Soul's Wind

di aniasolary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Emily e Sam si sposano ***
Capitolo 2: *** Soul's Wind #1 ***
Capitolo 3: *** Soul's Wind #2 ***
Capitolo 4: *** Soul's Wind #3 ***
Capitolo 5: *** Soul's Wind #4 ***
Capitolo 6: *** Soul's Wind #5 ***
Capitolo 7: *** Epilogo:I won't let you go ***



Capitolo 1
*** Prologo: Emily e Sam si sposano ***


Emily e Sam si sposano

Soul's Wind


Storia ambientata esattamente un anno dopo la fine di Breaking dawn. Spero che possa piacere a tutti quelli che apprezzano il personaggio di Leah e che magari questo sia un modo, se non è una personaggio da voi prediletto, di farvi cambiare idea. Buona lettura a tutti!











Prologo

Emily e Sam si sposano

L’amore quando è finito lascia un cratere nell’anima, lo puoi riempire delle emozioni più vili o più sagge, è che se lo riempi di dolore… ti lacera da dentro.

Stephen Littleword, Aforismi

Emily e Sam si sposano.

Credevo che il mondo mi fosse caduto addosso una volta, e invece oggi mi sono accorta del fatto che i rifiuti non si buttano mai tutti insieme. E il mondo cadrà di nuovo quando mi daranno l’annuncio del loro primo, bellissimo bambino. E del secondo. Mentre io starò qui a guardare.

      - Stanno ancora organizzando tutto… Oh Leah, non sapevo che fossi lì.

Quil mi guarda, gli si colorano le guance. Vorrei che distogliesse lo sguardo, perché non lo fa?

        -E invece ci sono.

Emily e  Sam.

Emily con il vestito bianco, le rose nel suo bouquet appena colto nel campo di fiori… Sam vestito con un abito nero, l’emozione che gli scorre nelle vene pompate dal cuore…

        -Leah…

Seth si alza e viene verso di me. Non so che cosa vuole, ma i suoi sorrisi che vengono fuori senza un vero motivo finiscono solo per farmi uscire dalla stanza, tutte le volte. E pensare che prima mi piaceva che lui fosse così. Tutto questo prima… prima che la Leah di una volta venisse uccisa.

      - Io… devo andare a comprare una cosa. Non l’avevo scritta sulla lista.

Evito i loro sguardi e lascio le buste sul tavolo. Esco di casa, senza guardare, senza parlare, senza far cedere le lacrime che si soro raggomitolate intorno ai miei occhi stanchi di notti insonni, pensieri sempre uguali, sogni che non sono tanto diversi dalla realtà.

Entro in auto, il mio pick-up verde e consumato. Accendo la macchina e comincio a percorrere la strada. Non so dove andrò. So soltanto che le lacrime mi rigano il viso e mi fanno male come mi farebbero male i graffi di una pantera.

Non è cambiato niente.

Premo il piede sull'acceleratore.

Sam Uley, vuoi prendere questa donna come tua legittima sposa?

Sì, lo voglio

E tu… Emily Young…

Leah! Doveva essere Leah! Dovevo essere io!

Perché se la felicità non si può comprare si può sempre rubare? Perché quando qualcosa si perde non la si ritrova più? Perché quando si soffre, il dolore permane per sempre anche quando la ferita sembra cicatrizzata?

Le lacrime mi feriscono, mi attraversano la carne.

Perché è amore.

E solo due cose sono per sempre. La morte e l’amore vero.

Fermo la macchina. Sono vicino alla foresta, sul ciglio della strada.

Sta piovendo. Mi sciolgo sotto la pioggia, la sento bollente. Mi scortica la pelle ma mi lascia viva, come sempre. Come ogni volta.

Sam ed Emily

Emily e Sam

Sam ed Emily

Emily e Sam

Leah e…

Nessuno.

La pioggia batte.

Sono stanca… le lacrime bruciano, e vorrei bruciare io.

Ma io… devo restare qui.

Devo restare qui.

Eppure è così sbagliato desiderare di essere felice?

E’ così sbagliato… aggrapparsi ad un sogno, quando la vita ti butta sempre più giù, nel vuoto?

E’ così sbagliato fuggire da un posto in cui non c’è altro che tristezza?

Ne sono sicura. E’ tutto sbagliato. Tutto.

E anche io sono sbagliata.

La pioggia mi bagna e trovo sollievo per il fuoco che ho dentro. Tolgo la giacca a vento e la poggio sul cofano. Cammino nel bosco, guardo gli alberi, guardo il fango, guardo l’acqua che mi fa scudo sugli occhi, perché se per caso ho posseduto una corazza, ora è svanita nel nulla, e mi è scivolata via con l’acqua che cade dal cielo.

Lo so che non mi pensa nessuno, so che i mie pensieri intralciano soltanto, so che vorrei essere forte e lo sembro soltanto, so che non va bene essere così. So anche che non è giusto fare quello che invece farò, ma non importa. Non importa più niente. Perché uno sbaglio in più in una vita fatta di errori non conta.

Voglio bene alla mamma. Voglio bene a Seth. A papà che non c'è più.

Spero soltanto che nonostante tutto, loro lo abbiano capito.

Inciampo, cado a terra. So che cosa devo fare. So come essere veloce, so come battere tutti.

Mi reggo per i gomiti, le ginocchia graffiano il terreno, il fango mi sporca il viso.

Ma sono viva. E la mia vita è ancora nel mondo, da qualche parte, ed io devo cercarla.

Grido. Ma quando cerco di riconoscere la mia voce fra il silenzio degli alberi, non c’è altro che un  ululato.

I vestiti si sono strappati, cadono in mille pezzi.

Corro. Corro senza fermarmi e così mi sento forte, e so che non lo sembro soltanto. Ricordo anche che può piangere anche un lupo, quando è ferito, quando non trova più la strada di casa, quando muore il proprio compagno.

La luna è nascosta ma so bene che c’è.

Anche Leah si è nascosta, ma io so bene che c’è ancora. E mentre piango, mentre le lacrime si versano e si confondono con la pioggia,  mi chiede soltanto di andarla a cercare. 

*

*

*

*

Questa storia risale al luglio 2011, e la riposto esattamente un anno dopo. Spero che sia migliore rispetto alla prima versione. Ringrazio tanto tutti quelli che l'hanno letta la prima volta e rileggeranno e naturalmente tutti quelli che la leggeranno per la prima volta :D Leah è scappata, proprio come ha fatto Jacob in Eclipse. Che cosa succederà?
Grazie a tutti coloro che saranno tanto gentili da lasciarmi due parole <3
Grazie davvero.
Un bacio
Ania <3

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Capitolo 2
*** Soul's Wind #1 ***


leah 1

Soul's Wind

Capitolo 1


Cio' che è più amaro, nel dolore di oggi, è il ricordo della gioia di ieri.

Gibran

Corri... Corri.

Posso ancora ansimare, piangere, rantolare dal dolore. Me ne sono accorta presto, la prima notte, quando sono fuggita via.

Non puoi scappare. Non puoi scappare dal dolore.

La sofferenza è come un ombra: mi segue in ogni dove, alla luce dell’alba e delle stelle, nell’oscurità della notte e nei momenti vividi del giorno. E quando si è soli, tutto è amplificato. Niente mi porta a fingere che vada tutto bene… niente mi dà la forza di far nascere un sorriso dalle mie labbra, niente mi ricorda di nascondere quello che sento con altri pensieri. Sono costretta ad essere sincera con me stessa, con il mondo e le foreste che mi hanno compatito. Gli alberi hanno ascoltato i miei pensieri, gli alberi mi hanno compreso, il vento ha asciugato le mie lacrime con le sue mani fatte di aria, abbracciandomi.

Sei un lupo, adesso.

Il tempo non esiste, non c’è niente che mi dice che sto invecchiando o che non sono più bella, che nessuno mi guarda, o che dovrei rifarmi una vita. Che avrei potuto scappare in un modo migliore. Ma io sono fuggita e basta. Senza pensare, senza capire, convincendomi che lasciando quel posto sarebbero rimasti lì anche tutti i ricordi, tutti i dolori, tutti i desideri. E invece sono con me, come parassiti. E in ogni momento mi riportano indietro... mi riempiono di sogni che non posso realizzare.

Corri… Corri.

E proprio adesso mi ritrovo qui, proprio adesso sento che vorrei rivederlo un’altra volta, anche se non servirebbe a nulla.

Sam…

«Sam…» Ma nasce solo un ululato che assomiglia ad un urlo. Taglia l’aria e le foglie, le calpesta, le scuote… fa male, fa tanto male. E’ l’aurora, è il rosso nel cielo con l’azzurro del mare dipinto sopra le grandi querce. E mi acceca.

Non potevo dire niente di meglio, con in ballo una ferita che mi fa accasciare sulla terra, in tutta la mia carcassa animale. Stupida. Sempre la solita, patetica stupida.

Sono solo due minuti che fuggo dal cacciatore.

Lui non molla; dovrebbe essere spaventato da un lupo grande quanto un cavallo e invece non ha fatto un piega. 

Sono io ad avere paura.

E mi sento sanguinare, mi sento morire sopra questo prato di foglie secche che mi graffiano la pelliccia. Gli occhi si chiudono, le palpebre sono pesanti.

Cado.

Anche i lupi hanno rimpianti, anche i lupi vorrebbero tornare indietro...

Sto per piangere, lo so, e non capisco nemmeno perché ho anche solo minimamente pensato di trattenere le lacrime. Sono intrappola, sono lontana da casa, sono perduta… 

«Stringimi

Lo sento respirare sulla mia spalla, nervoso. Sono a un passo dal sentirmi perfetta, un passo soltanto proprio ora che non posso camminare, proprio ora che non c’è niente che mi faccia pensare di potermi allontanare da lui. Ho diciassette anni, Sam mi accarezza i capelli lunghi, sento il viso sereno alterato dalle farfalle nello stomaco. Sono impegnata a sorridere in modo stupido; Chi l’avrebbe mai detto, eh? mi sento bellissima e la mia mente è vuota ma piena di noi. Sento l’abbraccio che mi avvolge, le sue braccia forti e grandi, i suoi occhi che mi sfiorano. Ecco, in questi momenti posso anche smettere di essere la ragazza dura e antipatica di sempre, ma solo perché c’è lui. Soltanto per questo.

«Leah.»

Perché è Sam, che dice il mio nome. Ed io sento che lo dice in modo sincero, in un modo in cui nessuno ha mai detto queste semplicissime lettere. E’ un nome comune, il mio, neanche tanto carino. Ma detto da lui sembra quello di una regina.

«Ti amo.» mormora.

Il mio corpo diviene teso. Ho sentito bene?

Affondo la testa nell’incavo del suo collo. Le farfalle mi solleticano la pancia e credo che ormai siano arrivate a toccare anche il cuore. Siamo tutti e due sensibili quando veniamo presi alla sprovvista.

 Contro il suo petto, presa da un'euforia che non è mai stata mia, immagino il suo volto.

Gli occhi scuri, la pelle bronzea, il sorriso buffo, l’occhiolino che mi fa quando combina qualcosa di sbagliato.

Con gli occhi sigillati dall’emozione alzo il capo verso di lui, che dipinge con le dita il mio profilo. Lo vedo, che mi abbraccia e mi accarezza con la mano, l’espressione concentrata, i capelli neri che gli ricadono leggermente sul viso. Lo conosco da sempre. Credo che “sempre” sia la sola parola giusta, per parlare di quello che viviamo e abbiamo vissuto insieme.

Aprirei gli occhi,  forse, per guardarlo e sorridergli e dirgli qualcosa, ma lui blocca la mano sul mio mento e mi avvicina a lui. Alla sprovvista, come sempre. Ma sono troppo felice per arrabbiarmi, sono troppo felice e basta, per tantissimi motivi. Mi bacia con delicatezza, aderendo la presa sulla mia schiena. La sua bocca incontra la mia, la cura di ogni lacrima che vi è caduta per motivi come la rabbia, come l’incomprensione, come l’orgoglio. Mi stringo a lui, affondando le mie mani nei suoi capelli corti. Adesso può sorgere il sole.


Sospiro, spostando lo sguardo dal suo viso al mare. Niente di personale, ma il mio ragazzo non ha il privilegio che io mi incanti a guardarlo: preferisco fantasticare su questi momenti quando mi addormento, quando lui non può leggere le mie espressioni. E poi, avrò sempre il tempo di rimanere così, impalata, a fissarlo. Sempre nei momenti in cui è serio, concentrato e pensa ad altro... sia chiaro. Mi prende sempre in giro quando dico certe cose ad alta voce...

Siamo avvinghiati su un asciugamano consumato di mio fratello piccolo, la notte è scesa, colora la sabbia di blu e di nero. Ma c’è tanta, tanta luce. Non la cerco oltre le nuvole, è qui accanto a me. E’ dentro di me.

«Ti amo anch’io, Sam.»

Adesso tutto è nero, tutto è buio. Non so se mi sveglierò mai. Ma il suo nome è stata la prima cosa a cui ho pensato quando ho cominciato a sentire il dolore lungo il mio stomaco, quello che le farfalle hanno invaso tante, tantissime volte a causa sua. Sam è dolore, Sam è amore, Sam è passato riversato sul presente. Sam è il filo di ferro che mi stringe il cuore, Sam è la vita che avrei tanto desiderato vivere. Ho visto il momento più bello, ho visto il giorno in cui non c’era niente a minacciare la nostra comune felicità. Ho visto un sorriso nel momento più giusto, ho visto le mie labbra giovani che venivano accarezzate e curate da lui quando ancora non ce n’era bisogno, quando Sam era felice con me.

Il battito del mio cuore rimbomba nella mia mente, nulla più si distingue. Annego nel buio, piangendo. Fa male, fa male davvero.

Perché sono debole, perché sono Leah Clearwater e ho perso, ho perso tanto tempo fa.

***

Dove sono? Io... io ci sono ancora. Il dolore è passato - parlo di quello lungo il fianco - e devo soltanto aprire gli occhi. La luce è fortissima, li richiudo presto. Le mie mani sono sulla mia faccia, sento la bocca asciutta e tirata. Faccio un respiro profondo: un fastidiosissimo odore di disinfettante, dell'alcol rosa che usava sempre mia madre, di quelle punture che fa sempre il dentista. Finalmente i miei occhi si abituano a tutto. Per quanto tempo sono rimasta una mutaforma? Sicuramente tanto, abbastanza per sentirmi strana nel mio corpo normale.

Questo... questo è il mio corpo.

Ed io sono in una stanza, una stanza che sembra quella di un ospedale, con indosso una camicia da notte bianca e dei segni rossi sui polsi. Mi sposto un po', per mettermi seduta, per alzarmi.

Ahi!

Mi hanno messo delle bende sul fianco, dove sono stata colpita. 

Hanno cercato di uccidermi.

Cominciano i brividi di freddo, il terrore. Sono stata sparata e, dopo essermi accasciata a terra priva di sensi... sono tornata... sono tornata nel corpo di una donna.

Qualcuno mi ha vista.

Non mi importa più del dolore, cerco di rimettermi in piedi: non posso permettere che mi succeda altro. Un fenomeno da baraccone, un errore della genetica, un miracolo animale, qualcosa che va oltre il normale. E' un segreto, tutto questo è un segreto... 

Sei in pericolo.

Devo andarmente via, presto. Non c'è più tempo, non c'è più tempo per niente.

Hai paura, ti ghiaccia il sangue.

L'odore aumenta sempre di più, devo scappare... la porta si apre.

*

*

*

*

Ciao :D ecco a voi un nuovo capitolo. Spero che vi sia piaciuto, anche se dobbiamo ancora entrare nel vivo della storia. Qualcuno ha aggredito Leah, e lei si è ritrovata come in una stanza di ospedale. Chi sarà lì con lei? Grazie mille a tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo di questa storia. Grazie, non immaginate come mi fate felice <3
Grazie mille a tutti voi.
A mercoledì prossimo.
Ania <3

 

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Capitolo 3
*** Soul's Wind #2 ***


brian
Soul's Wind

Capitolo 2


Riempio il bicchiere di latte e lo mando giù a pochi sorsi. E' ancora presto per andare a lavoro e sono più che in anticipo. Forse io e il sole siamo collegati, vicini, uniti. Non si può spiegare: qualcosa ti chiama, ti travolge, e tu non puoi far altro che lasciarti trasportare come un piccolo pezzo di legno dalla corrente del mare.
Tin-tin-tin.
Da quanto tempo hai lasciato il frigorifero aperto?
E' come con i pensieri, lascio certe questioni aperte anche quando  dovrebbero essere chiuse da chissà quanto; la differenza è che non c'è nessun "Tin-tin-tin" che mi dice di lasciar perdere e abbandonare tutto. Devo capirlo da solo, e ogni tanto mi ritrovo a fingere di non averlo mai fatto.
Lo chiudo con una spinta e guardo l'orologio. Sono le sei in punto... posso rimanere qui a guardarmi intorno per un po'.
Sbagliato!
Già, sbagliato. Sulla sedia è sistemata la mia divisa bianca: fortunatamente nessuno controlla che io ci indossi una maglietta sotto, altrimenti sarei condannato a sciogliermi nel mio stesso calore corporeo.
Rileggo la targhetta per la millesima volta. Non mi ci sono ancora abituato sul serio.
"Dott. B. Ewell."
Ehi, sei un dottore!
Soldi e indipendenza.
Bello, eh?
Così posso divertirmi. O almeno, dare l'impressione che io lo faccia, anche dopo... dopo che...
Terreno minato!
Terreno minato. Giusto.
Passerà tutto. Devi soltanto lasciare che passi. Dipende tutto da te, dai tuoi desideri, da quello che sogni per te.
Scuoto la testa. Non è il momento di soffermarmi su certi pensieri, adesso.
Non. Adesso.
Infilo dei jeans, le scarpe, il camice bianco, mi fermo davanti all'ultima porta del corridoio. Sarebbe illegale avere un ambulatorio nella propria casa, anche per un medico; ma in certi casi non si ha il tempo di pensare alle formalità, soprattutto quando si ha a che fare con casi... speciali.
Apro la porta. 
La luce è quasi accecante: il bianco dei muri contro la luce del sole di fuori crea una combinazione luminosa che scaccia via il buio come una bufera di neve distrugge tutto ciò che ha intorno. Solo qualcosa, in fondo, colora la stanza. Non è il ferro battuto del letto e nemmeno gli strumenti in metallo che luccicano sul mobile a destra, accanto ai guanti in lattice che dovrei infilare.
E' una ragazza dai capelli neri e arruffati, gli occhi lucidi, stanchi e impauriti, la pelle bronzea. La paura associata al suo bel volto dai tratti indoamericani mi fa rimanere allibito sulla soglia, anche quando mi accorgo che ha preso fra le mani il contenitore di ferro per le flebo, ormai sollevato da terra. Non so più come respirare, mentre faccio un altro passo e lei alza il contenitore sempre di più. Distolgo lo sguardo dai suoi occhi e sì, posso ancora respirare. Un altro passo e mi spacca la testa con quel coso, è sicuro.
- C'è un licantropo nella foresta, non è dei nostri. Potrebbe creare problemi.
- Forse... forse è scappato da qualcosa...
- Da qualunque cosa scappi, non può restare.
Un lupo grande e dal manto grigio dormiva ai piedi di un albero. Odiavo doverlo fare, avremmo potuto lasciarelo libero, se ne sarebbe andato presto, ma prima di qualunque autorità vi è sempre il vecchio della riserva, capo del consiglio, ed io dovevo obbedire. Mi avvicinai, avrei sparato la siringa con il sonnifero e non si sarebbe né svegliato, né avrebbe percepito dolore. Ci separava solo un metro, io con solo indosso delle bermuda, quando all'improvviso il lupo aprì gli occhi, neri e luminosi, e si scaraventò via subito dopo aver fissato il fucile apposito che portavo fra le mani. Ebbi una fitta al cuore nel momento stesso in cui riuscii a colpirlo. Il lupo atterrò su una pietra appuntita, che affondò nel suo fianco, facendolo ululare. Sentii un brivido lungo la schiena. Mentre la pelliccia grigia scompariva. E il corpo di una donna prendeva il suo posto.
- Chi sei?- chiede, tremando. Si tocca il fianco dove le ho riscontrato la ferita più grave, quella della pietra. Trattiene una smorfia sulle sue labbra screpolate e sottili.
- Non... non devi avere paura. 
- Non. Mi. Hai. Risposto - scandisce, a denti stretti.
D'accordo.
Tranquillo, ce la fai.

- Mi chiamo Brian Ewell. Sono un dottore. Il tuo segreto è al sicuro con noi, non...
- Non ti credo - dice, - Chi sei tu, per farmelo credere?
Le ciglia sono lunghe, gli occhi neri come il carbone e mi attraversano come uno spettro, che mi gela da dentro. Ho l'impressione che tutta questa forza, quella che vedo nella sua voce, nel suo viso, nel suo modo di muoversi, stia per sgretolarsi qui, davanti a me, come il processo dell'erosione di una roccia che avviene in modo accelerato.
Sei proprio una merda. Per averle sparato quella siringa, per aver ascoltato Klaus, il capo del consiglio, per aver permesso che si facesse male, per non aver fatto la cosa giusta.
Ma so che posso ancora fare qualcosa.
- Io... io non sono nessuno, ma sono come te.
Mi avvicino, anche se forse potrebbe esserle ancora rimasto l'obbiettivo di colpirmi con quell'aggeggio di metallo da cui sono passati sacchi di medicine e di sangue per tutti i malati speciali.
Deve sapere che il suo segreto è anche il mio segreto.
Ignoro il brivido che mi attraversa la schiena. Come se fosse la prima volta che apro una camicia di fronte ad una ragazza. Come se fosse l'unica cosa che ti sei sfilato via, davanti ad una ragazza. Guardo il camice bianco, la guardo con la coda nell'occhio... Abbasso la divisa dal lato destro della spalla e le mostro il tatuaggio. Il mio è diverso dal suo, credo che questi cambino a seconda delle tribù, ma basta a farle capire che cosa intendo.
- Non ti farò del male - le ripeto. - Non ti farò del male.
    Lei lascia il contenitore delle flebo e si siede sul letto, sospira. Coperta da quel poco della camicia da notte che indossa, si porta le gambe al petto, tremando, sembra che stia per piangere.
- Come ti chiami?- le chiedo.
Mi sono dimenticato che cosa si fa in questi casi.
Premo il pulsante che mi permette di accendere la piccola torcia. Io... aspetta... dovrei controllarle i riflessi...
Ma che ti prende?
  Le prenderei la mano per stringerla e... Mi guarda e sembra che riconosca qualcosa.
- Io... Leah - risponde, come se si fosse soffermata a pensarci su per qualche secondo.
Adesso non trema più, guarda in basso, come se si vergognasse.
-Ora ti devo chiedere se...
- Anch'io. Anch'io ho molte domande da.. far... farle...
 Scoppio a ridere. - Ehi, ho venticinque anni! E poi quanti anni avrai? diciannove?
Sbuffa.- Ne ho ventidue. Cioè, ti sembro una di diciannove anni? Appena maggiorenne? Con questa faccia?
Scuoto la testa, le sorrido.
Deve aver vissuto per tanto tempo felice e protetta per poi perdere tutto nell'istante stesso in cui se n'è resa conto. Si sarà trovata sola per questo, i mutaforma si abbandonano al lupo, quando non hanno più il coraggio di abbandonarsi a loro stessi, alla vita... alla verità. Si crede che il lupo dimentichi tutti i dolori dell'uomo, quando lui invece vive, muore e soffre con noi. Una volta ci sono passato anch'io.
- Ehi, Doc! Biondo super capo branco, devo accompagnare Mia a fare un controllo... Oh, sederino abbronzato si è svegliata, vedo!
Oh, no.
Oliver, uno dei primi componenti del branco, si è scaraventato nella stanza aprendo la porta in un modo super apocalittico, e adesso ha anche fatto la sua immancabile figura da perfetto idiota.
Continua a ostinarsi a chiamarmi "biondo" solo perché non ho i capelli neri come tutti gli altri della riserva ma di un castano chiaro e gli occhi verdi.
Lei è arrossita, tanto, davvero, e questa volta non è una mia impressione. Sì, ma non è imbarazzata. Ora si incazza.
Ma quanto è cretino?
- Scommetto che tu non hai nient'altro da fare che guardare il sedere di una ragazza indifesa e priva di sensi come un maniaco in astinenza, vero?
    La voce di Leah rimbomba nelle mie orecchie, non riesco a capire chi dei due è rimasto più sorpreso.
Ol rimane ammutolito, con la bocca aperta che raggiunge il pavimento della stanza e la perenne faccia da idiota.
- Ol, esci subito di qui. Ricevuto?
- S-s-s-s-sì- balbetta, indietreggiando e chiudendo la porta.
Ma come ha fatto ad entrare?
Ah, le finestre...
Le sue guance sono ancora colorate dal suo rossore, gli occhi danno luce a tutto.
- Io... io sono così... - sbuffa, picchiettando le mani sulla coperta grigia.
- Ehi, ehi, è tutto a posto, Oliver è fatto così, devi lasciarlo perdere. Mettiti a letto, adesso ti porto qualcosa da mangiare, va bene?
Alle mie ultime parole i suoi occhi si illuminano ancora di più, quasi dentro di lei crescesse il sole.
- S-sì. Grazie.Io... grazie... grazie, Brian.
La sua mano, mentre tortura la coperta, trova la mia. Il contatto è breve, sorprendente, un istante grande quanto quello impiegato nella crescita di un sorriso, ma sembra che per lei sia importante. Sento la sua presa calda sulla mia, come quella tutti i mutaforma. E' come se entrambi avessimo ricevuto una scossa, io per la sorpresa, lei per qualunque altra cosa che vorrei tanto sapere.
Si ritrae, subito, distogliendo lo sguardo e blaterando qualcosa sul mettersi di nuovo sotto le coperte. 
Io mi alzo e mi dirigo verso la porta. La luce che viene dal cielo non ci dà più fastidio, aiuta soltanto a colorare quella stanza spesso vuota. O forse è lei, è lei che ha ridato colore forse non solo a quella stanza. 
- Leah, qui sei al sicuro - le dico, guardandola. E' bella... sento che se sorridesse lo sarebbe ancora di più. Sento che se sorridesse se ne accorgerebbero tutti.
Lei annuisce, sembra sollevata, mentre si porta la coperta al petto, come per proteggersi. I capelli corti le ricadono davanti al volto e lei porta una ciocca dietro l'orecchio.
Per la prima volta mi sento al mio posto, e non importa che cosa è successo prima, sono convinto del fatto che forse il caso non esiste. Sono convinto del fatto di averle detto proprio quello che voleva sentirsi dire.

*
*
*
*
*
Et voilà, eccomi qua con il terzo capitolo. Abbiamo conosciuto Brian :D Lo conosceremo meglio andando avanti con la storia. Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto :) Grazie davvero a tutti voi che mi avete recensito e letto <3 Davvero, mi rendete felicissima.
Grazie <3

Ania <3






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Capitolo 4
*** Soul's Wind #3 ***


Soul's wind 3


Soul's Wind

Capitolo 3

Leah

Ci sono dei momenti, piccoli punti di luce in un buio pesto, che ti fanno sentire al sicuro proprio quando sei convinto di essere in pericolo. Un sguardo amico, una parola detta nel momento esatto, la consapevolezza di non essere solo.
Ho mandato giù tutta la colazione: uova fritte, un bicchiere di succo all'arancia, della pancetta, e anche solo per poco mi sono sentita… bene, non ho pensato ai motivi che mi hanno portato a scappare o a nessun'altra cosa che avrebbe potuto rattristirmi. Va bene così, anche se so che tutto passerà in fretta.
Sono una di quelle persone che il destino prende di mira senza un motivo particolare, ed è una di quelle cose che fanno demordere, ma che si impara ad accettare.
« Va meglio, ora?»
Ho divorato tutto in pochissimo tempo, senza badare allo sguardo di Brian, senza badare al posto in cui mi trovo, senza badare a quello che potrebbe succedere. Per quanto tempo non ho fatto colazione? Troppo, troppo tempo. Il problema è che ora mi vergogno un po', spero soltanto di non aver dato l'impressione di essere un affamata che non mangia da chissà quanto...
Ma tu sei un'affamata che non mangia da chissà quanto!
Giusto...
« Meglio.»
Brian è seduto ai piedi del letto, mentre io mi specchio nel metallo sottile del vassoio che lui mi ha portato. Ciò però non influisce nel ricordo dei miei pensieri. E' all'incirca venti centimetri più alto di me, ha gli occhi grandi e profondi, leggermente allungati, verde chiaro. Ogni tanto la sua guancia sinistra affonda in una fossetta leggera. Ha un bel viso, dai tratti dolci e allo stesso tempo duri, un fisico… be', è un licantropo, non potevo aspettarmi altro. Almeno questo è quello che sono riuscita a vedere quando si è sbottonato di quattro bottoni il camice medico per mostrarmi il tatuaggio. E' un licantropo, è come me: questa cosa potrebbe avvicinarmi a lui, potrebbe avvicinare entrambi, eppure è la stessa cosa che mi dice di stargli alla larga. Devo andarmene presto, lo so già.
«Vuoi raccontarmi qualcosa... tipo, che so, quanto tempo hai passato da sola a vivere come un lupo...» mi chiede, mi toglie il vassoio da sopra le mie gambe e lo poggia sul mobile accanto al letto. Ha dei movimenti decisi, forti, quasi precisi.
« Non... non è affar tuo.» fiato, al posto di dire: "Non mi ricordo", per evitare la figura della stupida. Adesso gli sembrerò una ragazza acida e priva di gratitudine, ma è meglio di sembrare debole, indifesa, come una bambina che ha perso la strada di casa.
Lui rimane sorpreso, in modo fastidioso, e mi guarda.
«Non sono io quello che ha deciso di accamparsi in un bosco in cui il territorio è già proprietà di un branco. Se ti avessimo lasciato lì avresti potuto imbatterti in chiunque dei ragazzi, fra l'altro qualche testa calda, e ti saresti messa in guai seri. Adesso dimmi, sei a casa mia, viva, forse, grazie a me, e questo non è affar mio?» dice, guardandomi. Con quella divisa indosso somiglia a quei dottori dei telefilm hollywoodiani, soltanto che io l'ho fatto arrabbiare davvero e questa non è una recita. Ma come può essere arrabbiato, lui? Dovrei esserlo io, mi ha colpito con una siringa di sonnifero. Per il tuo bene.

La sensazione di vuoto e inadeguatezza che mi si allarga nel petto è vera, e mi arriva alla testa come con una scossa, facendomi sudare freddo.
Perchè sei sbagliata, lo sei sempre stata, non puoi fare niente per cambiare.
«
Io non mi ricordo.» ammetto. E' stata dura, anche perché il bruciore intorno al petto non svanisce, ma cresce, quando lui mi guarda insoddisfatto e continua a squadrarmi. Distolgo lo sguardo. Sospira, passandosi una mano fra i capelli castani, poi sospira ancora, avvicinandosi.
« Ti ricordi che giorno era quando hai abbandonato tutto? » mi chiede, tenendosi sui talloni per incontrare il mio sguardo.
« Era il tredici Dicembre.» rispondo, senza guardarlo. L'annuncio del loro matrimonio non me lo sono scordato.
E perché mi ha parlato di abbandono? Perché è così sicuro che io abbia lasciato qualcosa?
« E poi, a nessuno importa di me, quindi non ho abbandonato niente.» ribatto.
 All'improvviso mi trovo con la testa girata verso di lui; mi ha voltato mettendo il pollice sotto il mio mento, contatto che termina subito dopo che io me ne sono resa conto.
« E' il diciotto Febbraio, sono tre mesi, è parecchio tempo che sei via.» spiega, lentamente, pesando ogni parola, scacciando via quella piccola sfumatura di rabbia che avevo visto invadergli le iridi verdi.

Ha ancora quell'espressione seria che mi attraversa di getto. Ed io sono convinta che non abbia nessun diritto di farmi sentire così… così… 
« Oh, per favore, non farmi la predica. Non mi accamperò qui per tre mesi, se vuoi me ne vado proprio adesso, così non ti do nessun fastidio... »
« E dove andresti? »

Sbuffo, massacrando il lenzuolo con le mani. E’ tutto così strano… così… “da mondo dei sogni”. Sono secoli che una persona non mi fa domande sulla mia salute, sul mio stato d’animo, su quello che voglio o non voglio fare. Mi sento sperduta,  ho dimenticato come ci si comporta con qualcuno a cui interessa qualcosa di me. Sembra un ricordo lontano, un istante impolverato nella piccola parte delle cose a cui non si pensa mai. Forse da un momento all’altro riconoscerò me stessa, attraverso un vetro, che mi guarda e mi osserva, rammentando un giorno qualunque, in cui tutte le cose banali viste da quei miei occhi velati sembrano invece le più belle del mondo.

Perché? Perché sono così?
« Non lo so! Non l'ho mai saputo eppure me la sono cavata benissimo! »
« Ho visto, come te la sei cavata bene. »

Ecco, ha quell’espressione sicura, si appoggia al muro con una spalla e mi guarda socchiudendo gli occhi.
« E' la prima volta che succede. »
« Perché? Lasceresti che ti accada di nuovo? »
« E anche se fosse? Così finirebbe tutto molto prima del previsto, ed io starei molto, molto meglio... » dico a denti stretti.
« Be', allora sono io che non te lo lascio fare.» mi zittisce.

Forse la mia comprensione è abilitata ad un’altra lingua e non più all’inglese…
« Ti spiego una cosa: questo ambulatorio è in casa mia, la maggior parte dei ragazzi del branco sono degli emeriti cretini con la faccia da idiota, quando si fanno male io mi occupo di tutto, facendoli stare qui. Non mi tiro mai indietro. Questa volta sei tu ad aver bisogno di aiuto, e non mi tiro indietro nemmeno in questo caso. Non è poi così male, sai. Per ora non pensare a quanto tempo passerai qui, resta e basta. Se davvero non hai nessuno, se davvero a nessuno  importa qualcosa di te, da oggi in poi le cose sono cambiate. Non voglio che ti comporti in modo stupido, e tu mi sembri una ragazza intelligente, quindi non fare cretinate, va bene? »

Ehm… No? No che non va bene!

Resta e basta. Se davvero non hai nessuno, se davvero a nessuno  importa qualcosa di te, da oggi in poi le cose sono cambiate.

E sembra che lui invece si stia soffermando fermamente sulla parola "cretinate"… anche se mi fissa, anche se si avvicina a me con lo sguardo che mi travolge completamente, anche se non mi va di guardarlo perché potrebbe immaginare chissà cosa. Comunque, visto che per me tutto è meglio di fare la figura della stupida, rispondo: « Afferrato il concetto.»

« Bene.»

« Bene.»

« Grandioso.»

« Bello.»

« Molto meglio.»

« Supermegaiperarcifantasticamentebello, ti ho detto che ti ascolto ma adesso finiamola, okey?»

Scoppia a ridere, ha una risata calda, che mi solletica le orecchie come le piume dei cuscini sotto di me, a cui sono appoggiata con la schiena. Fantastico, adesso ride. Me ne scappo in un circo con un cartello “Ecco il licantropo femmina con il più grande senso dell’umorismo!”, prima di tutto farei andare il circo in bancarotta, naturalmente mi sbatterebbero fuori… finirei per fare la zingara lungo le trade dell'east River e... senza che io me ne accorga mi ritrovo a ridere insieme a lui, che comincia a dire qualcosa.

« Ah, allora ne sei capace! »

« Di fare cosa? »

« Di sorridere… e di ridere, anche. »

« Oh… »

Da quanto tempo non ridi, Leah?

« Se vuoi puoi dirmi tutto… io sono qui.»

Si siede sul letto e sembra che mi accarezzi con gli occhi; annuisco, poco convinta, non credo che avrei mai il coraggio di spiegargli perché sono qui, perché sono fuggita via.

Sam. 


Controlla i miei riflessi con quella torcia piccola, e mi fa un prelievo per controllare i miei valori. E’ una cosa stranissima, mi sento quasi una cavia da laboratorio, poi però mi ricordo che mi ha salvato da chissà quale destino e che mi sta aiutando a guarire da qualcosa che ancora non so.
E’ necessario che io rimanga almeno un altro giorno a letto, come mi dice lui. E’ troppo presto per sentirmi a casa, è troppo presto per pensare di non essere un peso, anche se devo badare a non farmi incantare da queste sue parole buone. Lo sappiamo tutti che io non posso essere come tutti gli altri.

Questo letto tornerà vuoto di nuovo, non ci sono certezze ma io non ne ho mai avute: è un dato di fatto e non posso cambiarlo… posso solo andarmene via.

Brian

 

« E poi?» mi chiede Joshua, appoggiandosi al lavandino della sua casa vicino al lago. Ha i capelli neri e corti, gli occhi grandi e simpatici, e somiglia un po’ a tutti gli altri.

« E… poi ci siamo messi a ridere.» lo dico incredulo, anch’io, e so bene che anche per lui sarà difficile crederci. Il mio migliore amico è una delle poche cose che fanno parte della mia vita precedente ad essermi sempre rimasto accanto. E, come sempre,  non viene mai meno a battute pesanti e a commenti puntigliosi.

Comincia a ridere, la sua risata asciutta e leggermente roca, ed io mi aggrego a lui, spontaneamente, come se non avessi nient’altro da fare.

« Devi presentarcela questa Lyla…»

« Leah, è così che si chiama.»

« Oh-oh, male, molto male, quando ci si ricorda il nome della tizia è un male.»

« Ma finiscila.» Lui non fa altro che pensare ad un solo e unico nome,  Alexis, il suo imprinting e, ormai, sua futura moglie. La fase del ragazzo cretino, sbruffone e latin lover è finita da un pezzo.

Torniamo nella sala da pranzo, se così si può chiamare la parte più grande di un appartamento con un tavolo di legno in mezzo e all’incirca undici scalmanati che si rubano i pezzi di pizza a vicenda. Oliver mi ruba l’ultima birra che mi è rimasta. Rispetto per il capo branco: zero.

Non è che ci siano state molte occasioni per mettere in pratica quello che viene raccontato dagli anziani della riserva. Questa parte del Minnesota non è stata invasa per almeno cento anni: soltanto quattro anni fa, con la creazione di moltissimi vampiri neonati anche nei nostri dintorni il gene ha cominciato a manifestarsi. Ci è capitato di ucciderne pochi in tutto questo tempo, per lo più vampiri stanchi e dalla testa calda che ci siamo divertiti a smembrare come dei pupazzi dalla plastica tossica. Non abbiamo avuto molti problemi, la vampira rossa si era diretta verso la penisola olimpica, dove non potevamo recarci. Secondo le antiche mappe, la zona appartiene già a un branco, di cui nessuno di noi conosceva l’esistenza. Da quello che ci raccontano le leggende, gli indiani della mia riserva, gli Objibwe, sono sempre stati molto accorti nel trascrivere i loro saperi, cosa che mi aveva sempre annoiato sin da adolescente e che mi aveva lasciato esterefatto quando tutto si era dimostrato vero. Un libro di quel genere mi era stato regalato dal vecchio Klaus.

« Mbe’? Hai lafiato a cafa la thua donfella in peficolo?»biascica Vic, masticando la pizza. Il mio cercello prende tutte le informazioni: ecco, qui ci vorrebbe la lettura del pensiero come quando siamo in forma di lupo; l’intuito però mi fa pensare che nella frase erano comprese le parole: casa, lasciare, donzella e pericolo.

«State diventando molto paranoici.»

«Oh, ringraziamo il dottore per la diagnosi.»

«Dico sul serio.»

«Infatti, io che ho detto? »

Sbuffo. Loro sì che sanno come si fa a fare esasperare una persona, o un mutaforma in crisi di identità.

« Per quanto tempo rimarrà a casa tua? » mi chiede Oliver, mentre gli altri fanno finta di essere interessati allo stupido programma televisivo che guardano con lo sguardo troppo fisso.

E’ passata una settimana, ormai, da quando Leah si è svagliata. Ha passato due giorni a letto e poi ha cominciato ad infastidirmi. Le finestre avevano già delle sbarre, in modo che non le venisse in mente di scappare dalla sua finestra. Come se non bastasse, mia madre, mio padre e mia sorella la adorano letteralmente. Leah dice che non passerà un altro giorni in cui lei mangerà alla mia tavola senza pagare e per questo sto provvedendo a cercarle un lavoro. Nel frattempo passa il tempo ad aiutare mia madre nelle faccende di casa, come se questo le desse soddisfazione. Sembra quasi che lo faccia… per non pensare. Ogni tanto ha lo sguardo perso, che guarda altrove, ma così profondo che mi darebbe l’illusione di affondarci per vedere che cosa c’è dentro quegli occhi, cosa c’è nel suo passato, nei suoi ricordi.

« Nessuno può decidere al suo posto.»

Il mio sguardo basta a fare capire loro che la discussione è chiusa; adesso cominceranno a parlare di qualcosa di ancor meno intelligente.

 ***

 

«Bene, non c’è bisogno che mi ringrazi. »

E’ uno dei pochi giorni in cui sta finalmente ferma, sicuramente perché mia sorella Noela, la mia fotocopia al femminile se non fosse per i capelli quasi neri e la pelle più scura, rimasta letteralmente incantata dal suo racconto dei mesi precedenti passati come un mutaforma - lei conosce tutto delle leggende - è riuscita a fissarla sulla sedia per metterle lo smalto alle unghie trasparente, parlandole del bisogno di dover curare le sue mani, eccetera eccetera, ma lei, anche se non lo ammette, è troppo buona per aggredire la mia sorellina di quindici anni.

Mi guarda spazientita, adesso non sono più il suo dottore e lei può mandarmi a quel paese e mangiare schifezze ogni volta che vuole. Ma è sempre in casa mia, quindi sembra che a volte si trattenga. Ci sono momenti, questa settimana è successo almeno tre volte, in cui ci capita di ridere come due adolescenti senza cervello. Inoltre mi ha dato la conferma di essere molto più carina quando muove la bocca in un sorriso. Non che questo cambi qualcosa, naturalmente. E neanche il fatto che con i capelli legati si veda meglio il suo viso, e che quella camicia sbottonata fino al...

«Ciao, Brian.» dice.

«Ti ho trovato un lavoro » continuo, posando le chiavi sul tavolo.

Smettila di pensarla. E immaginarla... 

Noela mia guarda male, mentre gli occhi di Leah brillano così tanto che sembrano stelle.

«Davvero? »

«Già.»

« E' stupendo! »

Si alza dalla sedia e le sue mani si posano sulle mie spalle, dura un secondo, il tempo che lei si alzi sulle punte e poggi il suo mento sulle mie spalle. E’ una sensazione che avevo dimenticato, che credevo di non provare più, anche adesso che è ormai finita, anche adesso che è tornata quella di sempre.


« Che lavoro?»  mi chiede tossendo.

«La ludoteca dell’ospedale di Opstead cerca una babysitter, l’ultima si è dimessa per andare in maternità. Che ne dici? »

«Qualunque cosa va bene. »

«Domani mattina alle dieci il caporeparto vuole incontrarti, sarà una specie di colloquio… »

« Ci sarò.»

Mia madre, i capelli castani chiari raccolti in una coda e il rossetto rosa sulle sue labbra lucide, mi sorride uscendo dalla camera da letto.

Mi mette una mano sulla schiena, guardando in avanti.

«Ragazzi, io esco a fare delle commissioni. »

«Sola? » le domando.

«No… c’è tuo padre che mi aspetta fuori. »

Neanche il tempo di annuire, che la porta d’ingresso del salotto si apre.

«Julia, sei pronta?» chiede la voce familiare e calda di papà.

« Sì, Curt, vengo subito… Leah, hai bisogno di qualcosa? »

«Di niente, signora Ewell.»

«Solo Julia, davvero.»

«Ok… »

E mio padre, che naturalmente non può rimanere fuori ad aspettare, entra in cucina con la sua solita camicia di flanella e i pantaloni buoni, invece dei jeans perennemente sporchi da muratore.

«Andiamo?» dice.

« Subito.» risponde mia madre, dirigendosi verso di lui.

« Tutte bene, Leah? »

 E va bene, praticamente io non esisto più. Sembra che io sia l’unico che provi rimorso, Noela infatti se la sta ridendo sotto i baffi fissando gli smalti multicolore che si trovano sul tavolo.

« Sì, signor… »

Mio padre, facendo un ‘espressione da fotografare che gli permette di muovere la fronte e l’attaccaruta dei capelli scuri, sta per rimproverarla di qualcosa…

« Curter.» si corregge lei.

E’ molto imbarazzata, mentre io cerco di inquadrare la situazione. Mia madre è stata subito d’accordo nel volerla accogliere, anzi non ha fatto altro che convincere me e mio padre, che è praticamente rimasto conquistato.

Ed io sarei l’unico che la vede scorbutica e piena di sé, fantastico! E la cosa ancor peggiore è che l’ho dimenticato. Dov’è andata a finire la ragazza antipatica? Fastidiosa e che ha sempre da ridire? Perché ho l’impulso di sedermi e rimanere a chiacchierare con lei… come… un amico?

I miei escono di casa, Nolly tira Leah al suo solito posto, parlando della fortuna di averle smaltato soltanto due dita in modo da non rovinarsi le unghie per ringraziare lo scemo di casa, che sarei io.

Mi chiudo nel mio studio per sistemare delle schede mediche che potrei anche ordinare domani, evitando di guardare quella foto che è sempre sulla mia scrivania, incorniciata, e che ho contemplato con gli occhi velati nelle ore più tetre di questi due anni.

Mi sento sbagliato, con il suo viso bellissimo in quella foto, mentre nei miei pensieri comincia ad esserci un’altra…

No! No! Io… e Leah. Ma neanche per sogno!

Comincio a dividere i documenti, quelli piccoli nella cartella gialla, quelli con la graffetta in quella rossa, le schede delle diagnosi…

Devi cominciare a vivere, devi cominciare a farlo di nuovo. Lei lo avrebbe voluto, lei lo vorrebbe, per te. Pensi che non ne sarebbe felice?

Devo smettere subito di pensare a certe assurdità: sono passate soltanto due settimane dal risveglio di Leah, e tutto è stato completamente scombussolato. Non devo lasciare che succeda niente di simile.

E’ una ragazza qualunque e prima o poi, al massimo un’altra settimana, lascerà Opstead e tutto sarà di nuovo come prima, e potrò vivere senza sensi colpa. 

Lo faccio per te, sempre. 

Mi distendo sulla sedia, stanco. Di tutto.

Tu non vivi, Brian: mangi, parli, dormi, ti risvegli, ma non vivi. Per farlo ti viene richiesto uno sforzo maggiore. Provaci, Brian, non è così difficile. Quando scoprirai quanto ti manca essere te stesso, ti sentirai orgoglioso di te. Fallo ritornare indietro, ti sta chiedendo un riscatto, ti sta chiedendo di essere libero. Non ti incatenare con la tua stessa libertà, ritrova quello che sei.

*

*

*

*

*

Ciaooo a tutti :)


Opinioni su Brian? Non si sa molto di lui... anche perché è proprio lui che non vuole pensare a quella parte del suo passato. Qualche idea? Qualche teoria?


Siete davvero meravigliosi. Ringrazio tutti voi che mi seguite, leggete, e mi lasciate un commento.

Grazie davvero **

Un bacio

Ania


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Capitolo 5
*** Soul's Wind #4 ***


soul's wind 4

Soul's Wind

Capitolo 4

Settecento dollari è fin troppo per me, che praticamente ho dovuto presentare dei documenti fasulli per l’assunzione che Joshua, un amico di Brian, è riuscito a procurarmi.

Io… non sopportavo i bambini; me ne ero convinta qualche mese dopo che le mie speranze erano state nuovamente infrante, quando saltò il mio ennesimo ciclo.

I bambini sono fastidiosi, piangono, urlano, hanno sempre bisogno di qualcuno che stia sempre con loro… non fa per me.

Sono riuscita a convincermi in modo soddisfacente, fino a quando non mi sono ritrovata ad avere un impiego a che fare proprio con loro.

La piccola Milly, le treccine rosse e le lentiggini, viene ogni giorno dopo i prelievi di suo nonno, a giocare con le barbie rovinate che a casa non ha; poi c’è il piccolo Strause, un bellissimo cinesino, che guarda le macchinine come se fossero i primi giocattoli che vede in vita sua. E poi c’è Valerie, Mirko, Sally, Jackson, Monique, Kendra, Titty…

Sono tutti bambini che vivono in condizioni disagiate, spesso i genitori li portano con loro per fare dei controlli molto frequenti, per delle malattie molto gravi, altri invece vengono lasciati qui quando i genitori, di solito molto giovani, si recano al consultorio del terzo piano per dei colloqui.

Adesso non penso più che i bambini non mi piacciono: quando la piccola Mary si stringe a me, dicendo che quando mi abbraccia si riscalda… be’, io… non so… davvero ho pensato una cosa così brutta? Non mi sembra possibile neanche minimante.

E poi… poi arriva di nuovo il vuoto, il buio, la consapevolezza di non poter abbracciare un mio bambino, o una mia bambina… come se io potessi… potessi davvero…

Avere un bambino?

Già, proprio io che non riesco a parlare con un ragazzo senza aggredirlo, proprio io che aiuto Julia freneticamente in casa per non fermarmi a pensare.

       «Lee, la calamella!la calamella! »

Jackson, di due anni e mezzo, i riccioli biondi che gli incorniciano il bel viso illuminato dai suoi vispi occhi blu, si avvicina a me.

       «Ehi, Jack, vuoi una caramella alla frutta? » gli chiedo, cercando di scacciare via i miei pensieri dalla testa. La stanza è completamente invasa da tavolini bassi, sedioline colorate, cartoncini, colori e giochi.

Lui annuisce convinto.

      «Come si dice? » gli dico, sorridendogli - è un privilegio che possono avere solo loro, naturalmente.

       «Pel favole… »

Dalla bustina che ho in tasca, predo una caramella gommosa a forma di orsetto. Apre il palmo ed io gliela poso delicatamente per non farla cadere.

Eppure se… se non fosse successo, io forse adesso potrei… potrei stare con lui.

«Che cosa significa? »

Sulla spiaggia, di fronte al mare color del ferro, il cielo nuvoloso e il tramonto che dipinge il cielo, siamo nello stesso punto in cui, all’incirca due anni fa, ci siamo detti ti amo per la prima volta.

«Mi dispiace, Leah… »

« Non mi interessa! Non mi interessa se ti dispiace o no! Voglio che mi spieghi, hai capito? Non puoi mollarmi così, dicendomi che dobbiamo rompere perché tu non puoi stare con me! Che… che cosa ti prende, me lo dici? Solo due settimane fa… prima che tu “sparissi”, mi hai chiesto di venire a vivere con te subito dopo la fine dell’Università… e adesso? Hai perso il cervello per strada, Sam? » gli urlo. Non è colpa mia, non sono mai stata così arrabbiata, non gli ho mai parlato in questo modo.. ma quello che sta succedendo è qualcosa di così incredibile che io… io non posso pensare che stia davvero succedendo. Mi stringo nel giubbotto, guardando l’aria fredda che si condensa davanti alla mia bocca, creando piccole nuvole di fumo gelato. Lui invece è a maniche corte, ed è come se la temperatura bassa non esistesse. Sono io quella che trema, sono io quella che urla, sono io quella che ha freddo.

« Forse... forse ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio… » comincio a mormorare. Io lo amo, è qualcosa di vero, di puro, non può finire tutto così, lui è quello che mi fa ridere, è quello che mi abbraccia, mi protegge, mi ascolta, mi prende in giro… lui è quello che si è innamorato di me…

«Non è colpa tua, Lee-lee. Non è mai stata colpa tua. Tu… tu sei perfetta così come sei… »

Mi accarezza il viso con la mano. Le sue dita lasciano una scia bollente sul mio viso freddo, imbrattato di umidità e espressioni incredule, arrabbiate.

       «Allora perché mi stai dicendo questo? Lo so… non dovevo arrabbiarmi con te per il fatto che sei stato via per più di tre giorni, è che… sei cambiato, Sam. Ma non importa, noi stiamo insieme, ci vogliamo bene… noi… noi… »

       «Leah, c’è un’altra. »

Il cielo grigio diventa bianco, illuminato da un tuono improvviso che lo spacca in due strati ben distinti. Ho l’impressione che il fulmine abbia colpito me, facendomi bruciare. Facendomi scomparire.

  «Co-cosa? »

 «Io non volevo… »

       «Sam! »

       «Lee-lee.»

       «Non chiamarmi mai più così! Mai più! »

       «Ti prego… non fare così… tu sei importante… »

       «Vattene! Vattene! Non toccarmi! »

E lui invece si avvicina, mi prende per il braccio mentre io mi allontano, mentre vedo il mondo sbiadire, mentre il vento invernale mi pizzica la faccia e fa accasciare il castello di sogni che credevo resistente ad ogni tipo di tempesta.

E’ forte, troppo forte, di una forza che non ricordavo e mi costringe a guardarlo, a voltare il viso verso di lui.

      «Ti prego, Leah, non fare sciocchezze. »

Sciocchezze? Stupidaggini? Follie? Il ragazzo che amo mi ha lasciato per un’altra. C’è un’altra più importante di me, c’è un’altra che è riuscita portarmelo via, c’è un'altra che è migliore… migliore di me. E lui mi ha tradito, ha tradito tutti i miei desideri.

Passa poco, troppo poco tempo perché io veda il suo viso voltato, senza batter ciglio, con un segno rosso sulla sua guancia, l’espressione… di dolore in viso. Gli ho dato uno schiaffo. E passa soltanto un secondo perché mi venga il desiderio di dargliene un altro e un altro ancora, di farlo risentire, di fargli provare anche solo per poco quello che sto provando, di farlo sentire sbagliato come mi sento io adesso… di farlo sentire solo…

«Ti odio.»

Le parole scorrono via come un’emorragia che parte da dentro e che invade il corpo. Credo di non aver mai mentito così bene, in un modo più convincente, anche se adesso tutto questo dolore rende l’odio un emozione vera, qualcosa che potrebbe farmi sentire meglio. Che in realtà non c’è.

      «No… Leah, non voglio che tu… »

      «Smettila! Abbiamo chiuso? Lasciami in pace, in pace! Non voglio vederti mai più, non farti più vedere dalle parti di casa mia se non vuoi che ti odi ancora di più. Vai a divertirti con la sciacquetta che ti sei trovato, non voglio avere niente a che fare con te. »

       «Non è stata colpa sua. »

      «Non è stata colpa tua, non è stata colpa mia, non è stata colpa sua… Dimmi, lei sapeva che stavi con un’altra quando si è divertita con te? Che schifo, Sam! Schifosi entrambi, tu, lei, chiunque sia, e adesso basta, me ne vado. Ti credevo diverso. Per tutti questi anni, io ho amato un’altra persona. Non eri tu. Tu non sei nessuno. »

       «Lo so… so che non mi perdonerai mai; ma non farle un torto, ti prego. Se davvero vuoi arrabbiarti, se davvero vuoi odiare qualcuno, preditela con me. Emily non ha colpe. »

La voce riecheggia nelle mie orecchie, mentre corro via, verso la strada, verso la mia casa, mentre lui mi richiama indietro, mentre lui mi dice che gli dispiace ancora e ancora, mentre mi dice che se fosse stato per lui non sarebbe mai successo niente. Mentre io vedo tutto male e sbiadito, e le lacrime mi cadono sulle guancie, abbondanti, sulla pelle che lui ha bruciato toccandomi.

Lui… lui mi ha bruciato, e adesso non rimane più niente, più niente di me. E’ finito tutto. Mi ha distrutto.

Il mio Sam.

Cerco di scacciare via le lacrime, invano.

Lee-lee non esiste più.

 

       «Ehi, tutto bene? »

Ritorno alla realtà da quel sogno doloroso. Non mi succede quasi mai da un mese, ma è difficile… è difficile dimenticare davvero. Nonostante tutto, non ci riuscirò mai.

      «Sì, benissimo. »

Già, adesso è davvero così. I bambini giocano tranquilli, mentre io sono seduta a gambe incrociate sul pavimento. E Brian mi guarda appoggiato al muro, i capelli castani un po’ spettinati e gli occhi verdi contro il sole invernale. Sorride, ma riscontro la stanchezza sul suo volto. Oggi doveva essere stato il suo turno, all’alba, a controllare i confini, oppure ha passato la notte insonne; nonostante tutto, quando è con gli altri ha sempre quella bella espressione tranquilla che gli rilassa il viso, con la risata calda e quasi un po’ suggestiva.

      «Sembrava che fossi… in un altro mondo. »

       «Io? No… stavo pensando. »

     «Guarda che io sono responsabile della tua salute. Se hai bisogno di uno psicologo basta che me lo dici, no problem. »

«Ah-ah, molto, ma molto divertente. »

   «Dai, non fare la musona. Il figlio dell’infermiere ti fissava prima mentre ridevi con me, in corridoio. »

«Ma se sarà un bamboccio di sedici anni… »

Cerco di trattenere una risata troppo rumorosa, che sembra qualcosa di strano, persino a me.

  «Be’, ha sempre dei buoni gusti, come dargli torto. »

Ma quanto è stupido? E menomale che ha finito le superiori a diciassette anni per andare direttamente all’università e laurearsi cinque anni dopo per le sue “doti intellettive”.

   «Sì, sì, come no… »

Mi alzo dalla mia postazione velocemente e apro  l’armadietto grigio per prendere un fermaglio e alzarmi i capelli. E’ l’ora di disegnare. Mirko ha già sistemato i colori e i fogli sul tavolino e ora sta contando tutti i doppioni che ha.

      «Ricordati, Leah, che posso sempre corromperti. »

    «Mi cacci di casa, dottorino? Non fai che farmi un piacere.» dico, snervandomi. E’ qualcosa che devo ancora superare. Quando si parla di aspetto fisico io vorrei soltanto svanire. Emily è sempre stata più bella di me, ha sempre avuto dei capelli più lunghi, degli occhi più espressivi, il sorriso più dolce. Ed è una delle cose che Sam deve aver amato per prima.

       «Tu in casa mia ci rimani. Mi hai infilato quattrocento dollari in tasca contro la mia volontà come affitto »

     «Perché è così che deve essere »

      «E l’hai fatto davanti a tutti »

       «Perché a casa ti chiudi in camera tua o nel tuo studio a chiave oppure non ci sei, qui almeno… »

Dovevo assolutamente dargli dei soldi, io non sono e non sarò mai una mantenuta. Mai. Anche se la persona che mi ospita è Brian Ewell.

         «La gente chiacchera »

        «Le infermiere? »

      «I dottori, i pazienti »

       «I bambini? »

       «Non immagini quanto possono immaginare.» ammicca.

Sbuffo; ed è qualcosa di più forte e più cattivo di quello che credevo che ne sarebbe venuto fuori. La mia espressione sembra che lo riporti indietro, lontano di tanto, tanto tempo, anche se mi rimane vicino. Il suo sguardo si spegne.

Devo dirgli qualcosa, una battuta, cretina quanto quelle che dice lui. Per farlo ridere. Il problema è che ho imparato a ridere di nuovo soltanto grazie a lui, perché non lo facevo da quando Lee-lee era morta sulla spiaggia, sotterrata dalle parole di Sam come con una pala e della terra bagnata.

E lui, Brian, non il dottore, non il ragazzo che mi ha salvato, non quello che ho qui, davanti a me, viene risucchiato via da qualcosa che non vedo, un tornado invisibile che lo scaraventa via, immobilizzandolo.

Si tratta solo di un istante, i suoi occhi verdi si accendono e mi guardano diversamente, in un modo così veloce che è impossibile da cogliere.

      «Già, a volte i bambini… »

       «Ci vediamo a casa, Leah. Ho il terzo turno delle visite »

Esce dalla ludoteca con un' espressione che non gli ho mai visto. Lo seguo con la coda dell’occhio, con la scusa di prendere in braccio la piccola Milly mi avvicino alla porta. Mirko mi si avvicina, con in mano un disegno. Le infermiere guardano Brian come se fosse chissà chi, come se fosse bello chissà quanto. E poco prima, quando mi ha guardato con quello sguardo da farmi tremare, ho scoperto quanto lo sia davvero. Con il tono distaccato e formale, senza la sua risata.

Quando si è allontanato.

Quando mi ha liquidato.

Quando mi ha trattato come hanno sempre fatto tutti.

Che idiota.

La gente chicchera mi ha detto Brian, sorridendo. Lui sorrideva; ma pensare alla vita vera con quelle voci è come mettere insieme il principe e la contadinella. Lui la guarderebbe disgustato, e lei si sentirebbe fuori luogo.

Quando torno a casa sua lo trovo in cucina a sorseggiare una lattina di non so cosa, con indosso solo dei jeans, la maglietta e il camice bianco poggiato sulla sedia del tavolo.

Mi sorride all’istante; niente lo risucchia via.

Il cuore galoppa, salta in gola.

Deglutisco, con calma.

Sento che dovrei farmi delle domande.

*

*

*

*

Ciao, belli! Ecco a voi un nuovo capitolo. Aggiorno oggi perché domani mi sarà davvero impossibile. Buon Ferragosto a tutti voi, vi auguro di passarlo al meglio! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sarebbe stupendo sapere che cosa ne pensate :) Ringrazio tutti voi lettori, quelli che hanno scoperto questa storia quest'anno e quelli che la stanno rileggendo *.*

Grazie mille, davvero

Un bacione

Ania

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Capitolo 6
*** Soul's Wind #5 ***


soul's wind 5

Soul's Wind

Capitolo 5

«Ti ho detto che non ci voglio andare. »

Sono davanti alla porta della “camera” di Leah Clearwater - sono riuscito ad individuare il suo cognome grazie ai documenti falsi che le abbiamo procurato.

Sono qui da quasi un’ora a bussare perché esca, ma sembra che sia un impresa impossibile.

«Non immagini che brutta impressione di te si faranno. »

«Non conosci le mie priorità. Sai che me ne importa. »

Sospiro. Ormai sono quasi tre mesi che lavora in ludoteca e che si ostina a pagare un affitto che non c’è. Non sa che ho usato i suoi soldi per comprare nuovi giocattoli per l’ospedale, o per la beneficienza. Con quello che le rimane si compra dei vestiti, scarpe: quello che le serve. E con i quattrocento dollari che ogni volta mi ha messo in tasca contro la mia volontà si sente soddisfatta.

«Ti credevo più intelligente.» affermo. Già, proprio io. In questi mesi la memoria del mio telefonino si è riempita di undici numeri di telefono appartenenti a undici ragazze diverse che aspettano invano che io le chiami.

Nessuno sa davvero perché ormai da tre anni non frequento nessuna ragazza, e quando lei è entrata nella mia vita, scombussolandola, mi ha subito messo in allarme. Il suo atteggiamento è molto simile al mio. Quando ho scherzato sulle voci delle infermiere, lei ha sbuffato guardandomi con un’espressione infastidita. La mia mente è tornata indietro, per un attimo, al tempo in cui non avevo occhi che per lei e per questo avevo creduto che fosse sbagliato.Da qualche settimana invece guardo la foto di lei senza sentirmi i colpa, perché lei, che teneva più alla mia felicità che alla sua, ne sarebbe stata felice. E Leah, con la testardaggine, la risata che nasce quando scherziamo, è riuscita a… rendermi diverso. A non farmi sentire colpevole.

«Sei un idiota. E non c’entra che tu sia laureato. Non dirmi come mi devo vestire, perché mi metto quello che mi pare.» 

Sorrido.

Ma puoi anche non metterti niente, figuriamoci.

 

La tribù degli Ojibwe è una di quelle dalle tradizioni più antiche. E stasera, una fresca sera diaprile, i più anziani si riuniscono per raccontare le nostre leggende. Oggi si soffermeranno su qualcosa che potrebbe interessare molto a Leah, anche se lei si è ostinata a non volerci venire fino a quando non le ho detto che non è intelligente.

Il lago di Opstead è circondato da tanta gente della riserva. I ragazzini scappano alla prima occasione, mentre gli anziani e le donne prendono posto per ascoltare. Un leggera brezza muove le foglie degli alberi e l’erba che calpestiamo, umida per la pioggia avvenuta nel pomeriggio.

E’ stato acceso il fuoco e il vecchio Klaus ha in mano il libro della nostra tribù, di cui alcuni del nostro branco possiedono una copia. A lui non servirà, perché conosce tutto senza l’aiuto di quel vecchio libro.

Io e Leah siamo seduti su un tronco, e le persone l’hanno salutata come se fosse una celebrità. Lei si è sentita imbarazzata nonostante l’apparenza tosta, e ora fissa il fuoco con un espressione pensosa, tralasciando tutti gli sguardi che la sfiorano. 

Non accorgendosi del mio.

Indossa una maglia bianca, aderente e senza maniche, e dei jeans che arrivano fino al ginocchio. Ha i capelli legati, con qualche ciocca che le fa ombra sul viso. 

Caspita se è bella. 

Senza il rossetto che si mette Rossela Blam, l’infermiera del primo piano che mi ha infilato in numero di telefono fra le cartelle che mi ha dato il dottor Holans, senza l’aria civettuola, senza la risatina fastidiosa. 

Deglutisco. Ho la testa in fiamme.

«Smettila di fissarmi, mi infastidisci. »

Distolgo lo sguardo, subito. Avrei dovuto ribattere, dire qualcosa. A volte devo stare attento a quello che penso, a che cosa penso, alle cose che potrei fare… e non dirle ad alta voce.

«Voglio dire, non è che mi infastidisce… è che, per me è strano. »

«Afferrato.»

Klaus si schiarisce la voce. E’ un uomo anziano, di circa settant’anni, porta dei grandi occhiali da vista, i capelli sono grigi e lunghi fino alle spalle, i lineamenti tanto simili agli indiani d’America a cui io non assomiglio per la chiara e prorompente differenza dei geni di mia madre.

«Accogliamo nella nostra tribù questa ragazza, Leah Clearwater, proveniente dalla tribù dei Quiliute, come seconda donna lupo mai nata nella storia di tutti i branchi a noi conosciuti. Hai mai sentito parlare della storia di Akira, Leah? » le chiede. Tutti gli sguardi adesso sono su di lei. Lei rimane immobile, come se stesse mandando giù qualcosa di grande e pesante, poi risponde, con voce chiara.

«No… mai. Non credo che i Quiliute conoscano delle vostre leggende.» dice lei. Klaus si siede sul suo tronco e comincia a raccontare.

«Akira è stata la prima donna lupo di cui ci siano rinvenute informazioni. La sua storia risale ai tempi della venuta degli spagnoli nel Minnesota. Gli imbarchi , come raccontano le leggende, erano stati come area di transito anche per trasportare i vampiri nel nuovo mondo. I lupi sono sempre stati i più grandi nemici degli esseri freddi, ma la loro forza non è sempre stata necessaria. Le anime dei lupi, forti e coraggiose, hanno trovato posto nei corpi degli uomini per allearsi e combattere insieme. Noi pellerossa, al contrario degli uomini bianchi, non siamo mai stati popoli violenti e assetati di potere e in questo modo qualunque tipo di uccisione fosse avvenuta, sarebbe sempre accaduta per il bene reciproco.

Nessuna donna, prima di lei, era mai stata una muta-forma: la difesa del popolo è sempre stata affidata agli uomini. Ma l’anima del lupo, quando si presentò a lei, nel sonno, le disse: “Gli uomini del tuo villaggio sono buoni, forti e valorosi, ma nessun cuore può avere il coraggio di una donna, e il coraggio della donna è la dote più grande in ogni battaglia. Difendi il tuo popolo come faresti con i tuoi figli, il lupo sarà sempre con te, il lupo sarà la forza nelle tue braccia, il tuo cuore sarà la spinta che ti renderà onore.”

I vampiri non erano a conoscenza della presenza del lupo nel corpo di una fanciulla. Quando cominciarono ad attaccare Opstead, il branco decise di trovare un modo per uccidere i freddi in modo astuto. Avrebbero offerto ai non-morti il sangue della ragazza più bella, Akira, dai lunghi capelli neri e il viso di un angelo. Loro furono allettati da quella nuova prospettiva, così accettarono. Quando lei si avvinò al loro accampamento, i freddi scambiarono il suo odore non per il suo, ma per quello dei lupi con cui era sempre stata a contatto. Il sangue della più bella avrebbe posto fine a tutte le uccisioni improvvise da parte loro, e avrebbero lasciato il villaggio.

Quando i freddi si trovarono davanti a lei, videro tutti i vestiti strapparsi e volare nell’aria ad una velocità che neanche loro conoscevano. Della ragazza erano rimasti solo i suoi occhi scuri in un lupo grande e forte, dalle zanne affilate e assassine. In suoi aiuto accorsero gli altri uomini, in forma di lupo, che bruciarono i corpi dei freddi per mettere completamente fine alla loro esistenza.

Durante il periodo della trasformazione, Akira non poté avere figli, al contrario degli uomini. Per più di trent’anni lei rimase nella perenne condizione di donna giovane per difendere i bambini, le donne, e gli anziani della sua tribù. Divenne il capo branco, quando il lupo più vecchio decise di abbandonarsi alla vita umana e aiutò i nuovi lupi nel loro lavoro di protezione.

Dopo trent’anni smise di trasformarsi, lasciando il potere al grande lupo Jayden. Ella Si innamorò di un uomo che non aveva l’anima del lupo, un anno dopo la fine della sua trasformazione cominciò ad invecchiare e a riprendere il suo normale ciclo di vita e la vita le donò due figli maschi.

E’ stato rinvenuto il suo ritratto, conservato dalla mia famiglia per secoli, e la sua storia è stata trascritta in questo libro, come tutte le informazioni sui freddi e i muta-forma. Il libro è stato sempre più arricchito, di generazione in generazione. Più nessuna donna ha fatto parte di un branco di muta-forma, fino a quando, Leah, non abbiamo saputo di te. »

 Klaus smette di parlare. Leah è rimasta ad ascoltare, incantata, e ormai tutti guardano lei, che sembra non esserne minimamente scossa.

«I Quiliute devono reputarsi fortunati ad avere te, Leah. Non sono a conoscenza dei motivi per cui hai lasciato la tua terra, ma io solo fatto che tu l’abbia lasciata, nonostante non abbia continuato a proteggere la riserva con i tuoi uomini, ti rende coraggiosa. Ci sono delle volte in cui il lupo stesso si può opporre alle decisioni che prende l’uomo, o in questo caso, la donna, ma il lupo è parte di noi, conosce le tue debolezze come lui conosce le sue. Se ti ha portato fino a qui, lui sapeva che lo facevi per una buona causa, qualunque essa sia. Il destino, come viene scritto nelle leggende, in questo libro, nei ricordi di questa gente, esiste e sorprende.  Sono lieto che tu sia qui e che ti sia trovata bene nella nostra comunità. Sarà splendido per noi, quando vorrai, se vorrai raccontarci alcune delle vostre leggende. »

Tutti applaudiscono, mentre  Klaus le stringe la mano. Leah sembra commossa, incredibilmente… felice, nonostante la stretta della sua mano volesse in continuazione sottolineare quanto fosse forte e incapace di farsi toccare emotivamente.

Klaus si allontana, seguito da altri anziani, mentre molte ragazze, fra cui anche Mia, Jesse, Corinne, fidanzate di alcuni del branco, si avvicinano a lei.

I ragazzi mi vengono incontro in tutta al loro spavalderia, rigorosamente senza maglietta e con una birra in mano. Loro conoscono Leah almeno da due settimane, grazie a lei avevano trattenuto un paio di battute maschiliste e sconce, comportamenti animaleschi, che assumevo anch’io, e anche visto un documentario senza capire niente.

«Bene, bene… allora, ragazze, che ne dite di andare a festeggiare?»

Oliver prende per il fianco Mia, i capelli castani ramati in una lunga treccia, in un modo brusco che lui crede dolce.

Il viso di Leah assume un’espressione sconcertata per cui le ragazze si mettono a ridacchiare. Nonostante la paura di dover “uscire” con tutta quella banda di pazzi, non si può non notare quanto Leah sia felice.

«Non ti spaventare. Non sono poi così matti e stupidi come sembrano.» farfuglio, avvicinandomi al suo orecchio. Quei cretini del branco cominciano ad ululare.

«Piantatela, se non volete che vi metta un prugna in bocca. »

Tutti si spengono in un silenzio comico. Faccio un cenno a Leah, ancora su di giri e incapace di obbiettare per raggiungere la mia auto; forse sarà una bella serata.

 

 

«Vuoi qualcosa da bere? »

«Eh? »

La musica è così alta che per parlare dobbiamo praticamente strillare; i ragazzi impegnati sono troppo occupati a sbaciucchiare le loro fidanzate. All’imprinting non possono sfuggire neanche queste teste senza cervello.

Quelli liberi corteggiano le cameriere o ballano come zombi sulla pista. Hanno avuto il buon senso di recuperare una maglietta, anche per quel piccolo locale di Opstead.

«TI HO CHIESTO SE VUOI QUALCOSA DA BERE! »

Leah ride, scuotendo la testa. Mi aggrego anch’io, che non riesco a credere di trovarmi davvero qui, in questo locale, con lei, come se stessimo uscendo insieme per davvero.

Sembra che il racconto di Akira, forse per il suo coraggio, per la maternità, per l’ingegno, l’abbia letteralmente tranquillizzata, resa più consapevole e in questo modo contenta di essere quello che è. Questo sorriso è vero, niente di fasullo o programmato. E’ suo.

Le faccio un gesto con le braccia per farle capire che vorrei farla ballare. Lei scuote di nuovo la testa con disapprovazione. Il sorriso è scomparso.

Posso leggere il suo labiale, dice: “Neanche se mi spari”.

Mi alzo dallo sgabello e la tiro in pista. Lei affondai piedi sul pavimento, ma io sono, molto, molto più forte di lei. Non vado in un posto simile dall’età della pietra – il secondo anno dell’Università -, e credo di aver dimenticato come si balla in modo da far venire fantasie alle donne. Ma la canzone, dal ritmo sostenuto e suggestivo, mi premette di prenderle le braccia e mettermele intorno al collo.

«Tu sei pazzo.»mi grida nell’orecchio.

«Colpa tua. »

Le faccio fare una giravolta imbranata, che nella mia immaginazione era molto più spettacolare. Le nostre mani si intrecciano, sono calde. Mi sento percosso: una specie di brivido che parte dalla schiena e mi pizzica il collo. Lei sospira contro la mia camicia. Il suo corpo contro il mio mi impedisce di trattenere i pensieri, di pensare ad altro, cose che non ho pensato per molto tempo e che lei ha risvegliato. Prima con la sua risata trattenuta, poi con il suo atteggiamento... e con quello che sta succedendo ora.

La canzone termina e ne comincia un’altra più movimentata. Lei scioglie la presa delle nostre mani e si dirige fuori da questo grande ammasso di persone. Dove sta andando? Non voleva? Anche lei ha sentito la stessa cosa che ho percepito io?

Ho il cuore in gola, e con il battito che mi percuote la pelle e mi fa tremare, trovo la forza di muovermi, ancora impalato in mezzo alla sala, e le faccio cenno di uscire. Lei non capisce all’inizio, ed io cerco di fermare il tremore della voce per rendermi comprensibile. Le luci del locale svolazzano sul suo viso, nei suoi occhi scuri.

Sei bella, Leah. E non solo. Chiunque ti abbia fatto scappare, non si è reso conto di quello che ha perso.

Siamo nel parcheggio del locale, appoggiati ad una rampa di scale per le biciclette. E’ buio, le luci sono deboli e si riflettono nei finestrini della auto vuote. Sono riuscito a gestire il nervosismo e adesso sembra che io sia quello di sempre. E' tutta colpa sua, naturalmente.

«Sono riuscito a farti ballare, per questo ti chiedo cento dollari in più per l’affitto. »

«Sbruffone.»

«Per altre cose però… non c’è bisogno che mi paghi… »

Lei distoglie lo sguardo, allibita. Trattiene una risata.

«Cretino. »

I capelli due ore prima raccolti in una coda sono più che scompigliati, lei li scioglie per riportarli su. E’ un movimento che quasi mi stordisce. Appoggiato alla ringhiera, la mia temperatura corporea non è mai stata così fuori luogo, così forte e invadente. Sento il profumo alla vaniglia che mia sorella le ha prestato, ma non posso fare a meno di pensare a lei, Leah, a stasera, a quando l’ho raccolta in una coperta per portarla a casa mia, a quando aveva intenzione di darmi qualcosa in testa, a quando mi ha messo in tasca quattrocento dollari… 

Si è fermata. 

Io ho appena cominciato a muovermi.

Non ci sono colpe. 

Leah mi guarda e non capisce.

Non ci sono rimpianti. 

Io la guardo e trovo tutto.

Non ci sono imprevisti.

Lei lo avrebbe voluto.

C’è il bisogno di colmare la distanza.

Di chiudere gli occhi.

Di essere più vicini.

La sfioro con le mani, lei chiude gli occhi.

E c’è il buio, sotto il mio sguardo, con le mie labbra sulle sue. Le sue mani bollenti, che mi toccano. Per la prima volta non sono io a scottarmi, per la prima volta, ci scottiamo entrambi.

Schiudo le labbra ma è come se non esistessi, è come se esistesse solo questo. Lei che sorride, lei che si appoggia a me, lei che poggia la sua testa sulla mia spalla, lei che prende un bambino in braccio, lei che mi dice di non voler venire con me, lei che esce di casa per comprare qualcosa.

Le mie mani scendono sui suoi fianchi.

Non dovevo ma non importa. 

Ed è come se stessi accarezzando qualcosa che sta per sparire… scomparire in un attimo. 

Un graffio lungo la nuca.

Un morso alle labbra.

E la luce.

Il dolore…

«Non provarci mai più. »

Sento il pugno lungo la guancia, e il sangue che sgorga lentamente dalle ferite delle sue nocche. La sopresa è così forte da far annebbiare tutto. O forse è la delusione.

«Mi fai schifo, hai capito? E’ per questo che mi ha tenuto in casa mia, è per questo che mi hai aiutato? Volevi divertirti con me? Pensi che io non abbia dei sentimenti? Pensi che non ci penserò? Pensi che per me non sia importante? »

So che guarirò presto, come ogni volta. Ma sento che lei sta calpestando il cuore con ogni, singola, parola. Ha le lacrime agli occhi, ma quando la mia vista ritorna quella di sempre non riesco più a trattenere la rabbia. Sento il viso incandescente, ma mai un ondata di gelo più forte è riuscita a  travolgermi in questo modo.

«Ti odio! Tutti uguali! Siete tutti uguali, voi! Schifosi! Chi se ne importa, vero? Se domani avrò l’imprinting e la mollerò per la mia ragione di vita, chi se ne importa di lei?Mi è già successo, non sono pazza! Sam… lui la sposerà, è come se fra noi non ci sia stato niente! Credevo che per te fossi più importante di una di tutte le tue infermierine poco di buono! Ed io che credevo di potere anche solo minimamente assomigliare ad Akira, lei almeno si è innamorata di una persona normale e non per la seconda volta di… di uno... Oh, Dio. Ecco, adesso è anche colpa mia. Non sarei dovuta rimanere un secondo di più, quel giorno. Me ne vado subito, non avrai disturbi. »

Qualcosa scoppia, dentro di me. E’ un nome pensato, ripensato, sognato, detto ad alta voce, mormorato nel pianto.

Grace.

Grace che rideva.

Grace che piangeva.

Grace che voleva il suo diritto di esporsi.

Graze che mi abbracciava.

Grace…

«Perché vieni sempre qui, Brian? »

« Perché sei importante.»

Il letto dell’ospedale è troppo largo e troppo lungo per lei. I capelli ricci e scuri danno colore al suo cuscino.

«Io non so se potrai continuare a venirci.»

«Certo che verrò, Grace.»


«Io l’ho già avuto l’imprinting, Leah. »

Lei si volta ancora verso di me, ma rimane immobile, le lacrime scendono indipendentemente da quello che vorrebbero i suoi occhi. Così come fanno le mie, che non si vedono. Perché io sostengo il suo sguardo, mentre dentro brucio in qualcosa tenuto nascosto, seppellito in fondo per impedire che mi ferisse ancora.

Le sue lacrime, sottili e trasparenti, sgorgano dai suoi occhi grandi sul suo volto cereo. Nessun bambino… nessuno, dovrebbe soffrire così come sta facendo lei.

«Mi fa tanto male.»

«Guarirai, devi resistere.»

Le tengo la mano, cercando di guardare un punto in modo fisso. Così diventa più facile trattenere le lacrime. Lei guarda i suoi giochi, mentre il pianto scorre su un volto che sembra assente. Che sembra volato in cielo.

«Non so se… se ci sarò ancora, ma voglio che tutte le mie cose le abbia il tuo ospedale, oppure Helly, la bambina del terzo piano. A lei piacciono tanto i miei e sua madre non può comprarli.»

« Non dire così, piccola, non dire così. »

 

Adesso potrei essere io ad odiarla, a umiliarla per quello che ha detto.

Eppure ti voglio, ti voglio lo stesso. 

Per quanto sono sbagliate le cose che ha pensato, per come è finita male una sera cominciata nel migliore dei modi, in cui non esisteva nessun licantropo e nessun vampiro ma soltanto Brian e Leah, so che quello che è riuscito a farmi svegliare da quel brutto sogno è ancora qui, davanti a me. Anche se il dolore sembra più forte.

«Lei è morta. » Mi tocco la ferita sulla guancia. Non sento niente. C'è qualcosa che mi fa più male di tutto il resto.

*

*

*

*

Facciamo che io non dico niente. Non picchiatemi *-* *-* occhi dolcissimi :) 

La tribù degli Ojibwe esiste davvero, nel Minnesota, e la storia di Akira l'ho inventata io.

Spero che vi sia piaciuto e, inoltre, ringrazio tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo :) Posso dirvi che potrei farmi perdonare nel prossimo capitolo, potrei...

Grazie mille a chi ha recensito <3 <3 <3  grazie davvero :)

E, per mia tristezza, questo è il penultimo capitolo, quindi il prossimo sarà l'epilogo di quessa mini-storia. Ho anche realizzato un banner, è questo qui sotto. Diciamo che al giorno d'oggi (xD) sono più brava con Photoshop, questa l'ho realizzata l'anno scorso :)

               leah e brian 

Al prossimo e grazie a tutti :)

Ania <3

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Capitolo 7
*** Epilogo:I won't let you go ***


episolo soul's wind

Epilogo: I won’t let you go.


And this love, just feel it
And if this life won’t see it
Sees no time to be alone, alone, yeah
I won’t let you go

If the sky is falling, just take my hand and hold it
You don’t have to be alone, alone, yeah
I won’t let you go

I won't let you go - James Morrison

 

 

 

 

 

Lui mi tocca, poggia le sua labbra sulle mie, mi stringe. Ed io esisto di nuovo.

Raccolgo le mie ultime cose in un borsone che ho comprato stamani prima di andare al lavoro. Ci sono i pantaloni, le magliette e la biancheria che ho comprato in questo periodo.

Sospiro.

Mi tocca il viso, mi stringe a lui, chiude la sua bocca sulla mia attingendola di ogni colore vivo che esiste in questo buio.

Brian.

Che mi bacia.

Ha baciato me, che mi sono considerata sempre idiota per essermi accorta di… provare qualcosa molto più lontana dall’amicizia nei suoi confronti.

Ho appena scritto un biglietto con la mia grafia poco leggibile, ma spero che vada bene lo stesso.

Vi ringrazio per avervi aiutato e avermi accolto per tutto questo tempo. Non vi ringrazierò mai abbastanza. Nonostante tutto, devo tornare a casa.

Siete stati meravigliosi, tutti. Una famiglia bellissima.

Grazie.

Leah

Lascio il biglietto sul mio letto. La bicicletta la lascerò qui, così la potrà usare Nolly.

E’ pomeriggio inoltrato; la radio accesa ad un volume troppo alto: Julia e Curter sono usciti per delle compere, Noela agli allenamenti di pallavolo e… Brian in ospedale.

Oggi non mi ha neanche salutato.

Ho rovinato tutto; perché sono la solita ragazza impulsiva, testa calda, senza contegno e che si arrabbia troppo facilmente.

Esco dalla mia camera e mi dirigo verso la porta di ingresso, cercando di non pensare.

Non tornerò a Forks. Comprerò un biglietto alla stazione e poi…

«Leah, lascia il borsone.»

Con la radio accesa non mi sono accorta dei rumori. Brian è qui, una magletta qualunque e dei jeans, di fronte a me, sulla soglia del suo studio. Gli occhi verde chiaro leggermente ombrati dalle ciglia. E una leggera crosta sulla guancia, provocata da me. Lui è… stupendo. Ed io non riesco a guardarlo senza provare vergogna.

«Io me ne sto andando. »

«Solo un attimo.» mi chiede, serio.

Faccio scivolare la mia valigia improvvisata a terra e la lascio nel corridoio. Mi sento tremare, mi sento sprofondare.

Non fare la stupida, Lee. 

Il suo studio è disposto di una scrivania piena di carte disordinate, la tapparella è semi abbassata, i muri bianchi, la libreria di un chiaro color noce… come se bastasse a tenere lontani gli occhi da lui.

Brian indossa una maglietta rosso sbiadito.

Il viso scolpito, il profilo dritto che sembra disegnato...

Smettila, Leah. 

Cerca qualcosa fra i tanti tomi di cui il mobile è disposto. Ne prende uno, molto vecchio e anche spesso, dalle pagine ingiallite e la copertina marrone, con dei simboli.

«Klaus vuole che ti dia questo. »

Mi porge il libro.

Perché, Brian? Perché?

«Lei è morta.» Perché me ne sono andata via? Perché non sono rimasta?

«Cos’è? »

«Il libro della nostra tribù. Vuole che tu lo tenga e lo completa delle tue esperienze come seconda muta-forma donna. Vuole che quando tornerai a casa tu lo faccia conoscere alla tua tribù. »

La sorpresa dura poco. Sfoglio il libro, guardando la grafia ordinata e i disegni suggestivi. Non mi fanno nessun effetto.

E sei qui, di fronte a me, e non riesco nemmeno a guardarti negli occhi senza vergognarmi.

Alla parola “imprinting” sfoglio le pagine velocemente; sono tante, sono dolorose. Mi lascio sfuggire un sospiro, senza nascondere la tristezza.

«Ci sono anche delle poesie.» aggiunge lui, rompendo il silenzio.

Perché facciamo finta di niente? Perché non torniamo indietro nel tempo per cambiare tutto?

La sua voce traballa, si inclina. Mi prende il libro fra le mani, toccandomi. E’ come una scossa, come se avessi sfiorato qualcosa che mi ha fatto male.

E invece io non desidero altro che succeda di nuovo.

Gira le pagine, poi si ferma su un punto. Lo sguardo concentrato.

Brian, forse io... forse io ti...

«*Il mio amore è alto e bello come il giovane vento sulle colline, e rapido nel suo percorso come un nobile e maestoso cervo; i suoi capelli sono fluenti, e scuri come l’uccello nero che vola attraverso l’aria…”. Non so se ti piacciono. »

Sospira.

«Mi piacciono molto. Questa è molto… bella.»

Di nuovo silenzio. 

Forse ti amo.

L’aria mi soffoca da dentro, nei polmoni. Ma so che se devo andare via, non posso farlo senza dirgli qualcosa.

«Mi dispiace, Brian. Io non immaginavo che...» Scusarmi è una sforzo enorme, soprattutto perché ho anche dimenticato, per un certo periodo, che fosse giusto farlo.

«Chi vuoi che lo immagini? Va bene così, Leah. » Si passa una mano fra i capelli castani chiari; i suoi occhi si accendono, come infuocati, ma è qualcosa di innocuo. Mi chiedo chi fra di noi sia più fragile, chi si spezzerà per primo.

«Mi dispiace di essermene andata. Di non averti parlato all’istante, di non averti fermato stamattina in ospedale, ma… insomma, non sono io l'unica che ha sbagliato. »

Non è proprio da te essere gentile, finisci sempre per fare la tua solita figura da imbecille.

Sbuffa. Ma il suo sorriso è amaro. La sua ombra è alta e cresce lungo la stanza. E’ molto più alto di me, è molto più bello, è molto più buono.

«Non volevo dire questo.» 

«Sì, come vuoi

Guardo in basso, e il mio sguardo si ferma su una fotografia abbassata sulla scrivania. Esito un attimo, ma poi la alzo, senza il suo permesso.

Vuoi davvero metterti nei guai, quindi.

E’ la foto di una bambina, dai capelli castani e ricci, le guance rosee, con il sorriso allegro. Gli occhi sono castani chiari, sembra che invitino a sorridere solo con uno sguardo. 

«Lei è…? » chiedo.

«Sì, è Grace. »

Annuisco.

Una grande tristezza mi pervade ancor più di prima. Questa bambina è morta.

«Durante il mio tirocinio, nel reparto delle dialisi non credevo che sarebbe stata lei quella che doveva essere sottoposta a… quelle cure intensive. Strazianti. Credevo che la cosa riguardasse sua madre, che la accompagnava. Ebbi l’imprinting, e seppi che avrei sempre dovuto starle vicino. Fin quando non lessi nella sua cartella clinica che aveva la leucemia.

I dottori non capivano. Le piacevano il gelato al cioccolato e le caramelle alla fragola. Gliele portavo sempre dopo ogni dialisi, quando poteva mangiarle.

Ed io… io non potevo fare niente per aiutarla, non potevo fare niente per aiutarla. » Gli si rompe la voce e si appoggia con le mani alla scrivania, come se una forza potentissima lo stesse risucchiando. Mi avvicino a lui, velocemente.

Non soffrire, Brian, non soffrire mai più.

«Quando morì… Aveva già perso tutti i capelli. Ed io non l’avevo salvata. Non avevo le competenze, studiavo soltanto. Nessuno capiva perché rimanevo anche dopo la fine del turno o perché andavo all’ospedale anche nei giorni liberi. Io non l’avevo salvata… Sai che cosa vuol dire? Sapere che qualcosa più grande di te ti dà il compito di proteggere quella persona, di amarla, e tu non lo fai, anche se vorresti farlo… »

«Shhh, Brian, non è stata colpa tua. » sussurro. Vederlo stare così male è insopportabile.

«Sei la prima ragazza a cui ho pensato costantemente da quando lei è morta. Sei l’unica, Leah. Ma se vuoi andare, non sarò io a trattenerti.  » Gli sono così vicina che sento il calore del suo corpo attraverso i vestiti, troppo invadente anche sul mio. Mi allontano leggermente.

Annuisco, i suoi occhi si sono fatti lucidi, frastornati dal suo passato.

Ma ho preso una decisione, devo andare via.

«Tu… tu meriti di essere felice. Grazie per quello che hai fatto per me. Ciao, Brian. »

Esco dal suo studio ed è come correre contro vento.

«Cosa dirò a mia madre, a mio padre…? »

«Ho lasciato un biglietto, è sul letto. »

«Vuoi che ti accompagni? »

«No, meglio di no. »

«Aspetta, un minuto soltanto. »

«Perché? Ho sbagliato tutto lo so e rimanere qui sarebbe una cosa da farmi impazzire... e mi sento uno schifo, e mi basta così.» Gli parlo come se in questo modo io possa cercare una giustificazione migliore a quello che voglio fare.

Entra in camera da letto, mi dice di aspettare fuori. Io lo seguo fino alla soglia, giusto il tempo di intravedere un letto a due piazze, come unica attrattiva in una stanza spoglia e quasi vuota.

«Brian, io devo andare. »

Mi trascino nella sua stanza, come se avessi fatto un passo falso, cosa che dimentico nell’istante stesso in cui, vicino a lui, in questa stanza illuminata solo dalla luce proveniente dai fori della tapparella, vedo il palmo della sua mano con dei soldi in mano.

«Prendili. »

«Neanche per sogno. » Le parole vengono fuori come veleno.

«Sono tuoi.»

«Li hai guadagnati tu.»

«Ne hai bisogno.»

«Dalli in beneficenza.» La rabbia mi fa amplificare il calore. E' così che vuole lasciare tutto alle spalle? Sapendo che potrò vivere in modo decente con i suoi soldi?

«Voglio che li abbia tu.»

«Io voglio che la smetti.»

«Io voglio che resti. »

Il borsone mi cade dalle mani, scivolose, mentre lui mette i soldi in un cassetto e mi abbraccia con un solo, grande, penetrante sguardo.

«Rimani. »

« Ma… perché? » 

Perché te ne vuoi andare, Leah? Non lo vedi che ti ha già perdonato? Non lo vedi che per lui non esiste nient'altro?

«Perchè non so come fare... non so come fare se te ne vai» 

E lo vedo, lì, che mi prende fra le braccia, senza schiaffi, pugni, senza pretese e senza inganni. Con il solo bisogno di rendere la solitudine meno silenziosa di quello che è. E quando mi chiede di restare, il passato scompare, il presente diventa nitido, e una nuova linea si scaglia nel futuro. Vedo lui, che mi vuole tenere con sé. Vedo lui, che vive di nuovo, con me.

«Non... posso permetterti di farlo. Vuoi metterti nei guai per una come me?»

«Maledizione, Leah. Hai davvero paura di questo?» E mentre chiudo gli occhi, sento le sue labbra posarsi sulle mie, la lingua toccare la mia.

Non c’è più tempo, tempo per amare, per ridere, per piangere. Per rimpiangere e ricordare, per dire una sola parola. Anche adesso che mi ferma i polsi lungo i fianchi, contro il muro, e spazza via il freddo che avevo nella bocca con un bacio frenetico. Ed io lo ricambio in tutto con la mani che tremano, anche se non per paura. E non c’è niente che mi dice di respingerlo perché ho sognato questo momento vergognandomi, quando invece nessuno dovrebbe vergognarsi di quello che è. Di quello che sogna e vuole.

«Leah.»

«Non parlare. »

E gli sfilo la maglietta, che cade a terra. Cadono a terra tante cose: pezzi di sogni e di case mai costruite. I nostri vestiti. Giocattoli mai comprati e risate mai nate. Bambini che non piangeranno mai, libri che non verranno mai letti. Sento il suo sospiro caldo contro il mio viso, le mie mani scendono sulle sue braccia. Quando tocco il suo tatuaggio mi sento scottare, perché se lo voglio, desidero anche il lupo che mi ha riconosciuto la prima volta che mi ha visto. Mi sento stordita e distolgo lo sguardo da quegli occhi verdi che sembrano luci, mentre la sua mano scende sul mio ventre.

E voglio che mi stringa, voglio che non ci sia più niente a fermare tutto questo. Le lancette di un orologio, la luce di un sole che muore, un giorno che vede il mondo per la prima volta, due corpi che si curano l’un l’altro, accarezzandosi le ferite.

«E’ davvero così sbagliato… se mi sono accorto di amarti, Lee? »

Nessun forse, non c'è più nessun forse.

Perché si ha paura di arrivare fino alla fine, al fondo di ogni cuore, per vedere quanto sangue può sgorgare, o quanto amore può offrire, o quanto si è capaci di donare all’altro, anche quando ci sono ancora i graffi, le schegge, di qualcosa che nelle tue aspettative ti avrebbe reso la persona più felice del mondo.

«No, no, no… Brian.»

«Lee.»

Ed io lo voglio, qui con me. E’ possibile che io mi senta nuova? Un bambina con il corpo di una donna, una ragazzina che scopre che cosa significa amare, che vede per la prima volta un uomo, scopre come si completano i tasselli di un quadro difficile. Mi lascia stendere ed io lo stringo a me, anche se non scapperà mai. E non c’è più niente da rimpiangere, non ci sono più dolori da ricordare, non c’è più nessuno a cui dare la colpa. Solo la felicità di sentire di nuovo le scosse, il battiti un cuore contro un altro cuore, che rimbomba con l’altro e ne crea uno solo, grande, rumoroso, che basta per tutto. Come questi nomi, insieme, come queste due persone, insieme, che si riconoscono. Che si conoscono da tanto e poco tempo, da troppo, da ieri, da sempre. Affonda i denti in un posto nascosto, senza controllo. Sento le coperte sotto la pelle nuda, ma potrebbe anche non esserci niente. Il vento dell’anima, del lupo e della donna, mi hanno portato da lui. Quel vento mi ha dato tutto quello che mi era stato rubato.

E mi chiedo come ho fatto a non capirlo prima. Perché non c’è nessun’altro nome, adesso, fra le sue braccia. Ora che lascio andare il fiato come se ne avessi sempre abbastanza, ora che mi lascio trascinare da tutto, senza pensare, non c’è nessun’altro nome che potrei dire.

«Brian.»

Mi stringo a lui, alla sua nuca, prima di lasciarmi cadere.

Ti amo.

I suoi occhi guardano me, mentre le mie mani cercano le sue. Respira, sento il peso del suo corpo sul mio come una coperta che mi protegge, come la prima cosa che ha fatto vedendomi. Il torace si alza e si abbassa. Siamo ancora abbracciati.

«Lee… »

«Non dire niente. » Si tira su con i gomiti, trova il respiro normale. Io non sono ancora riuscita a riprendermi da questo sogno, non ancora. Mi accarezza il mento con il pollice, ed anche se siamo andati più a fondo di una simile carezza, mi sento sussultare.

«Io… io ti amo. »

«Brian.»

«Non ho paura di dirlo. Non ne ho più. »

***

 

 

«Leah? »

«Mmh? »

«Va tutto bene? »

«Mmh-mmh.»

«Non c’è bisogno che parli tanto, eh, stai diventando logorroica. »

Parte un cuscino, che gli sbatto direttamente sulla sua bella faccia. Il treno è partito, e sinceramente, non ci penso proprio.

«Sei aggressiva e violenta. »

«Sdolcinato. »

«Paranoica.»

«Insopportabile. Lunatico. Narcisista.»

«Pff, hai vinto. »

Mi lascio abbracciare da lui, ancora steso fra le lenzuola del suo letto, di soli lenzuoli.

E’ una sensazione che non ho mai provato. questa, sento che è troppo bella per rinunciarvi. Se non fosse stato per lui, adesso potrei essere sperduta in qualche foresta isolata tipo l’Amazzonia. Non mi ricordo se è mai successo che io abbia provato una cosa simile, ma so che si può dire con solo due parole.

«Kuk Laule.» mormoro al suo orecchio. Il mio tono, serio e pacato, toglie via ogni vena di scherzo.

«Che cosa significa? »mi chiede, e porta una mia ciocca dietro l’orecchio. Il lenzuolo lo copre dal basso ventre, lascia scoperto il suo fisico scolpito dalla pelle dorata.

«Non te lo dico. »

«Sei la solita. »

«Grazie. »

Recupero da terra la mia camicia e la biancheria. Percepisco il suo sguardo, lungo la schiena, senza voltarmi.

Il suo respiro sulla mia spalla, il suo profumo attraverso la bocca. Chiudo gli occhi e sospiro. Quando le sue labbra mi sfiorano, si chiudono a chiave tutte le porte dei dolori da cui passavano assiduamente vecchi ricordi e cicatrici.

Ed ora sono qui, con lui.

Desiderando enormemente che tutto questo non sia un sogno.

Non lo è, questo non è un sogno.

Perché è tutto, tutto vero. Il sole brilla nel buio della stanza, nel bacio che nasce da queste labbra. 

Il sole nasce dal cuore.

Il buio non c’è più.

*

*

*

*

Capitolo dedicato a Stefy. ( per un motivo in particolare che lei sa, e che fa ridere :))

Ciao a tutti :)

Chiedo un abbraccio di gruppo, perché questa storia è finita per la seconda volta :'( Inutile dire che sto frignando come una scema, perché io a questi due mi sono affezzionata da morire. Se anche voi vi siete affezzionati a questi personaggi, potrete incontrarli ancora nella fanfiction Destiny heart che tornerà presto completa, e in un sequel con Seth e Noela che saranno anche loro protagonisti :) 


Grazie a J, Noemi, Maria, fufe, Carmen Black, Eryca, Irene, Booow95, per aver sempre recensito , rendendomi felicissima <3 <3 <3
E poi è stato fantastico vedere che hanno seguito questa storia anche più persone della prima volta. Grazie per le 7 preferite, 2 ricordate e 11 seguite <3
Vi ringrazio di cuore :) Ringrazio voi che amate Leah, ringrazio voi che l'avete amata in questa storia. Ne sono tanto felice.

* La poesia che dice Brian, se così può essere definita, l'ho presa da un libro in inglese e l'ho tradotta io, quella originale è ( nel caso voleste saperlo)
"My love is tall and gracefull as the young waving on the hills, and swift in his course as the noble stately deer; his hair is flowing, and dark as the black bird that floats trought the air". Il libro da cui l'ho presa parla proprio della tribù degli Ojibwe, che io ho letto l'estate scorsa. E' una collana di libri tutta dedicata ai nativi americani, quello che ho letto si intitola "Lifeways - The Ojibwe" della casa editrice Raymond Bial. Non chiedetemi dov'è l'ho comprato, perchè mi è stato regalato da una zia e non so proprio dove possa averlo preso *O*, di quella collana ne ho anche altri due. Quello che ho letto è veramente bello, vi potete esercitare con l'inglese e conoscere le antiche tradizioni di quei popoli :)
La canzone all'inizio è di James Morrison ed io la adoro davvero tanto. Secondo me per Brian e Leah ci stava molto bene :)
Cos'altro? In questa storia non ho fatto altro che fare innamorare Leah, non è successo niente e ne sono consapevole. Se vi va di leggere un'altra storia su Leah, che l'autrice ( un genio) definisce come " una storia in cui non succede niente" andatevi a leggere Una giornata di sole, è qualcosa di stupendo e vi farete tantissime risate. Vi consiglio anche questa shot Sandcastles è molto ma molto bella, anche se triste, è quello che sarebbe successo a Leah se non avesse incontrato Brian, credo. Leggerla, sapendo che qui è andata in questo modo magari vi farà fare un sospiro di sollievo... e farvi rendere conto di quanto è brava la ragazza che l'ha scritta. E una Leah felice e... vedrete quanto è bella, potete trovarla in Moleskine :))
Questa storia non doveva nemmeno esserci, al massimo averbbe dovuto essere di tre capitoli ed essere inserita in dei missing moment, e invece no, perché Leah meritava di avere un posto tutto per sé. Soul's Wind non era in programma, avrebbe dovuto essere più corta, ma poi mi ha dato delle bellissime soddisfazioni. Io sono e sarò qui per voi che leggete, per me è bellissimo e importantissimo. 
Lettori, per me è una gioia immensa avervi. Grazie per esserci. Sono qui perché amo scrivere, per migliorarmi, confrontarmi, divertirmi, emozionarmi ed emozionarVI. Non potrei chiedere altro, davvero.
Grazie a Virginia, Cate, M, C, S, J, sono state e sono fantastiche, ognuno a suo modo.
Davvero grazie :)
Con affetto, Ania <3

p.s Se vi piacciono i lupi, c'è una long su Embry che verrà aggiornata a breve con il secondo capitolo, si chiama Same Mistake <3 <3 <3

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