L'Ombra del Vento

di Eralery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I - I wanna go home. ***
Capitolo 3: *** II - On the Hogwarts Express. ***
Capitolo 4: *** III - Good news and broken dreams ***
Capitolo 5: *** IV - I wont fall ***
Capitolo 6: *** V - Domino ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Where the story ends ***
Capitolo 8: *** VII - Durmstrang e Beaux-Batons ***
Capitolo 9: *** VIII - Reversals of Fortune ***
Capitolo 10: *** IX - From Ashes ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO LODV

Ehm. Ecco, salve. Questa è la mia prima fan fiction sulla nuova Generazione, perciò potrei benissimo fare qualche errore madornale, anche se spero di no. Comunque.
Per ora non ho niente da dire – è tutto nelle note sotto, infatti –, ma devo dire una cosa, prima di lasciarvi alla lettura. Il personaggio su cui è incentrato questo prologo non è il protagonista di questa storia – sono un sacco i protagonisti, a voler essere sincerissimi –, né è un Gary Stu: vi dico questo perché è bello e tutto, ma no, vi assicuro che non è un GS, lo potremo capire solo più avanti – non so bene quanto, ma tant’è.
Hope you like it,
E.
(ci si vede sotto)

 



Grazie a Joes, perché ha conosciuto questa storia quand’era ancora del tutto diversa.
A Hayley, perché senza di lei mi sarei persa in un bicchier d’acqua.
A Daphne, con i suoi preziosissimi consigli e l’eterna pazienza.
A Tefnut, perché senza di lei oggi non pubblicherei proprio niente.
A Wynne, perché c’è sempre.


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L’Ombra del Vento.

Prologo.

 
Provenza, Francia.

16 aprile 2022.

Uno – contò appena, socchiudendo le labbra rosee per sospirare.
Era un ragazzo sui venticinque anni ed era appoggiato al muro esterno di una casa di campagna dall’aria modesta. Aveva i capelli biondi, lui, biondi come il grano baciato da quel sole d’aprile, e gli occhi di un verde brillante, come gli alberi del giardino che aveva di fronte. I lineamenti erano alti e il naso diritto.
Due.
Si staccò dal muro e si sbilanciò in avanti, alzando poi il viso verso il cielo azzurro che si estendeva sopra la Provenza. Non faceva caldo, ed il vento soffiava appena tra le fronde degli alberi e i paesaggi di campagna.
Tre.
Infine sbuffò, mentre si raddrizzava e rientrava in casa con passo lento. Salì le scale che conducevano al piano di sopra e superò le prime due porte a cui passò accanto, fermandosi poi di fronte all’ultima, di legno chiaro e accuratamente levigato.
Posò la mano sulla maniglia e la girò: con un cigolio d’un paio di secondi, la porta si aprì su una stanza da letto dalle pareti color avorio. L’unica finestra che c’era dava sul giardino sottostante, era coperta da velate tende color lavanda e si trovava proprio sopra una scrivania ricoperta quasi interamente da scartoffie e riproduzione in scala di strani oggetti. Sul letto – posto sotto un quadro raffigurante una nave in una tempesta – era sdraiato un uomo
« Eccoti, finalmente » esordì l’uomo, sollevando appena gli angoli della labbra nel principio di un sorriso beffardo. « Che notizie mi porti, Julien? »
« Avevate ragione, padre » rispose il ragazzo, con un tranquillo ed apatico cenno del capo. « Avrà luogo in Inghilterra come l’ultima volta. Hanno preso precauzioni in più – così mi ha detto l’insegnante di Incantesimi ».
Victor – così si chiamava l’uomo – sorrise, compiaciuto del proprio piano e di suo figlio: l’aveva cresciuto bene, in fondo. Julien infatti non aveva frequentato Beaux-Batons, poiché Victor – che dopo la morte della madre si era impegnato per istruirlo a dovere – aveva preferito impartirgli ciò che lui riteneva più importanti. Gli incantesimi appena inventati, alcuni piccoli segreti nell’arte delle Pozioni… non avrebbero potuto insegnarli niente di tutto ciò, in quella scuola per gente comune!
« Precauzioni… » meditò allora, accarezzando il risvolto della coperta con un dito. « Probabilmente solo per proteggere i Campioni. Non si aspettano nient’altro, in fondo. Che sciocchi » Julien annuì e restò in silenzio, come sapeva di dover fare. « Sei stato bravo, Julien. E dimmi, ti stai preparando?  »
« Certamente » rispose allora, monocorde. « Ho già un’idea, devo rivedere i dettagli ».
« Perfetto » esclamò l’uomo, prima di tossire rumorosamente e portarsi quindi una mano alla gola. « Devi fare il più in fretta possibile, però, ricordatelo. Non so bene quanto tempo abbiamo. Devi trovare quelle maledette fialette, Julien. Devi trovarle e portarle qui. Ma cosa te lo dico a fare: sei un giovanotto in gamba, sai già cosa fare ».
Julien piegò appena le labbra in un pigro sorriso. Aveva venticinque anni, era svelto e bello: sapeva di avere le carte in regola e di essere, quindi, un ‘giovanotto in gamba’. Stette nuovamente in silenzio, spostando il peso sulla gamba destra.
« Be’? Cosa aspetti? » chiese il padre, poi, quasi stupito. « Puoi andare ».
« D’accordo » si limitò a dire, prima di piegare il capo in un saluto e uscire dalla porta.
E mentre si avviava verso la propria stanza, pensò a cosa si sarebbe dovuto portare per la sua visita di cortesia ad Hogsmeade. 






Note:
Ri-ciao. Allora, teoricamente io non dovrei stare qui a pubblicare una Long fiction, visto che ne ho già un’altra all’attivo, ma vabbe’. Lavoravo a questo progetto da metà maggio e mi sembrava piuttosto inutile buttare al vento le ore che ho perso per lavorarci. O no? Comunque. La fan fiction si svolge nel 2022, durante il Settimo anno di James ad Hogwarts. Non ho idea di quante storie ci siano con questo espediente (ovvero il Torneo), ma ormai la storia era nata così e così deve continuare.
Non avendo poi il tempo di rileggermi tutti i libri di zia Row a causa degli impegni scolastici, le mie fonti principali saranno PotterPedia, Wikipedia e Lexicon.
Il titolo della fan fiction è preso dall’omonimo libro di Zafòn.
AH! Guardate, non disprezzo affatto le recensioni. Anzi, spesso mi spingono a scrivere di più *Sorrisini ammiccanti*

Disclaimer: molti dei personaggi presenti nella storia appartengono a J. K. Rowling, così come le appartengono anche i luoghi e tutto il resto. La storia non è scritta a scopo di lucro.
NB: Altri personaggi (come Logan Hopkins, Yvonne Lefevre, Félix Gallagher, Maddison Harper, Lynda Wespurt, Margaret Stebbins, eccetera) sono miei, perciò ne detengo tutti i diritti. Se li ‘prendete in prestito’ (e dovete chiedermelo prima, eh) o vi ispirate ad uno di essi siete pregati di creditarmi. Grazie per l’attenzione!
A presto,
Er.

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Capitolo 2
*** I - I wanna go home. ***


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Capitolo I.
I wanna go home.


 
Let me go home
It’ll be alright
I’ll be home tonight
I’m coming back home
(“Home”, Michael Bublè)


Inghilterra, Devon, Ottery St. Catchpole.
31 agosto 2022, primo pomeriggio.


Quell’ultimo di agosto il cielo azzurro era spruzzato qua e là da qualche piccola, candida nuvola bianca.
James era sdraiato per terra, tra l’erba ancora pregna della rugiada mattutina, all’ombra di uno dei grandi alberi del cortile di casa Potter. Fischiettava piano uno dei tanti tormentoni estivi che la radio aveva trasmetto a tutto spiano per due mesi e mezzo e che lui, alla fine, si era ritrovato a conoscere praticamente a memoria.
L’aria era calda, più calda rispetto al consueto temperamento inglese. L’avevano detto anche in tv o alla radio – che, tra parentesi, gli aveva spesso tenuto compagnia –, all’inizio delle vacanze, che quell’anno l’estate sarebbe stata caratterizzata da un clima più asciutto.
E lui aveva diciassette anni. Aveva diciassette anni da quarantacinque giorni, ormai, eppure si sentiva strano. Perché ogni volta che aveva pensato alla sua maggiore età gli erano sempre venuti in mente party su party, alcol, uscite. Uno sballo, in poche parole. E invece era tutto come prima, niente pareva aver mutato anche solo di una minuscola, insignificante virgola.
Aveva passato l’estate un po’ in famiglia, un po’ con gli amici – il tutto studiando almeno due ore al giorno, con sua madre che controllava perennemente il suo lavoro neanche fosse un mastino (Ginny Weasley in Potter sapeva essere spaventosa, quando voleva). Si sentiva esausto e ancora minorenne, sebbene non lo fosse più. La cosa non gli era particolarmente gradita, poi, per ovvi motivi.
Chiuse gli occhi, con il cicaleccio continuo degli insetti nelle orecchie.
Il lato positivo era il fatto di essere in vacanza, alla fine, che aveva sempre significato dormite fino a tardi, rimanere svegli fin quando si voleva, girare con i bermuda ed una maglietta a maniche corte e sbottonata senza che nessuno ti dicesse niente, le partite a Quidditch stile Weasley. Senza contare, naturalmente, che finalmente poteva anche usare la magia fuori da scuola – il che era a dir poco magnifico.
E ovviamente farsi qualche giro nella Londra Babbana con Scorpius, che, per la cronaca, aveva smesso di essere messo in punizione per essere il migliore amico del peggior Potter in circolazione – o almeno così lo definivano alcuni. Ma alla fine lo sapeva, James, che Draco non aveva poi tutti questi problemi con lui: anzi, qualche volta che era andato al Manor, era quasi del tutto certo di averlo visto increspare appena le labbra pallide e tirate. E poi, a lui, Malfoy Sr. non dava per nulla fastidio, nonostante tutto quel che lo zio Ron aveva detto quando Rose aveva ricevuto la sua lettera da Hogwarts l’aveva fatto partire con il piede sbagliato verso Scorpius. E alla fine l’aveva capito, che i Malfoy non erano cattivi come li si dipingeva, affatto: Asteria era bella e gentile, con quei suoi modi di fare dolci che alla fine avevano sciolto anche il marito, di cui si è già parlato prima. Eppure, James sembrava uno dei pochi a pensarla così o, più semplicemente, ad averlo capito: ad Hogwarts, infatti, buona parte dei compagni consideravano Scorpius solo un Malfoy, come se fosse solo un cognome e non un semplice ragazzo di sedici anni la cui unica colpa era quella di essere nato in una famiglia non proprio fantastica, ma che lo amava in tutti i modi possibili ed immaginabili. Non erano molti quelli che si prendevano la briga di scavare almeno un po’ dietro quel cognome e che non si nascondevano dietro ad accuse che erano state sciolte anni addietro.
James sbuffò, strappando un ciuffo d’erba verde e attorcigliandoselo ad un dito. Poi sentì i passi di qualcuno che si avvicinava, calpestando il terreno umido, e piegò il collo leggermente in avanti anche se già sapeva chi avrebbe visto: solo Lily camminava in modo così leggero che quando eri a scuola e ti salutava da dietro saltavi su perché non l’avevi sentita arrivare.
E infatti quando aprì gli occhi vide la chioma rossa della sorellina che si avvicinava poco a poco. La ragazza indossava un vestito, di un azzurro tanto pallido da sembrare bianco, ed ai piedi aveva un paio di sandali da giardino – probabilmente era stata tutto il tempo scalza in casa e quando lo aveva visto lì non aveva neppure pensato di infilarsi un paio di scarpe, ma vabbe’, lei era fatta così.
Lily gli assomigliava abbastanza, a ben pensarci. Non di aspetto, certo, ma certe caratteristiche caratteriali erano quasi le stesse: Gryffindor, chiassosi, dalla risata facile, giocatori di Quidditch e fan di tante altre immani cavolate. Non era molto, alla fine, se ne rendeva conto, ma solo con Lily riusciva ad essere un po’… empatico.

Senza contare Domi, ovviamente, ma vabbe’, lei è la mia migliore amica…
Di aspetto, poi, erano davvero tutto l’opposto, fatta però eccezione per gli occhi castani ereditati dalla madre. James era alto, dai capelli scuri e le spalle larghe. Lily aveva i capelli dello stesso rosso della nonna paterna, ed era esile – sebbene spesso usasse tale immagine come una copertura per i suoi piccoli scherzi.
Smise di pensare a tutto ciò quando la sorella gli si fermò davanti, sorridente come sempre. Aveva un bel sorriso, lo dicevano tutti.

« Jamie! Che fai? » chiese e si sedette accanto a lui, senza curarsi del fatto che la veste le si sarebbe potuta sporcare facilmente, mentre l’interpellato storceva il naso per via del nomignolo che gli era stato affibbiato da piccolo, quando Albus non riusciva a dire giusto il suo nome, e che purtroppo era rimasto nel tempo.
« Niente » rispose semplicemente con un’alzata di spalle.
La sentì ridacchiare accanto a sé:
« Sei il solito scansafatiche ».
« Ah! Perché, tu no? » le chiese retoricamente, sghignazzando apertamente. Lily lo seguì nella risata, poggiando la schiena al tronco dove lui, invece, aveva appoggiato la testa.
« Ehi, attento a quel che dici » rimbeccò scherzosamente.
« Non vedi come tremo? Ho la pelle d’oca » la prese in giro, ridacchiando ancora.
« Carogna. Comunque, sei pronto per il tuo ultimo anno? »
James sospirò e si strinse nelle spalle. Già. Era pronto? Non lo sapeva con certezza nemmeno lui. Sua zia Hermione e suo zio Percy continuavano a dire che i M.A.G.O. erano qualcosa di difficilissimo, riuscendo così a mettergli ancora più ansia. In più c’era il Quidditch, che lui non aveva assolutamente idea di lasciare. Il Quidditch era troppo… troppo sacro, per lui.

« Sono sicura che andrai benissimo, James » gli disse subito Lily, mentre lui faceva per aprire definitivamente bocca.
Era così, Lily, ti rassicurava su tutto e il suo sorriso non riusciva a farti pensare che quel che diceva potesse essere falso. Si riteneva più che fortunato ad essere suo fratello, assolutamente.

« Se lo dice la mia sorellina, allora, sarà così » sorrise, e poi iniziarono ad osservare le nuvole e a cercare di immaginare a cosa potessero assomigliare maggiormente.

 

*

 Inghilterra, Devon, vicino ad Ottery St. Catchpole.
Casa Weasley-Granger.


«
Hai preso la divisa pulita da sopra la lavatrice? »
« Sì, mamma ».
« E le nuove pergamene? »
« Sì, mamma ».
« Sei sicura di aver preso tutti i tuoi libri di testo? »
« Sì, mamma ».
« E l’Allontana-Malfoy? »
« Per l’amore del cielo, Ron! » sbottò allora Hermione Granger, allargando le braccia in un gesto di stizza.
« Su, Hermione, era solo per scherzare… » mugugnò allora Ron, ma qualcosa – tutto – nel suo tono faceva capire che non era affatto così. Era ancora molto protettivo nei confronti di sua figlia, nonostante la ragazza avesse già sedici anni.
Rose, già stufa di quel teatrino, pensò bene di svignarsela e correre in camera sua. Mentre passava davanti a quella del fratello minore, Hugo, i propri timpani protestarono con veemenza a causa del volume decisamente troppo alto della musica che il ragazzo stava ascoltando.

Siano maledetti James e Freddy, che l’hanno contagiato con tutta questa musica babbana…
Si richiuse la porta della propria camera dietro e, finalmente, sospirò sollevata. Tra sua madre e la sua apprensione pre-scuola, suo padre e i suoi noiosi discorsi sul fatto che “Malfoy non è una buona persona da conoscere” – nonostante lo dovesse vedere spesso a casa Potter assieme a James – e suo fratello e la sua dannatissima radio, avrebbe davvero voluto dormire subito. E non le importava affatto che fossero solo le cinque e mezza del pomeriggio.

Forse potrei darmi una padellata in testa…
Passò davanti allo specchio e si osservò per un po’. Stessi capelli rosso Weasley, forse solo un po’ più corti. Stessi occhi azzurri. Stesso naso con qualche spruzzata di efelidi. Stesse spalle magre. Stesso viso. Stessa persona.
Stessa Rose.
Spesso si chiedeva perché tutte sembravano cambiare, migliorare, crescere mentre lei rimaneva sempre uguale, immutata. Qualcuno doveva avercela con lei, lassù – era arrivata a questa conclusione, alla fine. Si sentiva piuttosto usuale, sempre. Albus le diceva che andava bene così com’era, che non doveva preoccuparsi.

Già, ma qualche decimo di bellezza in più non mi dispiacerebbe mica…
Si sedette sul suo letto e prese in mano la bacchetta. Se la rigirò tra le dita, stando bene attenta a non fare magie. Sbuffò, mentre si rialzava ancora, prendeva un libro a caso dalla libreria e si buttava un’altra volta sul letto, stavolta a pancia in sotto.
Sapeva che il libro le sarebbe scivolato addosso come una doccia fresca, ma era meglio quello che ascoltare le raccomandazioni ripetitive dei suoi o dare corda ai suoi pensieri sul poter chiedere a zio George di creare qualcosa per diventare un po’ più carina.
Sospirò.

Finalmente domani si torna ad Hogwarts.

*

 Restare sdraiati sull’erba del giardino che va pian piano raffreddandosi non era certo una buona idea se non ci si voleva ammalare, ma era decisamente un buon modo per dire arrivederci all’estate e bentornato all’autunno. Ed era ancora meglio quando a farti compagnia c’era uno dei tuoi due fratelli – mentre l’altro era andato da Noah Zabini e non era ancora tornato –, pronto a farti ridere in qualunque momento e ricorrendo a qualunque sotterfugio.
Avevano guardato le nuvole, dicendo che assomigliavano a questo e a quell’altro, poi si erano messi a provare a fischiare con dei fili d’erba – i risultati erano stati ovviamente scadenti –, ed infine avevano deciso di sdraiarsi e basta, a chiacchierare concitatamente e buttando, di tanto in tanto, qualche battutina nella conversazione.
E così si era fatta sera, mentre le stelle cominciavano ad apparire pallide in cielo e il sole tramontava definitivamente, sparendo dietro alle colline del Devon.
La sagoma di casa Potter si stagliava, netta, proprio di fronte ai loro piedi. Sdraiati com’erano, infatti, il capo era rivolto al cielo e con i piedi puntavano, appunto, alla casa. Era bella: una casa di tre piani con il tetto rosso e una specie di rete di legno attaccata alla parete destra della casa, ove cresceva rigogliosa una pianta di rampicanti.
Erano proprio quei rampicanti a rendere la loro casa così particolare, secondo Lily. Perché le ricordavano suo padre, in un certo senso. Avevano gli steli piccoli, un vento molto forte avrebbe potuto spezzarli senza problemi, ma loro rimanevano attaccati al muro – sempre. E così aveva fatto suo padre tanti anni prima: era solo un ragazzino con tanti problemi e carichi più grossi di lui sulle spalle, avrebbe potuto cedere da un momento all’altro, eppure era rimasto attaccato alla vita proprio come quei rampicanti alle pareti. Per questo, la pianta preferita di Lily era proprio il rampicante: le ricordava suo padre, che aveva corso il rischio di dare la vita anche per persone che non conosceva.

« Uno zellino per i tuoi pensieri, sorella » disse ad un certo punto James, accennando un sorrisetto sardonico. Sotto sotto, però, era anche un po’ preoccupato. Ultimamente la sua sorellina s’immergeva sempre più spesso in sogni ad occhi aperti, ed ogni volta che provava a farla parlare riceveva solo una risposta vaga ed un’alzata di spalle. Cercava di farsi bastare ciò, ma gli sarebbe piaciuto sapere davvero cosa passava per la testa rossa di Lily.
« Niente di speciale, non valgono così tanto, questi pensieri » gli sorrise lei, sistemandosi una ciocca rossa dietro l'orecchio.
« Assolutamente » convenne James e poi le passò un braccio attorno alle spalle. « Ma un giorno capirò cosa pensi! »
« Nah. Sei troppo stupido per imparare la Legimanzia » ghignò la ragazza, e James l’avrebbe davvero stimata se solo non lo avesse appena insultato senza farsi troppi problemi. « Ma va bene così, dopotutto lo sanno tutti che è Al quello intelligente. Tu sei quello stupido, io sono quella carina » aggiunse, ridendo.
« Sono più bell- ».
« Qualcuno mi ha chiamato? » Esclamò una voce, quasi urlando. Albus stava camminando verso di loro: evidentemente era da poco tornato a casa.
« In realtà ti abbiamo nominato, Albie » rispose James, schivando poi una gomitata di Lily, che si alzò in piedi e trotterellò allegramente verso l’altro fratello per stringerlo in uno dei suoi famosi abbracci stritolatori – probabilmente era l’unica cosa che aveva ereditato da nonna Molly.
« Al! » cinguettò Lily, mentre l’altro mugugnava qualcosa riguardo al fatto che lo stava effettivamente soffocando. La quasi quindicenne1 scoppiò a ridere e lasciò la presa, posandogli poi un braccio sulla spalla sinistra. « Che hai fatto con Zabini? Letto tanti libri? »
Al roteò gli occhi sotto lo sguardo divertito degli altri due.

Okay che Noah non è proprio il massimo dell’esuberanza, ma non è noioso… - pensò, rispondendo che no, non avevano letto dei libri. Anche perché sennò non saprei che leggere fino a Natale.
« Uh-uh » fischiettò James e Albus sbiancò irrimediabilmente. No, suo fratello non poteva essere sul serio tanto idiota da pensare che… « Non è che c’è qualcosa tra te e Zabini, Albie? » … Sì, suo fratello era davvero un idiota.
« Che cosa? » esplose con voce acuta, mentre Lily iniziava a ridere tranquillamente sulla sua spalla. Aveva gli occhi verdissimi spalancati, come due fari nel buio, e la bocca spalancata. James ghignò ancora.
« E noi cosa dovremmo pensare di te e Logan, allora? O di te e Scorpius? » aggiunse, cercando di rendergli pan per focaccia.
Ed evidentemente ci riuscì, perché il sogghigno sulle labbra dell’altro andò sgretolandosi pian piano, mentre la risata di Lily si faceva sempre più sguaiata.
« Oh, Merlino, siete meglio di quella vecchia serie tv… Ma sì, quella stupida! Dai… Scrubs, mi pare ».
Sia Al che James fecero per ribattere, il primo con le guance rosse ed il secondo con una smorfia oltraggiata sul viso, quando la voce di Ginny Potter riecheggiò per il giardino fiorito:
« Ragazzi, venite, è pronta la cena! »

*


Il soffitto della sua camera un tempo era stato di un bianco candido, ma ormai di quella vecchia tinta non si vedeva più niente – ma lo avevano sempre saputo tutti che lo sarebbe diventato, visto che James, sin da piccolo, si divertiva a lanciare una pallina inventata da zio George che, quando si scontrava con qualcosa di solido, creava strisce di colori sempre diversi.
Il baule era stato finito e chiuso circa mezz’ora prima e in quel momento giaceva ai piedi del letto – ma probabilmente il giorno dopo sarebbe stato aperto di nuovo per infilarci all’ultimo momento qualcosa che James aveva dimenticato fuori, come al solito –, con sopra uno zaino contenente una rivista di Quidditch, una Babbana di motociclette, della cioccolata e una felpa d’evenienza, nel caso la temperatura scendesse tutt’a un tratto.
Gli occhi scuri di James erano spalancati e, nonostante non fossero poi così grandi, in quel momento sembravano immensi.
Ultimo anno ad Hogwarts. Ultimo anno in un posto dov’era praticamente tutto bianco, a parte qualche piccola sfumatura di un grigio pallidissimo. Ultimo anno al sicuro. Ultimo anno per comportarsi come un ragazzo scapestrato quale era sempre stato. Ultimo anno in cui avrebbe potuto ‘proteggere’ la sua sorellina da eventuali spasimanti ogni giorno. Ultimo anno a ricordare ad Albus che gli sarebbe venuta la scogliosi a forza di stare chinato sui suoi dannati calderoni. Ultimo anno per ripetere a Scorpius di muoversi, perché più lento di lui non c’era nessuno, probabilmente.

Ultimo anno a casa.








Note:

Ed è arrivata anche la nostra amata New Generation. Certo, non tutta, per ora solo qualche personaggio, ma questo capitolo è solo per introdurre i prossimi (sì, mi diverto ad introdurre tutto).
So che è un capitolo corto e che qui non succede praticamente niente, ma dal prossimo capitolo compariranno altri personaggi. Promesso. :)
E grazie, davvero, per le recensioni. Sono un ottimo incentivo a continuare! *Messaggio tra le righe: continuate, su…*

1. Quasi quindicenne, già. Perché? Praticamente. La mia Lily è nata il 25 settembre 2007, quindi teoricamente avrebbe dovuto fare il quinto anno, sì. Solo che Hogwarts apre il primo settembre e non ci possono essere primini. Perciò be’, ta-dan!, Lily è un po’ più grandina di Hugo, ma di poco. :)
Vi adoro,
A.

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Capitolo 3
*** II - On the Hogwarts Express. ***


on the traing


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Capitolo II.
On the Hogwarts Express.

 I viaggi sono i viaggiatori.
(Fernando Pessoa)

Londra, King’s Cross
1 settembre 2022, mattina.


Per i ragazzi pareva ieri il giorno del ritorno a casa dopo mesi tra le mura di pietra di Hogwarts, accompagnati dai bauli, dalle gabbie e dalle promesse del genere “Ti scrivo appena torno a casa!”. Praticamente nessuno aveva una gran voglia di ritornare a studiare nozioni e concetti ogni giorno.
 Anche per la maggior parte delle famiglie, poi, era così: lasciar partire i proprio figli non era mai stata tra le cose che più si amava fare.
L’aria settembrina non era ancora arrivata del tutto e il caldo estivo era tuttora presente, sebbene i telegiornami babbani avessero annunciato l’imminente arrivo di un calo delle temperature – ma dopotutto si sa, i babbani, il meteo, lo dicono tanto per. Finora il cielo era ancora limpido, rischiarato dal sole di inizio settembre e non c’era neanche l’ombra di una piccola nube all’orizzonte. Un leggero soffio di vento scompigliava i capelli dei passanti, ma niente di più.
La stazione di King’s Cross, quel primo settembre, era più affollata del solito. Babbani con le loro ventiquattrore aspettavano, seduti sulle banchine ai lati dei binari, l’arrivo del treno che li avrebbe portati a lavoro, intenti a leggere uno dei loro tanti giornali. I maghi, invece, camminavano spediti tra la folla, cercando di distinguersi tra gli altri, occupati a raggiungere il loro binario, così da far prendere l’Hogwarts Express ai giovani.
Con uno svolazzo del cappotto pregiato ed elegante, Asteria Greengrass in Malfoy attraversò la barriera tra i binari 9 e 10, ritrovandosi poi davanti al binario 9 e ¾ e ad un treno rosso fiammante.
Raggiunse suo figlio, che l’aspettava poco distante da lei, e gli posò una mano sulla spalla.

« Fa’ il bravo, tesoro » si raccomandò, sapendo che comunque la propria richiesta non sarebbe stata esaudita.
Scorpius annuì, con gli occhi che brillavano, sorridendo. Sapevano entrambi che quello era come un ‘no’.
Asteria sospirò.

« Tranquilla, mamma! » esclamò poi lui, con un sorriso ancora più amplio del precedente.
« SCORPIUS! »
Asteria sorrise mentre il figlio ghignava apertamente e si girava verso il punto di provenienza della voce.

« Jeiespi1! » gridò allora Scorpius di rimando, e James Sirius Potter si fermò davanti a lui, perplesso.
« Ma da dove è uscito? E poi è un nome da femmina! »
« In realtà sarebbero le iniziali del tuo nome… » gli fece notare il biondo. « Si vede che sei un Grifondoro senza cervello ».
« Allora io vado, Scorpius » annunciò la donna, scuotendo la testa, divertita. « Ci vediamo a Natale. Ciao, James ».
« Ciao, mamma! »
« Arrivederci, signora Malfoy! ». Quando la donna sparì, passando dall’altra parte del binario, James aggiunse: « Ah, e comunque sei un coglione. Il Cappello Parlante deve essersi sbagliato quando ti ha smistato a Corvonero, tu sei proprio deficiente ».
Scorpius scoppiò a ridere e si portò una mano al petto, fingendosi oltraggiato, e disse tra le risate: « Ah! Così mi offendi, Jeiespi! »
« Tzé » sbuffò James, per poi abbracciarlo in un modo spaventosamente simile a quello della sorella. « Dov’eri finito, demente? Erano tre giorni che non ti sentivo! »
« Sembri una chioccia, James, dico davvero. Mi fai paura. Sono così bello che anche tu, il grande James Potter, sei definitivamente capitolato? » chiese con una faccia di bronzo per cui James l’avrebbe stimato, se non fosse stato che in quel momento lo stava insultando fingendosi innocente.
« Mi sei mancato, caro, vecchio bastardo ».
« Guarda che sei tu il più vecchio, Potter » gli ricordò il biondo, guardandolo come se stesse spiegando ad un bambino qualcosa di estremamente complicato.
« Merlino, quando ti ci metti sei peggio di mio zio Percy! » rise James, passandosi una mano tra i capelli scuri.
Era strana l’amicizia tra James Potter e Scorpius Malfoy. Non facevano che prendersi in giro a vicenda, cercavano per l’altro nomi sempre più imbarazzanti, si azzuffavano spesso, ma alla fine, se eri attento nei rapporti interpersonali, potevi renderti facilmente conto che erano una delle coppie d’amici più affiatate di tutte. E veder Scorpius che di tanto in tanto provava a far studiare James – o quest’ultimo che provava a fargli tifare per i Chudley – era una cosa del tutto normale, faceva parte della quotidianità.
Ovviamente nessuno era riuscito del tutto nella propria impresa – a parte James, che continuava a sentire l’amico che insultava i Cannoni –: James restava convinto della sua tesi
« Meglio divertirsi », ma in realtà non era quasi mai impreparato; Scorpius, dal canto suo, era ancora del parere che « I Cannoni di Chudley sono degli inetti » – o usava altre parole da Corvonero per cui James, regolarmente, lo sfotteva.
A dire il vero, forse all’inizio era risultato strano un Malfoy a Corvonero, ma sarebbe stato ancora più assurdo un Malfoy a Tassorosso. Scorpius infatti sembrava il primo Malfoy a Corvonero da quasi cento anni, ma con una madre con un cervello come Asteria sarebbe stato difficile che il figlio non amasse i libri. In certi casi, la genetica fa miracoli – o brutti scherzi, come diceva James.
Scorpius si finse offeso e iniziò a camminare, tirandosi dietro il pesante baule. L’altro lo affiancò e affondò le mani nelle tasche, fischiettando un po’ a caso; si guardò attorno, cercando con lo sguardo più parenti ed amici che potesse trovare.
Individuò sua sorella vicino alla porta del treno, intenta a chiacchierare con Hugo ed una ragazza dai capelli scuri.
A ben pensarci, sua sorella poteva far paura. Non per l’aspetto, no, ma per la facilità con cui passava alle mani, dimenticandosi anche di avere una bacchetta. James, poi, odiava farla arrabbiare, e non solo perché era la sua sorellina: il primogenito della famiglia Potter aveva capito che, se la faceva infuriare, l’unico che ci rimetteva era lui. Ma l’adorava anche per questo. Dopotutto, come non adorare la propria sorellina?
Spostò lo sguardo su Hugo. Quest’ultimo aveva dei capelli lisci e leggermente lunghi e rossi che gli ricadevano in ciocche disordinate sul viso lentigginoso; il naso era un po’ lungo, ma non troppo. Era molto alto, nonostante avesse solo quattordici anni.
La terza del gruppetto, però, James non riusciva a vederla. Sapeva solo che aveva i capelli castani lunghi fino alle scapole.
Scorpius, accanto a lui, sbuffò sonoramente, ri-attirando la sua attenzione.

« Che succede? » chiese James, scombussolato.
« Niente » rispose Scorpius con un’alzata di spalle.
James roteò gli occhi: odiava quando Scorpius si comportava in quel modo. Diventava scostante – più di quanto non fosse già – e si chiudeva in un mutismo fastidioso. Succedeva nei momenti di nervosismo o quando iniziava a pensare ai fatti suoi, quasi senza rendersene conto.

« Su, parla ».
« Che devo dire? » sbuffò. « Fa caldo, tutto qui ».
« Vabbe’, lasciamo perdere… »
Scorpius sembrò gradire la concessione, perché distese leggermente le labbra in un sorriso più calmo e sghembo. Ma come minimo era un sorriso, e già questo valeva qualcosa. Perché Scorpius che non sorrideva era… strano. Chiariamoci, non sorrideva sempre, ma la maggior parte del tempo sì, e vederlo apatico era una cosa insopportabile.

« Come hai trascorso gli ultimi giorni estivi in Francia? » domandò allora James, tanto per cambiare discorso.
Nell’ultima lettera che Vega, il famiglio – femmina – di Scorpius, gli aveva recapitato, infatti, l’amico lo aveva informato del fatto che avrebbe trascorso gli ultimi cinque giorni di vacanza in Francia, dai suoi nonni materni. Nonostante le famiglie, poi, abitassero così distanti, riuscivano a vedersi spesso, e non erano poche le volte in cui Scorpius doveva partire per la Bretagna. E, quando ciò accadeva, il giovane Malfoy veniva praticamente risucchiato dai ricevimenti organizzati dai parenti, non riuscendo quasi mai a tenersi in contatto con il migliore amico – anche perché, effettivamente, ai suoi nonni James non piaceva.

« Mah. Il solito » rispose Scorpius, alzando poi gli occhi verso l’orologio del binario che segnava le dieci e quarantacinque. Tornò a guardare l’amico e continuò: « Nonna ha chiesto a mamma se tornavamo da loro anche per le vacanze di Natale, ma lei ha detto subito che quest’anno vuole che la Vigilia si tenga da noi. Con annessi e connessi » sospirò.
« Capito. Quindi quest’anno potrò mandarti un pacco di Caccabombe. Fico » sghignazzò James, beccandosi poi una gomitata bene assestata da parte dell’altro. « Sai, a volte mi chiedo se tu e mia sorella non siate in realtà parenti ».
« Sai, a volte mi chiedo se tu e uno scimpanzé non siate in realtà parenti » lo scimmiottò, sogghignando apertamente. Poi sbuffò ancora e James capì che doveva per forza esserci qualcosa che non andava; si girò verso l’amico per chiedergli spiegazioni, ma quello si era già incamminato verso il treno rosso. Fece per seguirlo quando…
« James! »
« Rosie, che sorpresa! » esclamò lui, sorridendo raggiante.
Svelato l’arcano.
« Sorpresa? » la ragazza corrugò la fronte, perplessa. « Hai preso una botta in testa? Anche io frequento Hogwarts. Da ormai sei anni, poi ».
« No! Cioè… io… » farfugliò, preso in contropiede. « Intendevo dire… Oh. Vabbe’, hai capito ».
Rose scoppiò a ridere e James si trattenne appena dal sospirare di sollievo.
« Ho capito, ho capito » rispose tra le risate, riscuotendosi poco dopo. « Ehi, il tuo amico è finalmente morto stecchito prima di poter prendere il treno? »
James si portò una mano al viso per opprimere una risata che minacciava di sfuggirgli dalle labbra e scosse la testa: sinceramente, se c’era una cosa che adorava erano i battibecchi tra sua cugina ed il suo migliore amico, erano uno spasso. Ancora non riusciva a capire come Scorpius potesse aver avuto una cotta per Rose durante il suo primo anno – cotta che poi era perdurata fino a San Valentino del secondo, quando la ragazza gli era scoppiata a ridere in faccia dopo la sua ‘dichiarazione’, beccandosi un (memorabile)
« Stavo scherzando. Ma chi ti si filerebbe, poi » gelido e finto da parte di Scorpius.
« No, mi dispiace deluderti, ma no. E’ appena salito sul treno, l’hai mancato di poco. Però guarda, se vuoi te lo posso chiamare, tanto è ancora qui vicino! »
Rose strette le labbra in una smorfia stizzita e ribatté, infastidita:
« Passo ».
« Guarda che non è un disturbo, eh. Anzi! » continuò James, sogghignando e facendola sbuffare.
« Ho detto che passo » sibilò Rose, che poi si sforzò di sorride educatamente. « E non lo dicevo per non disturbarti, ma perché vederlo sarebbe come una pugnalata per i miei poveri occhi ed un fastidio poco trascurabile ».
« Ehi. Calma » James la prese per le spalle e scoppiò a ridere, finendo con il contagiarla a sua volta.
« Sono calma ».
« Sì. Come un Bolide fellone » ribatté lui, ridendo. « Senti, controllami Albus: non mi fido a lasciarlo solo con tutte quelle Serpi… »
« Primo: anche lui è un Serpeverde. Secondo: senti chi parla, che sei il primo a frequentare una Serpe mancata! »
« Sì, sì, okay, hai ragione tu » annuì solennemente il ragazzo, prima di girarsi e correre via: « Ci si vede ad Hogwarts! »
« Bastardo… » sbuffò allora la ragazza, che successivamente si raddrizzò per cercare il cugino nello sciame di persone ai lati del treno rosso e già pronto a partire fumando. I minuti passarono e dopo un po’, finalmente, Rose riuscì ad individuare Albus: era accanto ad una delle porte del treno, fermo, e parlava fitto con Skandar Nott e Noah Zabini.
Albus Severus Potter, che da piccolo era sempre parso la fotocopia del famoso padre, adesso era cresciuto. Certo, i capelli erano sempre neri e costantemente spettinati, gli occhi verde chiaro vispi che difficilmente lo aiutavano quando provava a mentire, ma c’era qualcosa in lui – nei suoi lineamenti, nel suo modo di comportarsi e di essere Albus – da cui si capiva facilmente che sì, il secondogenito della famiglia Potter era maturato durante l’ultima estate.
Rose inspirò e socchiuse gli occhi, poi riaprì questi ultimi e s’incamminò verso di loro con aria annoiata. Non le stavano antipatici, più che altro le erano indifferenti, ma c’era comunque da dire che preferiva mille volte la compagnia di Roxanne o di Meredith ed Annie.

« Albus » lo chiamò da dietro, le mani sui fianchi ed il principio di un sorriso – tanto dopo la ronda li avrebbe mollati su due piedi, già lo sapeva.
Il ragazzo quasi sobbalzò. Poi si girò rapidamente e le sorrise, raggiante. Anche gli altri due la salutarono: Skandar alzò una mano in cenno di saluto, mentre Noah si limitò ad un movimento del capo.

« Rosie! » sorrise. « Vuoi unirti a noi? Stavamo giusto salendo ».
« Ah. Ehm. Ecco… io… veramente… » iniziò, imbarazzata, mentre si sentiva arrossire in zona orecchie e sulle guance.
Skandar ghignò:
« Guarda che non mordiamo ».
Noah annuì, silenzioso, abbozzando un sorrisetto sardonico.
Erano entrambi dei bei ragazzi, ad onor del vero; non i migliori che Hogwarts potesse offrire, ovviamente, ma non erano neanche da buttare. Skandar aveva dei capelli castani e degli occhi scuri, le sopracciglia non troppo sottili che gli davano un’aria giocosa e sarcastica, mentre Noah aveva la pelle di un denso color caramello, gli occhi neri e i capelli scuri.

« Vabbe’ » rispose alla fine. « Però voglio il posto accanto al finestrino ».


Seduta scompostamente sul suo sedile, Rose Weasley ascoltava i discorsi spesso insensati del cugino e dei suoi amici. Skandar sembrava essere quello più aperto, in un certo senso; sì, anche Al lo era, ma il giovane Nott era senza dubbio meno imbranato. A suo parere, l’unico che possedeva la calma degna di un Serpeverde era Noah, che continuava ad ostentare un comportamento distaccato e che si era assentato dicendo di dover andare in bagno.

« Pensavo di propormi per giocare a Quidditch, quest’anno » disse ad un certo punto Skandar, richiamando l’attenzione della ragazza dai capelli rossi.
« Mmmh? » s’interessò finalmente Rose, intrigata dalla piega che stava prendendo il discorso.
« Già. Ho sempre voluto provarci, ma tutti i posti da Cacciatore erano occupati… Però l’anno scorso due di loro hanno concluso gli studi, quindi ho buone possibilità. E nemmeno tu riuscirai a fare più punti di me, Weasley » concluse il Serpeverde, con un sorriso sghembo sulle labbra.
« Sì, credici ».
« State legando, visto? » se ne uscì ad un certo punto Albus, tutto contento.
« Ho sempre detto che avevi qualche problema mentale » commentò Rose, parlando lentamente, scherzosa. « Dovresti passare al San Mungo per una visita, magari è grave ».
Al roteò gli occhi e sbuffò appena: “Sei sempre la solita.”, prima di voltarsi a guardare il finestrino.

« Sei riuscita a zittirlo! » esclamò Skandar, sorpreso. « Noi non ci riusciamo mai, a parte quando gli girano! »
« Voi non avete anni di pratica addietro » disse Rose, seria e fintamente melodrammatica.
« Avete finito di parlare di me come se non fossi qui? »
« Chi ha parlato? »
« Non lo so, forse il treno è infestato dai fantasmi ».
Al finse una risata, un po’ infastidito, mentre Rose scoppiò a ridere e gettò la testa all’indietro, sbattendo così la testa al portaoggetti del finestrino.

« Ahia… »
« Ben ti sta » commentò Albus, sogghignando apertamente. Rose, allora, si allungò sul proprio sedile e gli diede un calcio sulla gamba, facendolo sussultare e sottrarre qualsivoglia arto dalla mira assassina della cugina. « Ehi! »
Il rumore della porta scorrevole dello scompartimento li fece girare verso di essa, dove una ragazza dai capelli biondi teneva la mano chiusa attorno alla maniglia.

« Fawcett? » chiese Al, riconoscendo nella nuova arrivata l’amica di Lily che abitava ad Ottery St. Catchpole2, poco lontano da casa loro.
« Stebbins. Fawcett è il cognome di mia madre » sorrise la quattordicenne. « Voi siete dei prefetti, no? »
Aveva una voce decisa – ma tuttavia anche un po’ lieve –, e Rose era del tutto certa che si chiamasse Margaret.

« Sì, io e Albus » rispose la Weasley, sorridendole. « Perché? »
« Oh, meno male! » esclamò allora Margaret, soddisfatta. « Nel vagone accanto al nostro ci sono dei ragazzi che si stanno azzuffando e volevo sapere se qualcuno potesse farli smettere. Sapete, non è il massimo non riuscire a parlare perché fuori dello scompartimento ci sono dei ragazzi che fanno a botte e dentro un’amica che cerca in tutti i modi di immischiarsi… »
Albus inarcò le sopracciglia, sperando che non si trattasse di sua sorella, ma in fondo c’era poco da sperare, visto il carattere di Lily e la sua indole a menare.

« Stebbins? » Si intromise Skandar, guardando la ragazza come a studiarla: aveva dei capelli biondi che le superavano le spalle e degli occhi dal tratto dolce, castani anch’essi; il suo portamento gli ricordò molto lentamente quello della nonna di Scorpius, suo cugino – effettivamente, neanche il cognome gli era sconosciuto.
« Stebbins ».
« Ma che sei imparentata con i Black? »
« Che ti importa? » replicò allora Margaret, perplessa.
« Niente » sogghignò Skandar, lasciando che il discorso finisse a quel modo, sebbene pensasse che sarebbe stato interessante vederla illividire – ovviamente, doveva per forza illividire, secondo lui, visto che era una Grifondoro.
« Vabbe’. Grazie per avercelo detto, Margaret » disse Rose, annuendo. « Adesso arriviamo ».

 

*

 

Confine tra Scozia ed Inghilterra.
1 settembre 2022, primo pomeriggio.

Per ritrovare l’amico nel chiassoso sciame di studenti di Hogwarts, James ci aveva messo un’eternità – o almeno così andava decantando.
Il treno, quell’anno, era pieno di ragazzini che cercavano di riuscire nei primi incantesimi, perlopiù senza risultati. Era divertente vederli, per un ragazzo del settimo anno: un po’ perché ricordava il suo primissimo giorno, quando anche lui faceva parte dei ragazzini terrorizzati – ma questo, ovviamente, non l’avrebbe mai ammesso – dall’imminente smistamento; un po’ perché era visibile quanto avesse imparato in sette anni di studio, e anche i ragazzini sarebbero diventati, tempo sette anni pure loro, come lui e gli altri del settimo.
Sembrava ieri il giorno in cui il Cappello Parlante gli aveva coperto anche le orecchie e lo aveva smistato in Grifondoro, il primo scherzo, la prima punizione, la prima T, il primo tutto. Capiva quel che voleva dire suo padre quando, durante l’infanzia di James, parlava di Hogwarts definendola “Casa”. Effettivamente, era l’unica cosa che riuscisse a rendere davvero quel che tutti provavano per quel castello che, per sette anni, li tenne al sicuro tra le sue mura.
Mentre apriva con la magia la porta dell’ennesimo scompartimento – si divertiva troppo a vedere le espressioni stupefatte ed ammirate dei primini, lo facevano sentire troppo… importante –, sentì la voce di Scorpius chiamarlo da poco più avanti:
« James, qui! »
Si scusò con le persone all’interno dello scompartimento aperto e ripose la bacchetta in tasca, avvicinandosi alla porta da cui era uscito e rientrato Scorpius. Entrò e si gettò sul primo sedile trovato, mentre la ragazza seduta accanto all’amico sorrideva ed arricciava il naso.

« Ciao, James » lo salutò, divertita.
« Ehi, Lynda! » ricambiò lui, sorridendo tutto denti.
Lynda Wespurt era la migliore amica di Scorpius: capelli castani ed occhi sul verde-marrone, sveglia e Corvonero come Malfoy; corporatura media, magra e carattere un tantino pungente. Assieme a lui, era una delle poche persone con cui Scorpius passava il tempo: a cena stavano sempre assieme, seduti o l’uno accanto all’altra, o di fronte, studiavano insieme e spesso cercavano di immettere nello step in biblioteca anche James – che ovviamente si rifiutava ogni volta.

« Che mi sono perso? » domandò James, sistemando la borsa sul sedile vuoto accanto a sé.
« Niente di che, a parte Lynda che ha spaventato due primini lanciandogli un’occhiataccia degna di nota solo perché lei stava leggendo e loro l’avevano disturbata » snocciolò Scorpius, fingendosi annoiato, schivando all’ultimo la gomitata della ragazza.
« Solo, dice lui. Lui, che l’anno scorso ha minacciato uno del secondo di appendergli le mutande in Sala Grande se non la piantava di chiedergli perché non si trovasse a Serpeverde » Rimbrottò Lynda, mentre Scorpius s’incupiva per poi tornare a sorridere.
James scoppiò a ridere, mentre gli altri due continuavano a battibeccare. Come due idioti – aggiunse mentalmente.

« Comunque » li interruppe dopo un po’, mentre Lynda faceva per dare una librata in testa a Scorpius. « Avete visto Dominique, per caso? »
« Lo sai, è Caposcuola quest’anno. L’ho incontrata prima, nel vagone dei Prefetti. Doveva sistemare alcune cose » disse Lynda. « Mi ha detto che ci raggiunge subito dopo pranzo ».
« Mmh » annuì allora James, tirando fuori dallo zaino una rivista babbana e lanciando poi un’occhiata alla porta dello scompartimento, sentendosi osservato. « Ehi, Lynda, hai fatto colpo? » ridacchiò, facendola sobbalzare.
La ragazza puntò lo sguardo sul viso del bambino fuori dalla porta e si alzò rapidamente, rispondendo a James:
« Guarda che è mio fratello », tra le risate. Aprì la porta ed uscì.
James aspettò che nello scompartimento calasse il silenzio prima di spezzarlo con una delle sue solite frasi:
« Comunque quest’anno non vincerete la Coppa delle Case ».
Scorpius inarcò un sopracciglio e spostò lo sguardo su di lui, ghignando appena.
« Scusa? »
« La Coppa » ripeté allora Potter. « L’avete vinta già l’anno scorso, non potete vincerla ancora ».
« Mh. E chi è che ha fatto perdere a Grifondoro cinquanta punti proprio l’ultimo giorno? »
«  No, dai, quella volta è stato Logan! » si difese James, ma il sorriso che aveva sulle labbra sembrava urlare non datemi ascolto, sto mentendo. « Cioè, provare ad arrampicarsi sui rami del Platano Picchiatore? Non lo farei mai di mia spontanea volontà! »
« James… »
« Okay, forse sì… Ma non è questo il punto! »
« E allora qual è? »
« … Non lo so » esalò infine, sconfortato ma sempre sorridente, allungandosi sul sedile. « Comunque, come va con Lynda? »
Le sopracciglia bionde del sedicenne scattarono, se possibile, ancora più in alto, prima che il proprietario scoppiasse in una risata allegra e riecheggiante. James sogghignò appena, mentre si passava una mano tra i capelli scuri in un gesto ormai consueto derivato dall’aver visto, da piccolo, suo padre farlo continuamente.

« Ancora? » domandò Scorpius, premendosi le dita sullo stomaco per le risate.
« Eh, già. L’anno scorso più di mezza scuola lo pensava sul serio ».
« Pensava cosa? ». Lynda era rientrata nello scompartimento, la divisa un po’ stropicciata e un sorriso sulle labbra, e ora li guardava con aria interrogativa.
« Che tu e Scorpius stavate assieme » la informò James. « Non so se hai notato il ‘fermento’ dell’anno scorso, dopo il tuo presunto bacio con Richardson ».
Scorpius riprese a ridere tranquillamente, incurvandosi e poggiando poi la testa sulle proprie ginocchia, mentre Lynda sgranava gli occhi prima di imitare l’amico e rimettersi a sedere sul sedile che aveva lasciato poco prima.
L’idea che qualcuno pensasse ci fosse qualcosa tra lei e Scorpius non la turbava minimamente: non era così, erano migliori amici e basta, lei lo sapeva e tanto bastava. Non era mai stata una di quelle ragazze che tendono al compiere azioni solo per compiacere o non deludere gli altri, e sperava ardentemente di non diventarlo mai. E se la gente pensava che loro due stessero assieme, buon per loro, avrebbero avuto qualcosa di falso di cui parlare, e lei se ne sarebbe stata comunque buona a viversi la propria vita in santa pace.

« A me sono sempre sembrati più due fratelli, comunque » s’intromise una seconda voce femminile, accompagnata dal rumore della porta dello scompartimento che si chiudeva e dal sorriso tipico di Dominique.
« Raggio di sole! » esclamò James, allargando le braccia come se potesse abbracciarla anche da seduto.
« Ciao » ricambiò Dominique, sorridendogli mentre si sistemava i capelli biondi e lunghi fino alle spalle dietro le orecchie e si sedeva accanto a lui. Aveva già indosso la divisa, lo stemma e la cravatta di Tassorosso in bella vista; la spilla da Caposcuola, invece, era appuntata al petto, proprio accanto al simbolo della sua Casa di appartenenza. Quel giorno, poi, aveva probabilmente messo le lenti a contatto – degli strani cosi babbani molto ingegnosi, grazia ai quali Dominique poteva anche evitare di mettersi tutti i giorni gli occhiali.
« Hai già finito con quei moduli?” Chiese Lynda, che non si aspettava l’arrivo della Weasley prima di almeno un’altra quarantina di minuti. « Sei un razzo! »
« Mmh-mh » annuisce Dominique, con una scrollata di spalle. « Devo solo fare un piccolo turno di ronda dopo, questo pomeriggio, con Corner, che è il Caposcuola di Corvonero. Fino ad allora, tocca ai vari Prefetti ».
« Molto efficiente » commentò Scorpius, annuendo distrattamente, con un sorriso gentile.
« Spero tu non stia parlando di me » rise la bionda, scuotendo la testa e mettendo le mani in avanti. « È praticamente tutta opera di Corner, l’organizzazione. Praticamente ha fatto tutto lui ».
« Ovviamente » convenne allora Lynda. « Noi Corvonero siamo sempre stati i più organizzati, dopotutto ».
« Sì. E il qui presente Scorpius ne è proprio la prova » ribatté James, con un sorrisetto da schiaffi.

                                                                                             

***

 

Lowlands, Scozia.
Quasi il tramonto.


Fuori dal finestrino il passaggio scozzese era tutto un indistinto ammasso di colori e di forme. Il treno rosso fiammante che li stava portando ad Hogwarts si trovava, in quel momento, nel bel mezzo delle Lowlands, circondato dalla brughiera verdeggiante e rigogliosa dei luoghi di campagna o boscosi della Scozia. Il sole stava morendo lentamente all’orizzonte, dietro gli alti alberi che crescevano lontani dai binari, e si iniziavano già ad intravedere alcune stelle fare la loro comparsa – anche se ancora a malapena accennata – in cielo.
Dopo l’aver quasi preso parte ad una piccola rissa in cui non c’entrava niente ed aver letto l’articolo di una rivista di Quidditch secondo la quale il Puddlemore United stava recuperando credito in campionato, si era allungata sul proprio sedile ed aveva puntato lo sguardo in un punto sempre diverso al di là del vetro spesso. Fu il rumore della porta dello scompartimento che si apriva e si richiudeva poco dopo a riscuoterla dal tepore in cui si era immersa, mentre suo cugino giocherellava con uno strano aggeggio dall’aria curiosa.

« Cibo! » esclamò Hugo. « Siete degli angeli! »
Margeret ridacchiò, sedendosi accanto a Lily e davanti a Luke Cohen, che l’aveva accompagnata a prendere dei dolci dalla signora del carrello. Meg alzò e stese le gambe, posando i piedi sul sedile che aveva di fronte e così spostando lo zaino di Luke, che sbuffò e roteò gli occhi verde scuro.

« Cos’avete preso? » spiò invece Lily, sporgendosi verso l’amica per vedere cos’avevano comperato.
« Mah. Quattro Cioccorane, un pacchetto di Gelatine Tutti I Gusti+1, e qualche gomma bollente » elencò Margaret, picchiettandosi un dito sulla gamba con aria pensosa.
« Mi passi una Cioccorana? » chiese Hugo, e l’amica gliela lanciò. Lui l’afferrò al volo ed iniziò a scartarla. « Grazie ».
« Ma figurati » sorrise, passandone una anche a Luke. « Che ci siamo persi? »
« Niente di che» rispose Lily, sorridendo. « A parte Hugo che giocava con un’assurda cosa rossa dalla dubbia provenienza ».
« Vedrete » disse semplicemente Hugo, ficcandosi una mano nella tasca della felpa che aveva indosso. Quando la tirò fuori, nel palmo v’era una sfera rossa delle dimensioni di un Boccino d’oro. « Questo è solo un prototipo, da quel che so, ma è una cosa fantastica » iniziò, mentre gli altri tre si passavano di mano in mano l’oggetto. « Praticamente, tu le fai una domanda e lei ti risponde. Per ora non è in grado di rispondere a tutte le domande, ma zio George ci sta lavorando3. Ha detto che l’ha data a me perché Fred e Roxanne hanno già qualcos’altro, ma secondo me battere ‘sta roba è impossibile. Lo zio sembrava veramente affezionato a questa cosa, poi. Chissà perché… »
« Sappiamo com’è lo zio: adora qualunque cosa inventata assieme a zio Fred… » mormorò appena Lily, stringendosi impercettibilmente nelle spalle esili.
Calò un silenzio quasi innaturale, dopo le parole di Lily, e fu Margaret a spezzarlo dopo un po’, chiedendo ad Hugo:
« Posso provare? » e lui annuì. « Succederanno cose interessanti quest’anno? »
Una voce simile a quella di zio George – solo che più allegra e forse anche più profonda – rispose:
« ».
« Scusa, Hug » s’intromise Luke, perplesso. « Ma come facciamo a sapere se dice davvero la verità? »
« Ci toccherà aspettare, non credi? » rispose lui, mettendosi in bocca una Gelatina e iniziando a sputacchiarla subito dopo: « Vomito… Certo che ho proprio sfiga ».

 






Note:
Be’, ora sappiamo qualcosa in più, no? Iniziano ad emergere dettagli e i rapporti di cui ‘parlo’ nell’introduzione e che sì, avranno un ruolo piuttosto importante in questa partita.
Ovviamente non sono tutti qui, i personaggi, anzi, ce ne sono ancora tanti altri da scoprire, ma per ora ci fermiamo qui. Dal prossimo capitolo allargheremo ancora la nostra cerchia. :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere! ^^
Al prossimo capitolo, con il banchetto di inizio anno!

1 – Jeiespi: JSP. Immane cazzata, me ne rendo conto, ma ci stava troppo ;P.
2 – Wikipedia mi dice che ad Ottery St. Catchpole e dintorni, oltre ai Weasley e ai Lovegood, abitano anche i Fawcett. E visto che nel quarto libro, durante il Ballo del Ceppo, Piton interrompe, appunto, Fawcett e Stebbins, ho pensato di farli sopravvivere e farli avere due figli, tra cui Margaret, amica di Lily da quando Albus era partito per Hogwarts (assieme al fratello di Margaret, che però è più grande di tutti loro).
3 – Non so se George ha continuato ad inventare scherzi, dopo la morte di Fred, ma ho voluto pensare che avesse prodotto quelli ideati con il gemello. Comunque non pensate che la sferetta sia messa a caso, eh :P. 

Ora, vi lascio con le immagini di come immagino io i nostri personaggi (quelli che sono comparsi finora, ovviamente).
Albus
- seriamente: non potrebbe esserci Albus migliore. Logan Lerman regna sovrano.
James
: immaginatevelo con gli occhi castani e i capelli un po' più lunghi e disordinati. Ecco che Aaron Johnson diventa il James Sirius pertetto (per me).
Lily
, per me, è Georgie Henley: con un bel sorriso, i capelli rosso scuro scuro, gli occhi castani e l'aria un po' sbarazzina.
Dominique
: io amo Freya Mavor. Giuro, io me la sposerei. Ha un sorriso meraviglioso e io l'amo così tant-- okay, tornando a Dominique: è perfetta, punto.
Scorpius
: Toby Hemingway. What's the question?
Rose
io la vedo come Karen Gillan, quella di Dottor Who.
Skandar
è Skandar Keynes: e chi altri?
Lynda
: Lucy Hale!
Margaret
è Hannah Murray, la Cassie delle prime due stagioni di Skins: meravigliosa l'attrice, il personaggio e la serie.

A presto,
A.

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Capitolo 4
*** III - Good news and broken dreams ***


capitolo 3 lodv

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Capitolo III.
Good news and broken dreams

Cancello del parco di Hogwarts.
1 settembre 2022.

Hogwarts si stagliava, netta con le sue torri acuminate e le sue merlature scure, nel nero di un cielo abitato da poche stelle ed un pallido spicchio di luna. L’inferriata di metallo fosco del cancello che dava sul parco del castello era stato lasciato aperto, così da far entrare gli studenti che erano stati accompagnati con le carrozze fino all’inizio delle proprietà della scuola. Un po’ in lontananza, si potevano facilmente scorgere i bagliori delle luci accese nei vari corridoi della scuola e della sala d’ingresso – su cui dava il portone d’ingresso, anch’esso aperto.
Hogwarts non sembrava essere cambiata, neppure esteriormente: era le stessa, cara, vecchia Hogwarts – una delle scuole di magia più famose del mondo, con il suo aspetto un po’ tetro ma che, dopo un po’, non potevi non considerare accogliente come la casa da cui eri partito.
Albus, preso com’era dall’euforia del momento, iniziò a canticchiare il testo che spesso aveva sentito da Lucy mentre si allenava per il coro scolastico diretto da Vitious. Se Lucy aveva una bella voce, però, non si poteva di certo dire lo stesso di Albus, che invece sembrava un cane moribondo.
Per questo motivo, Rose scosse la testa ridendo, mentre gli dava una spinta per farlo scendere dalla carrozza. Ma, e questo era Rose lo doveva ammettere, suo cugino aveva ragione a rimanere incantato ogni volta: anche lei, spesso, rimaneva impressionata dall’attrazione che Hogwarts suscitava.

« Era mancata anche a te, vero? » chiese Al, affiancandola nell’attraversare il cancello di ferro battuto.
« Tantissimo » ammise Rose, annuendo, mentre un sorriso le nasceva spontaneo sulle labbra. Sì, le era mancata quell’aura di protezione e sicurezza che il castello emanava, così grande e dalle mura possenti.
« Ora mi sento meno stupido » disse Al, ridacchiando, mentre ogni cosa diventava sempre più nitida mano a mano che si avvicinavano. Dopo un po’, riuscì a scorgere il professor Paciock in piedi in cima ai gradini che portavano alla sala d’ingresso; sorrideva, stimò il ragazzo una volta che furono abbastanza vicini da riuscire a notare quel piccolo particolare. Il sorriso di Neville era caldo e rassicurante, e, quando gli passarono accanto, Rose ed Albus gli sorrisero di rimando, ma lui non se ne accorse.
Attraversano quella sala che ogni anno vedevano per prima ed entrarono poi in Sala Grande. Sembrava senza soffitto, per quanto era simile al cielo già buio di quella notte; le candele volteggiavano sopra ai tavoli, già apparecchiati ma senza cibo nei piatti. Gli stendardi delle quattro Case si muovevano leggermente, come mossi dal leggero vento settembrino che batteva sulla grande finestra dietro a tavolo dei professori e lungo le pareti.
Albus si girò verso la cugina e abbozzò un sorriso laconico: non voleva separarsi da lei, dopotutto era una delle persone con cui era più in confidenza, ma nonostante ciò il Cappello Parlante aveva deciso che loro due dovessero sedere a tavoli completamente diversi. Rose fece spallucce e ricambiò il suo sorriso; poi gli scoccò un bacio sulla guancia e si avvicinò al tavolo dei Grifondoro per andare a sedersi tra Hugo e Roxanne.
Anche il ragazzo si girò e si diresse al suo, di tavolo: al tavolo dei verde-argento. Prese posto accanto agli amici, che lo avevano preceduto sulle carrozze per dargli un po’ di tempo da passare con sua cugina.

Dovrei dirlo, a James, che non tutti i Serpeverde non hanno un cuore – pensò, ironico.
Skandar sembrava veramente intenzionato ad entrare nella squadra di Quidditch, e in quel momento stava appunto conversando di quello con Noah. Forse, però, ‘conversare’ era una parola grossa, visto che il giovane Zabini sembrava avere la testa da tutta un’altra parte.
Era strano, Noah, sembra così distaccato. Effettivamente, era un po’ l’antitesi di Albus, che spesso si era ritrovato a dover rispondere a domande tipo “Ma perché sei un Serpeverde?”. Non aveva mai detto la verità, Albus, ovviamente, anche perché sarebbe stato alquanto assurdo rispondere “Perché l’ho chiesto io”, visto che la maggior parte delle persone ancora credeva che tutti i cattivi finissero nella casa di Salazar.

« Ehi, Al! » lo salutò ad un certo punto Skandar, sorridendo allegramente, mentre Noah scuoteva impercettibilmente la testa.
« Ciao, Skandar » ricambiò, sorridendo leggermente.
« Chiamami ancora così e ti mangio » minacciò Nott, puntandogli contro la forchetta e guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure. « Quel nome è orribile. Devi chiamarmi Jackson. Ripeti: Jack-son. Jackson! »
Skandar— No, Jackson aveva l’aria di uno del tutto intenzionato ad iniziare un discorso lungo mille miglia, ma la preside Sprite che si alzava dalla sua sedia al centro del tavolo degli insegnanti per fare un cenno a Mastro Dole lo ammutolì seduta stante. Con un movimento della bacchetta, la preside fece apparire davanti alla propria postazione uno sgabello di legno, su cui era poggiato il Cappello Parlante con la solita aria vecchia.
Il portone della Sala Grande si spalancò nuovamente, così da lasciar passare le matricole che, di lì a poco, sarebbero state smistate in una delle quattro Case. Molti avevano un’aria quasi spaurita e si guardavano attorno come se non avessero ancora ben capito se ciò stava accadendo realmente. Una volta che la porta si fu richiusa alle spalle dei nuovi studenti, il Cappello Parlante iniziò ad intonare la sua ennesima canzone.
« Anderson, Jeremy » iniziò il professore di Trasfigurazione, il signor Towler.
Un ragazzino smilzo e dai capelli biondicci si fece largo tra i compagni, si sedette sullo sgabello e l’insegnante gli mise il Cappello in testa. Aspettarono un po’, finché il copricapo, dopo una manciata di minuti, non urlò: « Tassorosso! ».
Mentre il bambino correva a perdifiato verso il suo tavolo, con un sorriso che gli occupava metà faccia, un altro ragazzino venne chiamato e finì a Grifondoro.
« Quest’anno ci sono tantissimi primini » notò Jackson – Albus lo chiamava Skandar solo per farlo arrabbiare, alla fine –, osservando l’enorme quantità di prole che c’era. « E sono sempre più piccoli. Anche noi eravamo così, alla loro età? »
« Sai che non me lo ricordo? » rispose Al con una scrollata di spalle mentre si stiracchiava un po’.
« Sinceramente a me non importa poi molto » sentenziò Noah, mentre una ragazzina dai capelli rossi veniva smistata a Corvonero, seguita poi da un moro che correva verso i Grifondoro.
« A me sì. Ho fame, il Cappello è lento come una quaresima » si lamentò Jackson con una smorfia.
« Riesci a non pensare al cibo per due secondi? » chiese Noah, sibilino ed esasperato. « Non fai che parlare di cibo. Se continui così, probabilmente quando crescerai – ovviamente, se crescerai – ti ritroverai a gestire un negozio di alimentari. Babbano ».
« Smettila. Non è vero » sibilò l’altro, perché poteva anche non pensarla come i Serpeverde che c’erano durante gli anni in cui suo padre era a scuola, ma comunque lui era un Nott. C’era da dire, però, che lui non era solo un Nott, lui era Jackson Nott, perciò aggiunse: « Al massimo una pasticceria ».

Finalmente, un ragazzino con la pelle color caramello – molto simile a quella di Fred e Roxanne, a dire il vero – ed i capelli scuri finì a Serpeverde, tra gli applausi dei verde-argento, compresi Al, Noah e Jackson.
« Hale, Lucy… Grifondoro! »
« Morag, Susan… Corvonero! »
« Hudson, Jack… Tassorosso! »
« Turpin, Nancy, Tassorosso! »
Lo smistamento durò ancora un bel po’ – quell’anno i ragazzini da smistare erano davvero tanti ed era ovvio che la cerimonia si sarebbe svolta con lentezza esasperante. L’ultimo smistato, il fratello di Noah, venne smistato – con grande sorpresa di tutti – a Grifondoro. Assomigliava molto a Noah, ma si vedeva anche da lontano che il temperamento era una delle poche cose che condividevano – negli occhi di Zayne, infatti, vi si poteva scorgere sempre la risata pronta e a portata di mano, mentre al fratello era già difficile strappare un solo sorriso.
Jackson ed Al si girarono rapidamente verso il compagno di stanza, che dal canto suo era rimasto come paralizzato sul posto. Poi si strinse nelle spalle e si alzò veloce, per applaudire al fratello, che gli riservò un sorriso grato.
« Non sei arrabbiato, Zabini? » chiese Nicholas Goyle con un sorrisetto. «Oppure non ti sei sorpreso perché lo sospettavi già? »

L’interpellato lo gelò con un’occhiataccia e rispose: « Se un Potter può finire a Serpeverde, mi sembra anche normale che uno Zabini possa essere un Grifondoro. Sai cosa mi avrebbe sorpreso, invece, Goyle? Se tu fossi finito a Corvonero ».
Jackson fischiò, scoppiando poi a ridere, e Nicholas si girò con fare stizzito, la coda tra le gambe, per cercare di instaurare un discorso con Cassandra McLaggen come se niente fosse. Ma il ghigno divertito sul volto della ragazza faceva capire che aveva trovato esilarante la risposta di Zabini; ammiccò in direzione di Noah e liquidò Goyle per parlare con una ragazza dai capelli scurissimi.

A riscuoterli fu il battito di mani della preside, che regalò agli studenti uno dei suoi soliti caldi e splendenti sorrisi. La Sprite era una dei presidi più disponibili e socievoli che ci fossero mai stati ad Hogwarts ed era anche troppo tenera per essere odiata da qualcuno, probabilmente. Tutti gli studenti la adoravano.
« Ora » cominciò, « mangiate. So per certo quanto possa essere estenuante un viaggio di ore interne, e penso che è meglio rifocillarsi prima del solito discorso d’inizio anno ».
Albus e Skandar si scambiarono uno sguardo: erano loro, o davvero la Sprite aveva calcato su quel solito?

Al tavolo dei Grifondoro, Hugo si avventò prevedibilmente sul pollo, servendosene una generosa porzione – Rose, a conti fatti, seguì ben presto il suo esempio, come anche James, seduto poco lontano.
Margaret, accanto a Lily e di fronte ad Hugo, li guardò stralunata e mugugnò: « Come fate a mangiare così senza ingrassare, proprio non lo so… »
« Quidditch » bofonchiò Hugo con la bocca piena, mentre Lily – nonostante ci fosse abituata, dopo quasi quindici anni in compagnia di James – lanciò uno sguardo attento all’amica, prima di guardarsi un po’ attorno sbocconcellando qualcosa dal piatto.
Nel tentativo di prendere la caraffa, però, Hugo quasi le finì addosso. Si girò verso di lui, leggermente scocciata, e, quando lui le chiese se poteva passargli il succo, annuì ghignando. E mentre gli passava la caraffa, gli versò un po’ di succo addosso – accidentalmente, ovvio.
« Ehi! » sbottò lui, afferrando un fazzoletto per pulirsi i pantaloni macchiati.
Rose lo guardò con le sopracciglia inarcate, prima di dirgli con fare ovvio: « Hughie, sei un mago. Perché non usi quella diamine di bacchetta?»
Hugo arrossì violentemente in zona orecchie e bofonchiò qualcosa di molto simile ad un: « Non è colpa mia se ho perso l’abitudine, dopo due mesi senza magia… », prima di estrarre dalla tasca la propria bacchetta e pulirsi i pantaloni con un Gratta e netta.

James e Lily ridacchiarono, lanciandosi un’occhiata, mentre Rose sentiva qualcosa scivolarle dietro. Si voltò e si trovò davanti il fantasma del Grifondoro tutto sorridente che si sistemava la gorgiera che gli teneva su la testa.
« Ehi, ragazzi! » esclamò allegro Nick-Quasi-Senza-Testa. « Passate buone vacanze? »
« Alla grande! » esclamarono Logan e James quasi in coro, battendosi poi il cinque. Rose li guardò, ridendo e convenendo con loro.
« Benissimo, grazie » rispose educatamente Margaret, mentre Lily annuiva. « Lei invece come ha passato le vacanze qui ad Hogwarts? »
Il fantasma si strinse nelle spalle opache e semitrasparenti, rispondendo: « Il solito. Pix ha dato il via al finimondo, diceva che senza gli studenti non sapeva più con chi prendersela e quindi ha iniziato a lanciare oggetti contro le armature ed i quadri. Dovevate vedere com’era arrabbiato il Barone Sanguinario… »
Logan e Lily scoppiarono a ridere, seguiti poco dopo da tutti gli altri. Qualche studente del primo anno si voltò a guardarli, sobbalzando poi alla vista del fantasma.

Probabilmente non sono abituati a vederne uno
– stimò Rose con una scrollata di spalle, ridacchiando, mentre le pietanze che prima alloggiavano nei grandi e brillanti piatti venivano sostituite all’istante dai dolci.
Lily prese subito una fetta del suo dolce preferito, la torta alla melassa, e dopo che ognuno ebbe finito anche il dolce, la preside si alzò ancora dalla propria sedia, avviandosi verso il leggio posto davanti al tavolo degli Insegnanti.
« So che sarete stanchi, ma ho ancora qualcosa da dire. Non dovrei metterci molto, e gradirei che nessuno mi interrompesse » iniziò – Logan fu quasi sicuro che la preside avesse lanciato un’occhiata a lui e James. « Innanzitutto, sono felice di riavere qui con noi la professoressa Davies, che per due anni ha girato il mondo in cerca di creature magiche particolari. Le regole sulla Foresta e i suoi limiti ormai credo li conosciate a memoria, ma devo ripeterlo per i nostri nuovi studenti: non dovete addentrarvi nella Foresta, è molto facile perdersi e non altrettanto lo è ritrovare la via del ritorno. Sono stata chiara? Inoltre, e so che non la prenderete bene, mi duole dirvi che quest’anno non si terrà alcuna coppa del Quidditch ».
La preside l’aveva detto velocemente, con il solito sorriso gioviale sulle labbra, mentre gli studenti ammutolivano di colpo per poi iniziare a protestare vivacemente. Logan guardava la professoressa con gli occhi sgranati, Scorpius aveva la bocca spalancata, e molti altri studenti – praticamente tutti – avevano reagito quasi allo stesso modo.
Il Quidditch era uno dei simboli di Hogwarts, praticamente. Le partite tra le Case rendevano quei nove mesi di studio meno faticosi e pesanti, più leggeri e divertenti; vedersene privati era qualcosa di orribile e che, tutti lo sapevano, avrebbe condotto, a lungo andare, anche alla noia.

Insomma, il Quidditch è il Quidditch
– pensò Albus, basito, mentre Skandar accanto a lui si accasciava sul tavolo mormorando qualcosa che assomigliava molto ad un: « Non è proprio destino… » piuttosto depresso.
« C’è, ovviamente, una spiegazione a tutto ciò » riprese la Sprite, alzando un poco la voce per sovrastare il mormorio che andava espandendosi per la Sala Grande. « Non mi sognerei mai di abolire il Quidditch senza un vero motivo, niente è più lungi dalle mie intenzioni, ma quest’anno Hogwarts ed il suo personale saranno troppo occupati in altre cose per tenere il Campionato ».
James si fece improvvisamente attento, protendendosi con il busto più verso il tavolo degli insegnanti. Accanto a lui, Logan guardava la preside come se l’avesse vista per la prima volta – sembrava un ragazzino curioso che voleva scoprire a tutti i costi cosa facevano la propria sorella ed il ragazzo in stanza.
« Quest’anno, infatti, sono lieta di poter affermare che Hogwarts ospiterà un evento importantissimo, che non aveva luogo da ormai quasi trent’anni: il Torneo Tremaghi » continuò la preside, mentre la professoressa Cooman – che insegnava Divinazione ormai anche da troppo tempo – scuoteva forte la testa, gli occhi sgranati. « Forse qualcuno di voi non sa di cosa io stia parlando » disse Pomona, sorridendo con dolcezza ai ragazzi che la guardavano senza capire. « Dovete quindi sapere che il Torneo Tremaghi è una specie di competizione tra le tre scuole più importanti d’Europa: la nostra, Beaux-Batons e Durmastrang. Verrà scelto un ragazzo per ogni scuola, e questo diverrà automaticamente il Campione di tale istituto e dovrà partecipare a tre sfide » la preside s’interruppe un attimo, prima di inspirare profondamente e aggiungere: « Ma per il vostro solo interesse, ci tengo a raccomandarvi di non prendere tutto ciò alla leggera: nonostante il Torneo dovesse tenersi inizialmente ogni cinque anni, ad un certo punto il tributo dei morti divenne troppo… troppo alto per poter continuare, ecco ».
La maggior parte degli studenti, però, sembrava aver deciso di tralasciare quel futile dettaglio ed iniziare a parlottare tra loro, eccitati e come rianimati. Guardandosi attorno, Margaret si chiese se fosse l’unica in ansia per ciò che aveva detto la preside: tributo dei morti…
Accanto a lei, Lily aveva l’aria di una appena colpita in pieno da un Bolide.
« I presidi di Durmstrang e Beaux-Batons arriveranno il primo ottobre con le loro squadre di Campioni, e ad Halloween si eleggeranno i tre… sì, i tre fortunati » - la preside parve sforzarsi nel pronunciare l’ultima parola, e a qualcuno sembrò di vederle gli occhi lucidi - « Il vincitore porterà gloria eterna alla propria scuola, più un premio in denaro di mille galeoni ».
Albus si girò verso i suoi due amici con un sorriso raggiante sul volto. « Che ne dite, voi ci state? »
Skandar e Noah annuirono, il primo quasi in visibilio, l’altro più contenuto. 
Albus si guardò attorno. Già si immaginava Campione di Hogwarts e poi del Torneo Tremaghi: avrebbe dimostrato che era all’altezza di suo padre, una volta per tutte. Così pensando, il suo sorriso si allargò – tutti avrebbero visto quanto valeva in realtà, finalmente non sarebbe stato più solo Albus Severus Potter, il figlio del grande Harry Potter. No, sarebbe stato Albus Severus Potter, il Campione di Hogwarts.
Ma non era l’unico a farsi castelli campati per aria: anche molti degli altri studenti erano decisi a diventare Campioni o come minimo a proporsi, si capiva dai mormorii che provenivano da tutte e quattro le tavolate. Purtroppo, ci pensò sempre la preside a distruggere tutti i suoi sogni con una semplice aggiunta al discorso di prima.
« So che molti di voi vorranno partecipare, ma trent’anni fa i presidi e il Ministero decisero di imporre un limite di età. Mi dispiace dirvi che non è stato tolto, e perciò solo gli studenti dai diciassette anni in su avranno l’opportunità di iscriversi. Questa è una misura » - la preside alzò ancora la voce, ignorando le proteste che si levavano dalla folla - « che il Consiglio – ed anche io, ad essere sinceri – ritiene più che necessaria. Nessuno studente sotto questa fascia di età dovrà anche solo provare ad iscriversi, o verrà severamente punito ».
I suoi sogni di gloria erano già finiti: distrutti, come un’onda che si infrangeva su un castello di sabbia, facendolo crollare. Sarebbe rimasto ancora il figlio del Salvatore del Mondo Magico, e la prospettiva non lo allettava affatto.
« Mi aspetto la massima gentilezza da parte vostra nei confronti dei nostri ospiti. E sono sicura che sarete più che solidali con il Campione di questa scuola, chiunque esso sia, e che lo sosterrete sempre e comunque. Ora, però, è tardi per le chiacchiere, e domani inizierete le vostre lezioni, perciò dovreste essere riposati e svegli. Buona notte! »
La preside si congedò con un sorriso incoraggiante e sparì dalla vista degli studenti con uno svolazzo del mantello verde, mentre le voci allegre ed eccitate erano notevolmente diminuite: molti toni erano infatti più amareggiati che altro. Nessuno era d’accordo, tranne naturalmente quelli di almeno diciassette anni, che comunque si vedevano ricevere più possibilità di riuscita.
Albus si alzò, scoraggiato, e Skandar sospirò pesantemente seguendo il suo esempio assieme a Noah.
« Sarà per la prossima volta » disse Noah con una scrollata di spalla.
« Già, la prossima volta… » borbottò Al, avvicinandosi alla Prefetto di Serpeverde del suo anno – una ragazza alta e biondo che si chiamava Viola – che intanto stava radunando le nuove matricole.
« Che sfiga, però » sbuffò Skandar, grattandosi la nuca con la mano destra. « Beato tuo fratello! Guardalo, come si diverte… »
Albus si girò verso il tavolo dei Grifondoro, dove James, in piedi, rideva allegramente con Logan in compagnia di Scorpius, che aveva un’aria piuttosto mogia – probabilmente l’avevano anche sfottuto, rifletté.
« In questi casi vorrei tirargli addosso la mazza da Battitore » bofonchiò.
« Ecco, adesso ci servirebbe tua sorella » ridacchiò Skandar, perché bastava poco a farlo tornare allegro. 
Albus sorrise, nonostante i suoi sogni distrutti, e salutò gli amici con un cenno della mano ed un: « Vado dai primini, ci vediamo dopo » mentre loro annuivano e sparivano dietro il portone di quercia.
 

*

 

Quando entrò in dormitorio, trovò il baule già ai piedi del suo letto a baldacchino – il terzo a partire da destra. Era tutto proprio come se lo ricordava, come lo aveva lasciato: i drappi vermigli sembravano avvolgere la stanza in tante lingue di fuoco e dalla finestra faceva capolino la luna.
Nessuna delle sue compagne non erano ancora arrivate, stimò dopo aver dato un’occhiata in giro. Quindi andò a passo di marcia verso il proprio letto, e, una volta davanti, tirò un calcio al proprio baule. Dalle labbra le uscì un gridolino – sia per l’urto con il legno del bagaglio che per la frustrazione.
Perché Beaux-Batons doveva essere tra le scuole partecipanti al Torneo Tremaghi? In quel momento, Lily avrebbe solo voluto poter uccidere lentamente e platealmente il fondatore di quella – dannata – scuola francese.
Come se non bastasse, ora il regolamento del Torneo voleva che i partecipanti avessero tutti almeno diciassette anni, perciò lui – il suo nome non osava nemmeno pensarlo – aveva ancora più possibilità di andare ad Hogwarts.
Si sedette sul letto con un tonfo, le braccia strette al petto, soffiandosi via una ciocca di capelli rossi che le era finita davanti agli occhi. Non lo vedeva da luglio e non voleva assolutamente rivederlo – a che pro, poi? Lily non aveva un motivo per rivederlo, anzi, ne aveva a bizzeffe per non vederlo.
« Lily! » la voce di Margaret la distolse dai suoi intenti omicidi nei fronti degli ormai defunti organizzatori del Torneo. « Eccoti! » esclamò poi la bionda, affacciandosi alla porta, la mano destra stretta al fianco, come se stesse per svenire.
Effettivamente, pensò Lily contraendo la mascella, Margaret ne sarebbe stata capace.
« Sono qui, già » rispose allora lei, muovendo la mano in cenno di saluto e piegando appena gli angoli delle labbra verso l’alto.
Margaret la guardò un attimo, le sopracciglia inarcate, prima di socchiudere le labbra e sgranare gli occhi – Margaret aveva degli occhi enormi, marroni e grandi e brillanti.
« Oh » esalò quindi, infine. « È per… sì, insomma, per lui? Effettivamente fa l’ultimo anno, lì a Beaux-Batons… »
« Già » confermò Lily, stringendosi poi nelle spalle mentre avrebbe solo voluto stringere – fino a polverizzarle, quasi – quelle di lui. « Ma vabbe’. Le altre? »
« Stanno arrivando » rispose lentamente Meg. « Non è che vuoi parlarne, vero? »
« Non ora, stanno arrivando » le sorrise l’amica, e Margaret annuì dopo un po’, prima di sorriderle di rimando ed iniziare a parlare un po’ di quello che avevano fatto ad agosto dopo la partenza di Margaret.

 

 

 

***

 
Scu-sa-te-mi. Davvero, vi chiedo perdono, non avrei mai pensato di tardare così tanto D: Anche perché per metà era già pronto! Il banner mi ha messa in difficoltà all’inizio, infatti se avete notato ho anche cambiato Lily (sì, ora è Emma Stone, la trovo un po’ più appropriata).
Cooomunque! Il prossimo capitolo è già pronto, spero di postarlo presto!
Oh, e ora faccio un po’ di autospam, sì? XD
Ecco, quindi, oggi ho postato Dietro la pelle, una ff su Regulus e Marlene. Un’altra long è Reaching for something in the distance, long sui Malandrini (a cui tengo tantotantotanto). Non lo dico solo per farmi pubblicità *paracula*, ma anche perché a volte, nelle note di fine capitolo, potrei scrivere qualcosa sui ritardi delle ff e cose del genere. Detto ciò, qui non ho più niente da fare.
Ci vediamo al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 5
*** IV - I wont fall ***


Capitolo IV lodv
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Capitolo IV
I wont fall

Sala Grande, Tavolo Grifondoro.

2 settembre 2022, ora di pranzo.

« Com’è andato il primo giorno, Jamie? » domandò Lily, versandosi del succo di zucca nel calice appena svuotato. « Davvero hanno già iniziato a stressarvi con i M.A.G.O.? »
« Già » rispose James con aria lugubre, prima di sorridere nuovamente e azzannare una fetta di pane e ridere per le smorfie di Logan. Era simpatico, Logan: aveva sempre la stessa aria da ragazzino casinista e un po’ superficiale, faceva ridere tutti e sparava cazzate su cazzate a tutte le ore del giorno. A Lily stava simpatico, nonostante potesse sembrare spesso un po’ scemo.
« E il vostro, piccole quattordicenni? » chiese Logan, con un sorriso sghembo. 
« Tutto bene » si strinse nelle spalle Lily. « Abbiamo avuto due ore di Erbologia ed una di Incantesimi. Non possiamo lamentarci. Vero, Meg? » aggiunse poi, rivolgendosi all’amica che le sedeva di fronte e muoveva la forchetta nel piatto. Lily strinse appena le labbra.
« Oh? » si riscosse quella, e poi, vedendo l’espressione dell’altra, si portò un boccone di carne alla bocca. « Sì, alla fine non ci è andata tanto male ».
Lily le sorrise dolcemente e domandò: « Alla prossima ora ci mettiamo vicine? »
« Certo! » sorrise Margaret, illuminandosi. Mangiò altre tre forchettate di carne ed insalata – praticamente solo insalata – e poi afferrò la tracolla. « Anzi, visto che devo fare un salto in… Biblioteca, occupo già i posti! »
La rossa tentennò un attimo, lanciando uno sguardo al piatto, ma alla fine cedette e chinò il capo. Con la coda dell’occhio la guardò uscire dalla Sala Grande di tutta fretta, e si sentì male, nel vedere la camicia starle un po’ larga. 

Passi nel corridoio. L’odore era troppo cattivo, troppo pieno di qualcosa, e Margaret non riusciva a sopportarlo.
Le mattonelle del bagno erano fredde. Le sue gambe magre avevano la pelle d’oca, nonostante quella mattina si fosse messa le calze. Un conato l’assalì e sentì la gola pruderle, ma sconfisse il tutto lasciandosi però sfuggire un gemito.
Passi che si arrestano – borsa che cade a terra. Le pesava troppo la testa, pesava troppo anche per provare semplicemente ad alzarla: in quel momento tutto le sembrava troppo faticoso.
Porta che si apriva, qualcuno che tratteneva il respiro prima di sbottare: « Ma cosa cazzo stai facendo? »
Perché non ho chiuso la porta?
Non poteva inventarsi qualche cazzata sul momento, visto che la scena era piuttosto univoca: aveva le dita della mano destra che stringevano il bordo della tavoletta del water, i capelli legati in una coda approssimativa e il cubicolo puzzava terribilmente.
« Niente » rispose allora, vaga, mettendosi in ginocchio. « Tu perché sei qui? » chiese poi, facendo una smorfia per il sapore acre che sentiva in bocca.
« Dovevo… » si bloccò Skandar, lanciando poi uno sguardo alla sigaretta che aveva in mano. « Oh, e che cazzo. Avevo voglia di fumarmi una sigaretta. Comunque tu non mi hai risposto, Stebbins ».
Lei lo fulminò con un’occhiataccia, mentre si poggiava le mani sulle cosce per darsi una spinta in più ad alzarsi. Sembrava così debole, così indifesa, e per questo Skandar la odiò: certo non la conosceva, ma si stava rovinando da sola, con le sue stesse mani, e la cosa peggiore era che non sembrava rendersene minimamente conto.
« Non sono affari tuoi, Nott » sbottò lei, irritata, finalmente in piedi. 
« Non saranno affari miei, ma tu ti stai distruggendo ».
Margaret vacillò per un istante, guardandosi la pancia piatta, le gambe e le braccia magre. « No » ribatté dopo un po’, e Skandar tuttavia pensò che lei non ne fosse del tutto sicura. « Io sto bene, sto benissimo. Sono magra. Sono bella ».
Lui inarcò le sopracciglia scure, scettico. Poi alzò una mano e la posò sulla spalla della ragazza, vicino alla base del collo; tastò appena, per poi dire: « Sei magrissima, Stebbins. Mangiare non è un reato ».
« Cos’è che non capisci della frase ‘non sono affari tuoi’? » provò a gridare Margaret, ma si sentiva troppo esausta, troppo stanca, troppo tutto per farlo. « Non abbiamo mai parlato, perché adesso tu dovresti dispiacerti per me? »
Skandar ritirò la mano, per poi sorriderle in modo quasi beffardo. Era una ragazzina, aveva, quanti?, quattordici anni ed aveva già pigiato il pulsante dell’autodistruzione. Se la ricordava da bambina – era una delle migliori amiche di Lily, che al primo anno si accodava spesso ad Al –, e non gli sembrava più la stessa. 
« Stebbins, forse non hai capito una cosa » le spiegò, affabile, battendole una leggera pacca sulla spalla e trattenendo appena una smorfia quando la vide piegarsi di lato – sembrava creta sotto le sue mani, come sul punto di sgretolarsi. « Io non mi dispiaccio per te. Io provo pena per te ».
Margaret aprì la bocca per ribattere acidamente, ma poi la richiuse e rimase in silenzio. Abbassò gli occhi, e Skandar non si sentì in colpa od altro, perché dopotutto quella ragazzina se l’era cercata.
« Mi chiedo una cosa… Come fai a guardarti allo specchio? » le chiese poi, sperando che rispondesse come voleva lui. « Insomma, sei tutta pelle e ossa… Non ti fai, che so, senso? »
Margaret rialzò di colpo gli occhi su di lui, ed erano colmi di lacrime. Aveva problemi con il cibo, ma lei era magra. Ed essere magri fa parte dell’essere belli, no? Margaret ne era convinta, ed ogni volta che si guardava allo specchio e si vedeva un po’ più magra si sentiva meglio, più leggera – ed infondo lo era, ogni volta di più. Ma sentirsi dire così faceva male lo stesso, perché, nonostante le proprie convinzioni e sebbene lo negasse in continuazione, lei aveva paura di sentirsi giudicata.
« Che fai, adesso?, piangi? » rise Skandar, cercando di mostrarsi il più maligno possibile. « Sì, be’, lo capisco. Anche io mi farei piuttosto schifo, ad esser sinceri… Ma ehi, io sono bello, anche con questi due chiletti di troppo ».
E alla fine, Margaret sbottò: « Smettila! Merda, merda, smettila! Io sono magra, magra, magra » disse, facendo una goffa giravolta. « E tu lo dici solo per cattiveria. Io sono magra, magra, capito? E sono bella perché sono magra! »
« Tu non sei magra » la corresse, « tu sei uno stuzzicadenti. E sai perché? Perché non mangi ».
« Io… io… io mangio! »
« Davvero? » domandò Skandar, con un’espressione scettica. « Provalo ».
« E come? »
« Aspetta, dovrei avere una merendina in borsa » disse, chinandosi sulla borsa che aveva lasciato cadere a terra prima e iniziando a frugare al suo interno. Stava tirando fuori la mano, le dita strette attorno all’involucro di plastica di una merendina babbana di Albus, quando la voce di Margaret lo fece sorridere mestamente: « Io devo andare a lezione… »
« Ci vuole solo un secondo, tranquilla » le sorrise, stavolta sul serio, e Margaret gliene fu grata, anche se non lo disse né lo diede a vedere. « È piccola, non ci vuole niente a mangiarla. E tu mangi, no? L’hai detto tu ».
Le porse la merendina – una cosa strana e dolce con tanto cioccolato all’interno –, e lei la guardò per qualche secondo come se fosse il cadavere di un animale. Poi non riuscì a trattenere un sospiro e la prese, perché la pressione era troppa, e la presenza di Nott iniziava ad essere troppo invadente. 
Con le dita magre e lunghe aprì lentamente il dolce, mentre Skandar borbottava ghignando: “Meno male che avevi fretta di andare a lezione…”. Sfilò la merendina dalla carta e si guardò attorno per vedere dove buttare quest’ultima. Skandar le risolse il problema togliendogliela dalle mani e ficcandosela in tasca con un’alzata di spalle.
Avvicinò la bomba di calorie alle labbra e ne morse l’angolo destro. Subito un aroma di cioccolato e crema le fece socchiudere gli occhi: tutto sommato, non era male, si ritrovò a pensare. Ne morse un altro pezzo e poi un altro ancora, ma dopo si sentì già piena: non era più abituata a mangiare tanto, specialmente dopo aver vomitato, ma gli occhi di Nott sembravano urlare: « Mangia o ti scanno ».
Riluttante, la mordicchiò ancora un po’ ai lati, compiaciuta dell’aver contraddetto Skandar ma allo stesso tempo delusa da se stessa e da quel che stava facendo. Eppure le sembra così giusto… 
Ma non lo è, Margaret – si ripeté mentalmente, perché ormai quello era il suo mantra. 
« Non ti va più? » le chiese Skandar, abbassandosi un po’ per guardarla negli occhi senza che lei dovesse alzare il viso. 
« Non ho tanta fame… » si difese, pigolante. « Ho… ho mangiato tanto a pranzo… »
« Il tuo piatto era pieno, Stebbins » la contraddisse, usando nuovamente quel tono duro. « Non sparare cazzate, okay? Ancora due morsi – due veri morsi, grandi, quindi – e poi il resto me lo mangio io. Prometto ».
Margaret lo fissò intensamente, continuando a mangiucchiare lentamente lo snack che Skandar le aveva offerto. All’ultimo sbuffo del ragazzo, si decise a dare uno dei due ‘veri morsi’ del patto. Nott sembrò particolarmente soddisfatto, specie quando la vide dare il secondo prima di passargli la merendina.
« Com’era? » domandò, tanto per fare conversazione, scrutando la brioche. 
« Così e così » si strinse nelle spalle Margaret. Si sentiva bene, se bisognava essere sinceri. Aveva mangiato una cosa e non aveva vomitato: le era piaciuto e non si sentiva in colpa. Era una piccola vittoria, perché non si sentiva grassa, in quel momento.
Skandar finì il dolce con due morsi soli, mentre lei arricciava il naso. « Che schifo ».
Lui roteò gli occhi e si passò una mano su labbra e mento per togliere le molliche che gli erano rimaste attaccata al viso. Poi commentò: « Avrei accettato anche un grazie, eh ».
« E per cosa? » chiese lei, ghignando appena. 
« Grifondoro, tutti maleducati » si lamentò Skandar, agitando la mano in aria in un gesto stizzito. « Comunque, Stebbins, sei in ritardo, sai? » aggiunse, dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio magico che portava al polso.
Di sottecchi, la guardò sobbalzare e controllare anche lei l’ora; fatto ciò, afferrò al volo la borsa e corse via. Mentre i passi di Margaret si perdevano nel caos generale, Skandar uscì dal bagno e borbottò: « Comunque prego ».


*


Sala Comune Tassorosso.
2 settembre 2022, dopo le lezioni.

Dominique lanciò con poca cura la propria borsa ai piedi della poltrona dove poi si buttò a capofitto. Si rannicchiò su se stessa, avvicinando le gambe al petto, e si raccolse i capelli biondi in uno chignon approssimativo; prese gli occhiali da una delle tasche interne della borsa e li infilò, sistemandoseli sul naso, per leggere un libro babbano che le aveva regalato zia Audrey prima della partenza per Hogwarts.
Il fuoco scoppiettava allegro nel camino, ma sembrava più che altro per bellezza: era infatti poco il calore che proveniva dalle braci ardenti, probabilmente grazie a qualche incantesimo posto dalla preside per tenere, sì, le Sale Comuni al caldo, ma senza farle liquefare. 
« Signorina Weasley, cos’è quel libro dall’aria sospetta? » la interruppe una voce femminile e trillante, facendole alzare lo sguardo dal romanzo che aveva infine posizionato sulle proprie ginocchia. 
« Signorina Baston, da quando le interessano i libri? » ribatté Dominique con un sorriso, portandosi dietro l’orecchio una ciocca sfuggita all’elastico. 
« Sempre simpatica » mugugnò Chelsie, sedendosi ai piedi della poltrona occupata dell’amica e poggiando la schiena alle sue gambe. Dominique sbuffò una risata, mentre Chelsie continuava: « Sei solo invidiosa, perché io so giocare a Quidditch e tu no ».
« Ovviamente, Chel » convenne scherzosamente Domi, girando pagina. « Invidio tantissimo il tuo lanciare una palla per centrare un anello ».
« Ma smettila. Però devi ammettere che ho stile » si pavoneggiò scherzosamente Chelsie, ridacchiando assieme a Dominique. « Ho il Quidditch nel sangue come papà!»
« Sì, hai stile, Chel » rise sonoramente la bionda. Quando alzò il viso, vide Lucy che entrava in Sala Comune con l’aria imbronciata. « Oi, Lu! » la chiamò, e quando questa si girò le chiese: « Che è successo? »
Lucy si avvicinò, e Dominique e Chelsie notarono che comunque stava ghignando un pochino. 
« La Jenkins mi ha beccata mentre dormivo, durante l’ora di Babbanologia » sbuffò, annoiata. Le altre due ridacchiarono: non era la prima volta che succedeva, Lucy si addormentava spesso in classe, e spesso veniva colta in fragrante. « E queste ridono… Io boh… Vabbe’, vado in camera, devo parlare con Cassie. Ci vediamo dopo o a cena! » E con questo si congedò e corse verso le scale per il dormitorio femminile.
« Tua cugina è sempre la stessa » constatò Chelsie, non appena la porta si fu richiusa dietro le spalle di Lucy. 
« Già » concordò Dominique, abbandonando definitivamente l’idea di leggere in santa pace il proprio libro – era bello, poi, con dei personaggi credibili ed una trama abbastanza particolare, aveva appurato. « Spero rimanga così. Ha carattere. Potrebbe fare strada ».
« Decisamente. Io ce la vedo bene anche come scaricatore di porto, però » scherzò Chelsie, facendo ridacchiare l’amica. Effettivamente non aveva tutti i torti: il vocabolario di Lucy era pieno zeppo di volgarità, e anche i suoi comportamenti non erano proprio da prendere ad esempio. 
« Baston, non dovresti parlare così » s’intromise Stephen McGuinnes, spettinandole i capelli castani con una mano.
« Capitano, non rompere le palle già dal primo giorno » gli sorrise amabilmente Chelsie. Stephen ridacchiò e si chinò verso di lei per posarle un bacio sulle labbra. « Così va meglio » disse allora lei, sorridendo, soddisfatta. 
« Ciao, Domi » disse poi Stephen, guardando con un sorrisetto un po’ imbarazzato Dominique, che cercava di non farsi vedere mentre rideva nascondendosi dietro al libro. Abbassò quest’ultimo e sorrise, salutandolo di rimando. 
« Bee’ » iniziò Dominique, riponendo il libro in borsa. « Io vi lascio da soli! E vado in camera, perciò no, non potete andare lì ».
« Stronza! » rise Chelsie, sedendosi assieme a Stephen sulla poltrona lasciata vuota da Domi.
« Ti voglio bene anche io! »


*


Biblioteca.

« Scorpius ».
E continuava a guardare fuori dalla finestra, con un sorriso ebete sulla faccia.
« Scorpius ».
E si guardava attorno come alla ricerca di qualcuno.
« Scorpius ».
E finalmente sembrava illuminarsi e posare lo sguardo su di lei.
« Lyn! » esclamò, sorridente. « Cosa c’è? »
« Ti sto chiedendo da quasi dieci minuti di togliere il braccio perché non riesco a girare la pagina » gli rispose lei, ridacchiando alla sua espressione sconcertata e subito dopo al suo: « Ma io non me n’ero accorto! »
Lynda gli sorrise e tornò al suo libro, mentre Scorpius tentava di concentrarsi per rileggere e quindi correggere il proprio tema per Incantesimi. Iniziò a fischiettare sommessamente – e diciamocelo, non sapeva nemmeno fischiare, sembrava uno spiffero –, ma all’occhiataccia dell’amica smise definitivamente di fare anche quello.
« Mi annoio » disse allora, sbuffando e abbandonando il tema solo alla quinta riga. « Andiamo al Lago? »
« Certo, non appena avrai finito quel dannatissimo compito » gli ricordò lei, sfogliando ancora il tomo di Trasfigurazione. « Non l’hai fatto durante l’estate, te lo fai ora. Al massimo ti do una mano – ancora ».
Scorpius sporse il labbro inferiore e provò a fare gli occhi dolci. Lynda sbuffò e chiuse il libro di testo, dicendo: « Allora. A che punto stai? »
« Ehm » Scorpius si schiarì la voce, portandosi una mano dietro la nuca. « A metà ».
Lynda gemette forte e chinò la testa fino a poggiare la fronte al tavolo. « Sei un caso disperato » decretò, socchiudendo gli occhi. « Comunque, di cosa hai parlato, per ora? »
« Mmh… Del fatto che gli Incantesimi Non Verbali possono rivelarsi molto utili in un duello, visto che l’avversario scoprirà le mosse solo dopo. Poi… » controllò rapidamente il tema, la fronte aggrottata. « Oh, che sono complicati ».
« Bene, è un inizio » gli sorrise Lynda, rialzandosi. « Potresti continuare dicendo che sono molto complicati e che bisogna essere concentrati al massimo. Ah, e che il mago deve comunque avere esperienza ed abilità in campo pratico ».
Lui le sorrise, raggiante, e impugnò la penna. Scrisse qualche riga, lei gliene dettò qualche altra e poi il ragazzo tornò a fare da sé. « Non so come finire » se ne uscì dopo una mezz’oretta, perplesso, richiamando l’amica all’attenzione.
« Con un punto, magari? » gli chiese, inarcando le sopracciglia.
« Ma quanto sei simpatica ».
« Avevi dubbi, Scorpius? » chiese James Potter, comparendo da dietro la ragazza con uno dei suoi enormi sorrisi e la camicia tutta spiegazzata tipica di chi – come lui – aveva avuto la brillante idea di appallottolare tutto quello che c’era da mettere in valigia proprio prima di partire. 
« Ciao anche a te, Jam » disse pigramente Lynda, arricciando appena gli angoli delle labbra e così assomigliando ad un felino soddisfatto.
« Splendore, buongiorno » ricambiò lui, prendendo una sedia da un tavolo vuoto per sedersi al loro. « Buongiorno anche a te, finto biondo ».
« Sei solo invidioso dei miei capelli » ribatté Scorpius, punto sul vivo ma comunque divertito e pronto a scherzare.
« Capelli? Tu quelli li chiami capelli? » lo prese in giro James, gettando indietro il capo mentre cercava di trattenere le risate – la Pince, nonostante facesse ormai concorrenza a Silente in fatto d’anni, era ancora pronta a saltare fuori quando meno te lo aspettavi. « Secondo me assomigliano di più a degli spaghetti ».
Scorpius spalancò la bocca e si portò una mano al petto, oltraggiato. « Ma come osi? ».
James fece per aprire bocca ancora, probabilmente per dire un’altra cazzata per la quale Scorpius avrebbe risposto per le rime, ma Lynda interruppe entrambi: « Sì, okay. Tu » - Scorpius si ritrovò con il dito della migliore amica proprio in mezzo agli occhi. « finisci quel dannato tema. E in quanto a te » continuò lei, rivolgendosi poi a James. « smettila, ti prego, è già abbastanza noioso rimare qua a fargli da balia, non cominciare pure tu! »
« Merlino santissimo, Scorpius, ma non sai fare un tema? » sbuffò James, ignorando poi le proteste dell’altro. Si sporse verso di lui per guardare il lavoro e riprese: « Ma questo è il programma del sesto anno! Di’ che non hai trovato altro e bla bla bla. Però lo fai da solo, io ora mi porto via la scorbutica » ed indicò Lynda, che allargò le braccia come a dire «ehi, sono qui, vi sento!».
James si alzò e la guardò, le braccia incrociate, finché anche lei non si alzò, prendendo la borsa. 
« Ci vediamo dopo in Sala Comune, Scorp » gli sorrise, per poi dare una spinta a James così da farlo barcollare in direzione della porta. « Mi hai salvata dall’ennesimo giro al Lago, grazie » disse poi al Grifondoro, sistemandosi la borsa sulla spalla destra.
“Davvero è ancora fissato con quel posto?” le chiese, stupefatto. « Per Godric, quella gli ha mollato un due di picche davvero memorabile! Fossi in lui, cercherei di non tornarci mai più ».
« Sì, ma lui è stupido ».
« Quindi, da quel che dici tu, io non lo sono! A cosa devo tutta questa dolcezza? »
« Alt, alt, alt » lo bloccò Lynda, portando una mano in avanti. « Tu sei stupido. E lo è anche Scorpius, ma siete due deficienze differenti. Tu sei impulsivamente e consapevolmente deficiente, Scorpius fa il deficiente e non se ne rende conto. Però restate sempre entrambi deficienti. Mi segui? »
James inarcò le sopracciglia, e ribatté: « Ti seguo, ma non sono affatto sicuro della tua sanità mentale ».
« E io sono sicura che tu non sia sano di mente, quindi » disse con noncuranza lei, stringendosi nelle spalle. James, accanto a lei, rise forte e le passò un braccio attorno alle spalle, iniziando poi a scuoterla un po’ come se fosse una bambola; dopo un po’ lasciò la presa e lei per poco non cascò a terra. Lei rise e gli si affiancò di nuovo, barcollando. « Ecco un motivo. Uno dei tanti ».
« Sì, ti voglio bene anche io » ridacchiò James, grattandosi la guancia sinistra con le dita. 
« Ovvio che me ne vuoi » rispose lei, scherzando. « E tutto sommato te ne voglio pure io. Anche perché sennò, se avessi provato a farmi roteare come una trottola impazzita come prima, ti avrei dato un calcio » concluse, allargando il sorriso solo per farlo apparire da invasata.
« E mi avresti fatto male » aggiunse lui, « Taaaanto male, vero? »
Lynda annuì. « E tu ti saresti lagnato per giorni e giorni anche solo per un piccolo livido ».
« Non è vero! »
« Oh, se lo è, Jam! »

*


Sala Comune Grifondoro.
2 settembre 2022.

Logan rise alla propria battuta, accompagnato da James, tenendosi la pancia e ridendo ancor più forte quando cadde con il sedere per terra. James lo indicò e si fece paonazzo per il troppo ridere, mentre Logan si sdraiava con la schiena sul pavimento e batteva una mano accanto al proprio fianco.
« Sei un idiota! » esclamò James tra le risate, asciugandosi gli occhi con la manica della divisa. « Non puoi cadere così! Sembravi… sembravi… niente, sei un idiota! »
« Ha parlato » rise ancora Logan, tirandosi su a sedere, i capelli castano chiaro sparati in tutte le direzioni e le guance rosse. « E fammi posto, non occupare tutto il divano solo perché mi sono distratto un attimo ».
« Ma anche no » ribatté James, allungandosi meglio sul divano cercando in questo modo di coprirne il più possibile. « Devi rimanere a terra, animale che non sei altro ».
« Animale, io? » chiese scettico Logan, inarcando un sopracciglio. « Ma andiamo, mi hai visto? Sono troppo bello per essere un animale! Effettivamente, anche per essere un semplice umano come te, plebeo ».
James rise ancora, e rispose prontamente: « Se per questo sei anche troppo poco egocentrico! »
« Eh, lo so… Sono molto modesto, io » si pavoneggiò scherzosamente Logan, ridacchiando. « Sono il ragazzo perfetto, senza difetti. Eeh, c’est la vie! »
« Da quando sai il francese, scusa? » domandò James, fintamente colpito, portandosi una mano all’altezza del cuore.
« Io non lo so, il francese » rispose Logan, con aria di sufficienza. « C’era un film che si chiamava così, o comunque una roba del genere. E poi, le ragazze amano l’accento francese ».
« Se lo dici tu ».

*

Aula di Trasfigurazione.
5 settembre 2022, mattina.


«
Baston, potresti cercarti un altro posto? » chiese James, posando la propria borsa sul banco, proprio davanti a Chelsie. Questa alzò lo sguardo su di lui ed inarcò un sopracciglio, scettica.
« Perché dovrei? »
«
Per farmi sedere vicino a mia cugina, mi sembra ovvio » le rispose con tono ovvio, finendo con il sorridere. Dominique, che aveva assistito alla scena da accanto l’amica, alzò gli occhi al cielo, ridacchiando sommessamente.
Chelsie lanciò un’occhiata a Dominique, prima di sbuffare e raccogliere le proprie cose.
« La prossima volta sta vicino a me » lo avvisò, andando a sedersi accanto ad un’altra loro compagna di stanza, Julie.
«
Contaci, Baston! » esclamò lui, ridendo apertamente e sedendosi sulla sedia accanto a Dominique provocando un gran baccano. « Allora, Domi, che mi racconti? »
«
Che sei un maleducato, James » gli sorrise, prendendo il proprio libro di testo dalla borsa e posandolo sul banco. 
« Ehi! » si lamentò James, fintamente offeso. « State vicine ad ogni lezione, almeno quando le abbiamo in comune tienimi il posto! Sei la mia migliore amica, dopotutto ».
«
Sì, sì, certo » sospirò lei, rassegnata.
James rise ancora, incrociando le braccia sul banco e poggiandovi sopra il mento. Girò il viso verso di lei, sorridendo, e disse:
« Raggio di sole, non usare quel tono. È odioso ».
«
Come te? » 
« Come osi! Io non sono odioso. Nessuno può odiarmi, sono troppo bello » scherzò il ragazzo, lanciando un’occhiata alla porta nel caso entrasse la professoressa Fitch. 
« E stupido » sorrise Dominique, e quando la porta dell’aula si aprì per far entrare la professoressa – una donna dai capelli color mogano palesemente tinti e dall’aria giovanile – aggiunse sottovoce: « E imprudente ».
James alzò gli occhi al cielo, mentre si alzava assieme a tutta la classe dicendo: «  Buongiorno ».« Ancora questa storia? » le chiese a bassa voce. « Dominique, per Merlino, sta’ tranquilla. Sono troppo stupido per venir scelto, poi, no? » aggiunse, cercando di farla ridere.

Quella mattina, al contrario delle aspettative dei propri compagni di stanza, James si era svegliato non appena aveva sentito la sveglia squillare ed era entrato in bagno per primo. Dopo essersi vestito ed aver preparato la borsa, aveva iniziato a correre a capicollo per le scale ed i corridoi, fino ad arrivare in Sala Grande.
Si era diretto, sempre con passo rapido e scattante, verso il tavolo dei Tassorosso e si era infine seduto di fronte alla cugina Dominique.

« Tutto bene? » gli aveva chiesto Domi, guardandolo con curiosità: non era normale vedere James Potter sveglio già a quell’ora.
« Sì, tutto a meraviglia, raggio di sole! » le aveva sorriso lui, raggiante. Poi aveva iniziato a parlare e parlare e parlare a proposito del Torneo Tremaghi, sotto lo sguardo corrucciato dell’amica.
« Ho sentito dire che saranno prove difficilissime. Michael si è informato: sai, suo padre lavora all’ufficio dei giochi magici al Ministero… » andava ciarlando, mentre Dominique mangiucchiava la propria fetta di pane senza smettere di guardare James nemmeno per un istante.
« Tu vuoi partecipare » sentenziò infine la ragazza con voce atona.
James sembrò un attimo preso in contropiede: « Io, be’… Io, sì, be’, credo di sì. Tu no? »
« Perché? » gli chiese ancora, inclinando la testa di lato.
« Perché… perché sembra una bella esperienza? » tentò debolmente James, abbozzando un sorriso. Effettivamente, non sapeva bene nemmeno lui perché voleva iscriversi, sentiva solo di doverlo fare e di dimostrare chi era davvero. Non glielo disse.
« Non è uno scherzo, lo sai, vero? »
« Certo che lo so » aveva risposto lui, un po’ sconcertato.
« Sei il solito coglione… ».


Dominique gli lanciò un’ultima occhiata obliqua, prima di sussurrargli di fare silenzio. James sospirò. 

*

Rose incrociò le braccia sul banco, poggiandovi poi la guancia destra. Con gli occhi aperti ma assenti, guardava ostinatamente il professore, sebbene stesse pensando a tutt’altro. Odiava Antiche Rune, ma le serviva quel M.A.G.O. per conseguire una laurea che l’avrebbe condotta al Ministero.
Accanto a lei, Meredith, la sua migliore amica, tracciava linee su linee su un foglio di pergamena su cui aveva già preso appunti – solo per non far insospettire il prof: quella ragazza, secondo Rose, era un genio.
Rose si mosse un pochino verso di lei, attenta a non farsi vedere, e sbirciò il lavoro dell’amica: c’erano scritte varie, disegnini di creature magiche, scarabocchi e lettere elaborate. Sbuffò e tornò al suo posto, lanciando di tanto in tanto occhiate alla finestra.
Il professore continuò a parlare e parlare, finché non suonò la campanella. Meredith ripiegò il foglio e se lo mise in borsa assieme alla penna; si alzò ed aspettò che Rose facesse lo stesso, così da uscire assieme dall’aula.
« Non vedo l’ora che arrivi ottobre! » trillò con allergia Meredith, facendo un saltello sul posto. « E tu? »
« Idem » sorrise Rose, raggiante. « Mi chiedo proprio come siano, le delegazioni di Beaux-Batons e Durmstrang! »
« Piene di bei ragazzi, secondo me » le disse Meredith con fare cospiratorio, prima di ridacchiare. « Soprattutto a Beaux-Batons, se i francesi sono belli quanto tuo cugino… »
« Louis è per un ottavo Veela, Dee » le ricordò gentilmente Rose. « Non credo proprio che siano tutti così ».
Meredith sbuffò, un po’ scocciata. « Be’, peccato. Comunque incrociamo le dita e speriamo che la Francia ci porti dei baldi giovani » scherzò, ridendo ancora, mentre s’incamminavano verso la Torre di Grifondoro per posare i libri.
« Magari » convenne Rose, annuendo con convinzione. « Però anche ad Hogwarts ci sono dei bei ragazzi, no? »
« Sì, però… A loro manca il fascino dello straniero, mi spiego? » Meredith aggrottò la fronte, gesticolando. « L’accento straniero… E poi lo sai, a me piace da morire l’acc— »
« L’accento tedesco, sì » ridacchiò Rose, passandosi una mano tra i capelli.
« Già » rise Meredith, iniziando a salire le scale per il settimo piano a due a due. Rose la seguì, superandola dopo poco. « Così non vale, oh! » la rimbrottò la mora, scuotendo la testa.
La Weasley rise ancora e le disse: « Tutto merito del Quidditch! » sorridendo divertita, consapevole di quando l’amica fosse sensibile in quel frangente: Meredith era una vera schiappa sulla scopa, nulla da fare.
« Stronza! » sbottò infatti l’altra, ed iniziarono a correre l’una dietro l’altra per il corridoio. « Se ti prendo sei finita! »
« Hai detto bene, Dee: se mi prendi! »

 

*

La Sala Grande era sempre piena e rumorosa, che fosse ora di cena, di colazione o di pranzo come in quel momento. I passi frettolosi e a volte pesanti della gente tra i quattro tavoli, le risate, gli urletti, le conversazioni fatte a voce troppo alte: tutto si confondeva, formando un caos non indifferente.
Pensando ciò, Albus si versò del succo di zucca nel proprio calice e poi si portò quest’ultimo alle labbra. Bevve qualche sorso, spostando lo sguardo nella Sala gremita di gente. Vide suo cugino Fred tentare di parlare con una ragazza dai capelli scuri, suo fratello che rideva con Logan e Scorpius, Molly che ripassava per la lezione seguente ed ascoltava un suo compagno, Lucy che faceva casino al proprio tavolo.
Si guardò attorno un altro po’, prima di stringersi appena nelle spalle, posare il calice sul tavolo ed ascoltare quel che Skandar aveva iniziato a decantare poco prima.
« … e quindi lui mi ha detto che, oltre a non essere fatti miei, non era così » stava finendo, mentre continuava a mangiare il pasticcio di carne che si era servito poco prima – per la seconda volta, però.
« Uhm? » si riscosse Albus, inclinando di poco la testa di lato. « Chi ti ha detto che non è così? »
Skandar alzò gli occhi dal piatto e sospirò, prima di rispondergli pazientemente: « Scorpius ».
« Ah. Ovviamente » annuì lui, comunque confuso, infilzando con la forchetta una patata arrosto. Non avendo seguito il discorso dell’amico sin dall’inizio, capire il senso di “Scorpius ha detto che non è così” non gli era per nulla chiaro.
« Non mi hai ascoltato per niente, vero? » sbuffò Skandar, roteando gli occhi e rivolgendosi poi a Noah. « Almeno tu mi hai ascoltato? »
« Sinceramente? » chiese, retorico, ghignando appena. « No ».
Skandar spalancò la bocca e poi sbottò: « Che siate maledetti entrambi! Cioè, io vi stavo dicendo delle cose importanti ed interessanti… »
« Importanti ed interessanti i pettegolezzi sulla vita privata di tuo cugino? » domandò ancora Noah, ridacchiando apertamente mentre le guance di Skandar si imporporavano appena.
« Dai, » gli sorrise invece Albus, giusto per non ridurlo in quello stato: Skandar detestava arrossire, « che cosa gli avevi chiesto? »
« Hai visto l’amica, no? Quella con cui gira sempre assieme, dico » iniziò lui, indicando Lynda Wespurt, seduta al tavolo dei Corvonero assieme a qualche amica.
« Dici la Wespurt? » gli domandò per esserne sicuro. 
« Sì, lei » annuì Skandar, continuando il suo entusiasmante racconto. « Quest’estate erano sempre insieme. Cioè, anche prima la vedevo spesso al Manor, ma quest’estate… cioè, era proprio una costante, mi capisci? Era sempre lì con Scorpius » - gesticolava tanto, Skandar, così tanto che aveva anche smesso di mangiare. « E allora io ho chiesto a Scorpius se per caso… sì, be’, se c’era qualcosa. Lui mi ha guardato malissimo e mi ha detto che, uno, non erano fatti miei e che, due, tra loro due non c’era niente. Secondo me non è vero, comunque. Cioè, guardateli » e fece una smorfia per palesare anche a loro quanto fosse sicuro di quel che stava dicendo.
Albus inarcò le sopracciglia e spostò lo sguardo su Lynda per un attimo: aveva i capelli scuri raccolti in una coda bassa e approssimata, chiacchierava tranquillamente con suo cugino Louis e un’altra ragazza, e intanto mangiava con calma. Non era mai stata una di quelle ragazze che si notano subito, anzi, era piuttosto anonima. Se era abbastanza conosciuta in giro, era solo perché era la migliore amica – se non di più, come millantava Skandar – di Scorpius Malfoy e una cara amica di James Potter. 
« Secondo il tuo ragionamento, Jack, anche Dominique e James dovrebbero essere una coppia » gli fece allora notare Albus, sinceramente perplesso, bevendo un altro po’ di succo. « O anche io e te » aggiunse, ghignando, solo per vedere l’altro impallidire.
Noah, intanto, che aveva assistito al dibattito con il sopracciglio destro perennemente inarcato, rise tranquillamente prima di scuotere la testa e tornare al proprio piatto – di Lynda Wespurt e Scorpius Malfoy non è che gli interessasse poi così tanto.
« A’ matto, frena i tuoi istinti, io non sono gay » esclamò Skandar, allontanandosi appena. 
Albus lo guardò, rassegnato, e disse: « Cretino, stavo scherzando ».
« Sarà meglio ».
« Sei proprio deficiente, Merlino santissimo… » sospirò Albus, rassegnato, per poi porre una domanda a Noah.
Skandar, accanto a lui, lanciò un’occhiata al tavolo dei Grifondoro. Incrociò un paio di occhi castani e piegò l’angolo destro delle labbra in un sorriso appena accennato quando la vide mangiare e lanciargli in contemporanea occhiate di sfida.
Stebbins, t’ho fregata.


Molly Weasley non si era mai reputata una persona degna di attenzione.
Non era bella quanto Dominique o Lily o Roxanne. Non era simpatica come Rose. Non era chiassosa ed esuberante come sua sorella Lucy. 
Aveva i capelli di un castano chiaro – ereditati dalla madre, Audrey –, degli occhi grigio sporco e non aveva un corpo particolarmente formoso. Si riteneva piuttosto anonima, a voler essere sinceri. Non era nemmeno tanto popolare: aveva una ristretta cerchia di amici e studiare non le dispiaceva poi così tanto.
Per questo, seduta verso la fine del tavolo dei Corvonero, sorseggiava in silenzio l’acqua che aveva da poco versato nel proprio calice. Michael, di fronte a lei, chiacchierava insistentemente di Quidditch – era il Cercatore della squadra. Dopo un po’, però, si bloccò, come se si fosse ricordato solo in quel momento che a Molly non interessava niente che riguardasse scope o Pluffe od altre cose del genere.
« Comunque. Quest’anno abbiamo i G.U.F.O., che scocciatura… » disse, sorridendole subito dopo. « Scommetto che tu non sei tanto preoccupata, vero? »
Molly gli sorrise, grata per aver cambiato discorso, e si strinse nelle spalle. « Sinceramente no, hai ragione. Solo un po’ d’ansia, quella sì ».
« Macché ansia, Mol! Andrai benissimo, lo sappiamo tutti! » la riprese lui, guardandola con un cipiglio fintamente severo. Michael aveva gli occhi grandi e neri, un nero molto simile anche a quello dei suoi capelli; era mediamente alto e molto magro, e questo lo aiutava notevolmente durante le partite di Quidditch – Molly ci andava solo per lui –: era agile e veloce, schizzava sulla propria scopa come un razzo. Ed era anche simpatico, riusciva a farla sorridere sempre.
« Certo, certo ». Molly roteò gli occhi, ridacchiando.
« Mi sta prendendo in giro, Weasley? » le chiese scherzosamente. « Devo per caso metterla in punizione? » aggiunse, imitando la professoressa Jenkins e facendola ridere.
La faceva sentire bene, la faceva sentire Molly. E quando era con lui, essere Molly era sempre abbastanza.


*

Dormitorio maschile di Corvonero, quinto anno.
6 settembre 2022, dopo le lezioni.

Il suo letto era quello proprio in mezzo alla stanza; alla sua destra, dormiva Matthew Oliver, alla sua sinistra invece c’era William Corner. Sul comodino accanto al letto c’era un libro – uno diverso ogni due mesi –, una fotografia di lui e Dominique da piccoli, un lume ed un orologio.
Contrariamente a quanto si potesse pensare, però, Louis Weasley non era affatto ordinato. Sebbene fosse uno studente corretto e diligente, la sua camera a Villa Conchiglia era in perenne disordine, mentre ad Hogwarts dava comunque un notevole contributo a quel caos che lui ed i suoi compagni continuavano a chiamare stanza.
Chiudendosi la porta dietro le spalle con un calcio mediamente potente, Louis gettò la propria borsa sul letto, non curandosi poi del fatto che questa si era aperta ed aveva rovesciato un po’ del suo contenuto sulla coperta blu notte.
« Com’è andata a Divinazione? » gli chiese Matthew – un ragazzo dai capelli color miele e gli occhi verde prato –, sdraiato sul proprio letto intento a sfogliare una rivista di Quidditch che aveva portato Michael – un altro loro compagno molto bravo a Quidditch e anche simpatico.
« Signor Weasley, deve fare attenzione a chi ha attorno e non lasciarsi badare alle apparenze! » esclamò, imitando la voce della Cooman e ridendo poi assieme all’amico. « Morgana, che cialtrona che è la Cooman ».
« Puoi dirlo forte, amico! » convenne Matt, annuendo vigorosamente, e lanciando con nonchalance la rivista sul letto di Michael – quando torna Mich, Matt sarà fottuto, pensò Louis sul momento. « Vogliamo parlare, poi, di tutte le volte che ha predetto la morte di William? La migliore era “Signor Corner, stia lontano dagli Asticelli: vedo per lei un nefasto futuro, proprio per via degli Asticelli!”. Io mi chiedo cosa si fumi, ogni mattina ».
« Oh, Merlino, gli Asticelli me li ero dimenticati » rise più forte Louis, facendo cadere per terra la borsa dal letto per buttarcisi poi a capofitto.
« Cosa ti eri dimenticato? » li interruppe la voce di William, che aveva appena aperto la porta e palesato così la sua presenza. Dietro la sua schiena, comparve la testa rossa di Gerard O’Malley, l’ultimo loro compagno di stanza.
« Dei tuoi amati Asticelli » rise ancora Louis, contagiando anche gli altri due.
« Appena tornato da Divinazione, eh, Louis? » gli chiese allora William, scuotendo la testa e ridacchiando appena.
« Già ».
« Poi mi spiegherai perché la segui ancora, visto che è inutile » gli ricordò Gerard, sedendosi poi sul proprio letto.
« Semplice: le poltrone dell’aula sono comodissime per dormire ed in più il tè della Cooman, nonostante tutto, è meraviglioso ».
Matt e Gerard scoppiarono a ridere, Will si girò verso la finestra senza smettere di ridacchiare e, quando entrò, Michael si guardò attorno con aria perplessa. Ma quando si accorse di una delle sue preziosissime riviste abbandonata malamente sul letto, sbottò: « Okay, chi è lo stronzo che devo affatturare?! » 

*

 

Portone d’Ingresso.
7 settembre 2022, mattina.
 

Era una domenica fresca: il vento tirava appena, muovendo le fronde ancora verdi degli alberi e screziando così la superficie del Lago – che s’intravedeva poco lontano – di piccole onde; in cielo brillava un sole caldo, tra gli ultimi ricordi di un’estate ormai finita.
Logan Hopkins, seduto scompostamente su uno dei gradini del Portone d’Ingresso, socchiuse appena gli occhi, mentre gli altri due continuavano a parlare e, di tanto in tanto, mangiare qualcosa che avevano preso a tavola. Era ormai un’abitudine fare colazione fuori: quando non faceva troppo freddo, infatti, prendevano qualcosa dal proprio tavolo e poi andavano fuori – di solito lì, sui gradini, ma a volte anche a Lago o all’ombra di qualche albero – a chiacchierare del più e del meno.

« Goditi il sesto anno, Scorpius! » stava dicendo James, tentando l’aria di un uomo vissuto. « Quando arriverai al settimo, avrai di ché lamentarti ».
« Già, Scorpius, ma ti consiglio di non lagnarti come questo qui » aggiunse Logan, sogghignando appena, accennando con il capo a James, che lo guardò truce. 
« Ha parlato… » iniziò.
« …Logan Hopkins, la qui presente altezza reale, nonché personaggio più volte premiato come uomo più affascinante al mondo » finì per lui Logan, un sorriso raggiante sulle labbra sottili.

James roteò gli occhi, sbuffando una risatina, mentre Scorpius si girava dall’altra parte per non scoppiare a ridere in faccia al proprio migliore amico – il quale, però, lo sentì comunque e per questo gli tirò uno scappellotto. 
« Ma che fai? » sbottò quindi Scorpius, massaggiandosi la nuca con una mano.
« Così impari » rispose James, scorbutico.
« Oh, Merlino, Jamieeee… » lo chiamò Logan, allungando la sillaba finale all’inverosimile – Scorpius si chiese dove diavolo avesse trovato tutto quel fiato. « Ancora per quella storia? Che ti frega, fallo e basta, al massimo usi la scusa di tuo padre “Non sono stato io, non ne sapevo niente!” ».
« Coglione, quella non era una scusa » si ritrovò a dire James, prima di aggiungere: « E comunque non lo so, tu non l’hai vista. Non è quasi mai arrabbiata, mentre ieri sera, quando l’ho bloccata per parlarne, è diventata peggio di una Banshee ».
« Ma di che state parlando? » chiese quindi Scorpius, che doveva essersi perso qualcosa, perché lui, di quel discorso, per quanto corto, non ci aveva capito proprio nulla. Proprio vero che la pazzia a Grifondoro è di casa, pensò senza nemmeno rendersene conto.
« Di Dominique » rispose rapidamente Logan, anticipando James, che aveva già la bocca aperta – probabilmente era già pronto a difendere sia le proprie intenzioni che la propria migliore amica. « Non vuole che James partecipi al Torneo. Io la trovo una cosa egoista ».
« È preoccupata, dice… » mormorò appena James, appunto, difendendola debolmente.
« Macché preoccupata! Probabilmente aveva le sue cose, ecco perché ti ha risposto così! » sbottò Logan, un po’ irritato, muovendo bruscamente le braccia in aria. « Tu partecipi, tanto hai le possibilità di uscire che abbiamo tutti noi del settimo. Tu partecipa, se poi si lamenta le dici che sai a cosa vai incontro o altre cazzate così ».
« Mmh » mugugnò James, quasi del tutto convinto, spostando poi lo sguardo su Scorpius, uno strano baluginio negli occhi.
E Scorpius lo conosceva, James: quello era lo sguardo da so cosa voglio fare, mi serve solo la spinta, perciò lui gliela diede, quella spinta, nonostante fosse sinceramente e segretamente preoccupato anche lui.
« Vuoi partecipare? Partecipa ».

***


*toc toc*
No, non ero morta, ma il mio pc sì. Poi è ripartito, ma indovinate quando? Quando dovevo studiare per una verifica e un’interrogazione. Viva il caso -.-”
Comunque. Capitolo abbastanza lungo, ‘sta volta – effettivamente ho unito assieme due capitoli XD.
Abbiamo visto qualcosa in più su Skandar, Margaret (capitolo dove compare molto, d’altronde u.u), Lynda, Scorpius, Dominique, Rose ed altri! Spero vi siano piaciuti, ci ho lavorato un po’.
Ora volooo, che devo scrivere anche il capitolo 6 di un’altra mia Long sui Malandrini – che non aggiorno da TROPPO tempo D:
Vi amo <3 Spero di postare presto il capitolo cinque!

Er.

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Capitolo 6
*** V - Domino ***


domino

Capitolo V
Domino

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To be on the edge of breaking down,
And no one’s there to save you.
No, you don’t know what it’s like,
Welcome to my life.

(“Welcome to my life”, Simple Plan)

Dormitorio femminile Tassorosso, quinto anno.
14 settembre 2022, mattina.


Lucy Weasley: un nome, una garanzia.
Sono tanti gli aggettivi che potevano venir attribuiti alla persona di quella Tassorosso di quindici anni: chiassosa, spesso rompiscatole, chiacchierona, pigra, rumorosa, irresponsabile e tanti altri. Con la sua voluminosa chioma castano ramato e la voce forte e squillante, Lucy Weasley poteva, più semplicemente, anche definirsi l’incubo dei professori o la compagna di stanza che, se foste degli amanti del silenzio, non vorreste per nessuna ragione al mondo.
Quando aprì gli occhi, quella mattina, Lucy rimase sotto le coperte ancora a lungo, beandosi del calore che esse emanavano e dal tepore solito della domenica mattina. Si girò e si rigirò innumerevoli volte – urtando anche, di tanto in tanto, la testiera del letto con la testa o una delle colonne del baldacchino con un piede –, finché non decise che, forse, era meglio alzarsi definitivamente, se non voleva perdersi la colazione – come, invece, spesso accadeva nei giorni della settimana, quando si svegliava tardi e non riusciva a trovare abbastanza tempo.
Si tirò a sedere sul materasso, sfilando un lembo di coperta da sotto il materasso e così scoprendosi un piede; si strofinò gli occhi con le mani strette a pugno e poi se le passò istintivamente tra i capelli, attorcigliati come non mai. Sbuffò sonoramente e finalmente si girò per poi posare i piedi sul pavimento, rabbrividendo appena al contatto con esso.
« Ben svegliata » si sentì dire da una voce calma e dolce – Camille Lydon, a differenza sua, era una di quelle ragazze che tutte vorrebbero come compagna di stanza: paziente, calma, abbastanza sveglia da capire quando era il caso di stare in silenzio, gentile e disponibile. Certo, quando si arrabbiava era vagamente terrificante, ma in fondo non è che questo accadesse con tanta regolarità, perciò il problema non si poneva più di tanto.
« ‘Giorno » ricambiò il saluto Lucy, la voce ancora impastata dal sonno. « Sa’ly? » domandò poi, sbadigliando sonoramente con una mano davanti alla bocca.
« In bagno » le sorrise Camille, mentre l’altra si stiracchiava e legava i capelli con il primo elastico trovato – probabilmente di Jane, una loro compagna di stanza, che disseminava la camera di forcine, elastici ed altre cianfrusaglie da infilare nei capelli.
Lucy annuì e si avvicinò alla porta del bagno: bussò energicamente e chiese: « Sei lì dentro? »
« No, Lucy, sono accanto a te, non vedi? » le arrivò in risposta – Sally era proprio acida, di mattina. « Secondo te dove posso essere? »
Lucy sbuffò sonoramente, seccata come al solito la mattina presto, facendo sorride Camille, che, seduta a gambe incrociate sul proprio letto, ascoltava le altre due leggendo nel frattempo il giornale che il suo gufo le aveva recapitato proprio quella mattina a colazione.
« Muoviti, ho fame » disse ancora Lucy, ciondolando fuori la porta del bagno con aria da martire. « Quanto ti manca? »
« Non tanto » rispose Sally, sbuffando subito dopo. « Intanto preparati i vestiti ».
Lucy sbuffò ancora e si diresse verso il proprio baule, borbottando qualcosa che assomigliava parecchio ad un: « Ma sei mia madre sotto copertura? » mentre ne tirava fuori un paio di jeans, una t-shirt verde comprata nella Londra Babbana ed una felpa bianca. Posò – lanciò – i vestiti sul letto e poi si specchiò un attimo: fece una smorfia alla vista di quei capelli disastrosi e un punto rosso un po’ sotto al mento.
« Poi ti ci metti del fondotinta » le disse Sally, uscita in quel momento dal bagno, vedendo l’amica guardarsi e toccarsi il puntino rosso con aria omicida.
« Mmh-mh » mugugnò in risposta Lucy, abbassando le mani e catapultandosi in bagno, mentre l’amica sospirava e si sfilava la maglietta del pigiama per infilarsi una camicetta azzurro chiaro.
Lucy si tolse rapidamente la larga maglietta – fregata dal cassetto di suo padre all’età di undici anni e mai restituita – che ancora usava come pigiama, preparò l’asciugamano e si infilò sotto la doccia; girò i pomelli e regolò l’acqua, lasciandosi sfuggire un sospiro non appena l’acqua tiepida iniziò a scorrerle addosso. Stette sotto il getto caldo della doccia per una decina di minuti, prima di chiudere l’acqua e stringersi immediatamente con l’asciugamano; restò dentro il cubicolo della doccia finché non si fu asciugata bene gambe e braccia – fuori sarebbe morta di freddo, ne era sicura – ed infine uscì.
Tornata in camera, lanciò appena uno sguardo alla propria migliore amica già vestita e pettinata che si stava mettendo matita e mascara ed uno a Camille, che invece continuava a leggere il proprio giornale con aria assorta.
Si infilò nel proprio letto e chiuse le tendine; si tolse di dosso l’asciugamano, indossò la biancheria e poi i vestiti che si era preparata precedentemente. Dopodiché, uscì di nuovo e si avvicinò all’amica.
« Fondotinta? » le chiese quindi, afferrando poi la scatoletta circolare che Sally le stava porgendo. « Grazie ». Si posizionò davanti allo specchio, accanto all’amica, e cercò di nascondere il più possibile il puntino rosso avvistato prima ed altri eventuali difetti della pelle.
« Fatto? » le chiese dopo un po’ Sally, mettendo i trucchi a posto nelle loro custodie.
« Sì » rispose lei, con un ultimo tocco di fondotinta, prima di chiudere la scatoletta e restituirla all’amica. « Vogliamo scendere? »
« Direi proprio di sì » disse Sally, dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio che aveva al polso. « Sono le nove ».
« Mica è tardi, comunque » obiettò Lucy, salutando Camille e uscendo poi dalla stanza. Scese le scale che portavano alla Sala Comune con dietro Sally, che intanto aveva alzato gli occhi al cielo e scosso la testa, rassegnata.
« Muoviti e basta ».
« Ehi, non usare quel tono con me, Finnigan! » sbottò Lucy, girandosi appena col busto verso di lei e guardandola trucemente. « Non ho cinque anni » aggiunse poi, tornando a camminare un po’ più rapidamente – di mattina le dava fastidio essere contraddetta o ripresa: già alzarsi preso dal letto era una tortura, anche i rimproveri?
« Va’, va’ » sbuffò Sally, superandola proprio nei pressi della Sala Grande. La precedette nell’entrare in Sala, ma l’aspettò per dirigersi al proprio tavolo assieme a lei. Si sedettero in mezzo, vicino al fratello di Sally e agli amici di quest’ultimo, servendosi subito dopo – nel caso di Lucy – la colazione.
« Incantesimi la facciamo stamattina o dopo pranzo? » le chiese poi Sally, versandosi nel frattempo del latte e prendendo dei biscotti dal vassoio al centro del tavolo. Ne morse uno e poi alzò gli occhi sull’amica.
« Boh » si strinse nelle spalle quella. « Dopo » rispose infine, come era prevedibile, bevendo un po’ di tè, gli occhi posati sul giornale del proprio vicino.
Quando alzò lo sguardo, vide una persona alzarsi dal tavolo dei Serpeverde. Capelli castani ed occhi dello stesso colore della piscina comunale appena aperta d’estate: Lucy trattenne il respiro senza rendersene conto.
Riprese a respirare normalmente solo quando la figura fu uscita dalla Sala Grande.

Merda
– pensò per l’ennesima volta. 

*

 
Albus sistemò i fogli che si era portato appresso a colazione – Skandar stava ancora dormendo, Noah era già tornato in Dormitorio –, diede un ultimo morso al proprio plumcake ed infine si alzò dalla panca, inciampandovi quasi.
Sospirò ed uscì dalla Sala Grande camminando lentamente, poiché tanto quella mattina non sarebbe dovuto andare a lezione o da qualche altra parte, perciò aveva tutto il tempo che voleva. Fuori s’imbatté in sua cugina Dominique, che aveva i capelli un po’ arruffati a sinistra ed il segno del cuscino ancora sulla guancia destra: faceva tenerezza, Domi, soprattutto appena sveglia, con quell’aria da pulcino spennacchiato.

« Ehi, Albie » lo salutò, un sorriso raggiante sulle labbra velate di burro di cacao e gli occhi limpidi e allegri come sempre. « Finito di mangiare? »
« Già » sorrise di rimando lui, reprimendo una smorfia al sentirsi chiamare Albie – solo sua madre lo chiamava ancora così, e James quando voleva prenderlo in giro. « Tu, invece? Stai andando ora? »
« Oh, sì » rispose Dominique, cercando di pettinarsi i capelli con le dita, facendo ridacchiare Albus. « Hai qualcosa da fare, ora? » chiese poi la ragazza, avendo abbandonato l’idea di darsi una sistemata ai capelli.
« No, perché? »
« Ti va di farmi un po’ di compagnia? »
« Perché no? » disse Al, piegando l’angolo destro della bocca verso l’alto. Dominique ricambiò quel sorriso sbilenco e lo condusse con lei al tavolo dei Tassorosso – ad Al fece un po’ strano effettivamente: di solito, quando mangiavano assieme, era lei ad andare a quello dei Serpeverde.
Si sedettero all’inizio del tavolo, non avendo voglia di procedere per la Sala alla ricerca di qualche altro posto più conveniente – lì, infatti, si sentiva e si vedeva tutto.
« Allora, che mi racconti? » gli domandò quindi Dominique, versandosi del tè nel calice e bevendone poi un sorso.
« Niente » si strinse nelle spalle Albus, sorridendo. « I compiti li ho fatti ieri, oggi ho tutta la giornata libera ».
« E quindi ti sei messo già a lavorare su quei fogli » stimò Dominique, adocchiando le carte che gli aveva dato lei qualche giorno prima, alla riunione dei Prefetti iniziale, dove avevano deciso i turni delle prime ronde e iniziato a lavorare su alcuni particolari del Torneo Tremaghi che la preside aveva lasciato loro – come gli orari di quelli di Beaux-Batons, che più o meno avevano le loro stesse materia, ed altre cose del genere.
« Già » annuì lui, prendendo un biscotto al volo dal vassoio al centro del tavolo.
« Merlino, Al » ridacchiò la ragazza, in risposta, bevendo un altro po’ di tè. « Sono passate solo due settimane dall’inizio della scuola, eh, non devi sovraccaricarti già da ora ». Lo stava prendendo in giro con affetto, lo sapeva, e niente gli impedì di arrossire appena in zona orecchie – sulle guance era già più raro.
« Skandar dorme, Noah probabilmente è in biblioteca… Non avevo niente da fare… » si difese lui, sentendosi una specie di pulcino piccolo e un po’ spennacchiato. Dominique gli sorrise teneramente, inclinando appena la testa di lato.
« Oooh, il piccolo Albie » sospirò lei, sinceramente divertita, scuotendo impercettibilmente la testa e allungando una mano verso il cugino per dargli un buffetto sulla guancia, facendogli fare una smorfia buffa.
« E dai, ho solo un anno in meno di te » le ricordò Albus, toccato sul suo punto debole. Perché le persone lo consideravano ancora il piccolo Albus Severus Potter? Era cresciuto, diamine, perché nessuno se ne accorgeva? Non aveva più undici anni, sulle sue guance c’era già qualche peletto – o almeno così andava dicendo – e la sua voce si era già fatta un po’ più profonda e matura.

Non sono piccolo, ho sedici anni
– pensò, come se i sedici anni fossero l’età più veneranda e rispettabile al mondo.
« Sì, hai ragione » convenne Dominique, fregandogli il biscotto dalle mani – Al la guardò oltraggiato. « Su, quest’anno niente Quidditch: non vorrai ingrassare, cuginetto? »
Lui fece una smorfia, piegando verso il basso un angolo delle labbra sottili, e ribatté sarcastico: « Be’, almeno io non sono già ingrassato ».
« Ed è in questi momenti che capisco perché tu sia finito a Serpeverde » ridacchiò Dominique, per nulla toccata dalla provocazione del cugino: una delle poche cose che le piacevano dell’essere un ottavo Veela era l’avere un bel corpo.
Albus masticò un’imprecazione, sconsolato, prima di abbandonarsi sul tavolo borbottando qualcosa come: « Tu e la tua pazienza inumana… ».
« Ehi, stai parlando con una Tassorosso! »
« Sì, okay, Tassorosso e tante cose. Anche Lucy è una Tassorosso, ma mica è così— ». Non riuscì a finire la frase, perché qualcuno, da dietro, gli aveva dato una potente e ben caricata botta in testa, che lo fece imprecare nuovamente, stavolta a voce più alta.
« Attento a quello che dici, cugino » lo minacciò Lucy, prima di trotterellare via dalla Sala Grande assieme alla sua amica.
« Visto? » domandò retoricamente Al a Dominique, quando Lucy fu definitivamente lontana. Lei ridacchiò ancora e bevve un altro po’ di tè.


*
 

Dormitorio maschile Grifondoro, settimo anno.
14 settembre 2022, pomeriggio.


« Mi manca il Quidditch » brontolò James, con il viso nascosto dai due cuscini con i quali dormiva la notte.
La sua voce giunse soffocata alle orecchie dell’amico, che annuì gravemente, fermandosi un attimo prima di tornare a scrivere il proprio tema e convenire: « Senza Quidditch, che vita è? »
« Una che non vale la pena di essere vissuta » brontolò ancora James, con un gemito. « Già mi ci vedevo: con la spilla da Capitano e la Coppa del Quidditch tra le mani e… »
« Come sai che, se non ci fosse stato il Torneo, saresti stato proprio tu il Capitano? » gli chiese allora Logan, scettico. « Sono più bravo io. E poi un Portiere vale più di un Cacciatore: sono io che mi preoccupo di non far fare punti agli avversari ».
« Ed io di alzare il punteggio della mia squadra » ribatté James, con aria di superiorità.
« Senti, » iniziò Logan con il tono di un adulto che sta parlando con qualcuno di molto, molto stupido, « puoi dire quello che vuoi, ma resta il fatto: il Portiere è più importante del Cacciatore ».
« Perfettamente d’accordo con Logan » convenne Scorpius Malfoy, che aveva appena aperto la porta del dormitorio. Paul Summers – uno dei loro compagni di stanza – lo superò ed entrò in camera brontolando qualcosa sul fatto che lui era un Corvonero e blablabla.
« Taci ». James lo guardò truce, alzando appena il viso dal cuscino solo per farlo.
« Jasmine carissima, ormai dovresti aver capito che tu non vali niente » sorrise Scorpius, mellifluo – era in quei momenti che sì, i ragazzi che avevano frequentato Hogwarts negli anni novanta avrebbero potuto dire “Questo è il figlio di Draco Malfoy” senza nemmeno pensarci più di tanto. « Niente di personale, ovviamente » aggiunse poi, stringendosi nelle spalle.
« Ovviamente, Scorpina » sbottò James, indignato sia dal suo nome storpiato in tale maniera sia dall’essere considerato una nullità. Logan fece una smorfia fintamente dispiaciuta, scoppiando poi a ridere quando un cuscino prese proprio in faccia il gentil Corvonero.

 

*

Don’t be afraid,
it’s only love.

(“Don’t be afraid, you’re already dead”, Akron/Family)

L’amore, lei, non l’aveva mai capito. I romanzi rosa di sua madre, poi, mai l’avevano aiutata in ciò: se in un libro chi veniva tradito alla fine trovava il vero amore, in un altro rimaneva da solo finché la morte non andava a stringerlo tra le braccia. Oppure gli amici, che se andavano a letto assieme una volta o si innamoravano l’uno dell’altra, o si innamorava solo uno dei due, oppure entrambi iniziavano a trovarsi a disagio quando c’era anche l’altro.
Alla fine, era giunta alla triste conclusione che l’amore era solo un casino, che in fin dei conti non serviva a molto – se non, stando a sua madre, ad essere felice –, che era difficile da trovare e ancora di più da gestire.
La cosa più interessante, però, l’aveva imparata da uno dei tanti film che aveva visto in televisione – lo mettevano sempre, per Merlino! –: mai innamorarsi di un amico, entrambi si complicano la vita e alla fine niente torna come prima. Per questo, dopo la colossale sbronza dell’anno precedente, aveva deciso che sì, stare senza impegno e di nascosto con qualcuno poteva rivelarsi piacevole e semplice.
Che poi l’impegno in questione fosse condiviso con Scorpius Malfoy era un dettaglio di poco conto; lui non era mai stato un suo amico, al massimo l’aveva considerato un conoscente – anche se di solito si limitava a chiamarlo “l’intruso a casa Potter” quando andava a soggiornare per qualche giorno dai suoi cugini –, e se per caso si fossero mollati non sarebbe stato certo un problema.
Dopo tutti i libri e gli articoli di giornale letti e i film visti, Rose aveva capito che era proprio così e che era stata proprio una stupida a non pensarci prima. E per quanto le costasse ammetterlo, Scorpius era un’impegno-non-impegno perfetto: non era possessivo, non faceva sospettare niente e nessuno, la prendeva in giro come faceva anche prima e si comportava in maniera completamente normale quando c’era lei – anche se a volte, a suo modesto parere, faceva troppo lo scocciato.
Dire che era iniziato tutto dopo aver bevuto litri e litri di vari tipi di alcol è un cliché di esorbitanti dimensioni, ma per loro due era anche fottutamente vero. Alla festa di James si erano entrambi ubriacati talmente tanto da confondere i capelli di Paul Summers con un procione – o almeno così andava millantando Logan Hopkins – e il giorno dopo si erano ritrovati nello stesso letto. C’è davvero bisogno di dire che erano anche nudi?
All’inizio era stato strano. Quella mattina Rose non aveva urlato solo perché ancora un pochino scossa, mentre Scorpius, dopo aver aperto gli occhi, aveva iniziato a ridere istericamente, provando di tanto in tanto a soffocarsi con il cuscino – probabilmente era quello di Harry o di Ginny, che, dopo innumerevoli preghiere da parte del figlio, avevano acconsentito a lasciar loro casa libera.
Erano rimasti, poi, sdraiati nel letto per quasi un quarto d’ora, l’uno accanto all’altra, gli occhi fissi sul soffitto. Alla fine, Rose, dopo aver pensato seriamente a tutto quanto – da quello che era accaduto la sera prima a tutti i propri soliloqui sul suo essere single e blablabla –, aveva spezzato quel silenzio con un: « Ti va di, uhm, riprovarci? Senza impegno, intendo » davvero poco Rose Weasley. Scorpius era rimasto in silenzio un altro po’, prima di stringersi nelle spalle e scoppiare poi a ridere di nuovo.

Nonostante ciò, però, Rose ci teneva a ricordare sempre – e a tutti – quanto lui fosse insopportabile, stupido, antipatico e chi più ne ha più ne metta. Dee, ormai, l’ascoltava, la guardava ed inarcava le sopracciglia – sempre – come ad intendere della malizia sotto tutti quegli insulti.
Anche in quel momento, seduta sul gradino dell’ala nord del castello – proprio vicino all’aula di Divinazione, in quel momento vuota, essendo domenica, ma comunque anche di norma molto meno trafficata delle altre –, Rose continuava a ripetersi quanto fosse stata geniale. Scorpius Malfoy era talmente impensabile, secondo lei, che era perfetto.
« Rose ». La testa bionda di Scorpius apparve nella sua visuale non appena il ragazzo mise il piede sull’ennesimo gradino; aveva l’aria stanca, e ne aveva anche tutto il diritto, essendosi fatto come minimo un centinaio e passa di scalini per giungere da lei, ma Rose sogghignò, impietosa:
« Che succede, batti la fiacca, Malfoy? » domandò quindi, canzonatoria, e Scorpius la guardò con la fronte aggrottata sia per la solita battutina che per il costante uso del suo cognome.
« Rose, come puoi dirmi questo? » sorrise allora, anche se un tantino infastidito, salendo gli ultimi gradini e sedendosi poi accanto a lei. « Io, che ti faccio sorridere e sempre ti soddisf— » s’interruppe, ghignando, quando la ragazza gli arpionò il braccio e lo guardò con aria truce.
« Taci, okay? » ordinò, perentoria. Scorpius però sorrise ancora e si avvicinò al suo volto, un’espressione sarcastica stampata sul viso affilato.
« Sennò che mi fai, Rose? Inizierai ad evitarmi? Non potresti mai vivere senza la mia regale presenza, suvvia, vile plebea! ». Se c’era una – una sola – cosa che a Rose Weasley piaceva di Scorpius Malfoy, era quella sua ironia divertente e mai banale: la divertita e, purtroppo, come diceva lui, il più delle volta la faceva sorridere.
« Posso vivere benissimo, non sei così impo… non sei importante » sputò lei, forse un po’ troppo acida.
Ma Scorpius rise forte – facendola trasalire dalla paura di venire scoperti – e con la propria mano accarezzò tutto il braccio destro di Rose, fermandosi poi alla base del collo. « Meglio, no? Senza impegno, hai detto » le ricordò, catturando le labbra di Rose in un bacio che, lo sapevano entrambi, sarebbe stato seguito da tanti altri, e chiudendo gli occhi prima che lei potesse scorgere il breve lampo di tristezza che li aveva attraversati.
Ma Rose, gli occhi, li aveva già chiudi. Forse li aveva sempre tenuti chiusi, forse. Scorpius non lo sapeva, ma per ora gli andava bene anche così, anche quello.

Erano stati lì, su quei gradini, per circa un’ora, prima di rimettersi in piedi e sistemarsi i vestiti un po’ stropicciati a causa dell’essere stati seduti per così tanto tempo. Con le dita, Rose si sistemò un poco i capelli, sollevando poi le braccia per raccogliere la folta e rossa chioma in una coda alta.
Scorpius, in piedi due gradini sotto a quello della ragazza, la osservava, sorridendo come sempre. Mentre l’aspettava, si passò una mano sui jeans, come se dovesse spolverarli. Rose lo affiancò poco dopo, afferrandogli un braccio e trascinandolo di corsa per le scale assieme a lei.
Era strana, Rose. La parola lunatica, probabilmente, era quella che più le si confaceva. Era in grado di cambiare umore così, in base a come tirava il vento: un secondo prima felice come una Pasqua, quello subito dopo triste e piangente come una fontana rotta. Aveva anche voluto trovare un loro saluto personale: Scorpius non ne vedeva l’utilità, non l’aveva mai vista, ma, quando gliel’aveva detto, Rose era così felice e bella che non se l’era sentita di smontarla.
« Ci lasciamo qui, come al solito? » le chiese, una volta giunti davanti al ritratto di Barnaba il Bardo.
« Uhm » Rose si esibì in una faccia pensosa piuttosto divertente. « Direi di sì, Malfoy ».
« Bene » annuì Scorpius, facendo per andarsene. Invece, si fermò dopo appena due passi e si guardò attorno con aria circospetta: appurato che non ci fosse nessuno, tornò rapidamente sui suoi passi e le scoccò l’ennesimo bacio sulle labbra già arrossate.
« Potevano vederci… » mugugnò lei, girandosi mentre lo faceva anche lui e andandosene verso la Sala Comune dei Grifondoro.
« Potevi provare a vederci tu » sospirò appena Scorpius, a voce talmente bassa che nessuno lo sentì. « Tu ».

Quando rientrò in Sala Comune, la prima cosa che vide fu Lynda seduta sulla poltrona accanto al camino prontamente girata verso la porta. Probabilmente lo stava aspettando – effettivamente si era attardato più del dovuto, visto che sarebbe dovuto essere tornato già da più di mezz’ora.
Maldetta Rose – pensò, avvicinandosi poi all’amica, un sorriso a trentadue denti sul viso affilato.
« Lyns! » optò anche per il nomignolo che le aveva affibbiato al primo anno, quando erano diventati amici, e che ormai usava praticamente solo quando aveva qualcosa da farsi perdonare. « Meravigliosa creatura, cosa ci fai qui tutta da sola? »
Lynda inarcò talmente tanto le sopracciglia che esse minacciarono di scomparire all’attaccatura dei capelli. Poi rispose, ironica: « Stavo aspettando un coglione ».
« Se non fossi al corrente del tuo profondissimo amore nei miei confronti e della tua enorme stima di me e della mia intelligenza, potrei pensare si tratti di me » sorrise sfacciatamente, prima di sedersi sul bracciolo della poltrona dove stava la ragazza – la quale, come al solito, dovette spostarsi un po’ verso l’altro per permettere all’amico di sedersi con lei. « Grazie, Lyns ».
« Muori » borbottò lei, socchiudendo le palpebre e stendendo le labbra rosee in un’espressione calma.
« Ti voglio bene anche io ».
« Mmh ».
« Lyns? » la chiamò ancora lui, dopo qualche secondo di assoluto silenzio – da parte loro, ovviamente: il resto della Sala Comune, quel pomeriggio, era più in fermento del solito. Lei girò parzialmente il collo, voltandosi così con il viso verso di lui e abbozzando un sorriso sbilenco.
« Sì, Scorpius? »
« Ti sei mai innamorata di qualcuno? Davvero, dico » le chiese, cercando di non mostrarsi troppo serio o demoralizzato – e ci riuscì bene: dopotutto era Scorpius Malfoy, no?
Lynda si portò una mano al lato della testa, il gomito affondato nel morbido tessuto della poltrona. Scorpius la guardò, trattenendosi dall’insistere e metterle fretta. « Non credo. Perché? » domandò poi, inquisitoria.
Lui sviò: « Pensi che faccia male? »
« Sinceramente? Sì ».

 

*


Holaaaaaaaaaaaa.
Non ero morta, vedete? Okay, so che magari molti di voi volevano già vedermi stecchita, ma ehi, facciamo le corna :P Ora, seriamente, buonasera (o buongiorno, buonanotte, buon pranzo, buon quel che vi pare).
Capitolo per niente pieno ma al contempo pieno. Sta a voi decidere! Qui non siamo ancora nel vivo della storia – mi duole dirvelo, ma se cercate rose e fiori avete sbagliato finestra XD –, anche perché non ho idea, sinceramente, di quanto dovrebbe essere lunga.
Be’, se dura tanto peggio per voi! ;P
No, dai. Ringrazio un saccaccio, comunque, le 28 persone che seguono questa storia e le 8 che la preferiscono. Mi fate sentire amata, non avete idea ç__ç
Tanto amore,

Eralery-che-ora-va-a-guardari-Glee-perché-tanto-domani-non-la-interrogano-in-Scienze-perché-la-volta-scorsa-ha-preso-8+
*Si fomenta ed evapora – davvero*

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Where the story ends ***


the story ends

A Sil-Tef,
volevi Stribililli, no?

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Capitolo VI

Where the story ends

But this is how the story ends,
or have we just begun.
The Fray.

Sala Grande.
22 settembre 2022, pranzo.

« Stribililli! » esclamò Skandar, storpiando il suo cognome – forse volontariamente – e sedendosi davanti a lei al tavolo dei Grifondoro, mentre Albus lo affiancava per parlare con la sorella. « Come va la vita? »

« Molto meglio » rispose, muovendo un po’ la forchetta nel piatto – Skandar la guardava, accigliato, ma finse un sorriso raggiante quando la ragazza alzò gli occhi su di lui. « Quando non ci sei ».

« Divertente, Stribililli » commentò il ragazzo, prima di prendere la propria forchetta ed infilzare un pezzo del pollo che la ragazza aveva nel piatto – Margaret sgranò gli occhi, basita. « Buono » annuì dopo aver masticato con vigore la carne. « Proprio non riesco a capire perché non lo mangi ».

Margaret sbiancò di colpo e boccheggiò un attimo, prima di sporgersi verso di lui – non prima di aver lanciato un’occhiata all’amica per accertarsi che non avesse sentito nulla – e sibilare: « Devi stare zitto. Muto. Se provi a… dirlo ancora una volta, giuro che ti affatturo. Intesi? »

« Intesissimi, Stribililli » sogghignò Skandar, prima di stringersi nelle spalle. « E tu devi mangiare. Intesi? »

« Io faccio quello che mi pare » sbottò la ragazzina, con occhi furenti.

« Benissimo, allora lo farò anche io. E sai ora cosa mi va di fare? Di parlare con la piccola Potter! »

Le guance della ragazza si imporporarono di rabbia, e subito dopo la punta della sua scarpa lo colpì proprio sullo stinco, facendolo piegare appena verso la parte offesa del proprio corpo. Tuttavia, Skandar sogghignò ancora, con aria divertita.

« Quanta passione, ragazzina! » esclamò, massaggiandosi con una mano il ginocchio.

« Quanta rabbia vorrai dire, deficiente » rimbrottò lei, riducendo gli occhi a due fessure.

« Come vuoi, Stribililli, ora mangia » disse allora Skandar, facendosi serio tutto ad un tratto. 

« No » ribatté lei – più che altro per contraddirlo, e lui dovette accorgersene.

« Senti, ragazzina » iniziò quindi. « Devi smetterla di fare la cretina » - si fermò un attimo - « Oh, ho fatto una rima! Comunque, stavo dicendo? Ah, sì. Dicevo: smettila di fare la cretina, perché non porta a niente, okay? Uno cerca di aiutare e lei fa la stupida. Merlino, mi fai quasi ridere » - poi abbassò la voce per farsi sentire solo da lei - « Cazzo, Stebbins, sei pelle e ossa. Più ossa che pelle, addirittura, forse. Anche una mosca ha più carne di te. Quindi, ora, mangia. E non fare tanto quella faccia, so il tuo cognome, non ti montare adesso » concluse, ghignando appena.

« Non mi sto montando » ribatté lei, velocemente, in fondo molto toccata dal discorso del ragazzo, sentendosi di punto in bianco più strana del solito – strana, non più lei, e tante strane idee nella testa: idee che non le sarebbe piaciute, idee che forse sarebbero piaciute a Nott, però.

Margaret lasciò scivolare la propria mano sinistra sotto al tavolo, e si tastò la gamba, scoprendola effettivamente un po' spigolosa. Senza quasi nemmeno farlo a posta, lanciò uno sguardo alla caraffa di metallo che aveva davanti: effettivamente il suo viso era molto magro – lo si vedeva anche in quella superficie un po' distorta. 

Raccattò in fretta la sua roba, gettandola senza riguardo nella borsa a tracolla, e si alzò veloce dal tavolo.

« Devo andare » mormorò appena al ragazzo, uscendo a passo rapido dalla Sala Grande.

Si alzò la camicia della divisa fino al seno, fissandola al ferretto del reggiseno per non farla scendere, e si fece scivolare la gonna scura lungo le gambe. Quindi, dopo aver preso un profondo respiro, si posizionò davanti allo specchio del dormitorio.

(Era sicura che non sarebbe entrato nessuno: aveva detto a Lily di dire ai professori che non si sentiva bene – e comunque la porta l'aveva chiusa con la magia, tanto per essere sicuri).

Il riflesso che le mandò indietro lo specchio non era esattamente come si ricordava. 

Margaret aveva sempre visto troppa carne su quei fianchi che ora si accorgeva essere diventati anche eccessivamente magri; le gambe erano sottili, e i muscoli e le ossa si potevano intravedere da sotto la pelle chiara. 

Con le mani si accarezzò il ventre – si era girata di profilo – cercando di non dare ascolto alla voce dentro la sua testa che le diceva che era giusto così, perché lei, così, era bella. Rabbrividì sentendo quanto le ossa fossero sporgenti, sentì gli occhi inumidirsi quando, finalmente, si vide per quello che era davvero – sotto i due paia di pantaloni che usava per nascondersi -: un mucchio di ossa e pelle sottile.

Si sentiva come fatta di vetro e carta straccia. Ossa di vetro – fragili, piccole, deboli – e pelle di carta straccia – morbida, sottile, fredda e chiara.

Lily la ritrovò e l'abbracciò dopo qualche ora: raggomitolata ai piedi dello specchio, le gambe strette al petto e la schiena – la vertebre si vedevano benissimo – scossa dai singhiozzi, con le guance nascoste tra le ginocchia e rigate da grosse lacrime, la pelle delle gambe graffiata in alcuni punti e i capelli sparsi e pieni di nodi. 

« Va tutto bene ».


*



Dormitorio femminile Grifondoro, quarto anno.
23 settembre 2022, sera.

« Ecco... ».

Lily posò una piccola porzione di pasticcio sul comodino dell'amica – nonostante tutto, Margaret continuava a mangiare poco, e Lily, anche se non ci era passata, sapeva che fosse già un passo avanti -, che non si alzava dal suo letto dalla sera prima, se non per andare in bagno o guardarsi allo specchio – una volta, rientrando in camera, Lily l’aveva vista accarezzarsi il ventre piatto, e aveva avuto paura, dal suo sguardo, che Margaret ci fosse ricaduta. Ufficialmente, aveva la febbre; ufficiosamente, stava cadendo a pezzi, sia dentro che fuori.

Margaret si rigirò sotto le coperte per poterla guardare e sorriderle appena. A Lily parve di sentire il proprio cuore stringersi in una morsa d'impotenza, e per questo si sedette sul bordo del letto dell'altra.

« Ehi » la chiamò, e Margaret girò la testa verso di lei – gli occhi erano ancora arrossati, notò Lily con un sospiro trattenuto appena in tempo. « Va tutto bene, Meg ».
« Perché è così difficile? » domandò Margaret, con la voce pericolosamente incrinata. « Farlo per la prima volta è stato facile ».

Lily imprecò mentalmente contro la sorella di Margaret, il cui commento, due anni prima, aveva iniziato a insinuare dubbi nella mente dell’amica, che era caduta nel baratro dopo quasi un anno. « Lo immagino, ma ora ne stai uscendo. Ce la puoi fare ».

« Non ne sono così sicura » ammise l'altra, stringendosi maggiormente tra le coperte vermiglie. Sembrava così indifesa, così piccola, e Lily avrebbe solo voluto abbracciarla, ma sapeva di doverle lasciare il suo spazio per riflettere – restandole però accanto, non l'avrebbe mai abbandonata.

« Non dire così » non si trattenne però dal dire Lily, serissima. « Tu ce la puoi fare, okay? Tu non sei così, tu sei forte. Puoi uscirne, e se avrai bisogno di qualcosa, ricordati che ci sono io. Okay? Sei la mia migliore amica, Meg ».

« Ti voglio bene, Lily. Sei la mia migliore amica anche tu » mugugnò Margaret, facendo uscire una mano pallida e magra dalle coperte per strofinarsi gli occhi nuovamente lucidi.

« Lo so » le sorrise Lily. « Mettiti seduta, ora. È l'ora della pappa ».

Margaret annuì, e, dopo un po' di secondi e qualche sforzo, si tirò a sedere sul materasso.

« Lily? »

« Sì? »

« Grazie. Di tutto ».

*

Biblioteca.
24 settembre 2022, mattina.

Biblioteca era un buon luogo per stare soli o comunque poter pensare in tranquillità – Dominique l’aveva sempre pensato. Con i suoi corridoi stretti e i banchi macchiati ogni giorno da chiazze d’inchiostro diverse, era forse uno dei posti più belli della scuola – parlando, ovviamente, di aspetto, più che altro. Per lei un po’ anche come posto in sé – tranquillo, calmo e pacifico.

Chelsie, seduta davanti a lei, iniziò di punto in bianco a raccattare le proprie cose e a buttarle visibilmente a caso nella borsa a tracollo. Dominique aggrottò le sopracciglia, perplessa.

« Che fai? » le chiese dunque, inclinando la testa di lato. Una piccola ciocca bionda scappò all’elastico, finendole davanti agli occhi, e lei provò a cacciarla via con uno sbuffo – cosa del tutto inutile, alla fine, perché il ciuffo le rifinì davanti agli occhi ancora una volta.

Chelsie arrossì appena sulle guance, e Dominique capì – Chelsie continuava ad arrossire sempre, ogni volta che doveva vedersi con Stephen.

« Devo vedermi con Stephen di sotto » rispose infatti, cercando di sistemarsi i capelli con le dita della mano sinistra. « Andiamo a fare un giro nel parco, visto che il tempo non è ancora orribile ».

« Capisco » sorrise Dominique. « E capisco anche cosa avete intenzione di fare » la provocò, guardandola alzarsi e sollevare il mento con aria altezzosa.

« Lalalalala, non ti sento! » mormorò, incamminandosi verso la porta della Biblioteca. Una volta arrivata lì, sollevò una mano in cenno di saluto e se ne andò.

Dominique scosse la testa, ridacchiando piano per non farsi sentire da Madama Holdbrok, la donna sulla sessantina che ora faceva da Biblioteca – la famosissima Madama Pince era andata in pensione giusto l’anno prima: era più permissiva della sua predecessora, ma comunque mal sopportava i rumori troppo forti, come quello di un libro che cade a terra e si rovina.

La ragazza riprese a leggere dal punto a cui era arrivata – anche se, in realtà, si era distratta già un paio di volte e sapeva che avrebbe dovuto rileggere quel paragrafo prima di andare a dormire –, cercando di concentrarsi.

Poi qualcuno, davanti a lei, batté una mano sulla sedia da dove pochi minuti prima si era alzata Chelsie.

« Posso? »

Era un ragazzo alto, con le spalle non troppo larghe e il viso leggermente tondo contornato da capelli scuri. Aveva degli occhi marrone scuro e lo stemma di Grifondoro appuntato sul mantello. Tuttavia, Dominique non l’aveva mai visto a lezione, perciò capì che doveva essere più piccolo di lei di qualche anno.

« Certo » rispose quindi, sorridendo con cortesia.

Il ragazzo le si sedette davanti, tirò fuori un libro – Erbologia, testo del sesto anno – dalla borsa e lo aprì sul tavolo. Dominique lo osservò un po’, incuriosita, e fece per tornare al suo libro quando il ragazzo, che doveva essersi accorto del suo sguardo, aprì nuovamente bocca.

« Sei Dominique Weasley, vero? » le chiese, alzando gli occhi dal libro.

« Già » annuì lei, lasciando ancora da parte gli altri tre paragrafi da leggere – comunque Antiche Rune non le era mai piaciuta. « E tu sei…? »

« Matthew Price » disse quello, sorridendo. Dopo qualche secondo, pensò che forse sarebbe stato meglio porgerle la mano, e quindi allungò il braccio sopra al tavolo.

Dominique la guardò e la strinse, sorridendo apertamente con aria sinceramente divertita.

« Non c’è bisogno di essere tanto formali » spiegò, alla sua occhiata perplessa.

« Oh » disse semplicemente Matthew. « Oh. Be’, lo terrò a mente per la prossima volta ».

« Come fai a dire che ci sarà una prossima volta, Price? » domandò Dominique, davvero curiosa, inclinando la testa di lato come era solita fare in certi casi.

« Perché ora devo davvero studiare che domani ho il compito di Erbologia. E poi c’è sempre una seconda volta, Weasley. Non te l’ha mai detto nessuno? »



*


Aula di Divinazione, lezioni del quinto anno.
24 settembre 2022, mattina.

Louis – la testa poggiata sulle braccia incrociate sul tavolino di legno intarsiato su cui era collocata una sfera di cristallo – nascose il viso alla professoressa per sbadigliare silenziosamente, facendo ridacchiare il suo compagno di dormitorio William. 

Mentre la Cooman decantava quel che si poteva vedere nelle sfere, Louis, dopo essersi stropicciato l'occhio destro con aria stanca, lanciò un'occhiata a William, che ricambiò con uno sguardo divertito ma al contempo annoiato.

L'amico si abbassò un poco – per fortuna si erano messi all'ultimo banco come al solito – e gli disse: « Mi spieghi perché facciamo ancora Divinazione? Sono un mucchio di cazzate » a bassa voce, in modo da non farsi sentire dalla professoressa – che in quel momento si era avvicinata, terrorizzata, ad una Tassorosso con gli occhi sgranati, predicendole la morte di un certo “criceto Billy”.

« Perché si può dormire. Che domande, Will » gli spiegò per l'ennesima volta Louis con un sogghigno. « Non senti come gli aromi afrodisiaci » - usò le parole della Cooman - « ti entrano in corpo, calmandoti e placando ogni tuo istinto malvagio? Non ti senti così pieno? Non senti l'Occhio Interiore? » finì con un risolino – che camuffò subito dietro un'aria assorta e concentrata quando la professoressa alzò gli occhi verso di loro.

« E che non lo sai » borbottò William, sprofondando nella propria sedia per nascondersi agli occhi della Cooman sfruttando la stazza del ragazzo davanti a loro. « Comunque. Poi mi accompagni in Guferia? Devo spedire una lettera a mia sorella ».

« Certo » acconsentì Louis, annuendo impercettibilmente. « Tanto anche io aspetto una lettera ».

« Oooh » - gli occhi di William si illuminarono di malizia ironica - « Ti sei fatto la ragazza? »

« Ovviamente » sospirò Louis, roteando gli occhi. « No, è solo mia cugina ».

William parve pensieroso, all'inizio, ma poi si accese di vivo interesse e gli chiese: « Ed è carina, questa tua cugina? »

Louis ridacchiò appena, nascondendo il volto tra le braccia prima di rialzarlo dopo poco. « Be', direi proprio di sì. Ha sangue Veela anche lei ».

« Me la presenterai, un giorno, vero? » gli chiese con fare retorico, sorridendo raggiante – William adorava l'altro sesso, davvero: ne era ossessionato e Louis l'aveva sempre trovato divertente ed esilarante. Tranne quando era stato nella “fase-Dominique”. Gli era dispiaciuto, in fondo, per la delusione che si era beccato William – Dominique, dopo averlo saputo, gli aveva sorriso laconicamente e gli aveva detto di essere già impegnata con un certo Coote –, ma sinceramente non avrebbe voluto l'amico come cognato. 

« Certo » acconsentì. « Ma ti avverto, è strana ».

« In che senso? »

« Allora » sbuffò Louis, cercando le parole giuste. « E' sveglia, nulla da dire, ma è lunatica come pochi. Cioè, peggio di Dominique. Gira sempre con uno strano laccio alla caviglia – quando ho cercato di toglierlo pensavo mi volesse sbranare. E... niente, basta, credo ».

« Non mi sembra tanto strana » constatò William, palesemente perplesso. « Tu esageri, mi sa. Comunque devi presentarmela il prima possibile, dev’essere proprio figa! » - all'occhiata in tralice di Louis si affrettò a correggersi - « Cioè, bella ».

« Meglio. Comunque credo potrai conoscerla presto, ma non aspettarti troppo... E non intendo per aspetto ».

« Che vuol dire che potrò conoscerla presto? » chiese – e gli occhi gli brillavano troppo, notò Louis con un moto di stizza: William si fissava troppo, non avrebbero dovuto intavolare il discorso.

« Niente » liquidò quindi il discorso. « Comunque hai una macchia sul naso. Assomiglia a un Gramo! »

« Signor Weasley! » li interruppe la voce della Cooman, scandalizzata. « Ormai, dopo tre anni, dovrebbe sapere che i presagi si possono vedere solo nei fondi del tè! » 

Yvonne Lefevre
Beaux-Batons, Francia

Louis Weasley
Hogwarts, Scozia.

Caro cuginetto,
ça va? Ad Hogwarts le cose comme vanno? 
Prima di passare alle cose importanti, j'ai una domanda! Sto migliorando un peu con l'inglese? Mi sto impegnando per il Torneo! Sì, faccio parte della squadra di Campioni. Non sei felice? Io sì, l'Inghilterra mi ha sempre incantata, anche se fa un freddo infernale.
Comunque, che mi racconti di bello? Dominique vuole partecipare al Torneo? Sinceramente non ce la vedo molto a partecipare a delle sfide molto rischioso – è troppo delicata, e comunque penso che non parteciperebbe mai e basta. 
Io voglio partecipare. Evidemment. Non ho tanta paura di quelle sfide – qui a Beaux-Batons a volte si è un peu competitivi, e cercare di primeggiare non è strano. Certains, di corpo assomiglio un peu a Dominique, ma sinceramente penso di avere giusto un peu in più di coraggio.
(Non glielo dire, però, Louis!)
Je vais, non ti trattengo oltre. Non vorrei mai avere sulla coscienza gli ormoni di qualche ragazza.
Avec affetto,
Y.



Louis Weasley
Hogwarts, Scozia

Yvonne Lefevre
Beaux-Batons, Francia

Yvonne!
Quanto tempo! No, non è vero, è passato poco più di un mese. Be', però a ben pensarci quasi due mesi sono tanti (lo sai che mi diverto ad arrotondare per eccesso).
Ma comunque, non mi va di contare. Contare è noioso, una vera palla – tanto ci sono quegli strani aggeggi babbani dove tu premi dei tasti e ti dà la risposta giusta in due secondi. 
Aspetta, però. Non è nemmeno di questo che voglio parlare. Sinceramente non so di cosa mi va di parlare, sto divagando perché non ne ho la minima idea. Vedi che Cervello (sì, con la 'C' maiuscola)? Nessuno ne ha uno simile (osa dire “per fortuna” e giuro che la prossima volta che ti vedo ti affatturo, anche se sei una ragazza e hai due anni più di me), perché io regno.
Comunque, mia carissima cugina, andiamo avanti, perché “qui non saranno ammessi sventolii di bacchetta” (non chiedere, è che a volte lo dice zio Harry e io non lo capisco – ha un umorismo tutto suo, quell'uomo). 
Quindi, passiamo alle cose importanti: vieni per il Torneo? Questa sì che è una bella notizia.
Ora sai che pensavo di fare? Di andare a parlare con Dominique e, magari, farle vedere questa lettera. Eh? Non sei d'accordo? Ahahahah! Ovviamente sto scherzando, stai calma e posa quella bacchetta (e smettila di fissare la lettera come se la volessi bruciare, per favore).
Sono d'accordo con te, però. Mia sorella è troppo pacata, poi, per partecipare a una cosa del genere – e poi secondo me sverrebbe solo a vedere un cadavere, figurati a vedere qualcosa di mostruoso... Domi è piuttosto fifona, ora che ci penso. Ma vabbé, alla fine sono problemi suoi (suoi, io sono un Cuor di Leone!).
Anche tu comunque non sei la persona più coraggiosa del mondo, eh. Più di Domi (e probabilmente più di molti miei compagni), ma scommetto che a tutta la popolazione maschile di Hogwarts (e Durmstrang e Beaux-Batons) piacerebbe senz'altro una tua comparsa nell'arena (sempre se ce ne sarà una, di arena) con una tutina succinta. Tranne Lorcan, forse (non te la prendere, ma sarebbe molto più interessato da una farfalla con tre ali che da una ragazza in vestiti succinti. Forse. È strano, quel tipo).
Ovviamente se vuoi la tutina te la trovo io. Sai che me la cavo, per certe cose. 
Ora ti lascio andare anche io (perché non sei l'unica che richiede la MIA regale presenza, cugina), e vado a cena, che oggi c'è il tacchino e io amo il tacchino. I TACCHINI CONQUISTERANNO IL MONDO.
Tacchini a parte, non vedo l'ora di vederti.
Il mitico e meraviglioso Re dell'Universo (alias: Louis Weasley)
PS: Se fai leggere a qualcuno questa lettera sei morta, nessuno deve sapere che mi manchi. Sembrerei troppo sdolcinato e la mia fama da meraviglioso crollerebbe a picco. E ciò non andrebbe bene. Stammi bene, cugina!



Yvonne Lefevre
Beaux-Batons, Francia.

Louis Weasley
Hogwarts, Scozia

È UNA FORTUNA CHE NESSUNO ABBIA UN CERVELLO COME IL TUO. Altrimenti la media d'intelligenza monde sarebbe decisamente troppo bassa. Comunque...
Cherie! Non mi aspettavo una risposta si vite. 
Ora non ho tempo io, ma devo dirti alcune piccole cose – rapide e concise.
1. Non ci penso nemmeno a mettermi una tutina: là da voi fa freddo e congelerei.
2. So che gli abiti succinti non ti piacciono, quindi non mi metterei in mano tua.
Mi manchi anche tu, ma ovviamente non lo dirà a nessuno (mentre dirò a tutti che IO manco a TE).

Con amore,
Y.

Louis Weasley
Hogwarts, Scozia.

Yvonne (che forse non arriverà ai diciotto anni) Lefevre
Beaux-Batons, Francia

Provaci e morirai.
Parola del Magnifico (e Intelligente, checché ne dica tu).
Poco (pochissimo) amore,
Il Meraviglioso.



Yvonne Lefevre
Beau -Batons, Francia.
Louis Weasley

Hogwarts, Scozia
Egregio signor Meraviglioso,

Mi duole informarla che lei non incuterebbe timore nemmeno ad un Gorgosprizzo.
Sincérement,
Y.

PS: si vede che conosco Lorcan Scamandro?
PPS: ovviamente il “mi duole informarla” è ironico: ci godo da morire.


Louis Weasley
Hogwarts, Scozia.

Yvonne Levefre
Beaux-Batons, Francia

Ti odio.



Yvonne Lefevre
Beaux-Batons, Francia.

Louis Weasley
Hogwarts, Scozia

Je t'aime trop.
Ora fila a studiare.

*


Dopo un altro giorno passato nel Dormitorio, Margaret si era lasciata convincere da Lily a mettere un piede fuori. « Anche solo per mangiare, ma esci » le aveva detto, e lei alla fine si era arresa; avrebbe però preferito una visita alle cucine, piuttosto che andare in Sala Grande, ma l'amica era stata irremovibile, poiché diceva che comunque un po' di compagnia non le avrebbe fatto male. Margaret aveva incassato il colpo in silenzio, limitandosi ad annuire impercettibilmente e poi seguirla fuori, con le gambe fasciate da due paia di pantaloni e il mantello sopra al maglione largo.

Si sentiva strana. Continuava a lanciarsi occhiate intorno con aria spaurita: aveva paura che qualcuno potesse essersi accorto del suo piccolo problema, e non voleva essere guardata o additata. Quando qualcuno – pochi, come aveva previsto Lily: non era strano ammalarsi, e poi ormai quasi tutti ricordavano Margaret magra com'era ancora – alzò gli occhi su di lei, magari salutandola con un cenno del capo o della mano, lei abbassò lo sguardo per puntarlo sulle punte delle proprie scarpe, borbottando qualcosa di simile ad un saluto.

Si sedettero vicino ad Hugo e Luke, come sempre, e Lily, che si era posizionata accanto a lei sulla panca, le strinse la mano piccola nella sua, che era un pochino più grande.

Lily aveva gli occhi grandi, grandi e belli. Aveva occhi che sapevano calmarti, sempre – tranne quando era arrabbiata, perché Lily Potter da arrabbiata faceva davvero paura – e in quel momento il suo sguardo era talmente comprensivo e pieno di affetto che Margaret si sentì in colpa per averla fatta preoccupare e per averle fatto male.

« Vi va un po' di patate arrosto, ragazze? » chiese Luke ad un certo punto, sorridendo allegramente – specialmente a Margaret: dopotutto gli era mancata, in quei giorni, così come anche a Hugo, che quando erano arrivate non si era risparmiato dal dirlo, facendo arrossire appena l'amica.

Lily guardò Margaret tentennare un attimo ed ebbe paura – paura che ci ricascasse, che si rovinasse ancora –, ma poi Meg annuì e rispose con un flebile: « Sì, grazie » e cacciò via tutte le sue paure, facendola sorridere.

Al tavolo verde-argento, sorrise anche Skandar Nott.

*



1 – il titolo è preso dall'omonima canzone dei The Fray. Ovviamente si riferisce a Margaret e al suo problema con il cibo. So che magari sembrerà affrettato, ma era già scritto che sarebbe finita così – è iniziata l'anno prima, al massimo metterò una shot a parte in una raccolta :). La canzone comunque merita tanto, la potete trovare qui.

 

Note:
Sinceramente penso che il capitolo ci commenti da solo.
Margaret ne sta uscendo, Dominique ha incontrato Matthew, e finalmente scopriamo qualcosa di piccolo su Yvonne.
Nel prossimo capitolo, però, avrete Yvonne in carne ed ossa.
E tranquilli, il prossimo capitolo è quasi del tutto pronto, spero di postarlo entro due settimane o anche entro il tre luglio.
Le recensioni ho notato che si stanno abbassando, ma spero in un risollevamento :)

Au revoir (per restare in tema di francese e francesi),
Er

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Capitolo 8
*** VII - Durmstrang e Beaux-Batons ***


 

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Capitolo VII

Durmstrang e Beaux-Batons

 

AVVISO AGLI STUDENTI

Le delegazioni di Durmstrang e Beaux-Batons arriveranno alle 6 in punto di sabato 1 ottobre. Le lezioni termineranno con mezz’ora d’anticipo. Gli studenti riporteranno borse e libri nei rispettivi dormitori e si riuniranno davanti al castello per salutare i nostri ospiti prima del Banchetto di Benvenuto.

 

« Scorpius, vieni! » esclamò James tra la folla che si accalcava verso l’uscita – Scorpius ci mise qualche secondo ad individuarlo, in quella massa di teste disposte in file ordinate. « Su, muoviti! » chiamò ancora, beccandosi un’occhiataccia dal professor Paciock, il Capocasa di Grifondoro.

Scorpius, dopo aver afferrato Lynda per un braccio, si fece largo tra gli altri studenti delle varie case, cercando di raggiungere gli amici. Lynda, dal canto suo, lo seguiva tranquillamente, ormai abituata a quella confusione e a tutto il resto.

Raggiunsero James e Logan dopo poco e si posizionarono accanto a loro, soddisfatti dal fatto che la disposizione di benvenuto volesse che Corvonero si trovasse proprio alla destra di Grifondoro, permettendo così loro di poter parlare comunque.

In cielo c’era ancora il sole, ovviamente un po’ più freddo dell’inizio dell’anno, ma non solo quello, notarono i quattro con sgomento: una grossa carrozza di un blu polveroso – era davvero enorme, sembrava quasi una casa giusto un po’ più piccola – si librava in aria, trainata da dei cavalli alati dal manto dorato e lucente, e si dirigeva verso uno spiazzo d’erba, dove Hagrid si stava sbracciando per farsi vedere – poi corse via, quando la carrozza fu troppo vicina, per evitare di restarci, mentre le prime file di studenti arretravano rapidamente.

« Okay » disse Logan, senza staccare gli occhi dalla carrozza – che in quel momento atterrò con un fracasso assordante, mentre i cavalli scuotevano le lunghe criniere dorate. « questa non me l’aspettavo ».

« E chi se l’aspettava? » chiese Lynda, retorica, facendolo ghignare appena.

« Io lo sapevo, mio padre mi ha raccontato dell’ultimo Tremaghi » disse invece Scorpius, con un’alzata di spalle, notando con una certa inquietudine che gli zoccoli d’oro erano grandi quanto i piatti da portata d’argento di sua nonna – o forse anche più grandi, ma non aveva una gran voglia di controllare.

« Anche a me l’ha raccontato mio padre » annuì James, « però dal vivo è ancora meglio »

Una volta che la carrozza si fu definitivamente fermata sul largo spiazzo d’erba che – gli studenti l’avevano capito in quel momento – era stata sgombrata per il suo arrivo, Lynda fece appena in tempo a vedere il blasone di Beaux-Batons, che, mentre la Preside Sprite avanzava verso la carrozza, la porta di questa si aprì. Ne uscì un ragazzo dai capelli scuri e vestito di un azzurro pallido, che balzò giù e si curvò e trafficò per poi far comparire dei gradini dorati di mirabile fattura. Dopodiché, il ragazzo arretrò e si accostò ai gradini, mentre dalla porta usciva nuovamente qualcuno.

Stavolta si trattava di una donna bassa e mingherlina, dai capelli neri e lucidi raccolti in una crocchia raffinata dalla qualche sfuggivano alcune ciocche, che la signora aveva lasciato ad accarezzarle i lati del viso dalla carnagione olivastra. Era vestita in maniera semplice, con gonna dello stesso colore dall’abito del ragazzo e la giacca in tinta. Anche senza guardare il blasone della scuola appuntato sulla giacca, gli studenti capirono facilmente che si trovavano davanti alla Preside di Beaux-Batons.

« Preside Chevalier! » esclamò infatti la Sprite, avvicinandosi all’altra donna con passo sicuro ed un sorriso radioso sul viso. « Benvenuta! »

« Oh, mi chiami anche Odette » rispose la Preside straniera, sorridendo di rimando e stringendo la mano che l’altra le stava porgendo. « Lei deve essere la professoressa Sprite, justo? » chiese poi, con un accento palesemente francofono.

« Esattamente » sorrise Pomona. « Hogwarts le dà il suo benvenuto. A lei e ai suoi studenti ».

La professoressa Chevalier si illuminò a quelle parole, e, dopo averla ringraziata, disse: « A questo proposito, ecco i miei studenti » ed indicò di nuovo la porta della carrozza con aria orgogliosa.

Gli studenti quindi spostarono gli occhi nella direzione indicata loro dalla straniera, proprio mentre un gruppo di ragazzi – saranno stati poco più di una dozzina – scendeva dalla carrozza. Vestiti solo delle loro divise di seta leggera e dall’aria morbida, tremavano tutti come foglie, chi più chi meno. Non erano abituati al clima inglese, si capiva perfettamente, e guardavano Hogwarts chi con preoccupazione chi con sguardo deciso.

Anche la Sprite, però, si accorse del tremore degli studenti – e anche della professoressa Chevalier, anche se quello di quest’ultima era molto più moderato. Infatti disse: « Vuole entrare a scaldarsi assieme alla sua delegazione? »

L’altra parve molto indecisa – probabilmente voleva aspettare anche lei la delegazione di Durmstrang –, ma alla fine annuì e lasciò che la professoressa Vector accompagnasse lei e i suoi studenti verso il castello vuoto.

« Ora voglio davvero vedere l’arrivo di quelli di Durmstrang » stava dicendo un Grifondoro al ragazzo accanto a lui, che annuì subito dopo.

« Se non fosse un’occasione speciale, direi di non essere d’accordo con lui » ci tenne a precisare James, lanciando un’occhiataccia all’ignaro ragazzo.

« Come mai? » gli chiese Lynda, mentre Logan e Scorpius iniziavano a ridacchiare e quest’ultimo borbottava qualcosa che assomigliava davvero molto ad un “Povero ragazzo”.

James fece per rispondere, ma proprio in quel momento la superficie sempre liscia del Lago Nero iniziò ad incresparsi, mentre un suono forte e anche un po’ misterioso iniziò a farsi sentire. Poi, quasi al centro del Lago, apparve un vortice, e da esso iniziò ad affiorare un palo nero, seguito dalle sartie.

« Quella sarebbe… una nave? » tentò Logan, un po’ scettico, ed effettivamente poi dalle acque emerse una nave dall’aria scheletrica, che, dopo essere emersa del tutto, cominciò a scivolare verso la riva.

Poi si udì un tonfo, come di qualcosa di pesante che affondava e toccava il fondo del Lago con un botto, mentre una passerella dall’aria stabile ma un po’ vecchia veniva abbassata sulla riva, sotto lo sguardo sorpreso e un po’ perplesso degli studenti di Hogwarts. Dalla nave iniziarono a scendere alcuni ragazzi – le ragazze erano davvero poche, notò Lynda –, i cui passi rimbombavano sulla passerella di legno scuro. Loro, al contrario dei francesi, non tremavano, ma indossavano dei mantelli dall’aria anche troppo calda per un clima come il loro – infatti uno degli stranieri si allentò il colletto della giacca con l’indice e il medio della mano destra.

In fondo agli studenti, un uomo più alto e con un cappotto pregiato camminava a pochi passi di distanza, con il viso alto. Dopo aver seguito i propri studenti un po’ più vicini agli inglesi, quello che doveva essere il Preside di Durmstrang si schiarì la voce e si avvicinò alla Sprite.

« Buona serata, frau » salutò – ed aveva una voce roca e bassa. « Lei dovere essere professoressa Sprite, sì? » tentò poi, stringendo la mano della Sprite, che scosse la testa e sorrise.

« Professoressa Sprite, sì » annuì, bonaria. « Spero che lei e i suoi studenti vi troverete bene qui ad Hogwarts, signor Poliakoff ».

« Sì, sperare anche io » convenne, poi chiese: « Ora io dove dovere portare i miei studenti? »

« Nella Sala Grande » rispose l’inglese, continuando a sorridere con allegria – poca gente, a conti fatti, l’aveva effettivamente vista tesa o arrabbiata. « Il professor Lumacorno vi accompagnerà, non è così? »

« Oh, ma certamente, certamente! » esclamò l’interpellato, con un sorriso tutto denti sul viso tondo e che ricordava vagamente quello di un tricheco. « Mi segua » fece ancora, avvicinandosi a Poliakoff e precedendolo lungo la strada che portava al Portone.

Quando gli stranieri iniziarono ad andarsene, la Sprite si girò verso i propri studenti. « Spero vi comporterete bene » disse. « Ora, in Sala Grande ».

 

*

 

« Che ne pensi? » chiese Logan, salendo i gradini della scalinata principale, alzando un po’ la voce per farsi sentire in quel caos.

Erano appena usciti dalla Sala Grande insieme a molte altre persone; la Preside aveva concluso da quasi dieci minuti il suo discorso sul Torneo Tremaghi. Avevano finalmente visto il famigerato Calice di Fuoco – una grande coppa di legno rozzamente intagliata colma fino all’orlo di danzanti fiamme blu e biancastre.

Era stato un banchetto davvero memorabile – condito anche da un Hugo che si metteva nel piatto una delle tante pietanze straniere preparate per l’occasione dagli elfi domestici e che poi finiva quasi con lo strozzarsi –, alla fine del quale la Sprite aveva presentato agli studenti Percy Weasley e Terence Higgs, il primo a capo dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale e il secondo a capo dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici, che a quanto pareva avevano lavorato assieme per mettere a punto il Torneo.

La Sprite aveva parlato del Torneo, spiegandone i pericoli e i doveri di un Campione. Dopodiché, aveva sorriso come suo solito e li aveva mandati ognuno verso il proprio Dormitorio.

« Non lo so » rispose sinceramente James, stringendosi nelle spalle. « Sto pensando di mettere il nome del Calice, lo sai » - James ignorò lo sbuffo esasperato e canzonatorio dell’altro.

« Quindi vuoi davvero proporti ».

« Certo che sì! » rispose James, sorridendo, deciso. « E spero davvero di venir scelto. Magari se uno ha un genitore che è stato Campione ha delle possibilità… »

« Potrebbe darsi » convenne Logan, che però non era del tutto convinto. « Ti ci vedo, Campione di Hogwarts. Perderesti, ovviamente, ma ti ci vedo ».

« Ti prego, insegnami ad essere simpatico come te! » rise James, salendo due gradini al posto di uno.

« Fidati, non ne saresti in grado » ribatté Logan, superandolo senza difficoltà. « Chi altro pensi che metterà il suo nome nel Calice? »

James rallentò il passo, passando da un ritmo veloce ad uno più calmo e lento, riflettendo bene sulla risposta da dare. Sinceramente non ne aveva idea: erano tanti, i maggiorenni, ad Hogwarts – ne facevano parte anche alcuni che frequentavano solo il sesto anno. E James non avrebbe saputo dire con certezza chi avrebbe messo il suo nome nel Calice. Ciò lo innervosiva un po’, anche.

« Non lo so » si risolse a rispondere dopo un po’. Prima non ci aveva mai pensato, aveva solo pensato a mettere il proprio nome nel Calice, ed era certo che sarebbe stato scelto. Dopotutto, perché non sarebbe dovuto venir scelto?

Forse perché ci sono tipo altri cinquanta studenti che vorrebbero venir scelti a loro volta– si rispose da solo, sarcastico e un po’ abbattuto.

Perché se c’era una cosa da sapere su James Potter, era che per certi versi era davvero un ragazzino un po’ lunatico. Bastava poco a farlo felice, ma anche ad abbatterlo. Lui non era come Logan, che non si faceva abbattere da nulla e tirava dritto, sicuro di sé. Lui non era nemmeno come Scorpius, che era una delle persone che James rispettava di più, che si mostrava impassibile ad ogni commento maligno sul suo cognome. Lui era solo James, un ragazzo a cui serviva poco per toccare il cielo ma a cui ne bastava altrettanto per sprofondare.

Logan però parve accorgersi del fatto che l’amico si era immerso in pensieri non molto piacevoli – James aveva l’abitudine di increspare le labbra in una smorfia, quando non era dell’umore migliore.

« Tutto bene, amico? » gli chiese infatti Logan, senza smettere di sorridere – come sempre, effettivamente: James si chiese se per caso non glielo avessero dipinto in faccia, quel sorriso.

« Sì, perché? » provò a ribattere, tentando di mostrarsi convincente.
Non dovette riuscirci granché, vista l’espressione scettica di Logan.

« Perché sembra che tu abbia ingoiato un limone, ecco perché » gli spiegò, per un attimo serio, prima di sorridere di nuovo. « Dai, che succede? »

« Niente, te l’ho detto! » rispose James, con un po’ troppa enfasi – e forse stizza, ma Logan ormai c’era abituato, quindi sorvolò. Dopotutto James si arrabbiava spesso e facilmente, non era una novità, prendersela sarebbe stato inutile e controproducente. « Secondo te, invece? »

« Secondo me cosa? »

« Secondo te chi vuole proporsi come Campione » disse James, che in realtà stava solo cambiando volontariamente argomento. Non era del tutto sicuro che Logan non se ne fosse accorto, comunque.

« Oh. Uhm » stavolta fu il turno di Logan di farsi pensieroso. « Sai che non lo so nemmeno io? Forse Diane, o magari quel McGuinness di Tassorosso… »

« Non ce lo vedo, McGuinness, come Campione » se ne uscì James, sincero. « E Diane… Non so, mi sembra più un tipo che riflette e poi agisce. Certo, tranne per quando ti ha piantato senza pensarci due volte » finì con un ghigno.

Diane Corner era un argomento spinoso, per Logan. A conti fatti, infatti, era l’unica ragazza ad averlo lasciato; erano stati insieme cinque mesi, ma poi lui ad una festa, ubriaco, aveva baciato un’altra, e lei l’aveva piantato. A molti era sembrata una scelta avventata, mentre Logan, che sul momento non ci aveva capito granché, il giorno dopo rimase di sasso nel vedere Diane flirtare palesemente con un suo compagno di Casa.

Come previsto, dunque, Logan s’indispettì, ma non pensò nemmeno per un secondo di smettere di sorridere.

« Meglio per te, no? » domandò, retorico.

« Direi proprio di sì ».
 

*

 

Al contrario delle aspettative, Lily aveva dormito molto bene. Era stato un sonno lungo e senza sogni – un sonno del tutto tranquillo, in poche parole – e Lily si sentiva più rilassata che mai. Dopo aver parlato con le amiche, aveva appoggiato la testa sul guanciale ed i pensieri erano volati via come se niente fosse.

Non c’erano state serate estive, o occhi azzurri, o capelli biondi. C’era stato solo il calore delle coperte unito alla morbidezza del cuscino, null’altro.

Si era anche svegliata prima delle sue compagne di stanza, e questa sì che era una novità. Così come lo era, per lei, la Sala Grande semivuota, di mattina – ma d’altronde erano solo le otto ed era domenica.

Aveva giusto incontrato sua cugina Dominique nell’Atrio, che andava verso il Parco, e Molly per i corridoi del settimo piano. Margaret e le altre dormivano ancora, probabilmente, mentre prima che suo fratello James si svegliasse sarebbero probabilmente passate le dieci. Per Albus magari bastavano le nove.

Sorridendo tra sé, Lily afferrò la caraffa del succo di zucca e se ne versò un po’ nel calice che aveva accanto al piatto. Riposò la caraffa e fece per prendere in mano il bicchiere, quando qualcuno le picchiettò un dito – probabilmente un indice – sulla spalla destra.

« Sì, sono liberi » disse tranquillamente, scambiando il nuovo arrivato per uno studente che voleva sedersi lì.

Capì di essersi sbagliata quando, alle sue spalle, qualcuno scoppiò a ridere.

E lei conosceva bene quella risata.

« Ah, Lysander, sei tu ».

« Già, sono io » rispose lui, girando attorno al tavolo per andare a sedersi di fronte a lei. « Ti dispiace? »
« Sì » rispose lei, scherzando. Non era dispiaciuta che Lysander si fosse avvicinato – se l’era anche aspettato, ad essere sinceri –, ma la sua presenza la metteva in agitazione, e Lily, sotto il suo sguardo leggero e un po’ imbarazzato, si sentiva tutta in subbuglio.

« Immaginavo » sorrise in risposta Lysander, prendendo una fetta di pane e spalmandoci sopra della marmellata di albicocche. « Però posso restare qui, no? »

Lily sollevò lo sguardo dal libro che aveva appena aperto – più per non guardarlo negli occhi che per altro, ma quel progetto era già andato a farsi benedire. « Certo che puoi restare qui, Lysander ».

Guardandolo negli occhi, Lily capì che solo quella piccola frase gli aveva tolto un gran peso.

Beato lui– pensò con acidità, sentendo la strana tranquillità di quella mattina che pian piano l’abbandonava.

« Grandioso » esclamò lui, dando un morso al pane. « E possiamo anche parlare? »

Lily aggrottò le sopracciglia, sorseggiando un po’ del suo succo, notando che dal portone iniziava già ad entrare qualche altro studente.

« Direi di sì » rispose quindi, iniziando a sentirsi più nervosa di prima. « Di cosa vorresti parlare? » chiese poi, fissando gli occhi in quelli di Lysander.

« Io - » Lysander fece per rispondere – e, dannazione, Lily sapeva perfettamente cosa stava per rispondere –, ma poi sembrò cambiare idea. Infatti le sorrise con la solita premura che le aveva sempre riservato e rispose in un inglese perfetto, anche se reso un po’ più particolare dall’accento francese: « Io non lo so. Di quel che vuoi tu, Lily ».

Lily ringraziò Luna e Rolf per aver messo al mondo un ragazzo come Lysander, che sapeva cosa dire e, in caso, quando dirla. Era una dote piuttosto rara, ormai. E poi ora era stato lui a toglierle un gran peso: per quanto necessitasse rispose e spiegazioni, non voleva parlare di quel che era successo alla festa estiva di Roxanne. Nonostante tutto, non si sentiva ancora pronta ad aprire un discorso sull’argomento.

Il momento giusto sarebbe arrivato, e Lily sentiva che non era quello. E probabilmente l’aveva capito anche Lysander.

« Uhm, bene » mugugnò quindi, sentendosi subito più calma e spaventandosene un po’ – perché Lysander era in grado di farla sentire prima tranquilla, poi calma, poi di nuovo tranquilla? La cosa non le piaceva, si sentiva poco padrona di se stessa – ma probabilmente, rifletté, era solo perché erano amici di vecchia data, e rivedersi in certe circostanza e dopo certi avvenimenti non poteva rendere il riavvicinamento più semplice. « Ti piace Hogwarts? » si risolse a chiedergli, seguendo il suo esempio e preparandosi una fetta di pane con la marmellata – rigorosamente diversa da quella di Lysander.

« Pensavo piacesse anche a te la marmellata di albicocche, sai? » rise Lysander, che quindi doveva aver notato la sua scelta di sapore – ed effettivamente Lily aveva sempre preferito la marmellata all’albicocca. « Comunque Hogwarts mi piace, sì. E’ davvero bella, e ha un non so ché di misterioso. Lorcan ieri sera continuava a dire che questo è il posto più pieno di Gorgosprizzi che abbia mai visto ».

Stavolta fu Lily a ridere di gusto, gettando la testa all’indietro come faceva sempre. Lorcan era davvero la persona più matta e fuori di testa che lei avesse mai conosciuto, ma sì, lo adorava. E anche se aveva passato tutta l’infanzia a casa Scamander, Lorcan riusciva ancora a stupirla, con le sue stranezze.

« E come mai dice così? » chiese a Lysander – che da parte sua aveva allargato il proprio sorriso, scoprendo una fila di denti bianchi.

Lysander si strinse nelle spalle, versandosi del latte. « Non so, poi magari glielo chiedo » le rispose, e bevve un sorso di latte. Aggrottò la fronte, poi affermò: « Meglio quello francese ».

Stavolta fu lei ad aggrottare la fronte, perplessa. « Lysander, è latte » gli fece notare, guardandolo come se avesse appena sbattuto forte la testa a terra. « Non credo che cambi molto, tra il latte francese e quello inglese. Sinceramente penso che non cambi proprio niente ».

« Dipende tutto dalle mucche, invece » ribatté lui, con l’aria di chi la sa lunga.

« Ah, be’, se lo dici tu » sospirò Lily, divertita. In quel momento si ricordò perché Lysander le faceva quell’effetto: perché era lui, che aveva sempre avuto un certo ascendente su di lei, e la faceva sorridere in qualunque modo, perché la faceva sentire bene ed era sempre così gentile.

Tranne quando te ne vai senza dire niente.

Don’t wanna close my eyes

Don’t wanna fall asleep,

‘cause I’d miss you, baby.

(“I don’t wanna miss a thing”, Aerosmith)
 

*

 


Era appena uscita dal castello, diretta alla carrozza di Beaux-Batons per andare a prendere la cugina – con cui aveva appuntamento di lì a cinque minuti davanti alla capanna di Hagrid –, quando notò che quest’ultima le stava già venendo incontro.

Yvonne aveva ancora la divisa leggera della sera prima, ma aveva ben pensato di mettersi un maglione sopra la camicia candida. Aveva legato i capelli in una coda, e ora stava camminando verso di lei, mentre i raggi di quel sole d’ottobre donavano alle sue ciocche dei riflessi quasi dorati. 

« Non dovevamo vederci vicino alla carrozza? » chiese Dominique, quando Yvonne le si fermò davanti.

Questa sorrise, arricciando le labbra in un sorriso di circostanza. « Faceva freddo » rispose quindi – a Dominique a volte veniva un po’ da ridere per la sua pronuncia palesemente distorta dal suo essere francese. « Preferivo venirti incontro ».

« Certo che la vostra divisa è proprio leggera… » considerò Dominique, osservando la gonna di stoffa leggera ed azzurra che arrivava un po’ sopra al ginocchio di Yvonne.

« No, è il clima inglese che è freddo » ribatté Yvonne, facendole poi cenno di riprendere a camminare. « In Francia si sta benissimo ».

« Immagino. Com’è la carrozza? » le domandò poi, per cambiare discorso e fare conversazione. Yvonne le stava simpatica – anche se aveva qualche mania di superiorità, e questo le dava un po’ fastidio –, ma a volte parlare con lei si rivelava piuttosto difficile. Non aveva mai capito bene perché: che poi, con lei, parlava anche abbastanza. Non era un tipo che parlava poco, Yvonne, e quando lo faceva non smetteva più, ma a volte non si riusciva proprio a farle spiccicare parola. A Dominique faceva ridere, quella sua parlantina particolare, e a volte invidiava suo fratello, che riusciva sempre a mettere a suo agio Yvonne – avevano un rapporto tutto loro, Yvonne e Louis. Non era un bel pensiero, lo sapeva, ma a volte aveva come l’idea che suo fratello tenesse più ad Yvonne – ogni volta che lo pensava, però, poi si sentiva in colpa.

« Oh, bella » rispose Yvonne, sorridendo. Aveva un bel sorriso, Yvonne, e davvero un bel viso – e dovevano averlo notato anche i due ragazzini del terzo anno che avevano appena incrociato nell’atrio. « Un jorno, comunque, mi devi far vedere il castello » le disse poi, guardandosi attorno.

« Certo! » le sorrise Dominique, raggiante, mentre si avviavano verso la Sala Grande. « Magari questo pomer - ». Dominique non riuscì a finire di parlare che qualcuno la chiamò da poco lontano e a voce decisamente alta.

Si girò rapidamente verso la scalinata principale, da cui era arrivato l’urlo, e vide suo cugino James che la guardava e camminava verso di loro a passo rapido, mentre Logan, dietro, rideva spudoratamente ogni volta che l’altro sembrava in procinto di cadere o di urtare qualcun altro.

« Ehi » la salutò, fermandosi appena in tempo per non andare a sbattere contro le due ragazze. Poi si accorse di Yvonne, che lo osservava con un sorrisino sardonico sulle labbra – Dominique si appuntò mentalmente di chiederle il perché di quel sorriso – e, dopo un attimo di stordimento, le porse la mano. « James Potter, piacere! » si presentò dunque, sorridendole.

Per un attimo Dominique credé di aver visto il sorriso della cugina congelarsi su quelle labbra rosee, ma poi Yvonne si riprese e strette la mano che James che le stava porgendo.

« Yvonne, la cujina di Dominique, piascere » si presentò di rimando lei, ricambiando il sorriso.

« Io invece sono Logan » disse l’ultimo arrivato, affiancando l’amico. Aveva un sorriso largo e allegro – anche malizioso, notò Dominique, mentre, sicuro di sé, porgeva la mano ad Yvonne.
Anche lei parve notare quel luccichio nello sguardo del ragazzo, ma sorrise anche a lui, appena più rigidamente che a James, e strinse anche la sua mano. « Yvonne, piacere ».

Logan annuì tra sé, senza smettere di sorridere – sembrava quasi un gatto soddisfatto, con quell’espressione. « Piacere mio » ghignò appena, mentre James, accanto a lui, tratteneva a stento una risatina e Dominique sorrideva, divertita.

Anche Yvonne sorrise – o meglio, pensò Dominique, ghignò –, prima di rivolgersi alla cugina.

« Dom, io vado a vedere se sc’è Louis » le disse, prima di fare due passi all’indietro e poi girarsi per entrare in Sala Grande.

Dominique la guardò fermarsi poco dopo il portone e guardarsi attorno alla ricerca di Louis; poi dovette trovarlo, perché partì alla carica verso il tavolo di Corvonero. Dominique si sentì di nuovo un po’ gelosa, ma capì subito di non averne motivo: suo fratello le voleva bene, ma comunque non vedeva Yvonne da più di un mese, perciò era normale che non vedesse l’ora di rivederla.

« Sembra simpatica » disse James, quando Yvonne fu scomparsa del tutto e non poteva più sentirli.

Dominique strette un attimo le labbra e si trattenne dal guardarlo bieco, limitandosi ad annuire e sorridere: « Abbastanza, sì ».

« Molto bella, complimenti alla madre » disse invece Logan, e James e Dominique scoppiarono a ridere.
 

 

Non si accorse di Yvonne finché lei non gli si sedette davanti, facendo spostare un William Corner – che l’aveva guardata e la stava guardando con gli occhi aperti. Fu appunto il suo amico che scalava di posto a fargli alzare gli occhi dal piatto.

Sua cugina Yvonne era lì, di fronte a lui, e lo osservava, le braccia incrociate sul tavolo e gli angoli delle labbra puntati verso l’alto. Louis sorrise istantaneamente, mentre lei ridacchiava sotto lo sguardo perso di William.

« Yvonne! » esclamò, allegro – forse in maniera un po’ poco virile, ma Yvonne sorvolò su questo e a William sembrava interessare di più la pelle di sua cugina.

« Bonjour » ridacchiò lei, afferrando del pane dal piatto del cugino. « Come va? »

« Oh, tutto bene » rispose, e fece per chiederlo a lei, quando William gli lanciò un’occhiata e si schiarì la voce per attirare la sua attenzione. « Sì, uhm, stavo parlando con il mio amico. Lui si chiama Wi- »

« William Corner, piacere! » lo interruppe William, attirando l’attenzione di Yvonne e porgendole la mano.

« Oh! Yvonne, piacere mio » si presentò lei, per la terza volta quella mattina, sorridendo al ragazzo.

William annuì, allargando il proprio sorriso, per poi girarsi soddisfatto e guardando il piatto che aveva davanti. Di tanto in tanto lanciava delle occhiate alla ragazza, ma lei sembrava completamente presa a parlare con Louis.

« Oggi hai da fare? » le stava chiedendo quest’ultimo, mangiando la propria fetta di pane e burro e zucchero. « Perché in caso potremmo fare un giro per il parco » le propose, dopo pochi secondi.

« Mi dispiace, Lou, l’ho già promesso a Dominique » rispose Yvonne, sinceramente dispiaciuta. « Domani per te va bene lo stesso? »

« Domani ho la giornata un po’ piena, magari martedì. Che ne dici? » chiese ancora. Un po’ gli dispiaceva: non vedeva Yvonne da più di un mese, avrebbe voluto passare del tempo con lei prima di ributtarsi nelle pagine dei libri scolastici. Però, rifletté, alla fine andava bene anche un pomeriggio tra un compito e un altro.

« Ti do la conferma questa sera, che dovrebbero darsci gli orari delle lezioni ».

« Perfetto » le sorrise Louis, bevendo un po’ di succo di zucca.

« Ora vado, che ho lasciato Dominique con suo due amisci e ora dovrei tornare da lei » disse la ragazza, indicando poi il portone con la mano destra – Louis e William, infatti, videro Dominique che parlava con James Potter e Logan Hopkins. «Sci vediamo più tardi, oui? »

« Oui, oui, mon cherie » la prese in giro Louis, sbattendo le ciglia con fare civettuolo.

Yvonne, alzandosi dalla panca, rise, per poi salutarli. « A dopo, quindi. Piacere di averti conosciuto, William » li salutò, raggiante, prima di incamminarsi verso la cugina – che, quando tornò, le sorrise e la fece sedere al tavolo dei Grifondoro assieme anche a Logan e James.
 

*

 

I know you see me lookin’ at you

And you already know

I wanna love you.

 
Rose Weasley non era una stupida, questo era noto. Faceva cose stupide, ma lei non lo era affatto. Scorpius a volte si chiedeva perché volesse comportarsi in quella maniera, ma non aveva mai trovato una risposta valida. Magari semplicemente le andava di non farsi prendere troppo sul serio, o magari neanche se ne rendeva conto.

Tuttavia, a Scorpius Malfoy non interessava poi granché. A lui Rose Weasley piaceva comunque – gli piaceva tanto, ad esser sinceri. Era stata la sua prima cotta: aveva undici anni e davvero sperava di riuscire a farsi notare da lei; poi, durante il secondo anno, a San Valentino, quando gli aveva confessato di provare qualcosa per lei, Rose era scoppiata a ridere e lui si era offeso a morte. Parliamoci chiaramente, però: Rose Weasley non era stata la sua unica cotta, era stata la prima, basta. Dopo di lei c’erano state tante cotte e anche la storia con Julie Foster, una Tassorosso del loro stesso anno.

Ma poi Rose era tornata, semplicemente.

E, a dire il vero, lui non sapeva nemmeno come. Semplicemente, durante i suoi vari salti alla Tana a Natale, era scattato qualcosa; perché tra una battuta e un commento comunque non riusciva a spostare gli occhi da quelli di Rose, e a volte si era incantato a guardarle le labbra e il modo che aveva di mordersele quando era nervosa – quasi sempre, quindi.
Poi era accaduto tutto piuttosto velocemente. Era la festa di James, lui probabilmente aveva alzato un po’ il gomito – come d’altronde la maggior parte dei partecipanti alla festa – e la mattina dopo si era ritrovato in un letto assieme a Rose Weasley e ad un mal di testa di proporzioni stratosferiche.

Non ci aveva neanche pensato granché, quando era scoppiato a ridere davanti alla goffa proposta di Rose. Non aveva rifiutato, perché se anche solo glielo aveva chiesto voleva dire che un po’ le interessava – era effettivamente palese, visto come lo cercasse spesso in giro o trovasse un pretesto qualunque per rivolgergli la parole, o una battuta sarcastica come la maggior parte delle volte.

E a lui piaceva Rose, e magari, aveva pensato, sarebbe stata la volta buona.

Spesso desiderava non aver mai accettato, perché da quella sera si era complicato tutto. Sul serio. Non nel senso che fosse difficile mantenerlo segreto: a riguardo aveva molti più problemi Rose, mentre per lui non era un’impresa tanto complicata far finta di nulla davanti agli altri.

Il lato negativo della faccenda era che Scorpius non aveva mai pensato a cosa poteva comportare una relazione – se così si poteva chiamare – di quel genere. Perché Rose, quando stava con lui, era anche più lunatica del normale: prima era la perfetta immagine dell’indifferenza o del fastidio, poi si scioglieva tra le sue braccia mentre la baciava, e dopo tornava ad ostentare un’indifferenza ed un’indisposizione piuttosto poco credibili.

In poche parole, Scorpius si era fregato da solo, accettando la proposta di Rose. Rose aveva definito la loro relazione come “senza impegno”, ma, per quanto ricordasse Scorpius, da quando questa era cominciata nessuno dei due si era fatto vedere con qualcun altro, e questo lo lasciava da una parte perplesso e dall’altra soddisfatto. Perplesso perché allora non capiva la ragazza, soddisfatto perché era la prova evidente che Rose provasse davvero qualcosa per lui – che, però, magari era semplice attrazione.

« A cosa stai pensando? ». La voce di Lynda lo distrasse da quei pensieri, facendogli sollevare gli occhi verso l’amica, che era seduta davanti a lui e mangiava il proprio pranzo con aria distratta.

« Uhm? Ah, a niente, perché? » sviò lui il discorso, e Lynda inarcò le sopracciglia.

« Ti eri imbambolato » gli fece quindi notare, prima di ghignare. « A cosa stavi pensando, Scorpius? »

« Davvero, niente di importante » le sorrise lui, leggermente impacciato. Odiava il modo che Lynda aveva di metterlo in soggezione: inarcava le sopracciglia, poi sorrideva con fare cospiratorie e poi, con qualche domanda ben posta, lo faceva capitolare. Era un genio del male, quella ragazza, davvero.

« Stai mentendo » considerò casualmente lei, infilzando un altro pezzo di spezzatino con la forchetta ed alzando poi lo sguardo su di lui. « Come mai stai mentendo? »

« Non sto mentendo! » ribatté Scorpius, offeso, ma più che altro infastidito da come Lynda riuscisse a capire così facilmente quando mentiva e quando no. « Perché dovrei farlo? »

« Sì che stai mentendo, e secondo me tu sai anche perché » gli sorrise ancora lei, divertita. « È per Rose, per caso? »

Scorpius, che aveva appena iniziato a bere dell’acqua, per poco non si strozzò.

« Che cosa? » domandò a voce un po’ troppo alta e calamitandosi addosso delle occhiate perplesse. Lui si schiarì la voce e poi la abbassò notevolmente. « Di cosa stai parlando? »

« Oh, non fare il finto tonto » gli disse Lynda, sorridendogli, divertita. « Non fate altro che lanciarvi occhiate struggenti. A furia di guardarvi così tanto penso che dovrete iniziare a pagare il canone ».

« Non è ve- » - Scorpius si bloccò all’improvviso. « Pagare il che? »

« Roba babbana, lascia stare » liquidò il discorso la ragazza, continuando imperterrita a mangiare. « Comunque? »

« Va be’ » sbuffò Scorpius, prima di risponderle: « Comunque niente, ti sbagli, io e la Weasley non ci guardiamo in alcun modo e non dovremo pagare questo catone ».

« Canone » lo corresse Lynda, spiccia. « E tu mi stai nascondendo qualcosa, ma tanto scoprirò di cosa si tratta e lo sai anche tu » gli sorrise infine, concentrandosi poi sul proprio piatto, mentre l’amico sbuffava, esasperato e divertito allo stesso tempo.
 
 
 

 

 

 
Note:

Questa volta ho postato presto, visto? Nemmeno una settimana, un record! Ci tengo ad informarvi, però, che domani parto e prima di sabato non credo avrò di nuovo internet, ma quando avrò la chiavetta spero di aggiornare una volta alla settimana.

Comunque. Direi che è un capitolo anche piuttosto pieno – almeno secondo me, ma io so già, e quindi per me è davvero pieno. Ad esempio, sono comparsi due nuovi personaggi e abbiamo scoperto chi era il francese di Lily: Lysander.

Probabilmente chi mi conosce un pochino se lo immaginava già, ma ora ne ha l’assoluta certezza!

La citazione nel pezzo di Lily e Lysander, comunque, è, come già detto, “I don’t wanna miss a thing”, mentre quella per Scorpius non lo so, l’ho trovata in internet e non mi va, sinceramente, di cercare la fonte. Vi dico solo che non è mia XD

Il banner mi piace abbastanza – e , ho cambiato presta volto a Lily per la terza volta: ora è Margarita Masliakova. L’altra è Yvonne, il cui prestavolto è la bellissima (almeno per me) Dianna Agron.

Il capitolo è dedicato a Hayley Black, la mia SvergognataH preferita, che mi ha aiutata molto durante la stesura. Mailov, ti lovvvvvoh. <3

Ultimo ma non meno importante, ho notato che il feedback continua ad abbassarsi: posso chiedervi di battere un colpo, se ci siete? Grazie

Ora scappo, che devo finire di preparare la borsa – leggasi: caricare Photoshop sul portatile e salvare foto e ff a manetta! XD

Ci si sente presto, magari nella mia pagina, QUI.

Ora vado davvero, giuro!

Xoxo

Gossip Girl Eralery  ♥

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Capitolo 9
*** VIII - Reversals of Fortune ***


Capitolo VIII

 

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Hogwarts, aula in disuso del terzo piano

8 ottobre 2022
Mattinata
 
Quella mattina era stata svegliata esageratamente presto dal rumore di un gufo che beccava contro il vetro della finestra accanto al suo letto; quando si era alzata ed aveva aperto, poi, aveva fatto per prendere la busta su cui oltretutto era scritto il suo nome, ma l’animale le aveva morso un dito. Perciò aveva dovuto prendere una maglietta a caso per terra – probabilmente Roxanne l’avrebbe uccisa, una volta scoperto ciò, visto che apparteneva a lei – e, mentre chiudeva le dita sulla lettera, aveva cercato di colpire il gufo con l’abito. Lo aveva mancato, ma quello aveva mollato la presa sulla lettera e, dopo essersi lanciati vicendevolmente un’occhiataccia, Rose aveva richiuso la finestra.
Si era quindi riseduta sul letto disfatto ed aveva aperto la busta con le dita. All’interno c’era un foglio in cui Scorpius le chiedeva disordinatamente di vedersi al terzo piano alle dieci. Ed erano le nove, quindi Rose non si era sentita minimamente in colpa nel maledirlo mentre si chiudeva in bagno con la divisa e si preparava.
Era uscita dal dormitorio verso le dieci meno cinque, quindi avrebbe dovuto sbrigarsi; solamente che era troppo stanca – non poteva svegliarla alle nove, non di sabato – per mettersi a correre.
E mentre apriva la porta dell’aula, Rose aveva Scorpius seduto sul banco accanto alla finestra, in prima fila. Sentendo la porta aprirsi, lui si era voltato di scatto ed alzò la mano in cenno di saluto.
Rose aveva capito subito che non si trattava di un incontro come gli altri.
 
« Ci hai pensato seriamente? » le domandò prima ancora che lei potesse salutarlo o avvicinarsi, facendola fermare di botto sulla porta. Rose non capiva di cosa stesse parlando. « A noi due, intendo ».
Rose non riuscì ad aprire bocca, e cercò di prendere tempo chiudendosi la porta alle spalle e lanciando un Muffliato per non farsi scoprire. Quando si girò nuovamente verso di lui, Rose non poté non incrociare lo sguardo di Scorpius per almeno un attimo; lui aveva uno sguardo serio, e Rose pensava che se avesse sollevato lo sguardo lui le avrebbe praticamente guardato dentro. Perché Scorpius riusciva a dare l’impressione che ti stesse leggendo dentro, quando ti guardava, e Rose non ci si era ancora totalmente abituata.
« Cosa vuoi dire? » gli chiese di rimando, appoggiando la schiena alla porta e non lasciando la presa sulla maniglia. Per orgoglio, si costrinse ad alzare il viso nella sua direzione, scoprendolo così a guardare il nero della lavagna.
« Di noi due, Rose, te l’ho detto » le rispose lui, girando il viso verso di lei. Aveva i capelli biondi che gli sfioravano il viso e la fronte, notò Rose senza pensarci. « Di questa situazione » - Scorpius allargò le braccia, come ad abbracciare ciò che lo circondava, prima di posare i palmi delle mani dietro di lui, sul banco. « Dimmelo, ci hai mai pensato davvero? »
« Parla chiaro » disse lei, non riuscendo ancora a capire dove volesse andare a parare. « Cosa c’è che non va? »
Scorpius scoppiò a ridere sonoramente, e sembrava che trovasse tutta la situazione divertente sul serio, perché la sua non era una risata forzata – Rose si chiese come facesse lei ad esserne così sicura.
« Mi stai davvero chiedendo cosa c’è che non va, Rose? » domandò lui, dopo aver smesso di ridere. « Merlino, e me lo chiedi anche? Dimmi cosa c’è che va, facciamo prima! »
Rose sentì il sangue affluirle leggermente alle orecchie, e, dal lieve sorriso che increspò le labbra di Scorpius, capì che si erano arrossate.
Ma lo aveva sempre saputo, alla fine. Dentro di sé, da qualche parte, Rose aveva sempre saputo che prima o poi avrebbero dovuto affrontare quella situazione. A volte diventava insostenibile anche per lei – perché voleva chiudere tutto quanto, ma poi non ce la faceva e ricominciava ad andare da lui e a baciarlo e a non capire più il perché di tutto ciò.
Non potevano andare avanti così, non per molto. Pensandolo, Rose sentì lo stomaco stringersi e si trattenne appena dal piegarsi in avanti.
Intanto, vedendo che Rose continuava a restare in silenzio, Scorpius riprese a parlare: « Io non ce la faccio più. Non… è tutto diverso, quando siamo con altre persone. Quando siamo soli sei… una Rose, ma altrimenti sei un’altra persona. E io non riesco a capire quale sia la vera Rose » - poi ridacchiò, scuotendo la testa. « Forse neanche voglio saperlo. Voglio solo sapere… a te sta bene questa situazione? »
Rose non sapeva bene cosa dire; si sentiva la gola asciutta e la lingua attaccata al palato, mentre mille parole si accavallano nella sua mente e nessuna sembrava adatta alla situazione in cui si trovava. A lei andava bene quella situazione? Non riusciva a dare una risposta a ciò. Era come se ogni volta che stesse con Scorpius perdesse una parte di sé, quella che riusciva a rispondere alle risposte, quella razionale, quella senza la quale si sentiva persa. La maniera in cui Scorpius la faceva sentire… lei non avrebbe saputo spiegarla: non riusciva a pensare coerentemente, e sentire il suo cuore battere contro il suo era come una specie di certezza, perché lui era lì, era vivo e, Rose lo sapeva, le voleva bene. Forse più di quanto potesse immaginare, più di quanto gliene volesse lei. E si sentiva bene, perché poi, quando lui le accarezzava i capelli e le baciava le labbra, Rose non sarebbe voluta andare via.
Eppure lo faceva, Rose se ne andava sempre. E sapeva, Rose, che non poteva continuare a prendere e non ridare mai nulla indietro; perché sarebbe arrivato il giorno in cui Scorpius avrebbe detto basta, e a lei non sarebbe rimasto nulla.
E lei non sapeva cosa fare, perché era in quei momenti che comprendeva quanto Scorpius ormai fosse radicato da qualche parte dentro di lei. Ma lei non si sentiva ancora pronta a dire tutto quanto ad alta voce, e Scorpius aveva solo bisogno di quello.
Scorpius aveva bisogno di qualcosa che lei, almeno per quel momento, non avrebbe saputo come dargli.
« A me… » iniziò, ma poi richiuse la bocca, perché capì.
Capì che Scorpius non stava parlando per lei, ma, per la prima volta, stava parlando per sé. Non gli andava più bene, ecco cosa c’era che non andava. L’unica cosa che Rose non sapeva era se fosse stanco di lei o della situazione. Forse…
« No, non mi sta bene ». Quando capì di aver pronunciato lei quelle parole, capì di aver detto la verità. E di aver detto la cosa giusta, a quanto pareva, perché Scorpius le aveva sorriso con quel sorriso gentile che dispensava in giro e che a lei rivolgeva di nascosto.
« Neanche a me ».
« Lo so ».
Scorpius le sorrise di nuovo, alzandosi dal banco ed avvicinandosi a lei. Tuttavia rimase a qualche passo di distanza, e Rose, sebbene se lo aspettasse, ci rimase male. Pensava che si fosse tutto sistemato, che fosse tutto a posto… ma, nonostante stesse sorridendo, negli occhi di Scorpius si leggeva chiaramente che si era sbagliata, perché non bastavano tre parole a riaggiustare tutto.
« Rose… » cominciò infatti Scorpius, mentre lei voltava il capo verso la lavagna. « Penso che dovremmo pensarci. Tu… non sei pronta, ma io non voglio rimanere il tuo ragazzo segreto, mentre gli altri ragazzi possono guardarti e sorriderti. Non posso, capisci? Mi dispiace, però non ce la faccio più ».
Rose lo guardò, sorpresa. Scorpius non aveva nulla – nulla – di cui scusarsi. Il problema non era lui, affatto: lui era sempre stato gentile con lei, l’aveva sempre trattata bene, l’aveva fatta sentire importante… e lei non aveva mai fatto niente per lui. Scorpius non doveva scusarsi, eppure lo stava facendo, e Rose si sentì ancora peggio.
« Senti - » provò a dire Rose, ma Scorpius la bloccò di nuovo, sorridendole.
« Non dire niente, okay? » disse lui, stringendosi poi nelle spalle. « Io non ho fretta. Solo… fammi sapere cosa vuoi fare. Perché se per te è tutto uguale, se per te è come se non fosse successo niente… allora voglio saperlo, perché così non perderò più tempo. Ti ho rincorso per quanto tempo, Rose? Almeno questo me lo devi ».
Glielo doveva, è vero. Aveva ragione. Rose ricordava ancora il messaggio che le aveva mandato a San Valentino al Secondo Anno, o anche le volte in cui era stato lui a venire da lei senza farsi vedere e chiederle scusa dopo aver litigato. Era sempre stato lui quello ottimo, quello perfetto; lei aveva solo fatto scelte sbagliate, ferendo, Rose lo capì in quel momento, una persona che le voleva bene davvero e si accontentava comunque.
« D’accordo, Rose? »
Sì, glielo doveva.

Sometimes the one we’re taking
Changes every one before

*

 

Biblioteca
Pomeriggio
 
Fuori dalla finestra accanto al suo tavolo, il sole moriva dietro le montagne che circondavano il castello, pronto a cedere il proprio posto ad uno spicchio di luna argentata.
Molly, che aveva preso un posto lontano dalla bibliotecaria per poter incrociare le gambe sulla sedia in libertà, sospirò, la guancia premuta contro il palmo della propria mano. I suoi occhi castani si erano persi ormai da un po’ in quell’arancione rosato che colorava il cielo al tramonto, mentre intanto lei faceva un resoconto della giornata appena trascorsa.
Prima c’era stata la sua compagna di Dormitorio, Holly, che si era messa a cantare dalla gioia in camera di mattina presto, felice perché il ragazzo che le piaceva l’aveva invitata ad Hogsmeade; Molly, nonostante gli svariati tentativi, non era più riuscita a riprendere sonno e si era dovuta alzare di controvoglia.
Dopo, si era scontrata per i corridoi con sua sorella Lucy, e ci era mancato poco che rovinasse rumorosamente a terra; si era rimessa in sesto rapidamente, lanciando a sua sorella un’occhiataccia, a cui l’altra rispose con altrettanto astio.
Era poi andata a fare colazione, già eccessivamente provata per le nove di mattina; durante il pasto, veniva continuamente urtata da due ragazzi del sesto che si mangiavano la faccia a vicenda e la mandavano a sbattere contro la ragazzina del terzo accanto a lei.
Come se non bastasse, aveva appena piovuto, e quindi non poteva neanche andare a sedersi alla base del grande salice vicino al Lago Nero; la cosa non fece che peggiorare il suo umore più nero della soffitta della Tana di notte e senza luce.
Alla fine, facendole capire che quella giornata era nata per essere la peggiore della sua vita, a pranzo il suo amico Michael le si era seduto e le aveva dato la bella notizia: sarebbe andato ad Hogsmeade con Mandy Hawkins, una Tassorosso tutta miele e zucchero – quel giorno Molly tendeva a calcare molto sui difetti delle persone – del quarto. Ovviamente si era mostrata felice per Michael, ma in realtà l’unica cosa che avrebbe voluto fare era andare dalla Hawkins e staccarle la testa a morsi.  
Ma ovviamente non aveva potuto farlo, e si era dovuta sorbire mezz’ora di chiacchiere incessanti su quanto Mandy fosse dolce, carina, gentile, simpatica, disponibile – e di nuovo carina, gentile, simpatica, dolce e disponibile. Dopo mezz’ora aveva deciso di averne abbastanza e se n’era andata dalla Sala Grande in maniera molto dignitosa, con la testa bassa e i capelli che sembravano un piccolo nido di rondini.
Uscita dalla Sala Grande, era corsa nel bagno del secondo piano – Mirtilla, che lei aveva subito mandato a quel paese senza tante remore, continuava a spaventare e irritare la gente che ci entrava – si era chiusa in un cubicolo, sbattendosi la porta alle spalle con una forza che poi si era stupita di possedere. Infine aveva abbassato la il coperchio del water, l’aveva pulito con un incantesimo e ci si era seduta, iniziando a piangere come una scolaretta qualunque alla prese con la sua prima cotta – cosa che effettivamente era.
Aveva scioccamente pensato fino all’ultimo che Michael si accorgesse che anche lei, diamine, era una ragazza e si riscoprisse perdutamente innamorato di lei. E invece lui aveva in testa quella bionda da quattro soldi di Tassorosso – il fatto che fino a qualche giorno prima la trovasse molto intelligente e carina era un futile dettaglio.
Aveva capito di provare qualcosa per Michael – il suo migliore amico – alla fine dell’anno precedente, quando l’idea di tre mesi senza di lui l’aveva fatta sentire dannatamente male. Si erano tenuti in contatto per tutta l’estate, ovviamente, per telefono e per lettera – a volte addirittura usando il contuper portatile di sua madre, visto che Michael era un Nato Babbano –, ma le era mancato così tanto che aveva avuto tutto il tempo per immaginarsi sposata con lui con tre figli. Quando l’aveva rivisto a malapena era riuscita a trattenersi dal saltargli in braccio.
Molly aveva deciso di provarci, a fargli capire che provava qualcosa per lui.
E poi, come in tutte le storie d’amore del mondo, era spuntata Mandy Hawkins, la carissima cotta di Michael, che aveva prontamente distrutto tutti i suoi castelli in aria.
Si era sentita addirittura tradita, quando lui le aveva parlato della Tassorosso. Tranne una volta al terzo anno quando le aveva quasi ucciso tutti i neuroni a forza di parlare di sua sorella Lucy – Molly era rimasta allibita nel scoprire chi piaceva al suo amico –, Michael non le aveva mai parlato di altre ragazze; c’era sempre stata lei, lei e basta. Vedere una ragazzina qualunque che la spodestava in quel modo la mandava su tutte le furie.
Oltre ai dolci occhi nocciola, ai capelli biondi, alla taglia in più di reggiseno, alla sua innata gentilezza, cos’aveva Mandy Hawkins più di lei? Molly neanche voleva pensarci, alla tragica risposta che chiunque le avrebbe dato; si era limitata a sbattere la fronte contro la porta del cubicolo sino a farsi male.
L’unica cosa che Molly poteva vantare di avere in più di Mandy era un anno di età.
Pensa tu che gran cosa– aveva pensato sul momento, più depressa che mai.
In quel momento aveva deciso di odiare tutte le bionde del pianeta – non le importava minimamente che tra queste ci fossero anche Victoire e Dominique, o sua zia Fleur, o nonna Emily1.
Poi si era ricordata che la sorella maggiore di Michael aveva anche lei i capelli biondi, e questo da una parte l’aveva fatta redimere, perché si trattava della sorella di Michael, dall’altra aveva aumentato questo suo astio, sempre perché si trattava della sorella di Michael.
Sto impazzendo – era stato il suo pensiero, mentre si alzava dal water e si asciugava gli occhi con il dorso delle mani.
Si era diretta verso la Biblioteca con passo rapido, sapendo che a quell’ora era certamente poca la gente che si aggirava per i corridoi, preferendo ammassarsi nelle Sale Comuni o nei Dormitori.
E alla fine si era seduta lì, a gambe incrociate, mettendosi a fissare il tramonto anziché studiare come avrebbe dovuto fare – non che le importasse molto, in quel momento, delle rivolte belliche del folletto Zug lo Zotico.
« Sapevo di trovarti qui! » la voce di Michael la fece sobbalzare.
Quando si girò verso di lui, Molly dovette trattenere l’impulso di iniziare a prenderlo a calci e pugni con tutta la forza che poteva, solo per fargli male quanto lui ne aveva fatto a lei.
« Okay » rispose lei, mettendosi composta sulla sedia e iniziando a sfogliare il libro di Storia della Magia.
Michael aggrottò le sopracciglia, spaesato. « Che succede? »
« Niente » lo liquidò lei, acida.
Michael sorrise appena.
« Perché sei arrabbiata? »
« Delle cose ».
« Quali? »
« Non sono affari tuoi » ribatté piccata, alzando lo sguardo su di lui per gelarlo con un’occhiataccia.
Michael sbiancò ed annuì. « Oh » esalò alla fine, tornato al suo colore di pelle naturale. « Ho capito. Quelle cose ».
Santo cielo– si lamentò mentalmente Molly. Perché i maschi pensano sempre che se sei arrabbiata hai il ciclo?
« No » sospirò alla fine Molly, passandosi una mano sulla fronte, mandando tutti i buoni propositi di ignorare Michael a farsi benedire. « Dai, che hai fatto fino ad ora? »
Non che mi interessi.
Lui si illuminò all’istante, sorridendo con l’aria di chi ha appena toccato il cielo con un dito.
« Oh, sono stato un po’ con Mandy! È così gentile! »
Ma no, me l’avrai ripetuto solo quarantatre volte.

 

What can you do when your good isn’t good enough?
 
*

  

Atrio
Pomeriggio inoltrato

 
Non appena la vide scendere la scalinata principale e dirigersi verso il Portone d’Ingresso, Logan scattò rapidamente nella sua direzione, affiancandola in qualche lunga falcata. Attirò la sua attenzione con un « Buongiorno » molto deciso, e lei si bloccò e si girò verso di lui, stupita.
« In realtà è quasi sera » gli fece notare, le sopracciglia inarcate in un’espressione di sincera perplessità.
« È così importante, Yvy? » replicò lui, ghignando e calcando sul nomignolo che le aveva affibbiato e che usava per richiamare la sua attenzione.
Yvonne mutò subito espressione: le sopracciglia si aggrottarono, e lei ridusse gli occhi a due fessure. Logan la trovava immensamente divertente, con le mani strette a pugno lungo i fianchi sottili e le labbra serrate.
« Non chiamarmi così, non ho cinque anni » lo redarguì, infastidita, non accennando però a muoversi. Logan la considerò come una vittoria personale. « E se li avessi, ti morderei le dita fino a staccartele ».
« Se vuoi mordere qualcosa, possiamo iniziare dalle labbra, però fai piano » ghignò lui, esibendosi in uno dei suoi sorrisi provocatori. « Yvy » aggiunse, giusto per il gusto di farla arrabbiare.
Aveva iniziato non appena l’aveva conosciuta – o meglio, dal pomeriggio di quello stesso giorno. Quando la vedeva, l’affiancava per parlarle e infastidirla; a volte la chiamava e basta, con un sonoro « Yvy! » cui la ragazza rispondeva con un’occhiata di fuoco. La situazione lo divertiva non poco, ed adorava vederla arrossire di rabbia; diventava ancora più carina, se possibile.
Non era il solito metodo che adottava per far colpo su una ragazza, però, questo doveva ammetterlo. Solitamente la invitava ad uscire, quella accettava dopo qualche sorriso smagliante o parola carina e, bam!, era fatta. All’inizio ci aveva provato anche con Yvonne, solo che non aveva funzionato; dopo qualche bel complimento, infatti, lei gli aveva semplicemente detto « Grazie » e se n’era andata.
La cosa gli aveva dato alla testa – in maniera positiva, perché le sfide gli erano sempre piaciute, ed Yvonne era la sfida perfetta. Bella, molto, e che sembrava non farsi incantare dai suoi sorrisini – Logan pensava che valesse la pena impiegare anche mesi, per conquistarla. Anche se sinceramente pensava ci sarebbe voluto un po’ meno.
« La vuoi smettere, Hopkins? » sbottò intanto Yvonne, riportandolo con i piedi per terra. La ragazza sembrava davvero, davvero infastidita, e la cosa gli piacque molto.
Logan sorrise come suo solito, baldanzoso, e si sporse appena verso di lei. « Sennò che mi fai? » la provocò, posando volontariamente il proprio sguardo sulle labbra rosee di lei per qualche secondo.
Il viso di Yvonne si distese, e la sua espressione si fece notevolmente più calma e tranquilla. Nei suoi occhi, notò con costernazione Logan, brillava una punta di divertita malizia. Lei fece un passo avanti, trovandosi così a pochi centimetri da lui, ed alzò il volto verso quello di Logan, accostando le labbra al suo orecchio sinistro.
« Sennò » cominciò in tono lascivo, sentendosi il respiro di Logan sul collo. « potrei usare il mio talento in Trasfigurazione per farti comparire un becco al posto del naso » concluse, riposando i talloni a terra e schiacciando con forza il piede destro del ragazzo, che si piegò appena verso di esso.
Logan, dopo un attimo di stordimento, rialzò lo sguardo su di lei, allibito. La ritrovò a ghignare nella sua direzione, con uno sguardo molto soddisfatto.
« Non oseresti mai » constatò Logan, sicurissimo, sebbene l’idea di un becco a deturpare il suo aspetto lo disturbasse notevolmente.
« Non mettermi alla prova, Hopkins » gli sorrise lei, incamminandosi verso il Portone, sicura di aver avuto l’ultima parola.
Al contrario delle aspettative, però, lui non gliela diede vinta e la chiamò con uno di quegli « Ivy! » detti ad alta voce e con il solito sorriso baldanzoso.
« Che c’è? » gli chiese, dopo essersi girata nella sua direzione.
Logan pensò che fosse effettivamente molto bella – non che non lo avesse già notato: perché stava perdendo tempo dietro a lei, altrimenti? –, anche con le sopracciglia bionde talmente inarcate che sembravano sul punto di sparire sotto ad un ciuffo biondo che era sfuggito alla coda e le era finito davanti agli occhi verdi.
« Nah, niente. Volevo solo farti vedere che ti darà anche fastidio il tuo adorabile nomignolo, ma ti giri comunque » disse semplicemente, stringendosi nelle spalle ed affondando le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa.
Yvonne scosse la testa. « Mi giro per minacciarti, Hopkins ».
« Non regge, Yvy » annunciò, scoppiando a ridere e tirando una mano fuori dalla tasca per salutare la ragazza. « Ci si vede! »

Blame it all upon
A rush of blood to the head

 
*

 

Sala Grande
Ora di cena
 
Si stava versando del Succo di Zucca nel bicchiere, quando avvertì qualcuno sedersi davanti a lei.
Dominique sollevò il proprio sguardo azzurro, incontrando quello marrone di Matthew Price, che le sorrideva con allegria. La ragazza sorrise a sua volta, mostrandosi sicura di sé, e, dopo aver bevuto qualche sorso dal proprio calice, gli domandò senza staccare gli occhi da quelli di lui:
« Non dovresti essere al tavolo dei Grifondoro, Price? »
Matthew rise, stringendosi nelle spalle. Poi si piegò verso di lei, e, guardandosi attorno come se le stesse dicendo un segreto importantissimo, le disse: « Ci controlla forse qualcuno? »
Dominique ridacchiò, tagliando il tacchino con il coltello e la forchetta. Dopo averne mangiato un pezzo, sorrise con tranquillità. « Come mai sei qui? » domandò ancora, con un ghigno appena accennato ed insinuante.
« Così » rispose semplicemente Matthew, servendosi con delle patate arrosto. « Perché, aspettavi qualcuno? »
Dominique non riuscì a trattenersi dal lanciare uno sguardo al tavolo di Grifondoro, prima di tornare a guardare Matthew, che nel frattempo si stava versando dell’acqua. « No ».
« Allora non ci sono problemi se resto qui, no? » le sorrise dopo pochi istanti, portandosi il bicchiere alle labbra. « Almeno ci teniamo compagnia a vicenda, visto che il mio amico mi ha scaricato per andare a provarci con una di Corvonero ».
« Oh, chi? » spiò Dominique, per chiacchierare.
« Ci sono cose che non si possono dire, Dominique » l’avvisò Matthew, sorridendo.
Dominique si trattenne dall’inarcare le sopracciglia, optando per un sorriso un po’ di circostanza. Pensandoci attentamente, a Dominique venne da credere che Matthew Price si fosse seduto lì solo per parlarle, e non perché un suo amico gli aveva dato buca. La cosa le parve molto tenera, e scoprì che non le importava poi granché se lui aveva un anno in meno: per quel che aveva potuto constatare, infatti, era un ragazzo simpatico e carino. Uno da tenersi stretto, avrebbe detto sua zia Hermione, eppure Dominique pensava che mancasse qualcosa. E non sapeva dire bene cosa: Matthew la faceva ridere, la faceva sentire bene, aveva un sorriso contagioso, d’aspetto era certamente molto carino.
Dominique non riusciva davvero a vedere che problema potesse esserci.
« Ad esempio? » gli chiese, dopo essere rimasta in silenzio per quasi un minuto.
Matthew, davanti a lei, sollevò gli occhi dal piatto e, puntandoli nei suoi, sorrise: « Se sono cose che non si possono dire… »
« Non si possono dire » completò per lui, con una smorfia leggermente infastidita.
« Esattamente » ammiccò, puntandole un dito contro con aria ammirata e divertita. Dopodiché, calò un breve silenzio, interrotto di tanto in tanto dalle posate che tintinnavano nel piatto.
Dominique continuava a lanciargli delle occhiate, per capire quale fosse il problema – sempre se era lui, il problema. Forse era lei, forse la sua miopia era peggiorata.
Ma alla fine non le importava più di tanto che Matthew potesse avere un difetto, tutti ne avevano uno, lei più di tutti; e poi non poteva essere un difetto così grande, se lei si sentiva allegra, lì, con lui, a sorridere e parlare come due vecchi amici che si conoscono da una vita. Matthew la metteva a suo agio – non che lei non fosse in grado di adattarsi, solo che lui sembrava essere nato con il mettere ad agio le persone –, e la sua compagnia non era di troppo.
« Tu pensavi di iscriverti? » le domandò d’un tratto Matthew, che aveva colto alcune chiacchiere delle ragazze accanto a loro – ma d’altronde in giro si parlava spesso del Torneo.
« Oh? » fece lei, spaesata e presa in contropiede.
Matthew ridacchiò, anziché arrabbiarsi. « Al Torneo, dico. Pensavi di iscriverti al Tremaghi? »
Appena lui pronunciò quelle parole, Dominique impallidì leggermente e si affrettò a scuotere la testa in segno di diniego. « Non ci penso neanche » rispose, risoluta.
« Morirebbe di paura » s’intromise una voce alle spalle di Dominique, facendola voltare di scatto mentre arrossiva leggermente sulle gote, punta nel vivo. « Non guardarmi così, Domi, sai che ho ragione » le sorrise James Potter, prima di rivolgersi all’altro ragazzo: « Ciao, Price ».
« Ehi, Potter » ricambiò il saluto Matthew, che aveva giocato con lui come Cacciatore nella squadra di Quidditch di Grifondoro. « Come mai qui? »
Il nuovo arrivato indicò Dominique e rispose: « Le avevo promesso che l’avrei accompagnata in Dormitorio », sorridendo alla cugina.
« Oh, certo » annuì Matthew, comprensivo. « Senti… » fece poi, leggermente imbarazzato. « non è che potresti aspettare un minuto? Devo, uhm, dirle una cosa ».
James parve capire, perché sorrise ed annuì, facendo qualche passo lontano da loro per parlare con degli amici di Tassorosso. Intanto, dopo aver guardato James poggiare le mani sul tavolo e salutare due ragazzi del loro anno e una più piccola, Dominique riportò la sua attenzione su Matthew, guardandolo come ad invitarlo a parlare.
Il ragazzo parve un po’ a disagio – Dominique se ne meravigliò non poco –, ma dopo pochi secondi iniziò a parlare: « Senti… non mi importa se hai paura, eh, tranquilla » - questo la fece sorridere leggermente, per nulla infastidita. « E, sì, insomma… ti va di venire ad Hogsmeade con me, sabato prossimo? »
« Oh! » esclamò Dominique, il cui volto si aprì in un sorriso a trentadue denti. « Certo che sì! »
 

They’ve got all the right moves
And all the wrong faces

 
« Hai fatto colpo, eh, Domi? » la stuzzicò James, mentre la accompagnava alla sua Sala Comune. Non gli dava fastidio: dopotutto Matthew era un ragazzo a posto, e sua cugina sembrava felice in sua compagnia. Gli bastava quello, nonostante una piccola parte di lui fosse leggermente geloso: Dominique era la sua migliore amica da quando erano piccoli, e aveva paura che lei lo rimpiazzasse di punto in bianco con Matthew.
« Non esagerare, James » ribatté la ragazza, come infastidita dal suo commento.
Dominique era strana, davvero strana. James non riusciva a capire perché, da qualche tempo a quella parte, avesse iniziato a trattarlo in modo assurdo; con gli altri era sempre gentile, dolce, mentre lui spesso non capiva perché si mostrasse infastidita se le faceva dei complimenti o diceva qualcosa su un suo ragazzo o una ragazza che piaceva a lui.
« Non esagero » rispose James, sincero. « Price ti guardava come si guarda una bottiglia d’acqua fresca dopo un mese di siccità. In senso positivo, eh ».
Dominique si ritrovò a ridere sommessamente, mentre si avvicinavano all’entrata della Sala Comune.
« Se lo dici tu » scartò subito il discorso, lanciandogli uno sguardo. James, accanto a lei, aveva quella sua aria un po’ imbronciata, e Dominique intuì che aveva la mente occupata da qualcosa di importante quando lui non si accorse neanche di essere arrivato a destinazione.
Dunque lei lo trattenne tirandolo per la manica, facendolo così girare verso di lei. Alla sua occhiata stralunata, rispose con un « Siamo arrivati, James ».
Lui parve riscuotersi e tornò sui suoi passi, fermandosi davanti a lei. « Scusa, non me n’ero accorto… Stavo pensando un po’ ».
« A cosa? » chiese Dominique, sorvolando sulle sue scuse. James si mosse sul posto, leggermente imbarazzato, e Dominique capì. « Il Torneo ».
Lui si limitò ad annuire senza dire nulla.
« Vuoi proprio iscriverti, eh? » gli domandò lei, sospirando.
Quando parlavano di quello, per Dominique era difficile trattenersi dal prendere James per il bavero della camicia e dirgli che, se solo avesse provato a mettere il suo nome in quel Calice, lei non gli avrebbe mai più rivolto la parola. Era un pensiero egoistico, soprattutto per una Tassorosso, ma quando si trattava di James le sembrava di perdere la testa. In realtà solo quando lui si cacciava in qualche guaio. E quel maledetto Torneo era peggio, Dominique se lo sentiva, e aveva paura.
Paura che a James succedesse qualcosa, come già era accaduto nelle edizioni precedenti. Paura di perderlo, e di perdere così una parte di se stessa.
Perché, che lei lo volesse o meno, James era parte di lei – un qualcosa che non puoi mandare via, che rimane per sempre, che a volte ti fa sorridere e altre ti fa venir voglia di urlare.
Confusa.
Ecco come si sentiva, quando era con James: confusa, persa, spaesata. Come se la sua presenza fosse in grado di metterla in dubbio del tutto.
Ma era una bella sensazione, quando poi lui la abbracciava e la stringeva a sé, come in quel momento – anche se teoricamente lei non avrebbe dovuto pensarlo, visto che sarebbe uscita con Matthew, ma in quel momento non le importò molto. Si sentiva esplodere, come se dentro di lei fossero appena scoppiati mille fuochi d’artificio. Non avrebbe saputo spiegare come si sentiva in quei momenti.
Ma allora, con il mento poggiato sulla spalla di James e le mani strette attorno al suo collo, mentre quelle di James le avvolgevano la schiena, Dominique si sentì a casa.
E in quel momento capì che nessuno le avrebbe mai acceso un fuoco dentro grande quanto quello che aveva appiccato James Potter.

 
 

 *

 

1 – la canzone da cui è tratta la citazione alla fine del pezzo su Rose e Scorpius è “Holding On And Letting On, di Ross Copperman.
2 – nonna Emily è, ovviamente, la madre di Audrey, la moglie di Percy. :)
3 – la canzone da cui è tratta la citazione alla fine del pezzo su Molly è “Get It Right”, di Glee.
4 – la canzone da cui è tratta la citazione alla fine del pezzo su Logan e Yvonne è “Rush Of Blood To The Head”, dei Coldplay (<3).
5 – la canzone da cui è tratta la citazione a metà del pezzo su Dominique è “All The Right Moves”, dei One Republic.
 
GNAH. Iniziano a formarsi le coppie, e io sono tutta “ODDIO” perché ho zero esperienza nelle relazioni. Ehi, che volete, ho appena fatto quindici anni e preferisco un libro, yeh.
C’è stato il ritorno in grande stile di Molly – se siete bionde, non fateci caso, anche io mi ritengo offesa, non avendo ancora capito se sono bionda scura o mora chiara ._. –, Dominique che parla con quel tesssoroh di Matthew, Rose e Scorpius (aridanghete, lo so, ma li adoro), eeeeeee: Logan e Yvonne. Non annuncio nulla su di loro, ma… non vi ricordano qualcuno? XD Vediamo chi indovina! :D
Però… vorrei spendere qualche riga per Dominique. Io ovviamente so già cosa succederà e tutto – fino al capitolo venticinque, almeno, tutti gli avvenimenti son scritti nella mia agenda –, ma vorrei chiedervi scusa se l’interesse di Dominique per suo cugino vi ha dato fastidio. So che è un argomento molto delicato, e be’… insomma, è delicato, appunto.
Ora fuggo, che voglio giocare un po’ a Pokémon HeartGold prima di andare in piscina o al mare o non ne ho idea. Vi adoro, anche se a volte penso di parlare da sola, visto quanto sta calando ultimamente il feedback!
A presto,
Er

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Capitolo 10
*** IX - From Ashes ***


FROM ASHES

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Capitolo IX

From Ashes

 

High Street, Hogsmeade
22 ottobre 2022
Mattina

 

Quella mattina, quando la maggior parte degli studenti era uscita dal castello alla volta di Hogsmeade, il tempo si era rivelato poco propenso alle lunghe passeggiate, quanto più a delle chiacchiere al caldo davanti ad una Burrobirra.
Il sole era infatti coperto da una fitta coltre di nubi grigiastre che non promettevano nulla di buono, anzi, solo una lunga ed estenuante pioggia – tipica, in fin dei conti, dell’Inghilterra. Tirava anche un po’ di vento, ma Molly non ci aveva fatto caso: era tornata in Dormitorio per prendere un maglione di sicurezza – tanto non aveva nessuno che la aspettava, poteva attardarsi quanto voleva – e poi si era definitivamente mossa.
Era arrivata che la maggior parte dei ragazzi girava ancora per le strade, chi in coppia e chi in gruppo, tra mani intrecciate e risate che si perdevano nel vento. In quel momento, al contrario, poche persone ancora vagavano per la via principale di Hogsmeade: c’era sì qualcuno, ma la maggior parte della gente si era riversata all’interno dei locali.
Lei, invece, aveva preferito la compagnia di un libro sgraffignato a sua madre mesi prima. Aveva il viso coperto quasi fino al naso dalla sciarpa di Corvonero, mentre leggeva dell’ossessivo amore di un uomo di nome Heathcliff per Catherine. Fu quando questa Catherine iniziò a legarsi ad un certo Edgar, che Molly capì che quello non era il libro per lei.
Perché probabilmente Catherine si sarebbe sposata con Edgar, e Heathcliff sarebbe rimasto solo. E, in quel momento, anche lei era da sola, mentre la sua versione maschile di Catherine – a parte che lei e Michael non erano fratelli, né di sangue né adottivi – si divertiva con l’altra.
Molly chiuse di scatto il libro, stringendone la spina dorsale con le mani, il mento alzato e il viso pulito rivolto al cielo. Sbuffando, si abbandonò mollemente sulla panchina su cui era seduta, sconfortata.
Davvero, doveva fare qualcosa. Doveva cambiare qualcosa, perché di andare avanti così non ne voleva sapere. Crogiolarsi nella disperazione per un ragazzo… non le importava che si trattasse di Michael, no. Lei era Molly Weasley Jr. e non si sarebbe lasciata abbattere da una stupida delusione d’amore.
Lei non era una di quelle ragazzine – okay, tecnicamente, avendo quindi anni, era una ragazzina – che cadevano in depressione. Lei aveva la forza di rialzarsi a testa alta, perché non era la Casa di appartenenza ad importare, ma con quanta intensità si desidera una cosa.
E lei desiderava ricominciare con tutta se stessa.
 

« Idiota, che ci fai qui da sola? »
Molly, nel sentire quella voce, girò lentamente il viso verso di lei. Era sempre stata tremendamente melodrammatica, a modesto parere di Lucy. Solo sua sorella avrebbe potuto, dopo molto tempo passato ad esercitarsi con lei, girare il capo nella sua direzione così lentamente e senza sembrare un’idiota. Come in uno dei vecchi film di sua madre, in cui ad un certo punto parte il rallentatore. E Molly riusciva perfettamente anche in quello.
Perché Molly era perfetta. La figlia perfetta, la cugina perfetta, la studentessa perfetta, la nipote perfetta, l’amica perfetta. Era sempre una spanna sopra di lei, perché lei era perfetta.
Non era più bella di lei, Molly: erano due gocce d’acqua. Non era più intelligente di lei: semplicemente si applicava, cosa che Lucy non aveva voglia di fare. Non era più simpatica di lei, solo che faceva buon viso a cattivo gioco. Eppure, Molly risultava comunque perfetta, impeccabile.
E Lucy non riusciva a perdonarglielo.
« Ciao anche a te, stronza ».
Lucy quasi sorrise. Era divertente come sua sorella sapesse chiamarla semplicemente stronza. C’erano di molto più adatti. Però doveva dire che anche il suo idiota era della stessa pasta.
« Non mi hai ancora risposto » le fece notare, superandola per sedersi accanto a lei. Molly la seguì con lo sguardo, le labbra strette talmente tanto da sembrare una linea – perfetta.
« Magari non voglio » ribatté a tono Molly, facendola ridere.
Perché Molly era perfetta con tutti, eppure con lei non lo era mai.
« Sicura di non essere tu la stronza? » la prese in giro, frugando nelle tasche alla ricerca del proprio pacchetto di sigarette.
Molly, anziché ribattere, restò in silenzio per qualche minuto, tempo che Lucy impiegò per trovare le sigarette, prenderne una ed accenderla.
« Ti sei mai sentita come se non fossi abbastanza? » le domandò alla fine, abbassando lo sguardo sul libro che ancora stringeva tra le mani. Sembrava concentrata: le sopracciglia aggrottate e le labbra socchiuse, come se stesse cercando da sola una risposta alla propria domanda.

Spesso – rispose mentalmente Lucy, con una boccata di fumo.
« Perché me lo chiedi? »
« Non volevi forse che ti rispondessi? » ribatté Molly, voltandosi verso di lei con tutto il viso. Sembrava… come sul punto di rompersi. Ed era strano, pensare una cosa del genere di Molly Weasley. « Be’, è quello che sto facendo. E tu non stai facendo altrettanto ».
Lucy, ciccando, puntò lo sguardo sulla parete scostata della casa di fronte a loro. Un tempo la vernice doveva essere stata di un bel bianco, e le finestre dovevano essere piene di fiori, ma in quel momento quella casa era del tutto vuota.
Si riscosse quando pensò che anche loro, un giorno, sarebbero state come quella casa. La cosa la fece ridere, mentre Molly la guardava, spaesata. Davanti a quell’espressione frastornata, Lucy non poté fermarsi dal ridere, perché era la stessa faccia della Molly di molti anni prima, quando ancora andavano d’accordo e lei combinava qualcosa.
Non ricordava perché poi si fosse rovinato tutto, Lucy non se lo ricordava affatto. Semplicemente, prima andavano d’accordo, si occupavano l’una dell’altra, e poi, puf, avevano cominciato ad evitarsi e lanciarsi frecciatine a vicenda. Frecciatine che poi erano diventate insulti, che poi si erano trasformati in litigate.
« Cosa ti dovrei dire, sorella? » chiese Lucy, dopo aver smesso di ridere.
Molly aggrottò le sopracciglia. « Sorella? Quindi per te sono ancora tua sorella? »
Lucy rimase basita e restò a fissarla per dei secondi che le parvero ore. Forse Molly era impazzita del tutto. Era possibile. Magari il troppo studio le aveva dato al cervello e lei aveva perso la ragione.
Sì, si disse Lucy, doveva essere così, perché altrimenti non si spiegava la frase di sua sorella. Certo che lei era ancora sua sorella, perché non doveva esserlo? Come poteva nonesserlo? Lucy era allibita.
« Ho sempre pensato che fossi idiota, ma mai fino a questo punto! » sbottò alla fine con il solito tatto – dopo un po’ nessuno ci faceva più caso, in fondo “Lucy Weasley” e “tatto” erano due parole che non potevano esistere nella stessa frase. « Come puoi dire una cosa del genere? »
Molly le sorrise – Lucy non capì cosa ci fosse da sorridere e si corrucciò.
« Sei stata tu » cominciò Molly, guardandola. « ad averlo detto. Tre anni fa, precisamente. Durante le vacanze di Natale ».
Lucy sgranò gli occhi, presa in contropiede. Lei aveva detto…? No, Molly era uscita davvero di senno. Okay, Lucy non era la ragazza più gentile del mondo, ma da qui a dire una cosa del genere…
« Non guardarmi così, è vero » le disse ancora Molly, annuendo alle proprie parole e accarezzando con i polpastrelli la copertina del libro. « Non ricordo neanche perché lo hai fatto, sinceramente » aggiunse, ridacchiando mestamente.
« Io non mi ricordo proprio di questo » ribatté Lucy, stralunata.
Non riusciva a crederci. Aveva seriamente detto a Molly di non considerarla sua sorella? Forse l’avevano drogata, quando aveva pronunciato quelle parole. O magari – cosa più probabile – era capitato durante uno dei loro tanti litigi. Un litigio più pesante degli altri, certo.
D’un tratto Lucy capì il motivo del comportamento che Molly aveva adottato nei suoi confronti negli ultimi anni. Indifferenza, freddezza, risposte a monosillabi, sorrisi di circostanza e solo quando era necessario… Tutto tornava a posto, tutto si posizionava in maniera perfetta in quel grande puzzle.
Forse l’idiota era lei, Lucy, non Molly.
« Evidentemente non sono così importante » ipotizzò Molly, calmissima.
Lucy odiava quando Molly faceva così, quando si mostrava indifferente a tutto. Se il caso fosse invertito, se fosse stata Molly a dirle una cosa del genere, Lucy le avrebbe gridato in faccia di tutto. Mentre Molly la guardava con calma e a volte sorrideva. E a Lucy veniva il nervoso, perché in quella maniera le sembrava di essere lei a contare poco per sua sorella, e non il contrario.
« Magari è quell’episodio a non essere così importante » esclamò Lucy con veemenza, la voce alterata e gli occhi dardeggianti – lei teneva a sua sorella, a modo suo, certo, ma ci teneva. E non sopportava che Molly lo mettesse in dubbio. « Sei una Corvonero, potevi arrivarci da sola ».
Forse non avrebbe dovuto usare il sarcasmo, forse avrebbe dovuto comportarsi da Tassorosso – sinceramente Lucy non capiva granché perché fosse una Tassorosso, se di quella Casa aveva solo la lealtà – e chiedere scusa a sua sorella. Ma non sarebbe stata onesta, o comunque non si sarebbe sentita tale; quello era il suo modo di affrontare le cose, di reagire e di difendersi. E se sua sorella pensava che non le importasse nulla di lei, Lucy non vedeva perché avrebbe dovuto riservarle un trattamento tanto speciale.
Molly, intanto, sbuffò, continuando a muovere le dita sulla rilegatura del libro. Il sarcasmo pungente di Lucy non era quel che di cui aveva bisogno, in quei giorni, eppure l’aveva provocata lei. Perché sì, l’aveva provocata, e l’aveva fatto apposta. Aveva voglia di sfogarsi, e Lucy era capitata lì. Alla fine Lucy avrebbe potuto ignorarla e passare avanti come avevano imparato a fare.
E invece si era fermata, e poi le si era seduta accanto, e si era offesa dalla sua insinuazione.
« Perché dovrei crederti? » continuò imperterrita, sfogandosi. Sperava di riuscire a calmarsi, in quel modo; sperava di far fuoriuscire tutta la rabbia. « Noi non ci parliamo mai. Praticamente non ci conosciamo. Perché dovrei crederti? »
Lucy serrò le labbra, seria in volto, prima di rispondere: « Perché abbiamo ancora un sacco di tempo per conoscerci, e perché sono tua sorella ».
Forse, pensò Molly, aveva sbagliato a valutarla.

Forse.

*

 I Tre Manici quel giorno era decisamente troppo pieno per essere ancora ottobre – di solito, infatti, la gente preferiva muoversi per il paese finché non avesse cominciato a fare troppo freddo –, ma il vento che soffiava contro i vetri delle larghe ed alte finestre era insopportabile.
Loro erano riusciti a trovare un tavolo libero sul fondo, vicino alla finestra, e ormai stavano lì da un po’, intenzionati ad andarsene solo quando sarebbe stato strettamente necessario.
Dominique aveva un appuntamento con Matthew, e James aveva scoperto solo quella mattina che Logan aveva aggirato Yvonne, invitandola a passare la mattinata con loro, dicendole che sua cugina aveva dato buca a Matthew all’ultimo minuto. Inutile dire che, quando la ragazza l’aveva scoperto, era andata su tutte le furie e l’unico motivo per cui era rimasta è che l’appuntamento con Louis era per dopo pranzo e lei, non conoscendo affatto il paese, si sarebbe persa.
Perciò si erano mossi presto, James in mezzo a Logan e Yvonne perché sospettava che altrimenti la ragazza lo avrebbe picchiato in pubblico – non si doveva mai far arrabbiare una ragazza con dei geni Veela: quando si arrabbiavano erano terrificanti –, ed avevano raggiunto il famoso pub. Prima, però, Logan aveva insistito per fare un salto da Mielandia, dove aveva cercato di attaccare una caramella appiccicosa tra i capelli biondi di Yvonne – che, quando lo aveva beccato, sembrava stesse per saltargli alla gola.
In quel momento, invece, James stava muovendo le dita sulla superficie del bicchiere di vetro della sua Burrobirra, mentre Yvonne sorseggiava il suo tè con il miele – a quanto pareva, il clima inglese le aveva fatto venire il mal di gola – e Logan beveva tranquillamente la sua Burrobirra, poggiato allo schienale della sedia e osservando apertamente la ragazza.
« Dominique mi ha parlato molto di te » proruppe Yvonne, per fare conversazione. Evidentemente il silenzio che si era andato a creare doveva averla messa in soggezione, visto che, dopo aver posato la ancora un po’ piena, si era guardata attorno, e James si chiese come avesse fatto a non pensarci prima, a metterla a sua agio.
« Oh? » disse semplicemente, dando poi un sorso alla sua Burrobirra. Yvonne, davanti a lui, annuì, mentre una ciocca, che prima era stata fermata con la sciarpa che la ragazza si era legata al collo, le finiva davanti al viso per poi essere prontamente accompagnata dietro l’orecchio. « E che dice? »
« Più o meno le solite cose » rispose, evasiva – era strano, il modo in cui Dominique parlava di James, suo cugino, e Yvonne non riusciva a capire bene cosa si nascondesse dietro quelle frasi lunghe quando le scriveva o  dietro a quegli azzurri quando le parlava di lui. « Siete migliori amisci, vero? » sviò infine, virando su un terreno meno problematico.
« Già » annuì James, mentre Logan salutava qualcuno che entrava nel locale. « Tu hai un migliore amico? ». Si rese conto dell’idiozia di quella domanda solo dopo averla pronunciata e nel vederla trattenere malamente una risata.
« Sì, ne ho uno » gli rispose dopo pochi secondi, divertita. « Si chiama Félix, è venuto anche lui qui con la delegasione ».
« Come mai non è venuto? » le chiese ancora, per cercare di instaurare un rapporto. Dopotutto era la cugina di Dominique, e comunque non sembrava antipatica.
Yvonne si strinse nelle spalle, scuotendo appena la testa come a dire non ne ho idea. « Quando gliel’ho chiesto ha detto che preferiva restare al castello… ».
« Probabilmente il fascino di Hogwart ha conquistato anche lui » disse Logan d’un tratto, con un sorriso che assomigliava leggermente ad un ghigno.
« Hogwarts è molto bella » convenne Yvonne, senza trattenere un sorriso.
« E la compagnia è ancora meglio, vero, Yvy? » aggiunse lui, ammiccando.
Yvonne scosse la testa e ribatté: « Tranne la tua, Hopkins », mentre James scoppiava a ridere e Logan sorrideva.


*

 Era stata una bella giornata.
Matthew l’aveva aspettata in Sala Comune, e poi si erano diretti insieme verso le carrozze. Uscendo dalle carrozze, aveva intravisto sua cugina insieme a James e Logan, ma Matthew non le diede neanche il tempo di dispiacersene, perché la portò da Scrivenshaft per vedere le nuove penne da collezione.
Dopo lei lo aveva accompagnato alla filiale dei Tiri Vispi Weasley, dove il ragazzo aveva comprato delle caramelle particolari da portare in dormitorio, per poi incamminarsi verso i Tre Manici.
« Ora però mi devi dire come sapevi delle piume » stava dicendo Dominique, sorseggiando la propria Acquaviola. « Insomma, io non te l’avevo detto ».
Matthew sorrise con allegria, posando la sua Acquaviola sul tavolo e allargando poi le braccia in aria. « Te l’ho sempre detto, Dominique: ci sono cose che, semplicemente, non si possono dire ».
« E fammi indovinare, questa è una di quelle cose » sbuffò Dominique, fingendosi scocciata. In realtà gli piaceva come Matthew si prendesse gioco di lei senza mai offendere o farla indispettire.
« Già » ridacchiò il ragazzo. « Tu non hai cose che non puoi dire? »
Matthew lo chiese senza pensare, come se fosse una cosa naturale, ma Dominique si irrigidì ugualmente. Non perché ci fosse qualcosa di strano nella domanda di Matthew, ma perché sì, lei alcune cose non poteva dirle. A nessuno. Per nessuna ragione al mondo. Erano… Non erano. Non potevano essere.

Eppure sono.
Dominique scosse la testa per scacciare quel pensiero, ma Matthew lo prese come un diniego alla sua domanda.
Sembrava sorpreso.
« No? Davvero? »
Dominique rialzò gli occhi su di lui ed inarcò le sopracciglia. “Davvero” cosa? Fece per chiederglielo, ma lui le risparmiò la fatica andando avanti con il discorso.
« Be’, allora sei fortunata, penso. Essere sinceri su tutto è una buona cosa » le sorrise, e Dominique capì. Poi si sentì malissimo, perché lei non era sincera su tutto. Cercava di esserlo, ma c’erano alcune cose – specialmente una cosa – su cui doveva mentire.
Si sforzò di sorridere e le venne naturale, come se non avesse fatto altro che divertirsi anche negli ultimi minuti. Forse perché aveva la sensazione che Matthew non le avrebbe fatto domande sul suo comportamento, o sulle cose che gli nascondeva.
Era una bella sensazione, pensò.
« Ti va di fare un giro, prima di tornare al castello? » gli chiese, evitando accuratamente di soffermarsi su ciò che aveva precedentemente detto il ragazzo. « Non ho ancora voglia di rientrare ».
« Oh, certo ». Matthew le sorrise e lanciò un’occhiata alla bevanda di Dominique. Finì rapidamente gli ultimi gocci della propria prima di sorriderle di nuovo. « Vuoi andare ora? »
Lei ricambiò il sorriso, raggiante, e fece per prendere le monete dalla tasca, ma lui la guardò, scosse la testa ed andò da Hannah Paciock, la barista, per pagare. Quando tornò, le disse:
« Hai davvero fatto per prendere i soldi? ». Non sembrava arrabbiato, solo perplesso. « Dominique, è un appuntamento, non ti avrei mai fatta pagare ».
« Che cavaliere » ridacchiò, scostando la sedia dal tavolo ed alzandosi. Prese il proprio cappotto ed affiancò Matthew per uscire dal pub.
Una volta fuori, l’aria fredda sferzò loro i visi. Nell’aria c’era odore di pioggia, e le nubi scure di quella mattina sembravano essersi come raddoppiate. C’era ancora poca gente per le strade, segno che in molti o erano già rientrati o avevano preferito rimanere ancora un po’ dentro ai vari locali del villaggio. Pensandoci bene, anche a Dominique sarebbe piaciuto restare ai Tre Manici. E sempre pensandoci bene, lo avrebbe fatto, se non fosse uscita con Matthew ma avesse seguito Yvonne, Logan e James.
Lanciando un’occhiata al ragazzo sorridente accanto a lei, però, Dominique non se ne dispiacque affatto. Piegò anzi gli angoli delle labbra verso l’alto, prima di allungare la mano verso quella di Matthew e intrecciare le dita alle sue.
Lui si voltò verso di lei, palesemente colpito. Dominique, mentre rafforzava la stretta e si bloccava per farlo fermare di rimando, sperò che fosse piacevolmente colpito.
Erano fermi in mezzo al ciglio destro di High Street, quando Dominique lo fece girare per poggiare le labbra sulle sue. Erano molto carnose e soffici, le labbra di Matthew, stimò Dominique mentre gli allacciava le braccia al collo e lui la prendeva dolcemente per la vita.
Si sentiva la testa vuota, completamente svuotata, Dominique. Era come se le labbra di Matthew le avessero cancellato dalla mente tutto quello che non lo – li – riguardava, come se in quel momento non riuscisse a pensare ad altro che non fosse il quando doversi staccare per incamerare ossigeno.
Ma stava bene, e pensò che finalmente era sulla strada giusta per porre fine a tutto quanto.
Ora c’era Matthew, nella sua vita. E lei avrebbe pensato a lui, non più a James.
Mai più.

*

 
Yvonne è così bella!
Quella non era una gran scoperta, non per Louis. Sua cugina era, a suo modesto parere, una delle ragazze più belle che avesse mai incontrato, assieme alle sue due sorelle. Non c’era bisogno che William glielo ripetesse almeno cinquantadue volte al giorno.

Oh, Yvonne è così simpatica!
La cosa davvero simpatica, per Louis, era il fatto che William le aveva parlato solo una volta, quando si era presentato, e lei aveva parlato sempre con Louis.
Ha un così bel sorriso!
Quando, ai Tre Manici, glielo aveva ripetuto per la milionesima volta, Louis aveva posato il gomito destro sul tavolo e si era coperto la faccia con la mano, sfiancato. William era così asfissiante, in quei giorni. E la sua cotta per Yvonne rasentava il ridicolo, visto che lei era più grande di lui di due anni e, secondo Louis, non l’avrebbe comunque preso in considerazione.

Secondo te ho qualche possibilità?
Alla fine, stufo di quella situazione, gli aveva risposto che no, secondo lui qualche possibilità non ce l’aveva e gli aveva indicato Yvonne, che in quel momento stava entrando assieme a suo cugino James e a Logan. Fece anche notare a William come Logan ci provasse spudoratamente e che era meglio se lasciava perdere.
William si era ovviamente infastidito e gli aveva chiesto cos’avesse Logan Hopkins più di lui. Louis, colto da uno dei suoi noti attacchi di acidità, aveva ribattuto che faceva prima a chiedersi cos’avesse lui più di Logan Hopkins.
Non che quel Logan gli stesse particolarmente simpatico – faceva ridere, ma a Louis sembrava che si desse troppe arie; il fatto che se le desse anche lui era un futile dettaglio –, ma non ne poteva più degli sproloqui del suo amico su Yvonne.
Mentre William lo guardava male, Louis si alzò dal tavolo e se ne andò, salutando la cugina con un gesto sbrigativo della mano.
Una volta fuori dal locale, Louis sbuffò sonoramente, alterato. Era una giornata davvero schifosa, vista da tutte le parti. Tempo orribile, compagnia ancora peggiore e la pazienza che sembrava essere andata a farsi benedire.

Che si fottessero tutti quanti – pensò, incamminandosi lungo la strada principale di Hogsmeade. Notò Molly e Lucy sedute vicine su una panchina, ma non ci badò e tirò dritto per la sua strada.
Desiderò mentalmente che Yvonne baciasse Logan Hopkins davanti a William – anche se sapeva che non l’avrebbe fatto, perché Yvonne continuava a dire che era un idiota e che non lo sopportava, ma Louis era sicuro che in fondo le facevano piacere tutte quelle attenzioni, sebbene fossero piuttosto infantili. Subito dopo si rimangiò quel pensiero, perché dopotutto Yvonne era sua cugina e lui, di Logan, non si fidava granché.

Però William ci resterebbe di merda – si disse, ghignando appena e ricordandosi del perché il Cappello Parlante aveva avuto dei dubbi tra Serpeverde e Corvonero.

« Un nuovo Weasley! Che piacere, che piacere! » disse una vocina nella sua testa, senza sorprenderlo poi tanto. Dominique e Victoire gli avevano già detto che sarebbe successo. « Vedo un gran cervello, ma anche molta ambizione… Non sei una persona molto coraggiosa, eh? Ti piace vincere facile e sai come ottenere ciò che vuoi… Saresti senza dubbio un ottimo Serpeverde » continuò la vocina, e questa volta lo colse alla sprovvista. Non aveva mai davvero pensato a quale sarebbe stata la sua Casa. « Ma hai anche molto della nobile Casa della cara Priscilla… Sei molto difficile, Louis Weasley, sai? Ma forse… sì, tentiamo! Corvonero! »

Le parole del vecchio Cappello Parlante galleggiarono nella sua mente, tornando a galla e facendolo sorridere. Si era trovato bene, alla fine, trai Corvonero, anche se si era sempre chiesto cosa sarebbe successo se fosse stato smistato a Serpeverde.
Non che gli dispiacesse di non essere un Serpeverde, dato che questi avevano la Sala Comune nei freddi sotterranei, mentre loro Corvonero stavano in alto, in una delle torri. E la loro Sala Comune era decisamente la più bella, piena di persone sveglie e intelligenti.

Tranne alcune – aggiunse mentalmente, pensando a William.
Mentre sbuffava di nuovo, Louis calciò un sasso vicino ai suoi piedi; questo andò a sbattere contro uno dei bidoni della spazzatura magici. Louis lo seguì con lo sguardo, e, alzando e spostando poi gli occhi dal sasso ormai fermo, lo notò.
Era seduto su una panchina poco lontana, vicino ad un lampione, con le gambe allungate e una sigaretta tra le dita – lo si capiva dal filo di fumo che si sollevava piano dalla sua mano. Aveva un’aria strana, con la fronte distesa e le labbra serrate; sembrava estremamente concentrato, e Louis notò che lanciava sguardi ad ogni persona che gli passava davanti.
Spinto da chissà cosa – forse perché, a giudicare da quanto era contratta la sua mascella, anche quel tipo ce l’aveva con qualcuno –, Louis si avvicinò alla panchina e ci si sedette sopra senza dire niente. Se gli diede fastidio, l’altro non lo diede a vedere; gli lanciò appena uno sguardo, prima di tornare a guardare i pochi passanti e a fumare tranquillamente.
« Posso averne una? » domandò, tranquillo, girando il viso verso lo sconosciuto. Teoricamente lui non avrebbe dovuto accettare cose dagli sconosciuti, figurarsi chiederle, ma sinceramente in quel momento non gliene importava nulla.
L’altro non rispose né lo degnò di uno sguardo, e quando furono passati una decina di secondi, mentre Louis incominciava ad infastidirsi leggermente, si mosse e affondò una mano nella tasca dei pantaloni, tirandone fuori un pacchetto di sigarette babbane. Lo aprì e glielo porse, invitandolo a prenderne una.
Louis non si fece pregare e la prese, accendendola poi con l’accendino all’interno del pacchetto. Dopo aver rimesso l’accendino dov’era, si portò la sigaretta alle labbra e si appoggiò allo schienale della panchina.
Quello che calò non era un silenzio pesante ed opprimente, affatto; era semplicemente pieno di domande e curiosità. Louis non aveva mai visto quel ragazzo prima di allora, ed era strano, visto che veniva ad Hogsmeade da tre anni. Doveva essere uno nuovo, e Louis non capiva perché una persona dovesse scegliere di trasferirsi ad Hogsmeade anziché negli altri centri abitati magici.
« Ragazzino, perché non te ne vai? ». Furono quelle le prime parole che lo sconosciuto gli rivolse, e Louis inarcò le sopracciglia. Non gli piaceva essere trattato in quel modo, specialmente se la persona che lo faceva neanche lo guardava in faccia.
« Mi chiamo Louis Weasley, non ragazzino » ribatté lui, ostentando una calma che non possedeva del tutto – in realtà avrebbe voluto chiedere a quel ragazzo, che non poteva avere più di sei anni più di lui, chi si credeva di essere.
« Non me ne importa poi molto » disse l’altro, atono. « Ora, vuoi andartene o cosa? »
« Volevo parlare » ammise Louis, senza battere ciglio, facendo uscire dalle proprie labbra del fumo.
« Non hai degli amici? » gli chiese il ragazzo accanto a lui, e dal tono di voce si capiva che non gli interessava realmente.
« Ti interessa? » domandò quindi Louis, retorico.
« No » rispose infatti l’altro, sempre senza guardarlo in faccia. « Ma ti sei seduto qui, mi hai preso una sigaretta e non te ne sei ancora andato. Ho tutto il diritto di avanzare domande ».
Louis accusò il colpo, appoggiandosi allo schienale della panchina ed espirando del fumo per prendere tempo.
« Poi posso farla anche io una domanda? » chiese infine con tono leggero.
« Solo se poi mi fai il favore di sparire » disse lo sconosciuto, atono, con la fronte aggrottata e appena accarezzata da dei morbidi – almeno alla vista – ciuffi biondi. L’accento Louis l’aveva riconosciuto: doveva essere francese, perché la pronuncia delle parole, sebbene il ragazzo parlasse perfettamente inglese, avevano una pronuncia vagamente francofona.
« Okay » disse Louis – anche se, in realtà, non pensava che se ne sarebbe andato, visto che non aveva voglia di tornare al castello né di rivedere William. « Come ti chiami? »
L’altro si girò verso di lui per la prima volta, mostrando un paio di scettici occhi di un verde brillante ma cupo. Aveva un viso affilato, con gli zigomi leggermente alti, un naso dritto e una bocca sottile. A Louis sembrò che avesse qualcosa di… familiare, già visto.
« Ragazzino, fatti gli affari tuoi » berciò il ragazzo con gli occhi verdi, stavolta scocciato.
Louis si corrucciò come faceva spesso; aggrottò le sopracciglia e strette le labbra. Poi ribatté: « Avevamo un patto ».
« Io non ti conosco, e me ne frego del patto » lo informò allora l’altro. « E lo avresti fatto anche tu, rimanendo qui dopo la mia risposta. Mi sbaglio? »
« No, non ti sbagli » rispose Louis con notevole faccia tosta. « Ma io mi sono presentato, e sarebbe scortese non fare lo stesso. Quindi ».
Louis pensava che si sarebbe arrabbiato o come minimo infastidito, ma nello sguardo dello sconosciuto ci fu un guizzo di curiosità misto a un vago senso di compiacimento.
« Julien ».




Ooooh, ce l’ho fatta. Non riuscivo davvero a finire questo capitolo. La parte su Matthew e Dominique non voleva proprio uscire, diamine. Poi c’è anche da dire che io non ho avuto tempo per niente che non fosse la spiaggia, quindi sì, potete prendermi a sassate.
Il colpo di scena alla fine com’è stato? A me sembra essere andato bene…
Spero che il capitolo sia piaciuto ai poveri disgraziati che mi seguono, fatemi sapere <3
Un bacio,
Er.

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