Erice Volturi

di Pleasance Carroll
(/viewuser.php?uid=34896)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ERICE ***
Capitolo 2: *** Verdetto ***
Capitolo 3: *** Verdetto (parte 2) ***
Capitolo 4: *** Verdetto (parte 3) ***
Capitolo 5: *** Regole da Rispettare ***
Capitolo 6: *** punizione ***
Capitolo 7: *** punizione (parte 2) ***
Capitolo 8: *** quella soglia mai attraversata ***
Capitolo 9: *** quella soglia mai attraversata(parte 2) ***
Capitolo 10: *** quella soglia mai attraversata(parte 3) ***
Capitolo 11: *** insegnamenti affilati ***
Capitolo 12: *** AVVISO ***
Capitolo 13: *** insegnamenti affilati(parte 2) ***
Capitolo 14: *** il ruolo della Discordia (parte 1) ***
Capitolo 15: *** il ruolo della Discordia(parte 2) ***
Capitolo 16: *** una storia della buonanotte ***
Capitolo 17: *** l'abbraccio freddo della morte ***
Capitolo 18: *** Erice Volturi ***
Capitolo 19: *** il compagno della Discordia ***
Capitolo 20: *** il cambiamento serpeggia ***
Capitolo 21: *** trappola ***
Capitolo 22: *** il castello di carte ***
Capitolo 23: *** caccia e fuga ***
Capitolo 24: *** caccia e fuga (parte 2) ***
Capitolo 25: *** caccia e fuga (parte 3) ***
Capitolo 26: *** la verità ***
Capitolo 27: *** la verità (parte 2) ***
Capitolo 28: *** RINGRAZIAMENTI ***
Capitolo 29: *** AVVISO/SORPRESA ***



Capitolo 1
*** ERICE ***


CAPITOLO I

ERICE

 

Una misteriosa figura incappucciata correva con grazia, mentre lo scuro mantello si sollevava svolazzante attorno alle sue gambe, per via del vento innaturale causato dalla corsa.

Di colpo, dinnanzi alla sua vista acuta si parò un maestoso spettacolo e quella smise di respirare: come fossero abbracciate dai monti, delle affascinanti torri bianche si stagliavano nel cielo di velluto blu, simili a stelle, in quella notte.

Attorno alle torri sembravano esserci i resti diroccati di una cinta muraria forse risalente al medioevo e, poco distante, qualche colonna probabilmente appartenente ad un antichissimo tempio, stava ancora dignitosamente in piedi, come fosse un anziano che avesse visto molti secoli passare dinnanzi ai suoi occhi.

Quel luogo era così bello da sembrare appena uscito da una fiaba, la figura tremò rispettosamente, doveva aver perso la concezione di ogni luogo e tempo, alla vista di quel posto antico quanto lei. Restò ferma, senza respirare; quasi le dispiaceva esser giunta fin lì alla ricerca di qualcosa da mangiare, se avesse placato la sua fame, quel paese si sarebbe per sempre ricordato di lei con terrore…

Cosa doveva fare dunque?

Voltarsi, e tornare indietro?

Oppure perseverare nella sua ricerca?

D’un tratto una folata di vento l’investì in pieno viso, portando con sé il profumo di sangue umano, pulsante di vita,proveniente dalla città…

Quel profumo era così invitante che in un attimo, simile ad uno squalo in frenesia alimentare, la figura mandò all’aria tutti i suoi buoni propositi e riprese a correre con rinnovata energia: in breve rese nulla la considerevole distanza che la divideva da quel piccolo borgo; attorno a lei le sagome degli alberi,delle rocciose montagne sfrecciavano veloci,diventando solo una massa indistinta di colore. Ma la sconosciuta non ci badava perché ormai il veleno le inondava la bocca, la sete le bruciava ardente in gola, ed i suoi occhi cremisi scintillavano minacciosi nel buio, esaminando veloci e precisi ogni cosa la circondasse.

Favorita dalle tenebre,avanzava indisturbata e silenziosa come un fantasma danzante tra le strade ciottolose del centro abitato, alle sue orecchie attente giungevano i battiti cardiaci degli umani,che dormivano al sicuro nelle loro case.

La figura abbassò il cappuccio ridendo beffarda:era sicura che avrebbe potuto uccidere tutti in pochissimo tempo, e nessuno se ne sarebbe accorto, avrebbe lasciato dietro di sé una città fantasma che al sorgere del sole non si sarebbe più svegliata…

Un’altra folata di vento la colpì, ed i capelli,che aveva accuratamente raccolto in una crocchia si sciolsero, riversandosi in una fluida cascata d’argento sulle sue spalle e rivelando la sua femminilità.

Quel sospiro d’aria aveva portato alle narici della donna l’ancora più intenso profumo di sangue, distinse il pulsare di due cuori, uno batteva più frenetico rispetto all’altro…

Era vicina. La sete stava diventando insostenibile, ma quella donna era un’esperta cacciatrice e sapeva essere paziente.

Finalmente,dopo aver oltrepassato l’ennesimo vicolo giunse ad una graziosa piazza e li vide:ad un metro da lei un uomo con i capelli color nocciola le dava le spalle,fissando una donna, il cui cuore batteva frenetico e spaventato, la cui schiena era schiacciata contro un muro e sembrava sul punto di piangere.

-         dammi la bambina…-sussurrò lui, ma alle orecchie della donna ammantata quelle parole velate di minaccia,giunsero come se fossero state urlate.

La donna costretta al muro, scosse piano la testa ed una massa di riccioli bruni ondeggiò con lei;strinse con decisione al petto un involto di coperte canute,con fare protettivo.

La donna incappucciata, protetta dalle tenebre, seguiva la scena in silenzio simile ad uno spettro notando ogni minimo particolare: l’uomo ripeté una seconda volta ciò che aveva detto,e dinnanzi ad un nuovo rifiuto estrasse fulmineo un oggetto di metallo nero,ed uno sparo ruppe il silenzio,straziante come un urlo.

La donna bruna si  accasciò a terra senza un suono,il respiro affannoso e gli occhi scintillanti d’odio mentre fissava l’uomo avvolgendo con le braccia la neonata, che iniziò a piangere.

La figura ammantata chiuse gli occhi,riconoscendo la musica prodotta dal lento flusso di sangue che fuoriusciva dal corpo della donna per poi toccare terra;si leccò le labbra desiderosa di assaporarlo ma fu distolta dai propri pensieri avvertendo il respiro calmo dell’uomo che disse ancora:

-         dammi la bambina…- lo si udì sollevare il braccio e la cacciatrice si mosse con un unico scatto, per impedirgli di sparare.

La pistola infatti si disintegrò subito nella sua mano affusolata e bianca,dura come roccia:

-e se non volesse?-gli domandò,con un ringhio minaccioso mentre vedeva la paura animare i suoi occhi.

Per un attimo lei incontrò lo sguardo smeraldino della donna riversa a terra,poi tutto avvenne in pochissimo tempo:la sconosciuta cacciatrice gettò lontano la pistola, ormai ridotta ad una piccola sfera di metallo nero, afferrò l’uomo per il colletto del giubbotto di pelle,sollevandolo da terra,e mentre questo si dibatteva terrorizzato,alla vista dei suoi occhi rossi,lei gli spezzò il collo,ponendo fine alla sua vita.

Calato il silenzio,la donna resistette a stento all’animalesco impulso di avventarsi su di lui e bere il sangue che sgorgava dalla morbida carotide,ma se lo impose poiché poteva ancora sentire il respiro agitato di quella donna,l’unica testimone di quanto era appena successo,l’unica testimone della natura vampiresca di quella cacciatrice che l’aveva appena salvata.

La donna ringhiò ancora,poi cercò di darsi un contegno e si avvicinò con passo eccessivamente lento alla vittima,ferita.

-come…come vi chiamate?-chiese la donna,parlando per la prima volta, con voce roca ed affaticata,rivolta alla sua salvatrice ammantata.

- Didyme…-bisbigliò lei quando si fu inginocchiata a terra;era sicura che nessuno oltre quella donna morente l’avrebbe sentita,ed inoltre non aveva nulla da temere poiché quella vittima non sarebbe sopravvissuta a lungo.

-dove ci troviamo?-continuò la donna chiamata Didyme,ricordando di aver perso la concezione spazio-temporale.

-Erice…-sibilò la donna,con una smorfia,si strinse la pancia rabbrividendo.

-non temere…ti farò smettere di soffrire…- la rassicurò Didyme mentre le sollevava la testa con forza.

La donna rabbrividì per la paura,ma suo malgrado sorrise,perché sentiva che la morte stava per sopraggiungere.

Lo sentì anche Didyme,ma prima di spezzarle il collo,fu fermata dalla mano della donna che sfiorò timorosa la sua pelle gelida e, raccogliendo le ultime forze supplicò,con voce strozzata:

-         Vi prego Didyme…prendetevi cura di mia figlia- spinse la neonata piangente verso la sua salvatrice,ed osservò sollevata mentre questa prendeva in braccio il piccolo fagotto con aria perplessa;quindi stremata dalla ferita al ventre,si lasciò spezzare il collo dal bellissimo angelo della morte che le stava davanti.

Alla fine la fascinosa vampira dalla pelle di gesso, si godé il silenzio e quando respirò a pieni polmoni l’odore del sangue, si scagliò sui due cadaveri, dedicandosi alla sua cena:prosciugò entrambi i corpi sin dall’ultima goccia di sangue, succhiando avidamente il liquido vitale persino da terra per non lasciare tracce,sembrava simile ad un gatto che beve il latte, agì velocissima con estrema maestria.

Quando fu finalmente sazia, i suoi occhi si accesero di un intenso color rubino, e si sollevò da terra lentamente mentre si inumidiva le labbra con la lingua…

Sorrise, nel momento in cui il suo sguardo si posò sulla bambina:se ne era completamente dimenticata. L’aveva abbandonata a  terra,ed ora quella stava in silenzio.

Didyme quindi si avvicinò a quella neonata:sarebbe stata un perfetto coronamento di quella cena,simile ad un dolce paffuto. Ma quando la prese tra le braccia,lei sorrise e delle dolcissime fossette le comparvero sulle guance.

La vampira rimase interdetta per un secondo, ma, solerte si chinò sul suo collo senza farsi troppi scrupoli, eppure,nel momento in cui comprese che non era abbastanza buona da mangiare perché ancora troppo piccola,disse rivolta alla bambina:

- vieni piccola,ti chiamerò Erice…attenderò che tu cresca per onorarti di essere il mio cibo…- la neonata rise,udendo quella voce melodiosa come un’eco di campane, ed allungò una manina piccola e grassoccia verso la donna dalla pelle bianca come neve,poi insieme, quello spirito puro e quell’angelo della morte scomparvero nel buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Verdetto ***


Capitolo II

Verdetto

 

Didyme sbuffò infastidita. Sarebbe voluta giungere a Volterra via mare, ma non era certa che la bambina sarebbe sopravvissuta a lungo sott’acqua.

Di certo un’immersione le avrebbe fatto impiegare meno tempo, ma- si disse, mentre si sistemava il cappuccio sui capelli e nascondeva la neonata sotto il proprio mantello- anche la corsa, per quanto dispendiosa potesse essere, aveva i suoi vantaggi: le dava forza, la faceva sentire invincibile e, inoltre, le venne quasi da ridere nel momento in cui scorse le labbra della bambina che era al suo fianco, tese in un sorriso sincero, con tanto di fossette. Comprese che la velocità divertiva persino quel cucciolo d’uomo.

La vampira si muoveva come se volasse sul terreno, i suoi piedi non sembravano toccare terra; lei e la bambina erano accoccolate nell’aria gelida, che man mano si faceva più calda, per accogliere il mattino.

Attorno a loro, alberi, monti e pianure guizzavano veloci, simili ad un’enorme distesa di colori, armoniosi ed ammalianti, che sembravano volersi inchinare al loro passaggio.

Pian piano, le pianure si inginocchiarono, prendendo la forma di dolci colline. L’acuto sguardo di Didyme si posò su una di esse, - nonostante fosse ancora distante- più ripida delle altre, sulla quale troneggiava una corona di mura orlate, circondate da torri che, accarezzate dai tenui colori dell’alba, sembravano risplendere di una sfumatura opale.

Volterra aveva sempre avuto quell’aspetto maestoso, che suscitava reverenziale timore in chiunque vi entrasse, ma per lei non era mai stato così: Didyme viveva lì da tempo immemorabile, assieme a suo fratello Aro, e l’aveva vista nascere, oscurarsi a causa delle nebbie del tempo e risorgere durante il Rinascimento. Quello era stato un periodo da cui aveva appreso l’amore per l’Arte e per la Bellezza, ma, soprattutto durante il quale aveva scoperto lo sconfinato, magnifico e reale sentimento che Marcus, il suo compagno, provava per lei.

Infatti, sin da quando Aro l’aveva trasformata, Didyme aveva compreso di possedere un’abilità non comune: era sempre circondata da vampiri che l’adoravano, prostrandosi con fare venerante ai suoi piedi, ma Marcus…che era sempre apparso immune al suo “potere”, infine era stato l’unico che l’aveva davvero amata e le aveva dichiarato la sua passione, pura, reale, quasi tangibile in quella fredda mattina romena rinascimentale.

Volterra aveva sempre rappresentato questo per lei: un’alleata antica quanto lei, all’interno della quale nascondersi dalla luce del sole, o avere la possibilità di stringere tra le braccia il suo amato Marcus.

Quando il viso del suo compagno le apparve dinnanzi agli occhi, la vampira sorrise beatamente, dimenticandosi di ogni altra cosa…all’improvviso poi, riconobbe le strade ciottolose della città sotto i propri piedi, ed a stento ricordò di essere passata per Porta Diana, sul lato nord di Volterra, dopo aver mostrato alla bambina la necropoli ellenistica poco distante, dicendole:

-         presto anche tu avrai l’onore di riposare qui…-

 

ormai- si disse- era vicina e lo avrebbe riabbracciato…

non udiva alcun rumore attorno a sé, se non lo scroscio delicato dell’acqua proveniente dalla fontana in Piazza dei Priori ed il canto degli uccelli che dovevano aver nidificato tra le chiome profumate degli alberi, tutt’attorno.

Compiaciuta, Didyme realizzò che la città era completamente deserta così, senza pensare, si infilò in uno dei vicoli bui senza uscita che attorniavano i palazzi color ocra e, ormai al riparo dal sole- che stava sorgendo proprio allora- si tolse il cappuccio, potendo finalmente respirare l’aria carica di profumi, mentre i capelli le si raccoglievano fluenti sulle spalle.

Riconobbe immediatamente la grata dalle sbarre enormi che spesso la Guardia utilizzava per portare delle prede già stordite, all’interno del Palazzo dei Priori, e decise di servirsene. Dopo averla sollevata senza troppi problemi dal muro, la richiuse e si lasciò scivolare nel buio, chiaro come il giorno ai suoi occhi, per ritrovarsi poi nei sotterranei…

Oltrepassò con sicurezza un lungo corridoio, illuminato a chiazze e popolato da lunghe ombre a causa delle crepitanti fiaccole appese ai muri umidi, che sembravano volerla abbracciare.

Poi, Didyme prese tra le braccia la neonata, sussurrando:

-         vedi, piccola Erice? Quelle sono le celle dove vengono torturati tutti quei vampiri che sono incerti se unirsi a noi Volturi, o meno. Sono stata io a richiederne la costruzione…- la vampira puntò un dito affusolato verso quell’ammasso di sbarre e pavimenti muffiti, che erano “le Prigioni” e per un secondo, lo sgocciolio regolare dell’acqua che risuonava in lontananza, cessò.

Erice sorrise affascinata e Didyme le fece eco, muovendo la testa con grazia mentre rideva.

Per un attimo, sfiorati dalla luce delle fiaccole a cui si stava avvicinando, i capelli della vampira risplendettero come una notte stellata, carezzati da sfumature blu. Infine, Didyme fece un ultimo passo: sollevò appena una delle fiaccole che aveva davanti, e la rimise a posto.

A quel gesto, una sezione dello spesso muro, si aprì cigolando, per lasciarla passare.

Ad occhi chiusi, la vampira percorse quello stretto tunnel e d’un tratto, mentre correva, sentì sentì il muro richiudersi con pesantezza alle sue spalle.

La bambina strinse in una delle sue manine grassocce, una delle dita pallide di Didyme e rise, emettendo una specie di singulto, e lei la fissò perplessa. Cos’aveva, quella piccoletta, da gioire tanto?

La strinse a sé. Assicurandosi, mentre sbuffava, che quell’esuberante neonata non facesse alcun rumore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Dopo una vita e mezza ho deciso di riprendere questa storia, perché credo mi stia tornando l’ispirazione. Dunque, questo secondo capitolo ho dovuto ripostarlo, perché non mi piaceva come avevo scritto l’altro, e così ci ho aggiunto qualche particolare di Volterra( ma io non ci sono mai stata, tutto merito di wikipedia)spero vi piaccia

Fatemi sapere cosa ne pensate

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Verdetto (parte 2) ***


Capitolo II

Verdetto

 

Parte 2

 

Quel lungo corridoio, ancora e poi sarebbe stata finalmente al sicuro, nella sua stanza.

Non avrebbe più avuto bisogno di utilizzare la sua capacità di persuasione, per allontanare i sospetti, per evitare gli sguardi interrogativi della Guardia- che fino ad allora aveva incontrato- poiché sicuramente si domandava perché l’odore umano, attorno a lei, fosse ancora tanto vivido.

Ma quell’ultimo corridoio, il pavimento di marmo accarezzato dalla luce solare che filtrava dalle finestre aperte, era vuoto. Così Didyme decise di prendersela comoda: d’altro canto aveva tutta l’eternità dalla sua parte, no?

Tolse il mantello di lana e se lo sistemò, ripiegato, su un braccio, mentre con l’altro stringeva la bambina che, solo allora riemerse, libera da quell’indumento che per lei era stato una sorta di coperta.

Un passo dopo l’altro, fluida come l’acqua, Didyme avanzava lentamente sul pavimento-su cui si rifletteva la luce del sole-indicando di tanto in tanto gli affreschi e le statue, che ornavano quel luogo, a quella neonata umana che, poiché non poteva capirla, si limitava a sorriderle, ascoltando rapita la sua voce che le parlava dolcemente.

D’un tratto, Didyme si fermò davanti ad una finestra spalancata-sentiva la leggera puntura della luce che, riflettendosi sul pavimento, le solleticava le caviglie- e incurante del fatto che il sole avesse posato i suoi raggi anche sulla sua pelle, facendola scintillare, afferrò, tenendola per la testa, quella ragazzina paffuta e la guardò per la prima volta: lei la fissava a sua volta, aprendo e chiudendo di tanto in tanto le mani a pugno. Non sembrava avesse paura, piuttosto appariva ammirata, come se avesse appena posato gli occhi su un essere divino, fatto di pura luce, eppure dalla chioma- e dalla natura- oscura come la notte.

-         sai, piccolina…- esordì Didyme, mentre le sfiorava con la punta delle dita la pelle delle guance…

-         amore mio, cosa fai sotto la luce?- la voce profonda di Marcus le giunse dalla porta della sua stanza, distante appena un metro, e nel momento in cui incontrò i suoi occhi bordeaux, ogni altra cosa perse di significato: il tempo, lo spazio, persino quella bambina e ciò che stava per dirle. Esisteva solo Marcus, e c’era solo il suo amore.

Con una folata di vento innaturale,- il mantello cadde in terra, ovviamente- lei gli fu immediatamente accanto, e le sembrò di sentirsi di nuovo completa.

Nei suoi occhi scorse palese soddisfazione e…amore.

Nonostante lei fosse in grado di procurare felicitò a tutti coloro che le stavano intorno, non le era mai capitato di vederlo da vicino, se non nel suo compagno, ed ogni volta ne rimaneva colpita, come se fosse la prima.

-         sembra che io ti sia…mancata.- bisbigliò Didyme, vicinissima, mentre con un braccio già circondava il collo di Marcus, e con l’altro stava attenta a tenergli lontano la bambina.

Il vampiro le cinse la schiena delicatamente, scendendo fino ai fianchi con le sue carezze sensuali e lente…e in un attimo la spinse contro il muro.

Didyme sorrise, complice e si morse appena un labbro, stupita da quel comportamento: sembrava che Marcus non riuscisse a rimanere troppo a lungo senza di lei, e quando erano insieme, la felicità traboccava dal suo animo, come se venisse investito da tutto l’amore del mondo, in ogni sua sfumatura; da quello adolescenziale, sensuale e fisico, a quello più spirituale, profondo, fondato sulla reciproca fiducia.

-         quando sei via, sento sempre la tua mancanza, dolce Dee: ogni momento mi sembra vuoto e di un’eternità insostenibile, senza di te…- confessò, carezzandole le braccia con i palmi delle mani, ed a Didyme si mozzò il respiro. La semplicità ed allo stesso tempo, la verità di quelle poche parole, la spiazzarono.

Marcus si chinò per baciarle le spalle seminude ed in breve la vampira avvertì un’ondata di brividi che le corse sotto la pelle, come fuoco liquido: era certa che se avesse avuto un cuore pulsante, questo, avrebbe preso a battere freneticamente.

Oltrepassati ormai il collo e le guance,- la stretta di Didyme era quasi convulsa, attorno a lui- Marcus era vicinissimo alle labbra carnose della sua compagna, tanto che lei poteva sentirne il respiro fresco sulla lingua…

Un vagito leggero e divertito riempì l’aria, mandando del tutto in frantumi quel silenzio magico.

-         che cos’è, questa? Hai portato la colazione, perché potessimo gustarla insieme?- domandò il vampiro, mentre creava un po’ di spazio tra loro per osservare verso il basso, quella neonata che, appollaiata sul braccio della sua compagna, lo guardava ridendo.

Didyme sussultò appena, ricordandosi solo allora della presenza di quell’umana, afferrò quindi il compagno per il bavero della camicia bianca, semiaperta sul petto scolpito di lui e, dopo avergli posato un dito sulle labbra, sorrise maliziosamente e lo trascinò nella camera con sé.

 

Quella stanza era enorme: tutti i muri erano affrescati e, di tanto in tanto, le figure degli angioletti- che popolavano il dipinto e si aggiravano attorno a Marcus e Didyme, ritratti come divinità, e posti al centro- sembravano appoggiarsi alle finestre che illuminavano a giorno ogni cosa.

Poggiato alla parete di fronte alla porta, stava un elegante letto a baldacchino in mogano avvolto in splendide coperte blu notte e argento,- sui quattro pilastri, intagliati e circondati da motivi di rose e foglie, si leggevano i nomi intrecciati di Marcus e Didyme.

Sulla lunghissima parete del lato sinistro, si posava un’austera cassettiera, fiancheggiata da un ordinato armadio, e da uno specchio dalla cornice dorata, che arrivava fino a terra.

E, se quella parte appariva in un certo senso “frivola”, poiché era arredata con tutto ciò che riguardasse il vestiario; la parete destra, poteva essere definita “sublime”, perché dominata da un bellissimo pianoforte a coda che sembrava voler sfiorare l’arpa che gli stava vicino. Accanto a tutto ciò, un piccolo scrittoio faceva compagnia ad una libreria, colma di spessi volumi.

Didyme osservò ancora una volta quella stanza, che le era tanto familiare, con un sospiro e, mentre alle sue spalle sentiva Marcus che chiudeva la porta, si preoccupò di adagiare la piccola Erice sul letto, curandosi anche di circondarla di cuscini, perché era davvero piccola, appariva fragile e suscitava il timore che un minimo soffio di vento potesse ferirla.

-         ed ora, per favore, raccontami…- Marcus le cinse le spalle, fulmineo, abbracciandola da dietro.

-         Stanotte sono andata a caccia. Dopo una lunga corsa mi sono ritrovata in paesino chiamato Erice, e lì ho assistito ad uno scontro tra due umani: un uomo minacciava una donna, puntandole contro un oggetto piccolo e nero, perché voleva questa bambina, e lei la proteggeva con fierezza. Poi, l’uomo, impaziente, le ha sparato; io l’ho ucciso, distruggendo anche la sua arma nera e, prima di togliere la vita anche alla donna- perché ormai era in fin di vita- e cibarmi così di entrambi, ho accolto le sue ultime suppliche. Mi ha pregata di prendermi cura della sua bambina e, siccome questa piccoletta è immangiabile, perché puzza ancora di latte, ho deciso di esaudire quella madre infelice. Ed ora l’ho portata qui per sottoporla al giudizio del Consiglio. Vorrei sapere se è necessario ucciderla- ma non capisce ancora niente, e lo trovo inutile- oppure mangiarla ugualmente? Comunque, l’ho chiamata Erice per onorare il luogo in cui l’ho trovata, che, inoltre, secondo la pronuncia Inglese, ricorda il termine greco…- stava narrando Didyme, con gli occhi sulla neonata e la testa adagiata sulla spalla del compagno.

-         “eris” ovvero “discordia…ingegnoso amore mio…- iniziò Marcus, poi annusò l’aria e convenne con la moglie.- hai ragione: puzza ancora di latte. Comunque, pur facendo parte del Consiglio, ora sono solo e, non potendo prendere decisioni in nome di tutti, suggerisco di aspettare che ci riuniamo, per decidere della sorte di quest’umana. Ma, devo chiederti una cosa: sei stata vista da qualcuno?- chiese infine.

-         No, mio signore Marcus, gli unici testimoni di quanto avvenuto erano i genitori di Erice, ma sono morti, inoltre non oserei mai mettere in pericolo tutto ciò che servo ed amo, tutto il mio mondo. E poi…le Tenebre mi hanno protetta.- disse la vampira, utilizzando un tono formale, e voltandosi per guardare fermamente negli occhi il suo compagno, mentre gli carezzava una guancia.

Lesto, Marcus le prese la mano tra le sue, e ne baciò dolcemente il palmo:

-         sono così geloso del buio stellato di questa notte, che ti ha abbracciato, per proteggerti, e del cielo blu che, con un suo bacio ti ha fatto dono di questa splendida chioma…- sussurrò, sfiorandole i capelli, mentre la fissava con desiderio.

-         Marcus, gli unici baci, ed i soli abbracci che voglio sono i tuoi…- mormorò Didyme.

Il vampiro sembrava non attendere altro: dopo averle accarezzato il corpo, rimasto nudo, si chinò con un sorriso sul suo collo, baciandolo con passione. La compagna invocò il suo nome più volte e, sopraffatta dalla passione, per poco non cadde in ginocchio, così fu costretta ad avvinghiarsi al marmoreo petto di Marcus, riducendo a brandelli la camicia, che giacque a terra, abbandonata.

 

La stanza era arredata con gusto ed elegante oltre che molto ampia, ma i due vampiri, travolti dal piacere ed ormai fusi in una cosa sola, si gettarono sul letto, coccolandosi. Il continuo rimbalzare delle molle cullò con costanza la piccola Erice che, dapprima rise divertita, ma poi si assopì dolcemente.

 

-         penso che, semmai riuscissimo ad ottenere di tenerla in vita e crescerla, insegnandole che il suo destino è compiacerci e, quando sarà il momento offrirsi a noi come nostro cibo, sarebbe un’ottima allieva…- sussurrò Didyme, dopo qualche tempo, mentre osservava la neonata, standosene sempre stretta tra le braccia del suo amato.

-         Intendi crescerla come un ibrido? Qualcosa a metà tra una figlia per noi due, e una sorta di “tacchino all’ingrasso” che sarà mangiata al momento opportuno, e nel frattempo obbedirà all’intero clan?- domandò Marcus, mentre le accarezzava il corpo, prestando attenzione a come i suoi lunghi capelli scuri si posassero sulle curve di lei.

-         Esatto, amore mio.- convenne Didyme, accarezzando il delicato capo della neonata e bisbigliando il suo nome.

 

In quel momento dalla torre campanaria del Porcellino, si udì un rintocco che annunciava l’inizio di ogni cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Chiedo venia per il ritardo nel postare il capitolo però mi auguro che vi sia piaciuto(fatemi sapere cosa ne pensate), vorrei ringraziare tutti coloro che hanno lasciato un commento: non avete idea di quanto mi faccia piacere che vi piaccia la storia!

Vorrei però aggiungere che: non so se veramente in Inglese “Erice” si pronuncia “eris”, l’ho inventato io,e, “il porcellino” è il soprannome della torre del Podestà a Volterra(indicazione presa da youtube) non so se il suo ruolo sia quello di torre campanaria.

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Verdetto (parte 3) ***


Capitolo 2

Verdetto

 

Parte 3

 

Gli intensi raggi del mattino ed il suo ambasciatore, il gallo, sorpresero i due vampiri a scambiarsi un ultimo bacio.

Marcus e Didyme, voltati su un fianco, si fissavano beandosi ognuno della vista dell’altro. Al centro del letto, avevano posto la bambina e si tenevano per mano, con le dita intrecciate, sopra la testa di Erice, ma lei, che dormiva tranquilla tra loro, non si accorse di nulla.

-         fa presto, amore. A breve inizieranno le udienze…- esordì Didyme, dopo qualche attimo, con l’espressione lievemente tesa, mentre non riusciva a staccare gli occhi da suo compagno, che si stava rivestendo.

-         Non temere dolce Dee, non farò parola con nessuno di questo avvenimento finchè non ti presenterai nel Salone Principale per presentarci questa bambina. L’unica cosa che ti consiglio è di venire dagli Anziani, adesso, o almeno quanto prima: è importante, infatti, che solo il Consiglio e la Guardia siano messi a parte della faccenda di Erice. Se dovessero venirne a conoscenza la Corte e i Viandanti, perderemmo prestigio, credibilità, e per noi sarebbe la fine.- la rassicurò Marcus, mentre, porgendole una mano l’aiutava ad alzarsi dal letto, e quando se la trovò davanti le accarezzò spalle e guance con i palmi.

La sua compagna annuì, poi si mise ad intrecciargli i lunghi capelli scuri in un’unica treccia, nel tentativo di scaricare la tensione.

-         grazie, mi darà un aspetto decisamente elegante- fece l’Anziano, le labbra distese in un sorriso sincero mentre si faceva passare la treccia sulla spalla sinistra, in modo da potersela toccare.- ma ora vestiti. Credimi, pur essendo splendente come una stella e…il mio unico amore, non sono certo che Aro e Caius apprezzeranno se ti presentassi nuda con una supplica per Erice.- detto questo, prese le mani di Didyme tra le sue, e subito dopo scomparve oltre la porta per andare a riunirsi agli Anziani.

 

Rimasta sola, la vampira corse all’armadio ordinato che si trovava nella sua stanza e trascorse cinque eterni minuti davanti allo specchio, gettando in aria involti che un tempo dovevano essere magnifici indumenti: era veramente a disagio, sentiva il respiro corto. Possibile che senza Marcus si sentisse tanto fragile? Cosa avrebbe indossato?

Finalmente, quando si trovò tra le mani un abito ero dallo stretto corsetto, le maniche a campana e l’orlo della larga gonna ricamata con rose rosse, decise di indossarlo. Sulle spalle, lasciate lievemente scoperte, si adagiavano i suoi capelli corvini, resi ondulati da leggeri boccoli, che si preoccupò di celare sotto un velo di pizzo nero.

Infine, completata l’opera prese la bambina tra le braccia, e fissò quel grazioso quadretto riflesso nello specchio dalla cornice dorata. “magnifico! Ho l’aspetto di una perfetta supplice. Chi potrà non darmi ascolto?”pensò, sorridendo mentre pregustava il sapore della vittoria sulle labbra.

 

Tutti, Guardie e schiavi si scansavano con piccoli sussulti formando due ali distinte, prostrandosi al passaggio di quell’avvenente figura velata di nero e gettavano rapidi sguardi al bianco involto che teneva tra le braccia, incuriositi dal battito cardiaco che ne proveniva.

Didyme avanzava regale e solenne, facendosi scivolare addosso qualsiasi occhiata, respiro o commento che provenisse da quella marmaglia; si permise di fare un profondo respiro solo quando si trovò dinnanzi alla porta di legno intagliato, a due ante del Salone Principale ed incontrò lo sguardo perplesso della segretaria umana, che sedeva alla sua scrivania, con aria assonnata, poco distante.

Bussò due volte poi, con voce chiara, disse:

-         Chiedo il permesso di avere un’udienza con il Consiglio…- non urlò ma fu certa di esser stata udita.

Subito, le porte si aprirono e non appena Didyme ebbe mosso qualche passo sul pavimento di marmo, Felix e Demetri, immobili ai lati, si preoccuparono di richiudergliele alle spalle.

-         sorella! Perché giungi così tardi? Perché mai ci chiedi udienza quando ti attendevamo per sapere il tuo parere su una…e quella cos’è?- la squillante e mielata voce di suo fratello Aro, le fece capire che si era alzato dal trono centrale- che era sempre stato il suo posto- per accoglierla come di dovere, ma si era fermato quasi subito, notando l’involto di coperte.

Incurante dell’espressione sconvolta che sicuramente il vampiro doveva avere, Didyme si inchinò e poi guardò i tre Anziani- ammantati con nere tuniche- negli occhi:

-         questo, che ho tra le braccia, è un cucciolo d’uomo. La sua storia è alquanto singolare e vorrei sottoporla al Consiglio ed al Corpo di Guardia, miei signori, perché confido nella vostra benevolenza per lasciarmi parlare ed in seguito decidere della sorte di questa bambina. Giungo al vostro cospetto ora perché comprendo che se la Corte dovesse venirne a conoscenza, la nostra credibilità potrebbe venir minata.-

Aro, Caius e Marcus la fissarono senza parole- solo il suo compagno aveva un’aria complice- ed il biondo dei tre si lasciò sfuggire, mentre stringeva i braccioli del suo trono, un basso ringhio.

Nella stanza però, d’un tratto si udì una sola voce, che sentenziò:

-         e sia.-

Mentre Felix e Demetri sparivano oltre la porta, ad un cenno del capo degli Anziani, e si occupavano di radunare l’intera Guardia, Didyme si permise di sollevare lo sguardo ed osservare quella stanza che, nonostante le fosse tanto familiare, ogni volta le suscitava profonda meraviglia: la pianta era circolare e, dalle piccole finestre poste al limitare della cupola che costituiva il soffitto, filtravano intensi raggi di luce che, tuttavia, non arrivavano mai a sfiorare le bianche colonne che sostenevano la struttura- nelle cui zone d’ombra venivano custoditi gli abiti che i tre Anziani erano soliti indossare durante le occasioni speciali- oppure il centro della Sala, dove erano posti tre eleganti troni in legno scuro e dallo schienale alto, che terminava con la decorazione di un sole.

-         mentre aspettiamo gli altri, ti prego sorella, dimmi, perché sprechi il tuo tempo con questa fragile, stupida umana? Ti ho trasformata per destinarti ad essere parte di un progetto di grandezza e potere…- disse Aro, avvicinandosi a Didyme e guardando schifato la neonata che dormiva.

Tuttavia, Didyme non ebbe la possibilità di rispondere perché, proprio in quell’istante tutti i Volturi fecero la loro comparsa nel Salone Principale:

-         cosa accade, nobili signori?- chiesero all’unisono Sulpicia ed Anthenodora, lampi di chiome dorate avvolte in scintillanti e semplici tuniche d’argento.

Le due, insieme presero posto in piedi, accanto ai troni dei rispettivi mariti, in attesa.

Come ombre rapide e silenziose, tutti i componenti della Guardia seguirono il loro esempio, disponendosi, secondo un ordine ben preciso, nella stanza.

Un silenzio tombale piombò in quel luogo poi, Didyme, con un altro inchino, disse:

-         mio dolce e magnanimo fratello, ti ringrazio per aver esaudito il mio desiderio di far assistere tutti i Volturi a questo evento. Vengo presso di voi come supplice, perché ascoltiate quanto mi è accaduto stanotte e decidiate, insieme, secondo il giudizio illuminato che vi si attribuisce da secoli, del destino di quest’umana.- con voce e tono degni di un oratore dell’Antica Roma, la vampira in quel momento si zittì e fece un giro su se stessa per mostrare a tutti l’involto che aveva tra le braccia.

Le due massicce figure di Felix e Demetri, rimasti accanto alla porta si tesero in avanti, con i denti scoperti. Sulpicia ed Anthenodora si coprirono le bocche sottili con una mano, sospirando orripilante. I temibili gemelli Jane ed Alec – che Aro tanto adorava- tesero i loro volti d’angelo dalle labbra piene, in una smorfia.

-         continua sorella, ti prego, voglio conoscere questa bizzarra storia in ogni particolare.- supplicò interessato il fratello di Didyme, mentre muoveva teatralmente una mano.

-         Questa notte, mentre ero a caccia sono giunta in un paesino chiamato Erice, dove ho assistito allo scontro tra due umani: i genitori di questa neonata, che se la stavano contendendo. Il padre aveva già ferito la madre, così mi sono occupata di finire entrambi, ma la donna, mi ha pregata di prendermi cura della figlia.

Signori, con questo non vi sto supplicando di lasciarla vivere, ciò su cui vi sto chiedendo di deliberare è semplicemente il destino di questa bambina: io mi sono nutrita, stanotte, attenta anche a non lasciare testimoni dell’accaduto che potrebbero costituire una minaccia per noi…- stava dicendo Didyme.

-         lei stessa potrebbe esserlo!- ringhiò Caius, puntando un dito artigliato contro la bambina.

-         Sta dormendo, mio signore e poi non ricorderà nulla, te lo assicuro. È d’indole docile e speravo che avreste potuto prendere in considerazione l’idea di “adottarla”, insegnarla a portarci rispetto ed a servire il clan. – intervenne pronta lei, con gli occhi ardenti come braci.

-         Penso che dovremmo mangiarla…- fece Jane, sorridendo maligna.

-         È una delle opzioni che vi ho proposto, certo, ma come avrete notato dall’aroma che impregna l’aria, la bambina puzza di latte materno; è ancora troppo piccola per essere il nostro cibo. Avrei voluto che rifletteste anche sulla possibilità di crescerla, perché avremmo potuto insegnarle che al momento opportuno sarebbe diventata il nostro cibo; all’incirca come la segretaria che è qui fuori. Ma se questa è la vostra decisione…- Didyme, con la testa alta e il portamento fiero, si diresse vero la piccola scalinata al termine della quale stavano i tre troni, e si inginocchiò sul primo gradino, porgendo verso di loro la bambina.

Ci fu un attimo di silenzio in cui Didyme fissò ancora una volta tutti i presenti, pronta ad usare il proprio potere per persuaderli.

-         aspetta, sorella. Credo sia giusto che, poiché quest’umana nutrirà tutti noi, la sua situazione sia messa ai voti, ma prima devo chiederti un’ultima cosa: vuoi crescerla come un maiale da macello e, finchè non arriverà il suo momento, potremmo insegnarle l’amore per l’Arte, per la Bellezza e per la Musica? Farla diventare ciò che vogliamo?- soggiunse Aro, chinandosi verso di lei.

Quella si limitò ad annuire mentre sorridendo si rimetteva in piedi.

-         bene, allora. Miei cari questa faccenda va ai voti! Chi di voi è favorevole a crescere la piccola tra noi?- intervenne Marcus, con una strana luce di soddisfazione negli occhi.

Immediatamente, fulminee, si alzarono molte mani- la sua e quella di Didyme comprese- e qualcun'altra, più tardiva si unì a loro, con qualche secondo di ritardo poiché un bisbiglio sul fatto che puzzasse davvero troppo per essere mangiata, volava di bocca in bocca.

-         quanti, contrari?- domandò Caius, già con la mano alzata.

Solo otto mani si sollevarono, questa volta: la sua, quella della moglie, quella di Aro e quella di Sulpicia, seguite da Felix, Demetri, Jane ed Alec.

-         bhè…otto soltanto, contro il resto di noi. Direi che la bambina resta.- bisbigliò Marcus, sorridendo mentre notava che Aro aveva posato i suoi occhi di ghiaccio su Renata che, contrariamente a quanto si aspettava, aveva votato a favore.

-         Mi aspetto che le insegnerete bene a restare al proprio posto, ed a rispettare le nostre leggi, perché in esse è previsto che noi mangiamo gli umani, non che li adottiamo.- tuonò Aro, alzandosi in piedi e zittendo, per un attimo la piccola folla che si era radunata attorno a Didyme.

La sorella del fondatore di quella congrega, alzò il viso ed annuì; Marcus, che era sceso dal suo trono per andare ad abbracciarla, seguì il suo esempio.

 

La vampira stava per uscire, seguita dalle altre mogli e dalla maggior parte dei membri del clan:

-         come avete deciso di chiamarla, mia signora Didyme?- domandò d’un tratto un vampiro di nome Santiago, dalla riccia chioma scura ed il pizzetto, proveniente dal clan messicano distrutto qualche anno prima.

-         Erice. Come la città dove l’ho trovata; termine che, pronunciato in Inglese, ricorda la parola greca…-

-         Discordia.- completò il suo compagno per lei, come aveva fatto poco prima.

A quel commento quasi tutti risero, ma Aro consigliò:

- non dovreste dare nomi al cibo: vi ci affezionereste.-

- temo anche che finirà per distruggerci…- osservò Caius, più rivolto a se stesso che a qualcuno in particolare.

Un altro nuvolo di risate riempì l’aria mentre la Sala lentamente si svuotava ed il terzo Anziano riprendeva il suo posto.

Nessuno in quel clan sapeva che in realtà, le due osservazioni presto non sarebbero rimaste più solo parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Eccovi qua l’ultima parte del secondo capitolo, mi auguro vi piaccia!

Fatemi sapere cosa ne pensate

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Regole da Rispettare ***


Capitolo III

Regole da rispettare

 

Una malinconica figura era seduta alla piccola finestra che illuminava quella stanzetta in mansarda, le gambe raccolte al petto, per tenere meglio in equilibrio lo spesso foglio di carta su cui la matita che teneva in mano, grattava, nel tentativo di riprodurre con fedeltà la magnifica vista che si poteva avere da quel posto così in alto, nel Palazzo dei Priori.

Dalle splendide schegge di cielo turchese, che si intravedevano attraverso le nuvole ovattate, faceva trionfalmente capolino qualche raggio di sole, che andava ad accarezzare, con aria di sfida, il viso di quella silenziosa ragazza, tutta concentrata sul suo disegno.

Il sole, tuttavia, le colpiva solo un profilo del viso- la parte lasciata libera dalla massa riccioluta dei suoi capelli, ordinatamente sistemati dietro un orecchio- e nonostante inondasse completamente con la sua luce quella minuta camera dal soffitto obliquo, sembrava non riuscisse a fare molto sul volto di lei, che appariva pallido e tirato come quello di chi trascorre troppo tempo sui libri, e pretende molto da sé.

Finalmente, dopo un ultimo, interminabile sguardo al cielo, quella quattordicenne, dal corpo formoso e i seni generosi, si decise ad alzarsi: i lucenti boccoli castani le vennero avanti, rilucendo di sfumature ramate mentre le coprivano in parte gli occhi e, si posarono sulle sue labbra carnose.

Con pochi passi, lei coprì interamente lo spazio in cui si estendeva quel luogo arredato in modo spartano- che era da sempre stato il suo piccolo centro del mondo- e si gettò sul letto, tenendo il disegno tra le mani, raggomitolate al ventre.

Tesa, lei gettò rapidi sguardi attorno a sé, contemplando, come già aveva fatto altre volte, le decine di libri che tappezzavano ogni centimetro di quella stanza. Quei titoli- ai quali si era avvicinata sin da quando aveva imparato a leggere- erano stati i suoi amici, la sua cultura, avevano alimentato la sua curiosità, i suoi sogni…ed ora rappresentavano praticamente la fonte di qualsiasi sua conoscenza.

Nonostante però, ricordasse con piacere le centinaia di ore trascorse a sfogliare pagine, a sforzarsi di praticare tutto ciò che leggeva (sperimentare nuovi tipi di disegno e pittura, realizzare vestiti, piegare la carta in modo che prendesse forme che ricordavano degli animali…); non aveva memoria di qualcuno che la elogiasse per i suoi progressi, - come i vestiti sempre diversi che indossava, poiché aveva imparato a confezionarli da sola, o la bambola di pezza che lei stessa aveva cucito, usando delle vecchie imbottiture e qualche bottone ( tra le braccia della quale si rifugiava quando la solitudine, sua inseparabile compagna, minacciava di soffocarla)- piuttosto, quella famiglia, di esseri dalla pelle cerea, tanto belli e saggi da sembrare divinità, non faceva altro che imporle regole ferree, disciplina, e pretendere venerazione, mentre i loro occhi cremisi duri come pietra, passavano in rassegna il suo aspetto slanciato ma gracile, con evidente disappunto.

Contrariamente a quanto sembrasse, la ragazza non intendeva insinuare che si trovasse male presso di loro, perché a quel gruppo di divinità, protette da un folto Corpo di Guardia, doveva la sua intera esistenza: grazie a loro, infatti, lei era in grado di cucire senza pungersi con l’ago, dipingere, disegnare e parlare correntemente cinque lingue diverse (bhè, non che il latino ed il greco antico si parlassero ancora, nel mondo, ma durante le cerimonie importanti, i tre splendidi Anziani che serviva, comunicavano utilizzando quelle, perciò doveva saperle).

Le dispiaceva, tuttavia che, a dispetto di tutto l’impegno che metteva nell’imparare le loro lezioni, la cieca devozione che aveva per loro, quei vampiri si comportavano nei suoi confronti, come se non valesse nulla, come se non fosse all’altezza di niente.

Ma questo triste pensiero diveniva quasi vano quando la ragazza rifletteva sul vero scopo della sua vita: sin da bambina, mentre camminava sulle traballanti travi del soffitto, - cosa un po’ dura e spaventosa ma molto utile per migliorare il suo portamento- o mentre mangiava- rigorosamente con le spalle legate allo schienale della sedia, per migliorare la sua postura- le era stato insegnato che, al momento opportuno, sarebbe diventata cibo per quelle divinità e, privandosi della sua vita, avrebbe contribuito a rendere eterna quella dei vampiri, presso i quali viveva. Ed allora, pensandoci, diventava quasi felice.

Solo che, si chiedeva spesso, come avrebbe riconosciuto quel tanto decantato “momento opportuno”?

D’un tratto, l’aria, prima tanto silenziosa, si riempì di uno strano mormorio, e i pensieri nella mente di quella ragazza si dissolsero rapidi come una nube. Incuriosita, si affacciò alla finestrella e notò, non senza un certo stupore, che quattro figure ammantate si affaccendavano attorno ad un gigantesco tronco d’albero, posto proprio al centro di Piazza dei Priori.

Uno sbuffo di vento improvviso carezzò i capelli di quell’attenta osservatrice, tradendo la sua presenza. Una delle quattro figure, infatti, alzò il volto di scatto, annusando avidamente l’aria, proprio in quel momento.

-         Erice! Vieni giù, piccola umana. Ti mostro una cosa!- disse, alzando appena la voce e sorridendo, con i denti in vista, quando riconobbe lo scintillio degli occhi verdi dell’umana.

La ragazza chiamata Erice, sentendo fare il suo nome, sussultò, con un brivido; quindi si affrettò a fare un veloce inchino, a legarsi i capelli- in modo da lasciare il collo scoperto, come le era sempre stato chiesto- e si precipitò nella piazza, poco prima di aver rivolto un rispettoso sguardo allo stemma dei Volturi, scolpito sulla facciata del Palazzo dei Priori.

 

Per quanto cercasse di essere lesta, l’infinita quantità di scale sembrava moltiplicarsi ad ogni gradino che scendeva, ed a ciò si unì la capiente quantità di schiavi che le ostruirono inconsapevolmente la strada, e quindi fu costretta quasi a saltarli per evitarli e non andar loro addosso. Di conseguenza, arrivò “tardi” dinnanzi al vampiro che l’aveva chiamata, e subito dopo, senza pensarci, si inchinò di nuovo a lui.

Quello, dopo una risata beffarda, le mise due dita sotto il mento, costringendola ad alzarlo, e si tolse il cappuccio: la sua identità fu così rivelata, mentre il sole gli colpiva il viso. Era Felix.

Erice, col fiato smorzato in gola per la magnificenza di quello spettacolo, cadde in ginocchio, il cuore che le batteva senza sosta per la sorpresa e, incapace di staccare gli occhi da quella massiccia figura, fissò per alcuni attimi- anche se non le era permesso- la pelle di quel vampiro che aveva fama di possedere una forza sovrumana, la quale, al cospetto del sole, sembrava brillare come fosse fatta di diamanti.

-         Quando ti chiamo, ragazzina, devi venire subito. Non posso aspettare anni prima che ti presenti qui, capito?- la voce tagliente di lui la ferì, così, per paura di qualche punizione, poco prima di annuire chiuse gli occhi, evitando il suo sguardo cremisi. Ma anche quello fu un errore, perché non poté vedere lo schiaffo che Felix le tirò: ne sentì solo la potenza devastante su una guancia, e subito dopo si ritrovò a terra, inerme e dolorante.

Non riusciva a capire perché la stesse picchiando. Era forse perché aveva fatto tardi? O perché l’aveva guardato?

Felix ormai torreggiava su di lei, producendo una marcata ombra con la sua possente stazza, che la ricoprì completamente.

Solo allora Erice capì, tremando, che quello s’era rialzato il cappuccio sulla testa, ed osò riaprire gli occhi. Tuttavia, prima che riuscisse a mettere completamente a fuoco il mondo che la circondava, due possenti mani le strinsero le braccia e per un attimo, mentre queste la sollevavano- i suoi piedi non toccavano più terra!- temette che le si spezzasse qualche osso.

-         Era questo che volevo mostrarti!- disse Felix, il suo profumo riempì le narici di Erice, nauseandola.

La ragazza venne girata su se stessa, da lui, che non sembrò fare alcuno sforzo, e gettata a terra, ancora una volta, mentre le giungevano delle risatine di scherno da una delle quattro figure- Demetri sicuramente. Quindi, alzò lo sguardo su una gigantesca pira che era in allestimento a pochi metri da lei. Rabbrividì per la paura, ma non aveva voglia di sfogarsi piangendo- anche se sentiva le lacrime bruciarle sotto le palpebre- altrimenti avrebbe mostrato a tutti la sua debolezza.

Così, automaticamente cercò conforto nello sguardo degli altri vampiri, che disposti tutt’attorno, fino ad allora erano rimasti muti ed immobili, ad osservare la scena.

-         Ci sarà un’esecuzione?- volle informarsi lei, in un soffio.

-         Oh sì! E…bhè potrebbe essere la tua se non impari a rispettarci!- tuonò Felix, che si stava godendo l’espressione di puro terrore sul volto di Erice.

-         Cosa? Credevo che quando sarebbe giunto il momento, avreste bevuto il mio sangue…- sospirò lei, pallida, mentre si metteva in ginocchio.

-         Fremi così tanto affinché giunga quel giorno, Erice? Posso accontentarti subito, se lo desideri…- bisbigliò il vampiro, infido, mentre le sollevava il mento per posarle le labbra sul collo.

Erice sentì il suo respiro freddo addosso e, schifata, chiuse gli occhi, rifiutandosi di credere che gli occhi maligni di quel possente essere, sarebbero stati l’ultima cosa che avrebbe visto, se davvero quello fosse stato il suo momento.

-         Felix, ora basta! Ti sei divertito a sufficienza: la stai terrorizzando.- intervenne all’improvviso una voce, e la ragazza avvertì distintamente lo spostamento d’aria prodotto da un corpo che spostava Felix, per far sì che lui mollasse la sua presa d’acciaio su di lei.

Fu esattamente ciò che avvenne e, in una frazione di secondo Erice si ritrovò libera; tuttavia non ebbe la forza di far altro che non fosse accasciarsi a terra, come un ammasso di stracci, tenendo gli occhi ben aperti per osservare quanto accadeva, e la bocca cucita: lo sconosciuto vampiro che era accorso in suo aiuto, allontanò Felix con qualche spinta, e dopo avergli ringhiato contro,- con un verso che le fece accapponare la pelle- si precipitò da lei, con una velocità impercettibile all’occhio umano.

-         Stai bene?- le sussurrò l’incappucciato, aiutandola a rialzarsi.

Nell’insicurezza più totale, Erice pensò di aver riconosciuto nel suo tono, un leggero accento spagnolo, ma non trovò la forza per alzare lo sguardo, e non poté accertarsi di quanto pensava: si sentiva le gambe molli, la gola come avvolta da centinaia di spine che le impedivano di respirare, e delle grosse lacrime, pronte a far capolino dai suoi occhi.

Pur sentendosi debolissima però, riuscì a spostare lo sguardo altrove, e, intravedendo tra i resti del tronco ancora da trasformare in pira, un solitario ramoscello che forse avrebbe potuto esserle utile, chiese, ad occhi bassi:

-         Potrei averlo?- e vi puntò un dito contro.

Pochi attimi dopo avvertì un tocco gelido che le depositava tra le mani il ramo che l’aveva tanto interessata. Per qualche secondo la ragazza se lo rigirò tra le dita, sentendosi ancora fragile, incerta se ringraziare quel vampiro che il suo sguardo fisso su di lei.

Sarebbe stato meglio darsela a gambe e rifugiarsi nella sua stanza- si disse- ma…

-         Cosa succede qui?- tuonò proprio in quel momento una voce, melodiosa e nello stesso tempo ferma come quella di un condottiero.

Erice l’avrebbe riconosciuta ovunque, così, sussultando, mentre gli altri si inchinavano alla personalità appena giunta, lei si prostrò a terra, toccando il lastricato con la fronte.

-         Erice?! Perché sei uscita?- domandò quella nuova familiare voce, allarmata, avvicinandosi tanto che lei ne sentì l’ombra addosso.

-         Mia signora Didyme, stavo disegnando nella mia stanza, poi quando ho scorto dalla finestra che qui si stava allestendo una pira, sono venuta per avere questo…- spiegò, alzando timidamente lo sguardo e porgendo con entrambe le mani il piccolo fuscello alla vampira che le stava davanti, perché lo vedesse, nonostante fosse completamente avvolta in uno scuro mantello con cappuccio.

-         Un ramoscello? Cosa pensi di farne?- iniziò Didyme, sospettosa.

-         Vorrei ricavarne un flauto, mia signora. Mi piacerebbe imparare a suonare…- si giustificò l’umana, guardando di sott’ecchi quella magnifica vampira che, sin da quando ricordava, l’aveva trattata meglio di chiunque altro.

-         Vieni, allora: provvederemo.- le assicurò, con quello che ad Erice sembrò il fantasma di un sorriso, mentre le porgeva la sua elegante mano bianca, perché si alzasse.

Fu così che quella vampira- senza sospettare nulla di quanto era appena accaduto- portò via da quel momentaneo inferno la giovane Erice, che, con la sua mentore preferita accanto, si sentì improvvisamente più forte, ed al sicuro; tanto da non degnarsi neppure di voltare indietro la testa, per mostrare a tutti l’aria trionfante che le risplendeva in viso, specchio della serenità che era piombata nel suo cuore.

 

 

Non appena le venne dato il permesso di ritirarsi, Erice corse nella sua stanza come se avesse avuto gli abiti in fiamme. Una volta chiusa la porta alle proprie spalle, vi si accasciò contro con la schiena, sentendosi di nuovo debole, e fragile.

Possibile che solo in presenza della sua adorata Didyme aveva l’impressione di essere forte, di poter fare tutto?

Inattese lacrime calde le bruciarono sotto le palpebre; non aveva alcuna intenzione di abbandonarsi al pianto a causa di quanto le era appena successo.

Da sempre aveva accettato l’idea che presto o tardi la sua vita sarebbe giunta al termine, e il suo sangue avrebbe nutrito i divini vampiri che serviva, ma mai si era trovata così vicina alla morte e, per via del comportamento di Felix, aveva capito di averne paura. Inoltre, non era mai stata picchiata o umiliata davanti a quello che si poteva definire “un pubblico”, ed ora si sentiva a pezzi.

Le lacrime erano di nuovo in agguato, lo sentiva; si morse quindi le labbra con forza, per impedirselo e serrò i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi.

All’improvviso, nonostante la vista appannata, riconobbe il ramoscello, per cui aveva subito tutto quanto, abbandonato in terra, ed iniziò ad intagliarlo, nella speranza che quel lavoro manuale le sgombrasse la mente dai tetri pensieri che la popolavano.

Dapprima, i colpi dell’affilato coltello preso dalle Cucine, erano stati incerti, infatti, in seguito però, si erano fatti sempre più forti, decisi, brevi e rabbiosi, tanto che Erice si ritrovò presto a sorridere, divertendosi mentre quel selvaggio fuscello prendeva via via più forma, preciso, armonioso e sempre più simile ad un flauto.

Finalmente, la ragazza si rese conto che aveva la mente libera, vuota, leggera,- il discorso di Felix ormai non esisteva più, ed era lontano anche il machiavellico quesito sull’identità del vampiro che l’aveva salvata- mentre lo teneva in mano, si sentiva invece, pervasa soltanto dal piacevole senso di vittoria che scaturisce nel cuore di coloro che capiscono di aver creato qualcosa di finito, da una “massa”inizialmente indefinita.

Erice rimase per un attimo raccolta in un silenzio reverenziale, pieno di stupore, mentre contemplava la sua piccola opera: un semplice flauto color nocciola.

D’un tratto, un rintocco proveniente dalla torre del Porcellino squarciò l’aria, portando via con sé quel magico momento di quiete, e la ragazza sussultò. Nel momento in cui, poi, i suoi occhi si posarono su un lembo di cielo scuro, scorgendolo fuori dalla finestra, e facendole comprendere che notte, il suo cuore piombò nella disperazione: Didyme, le aveva dato appuntamento nella sua stanza- onore rarissimo per tutti, escluso il suo compagno Marcus – cinque ore prima!

Ora, come si sarebbe giustificata per quel larghissimo ritardo?

Rabbrividì, il cuore che le tremava per la paura; ma infine decise che qualsiasi sarebbe stata la situazione alla quale fosse andata incontro, avrebbe trovato giovamento se si fosse mossa, e subito perché, presso i Volturi c’erano delle regole da rispettare- soprattutto per lei- e per ogni momento di trasgressione, la pena sarebbe stata più grave.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Eccovi il nuovo capitolo!innanzitutto, ringrazio Ramona37 per aver commentato il precedente pezzo: mi fa piacere che ti sia piaciuto!  Chiedo scusa per il ritardo(solo ora sono riuscita a trovare un po’ di tempo per scriverlo e postarlo)e per eventuali errori grammaticali o ripetizioni che troverete nel testo, mi auguro che vi piaccia lo stesso! Fatemi sapere le vostre opinioni!

Un baciotto

Marty23

 

Ps: non so se nei prossimi giorni riuscirò a mettere insieme qualcos’altro da postare, eventualmente quanto sareste disposti ad aspettare?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** punizione ***


Capitolo IV

Punizione

 

I passi leggeri e scattanti di Erice risuonarono per le scale mentre, spiccando una corsa dalla quale traspariva agitazione, reggeva faticosamente tra le mani il flauto appena costruito, ed il coletto che aveva sottratto dalle Cucine.

Correva a perdifiato, e nonostante la paura che l’attanagliava sperò di poter porre rimedio, anche se solo per pochi minuti, alla sua imperdonabile mancanza, con quel tentativo.

Senza che si rendesse conto di come ci fosse arrivata, d’un tratto si ritrovò in un lungo corridoio, coi muri tappezzati da affreschi, dal pavimento di marmo, che le parve stranamente familiare, nonostante quella fosse la prima volta che ci metteva piede. Come poteva ricordarsi di quel luogo, se solo quel giorno le erano state date indicazioni su come arrivare alla stanza di Didyme?

Una scossa la risvegliò dal torpore dei suoi pensieri quando, aguzzando lo sguardo, riconobbe, distanti appena un metro da lei, due figure che piantonavano come statue di cera, la porta che, secondo le informazioni di Erice, era proprio quella che dava accesso alla stanza della sua mentore preferita.

La ragazza sentì il cuore mancarle un colpo, come per avvisarla di un brutto presentimento su qualcosa che presto sarebbe successo, ma lei, dopo un profondo respiro si fece ugualmente coraggio ed avanzò, coprendo il poco spazio che la divideva dalla sua meta, con passo sicuro e deciso, finchè non si trovò dinnanzi a quei due vampiri.

-         i miei ossequi a voi, Jane, Alec. Nonostante il mio imperdonabile ritardo, speravo di poter parlare con la mia signora Didyme.- esordì lei, bisbigliando, mentre faceva loro l’inchino.

-         Oooh, l’hai combinata grossa! Il Consiglio ti attende nella Sala dei Colloqui…- la informò Jane, canzonandola mentre dischiudeva le sue labbra piene in un sorriso crudele che le permetteva di fare bella mostra dei suoi denti affilati.

-         L’intero Consiglio si è radunato…per me?- domandò esterrefatta Erice, rivolgendo un fugace sguardo al gemello di Jane, del quale aveva sempre subito il fascino- nonostante avesse sempre taciuto i suoi sentimenti, per paura della splendida e temibile sorella di lui che, si diceva, fosse in grado di far piagare tra le più atroci sofferenze, anche il più forte componente del Corpo di Guardia dei Volturi- forse a causa del suo aspetto di eterno tredicenne, come la sorella, o magari dei suoi corti capelli scuri sempre perfetti.

Alec le si parò davanti con un unico movimento fluido, e senza degnarla di una risposta raccolse le braccia al petto, sorridente -somigliando, nella sua posa da modello, in tutto e per tutto ad un angelo, avvolto in un elegante completo grigio perla. Sfruttando l’ascendente che aveva su di lei, (era infatti in grado di farle completamente perdere la capacità di ragionare) quello approfittò del fatto che Erice fosse rimasta immobile, incapace di formulare un pensiero coerente al cospetto di tanta bellezza, al suo cospetto, per dare la possibilità alla sua gemella, di scivolarle alle spalle.

Quando la ragazza notò che era circondata da quei due diabolici angeli,- si trovavano uno davanti, l’altra dietro di lei- era ormai troppo tardi: si sentì in trappola, e trattenne il respiro. Jane le posò una mano sulla spalla e, cercando di rassicurarla falsamente, disse, mentre si sistemava i capelli scuri:

-         piccola insignificante umana, conosci le regole: non ti è permesso conoscere l’ubicazione della Sala dei Colloqui. Dovrai seguirci, docile come un agnellino…- le accarezzò piano una guancia per far sì che il gelo pungente di quell’affermazione le penetrasse fin nelle ossa.

La durezza di quella frase si scagliò contro di lei con l’imponenza di un muro, ed Erice indietreggiò come se fosse stata colpita da una scarica elettrica.

Abbassò il volto, sospirando con rassegnazione. Era vero: le era proibito sapere dove si trovasse la Sala dei Colloqui e tuttavia, pur non essendo in grado di arrivarci, sapeva perfettamente che in quella stanza avveniva di tutto, eccetto l’atto del colloquiare.

In quel momento prese piena coscienza di ciò che le sarebbe successo, nonostante nessuno gliene avesse parlato, e fu in grado perché l’intero Consiglio si fosse radunato esclusivamente per lei: le avrebbero fatto pagare caro il suo ritardo.

Serrò gli occhi con forza, avvertendo una fitta al cuore; poi, dopo un secondo che le parve interminabile, sollevò lo sguardo verso Alec, e senza aspettare che le sue labbra carnose si muovessero per darle qualche indicazione, Erice allungò una mano verso di lui….

Nel preciso istante in cui le loro dita si sfiorarono, la ragazza si sentì avvolgere da una densa, soffocante ed infida nebbia che la avvinse lentamente, come una mortale serpe.

Dapprima avvertì che le gambe perdevano sensibilità, poi quella spiacevole sensazione passò al ventre, quindi alle braccia e man mano le si intorpidì tutto il corpo.

L’ultima cosa che gli occhi verdi dell’umana videro, fu l’espressione diabolica in cui era tirato il viso angelico di Alec, i suoi occhi ardenti, animati da infernali fiamme; uno spettacolo antitetico, inquietante e terribile. Cercò anche di aggrapparsi a lui, in cerca di aiuto, ma il ragazzo vampiro si scansò, fissandola con disprezzo suscitando le risate crudeli di Jane- per un attimo fu certa che, se avesse potuto, le avrebbe sputato. Infine, cadde inerme a terra, con la sensazione che il suo corpo, ormai di pietra, non fosse più in grado di sostenere il suo peso, e cadde in un oblio freddo, oscuro e senza quiete.

 

Finalmente, dopo quello che le era sembrato un sonno durato mille anni, Erice si risvegliò. Come un animale appena ridestato dal letargo, senza riuscire ad aprire gli occhi, iniziò a tentar di muovere le dita delle mai, poi il collo. Tuttavia, seppur gioendo inconsapevolmente(un debole gemito le sfuggì dalle labbra) per il trascorso effetto della “nebbia”scatenata da Alec – che aveva privato il suo corpo di qualsiasi utilità- il sollievo di aver ripreso possesso di se stessa, svanì presto dalla mente della ragazza, sostituito da una spiacevole sensazione di dura freddezza, che, man mano che lei tornava a contatto con ciò che la circondava, si faceva più solida e tangibile, impedendole quindi di compiere i movimenti completamente.

Per un secondo Erice temette che quella sensazione di gelo, che le si stava espandendo inesorabilmente in tutto il corpo- guance comprese- altro non fosse che il potere di Alec, che continuava ad accanirsi su di lei.

L’ultima cosa che la ragazza ricordo, prima di avere la sensazione di precipitare nel vuoto, fu il terrore che le attanagliava le viscere, avvolgendole in una stretta convulsa, alla sola idea che quell’ipotesi si stesse verificando…

 

Sollevò di scatto la testa e, dinnanzi ai suoi occhi appannati, si parò uno strano spettacolo: qualcuno l’aveva distesa su un pavimento di granito nero(forse si spiegava così l’origine del freddo che aveva avvertito)sul quale sembravano fluttuare sei vampiri, che la fissavano biechi. Tre di essi erano avvolti in eleganti tuniche nere, che li facevano somigliare a dei giudici; mentre gli altri tre, indossavano semplici abiti purpurei, tipicamente femminili, che ricordavano lo stile dell’Antica Grecia.

Mentre un sorriso le sbocciava spontaneo sulle labbra, senza neppure accorgersene, Erice si ritrovò prostrata in ginocchio. Tuttavia, prima che riuscisse a presentare i suoi saluti al Consiglio, - come di dovere- udì una voce tagliente e melliflua, che le fece gelare il sangue nelle vene:

-         ben svegliata, piccola umana…-

con un sobbalzo che la portò ad incassare la testa nelle spalle per lo spavento, la ragazza girò il viso verso Jane - che si trovava alla sua sinistra- e scrutò il perfetto ed angelico volto di quella vampira, incorniciato da soffici capelli castani, abbandonati sulle spalle; le labbra carnose tirate in un sorriso crudele.

-         miei signori, come da vostra richiesta, eccovi “la preda”. Questo è ciò che le abbiamo trovato addosso…- al suono di quella voce bassa e sensuale, il cuore di Erice mancò un colpo; quasi non notò che Alec aveva usato il soprannome con il quale, da qualche anno, tutti i Volturi erano soliti chiamarla, riuscì solo a fissare di sott’ecchi quel vampiro che, avvolto nel suo splendido completo grigio perla stava alla sua sinistra e reggeva in una mano il flauto che lei aveva realizzato, come per mostrarlo ad Aro, Caius e Marcus, mentre nell’altra il coltello di cui si era servita.

L’atmosfera in quella stanza divenne di ghiaccio: l’umana sentì su di sé gli sguardi di tutti, per un istante eterno; sicuramente si stavano chiedendo come mai l’avevano trovata in possesso di un coltello.

Pur temendo che avrebbero usato quella scusa per infliggerle una punizione, la ragazza si fece forza, perché il suo motivo era dei più innocenti, e lo avrebbe spiegato a tutti.

-         Il mio flauto…- bisbigliò Erice, iniziando a mettere in pratica la sua tattica difensiva.

-         Cosa, questo?- le parve che Alec guardasse la sorella prima di rivolgere a lei, una fugace occhiata di disgusto mentre si rigirava tra le mani il flauto- questo…non è definibile come tale…- e con una smorfia(entrambi gli angoli della bocca si rivoltarono improvvisamente in giù), mosse appena le dita così che il flauto si riducesse in un milione di piccoli trucioli, che si riversarono in terra.

La ragazza si sentì svuotata, non riusciva quasi a respirare: quel piccolo oggetto, sul quale aveva riversato impegno , fatica, rabbia e soddisfazione, per lei rappresentava una sorta di liberazione, di affermazione di sua superiorità rispetto a tutti gli eventi accaduti nella mattinata, ma ora che non c’era più quel barlume di speranza sembrava essere svanito.

-         smettila di fare la bambina, Erice. Non serve piangere per uno stupido pezzetto di legno. Invece di frignare, perché non spieghi come mai avevi con te, questo?- stavolta, a prendere la parola ed a farsi beffe dell’amarezza e della frustrazione che sicuramente trasparivano sul viso di Erice, era stata di nuovo Jane, che aveva iniziato a girarle attorno con fare accusatorio e, nel frattempo, giocherellava con il pugnale che era stato tolto alla ragazza, spostandoselo da una mano all’altra con una serie di complicati e velocissimi movimenti. Erice stessa riuscì a vederlo solo quando, dopo che aveva finito di porle la sua domanda, glielo puntò alla gola.

Lei non ne provò paura, piuttosto si irrigidì perché, vedendoselo davanti, non era riuscita a capire come quell’arma potesse essere finita dalle mani di Alec a quelle di Jane.

Possibile che il fratello fosse riuscito a passarle l’arma con un movimento tanto impercettibile agli occhi dell’umana che, mentre lei lo guardava impotente, fare a pezzi il suo flauto, non era riuscita a notare nulla, neppure lo spostamento d’aria che sicuramente quel passaggio aveva causato?

Erice chiuse per un attimo gli occhi, facendo un respiro profondo: da tutta la mattina ormai veniva umiliata, ed ora iniziava a stancarsi.

Gli occhi le si incendiarono, contaminati dalla rabbia irrefrenabile che sentiva montarle nel petto, violenta come una tempesta; rilucendo come i rami verdi e scuri di quelle foreste tanto fitte che non riescono mai a vedere la luce del sole; e drizzò fieramente la schiena, nonostante il peso del corpo le gravasse sulle ginocchia. Non le importava della lama fredda che aveva, puntata sulla carotide, né della mano di Jane, aggrappata convulsamente al collo  della sua maglietta e replicò, con decisione:

-         cosa ti aspetti, Jane? Che mi metta a piangere? È un coltello, null’altro: l’ho preso dalle Cucine- visto che è l’unico luogo in cui entro solo io, perché voi non mangiate- ed era l’unico oggetto tagliente che potessi usare per intagliare il ramoscello che avete distrutto, fino a farlo diventare un flauto. Tuttavia, se questo giochino sadico ti diverte, fa pure; tagliami la gola, , d’altro canto oggi non saresti l’unica che ci prova. Sappi solo che non ti renderò la vita facile: sarai costretta a leccare il mio sangue da terra, e questo non si addice ad una vampira di stirpe regale come te, ti pare?-

prima che potesse accorgersi di quanto stava per accaderle in torno, Erice sentì la presa attorno alla sua maglietta, abbandonarla improvvisamente, ed avvertì un brutale schiaffo distruggerle la guancia, tanto potente da riecheggiare minacciosamente nella stanza silenziosa.

-         calma mia cara. Avete fatto un ottimo lavoro scoprendo come mai “la preda” aveva con sé un coltello, ma ora vi prego di lasciarci soli con lei, ti assicuro che la puniremo per l’affronto nei tuoi confronti, tu intanto, per favore riporta il coltello nelle Cucine: sono così contento che la nostra umana non ci si sia ferita.- la voce tranquilla ed armoniosa di Aro coprì subito qualsiasi rumore, ed Erice se lo immaginò con un sorriso serafico stampato sul volto pallido, le braccia raccolte in grembo, simile ad un saggio, mentre la calma serpeggiava tra tutti.

Le parve che Jane sogghignasse poco prima di inchinarsi al suo signore e sparire accanto ad Alec, oltre la porta che si chiuse alle spalle, e la fissasse soddisfatta, probabilmente a causa della promessa presente nelle parole di Aro, e della beffa nei confronti della ragazza.

Erice, rimasta sola con i tre Anziani e le loro mogli, tirò un sospiro di sollievo, nascondendo il viso tra le mani per massaggiarsi le tempie.

-         piccola mia, ascoltando le tue parole ho udito qualcosa che mi porta a porti una domanda, e ti prego, rispondi sinceramente: hai detto Jane che non sarebbe la prima che oggi prova a tagliarti la gola, ti prego, spiegami, cosa intendi?- la voce melodiosa di Didyme risuonò dolcemente vicinissima alla ragazza, e lei, che con un sobbalzo alzò la testa, ritrovandosi la moglie di Marcus inginocchiata vicinissima al suo viso, quasi si spaventò.

Rimase per alcuni momento a fissare rapita il suo viso perfetto, e scorgendo nel profondo degli occhi cremisi della vampira, una fiammella di preoccupazione, di curiosità, avvertì una carezzevole sensazione di calma che la pervadeva, e fu persuasa di potersi fidare di quella donna che la chiamava “piccola mia” e si preoccupava per lei.

Abbozzando un sorriso, Erice dischiuse le labbra, sembrando sul punto di riordinare i pensieri, per rivelarle quanto era successo quella mattina in Piazza dei Priori, quanto le aveva quasi fatto Felix e quanto invece non si era verificato grazie all’intervento di quel vampiro sconosciuto agli occhi della ragazza.

Ma…d’un tratto il volto rabbioso di Felix le comparve dinnanzi agli occhi ed il brivido di paura che la pervase al solo pensiero che il vampiro potesse fargliela pagare in un modo mille volte peggiore di come aveva fatto Jane, per aver parlato, fu talmente violento da farla rannicchiare a terra, con gli occhi serrati.

-         non posso…- sussurrò con voce tremante, mentre si mordeva le labbra.

-         Bene, allora. Mi spiegheresti invece, perché sei arrivata con tanto ritardo beffandoti dell’appuntamento che ti avevo dato?- sibilò ringhiando Didyme, le labbra contratte per il disappunto.

-         Mia signora Didyme, mi dispiace per il mio errore, non era intenzionale: avevo perso il conto del tempo dopo qualche attimo trascorso ad intagliare il flauto, inoltre non riuscivo a trovare la strada per la vostra stanza, dove mi avete dato appuntamento…- disse contrita Erice.

Didyme le prese le mani tra le sue, alzandosi ed invitandola a fare lo stesso. Quando furono in piedi, l’una davanti all’altra, la vampira sorrideva di nuovo, serena.

-         ti chiedo ancora una volta cosa ti abbia portato a pronunciare quelle parole, per avere una più chiara visione di quanto ti sia successo oggi…- riprese la moglie di Marcus, iniziando a passeggiare per la stanza accanto alla “preda”.

-         Ne siete forse già a conoscenza, mia signora?- domandò Erice, con gli occhi bassi, sentendo il respiro che le moriva in petto ed il cuore che, in mancanza d’aria, veniva risucchiato in gola e restava incastrato lì, per iniziare poi a pulsare follemente.

-         Oh sì, certo. Felix ci ha detto tutto.- Didyme aveva quasi ruggito nel pronunciare quelle parole.

Erice, sentendosi persa aveva sollevato gli occhi nella stanza, distrattamente.

Sino a quel momento, accecata dall’abbagliante bellezza del Consiglio e delle mogli, non aveva prestato attenzione a dove si trovasse e, nonostante sapesse che si trattava della Sala dei Colloqui, non si era concentrata sul particolare arredamento di quel luogo.

Ora, facendo scorrere gli occhi su ogni centimetro di pavimento e pareti, represse a stento un grido di terrore.

Sul lucido muro color onice, circondati di tanto in tanto dal simbolo dell’Inquisizione, erano appese armi d’ogni genere: pugnali, pinze, strani ferri lunghi e sottili dall’estremità ricurva, fruste, legacci e collari di ferro con l’in terno “decorato” da acuminate punte di metallo.

Inoltre, sparse per la stanza, c’erano altri strumenti di tortura: una ruota della tortura studiata per allungare o accorciare la distanza di alcune cinghie di cuoio poste su una scheggiata tavola di legno; una sedia larghissima, ma con gli interni rivestiti da minacciose punte di ferro.

E, tutta quella splendida esposizione storica, di tanto in tanto risplendeva come schegge di stelle, colpita dalla luce del sole che, giustiziere entrava attraverso l’unica finestra della stanza, nonostante fosse stata ostruita il più possibile, con una pesante tenda; tuttavia, quello spettacolo, anziché tranquillizzare Erice - i Volturi le dicevano sempre che era eccellente nello scorgere la bellezza anche nei particolari più temibili- le davano la sensazione di avere sangue gelato nelle vene.

La ragazza quindi, mentre veniva scossa da uno sconvolgente brivido di paura, si rese conto del perché le fosse stato raccontato che la Sala dei Colloqui era anche nota come “la Stanza di Anthenodora” tuttavia, pur sapendo abbastanza sulla moglie di Caius, non immaginava che lei fosse tanto affezionata al periodo storico che si era lasciata alle spalle, diventando una vampira, da curare un’esposizione di tutte le armi usate dall’Inquisizione, in quella stanza.

Anthenodora era stata trovata da Caius attorno al 1190 in una sperduta cittadina d’Europa, il quale, dopo qualche insistenza, era riuscito ad ottenere che Aro la trasformasse, proprio pochi giorni prima che ardesse al rogo al quale era stata condannata. E da allora erano stati sempre insieme, forse si erano amati, ma sicuramente due particolari li avevano accomunati: la sete di potere e la rabbia distruttrice che li aveva animati poiché dinnanzi ai loro occhi era lampante che, come vampiri non avevano poteri, a differenza invece, di tutti i vampiri del clan di cui facevano parte.

 

Prima che riuscisse a dire qualcosa però, la stretta di Didyme attorno alle sue mani divenne più serrata, fino a farsi stritolatrice, e lei ebbe solo il tempo di gemere di dolore perché subito dopo si ritrovò contro una colonna.

Didyme le stava davanti, fissandola con un cipiglio furibondo e le teneva ferme mani e braccia per evitare che scappasse, che facesse il minimo movimento:

-         allora, piccola Erice, ora esigo di sapere cosa è successo veramente in Piazza dei Priori, questa mattina con Felix.- le ordinò.

Erice sentì che aveva l’anima lacerata, e il cuore che batteva a fatica: come avrebbe dovuto comportarsi? Sarebbe stato meglio, per lei, dire la verità oppure stare in silenzio?

Per un momento fu di nuovo sul punto di parlare, poi, il volto di Felix passò davanti agli occhi, lesto come un flash e ricordò che la moglie di Marcus aveva detto che ormai loro erano a conoscenza di tutto in merito all’accaduto, per bocca di Felix, perciò…anche se avesse parlato, ormai lei aveva già perso.

Abbassò il viso, sospirando e dopo alcuni minuti, quando Didyme comprese che non le avrebbe rivelato nulla, urlò:

- Anthenodora!-

Subito Erice sentì un innaturale spostamento d’aria e, mentre si irrigidiva, spaventata, la stretta della moglie di Marcus si faceva maggiormente convulsa; poi udì il rumore di uno strappo, lacerante che risuonò nell’aria…

Lo schioccare secco di una frusta la portò ad urlare. Solo dopo qualche attimo comprese che questa stava infierendo sulla sua schiena, rimasta nuda e, nonostante si sforzasse di non urlare- mordendosi le labbra o sussultando-, avvertiva sulla pelle la sensazione di centinaia di pugnali che si abbeveravano della sua carne, portandone piccoli frammenti via con sé, o del suo sangue, poiché ad ogni colpo le ferite sulla sua schiena si facevano più profonde.

- gli insegnamenti di questi anni sono stati vani per te, quindi, Erice. Sei quello che sei grazie a noi, e l’unica cosa che ti chiediamo è di venerarci, di rispettarci tuttavia, restando in silenzio, dimostri di farti beffe del rispetto che ci devi oltre che dell’unico divieto che ti abbiamo dato: evitare di guardare un vampiro sotto la luce del sole. Mi spieghi perché Felix ci ha detto che oggi sei uscita dalla sua stanza con l’unica intenzione di osservare il suo viso colpito dal sole? Quella del flauto, dunque, era solo una scusa. Ti sei presa gioco di me, che ti ho dato fiducia, ed ora, per giustificare la tua assenza nella mia stanza ad un’ora stabilita, ti nascondi dietro una scusa come quella che, non riuscivi a trovare la strada? Dimmi la verità, umana o avrai una frustata per ogni menzogna che hai detto!- tuonò Didyme, inchiodandola con lo sguardo e mostrando i denti mentre parlava. Erice riuscì a notare ance che, man mano che il suo sangue le arrivava all’olfatto, i suoi occhi si facevano più famelici.

- La bocca sollevò dal fiero pasto / quel peccator, forbendola a'capelli / del capo ch'elli avea di retro guasto. / Poi cominciò: «Tu vuo' ch'io rinovelli/ disperato dolor che 'l cor mi preme / già pur pensando, pria ch'io ne favelli. / Ma se le mie parole esser dien seme / che frutti infamia al traditor ch'i' rodo, / parlare e lagrimar vedrai insieme.- recitò la ragazza, nonostante il cuore le piangesse per aver deluso la persona a cui teneva di più in quel clan, ma…non poteva dire la verità, altrimenti Felix gliel’avrebbe fatta pagare. Inoltre quel bastardo l’aveva messa con le spalle al muro e nessuno avrebbe creduto alla sua parola quando contro di lei, c’era un vampiro come lui.

- interessante la citazione dal canto XXXIII dell’Inferno di Dante, però non mi interessa se tu sia stata tradita o se piangerai mentre parli, voglio solo sapere la verità.- replicò Didyme, con un’indifferenza che la ferì dolorosamente.

Le sferzate continuavano, sempre più prepotenti, violente, ed Erice, pur sentendo le lacrime di dolore e tristezza pungerle sotto le palpebre, e sapendo che quel comportamento infantile non le recava onore, non riusciva a staccare gli occhi dalla sua mentore, sentendo di averla tradita.

D’un tratto, quando ormai le frustate stavano diventando insopportabili per il dolore che le arrecavano, e la ragazza – con profondo stupore da parte degli Anziani- tentava di mantenere un contegno, udì che le porte della Sala dei Colloqui che si aprivano impetuosamente, come se lì stesse per piombare un uragano.

-         Santiago, cosa vuoi? Non vedi che siamo impegnati?- ululò Caius, facendo qualche passo verso la guardia che era appena entrata, interrompendo la punizione di Erice e,- immaginò lei- sicuramente anche Aro gli si era avvicinato, contrariato per quell’intrusione e desideroso di “insegnargli le buone maniere”.

-         Miei signori, perdonatemi per non aver rispettato questo vostro rito ma, solo ora sono venuto a sapere quanto vi ha detto Felix e…poiché ero presente in Piazza dei Priori, stamane, vorrei raccontarvi io la verità, perché egli non è stato sincero con voi.- nonostante non potesse vederlo, dato che gli dava le spalle, Erice si sentì mancare nel momento in cui riconobbe la voce del vampiro che l’aveva soccorsa in Piazza dei Priori, come quella di Santiago.

Per un secondo il tempo si congelò, e tutto il Consiglio attorniò quella guardia, per ascoltarne quella che lui chiamava “la verità”.

-         ebbene, “la preda” è giunta in Piazza dei Priori perché chiamata dallo stesso Felix, che intendeva mostrarle la pira che stavamo allestendo lì. Lei ha dovuto obbedire- perché è così che deve comportarsi nei nostri confronti- e, nonostante Felix avesse tentato di spaventarla, dicendole che sarebbe stata arsa lì, lei si è dimostrata rispettosa degli insegnamenti che le avete dato e ferma nelle sue convinzioni, soprattutto in merito a quello che sarà il suo trapasso. Felix, d’un tratto, per metterla a disagio si è tolto il cappuccio ed ha mostrato all’umana il suo aspetto sotto la luce del sole…- raccontò quello, col suo accento spagnolo e la voce bassa, agitata da scosse di rabbia che a stento erano tenute a bada. Ed in tutto questo parve che il fortissimo profumo di sangue di lei, attirasse la sua attenzione.

Erice si morse con violenza le labbra, sentendo la frustrazione imperversare dentro di lei. Aveva voglia di piangere per la rabbia poiché non riusciva a capire il motivo dell’intromissione di Santiago in quella faccenda. La verità era stata rivelata e da un vampiro, per giunta, il che significava che aveva maggiori possibilità di essere ascoltata, tuttavia, non era forse più giusto che Erice venisse punita, seppur innocente? Così magari l’ostilità di Felix nei suoi confronti, si sarebbe placata…

Ora invece, chi poteva assicurarle come quel folle avrebbe reagito? Soprattutto se avesse saputo che in suo soccorso era intervenuto ancora una volta Santiago?

-         lascia quell’umana, sorella. Ha assaggiato la frusta- e non le fa mai male- ed imparerà a rispettarci, ma non l’abbiamo punita per la cosa giusta. Presto parleremo con Felix ma ora credo sia giusto che le venga inflitta una pena equa, ossia solo in base al fatto che ha ritardato al tuo appuntamento. Visto che non riusciva a trovare la strada, perché non la lasciamo nella Cinta Muraria della città.- intervenne Aro, guardando verso Didyme, che era rimasta per tutto il tempo a stringere le braccia di Erice.

Solo quando annuì, accettando la proposta del fratello, la lasciò andare, e lei scivolò a terra, sulle ginocchia, sentendosi soffocare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao! Eccovi la prima parte del 4 capitolo, che ne pensate del riferimento all’Inferno di Dante? E dei trascorsi di Anthenodora?(ho inventato io la sua vita umana, com’è?) mi auguro vi piaccia, e come sempre oltre a chiedervi di farmi sapere una vostra opinione in merito, vi chiedo di essere pazienti perché non so quando riuscirò ad aggiornare. A proposito grazie mille per chi ha avuto la pazienza di attendere e commentare il post precedente

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** punizione (parte 2) ***


Capitolo IV

Punizione

 

Parte 2

 

L’intero Consiglio approvò all’unanimità la proposta di Aro, ed ordinò che Erice venisse abbandonata- sola, senza cibo né acqua- nella Cinta Muraria di Volterra, finchè non fosse riuscita a trovare da sé la strada per tornare al Palazzo dei Priori.

Udendo la sentenza, la ragazza annuì, accettando fieramente quello che sarebbe stato il suo destino e, mentre indossava il pesante mantello grigio che Didyme le aveva gettato ai piedi- per far sì che l’odore del sangue fresco venisse tamponato il più possibile- si affrettò a seguire Santiago, il quale era stato incaricato di guidarla sino al luogo designato.

Per tutto il tragitto, pur sforzandosi di camminare dritta e col passo deciso, Erice si morse le labbra per evitare di urlare, cedendo quindi al dolore che il mantello grigio le causava, ogniqualvolta veniva a contatto con la pelle martoriata e sanguinante della sua schiena.

Ad un certo punto, per scacciare il brivido che improvvisamente aveva avvertito nascerle alla base della spina dorsale, al ricordo della frusta- scorta fugacemente sul pavimento della Sala dei Colloqui- che Anthenodora aveva usato contro di lei- fini corde di cuoio decorate al termine da affilati uncini di metallo-, spostò lo sguardo sull’imponente figura del massiccio vampiro spagnolo che le stava accanto, e ben presto si ritrovò a serrare con forza le dita a pugno, fino a ferirsi i palmi con le unghie, sentendo ancora una volta la rabbia montarle nel petto a causa dell’inspiegabile comportamento di lui.

Nel momento in cui, però, i due si ritrovarono in Piazza dei Priori, tutti i sentimenti negativi in lei svanirono, soffocati dall’emozione suscitata dalla vista dello splendido panorama: il cielo, di un blu tendente al pervinca, profumava dell’aria frizzante tipica di quel momento appena successivo alla notte, ma ancora troppo presto per essere mattina. Alcune stelle pigre se ne stavano ancora lì, brillando debolmente mentre la fissavano; la ragazza allora, si sforzò di restare col naso all’insù, per restituire loro lo sguardo, per distogliere gli occhi da Santiago –che, le sembrava, le facessero ribollire il sangue nelle vene- e per non mostrargli che le veniva da piangere alla sola idea di doversi lasciare alle spalle quel magnifico spettacolo, senza peraltro sapere quando i suoi occhi ne avrebbero goduto di nuovo.

-         togliti il mantello, Erice.- un sussurro le punse le orecchie, somigliando ad una supplica.

La voce pacata e profonda di Santiago la risvegliò dal torpore che l’aveva avvolta fino a quel momento e, con un sussulto si rese conto che erano ormai abbastanza lontani dalla città, dinnanzi alla volta che nascondeva la grata in ferro battuto che dava accesso alla Cinta Muraria.

-         come, scusa?- trovò il coraggio di domandargli, cercando contemporaneamente una risposta a quella strana richiesta- che poteva apparire equivoca- nei luminosi occhi cremisi di lui.

-         Togliti il mantello…- ripeté, mentre sollevava le mani per mostrarle un unguento e delle bende che, celate sotto il mantello, aveva portato con sé, e questo parve tranquillizzarla.

-         Perché dovresti disinfettarmi le ferite? Ti è stato ordinato?- bisbigliò ancora Erice, confusa.

-         No, ma non voglio lasciarti andare lì dentro, senza sapere quando tornerai e con il pensiero che le tue ferite- essendo tanto profonde- potrebbero infettarsi fino a condurti alla morte.- le spiegò, deciso, con gli occhi accesi per la rabbia poi, fece un passo avanti, costringendola quindi ad indietreggiare.

-         Non hai mai pensato che forse è proprio questo che i Volturi vogliono? Farmi morire qui per venire in seguito a bere il mio sangue?- gli chiese, cinica mentre raccoglieva le braccia al petto, per coprire i seni nudi, sotto il mantello.

-         Ne parli con assoluta tranquillità. Non hai paura di ciò che potrebbe accaderti?- domandò lui, guardandola da sotto una maschera di severità che mal celava, tuttavia, una forte ammirazione.

-         Come posso temere quello che so sarà il mio destino? Non mi spaventa neppure la prospettiva di restare da sola, per un tempo indeterminato, senza mangiare o bere, nel dedalo infinito di corridoi della Cinta Muraria perché, da quando servo i Volturi, la solitudine è come una compagna per me, e già altre volte sono stata punita con la privazione dei viveri. L’unico particolare che mi fa un po’ tremare è il fatto che starò costantemente al buio…- Erice iniziò a parlare sostenendo, convinta, lo sguardo di Santiago per poi finire col fissare il pavimento ciottoloso di quel luogo, mentre le sue parole assumevano l’amaro sapore di una confessione.

-         È solo questo che temi? Il buio?- le soffiò in un orecchio, delicatamente; con una nota si sorpresa.

Ad Erice parve di sentire un uragano sconvolgerle il cuore quando avvertì una lesta ed intensa scossa gelida, correrle lungo una guancia. Ci mise qualche secondo a realizzare che il vampiro, col quale si era aperta, le aveva fatto una carezza e, quando lo comprese, era già troppo tardi: Santiago, infatti, l’aveva fatta girare su se stessa -così che gli desse le spalle- le aveva tolto il mantello ed aveva iniziato a curarle e fasciarle le ferite sulla sua schiena.

-         buona fortuna…- le augurò lui, quando ebbe finito( “troppo presto” pensò la ragazza), e le chiuse la porta in ferro battuto in faccia, sparendo, un attimo dopo averle restituito il mantello grigio.

 

La ragazza avanzò in quel buio che sembrava volerla inghiottire, per qualche tempo, sentendosi svuotata, sotto choc. Per un po’ non si rese conto di dove andava, anzi, sapeva addirittura che faticava a camminare in linea retta per via degli abbagli di luce che la disorientavano, causati dal passaggio repentino da un posto assolato, ad uno in ombra; il cuore le batteva a singhiozzo, dandole la sensazione di fluttuare, leggera come una piuma, ad un palmo da terra.

Con la testa popolata da farfalle, Erice si ritrovò a riflettere sul discorso appena avuto con Santiago. Non sapeva se essergli grata- poiché con quel suo particolare gesto, era riuscito a farle dimenticare la sua paura- o se odiarlo ancora di più, perché da quella mattina, aveva iniziato a comportarsi in modo strano, nei suoi confronti.

Quella sensazione di calma, tuttavia, durò poco: presto infatti, lei sentì il respiro che tornava ad accelerarle, avvertiva sulla pelle la paura per quelle tenebre, pronte ad assalirla. Si costrinse quindi a distendersi al suolo, impregnato del tanfo di muffa, ed abbandonò in terra il mantello che aveva con sé.

D’un tratto però, mentre era tutta impegnata a concentrarsi su qualcos’altro,- chiudeva e riapriva gli occhi, massaggiandoseli, nella speranza di scacciare gli abbagli di luce- una serie di vorticosi pensieri le fece girare la testa, investendola con veemenza, simili ad una valanga di fango ed acqua.

Erano un insieme di accecanti flash di quanto le era accaduto, dalla mattina fino a quel momento, che le sfrecciavano davanti agli occhi; di una portata tanto intensa da sembrare reali e così, mentre riviveva la discussione con Felix, il discorso di Didyme, la chiacchierata con Santiago, tutte le emozioni provate la attaccarono, come uno sciame d’api. Lei non seppe dare loro un nome e quelle continuavano ad incalzarla, sempre più intense e frequenti, disorientandola, perché lei ne sembrava sottomessa.

Doveva ribellarsi, e subito. Altrimenti sarebbe stata schiacciata da quei ricordi.

Decise di tentare a trovare un modo per ritrovare la tranquillità: aveva la sensazione che dei conati le raschiassero la gola e, dopo essersi quindi, quasi infilata un pugno in bocca per impedirsi di strillare, non riuscì più a trattenere le grida, così, all’improvviso, il silenzio muto e mortale che la circondava, si saturò delle sue stesse urla.

Non funzionava! Come sarebbe sopravvissuta lì dentro, ora che il panico, crudele si divertiva a terrorizzarla?

I flash che aveva in testa, nel frattempo, mutarono in vere e proprie emozioni che la assalivano, la soffocavano, la distruggevano.

Tutti gli avvenimenti di quel giorno si ammassarono l’uno sull’altro, compattandosi come fossero stati un muro, e quella paura dell’ignoto che provava adesso; le umiliazioni che aveva subito; quella punizione che, seppur avesse ritenuto ingiusta, doveva scontare, le vennero addosso violentissime e, poiché le diedero la sensazione di esser stata sconfitta, di trovarsi in una prova che non avrebbe superato, questa volta, la spinsero, con un unico colpo di reni, a rannicchiarsi con le ginocchia al petto.

Da quella posizione, che la faceva somigliare ad un riccio, Erice fu costretta a dondolarsi lentamente avanti e indietro, per ritrovare un minimo di calma. Tuttavia, nonostante il cuore avesse smesso di minacciare di fuoriuscirle da petto, anche questo suo metodo si rivelò errato. Ottenne infatti l’effetto contrario: ben presto si ritrovò a piangere, mentre si cullava, pensando a ciò che era stata la sua vita fino ad allora.

Lei adorava i Volturi, li venerava, vedendoli come divinità, faceva di tutto per obbedirgli, compiacerli, apprendere qualsiasi cosa loro avessero voluto insegnarle; nei momenti di sconforto- come quello- se si fermava a riflettere, non riusciva a comprendere il motivo per cui si ostinavano a tenerla con loro, se erano perfettamente consapevoli della loro superiorità rispetto a lei, e se non perdevano occasione per rimarcarglielo.

La ragazza sapeva di essere solo un’umana, era a conoscenza del suo destino, le era stato dipinto senza preamboli, sin dalla tenera età: il suo sangue avrebbe irrigato il pavimento del Salone Principale, e lei avrebbe avuto il privilegio di guardare i tre Anziani, che si cibavano del suo fluido vitale poco prima di udire il suo cuore che smetteva di battere, e chiudere gli occhi per sempre.

Sapeva anche, però,- nonostante non le fosse mai stato permesso di partecipare- che durante la festa di San Marco, ricorrenza in cui si festeggiava il compagno di Didyme, e la cacciata dei vampiri dalla città, piccoli gruppi di turisti sconosciuti venivano attirati nel Salone Principale e divorati.

Perché per lei doveva essere diverso? Perché la sua vita doveva essere un cammino fatto di paura, umiliazioni, costanti prove ed estrema sottomissione? Non potevano limitarsi ad accettare il fatto che lei li adorava incondizionatamente, e lasciarla studiare Musica, lasciare che si innamorasse dell’Arte, e della Bellezza?

Versò altre lacrime, e stavolta un brivido di freddo le corse lungo la schiena. Ne rimase colpita perché ricordava che il sole doveva ancora sorgere poco prima che entrasse nella Cinta Muraria, possibile che lì, non arrivasse il suo calore?

Sconfitta e terrorizzata si raggomitolò nel mantello, nella speranza di riuscire a ritrovare un po’ di lucidità e forza perché altrimenti non sarebbe stata uccisa solo dalla mancanza di cibo ed acqua, ma anche dalla sua “tiepidezza”dalla sua ignavia. E non poteva lasciare che, semmai un giorno fossero venuti a cercarla, avrebbero detto di lei, che non era stata in grado di reagire alla prova cui l’avevano messa di fronte.

Quella sorta di schiaffo morale che si era data da sola, servì un po’ a calmarla; e forse proprio grazie alla concentrazione che aveva deciso di spostare sul proprio cuore che, tornava a battere regolarmente, e sul silenzio logorante e spaventoso che l’avvolgeva, solido; riuscì a percepire qualcosa che cadeva dal mantello che si era gettata addosso, nell’oscurità.

Perplessa, impiegò qualche secondo a capire che doveva cercare quell’oggetto a tentoni e tentare di indovinare cosa fosse tramite il solo tatto. Di conseguenza, mentre la malinconia svaniva dalla sua anima come un soffio, Erice fu costretta ad inginocchiarsi e cercare a caso quell’oggetto che era scivolato in terra, con la leggerezza di una foglia autunnale.

Per diverso tempo, mentre stendeva le mani e le braccia davanti a sé, compiendo dei piccoli cerchi, cercò invano, tesa. Poi, come fosse stata colpita da un incantesimo, quasi scordò ciò che stava cercando e involontariamente si accorse che quel bagno nel silenzio le stava facendo ampliare l’udito. All’inizio era stata terrorizzata dal buio, perché lo vedeva come qualcosa di logorante, così cupo com’era, di vivo e maligno, pronto a toglierle qualsiasi energia, eppure ora, lentamente, le sembrava di riuscire a sentire il fruscio del vento contro le mura di pietra, che parevano ricordare lo scroscio di gentili risate, o il delicato verso degli uccellini che spesso si posavano negli alberi in Piazza dei Priori.

Senza neppure volerlo, la ragazza allontanò il mantello da sé, abbandonò la ricerca e si distese a terra, rimanendo immobile, incapace di qualsiasi movimento, poiché temeva di rovinare quella quiete allegra e rassicurante. Il freddo del pavimento prima divenne pungente poi pian piano, mentre le penetrava nella pelle, nelle ossa si fece lenitivo e lei si concentrò- nell’attesa che i suoi occhi si abituassero all’oscurità- sui propri respiri.

Ottantasette respiri più tardi- Erice non seppe dire se era trascorso un minuto, un’ora o un giorno intero, da quando era lì il tempo sembrava essersi allontanato da lei, lasciandola in quel luogo fatto di attimi indefiniti- la ragazza si rese conto che stava gelando. La guancia dove Santiago l’aveva accarezzata, però,- pensò con un sussulto lei, mentre l’odore dell’eucalipto che il vampiro aveva usato per disinfettarle le ferite, le riempiva delicatamente le narici- sembrava riarsa dalle fiamme.

Per resistere all’impulso di correre da lui e domandargli il motivo delle sue premure, Erice incollò la schiena al pavimento chiuse gli occhi in attesa che la musica di ciò che la circondava si facesse più intensa e, inaspettatamente scivolò nell’abbraccio caldo del sonno.

 

La stanchezza l’aveva trascinata via come una marea inesorabile e quando si stropicciò gli occhi per mettere meglio a fuoco il luogo in cui si trovava, la ragazza notò di essere circondata da lunghi e spaziosi corridoi le cui pareti erano tappezzate di torce crepitanti. Si alzò a fatica; non riusciva a capire come mai, se era stata condannata a vagare nell’oscurità finché non avesse ritrovato la strada, ora invece, il buio era scomparso. Tentò di concentrarsi di nuovo su quelle schegge di vita di cui aveva sentito solo il suono, tanto per ritrovare qualcosa che le fosse famigliare, ma tutto era silenzioso, eccetto il crepitio delle fiamme nelle torce, e un lontano ma costante gocciolio d’acqua.

All’improvviso una risata saturò l’aria, facendola rabbrividire: non era una risata maligna, anzi, cristallina tuttavia, pensò che la sua reazione fosse normale poiché era stata abituata da un bel po’ al silenzio.

La risata continuava, così lei, nella speranza di scoprire dietro essa qualcuno che avrebbe potuto offrirle il suo aiuto, si affettò a seguirla…ma scoprì con delusione, più lei si avvicinava, più il suono prendeva le distanze.

Ad un certo punto, stanca per la corsa e con il cuore in tumulto, fu quasi decisa ad interrompere l’inseguimento attraverso quelle svolte infinite, così uguali l’una all’altra, che sembravano non avere fine, però- si disse dopo essersi piegata sulle ginocchia ed essersi morsa le labbra fino a farsi uscire il sangue- non doveva arrendersi, non poteva farlo: non era il suo destino lasciarsi morire lì. Doveva, almeno un’ultima volta, parlare con Didyme, per tentare di riconquistare la sua fiducia e doveva ringraziare Santiago, o inventarsi una qualsiasi altra scusa, perché agognava avere un’altra carezza così delicata, da lui.

Spiccò di nuovo una corsa, lanciandosi in avanti e, con sua grande sorpresa, svoltato un altro angolo, si ritrovò, come se ci si fosse tuffata, come se aver pensato a lui, l’avesse fatto materializzare, tra le braccia di Santiago.

La ragazza sollevò piano la testa, tremando per l’emozione, le sembrava di essere paralizzata, di non riuscire a fare nulla. Con un sorriso, il vampiro spagnolo la prese il mento tra le mani:

-         Erice, per uscire di qui devi imparare ad ascoltare, non a guardare. Se riesci a non fare affidamento sui tuoi occhi, avrai la possibilità di ampliare gli altri sensi, così potrai vedere il mondo in modo diverso. Insegna al tuo corpo a conoscere ciò che ti sta intorno ed avrai tutte le risposte, ma fa presto: puoi resistere solo tre giorni senz’acqua.- la istruì, veloce, chiaro e conciso mentre lei nel frattempo aveva come la sensazione che il suo abbraccio le donasse calma, fermezza.

Erice si limitò ad annuire, beandosi della vista rassicurante di lui, dei suoi preziosi insegnamenti e delle sue forti braccia gelide che la stringevano:

-         ora devo andare…- bisbigliò lui

-         no, ti prego: non lasciar…- ma prima che lei riuscisse a terminare la frase, l’affascinante vampiro dalla pelle olivastra e il pizzetto si vanificò nel nulla, come fosse fatto dell’essenza dei sogni.

Erice si sentì come se le fosse stata strappata una parte di cuore dal petto, quella sensazione, contrapposta a quanto aveva appena provato, significava forse che tra le braccia di Santiago si sentisse bene, al sicuro, protetta?

 

Erice si risvegliò di soprassalto, il cuore incastrato in gola che batteva a mille, la pelle pervasa da brividi e la bocca arida come sabbia.

Disorientata, tardò a comprendere quanto fosse successo ed a far attivare il suo senso pratico: aveva bisogno d’acqua, quella sensazione era insopportabile; quindi si portò alla bocca le poche lacrime che le erano rimaste all’angolo degli occhi, o sulle guance, per bere un po’ nonostante fossero leggermente salate e con amarezza scoprì che la sua saliva aveva un dolciastro sapore di sangue.

Quanto tempo era trascorso? Possibile che Santiago fosse stato davvero lì, o si era immaginata tutto?

Una pigra sensazione di stanchezza la stava abbandonando come una biscia lenta e, solo quando inarcò la schiena e spalancò le braccia per stiracchiarsi, Erice comprese che si era addormentata. Dunque era stato solo un sogno…

All’improvviso qualcosa di delicato le sfiorò le dita, era sottile, forse poteva essere carta….chissà, se avesse sforzato la vista, avrebbe potuto leggere ciò che c’era scritto( riusciva a sentire i solchi lasciati dalla penna)…

No! Non c’era tempo da perdere in futili ragionamenti. Che fosse un sogno o meno, il Santiago che lei aveva incontrato le aveva detto la verità: da brava umana poteva resistere solo tre giorni senza bere e se voleva uscire viva di lì doveva seguire il consiglio del vampiro, affidandosi solo ed esclusivamente all’udito o al tatto per muoversi nell’oscuro mondo che le stava intorno.

Quando si alzò in piedi,- il foglietto ormai abbandonato in una tasca dei pantaloni- Erice si accorse che, nel buio, c’era qualcosa di simile ad un’orchestra brulicante di vita: fuori dalle mura il vento soffiava, danzando assieme agli uccelli che cantavano; all’interno di quel dedalo di corridoi, l’odore delle erbe che crescevano selvatiche tra una mattonella e l’altra del pavimento, le arrivava fortissimo alle narici, offuscando quasi il rinfrescante profumo dell’ unguento all’eucalipto sotto le sue bende.

All’improvviso…udì il fruscio di qualcosa di simile ad una risacca a distanza le parve di riconoscere un ritmato e regolare gocciolio d’acqua, come quello che aveva sentito nel suo sogno.

Trattenne il respiro, sopraffatta dall’emozione: come avrebbe potuto fare per intraprendere il suo “viaggio” ed essere sicura di arrivare a destinazione?

Raccolse il viso tra le mani, contando i propri respiri mentre si affrettava a ripiegarsi il mantello su un braccio…

Poi, di colpo le tornò in mente la favola di Hänsel e Gretel, e le avventure di Teseo nel labirinto del Minotauro, che Didyme le leggeva quando era piccola, forse per stimolare la sua fantasia, o la sua memoria…non lo sapeva, ma ricordava sempre con piacere quelle schegge d’infanzia.

In una situazione come la sua, forse Erice poteva agire ispirandosi ai due fratelli o all’eroe greco, pur non disponendo né di briciole di pane né di gomitoli di filo.

Iniziò a fare dei passi decisi dal luogo in cui si trovava, approssimando più o meno una distanza, finchè non si ritrovò le mani posate contro un muro umido.

“bene, saranno due metri da qui…se camminassi rasente i muri…” pensò.

Subito quindi, posando con fare vittorioso una mano su quella parete, tornò a girarsi verso la direzione da cui era partita e...senza pensare, o forse con un’idea già in mente, si gettò a terra, con un unico movimento fluido, come se avesse ricevuto un’illuminazione, e prese a raspare, grattare con le unghie i piccoli ciuffi d’erba che le avevano solleticato le dita mentre era alla ricerca di quel foglietto.

Decise che, come aveva ipotizzato, avrebbe camminato lungo i muri e si sarebbe gettata alle spalle una manciata d’erba, per ogni passo che faceva.

D’altro canto se era stata così intelligente da distinguere quell’insieme armonioso di suoni, attorno a lei, senza l’aiuto della vista, sarebbe senz’altro riuscita a riconoscere l’odore delle piantine che aveva in mano, no?

Con un sorriso, mosse un passo avanti, poi un altro. Il cuore già cantava vittoria nel suo petto, mentre carezzava con la mano la parete accanto a lei e, nell’altra custodiva la piccola scorta di “briciole” che si era procurata.

 

Erice sfruttò quel cammino per apprendere, ascoltare, immaginare ciò che la circondava ed ampliare i suoi sensi, le sue emozioni, le sue sensazioni.

Pur essendo stata ingiusta, quella punizione le avrebbe insegnato qualcosa- magari ad avere più fiducia in sé stessa- e sarebbe tornata tra gli dei terreni che serviva, migliore, cresciuta.

Tuttavia il viaggio non fu sempre facile: c’erano momenti in cui il cammino procedeva dritto, altri in cui Erice era costretta a contare le svolte dei corridoi che aveva preso e attimi in cui, sentendosi più forte, si concedeva il lusso di procedere più velocemente, mentre in altre occasioni, a causa della mancanza d’acqua e di cibo si sentiva debole, e nel momento in cui si passava la lingua sulle labbra, il dolce sapore del sangue la faceva rabbrividire.

D’un tratto, quando ormai sentiva che le gambe l’avrebbero abbandonata, e si ritrovò ad incitarsi da sola perché non si lasciasse scivolare nell’oblio, svoltò verso un ultimo corridoio, e senza saperlo, giunse alla salvezza.

Lo spettacolo che le si parò davanti agli occhi, le ferì la vista con veemenza, dopo tutto quel tempo durante il quale si era impegnata a non farne uso: una fila di torce fissate al muro crepitava solennemente, illuminando a sprazzi delle piccole celle.

Cos’era quel luogo? A cosa servivano quelle celle?

Qui vengono rinchiusi quei vampiri che sono indecisi se unirsi o meno ai Volturi…

La voce di Didyme risuonò nelle orecchie di Erice, come fosse stata vicinissima a lei…

La ragazza ebbe la sensazione che tutto ora, le fosse familiare, il luogo, le celle, la voce della sua mentore…ma non per le torce, che erano state un elemento del suo primo sogno, bensì per l’insieme in sé: un piacevole formicolio le pervase il petto e si propagò in ogni angolo del suo corpo, era come se avesse sempre saputo che quel luogo esisteva…

Si avvicinò con fermezza alle torce e, esaminandole attentamente, nonostante le rimanesse poca lucidità, prese a sollevarle una ad una, rimettendole poi a posto…

All’improvviso, dopo che aveva ripetuto il movimento per la quinta volta, una piccola sezione del muro che le stava davanti si aprì cigolando…

Con un sospiro di vittoria, le gambe ormai pesanti come piombo, la ragazza si addentrò in quel corridoio in penombra, riuscendo a mettere un piede davanti all’altro solo grazie all’appoggio saldo delle sue mani contro i muri grigi che sembravano volerla abbracciare.

Man mano che avanzava, le sembrava di sentire la voce di Didyme che la spronava, e da quella- nonostante temeva fosse solo frutto della sua mente, che iniziava a vaneggiare a causa del lunghissimo ma indefinito periodo di privazioni- prese forza per continuare a muoversi, a perseverare in quanto aveva cominciato.

Nel momento in cui iniziò a muoversi meccanicamente, trovò, come unico espediente per combattere le palpebre pesanti, il gorgoglio- ormai simile ad un ruggito - dello stomaco e le labbra lacerate e sanguinanti, il ripetersi incessantemente sottovoce che non doveva arrendersi perché ormai era vicina alla fine di tutto, era salva.

Dopo un tempo che le parve interminabile, vide la fine del corridoio, scorse una luce intensissima- pur coprendosi gli occhi con un braccio per il fastidio che le procurava- e riuscì a sentire sotto i piedi il liscio pavimento del Palazzo dei Priori.

Pur sapendo di non sapersi muovere lesta come un vampiro, leggiadra come una farfalla o silenziosa come un gatto; non immaginò che il suo arrivo da una fessura del muro, richiamasse l’attenzione di Didyme e Marcus che, forse per puro caso o magari per qualcosa di prestabilito, si erano ritrovati a passeggiare insieme in quel corridoio, di cui Erice riusciva solo a vedere le pareti che vibravano.

bisbigliavano tra di loro, e sembravano preoccupati, ma la ragazza non riuscì a capire quanto si stessero dicendo…

All’improvviso sentì solo il corpo farsi molle, e temette di scivolare a terra, ferendosi.

Fortunatamente, al respiro terrorizzato che le sfuggì dalle labbra accorsero due mani, che la afferrarono, sostenendola e l’ultima cosa che Erice vide fu lo splendido viso di Didyme che la fissava, muovendo le labbra come se le stesse parlando, evidentemente sollevata.

L’umana le sorrise comprendendo- senza sentire le parole della vampira- che finalmente poteva abbandonare il corpo e lasciarsi trascinare nell’oblio dalla stanchezza accumulata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Innanzitutto vorrei ringraziare ramona37 ed enifpegasus per aver commentato: mi fa davvero molto piacere che il capitolo vi sia piaciuto, mi auguro sia lo stesso anche per questo, fatemi sapere cosa ne pensate!

A proposito, mi scuso per eventuali parti poco chiare o ripetizioni, ma non ho avuto tempo di controllarlo e…bhè come sempre, non so quando riuscirò a postare il prossimo pezzo, quindi…quanto siete disposti ad aspettare?

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** quella soglia mai attraversata ***


Capitolo V

Quella soglia mai attraversata

 

-         ti confesso che mi sento davvero…sollevato, ora che è di nuovo qui. Mi sembra impossibile ma credo di essermi preoccupato per lei, amore…-

-         anche per me è stato lo stesso: in ogni momento mi sentivo tesa ed in ansia per lei….alla fine, tuttavia, ce l’ha fatta! Sai che è uscita dallo stesso passaggio che avevo usato io la prima volta che l’ho portata qui, da bambina?-

-         pensi sia stato un caso che ci trovassimo lì, proprio nel momento in cui lei usciva? Ritengo, comunque, che si stia dimostrando all’altezza delle prove cui la sottoponiamo: la stiamo addestrando davvero bene, Dolce Dee. –

-         infatti. Credevo che le ferite che aveva alla schiena, l’avrebbero debilitata, e invece, è solo leggermente disidratata…ma, dopo tre giorni nella Cinta Muraria, mi riesce difficile credere che, per questa piccola umana, sia diversamente…-

-         sei stata brava ad inumidirle le labbra con dell’acqua, durante tutta la notte, mi sembra che stia già meglio. Appena si sveglia, però, dovrà fare un bagno: ha la pelle tutta sporca, il che mi porta a credere che abbia dormito a terra. Il mantello che aveva con sé deve esserle servito a poco. Chi credi possa averglielo dato?-

-         chi altri, se non Santiago? Sin da quando era bambina si è interessato a lei: è stato il primo a chiedermi come volessi chiamarla, quando l’ho presentata al Consiglio; voleva sempre tenerla in braccio, giocare con lei…poi, però, quando lei ha iniziato a poter ricordare quanto la circondava, lui ha dovuto prendere le distanze, per farle capire che in noi avrebbe trovato degli dei da temere e venerare, non degli amici o degli alleati. Tuttavia, il nostro caro vampiro messicano, ha sempre cercato di prendersi cura di lei, seppur “a distanza”; ed ho come la sensazione che tenga alla nostra Erice…-

-         Didyme, guarda: si sta svegliando…-

 

Erice aprì gli occhi lentamente, ma a fatica: era come se le palpebre, dapprima cucite insieme, le venissero strappate via.

Da quel momento, tutto, attorno a lei, l’aggredì con veemenza: aveva la sensazione di avere la gola sommersa dalla sabbia, tanto era riarsa per la sete; il magnifico e proibito odore che, i vampiri che venerava, erano soliti emanare, l’avvolse, come fosse qualcosa di solido, ma lei anziché respingerlo, se ne lasciò assuefare, quasi soffocare (più tardi avrebbe confessato a se stessa che, in quell’oscurità, che regnava nella Cinta Muraria, ne aveva sentito la mancanza); e tuttavia, allontanò proprio ciò che, in quel periodo di buio, non aveva potuto guidarla, scaldarla, illuminarla. Il sole.

Nonostante le pesanti tende fossero tirate in quell’enorme stanza in cui si trovava, ma che non conosceva, un raggio di luce mattutina, ribelle, si spinse ad accarezzarle il viso, incurante del fatto che le avrebbe ferito gli occhi- abituati ormai da molto alle tenebre.

Ed Erice di conseguenza, sobbalzò, dolorante, subito costretta a nascondersi- con uno scatto tanto repentino che sorprese persino lei- tra i morbidi cuscini del letto dove era stata adagiata, con un grugnito di fastidio.

-         sei stata per tre giorni nel buio della Cinta Muraria, posso comprendere che il ritorno alla luce non sia facile, ma…bentornata.- una voce melodiosa le soffiò nelle orecchie e la ragazza, con un brivido di piacere la riconobbe come quella che aveva udito in quello stato di incoscienza fluttuante in cui si trovava prima di svegliarsi, credendo di stare ancora sognando. Didyme.

-         Mia signora Didyme…- bisbigliò con reverenziale rispetto. Tutto ciò che uscì dalle sue labbra, però, fu un mugugno rauco.

-         Tieni piccola, bevi.- il moro e tenebroso Marcus le porse un bicchiere d’acqua, sorridendo. Erice riconobbe come sua la seconda voce che aveva udito nel suo sogno e si meravigliò del suo gesto perché non lo aveva mai visto fare gentilezze nei suoi confronti.

La ragazza ne trangugiò immediatamente tutto il contenuto, con avidità, sentendo con piacere che quasi le pungeva la gola e, dopo essersi stropicciata gli occhi ed aver tratto un profondo respiro, disse di nuovo:

-         buongiorno, miei signori…-

-         ciao, piccola Erice. È un sollievo rivederti, dopo quattro giorni…presto, fatti un bagno: il Consiglio chiede di te da ieri…- la esortò Didyme, tirando via, con un solo fluido gesto, le coperte che l’avvolgevano fino alla vita.

Erice sussultò, presa alla sprovvista.

-         Erice, perché ho la sensazione che tu ti senta…persa?- le domandò Marcus, notando i brividi che scuotevano l’umana e l’espressione spaesata sul suo volto.

-         Perché…mio signore Marcus, mi riesce impossibile credere che siano passati quattro giorni…- farfugliò, cercando di ricordare se in qualsiasi momento avesse avvertito lo scorrere del tempo.

-         Per l’esattezza sei stata nella Cinta Muraria solo tre giorni- un tempo molto breve se consideriamo che sei un’umana- il quarto lo abbiamo trascorso io e Marcus assieme a te, qui, mentre eri incosciente, cercando di ridarti un po’ di vita. Quando sei svenuta tra le mie braccia, ieri, infatti, eri pallidissima ed avevi le labbra sanguinanti…- le raccontò Didyme, e subito dopo tentò di prenderla in braccio, per paura che non riuscisse a camminare e perché lei ancora faticava a muoversi.

-         Non fatico a credervi, e vi ringrazio per le vostre premure. Tuttavia, mi riesce difficile pensare che abbia passato tre giorni, lì. – Erice rabbrividì, il volto basso e la mente popolata da mille pensieri.

-         Perché mai dici questo?- le chiese Marcus, scrutandola attentamente con i suoi occhi cremisi, dopo essersi seduto con grazia ai piedi del letto.

-         Perché lì il tempo non scorre: c’è solo il buio e il silenzio e…- sussurrò la ragazza, gli occhi tanto abbandonati ai suoi ricordi, al vuoto, che non mostrò un briciolo di rispetto al vampiro che le aveva fatto quella domanda.

Rabbrividì ancora, e fu costretta a raccogliere le ginocchia al petto.

-         allora, come hai fatto, in così poco tempo, a trovare la strada giusta?- volle sapere Didyme, mentre prendeva posto sul letto, seguendo l’esempio del marito.

-         All’inizio ero spaventata, mi sembrava di trovarmi in un luogo senza senso; poi ho fatto un sogno ed ho capito che, poiché mi trovavo al buio, non mi avrebbe aiutato fare affidamento sugl’occhi. Così ho tentato di escluderli, convincendomi che esistessero solo gli altri quattro sensi. E per un po’ si è rivelato corretta l’idea che avevo avuto ma, dopo non so quanto tempo sono arrivata in un luogo dove c’erano delle fiaccole alle pareti e delle celle…e…a causa di quella luce mi sono sentita ancora una volta persa. Questa volta però, sapevo che mi restava poco tempo, non sarei riuscita a rialzarmi di nuovo ed a svegliarmi, se fossi caduta e avessi chiuso gli occhi…d’un  tratto ho sentito la vostra voce, mia signora Didyme e sono riuscita ad aprire un passaggio nella parete…- narrò lei, mentre si guardava le mani, a disagio.

-         Sai come si chiama, il “metodo” di cui ti sei servita?- le chiese Didyme, cercando di sorridere dopo essersi scambiata un’occhiata stupita con il marito. Possibile che nella sua voce Erice percepisse una nota di soddisfazione?

La ragazza scosse la testa, sollevando timidamente gli occhi.

-         deprivazione sensoriale. Annullare uno dei cinque sensi, serve, per voi umani, a potenziare gli altri quattro. Era una lezione che avevo pensato d’impartirti durante il prossimo mese, ma a quanto pare, ci sei arrivata da sola.- fece la vampira, sfiorandole il naso piccolo, con una delle sue dita gelide.

Erice rimase quasi paralizzata da quel gesto perché non era abituata a vedere che i vampiri le mostravano affetto, ma, pian piano, l’atmosfera si fece più calda e rilassata, e lei- come persuasa da qualcosa di superiore- si ritrovò a ridere tranquilla ed a dimenarsi come un’anguilla quando, senza alcun preavviso, la sua mentore se la caricò sulle spalle- senza neanche il minimo sforzo- e la condusse nella stanza da bagno, facendo chiudere a Marcus la porta.

 

Non appena la ragazza potè rimettere i piedi per terra, rimase senza parole: era circondata da marmi e porcellane finissime che decoravano quel capiente bagno con raffinata eleganza.

Erice posò i suoi occhi sognanti sull’immensa vasca poco distante da lei, e subito li chiuse per provare ad indovinare i profumi che emanava.

-         sono sali da bagno…alla cannella e…alla lavanda!- esultò felice, dopo aver esaminato l’aria con l’attento uso dell’olfatto.

-         Bene! Vedo che la deprivazione sensoriale funziona ancora su di te. Tuttavia, a me non serve chiudere gli occhi per dirti che la cannella e la lavanda sono le essenze che preferisci, assieme…all’eucalipto, che al momento, per la cronaca, cosparge completamente la tua schiena.- le disse Didyme, con un sorriso etereo, mentre si portava alle sue spalle. Un attimo dopo le sfilò di dosso il mantello lacerato che indossava, lasciandola nuda davanti a sé, con le sole bende che le fasciavano la schiena ed i seni.

Erice tremò e perse colore sul viso, mentre si voltava lentamente verso la sua mentore.

-         chi ti ha fatto questo?- le domandò la vampira, con dolcezza, sfiorandole delicatamente il punto in cui la fasciatura era annodata. – perché ti batte più forte il cuore? Non temere, non ti farò nulla, voglio solo sapere chi ti ha curato le ferite.- continuò.

La ragazza rimase ancora in silenzio, gli occhi bassi. Memore del suo vano tentativo di proteggersi mantenendo il silenzio su quanto era successo con Felix, non voleva mentire di nuovo, per paura di una nuova punizione, ma non voleva neppure esporre Santiago. Cosa avrebbero pensato di lui gli altri vampiri?

-         ti dirò quello che penso, piccola mia.- esordì la compagna di Marcus, sollevandole il mento con due dita- non puoi aver fatto da sola queste fasciature: non ne avresti avuto il tempo, mentre Santiago ti conduceva alla Cinta Muraria, né ne avresti avuto la possibilità più tardi, al buio. La persona, o meglio, il vampiro che ti ha aiutata- visto che il tocco qui mi sembra preciso e rapido, come solo quello di un vampiro potrebbe essere- deve tenere molto a te, perché altrimenti non avrebbe usato un unguento ad un’essenza che ami e…siamo solo in tre a conoscenza di questo particolare.- le spiegò, con decisione e lucidità.- che ne pensi se rivolgessi i miei “sospetti” su Santiago?-

Ad Erice mancò il respiro, le sembrò di soffocare: Didyme sapeva tutto, e c’era arrivata con l’aiuto della sua infallibile deduzione, senza sapere nulla o senza bisogno che lei parlasse.

Possibile allora che, quei discorsi su Santiago che forse teneva a lei, che era certa di aver immaginato, trovandosi in quello stato di incoscienza fluttuante da sonno, fossero invece, veri?

La vampira sorridendo, le sfiorò una guancia con un dito freddo e lei sobbalzò, solleticata anche dai lunghi capelli scuri di quella, che le si erano praticamente adagiati sul collo, di conseguenza Didyme, scambiando i suoi brividi per freddo e non per paura, si affrettò a toglierle le bende, mentre la ragazza rimaneva in silenzio, inerme.

Infatti, quasi non riuscì a sentire l’acqua calda che le scivolava sulla pelle; non si rese conto che la sua mentore la stava lavando con delicatezza, che le stava disinfettando le ferite quasi rimarginate e, subito dopo si curava di fasciargliele.

Quando finalmente Erice riemerse dalle sue riflessioni, dalle sue paure, si ritrovò avvolta in un abito blu intenso, semplice, senza maniche e che le arrivava sotto il ginocchio. Doveva essere di Didyme – considerò, mentre la sua mentore la faceva girare su se stessa, per far sì che osservasse il proprio riflesso nello specchio che ornava la stanza- eppure, non riusciva ad essere felice di quel prestito, perché il timore delle conseguenze che lei- o peggio, Santiago – avrebbe potuto subire a seguito di quanto la vampira avesse detto al Consiglio, la distruggevano.

-         sta tranquilla, il Consiglio vuole solo parlarti. Ti accompagnerò io. – tento di rassicurarla Marcus, notando che era ancora pallida, posandole una mano sulla spalla.

-         Mia signora, voi non venite?- chiese, con voce tremante, fissando Didyme attraverso lo specchio.

-         No, devo fare una cosa prima…ma non temere: non ti mangeranno.- disse, tentando di ridere mentre si chinava su di lei per darle un bacio su una guancia.

 

Erice, la “preda” dei Volturi avanzava con passo titubante per i corridoi del Palazzo dei Priori. Si mordeva continuamente le labbra, da poco risanate, si inanellava nervosamente i ricci attorno alle dita e, di tanto in tanto, Marcus era costretto a posarle una mano sulla spalla per far sì che mantenesse una linea retta mentre camminava. Lei sapeva che non stava facendo altro che dimostrare al suo signore di essere un’incapace, di non essere neppure in grado di mettere un piede davanti all’altro, ma non le importava. Non riusciva a smettere di pensare al fatto che Didyme aveva capito tutto, senza che lei avesse aperto bocca; e non riusciva a smettere di tremare, perché non sapeva come la sua mentore avrebbe reagito.

Certo, quando l’aveva aiutata a spogliarsi, scoprendo così le sue bende, era apparsa tranquilla, premurosa, persino curiosa come una ragazzina che scopre che una sua amica è innamorata; eppure, ora aveva appena detto di non poterla accompagnare perché aveva qualcosa da fare…e se quel qualcosa fosse stato dirigersi da Aro e Caius, per raccontare tutto ciò che aveva scoperto, ed indicare loro Santiago, come “il vampiro che aveva aiutato l’umana, senza permesso”?

D’altro canto, lui era l’unico oltre a Didyme e Marcus a conoscere i suoi gusti.

 

-         eccoci…- bisbigliò Marcus, distraendola.

Erice sollevò gli occhi ed ebbe un brivido: ben presto, troppo presto, comprese che lei e l’Anziano si trovavano dinnanzi all’intagliata porta del Salone Principale.

Come avevano fatto ad arrivarci tanto presto?

La ragazza trattenne il respiro. Quello, non era un luogo adatto a lei. Da sempre, le era stato insegnato che quella soglia rappresentava un limite che lei non doveva mai varcare; e non avrebbe mai neanche potuto, perché, in quanto umana, non ne era degna.

Inoltre, era, in un certo senso, sacra, perché, da dentro quella stanza, i vampiri che lei onorava, decidevano i destini del mondo.

-         io…non posso stare qui…- mormorò, fissando Marcus di sott’ecchi.

-         Le regole per te, sono queste. Ma se il Consiglio intende vederti, e chiede di te, qui, allora devi entrare.- il tono del vampiro questa volta era fermo, serio, rigido. Infatti, con il volto dall’espressione irremovibile, bussò alla porta annunciando, con voce neutra, che erano giunti.

Poi, un attimo prima che Felix e Demetri gli aprissero, per lasciarli passare, Marcus si girò verso di lei e, notando che era scossa da tremiti di paura, le rivolse un lieve sorriso. Lei tuttavia non ci fece quasi caso, troppo intenta a chiedersi se quello fosse davvero il momento giusto. Per quale altro motivo, altrimenti, sarebbe stata convocata, se non la morte?

 

Appena varcata la “soglia proibita”(come l’aveva soprannominata tante volte,  da bambina) Erice avvertì un’innaturale folata di vento e, sollevando appena lo sguardo, comprese che Marcus aveva preso il suo posto, nell’unico trono rimasto vuoto.

Fu tutto ciò che vide perché, per il resto del tempo, si costrinse a fissare il pavimento di marmo, o addirittura, a chiudere gli occhi, mentre avanzava lentamente.

Giunta in un punto indeterminato, decretò di doversi inginocchiare, ed esordì:

-         so che il Consiglio ha chiesto di me. Eccomi.-

-         finalmente! Dopo quattro giorni iniziavamo a preoccuparci, Erice.- replicò, in tono di mellifluo scherno, Aro. La ragazza comprese che aveva alzato la voce solo per far sì che lei lo udisse.

-         Mi rincresce avervi fatto attendere tanto, miei signori.- sussurrò in risposta lei, senza muovere un muscolo.

-         Siamo curiosi di sapere quanto ti è accaduto nella Cinta Muraria. Dicci, come hai agito? Sei andata avanti a tentoni?- le domandò Caius, gelido, mentre si sporgeva lievemente dal suo trono. Lei, in teoria, avrebbe dovuto sentire solo la prima domanda, tuttavia, grazie ai giorni trascorsi al buio, a sviluppare l’udito, udì anche l’altra che, però, era stata detta unicamente perché solo il Consiglio la sentisse, giudicandola così, degna di umiliazione.

-         Veramente, la mia signora Didyme ha definito il mio “metodo” per uscire dalla Cinta Muraria, come “deprivazione sensoriale”, signori del Consiglio.- intervenne Erice, sentendosi punta nel vivo.

Un attimo di pesante silenzio, denso di stupore, piombò nella Sala.

-         perché non ci spieghi in cosa consiste?- la esortò Marcus, tentando di alleggerire la situazione.

La ragazza rimase interdetta, per un attimo. Perché lui le faceva quella domanda, se ne aveva sentito da poco la spiegazione, dalla sua compagna? Era forse per ridicolizzarla ancor di più?

Poi, però le tornò in mente la gentilezza che aveva usato nei suoi confronti, del sorriso che le aveva rivolto e, rilassandosi, un po’ credette che Marcus si stesse comportando così solo per dimostrare al Consiglio quanto, invece, fosse scaltra.

Rincuorata da quell’idea, azzardò un mezzo sorriso, mentre spiegava:

-         altro non significa che è necessario escludere uno dei cinque sensi per potenziare gli altri. Nel mio caso, ho dovuto rendere cieca la mia vista per ampliare udito, tatto ed olfatto, i sensi che mi sono serviti da guida per tornare qui…-

-         ma che bell’escamotage! E pensi che questa punizione, che ti abbiamo inflitto, ti sia servita? Pensi che in futuro perderai di nuovo la strada?- le domandò Aro, giungendo le mani sottili in grembo.

-         Sì, mio signore Aro, vi ringrazio per questa possibilità che mi avete dato, mi è servita immensamente e vi prometto che in futuro non ricadrò in errore di nuovo.- disse, inclinando la testa.

-         Bene piccola umana. Siamo soddisfatti dei tuoi progressi. Ora và, non ti è permesso stare qui oltre.- soggiunse allora Marcus, guardandola con intensità.

Solo in quel momento Erice ebbe il permesso di alzarsi e, sempre tenendo gli occhi bassi, si affrettò ad uscire di lì, sentendo il cuore più leggero ed un’inaspettata sensazione di vittoria sulle labbra.

Solo dopo aver sentito la porta del Salone Principale chiudersi alle sue spalle, osò spiccare una corsa liberatoria, tuttavia, dopo aver voltato l’angolo si sentì svuotata e ciò che vide le gelò il cuore, mandandoglielo in frantumi.

Didyme, i capelli color pece raccolti appena sulle tempie in un’infinità di boccoli che le ricadevano sulle spalle bianche, sembrava una ninfa- fasciata dal suo abito verde bosco- rispetto al massiccio e scuro Santiago, con il quale si era fermata a parlare, o meglio, a sussurrargli qualcosa in un orecchio.

Non appena la videro, entrambi si zittirono, ma ebbero due reazioni contrastanti: Didyme le sorrise, in un attimo fu accanto a lei e le accarezzò la testa, fugacemente, infine, incontrò un’ultima volta lo sguardo del vampiro messicano e si dileguò.

Santiago invece, attese che la sua signora non fosse più a portata d’orecchio per avvicinarsi ad Erice, inesorabile come la morte.

-         credevo che avresti mantenuto el silencio su quanto ti avevo fatto!- l’aggredì, con il volto sconvolto dalla rabbia e gli occhi illuminati da ardenti fiamme.

-         Cosa? Io non…- fece lei, tentando di difendersi.  Ma la voce le uscì dalle labbra in un soffio terrorizzato.

Dove potevano essere finite tutta la soddisfazione e la forza provate dopo la conversazione con gli Anziani?

Prima che la ragazza riuscisse a replicare altro, il vampiro scomparve, senza una parola, sembrando ai suoi occhi, null’altro che una massa di ricci scuri dalle spalle possenti.

Così lei fu costretta ad allontanarsi, sconfitta e, ad ogni passo si sforzava di non piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Finalmente sono riuscita a rimettere insieme due parole ed a farle sembrare un nuovo post, chiedo venia per il ritardissimo che porto, ma mi auguro che questa prima parte del cap 5 vi piaccia.

Fatemi sapere che ne pensate

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** quella soglia mai attraversata(parte 2) ***


Capitolo V

Quella soglia mai attraversata

 

Parte 2

 

Lo sapeva. Se lo sentiva che non sarebbe riuscita a trattenere molto a lungo le lacrime, per quanto era successo con Santiago. Non appena, infatti, aveva sentito gli occhi bruciarle e le guance farsi umide, Erice aveva spiccato una corsa folle -senza curarsi troppo degli schiavi che avrebbe rischiato di urtare- col solo intento di rifugiarsi nella sua stanza, sperando che, una volta chiusa la porta alle proprie spalle, avesse potuto allontanare da sé il resto del mondo.

Ed ora, se ne stava sul suo piccolo letto, a pancia in giù, il viso affondato nel cuscino, piangendo senza ritegno, da dieci minuti, o forse mezz’ora; non lo sapeva con esattezza, perché era stata travolta con tanta violenza dalle emozioni che l’avevano portata a perdere la calma, da sembrarle un’eternità anche il più piccolo secondo.

D’un tratto, qualcuno bussò alla porta, ma la ragazza non parve udire null’altro che non fossero i suoi singhiozzi, perciò, nel momento in cui Didyme comparve sulla soglia della sua camera, quasi sussultò.

-         Che succede qui?- domandò la vampira, con una nota di preoccupazione nella voce.

Nessuna risposta. Solo lacrime e singhiozzi.

-         Che cos’hai, Erice?- in quel momento la voce della sua mentore, giunse all’umana, vicinissima. Un attimo dopo, infatti, riuscendo difficilmente a dominarsi, la ragazza realizzò che Didyme si era seduta accanto a lei, con un unico impercettibile movimento; ed ora le stava accarezzando delicatamente i ricci castani.

Questa volta ci fu solo silenzio.

-         È con le lacrime che intendi festeggiare il tuo compleanno, piccola?- continuò la donna.

-         No, no! Non voglio! Che senso ha festeggiare, se devo essere ancora viva?- replicò Erice, mettendosi seduta con un balzo, accecata dalla frustrazione.

-         Non credo di capire…- Didyme si fermò, restando a fissare quella ragazza, tanto diversa da quella che aveva visto appena un attimo prima.

-         Da quando sono qui mi è stato promesso che prima o poi sarebbe arrivato il momento giusto per me, che avrei nutrito voi tutti con il mio sangue! Quando sono stata convocata dal Consiglio, oggi, mi aspettavo che succedesse proprio quanto attendo da molto tempo, ormai, ma ancora niente, niente!- la ragazza si ritrovò ad urlare contro la donna che le stava vicina, gli occhi arrossati per il pianto, la voce roca.

-         Poco fa, quando ti ho incontrata nei corridoi, non mi sembravi tanto amareggiata, anzi, eri piuttosto felice; e persino Marcus mi ha confermato che ti ha vista soddisfatta…come mai questo repentino cambiamento d’umore?- Didyme fissò intensamente la quindicenne che le stava davanti, le labbra tese in un sorriso severo ed indagatore, quasi ostile.

Erice rimase interdetta per un secondo. Non sapeva cosa dire, come replicare. La scusa che aveva inventato non sembrava esser servita a nulla,: Didyme sembrava aver, ancora una volta, capito tutto.

Devi rispetto e venerazione a questa donna, ma lei ha detto qualcosa a Santiago, e l’ha messo contro di te. Menti.

La ragazza si asciugò con decisione il viso, assunse un’espressione fiera, e disse, fissando con fermezza la sua mentore:

-         Ciò che mi fa star male, è un pensiero che ho avuto appena ho rimesso piede nella mia stanza: che senso ha tenermi in vita, qui, tra gli Immortali, se poi non mi fate l’onore di donarvi la mia energia proprio nel giorno in cui si festeggia la mia venuta tra di voi? Sembra quasi che vi divertiate ad umiliarmi, a farmi soffrire, rimarcando costantemente la mia condizione.- ringhiò Erice, a denti stretti, attenta a regolare i battiti cardiaci, poiché sapeva che Didyme avrebbe compreso facilmente proprio da quel particolare, se stava mentendo o no. Le parole le uscirono con fervore dalle labbra, come se le bruciassero sulla lingua: in quell’emozione, in quella frustrazione, c’era un fondo di verità.

-         Potrei privarti della vita in un secondo, con un semplice gesto: mi basterebbe stringere appena un po’ di più la presa attorno a questo morbido collo…- all’improvviso Didyme si era avventata sul suo collo, spingendola contro il muro con forza, producendo un lieve tonfo e stringendo appena le dita attorno al suo collo, fino a sentire il sangue che pulsava nelle vene di Erice.

-         Fatelo, allora, mia signora Didyme…- sussurrò la ragazza. Aveva il respiro corto per la sorpresa e per la stretta ferrea della vampira, che quasi la soffocava, mentre fissava Didyme con freddezza, cercando di apparire calma e caparbia. In realtà si sentiva persa: sicuramente la sua bugia era stata scoperta. Tuttavia, fu quasi contenta al pensiero che l’ultima cosa che avrebbe visto, sarebbe stata Didyme. Sarebbe morta con la bellezza negli occhi- quella divinità dagli occhi rossi e la natura angelicata, la sorprendeva ogni volta che vi posava sopra lo sguardo- e la certezza che non avrebbe mai più sofferto.

-         Non posso. Non finché gli Anziani non daranno l’ordine.- sembrava quasi sconvolta per la reazione di Erice, dapprima sempre remissiva ed ora invece, diversa. Mollò immediatamente la presa e la ragazza si accasciò in avanti, tossendo leggermente.

-         Mi dispiace che ogni volta che ti guardo, ti sento parlare di morte. Povera piccola, forse stare troppo tempo tra noi ti sta nuocendo? Da tempo sto cercando di insegnarti ad amare la Bellezza, l’Armonia. Perché i tuoi pensieri sono sempre rivolti alla distruzione?- le domandò poi, prendendole piano il viso tra le mani e scrutandola con afflizione.

-         L’ultima volta che ho creato qualcosa che per me era Bello, Alec lo ha distrutto…- bisbigliò rammaricata Erice, raccogliendo le gambe al petto ed annodandosele con le mani, tanto per fare qualcosa.

-         Il tuo…flauto, sì, me ne ricordo. Mi dispiace. Ho un’idea! Vorresti, come regalo di compleanno, che ti insegnassi a suonare? Ma…pur facendoti questa promessa ti avverto che dovrai essere paziente, non credo che Aro l’approverà molto presto- chiese, battendo le mani con fare compiaciuto. Il suo viso perfetto si rianimò subito e sembrò sperare che la sua emozione si trasferisse in Erice.

-         Mia signora, vi ringrazio! Posso chiedervi però, il perché di tanto interesse nel festeggiare il mio compleanno?- volle sapere l’umana, dopo aver versato qualche lacrima di felicità per la proposta che le era stata fatta.

Didyme era di nuovo in piedi, appoggiata allo stipite della porta. Con le braccia raccolte al petto aveva fissato quell’umana, fino allora, con gioia, ma a quella domanda parve irrigidirsi.

-         Devi capire, Erice, che quando io e Marcus abbiamo lottato per tenerti qui, pregando il Consiglio di lasciarti vivere a Volterra, - alla condizione che quando sarebbe giunto il momento saresti diventata una fonte di sostentamento per noi- molti si sono opposti. Tutt’ora, di conseguenza si percepisce palesemente la lieve ostilità, verso di te, da parte di chi non era d’accordo. Per quanto mi riguarda, tengo molto a festeggiare il giorno della tua nascita perché…ti ho presa in braccio la prima volta, che eri ancora in fasce e…ti ho vista crescere…- le spiegò, muovendosi lentamente verso di lei, muovendo le mani con armonia, per farle capire meglio i concetti che stava esprimendo. Sembrava completamente assorbita dai propri ricordi, emozionata nel viso millenario ed etereo, tanto che Erice se ne sentì risucchiare, le parve di esserne partecipe e si vergognò di averle mentito, di averla quasi detestata per averle messo contro Santiago.

La ragazza sentì la mano della sua mentore che le sfiorava una guancia, con dolcezza ed intensità e si ritrovò ad adagiarvisi contro, sopraffatta dall’affetto che quel gesto trasudava.

-         Questo è per te. Buon compleanno, piccola mia.- le bisbigliò in un orecchio Didyme, dopo essersi tesa verso di lei. Senza neppure accorgersene, Erice scoprì con una frazione di secondo di ritardo che aveva il polso circondato da un semplice braccialetto d’oro, sottile ma con tanti ciondoli.

Poi, come d’incanto, tutto tornò come prima: la vampira svolazzò via, velocissima e, prima di chiudersi la porta della stanza della ragazza, alle spalle, disse ancora:

-         Ah, dimenticavo: Aro ti ordina di presentarti alla Cinta Muraria, domani mattina. Vuole che impari ad orientarti anche alla luce del giorno. E Santiago…ti farà da guida.-

Erice avvertì un’emozione che le dava la sensazione di avere del terreno franato, sotto i piedi, non ebbe, però, il tempo di reagire. Venne lasciata sola dalla sua mentore e, troppo felice per come quella mattina -dapprima fausta, poi triste, poi, ora, di nuovo allegra- si stesse svolgendo, per dedicarsi a ciò che aveva provato sentendo parlare di Santiago; si abbandonò sul letto, sorridendo come una bambina, ammirando di tanto in tanto il suo regalo di compleanno, e ripensando all’inusuale affetto che Didyme stava iniziando a dimostrarle.

Tuttavia, proprio quando il viso della splendida compagna di Marcus le passò davanti agli occhi, un dubbio atroce sembrò volerle offuscare la mente: cosa poteva aver detto Didyme a Santiago, di tanto compromettente da riuscire a metterlo contro di lei? E, perché ora, invece, sembrava quasi affezionata a lei?

Erice si rannicchiò su se stessa, riflettendo sul fatto che, comunque, pensava di esser stata molto fortunata a non venir scoperta mentre mentiva e, prima di chiudere gli occhi qualsiasi cosa l’abbandonò, eccetto l’idea che l’indomani sarebbe stato finalmente il “Giorno del Giudizio” perché finalmente avrebbe potuto confrontarsi con Santiago.

 

La felicità che aveva provato la ragazza prima di chiudere gli occhi, però scomparve immediatamente, non appena giunse al camminamento della Cinta Muraria.

Non lo sapeva ancora, ma quelli sarebbero stati i sei mesi più strani della sua vita.

Santiago, completamente avvolto nel suo pesante mantello con cappuccio, doveva avere il turno di guardia e la stava aspettando impaziente, stagliandosi sotto il sole mattutino come fosse stato una montagna.

Erice, giunta lì puntuale, trovandoselo davanti con la sua massiccia stazza e l’aspetto imponente di un titano, rabbrividì e si inchinò al suo cospetto, salutandolo rispettosamente.

-         Vamos, chica!- le disse solo, con voce adirata e le voltò le spalle con strafottenza, iniziando a camminare tanto veloce che la ragazza fu costretta a correre per tenere il suo passo.

Lei avrebbe voluto dirgli mille cose, chiedergli cosa gli avesse detto Didyme, ma, notando fugacemente l’espressione rabbiosa e sconvolta del vampiro, riuscì solo a tenere gli occhi bassi.

Il cuore le pianse per tutta la mattinata, si sentiva in trappola, la gola serrata in una morsa di rovi; aveva la sensazione che qualsiasi cosa avesse detto, non sarebbe stata ascoltata o peggio, lui l’avrebbe derisa. Doveva quindi mantenere il silenzio, perché sicuramente, se Santiago l’avesse vista versare anche una sola lacrima, l’avrebbe trattata in maniera molto più rude di quanto non stesse facendo ora: dopo lunghe passeggiate senza neppure un’occhiata a controllare se Erice fosse ancora con lui, si fermava all’improvviso, indicando con le sue dita bianche, piccole porzioni di quel magnifico paesaggio e le parlava in spagnolo.

Ogniqualvolta lei non replicava- e questo avveniva ogni singola volta, poiché lei non capiva la lingua del vampiro- Santiago si voltava ad incenerirla con gli occhi cremisi che sembravano ardere delle fiamme dell’Inferno.

 

Erice tornò nella sua stanza,- quando le venne dato il permesso; a sera inoltrata, ormai- correndo come se avesse avuto i vestiti in fiamme e senza curarsi di guardare alcuno in viso. Le lacrime le pungevano gli occhi e fu quasi costretta ad infilarsi un pugno in bocca, per non urlare.

 

Didyme la trovò ancora una volta in lacrime, il volto nascosto nel cuscino mentre il corpo, completamente adagiato sul materasso, veniva scosso da forti singhiozzi.

-         È già la seconda volta che ti trovo in queste condizioni, Erice. Ero venuta a domandarti come avessi trascorso questa giornata, ma vedendoti così, mi è naturale pensare che sia successo qualcosa con Santiago.- il tono di voce della vampira era duro. Che avesse scoperto tutto?

Erice capì immediatamente che non le importava: che la punisse pure per la colpa di una menzogna, che la giustiziasse! Avrebbe accettato che le venisse fatta qualsiasi cosa, purché quella pena, quell’umiliazione che stava provando, avesse una fine.

Le era sempre stato detto che il più grande timore dei vampiri era avere un’anima dannata e quindi, a causa di questo requisito, avere la consapevolezza di accedere direttamente all’Inferno, dopo il Giudizio Universale di Dio ( che poi, chi era mai? Aro- Erice se lo domandava spesso e, ogniqualvolta glielo chiedeva- ne parlava sempre come un’entità inferiore a lui, alla quale piaceva mettere in soggezione gli uomini, facendo loro dono di una condizione debole, effimera e caduca; e, ora che lui e gli altri vampiri avevano acquisito tanto potere da elevarsi al suo stesso livello, lui li aveva condannati, privandoli dell’anima).

Ma, ciò lei non riusciva a capire era il semplice motivo per cui loro, -vampiri senz’anima- costringevano lei, -che invece si trovava in una condizione debole, effimera e caduca, oltre al fatto che aveva un’anima- a muoversi in un perenne inferno terreno.

-         Mia signora Didyme, io non capisco! Quando mi è stato chiesto di imparare il greco ed il latino, avevo almeno dei libri a mia disposizione! Invece ora, no! Santiago si ostina a parlarmi in spagnolo e mi mangia- letteralmente- con lo sguardo, nel momento in cui non rispondo a ciò che chiede. Non capisco perché si è risolto a trattarmi così, come se gli avessi fatto qualcosa. È forse un crimine ringraziarlo per avermi curata?- sbottò la ragazza, mettendosi a sedere sul letto, con fare aggressivo.

La vampira, che era rimasta in silenzio, in ascolto, per tutto il tempo; osservò con occhio clinico ogni singola reazione di Erice e, d’un tratto, avvicinandosi circospetta le strinse ancora una volta il collo:

-         Perché tanto attaccamento a quel vampiro, umana? Perché ti struggi tanto per un semplice “grazie”? Devo forse pensare che tu mi abbia mentito, ieri? Lo sai, Erice, che ti è proibito provare altro sentimento verso di noi, che non sia la venerazione, o il timore. Non potrai mai legarti ad uno dei Volturi con un sentimento che sia amicizia, o amore.- Didyme la spinse con veemenza contro il materasso, gettando il cuscino sul pavimento e stringendole implacabilmente la gola. Le mostrò i denti perfetti, color perla, ringhiando ad ogni singola parola.

Erice tentò di afferrare le mani della sua mentore, per allentarne la presa. Ormai non sentiva più nulla, le orecchie le fischiavano come se vi fosse esplosa una tempesta dentro, e il respiro le mancava.

-         Mia…mia signora…- tentò di farfugliare lei. Ma già faticava a tenere gli occhi aperti.

Didyme, la lasciò improvvisamente andare e la ragazza avvertì delle fiamme arderle in gola, un opprimente macigno che le veniva tolto dal petto.

-         Mia signora…persino le divinità accettano la gratitudine di chi li venera….come potete pensare che possa avere pensieri tanto impuri nei confronti di Santiago?- le domandò, con innocenza.

Anche questa volta la vampira parve crederle, tuttavia mantenne un rigido contegno e, poco prima di andarsene, disse solo:

-         I libri di spagnolo sono in biblioteca…-

 

Erice si massaggiava ancora il collo rosso, tirando di tanto in tanto un sospiro di sollievo, mentre camminava cauta nell’immensa, labirintica e polverosa biblioteca del Palazzo dei Priori.

Era dovuta scendere al pianterreno, dove il freddo e l’umidità la facevano starnutire.

Procedeva a piccoli passi, osservando attentamente le minute porzioni di scaffali in mogano, che la candela accesa che aveva portato con sé, era in grado di illuminare.

Quel posto le aveva sempre fatto paura, - timore ormai sviluppato dall’infanzia- soprattutto la notte, perché troppo esposto all’esterno a causa delle larghe vetrate che si trovavano praticamente su tutte le pareti; tuttavia, ora cercando di fare respiri profondi, Erice stava tentando di convincersi a cercare ciò per cui era venuta.

Negli ultimi tempi le umiliazioni da parte dei vampiri che la circondavano- Didyme compresa- si stavano facendo sempre più incalzanti, crudeli, violente e lei era stanca. Era stufa di ogni cosa, e si era ripromessa che quella sarebbe stata la sua personale sfida: non le importava quanto tempo avrebbe impiegato, imparando lo spagnolo, forse avrebbe potuto dimostrare a tutti che era in grado di fare qualsiasi cosa volesse, e per questo era degna di rispetto.

Finalmente, trovato ciò che cercava, si affrettò a tornare in camera sua, con le braccia cariche di libri di qualsiasi peso e dimensione.

 

Li gettò stancamente sul tavolo della sua stanza, ricoprendolo completamente, senza troppa grazia, e se ne sommerse, decisa a voltare pagine ed apprendere finché le palpebre le fossero rimaste aperte.

Rimase sveglia tutta la notte, prendendo appunti su ciò che imparava, su come dovesse essere pronunciata una parola, su un quadernino dalla copertina rigida e le pagine completamente bianche, che aveva trovato al suo ritorno dall’incursione in biblioteca. E la mattina seguente, non appena il sole sorse, si sbrigò a lavarsi e vestirsi, indossando l’abito blu che le aveva dato Didyme.

Poteva considerarlo un regalo, visto che la vampira non ne aveva più replicato la restituzione?

Era pronta. Le sembrava quasi che delle fiamme le ardessero dentro e quando si presentò a Santiago, infatti, non si lasciò intimorire dalla sua presenza, dai suoi modi di fare ma sostenne decisa il suo sguardo implacabile.

La passeggiata ricominciò ed Erice questa volta gettò occhiate al paesaggio che la circondava, anziché al vampiro taciturno che le faceva da guida e, quando questo parlava, si affettava a scrivere ciò che diceva sul suo quadernino.

Solo quando il sole era già alto nel cielo Santiago, con un guizzo furtivo d’occhi, la  scoprì con il volto basso, tutta presa a scrivere qualcosa e, in un attimo fu davanti a lei, le strappò il taccuino dalle mani e lo gettò lontano, diverse miglia indietro, sul camminamento delle bianche mura che avevano già percorso.

Erice sollevò il viso fieramente verso di lui e, sentendo gli argini della sua sopportazione, straripare con forza, lo attaccò:

-         qué has hecho, Santiago? Cómo crees que puedo escribir lo que usted dice si usted lanza lejos mi cuaderno?- le parole le uscirono dalle labbra autoritarie, crude come secchi colpi di frusta, tanto che ebbe il tempo di correre indietro a riprendere il suo prezioso taccuino e tornare da lui, trovandolo immobile come una statua, come l’aveva lasciato, con una lieve sorpresa stampata sul viso bellissimo.

-         Vete! Vattene via!- replicò lui, dopo un attimo di silenzio, durante il quale una fredda folata di vento circondò entrambi; aveva gli occhi ridotti a fessure.

Infine, le voltò definitivamente le spalle, rigido.

 

Erice si allontanò correndo, il cuore le batteva a mille. Era pieno giorno, eppure Santiago l’aveva allontanata in malo modo da lì.

“oh, no! Cosa gli ho detto? Vediamo…che cosa hai fatto, Santiago? Come credi che posso scrivere quello che dici se butti via il mio quaderno?bhè…che c’è di male? Mi sono ribellata e sto imparando lo spagnolo! Spero solo che non me la facciano pagare…”pensò.

Senza neppure prestare attenzione a dove andava, ben presto si ritrovò nella sua stanza a prendere a pugni il suo cuscino largo e morbido, mentre implacabili ondate di rabbia imperversavano violente dentro di lei.

Si sentiva dilaniata, divisa tra due emozioni antitetiche: la paura le attanagliava di tanto in tanto le viscere al solo pensiero che presto o tardi sarebbe stata duramente punita per ciò che aveva fatto. Era forse stata una stupida ad agire così?

Ma c’era anche l’ira, violenta come non l’aveva mai provata, che la scuoteva dentro, ordinandole di ribellarsi a quanto aveva subito fino a quel momento, continuando ad essere caparbia e decisa come quella mattina.

Un ambasciatore, infatti, giunse a chiarire i suoi dubbi, prima che scendesse la sera:Didyme.

 Forse era stata insospettita dal baccano che stava facendo, o magari era lì solo perché era stata avvisata dell’accaduto.

Comunque, l’avvenente vampira si presentò prima del previsto nella camera di Erice, e, dopo averla salutata senza ottenere la minima risposta, le afferrò i polsi, per tenerglieli fermi, poiché la trovò che ancora si accaniva sul suo cuscino.

-         so quanto è successo, piccola mia. Ti faccio i complimenti per il proficuo studio, iniziato solo ieri. Ma…ti serve moderazione. Ricordati di portare rispetto a tutti noi, ti prometto che domani stesso solleciterò Aro a risolversi sulla mia richiesta di insegnarti a suonare. Rimettiti a studiare, ora.- le bisbigliò solo, e dopo una lesta carezza- i capelli color pece della vampira solleticarono il collo dell’umana- scomparve oltre la porta.

Erice, sentendosi improvvisamente più calma,- era forse stato merito della persuasione di Didyme oppure della sua forza di volontà?- si tuffò letteralmente tra i libri e si immerse nella lettura, mentre teneva davanti a sé il quadernino aperto.

Man mano che, giunta la sera, la stanchezza le accarezzava le palpebre, cullandola verso l’oblio, si ripromise che nel periodo successivo sarebbe stata più cauta, calma e, soprattutto avrebbe cercato di far capire a Santiago che esisteva e che, di qualsiasi cosa lui l’avesse giudicata colpevole, era vana.

 

Tuttavia, i suoi buoni propositi di rinnovamento si presentavano solo la notte e, col passare delle settimane, le  venivano in mente sempre più di rado, a causa della stanchezza, della rabbia, e della tristezza- delle quali la ragazza sembrava tornare intrisa dopo ogni giornata nella Cinta Muraria.

I mesi trascorrevano come una tempesta che minacciasse ogni giorno di peggiorare, ed Erice, quando restava sola, spesso si ritrovava a versar lacrime in silenzio, tra le coperte, a picchiare il cuscino, a chinarsi paziente sui libri che, da quando erano stati presi in biblioteca, non si erano più mossi dalla sua scrivania.

 E, puntualmente, quando lei pensava a Santiago, rimpiangendo che ogni volta che gli era vicino, le sembrava si rivolgersi ad un muro, si sentiva abbandonata e rifletteva sul fatto che desiderasse ardentemente tornare anche solo a rivolgergli una parola, per non essere sottoposta al dolore che l’essere ignorata, le provocava in quel momento. Come fosse in grado di leggerle nel pensiero, Didyme si presentava proprio in quei momenti sulla porta, chiedendole, con fare distaccato, di comportarsi con moderazione e lamentandosi con lei per il suo comportamento estremamente infantile che, solo in quell’età, sembrava stesse sviluppando.

 

Le sofferenze che Erice provò in quel periodo, erano indescrivibili; le sottili fredde, umiliazioni cui fu sottoposta, immemorabili; i colpi che dovette incassare, in silenzio, innumerevoli; e le sembrava di soffocare, di non avere più via d’uscita.

Così- sentendosi stranamente isolata dal mondo, condannata in un limbo senza fine- si ritrovava ad agognare sempre con maggior fervore la morte o,- quando riusciva a riacquistare lucidità, fissando il braccialetto che Didyme le aveva donato, e si ricordava delle sue parole- per scacciare quel triste pensiero, si gettava nello studio di quella lingua orecchiabile ed autoritaria, che iniziava ad odiare e che la frustrava poiché, rispetto alle ore, i giorni, durante i quali vi si era dedicata, esso non sembrava dare frutti.

Una fredda sera settembrina, di tre mesi più tardi- mentre il vento gelido soffiava maligno sulla schiena china sui libri, della quindicenne- lei se ne stava, con fare rassegnato, a prendere appunti sul suo ormai inseparabile taccuino.

Poco prima di addormentarsi, posando il viso sulle sue stesse mani, realizzò che le parole che aveva scritto su quei fogli bianchi si erano intrecciate, incatenate fino a formare i versi di una poesia, piuttosto che gli schemi che le sarebbero serviti per lo studio dello spagnolo.

 

Dannata,

magnifica,

bugiarda luna.

In quel buio oscuro

e freddo

mi sembravi

la mia unica guida.

Ho cercato a lungo

Il tuo viso amico,

ma tu mi stai voltando le spalle,

mi stai condannando

ad una notte perpetua.

Cosa me ne faccio di un cielo

di vuoto velluto,

se tu non ci sei?

Cosa me ne faccio

della poca razionalità che ho,

se le gelose stelle che mi circondano

non sono altro che crudeli schegge di vetro lucente?

 

Sorto il sole, Erice aveva guardato e riguardato mille volte quel testo, sconcertata. Quando le era sembrato di posarci gli occhi-la sera precedente, prima di assopirsi- aveva immaginato che fosse tutto frutto di un suo sogno, e invece, quella strana poesia priva di senso, era lì, nero su bianco a testimoniare che forse la sua rabbia le aveva fatto perdere la testa.

Possibile che l’avesse scritta lei? Chi potevano essere mai la luna, e le stelle?

La ragazza- che ormai conosceva anche ad occhi chiusi il percorso che era costretta a fare ogni mattina, da mesi- quel giorno sembrava distante, persa nei meandri di uno strano mistero e si rese conto di essere arrivata alla Cinta Muraria solo quando Santiago si parò davanti a lei. Quasi sobbalzò e questa volta fu costretta ad abbassare lo sguardo, sentendo gli occhi indagatori del vampiro, su di sé:

-         la prossima volta, renditi màs presentabile…- la rimproverò, le labbra sottilissime, simbolo che stava cercando di contenere il proprio risentimento.

Erice strinse al petto il taccuino, con il mento rifugiato praticamente nell’incavo del collo: era consapevole di non avere un aspetto decente- la paura di fare tardi mista alla sorpresa per aver trovato quella poesia sul suo quaderno, l’avevano spinta a non curarsi minimamente del proprio aspetto- ma fortunatamente per il resto della mattinata il vampiro messicano davanti a lei, si rinchiuse nel silenzio, lasciandola libera di dare un ordine ai propri pensieri.

D’un tratto, stanca per il poco sonno della notte precedente, la ragazza si sedette in una rientranza delle mura, attenta a non farsi notare, fingendo di prendere appunti e godendosi il calore dei raggi del sole.

Lo sguardo all’improvviso, le si posò -come avesse avuto una volontà propria- su una piccola radura ornata di ciliegi, in lontananza, e solo in quel momento si accorse che le parole che aveva preso a scrivere sui fogli del taccuino, si stavano intrecciando di nuovo, in maniera sempre più febbrile in strani versi.

 

Ascolta il caldo abbraccio del sole

che rispettoso sfiora anche queste mura:

una scintillante corona d’opali,

baluardo e forza

degli Immortali…

 

Erice strabuzzò gli occhi. Ora iniziava a spiegarsi qualcosa: quelle strane poesie sembravano pronte, in agguato, ad uscirle fuori della penna, ogniqualvolta si sentisse stanca.

Ma ancora non riusciva a capire la sua necessità di parlare con delle metafore, trasformando la realtà che la circondava: chi avrebbe immaginato, per esempio, che la “corona d’opali” era una perifrasi per parlare delle mura di cinta di Volterra?

La ragazza balzò in piedi, improvvisamente illuminata su molti di quelli che fino a poco tempo prima erano stati, per lei, oscuri dubbi: quelle “poesie” le servivano come fonte di sfogo, per quanto le era accaduto in quei sei mesi e quanto stava accadendo.

Era più debole e decisamente inferiore per condizione ai vampiri che serviva,(loro erano più veloci, più forti, più intelligenti perfino) perciò, lei non aveva modo di scappare da quella realtà, non poteva ribellarsi, non aveva la possibilità di far valere le sue ragioni, di fronte a loro e di conseguenza, il suo cervello- come via di fuga e come urlo di ribellione- aveva elaborato la composizione di alcune poesie, usando versi completamente trasformati rispetto alla realtà che stava vivendo la ragazza, perché ormai era chiaro che non potesse muovere un passo o fare un respiro senza che i Volturi non lo sapessero.

Quei componimenti quindi, erano una forma delicata e nobile di menzogna, che nessuno avrebbe potuto capire, se non avesse “decifrato” il linguaggio che la ragazza stava usando; del quale lei, peraltro si stava servendo esclusivamente perché dopo ciò che aveva fatto Didyme nei suoi confronti- e d’altro canto per un motivo che le appariva ignoto- non riusciva più  a fidarsi di nessun vampiro, non si sentiva capace di portare loro rispetto.

 

Erice, dinnanzi a quella rivelazione, si sentì di nuovo libera, come lo era stata quando aveva creato con le sue stesse mani un flauto, intagliando un ramoscello; e le venne voglia di urlare di gioia.

“ma secondo questo codice allora, la luna potrebbe essere Santiago, e le stelle…i vampiri come Felix che mi stanno rendendo la vita impossibile” riflettè, cercando di dare una risposta a quella domanda che ormai da troppe ore l’assillava.

Un sorriso tanto radioso da farle male ai muscoli del volto le si stampò in viso, ed Erice –nascondendo il viso tra le mani, per non far intravvedere la sua felicità al vampiro che era a qualche metro di distanza da lei- finalmente comprese il perché del suo disperato tentativo di riappacificarsi con Santiago: lo detestava, perché era un bugiardo incostante che, nonostante l’intelligenza superiore alla sua, in tutti quei mesi non era riuscito a capire che dietro alle parole di Didyme, c’era sempre stata una bugia ed il solo desiderio di allontanare lui da quell’umana.

La ragazza spiccò, senza alcun preavviso, una corsa, decisa ad andare a parlare con Didyme del fatto che si sentisse in grado di comporre poesie, e per rammentarle della promessa che la vampira le aveva fatto; Santiago però, fu più veloce di lei ed in breve le fu alle spalle, le afferrò le braccia con forza, bloccandogliele e costringendola ad inginocchiarsi in terra.

-         che stai facendo, Erice? Dove pensi di andare?- le domandò, freddo. Erice sentì il suo respiro fresco sulla pelle scoperta del collo e per un secondo abbandonò i suoi propositi, sentendo le gambe ed il cuore che le tremavano, la mente offuscata, e si ritrovò ad immaginare Santiago con i ricci scuri che gli coprivano appena gli occhi rossi, dandogli un aspetto ancora più minaccioso, simile a quello di un predatore.

-         Devo immediatamente parlare con la mia signora Didyme. E poi…non farmi credere che, finalmente, dopo sei mesi, durante i quali, non mi hai praticamente guardata, solo ora ti stai curando di dove sto andando!- riuscì a dire, costringendosi a mantenere un tono fermo e, nel momento in cui il vampiro trattenne il respiro, forse intento a riflettere sulle sue parole, lei approfittò di quel suo attimo di distrazione, per alzarsi in piedi e guardare in faccia Santiago, nonostante avesse ancora le braccia ingabbiate nella sua stretta.- Estoy muy molesto porque de su comportamiento, Santiago! Cómo puedes pensar que yo había dicho a Didyme lo que hizo para mí? Durante este período he intentado darle las gracias porque me has curado!* Ma tu mi stai evitando, ti comporti freddamente e non riesco a capire di cosa mi incolpi, dal momento che io non ho mai rivelato a nessuno cosa mi hai fatto prima che scivolassi nei sotterranei della Cita Muraria. Ora, lasciami andare: sai meglio di me che dopo tutto questo tempo ho imparato a memoria ogni singolo centimetro di questo camminamento.- gli confessò, urlando e mantenendo un tono controllato alternativamente.

Una nuvola oscurò il sole. Il cono d’ombra permise a Santiago di abbandonarsi il cappuccio sulle spalle e, parve accompagnare il logorante silenzio che avvolse il vampiro e l’umana, mentre lui la lasciava andare ed i due rimanevano a fissarsi, fiamme cremisi in uno scintillante luccichio verde bosco.

-         non hai più bisogno di stare qui, chica. Hai imparato ciò che dovevi e…se ciò che dici è vero, lo siento**…- bisbigliò, prendendo la mano della ragazza tra le sue e portandosela alle labbra, per lasciarvi un bacio leggero.

-         cosa ti ha detto, Didyme?- volle sapere Erice, il cuore le batté più veloce, sentiva che il gelo tra loro stava per sciogliersi e si sentiva incapace di allontanarsi da lui, di staccare gli occhi dai lineamenti perfetti, massicci e protettivi dei suo volto dalla pelle olivastra.

Ancora una volta silenzio, e questa volta lui non rispose: fissò qualcosa oltre la spalla della ragazza e, con la morte dolorosa e rabbiosa nello sguardo la allontanò, poco prima di sparire lungo la Cinta Muraria.

 

 

* Sono molto turbata a causa del tuo comportamento, Santiago! Come puoi pensare che io abbia detto a Didyme quello che ha fatto per me? Durante questo tempo ho provato a ringraziarti perché mi hai guarito!

** mi dispiace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Innanzitutto vorrei ringraziare Ramona37 per aver commentato. Poi, vorrei dire altre 3 cose:

1)      con vostro grande rammarico, il cap si è rivelato più lungo del previsto, di conseguenza devo fare anche una parte 3 nella quale, spero si capirà cosa ha detto Didyme a Santiago.

2)      la visione di Dio di cui parla Erice, non è la mia ma è quella che ho cercato di fornire attraverso gli occhi di Aro, cercando di immedesimarmi in lui.

3)      Non so praticamente nulla di spagnolo ma spero che con la traduzione ci si sia capito qualcosa.

Fatemi sapere che ne pensate,

un baciotto

marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** quella soglia mai attraversata(parte 3) ***


Capitolo V

Quella soglia mai attraversata

 

Parte 3

 

Erice non aveva smesso di correre da quando aveva lasciato Santiago, alla Cinta Muraria e, nonostante il silenzio la circondasse, non sembrava più capace di calmarsi, non riusciva a smettere di pensare a Santiago, al suo respiro che le aveva carezzato soavemente il collo ed al suo sguardo intenso su di lei.

Ora, piegata su se stessa ed appoggiata ad un muro in un corridoio del Palazzo dei Priori, aveva il respiro corto, ma non riusciva a provare dolore per i suoi polmoni in fiamme; piuttosto il pensiero di che cosa potesse aver visto il vampiro, di tanto sconvolgente da spingerlo a comportarsi di nuovo in maniera fredda e distaccata con lei -dopo un fugace lampo di dolcezza- le occupava praticamente ogni fibra della mente.

Dalla torre del Porcellino giunse un intenso rintocco. Tirò un sospiro di sollievo: era mezzogiorno. Un particolare peraltro confermato da un imbarazzante borbottio del suo stomaco. Fortuna che non ci fosse nessuno nei paraggi.

-         non sai, cara Erice, che non puoi disertare dagli ordini che ti abbiamo dato?- ecco, aveva parlato giusto in tempo: una voce delicata ma pungente la fece sussultare. La ragazza sollevò lo sguardo, il cuore le batteva a mille, e trovò dinnanzi a sé, la splendida figura slanciata di Didyme che, puntellandosi contro la parete con la schiena, la osservava a braccia conserte, con una nota di severità nel sorriso lucente.

-         Mia signora Didyme…Santiago mi ha confessato che non ho più nulla da fare al suo fianco, di conseguenza sono tornata subito qui, per mangiare qualcosa e chiedervi la possibilità di parlare con voi: devo mostrarvi una cosa e chiedervi cosa vi ha risposto il mio signore Aro in merito alla richiesta che gli avete fatto…- spiegò Erice, il viso imperlato di sudore, i ricci incollati alla fronte.

La vampira non disse nulla, sorrise semplicemente dinnanzi al tono tremante eppure lento e chiaro dell’umana e, senza attendere un permesso di qualche tipo, avvolse un braccio attorno alle sue spalle, sollevandola appena da terra, ed iniziò a correre lesta come il vento.

Erice, sorpresa da quella reazione, si irrigidì- mentre si sforzava di non urlare- e chiuse gli occhi avvinghiandosi alla sua mentore, poiché non aveva modo di sottrarsi alla sua stretta d’acciaio.

 

Nel momento in cui potè rimettere a fuoco la realtà, e riprese a respirare naturalmente, si ritrovò seduta al tavolo lucido delle Cucine- un “regno” solo suo peraltro, visto che i vampiri non mangiavano; nel quale però si divertivano a fare incursioni, di tanto in tanto, per verificare che fosse tutto in ordine. Davanti a lei, una succulenta e profumata bistecca che attendeva solo di essere divorata.

Lei sollevò lo sguardo verso Didyme che, intenta a sciogliersi la cascata scura di capelli, sulle spalle, doveva aver cucinato per lei.

Quando quella le diede il permesso di iniziare con un semplice cenno del capo, Erice si sforzò di ricordare quanto le era stato insegnato sul buon comportamento a tavola, ed iniziò a mangiare, silenziosa.

-         hai capito perché ti abbiamo detto di andare di nuovo alla Cinta Muraria?- le chiese Didyme, d’un tratto, posando le mani sul tavolo e tendendosi verso di lei.

La ragazza, la bocca ancora piena, la fissò- con quella scintilla negli occhi cremisi, era magnifica, nonostante la sua posa avesse un che di animalesco.

-         perché sapessi orientarmi anche non protetta dal buio…ed imparassi lo spagnolo.- replicò lei, pensando a quanto spesso Santiago le avesse mostrato il paesaggio attorno al camminamento, che avevano ammirato per mesi, insieme e che, per lei ormai era divenuto familiare, una sorta di punto di riferimento.

Dopo un eterno secondo di silenzio- durante il quale la ragazza temette di dover tremare per aver risposto in maniera errata- Didyme, annuendo, scoppiò in una melodiosa risata e, dopo aver ripreso il controllo di sé,- sistemandosi in maniera fulminea i capelli dietro un orecchio- iniziò a camminare avanti e indietro, gettando di tanto in tanto occhiate ad Erice, che continuava a mangiare.

-         pronta e coerente, come risposta: molto bene, piccola Erice. Ora, per tornare a quanto ti avevo promesso: ho parlato con mio fratello, ed ha accettato che sia io ad insegnarti a suonare ma…ha anche aggiunto che, poiché devi imparare la moderazione, vuole che tu impari a disporre i fiori e l’arte della poesia, da sua moglie Sulpicia.- le comunicò, parlando della strana arte dei fiori quasi con disgusto. “pazzesco- pensò Erice, ammirandola- è bellissima persino quando prova repulsione.”

-         Mia signora, vi chiedo scusa per il mio comportamento di questi giorni, che sicuramente non può definirsi consono. Ogni cosa era legata alla frustrazione che provavo poiché lo spagnolo mi sembrava una lingua impossibile da imparare, vi prometto che non accadrà mai più; inoltre vi ringrazio per ciò che avete ottenuto dal mio signore Aro ed accetto di buon grado ciò che lui mi comanda.- disse la ragazza, con tono formale.

Finalmente, l’acuto occhio cremisi di Didyme si posò sul taccuino che Erice teneva sulle proprie ginocchia e lei, nonostante rabbrividisse all’idea che la sua mentore potesse rimproverarla, si sforzò di sorridere:

-         vedo che hai apprezzato il mio regalo, piccola…- fece la vampira, avvicinandosi a lei, rassicurante.

-         Mia signora…è voi che devo ringraziare per questo?- replicò l’umana, tanto sbalordita da quell’affermazione che rischiò di mandarsi di traverso un pezzo di carne.

Didyme si mosse con tanta velocità da rendersi invisibile agli occhi di Erice: lei comprese che la vampira aveva preso il suo quadernino solo grazie all’innaturale spostamento d’aria che improvvisamente si produsse nelle Cucine e, grazie anche al fatto che, un attimo dopo, glielo vide in mano.

-         noto con piacere che lo stai anche usando…- considerò quella, rigirandoselo tra le mani e scorgendo tracce d’inchiostro lungo le pagine. D’un tratto, senza troppi scrupoli lo aprì, leggendo le due poesie composte dalla ragazza.

-         No…no mia signora. Potreste trovare banali quella specie di vaneggiamenti…- intervenne l’umana, scattando in piedi preoccupata, con il cuore in gola,- ed inoltre spostando anche di malagrazia, con il suo movimento, il piatto vuoto che si trovava sul tavolo- alla vista della sua mentore che si impicciava dei suoi scritti.

Tra quelle righe nere, c’era parte dell’anima di Erice, del suo pensiero, delle sue emozioni e, nonostante fosse un linguaggio “in codice”, la ragazza scoprì per la prima volta una strana emozione che le sorgeva nel cuore, una sorta di prurito, un fastidio provocato dall’idea di non poter avere neppure dei pensieri da poter definire propri.

-         non sono affatto banali, invece…chissà cosa ne penserebbe Sulpicia…- sussurrò Didyme, più a sé stessa che alla ragazza, mentre restava immobile come una statua di cera, sfogliando pagine nel bel mezzo delle fredde Cucine. Poi, all’improvviso sollevò lo sguardo e, tirando indietro la testa con un gesto che la fece sembrare ancora più sensuale, fece segno ad Erice di seguirla.

 

Ormai era sera, ed attraverso le splendide vetrate lo scroscio impetuoso della pioggia e il rombo borbottante dei tuoni, affascinava Erice, che si muoveva in quella parte- a lei sconosciuta, nonostante i quindici anni trascorsi- del Palazzo dei Priori, sollevando lo sguardo, ammaliata.

Didyme la precedeva, avanzando sicura come una dea.

Le due camminavano da tutto il pomeriggio e nonostante di tanto in tanto la vampira sollecitasse Erice ad accelerare il passo, la ragazza non sembrava avvertire lo scorrere del tempo perché troppo intenta a trasformare la violenta tempesta di emozioni che imperversava dentro di lei, alla vista di quello spettacolo, in parole.

D’improvviso, Didyme si fermò, e la ragazza quasi rischiò di scontrarsi con la sua marmorea pelle di gesso, quando si rese conto che lei si era arrestata dinnanzi ad una porta di sinistro frassino.

La moglie di Marcus la spalancò, e subito disse:

-         i miei ossequi a te, dolce cognata. Ti porto un’allieva che ai miei occhi appare piuttosto promettente per la delicata arte della tua amata poesia…-

Un tuono accolse il loro ingresso, e la stanza subito venne rischiarata a giorno da un lampo che seguì tutto, ma nonostante quel frastuono, le parole di Didyme risuonarono chiare in ogni angolo.

Sulpicia, la bionda e posata moglie di Aro, completamente coperta di indumenti neri- persino i suoi capelli erano celati da un delicato foulard di pizzo di quel colore- aveva dato loro le spalle fino ad allora, perché, troppo rapita a scrutare il mondo attraverso una delle grosse finestre della stanza, di colpo si avvicinò alle due, svolazzando sul pavimento a scacchi di quel luogo, mentre declamava versi poetici col tono monocorde di un rosario.

Dopo aver degnamente salutato la sorella del marito, Sulpicia chiese ad Erice di farsi avanti e, nascondendo con un falso sorriso rivolto a Didyme, la smorfia di delusione che riservò alla ragazza, iniziò ad esaminarla, girandole attorno e fermandosi di tanto in tanto, con una mano sotto il mento, per sottolineare a se stessa chissà cosa.

Erice, messa in soggezione da quel modo di fare, chiuse finalmente il quadernino, e lo strinse al petto raggomitolando lì, con quello, anche le proprie braccia. Tento di non far notare che era scossa da leggeri brividi, sintomo che simboleggiava quanto la infastidisse essere “studiata” come un animaletto da laboratorio, e così, per non appesantire con troppe emozioni la sua mente, si soffermò a rievocare il ricordo formatosi non appena aveva varcato la soglia di quella stanza: rischiarata dal chiarore dei lampi, quella vampira le era sembrata uno spettro, così vestita e- si disse Erice –mai come ora pensava di aver avuto ragione.

Sulpicia si muoveva attorno a lei in maniera fluida, ma con un che di viscido nell’intimo che la faceva apparire un serpente. La ragazza, per non far sì che anche il cuore la abbandonasse, si sforzò di ricordare ciò che sapeva di Sulpicia, visto che non aveva mai avuto troppi contatti con lei: le era sempre sembrata un essere divino, ma sospeso tra realtà ed immaginazione, eclissata nel suo mondo fatto di parole e Bellezza eterna, dal quale lei, fisicamente ogni tanto tornava, per mostrare rispetto al marito o alla sua famiglia, ma non il suo spirito, non i suoi occhi, che apparivano costantemente velati, persi in un altro luogo e un altro tempo.

D’un tratto vide, tra le sue scheletriche mani bianche come quelle di un cadavere, il suo taccuino ed ebbe un fremito. Come poteva averlo preso senza che lei se ne accorgesse?

Didyme, dietro di lei, le posò una mano su una spalla, per rassicurarla e farle un cenno che, le fece capire che era stata lei a passarglielo.

-         non c’è che dire, le sue poesie sono passabili….sì, sì se il mio signore lo comanda, penso di poterle insegnare qualcosa di ciò che so. – bisbigliò la moglie di Aro, dopo qualche attimo trascorso a sfogliare pagine- e con una mano sola-si disse la ragazza, osservandola- perché nell’altra reggeva un grosso bicchiere di vetro, chiamato “grand ballon” ed usato solitamente per i vini rossi e corposi- Erice non ricordava dove l’aveva letto ma la definizione le venne subito in mente- eppure, quel liquido rosso che lo riempiva per metà, non poteva essere vino, visto che i vampiri non ne bevevano….che fosse, dunque, sangue?

Ad Erice rombarono le orecchie, una violenta rabbia le montò nel petto e le parve che la pelle le andasse a fuoco. Oltre ad essere spaventata per quello che sarebbe stato il suo destino una volta che fosse stata lasciata sola con Sulpicia –l’avrebbe divorata, oppure avrebbe succhiato la sua linfa vitale fino a non lasciarne neppure una goccia per gli Anziani?- si chiese, adirata, come potesse, quell’essere distaccato da cielo e terra, definire le sue poesie passabili, se Didyme, appena un attimo prima, le aveva detto che non erano affatto male?

La ragazza già sapeva come sarebbe andata a finire: avrebbe sicuramente odiato Sulpicia, come non aveva mai detestato nessun altro della sua razza.

-         ah, Aro mi diceva oggi, di domandarti se potevi insegnare ad Erice, l’arte di disporre i fiori, per migliorare la sua calma interiore…- disse d’un tratto Didyme, e la sua voce armoniosa parve risvegliare Erice che, con sorpresa la individuò ormai già con metà del busto fuori della porta.

-         Molto bene, Didyme. Farò ciò che Aro mi chiede.- le assicurò la vampira bionda, rigirandosi con perizia il bicchiere tra le mani e bevendo d’un sorso le ultime gocce di sangue rimaste.

-         E, Erice…da adesso, fino a tutta la mattina ascolterai ciò che Sulpicia ti dirà poi, io e te ci vedremo questa sera nella Sala da Musica…- aggiunse la moglie di Marcus, ammiccando verso la ragazza con un sorriso, prima di sparire oltre la porta.

 

Le successive ventuno ore- durante le quali, ovviamente, le fu vietato di dormire- furono le peggiori in assoluto di tutta la vita di Erice –o perlomeno di tutta quella che aveva vissuto fino a quel momento.

Sulpicia inizialmente la riempì di domande, poi iniziò a parlare della Poesia, come Arte coinvolgente; in grado di calmare il più irruento degli animi; di incitare alla rivolta il più mite agnellino; di creare musica anche con poche sillabe o di risollevare il cuore- e questo argomento, notò Erice, sembrò farla gongolare come il più buffo essere umano- più tardi evidenziò nel suo monologo, il fatto che, al mondo, esistevano solo due tipi di poeti: quelli che nascevano con la Poesia nel sangue, e quelli che, invece, traevano ispirazione- molto misera rispetto a quelli che erano dotati per natura- dalle più piccole cose, dalle più semplici emozioni. Sulpicia, ovviamente si riteneva parte della prima categoria, ed aveva relegato Erice nella seconda, con un gesto di sufficienza e le parole “ma solo se avrai la pazienza di starmi un po’ a sentire, fragile umana”.

Lei aveva parlato tanto veloce che la ragazza faticò a comprendere tutto il discorso, tuttavia, la moglie di Aro si curò di scandire le parole ben bene per farle comprendere che la considerava meno di nulla come poetessa ed Erice a stento riuscì a controllarsi per evitare di serrare i denti e ringhiarle contro.

In seguito, -il sole finalmente era alto nel cielo-si preoccupò di mostrarle il tono giusto da usare per declamare i suoi componimenti e di farle capire come doveva incedere mentre declamava. Ed infine, si sedette in terra, invitando Erice ad imitarla e dispose dei fiori alla rinfusa, perché la ragazza li sistemasse secondo il proprio gradimento.

Erice inizialmente esitò, tremando: Sulpicia, in quella posizione le ricordava più un’oscura sirena assetata di vendetta, che non una vampira. Poi, quasi costringendosi, riuscì a sedersi e, dopo essersi rigirata tra le dita dei magnifici tulipani e delle margherite, chiuse gli occhi in attesa di un’ispirazione.

Quando riuscì a calmarsi completamente, i battiti del cuore rallentarono e nella sua mente apparve chiara, un’immagine: il bellissimo prato di ciliegi osservato di sfuggita qualche tempo prima, dalla Cinta Muraria, e le parve fosse quello a guidarla perché terminò in breve tempo e riuscì addirittura ad inebriarsi del profumo di quei fiori.

- ora devo andare, mia signora, la mia signora Didyme mi aspetta…- disse, alzandosi in piedi e prostrando appena il viso a Sulpicia, rimasta a terra.

Senza attendere una parola dalla vampira, la ragazza corse via, allontanandosi da quella strana figura che le comunicava così tanta freddezza, troppo attaccamento alle regole, soffocamento, insomma per la sua poetica d’occasione legata soprattutto alle emozioni che provava.

Quelle ore le erano sembrate pesanti e rafferme come metallo che al trascorrere di ogni minuto, si consolidavano attorno a lei, andando a formare una sorta di gabbia immaginaria.

 

Giunta finalmente nella Sala da Musica, ne ammirò con stupore il bianco colonnato, il pavimento di granito che sembrava avere riflessi rosa ed ovviamente l’arredamento: un’arpa dal rivestimento dorato sembrava fissarla con altera fierezza da un lato, così come, dalle loro custodie semiaperte negli angoli, i lucenti violini. Tuttavia lo strumento che più di tutti sembrava esercitare un richiamo forte su di lei era il regale pianoforte a coda che, dal centro della stanza sembrava un leone che vegliasse sul suo reame.

-         allora, come è andata la tua “lezione” con Sulpicia…?- le domandò una voce che somigliava ad un delicato scampanellio.

Didyme, avvolta in un semplice abito blu notte comparve da dietro una colonna come se vi ci si fosse appena materializzata e le sorrise.

-         molto bene, mia signora. È stato piuttosto facile disporre i fiori, tuttavia non capisco la necessità- che la mia signora Sulpicia ha sottolineato mille volte- di declamare ciò che si compone e, soprattutto, di camminare mentre si declama…- il tono di voce di Erice sembrava quasi uno sbuffo seccato, così Didyme non potè fare a meno di ridere mentre le si avvicinava, e dopo averle avvolto un braccio attorno alle spalle la fece sedere allo sgabello del pianoforte. Per un attimo, la ragazza, avvolta da quell’atmosfera che le appariva di nuovo familiare e rassicurante si promise di far cadere i suoi propositi di odio contro Sulpicia.

-         Vedrai che andrà meglio…- la rassicurò Didyme, regalandole un sorriso.

-         Me lo auguro…- replicò lei. “ma sono comunque certa che sia io che Sulpicia stiamo facendo di tutto per renderci la vita impossibile” pensò, ma non aprì bocca stavolta.

Le ore trascorse con Didyme, si rivelarono piacevoli e fluide,- al contrario di quanto era accaduto con la moglie di Ari- tanto che la ragazza esibì una buffa smorfia di tristezza nel momento in cui la sua mentore le comunicò che poteva andare a riposare.

Didyme aveva usato con lei maniere dolci, pazienti e posate, per tutte e tre le ore che avevano trascorso insieme e non si era fatta scrupoli nell’elogiarla quando le sue mani avevano cominciato a svolazzare sicure e delicate come farfalle sui tasti d’avorio del pianoforte, producendo una piacevole melodia.

 

Per i tre mesi successivi le giornate di Erice divennero fitte d’impegni: al mattino vedeva Sulpicia e con lei si esercitava a disporre fiori atteggiandosi nello stesso tempo con maniere accorte e posate, e provava a comporre( facendo anche chilometri sul pavimento di quella stanza) ma lo stretto- e quasi soffocante- legame della vampira con le regole, l’importanza eccessiva che dava alla forma, facevano solo chiudere la ragazza a riccio e non riusciva a comporre così si allontanava con la mente e desiderava di evadere- non troppo lontano- il suo limite era la Sala da Musica, dove Didyme la attendeva sempre con gioia, le insegnava la fluidità dei suoni, l’importanza delle emozioni in quanto esse potevano influenzare le composizioni al piano, ed Erice tornava a sognare, ad emozionarsi e, ogniqualvolta tornava nella sua stanza, componeva poesie fino a tardi.

Non poteva immaginare però, che il suo pensiero silenzioso, espresso tre mesi prima proprio davanti alla mentore che di più adorava, era divenuto realtà tanto che, un giorno di maggio, il livello di sopportazione di Sulpicia per Erice, giunse al limite- di pari passo probabilmente al livello di sopportazione della pelle della vampira per il sole- e sbottò:

-         è impossibile insegnarti qualcosa, in quella testa vuota non entrerebbe comunque nulla, tu, che ti definisci “poetessa”e sei così sdolcinatamente legata alla tua preziosa…ispirazione! Togliti dalla mia vista e va a cercarla da qualche altra parte.-

Erice non fu offesa dalle sue parole, anzi, le sembrò di aver ottenuto ciò che da mesi agognava: la libertà.

Subito, quando la domanda “dove potrei cercare ispirazione?”le affollò la mente, le apparve davanti agli occhi un unico luogo: il prato dei ciliegi.

 

Per nulla scoraggiata dal fatto che quel posto fosse fuori dalle mura di Volterra, Erice - dopo essersi equipaggiata di qualcosa da mangiare, una penna, il proprio taccuino e un ago che, dopo aver rammendato l’abito che indossava, dimenticò nel risvolto di una manica (sopraffatta com’era dalla felicità) passò per i sotterranei della Cinta Muraria, ripromettendosi che sarebbe tornata in tempo per la lezione con Didyme e, attenta a non essere vista, si lasciò finalmente Porta all’Arco alle spalle pronta ad abbracciare la sua piccola avventura.

La radura era più distante di quanto avesse immaginato, ma la passeggiata per le verdi e dolci colline toscane- nonostante fosse accaldata ed avesse la fronte imperlata di sudore- contribuì a calmarla ed a non farle notare quel particolare.

Le aspre parole di Sulpicia ormai erano un’eco lontana.

Finalmente, poté abbandonare il corpo sul soffice prato smeraldino della radura e, dopo essersi rotolata spensieratamente sull’erba ridendo come una bambina, si decise a mettersi seduta per ammirare ciò che la circondava. La semplice bellezza di quel luogo le tolse il fiato: era uno spazio circolare, circoscritto da numerosi ed eleganti ciliegi in fiore; il sole che colpiva ogni piccolo particolare come una mano che carezza qualcosa, mise in luce dinnanzi a lei, le tonalità pastello dei morbidi fiori di ciliegio; i tronchi nodosi eppure dall’aria rassicurante e saggia, degli alberi; le sfumature del prato, così simili a quelle dei suoi occhi.

Quando riuscì a dare di nuovo un senso logico ai propri pensieri, Erice notò l’infinità di margherite che spuntavano qua e là tra gli steli d’erba e si adoperò per raccoglierne quante più potesse. Sedendosi a gambe incrociate, utilizzò la gonna del vestito per custodire quante più margherite possibile, con un unico pensiero in mente:

“ne farò un bracciale da regalare a Didyme!”

Si servì infatti, anche di steli d’erba un po’ più duri e si ritenne soddisfatta solo quando quelle margherite assunsero la forma di un piccolo cerchio perfetto.

D’un tratto il vento iniziò a soffiare facendo sì che i suoi capelli danzassero assieme alle armoniose fronde degli alberi.

Ad Erice venne un’improvvisa, irrefrenabile voglia di scrivere: non aveva mai sentito un profumo di fiori tanto intenso, non le era mai capitato di vedere un luogo dove regnasse tanta armonia, non le era mai capitato di sentirsi tanto libera, le sembrava tutto un sogno, a causa della tanta perfezione che la circondava!

Di colpo iniziò a scendere la pioggia: delle gocce delicate e fresche, tipicamente primaverili che, quando toccavano la ragazza, la facevano sentire pura come fosse appena nata. Ed ebbe voglia di celebrare tutte quelle scoperte con una danza.

Erice non sapeva ballare, ma non le importava, si muoveva come le ordinavano il vento, la pioggia, il proprio corpo- girando di tanto in tanto su se stessa, lasciandosi sfiorare i capelli o sollevando le mani affinchè la l’acqua gliele baciasse; poiché, visto che attorno a lei ogni cosa sembrava danzare, le sembrava una scortesia restare ferma ad osservare.

La ragazza allora, sentì la voce della pioggia, riconobbe il suo canto delicato che, scrosciando contro le foglie, accompagnava i suoi passi; ogni cosa ora sembrava illuminata da una luce diversa, più tranquilla, ancora più magica ed Erice si sentì perfetta in quel quadro naturale, finalmente libera.

E quando fu tanto stanca da sentire i polmoni arderle per la fatica, si accasciò in terra, carezzando con le dita i fili d’erba che le capitavano a tiro.

- bene, bene, bene…ma che brava ballerina sei…posso chiederti come ti chiami, ragazza?- una voce vellutata e suadente, apparsa dal nulla per disturbare la sua quiete, fece sobbalzare la ragazza, che si rimise immediatamente in piedi.

Erice se lo trovò davanti, ed avvertì la terra che le franava sotto i piedi: un vampiro dalla schiena leggermente ricurva, scalzo ed avvolto completamente in una pelle di leone; la chioma disordinata, color carota sbiadita e gli occhi rossi, praticamente tendenti al nero, che rilucevano febbrili, animati dalla follia.

Era affascinante, come tutti i vampiri selvaggio ma pericoloso come una pianta carnivora.

La ragazza solo allora comprese di avere veramente paura di lui ma, come le era stato insegnato, poiché non era onorevole mostrare la paura, si concentrò per studiarlo attentamente, in silenzio, curandosi di non fare il minimo movimento o di non lasciar palpitare il proprio cuore perché sapeva che lui avrebbe percepito tutto.

“è un nomade, senza dubbio e…i suoi occhi…sta morendo di fame…”ponderò Erice, che aveva sentito parlare dei vampiri nomadi solo da Marcus, e considerò anche- non senza tremare- che lei era l’unica preda commestibile nel raggio di chilometri.

-         dimmi prima il tuo nome…e perché sei qui? Non sai che è vietato cacciare a Volterra?- gli domandò di rimando lei, ripensando alle dure leggi dei vampiri che le erano state insegnate sin da piccola.

-         Mi chiamo Justin, e sono stato convocato dai Volturi assieme a mio fratello Logan, ma abbiamo percorso così tanta strada che ora mi sento molto affamato…e tu, col tuo delicato profumo di loto, sei così invitante…posso approfittare del tuo sangue quanto voglio, sai? visto che siamo fuori dalle mura di Volterra, piccola saccente!- disse il vampiro, ed in un attimo le fu addosso; Erice sentì soltanto il tonfo del suo di loro due che urtavano un albero lì vicino ed avvertì il lancinante dolore che ne conseguì.

Il corpo di quel folle nomade, Justin, le premeva fastidiosamente contro mentre, bloccata tra lui e il tronco d’albero non poteva far altro che assecondare i suoi movimenti- un’opposizione sarebbe stata inutile contro la sua stretta d’acciaio- ora che lui le stava spingendo il volto in su, in modo da lasciarle il collo scoperto, e si preparava a morderla…

Erice chiuse gli occhi, le gambe che le tremavano, e tre volti le apparvero subito dinnanzi: quelli di Didyme, Marcus e Santiago.

Il cuore ormai aveva preso a batterle senza sosta e lei riuscì solo a mormorare:

-         Santiago…aiutami.-

-         Ah, ah, ah! Chi è Santiago? Il tuo ragazzo?- le chiese Justin, schernendola mentre rideva senza ritegno e saltellava sempre tenendole il collo fermo.

“è davvero pazzo…” pensò Erice.

-         Justin! Lasciala andare!- ordinò perentoria una voce, poco distante. Con la poca lucidità che le era rimasta, Erice immaginò si trattasse del fratello di cui Justin aveva parlato, Logan.

-         Sta’ zitto, occhi gialli! Invece di essere contento della preda che ho trovato e cibartene subito, te ne stai lì a rimproverarmi…oh! E tra poco sicuramente ricomincerai con la storia che “ci-dobbiamo-cibare-di-animali-perché-è-più-giusto”!- replicò il nomade che la teneva ferma, sempre continuando a ridere e saltellare, da bravo schizofrenico.

-         È un’umana, e non ti lascerò farle del male!- minacciò il fratello. Erice, che sino ad allora aveva pensato che la sua condanna a morte fosse ormai doppiamente firmata a causa della sua stupidità, si ritrovò a ringraziare il cielo per averle mandato Logan Occhi Gialli.

All’improvviso un paio di possenti mani afferrarono Justin per la schiena e di conseguenza Erice venne trascinata via, visto che il vampiro non si decideva a mollare la presa su di lei; tuttavia, lei, a differenza del nomade, fu scagliata lontano, praticamente sull’altro versante della piccola radura e subito, prima che avesse la possibilità di aprire gli occhi, percepì uno strano spostamento d’aria, il sole che veniva oscurato.

Logan, del quale però ora poteva vedere solo la schiena muscolosa, si era parato davanti a lei, e nonostante Erice ipotizzasse che il motivo fosse la sua difesa, non riuscì ad impedirsi di tremare.

Cosa ne sarebbe stato di lei, ora?

-         perché ti comporti così, Justin? Abbiamo avuto lo stesso creatore eppure io mi cibo di animali, tu di umani. Hai ucciso nostro padre perché non condividevi la sua scelta di vita, ci hai lasciati orfani…e lui ti chiamava “il Giusto”!- nella voce vellutata del vampiro c’era un’intensissima nota di disperazione e, Erice, pur non conoscendolo si ritrovò a condividere il suo tormento.

-         Ho fatto ciò che era giusto! Siamo vampiri, è questa la nostra natura! Tu sei un mostro contro natura, non io! Ed ora lasciami passare, ho fame!- gli urlò contro, il fratello, acquattandosi in posizione di attacco.

-         Per questo ti ho portato dai Volturi, perché siano loro, la nostra suprema autorità, a decidere! E…no! Per toccare quest’umana dovrai passare sul mio cadavere!- lo minacciò Logan, imitandolo nella posizione d’attacco.

Erice chiuse di nuovo gli occhi, rannicchiandosi, in attesa del peggio e…meno di un secondo più tardi tutto ciò che udì fu il rombo straziante di un tuono.

-         sbagliato, hombres! Non l’avrete mai!- la ragazza riconobbe immediatamente quella voce e nel cuore le sbocciò un’ondata di sollievo tanto violenta da sommergerla.

Santiago era lì, tra i due fratelli e li teneva saldamente, a distanza di sicurezza, ognuno in una delle sue mani.

Sembrava un angelo vendicatore che allontana i propri nemici da una sua protetta e, nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, ad Erice sembrò di scorgere sul volto d’alabastro di lui, un timido sorriso, gli occhi pieni di gioia nel saperla salva.

Tuttavia, un’improvvisa folata di vento, fece arrivare il suo odore, reso ancora più intenso dalla pioggia di cui si era bagnata, alle sue narici, e Santiago si trasformò in una belva tanto implacabile da terrorizzare anche la ragazza.

Scaraventò lontano Logan con un solo movimento,che andò a sbattere contro un albero, distruggendolo. Quello però, rimasto incastrato lì sotto, decise saggiamente di restare dov’era.

Poi, il vampiro spagnolo dedicò tutte le sue energie a Justin che però si muoveva velocissimo e lo confondeva.

Erice, vide che era in difficoltà e si sentì stupida, inutile. Cosa poteva fare per lui?

Un’altra zaffata di vento le accarezzò i capelli bagnati, e stavolta Santiago respirò a pieni polmoni il suo profumo di loto. Ormai distratto dall’intensità di quell’essenza, stava avanzando verso Erice, inesorabile come la morte; la bocca inondata di veleno.

La ragazza comprese che ormai probabilmente era giunta la sua ora- il vampiro che era suo salvatore, ora stava per trasformarsi in suo carnefice- e si rese conto della fame che doveva avere Santiago, osservando i suoi occhi: erano cremisi, ma tendenti al nero e con profonde occhiaie scure sotto, simili a bruciature.

Le era sempre stato detto che, quando i vampiri che serviva soffrivano la fame, era meglio per lei star lontana da loro, ora che il suo profumo aveva assunto una tonalità…dissetante. Cosa poteva averle detto la testa, quel giorno di tanto stupido, da spingerla ad impelagarsi in un simile pericolo?

Ormai Santiago era ad un metro da lei, ed Erice iniziò a piangere: non voleva morire sapendo che sarebbe stata l’ultima volta in cui avesse visto il viso bellissimo e proibito del suo amato Santiago.

Amato? Ma cosa andava blaterando? Possibile che la morte la facesse vaneggiare a tal punto.

Finalmente si riscosse e, nonostante avesse la vista appannata da un velo di lacrime, riuscì a distinguere la figura di Justin che, dalla sommità di un albero, si preparava ad attaccare il vampiro messicano.

-         Santiago, attento!- urlò, indicando quel punto con un dito.

Ma il balzo del nomade avvenne comunque…

Fortunatamente, Santiago riuscì a voltarsi repentinamente, e ad afferrarlo prima che questo gli azzannasse il collo. I due vampiri finirono a terra, lottando furiosamente, menando colpi potenti e veloci, spesso a vuoto sotto lo sguardo atterrito di Erice e Logan, poco distante da lei.

-         vattene, Erice!- riuscì ad urlare il vampiro messicano, fissandola di sfuggita mentre, con la schiena premuta contro l’erba, cercava di respingere Justin.

 

Erice non se lo fece ripetere due volte: nonostante la stanchezza e la paura, si mise in piedi, la mente vuota, preoccupandosi solo di mettere quanta più distanza possibile tra lei e i tre vampiri. Solo quando fu al sicuro tra le mura d’opali di Volterra, udì distintamente il suono secco di membra che venivano strappate, ed il crepitio di un fuoco che veniva appiccato e, ringraziando il cielo che ancora piovesse, si lasciò andare ad un pianto liberatorio, pregando che le gocce di pioggia, nascondessero ciò che provava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Eccovi qui il mio nuovo pezzo, l’ultima parte del 5 cap, mi auguro vi piaccia!

Un ringraziamento a ramona37 (grazie x la dritta in spagnolo scritto ma…per caso sai come si fa sulla tastiera il ? o il ! al contrario? E per favore, potresti controllare che i miei vaneggiamenti spagnoli siano scritti bene?)e a luce70,(anche a me piacciono i lieto fine ma qui mi sa che la notte sarà scura come pece, subito prima dell’alba ;) )per aver commentato, mi fa davvero piacere leggere cosa ne pensiate della mia storia, mi sprona a continuare, a migliorare…insomma, GRAZIE!

Fatemi sapere che ne pensate anche di questo

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** insegnamenti affilati ***


Capitolo VI

Insegnamenti affilati

 

Erice, la schiena abbandonata ad un muro possente e muschioso, si mordeva le labbra per costringersi a non piangere.

D’un tratto, dopo un unico, appannato, rapido sguardo al cielo- da dove un fulmine le ringhiò contro-si decise a riprendere a correre, la pioggia le scrosciava sulla pelle con fare sempre più rabbioso; l’istinto di sopravvivenza, la paura e la vergogna la dilaniavano e si sentì al sicuro solo quando entrò nel Palazzo dei Priori dove, oltrepassando i corridoi più in fretta che poté, stette attenta a ricacciare indietro le lacrime, per non farsi sentire da tutti i vampiri che sicuramente, in seguito alla sua entrata, stavano tenendo le orecchie tese.

Si fermò davanti alla Sala da Musica dove, certamente, Didyme la stava aspettando ed allungò una mano, per bussare ma, mentre cercava di ricomporsi, realizzò che gli abiti bagnati le pesavano fastidiosamente addosso, facendola apparire patetica.

Fu allora che una scossa di terrore puro l’attraversò: era bagnata fino al midollo e, nel prato dei ciliegi, era stata proprio la pioggia a rendere più invitante il suo odore alla narici di quel folle vampiro che quasi l’aveva uccisa…

Di colpo, dopo tutto quel tempo trascorso a respingere i ricordi di quanto era appena accaduto, il viso di Santiago le passò dinnanzi agli occhi e lei rabbrividì ancora; il suo sguardo omicida, famelico, mortale le avevano reso chiaro che lui aveva bramato ardentemente il suo sangue, la sua essenza, -che Justin aveva definito “fiore di loto”- e nulla l’avrebbe fermato…

Cosa avrebbe impedito ora, dunque, a Didyme di mangiarla non appena avesse sentito il suo profumo intenso?

La ragazza fece un passo indietro, gli occhi persi nel vuoto, le orecchie che le fischiavano, mentre quasi si infilava un pugno in bocca per non urlare ed in breve si ritrovò a spiccare una corsa, senza pensare, parlare o respirare e dalla quale riemerse, sentendosi al sicuro solo quando udì il tofo della porta della propria stanza chiuderlesi alle spalle.

Erice, la schiena premuta contro la porta, sentì le gambe che le si sbriciolavano sotto il peso di tanta tensione e, senza rendersene conto, scivolò lentamente verso il pavimento. Finalmente potè tirare un sospiro di sollievo e dedicare un po’ di tempo a riordinare i propri pensieri: la pioggia di quel pomeriggio aveva reso più intenso il suo odore, cosa che aveva attirato il vampiro Justin e suo fratello Logan, che avevano dichiarato di esser stati convocati dai Volturi.

“ok, questi sono i problemi; ora è necessario che cerchi delle soluzioni: appena smetto di tremare, vado a fare una doccia…magari l’odore si attenua con un’acqua che sia diversa da quella piovana; ma il mio odore, ha attirato Justin e Logan, due vampiri abbastanza…singolari, che come unica cosa comprensibile, hanno detto di essere stati convocati dai miei signori. Logan è stato chiamato dal fratello ‘occhi gialli’e sembra che abbia tentato di proteggermi…vorrei parlarci, ma sicuramente Santiago lo avrà arso vivo”.

Sin da ragazzina, Erice aveva imparato che quando la sua razionalità veniva offuscata dalla paura, lei stessa doveva prendere in mano la situazione e, darsi delle indicazioni su quanto doveva fare per rilassarsi. Fu esattamente ciò che fece, anche questa volta: cercando di riscuotersi dal timore che le attanagliava le viscere, al ricordo di quelle immagini davanti a sé, ed all’idea delle conseguenze che avrebbe potuto subire se solo avesse cercato di spiegare come mai si trovava fuori dalle mura di Volterra; e riuscì a nascondersi in bagno dove il potente getto della doccia, abbracciò le sue membra nude, cercando di scacciare il freddo dovuto alla paura, che la ragazza sentiva dentro di sé.

 

-         Erice! Erice, perché non sei venuta alla lezione?- all’improvviso, la voce cristallina di Didyme, tuonò al di là della porta, assieme a possenti scosse contro la porta.

Erice, che per un attimo aveva dimenticato ogni cosa la circondasse, riemerse con violenza dal suo stato di abbandono mentale e, col cuore in gola, si affrettò a tornare in camera, avvolgendosi come meglio potè in un semplice asciugamano bianco. Era il momento della verità. La sua signora Didyme avrebbe saputo ogni cosa…

O forse no?

- mi dispiace mia signora! Ma…vedete, la mia signora Sulpicia mi ha dato la possibilità di uscire da Volterra, e rimanere nei dintorni per cercare ispirazione per le mie poesie. Dopo qualche tempo sono stata sorpresa da…un temporale e…ora sono completamente bagnata…- tentò di spiegarle, mentre tentava di tenere a bada le pulsazioni cardiache.

Udì distintamente la vampira che inalava, attraverso la porta chiusa a chiave e, quando quella tentò di trattenere un ruggito, Erice comprese che anche lei bramava il suo sangue, ma immaginò che la sua mentore -nonostante stesse di certo provando gli stessi istinti di Santiago, verso di lei- cercasse a stento di dominare la sua natura animalesca per evitare di distruggere la piccola porta che le separava, e saltarle addosso.

-         in nome del Cielo! Il tuo profumo è fortissimo, piccola! Ascolta, porterò con me, lontano da qui, l’intero Corpo di Guardia e gli Anziani: è molto che non ci nutriamo e…rischieremmo di farti del male. Resterai da sola con i servi. Perché tra venti minuti non vai ad esercitarti al pianoforte? Sarai sola e…al sicuro.- le disse Didyme, parlando tanto in fretta che lei dovette concentrarsi per capire tutto ciò che le stava dicendo. La sua voce giungeva alle orecchie di Erice attutita, come se tenesse la mano davanti alla bocca, mentre parlava.

La ragazza avvertì un moto di commozione nascerle nel petto: Didyme si stava preoccupando per lei, stava facendo di tutto per non farle del male e lei…le aveva mentito. Ma la vampira al momento, sembrava non essersene accorta.

-         sì, sì mia signora, farò come dite. Vi…vi ringrazio.- sussurrò lei, la voce di nuovo incrinata da altre lacrime in agguato.

Poi, in un battter d’occhio, tutto si fece silenzioso, sia al di là della porta della sua stanza, sia in tutto il Palazzo dei Priori- Erice se ne accorse qualche minuto più tardi, quando, più calma, praticò la deprivazione sensoriale.

Finalmente al sicuro, pulita e circondata dalla quiete più assoluta, quasi tombale, si affrettò ad attraversare i corridoi, fino a rinchiudersi nella Sala da Musica, dove trascorse ore intere a far scivolare armoniosamente le dita sui tasti d’avorio del pianoforte a coda.

In realtà quel tempo interminabile, ai suoi occhi, si ridusse ad una semplice manciata di minuti e, pian piano che suonava, le sue paure; il rimorso per aver detto solo parte della verità a Didyme; l’agitazione del suo cuore; svanirono, scivolandole via da dosso, come fossero state acqua.

Quando il sole stava per sparire all’orizzonte, proiettando la sua calda luce obliqua nella stanza, Erice iniziò ad avvertire la stanchezza che, delicata e trascinante le si era insinuata nelle membra, e stava rischiando di farla assopire.

D’un tratto, la porta della Sala da Musica si spalancò, e sulla soglia comparve la graziosa figura di una vampira minuta, i capelli argentei raccolti in due spesse trecce abbandonate sulle spalle. Sorrise all’indirizzo della ragazza:

-         piccola Erice, sei qui da oggi pomeriggio, e non hai ancora mangiato. Vuoi che ti prepari qualcosa?- la ragazza sapeva chi era: si chiamava Evangeline, ed era la serva cui era stata affidata da neonata, una dei pochi che l’aveva sempre trattata come fosse stata sua figlia; l’unica che non sentiva mai i morsi della fame quando le stava accanto, in quanto i Volturi la costringevano a bere sangue animale, a causa della sua condizione sociale.

L’umana si alzò e, con quanto slancio riuscisse ad avere, piroettò delicatamente davanti a quella vampira eternamente intrappolata nel corpo di una trentacinquenne, e ne prese le fredde mani tra le sue.

-         no grazie, dolce Evangeline. Non ho fame, penso che andrò a riposare.- le disse, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi profondi occhi neri.

-         È molto strano, non è da te privarti del cibo. Ho notato subito che il tuo profumo è più intenso del solito…è forse per questo che l’intera Corte e tutte le Guardie sono andate a caccia?- le domandò, osservandola con fare materno.

-         Ecco…vedi…- stava per blaterare Erice, ma all’improvviso, alle spalle di Evangeline, comparve un vampiro smilzo, quasi denutrito, gli occhi vitrei ed i capelli color grigio topo.

-         Evangeline, nelle Prigioni c’è un vampiro che è stato catturato da Santiago…gli ordini sono di non dargli da mangiare finchè non ci dice chi è ma….non riesco ad avvicinarmi a lui…- la informò quello, e mentre parlava nessuna emozione gli solcò il volto di creta quasi sgretolata; sembrava addirittura non essersi accorto della presenza di Erice.

-         E quindi…hai pensato che, siccome sono una donna, potrei persuaderlo meglio a parlare, no?- replicò, decisa con un tono a metà tra il divertito ed il seccato, mentre raccoglieva le braccia al petto.

Un silenzio teso calò tra i tre, Evangeline era immobile come una statua, ferma, ed attendeva che il vampiro desistesse dal suo proposito. Erice, sembrava non essere in grado di udire nulla di quanto le stesse accadendo intorno, contenta com’era di poter provare di nuovo emozioni che non le distruggessero l’anima; era davvero sollevata che Santiago avesse catturato qualcuno.

Quasi sicuramente si trattava di Logan, uno dei due fratelli che aveva incontrato alla radura oltre le mura, - Justin doveva essere ormai ridotto ad un mucchietto di cenere- e l’unico pensiero che ora le vorticava nella mente era la certa possibilità di poter parlare con quello sconosciuto, e chiedergli perché fosse stato definito “occhi gialli” dal fratello, oltre a come mai avesse tentato di proteggerla.

Se lei era umana, ed era destinata a diventare cibo per vampiri, non era normale da parte sua, cercare di…proteggerla, no?

-         verrò con te, Evengeline!- propose allora, riemergendo dai suoi ragionamenti con un leggero balzo di felicità.

La vampira la fissò perplessa, come se si stesse chiedendo se quella aveva tutte le rotelle al suo posto, mentre si sistemava distrattamente una spallina della sua semplice tunica, ma alla fine le sorrise, e le avvolse un braccio attorno alle spalle, premendosela contro il gelido corpo ossuto; poi, insieme, si diressero alle Prigioni.

 

Quel luogo buio era solito mettere i brividi a tutti, infatti, il servo coi capelli color topo aveva lasciato sole le due durante il tragitto. Evangeline tremava ad ogni passo; ma non Erice. La ragazza ormai conosceva a memoria ogni angolo di quei sotterranei, ed inoltre, la presenza accanto a sè dell’unica vampira, oltre a Didyme, che l’avesse coccolata e trattata con dolcezza, sembrò darle forza.

Di colpo, la pacata, Evangeline, la vampira dal sorriso splendido si bloccò, proprio quando si trovarono ad un metro di distanza dalle celle: Erice vide distintamente – nonostante le torce sul muro illuminassero ogni cosa con strisce di luce tremolante- il suo volto di cera contrarsi in una smorfia di sofferente tormento, mentre ringhiava appena.

Lei non ringhiava mai.

-         Evangeline, va’ pure, se non ti senti bene…penso io a parlare con questo vampiro.- le consigliò lei, bisbigliando.

In breve, nonostante le avesse gettato un’ultima occhiata preoccupata, la vampira scomparve, senza parlare ed Erice, chiudendo e riaprendo velocemente gli occhi, scoprì di essere rimasta sola.

Fece un ultimo respiro profondo e, cercando una qualche fonte che le desse tranquillità, mosse qualche passo avanti…

Di punto in bianco ebbe la sensazione di scontrarsi con violenza contro una montagna, di avere un’opprimente peso che le passasse da parte a parte; le ginocchia le cedettero e la ragazza fu costretta a rannicchiarsi su se stessa, boccheggiando, mentre uno straziante, sconosciuto tormento la schiacciava a terra.

Sollevò lentamente lo sguardo, decisa a non farsi vincere da quella brutta sensazione, e vide che le sbarre della cella che aveva davanti, tremavano leggermente, rendendole impossibile fissarle a lungo.

-         ah, sei tu, ragazza! Sono così contento di vederti viva, sapendo che mio fratello non ti ha fatto del male. Ma se sei qui…significa che i Volturi hanno catturato anche te e…il destino che ti attende ora, sarà molto peggiore del mio…- la sensazione di tormento abbandonò Erice, lesta come un battito d’ali, ed il vampiro chiamato Logan apparve, come dal nulla, al di là delle sbarre.

la ragazza aveva ascoltato con attenzione le sue malinconiche, accorate parole, mentre tentava di rimettersi in piedi, provando a riprendere a respirare regolarmente: sembrava che lui tenesse veramente a lei.

-         cosa mi hai fatto, Logan?- gli domandò lei, sconvolta. Si sentiva addirittura incapace di guardarlo, tanto le era sconosciuto ciò che le era appena successo.

-         Dimentico che conosci già il mio nome. Mi dispiace, per tutto, per oggi pomeriggio e per…questo: è il mio potere e, aspettandomi chiunque, tranne te, l’ho usato per difendermi. Investo coloro che mi circondano con ondate di tormento, tanto che riesco a rendermi invisibile ai loro occhi…- le spiegò, dapprima sorpreso, poi pacato, mentre la fissava con urgenza, come se temesse di averla ferita.

Era così diverso da Justin, più pacato; sembrava che emanasse calma.

In quel momento, forte di quella nuova sensazione, Erice si costrinse a sollevare lo sguardo verso di lui, per esaminare quell’essere, mentre con fare circospetto, sedeva sul pavimento dinnanzi alla sua cella: era un uomo appena fatto, intrappolato per sempre nel corpo di un ventenne dal fisico atletico ed asciutto; aveva una folta chioma castano rossiccia, raccolta in una coda di cavallo e i suoi occhi avevano una strana sfumatura dorata. Un colore che la ragazza non aveva mai visto.

-         perché i tuoi occhi sono dorati? Perché tuo fratello Justin ti ha chiamato “occhi gialli”? e perché hai tentato di proteggermi?- solo quando le parole le sgorgarono dalle labbra come un fiume in piena, Erice si rese conto del suo forte bisogno di avere delle risposte, in barba al fatto che si fosse ripromessa di mantenere la calma. Non aveva affatto pensato mentre parlava, e aveva spesso distolto lo sguardo poichè le era riuscito difficile sostenere lo sguardo di quello sciagurato prigioniero.

-         Vedi….ragazza, sono stato trasformato in un vampiro a causa di un incidente, ma non accettavo la mia natura, la mia continua sete di sangue, e così ho iniziato a vagare per il mondo in attesa di…qualcosa. Quando mio padre mi ha trovato, ho saputo che lui era ciò che attendevo: ho imparato che potevo sopravvivere senza uccidere alcun essere umano, nutrendomi di sangue animale. Per questo i miei occhi sono così. Devo molto a mio padre, in quanto mi ha fatto comprendere che noi vampiri dovremmo proteggere gli umani, poiché siamo più forti, e più veloci di…voi.- iniziò, e le parole uscirono dalle sue labbra sottili, amare piene di ricordi, ma anche appassionate, tanto che Erice si sentì invadere da queste emozioni, e tuttavia rimase anche perplessa.

-         Cosa? Vuoi dire che i vampiri possono trasformare gli umani in altri vampiri?- fece lei, senza parole.

Logan annuì, il suo viso di granito mutò in una maschera di dolore e tormento, antichi quanto lui, probabilmente.

La ragazza, il cuore che aveva iniziato a batterle più velocemente, si avvolse nel mantello che aveva portato con sé dalla sua stanza, quello di cui le aveva fatto dono Santiago, poco prima che venisse rinchiusa nella Cinta Muraria. Sul pavimento umido cadde un foglio, lo stesso che lei aveva toccato, al buio, ma che non era riuscita ancora a leggere.

Bè, quello non era proprio il momento adatto: doveva ancora assimilare il senso delle parole appena udite.

-         quindi…i vampiri possono bere anche sangue animale?- chiese di nuovo, mesta.

-         Certo, tu non mangi la carne degli animali? Ma pochi lo fanno, la maggior parte dei vampiri si nutre di sangue umano ed i Volturi sono una sorta di vessillo, per questi. Ecco perché mi rammarico del tuo destino, ora che ti hanno catturata.- mormorò Logan, scrutando la pelle d’avorio di lei, con tristezza.

-         Cosa dici? Io sono nata qui, non sono stata catturata, ed amo i Volturi, li venero. Sono pronta a dare il mio sangue per loro. È questo il mio destino.- quasi gli ringhiò contro mentre rispondeva, sentendosi punta nel vivo.

In quel momento di furore, lei si era alzata in piedi, avvicinandosi tanto a Logan da premere il corpo contro le sbarre della cella di lui.

Il vampiro le scoccò un’occhiata sdegnosa, quindi prese a camminare avanti e indietro, come un leone in gabbia ed infine, senza alcun preavviso, si fermò davanti a lei, e strinse le proprie braccia attorno alla sua vita, per far sì che il suo sguardo si incatenasse meglio al suo.

-         devi essere folle. Dovresti essere attaccata alla vita, come tutti quelli della tua razza. Non so proprio come fai ad adorare dei vampiri, che prima o poi ti uccideranno, privandoti del tuo bene più prezioso, e berranno il tuo sangue…- la rimproverò, con forza.

-         Onestamente non lo capisco neppure io…ma sei stata brava piccola umana, hai scoperto più di noi, nel minor tempo possibile.- una voce profonda risuonò nel buio striato di luce, facendo sobbalzare entrambi.

Erice, che avrebbe riconosciuto ovunque quella voce, si girò nella sua direzione nonostante fosse un po’ impacciata dalla presa di Logan; aveva gli occhi lucenti e centinaia di brividi le pervadevano ogni centimetro di pelle. Logan non la lasciò andare, anzi, il suo sguardo si fece feroce, protettivo e, a giudicare da come il vampiro appena arrivato si teneva a distanza da loro, e tentava di guardare verso i due senza essere capace di vederli, Erice indovinò che lui doveva aver attivato il suo “scudo”.

-         ti ostini a restare legata a noi, Erice, nonostante sai che siamo diversi, che Didyme, come qualsiasi altra vampira non può averti partorita, perciò non sei….nata qui, e non sarai mai una di noi. Ma a te non importa, no? E ci adori e ci difendi con fierezza. Sono molto sorpreso dal fuoco che ha animato i tuoi occhi, quando quest’insulso vegetariano ti ha provocata, chica.-

la ragazza avvertì il cuore che le si incastrava in gola.

-         Santiago, perché parli così? Perché metti in dubbio la mia fedeltà ai miei signori?- urlò lei, dapprima il suo tono era stato spaventato e sottomesso ma ora, la rabbia l’aveva invasa, come una marea, rendendola cieca, sorda e muta a qualsiasi cosa che non fosse quanto stava provando in quel momento.

Con un’energia ed uno scatto repentino che neppure lei sospettava di avere, si avventò contro Santiago,sciogliendo facilmente la stretta d’acciaio di Logan e piombando sul vampiro messicano con irruenza, forte soprattutto del fatto che, grazie allo “scudo” poteva godere dell’effetto sorpresa.

Quando avvertì il tonfo della schiena di Santiago contro il muro di spessa pietra, comprese anche di avergli immobilizzato le mani, stringendole nelle sue.

I due si fissarono in cagnesco per diversi momenti, ma negli occhi di lui, sembrava esserci più sorpresa che rabbia:

- perché ti comporti così, Santiago? Perché mi lasci credere che posso fidarmi di te, dal momento che curi le mie ferite, ma poi mi eviti, e metti in dubbio la mia fedeltà verso questa famiglia?! Ti odio!- lo accusò, liberandosi finalmente per la prima volta di tutta la rabbia accumulata nei suoi confronti, e sempre trattenuta.

Il vampiro messicano la fissò per un altro secondo poi rese nulla l’opposizione fisica che lei gli faceva e la situazione di vantaggio dell’umana, ebbe breve vita: senza alcuno sforzo e con un solo movimento, lui fece sì che fosse Erice ad avere le spalle al muro, e lui, invece, potesse tenerla ferma, premendo il proprio petto contro i suoi seni.

In quel momento lei comprese di essere in trappola, la tanta vicinanza con Santiago, inoltre, col suo respiro fresco, col suo fisico perfetto le facevano risultare difficile respirare, o formulare un pensiero coerente e non riusciva a spiegarsi il perché.

Santiago le sollevò il mento e, dopo un fugace attimo in cui lei si concesse di gettare uno sguardo ai suoi occhi e potè rilassarsi poiché- visto che le sue iridi erano tornate a brillare di un rosso intenso, come quello delle rose appena colte- seppe che aveva mangiato; abbassò gli occhi e rimase sempre zitta.

-         non osare farle del male, bastardo!- lo minacciò Logan dalla cella, probabilmente vedendo sparire la ragazza dietro la stazza possente del vampiro.

Sia Erice che Santiago lo ignorarono, però. Sembrava che, ora che erano l’uno alla presenza dell’altra, null’altro esisteva.

Fu allora che, dalla tasca del mantello della ragazza, scivolò fuori quel foglietto, di nuovo. Fortunatamente Santiago ebbe la prontezza di afferrarlo prima che toccasse terra.

-         è questo che pensi di me, chica? Mi odi?- il suo tono era quasi divertito.

Erice non rispose, mantenne il mento praticamente schiacciato contro la mano del vampiro che aveva davanti, preoccupandosi di controllare le emozioni che imperversavano in lei, e mantenere il respiro regolare.

-         non sai quindi che, quando eri piccola,mi sono preso cura di te? Ho giocato sempre con te, ti ho raccontato delle favole…vuoi sapere cosa c’era scritto su questo biglietto?- fece, mostrandoglielo- “buona fortuna, chica. Ti voglio bene.”. Didyme deve averlo trovato mentre ti curava, perché subito dopo mi ha avvertito di starti alla larga- ed era proprio lei che ho visto, qualche giorno dopo, mentre eravamo alla Cinta Muraria- altrimenti saresti stata fuorviata, e non avresti compreso che dovevi venerarci e non amarci, ma…io non posso fermare ciò che sento…- continuò il vampiro, fissandola serio, dopo essersi sistemato un ricciolo scuro dietro l’orecchio.

La ragazza avvertì che le gambe le tremavano(fortuna che Santiago la sorreggeva): grazie a quelle parole, ora si spiegava molte cose, ma ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che Santiago le volesse bene.

Poteva quindi considerare vere le parole che aveva udito da Didyme e Marcus, tempo fa?

Rimase di nuovo in silenzio, mentre scrutava il suo viso d’alabastro, rapita.

-         va’ ora, chica. Didyme vuole vederti perché le ho spiegato cosa è successo veramente e…dice che devi imparare a difenderti.- la informò, dopo averla contemplata per un po’ con un sorriso.

Questa volta, nell’udire quella frase, Erice non si lasciò sopraffare dalla preoccupazione, perché troppo intenta ad attraversare il passaggio segreto in quel punto del muro, col passo leggero di una farfalla, dopo che Santiago l’aveva lasciata andare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao ad entrambe, ragazze, vi ringrazio molto per le vostre recensioni, scusate se non mi dilungo ma sono un po’ di fretta, mi auguro che il cap vi sia piaciuto.

Fatemi sapere che ne pensate

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** AVVISO ***


AVVISO

Ciao a tutte!(perché siete TUTTE vero? Non ci sono anche dei TUTTI…o sì?)vabbè comunque ciao!

Metto qui questo avviso innanzitutto per ringraziarvi(nel capitolo precedente- parlo dell’ultima parte del cap 5- ero un po’ di corsa e non ho potuto rendere giustizia alle belle parole che ho letto tra i commenti.)Allora…grazie mille a Ramona37 che,con poche ma brevi righe mi ha praticamente fatto ritrovare il sorriso e grazie tante anche a Luce70, mi fa piacere che tu abbia notato tanti particolari ma devo chiederti…come mai ti dispiace per Justin? D’altronde è lui il carnivoro e si stava per divorare Erice e Logan invece il vegetariano(poi vedrai nella seconda parte del cap 6, perché ti ho fatto questa domanda…)

Ora passo ai ringraziamenti per il capitolo 6 ad Edwardina4e che ringrazio infinitamente sia per il commento, semplice ma davvero dolce!

Ed anche Luce70 ovviamente: la tua capacità di osservazione si sta affinando sempre di più, mi lasci senza parole!

Ringrazio ognuna di voi perché con le vostre parole, con la presenza mi spingete sempre a migliorarmi e…diciamo che mi ispirate ispirazione per scrivere!

 

Altra cosa: FINALMENTE SONO STATA A VOLTERRA! Inutile dirvi che è una città strepitosa! Ma così, potrò anche descrivere fedelmente senza inventare cose campate in aria…

Di nuovo grazie a tutte

Marty23

 

Ps a proposito raga…guardavo la lista delle persone che hanno inserito questa storia tra le seguite o tra quelle da ricordare, o le preferite…caspita quanti siete! Wow mi commuovo, mi viene da pensare che la storia piaccia davvero allora! Sicuri che non è troppo noiosa o troppo descrittiva? Accetto qualsiasi tipo di commento costruttivo

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** insegnamenti affilati(parte 2) ***


Capitolo VI

Parte 2

 

Come promesso, Didyme la stava aspettando all’uscita del cunicolo oscuro che si inerpicava in Palazzo dei Priori dalle Prigioni.

Erice la fissò di sfuggita: era immobile come una statua, splendida, ma i suoi occhi rabbiosi le ricordavano l’ira implacabile di una dea greca.

Dopo che la ragazza le ebbe fatto un rispettoso inchino, quella l’affiancò, senza dire una parola, mentre continuò, per tutto il tragitto nei corridoi, a gettarle addosso occhiate inceneritrici.

Erice tuttavia, non se ne accorse, presa com’era a camminare ad un palmo da terra, ogni volta che l’idea che Santiago le voleva bene, le sfiorava la mente.

In effetti, considerò in un momento di malinconica lucidità, mentre saliva le scale di marmo, erano pochi i vampiri dei quali era sicura nutrissero tale sentimento nei suoi confronti: Santiago, Evangeline, e Didyme –anche se era molto incerta su quest’ultima, poiché da un anno a questa parte sembrava aver assunto un comportamento piuttosto ambiguo verso di lei. A confermarlo, giunsero le sue glaciali parole, pungenti come lame (le uniche di tutta la giornata)pronunciate davanti ad una porta all’ultimo piano.

-         Non avvicinarti al vampiro che si trova nelle Prigioni, Erice. Ho sentito tutto ciò che vi siete detti: sappi che non ti trasformeremo mai, perché il tuo ruolo qui è già stato stabilito, e non sei una di noi. Inoltre, sta’ lontana da Santiago, non ricordi cosa ti avevo detto? Venite da due mondi differenti, vi sarebbe impossibile stare insieme.- la ragazza si risvegliò improvvisamente dallo stato di torpore sognante in cui si trovava, colpita da quelle parole, appena sussurrate ma minacciose, con tanta violenza da sentire che dentro di sé, qualcosa andava in frantumi. Sapeva che se avesse alzato lo sguardo sarebbe scoppiata a piangere, e non voleva che Didyme avesse quella soddisfazione, non voleva che sapesse che le sue parole l’avevano ferita.

Perciò, si limito ad annuire, ma subito dopo notò qualcosa di strano: era una sua impressione- causata dalla velocità con cui aveva fatto guizzare gli occhi sulla vampira- o lo sguardo di lei appariva intriso di dolore? E…quel sospiro tormentato che era appena uscito dalle sue labbra, era tutta una sua fantasia?

Un velo di opprimente silenzio avvolse entrambe e Didyme finalmente si decise a spalancare la porta…Erice restò senza parole: quella era la Sala dei Colloqui, dove Anthenodora l’attendeva, e la ragazza la vide, per la prima volta, in un semplice ed attillato abito nero, i capelli raccolti in una crocchia sulla nuca.

Che fosse stata portata lì per essere torturata?

 

Probabilmente la moglie di Caius iniziò a parlare non appena Didyme si fu chiusa la porta alle spalle. Di sicuro spiegò ad Erice il motivo per cui entrambe si trovassero lì e quale tipo di allenamento avrebbero seguito insieme. L’umana tuttavia, non l’ascoltò perchè, dopo aver ritrovato un po’ di calma grazie al fatto che aveva scoperto che nessuno l’avrebbe torturata, le sembrava di non poter udire quell’esile vampira asciutta e tutta nervi; concentrata com’era nel vortice dei propri pensieri.

D’un tratto però, fu certa che Anthenodora avesse iniziato a scagliarle addosso la propria frusta, che schioccava cruda ad ogni colpo sul pavimento. La ragazza non ricordò come avesse fatto ad evitarla, rammentava solo che il corpo le si era come separato dalla mente e, mentre lei continuava a pensare, fantasticare, ascoltare le parole di Santiago, le sue membra si muovevano agili piroettando e saltellando qua e là per evitare i colpi.

Al calar del sole, quando tutto era cessato, forse Anthenodora si era addirittura complimentata con lei, o magari l’aveva sgridata perché mentalmente non era stata lì per tutto il tempo, chissà…Erice non avrebbe saputo dirlo.

La ragazza seppe solo che, scesa la notte, avvertì l’irrefrenabile impulso di andare di nuovo a parlare con Logan. Le sembrava si sentirsi il colpa per come l’aveva lasciato, qualche ora prima, quindi, scivolò senza problemi nei sotterranei e, giunta in prossimità delle Prigioni, tentò di ignorare l’ondata di tormento che la sommerse, con più vigore di quanto si aspettasse:

-         che ci fai qui?- le domandò il vampiro vegetariano, aggredendola.

Solo quando lui si decise a disattivare lo “scudo”- forse infastidito dalla caparbietà di Erice che, nonostante rischiasse di avere dei conati, continuava a stare seduta davanti alla sua cella- lei iniziò a sentirsi meglio.

-         sono venuta a portarti delle notizie…- esordì lei, riprendendo a respirare naturalmente.

-         O magari sei venuta solo per farmi mille domande ed estorcermi informazioni da riferire ai tuoi signori…- la schernì con durezza il prigioniero, inchiodandola con lo sguardo.

Erice si sentì come se qualcosa di pesantissimo l’avesse colpita, togliendole tutta l’aria dai polmoni; avvertì che era sull’orlo delle lacrime. Si era verificato ciò che temeva: Logan aveva perso fiducia in lei.

Si scambiarono un’ultima occhiata. A lui sembrava non importare che la ragazza somigliasse ad un cagnolino bastonato; riuscì a farle lasciare quel luogo con la testa bassa.

-         ecco brava…và via. Non è un posto sicuro per te, questo…- le bisbigliò dietro, prima che la ragazza svanisse tra le ombre ma non fu sicuro che lei l’avesse sentito.

 

“ non è possibile, non è possibile! Le umiliazioni che ho subito fin ora, sono state cento volte più infide di quella di Logan, ieri sera. Oggi mi allenerò con Anthenodora, ma non appena avrà finito, andrò da lui alle Prigioni. Al diavolo il divieto di Didyme! Non riesco a capire perché si comporti così con me, perché tenti di tenermi lontana dai vampiri se tanto il mio destino è vivere tra di loro! E come faceva a sapere che il mio più grande desiderio è essere trasformata in vampira? Cosa può esserci, poi, di sbagliato nella mia amicizia con Santiago?” pensò Erice la mattina seguente, -dopo essersi alzata prestissimo a causa del dolore causato dalle parole di Didyme, del giorno prima, e del comportamento del vegetariano- mentre, irrequieta e tesa si vestiva per andare ad incontrare la moglie di Caius. Ormai aveva deciso, e nulla l’avrebbe fermata.

Fortunatamente la rabbia ed i dubbi che la dilaniavano, scivolarono via non appena si ritrovò nella Sala dei Colloqui con la sua nuova mentore, e si trasformarono in vigore, che la pervase per tutta la durata dell’addestramento e le permise di superare discretamente le mille sfide cui Anthenodora la sottoponeva.

Flessioni, addominali, salti da varie altezze, ed infine tutto si ridusse ad una lotta tra le due: Erice vide la pacata Anthenodora, che per lei era sempre stata praticamente invisibile, mutare in una belva feroce e, nonostante si muovesse velocissima, la ragazza non si perse d’animo, e si costrinse a restare concentrata, spesso facendo uso della deprivazione sensoriale o immaginando mille e mille volte, al rallentatore, i complicati movimenti del corpo della vampira.

Quel primo giorno non fu certo il migliore, tuttavia, Erice fu felice di sentirsi più leggera, come scaricata della sua rabbia, oltre che, ovviamente, di essere illesa. Persino Anthenodora si complimentò con lei e, tornata innocua come sempre, le rivolse un sorriso prima di lasciarla andare.

 

La ragazza decise di andare a fare una passeggiata nella città bagnata dalla calda luce del tramonto e, giunta nelle vicinanze di Palazzo Viti, si sedette sui gradini in pietra, per riposarsi. Per un attimo quasi dimenticò i suoi propositi di astio verso Didyme poiché la sua attenzione veniva trascinata via dai progressi ottenuti quel giorno e dal vociare brulicante di vita dei volterrani.

Era così diverso appena fuori dalle mura di Palazzo dei Priori: dentro le mura bianche con quel silenzio tombale e spesso logorante, Erice sentiva il peso dell’intero mondo sulle spalle, ed ogni sua parola, errore o pensiero, sembrava essere proibito; ma fuori, all’aperto, nelle piazze di Volterra, tra la gente nulla sembrava avere importanza, se non la vita che le scorreva sui palmi delle mani.

 

D’un tratto, a disturbare il flusso di quei nuovi pensieri, sorse il miagolio vicino di un grosso gatto che- poiché lei era ignorante in fatto di razza- riuscì solo a definire come “una gigantesca palla di pelo”. E all’improvviso, ebbe un’idea: e se avesse portato quell’animale a Logan? Era da molto tempo, d’altro canto che non mangiava e, - poiché per lei sarebbe stato pericoloso trovarsi accanto ad un vampiro che, nonostante dicesse di essere vegetariano, era pur sempre affamato- forse se gli avesse offerto quel genere di cibo, lui avrebbe potuto di nuovo fidarsi di lei.

Animata da una nuova speranza, la ragazza non ebbe difficoltà ad attirare l’attenzione dell’animale che, con fare circospetto di avvicinò cautamente alla sua mano distesa. Ciò che risultò più problematico per lei, fu entrare in Palazzo dei Priori con quel gattone peloso tra le braccia e scendere lesta nelle Prigioni, senza essere vista dalle Guardie, mentre accarezzava la schiena dell’animale per non farlo miagolare troppo.

 

Fortunatamente nessuno parve notare quella ragazzina fasciata da un paio di jeans ed una semplice maglietta, con un grosso gatto selvatico al petto. Erice quindi, s azzardò a tirare un sospiro di sollievo non appena si ritrovò dinnanzi all’ormai famigerata cella che visitava da tre sere, e quasi sorrise quando fu travolta dalla familiare ondata di tormento sprigionata da Logan. Tentò di aguzzare la vista mentre si accorse che il gatto soffiava infastidito e lei iniziava a respirare a fatica: ancora non lo scorgeva tra le sbarre, però. Possibile che i suoi occhi, dopo tutto quel tempo, non si fossero ancora abituati alla semioscurità di quel luogo?

-         mi dispiace per quanto è successo, credimi Logan. Non avevo idea che ci fosse qualcuno che mi controllava; sono venuta da te quando tutti i miei signori erano andati a caccia…perché…dovevo sapere: è così diverso ciò che rappresenti dalla realtà sui vampiri che conosco.- iniziò lei, parlando ad una sezione d’aria vuota, ma che sembrava tremare. Nonostante il gatto tentasse di graffiarla, era riuscita ad alzarsi in piedi, e fissava straziata quel vuoto nella cella

-         caspita che carina! E quello cosa sarebbe, il mio pasto?- una voce d’uomo, animata da duro sarcasmo, risuonò nell’ombra, e subito il corpo di Logan, prese forma.

Erice sorrise, più rilassata, quando il tormento artificiale scomparve tuttavia, fu comunque colpita a nervi scoperti dalle sue amare parole.

-         sì. La tortura a cui vogliono sottoporti i miei signori è la fame, almeno fino a quando non rivelerai loro chi sei.- replicò in risposta, sforzandosi di sorridere solidale, nonostante quel gatto stesse cominciando a soffiare, irrigidirsi ed agitarsi, mettendola a disagio.

-         Ah, ora si spiega il motivo delle tue premure verso di me: sai perfettamente che, se dovessi ridurmi alla fame, non sarebbe sicuro per te venire qui, ma la tua curiosità è così forte che ti sei costretta a trovare un modo per mantenermi lucido ed aiutarti così a rispondere ai tuoi dubbi.- fece Logan, mentre si avvicinava alle spalle, a lei e con gli occhi venati di un nero dolore la studiava.

Erice rimase senza parole. Come aveva fatto quel vampiro ad indovinare i suoi intenti? Possibile che fosse così facile per gli altri, comprenderla? Ora forse si spiegava come mai Didyme sapesse che sognava di essere trasformata in una vampira.

Con gli occhi bassi per la delusione di essere stata scoperta, si avvicinò anche lei alle sbarre per passare il gatto tra le braccia protese di Logan e, non appena quello l’ebbe preso, tornò a sedersi sul pavimento.

-         non avrai intenzione di restare lì a guardarmi, mentre mangio?!- esclamò il vegetariano, quando, distolti per un attimo gli occhi dall’animale e richiamata un po’ di lucidità, si rese conto che la ragazza non  si muoveva, e continuava, invece, a fissarlo.

Lei, in tutta risposta, si limitò ad annuire.

-         Non vedi cosa stai facendo? Ti stai abituando alla violenza. Cosa speri di dimostrare così? Non ti bastano le angherie che sicuramente i Volturi ti fanno subire? Ti ostini a chiamarli signori, ad amarli, a venerarli, pur sapendo che un giorno ti uccideranno…come ci riesci? Non ti rendi conto che ti faranno subire delle pene atroci prima di bere il tuo sangue?- sbottò lui, esasperato, distogliendo a malapena lo sguardo dal gatto che tentava invano di graffiarlo.

Perché nelle sue parole c’era tanta disperazione? Sembrava quasi che si rammaricasse per lei.

Erice sollevò il mento, ferma, e lui comprese che non doveva aggiungere altro.

Fu in quel momento che, posati gli occhi sull’animale, la ragazza vide Logan trasformarsi in una bestia, un cacciatore, vide uscire la sua vera natura di vampiro.

In una frazione di secondo, si acquattò a terra, pronto ad attaccare, scoprì i denti, emise un cupo suono di gola e, prima che il gatto potesse dileguarsi al di là delle sbarre, con un balzo fulmineo fu su di lui e lo sbatacchio contro il muro come fosse stato di pezza. Dalle sue labbra intrise di sangue, spuntava anche qualche pelo bruno dell’animale, ma il vampiro sembrava quasi non rendersene conto troppo concentrato a bere quella linfa vitale.

“forse, si disse Erice- mentre fissava leggermente nauseata la carcassa fatta a brandelli dell’animale, eppure estasiata per le movenze e gli istinti di caccia di Logan- la sete è tanto forte per i vampiri da non far capire loro più nulla quando sono in presenza del sangue, come gli squali in frenesia alimentare.”

La sanguinosa ma concitata lotta in un attimo cessò, così come era iniziata e tra il vampiro e l’umana calò il silenzio. Lui non sembrava neppure in grado di guardarla, ma a lei quasi non importava perché ormai sapeva tutto; aveva visto il più docile dei vampiri trasformarsi in un lupo, accecato dalla fame. Non c’erano più segreti per i suoi occhi.

-         contenta, ora? Mi hai visto per ciò che sono: un mostro. Non posso credere che tu voglia trasformarti in qualcosa come me. Se qualcuno ti volesse bene, qui dentro, te lo impedirebbe, esattamente come ti stanno impedendo di vivere, di amare…non arrossire, non serve; è chiaro che tieni molto a quel vampiro grosso come un armadio, che è venuto qui.- nella voce del prigioniero c’era tormento ed un velo di disprezzo per sé.

Sebbene fosse rimasta colpita dalle sue parole, Erice non potè fare a meno di sorridere, sentendo quella strana descrizione di Santiago:

-         è questo che ti reputi? Un mostro? Non serve come attenuante il fatto che bevi sangue animale?- chiese, dopo qualche secondo di silenzio, mentre lo fissava negli occhi, tornati un po’ più chiari.

-         Non ho scusanti: sono un mostro, un dannato. Ogni mio respiro è pericoloso per un essere umano, e quando giungerà il Giudizio di Dio, Egli non poserà neppure il Suo sguardo su di me, perché ho venduto l’anima per una vita eterna…-

La ragazza rimase senza fiato, sconvolta. Logan era il primo vampiro, oltre ad Aro, che parlava di Dio a differenza del suo signore, però, non lo faceva con disprezzo, ma con timore; come se la sua condizione di Immortale non contasse nulla poiché infine si sarebbe dovuto sottomettere a Lui in quel “Giudizio”.

-         sei il primo che mi parla di Dio…cosa sai in merito?- domandò, scoprendosi improvvisamente avida di notizie.

Logan balzò in piedi, sorpreso, mentre la fissava come se venisse da un altro pianeta:

-         i Volturi non ti hanno mai parlato di Lui? Non ti hanno fatta battezzare? Povera piccola…hanno davvero monopolizzato la tua esistenza. Sappi che alcuni credono in Dio, ma altri no. È il principio regolatore dell’Universo si dice abbia creato gli uomini, li definisce “suoi figli” ed ha in mente per loro un destino, nonostante abbia fatto loro dono di un libero arbitrio e di un’anima. La vita dei suoi figli è breve ma lui ha assicurato loro una vita del corpo e dell’anima dopo la morte grazie all’amoroso sacrificio che fece per loro, millenni fa…- la semplice e precisa spiegazione del vampiro ammutolì Erice: quella versione le mostrava Dio come un’entità buona, che provava amore verso coloro che aveva creato. Era così diverso dal dipinto che ne aveva fatto Aro, di una divinità tirannica e gelosa!

-         Come sai tutte queste cose?- volle sapere ancora lei, gli occhi accesi di passione, che le sembrava le fossero stati aperti solo ora e si trovassero dinnanzi ad una nuova realtà.

-         Mio padre era un prete, prima di essere trasformato. Aveva incontrato il vampiro che lo trasformò in Transilvania. Questo gli insegnò cosa doveva fare, come doveva nutrirsi ma, poiché mio padre si rifiutava di uccidere degli esseri umani, lui lo rinchiuse in una cella. Una sera, il suo creatore gli portò nella cella dove lo aveva relegato in attesa che imparasse le “buone maniere”, Justin, moribondo. Mio padre non beveva da giorni ed era affamatissimo, perciò si avventò su di lui, ma all’ultimo momento, i precetti, i valori che aveva appreso come uomo di Chiesa ebbero la meglio e lui riuscì a non ucciderlo. Accadde però, che Justin, a causa di tutto il veleno di vampiro che aveva nelle vene, si trasformasse in un Immortale e mio padre, sentendosi responsabile di lui, lo portò via dalla Transilvania, perché non fosse vittima del suo stesso destino, ed insieme cercarono un posto ed un modo migliori di vivere.

Quando mio padre mi trovò, con Justin non c’era quasi più nulla da fare: lui odiava mio padre, il suo “creatore” per ciò che gli aveva fatto e per la vita di astinenza da sangue umano cui l’aveva condannato. Per impedire che mi frapponessi tra lui e mio padre, mi staccò una bamba, ed accese una pira tutt’attorno a me, servendosi delle assi del pavimento. Poi, davanti ai miei occhi, fece a pezzi mio padre e lo gettò tra le fiamme, riducendolo in cenere…-

Le ultime parole del vampiro rimasero in aria, tra i due, pesanti come il fumo di un’eruzione vulcanica.

Erice era immobile, pietrificata; sentiva di avere la testa estraniata dal corpo. Logan aveva parlato dei suoi ricordi con distacco, ma la stima che provava per il padre, così come il dolore per la sua perdita, erano quasi tangibili e la ragazza si ritrovò a condividere il suo dolore.

-         vai ora, dolce Erice. Si sta facendo tardi…- bisbigliò il vampiro, guardandola con affetto mentre raccoglieva sulla punta di un dito una delle lacrime di lei.

 

Quella notte Erice non riuscì a dormire, perché troppo concentrata a riflettere sulle parole di Logan: se era vero ciò che diceva, ossia che non possedeva più un’anima, la sua fede doveva essere davvero immensa, perché continuasse a credere in Dio. E poi…quelle riflessioni sul fatto che, se qualcuno, a Volterra, le voleva veramente bene, non avrebbe mai accettato di trasformarla, continuarono a ronzarle insistentemente in testa…

E se Didyme le avesse detto che non era una di loro, che non sarebbe mai stata trasformata, solo per salvarle l’anima?

Quell’interrogativo continuò ad assillarla ogni giorno ed ogni notte, durante i mesi successivi.

Di giorno, la ragazza non incontrava più la moglie di Marcus per le lezioni di musica, ma solo Anthenodora che, oltre  sottoporla ad esercizi ginnici di qualsiasi tipo e farla saltare da diverse altezze, si divertiva ad insegnarle ad usare un’arma diversa per ogni mese.

Di sera invece, Erice portava sempre a Logan qualcosa da mangiare, e si fermava volentieri a fare una chiacchierata con lui. Era piacevole parlare con quel vampiro, perché sembrava la invitasse a ragionare, oltre ad avere la soddisfazione di vedere gli occhi di lui riempirsi di fiducia nei confronti di lei, ogni volta di più.

Tuttavia, nei momenti in cui la ragazza tentava di riflettere sul misterioso motivo dell’allontanamento e della freddezza di Didyme verso di lei, si sentiva assalire da una profonda tristezza; a nulla quindi servivano gli incoraggiamenti di Logan, o il fatto che lei si aggrappasse alle parole che Santiago le aveva detto l’ultima volta che si erano visti: ti voglio bene

Che fine aveva fatto, poi, Santiago? Era molto che Erice non vedeva neppure lui…possibile che Didyme gli avesse di nuovo ordinato di starle lontano?

Con la mente annebbiata da quelle domande, la ragazza si sentiva sempre più frustrata e l’unico modo che aveva per liberarsi da quella brutta sensazione era gettarsi a capofitto negli allenamenti che, oltre a rendere ogni giorno più felice la pallida Anthenodora, sembravano l’unico rimedio per l’umana, per sentirsi un po’ più leggera.

Un giorno la moglie di Caius si rifiutò di allenarla, dicendo solo:

-         Erice, sono molto soddisfatta dei tuoi progressi: sei molto più agile e veloce di quando ti ho vista la prima volta ed in quattro mesi hai imparato ad usare la frusta il bastone, coltelli di vario genere e le spade…oggi, poiché è il tuo compleanno, ho deciso di regalarti questo…-

La ragazza rimase sbalordita dinnanzi allo spettacolo sorprendente che le si parò davanti agli occhi: Anthenodora, fasciata da un bianco mantello con cappuccio, aveva strappato via di colpo, le tende che in quei mesi avevano sempre impedito al sole di entrare; stando attenta a non scoprire neppure un lembo della sua bella pelle, e lasciò che un raggio di luce colpisse la lama dell’arma che teneva in mano.

Era un piccolo pugnale dall’elsa in ferro ed alabastro, ma la lama era ciò che colpiva di più. Quando Erice si avvicinò per esaminarla comprese cosa le stesse accadendo intorno: la lama di quel pugnale era doppia ed una parte tra le due stava illuminando, colpita dalla luce solare, ogni angolo della stanza con bellissimi chiarori iridescenti. Erice, sbalordita, si coprì la bocca con una mano.

-         è un pugnale corto, ma efficace: usando questa parte della lama- e lo girò per mostrarle che era realizzata in argento(gli arcobaleni sul muro, infatti, si incupirono per un attimo- potrai uccidere un licantropo, se mai ne incontrerai uno, e con questa- girò il pugnale dall’altra parte e gli arcobaleni risplendettero, illuminando il luogo a giorno- metterai fine alla vita di un vampiro. Mi sembri pronta- fece, esaminandola fieramente.

Dopo averle messo in mano l’arma, senza attendere che il cuore di lei si calmasse o che la ringraziasse, Anthenodora afferrò Erice per un polso e la trascinò fuori dalla Sala dei Colloqui.

 

La moglie di Caius, con Erice alle calcagna, fece solo un cenno alla segretaria nel corridoio e, senza esitazione, varcò la soglia del Salone Principale. Erice si accorse troppo tardi di dove si trovasse, presa com’era dalla felicità e dall’ironia di aver ricevuto un pugnale per il suo sedicesimo compleanno. Perciò, nonostante la presa d’acciaio di Anthenodora impedisse alla circolazione del braccio di scorrere, non appena le fu possibile si gettò a terra, in ginocchio.

Lì, erano riuniti tutti i suoi signori: Aro, Caius e Marcus sui loro scranni erano circondati da quei vampiri che Erice aveva sempre soprannominato “i fantastici quattro”- Felix, Demetri, Alec e Jane- e sembravano intenti a discutere animatamente sulle tattiche di una battaglia probabilmente imminente.

-         quel bastardo conte transilvano crede che, nascondendosi dietro il suo titolo può sperare di travalicare il limite che gli abbiamo magnanimamente imposto!- ringhiò Caius, gli occhi scintillanti di rabbia.

-         Dovremmo andare in Transilvania per “insegnargli le buone maniere…che ne pensi Jane, cara?- domandò Aro, mellifluo ma teso mentre faceva guizzare lo sguardo tra i suoi quattro vampiri prediletti.

-         Scusate lì’interruzione, miei signori, speravo poteste prendere in considerazione l’idea di portare con noi “la preda”.- soggiunse Anthenodora, attirando l’attenzione di tutti.

In un attimo nella stanza calò il silenzio. Erice sentiva gli occhi di tutti su di sé,- più rabbioso di tutti, quello di Didyme- mentre le guance le si ricoprivano di rossore. Quando fu in grado di comprendere appieno il senso della proposta di quella vampira, l’unica spiegazione che fu in grado di darsi fu che Anthenodora doveva essere pazza.

Aro rise, con fare effeminato dopo qualche altro attimo di quiete; uno scroscio argentino che risuonò in ogni angolo di quel posto, facendo sobbalzare la ragazza.

-         cosa? Ti stai prendendo gioco di me, bellicosa Anthenodora? Perché dovremmo portare con noi il dessert? Intendi bere il suo sangue a battaglia terminata? Non sarebbe saggio visto che nessun altro, all’infuori del Copro di Guardia e del Consiglio è a conoscenza della sua esistenza e del suo ruolo. Ciò di cui tu parli è impossibile…immagina se lo venisse a sapere la Corte.- sentenziò, alzandosi in piedi sorridente mentre teneva le mani raccolte in grembo.

-         Tu, folle umana! Come osi pensare ad una simile cosa? Dovresti prostrarti ai nostri piedi solo perché ti abbiamo lasciato vivere tanto a lungo.- la rimproverò duramente Caius, scattando in piedi.

-         Miei signori…non è stata una mia idea…- tentò di farfugliare, ma sentiva che tutte le forze, così come i colori al viso la stavano abbandonando.

Non le fu data la possibilità di terminare la frase perché subito intervenne Marcus:

-         Basta così! Il Consiglio e la Guardia partirà domani all’alba. Tu, resterai qui: tra una settimana si festeggerà la ricorrenza di San Marco, e voglio che tutto sia perfetto per il nostro ritorno, in quella data. Perciò direi che ti occuperai di questo compito, Erice.-

Era stato un “no” chiaro e deciso. Erice si morse le labbra per quella proposta che Anthenodora aveva fatto, apparentemente per metterla solo nei guai, e mentre la moglie di Caius la lasciava andare, forse amareggiata, la ragazza si alzò in piedi e, con un ultimo inchino scomparve oltre la porta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Finalmente ci sono riuscita: è stata una faticaccia ma ecco a voi l’ultima parte del 6 cap(perché io se non divido i cap in più parti non sono felice)mi auguro comunque che vi sia piaciuto e soprattutto che ci si sia capito qualcosa…si è capito chi è il conte trasilvano che i Volturi stanno andando ad attaccare? Che ne pensate della storia di Logan? Fatemi sapere le vostre opinioni

Un baciotto

Marty23

Ps cara Luce70, grazie mille per non aver mancato neppure nel commento dell’ “avviso”, ti facevo quella domanda su Justin e Logan perché, come avrai visto Justin non è esattamente uno stinco di santo…

Comunque sto provando ad immaginarmi Santiago accanto a Sulpicia e Aro accanto ad Erice…bha…ci si potrebbe provare XD

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** il ruolo della Discordia (parte 1) ***


Capitolo VII

Il ruolo della Discordia

 

Parte 1

 

Erice, rifugiatasi nella sua stanza dopo l’imprevista umiliazione subita davanti al Consiglio, ora camminava inquieta, avanti e indietro mentre faceva appena frusciare i piedi sul pavimento, le braccia raccolte al petto, il pugnale che sporgeva da una delle tasche posteriori dei suoi jeans.

“perfetto, ci mancava solo questa! Il Consiglio avrà pensato che sono folle, ma Anthenodora…Anthenodora dev’essere pazza. Come ha potuto pensare anche solo di proporre di mandarmi a combattere in Transilvania accanto al Corpo di Guardia? Che mi abbia addestrato semplicemente perché già lo meditava? D’altro canto…a cos’altro poteva servire tutto ciò che ha fatto per me? Ma io…non ho mai combattuto veramente e non avevo mai sentito i miei signori parlare di un possibile scontro in Transilvania…”pensò, il suo viso si imperlava di sudore freddo e lei si rosicchiava le unghie per la tensione.

Dunque si fermò per un secondo al centro della sua cameretta, distratta dal dolore pungente di una punta di spillo, sul dito. Ecco! Era anche riuscita a farsi uscire il sangue!

Subito, si affrettò a ficcarsi tra le labbra l’unghia tinta appena di sangue, per inumidirla con la saliva e limitare i danni, ed in quel momento il suo cervello fece uno strano collegamento: non appena la parola Transilvania le passò di nuovo tra i pensieri- forse sollecitata dalla vista di una goccia del suo stesso sangue- Erice ricordò che il padre di Logan era stato mutato in vampiro da un abitante di quel luogo.

Che fosse lo stesso conte che i Volturi sembravano decisi ad attaccare?

Inoltre, Logan stesso le aveva confessato di esser stato convocato dai Volturi…

Ed Erice non riusciva a spiegarsi il motivo di quel gesto, da parte dei suoi signori. Che avessero meditato di rinchiuderlo nelle Prigioni sin dal principio, finché non avesse detto loro ciò che sapeva sulla Transilvania e sullo sconosciuto conte?

Un’improvvisa ondata di rabbia la sommerse, all’idea che i vampiri che lei serviva, stessero riducendo alla fame quel vegetariano solo per usarlo, tanto che, neppure si accorse che Didyme aveva fatto impetuosamente irruzione nella sua stanza.

Quando gli sguardi delle due si incontrarono, Erice scoprì che la sua mentore aveva fiamme liquide negli occhi, somigliava in tutto e per tutto alla statua di una bellicosa guerriera, tanto era immobile. Una valchiria- si divertì a pensare lei- a causa delle sue fattezze divine.

Dopo un attimo di timore dinnanzi a quello spettacolo tuttavia, la ragazza scoprì che era sconvolta dalla rabbia e, sostenendo senza esitazione lo sguardo minaccioso della sua mentore, non esitò a mostrare quanto quell’emozione la rendesse ferma e decisa.

-         Chi ti ha messo in testa che saresti potuta partire con noi, alla volta della Transilvania? Non hai pensato che ciò che hai chiesto ti ha fatto apparire, ai nostri occhi, come una tracotante? Come hai osato travalicare il limite che è stato scelto per te?- l’aggredì, dura, Didyme mentre i muscoli delle braccia le si contraevano come fossero fatti d’acciaio.

-         È stata tutta un’idea di Anthenodora, mia signora!- si difese lei, parlando con disprezzo mentre sollevava fieramente il mento.- oggi non ha accettato di allenarmi, mi ha invece regalato questo per il mio compleanno, e subito dopo mi ha trascinata davanti al Consiglio.- quando ebbe finito di parlare, Erice estrasse il pugnale dalla tasca e lo mostrò alla sua mentore. La vampira lo prese con attenzione dalle sue mani, e lo esaminò, affascinata ma inquieta.

-         Puah! Donarti un’arma per il tuo compleanno! È una cosa deplorevole, ed è inoltre ovvio che il suo piano sia farti combattere. - sentenziò la moglie di Marcus, mostrando i denti mentre parlava.

-         Perché non dovrei, mia signora? D’altro canto sono mesi che mi addestro per questo.- fece lei, punta nel vivo, anche se ritenne saggio fingersi sottomessa.

In quel momento la maschera d’intransigenza e d’autorità dietro cui Didyme si era trincerata, crollò, e lei, gettato il pugnale a terra con tanta forza che la lama si piantò nel pavimento, abbracciò Erice, con impeto, con amore e sospirò, come se fosse sul punto di piangere:

-         Piccola mia, ti prego, resta qui. Ho capito solo poco fa perché Anthenodora vuole che tu venga con noi: poiché è molto tempo che sei al nostro fianco, pensa che stiamo diventando magnanimi ed ha intenzione di farti morire in battaglia, per bere il tuo sangue. Io, invece, voglio saperti al sicuro. Non siamo a conoscenza di molti particolari, su questo conte che noi stessi, secoli fa, creammo e relegammo in Transilvania: si fa chiamare Vlad “Dracula” che significa “diavolo”, si diverte ad impalare le sue vittime ed a passeggiare tra di loro, in compagnia delle sue tre mogli, ascoltandone i lamenti d’agonia. Mio fratello si sente minacciato da lui poiché troppi umani si stanno accorgendo dell’esistenza dei vampiri; perciò stiamo andando ad abbatterlo ma Caius e Marcus hanno ritenuto necessario inviare Santiago, Afton, Chelsea e Corin in avanscoperta in quelle terre. Noi partiremo domani all’alba, ma tu resta qui, ti supplico; ti occuperai, assieme agli schiavi, dei preparativi per la festa di San Marco…- Didyme aveva parlato velocissima, ed Erice aveva avuto qualche difficoltà a seguirla ma comprese che sembrava davvero tormentata. Quando ebbe terminato, la ragazza sciolse appena il suo abbraccio; quel tanto che bastava per guardarla negli occhi e, notando i suoi bei lineamenti deformati dal dolore, disse solo:

-         Molto bene, mia signora. Farò come dite.-

L’espressione della vampira si addolcì e, dopo averla stratta ancora al petto, la lasciò sola nella sua stanza, per scivolare elegantemente a prepararsi per lo scontro.

Erice si sentì stranamente sollevata di aver accontentato Didyme con una semplice promessa e, senza pensare, si sedette alla finestra con le gambe raccolte al petto- come faceva spesso quando leggeva o disegnava- e, mentre il sole inondava il suo profilo con la luce rossastro-dorata, tipica del tramonto, si ritrovò inaspettatamente sommersa da mille pensieri e dubbi: perché mai Anthenodora doveva comportarsi in modo tanto subdolo? Possibile che la detestasse tanto da mettere in dubbio il ruolo dei Volturi e da doverla condannare alla morte su un campo di battaglia? Non poteva aspettare il fatidico “momento opportuno” in cui Erice avrebbe donato ai suoi signori il proprio sangue?

E Didyme? Perché era così ambigua nei suoi confronti? Perché, un attimo prima si dimostrava gentile ed affettuosa, verso di lei, e poi irascibile, astiosa come nel discorso appena avvenuto o durante le innumerevoli volte in cui aveva tentato di allontanarla da Santiago?

Santiago…il nome di quel vampiro e la repentina comparsa del suo splendido viso, la fecero sussultare mentre sentiva una fiamma sottile correrle sotto la pelle.

Didyme aveva detto che era stato inviato in perlustrazione in Transilvania e, con un sorriso, finalmente Erice riuscì a spiegarsi come mai non l’avesse visto per tutto quel tempo ma, allo stesso tempo, fu pervasa da una cieca paura che lì, in quella terra sconosciuta, sarebbe potuto capitargli qualcosa.

In preda all’ansia, le membra aggrovigliate ed un peso soffocante nel petto, Erice prese a camminare su e giù per la propria stanza, di nuovo inquieta, il sollievo di poco prima, che Didyme le aveva infuso, sembrava totalmente scomparso. Non si era neppure resa conto, fuorviata dalle proprie emozioni, che ormai era scesa la notte e che, di tanto in tanto, quando passava davanti alla finestra, la luce opaca delle stelle, le illuminava il viso.

Era, invece, così presa da alcuni nuovi interrogativi che le affollavano la mente, da metterla inevitabilmente dinnanzi ad una scelta: una volta scoperti i veri intenti di Anthenodora, aveva visto in Didyme una sorta di salvatrice, e si era sentita quasi grata della promessa che le aveva fatto; tuttavia, - ripercorrendo mentalmente la conversazione che aveva avuto con la sua mentore, e sentendosi ferita dalle parole in merito al limite che era stato scelto per lei- accantonò senza indugio la prospettiva di occuparsi dei preparativi per la festa di San Marco, consapevole di saper combattere e, come tale, sentiva la necessità, il dovere di partecipare a quello scontro. Avrebbe così dimostrato ad Anthenodora e, soprattutto a se stessa, che difficilmente sarebbe stata uccisa, che valeva e che aveva qualcosa per cui battersi.

Inaspettatamente, il gallo cantò: era già l’alba! Senza pensarci troppo, Erice si piantò davanti alla finestra, le braccia raccolte al petto, ed osservò esterrefatta ciò che stava accadendo nella piazza sottostante: i primi raggi del gentile sole mattutino, vegliavano la sfilata di decine di mantelle con i cappucci, che si stavano disponendo a rombo, secondo il criterio- a lei sconosciuto- secondo cui le mantelle grigio chiaro dovessero rimanere esterne e, man mano che si scivolava verso il centro si potevano notare mantelle di un grigio più scuro, fino ad arrivare al nero che, sicuramente, vestiva gli Anziani.

Una delle sei mantelle guardò proprio in quel momento verso l’alto, verso di lei, ed Erice si arrischiò a salutarla con la mano, sicura che fosse Didyme.

Restò qualche minuto ancora ad osservare quell’insieme perfettamente immobile di statue ammantate, che probabilmente stavano prestando attenzione alle bassissime parole di Aro e che, d’un tratto, come ad un segnale prestabilito- o forse solo per merito di secoli di allenamento- si mossero a passo di marcia, che tuttavia somigliava ad una musica e non aveva nulla di troppo rigido ed aveva in sé un che di regale, maestoso e magnetico.

In breve, rigorosa, l’intera Guardia dei Volturi scomparve all’orizzonte ed Erice rimase paralizzata, i pensieri confusi.

 

Erano ormai le dieci, mattina inoltrata quando la ragazza, fermamente decisa di ciò che stava per fare grazie ad un piano ingarbugliato in testa, scese nelle Cucine trepidante, lo sguardo infervorato, le guance rosse.

In tutta fretta cercò tra gli scaffali un po’ di pane ed un pezzetto di formaggio che, senza prestarvi troppa attenzione, raccolse in un panno, del quale poi legò i quattro angoli a mo’ di vagabondo.

-         Evangeline! Evangeline!- iniziò a chiamare, ad alta voce.

In un batter d’occhio l’agile vampira dalle trecce argentee, comparve al suo fianco, sconcertata da quella chiamata.

-         Erice, cosa succede?- domandò, preoccupata.

La ragazza si lanciò in una camminata lesta mentre le parole le uscivano dalle labbra veloci come grilli; era sicura che la vampira avrebbe tenuto il suo passo:

-         ascolta, Evangeline: sto partendo per la Transilvania, temo che succederà qualcosa ai miei signori, ed io sono l’unica a poterlo impedire.- spiegò, mentre scendeva freneticamente, le scale che conducevano alle Prigioni. Pur non guardandola, sapeva che Evangeline era alle sue spalle e, nonostante fosse di certo perplessa, la seguiva come un’ombra.

-         Ma le istruzioni che abbiamo ricevuto, piccola mia, sono che tu devi rimanere qui, ed occuparti dei preparativi della festa di San Marco…- tentò di replicare la vampira, bisbigliando.

-         Il Consiglio mi ha concesso una settimana di tempo ma…non posso, dovrai occupartene tu. Del resto avrai partecipato molto più spesso di me a questa ricorrenza.- mormorò, concitata.

-         Sì, va bene, posso farlo. Quando tornerai troverai tutto pronto ma…come hai intenzione di viaggiare per arrivare in Transilvania? Pensi che arriverai in tempo?- ormai, erano arrivate entrambe alle Prigioni quando, esponendo i suoi dubbi, Evangeline, comprese in un lampo il piano della ragazza, e si portò una mano davanti alla bocca, sconvolta.- hai intenzione di farti aiutare da quel vampiro…-

Per la prima volta dal giorno precedente, Erice sorrise, anche se in modo stanco, a causa del sonno perduto quella notte:

-         Esatto. Ora, potrei avere le chiavi della sua cella?- domandò, tendendo la mano col palmo aperto verso Evangeline che, dopo avergliele consegnate, scomparve in una folata di vento innaturale.

Fu allora che, incuriosito da quello scambio animato di battute, Logan riemerse dai contorni indefiniti di nausea che egli stesso emanava e si rese visibile alla ragazza, rimasta sola.

-         Erice, che succede?- fece, stringendo le sbarre con le mani e, tentando di sporgere la testa il più possibile.

-         Logan, ho bisogno del tuo aiuto: i Volturi sono partiti all’alba alla volta della Transilvania per combattere un certo conte…- iniziò mentre gli scrutava gli occhi venati di nero ed infilava, rapida e tremante, la chiave nella toppa.

-         Dracula. Combattono contro il conte Dracula, vero? È il vampiro che trasformò mio padre…che gli mise contro mio fratello…- il vampiro vegetariano assaporò quel nome tra le labbra con odio, mentre, ormai fuori di prigione, rilassava i muscoli cercando di tenere a bada la tensione.

-         Sì, proprio lui. Temo che a causa delle poche informazioni che i miei signori hanno sul suo conto, possa succedere loro qualcosa, ed ho pensato a te per farmi aiut…- farfugliò la ragazza, spaventata, gli occhi che guizzavano a destra e a manca.

-         Erice, non temere, ti aiuterò in ogni modo possibile. Ti accompagnerò in Transilvania, lo prometto e una volta lì potrai fare ciò che vorrai ma…Dracula devi lasciarlo a me. – sibilò, il vampiro posando le mani sulle spalle di Erice. Nei suoi occhi c’era la fermezza e la sincerità di quella promessa.

-         Dove pensate di andare, con tutto questo sole, voi due?- la voce di Evangeline risuonò argentina nel luogo vuoto. Era riapparsa dal nulla con due mantelli rossi tra le braccia. Logan era scattato, ringhiandole contro, forse a causa del lungo tempo trascorso in prigione, ed Erice aveva sussultato appena, prima di comprendere che il mantello con cappuccio che stava indossando, era di quelli utilizzati per la festa di San Marco. Sorrise -mentre Evangeline si scusava per non aver trovato altro e le faceva scivolare nelle tasche il pugnale, che era stato un dono di Anthenodora, e il panno con il cibo- e si abbandonò ad una risata liberatoria: era la prima volta, in tutta la sua vita, che aveva la possibilità di fare ciò che voleva e ricevere tanto appoggio da chi le stava attorno.

 

Avvinghiata alle spalle di Logan, Erice sfrecciava per le strette viuzze ciottolose di Volterra come fosse il guizzo di una fiamma cremisi. La torre del Porcellino la salutò con i suoi sonori rintocchi in Piazza dei Priori, mentre i suoi sospiri gioiosi si perdevano nel forte vento che avvolgeva sia lei che il vampiro. I severi palazzi che costeggiavano ogni via, ogni vicolo, sembravano scrutarla dall’alto, con fare accusatorio, e per un secondo lei fu tentata a desistere dai propri intenti; ma fu solo una frazione di secondo poiché, un attimo dopo, Logan uscì, lesto ed invisibile, da Porta San Francesco e lei non ebbe neppure il tempo di riflettere su quella prima volta che lasciava la città.

Prima di addormentarsi sulle marmoree spalle del vegetariano, cullata dalla sua velocissima corsa, ebbe la possibilità di osservare il cielo turchese, terso, senza nubi che si estendeva a perdita d’occhio, fuori dalle mura, e sentì una fitta al cuore costatando che, dove una volta c’era stato il Giardino dei Ciliegi, ora erano state piantate spighe dorate di grano, che ondeggiavano nella brezza e qualche colorata ginestra.

 

Quando riaprì gli occhi, era ancora giorno ed il sole del tardo pomeriggio l’accecava, rischiarando anche l’erba smeraldina sulla quale era stata distesa. Poco distante da lei, giacevano due mantelle rosse. Attorno a sé sentiva che ogni elemento emanava tranquillità e sapeva di essere sola. Sarebbe volentieri rimasta a godersi quella placida calma, ma c’era qualcosa che la tratteneva…

-         Logan! Logan!- chiamò, allarmata mentre saltava su a sedere, con un unico scatto. Aveva improvvisamente ricordato ogni cosa.

-         Sono qui.- dall’ombra di un grosso albero, distante appena un metro, giunse la voce calma e profonda del vampiro- hai dormito per tutta la mattina di ieri, la sera, e la mattina di oggi. Ora ci troviamo a Budapest. Tra non molto, probabilmente stasera, saremo in Transilvania.- la informò, fissandola dalla penombra.

-         Abbiamo impiegato solo un giorno ?! vedo che…hai mangiato a dovere.- fece, sorpresa e un secondo dopo si riprese, osservando le carcasse di animali che giacevano ai piedi del vampiro.

Si stropicciò gli occhi e, svelta, indossò di nuovo il mantello rosso, assicurandosi, con un gesto inosservato ed automatico, che nelle tasche ci fossero ancora il pugnale e il cibo che, sotto lo sguardo dorato e vigile di Logan si affrettò a mangiare, più per necessità che per voglia, poiché era convintissima di dover essere in forze per lo scontro imminente contro il conte transilvano.

Non appena fu di nuovo sulle sue spalle, Logan tornò a correre ed Erice si gustò tra le labbra e lungo il corpo il vento innaturale che sollevava; la natura attorno a loro mutava, il tempo si incupiva e le temperature, pienamente invernali, sembravano voler accogliere il minaccioso profumo di una tempesta. Il sole visto in Toscana fino ad un attimo prima era ormai un ricordo lontano, un sogno che a Budapest non era mai realmente esistito.

 

La scura e fredda regione della Transilvania, nel centro della Romania, aveva il terreno arido, ghiacciato, il cielo scuro, plumbeo e borbottante di tempesta. Non c’erano stelle, solo nubi nere che sembravano godere del freddo che spirava da ogni parte, cancellando il cielo; ed Erice tremando, ringraziò che accanto a lei ci fosse Logan, che vedeva perfettamente anche nel buio più pesto.

Prima che avesse il tempo di bisbigliare qualsiasi cosa nell’orecchio del suo accompagnatore, però, dinnanzi agli occhi di entrambi si parò un inquietante e magnifico spettacolo: nell’immensa conca che ospitava la radura, che si poteva scrutare dalla piccola collina dove lei ed il vegetariano si trovavano, infuriava una battaglia! La visibilità, tuttavia, era ridotta per il fumo densissimo che si alzava verso l’alto, proveniente dagli ardenti roghi di vampiri deceduti che, anche da morti, emanavano un odore dolciastro.

Centinaia di vampiri dalle movenze selvagge ed indisciplinate, tentavano di scontrarsi con la formazione rigida e perfetta dei Volturi. Attaccavano ai lati, ma vampiri lesti come Eleazar li dilaniavano prima che potessero sfiorarlo; così si dirigevano, più impetuosi, verso il centro del rombo, mirando alle sei mantelle nere e, tuttavia, prima di giungervi incappavano in quattro mantelle grigio scuro, schierate in prima linea, a protezioni dei tre Anziani e di Didyme. Erice scommesse con sé stessa- anche osservando ciò che accadeva ai vampiri transilvani, quando arrivavano nelle loro vicinanze- che sotto quelle quattro mantelle ci fossero Felix, Demetri, Alec e Jane.

Ad osservare quello scontro, al termine della conca, c’era anche un imponente castello di pietra, le cui guglie svettavano verso il cielo. Logan, vi ringhiò contro, non appena lo riconobbe:

-         è il castello Hunyad, residenza del conte Dracula e delle sue tre mogli.- mormorò, senza spostare lo sguardo su Erice.

Lei lo ascoltò, ma era troppo concentrata a mantenere gli occhi a due fessure, per voltarsi verso di lui; ora stava osservando, seppur con difficoltà, la strana formazione dei vampiri transilvani: sembrava non avere logica ma, nella retroguardia, alcuni vampiri sembrano difendere con il proprio corpo la vista di alcuni umani innocui. Perché mai quel comportamento?

Fu allora che la spiegazione venne dal cielo, poiché, dalle nubi buie che oscuravano tutto, una densa luna piena, rischiarando tutto e mutando quegli uomini transilvani in enormi lupi mannari.

Ululati feroci ed intensi si espansero dovunque, ed anche quelli, così come già stavano facendo i vampiri, si prepararono ad attaccare i Volturi.

Erice stava per replicare qualcosa in direzione di Logan, ma qualcosa dentro di lei si paralizzò, le fece gelare il sangue nelle vene, il respiro le si condensò in una piccola nuvola di vapore. Lei non aveva mai visto dei lupi mannari.

I secondi si dilatarono, ed avvenne tutto in brevissimo tempo: i licantropi, il pelo ritto sulla schiena mentre ringhiavano contro i Volturi, si gettarono con pochi balzi sui loro nemici, e vennero tenuti difficilmente a bada dai poteri di Jane ed Alec, che avevano fatto qualche passo avanti, spalleggiati da Felix e Demetri.

La ragazza rimase immobile, incapace di staccare gli occhi da ciò che avvenne poi: tutti indietreggiarono, persino Heidi che, nelle retrovie, difendeva con il proprio corpo, Sulpicia ed Antenodora. Gli Anziani rimasero senza protezione – eccetto lo scudo prodotto da Renata, la quale, tremante, sembrava avere le dita cucite al mantello di Aro- e bastò un attimo di distrazione generale- soprattutto di Renata, che sussultò alla vista di quei colossi pelosi- affinchè lo sventurato Caius rimanesse senza difese. La vicinanza con i lupi gli causò un fremito incontrollabile e, meravigliato che nessuno degli Anziani si fosse accorto di qualcosa, cadde a terra, evitando per miracolo una poderosa unghiata di quelle bestie.

Sembrava pietrificato dal terrore, e fu quel particolare a far sciogliere in Erice la paralisi che sentiva addosso; provò invece, l’impellente bisogno di correre in soccorso di quel vampiro biondo, sempre più pallido per la paura.

-         Logan, tu occupati di Dracula e di quante più mogli puoi, vendicati, fa’ giustizia, fagliela pagare. Io devo pensare a quei lupi mannari.- sentenziò quindi, in tono monocorde, lo sguardo perso lontano, fisso su Caius. Probabilmente il vegetariano, stava tentando di replicare, ma lei era già distante, aveva iniziato a correre in direzione dei tre licantropi che ormai circondavano Caius.

Si sentì un po’ goffa mentre si lasciava alle spalle la collina, ma ormai le gambe le si muovevano da sole, il coltello era sguainato e scintillava sotto la luce della luna. Aveva ormai preso il ritmo della corsa, e la sua presenza, lì, era necessaria.

Si ritrovò nel pieno della battaglia, in parte accecata dal fumo dolciastro che si sollevava dai roghi; in parte costretta a saltare tra le carcasse che le ostruivano il cammino. Attorno a lei, l’aria era densa di ringhi e ululati e, gli scontri diretti tra vampiri e licantropi sembravano complicatissime danze. Mentre avanzava le parve di riconoscere molti visi: Afton, Chelsea, Santiago, Corin…fu felice di rivedere soprattutto loro quattro, di sapere che stavano bene e, dopo essersi concessa quel secondo di distrazione, tornò a concentrarsi, così che forte dell’appoggio ricevuto da una grossa pietra che sporgeva dal terreno, saltò tanto da potersi avvinghiare alla schiena del primo licantropo e decapitarlo, senza troppi problemi la parte di lama in argento.

Gli altri due- così come Caius- sembravano non essersi accorti di nulla. Sfruttando, quindi, il fatto che il primo licantropo sembrava ancora reggersi in piedi, e cadere come al rallentatore, la ragazza spinse le gambe contro il suo torace, tanto da far cadere il secondo licantropo a terra. Con la mente svuotata da qualsiasi altro pensiero, si accanì su quell’animale, senza pietà, alzando ed abbassando la lama finchè non fu certa di averlo dilaniato, non si sarebbe più mosso.

Ne restava solo uno. Ma questo era stato più furbo: si era fermato e, tenendo fermo Caius con una zampa, aveva osservato, attento, tutta la scena. Ora, la fissava teso, in posizione d’attacco. Ad un segnale sconosciuto scattò e le corse incontro, ululando.

Erice era rimasta calma, ferma fino all’ultimo, concentrandosi solo sul proprio respiro, poi, quando fu il momento, piegò i muscoli, saltò e conficcò il pugnale, rigirandolo con impeto nel cuore di quell’essere.

 

Il tempo, apparso stranamente fermo in quei momenti, riprese a scorrere, seppur con lentezza e, lo sguardo dell’umana si incrociò con quello di Caius che, nonostante lo choc, sembrava aver capito cosa fosse successo…

In quel momento, anche Didyme e Marcus sollevarono lo sguardo, insospettiti da quel fracasso, e la riconobbero, nonostante avesse il viso rintanato nel cappuccio così lei, pur sapendo di aver agito bene, si sentì scoperta e fu costretta a dileguarsi nella radura, celata solo dal denso fumo dei roghi.

Aveva il respiro corto quando, ormai quasi al sicuro, venne circondata da due vampire dall’aspetto mozzafiato: erano praticamente nude, le lunghe chiome- bronzea e dorata- ne coprivano i seni turgidi; le labbra viola erano scoperte a mostrare i denti di perla nella sua direzione.

-         guarda che bel bocconcino! Che cosa facciamo di lei, Mariska?- chiese la bionda, muovendosi con una grazia animale.

-         Non so, Aska. È l’unica umana che ho visto, oggi qui.- osservò l’altra, gli occhi famelici fissi su di lei.

Prima che Erice avesse il tempo di fare un passo indietro e prendere in considerazione l’idea che quelle fossero le mogli di Dracula, Mariska ed Aska le furono addosso, e lei cadde a terra.

La ragazza prese a lottare con accanimento, scalciando e muovendosi come meglio potè, ma quelle due erano come montagne dalla temperatura gelida. Per la prima volta, quel giorno, la ragazza avvertì il panico, il terrore di non poter tornare a casa, farle tremare il cuore.

-         oh, guarda: l’umana ha paura! No, no. Non averne piccola…presto diventerai la nuova moglie del mio signore Dracula, o forse…ti mangerò prima che possa succederti altro. Tu cosa ne pensi, Aska?- domandò la vampira castana, premendo il corpo perfetto contro quello di Erice.

Insospettita dal silenzio che proveniva dalle sue spalle, voltò la testa, bloccando le braccia dell’umana con le proprie mani. Un attimo dopo ringhiò spaventata, verso un punto che Erice non riusciva a vedere; così lei, approfittando di quella distrazione, impugnò la sua arma e, dopo aver girato la lama dalla parte di diamante, la piantò con violenza nelle braccia della vampira, nel suo collo ed in qualsiasi altra parte del corpo le capitasse a tiro…

-         vuoi sapere cosa penso io? Penso che non dovresti perdere tempo a discutere quando devi mangiare!- scherzò, sarcastica, in preda alla rabbia mentre fissava gli occhi cremisi di Mariska che diventavano vitrei.

In quel momento, sconvolta da quanto aveva fatto, fece cadere a terra il pugnale e, quando quello toccò terra, le sembrò che producesse un tonfo tanto assordante, che tutti avrebbero dovuto sentire.

Era difficile allontanare i tremori che la scuotevano ed i sensi di colpa e, tuttavia, si rimise in piedi con un rapido balzo quando si trovò dinnanzi Logan; più che mai simile a suo fratello Justin, ora che il vento gli scuoteva i capelli, e gli occhi gli scintillavano di follia. In entrambe le mani teneva due teste, dagli occhi vitrei e la pelle pallida: con un sussulto, tra quelle Erice riconobbe Mariska ed Aska, che fino ad un attimo prima respiravano, volevano mangiarla, ed ora i loro corpi stavano di certo ardendo tra le fiamme dei due roghi che scintillavano alle spalle di Logan.

-         stai bene?- le chiese, la voce bassa, tormentata, anche se appariva visibilmente sollevato.

Erice riuscì solo ad annuire, gli occhi ancora fissi sulle teste mozzate che non perdevano sangue: quella dell’uomo dai capelli neri, doveva esser appartenuta a Dracula…

-         vieni…- le disse ancora il vegetariano, poi, vedendo che non si muoveva, la prese per mano e quasi dovette trascinarla per riportarla sulla collina dalla quale entrambi erano partiti; infine, le mostrò una visione d’insieme di ciò che il loro intervento aveva causato: la radura era disseminata di roghi dai fumi fittissimi e dolciastri, i Volturi stavano vincendo ma nessuno di loro pareva essersi accorto che il castello gotico di Hunyad si stava infossando nel terreno che gli franava tutt’attorno.

-         vai…- la invitò, spingendola appena sull’orlo. Ma lo choc che Erice provava era tanto forte da averla ridotta ad una sorta di stato vegetativo; non notava nulla, non reagiva, così Logan fu costretto a risistemarle il mantello, affinchè nessuno la notasse e, dopo averle lasciato tra le mani le teste di Dracula, Mariska, Aska ed Annika, si nascose per osservare come si comportava.

Quella piccola, fragile umana, che si era dimostrata tanto determinata e coraggiosa, si riscosse con difficoltà dai suoi pensieri e strinse con forza i capelli di quelle quattro teste tra le dita; approfittando della distrazione dovuta al fatto che alcuni membri della Guardia si stavano ancora battendo, nel momento in cui una forte folata di vento soffiò, scuotendole il mantello, e rendendola simile ad una piccola fiamma nel cielo plumbeo della Transilvania; lanciò le teste nella conca della radura e, quando fu certa che tutte e quattro le teste fossero giunte ai piedi dei suoi signori, attirandone così l’attenzione, fece loro un inchino e voltò le spalle, salendo sulle spalle di Logan, abbracciato dall’ombra, per poi sparire lontano da quelle terre, assieme a lui.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti! Dopo tutta quest’attesa, eccomi di nuovo qui con la prima parte del 7 cap(le parti saranno due). Mi auguro che vi sia piaciuto; fatemi sapere cosa ne pensate ^__^

A proposito, vorrei ringraziare per aver commentato il capitolo precedente! J

Un’ultima cosa: il castello di Hunyad esiste veramente, l’ho cercato su Wikipedia visto che in Transilvania non ci sono mai stata e, per i nomi e le battute delle mogli di Dracula mi sono ispirata al film “van helsing”.

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** il ruolo della Discordia(parte 2) ***


Capitolo VII

Il ruolo della Discordia

 

Parte 2

 

Erice respirò a pieni polmoni la fresca, ventilata brezza che soffiava tra le strette vie di Volterra. Era a casa! Nulla era cambiato da quando aveva lasciato la città: quell’aria che spirava dovunque, ora sembrava volerla abbracciare, riaccogliere; i palazzi la guardavano ancora, dall’alto, ma ora, anziché scrutarla fin nell’anima, accusatori, pareva volessero complimentarsi con lei, strizzarle l’occhio; i rintocchi della torre campanaria si spandevano in ogni dove.

Lentamente, si voltò verso Porta San Francesco: Logan era scomparso da lì con tanta velocità che, si disse lei, quello che loro due avevano fatto insieme, ma anche semplicemente lui, sarebbe potuto essere un sogno…

La ragazza aveva trascorso i due giorni sulla via del ritorno per la Transilvania, verso Volterra, avvinghiata a lui. Inizialmente, i tremori che l’avevano scossa e le lacrime che erano sgorgate, quando aveva capito cosa avesse veramente fatto, erano stati tanto violenti da spingerla a trasformare la realtà in una nube dai contorni indefiniti, e da costringere il vampiro vegetariano a fermarsi, per attendere che lei si immergesse nelle limpide acque di un piccolo lago.

A giudicare dall’impeto che metteva nel lavarsi, dall’irruenza che usava quando si sfregava le membra, Logan capì che quella ragazza si sentiva colpevole fino al midollo delle proprie azioni, che con quei gesti voleva cancellare dal proprio corpo e dalla propria mente gli avvenimenti appena accaduti. Così, lasciò che lei le si addormentasse sulle spalle e, nel momento in cui il loro viaggio giunse al termine, e si ritrovarono entrambi sulla soglia di una delle entrate di Volterra, lui l’aveva abbracciata sussurrandole la sua convinzione che non avesse fatto nulla di male, se non che aveva dimostrato a se stessa quanto valesse; infine, l’aveva ringraziata per la possibilità che gli aveva offerto, di fare giustizia.

Era stato allora che lei l’aveva lasciato senza parole, carezzandogli una guancia gelida e dicendo:

-         è stato tutto merito tuo, devo a te ciò che è successo e per questo credo sia giusto che ti sia restituita la libertà…va’ e cerca ciò che pensi ti renderà felice, vivi una vita serena.-

Logan l’aveva fissata, stupito, sull’orlo della commozione e, dopo averle preso le mani tra le sue ed averle baciate, era scomparso creando un vento innaturale attorno a sé, in cui veleggiò ancora per un secondo un sentito “grazie”.

 

Al ricordo di quell’avvenimento, Erice sorrise, spalancando le braccia alla brezza che spirava, e chiudendo gli occhi per godersi quell’attimo di libertà sospeso nel tempo con ogni fibra del suo essere, con il cuore e con la mente…

Rimase così ancora per un po’, camminando tra i viottoli ciottolosi mentre osservava la città, che sembrava trasformata, ricoperta di una sorta di manto purpureo: stendardi e bandiere di seta rosso sangue svettavano ovunque, appesi alle finestre dei palazzi o penzolanti, in balia del vento, dalle grondaie, dai tetti; e, dalla sommità dei graziosi lampioni nelle vicinanze di Piazza dei Priori, erano state posate decine di ceste piene di morbidi petali cremisi.

“Evangeline è stata formidabile! Ha pensato davvero a tutto!” pensò Erice, con le mani che nascondevano le labbra spalancate per lo stupore.

-         chi sei tu, Cappuccetto Rosso?- una voce squillante e delicata, come un dolce suono di campane, le giunse alle orecchie, nonostante il vento ed il cappuccio che ancora indossava.

La ragazza sollevò svelta lo sguardo, il cuore che batteva a mille, ma ebbe appena il tempo di riconoscere- sotto un cielo lievemente plumbeo- la smilza figura di una vampira dalle trecce argentee, le mani posate sui fianchi; che subito quella la prese tra le braccia e la portò, velocissima, all’interno di Palazzo dei Priori.

L’umana scoppiò a ridere, per via del vento innaturale sollevato da quella corsa e, quando potè rimettere i piedi a terra, si ritrovò nella sua piccola stanza, Evangeline davanti a lei, splendida e con lo sguardo pieno di felicità, la guardava, tutta sorridente:

-         Ti trovo bene, Evangeline. Mi sei mancata. Ma perché sei tanto su di giri?- disse, il cuore che le frullava veloce, le guance arrossate per quella strana accoglienza.

La vampira l’abbracciò con slancio ed intensità, tanto da farle sollevare i piedi da terra.

-         non hai idea di quanto io sia contenta del tuo ritorno, Erice. Sono così felice di vedere che stai bene, che sei sana e salva. In questi quattro giorni sono stata molto in pensiero per te…- confessò la donna, come se, vedere quella ragazza davanti a sé, costituisse l’alleggerimento di un peso dal suo cuore fermo.

Erice la fissò ancora un attimo e, passandole una mano tra i capelli di seta si lasciò sfuggire una lacrima di commozione. Fu allora che Evangeline, dopo un altro sorriso, prese a girarle intorno velocissima, così che lei si ritrovò circondata da un piccolo tornado e, presto, senz’abiti.

-         presto: sotto la doccia!- la vampira rise mentre ripiegava il mantello rosso della ragazza ad un suo braccio.

-         Potresti lavarlo, quello? Vorrei che vi venisse tolto “l’odore di Transilvania”- si raccomandò Erice, notandolo tra le braccia di Evangeline.

Entrambe sussultarono a quelle parole e, per un attimo si scrutarono, avvolte da un silenzio carico di tensione ma anche di consapevolezza; Evangeline si affrettò allora a frugare nelle tasche di quell’indumento per lasciare il pugnale della ragazza sul suo piccolo letto e poi svanire al di là della porta, dopo essersela chiusa alle spalle, per lasciare alla piccola umana un po’ di intimità.

 

Nei due giorni che seguirono, nessuno, in tutta Volterra fece domande sulla Transilvania, né si arrischiò a nominarla con semplici pensieri o allusioni; Erice, sotto la guida e la protezione di Evangeline si occupò, assieme agli altri schiavi, degli ultimi preparativi per la festa di San Marco ed era attenta, curiosa, calma quando le veniva spiegato qualcosa di nuovo, come per esempio la necessità che tutti gli umani, presenti lì quel giorno avrebbero indossato mantelle o abiti rossi e, man mano che calava la sera, tutti gli indumenti sarebbero stati di una tinta via via più scura; mentre, i componenti della Guardia che avrebbero perlustrato la città, sarebbero stati riconoscibili a causa delle loro mantelle grigie, sin dalle prime ore del mattino. Ma, la ragazza, pur essendo tranquilla, forte di quella quotidianità, ogni sera guardava l’orizzonte inquieta, con la paura di veder comparire i Volturi alle porte della città, da un momento all’altro.

Perciò, non appena aveva un momento libero, si infilava sotto la doccia e, coccolata dal getto d’acqua calda, cercava di tenersi stretta il ricordo delle parole di Logan, o del suo abbraccio.

Il settimo giorno, quasi l’avesse presentito, Erice si svegliò in piena notte e, dopo essersi presa cura di sé ed aver indossato un comodo paio di jeans ed una maglietta, si rannicchio alla finestra, e li vide…

Una forma romboidale -compatta ma melodiosa- di mantelli dalle diverse gradazioni di grigio, si stava dirigendo ordinata e solenne, fluida come il flusso di un fiume, verso una delle entrate di Volterra, e sembrava portasse l’alba sulle proprie spalle.

Erice sentì il cuore tremare: spesso, in quei giorni di lontananza, aveva sentito la mancanza dei suoi signori ma…ora che una di loro aveva palesemente espresso il desiderio di vederla morire per berne così il sangue, ed altri tre l’avevano chiaramente scorta in Transilvania, mentre disobbediva ad un loro ordine, cosa avrebbero detto?

Per tutta la mattina rimase nella propria stanza, paralizzata, irrequieta, in attesa che il clamore del rientro del Consiglio e dell’intera Guardia, si trasformasse per lei in una sorta di marcia verso il patibolo.

Ma non avvenne nulla. Almeno fino a quando…due lucenti chiome scure ed una color platino, non fecero irruzione nella sua stanza.

Lei se ne accorse appena, le parve che un lembo di cielo, assieme ad un guizzo di stelle fossero caduti nella sua stanza, tuttavia, un attimo dopo, distinse perfettamente la figura di Didyme, la furia negli occhi cremisi, i denti perlacei digrignati e in bella vista; che stava al centro di una piccola ambasceria: Marcus alla sua destra, e Caius alla sinistra, che sorrideva maligno.

La ragazza non si mosse, voltò semplicemente verso di loro la testa, con lentezza e, dopo un respiro profondo, esordì:

-         buongiorno miei…-

ma non ebbe il tempo di terminare la frase, perché Didyme, in uno scatto d’ira, l’aveva afferrata per la maglietta e spinta contro il muro, sollevandole i piedi da terra. Quanta differenza c’era dall’abbraccio ricevuto da Evangeline il giorno prima!

-         come hai…osato disobbedire ai nostri ordini? Non ti avevo forse detto di rimanere qui? Perché ho visto qualcuno che ti somigliava tremendamente, in Transilvania? Con uno dei nostri mantelli addosso? C’era un limite che non dovevi varcare…- la vampira aveva sibilato bassi ringhi per tutto il tempo, astiosa, per farsi capire e terrorizzarla mentre la avvinceva nella morsa del suo sguardo; ma fu allora, udendo quelle sue ultime parole che Erice sentì che stava per scoppiare.

-         Ah, già! Il limite- ribattè, sarcastica- ma non è forse vero che un uomo deve poter saggiare il proprio limite con le sue forze? Senza opposizioni esterne, o-se ci sono- forzarlo finchè non riconosce di aver fatto la cosa giusta?- la ragazza sostenne lo sguardo implacabile della sua mentore e lo ricambiò. Quella la lasciò andare con lentezza, sbalordita per la sua reazione.- perché, non mi sembra di aver agito male: vi ho portato la testa del vostro nemico e delle sue tre mogli.- il cuore della ragazza pulsava follemente ma si sentì stranamente più leggera, ora che le parole le erano uscite dalle labbra.

Marcus, che aveva abbracciato la sua compagna cingendole le spalle, guardando quella ragazza sorpreso, come se durante quella settimana, in cui era stata lasciata sola, fosse improvvisamente sbocciata e maturata.

-         cosa dici, dunque, della cella dove il vampiro transilvano era stato relegato, che è stata ritrovata vuota?- chiese, gli occhi accesi di soddisfazione e stupore.

-         Sì, sono stata io a liberare quel vampiro. Era inutile che continuaste a torturarlo, a ridurlo alla fame, dal momento che della Transilvania sapeva molto poco, e che voi siete tornati vittoriosi da lì, senza il suo aiuto.- replicò lei, fissando il vampiro moro.

-         Touchè. Il tuo è stato un gesto nobile, lo riconosco. Ti abbiamo addestrato davvero bene.-

Per un momento, in quella stanza calò il silenzio. Il compagno di Didyme- che aveva appena parlato- la fissava soddisfatto, gli occhi scintillanti come mai prima d’allora; Didyme era senza parole, sembrava vedesse per la prima volta, in quella ragazza, la donna che sarebbe diventata; e Caius era ammutolito.

-         signori, ora che avete concluso, potrei chiedervi di lasciarmi da solo con “la preda”?- bisbigliò il vampiro biondo, non appena si fu ripreso; anche se sembrava che la sua fosse cortesia forzata.

Marcus e Didyme si scambiarono un’occhiata d’intesa poi, voltandosi verso Caius, dissero:

-         molto bene, ma non tardate: Erice è attesa nel salone principale, tra breve.- e infine, scomparvero oltre la porta, chiudendosela alle spalle.

La ragazza si irrigidì immediatamente: restare sola con Caius la metteva fortemente a disagio, ed inoltre, l’imbarazzante silenzio che si era venuto a creare tra lei e quel vampiro spietato, dalla bellezza assurda- che ora sembrava una statua di cera- le gelava il sangue nelle vene.

“resta calma, Erice. Caius potrebbe sapere tutto del piano di Anthenodora…o magari vuole parlarti di quanto è successo in Transilvania…resta calma, qualsiasi cosa succeda.”pensò, cercando di convincersi, mentre lo scrutava per capire cosa pensasse.

-         ciò che sto per dirti non mi fa onore, perché hai visto la mia paura più grande e potresti usarla contro di me, ma…mi hai salvato la vita, per ben tre volte qualche giorno fa, e sono tre volte in debito con te. – mormorò, conciso. Mantenne gli occhi bassi mentre parlava, non la guardò mai; aveva i denti digrignati e le mani strette a pugno: sembrava che la sua dignità, il suo orgoglio, ne risentissero a dovere la vita ad un’umana, ad esserle grato.

Poi, senza aggiungere altro le fece segno di precederlo nel corridoio, ed insieme, silenziosi, giunsero al Salone Principale.

Una volta lì, prima di entrare, Erice si costrinse a fare un respiro profondo: era il momento della verità. Anche se il gesto compiuto da Marcus, Caius e Didyme le lasciava pensare che non avessero parlato di quanto avevano visto in Romania, ora avrebbe finalmente visto la reazione dei Volturi alle sue azioni. Infine, decisa, varcò quella soglia che le era stata proibita per tanto tempo.

-         miei signori, bentornati. È un sollievo rivedervi.- li salutò, accennando un mezzo sorriso mentre si inchinava al cospetto degli Anziani e delle loro mogli.

Vedere quei sei vampiri era sempre uno spettacolo magnifico e terribile insieme, per lei: Aro, Caius e Marcus avevano un aspetto regale, temibile ed onnisciente; Sulpicia, Anthenodora e Didyme, in piedi dietro i troni dall’alto schienale, stavano lì, docili e pronte ad assecondare i loro compagni ma apparivano anche bellissime ed irrequiete come divinità. In più, fasciati tutti da abiti settecenteschi, sembravano un magnifico quadro, entità nate con il mondo ed trascendenti allo scorrere del tempo.

Anthenodora, in particolare, alle spalle di un nervoso Caius, la squadrava come un’infida serpe.

-         i miei ossequi a te, piccola preda…di ritorno dal nostro viaggio in Transilvania ho avuto modo di notare che hai portato bene a termine il compito che ti era stato assegnato, quindi, il Consiglio ha deciso di concederti l’onore di partecipare alla festa di San Marco. È da poco iniziata la messa ed in seguito vi sarà una rievocazione di ciò che ci è accaduto in passato. Nel pomeriggio ti prego di tornare qui…chissà che magari sia giunto per te il momento giusto, che tanto hai agognato in questi anni. - bisbigliò Aro, le mani sottili da pianista intrecciate in grembo, un sorriso gelido stampato falsamente in faccia, la voce pacata e gentile.

A quelle parole Erice sussultò e si sforzò di sorridere mentre si inchinava ai suoi signori, prima di andarsene.

Le venne subito in mente che un tempo sarebbe stata felice di ricevere quella notizia, ma ora, dopo i gesti un po’ folli che aveva compiuto voleva vivere, voleva avere accanto amici come Logan che l’abbracciassero, la confortassero e la spronassero a fare sempre meglio.

Era talmente confusa che notò a malapena Alec e Jane che, per poco, non si scontravano con lei mentre entravano nel Salone Principale.

Per tutto il giorno quindi, pur essendo affiancata a distanza da Heidi, Felix, Santiago ed Evangeline; – che si era preoccupata di restituirle il mantello rosso, affinchè si confondesse tra la folla- pur essendo felice di godersi l’insolita tranquillità che si respirava in quel giorno a Volterra, il brulicare allegro di vita; Erice continuò sempre a chiedersi se il premio che le era stato concesso, quel suo ultimo giorno di vita, non fosse invece una punizione per aver smesso di sottomettersi ai Volturi.

Nonostante fosse rimasta sempre vigile, tesa, si gustò ogni singolo attimo di quella giornata, si curò di spargere i petali rossi in terra, poco prima del passaggio della fiumana di persone, ricoperte di indumenti rossi, che portavano a spalla il simulacro di San Marco, dalla chiesa principale della città a Palazzo dei Priori.

Gioì come una ragazzina alla vista del corteo settecentesco che, a tappe, attraversò tutte le vie di Volterra, ripercorrendo la storia del vescovo Marcus, di come avesse cacciato i vampiri da quella città servendosi di aglio e crocefissi, e di come, una volta spintosi in Romania per combattere anche quei vampiri- stavolta di stirpe “reale”- si fosse innamorato di una vampira di nome Didyme; un amore che lo aveva condotto alla morte.

Apprendendo quelle notizie, si sforzò di non ridere: Marcus era stato davvero astuto ad inventare falsi scongiuri contro i vampiri e…oh, se solo tutti avessero saputo la verità! Come si poteva spiegare agli altri umani che la morte del vescovo Marcus era stata solo apparente? E che il suo amore per Didyme era eterno ed indissolubile?

Verso l’ora di pranzo, la ragazza osservò i volterrani fermarsi a mangiare nei ristorantini tipici delle piazze principali e, scorgendo Heidi nella sua bella mini gonna scozzese e maglietta rossa aderentissima- allo stesso tempo si atteggiava da preda e cacciatrice- che aveva attirato una copiosa folla di turisti(grazie al suo potere) e li stava conducendo verso Palazzo dei Priori, decise di seguirla.

 

Le porte del Salone Principale erano chiuse, a chiave. Erice notò come gli umani che le stavano attorno fossero come accecati dalla bellezza di quella sala, tanto da non accorgersi che, due vampiri alle loro spalle, li avevano intrappolati; o da non prestare attenzione a lei che, in quel momento si era tolta il mantello e lo aveva abbandonato sul pavimento di marmo. Si fece largo tra di loro con noncuranza ma studiò uno ad uno i loro volti, chiedendosi se, una volta divenuti pasto dei suoi signori qualcuno si sarebbe curato di seppellirli, o se quell’onore sarebbe spettato solo a lei…

Mentre gli Anziani parlavano dolcemente a quelle vittime ignare, informandoli sulla data di fondazione della città o della costruzione del Palazzo, la ragazza si inginocchiò un po’ a distanza, restando a guardare, in attesa che il suo destino si compisse.

La torre del Porcellino tuonò con un rintocco e da allora tutto accadde in brevissimo tempo: Caius, che era stato l’unico ad essersi alzato per sottoporsi- assieme alle mogli- ai flash delle macchine fotografiche di quei curiosi, le si avvicinò, carezzandole fugacemente una guancia e, una volta inchiodato il suo sguardo al proprio, spezzò facilmente il collo di uno di quegli umani, sotto i suoi occhi.

Fu allora che, dopo un secondo di incredula quiete, iniziarono le urla: molti tentarono di scappare, ma Alec e Jane furono loro addosso prima che quelli potessero muovere un solo passo. Altri, sentendo la fine dei loro giorni, rimasero immobili, freddati dalla paura ma anche ammaliati dalla bellezza di quelli che ormai avevano capito essere…vampiri.

Erice se ne stava in silenzio, la pelle dilaniata dai brividi, il cuore che le martellava nel petto: attorno a lei, vide i vampiri dal fare schivo, gentile e freddo, trasformarsi in animali; predatori spietati dagli occhi rossi. Attorno a sé, vide fiumi di sangue sgorgare dalle morbide gole di quegli umani, Didyme, Anthenodora e Sulpicia che, senza problemi spegnevano urla umane, ancora prima che nascessero, che frantumavano ossa, azzannavano gole, come se fossero state fatte di cristallo…e tutto quel liquido rosso, che non arrivava mai a toccare terra, le fece ricordare la moltitudine di persone che aveva visto quella mattina, alle porte della città.

D’un tratto, seguito dal guizzo della chioma chiara di Caius, Erice ebbe solo il tempo di notare una ciocca di capelli neri come la notte, che subito dopo ne fu avvolta e si sentì trascinare via…

Non voleva morire, ma non voleva neppure piangere o urlare, non voleva mostrare debolezza così, chiuse gli occhi, sempre aspettando, i muscoli tesissimi sotto la pelle.

-         sei pallida più di me, piccola Erice. Questo mondo non è fatto per te, solo ora lo capisco…- era la voce di Marcus. Sembrava preoccupato, quasi pentito, ogni ombra dell’affascinante e inumano predatore era scomparsa. L’aveva presa tra le braccia, per tenerla lontana da quella carneficina.

-         Ma…v-voi siete la mia famiglia e io…voglio restare qui.- tentò di replicare lei, ma scoprì che le tremava la voce; faticava persino a trovare le parole, e ringraziò che il suo signore avesse un udito finissimo.

-         Quanto rispetto ci porti, piccola, quanto ci onori! Ti chiedo di restare solo qui, a distanza. Non vorrei che ti venisse fatto del male.- si raccomandò pacato il vampiro mentre la lasciava in piedi vicino ad una delle alte finestre della stanza.

Marcus si rituffò immediatamente nella mischia, accanto a Caius, dopo averle gettato un ultimo sguardo.

La ragazza era sotto choc. Stava facendo quanto le era stato ordinato, ma sembrava un automa, pareva guardasse la disperata situazione che le infuriava attorno, con occhi vuoti, persi in un altro luogo.

All’improvviso, Aro si alzò, agile ed aggraziato, e si avventò, con uno svolazzo, su un uomo sulla quarantina che, nonostante i ripetuti morsi al collo, ed il sangue che perdeva dimostrò tanta forza d’animo da essere capace di muovere, carponi, qualche passo, per trascinarsi morente fino ai piedi di Erice ed afferrarne i lembi del mantello.

-         aiutami…ti…pre…go. – il fratello di Didyme, i lineamenti alieni, eppure bellissimi anche in quel momento di caccia, con un balzo lo raggiunse.- mettiti in…salvo.- mugugnò l’uomo, dopodiché la luce scomparve dai suoi occhi castani e i capelli gettarono un’ultima ombra sul viso stanco mentre si accasciava a terra come un pupazzo di pezza. Non si mosse più.

Erice ed Aro si fissarono, muti. Lei, il cuore che tremava, messo a dura prova da quanto le era appena successo, si chiese se il vampiro approvasse quanto aveva appena fatto Marcus o se, stanco del troppo tempo in cui l’aveva avuta tra i piedi, era venuto lui stesso a far sì che morisse.

-         ehi! Ma che succede in quella stanza? Hai visto? Hai ripreso tutto?- una voce lontana, dal forte accento americano distrasse entrambi e mise in allarme la ragazza che -dopo essersi voltata ed aver incontrato lo sguardo di due ragazzi sulla trentina, dalla pelle rosea, i capelli corti, raccolti in tante piccole punte ordinate sopra la testa, che guardavano esterrefatti nella sua direzione, dalla piazza sottostante- ritrovò immediatamente la sua prontezza di spirito ed avvertì il suo signore:

-         potrebbero esser stati testimoni di quanto è accaduto. Siete tutti in pericolo. Vado a prenderli.- e, tra lo stupore e il silenzio generale di tutti i vampiri, si precipitò fuori dalla stanza, gettandosi velocemente addosso il mantello cremisi, mentre qualcuno apriva per lei le porte del Salone Principale.

 

Faceva caldo nonostante il vento, ed Erice si sentiva ribollire di rabbia e paura per il compito che si era assegnata da sola. Il mantello le assicurava invisibilità tra la folla e sarebbe potuta piombare addosso a quei due ragazzi, non vista, facendo giustizia. Magari se avesse riportato ai suoi signori le teste di quei due umani si sarebbe assicurata un premio, forse di non essere mangiata, come Marcus voleva. Ma la festa di San Marco era nel pieno dei suoi festeggiamenti e le persone, come un’unica compatta montagna, la disorientavano, trasportandola dove lei non voleva. E se non fosse riuscita a trovarli?

Il cuore le pulsava incessantemente nel petto, si sentiva persa quando, di colpo, mentre girava la testa da una parte all’altra, freneticamente individuò due chiome, una castana e l’altra bionda che sfrecciavano verso Porta all’Arco, per uscire dalla città.

Li seguì, aiutata anche dai colori sgargianti delle loro T-shirt e dal fatto che uno dei due stringesse convulsamente in mano una videocamera.

Era alle loro spalle, veloce come il vento, invisibile come un’ombra; ma doveva impedire loro di lasciare Volterra così, con un fischio si assicurò di aver attirato l’attenzione delle due mantelle grigie che le erano più vicine ma non si preoccupò di capire chi erano, si concentrò piuttosto sulla propria corsa visto che i due turisti impiccioni l’avevano sentita, si erano accorti della sua presenza ed ora avevano aumentato la falcata, distaccandosi dalla folla per sfuggirle.

Muovendosi quasi automaticamente- ormai conosceva ogni centimetro di Volterra come le sue tasche- fece sì che ripercorressero Via di Porta all’Arco e li spinse verso Vicolo Mazzoni, buio e stretto, decisamente poco accogliente.

I due ragazzi ansimarono, a disagio, trovandosi in quel vicolo buio, con le spalle al muro mentre l’avanzare di quella slanciata figura dal viso coperto, faceva perdere colore ai loro volti. Il biondino proteggeva ancora con tutte le proprie forze la videocamera.

- che cosa avete visto?- intimò Erice, venendo avanti, minacciosa mentre cercava di mantenere la voce bassa, alterata, per non essere riconosciuta.

L’altro ragazzo si lasciò sfuggire un singhiozzo.

Erice smise immediatamente di pensare: quello spettacolo-le lame di luce che venivano dalla via ed illuminavano il vicolo, i visi terrorizzati di quei due uomini- era raccapricciante, straziante ma avevano visto troppo e sicuramente ne avevano una prova in quella videocamera. Ormai avevano firmato la loro condanna a morte.

Facendo un respiro profondo corse verso i due, che non avevano più via di scampo e si avventò su di loro, estraendo dalla tasca il pugnale che aveva portato con sé in Transilvania. Riuscì a colpire uno dei due ragazzi alla gola- infatti, quello cadde subito in ginocchio respirando a fatica mentre vomitava fiotti di sangue- ma fermare l’altro fu più difficile: la paura aveva reso i suoi riflessi molto pronti.

Erice fece per pugnalarlo al collo, ma quello cercò di allontanarla colpendola con la videocamera; fortunatamente lo evitò e la sua lama andò a conficcarsi nell’addome di lui.

La ragazza riprese fiato a fatica. Era tutto finito. Ma…se avesse fatto troppo rumore? Se qualcuno avesse visto, o si fosse accorto di ciò che aveva fatto? Si girò per controllare, il sangue ghiacciato nelle vene…

-         non capisco perché mai tu ci abbia chiamati, se sei riuscita a cavartela da sola.- all’entrata del vicolo si potevano distinguere due figure ammantate di grigio. Erice riconobbe nel vampiro che aveva parlato, il tono di voce lievemente arrogante di Felix.

-         È stata solo fortuna. Sono tutti vostri. Quello con la videocamera ha ripreso tutto: distruggetela.- disse, la voce che tremava leggermente mentre indicava il ragazzo castano.

Felix sfrecciò subito su quello che ancora respirava ed iniziò a bere il suo sangue, avido eppure preciso come un killer; l’altro vampiro che lo accompagnava, invece, si mosse con più cautela perché sembrava maggiormente preoccupato dell’angoscia che Erice stava provando, che era chiaramente dipinta sul suo volto: non faceva altro che nascondere le mani strette a pugno, nelle tasche e cercava di regolarizzare il respiro, mentre teneva la testa bassa, gli occhi serrati.

Sentendo improvvisamente i morsi della fame, il vampiro più cauto strinse fra le proprie mani la videocamera, fino a ridurla ad un ammasso scomposto di trucioli e poi si dissetò col sangue che sgorgava dalla gola dell’altro umano, ancora caldo, nonostante quello fosse morto.

-         gracias, Erice…- disse allora, dopo aver finito il pasto ed essersi pulito le labbra.

Vide che la ragazza sobbalzava, sentendolo parlare in spagnolo e cercò il suo sguardo mentre la consapevolezza di chi fosse si insinuava in lei.

-         Santiago…?- sussurrò, carezzando quasi quel nome a voce bassa, mentre le guance le si tingevano lievemente di rosso.

Santiago sorrise e la prese per mano, per far sì che gli si avvicinasse. Si beò della vista del delicato viso di lei illuminarsi, per la sua vicinanza, così come si era beato del suono della sua voce la sua voce, che si era fatta dolcissima quando l’aveva riconosciuto, o del battito del suo cuore leggermente accelerato. Avrebbe voluto stringerla tra le braccia, scacciare dal suo animo l’angoscia che tutta la morte che doveva aver visto in quel giorno, le aveva causato; o magari complimentarsi con lei per quanto aveva fatto in Transilvania, e parlarle della paura che aveva avuto, per lei, vedendola sul campo di battaglia, ma comprese che un semplice abbraccio non sarebbe stato abbastanza, non per lui: non voleva altro che farla felice, ed averla vicina, sempre.

Perciò, dopo averle accarezzato lentamente le spalle, si chinò su di lei e, facendo molta attenzione…la baciò.

Santiago sentì il cuore di Erice frullare felice come il battito d’ali di una farfalla, i respiri di entrambi si fecero più accelerati, lei sembrava tesa, come se avesse paura di non sentirsi all’altezza, ma a lui non importava: in quel momento comprese che da quando le aveva fasciato le ferite alla schiena, alla Cinta Muraria,(ma probabilmente anche da prima) non aveva desiderato altro che quel momento, perfetto e senza tempo.

Le spalle della ragazza erano poggiate contro il muro freddo del vicolo, e d’un tratto il vampiro messicano la sentì irrigidirsi…la sua rigidezza mutò in una sorta di rifiuto- perché non poteva essere interpretata altrimenti la spinta delle sue mani contro il suo petto marmoreo- e Santiago, sconcertato da quella reazione fu costretto a staccarsi da lei, con tanta fretta e veemenza che le morse le labbra.

Per un istante si guardarono. Santiago sembrava deluso, ferito dal modo di comportarsi di lei, ma Erice, pur tenendosi il labbro, che perdeva sangue, lo fissava spaventata, spaesata quasi si sentisse tradita. Negli occhi verdi scintillava un’unica preoccupazione che le labbra non sarebbero mai state in grado di esprimere: no! È sbagliato! Cosa diavolo ho fatto?

Poi corse via, lasciandosi quei due vampiri e le carcasse degli umani alle spalle.

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutte/i!

Chiedo venia per il mega ritardo ma sono tornata domenica dalle vacanze.

Innanzitutto vorrei ringraziare le tre campionesse di pazienza che mi hanno lasciato un commentino:

Ramona37grazie mille per i complimenti, non hai idea di quanto sia contenta di rivederti qui, era un po’ che non ti leggevo tra i commenti J grazie davvero. A proposito spero che la reazione dei Volturi non ti abbia delusa.

Dolce bambolina benvenuta! E grazie per aver aggiunto la storia tra le preferite e le seguite(se non sbaglio)ti chiedo scusa per la lentezza con cui ho aggiornato ma mi ero un attimo persa l’ispirazione per strada. Mi ha fatto molto piacere il tuo commento ;-)

Luce70 ciao, o sempre fedelissima! Visto che nel cap precedente hai avuto modo di notar tante qualità di Erice, chissà che penserai di quello che ha fatto in questo cap? e, siccome ti è piaciuto come si è comportata Didyme, che ne pensi del modo di agire di Marcus? E che dici del ritorno di Santiago? È un ritorno “col botto” o si poteva migliorare?

A proposito, domanda per tutti quelli che leggeranno e gli verrà la voglia di darmi una loro opinione…che ne pensate di Logan? Perché in futuro pensavo di farlo ricomparire nella storia.

Ultimo appunto poi vi lascio: pur essendo stata a Volterra, non l’ho visitata tutta e perciò mi sono dovuta “inventare”il percorso di Erice, sfruttando una cartina della città che avevo…

Grazie mille ancora a tutti, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto

Un baciotto

marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** una storia della buonanotte ***


Capitolo VIII

Una storia della buonanotte

 

Erice continuò a correre, la mente svuotata da qualsiasi pensiero, dominata solo dalle emozioni e non pensava neppure dove andasse; sentì le membra pesanti persino quando le imponenti membra di alabastro del Palazzo dei Priori l’accolsero. Per lei, quello era sempre stato un luogo in cui sentirsi al sicuro, ma ora i corridoi, le scale, le porte delle stanze, le passavano davanti come fossero una nebulosa indistinta; persino il mantello di velluto rosso che aveva indossato per la festa di San Marco, tentava di farsi notare carezzando leggero e maestoso il pavimento, o sbattendo contro le caviglie della ragazza, ma quella, aveva davvero la testa altrove.

Sentendosi persa, abbandonò con forza la schiena contro il ritaglio di muro lontano dalle finestre, lontano dal sole che ormai stava tramontando, in un trionfo di tonalità vermiglio, così simili al sangue che le macchiava le mani; per poi scivolare lentamente a terra, le gambe raccolte al petto.

Ora che si era fermata, le sembrò che la confusione che aveva in testa l’avesse raggiunta, amplificandosi: un penetrante freddo le aveva ghiacciato il sangue nelle vene, facendole tremare i muscoli e le membra; il cuore le batteva come impazzito nel petto, un dolore lancinante le torturava il labbro- la bocca era inondata del sapore ferroso del sangue- e si fissava le mani, ricoperte di liquido rosso, con orrore, come se non le appartenessero.

Cosa poteva averla ridotta così? La vista del banchetto di umani imploranti, di cui i suoi signori si erano nutriti- in sua presenza- nel Salone Principale? La scoperta che due umani avevano accidentalmente assistito al macabro spettacolo, dalla Piazza sottostante? Il repentino inseguimento, da parte sua, di quelle due minacce ambulanti e la loro successiva uccisione in uno dei vicoli della città, lontani dalla folla? Il fatto che Santiago e Felix fossero accorsi per cibarsi- dinnanzi a lei- dei loro resti e non lasciarne traccia? Oppure il delicato e sconvolgente bacio ricevuto subito dopo da Santiago?

Nonostante il cappuccio le avvolgesse morbidamente il capo, tenendole in ombra il viso, le lacrime che sgorgarono silenziose dai suoi occhi, non sfuggirono alla presenza che torreggiava su di lei:

-         piccola Erice, mia coraggiosa lady Macbeth, cosa ti succede? Perché piangi? – chiese, una vicina voce melodiosa.

Erice sobbalzò, colta di sorpresa e, dopo aver sollevato lo sguardo, riconobbe, seppur con la vista appannata, la bella chioma di Didyme scura come la notte, e il suo profondo sguardo cremisi fisso su di lei, preoccupato.

La ragazza avvertì un nodo che le serrava la gola, che le impediva di parlare, e si sentì in colpa per quella splendida vampira che attendeva, paziente, una sua parola. D’un tratto sembrò comprendere tutto, e le afferrò gentilmente un braccio per aiutarla a rimettersi in piedi.

Nel momento in cui la sua palle gelida la sfiorò, Erice abbandonò la realtà, non prestò attenzione ai gesti della sua signora, alle premure nei suoi confronti; seppe solo che, dopo qualche minuto- in cui udì due porte chiudersi alle proprie spalle, e dell’acqua scorrere in lontananza- mentre Didyme la spogliava con lentezza, riprese conoscenza e capì di essere circondata da piacevole acqua tiepida, nella vasca da bagno nella stanza della vampira.

-         dimmi cosa ti succede, piccola mia, ti prego…- mormorò ancora Didyme, mentre la lavava.

Erice si morse un labbro, tesa, perché sapeva che presto o tardi le sarebbe stato chiesto del taglio che aveva, e preferiva che la colpa fosse addossata a lei, piuttosto che a Santiago.

-         mia signora, io…ho ucciso…- bisbigliò, abbassando lo sguardo sulle mani, che si sfregava ossessivamente.

-         Ora stammi bene a sentire, Erice: poco fa mio fratello mi ha messa a parte dell’inseguimento che hai sostenuto e della morte che hai dato a quei due umani che avevano involontariamente assistito al nostro banchetto. Credimi, non devi incolparti delle tue azioni, devi esserne fiera invece, poiché sicuramente avrebbero parlato con altri della loro esperienza, e il nostro segreto sarebbe stato in pericolo. Tu hai semplicemente scelto di proteggerci, facendo ciò che ritenevi giusto; inoltre, hai anche dato la possibilità a Santiago e Felix di nutrirsi, rendendo così, un giorno che poteva essere infausto, una splendida festa.- Didyme parlò con convinzione e veemenza, mentre le teneva dolcemente le mani ferme, e le sollevò il mento, affinchè la guardasse e, nel frattempo, l’asciugava e la vestiva.

Erice, che tremava ancora, si costrinse ad incatenare i propri occhi smeraldini a quelli cremisi della sua signora e, rassicurata dalle sue parole, attese, tranquilla che i suoi battiti cardiaci rallentassero. Quindi, si lasciò condurre dalla sua mentore nella stanza da letto dove, solo dopo qualche minuto, notò la presenza di Marcus, e si inchinò al suo cospetto.

-         Erice, sono così fiero di te. È un sollievo sapere che stai bene! Ti meriti ogni complimenti per le tue lodevoli azioni, perciò permettimi di ringraziarti per aver salvato Caius dai licantropi, in Transilvania- anche se lui l’avrà sicuramente già fatto- e per averci consegnato la testa del conte Dracula…(non so tu ma a me è sembrato di riconoscere Cappuccetto Rosso).- iniziò il vampiro, con voce soave e gioiosa, venata di rispetto, mentre pizzicava affettuosamente, con fare paterno una delle guance di Erice, diventata improvvisamente rossa.- e ancora grazie, per ciò che hai fatto oggi, per aver scelto di difenderci, uccidendo quei due umani, ed offrendo il loro sangue a Santiago e Felix…-

La ragazza questa volta rabbrividì, e chiuse gli occhi, rintanando il capo quasi nell’incavo del collo.

Una mano fredda si posò sulla sua spalla…e lei sussultò, giurando a se stessa che quella appartenesse a Didyme…

Infatti, voltandosi, riconobbe il profilo della sua signora…

Tuttavia, il timore che ella potesse scoprire tutto su quanto era avvenuto con Santiago, svanì, non appena la vampira le sorrise…

-         sarai stanca, vieni, riposa. Hai meritato che ti raccontassimo la nostra storia, e sarà per te come una fiaba della buonanotte…- sussurrò, facendola sdraiare sul letto, tra lei e Marcus.

-         Dunque, devi sapere che Aro, Caius ed io, rinascemmo come vampiri nel 1300 prima di Cristo, nel caldo Egitto, in prossimità del Nilo…- Marcus iniziò a raccontare quella millenaria storia con voce bassa, come se si trattasse di una favola, ed accarezzò piano una delle guance di Erice per far sì che si togliesse dal viso quell’espressione stupita.- e dapprincipio, accecati dalla sete di sangue, uscivamo solo di notte, terrorizzati da ciò che la luce del sole avrebbe potuto farci, e ci cibavamo delle carcasse dei guerrieri che avevano partecipato alle battaglie che, frequenti, infuriavano in quel tempo.

Nessuno di noi tre aveva un nome, ci sentivamo emarginati, e perciò uniti, dal nostro comune destino; invincibili, e così, facendoci credere divinità dagli umani, osservammo per qualche decennio le persone, la loro vita semplice, quasi insulsa, quella che ci eravamo lasciati alle spalle, e invece, gli imperi che erano stati in grado di creare, fiorenti e dall’aspetto eterno- allora erano principalmente quello egizio e quello ittita- le loro grandi innovazioni, le leggi…gli umani erano fragili, inferiori rispetto a noi, ma le loro istituzioni ed i loro ideali erano alti, una fonte d’ispirazione per noi famelici vampiri; soprattutto per Aro, che ci disse di voler creare una “società perfetta” di soli vampiri, difesa dalle sue capacità di scrutare nei pensieri altrui attraverso un semplice contatto fisico; dalla mia abilità, di vedere i legami che univano le persone; e dalla rabbia e la caparbietà di Caius- probabilmente dovuta al fatto che lui, nella sua seconda vita non aveva sviluppato “poteri”(non puoi immaginare come ci fece sentire, saggiarli le prime volte, per qualche decennio!).

Aro, come del resto anche noi, si era allontanato dalla sua famiglia e tuttavia, quindici anni dopo la sua trasformazione in vampiro, venne a sapere che sua sorella era da poco divenuta una donna, ed espresse il desiderio che anche lei fosse parte del suo grande progetto. Io, che ero la persona di cui si fidava di più, suggerii che divenisse come noi, affinchè i due restassero per sempre insieme.- detto questo, Marcus si fermò un secondo, per accarezzare i capelli della sua compagna e guardarla con amore.

-         una volta divenuta vampira guardai il mondo con occhi nuovi e, mentre assecondavo qualsiasi desiderio di mio fratello- cercando disperatamente il potere che lui aveva detto di vedere il me- comprendevo le infinite possibilità che avevo dinnanzi agli occhi, a portata di mano. Proposi perciò a tutti, di viaggiare, per apprendere gli usi di altre civiltà che sicuramente, in qualche luogo lontano- anche se mai troppo lontano per noi- stavano nascendo e…per saggiare le nostre capacità vampiresche. Tutti approvarono la mia proposta, ed intraprendemmo il nostro Cammino, durante il quale, scoprii di non dover mai dormire, di essere più veloce del vento, di potermi trovare al centro di un tornado senza essere mossa di un millimetro. Osservavo la natura attorno a me, sentendomene padrona, e non mi preoccupai più di un mio possibile “potere”; Aro, invece, studiava nell’ombra le grandi civiltà nascere, fiorire e perire, cercando di imparare e carpire quanto più potesse: dalla mistica Cina, apprendemmo che ci saremmo potuti nascondere dietro delle leggende; dall’Antica Grecia, ci vennero gli ideali di Bellezza, Perfezione ed Amore, l’efficacia delle leggi, la forza e l’indipendenza di una città; dalla Maestosa Roma- dove, peraltro, i cittadini ci diedero i nomi che portiamo ora- l’importanza dei passaggi dall’Età Regia, alla Repubblica, all’Età imperiale e l’imponenza che in tutti suscitava come fosse un faro nel buio. Erano tutte diversi, eppure questi imperi erano accomunati dalla credenza degli uomini che li formavano, nelle Divinità, dietro le quali potemmo facilmente nasconderci.

Il sogno di mio fratello, di creare una potentissima congrega di vampiri, che avesse potuto ispirare il mondo, dettando leggi e fornendo grandi ideali, iniziò a prendere corpo quando, durante una nostra battuta di caccia, assistemmo- nel 480 avanti Cristo- alla battaglia delle Termopili. In quella strana parte della Grecia, ci imbattemmo in Afton, uno schiavo moribondo dell’Impero Persiano, al quale offrimmo la libertà e la vita eterna. Dopo esser stato mutato in vampiro ed essersi unito a noi, fece sfoggio di un potere, e Aro gongolò di soddisfazione…

Più tardi, nel 509 avanti Cristo, durante la Prima Repubblica romana, trovammo Corin, un ragazzo appena ventenne, dalle discendenze sabine, console in quell’anno, che mutammo in uno di noi e, come puoi immaginare, anche lui dimostrò di avere un potere…e così stranamente triste, circondata da tutte quelle particolari abilità, tornai a chiedermi se ne possedessi una anch’io…- Didyme aveva dato il cambio al compagno, nel racconto ed ora, al ricordo di quella sensazione provata in quell’anno lontano, abbassò gli occhi.

-         qualche anno dopo, durante l’Età Augustea, sul finire del I secolo avanti Cristo, ci trovammo di nuovo a Roma, dopo una breve “gita” in Oriente, e Aro si innamorò di Sulpicia, un’aristocratica, nipote di Marco Valerio Messalla Corvino, e poetessa nel suo circolo, che sospirava invece per un uomo chiamato “Cerinthus”.- Marcus che aveva di nuovo preso la parola, per completare le frasi della moglie, mostrò alla ragazza una poesia.

Erice prese tra le mani tremanti la pergamena ingiallita, che trattò con timore reverenziale e, senza problemi, tradusse dal latino:

più di tutte io brucio; è un bene, o Cerinthus, ch’io bruci se in te c’è per me un uguale fuoco

-         che bella poesia! È davvero romantica.- commentò subito, fissando sognante quei versi.

-         Sì, l’animo di Sulpicia era innamorato di quell’uomo, perciò ella era cieca in merito a chi lui veramente fosse; di conseguenza, Aro le mise davanti agli occhi la pura verità: Cerinthus la tradiva con una prostituta.

Sulpicia si chiuse in sé, ed Aro le approfittò per starle vicino. Iniziarono a scambiarsi dei bigliettini, a vedersi di sera, e lui si mostrò insolitamente impacciato e timido, perché comprendeva che la loro natura era diversa. Sulpicia compose due poesie per lui.- di nuovo Marcus le fece leggere quelle poesie e, ancora una volta Erice tradusse i versi dal latino, senza pensarci:

anche il giovane formula lo stesso mio desiderio, ma più segretamente perché si vergogna di dire tali parole apertamente.”

Davvero non riusciva ad immaginare Aro in atteggiamenti timidi.

vi sia reciproco amore, io prego, per i nostri dolcissimi incontri furtivi, per i tuoi occhi e per il tuo Genio

-         Sulpicia aveva capito che Aro era un vampiro, che le era superiore?- domandò la ragazza, insospettita ed affascinata dalle parole dell’ultimo componimento, mentre rifletteva sul fatto che non aveva mai visto né Corin né Afton e non sapeva quali poteri avessero.

-         Sì, lo sentiva…ma ne ebbe la certezza solo quando Aro le mostrò come si nutriva, la stessa sera in cui la trasformò…per giorni Sulpicia stette male, agli occhi degli umani e, quando fu in punto di morte, o meglio di rinascita, volle Aro accanto a sé, e stanno insieme da quando lei riaprì gli occhi sulla sua nuova vita…-

Marcus allora si zittì, fissando Didyme in attesa, per dare la possibilità ad Erice di assimilare e comprendere a fondo tutte quelle informazioni, anche se le erano state messe davanti agli occhi quasi per gioco. Sembravano davvero preoccupati e, per tutta risposta, lei sospirò, sorridendo felice e curiosa.

-         ma mia signora, voi avete un potere…quando lo avete scoperto se alla fine del I secolo non ne eravate ancora cosciente? Inoltre, non mi avete ancora accennato a come vi siete legata al mio signore Marcus…- osservò la ragazza, completamente assorbita da quei fiumi di parole.

Didyme sorrise, fissando Marcus con soddisfazione e complicità.

-         nel Medioevo- periodo molto buio a seguito dell’impero romano, durante il quale la paura della gente in merito all’Ignoto, degenerò in ipocrisia- ci stabilimmo a Volterra, dove potemmo nasconderci agli occhi di tutti, difesi da queste mura, ed avemmo la possibilità di continuare a cercare componenti per la Guardia. Di certo conoscerai la storia di Anthenodora, vero?- domandò infine, Didyme dopo aver ripreso la narrazione ed aver esposto all’umana il quadro storico di quel periodo.

-         Sì mia signora.- replicò, ubbidiente.

-         Quindi avrai capito che a quell’epoca eravamo già in molti a possedere dei poteri…- intervenne Marcus, facendo leva su un gomito per guardarla bene negli occhi.

-         Per ora, ne ho contati otto…- considerò, l’umana, tenendo il conto con le dita.

-         Esatto…e la situazione era difficilmente controllabile, l’ordine che avevamo stabilito si sarebbe potuto facilmente sovvertire. Ma non accadde mai perché- e me ne resi conto solo attorno al 1300, quando Demetri si unì spontaneamente a noi(o magari sollecitato dalla mia persuasione)- capii che era merito mio.

All’inizio credevo che il fatto che tutti mi adorassero e rispettassero ciò che dicevo semplicemente grazie al mio aspetto di vampira tuttavia, pur essendo garante dell’ordine e dell’armonia nel nostro clan, ero infelice poiché, sì, tutti i vampiri che avevo intorno mi adoravano, ma nessuno mi amava davvero; e io era proprio quello che volevo, l’amore puro, quello che mio fratello aveva, così come Caius…ma nessuno si accorse dei miei desideri di ciò che provavo, e tutto rimase tranquillo tra di noi, perché controllato da me.

Poi, improvvisamente, un giorno si ridestò: geloso del potere che il vicino clan romeno esercitava in tutta Europa, qualche anno dopo la scoperta dell’America- nel 1550 esattamente- decise di imbarcarsi per il Nuovo Continente, assieme alla moglie e mi chiese di accompagnarli, mentre lasciavamo Volterra nelle sapienti mani di Caius, Marcus e parte dell’attuale Guardia.

Lì mio fratello cercò disperatamente “un’arma” che potesse aiutarlo a vincere la battaglia che già progettava contro i Romeni; così visitammo ogni angolo di quell’immenso Paese, felici anche del fatto che potevamo nutrirci indisturbati. Io, come sempre affascinata dalle grandezze della Natura, ammiravo tutto, quasi dimenticando il motivo per cui ero giunta lì e il mio ruolo, ma fu una fortuna, perché fu per puro caso che, in un bordello della Virginia, incontrai Heidi.

Era una prostituta, anche abbastanza carina a dir la verità, ma ciò che mi spinse a trasformarla, sperando che si dimostrasse dotata di un potere, fu la sua particolare dote: ammaliava le sue “prede” e le spingeva a fare qualsiasi cosa lei volesse.- Didyme sembrava non aver mai bisogno di riprendere fiato, eppure le parole le uscivano dalla bocca chiare, solenni.

Erice sollevò appena una mano, per pregare la sua mentore di fermarsi e darle il tempo di riordinare le idee: ora che conosceva la storia di Heidi, non aveva difficoltà a capire come avesse fatto ad attirare tanti turisti per il banchetto di San Marco o come mai spesso l’avesse vista amoreggiare sia con Felix che con Demetri.

-         continuate, per favore…- le chiese, quando il suo cuore ebbe ripreso a battere regolarmente.

-         A metà del ‘600, quando ormai malattie orribili uccidevano la maggior parte della popolazione, capii di essere immune a qualsiasi morbo e, mentre un giorno mi aggiravo tra i malati di peste di New Orleans, trovai Chelsea- che saprai essere la compagna di Afton- che, nonostante fosse moribonda, mi raccontò di essere una contessa che si divertiva a sfasciare legami matrimoniali, disseminando relazioni scandalose. Intravedendo delle potenzialità anche questa volta, la trasformai.

La nostra visita in America, in cerca di talentuosi vampiri, terminò nel 1692 quando, giungendo a Salem, assistemmo all’ipocrisia della gente di quel luogo che sfociò in diversi roghi di innocenti, condannati per stregoneria. Aro scovò Alec e Jane che, accusati di essere figli del demonio, stavano per essere arsi vivi. Mio fratello li mutò in vampiri e, particolarmente felice dei “doni” che i due manifestarono, li tratta ancora adesso come fossero i figli che non ha mai avuto.- concluse Didyme, i begl’occhi rossi persi tra i ricordi.

-         tornarono tutti in Italia attraversando a nuoto l’Atlantico e il Mediterraneo ed Aro diede disposizioni affinchè tutto il clan si spostasse a combattere in Romania.

La formazione era quella che hai visto in Transilvania: un gigantesco rombo, Heidi a proteggere Sulpicia ed Anthenodora; e tutti i “dotati” ad usare i loro poteri contro i nemici prima che si giunga allo scontro diretto; ma quella volta, in quell’alba del gennaio 1700, furono principalmente Jane ed Alec ad agire ed a farci vincere contro quei pezzi di pietra di Vladimir e Stefan, mentre io mi rendevo conto di quanto mi sentissi completo in quel momento, con Didyme accanto, del senso d’assenza che avevo provato quando era stata lontana, della rabbia che sentivo allora, sapendola in pericolo su quel campo di battaglia…è da quel giorno che ci siamo scelti come compagni, ed è da allora che si festeggia San Marco e la cacciata dei Vampiri…- sussurrò Marcus, sorridendo in armonia con Didyme.

-         durante tutto il ‘700, mentre le grandi monarchie umane si affermavano, noi diventavamo la grande monarchia europea dei vampiri, promulgammo leggi e regole che i vampiri dovevano rispettare per vivere tranquilli, passando inosservati tra gli umani. Per 150 anni, consolidammo il nostro potere, la nostra egemonia in Europa ma, nel decennio tra il 1860 e il 1870, scoprimmo che nel Nuovo Continente infuriavano le Guerre Vampiriche, scorrevano fiumi di sangue che difficilmente sarebbero passati inosservati agli occhi degli umani, e decidemmo d’intervenire...- spiegò Didyme, fissandola di tanto in tanto per assicurarsi che la stesse seguendo: ormai era notte, ma la ragazza non dava segni di cedimento.

-         Così che, forti delle decine di vampiri con delle abilità formidabili, che avevate nel clan, avreste potuto vincere facilmente, ed imporre la vostra supremazia anche in America, per avere il rispetto dei vampiri di tutto il mondo.- dedusse Erice, concludendo il pensiero della sua mentore.

-         Proprio così. Fu nel 1870 che, abbattendo il clan messicano, annettemmo tra le nostre fila Felix, Santiago, Renata ed Eleazar. E pensa: solo 100 anni dopo, ti sei unita a noi anche tu…- fece Didyme, carezzando dolcemente i ricci di Erice, che iniziava a sentire la stanchezza sulle membra.

-         Ma quindi, significa che, se io sono nata nel 1970, voi adesso avete…4586 anni…- sussurrò la ragazza, le palpebre pesanti.

Didyme e Marcus le sorrisero mentre disfacevano le lenzuola e ce la coprivano.

Erice scivolò facilmente nell’oblio, sognò il Tempo e la Storia, due maestose entità che, passando accanto ai suoi signori non li scalfivano mai e si ritraevano, gelose dinnanzi alle gloriose battaglie che i Volturi vincevano, o al cospetto delle passioni e dei legami duraturi che gonfiavano per l’eternità i loro cuori fermi.

Gli avvenimenti di quel giorno erano solo un’amarezza lontana e tuttavia, si ritrovò a desiderare ancora una volta le labbra di Santiago sulle sue, a sperare che avesse agito così perché la volesse come compagna, convinta che, quella che aveva visto nei suoi occhi, quella mattina, quando si erano fissati, altro non fosse che un’ombra dell’amore che univa Marcus e Didyme.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Riciao di nuovo a tutti! Eccomi ancora qua con un post lampo! Con questo capitolo siamo a metà ff e mi auguro vi sia piaciuto. Anche se io non sono particolarmente amante della Storia ho cercato comunque di attenermi a fatti realmente successi e di ispirarmi a personaggi realmente esistiti(Sulpicia per esempio è stata veramente una poetessa romana vissuta alla fine del I secolo)

Fatemi sapere che ne pensate

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** l'abbraccio freddo della morte ***


Capitolo IX

L’abbraccio freddo della morte

 

Nel sogno di Erice l’atmosfera di tranquillità dovuta alla supremazia dei suoi signori, mutò in un universo buio, freddo, oscuro in cui lei vagava senza meta, smarrita. Ed ogni volta che apriva la bocca per chiamarli, un albero ghignava, stendendo i suoi robusti artigli fino a lei, per graffiarle il viso…poi si ritrovò a dover lottare contro l’impetuoso e freddo scorrere dell’acqua di una cascata, infine, la terra tremò e lei precipitò nell’ignoto, urlando spaventata.

-         Erice!- udì un ringhio lontano mentre una voce melodiosa, venata di preoccupazione, la chiamava.

Riaprendo gli occhi, la ragazza riconobbe il bel viso di Didyme, le lunghe ciocche scure le mettevano in risalto gli occhi cremisi, intrisi di paura, ma anche di rabbia. Accanto a lei, a una spanna dal viso dell’umana, c’era Marcus.

Entrambi i Volturi erano illuminati da strane rossastre, crepitanti, particolare che lasciava pensare- come suggeriva anche il loro atteggiamento- che alle loro spalle dovessero esserci altre sagome.

-         cosa succede, miei signori?- riuscì a farfugliare Erice, ancora intorpidita dal sonno, mentre, con difficoltà, metteva a fuoco l’ambiente che la circondava.

-         Perché non ce lo dici tu, umana?- l’aggredì una voce, dura come lo schiocco di una frusta. Una figura uscì dall’ombra con una rapidità sorprendente, e la schiaffeggiò, facendole sbattere la testa contro il muro di pietra alle sue spalle.

Immediatamente più sveglia, Erice si mise a sedere di scatto, scoprendo, con un semplice tocco, che perdeva sangue dalla guancia. Guardò con odio il vampiro che l’aveva colpita, e riconobbe nei suoi lineamenti perfetti, alieni, Aro.

Davanti a lei, accanto al vampiro, perfetti come statue, stavano Caius, Marcus e Didyme che le sbarravano l’uscita della cella che un tempo era stata di Logan. In quel momento, confusa com’era le parve che l’unica cosa che la stesse sorreggendo, fosse il muro di pietra alle sue spalle.

-         perché sono qui?- chiese, perplessa.

-         Credo che debba essere tu a dircelo!- sussurrò Aro, con voce fredda e tagliente.

Fu allora che Erice si sentì persa: perché si trovava in quella cella? Per quale motivo? Che avessero saputo della sua fuga in Transilvania? O magari del fatto che aveva liberato Logan? O- ancora- forse era lì perché era fuggita dal Salone Principale, e quindi- indirettamente- non aveva accettato di farsi mangiare?

Per quale altro motivo, altrimenti, si spiegava tale trattamento, dal momento che Didyme e Marcus si erano complimentati con lei, per aver ucciso quei due umani ficcanaso?

Poi, all’improvviso, una consapevolezza la colpì in pieno viso, con la stessa veemenza dello schiaffo ricevuto da Aro: Felix non era stato in grado di tenere la bocca chiusa in merito a quanto era successo durante San Marco, ed aveva parlato al Consiglio del bacio che lei aveva strappato a Santiago.

Per questo era in una cella, di sicuro; Felix aveva certamente alterato qualche particolare sul reale svolgimento della faccenda.

Da sempre, infatti, le era stato vietato di avere una relazione, di qualsiasi genere, con Santiago, in quanto lui era un vampiro e lei una fragile, imperfetta, inferiore umana; ed ora che era successo qualcosa tra loro, la ragazza doveva essere punita.

-         non credevo che sarei stata punita per aver salvato l’intero clan, con l’uccisione di quei due turisti…- osservò, dura. Lo sguardo implacabile, il viso rigido, le labbra strette.

-         Ma bene! La tracotante umana si fa beffe di noi.- ringhiò Aro, raccogliendo le braccia al petto mentre, con un cenno, faceva sì che sua sorella, Marcus e Caius lo circondassero, più vicini.

Erice sollevò il mento con arroganza e fierezza: avrebbe tenuto segreto quanto avvenuto con Santiago, fino alla morte se necessario! Lei stessa aveva mantenuto un comportamento scostante nei confronti del vampiro messicano, perché sapeva che un altro atteggiamento sarebbe stato sbagliato, ma…Dio, com’era stato bello, quel fugace momento in cui le loro labbra si erano toccate! Le era parso di sentire sulla pelle la furia implacabile di una tempesta, l’impeto di un copioso fiume che l’avvolgeva sconvolgendole il cuore, e Santiago era sempre stato lì, accanto a lei, artefice di quelle intense sensazioni, ma anche unico baluardo pronto a salvarla da esse, attraverso il dono del suo amore.

Se avesse raccontato ai suoi signori ciò che aveva provato, loro non avrebbero mai potuto capire. Ma forse, visto com’era iniziata la storia di Aro con Sulpicia…

No, no! Lui non si sarebbe mai abbassato a comprenderla, lo sapeva; sicuramente, non appena una sola parola le fosse uscita dalle labbra, lui avrebbe spedito al rogo sia lei che Santiago, all’istante; incarnando così una Legge, che sarebbe passata per imparziale, per quanto crudele potesse apparire. Era lui il vero tracotante, ai suoi occhi!

-         mi dispiace, ma continuo a perseverare nella mia convinzione di aver agito in modo corretto.- sentenziò, scrutandoli amara.

Prima che avesse quindi il tempo di battere le ciglia, udì la porta della cella sbattere, venir poi chiusa accuratamente e freneticamente a chiave, ed infine, Aro, che la fissava acido come una serpe.

-         pagherai per la tua superbia, umana!- quella minaccia tuttavia, non la sfiorò minimamente. Quante volte era già stata punita con “l’esilio” in quei cunicoli?

-         Giuro che se uno di voi le si avvicina, vi farò ardere vivi!- continuò, spostando il suo sguardo freddo sugli altri vampiri presenti, mentre ringhiava loro contro.

Ora terrorizzata, Erice, si affrettò a scrutare l’espressione dolente di Marcus, quella lacerata e preoccupata di Didyme, ma anche e soprattutto quella sul volto bianchissimo di Caius, che sembrava diviso tra il suo abituale comportamento crudele e la riconoscenza che doveva alla ragazza, per il debito nei suoi confronti.

Fu questo a gettarla nella disperazione, più di tutto: seppe che, non appena il Consiglio avesse lasciato le Prigioni, sarebbe stata sola, e per lei sarebbero iniziate le torture.

 

La prima settimana, infatti, Erice temette di impazzire. Una volta si era abituata a quel silenzio, tanto da farlo suo alleato, parte di sé, da riconoscere la vita che vi scorreva attraverso; ma ora che, grazie a Logan, aveva conosciuto la libertà, aveva imparato a vedere il mondo, si sentiva soffocare da quegli spazi vuoti, costantemente rischiarati dalle torce e quella quiete mortale sembrava non far altro che dilatarsi, ingoiare in sé il tempo per non farlo trascorrere, rendendola così irrequieta e perforandole il cuore.

Spesso sognava il vampiro dagli occhi gialli che era stato suo amico, ma quello, nei sogni, non diceva nulla, invece, la fissava con disapprovazione e rammarico, per poi fuggire via. E tutte le volte, tentando di inseguirlo, si ritrovava intrappolata tra le gallerie infinite che portavano inevitabilmente alle Prigioni e così, si risvegliava in quella cella, in lacrime, sentendosi sempre più sola, fragile, indifesa.

 

Un giorno, quando si ridestò, scoprì che qualcuno, durante la notte- mentre lei dormiva e non aveva sentito nulla- le aveva lasciato accanto il suo quadernino, dove era solita scrivere le sue poesie, alcune penne e qualcosa da mangiare.

Da allora la ragazza ebbe la possibilità di tenere il conto dei giorni che trascorrevano, i suoi pensieri, le emozioni che provava, le paure(ovviamente curandosi di camuffare le sue parole dietro metafore e similitudini, nel caso qualcuno avesse letto i suoi scritti mentre lei dormiva) e si nutrì con il cibo che quello sconosciuto angelo custode le lasciava nella cella, quando lei riposava.

Trascorsero così sei mesi, durante i quali Erice rischiò di lasciarsi andare alla follia, a causa di quella calma che, infida, faceva nascere dalle proprie ombre angeli che si prendessero cura di lei, solo quando lei scivolava nell’incoscienza. Tuttavia, non poteva sapere che quel periodo era stato davvero più tranquillo, rispetto ai tre mesi che gli sarebbero succeduti…

Una mattina infatti, Jane ed Alec, fecero il loro ingresso nella cella della ragazza e lei, pur percependo che erano pericolosi, che i loro sorrisi malcelavano malvagità e cattiveria, fu tremendamente felice di vederli, di abbeverarsi della strepitosa bellezza dei loro volti pallidi, angelici- dopo mesi che non vedeva anima viva.

-         Aro dice che da sei mesi non parli…chissà che magari, qualche urlo, io non riesca a strappartelo? E senti che bella notizia…se io non dovessi riuscirci, accorrerà in mio aiuto l’intera Guardia!- sibilò beffarda la giovane vampira castana, fissandola astiosa.

“bene, guarda il lato positivo Erice: ora conoscerai tutti i poteri dei componenti del Corpo di Guardia; e se Aro ha dato quest’ordine, significa che ti teme.” Cercò di farsi coraggio con quei pensieri, ma più di ogni altra cosa, temeva la capacità di Jane.

La bambina vampira dall’aspetto androgino le sorrise, e d’istinto l’umana chiuse gli occhi, preparandosi al peggio…

In un attimo le parve di essere scesa all’Inferno: sentì ogni singola cellula del suo corpo andare in fiamme, mentre la pelle, le sembrava esser ricoperta di ghiaccio e pungolata da centinaia di coltelli. Urlò, con l’illusione che, così facendo, quel dolore straziante sarebbe finito presto…

Ma non avvenne e quasi subito, Jane, stanca delle grida dell’umana, la incalzò, chiedendole cosa fosse successo durante la festa di San Marco; ma quella non rispondeva, continuava, invece ad urlare, così la vampira la schiaffeggiò, scaraventandola contro il muro che le stava alle spalle.

Neppure quella fu una sensazione piacevole, fece però svanire, per un secondo, l’illusione del dolore causato da Jane, dando il tempo alla ragazza di sgombrare la mente, di concentrarsi. I suoi pensieri corsero subito ai membri del Consiglio, cui sicuramente non erano sfuggite le sue urla, e che forse, si stavano torturando d’angoscia ad ogni suono che emetteva; ma Erice pensò anche a Santiago: di certo gli era stato proibito di vederla, ma anche il suo udito era finissimo, e chissà quanto dolore stava provando nel sentirla soffrire.

“solo per te, Santiago”riuscì a pensare la ragazza, prima che il potere di Jane le si avventasse di nuovo contro.

Anche allora provò un dolore lancinante in ogni fibra del suo essere, ma col volto di Santiago ben chiaro tra i suoi pensieri, si sforzò di serrare le labbra, per restare muta. Un attimo dopo, sentì che il suo corpo si stava ribellando, contorto tra mille spasmi, ma almeno, questa volta aveva vinto, contro Jane: la vide, infatti, smettere di sorridere di colpo, come se le innocenti fossette le fossero state lavate via con un colpo di straccio. Adirata, lasciò il posto di “torturatore” al gemello, Alec.

Ancora una volta la sensazione che Erice provò, fu tutt’altro che piacevole ma, in quel momento- probabilmente complice il fatto che una volta si era invaghita dell’affascinante Alec- la ragazza fu quasi contenta di sentire che effetto avesse quel potere su di sé: sembrava che un serpente, lento e minaccioso, le strisciasse, salendo, lungo il corpo; avvinghiandosi al suo ventre, alle sue spalle, al collo, fino ad accecarla…

Con i sensi completamente fuori uso, Erice potè finalmente abbandonarsi all’oblio, quasi con il sorriso, aspettandosi che in quel buio nebuloso avrebbe trovato il suo Santiago.

 

Ebbe tuttavia, un comportamento analogo qualche giorno più tardi, che la portò a credere che i poteri di disorientamento sensoriale, su di lei, avevano solo l’effetto di un felice abbandono ad un tranquillo sonno. Per l’esattezza, quando entrarono nella sua cella- per sottoporla ai loro poteri- un vampiro smilzo, dai tratti esotici e lucenti capelli scuri, al fianco di una piccola vampira dal viso di porcellana come quello di una bambola(che scoprì essere Afton e Chelsea).

Bastò un rosso, penetrante sguardo di Afton, perché Erice avesse la sensazione che una nebbia fitta e lenta, l’avvolgesse, dandole l’idea che si stesse sgretolando. Di nuovo, ebbe la possibilità di abbandonarsi all’incoscienza che, questa volta, la trascinò via come fosse stata una marea.

Chelsea invece, agì dopo che la ragazza, più calma, aveva ripreso consapevolezza dell’ambiente a lei circostante: riuscì ad inimicarsela perché, mentre cercava di capire quanto fosse intensa la sua devozione per i Volturi, forte il suo legame con loro; cancellava, affievoliva, o rendeva nulli tutti gli altri legami, stretti con persone che per Erice avevano significato qualcosa. Vi riuscì sempre, quella biondina, - facendo precipitare nel terrore la ragazza, dandole l’idea che fosse completamente sola- tranne che per una persona: Erice custodiva gelosamente nel cuore il ricordo di Santiago, l’unico che fosse riuscito ad alleviarle ogni paura, ad allietarla durante quel periodo, e nessuno sarebbe riuscito a cancellarlo dai suoi legami!

 

In seguito, in quella cella che ormai sarebbe diventata un “porto di mare” si presentò un vampiro dall’aspetto di un ventenne, i capelli ramati, le labbra piene e l’abbigliamento stravagante, quasi fosse stato un console dell’Antica Roma.

-         tu sei Corin, vero?- gli bisbigliò Erice, svegliandosi una mattina, con un lieve sorriso sulle labbra al ricordo della storia che le era stata raccontata da Didyme.

Ma quello, nonostante apparisse sorpreso dal fatto che quell’umana conoscesse il suo nome, pur non avendola mai vista prima; replicò solo, senza neppure guardarla:

-         dicono che tu sia riuscita a resistere a Jane, Alec ed Afton…mi chiedo come te la caverai, con me…-

A quelle parole, Erice sussultò, ma- contenta com’era di vedere per la prima volta quel vampiro di cui aveva solo sentito parlare- non fu in grado di rendersi conto del pericolo che rappresentava, finchè lui non la inchiodò con il suo sguardo, duro come pietra e, con un movimento distratto della mano, la sollevò a mezz’aria. La ragazza colta di sorpresa, si irrigidì e, nel momento in cui il potere di Corin si manifestò, procurandole tagli sulla pelle, simili a quelli di una lancia- senza che il vampiro la sfiorasse- lei comprese(tra un gemito e l’altro, per non urlare) che doveva aver ereditato quell’abilità perché nella sua vita da umano, doveva esser stato un grande guerriero; o magari, tutto dipendeva dall’origine del suo nome che, in Sabino, significava “lancia”.

 

La notte seguente, insonne, Erice la trascorse a disinfettarsi le ferite come meglio potè, riflettendo sul fatto che era la prima volta, in quell’arco di tempo, che veniva picchiata. E se era cominciata così, poteva andare anche peggio, poiché non aveva ancora visto Demetri, né Felix.

 

La mattina dopo, vedendoli comparire sulla soglia della sua cella, Erice si maledisse, convinta di averli chiamati per la propria rovina. Erano rigidi come statue, splendidi e dall’aspetto impeccabile, diabolico, come fossero stati due demoni.

-         ciao, piccola Erice! Visto cosa succede, a mettersi contro di noi?- la sbeffeggiò Felix, le spalle larghe, la carnagione leggermente olivastra, mentre entrava- al seguito del suo amico- e si chiudeva la porta alle spalle.

-         Bastardo! È colpa tua quanto mi sta succedendo, come sono state colpa tua la maggior parte delle punizioni che ho dovuto subire! E pensare che, durante San Marco mi sono macchiata le mani di sangue per lasciare che ti nutrissi!- lo accusò, sputando ai suoi piedi.

-         Come osi! Devi rispettarmi dannata umana!- la rimproverò, avventandosi su di lei ed assestandole calci nel ventre, tra le costole, pugni dove gli capitasse e schiaffi, mentre faceva pesanti battute su Santiago.

Erice credette che, sotto quella violenta raffica di botte, sarebbe riuscita a resistere se, come sempre, avesse avuto ben chiaro in mente il viso di Santiago, ma la verità era che presto iniziò a girarle la testa, le parve di avvertire dei conati e temette di poter perdere i sensi.

D’un tratto Felix si fermò ed Erice scoprì che gli faceva addirittura male respirare.

-         Santiago te la farà pagare per questo…il tuo comportamento…le tue parole…- gli promise, sollevando la testa quanto potesse e cercando di mantenere un tono duro, nonostante sapesse che invece, non le usciva dalle labbra più di un semplice sussurro.

Felix rise scompostamente, con crudeltà e, mentre si divertiva a picchiarla ancora osservò:

-         credi che…vendicherebbe una stupida umana come te?- continuò ancora, e si placò solo quando si accorse che la ragazza non reagiva più momento del quale, Demetri approfittò per toccarle appena una mano livida ed informarla:

-         da questo momento saprò sempre dove sei, umana…-

Erice allora comprese che il vampiro aveva usato su di lei la sua abilità di segugio e non sarebbe più potuta scappare, a meno che, certo, non avesse riconquistato la fiducia dei Volturi, tanto da spingerli a non avere motivo per controllarla. Ma, per il momento, era così stanca, così umiliata nel sentire il suo sangue che colava sul pavimento, da non riuscire a pensare ad altro che non fosse la sua speranza che- poiché quando Demetri l’aveva toccata, Erice stava pensando solo ed esclusivamente a Santiago- se un giorno fosse scappata, sarebbe stata ritrovata solo se avesse pensato al vampiro messicano.

 

Man mano che i giorni trascorsero, sempre più vampiri della Guardia rinunciarono a far visita ad Erice, sorpresi dalla sua fibra morale, dalla sua capacità di non mostrare dolore- persino Heidi che, quando era venuta, era quasi riuscita a far fare alla ragazza ciò che voleva, non si mostrava più presso di lei- e così, solo i “fantastici quattro” venivano da lei, per picchiarla, o sbeffeggiarla, spronati dai suoi disperati tentativi di resistere alle loro angherie.

E, durante la notte che sarebbe stata l’ultima di quei tre mesi infernali, Alec, Jane, Felix e Demetri vennero da lei, svegliandola bruscamente, e tenendola ferma per far sì che non si dimenasse mentre le iniettavano una strana sostanza, dal forte odore di mandorla, da una siringa.

Erice, intorpidita com’era dalla stanchezza, non capì perché si stessero comportando così, né cosa le stavano iniettando; ma le parve di comprendere che la stavano punendo perché non aveva mostrato di patire dolore, e perciò, a loro parere, non aveva sofferto abbastanza.

I quattro vampiri svanirono nel nulla, nel buio subito dopo, lasciandola sola mentre il cianuro le entrava in circolo nel sangue. Erice urlò per quel dolore mai provato, e si contorse, pianse, spaventata dall’idea che, se proprio doveva morire, era stata condannata a farlo da sola.

Stava per essere avvolta dal buio così come i suoi occhi, e qualsiasi altra cosa attorno a lei; le forze la stavano abbandonando, e si ritrovò a domandarsi se fosse stato diverso, se la sua vita avesse preso una piega migliore qualora avesse scelto di andare via con Logan, anziché di partecipare alla festa di San Marco.

Poi all’improvviso…eccolo lì che varcava la soglia della sua cella per venire a salvarla!

Ma…quel Logan era così diverso da quello che ricordava…aveva lunghi capelli biondo platino e inquietanti occhi rossi…fu accanto a lei in un lampo e la afferrò per le braccia, iniziando a scuoterla con forza mentre apriva e chiudeva la bocca, come per parlare, anche se alle orecchie di lei non giungevano altro che aspri ringhi.

Erice avrebbe voluto opporsi alla sua presa d’acciaio, urlargli di smettere di strattonarla così, o avrebbe anche potuto staccarle qualche parte del corpo ma, nel momento in cui aprì le labbra, non vi uscì altro che un gorgoglio bianco e schiumoso.

Il vampiro biondo, in preda all’agitazione le diede un pugno sulle labbra, con tanta forza da tumefargliele ma, anche se provò un dolore acutissimo, Erice comprese che era grazie a quel gesto se stava lentamente riprendendo possesso di sé. Un secondo dopo quell’azione, distinse il clamoroso rumore dell’impetuosa entrata di altri due vampiri, dalle chiome corvine, che si affaccendarono attorno a lei, massaggiandole le spalle e le altre membra, per far sì che il sangue infettato dal veleno fluisse verso le labbra, spaccate e cadesse a terra.

Uno dei tre vampiri la strinse a sé, parlandole mentre l’avvolgeva tra le sue braccia fredde, ma la ragazza, scossa da quel tempestivo intervento che le aveva salvato la vita, ed annebbiata dalla poca lucidità mentale che le era stata restituita, non guardò negli occhi quel vampiro, come anche gli altri tre, le sue parole le giunsero lontanissime, simili ad un’eco e lei credette di trovarsi stretta nel freddo abbraccio della morte.

 

Quando, la mattina seguente Erice si risvegliò nella sua cella, comprese di essere sola, circondata dal pavimento umido, ricoperto di sangue. Le girava la testa, era lucida ma ricordava a malapena cosa fosse successo…

Chi era stato a salvarla dagli effetti del cianuro? Era davvero stata la morte ad averla abbracciata, la notte prima?

Di colpo, mentre faceva scorrere lo sguardo nella cella, nel tentativo di ricostruire qualche particolare, riconobbe la massiccia figura di Santiago, al di là delle sbarre.

Si fissarono per qualche minuto, in silenzio e dopo un attimo di esitazione, lui entrò nella cella, chiudendosi la porta alle spalle

Erice rimase paralizzata dalla sorpresa, dalla sua presenza e nonostante avesse cercato di indietreggiare appena, il cuore le cantava felice, battendole all’impazzata nel petto.

C’erano mille cose che voleva dire a quel vampiro, ma tutto ciò che riuscì a dire fu:

-         sei stato uno dei pochi- oltre a Renata- che non avevo ancora mai visto qui. Sei venuto a finirmi, Santiago?- una richiesta triste, amareggiata.

In realtà era contentissima di rivederlo, di saperlo sano e salvo; rappresentava una sorta di luce in quella notte che, per lei, era durata tre lunghi mesi.

Il vampiro messicano, il viso adombrato dai ricci scuri, la scrutò addolorato: sembrava distrutto, non riusciva a guardarla in faccia perché convinto di essere la causa della sofferenza di lei, del suo labbro tumefatto, del viso livido e delle membra sanguinanti. Le si avvicinò con lentezza esagerata, umana e si inginocchiò vicino a lei, senza mai abbandonarne il profilo.

-         no, non voglio farti del male, Erice. Non dovrei neppure essere qui ma…dovevo vederti. Mi dispiace per quello che è successo, non volevo che finisse così…- mormorò mentre le sfiorava lentamente i capelli e le guance.

La ragazza avrebbe voluto mettere tra loro un po’ di distanza, visto che grondava sangue ma sentì di nuovo l’elettricità scorrerle sulla pelle dove Santiago faceva passare il suo tocco; stava per ripetersi un momento magico, simile a quello durante il quale si erano baciati e, sarebbe stata pronta a riviverlo una, dieci, mille volte ma…cosa sarebbe successo quando fosse passato? Come li avrebbero puniti allora, i Volturi?

Ma non ebbe il tempo di domandarselo perché sentì le labbra fredde di Santiago sulla pelle, che le sfioravano delicatamente la fronte, le guance…ad un centimetro dalle sue labbra, tuttavia, Erice gli impedì di darle un bacio- voltando di colpo la testa dall’altra parte, poiché le braccia le facevano troppo male- e sussurrò:

-         no, Santiago fermati. Non ricordi cosa è successo alla festa di San Marco? Ci punirebbero entrambi, questa volta, se ci vedessero…tu non dovresti neanche essere qui…e…sono stata avvelenata con del cianuro che, anche se mi è stato fatto uscire dalle labbra potrebbe essere ancora qui…e non mi va di metterti in pericolo…-

-         di quello non mi importa affatto: io sono già morto e il cianuro non avrebbe alcun effetto su di me e non temo neppure punizioni perché…credi che starti lontano, tutto questo tempo, non sia stata una punizione, per me? Non mi importa quanti dei miei signori dovrò sfidare perché mi trovo qui, dal momento che ho trovato un modo per curarti…- le confidò, dolce, sincero e deciso.

-         Per l’emozione e la sorpresa suscitate da quelle parole, Erice si rigirò di nuovo, di scatto e, avrebbe parlato, sorriso, se non avesse incontrato le labbra di Santiago premute sulle sue, in un bacio appassionato e struggente, da far bollire il sangue nelle vene.

Quando le loro fronti si toccarono, i respiri di entrambi erano accelerati.

Il vampiro messicano la fissò felice, per un attimo, esplorando il suo profilo con le dita, ma solo per un attimo perché, subito dopo fece scivolare le labbra lungo la guancia della ragazza, sul suo collo e…veloce e delicato d’un tratto affondò i denti nella sua morbida, rosea pelle.

Erice boccheggiò, colta di sorpresa. Ebbe l’impressione di sentire una lama nella carne. Dopo aver tentato invano di respingerlo, gemette appena arrendendosi alle centinaia di brividi che, travolgendola, le corsero lungo la schiena: seppur con fatica, sollevò le braccia ed avvolse il collo di Santiago in una stretta dolce, ma indissolubile, ferrea. Le dita le affondavano ingorde, febbrili tra i ricci di lui; ogni loro impronta grondava passione.

Incapace di allontanarsi di un solo centimetro, accecata dall’uragano di sconosciute emozioni che stava provando, la ragazza inarcò d’istinto la schiena, facendo completamente aderire il proprio corpo a quello di Santiago. Il suo cuore aveva cantato allegro fino a quel momento per quell’estasi violenta, ma ora singhiozzava spaventato dall’idea che il vampiro- una volta abbeveratosi del suo sangue, come stava facendo- non sarebbe più stato in grado di fermarsi.

In quel preciso istante, quasi leggendole nel pensiero, Santiago, si staccò, senza preavviso, tanto che Erice crollò tra le sue braccia, sfinita, quasi senza notare che fu prontamente sorretta.

Risollevando gli occhi, dopo un attimo, si trovò dinnanzi il petto marmoreo, perfetto di Santiago, e su di esso un taglio dal quale sgorgava un rivoletto di sangue.

-         bevi.- le ordinò il vampiro, carezzandole appena la testa. Lui cercava di incoraggiarla, di tranquillizzarla, ma era chiaro che entrambi tremavano al cospetto di quella novità.

Erice lasciò scorrere le dita sul suo ombelico, timida, titubante ma poi eseguì, nonostante fosse stanca per la gran quantità di sangue della quale era stata privata.

Sulle prime Santiago rise, dicendole che somigliava ad un bambino appena nato che beveva il latte, ma poi, quando la sentì irrigidirsi andò a sciogliere dolcemente la presa con cui lei gli aveva avvinto il ventre ed intrecciò le sue dita a quelle della ragazza, poi…inaspettatamente fu travolto anche lui da una sorta di strana, veemente estasi ed infine fu costretto a sussurrarle di fermarsi.

Un attimo dopo, tutto avvenne in un lampo: Erice sorrise al suo salvatore, la bocca lievemente sporca del suo sangue e stava per avvicinare le sue labbra a quelle di Santiago per baciarlo ancora quando…il sangue di vampiro si mescolò a quello umano e prese a scorrere velocissimo nelle sue vene. Lei si ritrovò stesa a terra, schiacciata e soffocata dal dolore che provava simile a quello di un fuoco che le ardeva dentro, il corpo sembrava fuori controllo, scosso da violentissimi spasmi mentre tentava invano di graffiarsi per allontanare quella sofferenza.

Sotto lo sguardo sbalordito di Santiago la pelle piena di ferite e cicatrici della ragazza si rimarginò, tornando rosea come se non le fosse mai successo nulla, e…le sue labbra si rimarginarono in un lampo, assumendo però una sospetta, preoccupante sfumatura violacea.

E così, tanto veloce com’era iniziata, quello strano avvenimento terminò con la stessa rapidità: Erice riprese a respirare normalmente, il suo cuore batteva vigoroso, ora si sentiva in grado di spostare le montagne, con quella inaudita, nuova forza che le scorreva dentro, tanto che aprire gli occhi e sorridere al vampiro che le stava davanti le sembrava riduttivo, ma fu tutto ciò che riuscì a fare poiché, poco dopo quella forza che sentiva dentro l’abbandonò e, come una bambola di pezza chiuse gli occhi, perdendo i sensi.

 

Santiago la osservò ancora una volta, così indifesa, serena e dolce, ora che dormiva, nessuna ombra di sofferenza le solcava il volto, tutte le sue ferite erano rimarginate.

Quello che le aveva fatto, che aveva fatto ad entrambi- lo Scambio di Sangue- era andato a buon fine: ne aveva letto in proposito su un libro che parlava delle abitudini dei vampiri arabi(i quali, tra le tante mogli vampire qualche volta volevano legarsi anche a delle umane)ma, per ciò che il libro aveva definito “cambiamenti fisici della persona” avrebbe dovuto attendere anche se- dovette confessare a se stesso- un cambiamento c’era stato e pareva anche irreversibile: lui aveva salvato la vita ad Erice, facendo qualcosa per alleviarne le sofferenze, eppure gli sembrava che fosse stata lei ad entrargli dentro.

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Innanzitutto ringrazio chi mi ha lasciato un commentino, mi hanno fatto davvero molto piacere:

Luce70: sei sempre puntualissima e hai l’occhio davvero allenato a notare mille particolari. Spero che, il comportamento di Marcus non ti abbia deluso anche qui, così come quello di Didyme e di Caius inoltre, dimmi che ne pensi del modo in cui Santiago e Erice si sono riavvicinati, mi auguro non ti abbia delusa.

Ayumi_L(spero di averlo scritto bene): grazie mille per aver aggiunto la storia tra le seguite(dico bene? ?-? ) e per il tuo commento, mi è piaciuto davvero il fatto che tu abbia visto Marcus e Didyme come una sorta di mamma e papà per Erice.

Due paroline sul capitolo: mi è venuto in mente questa mattina perciò è buttato giù in fretta e furia ma spero vi piaccia lo stesso! Per quanto riguarda lo “scambio di sangue”spero se ne sia capita la dinamica(se non è molto chiara chiedete e vi darò delucidazioni), me lo ha consigliato una mia amica(che ringrazio) che legge “il diario del vampiro” e spero lo apprezziate.

Qualche domandina per tutti(chiunque passi per leggere il post o chi avrà tempo di lasciare un commento)cosa ne pensate della reazione iniziale di Aro? chi pensate che siano i tre vampiri che salvano Erice dall’avvelenamento da cianuro? E “l’angelo custode” che le lascia da mangiare nel primo periodo di prigionia? Perché secondo voi, le labbra di Erice, guarite grazie al sangue di Santiago sono diventate viola?

Ultima info per tutti…tra poco dovrò tornare tra i banchi a fare la “persona seria” perciò non credo di poter aggiornare tanto presto e con tanta facilità, non so se sospendere la storia o lasciarvi in attesa, che dite?

Grazie a tutti

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Erice Volturi ***


Capitolo X

Erice Volturi

 

Didyme entrò a passo deciso, rapido nel Salone Principale, aprendo le porte di scatto, l’atteggiamento imperioso, come fosse stata una regina. Un raggio di sole rischiarò il suo passaggio, colpendola e facendola risplendere come un prisma.

-         Signori, perdonate il mio ritardo. Immagino sappiate perché ho chiesto di riunirvi qui: ho bisogno di parlare, a tutti voi, di una questione importante.- esordì, lasciando scorrere un eloquente sguardo cremisi sui tanti vampiri che affollavano ordinatamente la stanza. Non mancava nessuno: era presente l’intera Guardia, e tutti i membri del Consiglio. Ognuno però, la guardava perplesso, ammutolito.

Dalla prima fila, quella più vicina ad Aro, Alec e Jane sghignazzarono.

Aro posò il suo sguardo su di loro, così come Didyme, che li incenerì con un’occhiata ma, contrariamente a quanto la vampira si aspettasse, il fratello si unì alla loro risata mentre si spalmava arrogantemente sul suo trono.

-         Ho come la sensazione di avere un dejà vu, la favola si ripete non trovi, sorella? Sei venuta di nuovo a parlarci di Erice. Davvero non capisco perché le dai tanta importanza, è solo un’umana, dopotutto. Ora che il suo sangue è stato contaminato dal veleno, inoltre, non possiamo neanche mangiarla. Di che utilità potrà esserci, d’ora in avanti? Se non ti conoscessi direi che ti stai legando a lei come se la considerassi tua figlia.- la sbeffeggiò, con voce cantilenante, muovendo in aria una mano, con noncuranza.

Senza alcun preavviso la vampira emise un inquietante, poderoso ringhio che risuonò in ogni angolo della quieta sala, facendo impietrire tutti i vampiri che si trovavano lì. I “fantastici quattro” scattarono in posizione di difesa, stringendosi attorno ad Aro.

-         Molto bene, fratello. Hai espresso la tua opinione…ebbene sì, è di Erice che sono venuta a parlarvi; vorrei che mi diceste cosa pensate di lei.- sussurrò, dopo aver ritrovato un po’ di contegno, rivolgendosi alla Guardia attorno a lei, mentre si sistemava, tesa, la camicetta di seta che indossava.

-         La stiamo addestrando molto bene: ha un buon udito e la vista aguzza, è veloce e intelligente. È molto rispettosa nei nostri confronti, e più di una volta ha dimostrato di esserci fedele, nonostante sia dovuta ricorrere a metodi poco ortodossi.- rifletté Caius, con convinzione incrociando lo sguardo di Marcus al termine del suo discorso, per un silenzioso riferimento alla Transilvania.

-         Se permettete, mio signore Caius, forse “rispettosa” non è un termine che le si addice dal momento che, quando mi recavo nella sua cella, per eseguire gli ordini, l’umana non faceva altro che travalicare la mia autorità e quella che voi rappresentate attraverso di me. - s’intromise Felix, assumendo un falso atteggiamento angelico mentre esprimeva la sua acida opinione.

-         Eppure, quando ho sondato l’intensità del suo legame con noi, attraverso il mio potere, vi assicuro che- per provare- ho tentato anche di annullarlo e mi è stato praticamente impossibile…la ragazza ci venera, ci adora, farebbe qualsiasi cosa per noi perché credo ci consideri la sua…famiglia.- mormorò Chelsea, facendosi leggermente avanti perché tutti la vedessero.

-         Sì, è la sensazione che ho avuto anch’io quando le ho fatto subire il mio potere. Il fatto che non abbia mai mostrato apertamente il dolore che provava, mi ha inquietato visto che, insomma…è umana ed io l’ho spinta al limite, ma lei non ha mai ceduto. E…anche questo particolare per me è stata una sorta di dimostrazione del suo desiderio di sentirsi alla nostra altezza.- soggiunse Afton, affiancando la sua compagna.

-         Già ma non lo sarà mai, non sarà mai come noi. Tutte le qualità che ne avete elencato- l’udito, la vista, la velocità, l’intelligenza, la sopportazione del dolore, persino quelle strane poesie che scrive e che ho potuto leggere quando mi trovavo nella sua cella- non la renderanno altro che una patetica imitazione di noi!- sentenziò dura Jane, fissando tutti con gli occhi che mandavano lampi, adirata forse dal ricordo di come Erice si fosse tenuta dentro le urla, quando lei l’aveva torturata.

-         Calma Jane, la nostra signora Didyme ci ha solo chiesto cosa pensavamo di lei, non cosa pensiamo che lei diventi come noi.- fece Eleazar, muovendo un timido passo avanti, la pelle olivastra del viso tesa, le mani coi palmi in vista davanti a sé, sebbene la voce fosse pacata mentre cercava di mantenere un atteggiamento calmo, per acquietare l’atmosfera resa precaria dall’atteggiamento astioso di Jane. Era risaputo, infatti, quanto tutti temessero la sua abilità.- comunque, se posso, vorrei mettervi a parte dell’impressione che mi sono fatto di quella piccola umana.- nessuno replicò, perciò lui proseguì – ho avuto modo di osservare Erice da lontano, poiché da quando è uscita dalla cella in cui era rinchiusa, qualche mese fa, sembra terrorizzata da noi, e mantiene le distanze. Le sue ferite si sono rimarginate con più velocità del normale, è più agile ora, più veloce e forte di quanto non fosse prima. Pensate che ha addirittura rotto uno specchio, dal momento che detesta guardarsi le labbra, nelle quali, quando si sono rimarginate è rimasto del cianuro, con cui era venuta a contatto nella cella. Qualche settimana fa, passeggiando tra le vie di Volterra, si è imbattuta in due umani che avevano commesso un furto: le è bastato uno sguardo, per capire che erano colpevoli, che non avevano il cuore puro, e i suoi occhi sono diventati neri. Vi assicuro, signori, che Erice ha sviluppato un potere, l’ho percepito: è in grado di vedere nell’animo delle persone…non so come sia potuto succedere ma, visto che prima non aveva mai mostrato questo genere di segnali, ho ragione di credere che tutto sia avvenuto a seguito della sua prodigiosa guarigione, e magari tutto dipende dal veleno che le scorre nelle vene .- spiegò a quei vampiri che, ammutolitisi improvvisamente, lo ascoltavano curiosi.

Didyme perse per un attimo il contatto con la realtà che la circondava e fu travolta dai ricordi collezionati negli ultimi mesi attorno alla figura di Erice…quello che aveva detto Eleazar era vero: sembrava terrorizzata da loro, tanto che, ogni volta che vedeva un vampiro, si rifugiava nella sua stanza, tremando. Nel periodo successivo alla sua uscita da quella cella, la ragazza era cambiata; sembrava regredita, come se il suo quattordicesimo e quindicesimo anno di vita, non fossero mai esistiti. Stava quasi sempre al chiuso, da sola, con il volto nascosto dietro dei libri; inoltre, non aveva mai fatto cenno con nessuno a come avesse fatto a guarire tanto in fretta dalle ferite che aveva, e non si guardava mai allo specchio, nascondendo poi i suoi begl’occhi dietro scuri occhiali da sole, quelle rare volte che decretava di dover prendere un po’d’aria.

Spesso Didyme si era anche chiesta come mai il colore verde delle sue iridi mutasse in nero o in dorato, ogni volta che incontrava qualcuno, ed ora che Eleazar le aveva fornito una spiegazione per il primo cambiamento di pigmentazione, la vampira si arrischiò a supporre che il colore dorato apparisse ogniqualvolta si imbattesse in qualcuno dal cuore puro.

-         grazie Eleazar. Ma, in effetti, senza nascondervi il mio sollievo nell’udire le belle qualità che avete trovato nella piccola Erice, vorrei chiedervi- poiché domani compirà 17 anni- quanti di voi siano favorevoli a che Erice entri a far parte della Guardia dei Volturi.- disse Didyme, il mento alto l’espressione fiera e felice. Attendeva fiduciosa una risposta, per nulla spaventata dal silenzio sgomento che era calato nella stanza, come una coppa di vetro. Forse molti stavano valutando la possibilità che fosse impazzita, ma a lei non importava, si sentiva così forte spalleggiata anche dal sorriso radioso di Marcus.

Aro proruppe in una squillante, femminea, prolungata risata che la irritò non poco.

-         ah, ah ah! Che bello scherzo sorella.- ma Didyme non cambiava espressione. Era ferma, e perseverava nella sua convinzione.- cosa? Stai dicendo sul serio? Vuoi far entrare un’umana nella Guardia? Sei impazzita? Perderemmo credibilità come congrega!- mormorò scandalizzato, mentre balzava in piedi.

-         Aro, fratello, tu definiresti “umana” una persona che ha affinato i suoi sensi fino a renderli simili ai nostri, per avere qualcosa di simile alla nostra percezione del mondo? Che si è spinta al limite delle sue capacità e possibilità per diventare migliore, per compiacerci? Definiresti “umana” una che venera dei vampiri? E poi, non hai sempre detto che nella congrega vuoi dei componenti che siano degni di questo nome? Dotati? E lei non ha forse sviluppato un potere come ci  ha fatto gentilmente notare Eleazar?- domandò la compagna di Marcus, sibilando mentre inchiodava il fratello con lo sguardo, nonostante cercasse di mantenere un atteggiamento diplomatico.

I “fantastici quattro” ringhiarono, probabilmente offesi da quelle parole che avevano osato comparare una stupida umana alla loro perfezione.

- mi sembra  di capire che il vostro sia un “no”.- osservò la vampira mora, obiettiva, ma quasi divertita.

- ma il mio è un sì. Per quanto Aro possa pensare che questo verdetto sia contro natura, credo che, dal momento che non possiamo più nutrirci del suo sangue, tanto vale volgere le capacità di Erice a nostro vantaggio.- intervenne Caius, alzandosi in piedi.

Marcus lo seguì a ruota, mormorando un semplice sì.

Molti altri vampiri della Guardia imitarono il suo esempio, tra cui Afton, Chelsea, Corin, Eleazar… facevano un passo avanti e davano il loro consenso, incuranti dell’espressione di Aro, di quella dei “fantastici quattro” o di un’ammutolita Heidi, affiancata da una sconvolta Renata.

Didyme sorrise al cospetto di quella dimostrazione di solidarietà; se avesse potuto, probabilmente avrebbe pianto.

-         visto, fratello? Anche l’ultima volta ti sei mostrato contrario, eppure “la mozione” è stata approvata grazie al giudizio del popolo…- bisbigliò, soddisfatta, sulle labbra perfette un sorriso vittorioso, che non mostrava i denti.

Bastò che il suo sguardo si posasse su Santiago perché quello svanisse in un lampo all’ombra delle colonne del Salone, per riemergerne un attimo dopo, con una scatolina nera tra le mani, ornata da un delicato nastro di raso rosso.

-         Santiago, tu sei l’ultimo da cui mi sarei aspettato un simile comportamento: da sempre sei vicino ad Erice, e più volte hai dimostrato quanto lei ceda facilmente al richiamo della carne. Come puoi, ora, mostrarti favorevole a che lei diventi una Volturi?- gli domandò Aro, freddo, pungente mentre quello gli dava le spalle.

Il vampiro messicano scoprì i denti adirato all’idea che ciò che provava per Erice, tutto quello che aveva fatto per lei in quegli anni, potesse essere considerato in maniera tanto greve e vile; ma Didyme interpretò la sua reazione come quella di un traditore che veniva smascherato. Così, folle di rabbia al pensiero che, quella che aveva sempre considerato come la sua bambina,- della quale si era sempre presa cura, anche nel periodo di prigionia quando, aiutata dalla schiava Evangeline(che non faceva certo un segreto di quanto l’umana le fosse cara)aveva fatto sì che alla ragazza giungessero il suo quaderno e del cibo con cui sfamarsi- potesse essere circondata da un tale bastardo, strappò dalle mani di Santiago la scatolina e lasciò la stanza, seguita da tutti quei membri del Corpo di Guardia che si erano mostrati favorevoli ad accogliere Erice tra loro.

 

Quella notte, verso mezzanotte, seguita da Marcus, la sorella di Aro entrò nella stanza di Erice, tenendo tra le mani la scatolina nera presa nel Salone Principale e un pasticcino sormontato da una candelina accesa.

Delicatamente la svegliò mentre, sorridente, pensava che non aveva mai visto nulla di tanto bello…

Ma l’umana, trovandosi davanti i suoi signori, sobbalzò e si rannicchiò, tremante, contro il muro, i piedi posati sul cuscino.

-         piccola mia, reagisci così adesso, quando si festeggia il tuo compleanno? Certo, mi rendo conto che ci siamo presentati qui ad un orario poco consono ma…non riuscivo ad aspettare, ero troppo trepidante all’idea di festeggiare, insieme il tuo diciassettesimo compleanno!- disse Didyme, continuando a sorridere.

Erice si rilassò appena e, mentre il suo volto riacquistava un po’di colore, gli occhi assunsero improvvisamente una tonalità dorata…

I tre si irrigidirono leggermente, non ancora del tutto abituati a quella novità; poi, tutto passò in un lampo e la ragazza sorrise, timida ancora scostante, ma certa che poteva fidarsi dei vampiri che le erano accanto.

Stendendosi piano verso la candelina, la spense in un soffio, provando un’emozione nuova in quell’istante, dal sapore sconosciuto.

Didyme sembrava più felice di lei quindi, incapace di trattenersi, la fece alzare e l’abbracciò di slancio, senza lasciarle il tempo di esternare la felicità che stava contagiando anche lei. Un attimo dopo le porse la scatolina nera, osservando curiosa la reazione della ragazza dinnanzi a quello che conteneva.

Ad Erice infatti, mancò il respiro. Le tremavano le gambe. Cosa significava il dono che aveva tra le mani?

Perplessa, col respiro corto studiò quel ciondolo…era una piccola “V”in oro, fissata da due rubini nel centro di un disco d’argento dalla forma ovale.

-         cosa…cosa?- farfugliò, senza parole.

Didyme sorrise mentre le carezzava una guancia, e la fece girare per fissarle la sottile catenella d’argento da cui pendeva il ciondolo, al suo collo.

-         benvenuta tra noi, Erice Volturi.- la salutò la vampira, seria dopo che Marcus l’ebbe affiancata.

La mente della ragazza si annebbiò per lo choc, i pensieri vorticavano tanto veloci da confonderla; quelle parole non avevano senso.

-         miei signori…?- fece.

-         Erice, sbagli. Ora sei cresciuta e ti serve un radicale cambiamento: da adesso fai parte della Guardia dei Volturi e domani mattina dovrai presentarti alla Cinta Muraria. Dovrai ostentare sicurezza, consapevolezza di chi sei, di cosa rappresenti e di chi proteggi. Ora che sei in tutto e per tutto una Volturi, non avrai tempo per essere remissiva, dovrai obbedire agli ordini, dimostrare coraggio ma dovrai anche trovare la forza di rischiare nel prendere decisioni da sola, laddove le riterrai giuste, anche se distanti dagli ordini che ti saranno impartiti. Ma siccome hai già dimostrato di possedere la maggior parte di queste qualità, nelle Prigioni ed in generale da qualche anno a questa parte, direi che puoi cominciare con questo enorme cambiamento chiamandoci “madre” e “padre”.- le spiegò Didyme, abbracciandola per bloccare il flusso delle sue domande e, infine, indicando prima se stessa poi Marcus.

Erice sorrise con sincerità, davvero felice, per la prima volta nella sua vita e, alzando la testa, ripetè ancora e ancora quei nomignoli ad alta voce, scoprendo che tra le labbra avevano un sapore di stima, rispetto, affetto.

Marcus e Didyme la trascinarono per i corridoi di Palazzo dei Priori, dopo un po’ e, rifugiatisi con lei in una delle tante stanze affrescate presenti in quel posto, trascorsero tutta la notte cosa significasse in pratica “cambiare radicalmente”. Non fu affatto come quando si era allenata con Anthenodora o aveva preso lezioni da Sulpicia, questa volta Erice si divertì, rise, e provò il piacere di abbracciare sua madre e suo padre, inalando il loro profumo dolcissimo, o stampandosi a fuoco nella memoria i particolari dei loro volti tanto che, quando si fece giorno, a tutti e tre parve che il tempo fosse trascorso troppo in fretta.

Erice stava per lanciarsi spensierata verso la Cinta Muraria, avvolta nella sua nuova mantella grigio fumo( in parte per uniformarsi al nuovo gruppo cui apparteneva, ma anche per non destare sospetti in eventuali umani che l’avessero vista presso le Mura), quando Didyme la fermò, afferrandole un braccio e, dopo un grave sospiro le raccontò del colloqui avuto con Aro- parlandole quindi della sua convinzione che, da allora in avanti, per evitare di ricevere critiche da lui, sarebbe dovuta essere impeccabile, eccellente nel suo ruolo- senza tralasciare di dar rilievo alla sua certezza che Santiago, fino a quel momento, non avesse fatto altro che umiliarla, su preciso ordine di Aro.

Erice si intristì a quella notizia, stando però attenda a nascondere il volto nel cappuccio, come una tartaruga, e portò istintivamente una mano alle labbra scure, carnose, sopraffatta dal ricordo dell’ennesimo gesto- stavolta molto più significativo di altri fatti in anni passati- che il vampiro messicano compiuto per salvarla, qualche mese prima.

Certo, ora aveva le labbra piene di cianuro ed era certa che avrebbe dato la morte a qualsiasi umano che avesse baciato, ma era anche convinta che, proprio grazie allo Scambio di Sangue, alla mescolanza del suo sangue con quello di Santiago, era dovuto il fatto che avesse ereditato dei poteri, oltre che migliorato i suoi riflessi, e le sue capacità.

Dunque, nulla aveva senso: se Santiago era sempre stato agli ordini di Aro, perché mai avrebbe dovuto baciarla, guarirla, venire nella sua cella nonostante non gli fosse stato concesso?

-         terrò le distanze da lui, madre…- promise. Ma non riusciva a smettere di farsi tormentare da quella domanda, a togliersi le mani dalle labbra.

-         Lo so, ti infastidisce che le tue belle labbra siano di quel colore, ma…Marcus, Caius ed io non siamo riusciti a fare di meglio.- fece Didyme con tono di scuse, notando, di sott’ecchi, che la ragazza era fossilizzata in quella posizione.

Erice si riscosse, sforzandosi di sorridere e mormorò un basso “mi avete salvato la vita”, prima di scappare via, in direzione della Cinta Muraria.

 

Lì trovò l’intera Guardia ad attenderla e festeggiò con loro per due ore, tra risate e un clima di spensieratezza, tuttavia, ogniqualvolta il viso di Santiago faceva capolino tra i suoi pensieri o lui in persona tentava di avvicinarla, la tristezza per le parole di Didyme, tornava a farsi sentire. Poi, si mise al lavoro, e da allora i giorni scivolarono via come un festoso ruscello dalle rapide correnti. Il suo ruolo era duro, ma le dava molte soddisfazioni(soprattutto perché, ispirata dal discorso che sua madre le aveva fatto la notte del suo diciassettesimo compleanno, si sforzava di fare sempre del suo meglio)prima tra tutte, vedere la sua bella città che prosperava tranquilla, sotto la protezione di uno stuolo di vampiri e sua.

Ogni giorno, ad Erice sembrava di vivere una nuova avventura e, man mano che imparava a conoscere i vampiri che le erano sempre accanto- scoprendo un attimo confidente in Eleazar, pacato e riflessivo; capendo che Chelsea era dotata di una risolutezza, fermezza ed un istinto protettivo verso di lei, non comuni; e che Afton era dotato di un’affabilità ed una giovialità inaspettate…- si sentì finalmente parte di una famiglia.

Eppure, tutte le sere, quando tornava nella sua stanzetta, la ragazza sentiva che le mancava qualcosa e il velo di malinconia che l’avvolgeva allora, non faceva altro che acuire quella sensazione di assenza.

 

-         non fraintendermi Eleazar, io sono felicissima di quanto ho, di quanto perché mi sento finalmente parte di una famiglia, e sarei pronta a dare qualsiasi cosa per i Volturi, anche se non sono una vampira, ma solo un’umana dai sensi più fini e dalle capacità più sviluppate rispetto agli altri(senza contare il cianuro che ho nelle labbra); ma…mi sembra che mi manchi qualcosa…- confessò una mattina al vampiro che un tempo aveva fatto parte dello stesso clan di Santiago, mentre insieme avanzavano sul camminamento della Cinta Muraria.

Ma Eleazar non rispose, stava fermo come una statua e fissava perplesso- o magari solo con l’aria di uno che la sapeva lunga- qualcosa davanti a lui. Erice sollevò subito lo sguardo, leggermente infastidita dalla causa- qualsiasi essa fosse- dell’interruzione. E nella frazione di secondo che seguì non potè fare a meno di notare quanto realmente fosse cambiata: un tempo non sarebbe forse rabbrividita all’idea di essere interrotta e scoperta mentre parlava con un vampiro di tali faccende?

Davanti a loro, le braccia raccolte al petto, la schiena poggiata sul muretto di pietra del camminamento, stava Santiago; il portamento rigido, sembrava emanare ondate di rabbia pura che partivano dagli occhi e si spandevano in tutto il corpo ma era comunque bello come un qualche sconosciuto dio pagano della vendetta.

-         il problema che hai, c’entra forse qualcosa con me, chica? Perché quello che ho io, ha come fulcro te, e devo parlarti…- disse, veloce, conciso mentre cercava di sembrare impenetrabile, mentre invece era perfettamente udibile nella sua voce, il dolore che provava.

 

ANGOLO AUTRICE

Tadaaaaaaaaaaaan!

Ciao a tutti!

Eccomi ancora qui, ho tentato di aggiornare il più presto possibile! Spero che il capitolo vi sia piaciuto anche se credo di avervi dato parecchie cose su cui riflettere. Che dite?

Fatemi sapere che ne pensate!

Ora passo a ringraziare “i commentatori” ai quali, non smetto mai di dire che mi fa veramente molto moltissimo piacere leggere ciò che pensano di quello che scrivo, perché mi spinge a migliorare e mi da idee per continuare questa ff.

Rasoiner: benvenuto/a! grazie per aver lasciato un commento ed aver inserito questa storia tra le seguite. Per quanto riguarda il veleno (di Santiago. Perché era quello che intendevi, no?) come hai potuto leggere in questo capitolo, ha prodotto altri effetti in Erice, come lo sviluppo della sua “vita dell’anima delle persone”e, non si è trasformata perché ho deciso di distaccarmi dalla versione data dalla Meyer. Ho preferito ricollegarmi a Anne Rice(la quale dice che un vampiro trasforma un altro umano in vampiro bevendone il sangue e poi facendo sì che quest’ultimo beva il suo. Una sorta di scambio di sangue, per capirci)e nello stesso tempo dare una versione nuova: lo Scambio di Sangue produce nell’umano “super capacità” ma solo temporaneamente, (in quanto siccome il sangue nelle vene dell’uomo, scorre, il sangue di vampiro che ha in sé viene presto sostituito da del sangue nuovo e “le capacità”svaniscono)e un umano diventa vampiro solo se, dopo aver fatto lo Scambio di Sangue, viene ucciso(comunque ne parlerò meglio nel prossimo capitolo). Spero di essermi spiegata in modo chiaro e soprattutto mi auguro che, nonostante questo distacco da zia Steph, le circostanze ti piacciano lo stesso. ^___^

Luce70: piaciuto come si è evoluto il capitolo- anche se dopo una sorta di riavvicinamento Santiago ed Erice si sono allontanati di nuovo? Che ne pensi di come si sta mettendo per Erice e il ruolo che ormai hanno assunto Marcus e Didyme nella sua vita? Direi che la figura di Aro, il suo carattere li hai pienamente azzeccati(infatti se hai notato è stato uno dei pochi a contrastare la proposta di Didyme, e questo contrasto con sua sorella, ma anche con Erice, si farà via via più aspro…non anticipo nulla però!)inoltre, sul ruolo dei “tre salvatori”c’hai preso, e invece solo in parte per l’identità dell’angelo custode(in quanto Evangeline era solo l’esecutrice e Didyme invece la “mandante”). Spero di aver risposto a tutte le tue supposizioni(che, veramente, ogni volta è un piacere leggere)altrimenti, se ne ho dimenticata qualcuna, spero troverà risposta nel capitolo che hai appena letto.

ayumi_L:grazie davvero del tuo commento e dei complimenti che mi hai fatto(in merito a ciò che pensi dei miei personaggi) mi ha fatto moltissimissimo piacere oltre al fatto che sono stata davvero felice di trovare il tuo “messaggio privato”(si può chiamare così?)e scusami se ti rispondo qui, ma non so come si faccia a rispondere usando lo stesso metodo!(a proposito, sei liberissima di rispondermi privatamente per espormi teorie o eventuali domande sulla ff)

Allora, rispondo alle tue domande…come avrai capito Aro non ama Erice, di conseguenza sta cercando ogni modo possibile per farla soffrire o togliersela dai piedi; Caius(come avrai letto dalle parole che dice per far sapere che accetta Erice nella Guardia)è un opportunista legato al potere, ma siccome è in debito con Erice, gli salva la vita, aiutato anche da Marcus e Didyme. L’identità dell’angelo custode, anche tu, l’hai azzeccata, ma solo in parte perché sono due persone distinte, Didyme ed Evangeline. Le labbra di Erice sono nere perché in esse è rimasto del cianuro quando si sono rimarginate grazie al sangue di Santiago.

Per quanto riguarda il cambio di nick, non ti nascondo che sono rimasta sorpresa quando me lo hai detto(con gli occhioni dolciotti, per intenderci)ma se vuoi cambiarlo non ho problemi, l’imput deve partire da te ^__^

 

Di nuovo grazie a tutti!

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** il compagno della Discordia ***


ATTENZIONE: SICCOME NON SAPEVO COME CAMBIARE IL RATING DI QUESTO SINGOLO CAPITOLO, VE LO SCRIVO ALL’INCIPIT: QUESTO CAPITOLO POTREBBE AVERE UN RATING ROSSO PER LE SCENE PROPOSTE.

 

 

 

Capitolo XI

Il compagno della Discordia

 

Le tante sfumature colte nel tono di voce di Santiago avevano spinto Erice ad afferrare la sua mano, a lasciare che lui la caricasse sulle proprie spalle per poi trascinarla via mentre, con sua grande sorpresa si allontanavano da Volterra.

Ben presto però, nel cuore della ragazza scomparve l’ansia per quell’allontanamento forzato, così come andò a farsi benedire la sua razionalità ed i suoi propositi di parlare immediatamente con Santiago: era ammaliata dalla sua presenza, dalla sua vicinanza ma soprattutto era ipnotizzata dalla corsa velocissima che aveva spiccato il vampiro; erano praticamente invisibili mentre passavano- senza quasi toccare terra- tra stradine e campi di grano, e la luce del sole, che carezzava ogni cosa non li toccava mai.

L’impetuoso vento generato dal loro spostamento rischiò addirittura di far scivolare il cappuccio di Erice sulle proprie spalle, ma lei non se ne curò: era completamente assorbita dalla nuova emozione che lei e Santiago stavano vivendo, insieme; il cuore le batteva all’impazzata ed una felicità indicibile si mischiava all’adrenalina in ogni fibra del suo corpo. Impetuosa, strinse più forte le mani attorno al collo del vampiro, annodò meglio le gambe alla sua vita e si spinse appena in avanti per baciargli il collo. Finalmente si sentì completa e seppe che quel senso d’assenza che provava, non dipendeva da altri che da lui.

Quando Santiago si fermò, Erice si rese conto che si trovavano in qualche isolato boschetto, sperduto nella campagna toscana, gli alberi distavano l’uno dall’altro circa tre metri e solo qualche lama di luce si insinuava tra le loro chiome, bagnandolo appena d’ombra.

Dopo un momento di silenzio stupito, la ragazza rimise agilmente i piedi a terra e subito, tenendo la testa alta si tolse il mantello, lo gettò sul terreno profumato di umido, per lasciarsi pervadere completamente dal profondo sollievo e appagamento che la vista e la vicinanza con Santiago le davano.

Il vampiro messicano la fissò per un lunghissimo secondo, contemplando la sua bellezza, il senso di mancanza che ora veniva finalmente placato e la serenità che lei sembrava irradiare; per un attimo se ne lasciò persino contagiare ma poi, memore dell’indifferenza di Erice, durante tutti quei mesi, mostrò i denti, ringhiando appena mentre i lineamenti del suo viso tornavano ad indurirsi. Stava per ringhiare ancora, con più forza questa volta, all’ultimo tuttavia riuscì a trattenersi ed a decidere- per non spaventarla- di incanalare la sua rabbia e scaricarla sull’albero più vicino che però, al suo minimo tocco, crollò con un tonfo, andando a posare la sua capiente stazza tra Santiago ed Erice.

Lui osservò quella scena così muta, semplice, ma piena di simbolismo: non era solo un baratro a dividerlo da Erice, a dividere lui ed Erice, ma un baratro rappresentato dalla sua specie, dalla sua natura.

Vide il suo bel viso intristirsi e sbiancare e si maledisse per essere ugualmente riuscito a spaventarla; il suo cuore fermo (magicamente ricomparso grazie durante la corsa con lei sulle spalle, e scomparso, invece quando lei aveva iniziato ad evitarlo)ringhiò e pianse amareggiato perché lei stava soffrendo a causa sua. Avrebbe voluto essere vicino a lei, in un lampo, abbracciarla, vedere il suo sorriso che rifioriva e saperla più tranquilla mentre il suo cuore batteva allegro contro il suo petto. Ma pensò anche che fosse così che doveva essere, era giusto che un’umana temesse dei vampiri, non che ne baciasse uno.

Un brivido gli corse lungo la schiena quando comprese che, nonostante non volesse, doveva essere duro con lei al fine di farle capire quanto fossero sbagliate le parole che le aveva sentito dire ad Eleazar.

Come aveva potuto pensare di dire che era felice di far parte della Guardia, quando era risaputo quanto Aro la detestasse e quanto si fosse opposto a che lei avesse un posto tra loro? Ma soprattutto, dal momento che lei era un’umana (per quanto super dotata)e loro invece dei vampiri che, per ordine di natura, avrebbero dovuto mangiarla?

E…dios, nonostante per tutti quei mesi, la lontananza da lei gli avesse causato dolori tanto lancinanti da impedirgli di ragionare, Santiago sapeva benissimo cosa- o meglio, chi- l’avesse spinta a prendere le distanze da lui…

Possibile che- magari usando il potere che aveva sviluppato e di cui tutte le guardie parlavano- non fosse stata in grado di capire che lui non complottava con Aro per danneggiarla, e che non l’avrebbe mai fatto?

Quel pensiero, la colpa di cui era ingiustamente stato accusato tornò a soffocarlo e sentì la necessità di sollevare di scatto la testa e ringhiarle o urlarle contro che era colpa sua il dolore che provava, della sua stupidità. Riuscì miracolosamente a trattenersi, ma le parole, sgorgarono dalle sue labbra come un fiume.

-         Vedi quest’albero, chica? Presto ricrescerà non temere, le sue radici sono salve…ma per ora consideralo un simbolo: la netta divisione tra te e me. Perché io sono un vampiro e tu…una semplice umana…non vedi quanto siamo diversi? Quanto ti ho sentito dire ad Eleazar, chica, mi ha fatto pensare che tu non lo capisca, che tu sia una stupida: dici di essere contenta di ciò che ti è stato concesso, che sei felice di far parte dei Volturi, ma…ciò che hai fatto è contro natura perché noi dovremmo mangiarti, non accoglierti tra le nostre fila!- disse, con tono duro, freddo, tagliente, mentre indicava l’albero e la inchiodava con uno sguardo intensissimo.

-         Di cosa diavolo stai parlando, Santiago? Come osi offendermi? Io sono diversa da voi, è la verità, ma mi sono guadagnata un posto nella Guardia esattamente come ognuno di voi ha fatto, prima di me!- Erice, che per ogni secondo, fino a quel momento aveva tenuto gli occhi fissi sul vampiro, rapita dalla sua bellezza che, mista alla rabbia che lo scuoteva, sembrava ancora più accentuata e fiera; abbandonò violentemente il torpore che l’aveva persuasa a rilassarsi a seguito della prima reazione di Santiago e gli urlò contro, adirata, mentre una mano correva istintivamente al pugnale che aveva con sé, e l’altra al ciondolo che le pesava al collo.

-         Folle umana, dici di sentirti parte del nostro gruppo, ma c’è molto che non sai di noi, perché fai ancora fatica ad assumere un atteggiamento diverso da quello che ti è stato impartito quando eri piccola, e voglio che tu capisca cos’è un vampiro…- mormorò frustrato.

Erice assunse una posizione rigida, quasi superba e si tese leggermente in avanti, verso Santiago mentre i suoi occhi verdi mandavano lampi.

-         Cosa sarebbe ciò che non so?- sibilò.

-         Ad esempio quello che accade ad un vampiro quando si espone alla luce solare…- sottolineò il messicano, alzando la testa verso le chiome degli alberi.

-         Beh, perché non me lo dimostri?- fece lei, in tono di sfida, i nervi a fior di pelle.

Una raffica di vento improvvisa e, colta di sorpresa la ragazza si schermò il viso con un braccio; quando Erice poté riaprire gli occhi, mettendo bene a fuoco ciò che la circondava, Santiago era sparito. Impiegò diversi secondi a capire dove fosse. Che l’avesse lasciata lì, dopo le parole dure che le aveva rivolto? Ma poi riconobbe, appesa ad un ramo, la sua maglietta attillata, bianca che sventolava nella brezza pomeridiana. Doveva per forza essere vicino…come si sarebbe ripresentato, altrimenti, a Volterra, senza camicia?

Poi, finalmente distinse il suo massiccio profilo all’ombra di un albero, gli occhi cremisi, purpurei come morbide rose, fissi su di lei, in attesa.

-         Sei davvero sicura di voler vedere? Di essere pronta?- domandò, ancora una volta lui, preoccupato che magari quanto sarebbe successo le avrebbe procurato uno choc. Lei però annuì, poiché, con i sensi distorti dalla paura interpretò la sua domanda come scherno.

Fu allora che Santiago avanzò lentamente, respirando ad ogni passo e, nel momento in cui capitò sotto un fascio di luce naturale, sollevò la testa verso il cielo, le braccia leggermente larghe.

Erice, nonostante fosse arrabbiata, non poté nascondere lo stupore per ciò che vide, anzi, parve che esso offuscasse qualsiasi altra emozione avesse dominato il suo cuore, prima.

Senza parole, sconvolta da tanta bellezza avesse davanti agli occhi, si portò una mano alle labbra, il cuore che pulsava in maniera disordinata…

Santiago, sotto la luce, era stupefacente: i raggi del sole si infrangevano sul suo petto scolpito, sulle braccia, sul collo (appena i ricci scuri gettavano qualche ombra sullo sguardo), come fosse stato un prisma, e mille riflessi iridescenti punzecchiavano gli alberi tutt’attorno.

Ad Erice sembrò di trovarsi in un’immensa cupola di vetro all’interno del quale scintillavano un milione di arcobaleni brillanti; di essere al cospetto di un’apparizione divina la cui pelle sfavillava più chiara del giorno.

Santiago abbassò lo sguardo su di lei, ma questa volta invece di trafiggerla con un’occhiata, la ragazza notò che sembrava indossare una maschera di antichissimo dolore e malinconia.

-         Vedi? È questo ciò che sono…- il suo tono era basso, sembrava quasi che si odiasse, o piuttosto odiasse ciò che le stava mostrando.

Erice non riuscì a parlare, le mancava il respiro ed il cuore, che batteva impazzito d’emozione, pareva incastrato in gola. Le cedettero le ginocchia, invece, e Santiago, dimentico di qualsiasi suo proposito, di qualsiasi pensiero o preoccupazione, che non fosse lei, si precipitò al suo fianco in un lampo, cingendole le spalle con le braccia.

Tremava, e questo non gli faceva affatto piacere; erano tremiti violentissimi, che la squassavano come singhiozzi. Poi, all’improvviso Erice aprì gli occhi e, quasi vergognandosene, sollevò piano la testa, fino ad incontrare lo sguardo di Santiago.

Il vampiro messicano si irrigidì, sconvolto da ciò che vide. Qualche attimo più tardi, più tranquillo, lasciò le spalle di Erice per prendere il suo viso roseo tra le mani e, sorpreso, osservò:

-         Dios, tutta la Guardia parlava del tuo potere, ma non pensavo dicessero la verità! Non credevo che fosse qualcosa di tanto stupefacente!-.

-         È per questo che sono felice di far parte dei Volturi, capisci, Santiago?  Perché mi sento accettata, perché questa mia diversità scompare, tra di voi…- sussurrò la ragazza, lo sguardo basso, le palpebre che bruciavano, sull’orlo delle lacrime; le parole del vampiro l’avevano davvero ferita.

-         Perdona, chica, è una diversità che ti ho causato io, tramite lo Scambio di sangue…il mio veleno ha curato le tue ferite e, probabilmente, misto al cianuro che era rimasto nelle tue labbra, ti ha dotato di questo potere.- disse, asciugandole velocemente le lacrime che le arrossavano appena le guance.

-         Perché il tuo veleno non mi ha trasformata in vampira?- chiese lei, perplessa. Quanto le era successo aveva dei punti di contatto con quanto le aveva raccontato spesso Logan, sulla nascita dei vampiri, ma era totalmente diverso da ciò che si poteva definire una “trasformazione” in vampiro.

Santiago rimise ancora una volta le mani sulle spalle della ragazza mentre l’aiutava ad alzarsi; non riusciva ad allontanare gli occhi da lei, dalle sue iridi d’oro liquido e dalla sua pelle, che rifletteva i suoi scintillii iridescenti. La fissò con uno sguardo furbo negli occhi: non era vero che Erice non sapeva nulla sui vampiri, semplicemente non dava a vedere ciò che sapeva.

-         Da ciò che ho potuto leggere su un libro che parlava delle abitudini dei vampiri Arabi, in merito a questo Scambio di Sangue si diceva che, l’umano deve essere morso da un vampiro e subito dopo bere il sangue di quest’ultimo, di modo da acquisire, così, capacità fuori dal comune, come la velocità o la forza…ma l’umano non viene trasformato in vampiro. Ciò avverrebbe solo qualora il vampiro che ha fatto lo Scambio per primo, decidesse di uccidere l’umano mentre il suo sangue scorre ancora nelle vene di quest’ultimo*. Ma non ho ritenuto corretto nei tuoi confronti, trasformarti in ciò che sono, tuttavia, abbastanza intelligente da capire che non sono mai stato uno scagnozzo di Aro, tanto da danneggiarti; sì. – spiegò lui, alterandosi mentre pronunciava le ultime parole. La lontananza ed il distacco da lei, a seguito dell’ammissione di Erice nella Guardia, gli avevano fatto molto male, ed era lampante come il sole.

-         Credi che non mi sentissi incompleta, mentre eravamo lontani? Ogni fibra del tuo essere è rimasta impressa a fuoco nella mia anima, dopo lo Scambio di Sangue, e durante ogni momento lontana da te mi sembrava di morire; ma il mio potere funziona solo quando sono sotto forte stress, perciò -pur sentendo che non avevi colpa perché, altrimenti, che motivo avresti avuto di venire nella mia cella a salvarmi?- ho dovuto dar retta alle parole di mia madre, ed allontanarti visto che nulla era certo…- disse la ragazza, angosciata al ricordo di quanto era avvenuto nei mesi precedenti.

-         Tua madre? E tua madre, Didyme, ti ha detto che tutti i componenti della Guardia hanno il diritto di trovare un compagno ed essere felici, dal momento che, l’equilibrio dei singoli assicura la stabilità dell’intera congrega?- replicò Santiago. Il ricordo del loro distacco gli faceva ancora perdere il controllo.

-         No, non ne sapevo nulla, ma…se questo diritto vale anche per me, allora ho già scelto il vampiro che voglio al mio fianco. È lui a dover scegliere me, e il problema è che non credo che lo farà, non dopo quello che è successo…- mormorò Erice, afflitta, mentre voltava le spalle a Santiago.

Il vampiro messicano sorrise, soddisfatto e colpito da quelle parole. Lo aveva ammesso: lo voleva, almeno quanto lui volesse lei.

Afferrò quindi, senza difficoltà, un braccio della ragazza facendola girare su se stessa, velocemente, per poi ritrovarsela tra le braccia, e l’abbracciò forte mentre gli occhi di lei si perdevano nei suoi, cremisi, tornando a brillare come degli smeraldi.

-         E se ti dicessi che quel vampiro ti ha già scelta? Che è un’eternità che ti aspetto, che da tutta la vita non desidero altro che averti accanto, e saperti mia, mia soltanto, dal momento che io mi sento completamente tuo?- gli chiese lui, di rimando mentre avvertiva che tra loro ogni barriera stava cedendo. Non avevano più segreti ormai, ognuno acquisì la consapevolezza della verità insita in quelle parole: si erano cercati a lungo, attesi ed ora non dovevano- e potevano- far altro che stare insieme, dal momento che qualcos’altro- magari le loro emozioni, o forse il Destino- aveva già scelto per loro.

Finalmente, dopo aver agognato e sognato a lungo quel momento, Santiago ed Erice si baciarono. Il tempo si fermò ed a scandire lo scorrere di ogni raggio di sole sulla pelle di entrambi, rimasero solo il cuore dell’umana, che pulsava allegro, di nuovo completo; il sangue che le ribolliva nelle vene; o il respiro affannoso dei due, unito l’uno nelle labbra dell’altra; le mani di entrambi che esploravano con foga e gentilezza ogni tratto dei rispettivi volti. Erice sembrava più titubante, emozionata: il viso freddo di Santiago o il suo addome perfetto scintillavano come un arcobaleno alla luce del sole.

D’un tratto, travolta dalle centinaia di sensazioni che imperversavano dentro di lei, la ragazza lasciò che le ginocchia le cedessero.

Santiago andò verso il suolo con lei, le braccia strette attorno alla sua vita piccola, rendendo quasi nullo l’impatto a terra.

Erano inginocchiati l’uno davanti all’altra, e d’un tratto si fermarono, guardandosi; gli occhi traboccanti di felicità mentre attorno a loro si formava una bolla di serenità atemporale, colma di sguardi, silenzi, sospiri…

-         Ti amo, Erice Volturi. - dichiarò Santiago, lasciandole un altro morbido bacio sulle labbra poi, un ultimo sguardo, che quasi chiedeva un permesso e, le sue mani delicate e attente, sbottonarono un bottoncino della camicia che lei indossava.

Erice si fermò, toccando la fronte del vampiro con la sua. Sorrise, lievemente a disagio. Cosa stavano per fare? Era qualcosa che lei voleva?

Ripensò ai mesi trascorsi lontana da Santiago, a quanto il suo cuore, la sua mente, e persino il suo corpo ne avessero sofferto…perché ora aveva tanta paura se già era successo qualcosa di simile? Durante lo Scambio di Sangue, non si erano forse uniti in una cosa sola, anche se in maniera spirituale? Quanto stava per accadere ora, era di certo un avvenimento nuovo per entrambi, ma si sarebbero finalmente uniti in una cosa sola, sarebbero stati compagni, seppur attraverso una via carnale per giungere a qualcosa di più spirituale. Perciò cosa poteva esserci di male, in quanto sarebbe accaduto di lì a poco?

Erice si riscosse dai suoi pensieri e riprese a baciarlo, con maggiore sicurezza, attesa di quello che sarebbe avvenuto; mentre Santiago le toglieva la camicetta e la faceva stendere sul proprio mantello, sotto di lui. Presto si ritrovarono nudi (non prima però, che Erice si fosse maledetta per aver indossato dei jeans, i quali, - credeva- l’avrebbero resa più goffa di quanto già non fosse, quando li avesse tolti. Ma era ovvio che non aveva tenuto conto della velocità sovrumana di cui disponeva Santiago, del desiderio che nutriva nei suoi confronti…); i corpi di entrambi che sembravano chiedere quell’atto, muovendosi con lo stesso ritmo, lenti come la risacca del mare.

La ragazza avvertì – a contatto con la pelle gelida di Santiago ondate di gelo e di calore che le correvano lungo la schiena, imperversando follemente, e d’un tratto, man mano che il ritmo saliva, iniziò a sentire dolore ma, per non mettere in ansia il suo amato, - che, era lampante, stava affrontando per la prima volta quella per la prima volta, dal momento che lei non l’aveva mai visto tanto tormentato e teso- afferrò la sua mano e ne intrecciò le dita con le sue, sperando che quel gesto, potesse tranquillizzare entrambi.

Poi, di colpo, mentre si scambiavano un bacio dolcissimo, Erice sentì un’onda che le si infrangeva addosso, violentissima e, abbracciando con passione Santiago, seppe che il dolore che aveva provato, quello che l’aveva resa rigida e un po’ spaventata, era mutato in piacere, puro ed intensissimo, tanto che le mozzò il fiato. Infatti, quasi si vergognò del suo respiro che accelerava, del gemito che le sfuggì dalle labbra quando la sua schiena si inarcò o del fatto che, ancora avvinta nell’abbraccio in cui aveva stretto il vampiro, le parve di sentire lo spirito di lui, che si congiungeva con la sua anima, indissolubilmente.

Infine, il piacere scemò, lento, quasi fosse stato una dolce tortura, ed i due amanti rimasero abbracciati, mentre Santiago, l’orecchio posato sul petto di Erice, ne ascoltava il cuore battere, cantare, al culmine della felicità.

-         Ti amo, Santiago.- soffiò Erice, sorridendo dolcemente mentre gli accarezzava i riccioli neri, sentendosi in pace con se stessa.

Santiago sollevò il volto tremendamente bello, bianco ed ormai tiepido, contemplando con sollievo la sua bellezza, la sua nudità armoniosa e perfetta, la bella donna in cui era appena sbocciata, nella quale rimaneva solo qualche reminescenza della dolce bambina cui lui aveva voluto bene.

Ora si conoscevano a vicenda e nel profondo; ora la conosceva completamente, e, a contatto con l’anima luminosa ed integra di lei, si sentì completo, come non era mai stato prima.

Di punto in bianco, senza dire nulla, iniziò a lasciarle una scia di baci sulla fronte, sulle guance, sul naso…e, dapprima Erice rise, felice di quel momento piacevole ed infantile ma, nel momento in cui Santiago prese a baciarle il collo, le spalle, i seni…la ragazza riconobbe il piacere che tornava ad insinuarsi sotto la pelle, come una fiamma sottile ma incontrollabile, una carezza gentile e profonda.

Fu mentre le labbra gelide del vampiro scivolavano lungo il suo ventre piatto, che Erice un’infinità di brividi caldi correrle lungo la schiena. Ormai, il disagio iniziale era scomparso, come se non fosse mai esistito; lei e Santiago si conoscevano e non aveva di che temere.

Il vampiro messicano allora si fermò, guardandola negli occhi con amore, e sussurrò, piano:

-         d’ora in poi mi apparterrai, sarai sempre e soltanto mia…- carezzò per un secondo quell’idea come fosse stata un sogno di cristallo e, un attimo dopo, senza attendere la risposta della sua Erice, ne baciò le cosce, mentre lei sussultava, mordendosi le labbra, dal momento che avvertiva il contatto con i ricci di seta nera di lui; e lambì la sua intimità, cercando la sua parla mentre si beava del corpo della ragazza che, rispondendo al suo richiamo, si inarcava, muovendosi come una forza della natura.

Infine, mentre lei urlava di piacere, gettando la testa indietro, gli occhi chiusi, a godere ancora più intensamente di ogni attimo ed sensazione; Santiago raccolse sulla lingua ogni lacrima di sangue della sua virtù perduta, come a suggellare il fatto che ora lei fosse solo sua.

-         per sempre, amore mio. Sarò sempre e solo tua.- promise la ragazza, con tono solenne ed appassionato mentre il vampiro la stringeva a sé, in un abbraccio intenso come il loro amore.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Eccomi ancora qui con un nuovo post, spero di non essere in ritardo. Mi dispiace ma credo che il rating di questo capitolo possa essere definito rosso (a voi il giudizio)il problema è che non so come si fa a cambiare il rating di un singolo capitolo. Mi auguro che, nonostante le scene proposte siano abbastanza forti (credo sia la definizione esatta)il capitolo vi sia piaciuto lo stesso, dal momento che, ho cercato di dare un tono elevato a tutto quanto stava succedendo, anche agli attimi più fisici (per esempio il termine conoscere che ho messo più volte in corsivo, indica una conoscenza profonda data solo a seguito di un rapporto fisico intimo).

Chiedo scusa per eventuali ripetizioni, ma ho scritto il capitolo in fretta senza ricontrollare con attenzione e soprattutto, per quanto riguarda l’ * spero che la dinamica dello Scambio di Sangue spiegata da Santiago sia chiara.

Ora rispondo ai tre fedelissimi commentatori: ^__^

Ramona37: grazie mille per aver lasciato un commento cara, e grazie per i complimenti per la bellezza della storia(pensa che per me era cominciato tutto come un gioco dopo aver letto NM, Ecl e BD)e la sua struttura( davvero si nota che ne ha una? Perché a volte, nonostante lo schema dei capitoli, mi sento un po’ persa in merito alla struttura perché ci sono sempre un sacco di cose che vorrei dire)e tranquilla, non preoccuparti per la scuola,(anche io non potrò aggiornare spesso…) potrai passare quando ti va! J

Luce70:  che ne pensi di questo chappy, luce? Il potere di Erice ha funzionato a dovere, anche se “a scoppio ritardato”? Per quanto riguarda la reazione di Didyme, è stata un po’ avventata(e infatti Santiago è leggermente adirato con lei per le conseguenze che ha causato)ma lo ha fatto solo perché voleva proteggere Erice(spero si sia capito). ^__^

Ayumi_L: ciao! Grazie mille per il tuo commento (e per avermi spiegato come si contatta privatamente un utente)vedrai che più in là il “rapporto” tra Aro ed Erice si farà sempre più teso ed ostico…

Un baciotto e grazie anche ai lettori silenziosi

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** il cambiamento serpeggia ***


Capitolo XII

Il cambiamento serpeggia

 

Il tramonto tingeva d’oro, rosso e rosa le cime degli alberi, i campi di grano…quando Erice e Santiago fecero ritorno nei pressi di Volterra. Era un momento magico, la ragazza lo sapeva, lo sentiva in ogni fibra del corpo e del cuore, e desiderò non finisse mai.

Nonostante gli spifferi d’aria fredda, sollevati dalla corsa, che le penetravano sotto il mantello, Erice si sentiva pervasa da profonda calma e al sicuro, le pareva di essere in equilibrio con se stessa e qualsiasi cosa la circondasse. Santiago ora, la teneva tra le braccia(non come prima, quando l’aveva fatta salire sulle proprie spalle) e, di tanto in tanto le lasciava un intenso bacio sulle labbra o la guardava dolcemente, come per accertarsi che quel profondo legame, che si era venuto a creare tra loro, non fosse solo un sogno. La ragazza lo fissava di rimando, con gioia, perpetuando l’idea che tra quelle possenti braccia gelide, si trovasse in una sorta di bolla piena di felicità, che non poteva essere scalfita dallo scorrere del tempo; non si preoccupava minimamente del fatto che potesse rappresentare una distrazione per il suo bel vampiro, perché sapeva benissimo che i sensi affilatissimi di Santiago, la sua velocità perfino, funzionavano anche se lui non vi si concentrava del tutto.

 

Poco prima di entrare nella città, il vampiro messicano si fermò e fece dietrofront- con leggera sorpresa della sua compagna- fino ad una cava di alabastro, poco distante.

Erice prese a tossire in prossimità di quel luogo, e Santiago ebbe la cura di lasciarla, perché lo attendesse, per avventurarsi da solo alla ricerca di qualcosa, anche se- visto che non aveva accennato a nulla, neppure a quella deviazione- la ragazza non aveva idea di cosa di trattasse.

In un lampo lui fu di ritorno con un oggetto stretto nella mano chiusa a pugno e, dopo aver stretto con un po’ pi di forza le dita, posò, con un sorriso soddisfatto, un cuore d’alabastro bianchissimo e leggermente pesante, - grande come il pugno di un neonato- nel palmo della mano di Erice.

Rimase lì, a fissarla, come se la sua felicità dipendesse da un sorriso di lei. Così, nel momento in cui disse:

-         amore mio, ora avrai sempre la certezza che sarò tuo: ti dono il mio cuore, tienilo vicino al tuo e saremo entrambi completi.- con voce dolce e solenne; Erice comprese il più profondo significato del ciondolo che aveva tra le mani.

Fu immediatamente sommersa da un’ondata intensissima di felicità e, scivolando sulle ginocchia, si portò una mano a coprire le labbra, sorpresa.

Santiago rise con lei, mentre la ragazza rideva e, dopo averle messo il ciondolo al collo, con una collanina di corda- poco più sopra dello stemma dei Volturi- la baciò appassionatamente, fino a spingerla piano sul terreno, e possederla ancora una volta, con tenerezza.

 

Al crepuscolo, mentre un velo di tranquillità argentea scendeva su di loro, tenendoli uniti anche quando si tennero per mano, i due amanti entrarono a passo d’uomo a Volterra, accompagnati da una brezza gelida.

Vedendoli entrare, avanzando su un ultimo raggio di sole, l’intera Guardia si precipitò in Piazza dei Priori, formando attorno a loro un largo cerchio di mantelli scuri, e di volti tremendamente belli, sorridenti; tutti salutarono con rispetto e gioia la nuova coppia, le attenzioni però, sembravano essere tutte per Erice, la quale poteva dirsi finalmente integrata tra i Volturi, ora che aveva trovato la sua metà. Mentre vampiri come Afton, Chelsea o Corin, la abbracciavano fieri, lo sguardo della ragazza vagò per le finestre di Palazzo dei Priori, fino ad incontrare gli occhi di Didyme e di Marcus che, affacciati l’uno accanto all’altra, la scrutavano, immobili come splendide statue, eppure leggermente soddisfatti.

Qualche finestra più in là, circondato dai volti bellissimi e diabolici di Jane, Alec, Demetri e Felix, stava Aro che, differentemente da sua sorella e il compagno, sembrava voler incenerire Erice con lo sguardo.

Quest’ultima visione fece gelare il sangue nelle vene della ragazza, tanto che le parve che le conquiste ottenute in quei mesi fossero nulle, che le sue certezze crollassero…così, per farsi forza strinse la mano di Santiago nella sua e, comprese che, forse, una volta scesa la sera, era necessario che lei parlasse con sua madre e suo padre.

Rimase tra i suoi compagni a ridere e scherzare ancora per un po’, ritrovando così quella tranquillità che lo sguardo di Aro le aveva fatto perdere; infine, quando il sole scomparve all’orizzonte e tutti i vampiri poterono abbassare sulle spalle i cappucci dei mantelli, Erice trascinò via a malincuore sé e il proprio compagno, da quel cerchio di vampiri tutti sorridenti e soddisfatti, per dirigersi all’interno di Palazzo dei Priori.

Per tutto il tragitto nei corridoi custodì in silenzio la fredda mano di Santiago nella sua, intrecciandone le dita poi, una volta che entrambi furono davanti alla porta della stanza di Marcus e Didyme, si scambiarono un ultimo, rapido bacio e, poco prima di andarsene, Santiago spiegò alla ragazza come arrivare alla sua stanza, dove sarebbero stati insieme, quella notte. Ma, alla fine, Erice fu costretta ad attraversare quella soglia da sola: sarebbe stato il momento della verità, in cui avrebbe parlato dei suoi desideri, col cuore in mano.

 

Fin dal principiò però, dinnanzi alla postura rigida di sua madre e suo padre, alla vista dei loro sguardi rossi e duri, la ragazza si sentì piccola ed indifesa: le parole le morirono in gola, così come il respiro.

Fissò Didyme, il viso di una dea guerriera splendida e, concentrandosi sulle braccia di lei, raccolte al petto, bisbigliò:

-         immagino che sappiate già tutto…- si era ripromessa di assumere un tono deciso e fermo, invece si odiò per quella vocetta sottomessa che le uscì.

-         Questo è vero, ma ti ringraziamo ugualmente per essere qui a parlarci di quanto ti sta accadendo!- sibilò acida, la vampira.

Erice sobbalzò e si retrasse come se avesse ricevuto uno schiaffo: era chiaro che sua madre non approvava la sua relazione con Santiago…

Risollevò a fatica il viso: era da tempo che non si sentiva tanto inadatta, insignificante, ma doveva andare avanti!

-         siamo legati l’uno all’altra, indissolubilmente; ci amiamo. Volevo che lo sapeste…- dichiarò, le dita convulsamente strette attorno al ciondolo a forma di cuore in alabastro.

-         …forse è meglio dire che ci stai informando perché cerchi la nostra approvazione. Il legame che hai stretto con Santiago, è un tuo diritto in quanto ora fai ufficialmente parte della Guardia dei Volturi, ma…non scordare che sei anche un essere umano, differentemente da ognuno di noi; perciò dovrai aspettare per avere la nostra “benedizione”: vorremmo prima osservarti, per essere sicuri che sarai veramente felice con quel vampiro al tuo fianco…- intervenne Marcus. Le sue parole erano state realistiche ma anche pacate e, in un certo senso, pungenti.

Erice chiuse gli occhi, ferita, aveva la sensazione che un peso le opprimesse il cuore, ma si sforzò ugualmente di restare calma per non dare loro la soddisfazione di vederla crollare a pezzi; invece, decise di accettare le loro parole, e prenderle come una sfida.

 

Quella sera, tuttavia, mangiò come un automa e, sentendosi vuota, si rifugiò nella stanza di Santiago. Stesa al suo fianco, dopo avergli rubato qualche bacio, si rannicchiò tra le sue braccia, con una gran voglia di piangere, ma anche con la consapevolezza che, se lo avesse fatto, avrebbe minato la serenità di entrambi; finchè non si addormentò.

Nei mesi successivi, Erice continuò a comportarsi come se quanto le stava accadendo fosse la cosa più normale del mondo, come se nulla fosse cambiato; ostentando orgoglio e felicità per il suo ruolo e la famiglia cui apparteneva. Di tanto in tanto, però, le parole di Marcus le riecheggiavano nelle orecchie e lei, si perdeva a riflettere molto su di esse, come anche su un modo grazie al quale sua madre e suo padre, avrebbero potuto accettare lei e Santiago come coppia.

Non si sarebbe fatta abbattere da delle, seppur velate, offese! Voleva dimostrare a tutti che ormai, erano l’uno il prolungamento dell’altra; soprattutto a Marcus e Didyme in quanto, mai come ora si sentiva tanto regredita allo stato di “pasto”, come era sempre stato fino a qualche anno prima.

Il vampiro e la ragazza infatti, erano molto riservati in merito all’amore che li legava: svolgevano le loro mansioni in maniera eccellente, non erano mai tanto sdolcinati da tenersi per mano o scambiarsi bigliettini-durante il giorno- tutt’al più Santiago sorrideva ad Erice quando si incontravano sul camminamento della Cinta Muraria o, quando erano lì, di turno insieme; prima di cominciare “a lavorare”, il vampiro messicano le carezzava fugacemente una guancia.

Entrambi erano molto attenti ed osservavano le regole che quel luogo e quella situazione avevano tacitamente imposto loro. Al tramonto, quando i turni di sorveglianza venivano cambiati e spettavano a qualcun altro; si davano brevi appuntamenti fuori dalle mura di Volterra, presso un albero prestabilito o, più solitamente, al campo di grano dove una volta sorgeva il Giardino dei Ciliegi. Si baciavano. E talvolta Santiago raccoglieva delle ginestre, le intrecciava in tante ghirlande e poi, ne ornava i capelli di Erice.

Passavano tutte le notti insieme, nella stanza di Santiago (della quale, dapprincipio Erice si era meravigliata, visti i disegni a mano appesi alle pareti, che ritraevano tutti gli ex componenti del clan messicano; ma ora quel luogo le era famigliare almeno quanto lo era lui per il suo cuore) : il desiderio cresceva puro dentro di loro come né Erice né Santiago l’avevano mai provato, e lo si poteva appagare semplicemente con un sorriso, un abbraccio o un bacio, ma c’erano volte in cui era impossibile per entrambi resistere alla passione; allora facevano l’amore, ed esistevano solo loro. Il resto del mondo spariva.

Nelle mattine che seguivano quelle nottate di coccole, i vampiri della Guardia che erano loro “sostenitori”(come Afton e Chelsea) sorridevano loro in maniera dolce ed eloquente: un chiaro segno del fatto che avessero sentito tutto.

Ma, in particolare, la ragazza avvertiva costantemente(ed ancora più intenso dopo quelle nottate) lo sguardo da falco di Didyme e Marcus su di sé.

Inizialmente quella prospettiva le diede non poco fastidio perché, l’idea di trovarsi sempre sotto esame, non le dava mai la possibilità di rilassarsi come avrebbe voluto; tuttavia, dopo qualche tempo, iniziò a sperare che i due vampiri, vedessero nei suoi occhi un riflesso, una scintilla dell’amore che li univa.

 

Sei mesi più tardi, però, la relazione di Erice e Santiago, smise di essere l’argomento principale che richiamava l’attenzione dell’intera congrega dei Volturi; in quanto, in un freddo giorno di febbraio, Eleazar(o, “il sensore di potenzialità”, come l’aveva scherzosamente soprannominato Erice) richiese udienza al Consiglio ed annunciò che, poiché era stato ricontattato per via epistolare da un ex componente del suo precedente clan, in Sud America; era intenzionato a raggiungerla in Canada e riunirsi a lei, per condividere così insieme nuova avventura, di cui Carmen(questo il nome dell’avvenente vampira messicana, che veniva dalla stessa congrega di cui avevano fatto parte- oltre ad Eleazar- anche Santiago, Renata e Felix)gli aveva parlato: uno stile di vita vegetariano.

Non appena “il sensore di potenzialità” finì di esporre, alla presenza degli Anziani e dell’intera Guardia, questi motivi, per i quali aveva a lungo meditato di lasciare il clan; la compagna di Santiago sorrise radiosa mentre il suo pensiero correva al ricordo di Logan.

Aro, invece, inizialmente lo canzonò un poco, cercando di sottolineare che, dopo tanti anni di onorato servizio presso i Volturi, non era sicuro che Eleazar sarebbe riuscito a resistere, nutrendosi esclusivamente si sangue animale.

Tuttavia, al cospetto del teso silenzio che si era venuto a creare nel Salone Principale e, dinnanzi alla caparbietà ed alla pacatezza di Eleazar, fu costretto a ricredersi, così che- facendo leva proprio sui tanti anni che aveva trascorso a Volterra- gli concesse di congedarsi pacificamente dai Volturi, per cercare uno stile di vita che lo rendesse più felice,(sempre nel rispetto delle Leggi, certo) se era quello che desiderava, e per riunirsi alla sua Carmen.

 

Quella sera stessa, dopo esser stato toccato sulla fronte da Chelsea che, grazie al suo potere, rese più vacuo il legame che lo aveva sempre unito ai Volturi, Eleazar lasciò Volterra, e fu accompagnato fino a Porta Diana da Santiago ed Erice.

Mentre il suo compagno salutava “il sensore di potenzialità” con una pacca su un braccio, e lo pregava di portare i suoi ossequi alla misteriosa Carmen(evidentemente memore di chi fosse quella vampira); Erice rifletteva sul fatto che, senza Eleazar, i Volturi, Volterra, persino lei non sarebbero più stati gli stessi.

Si trattava davvero di un profondo cambiamento!

Lo abbracciò, leggermente triste per quella perdita, ma anche felice perché finalmente anche lui avrebbe trovato ciò che lei aveva ottenuto da poco; e, non riuscendo più a trattenere la domanda sulle labbra, gli domandò:

-         come ha fatto, Carmen a contattarti? Se volessi scriverti, mentre sei in viaggio, le mie lettere come potrebbero arrivarti?-

-         basterà che le affidi al vento, dolce Erice. Non temere, non perderemo i contatti: se vorrai scrivermi sarò felicissimo di leggere e rispondere alle tue lettere.- le spiegò Eleazar, guardandola negli occhi mentre le carezzava una guancia. Sapeva quanto l’umana detestasse quel distacco, e voleva rassicurarla il più possibile.

-         Buona fortuna, fratello.- gli augurò Santiago, un secondo dopo, prima che lui e la sua compagna lo vedessero sparire, in una folata di vento innaturale, oltre la porta della città.

Se avesse avuto la mente sgombra dai pensieri che l’affollavano, Erice, di certo avrebbe pianto; ma ora, con il viso di Logan ben chiaro in testa, la ragazza era distratta e fortemente decisa a tenersi strette le informazioni appena acquisite. Così, non appena le fu possibile tornare a Palazzo dei Priori e restare un po’ sola, prese carta e penna e diede sfogo alle mille parole che, in tutto quel tempo di lontananza, avrebbe voluto dire a Logan.

Dopo diverse ore di ragionamenti, chiusa nella sua stanza, alla luce di una candela tremolante; il risultato fu una serie di fogli appallottolati e sparsi sul pavimento, tutt’attorno alla sua sedia, ed un’unica, chilometrica lettera che poteva definirsi “soddisfacente”.

Erice scrisse solo Logan sulla busta sigillata e, affacciata alla finestra, attese un soffio di vento più possente degli altri, per abbandonare alla brezza, con un ultimo sospiro terrorizzato e pieno di speranza, quello scritto tanto prezioso.

 

Il tempo fu clemente con la ragazza poiché, appena il giorno seguente, Erice trovò, al risveglio, sul comodino accanto al letto, un piccolo triangolo di carta ripiegato, col suo nome scritto sopra. Ricompose con attenzione il foglio, fino a farlo tornare un quadrato e lesse, ancora assonnata.

 

Cara Erice,

grazie per aver trovato un modo di comunicare: era molto tempo che ti pensavo e desideravo scriverti, ma non avevo idea di come. Sono stato davvero contento di ritrovarti! Grazie per avermi raccontato quanto ti è accaduto in quest’ultimo anno: sono davvero felice che tu abbia trovato la tua anima gemella; un po’ meno che tu ora faccia parte dei temuti Volturi, anche se questo, credo, ti assicurerà che tu non venga uccisa da loro per il tuo sangue. Poi, avere il loro cognome ti rende felice, no? Tanto mi basta.

Se in futuro vorrai scrivermi ancora o se ti andrà di venire a farmi visita, sappi che mi troverai sempre presso la Città delle Mille Chiese.

                                                                                                           Logan

 

La ragazza sorrise mentre stringeva al petto quel pezzo di carta con la calligrafia piccola, ordinata e…gotica del vampiro vegetariano. Le sfuggì qualche lacrima: era davvero felice di aver riallacciato i contatti con lui, ma…seppur ricordasse che amava le chiese, non aveva idea che potesse essere lo stesso per gli indovinelli…

Quale città poteva mai essere definita “la Città delle Mille Chiese”?

Certo, per aver ricevuto una risposta da Logan tanto in fretta, doveva significare che il luogo nel quale lui si trovava, doveva essere vicino ma…davvero non aveva idea di dove si trovasse!

 

L’indovinello la tenne occupata e lontana dalla realtà per ben due ore, tanto che era ancora in pigiama, seduta immobile sul letto, quando Didyme e Marcus entrarono nella sua camera.

I due vampiri dalle chiome scure ed i volti splendidi, la fissarono con preoccupazione, rassegnazione e…consapevolezza.

La madre si avvicinò ad Erice con il passo aggraziato di una ballerina e, inginocchiatasi davanti a lei, le posò le mani sulle spalle.

-         Erice…io e Marcus ti abbiamo osservata attentamente e…abbiamo riflettuto.- Didyme, gli occhi splendenti come rose cremisi, si morse le labbra perfette, per la prima volta a disagio, in tutta la sua esistenza, in cerca delle parole giuste.

-         Erice, piccola…non ti avevamo mai vista tanto felice come ora che Santiago ti affianca, ma…sai, da tempo progettiamo di lasciare Volterra e i Volturi, perché non ci interessa più la sete di potere della congrega; solo la nostra felicità…e la tua. Così, pensavamo di portarti con noi…- Marcus venne in aiuto della compagna, parlando lentamente, per essere sicuro che Erice comprendesse ogni parola, mentre le teneva gli occhi verdi inchiodati ai suoi.

-         Co…cosa? Quello che dite non ha senso…dichiarate di non avermi mai vista tanto felice come ora…eppure vorreste portarmi via da Volterra al vostro seguito, allontanarmi da tutto quello che è sempre stato il mio mondo…come potete? Io amo Santiago.- la ragazza reagì come se le fosse stata gettata addosso dell’acqua gelida; gli occhi le si riempirono di paura e lacrime.

-         Reagisci così perché questo è l’unico mondo che conosci. Se avessi trascorso più tempo tra gli umani, non saresti stata costretta a cercare un compagno tra i vampiri. Dolce Erice, lo facciamo solo per te, perché vogliamo che tu sia libera. Anche noi desideriamo la libertà: questo mondo subdolo, questa congrega in cui Aro fa il bello ed il cattivo tempo, non fa più per noi e…vorremmo solo che tu ci seguissi.- ripetè Didyme, angosciata questa volta. Immaginava che sarebbe stata dura cercare di convincere la figlia, ma non credeva che le sarebbe stata tanto a cuore la sua sorte; che si sarebbe preoccupata a tal punto da sperare che fosse riuscita a trascinarla con sé e Marcus, alla ricerca di un nuovo mondo, una nuova felicità e forse anche…un nuovo stile di vita.

Erice fissò sua madre sentendosi persa: il congedo di Eleazar dai Volturi l’aveva ispirata ad andar via anche lei, seguita da quanti avessero voluto(perché doveva ammettere che le angherie subite da parte di Aro, ed i suoi sguardi rabbiosi degli ultimi giorni,l’avevano logorata fino al limite)ma…non pensava di doverlo fare in quel modo. L’idea di doversi separare da Santiago, per seguire i suoi genitori, la dilaniava, la distruggeva.

Riuscì a stento a non crollare sulle ginocchia tremanti, mentre sussurrava, con voce rotta:

-         madre, padre…penso che dovreste prima parlarne con Aro…-

Didyme sorrise mentre, alzandosi di scatto, stampava un bacio sulla fronte di Erice.

-         lo farò oggi stesso!- promise, prima di scivolare oltre la porta, dopo aver baciato una delle mani di Marcus.

Fu in quel momento, rimasta sola, che la ragazza si permise di crollare, nascondendo il viso tra le mani, mentre rifletteva sul fatto che Didyme era la sorella di Aro, Marcus, il componente del Consiglio del quale si fidava di più e, se il capo di quella congrega avesse acconsentito a lasciarli andare, sarebbe stato un bel cambiamento.

Se tutti, avessero seguito l’esempio di Eleazar, presto la congrega dei Volturi si sarebbe sgretolata.

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Eccomi di nuovo qua con un nuovo capitolo! Scusate il ritardo, a dire la verità ho cercato di fare più in fretta che potevo, anche se, come vi ho accennato in precedenza, non credo che in futuro avrò molto tempo per postare…mi auguro comunque che quello che ho scritto vi sia piaciuto!

Allora, come avrete notato ci sono alcuni punti salienti in questo post:

1)      il congedo di Eleazar che si è allontanato dai Volturi per seguire Carmen(e, sicuramente ve ne sarete accorti, mi sto riallacciando a quanto si diceva in BD…)

2)      il discorso finale di Marcus e Didyme ad Erice. So che magari può sembrare che loro la vogliano allontanare dal vampiro che ama, dal mondo che lei ha imparato ad amare, ma la verità è un’altra, nascosta soprattutto nelle parole di Didyme, che, da brava madre vuole solo proteggere sua figlia…

il prossimo capitolo sarà arduo da scrivere perché(se riesco a renderlo decente)ci sarà uno scontro tra due vampiri(chi potrebbero mai essere?), due mondi, due modi diversi di vivere…non vi anticipo nulla però… anche se, penso che chi ha letto BD possa immaginare cosa potrebbe accadere…

ora passo a ringraziare “i commentatori”:

luce70: sono davvero contenta, luce, che il cap precedente sia stato il tuo preferito, spero che anche questo non ti abbia delusa. Come puoi vedere Santiago ed Erice non sono stati divisi ma…certo, nell’aria c’è profumo di cambiamento.

ayumi_L: ecco ancora una volta uno spazio tutto per te nella pagina, Ayumi! Sono molto felice che ti sia emozionata al fatto che l’amore tra Erice e Santiago sia sbocciato(ci si è girato intorno per troppi capitoli vero?)e…sai come si dice…se son rose…

grazie davvero a tutti per aver letto e per aver commentato, fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, in particolare dei punti che ho evidenziato.

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** trappola ***


Capitolo XIII

Trappola

 

Era trascorso appena un giorno dalla partenza di Eleazar e, ora che il sole non era altro che una luce soffusa che pian piano andava intensificandosi, all’orizzonte; l’intera congrega dei Volturi era riunita per una nuova udienza nel Salone Principale.

Erice avrebbe potuto prendervi parte, certo, ma quella volta decise di non volerlo né poterlo fare, presa com’era a camminare, inquieta, avanti e indietro in Piazza dei Priori, rosicchiandosi le unghie e giocherellando nervosamente con il suo ciondolo d’alabastro. Nonostante non sentisse o vedesse nulla- completo merito della pesante tenda rossa che oscurava la finestra che dava sulla piazza; e del bassissimo tono di voce proprio di tutti i vampiri- sapeva benissimo quali parole, quali richieste stavano riecheggiando in quel luogo: il clan stava discutendo del desiderio di Marcus e Didyme di cambiare vita, e…della sua libertà.

La ragazza aveva cognizione di quanto fossero spiccate le doti oratorie di sua madre, perciò dava per certo, sentiva che Didyme stava pregando suo fratello e tutti i presenti, di lasciare che lei, il suo compagno e sua figlia si congedassero pacificamente da Volterra- così com’era stato per Eleazar- alla ricerca di qualcosa di diverso.

La questione sembrava così semplice: non appariva altro che una semplice udienza durante la quale, il Consiglio avrebbe dovuto decidere se accogliere la richiesta oppure no. Il problema, agli occhi “esterni”di Erice, almeno, era un altro se non, era più di uno. In primis, nulla era ciò che sembrava. Inoltre, più volte quella mattina l’umana, in preda all’angoscia per la notizia di un’ipotetica partenza, aveva iniziato a pensare, a riflettere, fino alla paranoia, avvezza com’era all’idea che, almeno in quel mondo, persino gli atteggiamenti potevano dirsi fittizi.

La decisione che gli Anziani avrebbero dovuto prendere, sarebbe stata abbastanza imparziale, considerato che in seno a loro c’era un componente che voleva lasciarli ad ogni costo? E, se anche fosse stato dato loro il permesso, Aro sarebbe stato pronto ad accettare una separazione da sua sorella, oltre che dal membro del Consiglio del quale si fidava di più?

Erice chiuse gli occhi e provò ad immaginare come sarebbe stato se, realmente, il capo della congrega avesse dato loro il suo placet…subito, tra i pensieri, le apparve il volto dai lineamenti alieni, famelici di Aro, gli occhi neri assetati di potere…

No. Chiaramente non avrebbe mai dato a nessuno dei tre il permesso di lasciare i Volturi, bramoso com’era di dominio; anzi, per evitare che la situazione gli sfuggisse di mano, avrebbe trovato un modo per fare di Marcus e Didyme un esempio per tutti coloro che erano intenzionati ad andarsene -probabilmente percependo, come aveva fatto Erice, che presto tutti i vampiri non eccessivamente legati al potere, sarebbero stati desiderosi di imitare Eleazar. Altrimenti, nella peggiore delle ipotesi, Aro avrebbe concesso solo a sua sorella ed a Marcus di allontanarsi, mentre avrebbe preteso che Erice rimanesse lì, per avere modo di scaricare su di lei tutta la sua rabbia ed il suo risentimento.

La ragazza rabbrividì: alla luce di quelle supposizioni, lei cosa avrebbe dovuto e voluto, fare? Doveva forse unirsi ai suoi genitori ed imparare a conoscere qualcos’altro, che non fosse il mondo che le era stato messo davanti agli occhi, com’era desiderio di Didyme? Oppure, dal momento che non riusciva neppure a concepire l’idea di separarsi da Santiago, sarebbe stato più giusto che fosse rimasta tra i Volturi, ad accettare quindi, tutto ciò che sarebbe venuto, qualsiasi cosa fosse?

“ sì, certo. Così non appena Didyme sarà lontana e non potrà più proteggermi, come ha fatto, invece, durante tutti questi anni, Aro si vendicherà su di me in qualsiasi modo, facendomi addirittura pagare per essere nata…” pensò lei, torturando nel frattempo il cuore d’alabastro che le aveva donato il suo compagno.

Davvero non riusciva a sopportare l’idea di stargli lontana ora che, dopo troppo tempo si erano dichiarati…ma…se avesse chiesto a Santiago di seguirla, lontano dai Volturi?

“ah, ovvio! Bella idea, Erice! Così Aro ti farà dare la caccia da Demetri per farti soffrire fino al limite dell’umana sopportazione e vendicarsi quindi, del fatto che tu saresti la causa della disgregazione della millenaria congrega dei potenti Volturi…” si rimproverò da sola, mordendosi un labbro mentre il flebile barlume di speranza, suscitato dalla possibilità di non dover rimanere senza il suo amore, si spegneva rapidamente.

Era letteralmente dilaniata. Come avrebbe dovuto agire? Non ne aveva la minima idea…

 

All’improvviso il portone nero di Palazzo dei Priori si spalancò con un tonfo violentissimo e, prima che avesse il tempo di aguzzare lo sguardo, per capire cosa lo avesse causato, fu avvolta da un innaturale tornado che, a causa della sua repentina veemenza, minacciò di farla cadere. In breve, quando si riprese, la ragazza si ritrovò circondata da tutti quei vampiri, ai quali si era avvicinata, durante i turni alla Cinta Muraria. C’erano Corin, Afton, Chelsea, i visi terrei…e, esattamente davanti a lei, leggermente fuori dal cerchio perfetto di mantelle grigie, stava Santiago, il cui sguardo tormentato, distrutto era perfettamente visibile nonostante il cappuccio calato sul viso, e non prometteva nulla di buono…

Non appena i loro sguardi si incrociarono il vampiro fu addosso ad Erice e, velocissimo, la prese in braccio, per trascinarla in Vicolo Mazzoni, dove, col favore dell’ombra avrebbero guadagnato un po’ di riservatezza, per parlare, da soli.

La ragazza si ritrovò con le spalle al muro quando riaprì gli occhi; Santiago era davanti a lei, le mani posate sui suoi fianchi come per assicurarsi che non fuggisse, lo sguardo quasi nero, straziato.

Senza il cappuccio era così bello- si perse a pensare, Erice nel tentativo di imprimere a fuoco tra i suoi ricordi, anche la più piccola inezia che lo riguardasse- il viso bianco e splendido in parte celato dall’ombra, un leggero accenno di baffi e una piccola chiazza di barba sotto il mento; ma gli occhi, adombrati appena dai ricci neri, esprimevano tutto il dolore che condivideva anche lei.

Ad Erice, che allora stava per dire qualcosa, mancò il respiro, il cuore le si incastrò in gola.

-         cos’è successo…?- si sforzò di domandare, la voce rotta.

Santiago cadde sulle ginocchia, stremato e, stringendo le braccia attorno alla sua vita, affondò il volto nel ventre della sua compagna; tremava ed era scosso da violentissimi singhiozzi, mentre continuava a bisbigliare qualcosa che somigliava ad un “perché? Perché?”. Se avesse potuto, avrebbe sicuramente pianto.

In quel momento Erice comprese che non ci sarebbe stato bisognò di alcuna parola: quella scena tanto drammatica parlava da sé. Sentì la sua anima sgretolarsi, il cuore le pulsava impetuosamente ma si sentiva spaesata, senza parole; tanto che carezzava i capelli di Santiago con un gesto automatico, come se avesse avuto la mente distaccata dal corpo.

-         Didyme si è presentata qualche ora fa nel Salone Principale, dicendo che lei e il suo compagno avevano intenzione di lasciare i Volturi, per cercare un nuovo stile di vita, qualcosa di diverso, come ha da poco fatto Eleazar…questa notizia ha rattristati grandemente il nostro signore Aro ma…ciò che ha rattristato maggiormente me, è stato sapere che…hanno intenzione di portare via anche te…- sussurrò il vampiro, sconvolto.

La ragazza si riscoprì tesa e vibrante d’emozione e paura, per una snervante attesa dell’unica informazione che non aveva udito. Solo in un secondo momento si concentrò davvero sulle parole del messicano, tanto da notare che non aveva chiamato “miei signori” né Didyme né Marcus, forse per punirli del loro intento di separarlo dalla sua donna.

-         e…l’…l’esito?- chiese lei, lo sguardo perso nel vuoto.

-         Alec, Jane, Felix e Demetri sono stati mandati come ambasceria al seguito di Marcus, per esplorare la zona dove dovranno…dovrete passare. Aro nel frattempo intende dare la sua benedizione a Didyme per la partenza così…entro questa sera sarete liberi.- mormorò Santiago, contro il suo ventre.

Quella reazione, quella dimostrazione di fragilità- in particolare da un vampiro possente come il suo compagno- scioccarono Erice più di quanto lei stessa si aspettasse, tanto che, impiegò diversi minuti a comprendere che la libertà di cui si stava parlando, comprendeva anche lei.

Tentò allora di trovare conforto negli occhi scuri di Santiago, ma le tremarono le ginocchia, ed i contorni del vicolo buio, umido, attorno a lei presero a vibrare…

Prima che avesse la possibilità di dire qualsiasi cosa, avvertì che due mani fredde l’afferravano, due possenti braccia la stringevano con fare protettivo e, nel momento in cui la nebbia si diradò dai suoi occhi, Erice riconobbe il soffitto della sua stanza. Fece per alzarsi, ma il suo compagno, apparso come per magia al suo fianco, si preoccupò di non farla muovere troppo velocemente; quindi, quando lei riuscì a mettersi seduta, prese posto ai suoi piedi, con sguardo implorante:

-         quello che hai sentito è vero, amore mio: entro questa sera lascerai Volterra al seguito di Didyme e Marcus - le carezzò una guancia, lentamente. Si sentiva svuotato, era evidente, dal momento che la possibilità di perderla si stava concretizzando; tuttavia, si sforzò ugualmente di mostrare forza, risolutezza e persino un pizzico di felicità per la sua amata, per la nuova avventura che le si prospettava, anche se senza di lui- dai, dovresti preparare i bagagli.- le consigliò, offrendosi di aiutarla.

Erice annuì, come un automa e, dopo qualche minuto trascorso racchiusa in un silenzio incredulo, depositando tutti i suoi indumenti sul piccolo letto; parve risvegliarsi di colpo e, in un impeto d’ira, iniziò a gettare a terra tutte le magliette che le capitavano a tiro mentre urlava che era ingiusto che non li potevano separare perché si amavano e condividevano molto di più della sola carne.

Santiago, vedendola così, fu in parte sbalordito dalla sua reazione ma in parte soffrì anche maggiormente di quanto già non facesse, e si odiò per non avere la possibilità di piangere; di conseguenza, straziato, fu costretto ad avvolgere la compagna nella propria stretta d’acciaio, attendendo che si calmasse. La ragazza però, non dava cenni di cedimento, addirittura parve che non le importasse di avere una sorta di montagna di pietra gelida, davanti a sé, e continuò ad inveire, anche su di lui, dando pugni alla cieca sul suo petto.

Quando, d’un tratto, si stancò, il vampiro messicano cadde sulle ginocchia assieme a lei, e scivolarono insieme sul pavimento.

-         io ti amo…- mugugnò sfinita Erice, incapace di guardarlo a causa del dolore che provava e della consapevolezza che stavano per dividersi.

L’unica soluzione che Santiago riuscì a trovare, per alleviare il dolore di entrambi, fu sollevarle il mento con due dita e premere le proprie labbra contro le sue.

Passione, rabbia, disperazione, un che di violento ed un po’ di dolcezza furono le contrastanti emozioni che grondavano da ogni loro gesto, respiro e movimento ma, in breve, i due si ritrovarono avvinti in un reciproco, intenso abbraccio e fecero l’amore.

Entrambi sembravano aver dimenticato che appena oltre la porta, c’erano decine di vampiri in grado di udire ogni cosa. Ma non gli importava: esistevano solo loro.

 

Era mattina inoltrata quando gli amanti, con un ultimo bacio e la morte sulle labbra, si rivestirono; Santiago, gettando uno sguardo furtivo al bel viso della compagna ed al ciondolo d’alabastro che aveva al collo, si obbligò, seppur sconvolto, a comportarsi con naturalezza e quindi ad andare presso la Cinta Muraria, per svolgere le proprie mansioni. Erice invece, rimasta sola, tornò a preoccuparsi di gettare i suoi abiti in una borsa.

Di colpo, ad un tintinnio più forte del braccialetto che anni fa le era stato donato da Didyme, il suo cervello corse a lei, a sua madre, insospettito dal fatto che ormai dovevano essere trascorse ore da quando Marcus e Didyme si erano divisi. Poteva certo comprendere che l’ambasceria al seguito del compagno di Didyme impiegasse molto tempo a mostrargli la strada da percorrere, dal momento che Marcus non lasciava Volterra da quando il clan si era diretto in Transilvania.

Ma…possibile che per una semplice benedizione, a Aro e Didyme, servisse tanto tempo?

Con uno strano presentimento nel cuore spaventato, ed i nervi a fior di pelle, Erice afferrò senza pensare la sua mantella grigio fumo, e se la gettò sulle spalle, iniziando a correre già mentre scendeva le scale; forte del fatto che, grazie allo Scambio di Sangue appena rinnovato con Santiago, che aveva contribuito a potenziare le sue qualità, nessuno l’avrebbe fermata.

 

Alcuni minuti più tardi, abbastanza lontana da Volterra, ma non a sufficienza da aver trovato Didyme ed Aro, Erice fu costretta a calmarsi e concentrarsi per far uso della deprivazione sensoriale, e riconoscere così i loro profumi portati dal vento…

Spostatasi in un boschetto, riprese quindi a correre fino ad avere il fiato corto per l’inquietudine e la fretta; di tanto in tanto fu costretta a fermarsi per tornare a respirare con naturalezza e, con gli occhi chiusi riprendere la sua ricerca delle loro tracce.

Dopo un tempo interminabile che si sarebbe potuto distendere in ore, oppure in semplici minuti, la ragazza si ritrovò dietro un possente albero che dava su un piccolo spiazzo erboso. Didyme e suo fratello Aro erano lì, distanti un metro l’uno dall’altra, tanto immobili da sembrare mute statue; tuttavia, qualcosa le suggerì che si stavano parlando, seppur a bassissima voce.

Erice trovò saggio nascondersi alla loro vista, porsi sottovento affinchè nessuno dei due potesse sentire il suo odore ed essere abbastanza lontana e calma da non far arrivare alle loro orecchie, i suoi battiti cardiaci. Nonostante tutto, però, qualcosa di celato, sconosciuto ma insito nell’aria, le suggeriva di dover restare all’erta, irrequieta. In effetti, una volta spostato lo sguardo sull’espressione di Aro, vide una maschera di ghiaccio che tentava di nascondere- anche se piuttosto male- un’emozione di rabbia intensissima che sfociava quasi in odio puro; e si augurò che sua madre Didyme, nonostante avesse i sensi annebbiati dalla felicità, fosse tanto sveglia da accorgersene.

-         e così, mia dolce sorellina, vuoi lasciarmi, lasciare i Volturi…- esordì il vampiro, esibendo una smorfia che sembrava triste.

-         Ti ringrazio per la possibilità che ci hai dato, fratello…ti confesso che mi elettrizza la prospettiva di ritrovare il mondo, vedere com’è cambiato; forse proverò anche ad assaggiare lo stile di vita vegetariano, tanto decantato da Eleazar. Ma, non essere triste per questo nostro distacco perché, ti prometto che non ti abbandonerò del tutto: faremo ritorno prima o poi…- replicò Didyme, lo sguardo perso e felice di una ragazzina, mentre con le mani giunte dietro la schiena si dondolava leggermente e sorrideva, bella come una dea. Un sospiro di vento le scosse la gonna del vestito.

-         Ah, sono sicuro che lo farete immediatamente, dal momento che non avete mai provato altro stile di vita che non fosse quello carnivoro. Inoltre, non oso pensare a quanto saranno scarsi i livelli di resistenza tuoi e di Marcus, con un’umana tra di voi, tutti i giorni e tutte le notti…quando mi hai pregato di ottenere la libertà anche per lei, giuro che ho creduto che voleste Erice per un ultimo pasto che possa definirsi serio…- l’espressione gentile di Aro, i suoi modi pacati, scomparvero di colpo, ed il suo viso si fece duro, beffardo, tanto che Didyme(che, a differenza di Erice, aveva sempre potuto fare affidamento sui suoi sensi di vampira) rimase impietrita e spaventata, per quel repentino, inaspettato cambiamento. Anche se con qualche secondo di ritardo, riuscì a reagire in una sola maniera: si irrigidì scoprendo appena i denti, ed emettendo un ringhio tanto basso da sembrare un sibilo. Mai come in quel momento- pensò Erice- i due fratelli avevano somigliato a dei vampiri, feroci, spietati, adirati.

-         Sorella, mia splendida sorella; non avercela con me: ti sto dicendo solo la verità. E la tua reazione mi dice che stai facendo questo radicale ed inutile cambiamento- e stai costringendo anche Marcus a seguirti- solo per lei, solo per un’insignificante umana.- Aro intrecciò le mani in grembo, un sorriso falso sulle labbra sottili.

Didyme, allora, esplose: si piegò rapida in posizione d’attacco, e ringhiò contro il fratello con tanta veemenza da far rabbrividire persino Erice, che da una vita intera era abituata ai modi dei vampiri.

-         non osare offendere la mia Erice!- fece, fredda; gli occhi ridotti a fessure. La ragazza, da dietro l’albero tratteneva il respiro, tentando d’immaginare il bellissimo volto di sua madre, trasfigurato dalla rabbia.

-         La tua Erice?- la canzonò il capo dei Volturi, mentre scuoteva la testa e faceva schioccare la lingua come se si trovasse davanti ad un caso irrecuperabile.

-         Tu non hai mai capito, Aro, non potresti mai capire. Hai odiato Erice sin dal primo momento in cui l’ho portata tra noi, ma non ti sei mai curato di osservare come io l’ho sempre guardata: la considero mia figlia, e in tutto questo tempo l’ho protetta ed amata come una qualsiasi altra madre farebbe.  È stata una parte della mia femminilità che ho dovuto recuperare dopo la mia morte, poiché, quando mi hai trasformata in vampira, ti sei preoccupato solo di attendere che divenissi una donna, e così mi hai privato dei miei bisogni, dei miei desideri.- la vampira mora iniziò il suo discorso con un sospiro e un’aria di superiorità, ma, infine, il disprezzo represso nei confronti del fratello, il vuoto causato dalla privazione di sé come persona, donna e madre, ebbero il sopravvento sulla sua lucidità.

-         Puttana ingrata! Dovresti essermi riconoscente per ciò che ho fatto per te! Ti ho resa splendida, veloce e forte; ti ho sottratta all’abbraccio della morte, allora e sempre, fino alla fine di ogni tempo. Ho fatto sì che tu fossi parte del mio grande progetto, di fondare il clan dei Volturi: una stirpe gloriosa che avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi. Ti ho anche fatto dono di un compagno che potrai avere sempre al tuo fianco. E tu come mi ripaghi? Cercando di portarmelo via, lasciando così che i Volturi rimangano solo un ricordo…

È colpa tua e di quell’inutile umana, se presto andrà tutto in rovina!- anche Aro aveva fatto mostra del rancore e dell’odio che provava verso Erice, ed ora anche nei confronti di Didyme, perché stavano vanificando tutti gli sforzi compiuti dal vampiro in quei millenni.

La ragazza, non ebbe il coraggio di sporgersi a guardare quanto stesse accadendo; aveva lo stomaco serrato in una morsa gelida. Tuttavia, dal momento che non aveva mai sentito quel vampiro perdere il controllo in quel modo, provò ad immaginare la rabbia titanica di Aro, i pozzi neri che dovevano esser divenuti, i suoi occhi.

Didyme, che nonostante in tutta la sua esistenza aveva cercato di compiacere suo fratello, era sempre stata una vampira indipendente e sveglia, in quel momento, contrariamente alle sue stesse aspettative, indietreggiò spaventata, ferita da quelle parole mentre apriva per la prima volta gli occhi su chi fosse veramente suo fratello.

-         di me non ti è mai importato nulla, vero, fratello?- mormorò, con voce rotta anche se le bruciava la lingua a pronunciare quell’appellativo.

Aro fece un respiro profondo e, quando apparve più calmo voltò appena la maschera di bronzo in cui era mutato il suo viso, per studiare con sufficienza Didyme.

-         no sorella. Hai ragione. Amo di più il potere, per questo…quando ti ho trasformata mi aspettavo grandi cose da te- visto il potere che ho ereditato io- ma…mi hai davvero deluso quando ho scoperto quale fosse realmente la tua qualità. Ora, infatti, ti detesto perché vuoi privarmi del membro più fidato che ho nel Consiglio. Vedi io…devo impedirtelo, devo fare di te un esempio per far comprendere a cosa andranno incontro tutti coloro che in futuro vorranno abbandonare i Volturi.- dichiarò il vampiro, con voce tagliente, quasi fosse una dichiarazione di guerra.

In quell’istante Erice decise di girarsi verso lo spiazzo erboso, più concentrata sul pensiero che non vedeva nulla di male in una capacità di persuasione che poteva tornare utile in qualsiasi momento, facendo piegare le persone a qualsiasi volere; piuttosto che sull’ultima promessa del capo dei Volturi.

Ciò che vide appena un secondo dopo, infatti, la paralizzò, facendola tremare come una foglia, togliendole il respiro…

Aro, ridotto ad un’aura nera come la pece, ai suoi occhi, si avventò lesto su sua sorella e la scaraventò contro un albero, sfruttando l’elemento sorpresa. Quella impiegò un po’ a riprendersi dallo stupore, ma ebbe solo il tempo di rialzarsi saltando il tronco, sull’erba, ormai ridotto ad un ammasso di trucioli; perché, un secondo più tardi, il fratello le fu di nuovo addosso, per non lasciarle il tempo di prepararsi ad uno scontro fisico, e prese a strapparle a morsi ogni “appendice” del suo corpo: le braccia, le gambe, le orecchie, le labbra…

Le urla di Didyme erano strazianti, tanto che Erice avrebbe voluto soccorrerla, essere lì al suo fianco a proteggerla e salvarla, ma, nonostante avesse portato con sé il pugnale dalla lama doppia che le era stato regalato da Anthenodora, la ragazza non riusciva a muoversi, la mano le tremava in modo incontrollato, e si sentì fragile e spaventata mentre scopriva un sentimento dannatamente umano: la paura.

Senza alcun preavviso, sotto lo sguardo impietrito dell’umana, Aro iniziò a sradicare alberi ed a distruggerli, gettandoli tutt’attorno al corpo mutilato della sorella, che ormai non poteva più neanche urlare, perché privata della lingua.

Erice comprese troppo tardi quale fosse l’intento di quel vampiro sadico e, udendo un semplice “mi dispiace, ti ho voluto bene” uscire dalle labbra di lui, rivolto agli occhi imploranti ma consapevoli della sorella; si decise a muoversi solo quando le fiamme roventi di quel rogo colossale, le avvamparono sul viso.

Lì in mezzo, nel fuoco crepitante e rosso come l’inferno, c’era Didyme. Erice si sentì impotente in quanto una presa di freddo acciaio era serrata attorno al suo corpo, e le impediva di muoversi. Sapeva di non poter fare nulla, di non aver mai potuto fare nulla a causa della sua condizione umana, caduca e svantaggiata rispetto a quella di un vampiro; così, frustrata dalla paura e dall’odio verso Aro e verso se stessa; si sorprese ad urlare:

-         bastardo assassino! Pagherai per questo!-

allora, nonostante quasi tutti i rumori fossero coperti dallo scoppiettio delle fiamme, Aro sollevò la testa di scatto, come fosse stato un segugio a caccia.

La forza che teneva Erice inchiodata al suo posto, la lasciò improvvisamente andare, con una spinta, e lei si ritrovò al centro della radura, al cospetto di Aro; il pugnale stretto nella mano che tremava, il viso sconvolto e terreo.

La ragazza non seppe mai cosa fosse successo dopo, esattamente…forse i riflessi delle ultime fiamme che si stavano estinguendo, avevano illuminato il viso di Erice tanto da renderlo minaccioso e spingere il vampiro, spaventato, a dileguarsi in un tornado invisibile ed innaturale…o forse, poiché era senza mantello, dal momento che era bruciato assieme alla sorella, fu il sole- che si trovava nel punto pi alto del cielo- ad impedirgli di muoversi, di avvicinarsi a lei e, per quella volta le salvò la vita.

Comunque,dopo attimi interminabili passati a scrutare quel folle vampiro, Erice rimase sola in quel luogo devastato. Dinnanzi alle ceneri sparse a terra, l’unica traccia rimasta dell’esistenza di sua madre, si sentì svuotata. Cadde in ginocchio, senza parole, tenendosi invece stretta un’ultima, vana speranza: giunse le mani in preghiera implorando ossessivamente sempre la stessa cosa. Magari quel qualcuno cui si stava rivolgendo, le avrebbe davvero restituito la vampira che aveva amato, tutta intera.

La ragazza riaprì gli occhi dopo poco tempo e fu costretta a supplicare quella richiesta ad alta voce, quasi ad urlarla. Ma non accadeva nulla. Non c’era nessuno ad ascoltarla.

Persa, distrutta e logorata non ebbe altra soluzione se non quella di gettarsi tra le generi di sua madre e piangere, immaginando di averla vicina un’ultima volta, ora che cominciava a comprendere in modo profondo quale vuoto aveva lasciato dentro di lei, la sua perdita.

Fu allora che, per quanto fosse consapevole della sua condizione di inferiorità rispetto ai vampiri ostili che da quel momento l’avrebbero circondata- poiché non ci sarebbe più stata Didyme, a proteggerla- Erice si fece una promessa, e la estese anche alle polveri che, dalla terra, si stavano disperdendo nel vento: sua madre era morta come una martire, pura, aveva sofferto, certo; ma era anche riuscita a dimostrare la vera indole, malvagia, del fratello; il suo sacrificio, quindi, non sarebbe stato vano, perché lei, Erice, sua figlia, sarebbe riuscita presto a fare giustizia, mostrando a tutti di quale crimine Aro aveva voluto macchiarsi le mani, pur di mantenere il proprio potere.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Come state?(soprattutto, scelta giusta chiederlo dopo un capitolo simile XD)

Scusate il ritardo; ho cercato di fare il prima possibile ad aggiornare.

Spero che, nonostante questo capitolo sia un po’ particolare(non so voi ma a me viene da piangere) vi sia piaciuto lo stesso; chiedo venia per il linguaggio un po’ “di strada” di Aro, ma ho cercato di immedesimarmi il più possibile in lui in una situazione simile(ah, se trovate qualche ripetizione di concetti o termini, sorry ma non ho avuto tempo di ricontrollare).

In particolare mi auguro che questo post abbia reso giustizia a ciò che vi avevo promesso nel precedente “spazio d’autore” o meglio, che sia stato abbastanza “da fuochi d’artificio” come lo aveva definito Ayumi, se non sbaglio. Grazie davvero ad entrambe, Luce e Ayumi per i vostri commenti, e per il fatto che mi seguite sempre, scusate se non vi ringrazio a dovere ma sono un po’ di fretta…

Spero comunque di non aver deluso le aspettative, fatemi sapere che ne pensate, vi ringrazio in anticipo

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** il castello di carte ***


Capitolo XIV

Il castello di carte

 

La luce obliqua del tramonti sfiorava delicatamente ogni cosa, ormai, ogni profilo della splendida campagna toscana; tutto sembrava emanare calma, torpore, pace…eppure, un unico, straziante lamento portato dalla brezza leggera, si spargeva ovunque, mutando il bel viso di quella tranquillità in un’inquietante atmosfera da cimitero.

Erice era ancora sdraiata sul prato di quel boschetto sfigurato dalle fiamme, le ultime ceneri di sua madre strette nei palmi serrati, graffiati, come se non avesse voluto lasciarla andare. Il lamento proveniva da lei; il volto distrutto dal dolore, nelle narici ancora tracce dell’intensissimo profumo dolciastro del rogo.

All’improvviso il vento calò d’intensità, e le sue deboli orecchie umane percepirono un minimo scalpiccio di passi:

-         umana, Erice…- la chiamò una voce dura, simile ad un ringhio che si abbassava via via di tono.

La ragazza sobbalzò, mettendosi carponi di scatto nonostante si sentisse totalmente annientata nei sensi ed in ogni fibra del proprio essere. Le mani tremanti corsero subito alla chiazza d’erba dove ricordava di aver sentito cadere il pugnale, ma dovette procedere a tentoni, febbrile, persa: non c’era nulla!

Con un sospiro soffocato capì che la sua arma era sparita e, consapevole di essere ormai indifesa, non ebbe altra scelta che alzarsi in piedi, volgersi in direzione della voce e scrutare la figura sconosciuta attraverso gli occhi appannati di lacrime. Una sagoma inquietante stava davanti a lei, rigida come una statua, il volto bianco, l’abito lungo e nero come un mantello…se non avesse avuto quella chioma tanto bionda da sembrare bianca, Erice avrebbe detto che quel vampiro fosse la morte.

-         Ca…Caius? Siete venuto a finirmi?- mormorò, la voce rotta dal pianto mentre tremava; gli occhi guizzavano ancora qua e là alla ricerca del pugnale.

-         Non ti sei accorta che quando che, quando si è dileguato, Aro ha preso con sé il tuo pugnale, vero?- la rimbeccò, pungente; lo sguardo ridotto a due fessure. A quelle parole, la testa dell’umana vorticò tanto da destabilizzarla.- avevo deciso di seguire quel folle questa mattina, quando ho notato che aveva sottratto dalla mia collezione quell’oggetto tutto inciso e decorato, che gli hai visto usare per dar fuoco a…- Caius perse in quella particolare spiegazione, forse perché si sentiva in dovere di dare qualche risposta alle mille domande che brillavano mute negli occhi verdi della ragazza, ma non disse il suo nome, e tuttavia, pur essendogliene grata, Erice trattenne a stento un singhiozzo.- e sarei anche riuscito a proteggerti, e far sì che quel vampiro non ti vedesse, se non ti fossi dimenata come un animale e non avessi urlato!-

La figlia di Didyme rimase in silenzio, sbalordita; se non si fosse trovata in una circostanza così…strana, avrebbe anche avuto modo di riflettere sul perché Caius si riferiva ad Aro usando nomignoli che servivano a sminuire la sua autorità,- dal momento che fino a qualche giorno prima gli aveva mostrato il massimo rispetto- ma si sentiva tanto spaesata dalla situazione in cui era capitata che quella parole la ferirono come fossero state qualcosa di solido.

Poi, improvvisamente, il suo cervello tornò a quanto le era accaduto poco prima…possibile che quella stratta gelida che aveva avvertito attorno a sé, che l’aveva tenuta ferma, provenisse da Caius e non dal suo intimo?

-         penso che da ciò che hai sentito e visto, oggi, tu abbia avuto la possibilità di capire veramente chi è Aro, dopo tutto questo tempo. Didyme avrebbe dovuto sapere che suo fratello è tanto attaccato al potere, che le avrebbe negato la possibilità di lasciare i Volturi, ancor prima che lei glielo avesse chiesto. L’idea è divenuta assolutamente proibita, poi, quando lei ha fatto cenno al fatto che nella sua idea di “nuova vita” eravate previsti anche tu e Marcus.- continuò il compagno di Anthenodora, le mani raccolte dietro la schiena mentre passeggiava avanti e indietro, come se stesse discutendo di una semplice questione politica o burocratica; invece che di quel caso tanto delicato.

-         Perché Aro avrebbe fatto…questo? Rischierebbe tanto pur di tenere me e Marcus nella congrega? Perché si è spinto fino ad uccidere sua sorella?- intervenne lei, tanto confusa da non riuscire neppure a capire se, il sussurro nel quale si era espressa, fosse stato comprensibile.

-         Ha ucciso sua sorella perché si sentiva minacciato da lei; le voleva bene ma credo abbia cominciato a vederla come un elemento destabilizzante per il clan quando Didyme si è affezionata a te; ed inoltre, il fatto che volesse portargli via Marcus(che è il membro degli Anziani di cui Aro si fida di più, oltre che quello più potente, ai suoi occhi- dal momento che la sua abilità è molto utile su un campo di battaglia) gli ha fatto capire che sua sorella rappresentava un pericolo: se tutti i membri dei Volturi avessero seguito il suo esempio, infatti, presto la congrega avrebbe perso credibilità e potere. Il bastardo voleva tenere anche te perché ti considera solo una preda, non un membro della Guardia, ed intendeva insegnarti che non puoi mutare condizione; rimarrai per sempre marchiata con quella sotto la quale sei nata.

Ora che ti sei esposta, credo, però, che si senta minacciato anche da te, perché conosci uno dei suoi segreti, e lo hai sfidato. Smetti di piangere, stupida! Questo non riporterà Didyme in vita! Apri bene le orecchie su quanto sto per dirti, invece!- Caius perse la pazienza, vedendola piangere, così l’afferrò per le spalle, scuotendola con forza.

L’idea che sua madre Didyme ormai non fosse altro che polvere lontana, faceva perdere ad Erice ogni speranza, ogni voglia di vivere. Sentì che le ginocchia le tremavano, ogni particolare del paesaggio attorno a lei, vibrava…

-         il fatto che tu abbia assistito a quanto ha fatto, ti ha reso, agli occhi di Aro, una minaccia, perciò cercherà di renderti la vita impossibile. Ti consiglio di comportarti come se non fosse accaduto nulla, di mantenere un profilo basso, e di restare sempre incollata a Santiago, perché- in quanto tuo compagno- ti proteggerebbe a costo della sua stessa vita, ed inoltre, ha giurato di vendicarsi di Alec, Jane, Felix e Demetri, per quello che ti hanno fatto…- ripetè lentamente il vampiro, mentre la teneva per un braccio, per essere sicuro che lei avesse compreso bene quanto fosse ostica la situazione che le si stava proiettando dinnanzi.

Erice cercò di riprendere il controllo di sé mentre quello parlava, ma, soggiogata com’era dalle emozioni, non le risultava affatto semplice mantenere il cervello attento, freddo, pronto ad accogliere tutte quelle informazioni, le quali, tra l’altro, non avevano senso, le sembravano impossibili.

-         ma cosa…diavolo state dicendo, Caius? Come potete anche solo pensare che io possa fingere di essere cieca davanti a ciò che è accaduto? Aro ha ucciso sua sorella, mi ha privato di mia madre, ed ha dovuto far ricorso ad una trappola per impedirci di partire; per avere- a quanto dite- la sicurezza di mantenere unita la congrega! Come dirò a Marcus cosa è successo? Ne sarà di certo distrutto e vorrà vendicarsi, fare giustizia…che è ciò che voglio…che esigo anch’io, anche se non riesco a spiegarmi perché quell’assassino vigliacco abbia rubato il mio pugnale!- la ragazza prese coscienza di tutto il dolore che provava, che l’avvolgeva; giunti quindi al limite della sopportazione, il suo cuore e la sua mente, lo mutarono in qualcosa di solido, facendo sì che fuoriuscisse dalle sue labbra con violente irruenza, in un conato di parole.

Caius tese le labbra sottili in un sorriso maligno e, con durezza dichiarò:

-         sarai costretta a fingere, poiché altrimenti dovresti spiegare la verità, e nessuno nel clan dei Volturi metterebbe mai in dubbio la parola del fondatore della congrega, in favore di un’umana, seppur membro della Guardia. Marcus, poi, non dovrà sapere nulla, per alcuna ragione: lascia che si crogioli in torturanti dubbi sul motivo della scomparsa della compagna; nel frattempo osserva il comportamento di Aro con attenzione. Questo ti permetterà di anticipare le mosse del tuo nemico e quindi avere salva la vita. Creati però, degli alleati, come Santiago, Evangeline- ti difenderebbe sempre anche lei, come il tuo compagno, dal momento che ti ha cresciuta ed aiutata anche in altre occasioni- e…potrai contare anche su di me: ti proteggeremo. Ma dovrai tenere segreto con tutti ciò che hai visto oggi.- la fissò con gli occhi cremisi che mandavano lampi; era aspro e serio tanta era l’importanza del patto che stavano stringendo; ma sembrava anche amareggiato, forse perché era la prima volta che si scontrava con emozioni umane e passionali, come il dolore che stava provando la ragazza.

-         Perché state facendo questo, Caius? Perché dovreste proteggermi?- domandò Erice, scioccata da quell’intuizione mentre cercava di chiarire a se stessa il motivo di un aiuto tanto provvidenziale, da parte di un vampiro spietato come Caius.

-         Se riesco in quest’intento, avrò estinto il secondo dei tre debiti che ho nei tuoi confronti…- chiarì subito, nonostante facesse fatica ad ammetterlo. Lo sguardo fisso sul terreno, il volto seminascosto dalla chioma bionda.

La ragazza rimase tanto sorpresa dalle parole di quel vampiro che sentì una scossa di riconoscenza dentro di sé, avvertì la necessità di abbracciarlo ma si paralizzò, poiché non sapeva come il vampiro avrebbe reagito.

Caius rimase ad osservarla per qualche secondo poi, notando che non era divenuta in tutto e per tutto simile ad una statua, fu costretto a caricarsela sulle spalle, per far sì che entrambi si allontanassero da quel luogo.

Mentre correva veloce come il vento, il compagno di Anthenodora era rigido e non respirava. Erice non si accorse minimamente del vento innaturale e tagliente che le si era alzato attorno, durante il tragitto di ritorno a Volterra; era troppo impegnata ad accogliere la consapevolezza di un’urgente necessità di cambiare, a raccogliere i pezzi di ciò che era rimasto della sua purezza bambina, che sembrava però, sparita come la polvere del corpo di Didyme.

Molte cose che avevano costituito il suo mondo erano cambiate o scomparse, in un batter d’occhio: sua madre non c’era più; non sarebbe più apparsa dal nulla come una divinità, per consigliarla e proteggerla; da quel momento in poi si sarebbe trovata sola nell’ostilità più pura (tra assassini e bugiardi che non avrebbero atteso altro che un suo passo falso per schiacciarla) e, per sopravvivere, non si sarebbe potuta permettere il lusso di mostrarsi debole.

Il compito che doveva assolvere era difficile e, dubbiosa, non si sentiva pronta a calarsi in una fossa di serpi tanto profonda e buia…cosa avrebbe dovuto fare?

Sentendosi già persa, trovò la sua unica forza nel richiamare alla mente il bel viso di sua madre e, con quel ricordo stretto al petto fu animata dalla sola sete di giustizia; quindi, si esercitò a mutare il proprio cuore in pietra…

Dopo innumerevoli tentativi, centinaia di lacrime versate e ferite aperte, la ragazza capì di essere riuscita nel suo intento: in vista delle Mura di Cinta scoprì di essere capace a piangere ma anche a ricacciare indietro le lacrime, perché facessero posto alla rabbia; avvertì che il cuore le brillava e si induriva alternativamente, era, ora cuore ora pietra, ora cuore ora pietra, ora cuore ora pietra…

 

Era notte fonda quando Caius e la figlia di Didyme tornarono a passeggiare tra le strade della città: un manto stellato di velluto scuro avvolgeva ogni cosa, donando ad ogni angolo buio un che di inquietante e facendo risplendere Palazzo dei Priori di migliaia di scintillanti sfumature bianche. Erice tremò di paura all’idea che, da quell’oscurità, che un tempo l’aveva sempre protetta, ora sarebbe potuto sbucare un vampiro pronto a divorarla; così, per un riflesso incondizionato, strinse la mano di Caius. Nonostante il ringhio infastidito che proruppe dalle labbra di lui, l’umana si sforzò di sorridere all’idea che, dopotutto, in quella desolante situazione, non era sola: qualcuno era ancora disposto a proteggerla.

Quella notte, tuttavia, la ragazza non riuscì a dormire: pur essendo riuscita ad evitare tutti, riconoscere(anche se di sfuggita) il viso angosciato di suo padre Marcus, la distrusse, spingendola a cercare rifugio tra le braccia gelide e possenti di Santiago.

Il vampiro sapeva che la sua compagna era sveglia, ma non osò aprir bocca per fare domande; nel silenzio che venne a crearsi tra i due, infatti, il messicano comprese che da allora in avanti avrebbe dovuto proteggere la sua compagna da tutto e tutti, perché Erice era cambiata- o meglio, pur rimanendo sempre la stessa, sembrava esser stata costretta a “maturare” troppo rapidamente?

Che avesse avuto un qualche diverbio con i genitori, pur di spiegare perché il suo desiderio più grande consisteva nel non lasciare il suo compagno?

 

Durante gli interminabili giorni che seguirono, la tensione si percepiva come qualcosa di solido sulla pelle; c’erano momenti in cui Erice si sentiva più fragile del vetro, attimi in cui avrebbe voluto porre fine a tutto e raggiungere sua madre, ovunque si trovasse, dal momento che credeva impossibile riuscire a sopportare anche un solo secondo di ciò che stava avvenendo, di quello che sarebbe avvenuto poi, ma….aveva fatto una promessa a Caius, ed a sua madre in particolare, perciò non poteva arrendersi, bensì doveva lottare finchè la verità non avesse trionfato.

Quando l’impellente necessità di far conoscere la verità, però, la colpì, la ragazza fissò bene tra i ricordi l’alieno, meschino volto di Aro; si nascose dietro una maschera piatta, un cuore duro come la pietra, ed armata di un silenzio che allontanava chiunque: non sentiva caldo o freddo, non vedeva colori, passione…semplicemente un grigiore uniforme in cui tutti- tranne lei, dal momento che conosceva il segreto- erano stati gettati a tradimento dal fratello di Didyme, che faceva credere loro che era tutto ciò che desiderassero. Questo fu ciò che non impedì all’umana di crollare:quell’ossessione, (che stava diventando quasi uno stillicidio) di sapere qualcosa in più rispetto agli altri, nonostante la sua condizione svantaggiata, e di avere un ruolo tanto delicato quanto decisivo, in quel caso.

Ma, per non dare nell’occhio, la ragazza svolgeva regolarmente ogni compito con la sua abituale solerzia, senza obiettare e, nel frattempo studiava anche i “fantastici quattro” che, in ogni momento, sembravano avere a loro volta gli occhi fissi su di lei, oltre al fatto che non si allontanavano mai dal capo dei Volturi.

Di tanto in tanto, incontrava Caius nei corridoi di Palazzo dei Priori, ma si comportava come se fosse tutto normale, forte del fatto che la maschera la proteggesse e che era trincerata dietro uno spesso strato di silenzio: tali particolari inquietarono non poco gli altri membri della Guardia, i quali, percependo un radicale, seppur recondito, cambiamento nella “collega”,nell’ignoranza seppero solo collegarlo allo stato di angoscia nel quale era scivolato Marcus; ipotizzarono che i due avessero litigato o che magari il nucleo famigliare che avevano sempre costituito si era sfaldato dal momento che Erice era stata l’unica ad opporsi all’abbandono di Volterra, visto il suo legame con Santiago. Nessuno pensò mai di chiedere a Caius se sapesse qualcosa, e la figlia di Didyme, dal canto suo, non parlò più con lui: ormai, il loro patto era stipulato e non c’era bisogno di altre parole.

Venne, tuttavia, un periodo in cui Erice si sentì assolutamente nuda, nonostante fosse armata di mutismo e nascosta dietro un volto che non era il suo: infatti, non aveva il coraggio di avvicinarsi a suo padre, poiché sapeva che, se avesse visto il dolore che lo dilaniava, che appariva in maniera tanto lampante sul suo viso; sarebbe stata indotta a far sgretolare la maschera di pietra che indossava ogni giorno e che toglieva solo, e neppure sempre, in presenza di Santiago.

Quando i due facevano l’amore, la ragazza si stringeva a lui con quanto più vigore potesse, come se fosse stato la sua unica ancora di salvezza; cercava, incessantemente, sulle labbra del compagno una via di fuga dal soffocante vortice che la stava risucchiando. C’erano momenti in cui si abbandonava anche alle lacrime- quando la sofferenza per la perdita di sua madre la soffocava- ma al suo compagno, che la fissava preoccupato, spiegava che erano frutto di felicità dal momento che ora, avevano la certezza che sarebbero stati sempre insieme.

 

In un giorno triste e così dannatamente uguale agli altri, Erice fu invitata a seguire gli Anziani e le loro mogli in una battuta di caccia, lontano da Volterra.

Nonostante il disagio, cercando lo sguardo dell’unico alleato che avesse in quel gruppo e, sforzandosi di mantenere il respiro regolare, fu costretta ad annuire accondiscendente, consapevole che un rifiuto avrebbe destato sospetti.

Doveva essere una normale battuta di caccia, no? Eppure…c’era qualcosa nello sguardo di Aro, che la inchiodava, spaventandola, qualcosa di sadico e malefico

La Famiglia fu scortata fin presso Porta all’Arco e da lì, senza che nemmeno dover attendere o dover chiedere, Marcus, col suo bel mantello nero, prese sua figlia sulle spalle ed iniziò a correre, assieme agli altri quattro vampiri. Nel momento in cui il vento innaturalmente tagliente le sferzò i capelli sotto il cappuccio del mantello, Erice si odiò per la tensione che aveva tenuto insieme i suoi pezzi fino a quel momento; per il comportamento duro, scostante, gelido e sospettoso che aveva tenuto in quei giorni, soprattutto nei confronti di suo padre che, dal momento che non riusciva a trovare pace, non meritava affatto che gli venisse nascosta la verità.

Si augurò, però che almeno quella corsa potesse alleviare il suo dolore- il cuore le piangeva ed urlava, sembrava volersi rifiutare di battere- si avvinghiò quindi, a lui nel tentativo di fargli sentire la sua vicinanza. Marcus sussultò come a voler trattenere un singhiozzo e la strinse a sé con affetto, dal momento che, sospettava, l’idea di poter perdere anche lei, gli sarebbe stata fatale.

Allora, entrambi aprirono gli occhi e la bolla che li avvolgeva, a fatica tratteneva tranquillità scoppiò quando Erice si rese conto quanto potessero essere crudeli le macchinazioni di Aro: la famiglia si ritrovò nella radura bruciata dove era stata uccisa…

Mentre tutti i vampiri si acquattavano tra i cespugli, in attesa dell’arrivo di alcuni umani dei quali avevano sentito l’odore vicino, la ragazza ritenne più saggio allontanarsi ed eclissarsi dalla realtà: c’era già stato molto dolore nella sua vita, non serviva di certo la vista di altro sangue!

La confusione ed il dolore che provava rischiarono di farla prorruppere in urla e pianti ma, per miracolo, si trattenne imponendosi di restare calma. Marcus le venne vicino, delicato, inerme, l’ombra di un bambino indifeso, e lei, nascosta di nuovo dietro l’albero che era stato già il suo rifugio, scoprì che era stato l’unico a non essersi nutrito.

“questo è davvero troppo! Abbiamo permesso a quel vigliacco bastardo di disporre delle nostre vite a suo piacimento, ed ora ci sta distruggendo!” pensò, adirata, le mani serrate a pugno.

Aveva davvero varcato un limite: la pietà che la vista delle condizioni di suo padre le suscitarono, le suscitò pura furia; Aro si stava prendendo gioco di loro, apertamente poiché li aveva condotti in quel luogo e non stava facendo altro che alimentare tensioni, dubbi e paure, con l’unico fine di attendere che lei crollasse.

Accecata dall’odio, la ragazza smise di pensare: senza farsi troppi problemi sottrasse un coltello da cacciatore al cadavere di uno dei cinque scalatori, uccisi dai membri della Famiglia; e gli tagliò la gola, invitando delicatamente suo padre a bere il sangue che sgorgava, ancora caldo.

Marcus, ammirato da quel gesto, si sforzò di mascherare lo sconforto che provava e fece quanto gli chiedeva la figlia. Per un secondo, la ragazza e il vampiro, scordarono tutto e godettero dell’ombra di gioia che li pervase, per quel momento condiviso insieme, per quanto macabro fosse.

Erice avrebbe voluto sollevare gli occhi al cielo ed urlare a sua madre che l’amava, che aveva capito che l’indissolubile, amoroso legame che la univa a Marcus non era altro che quello di una vera famiglia, e che le avrebbe dato l’energia necessaria per lottare, fintanto che ne avesse avuto la forza.

Ma…

-         Erice…dov’è il tuo pugnale? Quello che ti ho donato?- intervenne Anthenodora, confusa, poiché trovò strano che la ragazza avesse usato, per quell’azione, un’arma diversa da quella cui non si separava mai.

Un gelido ed insopportabile silenzio calò, con un tonfo, tra tutti che, ammutoliti, sembravano attendere una risposta. Gli occhi di Aro inchiodarono l’umana: eccolo, quel passo falso che aveva atteso tanto a lungo; ormai, quella stupida era in trappola e difficilmente sarebbe riemersa dal buco nero al quale si era condannata.

-         devo…devo averlo dimenticato…- inventò, improvvisando nervosa.

 

“perfetto! Ora so a quale scopo Aro mi ha sottratto il pugnale! A causa di una stupida risposta- di certo studiata da quel folle- mi sono scavata la fossa con le mie stesse mani! Ora il bastardo farà risultare- facendo leva proprio su questo mio scivolone, magari- che sono stata io ad uccidere mia madre! E forse riuscirà anche a persuadere tutti che avevo un valido motivo, ossia che non volevo lasciare Volterra…cosa faccio adesso?” Erice, chiusa nella sua stanza da quando la Famiglia aveva fatto ritorno dalla caccia, era chiusa nella sua stanza, si era posta sempre le stesse domande, anche ora, a notte inoltrata, si stava torturando con quegli interrogativi; non riusciva a calmarsi e, da un tempo indeterminato stava camminando avanti e indietro, nella speranza di ritrovare quel sangue freddo che, fino ad allora, le aveva salvato la vita; era perfettamente consapevole però, di aver ormai superato un punto di non ritorno

Cosa avrebbe dovuto fare? Quali azioni le avrebbero giovato da quel momento in avanti? Non riuscì a darsi una risposta e finì per accasciarsi a terra e piangere mentre le spire della paura e della solitudine la ingoiavano.

Fortunatamente, la mattina seguente un angelo vampiro si presentò alla sua porta e l’abbracciò, con forza e calore. La ragazza si sentì meno sola quando scoprì che il suo angelo custode, Evangeline, le stava davanti, dolce e risoluta e, come sempre pronta ad aiutarla, di qualsiasi cosa avesse avuto bisogno. Bastò lo scambio di un solo sguardo, ed Erice comprese che la sua nutrice le era stata inviata da Caius, perché fosse la sua ancora di salvezza.

Un’ultima carezza, poi la vampira dalle trecce argentee consegnò alla sua “creatura” un biglietto tutto ripiegato, senza destinatario né mittente.

La ragazza lo aprì, attenta a non far leggere nulla alla sua alleata, anche se, nonostante quella precauzione, le fu impossibile celare le forti emozioni che la vista di quella lettera le provocò.

 

Ieri hai fatto un passo falso epocale che ti ha compromessa ed ha concesso ad Aro di vincere. Mi aspettavo che avresti resistito più a lungo ma, d’altro canto sei solo un’umana…

Le tue parole, storpiate dal bastardo, hanno gettato nel dubbio Marcus il quale, ora crede ciò che quel dannato vuole fargli pensare, ossia che sia stata tu la causa della scomparsa della sua compagna; tuttavia, visto che Marcus ti vuole bene, sta lottando contro se stesso per accettare questa “verità”: si è isolato dalla congrega per riflettere e decidere cosa fare. Ma non sono i suoi dolori, quelli che devono preoccuparti, ora; piuttosto- dal momento che, riconoscerai anche tu di esserti offerta ad Aro su un piatto d’argento- dovresti ringraziarmi perché ho trovato un modo di farti uscire viva da questa situazione: tra una settimana esatta ricorrerà San Marco, e progetto di farti allontanare da Volterra proprio in quell’occasione. Neppure Evangeline ne sa molto, perciò non chiedere. Potrebbero scoprirti. Prepara invece, quanto credi ti serva per andar via e agisci con cautela non sono sicuro che in futuro saprò ancora salvarti con tanta rapidità ed astuzia.

                                                                                                                 C

 

Se si fosse trovata in una situazione meno tesa ed insostenibile, Erice avrebbe di quelle parole così traboccanti di tracotanza così come della scrittura di Caius, tutta piena di ghirigori ma, si sentiva così indifesa che l’unica cosa che riuscì a fare fu fissare con accanimento il foglio mentre tremava, all’idea di una fuga. Il tempo di anticipo con il quale era stata decisa era poco, certo, ma se Aro l’avesse scoperta, dal momento che con un solo tocco poteva leggere la mente di chi gli stava intorno? Scambiò con Evangeline uno sguardo disperato.

La vampira le sorrise dolcemente e, dopo essersi armata di una penna, la lasciò scorrere su un foglio del taccuino di Erice; si mosse con tanta rapidità da renderne quasi impercettibile il rumore.

 

Caius progetta di farti fuggire da Volterra il giorno di San Marco. Sarà semplice mescolarsi alla folla; ci procureremo dei mantelli rossi, ma per questo poco tempo che ti allontana dalla ricorrenza, dovrai restare calma e rimanere sempre con Santiago: ti proteggerà. Io, nel frattempo mi occuperò dei dettagli per far sì che tutto sia pronto, per allora.

 

Lette quelle parole Erice provò di nuovo la sensazione di camminare su un filo, ma quella volta fu diverso: c’era qualcuno a tenderle una mano, e questo dava una tonalità un po’ meno grigia a ciò che era stata la sua vita fino a quel momento…

 

Seppur con fatica e la morsa gelida della paura che le attanagliava le viscere, Erice Volturi tentò di comportarsi in maniera normale, come le era stato consigliato nonostante avvertisse che gli sguardi sospettosi di qualsiasi vampiro incontrasse, erano un chiaro segnale del fatto che, il ghiaccio già incrinato sul quale camminava da qualche tempo, si era ormai del tutto frantumato, diventando instabile e pericoloso.

Lo scorrere dei pochi giorni che la separavano dalla salvezza, infatti, era odioso perché molto simile all’acqua stagnante, tanto che rischiava di farla impazzire. D’altro canto però, consapevole di quanto poco mancasse alla sua fuga, non le importava più di nulla e gli unici momenti che agognava, durante i quali le sembrava di poter respirare, erano quelli che trascorreva in intimità con Santiago anche se, a causa dei suoi silenzi e per via del nervosismo che si percepiva tra loro, Erice capì che anche lui stava iniziando a riflettere sul cambiamento della sua compagna e, se non era sospettoso, appariva di certo preoccupato. Ogni volta che si presentava l’occasione di parlare, quindi, il vampiro messicano faceva per aprire bocca, ma, pronta, l’umana gli posava un dito sulle labbra, gli confessava sinceramente e teneramente di amarlo, lo abbracciava o lo baciava: per quanto meschino potesse essere quel comportamento, Erice lo preferiva alle bugie che altrimenti avrebbe dovuto inventare e propinare all’uomo che amava; si detestava però, dal momento che era certa che il suo amato avrebbe capito tutto, al solo contatto della morte sulle sue labbra.

Quanto odiava l’idea di doversi allontanare da lui, per di più, per un tempo indeterminato! Come avrebbe fatto, per far sì che lui continuasse ad amarla, a conservare un bel ricordo di lei, se presto tutto l’avrebbero creduta un’assassina?

 

Solo quando Volterra si ricoprì di rosso Erice seppe che l’eternità del suo purgatorio infernale era terminata, che era il giorno stabilito. Vedendo ovunque il colore rosso che dominava, però, la ragazza temette che sarebbe stato versato il suo sangue; forse fu proprio per questo che fu pervasa da ondate di terrore ghiacciato che la paralizzarono a tal punto da farle scordare come si respirava. Ad un passo dalla salvezza, dopo una dura settimana trascorsa a mantenere le apparenze, le parve di non avere il coraggio, di non saper fare né potere più nulla, di sbriciolarsi come quella volta che aveva provato sulla pelle l’effetto del potere di Afton. Sarebbe voluta tornare indietro: si maledisse per non esser riuscita a salvare sua madre e si detestò per l’oceano di menzogne in cui stava per lasciare suo padre.

Rimase paralizzata dalla titanica potenza di tutte quelle considerazioni, davanti ad una finestra al secondo piano del Palazzo, ad osservare le persone, le decine di mantelli rossi che rendevano quasi impraticabili le strade, e si ritrovò a domandarsi quando sarebbe venuto il suo momento…

-         Erice, dai! Andiamo!- disse, per la terza volta, una figura incappucciata di rosso, scuotendola dal sonno ad occhi aperti in cui si era rintanata.

Solo allora comprese che la gelida mano che stava stringendo e che la stava trascinando tra la fiumana di gente in Piazza dei Priori, - molto più copiosa dell’ultima volta che l’aveva osservata dal momento che era mattina inoltrata- apparteneva ad Evangeline. Che fosse stata lei a gettarle addosso il mantello rosso simile al suo che le rendeva uguali a qualsiasi altra persona presente?

La sua nutrice continuava a trascinarla, ed Erice non seppe fare altro che opporre una lieve resistenza, intorpidita com’era dalla caotica situazione che le era piombata addosso, dal nulla, senza che lei se ne fosse accorta.

Pur sapendo che in quel luogo dimorava un assassino, e che non avrebbe alcun modo all’infuori della fuga, per salvarsi, la ragazza non si sentiva pronta. Prima che potesse rendersene conto, però, si ritrovò avvinghiata alle spalle di Evangeline, lanciata in una corsa che sembrava gareggiare con il vento.

Erice Volturi ebbe un’ultima possibilità di ammirare le bianche mura, scintillanti come opali, che abbracciavano Volterra. Quella città era stata il suo mondo, lì aveva scoperto gioie e dolori, lì era cresciuta; ma ora sentiva che tutti i suoi ricordi stavano crollando, fragili come un castello di carte. Voltate le spalle a quel luogo ebbe la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Scusate il ritardo ma, pensando(erroneamente)di riuscire a postare questo fine settimana, alla fine ho avuto la possibilità solo adesso di aggiornare.

Vi chiedo scusa anche per eventuali ripetizioni nel testo o per la sua troppa rapidità.(a proposito, soprattutto i discorsi, sono chiari? E poi, la lettera di Caius, si legge?)

Ditemi cosa ne pensate di quello che ho scritto, in particolare, che dite della figura e del ruolo di Caius?(perché pensate che, parlando di Aro, usi tutti quei volgari nomignoli?)

Grazie davvero a tutti, lettori silenziosi e “commentatori”(ai quali rispondo ora)

Ayumi_L: ciao! Ancora una volta hai uno spazio a fine pagina tutto per te! Grazie del commento(anche se, con te sembro partire in svantaggio visto che ti aspettavi la morte di Didyme… J ) che ne pensi di questo capitolo? Come avrai notato Aro è più subdolo, più malvagio di ciò che avevi ipotizzato, non entra in gioco uno sconosciuto bensì (anche se qui è solo un’ipotesi lascio chiaramente capire le intenzioni di Aro) presto infatti attribuirà la colpa dell’omicidio di Didyme,direttamente ad Erice. Allora, quanto sono machiavellica?

Luce70: ciao Lux!(scusa sto sentendo l’influenza del latino, ultimamente!) grazie mille per il commento che mi hai lasciato e, bhè hai tutto il diritto di avercela con me per la morte di Didyme(è abbastanza crudo ed ingiusto ma in qualche modo mi dovevo ricollegare a ciò che diceva la Meyer, ossia che, prima dell’inizio della saga di Twilight, Didyme è già morta…)devo confessare che dispiace anche a me, e da quanto hai letto in questo capitolo, non solo ho di nuovo dovuto dividere Erice e Santiago, ma ora penserai che Aro riesce a farla franca…

 

Spero di riuscire ad aggiornare presto

Un baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** caccia e fuga ***


Capitolo XV

Caccia e fuga

 

Caius Volturi si passò la larga manica della tunica scura- da festa- che indossava, sulle labbra, per pulirle dal sangue che le aveva imbrattate dopo l’abituale pasto pomeridiano che si consumava sempre, durante Sa Marco.

Prima di alzarsi dal trono dove sedeva, gettò uno sguardo sui suoi compagni del Consiglio e, dopo aver constatato- non senza pietà e sdegno- che Marcus se ne stava tristemente ripiegato su se stesso, ed era l’unico a non essersi nutrito, un fugace pensiero gli attraversò la mente; sentì anche, tuttavia, l’impellente bisogno di allontanarsi il più possibile da Aro mentre ragionava.

Ora che dava le spalle al Salone Principale, ed il suo pallido viso si rifletteva nel vetro della finestra che dava su Piazza dei Priori, si arrischiò a lasciarsi sfuggire un sorriso che, però, non aveva nulla di rassicurante: quel giorno il tramonto era più rosso che mai, molto sangue era stato versato ma, fortunatamente, non lo era stato quello della figlia di Didyme che- Caius aveva ragione di credere- ormai doveva essere lontana, al sicuro. Si era infatti allontanata, nel primo pomeriggio sulle spalle della solerte Evangeline, ed ora sicuramente era più distante del punto in cui i suoi occhi cremisi potevano posarsi, su quelle colline; ed ovviamente, ogni cosa, era stata ideata da lui. Erice avrebbe sempre ricordato quel suo gesto, quella fuga che le aveva permesso di mettersi in salvo dall’ira di Aro; come il secondo debito di Caius saldato, nei suoi confronti. Ma ciò che quell’umana non avrebbe mai sospettato, era che il sadico compagno di Anthenodora, nascondesse un secondo fine, in quel suo modo di agire: agognava infatti, - assetato com’era di potere- di avere la possibilità di sostituire Aro. Quindi, una volta che Erice si fosse fortificata abbastanza a livello morale, da fare della vendetta per la morte di sua madre il proprio scopo di vita; sarebbe di certo tornata per uccidere il fratello di Didyme. Perciò, quando il bastardo fosse stato eliminato, Caius e la sua compagna avrebbero potuto prendere il suo posto e regnare incontrastati su Volterra, dominare e dettar legge su qualsiasi vampiro al mondo.

A quella fantasia, il ghigno si allargò ancora di più.

D’un tratto, tuttavia, con la coda dell’occhio notò che Aro si era alzato dal proprio trono e stava sussurrando qualcosa ad Alec e Jane…di certo stava ordinando loro di andare a prendere Erice nella sua stanza- che lui stesso si era curato di chiudere a chiave- per portarla lì e giustiziarla davanti agli occhi del padre.

“dannazione!- si ritrovò a pensare il vampiro biondo, con una voglia incontrollabile di ringhiare- credevo che avrei avuto più tempo! Se si scopre ora che Erice non c’è, le sue ricerche inizieranno questa sera stessa!”

Infatti, così fu. In pochi secondi i due “gemelli stregati” lasciarono il Salone Principale e vi fecero ritorno, senza la ragazza. Data quindi la notizia ad Aro, - mentre lui tratteneva a stento un ringhio frustrato e rabbioso; spaventati, per sottrarsi alla sua ira- fu loro compito ordinare di diramare un qualsiasi allarme inventato, abbastanza credibile da allontanare tutti gli umani.

Dunque, una volta chiuse le porte della città, Volterra divenne una fortezza inaccessibile in cui presto si sarebbe diffuso un messaggio di morte.

Quando l’intera Guardia si radunò in Piazza dei Priori, il capo del clan fu il primo- seguito da Caius e Marcus(in stato vegetativo)- a dirigersi sul grande balcone che si affacciava sulla piazza e, ottenuta l’attenzione dell’uditorio, sorpresa da quell’avvenimento tanto inusuale, annunciò:

- miei fedeli compagni che da sempre siete al nostro fianco e ci proteggete, mi addolora grandemente darvi questa notizia…ne avevo da sempre il sospetto, ma pochi di voi hanno voluto darmi ascolto- allora il suo sguardo acuto si posò con un sorriso compiaciuto verso il basso, sui “fantastici quattro”- ed ora che, da poco ne ho la certezza, spero sarete in molti altri a seguirmi. Tra di noi, nel nostro giardino ameno, c’è un serpente, un traditore!- immediatamente, al suono di quelle parole, tutti i componenti della Guardia si irrigidirono, e si scrutarono l’un l’altro, indagatori.

- Non riuscite ad immaginare chi sia? Non vi siete chiesti come mai, da qualche giorno, la nostra dolce Didyme sia sparita? Ve lo dirò io…Erice l’ha uccisa!- dal nulla, il vampiro, che aveva continuato il suo discorso, fece apparire tra le proprie mani bianche, il pugnale a lama doppia che Anthenodora aveva regalato all’umana figlia di Marcus.

Solo quando tutti lo videro e dalla folla si levarono dei ringhi, miste a delle esclamazioni di sorpresa, Aro si arrischiò a far indugiare il proprio sguardo cremisi su Marcus, che era impietrito; e su Santiago che, tanto era evidente il dolore che provava -quasi gli fosse stato appena strappato il cuore- che sembrava perso ed a malapena si mimetizzava tra i mantelli scuri attorno a lui.

-         la bastarda umana ci ha portato via Didyme, ed è sparita. Ho mandato a cercarla in tutto il Palazzo ma non si trova. Crede forse che, con una fuga, potrà affermare la sua superiorità su di noi? Dovete promettermi che la troverete: dobbiamo fargliela pagare! Non appena calerà il sole, potrete iniziare le ricerche, o meglio, la caccia.- promise Aro, solennemente, pronunciando quell’arringa come un vero oratore, tanto che, dalla folla sottostante si levarono osservazioni di apprezzamento mentre già Alec, Jane, Felix e Demetri organizzavano in piccoli gruppi quei vampiri che sarebbero partiti per la “caccia all’umana”.

Santiago rimaneva impalato al suo posto, immobile come una pietra quando la corrente implacabile di un fiume gli passa accanto, senza smuoverla; sembrava incapace di fare qualsiasi altra cosa che non fosse nascondersi dietro i suoi stessi ricci e pensare e ripensare, all’infinito a tutte le azioni e della sua amata, in quegli ultimi tempi, nel vano tentativo di capire se fosse stata degna di essere considerata un’assassina. Marcus, invece, riscosso da quelle parole, riemerse dal suo stato di apatia vegetativa e, avvicinatosi ad Aro, gli domandò:

-         fratello, ti prego, dimmi…se anche fosse vero che mia figlia ha ucciso…sua madre, perché, per il feretro di Didyme, non hai organizzato ricerche tanto repentine quanto queste, per Erice?- sul suo viso di creta bianca, improvvisamente vecchio di mille anni, apparvero chiarissime le emozioni di Marcus, tutta la confusione ed il dolore che provava.; era la prima volta- notò, come anche se ne accorsero Caius ed Aro- che aveva la forza di parlare di feretro, riferendosi alla sua compagna scomparsa.

Aro lo squadrò per un interminabile attimo, muto; - l’unico flebile rumore proveniva dalla piazza dove il corpo di guardia si stava coordinando- la posa rigida del capo clan lasciava presagire che presto o tardi lo avrebbe divorato… “se anche fosse vero” ma come osava? Non credeva quindi, alle sue parole? Bene…presto- giurò Aro a se stesso- avrebbe messo anche Marcus al proprio posto…

Poi, inaspettato, un sorriso piegò le sue labbra femminee, ma era un sorriso freddo e falso almeno quanto l’accusa che aveva mosso contro Erice. Allora passò un braccio attorno alle spalle di Marcus e, con una suadente promessa di spiegazioni, lo ricondusse dentro mentre, senza farsi vedere, lanciava un’eloquente occhiata a Caius, che appariva come un ordine.

Il vampiro biondo ebbe i brividi ma fu costretto ad eseguire, per non destare sospetti così, tirato il cappuccio della veste che indossava, sugli occhi, in breve si ritrovò in Piazza dei Priori a parlare con Chelsea, che era stata convocata al cospetto degli Anziani.

 

La compagna di Afton, seppur confusa trovandosi davanti il compagno di Anthenodora, dopo aver ascoltato le sue parole, non ebbe altra scelta se non quella di abbandonare il progetto di partire, per obbedire all’ordine di convocazione; quindi, lo seguì e, nonostante non volesse coinvolgerlo, fu costretta a trascinarsi dietro anche il compagno, che non voleva lasciarla andare sola.

Allora, mentre Volterra si riapriva al mondo per una caccia spietata ed inesorabile come la morte; le porte del Salone Principale venivano sigillate poiché, ciò che sarebbe avvenuto lì, non avrebbe dovuto oltrepassare quella stessa soglia.

Nel momento in cui Caius tornò, seguito da Afton e Chelsea, Marcus continuava a fare domande, rannicchiato ai piedi di Aro, avvinghiato alle sue ginocchia come un supplice. Persino il compagno di Anthenodora ebbe un moto di pena osservando quella scena, e le condizioni in cui si era ridotto il compagno di Didyme.

-         Aro, fratello, perché non mi spieghi?- domandò ancora una volta il vampiro moro.

-         Marcus, fratello, non temere: ti farò smettere di soffrire…- gli promise Aro, sempre sorridente mentre gli accarezzava la testa, come fosse stato un bambino.

Fu allora che, con un’occhiata dura e fredda come il ghiaccio, sibilò, in direzione di Chelsea che, senza avere la possibilità di opporsi a quanto doveva fare, o chiedere spiegazioni sul perché avesse dovuto agire così, fu costretta a toccare Marcus sulla nuca ed a cancellare così, tutti i suoi legami con Erice e Didyme.

L’addolorato vampiro tremò mentre si accasciava sempre di più a terra, senza poter quindi capire da dove provenisse quella forza che lo stava prosciugando dall’interno e che lo lasciò vuoto, come un guscio d’ostrica.

Si rialzò e prese posto sul suo trono, guardò, inebetito e spaesato i visi che popolavano quella stanza: Afton appariva sconvolto; Chelsea, basita si copriva le labbra con una mano; gli occhi di Aro, invece, non avevano mai brillato di una così felice crudeltà…persino Caius aveva qualcosa che non andava; di solito aveva un modo di fare beffardo e duro, ma ora il suo sguardo perennemente adirato sembrava offuscato…dalla paura?

Marcus non seppe mai rispondere a quel suo dubbio, perché non chiese delucidazioni: non aveva la forza di parlare…si sentiva piatto e senza nessun altro scopo all’infuori di uno, lo sconosciuto vincolo che appariva indissolubile, che lo obbligava a restare nel clan, magari in attesa di una qualsiasi spiegazione di Aro.

 

Era notte, ormai. Solo Santiago, Chelsea, Afton e Corin erano rimasti a Volterra. Caius era di nuovo in piedi davanti alla finestra che dava su Piazza dei Priori: lo infastidiva guardare Marcus che se ne stava immobile come una statua sul suo trono, lo faceva sentire impotente.

D’un tratto la sua vista arguta riconobbe una sagoma che, entrata da Porta all’Arco, si avvicinava veloce alla piazza principale della città. Un gemito di sorpresa lo tradì, infatti Aro, insospettito da quella sua insolita reazione, gli fu accanto in un batter d’occhio, così da scrutare anche lui ciò che il fratello vedeva.

Non disse nulla ma, dopo un’amichevole pacca sulla spalla di Caius –come per ringraziarlo di quell’“avvistamento”- scomparve e, un secondo più tardi, fu nella strada sottostante. Paratosi davanti alla misteriosa sconosciuta gli strappò di dosso il mantello e le vesti, con una veemenza ed una rabbia tali da attirare l’attenzione dei vampiri presenti e farla circondare da questi, dopo che era rimasta a terra ed era stata lasciata nuda.

-         e così…sei tu, Evangeline.- fece Aro, osservandola. Camminava avanti e indietro con atteggiamento teso ma diplomatico, tuttavia, il suo tono di voce era tanto alto e tagliente da poter giungere fino al Salone Principale, ancora sigillato.

-         Aspettavate forse qualcun altro, mio signore?- chiese lei, spaventata, mentre cercava di arretrare facendo leva sulle mani.

-         Ma certo che aspettavo qualcun altro…tu però dovresti saperlo dal momento che il suo odore, è forte su di te più di quanto non lo sia su qualsiasi altro vampiro della Guardia. E, poiché nessuno ti vede a Volterra, da questa mattina, ho ragione di credere che tu l’abbia aiutata a scappare!- gli occhi del vampiro mandavano lampi, sembrava un demone, illuminato com’era dalla luce della luna: era chiaro che ormai aveva intuito tutto. Fece per toccarla- lento, in modo da prolungare l’agonia della povera serva- così che avrebbe potuto sapere ogni cosa che la riguardasse e lei, intuendo che una tremenda condanna le era piombata sulle spalle, che ormai la fine era giunta; ebbe solo il tempo di incontrare lo sguardo di Caius, che la fissava dall’alto, e quindi leggere le sue labbra sottili, mentre scandiva “proteggi con le emozioni i tuoi pensieri e i ricordi”.

Perciò, l’ultima cosa che vide fu il possente Santiago che sussultava, forse combattuto tra il desiderio di chiederle qualcosa su Erice, e la necessità di compiere il suo dovere; poi, chiuse gli occhi e si lasciò pervadere dal profondo affetto che nutriva per quella piccola umana, nella speranza che sarebbe riuscita a portare con sé nella tomba il segreto di dove fosse nascosta la ragazza e dell’implicazione di Caius in tutta la faccenda…

Aro ringhiò, e con un suo semplice gesto l’ordine venne eseguito…

Caius distolse lo sguardo dalla finestra, di scatto, nauseato.

Il rogo dall’odore dolciastro che, nel centro di Piazza dei Priori, custodiva geloso le pure membra di Evangeline, levava alto le sue fiamme rossastre, fino al cielo, rischiarando la notte.

Il compagno di Anthenodora sperò che Erice fosse abbastanza lontana da non riuscire a vederlo, altrimenti, altro dolore si sarebbe aggiunto a quello che già aveva sopportato e, non era sicuro che il suo fragile cuore umano avrebbe retto.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Scusate il ritardo, ho cercato di fare il prima possibile a postare questo nuovo capitolo( la prima parte, almeno, delle tre o forse due che andranno a costituire il 15 capitolo.

Io lo so che adesso vorrete venirmi a prendere sotto casa e picchiarmi ma…ho cercato il più possibile di immedesimarmi(dal momento che questo post riguarda in maniera assoluta i Volturi) nell’indole di Caius- che spero di aver reso abbastanza opportunista, come la sensazione che ho provato quando ho letto come ne parlava la Meyer-  di Aro che, vabbè lo sappiamo che non è esattamente uno stinco di santo- per come ha agito pur di avere la sicurezza di tenere Marcus con sé nel clan- e di Marcus- il fatto Aro abbia fatto cancellare da Chelsea i suoi legami affettivi facendo di lui un apatico, lo rende abbastanza fedele alla descrizione della Meyer?

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Un baciotto

Marty23

 

Ps ora ringrazio i “commentatori”.

Luce70: luce bella, se ben ricordi non avevo fatto promesse su chi altro doveva morire, ma ti prego non mi uccidere perché, oltre ad aver ucciso Didyme e diviso i piccioncini ho fatto fare una brutta fine anche ad Evangeline. È tutta colpa di Aro, non mia!

Ilovejackson_rathborn: benvenuta(lo deduco dal nik)tra i commetatori e grazie per i complimenti! Spero che il nuovo post non sia risultato troppo crudo.

Ayumi_L: grazie mille per il tuo commento, eccoti uno spazio a fine pagina tutto per te! Mi dispiace che, nel post precedente la lettera di Caius si sia letta a caratteri cubitali e non con il carattere che le avevo dato io(hai presente il carattere miniato che usavano i monaci? È una cosa simile…)vedo che Caius ha sorpreso anche te assieme alle altre: che ne pensi della sua caratterizzazione?

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** caccia e fuga (parte 2) ***


Capitolo XV

Parte 2

 

Il treno avanzava alla massima velocità e, agile come una freccia si faceva largo tra ciò che rimaneva delle verdi colline toscane; c’era però, chi, in quel rassicurante fattore, non riusciva a trarre vantaggio: ad Erice, infatti, sembrava che tutto scorresse troppo lentamente.

Lo scompartimento nel quale viaggiava, era molto affollato(particolare al quale aveva dato molto rilievo, a seguito del consiglio ricevuto poco prima) e, se avesse iniziato a camminare freneticamente avanti e indietro, ad urlare o a dondolarsi ossessivamente, con le gambe raccolte al petto- come sentiva di dover fare, dal momento che il cuore le pulsava follemente, il sangue le fluiva alle orecchie con un gran fracasso ed aveva la sensazione di essere terribilmente impotente- avrebbe senza dubbio attirato l’attenzione di tutti i presenti…

Decise quindi di rannicchiarsi sul sedile e fingersi addormentata agli occhi di quegli ignari umani, nella speranza che, con l’avvento del buio, avrebbe potuto, almeno un minimo, riordinare le idee e riacquistare quella fredda lucidità che da sempre le era stato insegnato a mantenere e che, adesso tuttavia, a poche ore dalla sua fuga da Volterra, sembrava perduta per sempre.

Il buio giunse immediato non appena le palpebre si toccarono e, subito, l’etereo viso di Evangeline fece capolino dinnanzi ai suoi occhi. Quello stesso pomeriggio la vampira l’aveva fatta scendere dalla propria schiena e, con le fredde mani posate sulle sue spalle, si era raccomandata:

-         piccola mia, non so cosa stia succedendo…Caius mi ha informata poco, ed è meglio così perché, se Aro dovesse toccarmi, non ti esporrei; posso però, immaginare in cosa tu sia rimasta coinvolta e voglio avvisarti, poiché presto sarai in pericolo: i morti cavalcano in furia, e non si fermeranno finchè non ti avranno trovata e riportata a Volterra per giustiziarti, secondo gli ordini di Aro. Anche se questo vantaggio potrà sembrarti nullo, dinnanzi ad una schiera di vampiri infuriati e sguinzagliati solo contro di te, sappi che la Guardia ha un grande limite: può viaggiare solo di notte. Nessun vampiro, infatti, si esporrebbe mai alla luce del sole, specie se in presenza di molti umani. Sfrutta, quindi, questo particolare e qualche mio consiglio: spostati spesso, non rimanere in una città per più di una settimana; viaggia prevalentemente di notte, così che il tuo odore possa confondere i segugi che ti si scaglieranno addosso, ma di giorno, impara a diventare invisibile ed a confonderti nella massa, lascia che essa ti protegga; cambia anche spesso abito, modo di fare, atteggiamento…così, la tua essenza non si depositerà su un unico capo; fa che nessuno ti riconosca. Mi dispiace, dolce Erice, ma sono costretta a lasciarti qui(sempre a causa del potere di Aro e del rischio che correresti se sapesse dove sei). D’ora in avanti dovrai cavartela da sola. Ti voglio bene, piccola. Buona fortuna!- nonostante avesse cercato di apparire tranquilla, la nutrice vampira della ragazza, non l’aveva mai guardata negli occhi mentre parlava e, dal suo modo di fare appariva chiaro che era turbata, addolorata; che era consapevole di un unico “problema” che avrebbe sempre impedito all’umana di salvarsi la vita: l’abilità di Demetri. E la ragazza era stata toccata da lui poco prima di diventare un membro dei Volturi…come sarebbe potuta sfuggirgli? Evangeline allora, accecata da quella paura, si dileguò all’orizzonte, rapida come una gazzella, portando con sé il mantello cremisi di Erice, al fine di spargere il suo odore su più piste, per creare più tracciati che avrebbero confuso i Volturi.

Terrorizzata da ciò che quel ricordo aveva suscitato in lei, Erice versò qualche invisibile lacrima. Come avrebbe potuto superare, da sola, un’impresa tanto titanica? Si sentì già sconfitta, dal momento che iniziava quell’epica fuga senza speranza, già svantaggiata: lei era solo una fragile umana, i suoi inseguitori, invece, agili, velocissimi, spietati vampiri…

Dinnanzi a lei si prospettava, infinito, l’ignoto. Una morsa implacabile le congelò lo stomaco: per la prima volta nella sua vita, aveva veramente paura. Non sapeva se sarebbe riuscita a vincere quella forza soffocante e terrificante che minacciava d’inghiottirla, di farle dimenticare il proprio essere in quella battaglia per una verità che era stata negata e seppellita come non contasse nulla. Sentì improvvisamente la mancanza di ciò che le era stato caro, per quanto ora, per lei, rappresentasse un non trascurabile pericolo; e si rammaricò di aver abbandonato tutto ciò che conosceva nella speranza che i Volturi si sarebbero presto dimenticati della falsa colpa con la quale l’avevano tacciata, e magari in futuro, sarebbe stata riconosciuta innocente.

Il suo pensiero corse a Santiago, il suo protettivo amato, la sua ancora di salvezza, che molte volte aveva giurato di proteggerla da chiunque rappresentasse una minaccia…chissà quanto soffriva in quel momento, dilaniato tra l’amore che provava per lei, e l’imposizione- da parte del sistema tirannico che sicuramente si era affermato a Volterra- di accettare che la sua amata umana, altro non fosse che un’assassina…

Le venne da piangere mentre rievocava con la mente tutti gli attimi che avevano trascorso insieme e si augurò, pregò un’entità in cui non credeva, che il suo dolce compagno non cedesse alla menzogna che Aro stava tentando di inculcargli. Poi, all’improvviso, come un lampo che- seppur breve- rischiara a giorno anche la tempesta più nera; un altro ricordo piombò nella mente di Erice, imponente come una montagna: la prima ed unica volta in cui era stata toccata da Demetri non stava forse pensando a Santiago? E, subito dopo, non si era forse augurata che potesse rintracciarla solo se lei avesse rivolto i propri pensieri al suo amato? Quindi…se i suoi ragionamenti erano esatti, pensare a Santiago equivaleva lanciare una fune diretta a quel temibile segugio, per far sì che la trovasse; perciò, se non avesse pensato al suo amato- per quanto impensabile fosse quel proposito- si sarebbe mutata, agli occhi di Demetri, in un’anonima ombra, confusa nel mare di altre ombre che altro non erano che la costante moltitudine che l’avrebbe sempre protetta.

Aggrappata a quel flebile barlume di speranza, che tenne vicinissimo al cuore, Erice si concesse di lasciarsi invadere dal ricordo del padre che, come un’ingrata, aveva abbandonato in un covo di serpi bugiarde: ritrovata un po’ della propria determinazione, giurò, quindi, a se stessa, che gli avrebbe mostrato la verità, che avrebbe fatto sì che Didyme ottenesse giustizia.

Forte di quei propositi che le circolavano tutt’a un tratto nel corpo come linfa vitale, vivificandola; la ragazza si sentì abbastanza pronta per aprire gli occhi, per esaminare discretamente ogni singolo volto che popolava quel vagone e, accantonata l’idea che, a causa della sua presenza lì, quegli umani potevano trovarsi in pericolo, iniziò a studiarli, per capire se costituissero un pericolo per lei.

In quel divertente modo- dal momento che riuscì a distrarla dalle sue opprimenti preoccupazioni, le lunghe ore di viaggio trascorsero come fossero state una manciata di minuti.

 

Erice non aveva idea di come si chiamasse la città in cui si trovava così, per alleviare la sua ignoranza decise che era ora di seguire il consiglio della sua nutrice e, ringraziando l’ingente somma di denaro che Evangeline le aveva lasciato, si diresse in quello che le fu indicato come il più grande centro commerciale di quel luogo. Una volta lì, due gentili commesse col sorriso da barbie, la seguirono in ogni suo acquisto; tuttavia, dopo averle messo tra le mani una gran quantità di vestiti, scarpe, borse- oltre a diverse varietà come un set da manicure e delle parrucche- la cortesia delle due donne sfumò in sospetto. Perciò, affinchè non le chiedessero documenti- dal momento che non ne aveva e mai ne aveva avuti- la ragazza fu costretta ad uscire dal centro commerciale, mentre stentava a mantenere la calma.

Riuscì a tranquillizzarsi solo quando trovò rifugio in un’anonima toilette  di una stazione di treni. Lì, con la porta chiusa a chiave, indossò un paio di jeans larghissimi, ed una felpa più grande di una taglia- perché nessuno potesse distinguere chi fosse- poi, si coprì bene con uno spesso piumino ed infine, dopo essersi legata i ricci castani in un’unica treccia, a seguito di un attimo di esitazione, senza guardarsi nello lurido specchio dinnanzi a lei, si tagliò i capelli, all’altezza dell’orecchio.

Evitò anche di guardarsi attorno, quasi avesse avuto paura del gesto che aveva appena compiuto, poi si coprì la testa con un berretto scuro e, singhiozzando commossa, raccolse da terra la sua treccia e tutti quelli che erano stati i suoi vestiti; per nasconderli in una delle borse appena acquistate, con la sola intenzione di bruciare tutto ciò che le era appartenuto, per non lasciare prove, o tracce di qualsiasi tipo.

 

Era notte inoltrata, ormai. Erice camminava lenta in quella che sembrava la buia, degradata ma tranquilla periferia della sconosciuta città che aveva accettato di nasconderla; mentre cercava di apparire disinvolta sebbene, sotto il suo piumino blu, tremasse di paura ed i muscoli fossero tesi, all’erta, quasi aspettandosi che da un momento all’altro di veder comparire da qualche angolo una figura dalla pelle di gesso ed un manto con cappuccio grigio.

Respirò piano, profondamente e si ripeteva sottovoce che non era altro che un’ombra invisibile che avanzava nell’oscurità, rischiarata di tanto in tanto da caldi fuochi.

Cosa? Fuochi? Erice sobbalzò, leggermente sorpresa quando, con la coda dell’occhio, riconobbe il guizzo di una fiamma. Si avvicinò al centro di una delle tante strade che stava attraversando, silenziosa, e comprese che in un’infinità di grigi bidoni, posti esattamente al centro di quelle strane vie ghiaiose, ardevano invitanti fuocherelli attorno ai quali erano riunite più persone, ignote ma dignitose che, di tanto in tanto scambiavano tra loro battute che miravano ad alleviare la solitudine che sentivano dentro di sé.

A quella vista, la ragazza ebbe la sensazione che un masso imponente come una montagna le si gettasse addosso, togliendole tutta l’aria dai polmoni e facendole diventare le ginocchia molli, tanto che le sembrava non potessero più sostenere il peso del proprio corpo.

Era passato solo un giorno da quando si era allontanata da Volterra, eppure sentiva, acuta e soffocante come un rovo di spine che le si era incastrato in gola, la mancanza di ogni singolo vampiro che avesse significato qualcosa nella vita che aveva trascorso in quella splendida città-fortezza dalle spesse mura d’opale.

Si rese conto che allora, era la solitudine ciò che la spaventava di più. Quanto avrebbe voluto, anche lei, avere qualcuno con cui condividere tutto ciò che le passava per la mente, soprattutto in quel momento!

Quatta come un gatto- dal momento che aveva già deciso- fece quindi per avvicinarsi a quel gruppo scanzonato di uomini che ora avevano iniziato a cantare; sperava infatti che, magari, la vicinanza ad un altro essere umano, un qualsiasi semplice sorriso, anche se avvolto dal silenzio, avrebbe potuto farle dimenticare le paure che provava, la maschera di ghiaccio che aveva indossato nel periodo immediatamente successivo all’omicidio di Didyme e che ora, minacciava di tornare a soffocarla, all’improvviso però…

-         brutta troia! Mi hai chiesto quei dannati documenti ed io te li ho portati, ma tu, tu che fai? Te ne sbatti altamente di tutti i miei sforzi e fingi di dimenticarti della promessa di compenso che mi hai fatto? Chi pensi che sia, bella? La Fata Turchina? Devi pagarmi, e subito!- dalla buia quiete crepitante di fiammelle tuonò una voce dura ed astiosa a rompere quella sorta di religioso silenzio, e d’un tratto tutti si zittirono, voltando i visi barbuti in direzione di quell’urlo minaccioso.

-         Non ho soldi con me, te lo giuro! Il cliente di stanotte non mi ha voluta pagare…- sussurrò, implorante, una voce femminile.

Poi si udì lo schiocco secco di uno schiaffo e, immediatamente dopo, da uno degli stretti vicoli poco illuminati- non molto distante da dove si trovava Erice - comparve, o meglio cadde malamente a terra, una donna che sembrava pesantemente truccata ed i cui abiti ne coprivano appena le parti intime. Balzò quasi subito a sedere, singhiozzando e respirando a fatica mentre indietreggiava spaventata, facendo leva sulle mani. Erice, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, capì subito che stava fuggendo da qualcuno; sentendo quindi, montare dentro di sé l’impellente necessità di accorrere in suo aiuto, poiché le era parso di vedere, nella scintilla di terrore dei suoi occhi, una parte di sé, fece per guardarsi attorno, nella speranza di poter fare affidamento su qualcuno di quei barboni che fino ad un secondo prima aveva cantato a squarciagola. Li squadrò in viso uno per uno. Nulla, tutti avevano i visi bassi e mangiavano ciò che erano riusciti a racimolare, muti come conigli.

“bel coraggio avete- pensò l’ex membro dei Volturi- a cantare e, un attimo dopo, appena le cose si mettono male, ad ammutolirvi”

Quindi, seccata ed adirata- anche se consapevole che forse non avrebbe dovuto immischiarsi- strinse forte al petto la borsa che ancora aveva con sé, piena dei suoi vecchi vestiti e, a passo di marcia si diresse verso il vicolo da dove era sbucata la donna.

Lo spettacolo che le si parò davanti agli occhi era inquietante: la prostituta era a terra, ansimante, e distoglieva, spaventata, lo sguardo dall’imponente figura che troneggiava su di lei; un uomo calvo completamente vestito di nero, che aveva iniziato a prenderla a calci nel ventre.

Non appena quello si rese conto che Erice era vicina ed osservava sconvolta la scena, si avventò su di lei, spingendola contro il muro e stringendo il suo piccolo collo tra le mani:

-         non lo sai che ti devi fare i cazzi tuoi, ragazzino?- la minacciò, mentre la osservava agonizzare.

Erice probabilmente avrebbe riso all’idea che il consiglio di Evangeline era stato tanto efficace da far sì che la si potesse scambiare per un ragazzo, ma quello non le sembrava il momento più adatto, poiché le si stava appannando la vista mentre fissava quell’ammasso di muscoli dagli abiti neri che stava per condannarla a morte…le mancava l’aria, e le forze stavano scivolarle via dal corpo…che senso aveva più, lottare?

All’improvviso però, una rabbia urticante ed indescrivibile prese a scorrerle come fuoco nelle vene, le labbra le bruciavano tanto che aveva voglia di urlare…non era certo arrivata fin lì- sfuggendo quasi per miracolo a dei vampiri folli- per lasciare che un fragile essere umano le facesse del male! Non lei, che era riuscita ad uccidere tre licantropi grazie all’addestramento ricevuto dalla sua famiglia!

Senza rifletterci troppo, quindi, animata da quei pensieri, da quei ricordi, serrò la mano a pugno ed assestò un colpo nella mascella del suo aggressore, -con tanta violenza da farlo cadere a terra- per poi lasciare che la soddisfazione mista a zaffate d’aria fresca, la invadessero mentre la donna che fino ad un attimo prima era stata aggredita, e l’uomo stesso, osservavano la sua figura che si stagliava nel buio.

-         quanti soldi ti deve, questa donna?- domandò allora Erice, con un atteggiamento di superiorità ed un’aria astiosa, forte del fatto che l’oscurità la proteggeva.

-         Mille…- mimò dopo un po’ l’uomo, con le labbra, visto che- poiché sulle prime non voleva rispondere, la sconosciuta che lo aveva colpito si era avvicinata e gli aveva posato un piede sulla gola, che gli impediva di parlare bene.

-         Ti faccio un’offerta: pago io i documenti di cui hai parlato, ma dovrai darli a me. Inoltre…- propose, siccome ormai aveva capito che quel losco figuro faceva documenti falsi e, anche se era consapevole che quello che lei stava facendo non poteva definirsi legale; almeno avrebbe soddisfatto la sua necessità di possedere dei documenti di cui fare uso se glieli avessero chiesti.

-         Ehi! Ma come ti permetti? Chi cazzo ti credi di essere?- la interruppe la prostituta, che si era rialzata da terra e la fissava con gli occhi ridotti a fessure, come se le stesse rubando qualcosa.

Erice, allora, si girò verso la donna, seccata di esser stata interrotta e la fulminò con lo sguardo, tanto che quella fece qualche passo indietro, intimorita.

-         sono quella che ti sta salvando la vita- replicò, acida, mentre le tirava la borsa che aveva sempre avuto con sé e dalla quale si era curata di togliere la sua treccia bruna, nascondendosela addosso. – perciò adesso sparisci e usa quello che c’è lì dentro per rifarti una vita.-

la prostituta non se lo fece ripetere due volte e, dopo essersi quasi inchinata al cospetto della sconosciuta, per prendere la sua sacca colorata, svanì nella notte dalla quale era apparsa.

-         dicevamo, caro sconosciuto? Ah, sì! Pagherò io quei documenti anche se, immagino, dovrai cambiarne la foto, dal momento che ora sono miei…inoltre, ho bisogno di un’altra carta d’identità a nome “Esther Prinne”. Credi di potermela procurare?- questa volta parlò con falsa gentilezza, aumentando volutamente la pressione del piede sulla gola dell’uomo.

D’un tratto, dopo aver ringraziato il fatto che da ragazzina era stata costretta a leggere “la lettera scarlatta”- poiché la protagonista di quel libro le aveva dato un grande aiuto per scegliere quello che sarebbe stato il suo nome falso, ora- avvertì che un’ondata di disprezzo verso se stessa, la invadeva: prima, infatti, quando si trovava tra i Volturi, nonostante qualche essere umano avesse potuto suscitarle odio a prima vista, non si sarebbe mai comportata in quel modo; non avrebbe mai procurato volutamente dolore ad un individuo!

Poteva quindi considerare vera la colpa di cui era stata tacciata da Aro? Era veramente un’assassina?

Impressionata, tolse immediatamente il piede dalla carotide dell’uomo vestito di nero ed indietreggiò di qualche passo, terrorizzata da se stessa.

-         non avrei mai immaginato di incontrare una cliente in questo modo!- ironizzò quello, mentre, rimessosi a sedere, si massaggiava la gola- comunque, sì: se li vuoi, i documenti di quella sgualdrina sono tuoi. E posso darteli anche ora, visto che le foto devi metterle da te. Per l’altra “commissione” che hai chiesto, dovrai aspettare due giorni; la sera del secondo giorno, vieni al locale “devil” e chiedi di Eric Prothero…- le disse l’uomo; e stava sicuramente per aggiungere quanto le sarebbe venuta a costare quella “commissione”, ma in quel momento Erice raggiunse il limite della sua sopportazione e, trattenendo a stento la nausea causata dallo squallore che le trasmetteva quell’uomo; lanciò verso di lui il denaro, quindi, si sentì autorizzata- siccome aveva ricevuto abbastanza informazioni- a svanire tra le braccia del buio, con il documento di quella prostituta ben stretto in mano.

 

Due giorni. Due giorni. Due giorni…

Da diverso tempo Erice si arrovellava il cervello per capire come sarebbe riuscita a far trascorrere ben due interminabili, strazianti giorni. Se da un lato, infatti, era di vitale importanza per lei, arrivare intera al temine di quella lunga attesa, per ottenere i documenti che tanto agognava dal momento che- credeva- l’avrebbero resa ancora più invisibile di quanto già non stesse cercando di essere; da un altro lato, tuttavia, le sembrava una prospettiva quasi impossibile- quella di arrivarci viva, ad un possibile terzo giorno- dal momento che, sicuramente, le migliori Guardie dei Volturi erano già sulle sue tracce…

Tremò di paura, a quell’idea, anche se sapeva benissimo che il suo nascondiglio era perfetto: quale vampiro dall’anima dannata, infatti, avrebbe mai osato entrare in una chiesa?

Solo la notte precedente Erice aveva fatto il suo accordo con Eric Prothero e, non riuscendo a darsi pace per via di quel comportamento che le appariva tanto estraneo, aveva deciso di trovare un posto tranquillo dove avrebbe potuto cercare di capire come poter mettere la propria foto sul documento della prostituta- la quale, aveva scelto come nome “Angela Deportago”. Aveva girato tutta la città, ma quella dormiva indisturbata e quindi, aveva dovuto rimboccarsi le maniche da sola…certo, era stato un problema che l’aveva privata di una notte di sonno, ma del quale alla fine era venuta a capo! L’adrenalina però, era presto scivolata via e, non appena aveva avvertito le palpebre farsi pesanti, aveva trovato un posto sicuro dove nascondersi. Una volta entrata nella chiesa principale della città, infatti, aveva atteso che tutti andassero via e che fosse chiusa, prima di iniziare a camminare avanti e indietro nella navata centrale per riordinare un po’ le idee.

Sorto il giorno successivo, un nuovo giorno, Erice s’era sentita abbastanza forte da uscire e, spronata dal fatto che la città era abbracciata da uno strato di nebbia perenne che avvolgeva cose e persone; si confuse facilmente tra la folla, sentendosi al sicuro mentre esplorava ogni angolo di quel luogo ignoto; la notte seguente poi, tornò a dormire nella chiesa ed il secondo giorno, di conseguenza trascorse sfumato di novità ma fondamentalmente intriso di tranquillità. Quella sera, tuttavia, le tensioni e le paure che parevano svanite, tornarono a farsi sentire, lente ed insidiose: era infatti giunto il momento designato, ed lei avrebbe dovuto affrontare una situazione strana, nuova ma, soprattutto, venata di pericolo perché sembrava appesa ad un filo…nei due giorni trascorsi l’ansia dovuta all’attesa era stata colpevole di averla fatta dormire poco ed averla tenuta costantemente con i nervi a fior di pelle, tesa come una corda di violino; le poche ore che la separavano dall’incontro con il falsario però, rischiarono davvero di farglieli saltare, i nervi.

Per ingannare il tempo Erice approfittò della presenza dello specchio a parete nella stanza dove aveva visto un prete vestirsi prima di dire la messa, e tentò di impiegare quanto più potesse ad indossare un attillato tubino di raso nero senza maniche che le arrivava a metà coscia; ed a pettinare il ribelle cespuglio in cui ormai si erano trasformati i suoi capelli, per poi nasconderli sotto una parrucca color pece.

 

La ragazza non ebbe difficoltà a trovare il “devil”- dal momento che, appena un giorno prima vi si era recata, con il solo fine di avere un’idea di come fosse strutturato e quali sarebbero potute essere le vie di fuga in caso di eventuale bisogno- perché le fosforescenti luci verdi e blu che lo illuminavano(dandogli un’aria psichedelica e futuristica), si notavano dall’inizio della strada. Tutta la tranquillità che derivava dalla familiarità di quel luogo svanì, e l’unico pensiero di Erice divenne quello di poter fare una figuraccia a causa dei vertiginosi tacchi a spillo sui quali stava camminando.

La fila per entrare nel locale era lunga ma, una volta lì si scoprì ben disposta ad attendere, poiché per ingannare il tempo ed allontanare la tensione, si divertiva a studiare le persone che le erano vicine. Non pochi ragazzi che si trovavano tra quelle, infatti, la lasciarono passare attirandosi le ire delle ragazze che erano con loro oppure accompagnando la sua camminata con fischi d’apprezzamento. Se si fosse trovata in una situazione più calma, Erice ne avrebbe riso di certo; ma ora era così concentrata sul suo obiettivo da essere cieca a tutto ciò che la circondava.

Dinnanzi al buttafuori dalla stazza ben piazzata, all’entrata del “devil”, la ragazza ebbe un attimo di esitazione ma poi, si fece coraggio e, sottovoce, domandò di poter vedere Eric Prothero.

E non appena quel nome fluttuò nell’aria, il calvo falsario comparve quasi dal nulla e, lanciata un’occhiata d’intesa al buttafuori, fece uno squallido e bavoso  baciamano ad Erice, dopo averla trascinata all’interno del locale.

La riempì di smielati complimenti, praticamente urlandoglieli a causa dell’alto volume della musica poi, conducendola verso il bancone color ghiaccio dove servivano cocktail facendo strane acrobazie, le chiese:

-         beve qualcosa, signorina…?-

-         può chiamarmi Angie, signor Prothero. E, grazie, ma no; non bevo. Preferirei parlare subito di affari.- tagliò corto Erice, risoluta; ringraziando l’aiuto che il nome di “Angela Deportago” le aveva dato, nell’inventare così in fretta un falso nome per sé.

-         Come desidera, Angie. Avrei voluto solo che si rilassasse di più…- l’uomo le toccò con una delle sue mani grasse, ed unte una spalla nuda, e lei si retrasse appena, per le occhiate ardenti che le lanciava, per i suoi gesti…trattenendo persino il respiro per via dell’intenso e disturbante profumo che Prothero emanava.

Dopo aver attraversato parte del locale, si ritrovarono in un salottino privato dalle luci soffuse e le vetrate scure: Erice aveva il mal di stomaco ma, seduta rigidamente su uno di quei divanetti rossi, riconosceva di buon grado che quello era un posto decisamente più riservato e che, inoltre, lì, le sue orecchie erano al sicuro dall’alto volume della musica, che si spandeva in ogni luogo e che, tuttavia, pareva esser rimasto fuori di lì.

-         ho notato che è una persona diretta, Angie; perciò, lo sarò anch’io con lei: ho i documenti che mi ha chiesto e, come sa, dovrà mettevi lei stessa una sua foto…- riprese Eric, ed Erice notò che le occhiate ardenti non avevano fine; perché manifestavano un suo chiaro desiderio…

-         quanto le devo, signor Prothero?- lo interruppe la ragazza, fissandosi le mani: la nausea era tale da farle girare la testa.

-         Vede…potrei farle un prezzo di favore se lei acconsentisse a….diciamo…lasciarsi andare.- Erice fu colpita da quelle parole come una cascata d’acqua fredda sulla pelle nuda e si paralizzò. Aveva capito benissimo a cosa mirava, quell’essere e, ne ebbe la conferma quando, spostati gli occhi sulla voce dell’uomo- che sembrava provenire dal pavimento- la ragazza trovò Eric Prothero inginocchiato sul pavimento, davanti a lei, che stava per baciarle le cosce nude…

Erice ebbe un moto di repulsione, allontanò quel verme viscido con un gesto ma, subito dopo, sentendo le labbra che le bruciavano, pensò che avrebbe potuto fare giustizia, liberando così il mondo da un serpente perverso come quello.

Inchiodò gli occhi ai suoi, e, ringraziando che lui non riuscisse a vedere il colore delle sue iridi, scoprì- come si aspettava- che Prothero non si era ridotto ad altro che un’aura nero fumo. Quindi, afferrò la sua cravatta viola scuro e, mentre la tirava lentamente verso di sé, sussurrò:

-         sa cosa credo che meriti, Prothero?-

-         cosa…?- chiese di rimando lui, fremendo in attesa di soddisfare la sua libido.

-         Di morire!- sentenziò Erice, disgustata. Prima che il falsario potesse capire cosa stava succedendo, lei premette le labbra sulle sue e lo bloccò mentre si dimenava come un’anguilla, nel vano tentativo di sfuggire al cianuro che gli stava entrando in corpo.

All’improvviso tutto finì, ed Erice avvertì solo il tonfo di quel corpo che cadeva a terra come un sacco inanimato. Costringendosi all’apatia- dal momento che le sembrava di sentirsi vuota- prese i documenti che voleva ed evitò di soffermarsi sullo sguardo perso nel vuoto, spento ma ancora orripilato di Prothero, mentre usciva di lì e, lasciandosi tutto alle spalle tentava di convincersi di aver fatto la cosa giusta.

 

“giustizia? Non ho fatto giustizia, sono solo una volgare assassina: Aro ha sempre avuto ragione su di me!” questo era l’unico pensiero che avesse tormentato Erice negli ultimi giorni,- poiché aveva deciso di seguire il consiglio di Evangeline e di trattenersi in quella città fino alla fine della settimana. Ma, alternato a quel pensiero c’erano i centinaia di chilometri che copriva, camminando avanti e indietro nella chiesa; c’era l’attesa, insostenibile, snervante, perché mille volte peggiore di quella alla quale si era già sottoposta; c’erano i fiumi di lacrime che aveva versato ed i graffi carichi di disprezzo per se stessa con i quali s’era rovinata il viso.

Chi era lei per decidere della morte di un altro essere umano? Ancora ricordava- non senza brividi di nausea- la sensazione provata quando aveva sentito le ultime scintille di vita abbandonare il corpo di Prothero!

Dopo qualche notte insonne, però, aveva deciso: sarebbe ritornata nella sua terra natale, presso i Volturi, ed avrebbe lasciato che la giustiziassero perché, dopotutto, Aro non aveva visto nulla di sbagliato nella sua anima portatrice di morte.

A nulla era servita la lettera che aveva scritto a Logan, subito dopo l’omicidio commesso, dove gli raccontava del perché era dovuta fuggire da Volterra; come avesse cercato rifugio in un’altra città e ciò che era successo lì; e del fatto che ora intendeva tornare presso i suoi signori, per trovare la morte, dal momento che non si riteneva degna di vivere.

Quella domenica notte in cui sarebbe tornata in Toscana, Erice lesse quel figlio- che era stato ripiegato fino a farlo diventare di pochi centimetri- più e più volte, mentre il treno viaggiava veloce, ed attese che tutti i passeggeri del suo vagone dormissero per versare qualche silenziosa lacrima di commozione: era incredibile quanto Logan credesse in lei e fosse disposto a difenderla- persino da se stessa- anche dopo tutto ciò che aveva saputo.

 

Cara Erice,

devo ammettere che leggere la tua ultima lettera mi ha molto colpito, ma lascia che ti dica per prima, la cosa più importante di tutte: tu non sei un’assassina! Non lasciare che ciò che dicono di te influenzi una tua visione di te stessa, errata. Ciò che hai fatto- fuggire dai Volturi- è stato molto coraggioso e l’”omicidio” che hai commesso nei confronti di quell’uomo, è avvenuto solo per fini di difesa dal momento che, come hai detto tu, la sua anima era nera e, se non avessi agito, non oso immaginare cosa avrebbe potuto farti quando avesse capito che non intendevi piegarti al suo volere…

Non tornare dai Volturi, te ne prego! Non capisci che sei un pericolo, per loro; che ti cercano solo per annientarti, dal momento che conosci una verità che potrebbe capovolgere le Leggi dei Volturi, così come le conosci? Se ti consegni, ogni sforzo di tua madre Didyme sarà stato vano. Ogni giorno in più che sopravvivi, invece, rappresenta un giorno in più in cui l’autorità di Aro viene messa in discussione.

In secondo luogo voglio complimentarmi con te per gli stratagemmi che hai escogitato per non farti trovare. Perché non ti fai anche battezzare, così che sarai per sempre al sicuro dai Volturi; anziché tornare da loro per ammettere che la loro menzogna su di te, è vera?

Potrai sempre trovarmi presso la Città delle Mille Chiese. Sarò sempre disposto ad aiutarti, se lo vorrai.                                        Logan

 

La ragazza fissò di nuovo quella scrittura gotica che tanto le era familiare…ipotizzò per un secondo che il suo amico vampiro avesse ragione e, anche se si sentiva impura fino al midollo per aver avvelenato quel falsario, decise di dare alle parole di Logan l’opportunità di accendere in lei una flebile speranza: avrebbe ritardato i suoi propositi di un po’, giusto il tempo di fare una passeggiata e vedere se il mondo le suggeriva che era giusto- nonostante la colpa di cui si era macchiata- andare avanti per sua madre, e per rivelare la scomoda verità di cui era custode, anche a costo della vita.

Era notte inoltrata quando il treno si fermò nei dintorni di Siena. Erice respirò a pieni polmoni la fredda ma profumata aria di fine stagione che soffiava in quella cittadella beatamente addormentata ed ignara del suo tranquillo passaggio.

Un passo dopo l’altro tra l’erba- resa umida dalla notte- di quelle verdi colline e la ragazza si riappropriò di se stessa con la stessa gioia con cui si accoglie di nuovo un amico rimasto a lungo lontano; non sapeva esattamente cosa stesse cercando ma non aveva paura, non aveva più paura perché ogni soffio di vento sembrava guidarla, richiamare dolcemente il suo nome e le fronde degli alberi parevano volerla abbracciare. Neppure quando aveva fatto ritorno dalla Transilvania aveva ricevuto un’accoglienza tanto soave e calda, o forse sì, visto che ad accoglierla quella volta, era stata proprio la sua amata Volterra; ed ora, dopo un esilio breve ma amaro come il fiele, a farne le veci era una sua sorella.

Poi, mentre camminava tra vigneti ed olivi, all’improvviso, la vide: una chiesa possente, di pianta semicircolare, dalle spesse mura candide e scintillanti come opali- che le ricordava una piccola Volterra - le si parò davanti agli occhi e, l’unico messaggio che quell’edificio in stile romanico pareva volerle inviare era che sarebbe stata pronta a difenderla da ogni pericolo.

Le ginocchia di Erice tremarono mentre il fantasma di una scintilla di felicità le fece battere il cuore. Si paralizzò: sarebbe voluta restare a godere di quel momento, di quella sicurezza che si insinuava nelle sue membra, per sempre…si costrinse però ad andare avanti, su quel viotttolo sinuoso finchè non avesse trovato riparo all’interno della chiesa. Da qualche parte lesse anche che veniva chiamata Abbazia di Sant’Antimo…

Lo spesso portone in legno era chiuso. Le venne quasi da piangere: possibile che venisse tradita tanto presto persino da un’abbazia la cui prima impressione che ne aveva avuto era stata di sicurezza?

Decisa più che mai ad entrare in quel luogo sacro- l’unico dove sarebbe stata al sicuro, in effetti, dal momento che era più vicina di quanto non lo fosse mai stata, ai vampiri che le davano la caccia- e, guardando verso i Garoyle di pietra che la fissavano dalle mura, fece per scusarsi ma entrò ugualmente, forzando la porta.

Stava per abbandonare le ginocchia e tutto il resto del suo corpo stanco, sul pavimento di pietra ma si accorse che, il gran fracasso che aveva provocato, aveva attirato qualcuno…

Con il cuore che le pulsava all’impazzata, percorse le due navate laterali alla ricerca di una qualsiasi nicchia sicura che avrebbe potuto lasciarla passare inosservata…in effetti, dopo qualche ricerca, si ritrovò a salire, fino all’alta stanza dove veniva tenuto l’organo e, la cui semplice finestra di pietra abbracciava tutta la navata principale: da lì Erice notò che delle figure incappucciate e vestite completamente di bianco erano accorse per constatare quanto era successo; si guardavano intorno come a chiedersi chi mai potesse aver aperto il portone dell’abbazia. Tuttavia, dopo alcune vane ricerche- Erice, nascosta in un angolino della stanza dell’organo, stava attenta persino a non respirare mentre teneva d’occhio ogni movimento di quei monaci- si inchinarono al grande crocifisso in legno posto dietro l’altare ed infine, se ne andarono, sigillando ancora una volta quel luogo sacro. Quello del portone che si chiudeva fu l’ultimo suono che la ragazza sentì perché, un secondo dopo, la tensione scemò velocissima, la stanchezza sopraggiunse e lei si lasciò transitare via, da quella che le sembrava un’onda marina; con un piccolo inevitabile sorriso sulle labbra: era al sicuro, e si sentiva serena, dopo tanto tempo.

 

Il delicato cinguettio degli uccelli destò Erice la mattina seguente da un sonno tranquillo e, mentre distendeva le membra rilassate, riprendeva pian piano contatto con il nuovo mondo che la circondava. Si rese conto che dalla navata centrale si levavano canti solenni che risuonavano magnificamente in ogni angolo di quell’abbazia dall’alto tetto. Gl’infidi brividi della paura di essere scoperta la paralizzarono solo per un secondo- quel secondo in cui attese, impietrita, che qualcuno la vedesse e le intimasse di andar via; anche se non avvenne- perché, quando si sporse per osservare tutto dall’alto, notò che molti fedeli erano riuniti per la messa e che gli stessi monaci vestiti completamente di bianco, che erano venuti la sera prima a cercarla, ora cantavano e pregavano in latino, muovendosi come alberi animati da un vento divino.

-         beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati…-

Fu allora che Erice Volturi si concesse di ascoltare veramente cosa stesse dicendo uno di loro.

-         beati i puri di cuore, perché vedranno Dio…-

gli occhi verdi della ragazza scivolarono sulla folla ammutolita mentre contava uno, due, tre dei suoi lenti respiri.

-         beati i perseguitati per causa di giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli…-

i suoi sguardi sembrarono venir richiamati da una Forza esterna a lei fino alla parete che le stava di fronte, da dove, la scultura in pietra di un angelo che stringeva tra le sue mani sottili, un pugnale; pareva osservarla…subito, anche se non seppe spiegarsi il perchè, Erice sentì il bisogno di studiarne più da vicino i tratti gentili, quasi notasse in quella scultura una guida, o magari un “fratello”, dal momento che la sua arma somigliava moltissimo a quella che Anthenodora aveva donato tempo fa alla ragazza.

Da quel punto semibuio, lontano dalla folla cui Erice si era avvicinata di soppiatto, rimase ad ascoltare tutta la messa.

-         la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità…-

le parole del monaco- che sembrava vibrare di passione dal momento che era fermamente convinto di ciò che diceva- la colpirono profondamente perché erano intrise di Giustizia, Amore e Pace, ed inoltre, rispecchiavano alla perfezione ciò che stava cercando: quelle Forze lasciarono un’impronta a fuoco nella sua anima e avvertì anche che stavano andando lentamente a colmare il vuoto che sentiva dentro; quello stesso vuoto lasciato dalla morte di sua madre, dalle angherie, dalle accuse, che aveva dovuto subire fino ad allora da parte dei Volturi e dalla fuga cui era stata costretta, pur conoscendo la verità su colui che regolava il mondo dei vampiri.

Nel momento in cui ebbe necessità di prostrarsi al cospetto della statua dell’angelo, le ginocchia le cedettero e, incurante di tutte le persone che, uscendo le passavano accanto e la fissavano perplessi; la ragazza giunse le mani e pregò nella speranza che, un giorno- magari quando avrebbe rincontrato i Volturi- sarebbe potuta diventare come lui: una portatrice di giustizia.

-         figliola, ti prego, alzati…- le sussurrò, una voce gentile.

Erice sobbalzò, e si mise in piedi di scatto. Attorno a lei stavano la figura di sette anime purissime, completamente inondate di luce. Si rilassò immediatamente, capendo che poteva fidarsi di quegli uomini, che identificò come i monaci dell’abbazia, e tuttavia, non seppe mai quale fosse il loro aspetto fisico, abbagliata com’era dalla lucentezza delle loro anime, che il suo potere le permetteva di scorgere.

-         la messa è finita, figliola. Perché non torni a casa?- le venne domandato, con dolcezza.

-         Non ho più una casa a cui tornare…- si lasciò sfuggire, e quando le parole vennero fuori sentì che la maschera e le armature che aveva indossato fino a quel momento, stavano crollando, lasciandola così, nuda, forte solo della sua sincerità.

-         Vieni, allora. Resta pure qui, se lo desideri. Il Signore accoglie tutte le pecorelle smarrite.-

 

Nelle ore successive, i monaci le parlarono quasi sempre di Dio, della sua Misericordia; della sua Pazienza; del suo Amore; della sua Giustizia; della sua Onnipotenza; del fatto che lasciava agli uomini, suoi figli delle regole ma poi faceva loro dono della possibilità di scegliere se seguirle o meno; di fare da soli i propri errori…e ad Erice venne da piangere più di una volta: era di Libertà che si stava parlando e, in effetti, - anche se ne aveva guadagnata una briciola nella “seconda parte” della sua vita accanto ai Volturi; dovendo pur sempre lottare per farsi accettare e per poter stare accanto all’uomo che amava- era ciò che si era guadagnata lei, fuggendo da Volterra. Tuttavia, non l’aveva mai vista sotto quella luce perché, ora che poteva avvalersene, l’unico sentimento che provava era puro terrore; il suo unico, costante pensiero era l’affermazione di un’urgente verità, che avrebbe distrutto dalle fondamenta un sistema millenario.

Ma le lacrime che versava venivano prontamente asciugate da tutti i monaci dell’abbazia di Sant’Antimo, nei giorni in cui rimase lì, e le venne citato il libro dell’Apocalisse per spiegarle che era normale che reagisse in quel modo dinnanzi alla paura per la repentina fine del suo mondo,  tuttavia, doveva anche essere pronta ad abbracciare uno nuovo fatto di misericordia, pazienza e perdono. Ed oltre a questo le veniva insegnato sempre qualcosa di nuovo, tanto che Erice iniziò ad apprezzare il rendersi utile poiché la faceva sentire di nuovo parte di qualcosa.

Perse la cognizione del tempo, in quel luogo; sarebbe voltura restare lì per sempre. Solo quando si rese conto che era il giorno del suo diciottesimo compleanno, qualcosa dentro di lei si smosse: passando davanti alla statua dell’angelo- la mattina- provò grande gioia, e tuttavia, quando- quella sera- si ritrovò tra le mani il braccialetto che le era stato regalato da Didyme ed il cuore in alabastro di Santiago, si sentì anche molto triste. Proprio il giorno successivo, quindi, pur senza rammaricarsi di aver gettato via il ciondolo dei Volturi(poiché non si sentiva più parte della loro famiglia) capì che- dal momento che aveva reso quel posto, un luogo migliore- poteva anche osare portare a compimento la sua missione- che ormai non poteva più essere ignorata, poiché la verità doveva essere ristabilita e lei, per assicurarsene, doveva essere investita a garante di giustizia-così, chiese di essere battezzata.

Le era stato insegnato come segarsi il petto e come pregare, ma nulla era paragonabile alla sensazione dell’acqua benedetta che le scendeva sulla fronte: si sentì pura, libera e protetta, tanto che ebbe la certezza che Demetri non potesse più vederla, perché ora si era trasformata in una lucente stella di Dio, su cui la sua anima dannata non poteva posare gli occhi.

Dopo aver ringraziato i monaci per ciò che avevano fatto per lei, Erice tornò a far parte di quel grande fiume che scorreva costantemente imperterrito, chiamato mondo; ed aveva una sola speranza a guidarla: dal momento che, rileggendo le lettere di Logan era riuscita ad individuare Roma, dietro quella che veniva definita “la Città delle Mille Chiese”, era salita sul primo treno- che portava la notte sulle sue spalle- diretto in quella città ed ora sperava di potersi ricongiungere al suo amico vampiro, e chiedergli se era ancora disposto ad aiutarla a far sì che la verità sulla morte di Didyme fosse ascoltata e soprattutto, creduta.

 

Era notte fonda quando la ragazza giunse alla stazione dei treni di Roma. Era abituata a viaggiare di notte perciò non aveva paura; tuttavia, mentre se ne stava da sola sotto l’alone di luce di un lampione a rabbrividire, dovette ammettere a se stessa che quel luogo era molto più grande della città che l’aveva ospitata la prima volta.

Che strano…aveva inviato a Logan una lettera gettandola fuori dal finestrino del treno in corsa, - dove gli diceva solo che era arrivata alla soluzione dell’”indovinello” che lui più volte le aveva scritto, e che ora stava venendo a trovarlo- possibile che non l’avesse ricevuta?

-         Erice…Erice, sei tu?- in quel momento, dal buio giunse una voce incerta, una chiamata. La ragazza si voltò verso lo sprazzo di oscurità dal quale le sembrò che provenisse la voce, con un leggero sobbalzo; i muscoli lievemente tesi.

In una frazione di secondo si ritrovò con la faccia premuta contro un petto gelido, marmoreo e profumato; la stretta dolce di due braccia d’acciaio le cingeva affettuosamente le spalle…la sorpresa scaturita da quell’azione inaspettata, fu tale da spingere Erice ad opporre una leggera resistenza….quando però, il volto del vampiro fu rischiarato dal lampione e la ragazza ne riconobbe gli occhi d’oro fuso, fu certa di trovarsi davanti a Logan e fu lei stessa a gettarsi tra le sue braccia, con gioia pura mentre- carezzando il suo nome con la voce- si rendeva conto di quanto le fosse mancato.

-         sono così felice di vederti, amico mio!- confessò allora lei, versando qualche lacrima di commozione.

-         Lo dici a me? Credevo ti fossi consegnata ai Volturi…- replicò quello mentre le sfiorava i capelli  bruni che, da quando erano stati tagliati, avevano avuto solo l’ardire di spingersi timidi lungo il collo: era stato quello strano particolare- spiegò sottovoce Logan- ad averlo tratto in inganno.

-         È vero, all’inizio volevo tornare dai Volturi per consegnarmi, con tutta me stessa; ma poi, lungo il mio cammino mi sono imbattuta in un angelo, o meglio in più angeli- sorrise quando il suo pensiero tornò ai monaci di Sant’Antimo- e così, molte cose sono cambiate in me, anche il mio modo di vedere la vita…-

-         Raccontami tutto…- la invitò il vampiro, con gli occhi che scintillavano di felicità, mentre prendeva la ragazza tra le braccia ed insieme sparivano nella notte.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Innanzitutto vi ringrazio per essere stati tanto pazienti e fiduciosi nei miei confronti( vi confesso che ad un certo punto, siccome l’ispirazione non tornava, ho davvero temuto di dover chiudere questa ff…)poi, oltre a ringraziarvi perché continuate a seguirmi, credo sia d’obbligo spendere due paroline su questo capitolo:

1)      la prima città in cui Erice scappa, non ha nome perché me la sono completamente inventata(anche se, ammetto che per il particolare della nebbia- pur non essendoci mai stata- mi sono ispirata alla città di Milano)

2)      la figura del falsario, potrebbe richiamare quella presente in BD ma vi assicuro che non c’entra nulla; era un personaggio la cui unica funzione è quella di raccordo, ossia mi serviva solo perché dovevo ricollegarmi un attimo al fatto che le labbra di Erice contengono cianuro( a proposito, il nome del personaggio è l’incrocio di due nomi presenti nel film “V per Vendetta- Lewis Prothero ed Eric Finch)

3)      la settimana scorsa sono stata davvero all’abbazia di Sant’Antimo e vi assicuro che è stupenda(anche se non ho visto la stanza dell’organo)solo che la scultura dell’angelo è un elemento gotico che ho visto in un’altra chiesa e che ho aggiunto solo ai fini della storia, perché le pareti dell’abbazia sono completamente spoglie.

4)      Tutti gli altri nomi(tipo quelli dei passaporti)sono di mia pura invenzione.

5)      L’espressione “i morti cavalcano in furia” (detta anche in altro modo “i morti viaggiano veloce”) è tratto dalla “Lenore” di Burger e tutte le frasi che Erice sente in chiesa sono tratte dalle Beatitudini e dall’ “inno alla Carità”

Detto questo, aggiungo:

Care commentatrici, scusate se non vi ringrazio a dovere, ma sono un po’ di fretta. Comunque sappiate che è anche grazie ai vostri bellissimi commenti che ho trovato lo spunto per andare avanti con la ff ;-) mi scuso con entrambe con il linguaggio un po’ poco “oxfordiano” che avete letto all’inizio del capitolo ma mi auguro che il pezzo vi sia piaciuto lo stesso.

Che succederà adesso? Logan accetterà di aiutare Erice? E se sì, come faranno loro due soli a contrapporsi ai Volturi, poiché hanno dalla loro parte solo la verità?

Un baciotto e grazie ancora a tutte/i

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** caccia e fuga (parte 3) ***


Capitolo XV

Caccia e fuga

 

Parte 3

 

Erice Volturi era distesa con la schiena sull’erba di uno dei tanti parchi pubblici della Città Eterna e, anche se quella giornata era uggiosa- tanto da non far passare un filo di luce solare- le, sorrideva osservando il cielo attraverso i rami della quercia sotto la quale se ne stava riparata. Al suo fianco, immancabile- con ogni centimetro di pelle coperta, per sicurezza e il lo scudo di repulsione attivo, per proteggerli- c’era Logan.

Più e più volte la ragazza aveva raccontato al vampiro la sua storia- dapprima dubbiosa e tesa, perché temeva che lui le avrebbe rifiutato il suo aiuto; ma poi, quando il vegetariano le aveva assicurato che l’avrebbe sempre trovato accanto a lei; l’umana aveva iniziato a rilassarsi.

Nei mesi che i due avevano trascorso a Roma, le preoccupazioni avevano abbandonato Erice a tal punto che lei,- forte del potere di Logan, che la rendeva praticamente invisibile- aveva iniziato a godersi tutte le piccole cose che notava in quella città, dimenticando quasi completamente che era il bersaglio di una caccia senza fine. Di tanto in tanto però, all’improvviso, mentre passeggiavano nei pressi di una chiesa, o di una via poco affollata; Logan le chiedeva ancora una volta di spiegargli ciò che le era successo, facendole sempre delle domande diverse, eppure sempre precise, di modo che potesse aggiungere nuovi particolari allo sconosciuto- almeno per Erice- quadro, che gli si stava formando in testa.

E, in quel giorno plumbeo si stava ripetendo proprio uno di quei momenti in cui, a seguito del suo racconto, Erice ascoltava il suo amico, che le riassumeva quanto riusciva a capire.

- te lo ripeterò sempre, dolce Erice: hai avuto molto coraggio ad agire come hai agito. Ammetterai, tuttavia, che ciò che hai fatto non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di Caius ed Evangeline( della quale però, non sono sicuro sia ancora viva, anche se sapeva così poco)…- la sua voce soave si arrestò e, con una delle sue dita fredde si affrettò ad asciugare la lacrima che, solitaria, stava rigando il viso della ragazza. Infatti, anche se lei aveva ipotizzato che, non appena aveva rimesso piede a Volterra dopo averla messa in salvo, la sua nutrice fosse andata incontro alla morte; quell’idea le metteva profonda tristezza. – ciò che mi fa riflettere con particolare attenzione, ogni volta che ne parli, è il comportamento del compagno di Anthenodora. Non hai forse detto che la principale caratteristica della sua indole è la brama di potere? Perché allora, avrebbe dovuto salvarti, questa volta (della precedente che mi hai raccontato, ne posso capire il motivo, siccome erano presenti entrambi i tuoi genitori…)dopo la colpa così eclatante di cui ti ha accusata Aro?- continuò a ragionare, mentre si tirava su puntellandosi sui gomiti, e la chioma fluente gli si adagiava sulle spalle.

- conosci già la risposta a questa domanda, Logan: Caius era in debito con me di due favori, e gliene resta ancora uno, visto che l’ho salvato da tre lupi mannari, in Transilvania.- replicò pronta la ragazza, spostando appena il viso roseo verso di lui, per osservare bene l’espressione del vampiro. Non si preoccupò neppure del proprio tono di voce poiché, ormai, era abituata a parlare con la stessa intensità dei vampiri.

- sì, questa potrebbe essere una spiegazione. Ma non hai mai pensato che, vista la sete di potere di Caius, lui stesso ti abbia mandato via, in attesa che tu ti fortifichi e torni, animata dal desiderio di giustizia contro chi ha ucciso tua madre? Così che, una volta fatto fuori Aro, sarà Caius a prendere il suo posto al potere?- ipotizzò il vampiro dagli occhi dorati.

- non lo escludo. Dimentichi però, che gli Anziani sono una triade, perciò, anche se Caius distruggesse Aro, resterebbe mio padre…- intervenne lei, ma con più pacatezza questa volta, gli occhi persi nel vuoto perché stava prendendo seriamente in considerazione quelle delucidazioni sulla reale disposizione di Caius.

- non sei stata forse tu a dirmi che della Guardia fa parte una certa Chelsea, il cui potere è quello di annullare o rafforzare i legami? Non ti è mai venuto in mente che Aro- per evitare che Marcus gli facesse troppe domande e scoprisse quindi la verità sulla morte della sua compagna(visto quanto i due erano legati) abbia fatto intervenire Chelsea per rendere innocuo tuo padre?- iniziò ad incalzarla il vegetariano. Erice lo odiava quando si comportava così, perché insinuava in lei mille dubbi; tuttavia, in quei casi, somigliava ad un vero Socrate, e forse le faceva esattamente le domande giuste al momento giusto.

Fu allora che la ragazza,valutando quella possibilità, si mise a sedere di scatto, una mano che le copriva la bocca e l’espressione orripilata.

-         povero padre mio, che stupida sono stata ad abbandonarlo in quella fossa di serpi…- si rammaricò, tremando appena, gli occhi lucidi.

-         Non temere: se davvero le cose stano così, e se i piani di Caius sono realmente questi; per il favore che ti deve e per l’indole ormai mite di Marcus, non farà altro che continuare a cercarti così, quando ti avrà trovata, di renderà tuo padre sano e salvo, chiedendoti però, di partecipare, al suo fianco, ad una “crociata” contro Aro.-

-         Demetri non riesce più a percepire la mia essenza. Mi sono fatta battezzare e questo ha reso nullo il potere che aveva su di me. A causa della sua anima dannata, la sua abilità con me non funziona e non potrà nemmeno più posarmi gli occhi addosso.- spiegò lei cercando di ostentare lucidità, anche se l’insieme d’informazioni ricevute in quei pochi attimi, le faceva girare la testa e, l’unico pensiero che le solcava la mente era l’impellente bisogno di aiutare suo padre.

-         Certo, lo so: me ne hai parlato. E confesso che è stata una mossa davvero scaltra da parte tua. Ma considera che io e te siamo solo in due(anche se io sono un vampiro) e dalla nostra parte abbiamo unicamente la verità- che è un’ottima arma- tuttavia, inefficace per combattere un sistema corrotto sin nelle fondamenta. Non hai mai pensato che dovremmo rivolgerci a qualcuno che ci appoggi e faccia sì che avremo maggiore credibilità quando saremo dinnanzi alle massime autorità del mondo dei vampiri?-

Erice sobbalzò mentre manciate di brividi freddi le correvano implacabili lungo la schiena, ed i suoi occhi si riempirono di confusione.

-         intendi affrontarli direttamente?- chiese. Il suo amico vegetariano, che se ne stava lì ad annuire, in quel momento, sembrava calato nelle vesti di Sherlock Holmes, visto il pensiero che aveva esposto e le domande che le aveva posto: il suo ragionamento, senza dubbio, filava. Come avrebbero fatto però, a trovare un vampiro- che non avesse cieca fede nei Volturi- del quale avere la sicurezza che, una volta spiegatagli la verità sulla morte di Didyme, credesse a loro- ad Erice- e non ai Signori dei Vampiri?

-         Pensi che dovremmo cercare qualcuno che ci farebbe da testimone? Nessuno sarebbe tanto folle da mettersi contro i Volturi, per me; una semplice umana che, sin dal principio, non doveva essere altro che il pasto di quei vampiri…- continuò. Oddio, ora la testa le faceva davvero male. Quella di cui parlava Logan, era la loro unica speranza ed Erice si detestò mentre, con le gambe raccolte al petto, percepiva che il suo sguardo si spegneva. Si odiò per essersi concessa di sperare di poter essere creduta innocente, per quanto quella speranza- seppur vera- fosse flebile come il lume di una candela in una notte di tempesta.

-         Sarà un suicidio, lo so. Ma vale la pena tentare perché voglio saperti davvero libera; voglio vederti felice di vivere la tua vita, anziché costantemente tesa mentre ti guardi le spalle, per paura di essere braccata…- disse Logan sincero, mentre le afferrava un ricciolo castano che si stava perdendo nella fresca brezza pomeridiana, e poi le carezzava una guancia, asciugando nello stesso tempo le copiose lacrime che le appannavano la vista, facendole brillare gli occhi.

Durante l’anno e mezzo in cui era stata lontana da Volterra, Erice cercato di trovare un equilibrio, un suo spazio nel mondo nonostante le molte minacce che la seguivano- e questo Logan lo capiva, e lo apprezzava, ma sapeva anche che la paura, non l’aveva mai abbandonata.

-         hai…hai già pensato a…qualche vampiro che potrebbe aiutarci?- gli domandò la ragazza, dopo che i singhiozzi si furono lentamente diradati; anche se aveva ancora la voce attutita, per via del fatto che s’era rifugiata sul petto del vampiro.

-         Ad Eleazar, l’ex componente della Guardia cui è stato permesso di lasciare i Volturi per convertirsi alla vita vegetariana. Chi più di lui sarà disposto, almeno ad ascoltarci?- rispose pronto il vegetariano, con una nota di gioia nella voce.

Allora, senza attendere oltre, Erice si fece forza e, dopo aver strappato un foglio dal quadernino che le aveva regalato Didyme, e che ancora portava con sé, vi scrisse sopra due righe e lo abbandonò nel vento.

 

Era ormai sera quando, passeggiando con Logan per le vie del centro, la ragazza si ritrovò tra le mani il foglio di risposta atteso con trepidazione tutto il giorno.

 

Cara Erice,

non immagini che felicità abbia provato nel leggere la tua lettera.

Durante l’ultimo anno ho viaggiato molto ma, ormai da qualche mese, io e la mi compagna ci siamo stanziati in Alaska dove, secondo ciò che ho sentito dire, vive anche un altro clan vegetariano, cui progettiamo di unirci presto.

Tu e Santiago siete liberi di venire a trovarci quando vorrete, non vedo l’ora di presentarvi la mia Carmen.

                                                                             Eleazar

 

Erice ebbe una fitta al cuore vedendo il nome del suo amato tra quelle righe dalla calligrafia obliqua ed elegante. Quanto le mancava il suo adorato Santiago!

Tuttavia, decise di nascondere a Logan- che si stava chinando su di lei per leggere- la malinconia che provava così gli annunciò, con il sorriso più spontaneo che riuscisse a foggiare:

-         si parte per l’Alaska!-

 

ANGOLO AUTRICE

Eccomi di nuovo qua!

Nuovo post fresco fresco(e soprattutto postato in un lampo) è l’ultima parte del capitolo 15, spero vi piaccia.

Erice e Logan sono diretti da Eleazar, cosa succederà? Lui crederà alla verità?

Ora passo a ringraziare la “commentatrice”:

Ayumi_L: ciao bella! Grazie mille del tuo commento, mi ha fatto molto piacere leggerlo, ora sono curiosa di sapere cosa pensi di questo.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** la verità ***


Capitolo XVI

La verità

 

L’aereo decollò librandosi elegantemente in aria. Il cuore di Erice perse un colpo e lo stomacò le salì fino in gola, restando incastrato lì; subito, mossa dall’impeto della sorpresa- solitamente causata in tutti, dallo sperimentare ciò che è nuovo- la mano della ragazza corse a stritolare, nella sua stretta umana, le lunghe, gelide dita da pianista del vampiro vegetariano che le stava accanto. Logan voltò verso di lei, il suo bel viso pallido e affusolato, la fissò sorpreso, poi, dopo averle sorriso dolcemente, le carezzò una guancia rosea e la invitò a posare la testa riccioluta sulla sua spalla marmorea, mentre le sussurrava:

-         È una novità per te, vero? Ci aspettano quasi dodici ore di volo: ci farai l’abitudine…-

L’umana si irrigidì appena, vergognandosi della sua reazione, ma dopo alcuni profondi respiri, ogni tensione iniziò ad abbandonarla e s’arrischiò delicatamente a sorridere, dal momento che le stavano tornando in mente i tanti ricordi che l’avevano portata a prendere quella decisione…

Per una lunga, interminabile settimana- dopo aver ricevuto la lettera di Eleazar- infatti, Erice aveva impiegato molto del suo tempo- perdendo anche qualche ora di sonno- a riflettere su come lei e Logan sarebbero potuti giungere in Alaska nel minor tempo possibile, e soprattutto, senza attirare l’attenzione dei Volturi che, di certo, la stavano ancora cercando: il suo amico vegetariano aveva proposto di attraversare l’Atlantico a nuoto, ma aveva immediatamente ritirato l’idea, una volta resosi conto che, tra i due, era lui l’unico che poteva permettersi di non respirare sott’acqua; c’erano anche state decine di altre pensate(una pi particolare dell’altra), alla fine, tuttavia- in accordo- i due avevano optato per salire sul primo aereo che li avesse portati nella città pi vicina al confine tra Canada ed Alaska e, una volta lì, avrebbero proceduto a piedi- o meglio, Logan avrebbe corso, e lei gli sarebbe stata aggrappata alle spalle- fino a dove Eleazar abitava. Ma…dopo che fossero riusciti ad arrivare, il vampiro che era stato un componente della Guardia, le avrebbe creduto?

Il tocco quasi soffiato di una mano fredda risvegliò la ragazza dalla sua unica preoccupazione, facendola sobbalzare ma, scrutati in un secondo gl’impensieriti occhi dorati di Logan, realizzò che il respiro le si era fatto affannoso ed abbassò lo sguardo, quasi per scusarsi.

-         Erice, rilassati. Ti prometto che andrà tutto bene. Nel frattempo, perché non trovi qualcosa che ti tenga occupata?- le consigliò il vampiro guardandola intensamente, mentre, grazie al suo udito finissimo, ascoltava le pulsazioni del cuore di lei, che tornavano a regolarizzarsi. Non c’era stato bisogno che aprisse bocca perché lui aveva compreso alla perfezione il suo timore. Nei giorni precedenti, infatti, ogniqualvolta l’avesse scorta imprigionata nel suo silenzio denso di paure, l’aveva esortata a non farsi schiacciare da quelle, bensì a combatterle.

Ed ora, molto probabilmente, stava di nuovo lasciando che questa la soffocassero, perché non si calmava, anzi, sembrava sull’orlo delle lacrime così, dopo un sospiro rassegnato, Logan ebbe un’idea…

Nella frazione di secondo in cui battè le ciglia, la ragazza si ritrovò tra le mani una penna ed un foglio di carta e, con un’espressione commossa notò con la coda dell’occhio che Logan le sorrideva incoraggiante e, subito dopo, si ritirava con discrezione verso il finestrino, per lasciarle un po’ di tranquillità ed intimità.

Erice Volturi, in quel momento si sentì nuovamente sola ed ebbe paura: il cuore le si rannicchiò nel petto fino a compattarsi tanto da somigliare ad un buco nero, doloroso e pesante. La spaventava non poco doverlo aprire per far sì che tutto ciò che provava si tramutasse in parole; tuttavia, sapeva che c’era un unico vampiro che avesse mai veramente amato e conosceva anche la profonda urgenza del suo bisogno di fargli arrivare la verità. Perciò, si fece coraggio e lasciò scorrere la penna finchè l’inchiostro nero non prese la forma delle sue emozioni, e la carta vibrò delle sue stesse passioni.

 

Amore mio,

mi manchi immensamente.

Mi dispiace di averti deluso ed abbandonato in quella putrida fossa di serpi bugiarde che non sicuramente non fanno altro che instillare in te, infidi dubbi su di me: non avrei mai voluto. Perdonami.

Il mio desiderio invece, era che vivessimo ogni secondo, che superassimo ogni cosa, insieme, ma sono stata costretta ab alto a lasciare la nostra amata Volterra.

Spero che le menzogne di coloro che servi non ti abbiano indotto a perdere l’immensa fiducia che hai nei miei confronti, quella stessa che, ogni giorno- nonostante le mie mille paure- mi spinge a continuare la mia missione per ristabilire la verità. Ti vorrei al mio fianco, vorrei trovarmi tra le tue braccia, ma non posso permettere che tu corra dei pericoli a causa della mia innocenza rinnegata.

Non ci sono scusanti per il mio comportamento, lo so, e se non riuscirai a perdonarmi, lo capirò, come saprò anche, se le mie parole sono arrivate troppo tardi, perché hai perso la fiducia in me.

Ma, se non è così, oso sperare che non sia stato istillato in te tanto odio da farti arrivare a bruciare questa lettera, prima di leggere queste parole: ti amo, Santiago. Ti amerò sempre.

Ti sto parlando con il cuore e mi auguro tu sappia che questa è l’unica verità; spero tu lo senta, anche se nel tuo cuore non fosse rimasto nulla- oppure sopravviva anche solo un briciolo- del grande sentimento che ci univa.

                                                                                                                               Per sempre tua,

                                                                                                                                      Erice

 

La ragazza la rilesse un’ultima volta e, non appena si rese conto di quanto quel foglio fosse simile ad uno specchio del suo cuore, trattenne a stento le lacrime. Non diede però, tempo a Logan di consolarla perché, un attimo dopo, l’aereo atterrò ed i due misero piede nell’ultima cittadina canadese, al confine con l’Alaska, che stava per essere avvolta dalle prime, fredde spire del buio.

Una volta allontanatisi discretamente dall’aeroporto e dalla zona abitata, bastò un’occhiata dorata di Logan perché Erice gli si raggomitolasse sulle spalle; così, insieme, si tuffarono negli ultimi folti boschi verde bottiglia del Canada, che nascondevano alla vista i primi ghiacci dell’Alaska, che stavano per essere abbracciati dall’oscurità.

Erice, per un po’ viaggiò con la bocca spalancata per lo stupore- la realtà che le sfrecciava attorno in tante macchie di colore, la faceva sentire parte di un grande quadro- poi però, d’un tratto, pur sapendo che la velocità cui Logan viaggiava, ed il suo potere, attivo, li rendevano praticamente invisibili; la tensione s’impadronì di lei e le impose di fare sempre gli stessi gesti: voltava indietro la testa, come per assicurarsi che(nonostante non vedesse nulla) da un angolo non sarebbe sbucato da un momento all’altro, qualche vampiro per tender loro un agguato. Oppure, con una mano, si toccava la giacca, all’altezza del cuore, dove aveva nascosto la lettera indirizzata a Santiago, che non aveva avuto il coraggio di affidare al vento, per paura che potesse essere recapitata a qualcun altro.

Presto però, tutte quelle paranoie si dileguarono a causa delle ventiquattro ore precedenti in cui non aveva chiuso occhio, e la stanchezza la vinse, facendo sì che fluttuasse nel mondo dei sogni mentre Logan vegliava su di lei.

 

Possibile che stesse ancora sognando? Il magnifico spettacolo che le si presentò dinnanzi, le svuotò in breve tempo la mente ed in quel momento, quello era l’unico pensiero che le vagava nella testa: stava davvero vivendo la realtà, o tutto ciò che vedeva era un sogno?

Logan l’aveva svegliata dolcemente ed ora, le stava di fronte, parlandole; ma lei non riusciva a concentrarsi su ciò che il vampiro diceva, perché era rapita dai riflessi roseo-dorati dell’alba che stava sorgendo all’orizzonte e che, sfiorando la pelle d’alabastro del suo amico, lo facevano somigliare ad un’aurora boreale. Ma non era tutto! Persino l’immacolata collinetta su cui si trovavano, bagnata dallo scintillio iridescente della belle di Logan, brillava come fosse un arcobaleno!

La ragazza fece, all’indirizzo del vampiro, un ultimo sorriso radioso poi, decise di prestare attenzione alle sue parole:

-         Siamo arrivati, Erice. Sulla sommità di questa collina c’è la casa di Eleazar: ne ho riconosciuto l’odore dalla lettera che ti ha inviato. Mi dispiace dirtelo, perché non vorrei pensassi che ti sto abbandonando- dal momento che non è così- ma temo sia necessario che ti presenti alla sua porta da sola: ti conosce e si fiderà, altrimenti, vedendomi, potrebbe insospettirsi(dal momento che l’ultima volta che ci siamo incontrati, ero rinchiuso nelle Prigioni di Volterra)e non aver nemmeno voglia di ascoltare ciò che hai da dirgli sulla morte di tua madre. Come ho detto, non ti sto abbandonando: ti avevo promesso che saremmo arrivati insieme alla fine di questo viaggio e così sarà, te lo giuro. Tuttavia, per ora, dovrò allontanarmi per perlustrare la zona qui attorno ed assicurarmi che siamo davvero al sicuro; poi, ti raggiungerò.- promise, prendendo le mani di Erice tra le sue, e baciandogliele con attenzione, sperando che il panico nel respiro di lei si diradasse e, un attimo dopo, svanì, sollevando al suo passaggio una folata di vento innaturale.

Silenzio. Ed un’interminabile, immensa distesa di bianco. Era sola. Erice era di nuovo sola. Ad un passo dal conseguire un altro traguardo, dall’ottenere la sua prima vera vittoria, era stata abbandonata.

Sentiva che da un momento all’altro sarebbe crollata in mille pezzi…non avrebbe permesso a nessuno però- neppure a se stessa- di ostacolarla in quel tentativo di rivendicare la sua innocenza, quindi, nonostante le ginocchia le tremassero, la gola era serrata per il terrore; si costrinse a mettere un piede davanti all’altro, per iniziare a salire quella collina che, seppur dolce, le appariva insormontabile. Ripeteva ossessivamente a bassa voce sempre la stessa frase, nel tentativo di farsi forza:

-         devo parlare con Eleazar, devo far sì che mi creda…-

Ma, quella ripetitività meccanica la portò ad escludersi dalla realtà, la rese cieca in merito a quanto stava facendo e, invece, diede libero sfogo alle fantasie della sua mente spaventata, che le sussurrò, fuorviante:

-         più tempo sprechi qui, a camminare, minore sarà la possibilità che avrai di parlare con Eleazar…e poi, anche se arrivassi da lui, cosa inventeresti per far sì che ti creda, assieme alla sua compagna? Ho paura che lui, visto il suo passato legame con i Volturi, li chiamerà(perché preferirà metter in dubbio te, piuttosto che la loro autorità…)e, una volta che Aro sarà arrivato, metterà fine al tuo atto di ribellione nel peggiore dei modi…così, Didyme sarà morta invano perché tu non sei stata in grado di tener fede alla promessa che le avevi fatto.- era una voce dalla tonalità quasi serpentina, destabilizzante, e rischiò di farla impazzire, tanto che Erice non si rese conto di aver bussato alla porta di una graziosa casetta con i vasi di fiori alle finestre ed il profumo di legno che si spandeva ovunque.

Non capì neppure che le ginocchia le avevano ceduto e che ora piangeva, rannicchiata con la schiena contro lo stipite di quella porta ancora chiusa. Tutto per colpa del suo cervello paranoico, che era sicuro che nessuno le avrebbe creduto, non quando il termine di paragone erano i Volturi! E quindi, adesso, era sicuramente condannata a perdere quell’innaturale caccia senza regole né confini, né una fine, solo perché era un’umana! Se solo ci fosse stato Logan al suo fianco…no! Anche lui l’aveva abbandonata, dopo aver di certo considerato quanto fossero disperate le sue possibilità!

-         Erice…? Sei tu?- una voce titubante, dal timbro profondo, comparve dal nulla e la ragazza, sentendo che qualcuno la chiamava per nome, si sforzò di aprire gli occhi…nonostante la vista appannata dalle lacrime, dopo qualche secondo distinse un’imponente figura, che sembrava essere davvero troppo grande per la porta sulla cui soglia si trovava.

L’umana considerò di doversi gettare ai suoi piedi ed avvinghiarsi alle sue ginocchia come una supplice, ma il freddo dell’ambiente sembrava esserle penetrato nelle ossa. Non riusciva a muoversi, fu solo in grado di bisbigliare appena, con le labbra viola:

-         Eleazar…mi serve il tuo…aiuto…- il suo tono era supplichevole, umido di lacrime e la ragazza se ne vergognò: quanto doveva apparire cambiata agli occhi di quel vampiro che l’aveva, invece, sempre conosciuta come una persona caparbia!

Non vi fu alcuna risposta dalla figura solo un gesto invisibile che fece ritrovare Erice sollevata da terra, il tempo di un battito di ciglia; non seppe dire se le mani che le avvolgevano le gambe e la schiena fossero fredde, fu solo consapevole che in breve venne portata all’interno di un’abitazione che emanava calore. Aveva il viso poggiato contro una leggera camicia, che copriva un petto marmoreo emanante profumo, che Erice riconobbe essere- con un tuffo al cuore- lo stesso di Eleazar.

-         piccola Erice, benvenuta a casa mia. Mi dispiace di non averti aperto immediatamente, ma….non riconoscevo il tuo odore! Sono davvero felice di vederti, ma perché piangevi e come mai Santiago non è con te?- disse il vampiro, con un marcato accento spagnolo.

-         Eleazar…sono dovuta scappare da Volterra e…ho bisogno del tuo aiuto…- ripetè la ragazza in un soffio, con le labbra screpolate. Pur sapendo che non era stato saggio introdurre quelle informazioni, perché di certo l’avrebbero fatto insospettire, e forse non avrebbe avuto la possibilità di raccontargli la verità; l’aver incontrato il suo viso radioso e fiducioso, l’aveva spinta ad aprirsi. Sembrava davvero felice di vederla, almeno quanto pareva realmente preoccupato per la sua situazione attuale!

Erice avrebbe voluto abbracciarlo con gratitudine per la sua sincerità, tuttavia, sentire il nome di Santiago tra le parole del suo amico, le fece provare una fitta lancinante al cuore- come se stesse sanguinando(o forse era la lettera che aveva ancora con sé?)- che la paralizzò:

-         Erice…stai tremando- che ti succede? Carmen, ayudan me!- continuò l’ex componente della Guardia, notando che la ragazza tra le sue braccia, era scossa da violenti tremiti.

l’umana sentì che le lacrime stavano tornando a pungerle, sotto le palpebre e, anche se non riusciva a tenere gli occhi aperti, avvertì del movimento attorno a sé…un secondo più tardi, infatti, si rese conto di esser stata distesa su un divano, davanti ad un fuoco che scoppiettava allegro (doveva esser stato acceso appena un secondo prima ed esclusivamente per lei, probabilmente) nel camino; una coltre morbida la copriva quasi completamente, tenendola al sicuro.

Erice si sforzò di sorridere, piacevolmente sorpresa da tutte quelle premure, ma d’improvviso un pensiero le balenò nella mente e lei si ritrovò a farsi una sola, ossessiva domanda…perché loro e lei stessa, stavano perdendo tempo in quel modo? Lei doveva assolutamente parlare con Eleazar e la sua compagna, e di una cosa molto importante, peraltro! E loro…bhè, sperava le avrebbero creduto…

-         non temere, Erice: ascolterò tutto ciò che avrai da dirmi. Per il momento riposa e rilassati, non appena Tanya sarà andata via, tornerò da te.- le promise lo spagnolo, chinandosi per baciarle la fronte. Lei si coprì le labbra con le mani mentre le guance le si tingevano di rosso, perché aveva capito di aver esposto le proprie paure ad alta voce.

-         Eleazar, amico mio, grazie…- gli sussurrò, afferrandogli un braccio, un attimo prima che se ne andasse.

Da quel momento venne lasciata sola e, per acquietare la paura, riscaldare le membra e calmarsi, rimase ad osservare le fiamme che danzavano attorno a spessi ciocchi di legno, così piccole da non sembrare furbe e invece, erano astute, perché lentamente logoravano i ceppi, assumendo tonalità arancioni e rossastre. Ben presto quella calda tranquillità mutò in torpore ed Erice si ritrovò a chiudere gli occhi, il respiro regolare. Quasi immediatamente, quindi, la sua capacità d’udito si acuì, e captò- attraverso quello che appena un secondo prima le era sembrato un silenzio densissimo- il basso tono tipico dei vampiri:

-         allora Tanya, qual è il tuo verdetto? Potremmo entrare a far parte del clan di Denali?- stava domandando Eleazar, e la ragazza se lo immaginò con il suo solito atteggiamento filosofico, pacato ed aperto, da mediatore.

-         Avete dimostrato di saper fare dei sacrifici, saper sopportare la mancanza del sangue umano a favore di quello animale, e ne ho avuto prova certa proprio ora, che hai soccorso quella ragazza, Eleazar. Siete degni di entrare nel clan di cui sono a capo, ma prima di accettarvi definitivamente, voglio sapere bene come conosci quella…insomma, il suo cuore batte: è un’umana. Come mai siete così intimi, Eleazar? Sai bene quale sarebbe la pena per un umano qualsiasi che conosce il nostro segreto, e…per il vampiro che gliel’ha rivelato. Conosci la legge…- tentennò la vampira chiamata Tanya, con voce squillante, simile a quella di tante campanelle d’argento.

-         Conosco benissimo le leggi dei Volturi, Tanya.- l’ammonì con durezza il vampiro, ed Erice se lo immaginò rigido, con le braccia conserte, che fissava la vampira con gli occhi infiammati.- Comunque, se proprio ci tieni a saperlo, il nome di quella ragazza, è Erice e non hai nulla da temere da lei: è cresciuta tra i nostri simili, a Volterra, da quando era bambina. Il suo destino era quello di sfamarci, quando avesse avuto l’età giusta, ma Marcus e la sua compagna Didyme si sono affezionati a lei a tal punto da volerla “adottare” e chiedere che venisse ammessa nella Guardia. Da allora è fidanzata con Eleazar, un vampiro che faceva parte del mio stesso clan, prima che fosse smembrato e noi entrassimo a far parte del Corpo di Guardia dei Volturi…- le spiegò Eleazar, paziente, e col tono che nascondeva qualche sorriso, a quei ricordi.

Ci fu un secondo di silenzio poi, violento, un ringhio squarciò la calma di quel luogo, tanto che Erice, a qualche metro di distanza, sobbalzò.

-         questo non è…possibile. Non ti credo! E anche se fosse la verità, perché la ragazza poco fa avrebbe detto che è dovuta scappare da Volterra?- li attaccò Tanya. La sua voce trasudava rabbia pura ma poteva dipendere dal semplice fatto che aveva paura di quelle nuove informazioni. L’umana comunque, se la figurò con le labbra che lasciavano i denti scoperti, e sentì una nuova ondata di tristezza che la invadeva.

Le lacrime le appannarono di nuovo lo sguardo ma si sforzò di non fare alcun rumore…che stupida era stata! Con la sua comparsa lì, stava distruggendo la felicità che Eleazar stava cercando di costruirsi. Possibile che minacciasse tutto ciò cui si avvicinava?

No, questa volta sarebbe andata diversamente! Eleazar era stato uno degli amici più sinceri che avesse avuto, e non meritava che la sua voglia di cambiare, di essere migliore- che stava per essere premiata ora che aveva trovato un altro clan di vegetariani- subisse danni o addirittura, venisse distrutta.

-         basta! Non voglio essere di nuovo causa d’infelicità…Tanya, vuoi sapere la mia storia, la mia verità? Te la racconterò. Ma devi promettermi che sarai pronta ad ascoltare qualsiasi cosa…- Erice si sollevò di scatto a sedere, si asciugò in fretta gli occhi arrossati ed incontrò lo sguardo ambrato di una donna dal viso tanto bianco da sembrare di porcellana(come quello di una bellissima bambola) incorniciato da lucenti ricci biondi con sfumature rosa.

-         Ciò che ti è stato raccontato da Eleazar è vero: infatti, dopo esser entrata a far parte della Guardia, ho potuto assumere il cognome dei Volturi e di diventare la compagna di Santiago. È risaputo, però, che Aro mi detesta sia perché ho “travalicato il limite” che mi era stato imposto- e questo è sempre stato inammissibile per lui, in qualsiasi occasione- sia perché…mi crede responsabile della scelta di mia madre Didyme e mio padre Marcus di lasciare la congrega, secondo l’esempio di Eleazar.- confessò la ragazza ma, man mano che continuava, al ricordo della triste sorte che la madre aveva dovuto subire, la voce le si affievoliva.

Improvvisamente, si rese conto di avere tre paia di occhi puntati su di sé: Tanya pareva stupita, come se fosse stata rapita dal racconto di una bella favola; l’alta vampira dai folti ricci scuri e la pelle olivastra che doveva essere Carmen, era orripilata(quasi si aspettasse ciò che sarebbe successo dopo) ma solo Eleazar sembrava tanto fermo ed interessato da pregarla di continuare con un semplice gesto.

-         Aro quel giorno…ha finto di dar loro la sua benedizione per la partenza e…non appena è rimasto solo con Didyme l’ha insultata, accusandola di non capire il grande dono che lui le aveva fatto- rendendola una vampira e dandole la possibilità di far parte del clan più potente, nel mondo dei vampiri- : mia madre gli ha spiegato che, pur essendogli grata, diventare una vampira non era ciò che voleva perché, anche se aveva trovato un compagno, era stata privata della sua femminilità; cosa che sembrava esser stata risvegliata in lei, invece, dalla mia vicinanza…-

-         Perciò, come andò a finire? Da come parli temo che Aro non abbia concesso a Didyme e Marcus di andar via- cosa che, sicuramente, gli avrà fatto guadagnare il loro odio- ma, visto che sei qui da sola, e dici di dover essere “scappata da Volterra” ho ragione di credere che, almeno a te, sia stato permesso di lasciare la congrega…- il vampiro spagnolo non completò la sua ipotesi perché Erice, il viso basso, aveva iniziato a scuotere la testa con tale veemenza da farsi diventare le guance scarlatte.

-         So come andò a finire perché li avevo seguiti, dal momento che mi stavo insospettendo per il troppo tempo che impiegavano.- le lacrime tornarono a scorrerle copiose sul viso. - e l’ho visto…Aro aveva l’anima nera come la pece e…l’ha uccisa, sotto i miei occhi…- Erice si premette le mani sulle labbra mentre veniva scossa da forti singhiozzi.

Tanya fece un sospiro, abbozzò qualche parola con un tono di scuse- che somigliava ad un congedo- e, col passo veloce ma aggraziato lasciò il salotto per rifugiarsi in un’altra stanza, forse per pensare.

-         quando ha scoperto che ero lì, che potevo essere una testimone che, con una parola avrebbe potuto fargli perdere credibilità e potere, ha rubato il mio pugnale e l’ha mostrato a tutta la Guardia per far sì che io apparissi colpevole della morte di mia madre…sono riuscita a scappare- prima di assistere a tutto questo- durante la festa di San Marco ma non oso pensare cosa sia stato fatto a Santiago e a…mio padre(che, ho motivo di pensare, abbia subito una sorta di “annebbiamento” tramite l’influsso del potere di Chelsea.-  la rivelazione di quella verità terminò così, senza preghiere né suppliche ma solo le piccole mani di lei strette a pugno, le nocche bianche- a causa della tanta tensione che a ragazza provava- e le braccia rigide lungo i fianchi. – è la verità, credetemi.- soffiò infine, notando che era nuovamente circondata dal silenzio.

Una leggera risata risuonò nell’ambiente, ed Erice sussultò come se fosse stata bastonata.

-         questo non possibile, Erice. Aro non avrebbe mai fatto del male a sua sorella, né ad uno dei suoi fratelli.- considerò il vampiro spagnolo, guardando quella figuretta che, fragile come un foglio di carta, andava ripiegandosi su se stessa quasi fosse ferita.

-         Aspetta, Eleazar. Pensa alle parole della tua amica e ricorda come avvenne la distruzione del nostro clan. Non sei forse tu che mi racconti sempre che, dopo la rovina del nostro capo clan, hai incontrato lo sguardo di Aro(dalle cui labbra hai udito il nome “Chelsea ”)ed hai immediatamente provato il desiderio di unirti alla sua congrega?- intervenne Carmen, avvicinandosi al suo compagno e guardandolo negli occhi mentre gli prendeva una mano tra le sue.

Eleazar la guardò amorevolmente ma un secondo dopo aggrottò l’alta fronte d’alabastro e…in seguito ogni cosa avvenne in pochissimo tempo: Erice si ritrovò le spalle circondate dalle fredde, belle braccia di Carmen che, per consolarla, le cantava una ninna nanna in spagnolo mentre le sussurrava all’orecchio che le credeva. Il suo compagno, invece, aveva iniziato a passeggiare(con la velocità caratterizzante dei vampiri, però)avanti e indietro per la stanza, le braccia raccolte dietro la schiena; poi, d’un tratto, come colpito da un’illuminazione, annunciò:

-         hai ragione, mi amor. Il potere di Chelsea è un’arma a doppio taglio: può annullare o rafforzare a piacimento i legami interpersonali, e i Volturi ne fanno sistematicamente uso quando, dopo aver sterminato un clan, vogliono appropriarsi dei vampiri dotati, che ne facevano parte. Ti credo, Erice.- fece, guizzando al fianco della ragazza e sfiorandole delicatamente un ricciolo castano.- e, da questa prospettiva sono propenso a distinguere due motivi che hanno spinto Aro a quell’orribile gesto: o ha agito così perché Didyme sapeva troppo in merito ai costumi e agli usi dei Volturi; oppure ha ucciso sua sorella perché…non voleva che Marcus abbandonasse la congrega, dal momento che, altrimenti, avrebbe perso potere…- Eleazar, detto questo, si inginocchiò davanti a lei, e le gettò le braccia al collo mentre la ragazza mugugnava, contro la sua spalla, qualcosa come “ io avevo pensato solo al legame con Marcus, perché si addice molto di più ad Aro, da quello che ho potuto apprendere su di lui…”ed infine, scoppiava a piangere, commossa. Ce l’aveva fatta!

 

Quando finalmente Erice si fu calmata ed ebbe abbastanza curiosità nei confronti della nuova coppia che aveva davanti, da chiedere loro come si fossero conosciuti o qualsiasi altra cosa le venisse in mente…insieme i tre s’erano aperti molto, l’uno con l’altro, ed avevano riso, dimenticandosi quasi della presenza di Tanya; e l’umana era stata un’attenta uditrice di tutto ciò che quei due vampiri avevano voluto raccontarle delle loro avventure, ma aveva anche osservato con occhio analitico, i loro modi di fare, dolci e delicati, così- dopo una fitta al cuore che le aveva ricordato Santiago – decretò che erano davvero fatti l’uno per l’altra.

Ora, sedeva sul pavimento di legno del salotto, tra Carmen ed Eleazar, sorseggiando cioccolata calda e, d’un tratto, il suo amico spagnolo le chiese:

-         se manchi da Volterra da tanto tempo, come hai fatto a sfuggire all’abilità di Demetri?-

-         Ti ricordi il vampiro transilvano che i Volturi catturarono poco prima di battersi con il conte Dracula?- replicò lei, dopo un sospiro, mentre, a disagio(dal momento che avrebbe dovuto rivelare altri segreti) si mordeva le labbra.- ecco…mi sono fatta battezzare e poi l’ho rintracciato perché, grazie a…lui, sono stata praticamente invisibile in questo periodo.- confessò la ragazza, anche se non spiegò quale fosse il potere di Logan.

Non appena incrociò gli occhi neri di Eleazar, notò con dispiacere che il suo bel viso cereo era atterrito e velato di tristezza.

-         e…ti rende…felice?- s’arrischiò a domandarle ancora il vampiro, con fare timoroso.

-         Eleazar, l’unico vampiro che può rendermi veramente felice è Santiago, e lo sai.- lo ammonì lei con un lieve sorriso, dopo aver riso, poiché aveva compreso il vero motivo della sua preoccupazione. – Logan si è solo offerto di proteggermi e di arrivare assieme a me fino all’affermazione della verità. Se non fosse stato per lui, nella situazione di svantaggio in cui mi trovavo, sarei morta dopo pochissimo tempo. Ti assicuro che non è mai accaduto nulla tra me e lui, perché il mio unico amore è Santiago, ed anche Logan ne è consapevole.- gli giurò, fissandolo negli occhi con espressione seria.- anzi, dal momento che ho scritto una lettera per il mio amato, non sapresti darmi qualche consiglio su come potrei fargliela avere, con la certezza che nessun altro potrà leggerla?- s’informò Erice, e stava per estrarre il foglio di carta dalla tasca interna del giubbotto per mostrargliela, quando, all’improvviso, qualcuno bussò alla porta.

La ragazza balzò in piedi in un attimo, mentre Carmen fissava la porta con espressione perplessa ed Eleazar, invece, si irrigidiva.

-         questo dev’essere lui! Logan mi aveva promesso che sarebbe venuto a conoscervi dopo aver dato un’occhiata nei dintorni, per assicurarsi che fossimo al sicuro.- annunciò l’umana e si sorprese a sorridere perché la paura che lui l’avesse abbandonata- assieme a quella di non essere creduta- era stata scacciata.

Quindi, con slancio quella coprì la distanza che la separava dalla porta e la spalancò: il freddo che penetrò in casa spense il fuoco nel camino…

Il cuore di Erice mancò un colpo e la tazza vuota che aveva tra le mani scivolò a terra, producendo un’eco che le parve lontanissima…

Fuori, nella bufera di neve che imperversava, Logan non c’era- anche se lei era consapevole della sua presenza, dal momento che percepiva l’aura del suo scudo. Davanti a lei, stava, invece, un gruppo di vampiri…

-         non pensavo sareste venuti…è quasi l’alba e siete stati davvero tempestivi.- considerò la voce squillante di Tanya, dallo stipite della porta della cucina, cui lei era appoggiata.

Erice fece un gesto millimetrico della testa verso di lei, perché si sentiva tradita, ma la verità era che non riusciva a distogliere lo sguardo dalle quattro figure ammantate, disposte a rombo che, da fuori, la fissavano…l’ultima cosa che ricordò di aver pensato, era che, secondo le parole di Tanya, doveva già esser trascorso un giorno. Poi, tutto ciò che vide, fu il buio…

 

ANGOLO AUTRICE

Buonasera a tutti!

Anche se si sente un’eco assordante, perché manco davvero da parecchio, vi prego non tiratemi i pomodori per la mia assenza. Mi dispiace di non aver postato prima ma la verità era che, all’inizio mi mancava l’ispirazione, e quando sono tornata a scrivere, non trovavo un secondo stiracchiato per passare tutto su pc e postarvi questo nuovo capitolo(che, tra parentesi, vi annuncio sarà il conclusivo di questa ff, ma diviso in due post, per via della prima e della seconda parte).

Allora, che ne pensate? Vi aspettavate che Eleazar avrebbe creduto alle parole di Erice? E che Tanya avrebbe tradito? Chi saranno mai le “quattro figure ammantate disposte a rombo” e sbucate dal nulla?

Vi lascio con gli arrovellamenti di cervello XD

Alla prossima con l’ultimo post!

Un baciotto

Marty23

Ps: vorrei ringraziare le commentatrici.

Ayumi_L: Ciao Ayumi! Ti ringrazio per il tuo commento, come sempre sei immancabile, mi fa sempre piacere leggere quello che pensi.

dunque, passo alle spiegazioni di ciò che mi avevi detto ti era poco chiaro( e non preoccuparti, non sei offensiva!): Erice era stata toccata da Demetri prima di diventare una Volturi, ricordi? Perciò lui poteva rintracciarla in qualsiasi momento in qualsiasi luogo si trovasse, anche se con il vincolo che Demetri poteva "percepire" Erice solo quando lei pensava a Santiago. Siccome mi serviva un modo per rendere definitivamente libera Erice dalla capacità di Demetri di rintracciarla, ho pensato di farla battezzare( e prima ancora farla nascondere nelle chiese)perchè le chiese sono luoghi sacri e il battesimo è un sacramento. Tutto ciò che è sacro rappresenta in un certo senso un "ostacolo" per i vampiri che, essendo con l'anima dannata sono fuori dalla grazia di Dio. Ovviamente il fatto che Demetri non potrà posare gli occhi su Erice è un'esagerazione, (perchè, come hai visto, Logan riesce a guardarla ed a toccarla pur essendo un vampiro)semplicemente, ora la sua capacità di rintracciarla è nulla.

spero di essere stata chiara, altrimenti, dimmelo e cercherò di rispiegartelo J

comunque, spero di non averti deluso, alludendo ai Denali come clan vegetariano e non ai Cullen…

Luce70:ciao Luce! Mi dispiace di avere una presenza così saltuaria e “lunatica” dal momento che, come dici giustamente tu, a volte non ci sono per molto e a volte aggiorno in frettissima! Spero che il capitolo ti sia piaciuto e mi auguro di aver “placato” almeno un po’ la tua sete di romanticismo con la lettera di Erice a Santiago,(anche se non sono sicura che i due si incontreranno entro il prossimo post). Sono davvero curiosa di sentire il tuo “verdetto”. J

 

A proposito grazie ad ognuno di voi, per l’infinita pazienza che avete dimostrato!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** la verità (parte 2) ***


Capitolo XVI

La verità

 

Parte 2

 

Erice riaprì gli occhi lentamente e mise a fuoco il mondo con prudenza: Logan era praticamente sdraiato su di lei, faceva forza sulle mani per non imporle il peso del proprio corpo, ma teneva il bel volto di gesso ad una spanna dal suo, e la fissava come se fosse stato preoccupato per qualcosa, o ansioso.

-         Logan…- esordì la ragazza, col tono innocente di chi si è appena svegliato- sai? Ho fatto un sogno stranissimo: andavamo a trovare Eleazar per raccontargli cosa è successo a Didyme, ma tu non aspettavi di vedere se mi avrebbe creduto, andavi via, ed io credevo che mi avessi abbandonato…alla fine, venivo creduta ma una vampira col viso da bambola tradiva me, Eleazar, e la sua compagna (non immagini che viso grazioso, piccolo e sempre illuminato da un sorriso); e faceva arrivare i Volturi a nostra insaputa…non lo trovi strano? Credo che sia stato tutto frutto delle mille paure che ho provato in questo periodo, ma era così…realistico! Fortuna però che sei qui, significa che ho immaginato tutto.- Erice si stropicciò gli occhi ingenuamente, non riusciva a capire come mai Logan scuotesse la testa in maniera tanto perentoria ed apparisse così teso, mentre la inchiodava con lo sguardo. Lo scansò con atteggiamento noncurante, mostrandogli un sorriso sereno, perché le lasciasse la possibilità di mettersi seduta.

Un attimo dopo, però, mentre il sorriso le si spegneva sulle labbra, si pentì del suo gesto perché, seppur fiducioso, era risultato avventato: Logan aveva esteso il suo scudo attorno a loro come una cupola- la ragazza fu colpita da quell’aura con tale veemenza da rischiare di rimettere per la nausea- perché li isolasse dagli altri vampiri che si trovavano nella stanza.

L’umana sentì che il respiro le moriva in gola, il cuore che le pulsava nel petto con il ritmo di un tamburo di guerra…che gli occhi la stessero tradendo?

Eleazar, nonostante mostrasse un atteggiamento rispettoso nei confronti dei quattro vampiri che erano entrati in casa sua, stringeva la mano della sua compagna e le nascondeva leggermente dietro di sé, come per proteggerla. Delle quattro figure, ancora coperte dai lunghi mantelli,- di cui due neri e due grigio fumo- solo uno osava guardare dritto negli occhi verdi di Erice, anche se era chiaramente a disagio(come ogni altro, lì dentro)per via del potere di Logan; e lei sentì che decine di brividi le correvano lungo la schiena e tuttavia, non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo viso in ombra.

Dopo qualche secondo, seppur con un certo sforzo, riuscì a voltare la testa verso Logan,- che le stava toccando piano una spalla, per richiamare la sua attenzione- ed a fissarlo interrogativa, in preda al panico puro.

-         e già: non è stato un sogno, i Volturi sono davvero qui.- le spiegò lui, con espressione rassegnata: era chiaro che, ormai, quello era l’unico modo in cui potesse proteggerla- Da ciò che mi hanno detto, sono stati chiamati da una certa Tanya Denali.- in quel momento, nell’udire il suo nome pronunciato da un punto indefinito della stanza(visto che non poteva vedere né Erice né Logan), Tanya ringhiò.- ma secondo il mio punto di vista, lei ha agito così perché vederti, osservare il tuo ruolo, l’ha spaventata e di conseguenza si è aggrappata all’unica cosa che- nonostante le abbia procurato danni, visto ciò che è accaduto nella sua famiglia- le desse sicurezza: la zelante osservanza delle leggi dei Volturi…- il fatto che Logan avesse preso le difese di quella che lei considerava una traditrice, la ferì ma, allo stesso tempo, l’aiutò a vedere il comportamento di Tanya sotto un’altra luce. Tuttavia, riflettendo sulle parole dell’amico, scovò un dettaglio che le fece sorgere un dubbio:

-         come sarebbe “da quello che ti hanno detto”? li hai incontrati, venendo qui? Perché mi ricordo di aver avvertito l’aura del tuo potere prima, tra di loro…- fece, in un sussurro.

-         Già, un’ “aura” terribilmente fastidiosa…- osservò il tono astioso di Caius, ed Erice, seppur con i brividi, fece un sorriso amaro in direzione dell’altra figura dal mantello nero- quella che, come quasi tutti, non guardava fisso verso di lei- per quell’esile battuta.

-         Sì Erice. Ho incontrato i Volturi mentre venivo qui: Marcus ha riconosciuto il tuo odore addosso a me ed ha voluto…- ammise Logan.

-         Marcus?!- lo interruppe lei, mentre un po’ di saliva le andava di traverso.

-         …ha voluto parlarmi, per spiegarmi che non intende farti del male. Vuole solo proferire con te, ed ha portato con sé dei “testimoni”…- riprese a raccontarle. – pensi di poter lasciare che ti spieghi da sé perché è qui, o vuoi andar via? Personalmente credo che dovresti dargli la possibilità di riavvicinarsi a te, perché, per essere qui, deve aver affrontato diversi conflitti, anche personali…- le consigliò.

Erice sorrise genuina al maldestro ma dolce tentativo di Logan di farla desistere dal suo desiderio di allontanarsi il più possibile da quella situazione di pericolo. Ciò che però lui non sapeva, era che la ragazza aveva agognato, invece, sin dall’inizio- o almeno sin da quando aveva appreso che Marcus era presente in quel gruppetto di nuovi arrivati- riappacificarsi con suo padre.

Posò una mano sulla spalla del suo amico vegetariano, sorridendo, per fargli capire che era d’accordo con quanto pensava anche lui, così, mentre si rimettevano in piedi insieme, Logan faceva sparire lo scudo tutt’attorno a loro e, all’improvviso, lo sguardo di tutti i vampiri presenti, si posò su quei due.

Ci fu un momento di silenzio densissimo.

Erice fece un respiro profondo(era convinta di ciò che faceva, ma le albergava ancora nel cuore, un briciolo di paura) e, dopo un lunghissimo secondo, sollevò la testa per fissare la figura dal mantello nero che, temeraria, aveva incrociato il suo sguardo fino a un momento prima, nonostante il potere di Logan fosse stato attivo. Il viso della sconosciuto di mosse appena, lasciando che almeno le labbra sottili emergessero dalla pozza di buio prodotta dal cappuccio che indossava: sottili ma bellissime, si incurvarono in un sorriso e, subito dopo lui, - attento a muoversi con tanta lentezza da fare invidia ad un essere umano- abbassò il cappuccio, lasciando che la lunga chioma scura gli si adagiasse sulle spalle.

Le tre figure che erano con lui, voltarono le teste in sua direzione, come se avessero atteso un segnale, che dava loro il permesso di seguire il suo esempio; poi, rapidi come solo un vampiro sa essere, mostrarono i loro volti, abbandonando sulle spalle i cappucci dei mantelli…

Il cuore di Erice ebbe un sussulto di felicità ed immediatamente prese a batterle come un folle nel petto: dinnanzi a lei c’erano quattro componenti dei Volturi, ma non i famigerati quattro che aveva temuto fossero(Alec, Jane, Demetri e Felix), bensì quattro vampiri che sicuramente sarebbero stati suoi alleati…Caius, Afton, Chelsea e Marcus!

La ragazza fece per lanciarsi tra le braccia del padre- sentire la stretta protettiva ed affettuosa delle sue braccia fredde, avrebbe sicuramente fatto dimenticare ad entrambi la dolorosa, prolungata lontananza che avevano dovuto patire- ma, all’ultimo momento, una morsa d’acciaio la trattenne…Erice guardò biecamente Logan, che sembrava teso come quando si acquattava in posizione d’attacco. Perché prima aveva parlato di riconciliazione, se ora non le permetteva di muovere un passo? Perché si stava contraddicendo in quel modo?

-         Logan, hai tutte le ragioni di voler essere prudente, ma credo che la scelta spetti ad Erice. Ti confesso però, che non mi aspettavo che, dopo aver ascoltato le mie ragioni- poco fa- tu fossi ancora così restio a darmi credito. Tuttavia, voglio ringraziarti per aver convinto mia figlia a volermi parlare; inoltre, ti sono ancora più grato per averla protetta, per tutto questo tempo.- disse Marcus, con la voce pacata di un gentiluomo.

-         Non l’ho fatto per voi. Non l’ho protetta per voi, Marcus.- replicò il vegetariano, mostrando i denti.

La ragazza avvertì la testa girarle tanto vorticosamente che riusciva a concentrarsi su un unico pensiero, ossia il bisogno impellente di mettere più distanza possibile tra lei e quel luogo, e sparire, sparire e basta perché immaginava che, se fosse andata avanti così, lei sarebbe scoppiata a piangere (chissà che magari tutto il dolore che sentiva- come una minacciosa voragine pronta a trascinarla giù- non sarebbe svanito, annegando tra le lacrime?) poiché temeva che presto o tardi, entrambi i vampiri- Logan e Marcus- le avrebbero chiesto di scegliere da che parte stare.

Ma lei non voleva questo: desiderava invece, solo raccontare la verità, in maniera oggettiva; senza prese di parte né scelte. Pertanto quella situazione iniziava a darle la nausea: Nonostante infatti da bambina fosse stata “accettata”tra coloro che certo non potevano definirsi suoi simili, e s’era costruita una vita con quei vampiri; era già successo che lei stessa fosse causa di una rottura all’interno del clan, ed ora che stava per accadere di nuovo, poiché lei era rimasta vittima di un sistema corrotto, rischiando di venirne schiacciata a causa delle machiavelliche macchinazioni di Aro; Erice era così stanca che avrebbe voluto chiudere gli occhi, in attesa che tutto ciò che aveva attorno, sparisse…

Con un impeto di rabbia, invece, strattonò via la propria mano dalla stretta gelida di Logan, lo fissò caparbia e, decisa, fece un passo indietro mentre la spessa barriera che tanto faticosamente s’era costruita dopo la morte di Didyme- le sue maschere, e la sua possente armatura- che tornava ad avvolgerla per proteggerla da tutto ciò che sentiva pronto a minacciarla ancora una volta. Lei era un’umana, null’altro, perché mai s’era dovuta immischiare in quegli “affari” dall’aria eterna?

Marcus soffocò a stento un sospiro di dolore. Vedere nella figlia quella repentina regressione gli aveva riportato alla mente il ricordo di quanto era successo subito dopo la morte di sua moglie…era la stessa sensazione di allora: Erice si era volutamente ritirata dal mondo, per la sua percezione di non avere più un posto, di non appartenere più a nessun luogo.

Indifferente allo sguardo astioso del fratello e dei suoi tentativi di trattenerlo, quindi, il vampiro moro si mosse con un guizzo, ad una velocità inaudita e subito comparve dinnanzi all’umana. Inginocchiatosi al suo cospetto, le afferrò la veste, come un supplice.

Logan ringhiò teso, accanto a lei, ma l’umana quasi non lo sentì, perché il suo cuore ebbe un moto di commozione; quando prese fiato per parlare si rese conto che la sua voce tremava:

-         hai ragione padre, la scelta è la mia. Ma ho paura, ora più che mai, perché per ciò che ne so potreste esser stati inviati da Aro- ben celati sotto la maschera della fiducia- solo per uccidermi. E sinceramente sono stanca di dover fuggire da ogni cosa; di dover far risuonare la mia voce nel silenzio, senza la certezza di essere creduta; sono stanca di dover risolvere una situazione più grande di me…-

in quel momento un dito gelido si posò sulle sue labbra, e lei si acquietò.

Marcus Volturi l’aveva zittita con delicatezza. Sul suo bel viso sembrava esserci la consapevolezza pura delle parole che aveva appena udito, ed un desiderio di condivisione tanto intenso che a guardarlo, faceva male. Per un istante i due si guardarono. Nell’aria veleggiò tutta la tensione che entrambi provavano, ma anche l’affetto che li aveva uniti, e mentre il vampiro si concedeva di carezzare fugacemente una guancia della figlia- augurandosi che avrebbe smesso di tremare- ; Erice, valutando se poteva fidarsi davvero di lui e dei nuovi arrivati, cercava invece, quella certezza nei suoi occhi neri- dai quali non riusciva ad allontanare gli occhi- e si detestò immediatamente per aver dubitato di suo padre, dal momento che il suo sguardo diceva chiaramente che avrebbe preferito morire di fame, piuttosto che averla lontana. E magari era lì per confessarle che le credeva davvero.

-         hai ragione piccola mia. Hai tutte le ragioni del mondo e mi dispiace di esser stato la causa dei tuoi malesseri, dei pericoli che hai corso, ma ti prego di concedermi di spiegarmi. Poi deciderai se potrò aiutarti ad affrontare questa situazione in cui ti sei trovata, più grande di te; oppure se dovrò andar via. Se così sarà ti prometto che nulla ti minaccerà più, ma per prima cosa, ti prego: ascoltami.- il tono supplichevole e sofferente dell’Anziano distrusse in mille pezzi le “protezioni” dietro cui, un attimo prima la ragazza si era trincerata e, mossa da una compassionevole fiducia, Erice prese la bianca mano del padre e, custodendola amorevolmente tra le sue, lo aiutò a rialzarsi. Non voleva che se ne andasse, e probabilmente Marcus glielo lesse in faccia perché sorrise, sincero; sedette quindi, al suo fianco solo dopo essersi assicurato che sua figlia fosse a proprio agio sul divano dinnanzi al fuoco.

-         Ti ascolto, padre.- sembrò quasi che lei le avesse dato il permesso di parlare, ma in realtà era emozionatissima(oltre al fatto che contribuiva anche un po’ la vicinanza con il camino acceso).

-         C’è così tanto che vorrei raccontarti, Erice, che non so da dove iniziare. Mi sei mancata immensamente.- esordì il vampiro, imbarazzato e teso, ma emozionato al tempo stesso; la confusione e la felicità che provava erano come due titanici pilasti che gli avvolgevano cuore e mente. Ciò che provava era talmente nuovo per lui che non seppe dargli un nome: tutto ciò che sapeva era che a causa di ciò che sentiva, aveva la lingua annodata, tanto da non riuscire a parlare; o almeno non abbastanza da riuscire ad esprimersi completamente, come avrebbe voluto. Quindi preferì restare a guardare il viso della figlia, studiarne ogni piccolo particolare per coglierne l’essenza, nella speranza che si colmasse l’immenso vuoto che aveva avvertito durante il periodo in cui erano stati lontani.

Erice fece praticamente la stessa cosa: ammirò, colse, esaminò ogni movimento, sguardo o parola di Marcus- che per molto tempo aveva sognato, ed invece ora era dinnanzi a lei, in tutto il suo splendore- e, nonostante vi fosse ancora un briciolo di diffidenza nel suo cuore, alla fine- ricordando quanto il suo sguardo nero le avesse parlato di ciò che anche lui aveva sofferto, ciò di cui era stato privato, per trovarsi lì- si lasciò sopraffare dalla nostalgia che in quell’anno aveva cercato di nascondere, ignorare, tacere. Presto quindi, si ritrovò con la guancia premuta contro la gelida mano del padre, la vista offuscata da lacrime di gioia. In quel momento il tempo si fermò, fluttuò, senza scorrere e non esisteva altro all’infuori di loro due.

Quasi immediatamente però, qualcuno si schiarì la voce: padre e figlia sussultarono, poi l’umana scoppiò a ridere perché, scoperto che il suono proveniva da Caius, ricordò che il compagno di Anthenodora non era abituato alla vista di dimostrazioni d’affetto di qualsiasi tipo.

-         ehm…come ti dicevo, inizierei complimentandomi con te perché…sì, ti abbiamo addestrato bene ma hai anche recepito ogni cosa in fretta ed alla perfezione…ed è merito tuo se ora so.- continuò il padre di Erice, ma lei lo guardò perplessa: la confusione dovuta all’emozione poteva anche concedergliela, ma ora non riusciva davvero a capire cosa volesse dirle.

-         Ciò che tuo padre cerca di dirti, Erice, è che ha scoperto ha scoperto i misfatti di Aro, ormai e vorrebbe complimentarsi con te perché sai pensare con la tua testa, senza paura e le ipotesi che hai fatto su ciò che è successo ad Evangeline, su come “l’assassino” si è comportato con suo fratello…sono giuste, e di quest’ultima posso esserti testimone in prima persona poiché Aro si servì di me per “cancellare la memoria affettiva” del mio signore Marcus. Fu quando egli iniziò a fare molte domande al Consiglio in merito a quanto fosse accaduto a sua moglie, o sul perché tu fossi sparita…allora Aro mi ordinò di cancellare dalla mente di tuo padre qualsiasi ricordo tuo, o di Didyme, che egli serbasse. Mi spaventai, perché dovevo farlo, non avevo modo di oppormi, eppure avevo ridotto il mio signore, tuo padre, a null’altro che un fantoccio…- intervenne Chelsea, con voce amara ma riuscì a spiegare ogni cosa, salvando la situazione. Erice le sorrise mentre notava che era bellissima, come sempre ma, man mano che continuava a raccontare, il suo splendido viso di cera si rabbuiava, celato dai suoi folti capelli biondo scuro e pareva sciuparsi, per via del peso dell’indicibile segreto che a lungo aveva dovuto mantenere.

Erice riprese a tremare come una foglia a quelle notizie, poiché la terrorizzava l’idea di non esser stata la sola ad aver subito privazioni e sofferenze, quindi, si coprì le labbra con una mano mentre il suo cervello lavorava spedito e, un attimo dopo, posò l’altra sulla spalla della vampira bionda dall’ambiguo potere, per dimostrarle che le era vicina; che, almeno in quel momento, condividevano le stesse emozioni e che, se si sentiva in colpa per qualsiasi cosa, aveva il suo perdono. Nello stesso istante a mostrarle eguale solidarietà, comparve, sull’altra spalla della bella Chelsea, la mano di gesso di Marcus. Il vampiro e sua figlia intrecciarono i propri sguardi con aria complice ed un lieve sorriso a fior di labbra…forse, l’affetto che li aveva uniti non era mai stato qualcosa di effimero ma, cautamente celato sotto la cortina di apatia di Marcus aveva resistito alle menzogne di Aro, vincendo ed ora stava facendo mostra di quanto fossero profonde le sue radici.

-         grazie delle tue parole, Chelsea.- le sussurrò Marcus, grato.

Con un sorriso allora, lei chiamò accanto a sé il proprio compagno, ed insieme sedettero sul pavimento, ai piedi di Erice. Alla ragazza fece piacere rivederli, accorgersi che i sorrisi che le indirizzavano erano sinceri, tuttavia, le faceva male osservare i loro atteggiamenti intimi: le ricordavano tremendamente Santiago, che forse lei aveva perso per sempre…mordendosi le labbra però, si costrinse a riportare la propria concentrazione sulla conversazione che stava avendo e domandò, ora che riusciva a fare un po’ di chiarezza con le informazioni ottenute:

-         ma…se Aro ti ha ordinato di cancellare la “memoria affettiva” di mio padre, affinchè non ricordasse nulla di me, come mai siete qui?-

-         in principio infatti, mi sono sentito svuotato, senza scopo, ma un ossessione- che però non avevo ben chiara- continuava a tenermi vigile, facendomi quasi impazzire…continuavo a vivere ogni giorno, a causa di essa, e continuavo ad avere delle domande anche se avevo una sorta di consapevolezza latente di non poterle esporre ad alta voce. Così, per un po’, ossessionato, sono rimasto estraneo al mondo che continuava a scorrermi intorno…

Poi, un giorno, incontrai Santiago: sembrava avere difficoltà a starmi vicino, quasi provasse ribrezzo per me, e soffriva visibilmente, glielo leggevo in viso…era come se fosse stato privato di una parte di sé, tanto che riconobbi nei suoi occhi lo specchio del dolore che provavo. Dopo essermi a lungo chiesto cosa lo avesse ridotto così, iniziai ad invidiarlo perché eravamo nella stessa situazione- anche io infatti mi sentivo defraudato di qualcosa, eppure non ricordavo di cosa si trattasse- lui però riusciva ad esprimere il proprio dolore, a differenza di me. – riprese a raccontare il vampiro moro. Sua figlia ascoltava rapita e, dopo aver notato di sfuggita che Marcus appariva di nuovo molto simile all’uomo appassionato e determinato che aveva conosciuto, lasciò che le sue parole le penetrassero fin sotto la pelle, quindi, con uno scatto strinse la sua mano bianca in una morsa estremamente umana…non riusciva a concentrarsi su altro all’infuori del proprio respiro(che s’era fatto affannoso)e delle pareti della stanza che tremavano pericolosamente…

-         Erice!- la chiamò una voce lontanissima, quasi fosse l’eco di un sogno, ma all’improvviso quello divenne realtà e lei distinse il suo volto, e le sue mani bianche, che l’afferrarono, trascinandola in salvo, riportandola alla realtà.

-         Ti fa ancora male parlare di Santiago, vero?- volle sapere Logan, - che Erice ritrovò stranamente accanto a sé- preoccupato. La ragazza avrebbe giurato di averlo visto far guizzare uno sguardo rabbioso verso i quattro Volturi, per far comprendere loro quanto ancora lei stesse soffrendo. Erice allora raccolse le ginocchia al petto, senza alzare lo sguardo e, felice che i folti ricci castani nascondessero quanto stesse male, parlò, consapevole di essere attorniata da ogni singolo vampiro presente in quella stanza.

-         Sì, mi fa male, malissimo. Principalmente perché sento moltissimo la sua mancanza e…dopo aver udito ciò che Aro ha inflitto a tutti voi, a tutti coloro che amo, non oso pensare…ho paura di sapere cosa gli possa esser capitato, cosa il mio amato abbia dovuto subire…temo che…che non mi ami più…-confessò, con voce fragile, mentre il cuore le piangeva. D’un tratto dopo un sospiro addolorato che parve restare sospeso in aria, qualcuno le sollevò il mento con due dita e la ragazza trovò il bel viso del padre, vicinissimo, ad una spanna dal proprio.

-         Piccola mia, lui ti ama. Profondamente. E mai una volta si è fatto sedurre dalle menzogne dell’assassino di mia moglie. Quando ci incontrammo, iniziai a studiarlo, a seguirlo…finchè non scoprii che durante il giorno assolveva ai suoi compiti, nella Guardia, ma il dolore che provava lo aveva spinto ad isolarsi dai suoi simili(tanto che, per qualche tempo Aro lo considerò una minaccia), e riuscì a sfruttare ciò a suo vantaggio poiché, notte dopo notte, caparbio, si spingeva sempre più lontano da Volterra nella speranza di ritrovarti…Una mattina fece ritorno tra noi con le spalle tinte di un’alba nuova, e il viso baciato da una tenue, ma diffusa, emozione. Venne da me, scansando chiunque altro si parasse sul suo cammino, e mi mostrò una cosa…- la rassicurò Marcus, con tono dolce, accorato, intriso di verità, e quando si fermò, Erice rimase col fiato sospeso, il cuore colmo di speranza. Avrebbe voluto pregarlo di continuare ma suo padre tirò fuori- con estrema delicatezza- dal mantello, il medaglione con lo stemma dei Volturi che le era appartenuto; quello che aveva sempre portato, almeno fino a quando non lo aveva gettato via, nei pressi dell’abbazia di Sant’Antimo. Se n’era quasi dimenticata! Con un sospiro emozionato lo accolse tra le mani quasi fosse una perla purissima e, con un tuffo al cuore, riuscì solo a chiedere:

-         È stato…Santiago a trovarlo, vero?-

-         Sì, lo ha scovato vicino ad un…monastero. Quando me lo ha mostrato ho ricordato tutto di te, di mia moglie e del mistero che circondava la sua scomparsa. Da allora, presi una decisione: fingendomi apatico, com’ero sempre apparso agli occhi di tutti, non avrei perso occasione di ascoltare i discorsi di Aro, per essere sempre un passo avanti a lui su qualsiasi sua idea, o futura azione. Fu Caius l’unico ad accorgersi del mio “doppio gioco” e si offrì di aiutarmi: mi spiegò che avevo un solo modo per nascondere ad Aro(o meglio, al suo potere) che sapevo; ossia coprire le mie nuove consapevolezze sotto una cortina di apatia. Nel frattempo, mentre lui mi circondava di pochi “fedeli” degni di fiducia,(vampiri come Chelsea- che mi spiegò cos’era stata costretta a farmi- Afton; Corin e Santiago)insieme elaborammo un piano per ritrovarti e…parlarti. Infatti, scoperti i misfatti di Aro, lo odiai ferocemente perché ci aveva allontanati, e isolati, quasi messi l’uno contro l’altra. Agognavo averti al mio fianco, poterti dare delle sicurezze e sapere la verità sulla…morte di Didyme.

Il tuo compagno non si arrese mai, non smise mai di cercarti, ma i risultati sono sempre stati vani, almeno fin ora.- Marcus si fermò ed i suoi occhi neri, velati di riconoscenza incrociarono quelli di Tanya.- Adesso che, dalle tue stesse labbra ho appreso cosa sia veramente accaduto a mia moglie, non hai idea di quanta sete di giustizia mi arda nel petto.- ascoltare le parole di suo padre, quel tono espressivo e coinvolgente trascinarono completamente la ragazza in un tuffo, una sorte di finestra aperta su quanto fosse accaduto a Volterra in sua assenza. Erice sollevò lo sguardo su suo padre(che la fissava con le pupille che scintillavano come fiamme nere)ed avrebbe volto dirgli che la sete di giustizia che lui sentiva, che anche lei aveva provato, era un fuoco e, nel suo caso, si era esteso persino agli occhi. Ma non c’era bisogno di parole perché ormai non c’erano più segreti tra loro due, così, più rilassata, la ragazza adagiò la testa sulla spalla del padre, lì dove una volta gli aveva pulsato, con tanto impeto, il cuore.

Il vampiro moro abbozzò un sorriso a quel gesto: immaginando quanto sua figlia dovesse esser rimasta delusa dal “tradimento” di tutti quelli che avevano fatto parte della sua vita, non si aspettava un atteggiamento così fiducioso ed intimo, eppure lo accolse con profondo piacere. Avrebbe voluto anche abbracciarla o accarezzarle una guancia ma si rese conto che forse era troppo presto e che l’avventatezza avrebbe potuto fargli perdere tutto ciò che aveva conquistato fino ad allora.

Erice rimase per un po’ accoccolata sulla spalla del padre: il suo cuore cantava di felicità. Sentiva di aver ottenuto una grandissima vittoria; aveva vicino tutti coloro cui teneva – o quasi- tuttavia, comprendeva che, pur avendo conseguito l’obiettivo che si era prefissata, ormai il tempo delle parole era terminato: era giunto il momento dell’azione.

-         padre…non sai quanto mi renda felice averti vicino. Temevo che non mi avresti creduto, e ora che le mie paure sono state scacciate…anche se capisco il motivo per cui non hai portato con te Santiago(avrebbe di certo suscitato molti sospetti in Aro, una sua partenza assieme a te) ho una domanda: intendi fare qualcosa per rendere giustizia a mia madre?- s’arrischiò a domandare, gli occhi persi nel vuoto.

Da un punto indefinito alle spalle dell’umana, giunse un ringhio soddisfatto, dal tono così alto che lei si ritrovò a sobbalzare con violenza. Il cuore le pulsava atterrito nel petto ma tentò di ironizzare- con scarso successo- sulla propria reazione e sul particolare intervento di Caius che, seppur muto, era stato davvero loquace: pareva aver detto qualcosa come “finalmente si parla di cose serie!” e questo le fece comprendere che neppure l’ipotesi del doppio fine di Caius nel suo salvataggio, fosse errata.

Marcus avvolse le spalle di Erice con fare protettivo e scoprì i denti, ringhiando appena in direzione del compagno di Anthenodora: come aveva osato spaventare sua figlia?

-         calmati Caius! Se ciò che abbiamo pianificato andrà a buon fine, avrai Volterra, come pattuito. A me interessa solo avere giustizia, per Didyme e per Erice, e lo sai. – lo rimproverò, lo sguardo durissimo.

Erice perplessa cercò gli occhi del padre, chiedendo spiegazioni:

-         vedi piccola mia, Caius ed io ci siamo confrontati non appena ho riacquistato un po’di “capacità di intendere e volere”; anche se i nostri desideri sono differenti, abbiamo lo stesso obiettivo: distruggere Aro. Siamo tra i Volturi da abbastanza tempo per sapere che prima o poi, per un motivo occasionale, nostro fratello vorrà appagare il suo solito capriccio di acquisire nuovi talenti, e per farlo dovrà distruggere un clan dal quale fingerà di sentirsi minacciato. Progettiamo di fargli saltare la testa proprio durante quella battaglia, così che, con la sua morte, Didyme, tu ed io, avremo avuto giustizia. Caius invece, potrà regnare su Volterra al fianco della sua compagna, come ha sempre desiderato. E…anche se hai già esaudito il desiderio che avevo, vorrei chiedertelo: prenderesti parte a quest’impresa?- le disse Marcus, lo sguardo nero intrecciato a quello verde della figlia. Non intendeva costringerla, era chiaro, ma probabilmente gli avrebbe fatto piacere la sua vicinanza in quel momento.

Erice balzò in piedi con uno scatto, i volti sorridenti di Logan ed Eleazar si spensero e, per un attimo, calò un silenzio densissimo, soffocante.

La ragazza fece qualche passo indietro e si inginocchiò a terra, per osservare con distacco quella situazione…suo padre non aveva pretese nei suoi confronti, ma cosa le si stava chiedendo di fare? Quando avrebbe dovuto attendere per vedere la fine del vampiro assassino, assetato di potere che ormai era divenuto il suo incubo peggiore? E, nell’attesa del Giorno del Giudizio di Aro, lei cosa avrebbe fatto? Chi le assicurava che, nel frattempo, Alec, Jane, Felix o Demetri, non la prendessero? Ma, d’altro canto, non era quella la promessa che aveva fatto a sua madre? Non le aveva giurato di raccontare a tutti la verità? Aveva sette vampiri dalla sua parte, in quel momento e, per assicurarsi l’appoggio degli altri doveva solo fare un piccolo salto nel vuoto. Di quello però, ormai, non aveva paura. Non più, perché non era sola.

-         e sia.- sentenziò, mentre si rimetteva in piedi.- Accetto di essere al tuo fianco quando arriverà il momento di fare giustizia, padre. Non aspettatevi però, che non tornerò a Volterra con voi, adesso. Piuttosto continuerò a nascondermi e, nel frattempo, mi terrò in contatto con ognuno di voi (perché, riconoscerete che, pur sapendo la verità, non potrete fare ritorno a Volterra e raccontare alla Guardia ciò che avete scoperto; perciò servirà un’adeguata “spinta esterna”- della quale mi occuperò io- per insinuare nelle loro menti il dubbio sulle parole di Aro); così che avremo abbastanza alleati per il Giorno del Giudizio.- le sue stesse parole suonarono alle orecchie di Erice tremendamente saccenti, tanto che arrivò ad odiarsi per aver di nuovo messo tra lei ed il padre una distanza, proprio ora che si erano riconciliati. Tuttavia, ogni vampiro che aveva davanti la stava fissando come se avesse detto qualcosa di davvero assennato; come se avessero avuto davanti un’attenta stratega; come se fosse cresciuta in tutto quel tempo.

-         Come desideri, figlia mia.- le promise il padre, e mancò poco che lei si sciogliesse per la commozione: suo padre stava finalmente tornando a riconoscerla come propria figlia, o forse, non aveva mai smesso.

Ormai, il patto era suggellato. Non erano necessarie strette di mano o firme su inutili pezzi di carta: Erice sapeva che quelle parole si sarebbero impresse a fuoco nella mente di tutti.

Così, dopo aver abbracciato Afton e Chelsea, averli ringraziati e pregati di fare attenzione finchè non si fossero rivisti, vide che sparivano oltre la porta di quella piccola casa, dispersa in Alaska. Venne poi il momento di osservare Caius che, puntando un dito contro Tanya, le parlava a bassa voce: sicuramente la stava avvertendo di non fare parola con nessuno di quanto aveva visto e sentito, quel giorno. In quel momento, allora, l’umana si ricordò che il vampiro biondo le doveva ancora un favore:

-         ah, Caius…come ultimo favore, per la prossima volta in cui ci incontreremo, ti chiedo di farmi avere il mio pugnale: se devo combattere, non riesco davvero ad immaginarmi senza.- riuscì a strappargli solo l’ombra di un sorriso che, su quelle labbra sottili, aveva un che di inquietante. Infine, dopo averlo salutato con la mano, Erice vide che anche il compagno di Anthenodora spariva oltre la porta di casa di Eleazar.

-         Piccola mia, grazie per tutto ciò che hai fatto per noi. Ti abbiamo tradito ed avresti benissimo potuto voltarci le spalle, ma non l’hai fatto: sei più degna di ognuno di noi, del tuo cognome. Tua madre sarebbe fiera di te; io sono fiero di averti come figlia. Coraggioso Logan,- aggiunse rivolgendosi al transilvano- ti prego: proteggi mia figlia finchè non arriverà il momento di combattere. E se vorrai unirti a noi- nella battaglia per spodestare Aro- inoltre, ti basterà solo dirlo e sarai il benvenuto; magari riusciremo a trovarti un posto per nasconderti, tra i Testimoni…-sussurrò, e con quelle poche frasi di congedo fece per andarsene, ma Erice- che stava per andarsi a rifugiare tra le braccia del suo amico vegetariano per festeggiare la vittoria- gli corse dietro e lo abbracciò, sulla soglia. Custodendogli le mani tra le sue, disse:

-         Grazie per avermi creduto. Potresti consegnare questo ad Aro, per favore?- chinando la testa, si tolse il ciondolo in alabastro, a forma di cuore, che Santiago aveva realizzato per lei.- così, se dovesse fare domande su dove siete stati, potrai mostrargli questo e inventare di avermi ucciso. Ma, ti prego, poiché sicuramente Santiago lo riconoscerà, assicurati che lui e solo lui, abbia anche questa(almeno, non si comporterà come Romeo, venendo a sapere della mia falsa morte)- e, con quelle parole consegnò al padre la lettera che aveva scritto per il suo amato.

Marcus le sorrise e si chinò per pizzicarle affettuosamente una guancia. Ad Erice venne voglia di piangere: perché dovevano separarsi proprio ora che si erano ritrovati?

Perciò, seguendo il consiglio di molti filosofi dei quali aveva letto, colse quell’attimo e se lo tenne ben stretto al cuore: fece un leggero balzo ed allacciò con affetto le braccia al collo di suo padre.

Marcus ebbe un lieve sussulto di sorpresa ma ricambiò immediatamente la stretta, emozionato, al culmine della felicità. In quel momento no esisteva nient’altro, c’erano solo loro.

Dal momento in cui lui fosse sparito al di là di quella porta però, una lunga ed ignota separazione avrebbe diviso padre e figlia, ma entrambi sapevano che nessuna distanza avrebbe potuto farli soffrire o vacillare, perché ormai si erano riconciliati; avevano trovato il loro equilibrio.

-         ti voglio bene, papà. – disse Erice, con le lacrime agli occhi.

-         Anch’io ti voglio bene, piccola mia.- replicò il vampiro sincero e sereno come poche altre volte prima d’allora. Inoltre, era certo che, se avesse potuto, avrebbe pianto.

Non c’era però bisogno di altre parole perché sia Erice che Marcus sapevano che ciò che avevano detto, veniva dal loro cuore. Erano consapevoli anche che, ciò che stavano per fare avrebbe riportato pace, ed un nuovo ordine. E in seguito, qualsiasi fosse stato il loro futuro- buio o luminoso che si prospettasse- di una cosa erano assolutamente certi: lo avrebbero affrontato insieme.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Comincio con dei mega auguri di un BUON ANNO NUOVO! E come si sa, quando comincia una cosa nuova, c’è sempre qualcos’altro che finisce…come questa ff per esempio, perché quello che avete appena letto è l’ultimo capitolo!

Spero che vi sia piaciuto, che non siate rimasti delusi(e che si sia capito tutto, soprattutto) mi scuso anche per le ripetizioni ma non ho avuto tempo di ricontrollare il testo, perché visto il mio ritardo, volevo farmi perdonare in qualche modo.

Ringrazio le fedelissime commentatrici:

luce70: ciao Luce! Grazie mille del tuo commento, spero che questo post ti sia piaciuto anche se alla fine, Santiago ed Erice non si riconciliano “di persona”(ho ragione di credere, però che la lettera che Marcus consegnerà, farà miracoli! ;) ) come avrai visto il tradimento di Tanya, non può propriamente definirsi così, perché lei era semplicemente spaventata da tutto il cambiamento che le ronzava attorno. Che ne pensi poi delle identità dei quattro “vampiri dell’apocalisse”?

 

Ayumi_L: ciao bella! Come sempre sei la prima a commentare! Mi ha fatto davvero piacere leggere il tuo commento, mi dispiace che non ci sia stato un vero e proprio Happy Ending tra Santiago ed Erice, ma spero che tu non sia rimasta delusa dal fatto che l’ho lasciato intendere, o in generale che tu non sia rimasta delusa dal capitolo

 

Grazie di tutto, ad entrambe, ma non disperate perché presto posterò un ultimo capitolo di “ringraziamenti” dove ringrazierò a dovere ognuno di voi!

Baciotto

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** RINGRAZIAMENTI ***


RINGRAZIAMENTI

Ciao a tutti!

Questo è l’ultimo, ultimissimo post che aggiornerò in questa ff perché come sapete, è terminata con la seconda parte del capitolo 16. Anche se, però come avete visto, il finale è rimasto “aperto” perché credo siate liberi di interpretare l’epilogo a vostro piacimento, altrimenti se morite dalla curiosità, ho scritto qualcosa alla fine della mia precedente ff dal titolo “LA SPIA E IL LICANTROPO” ma non vorrei vi rovinasse ciò che avete immaginato di vostro, perché tenete presente che “la spia e il licantropo” è una storia che ho scritto prima di questa e per esempio non tiene conto di personaggi come Logan .

Comunque, tornando a noi, vi confesso che sono emozionatissima mentre scrivo, perché- nonostante tutti gli “angoli dell’autrice” negli altri capitoli- questo post è un particolare “angolo dei ringraziamenti” solo ed esclusivamente per voi, perché ve lo meritavate visto che siete stati sempre presenti, pazienti, e…bhè siete davvero tantissimi rispetto a coloro che seguivano le altre storie che ho scritto(il che mi fa pensare che questa vi sia piaciuta davvero). Mi dispiace potervi rivolgere solo dei ringraziamenti “di carta” visto ciò che avete fatto per me(penso per esempio a quegli utenti che mi hanno fatto sapere che gli dispiaceva che questa storia finisse…ci credete che mi sono quasi venute le lacrime?) : perché, vedete, non è stata solo una questione di “seguire questa ff” all’inizio per me è stato come un gioco, ho provato a scrivere qualcosa e non appena mi sono arenata ho lasciato perdere…ma voi mi avete spronata, consigliata e l’avete riscoperta, facendola risorgere dal dimenticatoio dove stavo per abbandonarla. Siete sempre stati presenti quando aggiornavo e pazienti quando si trattava dei miei ritardi, dolci quando commentavate…e di questo vi ringrazio.

 

Inizio ringraziando i “commentatori”:

Luce70(per la sua estrema attenzione ai particolari e alla passione che vibrava in questa storia), Ayumi_L(per la sua puntualità e la sua dolcezza oltre che per l’instancabile voglia di chiedere e sapere sempre di più, senza paura J), Ilovejackson_rathnorn, Ramona37(per esser stata davvero una delle prime ad aver scovato questa storia nel dimenticatoio ed a spingermi a continuarla), Rasoiner, Dolce bambolina(per essersi accorta che stavo per abbandonare di nuovo questa ff a se stessa, -in assenza di ispirazione- e allora non ha avuto paura di chiedere, repentina, quando continuassi), HappyDayana, enifpegasus e Blue_moon.

 

Ringrazio con un abbraccio tutti quelli che hanno inserito “Erice Volturi” tra i preferiti:

AlicexCaius, Ayumi_L, Cesarina89(che, se non sbaglio aveva già inserito tra i preferiti questa storia, quando ancora contava solo uno o due capitoli), Darlin_Dayi, Dolce bambolina, Moon_Daughter, Namine23, sweetkiwi, yuuki_love.

 

E a questo punto, da ringraziare manca solo il “popolo”(scusate se vi chiamo così ma siete più di quanti avrei potuto immaginare)che ha inserito questa ff nelle seguite:

AlicexCaius, Animegirl91, Butterfly_Dream, Dolce bambolina, enifpegasus, FrAncy_CuLlEn, Frankie99, Happy Dayana, Irahsia_Arasehar_ , Jake_ele_love, JeGGe Twilight, La Loba, Luce70, meryj, Mizzy, nene1964, Ramona37, Rasoiner, e fidelityLie .

 

Ma non è finita qui! Voglio ringraziare tutti quelli che hanno seguito questa ff in veste di “lettori silenziosi”!

E infine, un ringraziamento particolare a Ramona37 ed Ayumi_L per avermi aggiunto tra i loro autori preferiti!

Grazie davvero a tutti voi, penso che questa storia non sarebbe qui, se non mi aveste supportato!

 

Ps spero di non aver sbagliato a scrivere il nik di nessuno!

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** AVVISO/SORPRESA ***


SORPRESA

Salve a tutti!

Come ho già fatto nella mia storia su Eragon, lascio qui il link del video che ho realizzato su questa fan fiction.

È pubblicato su youtube e il link è questo:

http://www.youtube.com/watch?v=LFQtumYP_PI&feature=youtu.be

 

Spero vi piacerà: fatemi sapere cosa ne pensate!

 

Un abbraccio

Marty23

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=377108