The Vampire's moon

di DamnedLuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01: Lestat ***
Capitolo 2: *** 02: COLAZIONE ***
Capitolo 3: *** 03: Sguardi ***
Capitolo 4: *** 04: Surreale ***



Capitolo 1
*** 01: Lestat ***


A volte mi chiedo per quale assurdo motivo ho scelto di fare l'università dopo il liceo.
Frequento un’ università di arte, grafica e moda. E’ privata, anche se "economia" per essere tale.
Dopo aver frequentato il liceo artistico, non sapevo minimamente cosa fare dopo la maturità. Tra il rifiuto di andare avanti con gli studi, le risate di mio nonno che mi vede come una futura disoccupata, le solite storie del "senza laurea non trovi lavoro!" e il voler avere una vocazione, alla fine ho scelto di barcamenarmi in una cosa che non avrei mai pensato di fare prima: imparare a cucire per farne una professione.
Anche mia sorella ha avuto quest'idea prima che finissi il quinto anno, ma poi non ho mai capito se ha continuato o meno, ma io non intendo fermarmi: cucire non è male ed è un ottimo passatempo.
Nella mia scuola non siamo molti a fare questo corso, e quasi tutti sono più bravi di me. Non possiedo nulla di particolare.
In realtà non ho mai avuto nessun talento che spiccava tra gli altri. So disegnare, ma non benissimo. So cucinare, ma non sono ai livelli di mia nonna o di qualche cuoco professionista. So cantare, ma i miei polmoni perennemente intasati non mi aiutano, e so anche scrivere piuttosto bene, però non ho mai completato una storia lunga o un libro.
Posso dire di saper fare tutto e non saper fare niente. E la cosa non mi piace affatto.
Nel mio corso, noi ragazzi potremmo facilmente trovare lavoro; più bravi, i più fortunati e i raccomandati solitamente finiscono a lavorare per qualche marca famosa e costosa, mentre gli altri si offrono come apprendisti sarti. L'ultimo è anche il mio obiettivo, dal momento che la moda non mi attrae.
Ma oggi è un giorno diverso dagli altri: si vocifera che arriverà uno studente straniero, completamente fuori corso; non ho ancora capito se farà lezione con noi o è l'aiutante di qualche insegnante.
Mi chiedo da dove diavolo sbuchi, ma non importa. Sono molto indietro col mio progetto, quindi anche oggi sfacchinerò sulla macchina da cucire, disinteressandomi ai compagni, nel mio angolino illuminato vicino alla finestra.
Nonostante frequenti il corso da qualche mese, non ho stretto amicizia con nessuno in particolare, e siccome a casa non ho un posto spazioso per lavorare preferisco fare tutto in aula, dunque parlo poco e lavoro molto. Se la gente mi parla è solo perchè prendiamo gli stessi mezzi pubblici quando non uso l’auto o perchè hanno bisogno di qualcosa. Solo un paio di volte sono uscita coi miei compagni di corso.
 
Finalmente arriva lo studente straniero.  Almeno credo sia lui, tutti si sono fermati rumorosamente e stanno parlottando. Alzo lo sguardo oltre la macchina da cucire, dalla mia postazione in aula (nè davanti nè dietro) non riesco manco a vederlo.
Torno al lavoro tranquilla, finchè, qualche minuto dopo, intravedo un paio di gambe magre avvolte in un paio di pantaloni grigio fumo , e rialzo lo sguardo spegnendo la macchina.
Un bel ragazzo biondo, con i capelli lunghi fino alle spalle, snello e di bel'aspetto, mi sta osservando sfoggiando un ghigno malizioso.
D'istinto mi sistemo i capelli e gli occhiali, lo guardo dritto nei suoi occhi, azzurri, profondi e penetranti.
"Hai bisogno di qualcosa?" domando, senza scompormi troppo.
"No." mi risponde il ragazzo, atono, senza distogliere lo sguardo dal mio.
Non reggo il confronto e sbatto le palpebre, posando lo sguardo sul resto del suo viso. Non credo di aver mai visto un ragazzo tanto bello in vita mia al di fuori dei giornali o della televisione.
Oltre ad avere gli occhi di un azzurro così particolare e intenso, nessuna parte del suo viso è imperfetta. Dal naso e le labbra, sottili e regolari, agli zigomi, nè alti, nè marcati. E poi il mento, anch'esso levigato, regolare, senza fossette o che altro. Per non parlare della pelle: praticamente pallida e pulita, senza l'ombra di imperfezioni. Un viso tanto bello da sembrare finto. Se fosse immobile lo scambierei per un manichino o una statua di cera, anche un pò per com'è vestito. Va bene che è ottobre, però potrebbe anche togliersi quel cappotto dall'aria molto pesante. Ora che ci faccio caso è tutto coperto, praticamente bardato... Indossa pure i guanti.
"Qualcosa non va?" mi chiede all’improvviso, facendomi sobbalzare lievemente.
Devo averlo osservato un po’ troppo.
"No, scusami, è che non credo di averti mai visto da queste parti." rispondo, riuscendo finalmente a staccare i miei occhi incollati al suo bel viso.
"Sono lo studente straniero, credo che tu conosca così il mio nome." si presenta lui, chinandosi verso di me, sorridendomi, e mostrandomi così una dentatura smagliante, quasi anch'essa perfetta, se non fosse per i canini superiori sporgenti.
"Mi chiamo Lestat de Meunier, piacere." continua lui, pronunciando il suo nome piuttosto orgogliosamente, scrutandomi negli occhi.
Devo smetterla di osservarlo. Forse lo sto anche guardando male.
Lestat eccetera  eccetera. Non mi ricordo mai nomi complessi o pomposi. Di sicuro è francese o ha origini francofone.
"Luna, piacere."
"Luna. Che nome meraviglioso. La luna è a dir poco bellissima. E tu, devo dire che sei degna di questo nome."
"Grazie. Anche il tuo nome ti si addice." gli sorrido di ricambio., completamente ignara del suo significato. Ricevere un complimento da un tipo del genere non è roba da tutti i giorni. Sono imbarazzata, ma lusingata.
Lestat raddrizza la schiena, guardandomi dall'alto, come prima che si presentasse.
"Credo che ci vedremo spesso, Luna." dichiara sempre sorridendo, o meglio, ghignando.
Se vuole sedurmi, credo che prima o poi ci riuscirà.
"Si, lo credo anche io."
Scappo dalla conversazione abbassando lo sguardo su quello che dovrebbe diventare una camicia con maniche a tre quarti,, dopodichè faccio riposare gli occhi sbattendo le palpebre  almeno quattro volte.
Riaccendo la macchina e mi rimetto al lavoro.
Qualche secondo dopo le gambe di Lestat mi ripassano davanti, abbandonando la mia postazione, e smetto nuovamente di lavorare per osservarlo a mia volta.
Cammina lentamente, si guarda intorno di continuo, il suo sguardo magnetico attraversa il viso di ogni studente. Non posso fare a meno di sbirciare un altro po’.
La verità è che persone tanto belle e tanto particolari non mi rivolgono la parola. O forse è colpa mia, perchè parlarci mi imbarazza molto.
Ora capisco l'importanza dell'autostima, della disinvoltura… Cose che mi mancano da quando sono nata

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Capitolo 2
*** 02: COLAZIONE ***


Ho passato tutta la sera a ideare qualche ricamo particolare che potrebbe affiancare o sovrastare le cuciture della mia camicetta. Insomma, io adoro le cuciture colorate che si abbinano all'indumento. Forse perchè ho davvero tanti capi fatti in questa maniera, che evito di indossare in università.
Quelle che voglio creare sono delle finte cuciture, così attaccate a quelle vere da farle sembrare tali. Sono sicura che sarà un lavoraccio da fare a macchina.
Quando mi complico la vita mi sembra di essere tornata al liceo. Soprattutto quando mia madre mi implora di andare a dormire abbandonando il lavoro che sto facendo, progetto o esecuzione che sia.
Sono davvero a pezzi, non sono manco le nove del mattino e non ho nessuna voglia di stare china sul mio lavoro. Potrei addormentarmi sopra la stoffa che ho sul mio tavolo.
Sto pensando di saltare un'ora di progettazione per dormire qui al bar dell'università, poggiata su un tavolino solitario lontano dalla gente e dalla luce, dove mescolo il cappuccino così stancamente che non mi accorgo di non aver preso niente da mangiare. Da lontano potrei sembrare depressa o molto triste.
Odio questo posto, soprattutto perchè anche quello mi ricorda il liceo. Caffè annacquato, brioches posse, panini dall'aspetto poco invitante.
Evito sempre di mangiare qui, anche perchè da quasi dieci anni non mangio carne. Mi porto sempre il pranzo da casa, e raramente faccio colazione fuori.
Ma stamattina mi sono alzata tardissimo e ho anche rischiato di perdere il treno, quindi mi devo accontentare...
Dopo aver fatto lo scontrino, dò un occhiata alle brioches, scrutandole per cercare di accaparrarmi la meno floscia.  Non ho voglia di cibo pesante quando sono stanca, dunque agguanto una brioche vuota con la forza di un neonato che afferra il suo biberon e mi trascino al mio tavolo, a raggiungere la mia tazza di cappuccino annacquato ormai freddo. Il tavolino,però, non è solitario come lo avevo lasciato.
Un tipo snello dai capelli biondi legati in una semplice coda bassa è seduto di fronte alla mia tazza. Indossa un cappotto scuro e lungo.
Mi è bastata una sola volta per memorizzare quel figurino...
Lestat, chino sulla sua presunta colazione, ha occupato il tavolino solitario.
Sperando di non aver avuto una svista, mi avvicino fingendo di essere sicura di me, accelerando il passo per non sembrare una vecchietta raggrinzita.
Non faccio in tempo ad appoggiare la brioche che Lestat chiude di scatto un giornale, facendomi sussultare per lo spavento.
"Scusa Luna, ti ho spaventata?" mi domanda, sorridendo come se nulla fosse.
Che ragazzo perspicace.
"Un pò. Giusto per svegliarmi come si deve." replico, senza nemmeno guardarlo.
Mentre mi riapproprio di quel che resta del tavolino, mi accorgo che molti tavoli sono vuoti.
Che Lestat mi stia pedinando?
"Come mai ti sei messo proprio qui?" azzardo, tentando di non essere inquisitoria.
"Perchè è lontano dalla luce. E perchè non ho fatto caso alla tazza piena." risponde lui. Al contrario di me, che sembro rivolgermi al mio cappuccino quando parlo, Lestat non mi scolla gli occhi di dosso.
"No ti piace la luce?" domando incuriosita.
"Sono fotosensibile." replica.
Sorseggio il cappuccino ormai raffreddato. "Anche alla luce invernale?"
"Anche alla debole luce invernale, già." Sospira lui.
"Mi spiace." replico io, e poi sorseggio ancora.
"Mi fa male alla pelle, sai? E poi i bruciano gli occhi, e mi viene un gran mal di testa."
Poverino. Ecco il motivo degli occhi arrossati e del pallore. Anche io sono pallida, ma non ho tutti questi problemi e nemmeno so cosa comporti al corpo essere fotosensibile.
"Che peccato." concludo. "Immagino che inferno vivi in estate."
"Oh, non me ne parlare. Odio quella stagione."
Il suo tono vocale si fa leggermente cupo.
"Per quanto mi riguarda, è quella che preferisco." ribatto, alzando lo sguardo e poggiando la tazza vuota.
"Una ragazza candida come te non dovrebbe stare sotto al sole." replica lui. "Potresti perdere il tuo bel pallore, e le tue gote rosse... La pelle scura è così volgare..."
Anche mia nonna è convinta che l'abbronzatura faccia male e sia volgare...
Spontaneamente, mi tocco una guancia. Fin da piccola ho sempre avuto la pelle da bambola: pallida, liscia e con le gote arrossate.
"...o forse porti del trucco?" continua Lestat, preso dall'argomento.
Ma perchè stiamo parlando di queste cose?
"No, trucco solamente gli occhi." Lo rassicuro. "E' tutto vero, senza trucchi e senza inganni." tento di sdrammatizzare. Lestat è piuttosto serio.
"Mi fa piacere, nulla è meglio della bellezza naturale."
Mi sento avvampare. Mi conosce da un giorno e sin da quando mi ha vista mi riempie di complimenti.
"Grazie." balbetto. Non so più che cosa dire.
"Non mangi, Luna?" domanda Lestat, abbandonando l'argomento di punto in bianco.
Non ho toccato la brioche da quando mi ha parlato. E ad essere sincera mi è passata la fame.
"La vuoi tu?" gli propongo.
"No, grazie. Preferisco un altro tipo di cibo." ed ecco che ricompare il suo ghigno affascinante.
Forse dovrei essere più disinvolta, in fondo non è un interlocutore poi così difficile da gestire.
Sorrido, mi sistemo e mi alzo dal tavolo, arrotolo la brioche in un tovagliolo e la ficco in borsa. L'occhio mi cade sull'orologio digitale del bar: è tardissimo.
"Devo andare!" esclamo, sgusciando via dal tavolo. "Ci vediamo in aula, ma ti conviene sbrigarti." gli suggerisco prima di svignarmela.
"Oggi do un'occhiata al corso di moda, comunque grazie per l'invito."
Quale invito?
Non ribatto nemmeno, meglio che mi muova.  Non rifletto nemmeno più sulle sue stranezze, penso troppo.
Sento la stanchezza svanire e la fame avvicinarsi. Non sarà una bella giornata.

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Capitolo 3
*** 03: Sguardi ***


Non è stata proprio una buona giornata.
Ho dovuto imbastire la mia camicetta daccapo perchè le misure non corrispondono alla mia taglia. Auto misurarsi è difficilissimo e non mi farò aiutare mai più da mia madre.
La suddetta camicia è troppo larga e indossata mi cade malissimo. Ora devo ricominciare da zero. Per fortuna so come procedere e non dovrei metterci molto, ma che rabbia!
In più sta diluviando e sono senza ombrello.
Mentre rovisto nella borsa alla ricerca delle chiavi della mia auto, riparata all'ingresso dell'università, ecco la conosciuta figura avvolta nel cappotto scuro. Lestat si avvicina, bardato come le due volte che l'ho visto, sotto a un ombrello nero che ha più l'aspetto di un parasole.
"Vuoi che ti accompagni alla tua auto?" mi domanda gentilmente.
Non mi pare di aver sventolato tanto le chiavi...
"Sai Lestat, capiti proprio quando meno me lo aspetto." rispondo.
Aggrotta le sopracciglia, turbato.
"Non ti va?"
"Al contrario, ti ringrazio. Non è lontana la mia macchina..."
"Non c'è problema." dichiara lui. Mi afferra per un braccio e mi trascina sotto il suo strano ombrello.
Piove davvero forte.
"Vuoi un passaggio a casa?" chiedo, per ricambiare la sua cortesia.
"Lo faresti?" chiede a sua volta.
"Sì, non ti va?" gli sorrido. Lui mi ricambia.
"Al contrario, ti ringrazio."
"Bene..." concludo.
In realtà ho parcheggiato più lontano di quanto ricordassi. Per temporeggiare, mi metto a parlare dell'università, scoprendo così che lui si intende di mode di altre epoche. Lo trovo interessante.
Finalmente, vedo il paraurti sottile e scassato della mia Lancia Y bianca in mezzo alle altre automobili.
Apro la portiera a Lestat, lui sale dicendo: "Avremmo dovuto fare il contrario."
Lo ignoro ma mi lascio sfuggire un sorrisetto, mi metto alla guida e partiamo.
"Dove abiti?" gli domando.
"Poco fuori dal centro. Vai sempre dritta, quando arrivi alla rotonda gira a destra e vai sempre dritta finchè non ti ritrovi in un cortile alberato. Lì c'è il mio condominio."
Annuisco e accelero.
"Guidi bene, per essere una signora." si complimenta (di nuovo) Lestat.
"Grazie. Comunque ho appena vent'anni..." gli faccio notare.
"Io ventuno!" si entusiasma, poi sospira. "Che bella età... A vent'anni non si è ne adulti nè ragazzi. Si è nel fiore della propria vita, si è così belli."
Eccolo che riparte.
"Già..." annuisco poco convinta, sterzando all'uscita della rotonda.
La via per entrare nel condominio di Lestat è segnalata all'inizio con un cartello di strada senza uscita e non è illuminata. Tra il buio e la pioggia fitta ed incessante mi tocca accendere gli abbaglianti.
Non credo di aver mai notato quell'uscita e non credo che nessuna macchina davanti a me ci si sia mai addentrata.
Avanzo lentamente finchè non intravedo il cortile. Il posto dove vie Lestat ha un'aria tetra, spettrale.
In più la pioggia autunnale si è trasformata in un vero e proprio temporali completo di tuoni e fulmini. Io odio il temporale.
Posteggio in fretta la macchina di fronte al cancello e saluto Lestat.
Lui mi si avvicina all'orecchio e sussurra "Grazie, Luna." dopodichè mi stampa un bacio sulla guancia e apre la portiera. "Non avere paura del temporale, la macchina è il posto più sicuro in cui tu possa stare."
Rimango perplessa per un secondo.
Do a vedere così tanto la mia paura?
"Quando esci e arrivi alla rotonda prendi la prima uscita e sei di nuovo sulla strada principale." continua lui, gesticolando.
"Lo so..." affermo debolmente.
Ma ormai la portiera è chiusa, e Lestat mi saluta con la mano.
Un fulmine illumina il suo viso, il suo sorriso, i suoi canini vistosi.
Ricambio il saluto e faccio manovra sempre presa dalla fretta di andarmene, ripercorro la vietta buia e mi immergo nel traffico serale.
Una domanda ancora. Com'è che Lestat è uno studente straniero e conosce così bene le strade?
Forse sono solo io che mi oriento malissimo in macchina e non mi ricordo mai dove devo andare.
 
Una volta a casa, abbandono borsa e camicia in salotto e mi defilo in bagno. Ho bisogno di una doccia bollente per farmi scivolare di dosso la stanchezza e lo stress della giornata.
Mentre l'acqua mi scorre addosso, caldissima, spontaneamente mi tocco la guancia che mi ha baciato Lestat.
Mi sento come quando avevo quattordici anni e qualche ragazzo carino mi dava un bacio simile, sempre per salutarmi. Ma Lestat ha qualcosa in più di quei ragazzi, oltre al suo viso perfetto, al sorriso smagliante dai canini pronunciati e gli occhi penetranti. E' terribilmente affascinante, e non ho intenzione di tirarmi indietro qualora continui a comportarsi in modo tanto gentile e garbato. Oltretutto, è avvolto da un alone di mistero piuttosto evidente.
Insomma, anche io sono strana, ma Lestat mi supera di gran lunga, col suo giaccone pesante e scuro e quei modi così seri e un pò antiquati, senza contare il buio cortile dimenticato dal mondo in cui abita.
Io invece non sono niente di speciale, a dirla tutta.
Non ho un bel corpo: non sono nè alta nè bassa, snella ma non troppo. Ho il seno piccolo e gli alti muscolosi per gli sport praticati fino alla fine del liceo.
Mi tingo i capelli di un rosso arancio vellutato perchè trovo che il mio colore naturale sia piuttosto scialbo, e mi sorprende che Lestat non se ne sia già accorto.
Credo che sia il mio viso ad averlo attratto. Mi hanno sempre detto che ho un bel viso morbido e pallido come quello delle bambole, anche per via dei miei occhi grandi, che appaiono minuscoli dietro le spesse lenti dei miei occhiali; il mio naso è piccolo e dritto e non ho gli zigomi pronunciati, ma i miei denti non sono così perfetti. In compenso, non ho i canini sporgenti.
Non riesco a distogliere dalla mente gli occhi penetranti di Lestat che scrutano oltre il mio viso e il mio corpo. Dove vorrà arrivare, lui solo ne ha idea.
Eppure, la sua bellezza, il suo fascino e il suo portamento non fanno altro che inquietarmi o mettermi in soggezione.

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Capitolo 4
*** 04: Surreale ***


Finalmente ho terminato la mia camicietta, mancano solo i ricami sulle cuciture. 
Sistemo il mio tavolo e guardo fuori dalla finestra, il buio sta già scendendo, lento e inesorabile.
Per tutto il giorno c'è stato il classico cielo plumbeo autunnale che promette pioggia, e spero che oggi non diluvi.
Finalmente posso andare, anche se è presto rispetto agli orari normali, ho già finito. Raccolgo tutte le mie cose e mi defilo, raggiungendo in fretta l'ingresso.
Purtroppo, la pioggia era talmente fitta ed io ero così concentrata sul lavoro che non mi sono nemmeno resa conto che già piove. Ed eccolo là, Lestat, in piedi di fronte alla grossa bacheca dell'ingresso intento a leggere qualcuno di quei fogli e volantini sparsi su di essa.
Indossa lo stesso cappotto scuro e pesante di ieri, e porta con s'è (di nuovo) quello strano ombrello. I suoi capelli dorati paiono un pò gonfi, forse per l'umidità.
Mi saluta subito, come se conoscesse i miei passi, non credo mi abbia notata davvero.
Ricambio il suo saluto e mi accoccolo nel mio cappotto viola scuro, camminando verso l'uscita.
Poi di colpo, mi fermo.
"Hai bisogno..." domando.
"Di un passaggio, sì, se non vai di fretta." mi interrompe Lestat, indovinando.
Mi ha letta nel pensiero...
"Va bene,allora andiamo?" incalzo, dal momento che lui è pare stregato dalla bacheca.
Lestat si volta e mi sorride, dopodchè mi raggiunge. "Sì." afferma.
"Ho trovato pargheggio più vicino oggi." dico, non sapendo che altro dire.
"Bene." risponde lui, girandosi verso di me e analizzandomi coi suoi occhi profondi, oggi vitrei, lugubri.
Lestat non ha un bell'aspetto stasera. E' palidissimo in viso, quasi marmoreo, sembra davvero finto, per non dire che pare un morto.
"Stai bene? Non hai una bella cera..." sussurro, guadandolo pensierosa.
"Sì, non temere, forse sarà solo un pò di...febbre." risponde lui, come se non sapesse come o cosa si sente.
"Mi spiace, appena arrivi a casa bevi qualcosa di caldo e cerca di dormire, sei molto pallido." gli consiglio.
"Davvero? Quanto pallido?" mi chiede un pò preoccupato.
"Tanto." rispondo sinceramente.
Lestat si volta, e non fiata finchè non saliamo in auto.
"Ricordi la strada?" domanda ansioso allacciandosi la cintura di sicurezza.
"Sì." rispondo sorridendo.
"Bene.." Sussurra Lestat.
"Non star male in auto, ti preno!" sdrammatizzo mentre faccio manovra per uscire dallo stretto parcheggio.
"Sono duro a crepare." replica lui ghignando, abbastanza convinto delle sue parole.
Finalmente sono in strada, e qualche minuto dopo eccomi nel sinistro cortile inquietante e rumoreggiante davanti casa di Lestat.
"Vuoi salire?" mi domanda mentre accosto.
Non so cosa rispondere. Non ho paura di quello che potrebbe succedere, non sono più una liceale alle prime armi.
Perchè no, per cui?
"D'accordo." gli sorrido.
Scendiamo entrambi dall'auto e Lestat mi fa strada, apre un massiccio portone cigolante in legno e si avvia lungo una rampa di scale stretta e odorosa di umidità.
La palazzina sebra drecrepita e malconcia, ma quando mi trovo davanti  quella che sembra la sua porta, lignea, lucida e scura, mi pare che il suo appartamento sia l'unico ristrutturato di tutto il caseggiato, e quando apre la porta, scopro he è proprio come avevo pensato.
Accende una debole luce e mi invita a togliermi il cappotto. 
Slaccio l'ultimo bottone quando Lestat, che ha già tolto il suo, mi sfila il cappotto con una galanteria tale che non riesco a fare a meno di arrossire.
"Grazie" balbetto
"Dovere." replica.
Attacca il mio capotto a un tremolante appendiabiti e, con un cenno gentile e fluido, mi invita a proseguire nel corridoio semibuio.
Entriamo nel suo salotto, arredato con mobili scuri e di legno, antichi ma ben messi, tutti molto elaborati.
Al centro della stanza c'è un tavolino in vetro verde, dietro di esso un divano beige e una poltroncina arancio scuro, abbinata al colore delle spesse tende.
La casa odora di chiuso ed è fredda. Sembra che Lestat non passi molto tempo qui dentro, e capisco il suo essere fotosensibile, ma le tapparelle serrate e le tente così spesse mi sebrano esagerate.
Lestat mi fa accomodare sul divano e domanda gentile: "Vuoi bere qualcosa?" 
"No, grazie, sono a posto così." rifiuto garbatamente. Voglio solo andarmene, mi sento a diasgio.
Lestat si siede accanto a me, e comincia a parlare da solo riguardo alle sue scortesie o il mio sentirmi a disagio, che deve essere molto evidente, per averlo percepito così.
Non presto attenzione alle sue parole. La testa fa su e giù, anuisco, ma il cervello è distaccato.
E' uno dei miei tanti difetti: sono una buona ascoltatrice, ma quando l'argomento non mi interessa annuisco e basta, eppure pretendo di essere semre ascoltata, qualsiasi banalità io dica.
Penso a cosa siano dovute le premure e la voglia di trattenermi in questo salottino ermetico. Forse si sente solo? Insomma uno studente straniero dall'accento poco marcato in una città sconosciuta può sentirsi solo. O magari è uno di quei bellocci cinici che non fa sesso da mesi e ha certe voglie da sfogare. Oppure è solo un bravo ragazzo che cerca qualcosa in più da me del solito passaggio quando piove e io sono una stupida che adora pensare a situazioni verosimili così nitide quanto improbabili nel loro avverarsi.
"Mi segui?" sento a un certo punto.
Qualche secondo dopo annuisco di nuovo.
"Certo." sussurro tentando di essere convincente.
Credo che debba prestare più attenzione a ciò che sta dicendo. Sono così pensierosa su quello che potrebbe succedere se resto qui ancora.
"Sai sono un uomo che ama l'arte, le cose raffinate, i mobili belli e antichi di legni pregiati, suonare il pianoforte, la musica classica.. Mi sono appassionato alla musica rock sai, è così ribelle e blasfema, eppure è così venerata e adorata.
Blasfema? Mi chiedo quale genere di rock abbia colpito Lestat.
"Non è bello trasferirsi, insomma guarda che razza di appartamento, mezzo vuoto, piccolo, e che brutto arredamento... Sai sono un tipo che non disdegna..."
"Il lusso?" lo interrompo a sproposito. 
Lestat tace e il suo sguardo sempre più irreale e trasparente mi trafigge.
"Sì." sibila.
Credo di avegli appena dato del riccone viziato.
"Non credo sia la parola più appropriata..." tento di corpire l'errore.
"Può darsi... ma in fondo, a chi non piacerebbe vivere negli agi?"
Ancora qualche secondo di silenzio tombale e di intense occhiate.
"A me." Sussurro.
Lo sguardo penetrante di Lestat si trasforma in un'espressione di leggero stupore.
"A te?" mi dice, come per farmi ritirare le parole dette.
"Beh, a vivere nel lusso non c'è gusto, non c'è soddisfazione... A me piace guadagnarmi le cose. Dai vestiti agli apparecchi elettronici, insomma, un oggetto diviene più prezioso se lo si guadagna col proprio lavoro, o no?"
Non so cosa sto dicendo. Sto andando in palla; se Lestat vuole fare qualcosa è meglio che si sbrighi o lo ricoprirò di parole insensate.
Lui abbassa lo sguardo e sogghigna. 
"Può darsi..." ripete, con un tono molto sensuale. "Prima ti ho detto che mi piace ballare." annuncia Lestat, scattando in piedi.
Annuisco in silenzio, credo sia un pezzo del discorso che ho ignorato.
"E tu?" mi provoca, ancora sogghignante, tendendomi la mano bianchissima.
Non rimango seduta e afferro la sua mano per pura buona educazione, e, col suo aiuto delicato e galante, mi alzo in piedi anche io.
La sua mano affusolata è ghiacciata. Guardo le dita, lunghe e sottili; ha le unghie lunghe quanto le mie.
"Sono pessima nel ballo." rispondo decisa.
Lestat aggrotta le bionde sopracciglia.
"Qualsiasi ballo." puntualizzo.
"Oh, peccato. Sembri così aggraziata. Mi piacerebbe danzare con te, un giorno, ma sai, le discoteche mi piacciono solo per un motivo..."
"Quale?" domando curiosa.
Lestat mi cince la vita in una presa saldissima e mi tira verso di lui, fissandomi intensamente negli occhi. Il suo sguardo è iniettato di sangue, eccitato, innaturale, e gli occhi grigi si fanno così vitrei da sembrare veramente finti. Il suo corpo è gelido, le sue mani anche.
Con la mano libera mi sposta il viso in modo che il mio collo sia vicinissimo alla sua bocca modellata, il tutto con uno scatto così fulmineo che non mi rendo conto di quello che sta succedendo, anche se, inconsciamente, non riesco a staccare i miei occhi dal suo sguardo inquietante.
"Questo!" ringhia infine Lestat, e, sotto lo sguardo immobile delle mie pupille dilatate per il terrore, fisse nei suoi occhi bramosi, Lestat apre la sua bella bocca, mostrando i canini vistosi, e, rapidissimo, li affonda nel mio collo.

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