, soprattutto) mi scuso anche per le ripetizioni
ma non
ho avuto tempo di ricontrollare il testo, perché visto il
mio ritardo, volevo
farmi perdonare in qualche modo.
Ringrazio le fedelissime
commentatrici:
luce70:
ciao
Luce! Grazie mille del tuo commento, spero che questo post ti sia
piaciuto
anche se alla fine, Santiago ed Erice non si riconciliano “di
persona”(ho
ragione di credere, però che la lettera che Marcus
consegnerà, farà miracoli!
;) ) come avrai visto il tradimento di Tanya, non può
propriamente definirsi
così, perché lei era semplicemente spaventata da
tutto il cambiamento che le ronzava
attorno. Che ne pensi poi delle identità dei quattro
“vampiri dell’apocalisse”?
Ayumi_L:
ciao
bella! Come sempre sei la prima a commentare! Mi ha fatto davvero
piacere
leggere il tuo commento, mi dispiace che non ci sia stato un vero e
proprio
Happy Ending tra Santiago ed Erice, ma spero che tu non sia rimasta
delusa dal
fatto che l’ho lasciato intendere, o in generale che tu non
sia rimasta delusa
dal capitolo
Grazie di tutto, ad entrambe, ma non
disperate perché presto
posterò un ultimo capitolo di
“ringraziamenti” dove ringrazierò a
dovere ognuno
di voi!
Baciotto
Marty23
|
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Capitolo 28 *** RINGRAZIAMENTI ***
RINGRAZIAMENTI
Ciao a tutti!
Questo è
l’ultimo, ultimissimo post che aggiornerò in
questa
ff perché come sapete, è terminata con la seconda
parte del capitolo 16. Anche
se, però come avete visto, il finale è rimasto
“aperto” perché credo siate
liberi di interpretare l’epilogo a vostro piacimento,
altrimenti se morite
dalla curiosità, ho scritto qualcosa alla fine della mia
precedente ff dal
titolo “LA SPIA E
IL
LICANTROPO” ma non vorrei vi rovinasse ciò che
avete immaginato di vostro,
perché tenete presente che “la spia e il
licantropo” è una storia che ho
scritto prima di questa e per esempio non tiene conto di personaggi
come Logan
.
Comunque, tornando a noi, vi confesso
che sono
emozionatissima mentre scrivo, perché- nonostante tutti gli
“angoli dell’autrice”
negli altri capitoli- questo post è un particolare
“angolo dei ringraziamenti”
solo ed esclusivamente per voi, perché ve lo meritavate
visto che siete stati sempre presenti, pazienti,
e…bhè
siete davvero tantissimi rispetto a coloro che seguivano le altre
storie che ho
scritto(il che mi fa pensare che questa vi sia piaciuta davvero). Mi
dispiace
potervi rivolgere solo dei ringraziamenti “di
carta” visto ciò che avete fatto
per me(penso per esempio a quegli utenti che mi hanno fatto sapere che
gli dispiaceva che questa storia
finisse…ci
credete che mi sono quasi venute le lacrime?) : perché,
vedete, non è stata
solo una questione di “seguire questa ff”
all’inizio per me è stato come un
gioco, ho provato a scrivere qualcosa e non appena mi sono arenata ho
lasciato
perdere…ma voi mi avete spronata, consigliata e
l’avete riscoperta, facendola
risorgere dal dimenticatoio dove stavo per abbandonarla. Siete sempre
stati
presenti quando aggiornavo e pazienti quando si trattava dei miei
ritardi,
dolci quando commentavate…e di questo vi ringrazio.
Inizio ringraziando i “commentatori”:
Luce70(per
la sua
estrema attenzione ai particolari e alla passione che vibrava in questa
storia), Ayumi_L(per la sua
puntualità e la sua dolcezza oltre che per
l’instancabile voglia di chiedere e
sapere sempre di più, senza paura J),
Ilovejackson_rathnorn, Ramona37(per
esser stata davvero una delle prime
ad aver scovato questa storia nel dimenticatoio ed a spingermi a
continuarla), Rasoiner, Dolce bambolina(per essersi accorta che
stavo per abbandonare di
nuovo questa ff a se stessa, -in assenza di ispirazione- e allora non
ha avuto
paura di chiedere, repentina, quando continuassi), HappyDayana,
enifpegasus
e Blue_moon.
Ringrazio con un abbraccio tutti
quelli che hanno inserito
“Erice Volturi” tra i preferiti:
AlicexCaius,
Ayumi_L, Cesarina89(che,
se non sbaglio aveva già inserito tra i preferiti
questa storia, quando ancora contava solo uno o due capitoli), Darlin_Dayi, Dolce
bambolina, Moon_Daughter,
Namine23, sweetkiwi, yuuki_love.
E a questo punto, da ringraziare
manca solo il
“popolo”(scusate se vi chiamo così ma
siete più di quanti avrei potuto
immaginare)che ha inserito questa ff nelle seguite:
AlicexCaius,
Animegirl91, Butterfly_Dream, Dolce bambolina, enifpegasus,
FrAncy_CuLlEn,
Frankie99, Happy Dayana, Irahsia_Arasehar_ , Jake_ele_love, JeGGe
Twilight, La
Loba, Luce70, meryj, Mizzy,
nene1964, Ramona37, Rasoiner, e fidelityLie
.
Ma non è finita qui!
Voglio ringraziare tutti quelli che
hanno seguito questa ff in veste di “lettori
silenziosi”!
E infine, un ringraziamento
particolare a Ramona37 ed Ayumi_L per avermi aggiunto tra i loro
autori preferiti!
Grazie davvero a tutti voi, penso che
questa storia non
sarebbe qui, se non mi aveste supportato!
Ps spero di non aver sbagliato a
scrivere il nik di nessuno!
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Capitolo 29 *** AVVISO/SORPRESA ***
SORPRESA
Salve
a tutti!
Come
ho già fatto nella mia storia su Eragon, lascio qui il link
del video che ho
realizzato su questa fan fiction.
È
pubblicato su youtube e il link è questo:
http://www.youtube.com/watch?v=LFQtumYP_PI&feature=youtu.be
Spero
vi piacerà: fatemi sapere cosa ne pensate!
Un
abbraccio
Marty23
|
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