Soul's Wind di aniasolary (/viewuser.php?uid=109910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Emily e Sam si sposano ***
Capitolo 2: *** Soul's Wind #1 ***
Capitolo 3: *** Soul's Wind #2 ***
Capitolo 4: *** Soul's Wind #3 ***
Capitolo 5: *** Soul's Wind #4 ***
Capitolo 6: *** Soul's Wind #5 ***
Capitolo 7: *** Epilogo:I won't let you go ***
Capitolo 1 *** Prologo: Emily e Sam si sposano ***
Emily e Sam si sposano
Soul's Wind
Storia ambientata
esattamente un anno dopo la fine di Breaking dawn. Spero che possa
piacere a tutti quelli che apprezzano il personaggio di Leah e che
magari questo sia un modo, se non è una personaggio da voi
prediletto, di farvi cambiare idea. Buona lettura a tutti!
Prologo
Emily e Sam si sposano
L’amore
quando è finito lascia un cratere nell’anima, lo puoi riempire delle emozioni
più vili o più sagge, è che se lo riempi di dolore… ti lacera da dentro.
Stephen Littleword, Aforismi
Emily e Sam si sposano.
Credevo che il mondo mi fosse caduto addosso una volta, e invece
oggi mi sono accorta del fatto che i rifiuti non si buttano mai tutti insieme.
E il mondo cadrà di nuovo quando mi daranno l’annuncio del loro primo,
bellissimo bambino. E del secondo. Mentre io starò qui a guardare.
-
Stanno ancora organizzando tutto… Oh Leah, non
sapevo che fossi lì.
Quil mi guarda, gli si colorano le guance. Vorrei che distogliesse lo sguardo, perché non lo fa?
-E invece ci sono.
Emily e Sam.
Emily con il vestito bianco, le rose nel suo bouquet appena colto
nel campo di fiori… Sam vestito con un abito nero, l’emozione che gli scorre
nelle vene pompate dal cuore…
-Leah…
Seth
si alza e viene verso di me. Non so che cosa vuole, ma i suoi sorrisi
che vengono fuori senza un vero motivo finiscono solo per farmi uscire
dalla stanza, tutte le volte. E pensare che prima mi piaceva che lui
fosse così. Tutto questo prima… prima che la Leah di una
volta
venisse uccisa.
-
Io… devo andare a comprare una cosa. Non
l’avevo scritta sulla lista.
Evito
i loro sguardi e lascio le buste sul tavolo. Esco di
casa, senza guardare, senza parlare, senza far cedere le lacrime che si
soro
raggomitolate intorno ai miei occhi stanchi di notti insonni, pensieri
sempre uguali, sogni che non sono tanto diversi dalla realtà.
Entro in auto, il mio pick-up verde e consumato. Accendo la
macchina e comincio a percorrere la strada. Non so dove andrò. So soltanto che
le lacrime mi rigano il viso e mi fanno male come mi farebbero male i graffi di
una pantera.
Non è cambiato niente.
Premo il piede sull'acceleratore.
Sam Uley, vuoi
prendere questa donna come tua legittima sposa?
Sì, lo voglio
E tu… Emily
Young…
Leah! Doveva essere Leah! Dovevo essere io!
Perché se la felicità non si può comprare si può sempre rubare?
Perché quando qualcosa si perde non la si ritrova più? Perché quando si soffre,
il dolore permane per sempre anche quando la ferita sembra cicatrizzata?
Le lacrime mi feriscono, mi attraversano la carne.
Perché è amore.
E solo due cose sono per sempre. La morte e l’amore vero.
Fermo la macchina. Sono vicino alla foresta, sul ciglio della
strada.
Sta piovendo. Mi sciolgo sotto la pioggia, la sento bollente. Mi scortica la pelle ma mi lascia viva, come sempre. Come ogni
volta.
Sam ed Emily
Emily e Sam
Sam ed Emily
Emily e Sam
Leah e…
Nessuno.
La pioggia batte.
Sono stanca… le lacrime bruciano, e vorrei bruciare io.
Ma io… devo restare qui.
Devo restare qui.
Eppure è così sbagliato desiderare di essere felice?
E’ così sbagliato… aggrapparsi ad un sogno, quando la vita ti
butta sempre più giù, nel vuoto?
E’ così sbagliato fuggire da un posto in cui non c’è altro che
tristezza?
Ne sono sicura. E’ tutto sbagliato. Tutto.
E anche io sono sbagliata.
La pioggia mi bagna e trovo sollievo per il fuoco
che ho dentro. Tolgo la giacca a vento e la poggio sul cofano. Cammino nel
bosco, guardo gli alberi, guardo il fango, guardo l’acqua che mi fa scudo sugli
occhi, perché se per caso ho posseduto una corazza, ora è svanita nel nulla, e mi
è scivolata via con l’acqua che cade dal cielo.
Lo so che non mi pensa nessuno, so che i
mie pensieri intralciano soltanto, so che vorrei essere forte e lo sembro
soltanto, so che non va bene essere così. So anche che non è giusto fare quello
che invece farò, ma non importa. Non importa più niente. Perché uno sbaglio in
più in una vita fatta di errori non conta.
Voglio bene alla mamma. Voglio bene a Seth. A papà che non c'è più.
Spero soltanto che nonostante tutto, loro
lo abbiano capito.
Inciampo, cado a terra. So
che cosa devo fare. So come essere veloce, so come battere tutti.
Mi reggo per i gomiti, le ginocchia
graffiano il terreno, il fango mi sporca il viso.
Ma sono viva. E la mia vita è ancora nel mondo, da
qualche parte, ed io devo cercarla.
Grido. Ma quando cerco di riconoscere la
mia voce fra il silenzio degli alberi, non c’è altro che un ululato.
I vestiti si sono strappati, cadono in
mille pezzi.
Corro. Corro senza fermarmi e così mi
sento forte, e so che non lo sembro soltanto. Ricordo anche che può piangere
anche un lupo, quando è ferito, quando non trova più la strada di casa, quando
muore il proprio compagno.
La luna è
nascosta ma so bene che c’è.
Anche Leah si è nascosta, ma io so bene
che c’è ancora. E mentre piango, mentre le lacrime si versano e si confondono
con la pioggia, mi
chiede soltanto di andarla a cercare.
*
*
*
*
Questa storia risale al luglio
2011, e la riposto esattamente un anno dopo. Spero che sia migliore
rispetto alla prima versione. Ringrazio tanto tutti quelli che l'hanno
letta la prima volta e rileggeranno e naturalmente tutti quelli che la
leggeranno per la prima volta :D Leah è scappata, proprio come
ha fatto Jacob in Eclipse. Che cosa succederà?
Grazie a tutti coloro che saranno tanto gentili da lasciarmi due parole <3
Grazie davvero.
Un bacio
Ania <3
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Capitolo 2 *** Soul's Wind #1 ***
leah 1
Soul's Wind
Capitolo 1
Cio' che è più amaro, nel dolore di oggi, è il ricordo della gioia
di ieri.
Gibran
Corri... Corri.
Posso ancora ansimare, piangere, rantolare dal dolore. Me ne
sono accorta presto, la prima notte, quando sono fuggita via.
Non puoi scappare. Non
puoi scappare dal dolore.
La sofferenza è come un ombra: mi segue in ogni dove, alla
luce dell’alba e delle stelle, nell’oscurità della notte e nei momenti vividi
del giorno. E quando si è soli, tutto è amplificato. Niente mi porta a fingere
che vada tutto bene… niente mi dà la forza di far nascere un sorriso dalle mie
labbra, niente mi ricorda di nascondere quello che sento con altri pensieri.
Sono costretta ad essere sincera con me stessa, con il mondo e le foreste che
mi hanno compatito. Gli alberi hanno ascoltato i miei pensieri, gli alberi mi
hanno compreso, il vento ha asciugato le mie lacrime con le sue mani fatte di
aria, abbracciandomi.
Sei un lupo, adesso.
Il tempo
non esiste, non c’è niente che mi dice che sto
invecchiando o che non sono più bella, che nessuno mi guarda, o
che dovrei
rifarmi una vita. Che avrei potuto scappare in un modo migliore. Ma io
sono fuggita e
basta. Senza pensare, senza capire, convincendomi che lasciando quel
posto
sarebbero rimasti lì anche tutti i ricordi, tutti i dolori,
tutti i desideri. E invece sono con me, come parassiti. E in ogni
momento mi riportano indietro... mi riempiono di sogni che non posso
realizzare.
Corri… Corri.
E proprio
adesso mi ritrovo qui, proprio adesso sento che vorrei rivederlo
un’altra volta, anche se non servirebbe a nulla.
Sam…
«Sam…» Ma nasce solo un ululato che assomiglia ad un urlo.
Taglia l’aria e le foglie, le calpesta, le scuote… fa male, fa tanto male. E’ l’aurora,
è il rosso nel cielo con l’azzurro del mare dipinto sopra le grandi querce. E
mi acceca.
Non potevo dire niente di meglio, con in
ballo una ferita che mi fa accasciare sulla terra, in tutta la mia carcassa
animale. Stupida. Sempre la solita,
patetica stupida.
Sono solo due minuti che fuggo dal cacciatore.
Lui non molla; dovrebbe essere spaventato da un lupo grande
quanto un cavallo e invece non ha fatto un piega.
Sono
io ad avere paura.
E mi sento sanguinare, mi sento morire sopra questo prato di
foglie secche che mi graffiano la pelliccia. Gli occhi si chiudono, le palpebre sono
pesanti.
Cado.
Anche i lupi hanno rimpianti, anche i lupi vorrebbero tornare indietro...
Sto per piangere, lo so, e non capisco nemmeno perché ho
anche solo minimamente pensato di trattenere le lacrime. Sono intrappola, sono
lontana da casa, sono perduta…
«Stringimi.»
Lo
sento respirare
sulla mia spalla, nervoso. Sono a un passo dal sentirmi perfetta, un
passo
soltanto proprio ora che non posso camminare, proprio ora che non
c’è niente
che mi faccia pensare di potermi allontanare da lui. Ho diciassette
anni, Sam mi accarezza i capelli lunghi, sento il viso sereno alterato
dalle farfalle nello
stomaco. Sono impegnata a sorridere in modo stupido; Chi
l’avrebbe mai detto,
eh? mi sento bellissima e la mia mente è vuota ma piena di noi.
Sento
l’abbraccio che mi avvolge, le sue braccia forti e grandi, i suoi
occhi che mi
sfiorano. Ecco, in questi momenti posso anche smettere di essere la
ragazza
dura e antipatica di sempre, ma solo perché c’è
lui. Soltanto per questo.
«Leah.»
Perché è Sam, che dice
il mio nome. Ed io sento che lo dice in modo sincero, in un modo in cui nessuno
ha mai detto queste semplicissime lettere. E’ un nome comune, il mio,
neanche tanto carino. Ma detto da lui sembra quello di una regina.
«Ti
amo.» mormora.
Il mio
corpo diviene teso. Ho sentito bene?
Affondo la
testa nell’incavo del suo collo. Le farfalle mi
solleticano la pancia e credo che ormai siano arrivate a toccare anche il
cuore. Siamo tutti e due sensibili quando veniamo presi alla sprovvista.
Contro il suo petto, presa da un'euforia che non è mai stata mia, immagino il suo volto.
Gli occhi
scuri, la pelle bronzea, il sorriso buffo, l’occhiolino che mi fa quando combina
qualcosa di sbagliato.
Con gli
occhi sigillati dall’emozione alzo il capo verso di lui, che dipinge con le
dita il mio profilo. Lo vedo, che mi abbraccia e mi accarezza con la
mano, l’espressione concentrata, i capelli neri che gli ricadono leggermente sul
viso. Lo conosco da sempre. Credo che “sempre” sia la sola parola giusta, per
parlare di quello che viviamo e abbiamo vissuto insieme.
Aprirei
gli occhi, forse, per guardarlo e sorridergli e dirgli qualcosa, ma lui blocca
la mano sul mio mento e mi avvicina a lui. Alla sprovvista, come sempre. Ma
sono troppo felice per arrabbiarmi, sono troppo felice e basta, per tantissimi
motivi. Mi bacia con delicatezza, aderendo la presa sulla mia schiena. La sua
bocca incontra la mia, la cura di ogni lacrima che vi è caduta per motivi come
la rabbia, come l’incomprensione, come l’orgoglio. Mi stringo a lui, affondando
le mie mani nei suoi capelli corti. Adesso può sorgere il sole.
Sospiro,
spostando lo sguardo dal suo viso al mare. Niente di personale, ma il
mio
ragazzo non ha il privilegio che io mi incanti a guardarlo: preferisco
fantasticare su questi momenti quando mi addormento, quando lui non
può leggere
le mie espressioni. E poi, avrò sempre il tempo di rimanere
così, impalata, a fissarlo. Sempre nei momenti in cui è
serio, concentrato e pensa ad altro... sia chiaro. Mi prende sempre in
giro quando dico certe cose ad alta voce...
Siamo
avvinghiati su un asciugamano consumato di mio fratello piccolo, la notte è
scesa, colora la sabbia di blu e di nero. Ma c’è tanta, tanta luce. Non la cerco
oltre le nuvole, è qui accanto a me. E’ dentro di me.
«Ti amo
anch’io, Sam.»
Adesso
tutto è nero, tutto è buio. Non so se mi sveglierò
mai. Ma
il suo nome è stata la prima cosa a cui ho pensato quando ho
cominciato a
sentire il dolore lungo il mio stomaco, quello che le farfalle hanno
invaso
tante, tantissime volte a causa sua. Sam è dolore, Sam è
amore, Sam è passato riversato sul
presente. Sam è il filo di ferro che mi stringe il cuore, Sam
è la vita che avrei tanto desiderato vivere. Ho visto il
momento più bello, ho visto il giorno in cui non
c’era niente a minacciare la nostra comune felicità. Ho
visto un sorriso nel
momento più giusto, ho visto le mie labbra giovani che venivano
accarezzate e
curate da lui quando ancora non ce n’era bisogno, quando Sam era
felice con me.
Il battito del mio cuore rimbomba nella mia mente, nulla più si
distingue. Annego nel buio, piangendo. Fa male, fa male davvero.
Perché
sono debole, perché sono Leah Clearwater e ho perso, ho
perso tanto tempo fa.
***
Dove sono? Io... io ci sono ancora. Il dolore
è passato - parlo di quello lungo il fianco - e
devo soltanto aprire gli occhi. La luce è fortissima, li
richiudo presto. Le mie mani sono sulla mia faccia, sento la bocca
asciutta e tirata. Faccio un respiro profondo: un fastidiosissimo odore
di disinfettante,
dell'alcol rosa che usava sempre mia madre, di quelle punture che fa
sempre il dentista. Finalmente i miei occhi si abituano a tutto. Per
quanto tempo sono rimasta una mutaforma? Sicuramente tanto, abbastanza
per sentirmi strana nel mio corpo normale.
Questo... questo è il mio corpo.
Ed
io sono in una stanza, una stanza che sembra quella di un ospedale, con
indosso una camicia da notte bianca e dei segni rossi sui polsi. Mi
sposto un po', per mettermi seduta, per alzarmi.
Ahi!
Mi hanno messo delle bende sul fianco, dove sono stata colpita.
Hanno cercato di uccidermi.
Cominciano i brividi di freddo, il terrore. Sono stata sparata
e, dopo essermi accasciata a terra priva di sensi... sono tornata...
sono tornata nel corpo di una donna.
Qualcuno mi ha vista.
Non
mi importa più del dolore, cerco di rimettermi in piedi: non posso
permettere che mi succeda altro. Un fenomeno da baraccone, un errore
della genetica, un miracolo animale, qualcosa che va oltre il normale. E' un segreto, tutto questo è un segreto...
Sei in pericolo.
Devo andarmente via, presto. Non c'è più tempo, non c'è più tempo per niente.
Hai paura, ti ghiaccia il sangue.
L'odore aumenta sempre di più, devo scappare... la porta si apre.
*
*
*
*
Ciao :D ecco a voi un nuovo
capitolo. Spero che vi sia piaciuto, anche se dobbiamo ancora entrare
nel vivo della storia. Qualcuno ha aggredito Leah, e lei si è
ritrovata come in una stanza di ospedale. Chi sarà lì con
lei? Grazie mille a tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo
di questa storia. Grazie, non immaginate come mi fate felice <3
Grazie mille a tutti voi.
A mercoledì prossimo.
Ania <3
|
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Capitolo 3 *** Soul's Wind #2 ***
brian
Soul's Wind
Capitolo 2
Riempio il bicchiere di latte e lo mando giù a pochi
sorsi. E' ancora presto per andare a lavoro e sono più che in anticipo. Forse io e il sole siamo collegati, vicini,
uniti. Non si può spiegare: qualcosa ti chiama, ti travolge, e
tu non puoi far altro che lasciarti trasportare come un piccolo pezzo di legno
dalla corrente del mare.
Tin-tin-tin.
Da quanto tempo hai lasciato il frigorifero aperto?
E' come con i pensieri, lascio certe questioni
aperte anche quando dovrebbero essere chiuse da chissà quanto; la
differenza è che non c'è nessun "Tin-tin-tin" che mi dice di lasciar
perdere e abbandonare tutto. Devo capirlo da solo, e ogni tanto mi ritrovo a
fingere di non averlo mai fatto.
Lo chiudo con una spinta e guardo l'orologio. Sono le sei in punto... posso rimanere qui a guardarmi intorno per un po'.
Sbagliato!
Già, sbagliato. Sulla sedia è sistemata la mia divisa bianca:
fortunatamente nessuno controlla che io ci indossi una maglietta sotto,
altrimenti sarei condannato a sciogliermi nel mio stesso calore corporeo.
Rileggo la targhetta per la millesima volta. Non mi ci sono ancora abituato sul serio.
"Dott. B. Ewell."
Ehi, sei un dottore!
Soldi e indipendenza.
Bello, eh?
Così posso divertirmi. O almeno, dare l'impressione che io lo faccia, anche dopo...
dopo che...
Terreno minato!
Terreno minato. Giusto.
Passerà tutto. Devi soltanto lasciare che passi. Dipende tutto da te, dai
tuoi desideri, da quello che sogni per te.
Scuoto la testa. Non è il momento di soffermarmi su certi pensieri, adesso.
Non. Adesso.
Infilo dei jeans, le scarpe, il camice bianco, mi fermo davanti
all'ultima porta del corridoio. Sarebbe illegale avere un ambulatorio nella
propria casa, anche per un medico; ma in certi casi non si ha il tempo di
pensare alle formalità, soprattutto quando si ha a che fare con casi... speciali.
Apro la porta.
La luce è quasi accecante: il bianco dei muri contro la luce del sole di
fuori crea una combinazione luminosa che scaccia via il buio come una bufera di
neve distrugge tutto ciò che ha intorno. Solo qualcosa, in fondo, colora la
stanza. Non è il ferro battuto del letto e nemmeno gli strumenti in metallo che
luccicano sul mobile a destra, accanto ai guanti in lattice che dovrei
infilare.
E' una ragazza dai capelli neri e arruffati, gli occhi lucidi, stanchi
e
impauriti, la pelle bronzea. La paura associata al suo bel volto dai
tratti
indoamericani mi fa rimanere allibito sulla soglia, anche quando mi
accorgo che
ha preso fra le mani il contenitore di ferro per le flebo, ormai
sollevato da
terra. Non so più come respirare, mentre faccio un altro passo e
lei alza il contenitore sempre di più. Distolgo lo sguardo dai
suoi occhi e sì, posso ancora respirare. Un altro passo e mi
spacca la testa con quel coso, è sicuro.
- C'è un licantropo nella foresta, non è dei nostri. Potrebbe creare
problemi.
- Forse... forse è scappato da qualcosa...
- Da qualunque cosa scappi, non può restare.
Un lupo grande e dal manto grigio dormiva ai piedi di un
albero. Odiavo doverlo fare, avremmo potuto lasciarelo libero, se ne
sarebbe andato presto, ma prima di qualunque autorità vi
è sempre il vecchio
della riserva, capo del consiglio, ed io dovevo obbedire. Mi avvicinai,
avrei
sparato la siringa con il sonnifero e non si sarebbe né
svegliato, né avrebbe
percepito dolore. Ci separava solo un metro, io con solo indosso
delle
bermuda, quando all'improvviso il lupo aprì gli occhi, neri e
luminosi, e si scaraventò
via subito dopo aver fissato il fucile apposito che portavo fra le
mani. Ebbi una fitta al cuore nel momento stesso in cui riuscii a
colpirlo. Il
lupo atterrò su una pietra appuntita, che affondò nel suo
fianco, facendolo
ululare. Sentii un brivido lungo la schiena. Mentre la pelliccia grigia
scompariva. E il corpo di una donna prendeva il suo posto.
- Chi sei?- chiede, tremando. Si tocca il fianco dove
le ho riscontrato la ferita più grave, quella della pietra. Trattiene una
smorfia sulle sue labbra screpolate e sottili.
- Non... non devi avere paura.
- Non. Mi. Hai. Risposto - scandisce, a denti stretti.
D'accordo.
Tranquillo, ce la fai.
- Mi chiamo Brian Ewell. Sono un dottore. Il tuo segreto è al sicuro con noi,
non...
- Non ti credo - dice, - Chi sei tu, per farmelo credere?
Le ciglia sono lunghe, gli occhi neri come il carbone e mi attraversano come
uno spettro, che mi gela da dentro. Ho l'impressione che tutta questa forza,
quella che vedo nella sua voce, nel suo viso, nel suo modo di muoversi, stia
per sgretolarsi qui, davanti a me, come il processo dell'erosione di una roccia
che avviene in modo accelerato.
Sei proprio una merda. Per averle sparato quella siringa, per aver ascoltato
Klaus, il capo del consiglio, per aver permesso che si facesse male, per non
aver fatto la cosa giusta.
Ma so che posso ancora fare qualcosa.
- Io... io non sono nessuno, ma sono come te.
Mi avvicino, anche se forse potrebbe esserle ancora rimasto l'obbiettivo di
colpirmi con quell'aggeggio di metallo da cui sono passati sacchi di medicine e
di sangue per tutti i malati speciali.
Deve sapere che il suo segreto è anche il mio segreto.
Ignoro il brivido che mi attraversa la schiena. Come se fosse la prima volta che apro una camicia
di fronte ad una ragazza. Come se fosse l'unica cosa che ti sei sfilato via, davanti ad una ragazza. Guardo il camice bianco, la guardo con la coda nell'occhio... Abbasso la divisa dal lato
destro della spalla e le mostro il tatuaggio. Il mio è diverso dal suo, credo
che questi cambino a seconda delle tribù, ma basta a farle capire che cosa
intendo.
- Non ti farò del male - le ripeto. - Non ti farò del male.
Lei lascia il contenitore delle flebo e si siede sul letto, sospira. Coperta
da quel poco della camicia da notte che indossa, si porta le gambe al
petto, tremando, sembra che stia per piangere.
- Come ti chiami?- le chiedo.
Mi sono dimenticato che cosa si fa in questi casi. Premo il pulsante che mi permette di accendere
la piccola torcia. Io... aspetta... dovrei controllarle i riflessi...
Ma che ti prende? Le
prenderei la mano per stringerla e... Mi guarda e sembra che
riconosca qualcosa.
- Io... Leah - risponde, come se si fosse soffermata a pensarci su per qualche
secondo.
Adesso non trema più, guarda in basso, come se si vergognasse.
-Ora ti devo chiedere se...
- Anch'io. Anch'io ho molte domande da.. far... farle...
Scoppio a ridere. - Ehi, ho venticinque anni! E poi quanti anni avrai? diciannove?
Sbuffa.- Ne ho ventidue. Cioè, ti sembro una di diciannove anni? Appena maggiorenne? Con
questa faccia?
Scuoto la testa, le sorrido.
Deve aver vissuto per tanto tempo felice e protetta per poi
perdere tutto nell'istante stesso in cui se n'è resa conto. Si sarà trovata
sola per questo, i mutaforma si abbandonano al lupo, quando non hanno più il
coraggio di abbandonarsi a loro stessi, alla vita... alla verità. Si crede che
il lupo dimentichi tutti i dolori dell'uomo, quando lui invece vive, muore e
soffre con noi. Una volta ci sono passato anch'io.
- Ehi, Doc! Biondo super capo branco, devo accompagnare Mia a fare un
controllo... Oh, sederino abbronzato si è svegliata, vedo!
Oh, no.
Oliver, uno dei primi componenti del branco, si è scaraventato nella stanza
aprendo la porta in un modo super apocalittico, e adesso ha anche fatto la sua
immancabile figura da perfetto idiota.
Continua a ostinarsi a chiamarmi "biondo" solo perché non ho i
capelli neri come tutti gli altri della riserva ma di un castano chiaro
e gli occhi verdi.
Lei è arrossita, tanto, davvero, e questa volta non è una
mia impressione. Sì, ma non è imbarazzata. Ora si incazza.
Ma quanto è cretino?
- Scommetto che tu non hai nient'altro da fare che guardare il sedere di
una ragazza indifesa e priva di sensi come un maniaco in astinenza, vero?
La
voce di Leah rimbomba nelle mie orecchie, non riesco a capire chi dei due è rimasto
più sorpreso.
Ol rimane ammutolito, con la bocca aperta che raggiunge il pavimento della
stanza e la perenne faccia da idiota.
- Ol, esci subito di qui. Ricevuto?
- S-s-s-s-sì- balbetta, indietreggiando e chiudendo la porta.
Ma come ha fatto ad entrare?
Ah, le finestre...
Le sue guance
sono ancora colorate dal suo rossore, gli occhi danno luce a tutto.
- Io... io sono così... - sbuffa, picchiettando le mani sulla coperta grigia.
- Ehi, ehi, è tutto a posto, Oliver è fatto così, devi lasciarlo perdere.
Mettiti a letto, adesso ti porto qualcosa da mangiare, va bene?
Alle mie ultime parole i suoi occhi si illuminano ancora di più, quasi dentro
di lei crescesse il sole.
- S-sì. Grazie.Io... grazie... grazie, Brian.
La sua mano, mentre tortura la coperta, trova la mia. Il contatto è breve,
sorprendente, un istante grande quanto quello impiegato nella crescita di un
sorriso, ma sembra che per lei sia importante. Sento la sua presa calda sulla
mia, come quella tutti i mutaforma. E' come se entrambi avessimo ricevuto una scossa, io per la
sorpresa, lei per qualunque altra cosa che vorrei tanto sapere.
Si ritrae, subito, distogliendo lo sguardo e blaterando qualcosa sul mettersi di
nuovo sotto le coperte.
Io mi alzo e mi dirigo verso la porta. La luce che viene dal cielo non ci dà
più fastidio, aiuta soltanto a colorare quella stanza spesso vuota. O forse è
lei, è lei che ha ridato colore forse non solo a quella stanza.
- Leah, qui sei al sicuro - le dico, guardandola. E' bella... sento che se
sorridesse lo sarebbe ancora di più. Sento che se sorridesse se ne
accorgerebbero tutti.
Lei annuisce, sembra sollevata, mentre si porta la coperta al petto, come per
proteggersi. I capelli corti le ricadono davanti al volto e lei porta una
ciocca dietro l'orecchio.
Per la prima volta mi sento al mio posto, e non importa che cosa è successo
prima, sono convinto del fatto che forse il caso non esiste. Sono convinto del
fatto di averle detto proprio quello che voleva sentirsi dire.
*
*
*
*
*
Et voilà, eccomi qua con il terzo capitolo. Abbiamo conosciuto
Brian :D Lo conosceremo meglio andando avanti con la storia. Comunque spero
che questo capitolo vi sia piaciuto :) Grazie davvero a tutti voi che
mi avete recensito e letto <3 Davvero, mi rendete felicissima.
Grazie <3
Ania <3
|
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Capitolo 4 *** Soul's Wind #3 ***
Soul's wind 3
Soul's Wind
Capitolo 3
Leah
Ci sono dei momenti, piccoli punti di luce in un buio pesto, che ti fanno
sentire al sicuro proprio quando sei convinto di essere in pericolo. Un sguardo
amico, una parola detta nel momento esatto, la consapevolezza di non essere
solo.
Ho mandato giù tutta la colazione: uova fritte, un bicchiere di succo
all'arancia, della pancetta, e anche solo per poco mi sono sentita… bene, non
ho pensato ai motivi che mi hanno portato a scappare o a nessun'altra cosa che avrebbe
potuto rattristirmi. Va bene così, anche se so che tutto passerà in fretta.
Sono una di quelle persone che il destino prende di mira senza un motivo
particolare, ed è una di quelle cose che fanno demordere, ma che si impara ad
accettare.
« Va meglio, ora?»
Ho divorato tutto in pochissimo tempo, senza badare allo sguardo di Brian,
senza badare al posto in cui mi trovo, senza badare a quello che potrebbe
succedere. Per quanto tempo non ho fatto colazione? Troppo, troppo tempo. Il
problema è che ora mi vergogno un po', spero soltanto di non aver dato
l'impressione di essere un affamata che non mangia da chissà quanto...
Ma tu sei un'affamata che non mangia da chissà quanto!
Giusto...
« Meglio.»
Brian è seduto ai piedi del letto, mentre io mi specchio nel metallo sottile
del vassoio che lui mi ha portato. Ciò però non influisce nel ricordo dei miei
pensieri. E' all'incirca venti centimetri più alto di me, ha gli occhi grandi e
profondi, leggermente allungati, verde chiaro. Ogni tanto la sua guancia sinistra
affonda in una fossetta leggera. Ha un bel viso, dai tratti dolci e allo stesso
tempo duri, un fisico… be', è un licantropo, non potevo aspettarmi altro. Almeno questo è quello che sono
riuscita a vedere quando si è sbottonato di quattro bottoni il camice medico
per mostrarmi il tatuaggio. E' un licantropo, è come me: questa cosa potrebbe
avvicinarmi a lui, potrebbe avvicinare entrambi, eppure è la stessa cosa che mi
dice di stargli alla larga. Devo andarmene presto, lo so già.
«Vuoi raccontarmi qualcosa... tipo, che so, quanto tempo hai passato da sola a
vivere come un lupo...» mi chiede, mi toglie il vassoio da sopra
le mie gambe e lo poggia sul mobile accanto al letto. Ha dei movimenti decisi,
forti, quasi precisi.
« Non... non è affar tuo.» fiato, al posto di dire: "Non mi ricordo",
per evitare la figura della stupida. Adesso gli sembrerò una ragazza acida e
priva di gratitudine, ma è meglio di sembrare debole, indifesa, come una
bambina che ha perso la strada di casa.
Lui rimane sorpreso, in modo fastidioso, e mi guarda.
«Non sono io quello che ha deciso di accamparsi in un bosco in
cui il
territorio è già proprietà di un branco. Se ti
avessimo lasciato lì avresti
potuto imbatterti in chiunque dei ragazzi, fra l'altro qualche testa
calda, e
ti saresti messa in guai seri. Adesso dimmi, sei a casa mia, viva,
forse,
grazie a me, e questo non è affar mio?» dice, guardandomi.
Con quella divisa
indosso somiglia a quei dottori dei telefilm hollywoodiani, soltanto
che io
l'ho fatto arrabbiare davvero e questa non è una recita. Ma come
può essere arrabbiato, lui? Dovrei esserlo io, mi ha colpito con
una siringa di sonnifero. Per il tuo bene.
La sensazione di vuoto
e inadeguatezza che mi si allarga nel petto è vera, e mi arriva alla testa come
con una scossa, facendomi sudare freddo.
Perchè sei sbagliata, lo sei sempre stata, non puoi fare niente per
cambiare.
«Io non mi ricordo.» ammetto. E' stata dura, anche perché il bruciore
intorno al petto non svanisce, ma cresce, quando lui mi guarda insoddisfatto e
continua a squadrarmi. Distolgo lo sguardo. Sospira, passandosi una mano fra i
capelli castani, poi sospira ancora, avvicinandosi.
« Ti ricordi che giorno era quando hai abbandonato tutto? » mi chiede,
tenendosi sui talloni per incontrare il mio sguardo.
« Era il tredici Dicembre.» rispondo, senza guardarlo. L'annuncio del loro matrimonio non me lo sono scordato.
E perché mi ha parlato di abbandono? Perché è così sicuro che io abbia lasciato
qualcosa?
« E poi, a nessuno importa di me, quindi non ho abbandonato niente.» ribatto.
All'improvviso mi trovo con la testa girata verso di lui; mi ha voltato
mettendo il pollice sotto il mio mento, contatto che termina subito dopo che io
me ne sono resa conto.
« E' il diciotto Febbraio, sono tre mesi, è parecchio tempo che sei via.»
spiega, lentamente, pesando ogni parola, scacciando via quella piccola
sfumatura di rabbia che avevo visto invadergli le iridi verdi.
Ha ancora quell'espressione seria che
mi attraversa di getto. Ed io sono convinta che non abbia nessun diritto di
farmi sentire così… così…
« Oh, per favore, non farmi la predica. Non mi accamperò qui per tre mesi, se
vuoi me ne vado proprio adesso, così non ti do nessun fastidio... »
« E dove andresti? »
Sbuffo, massacrando il lenzuolo con le
mani. E’ tutto così strano… così… “da mondo dei sogni”. Sono secoli che una
persona non mi fa domande sulla mia salute, sul mio stato d’animo, su quello
che voglio o non voglio fare. Mi sento sperduta, ho
dimenticato come ci si comporta con qualcuno a cui interessa qualcosa di me.
Sembra un ricordo lontano, un istante impolverato nella piccola parte delle
cose a cui non si pensa mai. Forse da un momento all’altro riconoscerò me
stessa, attraverso un vetro, che mi guarda e mi osserva, rammentando un giorno
qualunque, in cui tutte le cose banali viste da quei miei occhi velati sembrano
invece le più belle del mondo.
Perché? Perché sono così?
« Non lo so! Non l'ho mai saputo eppure me la sono cavata benissimo! »
« Ho visto, come te la sei cavata bene. »
Ecco, ha quell’espressione sicura, si
appoggia al muro con una spalla e mi guarda socchiudendo gli occhi.
« E' la prima volta che succede. »
« Perché? Lasceresti che ti accada di nuovo? »
« E anche se fosse? Così finirebbe tutto molto prima del previsto, ed io starei
molto, molto meglio... » dico a denti stretti.
« Be', allora sono io che non te lo lascio fare.» mi zittisce.
Forse la mia comprensione è abilitata ad
un’altra lingua e non più all’inglese…
« Ti spiego una cosa: questo ambulatorio è in casa mia, la maggior parte dei
ragazzi del branco sono degli emeriti cretini con la faccia da idiota, quando
si fanno male io mi occupo di tutto, facendoli stare qui. Non mi tiro mai
indietro. Questa volta sei tu ad aver bisogno di aiuto, e non mi tiro indietro
nemmeno in questo caso. Non è poi così male, sai. Per ora non pensare a quanto
tempo passerai qui, resta e basta. Se davvero non hai nessuno, se davvero a
nessuno importa qualcosa di te, da oggi in poi le cose sono cambiate. Non
voglio che ti comporti in modo stupido, e tu mi sembri una ragazza
intelligente, quindi non fare cretinate, va bene? »
Ehm…
No? No che non va bene!
Resta e basta. Se davvero non hai nessuno, se
davvero a nessuno importa qualcosa di te, da oggi in poi le cose sono
cambiate.
E sembra che lui invece si stia
soffermando fermamente sulla parola "cretinate"… anche se mi fissa, anche se si
avvicina a me con lo sguardo che mi travolge completamente, anche se non mi va
di guardarlo perché potrebbe immaginare chissà cosa. Comunque, visto che per me
tutto è meglio di fare la figura della stupida, rispondo: « Afferrato il
concetto.»
« Bene.»
« Bene.»
« Grandioso.»
« Bello.»
« Molto meglio.»
« Supermegaiperarcifantasticamentebello,
ti ho detto che ti ascolto ma adesso finiamola, okey?»
Scoppia
a ridere, ha una risata calda,
che mi solletica le orecchie come le piume dei cuscini sotto di me, a
cui sono
appoggiata con la schiena. Fantastico, adesso ride. Me ne scappo in un
circo con
un cartello “Ecco il licantropo femmina con il più grande
senso dell’umorismo!”,
prima di tutto farei andare il circo in bancarotta, naturalmente mi
sbatterebbero fuori… finirei per fare la zingara lungo le trade
dell'east River e... senza che io me ne accorga mi ritrovo a
ridere insieme a
lui, che comincia a dire qualcosa.
« Ah, allora ne sei capace! »
« Di fare cosa? »
« Di sorridere… e di ridere, anche. »
« Oh… »
Da quanto tempo non ridi, Leah?
« Se vuoi puoi dirmi tutto… io sono
qui.»
Si siede sul letto e sembra che mi
accarezzi con gli occhi; annuisco, poco convinta, non credo che avrei mai il
coraggio di spiegargli perché sono qui, perché sono fuggita via.
Sam.
Controlla i miei riflessi con quella
torcia piccola, e mi fa un prelievo per controllare i miei valori. E’ una cosa
stranissima, mi sento quasi una cavia da laboratorio, poi però mi ricordo che
mi ha salvato da chissà quale destino e che mi sta aiutando a guarire da
qualcosa che ancora non so.
E’
necessario che io rimanga almeno un altro giorno a letto, come mi dice lui. E’
troppo presto per sentirmi a casa, è troppo presto per pensare di non essere un
peso, anche se devo badare a non farmi incantare da queste sue parole buone.
Lo sappiamo tutti che io non posso essere come tutti gli altri.
Questo
letto tornerà vuoto di nuovo, non ci sono certezze ma io non ne ho mai avute: è
un dato di fatto e non posso cambiarlo… posso solo andarmene via.
Brian
« E poi?» mi chiede Joshua,
appoggiandosi al lavandino della sua casa vicino al lago. Ha i capelli neri e
corti, gli occhi grandi e simpatici, e somiglia un po’ a tutti gli altri.
« E… poi ci siamo messi a ridere.» lo
dico incredulo, anch’io, e so bene che anche per lui sarà difficile crederci.
Il mio migliore amico è una delle poche cose che fanno parte della mia vita
precedente ad essermi sempre rimasto accanto. E, come sempre, non viene mai meno a battute pesanti e a
commenti puntigliosi.
Comincia a ridere,
la sua risata asciutta e leggermente roca, ed io mi aggrego a lui,
spontaneamente, come se non avessi nient’altro da fare.
« Devi presentarcela questa Lyla…»
« Leah, è così che si chiama.»
« Oh-oh, male, molto male, quando ci
si ricorda il nome della tizia è un male.»
«
Ma finiscila.» Lui non fa altro che pensare ad un solo e
unico nome, Alexis, il suo imprinting e, ormai, sua futura
moglie. La fase del ragazzo cretino, sbruffone e latin lover è
finita da un pezzo.
Torniamo nella sala da pranzo, se così
si può chiamare la parte più grande di un appartamento con un tavolo di legno
in mezzo e all’incirca undici scalmanati che si rubano i pezzi di pizza a
vicenda. Oliver mi ruba l’ultima birra che mi è rimasta. Rispetto per il capo
branco: zero.
Non è che ci siano state molte
occasioni per mettere in pratica quello che viene raccontato dagli anziani
della riserva. Questa parte del Minnesota non è stata invasa per almeno cento
anni: soltanto quattro anni fa, con la creazione di moltissimi vampiri neonati
anche nei nostri dintorni il gene ha cominciato a manifestarsi. Ci è capitato
di ucciderne pochi in tutto questo tempo, per lo più vampiri stanchi e dalla
testa calda che ci siamo divertiti a smembrare come dei pupazzi dalla plastica
tossica. Non abbiamo avuto molti problemi, la vampira rossa si era diretta verso la penisola olimpica,
dove non potevamo recarci. Secondo le antiche mappe, la zona appartiene già
a un branco, di cui nessuno di noi conosceva l’esistenza. Da quello che ci
raccontano le leggende, gli indiani della mia riserva, gli Objibwe, sono sempre
stati molto accorti nel trascrivere i loro saperi, cosa che mi aveva sempre
annoiato sin da adolescente e che mi aveva lasciato esterefatto quando tutto si
era dimostrato vero. Un libro di quel genere mi era stato regalato dal vecchio
Klaus.
« Mbe’? Hai lafiato a cafa la thua
donfella in peficolo?»biascica Vic, masticando la pizza. Il mio cercello
prende tutte le informazioni: ecco, qui ci vorrebbe la lettura del pensiero come quando siamo in forma di lupo;
l’intuito però mi fa pensare che nella frase erano comprese le parole: casa,
lasciare, donzella e pericolo.
«State diventando molto paranoici.»
«Oh, ringraziamo il dottore per la
diagnosi.»
«Dico sul serio.»
«Infatti, io che ho detto? »
Sbuffo. Loro sì che sanno come si fa a
fare esasperare una persona, o un mutaforma in crisi di identità.
« Per quanto tempo rimarrà a casa tua?
» mi chiede Oliver, mentre gli altri fanno finta di essere interessati allo
stupido programma televisivo che guardano con lo sguardo troppo fisso.
E’
passata una settimana, ormai, da
quando Leah si è svagliata. Ha passato due giorni a letto e poi
ha cominciato
ad infastidirmi. Le finestre avevano già delle sbarre, in modo
che non le venisse in mente di scappare dalla sua finestra. Come se non
bastasse, mia
madre, mio padre e mia sorella la adorano letteralmente. Leah dice che
non
passerà un altro giorni in cui lei mangerà alla mia
tavola senza pagare e per
questo sto provvedendo a cercarle un lavoro. Nel frattempo passa il
tempo ad
aiutare mia madre nelle faccende di casa, come se questo le desse
soddisfazione.
Sembra quasi che lo faccia… per non pensare. Ogni tanto ha lo
sguardo perso,
che guarda altrove, ma così profondo che mi darebbe
l’illusione di affondarci per vedere che cosa c’è
dentro quegli occhi, cosa c’è nel suo passato,
nei suoi ricordi.
« Nessuno può decidere al suo posto.»
Il mio sguardo basta a fare capire
loro che la discussione è chiusa; adesso cominceranno a parlare di qualcosa di
ancor meno intelligente.
***
«Bene, non c’è bisogno che mi
ringrazi. »
E’
uno dei pochi giorni in cui sta
finalmente ferma, sicuramente perché mia sorella Noela, la mia
fotocopia al
femminile se non fosse per i capelli quasi neri e la pelle più
scura, rimasta letteralmente incantata dal suo racconto dei mesi
precedenti passati come un mutaforma - lei conosce tutto delle leggende
- è
riuscita a fissarla sulla sedia per metterle lo smalto alle unghie
trasparente, parlandole del bisogno di dover curare le sue mani,
eccetera
eccetera, ma lei, anche se non lo ammette, è troppo buona per
aggredire la mia
sorellina di quindici anni.
Mi
guarda spazientita, adesso non sono
più il suo dottore e lei può mandarmi a quel paese e
mangiare schifezze ogni
volta che vuole. Ma è sempre in casa mia, quindi sembra che a
volte si trattenga.
Ci sono momenti, questa settimana è successo almeno tre volte,
in cui ci capita
di ridere come due adolescenti senza cervello. Inoltre mi ha dato la
conferma
di essere molto più carina quando muove la bocca in un sorriso.
Non che questo
cambi qualcosa, naturalmente. E neanche il fatto che con i capelli
legati si veda meglio il suo viso, e che quella camicia sbottonata fino
al...
«Ciao, Brian.» dice.
«Ti ho trovato un lavoro » continuo,
posando le chiavi sul tavolo.
Smettila di pensarla. E immaginarla...
Noela mia guarda male, mentre gli occhi di Leah
brillano così tanto che sembrano stelle.
«Davvero? »
«Già.»
« E' stupendo! »
Si alza dalla sedia e le sue mani si
posano sulle mie spalle, dura un secondo, il tempo che lei si alzi sulle punte
e poggi il suo mento sulle mie spalle. E’ una sensazione che avevo dimenticato,
che credevo di non provare più, anche adesso che è ormai finita, anche adesso
che è tornata quella di sempre.
« Che lavoro?» mi chiede tossendo.
«La ludoteca dell’ospedale di Opstead
cerca una babysitter, l’ultima si è dimessa per andare in maternità. Che ne
dici? »
«Qualunque cosa va bene. »
«Domani mattina alle dieci il
caporeparto vuole incontrarti, sarà una specie di colloquio… »
« Ci sarò.»
Mia madre, i capelli castani chiari
raccolti in una coda e il rossetto rosa sulle sue labbra lucide, mi
sorride uscendo dalla camera da letto.
Mi mette una mano sulla schiena,
guardando in avanti.
«Ragazzi, io esco a fare delle
commissioni. »
«Sola? » le domando.
«No… c’è tuo padre che mi aspetta
fuori. »
Neanche il tempo di annuire, che la
porta d’ingresso del salotto si apre.
«Julia, sei pronta?» chiede la voce
familiare e calda di papà.
« Sì, Curt, vengo subito… Leah, hai bisogno
di qualcosa? »
«Di niente, signora Ewell.»
«Solo Julia, davvero.»
«Ok… »
E mio padre, che naturalmente non può
rimanere fuori ad aspettare, entra in cucina con la sua solita camicia di
flanella e i pantaloni buoni, invece dei jeans perennemente sporchi da
muratore.
«Andiamo?» dice.
« Subito.» risponde mia madre,
dirigendosi verso di lui.
« Tutte bene, Leah? »
E va bene, praticamente io non esisto più.
Sembra che io sia l’unico che provi rimorso, Noela infatti se la sta ridendo
sotto i baffi fissando gli smalti multicolore che si trovano sul tavolo.
« Sì, signor… »
Mio padre, facendo un ‘espressione da
fotografare che gli permette di muovere la fronte e l’attaccaruta dei capelli
scuri, sta per rimproverarla di qualcosa…
« Curter.» si corregge lei.
E’ molto imbarazzata, mentre io cerco
di inquadrare la situazione. Mia madre è stata subito d’accordo nel volerla
accogliere, anzi non ha fatto altro che convincere me e mio padre, che è
praticamente rimasto conquistato.
Ed io sarei l’unico che la vede
scorbutica e piena di sé, fantastico! E la cosa ancor peggiore è che l’ho
dimenticato. Dov’è andata a finire la ragazza antipatica? Fastidiosa e che ha
sempre da ridire? Perché ho l’impulso di sedermi e rimanere a chiacchierare con
lei… come… un amico?
I miei escono di casa, Nolly tira Leah
al suo solito posto, parlando della fortuna di averle smaltato soltanto due
dita in modo da non rovinarsi le unghie per ringraziare lo scemo di casa, che
sarei io.
Mi
chiudo nel mio studio per sistemare
delle schede mediche che potrei anche ordinare domani, evitando di
guardare
quella foto che è sempre sulla mia scrivania, incorniciata, e
che ho contemplato con gli occhi velati nelle ore più tetre di
questi due anni.
Mi sento sbagliato, con il suo viso
bellissimo in quella foto, mentre nei miei pensieri comincia ad esserci
un’altra…
No! No! Io… e Leah. Ma neanche per sogno!
Comincio a dividere i documenti,
quelli piccoli nella cartella gialla, quelli con la graffetta in quella rossa,
le schede delle diagnosi…
Devi cominciare a vivere, devi cominciare a
farlo di nuovo. Lei lo avrebbe voluto, lei lo vorrebbe, per te. Pensi che non
ne sarebbe felice?
Devo smettere subito di pensare a
certe assurdità: sono passate soltanto due settimane dal risveglio di Leah, e
tutto è stato completamente scombussolato. Non devo lasciare che succeda niente
di simile.
E’ una ragazza qualunque e prima o
poi, al massimo un’altra settimana, lascerà Opstead e tutto sarà di nuovo come
prima, e potrò vivere senza sensi colpa.
Lo faccio per te, sempre.
Mi distendo sulla sedia, stanco. Di tutto.
Tu non vivi, Brian: mangi, parli, dormi, ti
risvegli, ma non vivi. Per farlo ti viene richiesto uno sforzo maggiore.
Provaci, Brian, non è così difficile. Quando scoprirai quanto ti manca essere
te stesso, ti sentirai orgoglioso di te. Fallo ritornare indietro, ti sta
chiedendo un riscatto, ti sta chiedendo di essere libero. Non ti incatenare con
la tua stessa libertà, ritrova quello che sei.
*
*
*
*
*
Ciaooo a tutti :)
Opinioni su
Brian? Non si sa molto di lui... anche perché è proprio
lui che non vuole pensare a quella parte del suo passato. Qualche idea?
Qualche teoria?
Siete davvero meravigliosi. Ringrazio tutti voi che mi seguite, leggete, e mi lasciate un commento.
Grazie davvero **
Un bacio
Ania
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Capitolo 5 *** Soul's Wind #4 ***
soul's wind 4
Soul's Wind
Capitolo 4
Settecento
dollari è fin troppo per me, che praticamente ho dovuto presentare dei
documenti fasulli per l’assunzione che Joshua, un amico di Brian, è riuscito a
procurarmi.
Io… non sopportavo i bambini; me ne ero
convinta qualche mese dopo che le mie speranze erano state nuovamente infrante,
quando saltò il mio ennesimo ciclo.
I bambini sono fastidiosi, piangono, urlano,
hanno sempre bisogno di qualcuno che stia sempre con loro… non fa per me.
Sono
riuscita a convincermi in modo soddisfacente, fino a quando non mi sono
ritrovata ad avere un impiego a che fare proprio con loro.
La piccola
Milly, le treccine rosse e le lentiggini, viene ogni giorno dopo i prelievi di
suo nonno, a giocare con le barbie rovinate che a casa non ha; poi c’è il
piccolo Strause, un bellissimo cinesino, che guarda le macchinine come se
fossero i primi giocattoli che vede in vita sua. E poi c’è Valerie, Mirko,
Sally, Jackson, Monique, Kendra, Titty…
Sono tutti
bambini che vivono in condizioni disagiate, spesso i genitori li portano con
loro per fare dei controlli molto frequenti, per delle malattie molto gravi,
altri invece vengono lasciati qui quando i genitori, di solito molto giovani,
si recano al consultorio del terzo piano per dei colloqui.
Adesso non
penso più che i bambini non mi piacciono: quando la piccola Mary si stringe a
me, dicendo che quando mi abbraccia si riscalda… be’, io… non so… davvero ho
pensato una cosa così brutta? Non mi sembra possibile neanche minimante.
E poi… poi
arriva di nuovo il vuoto, il buio, la consapevolezza di non poter abbracciare
un mio bambino, o una mia bambina… come se io potessi… potessi
davvero…
Avere un bambino?
Già, proprio
io che non riesco a parlare con un ragazzo senza aggredirlo, proprio io che
aiuto Julia freneticamente in casa per non fermarmi a pensare.
«Lee, la
calamella!la calamella! »
Jackson,
di due anni e mezzo, i riccioli biondi che gli incorniciano il bel viso
illuminato dai suoi vispi occhi blu, si avvicina a me.
«Ehi, Jack, vuoi
una caramella alla frutta? » gli chiedo, cercando di scacciare via i miei pensieri
dalla testa. La stanza è completamente invasa da tavolini bassi, sedioline
colorate, cartoncini, colori e giochi.
Lui annuisce
convinto.
«Come si dice? »
gli dico, sorridendogli - è un privilegio che possono avere solo loro,
naturalmente.
«Pel favole… »
Dalla
bustina che ho in tasca, predo una caramella gommosa a forma di
orsetto. Apre il palmo ed io gliela poso delicatamente per non farla
cadere.
Eppure se…
se non fosse successo, io forse adesso potrei… potrei stare con lui.
«Che cosa significa? »
Sulla spiaggia, di fronte al mare color del
ferro, il cielo nuvoloso e il tramonto che dipinge il cielo, siamo nello stesso
punto in cui, all’incirca due anni fa, ci siamo detti ti amo per la prima volta.
«Mi dispiace, Leah… »
« Non mi interessa! Non mi interessa se ti
dispiace o no! Voglio che mi spieghi, hai capito? Non puoi mollarmi così,
dicendomi che dobbiamo rompere perché tu non puoi stare con me! Che… che cosa
ti prende, me lo dici? Solo due settimane fa… prima che tu “sparissi”, mi hai
chiesto di venire a vivere con te subito dopo la fine dell’Università… e
adesso? Hai perso il cervello per strada, Sam? » gli urlo. Non è colpa mia, non
sono mai stata così arrabbiata, non gli ho mai parlato in questo modo.. ma
quello che sta succedendo è qualcosa di così incredibile che io… io non posso pensare
che stia davvero succedendo. Mi stringo nel giubbotto, guardando l’aria fredda
che si condensa davanti alla mia bocca, creando piccole nuvole di fumo gelato.
Lui invece è a maniche corte, ed è come se la temperatura bassa non esistesse.
Sono io quella che trema, sono io quella che urla, sono io quella che ha
freddo.
« Forse... forse ho fatto qualcosa che ti ha
dato fastidio… » comincio a mormorare. Io lo amo, è qualcosa di
vero, di puro, non può finire tutto così, lui è quello che mi fa ridere, è
quello che mi abbraccia, mi protegge, mi ascolta, mi prende in giro… lui è
quello che si è innamorato di me…
«Non è colpa tua, Lee-lee. Non è mai stata
colpa tua. Tu… tu sei perfetta così come sei… »
Mi accarezza il viso con la mano. Le sue dita
lasciano una scia bollente sul mio viso freddo, imbrattato di umidità e
espressioni incredule, arrabbiate.
«Allora perché mi stai dicendo questo? Lo so…
non dovevo arrabbiarmi con te per il fatto che sei stato via per più di tre
giorni, è che… sei cambiato, Sam. Ma non importa, noi stiamo insieme, ci
vogliamo bene… noi… noi… »
«Leah, c’è un’altra. »
Il cielo grigio diventa bianco, illuminato da
un tuono improvviso che lo spacca in due strati ben distinti. Ho l’impressione
che il fulmine abbia colpito me, facendomi bruciare. Facendomi scomparire.
«Co-cosa? »
«Io non volevo… »
«Sam! »
«Lee-lee.»
«Non chiamarmi mai più così! Mai più! »
«Ti prego… non fare così… tu sei importante… »
«Vattene! Vattene! Non toccarmi! »
E lui invece si avvicina, mi prende per il
braccio mentre io mi allontano, mentre vedo il mondo sbiadire, mentre il vento
invernale mi pizzica la faccia e fa accasciare il castello di sogni che credevo
resistente ad ogni tipo di tempesta.
E’ forte, troppo forte, di una forza che non
ricordavo e mi costringe a guardarlo, a voltare il viso verso di lui.
«Ti prego, Leah, non fare sciocchezze. »
Sciocchezze?
Stupidaggini? Follie? Il ragazzo
che amo mi ha lasciato per un’altra. C’è
un’altra più importante di me, c’è
un’altra
che è riuscita portarmelo via, c’è un'altra che
è migliore… migliore di me. E
lui mi ha tradito, ha tradito tutti i miei desideri.
Passa
poco, troppo poco tempo perché io veda
il suo viso voltato, senza batter ciglio, con un segno rosso sulla sua
guancia,
l’espressione… di dolore in viso. Gli ho dato uno
schiaffo. E passa soltanto un secondo perché mi venga il
desiderio di dargliene un altro e un
altro ancora, di farlo risentire, di fargli provare anche solo per poco
quello
che sto provando, di farlo sentire sbagliato come mi sento io
adesso… di farlo
sentire solo…
«Ti odio.»
Le parole scorrono via come un’emorragia che
parte da dentro e che invade il corpo. Credo di non aver mai mentito così bene,
in un modo più convincente, anche se adesso tutto questo dolore rende l’odio un
emozione vera, qualcosa che potrebbe farmi sentire meglio. Che in realtà non
c’è.
«No… Leah, non voglio che tu… »
«Smettila! Abbiamo chiuso? Lasciami in pace,
in pace! Non voglio vederti mai più, non farti più vedere dalle parti di casa
mia se non vuoi che ti odi ancora di più. Vai a divertirti con la sciacquetta
che ti sei trovato, non voglio avere niente a che fare con te. »
«Non è stata colpa sua. »
«Non è stata colpa tua, non è stata colpa mia,
non è stata colpa sua… Dimmi, lei sapeva che stavi con un’altra quando si è
divertita con te? Che schifo, Sam! Schifosi entrambi, tu, lei, chiunque sia, e
adesso basta, me ne vado. Ti credevo diverso. Per tutti questi anni, io ho
amato un’altra persona. Non eri tu. Tu non sei nessuno. »
«Lo so… so che non mi perdonerai mai; ma non
farle un torto, ti prego. Se davvero vuoi arrabbiarti, se davvero vuoi odiare
qualcuno, preditela con me. Emily non ha colpe. »
La voce riecheggia nelle mie orecchie, mentre
corro via, verso la strada, verso la mia casa, mentre lui mi richiama indietro,
mentre lui mi dice che gli dispiace ancora e ancora, mentre mi dice che se
fosse stato per lui non sarebbe mai successo niente. Mentre io vedo tutto male
e sbiadito, e le lacrime mi cadono sulle guancie, abbondanti, sulla pelle
che lui ha bruciato toccandomi.
Lui… lui mi ha bruciato, e adesso non rimane
più niente, più niente di me. E’ finito tutto. Mi ha distrutto.
Il mio Sam.
Cerco di scacciare via le lacrime, invano.
Lee-lee non esiste più.
«Ehi, tutto bene?
»
Ritorno alla
realtà da quel sogno doloroso. Non mi succede quasi mai da un mese, ma è difficile…
è difficile dimenticare davvero. Nonostante tutto, non ci riuscirò mai.
«Sì, benissimo. »
Già, adesso
è davvero così. I bambini giocano tranquilli, mentre io sono seduta a gambe
incrociate sul pavimento. E Brian mi guarda appoggiato al muro, i capelli
castani un po’ spettinati e gli occhi verdi contro il sole invernale. Sorride,
ma riscontro la stanchezza sul suo volto. Oggi doveva essere stato il suo
turno, all’alba, a controllare i confini, oppure ha passato la notte insonne;
nonostante tutto, quando è con gli altri ha sempre quella bella espressione
tranquilla che gli rilassa il viso, con la risata calda e quasi un po’
suggestiva.
«Sembrava che
fossi… in un altro mondo. »
«Io? No… stavo
pensando. »
«Guarda che io
sono responsabile della tua salute. Se hai bisogno di uno psicologo basta che
me lo dici, no problem. »
«Ah-ah, molto, ma
molto divertente. »
«Dai, non fare la
musona. Il figlio dell’infermiere ti fissava prima mentre ridevi con me, in
corridoio. »
«Ma se sarà un
bamboccio di sedici anni… »
Cerco di trattenere
una risata troppo rumorosa, che sembra qualcosa di strano, persino a me.
«Be’, ha sempre
dei buoni gusti, come dargli torto. »
Ma quanto è
stupido? E menomale che ha finito le superiori a diciassette anni per andare
direttamente all’università e laurearsi cinque anni dopo per le sue “doti
intellettive”.
«Sì, sì, come no…
»
Mi alzo
dalla mia postazione velocemente e apro
l’armadietto grigio per prendere un fermaglio e alzarmi i capelli. E’
l’ora di disegnare. Mirko ha già sistemato i colori e i fogli sul tavolino e
ora sta contando tutti i doppioni che ha.
«Ricordati, Leah,
che posso sempre corromperti. »
«Mi
cacci di
casa, dottorino? Non fai che farmi un piacere.» dico,
snervandomi. E’ qualcosa
che devo ancora superare. Quando si parla di aspetto fisico io vorrei
soltanto
svanire. Emily è sempre stata più bella di me, ha sempre
avuto dei capelli più lunghi, degli occhi più espressivi,
il sorriso più dolce. Ed è una delle cose
che Sam deve aver amato per prima.
«Tu in casa mia ci
rimani. Mi hai infilato quattrocento dollari in tasca contro la mia volontà
come affitto »
«Perché è così
che deve essere »
«E l’hai fatto
davanti a tutti »
«Perché a casa ti
chiudi in camera tua o nel tuo studio a chiave oppure non ci sei, qui almeno… »
Dovevo
assolutamente dargli dei soldi, io non sono e non sarò mai una mantenuta. Mai.
Anche se la persona che mi ospita è Brian Ewell.
«La gente
chiacchera »
«Le infermiere? »
«I dottori, i
pazienti »
«I bambini? »
«Non immagini
quanto possono immaginare.» ammicca.
Sbuffo; ed è
qualcosa di più forte e più cattivo di quello che credevo che ne sarebbe venuto
fuori. La mia espressione sembra che lo riporti indietro, lontano di tanto,
tanto tempo, anche se mi rimane vicino. Il suo sguardo si spegne.
Devo dirgli
qualcosa, una battuta, cretina quanto quelle che dice lui. Per farlo ridere. Il
problema è che ho imparato a ridere di nuovo soltanto grazie a lui, perché non
lo facevo da quando Lee-lee era morta sulla spiaggia, sotterrata dalle parole
di Sam come con una pala e della terra bagnata.
E lui,
Brian, non il dottore, non il ragazzo che mi ha salvato, non quello che ho qui,
davanti a me, viene risucchiato via da qualcosa che non vedo, un tornado
invisibile che lo scaraventa via, immobilizzandolo.
Si tratta
solo di un istante, i suoi occhi verdi si accendono e mi guardano diversamente,
in un modo così veloce che è impossibile da cogliere.
«Già, a volte i
bambini… »
«Ci vediamo a
casa, Leah. Ho il terzo turno delle visite »
Esce dalla
ludoteca con un' espressione che non gli ho mai visto. Lo seguo con la coda
dell’occhio, con la scusa di prendere in braccio la piccola Milly mi avvicino
alla porta. Mirko mi si avvicina, con in mano un disegno. Le infermiere guardano
Brian come se fosse chissà chi, come se fosse bello chissà quanto. E poco
prima, quando mi ha guardato con quello sguardo da farmi tremare, ho scoperto
quanto lo sia davvero. Con il tono distaccato e formale, senza la sua risata.
Quando si è
allontanato.
Quando mi ha
liquidato.
Quando mi ha
trattato come hanno sempre fatto tutti.
Che idiota.
La gente chicchera mi ha detto Brian, sorridendo. Lui sorrideva;
ma pensare alla vita vera con quelle voci è come mettere insieme il principe e
la contadinella. Lui la guarderebbe disgustato, e lei si sentirebbe fuori
luogo.
Quando torno
a casa sua lo trovo in cucina a sorseggiare una lattina di non so cosa, con
indosso solo dei jeans, la maglietta e il camice bianco poggiato sulla sedia
del tavolo.
Mi sorride
all’istante; niente lo risucchia via.
Il cuore
galoppa, salta in gola.
Deglutisco,
con calma.
Sento che
dovrei farmi delle domande.
*
*
*
*
Ciao, belli! Ecco a voi
un nuovo capitolo. Aggiorno oggi perché domani mi sarà
davvero impossibile. Buon Ferragosto a tutti voi, vi auguro di passarlo
al meglio! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sarebbe stupendo
sapere che cosa ne pensate :) Ringrazio tutti voi lettori, quelli che
hanno scoperto questa storia quest'anno e quelli che la stanno
rileggendo *.*
Grazie mille, davvero
Un bacione
Ania
|
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Capitolo 6 *** Soul's Wind #5 ***
soul's wind 5
Soul's Wind
Capitolo 5
«Ti ho detto che non ci voglio andare.
»
Sono davanti
alla porta della “camera” di Leah Clearwater - sono riuscito ad individuare il
suo cognome grazie ai documenti falsi che le abbiamo procurato.
Sono qui da
quasi un’ora a bussare perché esca, ma sembra che sia un impresa impossibile.
«Non immagini che brutta impressione
di te si faranno. »
«Non conosci le mie priorità. Sai che
me ne importa. »
Sospiro. Ormai
sono quasi tre mesi che lavora in ludoteca e che si ostina a pagare un affitto
che non c’è. Non sa che ho usato i suoi soldi per comprare nuovi giocattoli per
l’ospedale, o per la beneficienza. Con quello che le rimane si compra dei
vestiti, scarpe: quello che le serve. E con i quattrocento dollari che ogni
volta mi ha messo in tasca contro la mia volontà si sente soddisfatta.
«Ti
credevo più intelligente.» affermo.
Già, proprio io. In questi mesi la memoria del mio telefonino si
è riempita di undici numeri di telefono appartenenti a undici
ragazze diverse che aspettano
invano che io le chiami.
Nessuno
sa
davvero perché ormai da tre anni non frequento nessuna
ragazza, e quando lei è entrata nella mia vita,
scombussolandola, mi ha subito messo in allarme. Il suo atteggiamento
è molto
simile al mio. Quando ho scherzato sulle voci delle infermiere, lei ha
sbuffato guardandomi con un’espressione infastidita. La mia
mente è tornata
indietro, per un attimo, al tempo in cui non avevo occhi che per lei e per questo avevo creduto che fosse
sbagliato.Da qualche settimana invece guardo la foto di lei senza sentirmi i colpa, perché lei,
che teneva più alla mia felicità che alla sua, ne sarebbe stata felice. E Leah,
con la testardaggine, la risata che nasce quando scherziamo, è
riuscita a… rendermi diverso. A non farmi sentire colpevole.
«Sei un
idiota. E non c’entra che tu sia laureato. Non dirmi come mi devo vestire,
perché mi metto quello che mi pare.»
Sorrido.
Ma puoi anche non metterti niente, figuriamoci.
La tribù
degli Ojibwe è una di quelle dalle tradizioni più antiche. E stasera, una
fresca sera diaprile, i più anziani si riuniscono per raccontare le nostre
leggende. Oggi si soffermeranno su qualcosa che potrebbe interessare molto
a Leah, anche se lei si è ostinata a non volerci venire fino a quando non le ho
detto che non è intelligente.
Il lago di
Opstead è circondato da tanta gente della riserva. I ragazzini scappano alla
prima occasione, mentre gli anziani e le donne prendono posto per ascoltare. Un
leggera brezza muove le foglie degli alberi e l’erba che calpestiamo, umida per
la pioggia avvenuta nel pomeriggio.
E’ stato
acceso il fuoco e il vecchio Klaus ha in mano il libro della nostra tribù, di
cui alcuni del nostro branco possiedono una copia. A lui non servirà, perché
conosce tutto senza l’aiuto di quel vecchio libro.
Io e Leah
siamo seduti su un tronco, e le persone l’hanno salutata come se fosse una
celebrità. Lei si è sentita imbarazzata nonostante l’apparenza tosta, e ora
fissa il fuoco con un espressione pensosa, tralasciando tutti gli sguardi che
la sfiorano.
Non accorgendosi del mio.
Indossa una
maglia bianca, aderente e senza maniche, e dei jeans che arrivano fino al
ginocchio. Ha i capelli legati, con qualche ciocca che le fa ombra sul viso.
Caspita
se è bella.
Senza il rossetto che si mette Rossela Blam, l’infermiera del primo
piano che mi ha infilato in numero di telefono fra le cartelle che mi ha dato
il dottor Holans, senza l’aria civettuola, senza la risatina fastidiosa.
Deglutisco. Ho la testa in fiamme.
«Smettila di
fissarmi, mi infastidisci. »
Distolgo lo
sguardo, subito. Avrei dovuto ribattere, dire qualcosa. A volte devo stare
attento a quello che penso, a che cosa penso, alle cose che potrei fare… e non
dirle ad alta voce.
«Voglio
dire, non è che mi infastidisce… è che, per me è strano. »
«Afferrato.»
Klaus si
schiarisce la voce. E’ un uomo anziano, di circa settant’anni, porta dei grandi
occhiali da vista, i capelli sono grigi e lunghi fino alle spalle, i lineamenti
tanto simili agli indiani d’America a cui io non assomiglio per la chiara e
prorompente differenza dei geni di mia madre.
«Accogliamo
nella nostra tribù questa ragazza, Leah Clearwater, proveniente dalla tribù dei
Quiliute, come seconda donna lupo mai nata nella storia di tutti i branchi a
noi conosciuti. Hai mai sentito parlare della storia di Akira, Leah? » le
chiede. Tutti gli sguardi adesso sono su di lei. Lei rimane immobile, come se stesse
mandando giù qualcosa di grande e pesante, poi risponde, con voce chiara.
«No…
mai.
Non credo che i Quiliute conoscano delle vostre leggende.» dice
lei. Klaus si siede sul suo tronco e comincia a raccontare.
«Akira è
stata la prima donna lupo di cui ci siano rinvenute informazioni. La sua storia
risale ai tempi della venuta degli spagnoli nel Minnesota. Gli imbarchi , come
raccontano le leggende, erano stati come area di transito anche per trasportare
i vampiri nel nuovo mondo. I lupi sono sempre stati i più grandi nemici degli
esseri freddi, ma la loro forza non è sempre stata necessaria. Le anime dei lupi, forti e
coraggiose, hanno trovato posto nei corpi degli uomini per allearsi e
combattere insieme. Noi pellerossa, al contrario degli uomini bianchi, non
siamo mai stati popoli violenti e assetati di potere e in questo modo qualunque
tipo di uccisione fosse avvenuta, sarebbe sempre accaduta per il bene
reciproco.
Nessuna
donna, prima di lei, era mai stata una muta-forma: la difesa del popolo è
sempre stata affidata agli uomini. Ma l’anima del lupo, quando si presentò a
lei, nel sonno, le disse: “Gli uomini del tuo villaggio sono buoni, forti e
valorosi, ma nessun cuore può avere il coraggio di una donna, e il coraggio
della donna è la dote più grande in ogni battaglia. Difendi il tuo popolo come
faresti con i tuoi figli, il lupo sarà sempre con te, il lupo sarà la forza
nelle tue braccia, il tuo cuore sarà la spinta che ti renderà onore.”
I
vampiri
non erano a conoscenza della presenza del lupo nel corpo di una
fanciulla.
Quando cominciarono ad attaccare Opstead, il branco decise di trovare
un modo
per uccidere i freddi in modo astuto. Avrebbero offerto ai non-morti il
sangue
della ragazza più bella, Akira, dai lunghi capelli neri e il
viso di un angelo. Loro furono allettati da quella nuova prospettiva,
così accettarono.
Quando lei si avvinò al loro accampamento, i freddi scambiarono
il suo odore
non per il suo, ma per quello dei lupi con cui era sempre stata a
contatto. Il
sangue della più bella avrebbe posto fine a tutte le uccisioni
improvvise da
parte loro, e avrebbero lasciato il villaggio.
Quando i
freddi si trovarono davanti a lei, videro tutti i vestiti strapparsi e volare
nell’aria ad una velocità che neanche loro conoscevano. Della ragazza erano
rimasti solo i suoi occhi scuri in un lupo grande e forte, dalle zanne affilate
e assassine. In suoi aiuto accorsero gli altri uomini, in forma di lupo, che bruciarono i corpi
dei freddi per mettere completamente fine alla loro esistenza.
Durante il
periodo della trasformazione, Akira non poté avere figli, al contrario degli
uomini. Per più di trent’anni lei rimase nella perenne condizione di donna
giovane per difendere i bambini, le donne, e gli anziani della sua tribù.
Divenne il capo branco, quando il lupo più vecchio decise di abbandonarsi alla
vita umana e aiutò i nuovi lupi nel loro lavoro di protezione.
Dopo
trent’anni smise di trasformarsi, lasciando il potere al grande
lupo Jayden. Ella
Si innamorò di un uomo che non aveva l’anima del lupo, un
anno dopo la fine della sua trasformazione cominciò ad
invecchiare e a riprendere il suo normale ciclo di vita e la vita le
donò due figli maschi.
E’ stato
rinvenuto il suo ritratto, conservato dalla mia famiglia per secoli, e la sua
storia è stata trascritta in questo libro, come tutte le informazioni sui
freddi e i muta-forma. Il libro è stato sempre più arricchito, di generazione
in generazione. Più nessuna donna ha fatto parte di un branco di muta-forma,
fino a quando, Leah, non abbiamo saputo di te. »
Klaus smette di parlare. Leah è rimasta ad
ascoltare, incantata, e ormai tutti guardano lei, che sembra non esserne
minimamente scossa.
«I Quiliute
devono reputarsi fortunati ad avere te, Leah. Non sono a conoscenza dei motivi
per cui hai lasciato la tua terra, ma io solo fatto che tu l’abbia lasciata,
nonostante non abbia continuato a proteggere la riserva con i tuoi uomini, ti
rende coraggiosa. Ci sono delle volte in cui il lupo stesso si può opporre alle
decisioni che prende l’uomo, o in questo caso, la donna, ma il lupo è parte di
noi, conosce le tue debolezze come lui conosce le sue. Se ti ha portato fino a
qui, lui sapeva che lo facevi per una buona causa, qualunque essa sia. Il
destino, come viene scritto nelle leggende, in questo libro, nei ricordi di
questa gente, esiste e sorprende. Sono
lieto che tu sia qui e che ti sia trovata bene nella nostra
comunità. Sarà splendido per noi, quando vorrai, se
vorrai raccontarci alcune delle vostre leggende. »
Tutti
applaudiscono, mentre Klaus le stringe
la mano. Leah sembra commossa, incredibilmente… felice, nonostante la stretta
della sua mano volesse in continuazione sottolineare quanto fosse forte e
incapace di farsi toccare emotivamente.
Klaus si allontana,
seguito da altri anziani, mentre molte ragazze, fra cui anche Mia, Jesse,
Corinne, fidanzate di alcuni del branco, si avvicinano a lei.
I ragazzi mi vengono incontro in tutta al loro spavalderia, rigorosamente senza maglietta e
con una birra in mano. Loro conoscono Leah almeno da due settimane, grazie a
lei avevano trattenuto un paio di battute maschiliste e sconce, comportamenti
animaleschi, che assumevo anch’io, e anche visto un documentario senza capire niente.
«Bene, bene…
allora, ragazze, che ne dite di andare a festeggiare?»
Oliver prende
per il fianco Mia, i capelli castani ramati in una lunga treccia, in un modo
brusco che lui crede dolce.
Il viso di
Leah assume un’espressione sconcertata per cui le ragazze si mettono a
ridacchiare. Nonostante la paura di dover “uscire” con tutta quella banda di
pazzi, non si può non notare quanto Leah sia felice.
«Non ti
spaventare. Non sono poi così matti e stupidi come sembrano.» farfuglio,
avvicinandomi al suo orecchio. Quei cretini del branco cominciano ad ululare.
«Piantatela, se non volete che vi metta un prugna in
bocca. »
Tutti si
spengono in un silenzio comico. Faccio un cenno a Leah, ancora su di giri e
incapace di obbiettare per raggiungere la mia auto; forse sarà una
bella serata.
«Vuoi
qualcosa da bere? »
«Eh? »
La musica è così alta che per parlare dobbiamo praticamente strillare; i ragazzi
impegnati sono troppo occupati a sbaciucchiare le loro fidanzate. All’imprinting
non possono sfuggire neanche queste teste senza cervello.
Quelli
liberi corteggiano le cameriere o ballano come zombi sulla pista. Hanno
avuto il buon senso di recuperare una maglietta, anche per quel piccolo locale
di Opstead.
«TI HO CHIESTO SE VUOI QUALCOSA DA
BERE! »
Leah ride,
scuotendo la testa. Mi aggrego anch’io, che non riesco a credere di trovarmi
davvero qui, in questo locale, con lei, come se stessimo uscendo insieme per
davvero.
Sembra che il
racconto di Akira, forse per il suo coraggio, per la maternità, per l’ingegno, l’abbia
letteralmente tranquillizzata, resa più consapevole e in questo modo contenta
di essere quello che è. Questo sorriso è vero, niente di fasullo o programmato.
E’ suo.
Le faccio
un gesto con le braccia per farle capire che vorrei farla ballare. Lei scuote
di nuovo la testa con disapprovazione. Il sorriso è scomparso.
Posso
leggere il suo labiale, dice: “Neanche se mi spari”.
Mi
alzo
dallo sgabello e la tiro in pista. Lei affondai piedi sul pavimento, ma
io sono, molto, molto più forte di lei. Non vado in un posto
simile dall’età della
pietra – il secondo anno dell’Università -, e credo
di aver dimenticato come si
balla in modo da far venire fantasie alle donne. Ma la canzone, dal
ritmo
sostenuto e suggestivo, mi premette di prenderle le braccia e
mettermele
intorno al collo.
«Tu sei
pazzo.»mi grida nell’orecchio.
«Colpa tua.
»
Le
faccio
fare una giravolta imbranata, che nella mia immaginazione era molto
più
spettacolare. Le nostre mani si intrecciano, sono calde. Mi sento
percosso: una specie di brivido che
parte dalla schiena e mi pizzica il collo. Lei sospira contro la mia
camicia. Il suo corpo contro il mio mi impedisce di trattenere i
pensieri,
di pensare ad altro, cose che non ho pensato per molto tempo e che lei
ha
risvegliato. Prima con la sua risata trattenuta, poi con il suo
atteggiamento... e con quello che sta succedendo ora.
La
canzone
termina e ne comincia un’altra più movimentata. Lei
scioglie la presa delle nostre mani e si dirige fuori da questo grande
ammasso di persone.
Dove sta andando? Non voleva? Anche lei ha sentito la stessa cosa che
ho
percepito io?
Ho
il cuore
in gola, e con il battito che mi percuote la pelle e mi fa tremare,
trovo la forza di muovermi, ancora impalato in mezzo alla sala, e le
faccio cenno di uscire. Lei non capisce all’inizio, ed io
cerco di fermare il tremore della voce per rendermi comprensibile. Le
luci del locale svolazzano sul suo viso, nei suoi occhi scuri.
Sei bella, Leah. E non solo. Chiunque ti abbia fatto scappare, non si è reso conto di quello che ha perso.
Siamo nel
parcheggio del locale, appoggiati ad una rampa di scale per le biciclette. E’
buio, le luci sono deboli e si riflettono nei finestrini della auto vuote. Sono
riuscito a gestire il nervosismo e adesso sembra che io sia quello di sempre. E' tutta colpa sua, naturalmente.
«Sono
riuscito a farti ballare, per questo ti chiedo cento dollari in più per l’affitto.
»
«Sbruffone.»
«Per altre
cose però… non c’è bisogno che mi paghi… »
Lei distoglie lo
sguardo, allibita. Trattiene una risata.
«Cretino. »
I
capelli
due ore prima raccolti in una coda sono più che scompigliati,
lei li scioglie
per riportarli su. E’ un movimento che quasi mi stordisce.
Appoggiato alla ringhiera, la mia temperatura corporea non è mai
stata così fuori luogo, così forte e invadente. Sento il
profumo
alla vaniglia che mia sorella le ha prestato, ma non posso fare a meno
di
pensare a lei, Leah, a stasera, a quando l’ho raccolta in una
coperta per
portarla a casa mia, a quando aveva intenzione di darmi qualcosa in
testa, a
quando mi ha messo in tasca quattrocento dollari…
Si è fermata.
Io ho appena cominciato a muovermi.
Non ci sono
colpe.
Leah mi guarda e non capisce.
Non ci sono
rimpianti.
Io la guardo e trovo tutto.
Non ci sono
imprevisti.
Lei lo avrebbe voluto.
C’è il
bisogno di colmare la distanza.
Di chiudere
gli occhi.
Di essere
più vicini.
La sfioro con le mani, lei chiude gli occhi.
E c’è il
buio, sotto il mio sguardo, con le mie labbra sulle sue. Le sue mani
bollenti, che mi toccano. Per la prima volta non sono io a scottarmi, per la
prima volta, ci scottiamo entrambi.
Schiudo le
labbra ma è come se non esistessi, è come se esistesse solo questo. Lei che
sorride, lei che si appoggia a me, lei che poggia la sua testa sulla mia
spalla, lei che prende un bambino in braccio, lei che mi dice di non voler
venire con me, lei che esce di casa per comprare qualcosa.
Le mie mani
scendono sui suoi fianchi.
Non dovevo ma non importa.
Ed è come se stessi accarezzando qualcosa che sta
per sparire… scomparire in un attimo.
Un graffio lungo la nuca.
Un morso alle labbra.
E la luce.
Il dolore…
«Non provarci
mai più. »
Sento il
pugno lungo la guancia, e il sangue che sgorga lentamente dalle ferite delle
sue nocche. La sopresa è così forte da far annebbiare tutto. O forse è la delusione.
«Mi fai
schifo, hai capito? E’ per questo che mi ha tenuto in casa mia, è per questo
che mi hai aiutato? Volevi divertirti con me? Pensi che io non abbia dei
sentimenti? Pensi che non ci penserò? Pensi che per me non sia importante? »
So che
guarirò presto, come ogni volta. Ma sento che lei sta calpestando il cuore con
ogni, singola, parola. Ha le
lacrime agli occhi, ma quando la mia vista ritorna quella di sempre non riesco più a trattenere la
rabbia. Sento il viso incandescente, ma mai un ondata di gelo più forte è
riuscita a travolgermi in questo modo.
«Ti
odio! Tutti uguali! Siete tutti uguali, voi! Schifosi! Chi se ne importa, vero?
Se domani avrò l’imprinting e la mollerò per la mia ragione di vita, chi se ne
importa di lei?Mi è già successo, non sono pazza! Sam… lui la sposerà, è come
se fra noi non ci sia stato niente! Credevo che per te fossi più importante di
una di tutte le tue infermierine poco di buono! Ed io che credevo di potere
anche solo minimamente assomigliare ad Akira, lei almeno si è innamorata di una persona
normale e non per la seconda volta di… di uno... Oh, Dio. Ecco, adesso è anche colpa mia.
Non sarei dovuta rimanere un secondo di più, quel giorno. Me ne vado subito, non avrai
disturbi. »
Qualcosa
scoppia, dentro di me. E’ un nome pensato, ripensato, sognato, detto ad alta
voce, mormorato nel pianto.
Grace.
Grace che rideva.
Grace che piangeva.
Grace che voleva il suo diritto di esporsi.
Graze che mi abbracciava.
Grace…
«Perché vieni sempre qui, Brian? »
« Perché sei importante.»
Il letto dell’ospedale è troppo largo e troppo
lungo per lei. I capelli ricci e scuri danno colore al suo cuscino.
«Io non so se potrai continuare a venirci.»
«Certo che verrò, Grace.»
«Io l’ho già
avuto l’imprinting, Leah. »
Lei si volta
ancora verso di me, ma rimane immobile, le lacrime scendono indipendentemente
da quello che vorrebbero i suoi occhi. Così come fanno le mie, che non si vedono. Perché io
sostengo il suo sguardo, mentre dentro brucio in qualcosa tenuto
nascosto, seppellito in fondo per impedire che mi ferisse ancora.
Le sue lacrime, sottili e trasparenti,
sgorgano dai suoi occhi grandi sul suo volto cereo. Nessun bambino… nessuno,
dovrebbe soffrire così come sta facendo lei.
«Mi fa tanto male.»
«Guarirai, devi resistere.»
Le
tengo la mano, cercando di guardare un punto in modo fisso. Così
diventa più facile trattenere le lacrime. Lei guarda i suoi
giochi, mentre il pianto scorre su un volto che sembra assente. Che
sembra
volato in cielo.
«Non
so se… se ci sarò ancora, ma voglio che
tutte le mie cose le abbia il tuo ospedale, oppure Helly, la bambina
del terzo piano. A lei piacciono tanto i miei e sua madre non può
comprarli.»
« Non dire così, piccola, non dire così. »
Adesso
potrei essere io ad odiarla, a umiliarla per quello che ha detto.
Eppure ti voglio, ti voglio lo stesso.
Per
quanto
sono sbagliate le cose che ha pensato, per come è finita male
una sera
cominciata nel migliore dei modi, in cui non esisteva nessun licantropo
e
nessun vampiro ma soltanto Brian e Leah, so che quello che è
riuscito a farmi svegliare da quel brutto sogno è ancora qui,
davanti a me. Anche se il dolore sembra più forte.
«Lei
è
morta. » Mi tocco la ferita sulla guancia. Non sento niente.
C'è qualcosa che mi fa più male di tutto il resto.
*
*
*
*
Facciamo che io non dico niente. Non picchiatemi *-* *-* occhi dolcissimi :)
La tribù degli Ojibwe esiste davvero, nel Minnesota, e la storia di Akira l'ho inventata io.
Spero che vi sia piaciuto e, inoltre, ringrazio tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo :) Posso dirvi che potrei farmi perdonare nel prossimo capitolo, potrei...
Grazie mille a chi ha recensito <3 <3 <3 grazie davvero :)
E, per mia tristezza,
questo è il penultimo capitolo, quindi il prossimo sarà
l'epilogo di quessa mini-storia. Ho anche realizzato un banner,
è questo qui sotto. Diciamo che al giorno d'oggi (xD) sono
più brava con Photoshop, questa l'ho realizzata l'anno scorso :)
Al prossimo e grazie a tutti :)
Ania <3
|
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Capitolo 7 *** Epilogo:I won't let you go ***
episolo soul's wind
Epilogo: I won’t let you go.
And this love, just feel it
And if this life won’t see it
Sees no time to be alone, alone, yeah
I won’t let you go
If the sky is falling, just
take my hand and hold it
You don’t have to be alone, alone, yeah
I won’t let you go
I won't let you go - James Morrison
Lui mi tocca, poggia le sua labbra sulle mie,
mi stringe. Ed io esisto di nuovo.
Raccolgo le
mie ultime cose in un borsone che ho comprato stamani prima di andare al
lavoro. Ci sono i pantaloni, le magliette e la biancheria che ho comprato in
questo periodo.
Sospiro.
Mi tocca il viso, mi stringe a lui, chiude la
sua bocca sulla mia attingendola di ogni colore vivo che esiste in questo buio.
Brian.
Che mi bacia.
Ha baciato me, che mi
sono considerata sempre idiota per essermi accorta di… provare qualcosa molto
più lontana dall’amicizia nei suoi confronti.
Ho appena
scritto un biglietto con la mia grafia poco leggibile, ma spero che vada bene
lo stesso.
“Vi
ringrazio per avervi aiutato e avermi accolto per tutto questo tempo. Non vi
ringrazierò mai abbastanza. Nonostante tutto, devo tornare a casa.
Siete stati
meravigliosi, tutti. Una famiglia bellissima.
Grazie.
Leah”
Lascio il
biglietto sul mio letto. La bicicletta la lascerò qui, così la potrà usare
Nolly.
E’
pomeriggio inoltrato; la radio accesa ad un volume troppo alto: Julia e Curter
sono usciti per delle compere, Noela agli
allenamenti di pallavolo e… Brian in ospedale.
Oggi non mi
ha neanche salutato.
Ho rovinato
tutto; perché sono la solita ragazza impulsiva, testa calda, senza contegno e
che si arrabbia troppo facilmente.
Esco dalla
mia camera e mi dirigo verso la porta di ingresso, cercando di non pensare.
Non tornerò
a Forks. Comprerò un biglietto alla stazione e poi…
«Leah,
lascia il borsone.»
Con
la radio
accesa non mi sono accorta dei rumori. Brian è qui, una magletta
qualunque e dei jeans, di fronte a me, sulla
soglia del suo studio. Gli occhi verde chiaro leggermente ombrati dalle
ciglia. E una leggera crosta sulla guancia, provocata da me. Lui
è… stupendo. Ed io non riesco a guardarlo senza provare
vergogna.
«Io me ne
sto andando. »
«Solo un
attimo.» mi chiede, serio.
Faccio
scivolare la mia valigia improvvisata a terra e la lascio nel corridoio. Mi sento tremare, mi sento sprofondare.
Non fare la stupida, Lee.
Il suo
studio è disposto di una scrivania piena di carte disordinate, la tapparella è
semi abbassata, i muri bianchi, la libreria di un chiaro color noce… come se
bastasse a tenere lontani gli occhi da lui.
Brian
indossa una maglietta rosso sbiadito.
Il viso
scolpito, il profilo dritto che sembra disegnato...
Smettila, Leah.
Cerca qualcosa fra i tanti
tomi di cui il mobile è disposto. Ne prende uno, molto vecchio e anche spesso,
dalle pagine ingiallite e la copertina marrone, con dei simboli.
«Klaus vuole
che ti dia questo. »
Mi porge il
libro.
Perché, Brian? Perché?
«Lei è morta.» Perché me ne sono andata via?
Perché non sono rimasta?
«Cos’è? »
«Il libro
della nostra tribù. Vuole che tu lo tenga e lo completa delle tue esperienze
come seconda muta-forma donna. Vuole che quando tornerai a casa tu lo faccia
conoscere alla tua tribù. »
La sorpresa
dura poco. Sfoglio il libro, guardando la grafia ordinata e i disegni
suggestivi. Non mi fanno nessun effetto.
E sei qui, di fronte a me, e non riesco
nemmeno a guardarti negli occhi senza vergognarmi.
Alla parola
“imprinting” sfoglio le pagine velocemente; sono tante, sono
dolorose. Mi lascio sfuggire un sospiro, senza nascondere la tristezza.
«Ci sono
anche delle poesie.» aggiunge lui, rompendo il silenzio.
Perché facciamo finta di niente? Perché non torniamo indietro nel tempo per cambiare tutto?
La sua voce traballa,
si inclina. Mi prende il libro fra le mani, toccandomi. E’ come una scossa,
come se avessi sfiorato qualcosa che mi ha fatto male.
E invece io
non desidero altro che succeda di nuovo.
Gira le
pagine, poi si ferma su un punto. Lo sguardo concentrato.
Brian, forse io... forse io ti...
«*Il mio
amore è alto e bello come il giovane vento sulle colline, e rapido nel suo
percorso come un nobile e maestoso cervo; i suoi capelli sono fluenti, e scuri
come l’uccello nero che vola attraverso l’aria…”. Non so se ti piacciono. »
Sospira.
«Mi
piacciono molto. Questa è molto… bella.»
Di nuovo
silenzio.
Forse ti amo.
L’aria mi
soffoca da dentro, nei polmoni. Ma so che se devo andare via, non posso farlo
senza dirgli qualcosa.
«Mi
dispiace, Brian. Io non immaginavo che...» Scusarmi
è una sforzo enorme, soprattutto perché ho anche
dimenticato, per un certo periodo, che fosse giusto farlo.
«Chi
vuoi
che lo immagini? Va bene così, Leah. » Si passa una mano
fra i capelli castani chiari; i suoi occhi si accendono, come
infuocati, ma è qualcosa di innocuo. Mi chiedo chi fra di noi
sia più fragile, chi si spezzerà per primo.
«Mi dispiace
di essermene andata. Di non averti parlato all’istante, di non averti fermato
stamattina in ospedale, ma… insomma, non sono io l'unica che ha sbagliato. »
Non è proprio da te essere gentile, finisci sempre per fare la tua solita figura da imbecille.
Sbuffa. Ma
il suo sorriso è amaro. La sua ombra è alta e cresce lungo la stanza. E’ molto
più alto di me, è molto più bello, è molto più buono.
«Non volevo dire questo.»
«Sì, come vuoi.»
Guardo
in
basso, e il mio sguardo si ferma su una fotografia abbassata sulla
scrivania. Esito un attimo, ma poi la alzo, senza il suo permesso.
Vuoi davvero metterti nei guai, quindi.
E’ la foto di una bambina, dai capelli castani
e ricci, le guance rosee, con il sorriso allegro. Gli occhi sono
castani
chiari, sembra che invitino a sorridere solo con uno sguardo.
«Lei è…? »
chiedo.
«Sì, è Grace.
»
Annuisco.
Una grande
tristezza mi pervade ancor più di prima. Questa bambina è morta.
«Durante il
mio tirocinio, nel reparto delle dialisi non credevo che sarebbe stata lei
quella che doveva essere sottoposta a… quelle cure intensive. Strazianti.
Credevo che la cosa riguardasse sua madre, che la accompagnava. Ebbi
l’imprinting, e seppi che avrei sempre dovuto starle vicino. Fin quando
non lessi nella sua cartella clinica che aveva la leucemia.
I dottori
non capivano. Le piacevano il gelato al cioccolato e le caramelle alla fragola.
Gliele portavo sempre dopo ogni dialisi, quando poteva mangiarle.
Ed io… io
non potevo fare niente per aiutarla, non potevo fare niente per aiutarla. » Gli
si rompe la voce e si appoggia con le mani alla scrivania, come se una
forza potentissima lo stesse risucchiando. Mi avvicino a lui, velocemente.
Non soffrire, Brian, non soffrire mai più.
«Quando
morì… Aveva già perso tutti i capelli. Ed io non l’avevo salvata. Non avevo le
competenze, studiavo soltanto. Nessuno capiva perché rimanevo anche dopo la
fine del turno o perché andavo all’ospedale anche nei giorni liberi. Io non
l’avevo salvata… Sai che cosa vuol dire? Sapere che qualcosa più grande di te
ti dà il compito di proteggere quella persona, di amarla, e tu non lo fai,
anche se vorresti farlo… »
«Shhh,
Brian, non è stata colpa tua. » sussurro. Vederlo stare così male è insopportabile.
«Sei la
prima ragazza a cui ho pensato costantemente da quando lei è morta. Sei
l’unica, Leah. Ma se vuoi andare, non sarò io a trattenerti. » Gli sono così vicina che sento il calore del
suo corpo attraverso i vestiti, troppo invadente anche sul mio. Mi allontano
leggermente.
Annuisco, i
suoi occhi si sono fatti lucidi, frastornati dal suo passato.
Ma ho preso
una decisione, devo andare via.
«Tu… tu
meriti di essere felice. Grazie per quello che hai fatto per me. Ciao, Brian.
»
Esco dal suo
studio ed è come correre contro vento.
«Cosa dirò a
mia madre, a mio padre…? »
«Ho lasciato
un biglietto, è sul letto. »
«Vuoi che ti accompagni? »
«No, meglio di no. »
«Aspetta, un minuto soltanto. »
«Perché?
Ho sbagliato tutto lo so e rimanere qui sarebbe una cosa da farmi
impazzire... e mi sento uno schifo, e mi basta così.» Gli
parlo come se in questo modo io possa cercare una giustificazione
migliore a quello che voglio fare.
Entra in camera da letto, mi dice di
aspettare fuori. Io lo seguo fino alla soglia, giusto il tempo di intravedere
un letto a due piazze, come unica attrattiva in una stanza spoglia e quasi
vuota.
«Brian, io devo andare. »
Mi trascino nella sua stanza, come se
avessi fatto un passo falso, cosa che dimentico nell’istante stesso in cui,
vicino a lui, in questa stanza illuminata solo dalla luce proveniente dai fori
della tapparella, vedo il palmo della sua mano con dei soldi in mano.
«Prendili. »
«Neanche per sogno. » Le parole vengono fuori come veleno.
«Sono tuoi.»
«Li hai guadagnati tu.»
«Ne hai bisogno.»
«Dalli
in beneficenza.» La rabbia mi fa amplificare il calore. E'
così che vuole lasciare tutto alle spalle? Sapendo che
potrò vivere in modo decente con i suoi soldi?
«Voglio che li abbia tu.»
«Io voglio che la smetti.»
«Io voglio che resti. »
Il borsone mi cade dalle mani, scivolose,
mentre lui mette i soldi in un cassetto e mi abbraccia con un solo, grande,
penetrante sguardo.
«Rimani. »
« Ma… perché? »
Perché
te ne vuoi andare, Leah? Non lo vedi che ti ha già perdonato?
Non lo vedi che per lui non esiste nient'altro?
«Perchè non so come fare... non so come fare se te ne vai»
E lo vedo, lì, che mi prende fra le
braccia, senza schiaffi, pugni, senza pretese e senza inganni. Con il solo
bisogno di rendere la solitudine meno silenziosa di quello che è. E quando mi
chiede di restare, il passato scompare, il presente diventa nitido, e una nuova
linea si scaglia nel futuro. Vedo lui, che mi vuole tenere con sé. Vedo lui,
che vive di nuovo, con me.
«Non... posso permetterti di farlo. Vuoi metterti nei guai per una come me?»
«Maledizione, Leah. Hai davvero paura
di questo?» E mentre chiudo gli occhi, sento le sue labbra posarsi sulle mie, la
lingua toccare la mia.
Non c’è più tempo, tempo per amare,
per ridere, per piangere. Per rimpiangere e ricordare, per dire una sola
parola. Anche adesso che mi ferma i polsi lungo i fianchi, contro il muro, e spazza
via il freddo che avevo nella bocca con un bacio frenetico. Ed io lo ricambio
in tutto con la mani che tremano, anche se non per paura. E non c’è niente che
mi dice di respingerlo perché ho sognato questo momento vergognandomi, quando
invece nessuno dovrebbe vergognarsi di quello che è. Di quello che sogna e
vuole.
«Leah.»
«Non parlare. »
E gli sfilo la maglietta, che cade a
terra. Cadono a terra tante cose: pezzi di sogni e di case mai costruite. I
nostri vestiti. Giocattoli mai comprati e risate mai nate. Bambini che non
piangeranno mai, libri che non verranno mai letti. Sento il suo sospiro caldo
contro il mio viso, le mie mani scendono sulle sue braccia. Quando tocco il suo
tatuaggio mi sento scottare, perché se lo voglio, desidero anche il lupo che mi
ha riconosciuto la prima volta che mi ha visto. Mi sento stordita e distolgo lo
sguardo da quegli occhi verdi che sembrano luci, mentre la sua mano scende sul
mio ventre.
E voglio che mi stringa, voglio che
non ci sia più niente a fermare tutto questo. Le lancette di un orologio, la
luce di un sole che muore, un giorno che vede il mondo per la prima volta, due
corpi che si curano l’un l’altro, accarezzandosi le ferite.
«E’ davvero così sbagliato… se mi sono
accorto di amarti, Lee? »
Nessun forse, non c'è più nessun forse.
Perché si ha paura di arrivare fino
alla fine, al fondo di ogni cuore, per vedere quanto sangue può sgorgare, o
quanto amore può offrire, o quanto si è capaci di donare all’altro, anche
quando ci sono ancora i graffi, le schegge, di qualcosa che nelle tue
aspettative ti avrebbe reso la persona più felice del mondo.
«No, no, no… Brian.»
«Lee.»
Ed io lo voglio, qui con me. E’
possibile che io mi senta nuova? Un bambina con il corpo di una donna, una
ragazzina che scopre che cosa significa amare, che vede per la prima volta un
uomo, scopre come si completano i tasselli di un quadro difficile. Mi lascia
stendere ed io lo stringo a me, anche se non scapperà mai. E non c’è più niente
da rimpiangere, non ci sono più dolori da ricordare, non c’è più nessuno a cui
dare la colpa. Solo la felicità di sentire di nuovo le scosse, il battiti un
cuore contro un altro cuore, che rimbomba con l’altro e ne crea uno solo,
grande, rumoroso, che basta per tutto. Come questi nomi, insieme, come queste
due persone, insieme, che si riconoscono. Che si conoscono da tanto e poco
tempo, da troppo, da ieri, da sempre. Affonda i denti in un posto nascosto,
senza controllo. Sento le coperte sotto la pelle nuda, ma potrebbe anche non
esserci niente. Il vento dell’anima, del lupo e della donna, mi hanno portato
da lui. Quel vento mi ha dato tutto quello che mi era stato rubato.
E mi chiedo come ho fatto a non
capirlo prima. Perché non c’è nessun’altro nome, adesso, fra le sue
braccia. Ora che lascio andare il fiato come se ne avessi sempre abbastanza, ora che mi
lascio trascinare da tutto, senza pensare, non c’è nessun’altro nome che
potrei dire.
«Brian.»
Mi stringo a lui, alla sua nuca, prima
di lasciarmi cadere.
Ti amo.
I suoi occhi guardano me, mentre le
mie mani cercano le sue. Respira, sento il peso del suo corpo sul mio come una
coperta che mi protegge, come la prima cosa che ha fatto vedendomi. Il torace
si alza e si abbassa. Siamo ancora abbracciati.
«Lee… »
«Non dire niente. » Si tira su con i
gomiti, trova il respiro normale. Io non sono ancora riuscita a riprendermi
da questo sogno, non ancora. Mi accarezza il mento con il pollice, ed
anche se siamo andati più a fondo di una simile carezza, mi sento sussultare.
«Io… io ti amo. »
«Brian.»
«Non ho paura di dirlo. Non ne ho più.
»
***
«Leah? »
«Mmh? »
«Va tutto bene? »
«Mmh-mmh.»
«Non c’è bisogno che parli tanto, eh,
stai diventando logorroica. »
Parte un cuscino, che gli sbatto
direttamente sulla sua bella faccia. Il treno è partito, e sinceramente, non ci
penso proprio.
«Sei aggressiva e violenta. »
«Sdolcinato. »
«Paranoica.»
«Insopportabile. Lunatico. Narcisista.»
«Pff, hai vinto. »
Mi lascio abbracciare da lui, ancora
steso fra le lenzuola del suo letto, di soli lenzuoli.
E’ una sensazione che non ho mai
provato. questa, sento che è troppo bella per rinunciarvi. Se non fosse stato
per lui, adesso potrei essere sperduta in qualche foresta isolata tipo
l’Amazzonia. Non mi ricordo se è mai successo che io abbia provato una cosa
simile, ma so che si può dire con solo due parole.
«Kuk Laule.» mormoro al suo orecchio.
Il mio tono, serio e pacato, toglie via ogni vena di scherzo.
«Che cosa significa? »mi chiede, e porta una mia ciocca dietro l’orecchio. Il lenzuolo lo copre dal basso
ventre, lascia scoperto il suo fisico scolpito dalla pelle dorata.
«Non te lo dico. »
«Sei la solita. »
«Grazie. »
Recupero da terra la mia camicia e la
biancheria. Percepisco il suo sguardo, lungo la schiena, senza
voltarmi.
Il suo respiro sulla mia spalla,
il suo profumo attraverso la bocca. Chiudo gli occhi e sospiro. Quando le sue
labbra mi sfiorano, si chiudono a chiave tutte le porte dei dolori da cui
passavano assiduamente vecchi ricordi e cicatrici.
Ed ora sono qui, con lui.
Desiderando enormemente che tutto
questo non sia un sogno.
Non lo è, questo non è un sogno.
Perché è tutto, tutto vero. Il sole
brilla nel buio della stanza, nel bacio che nasce da queste labbra.
Il sole
nasce dal cuore.
Il buio non c’è più.
*
*
*
*
Capitolo dedicato a Stefy. ( per un motivo in particolare che lei sa, e che fa ridere :))
Ciao a tutti :)
Chiedo
un abbraccio
di gruppo, perché questa storia è finita per la seconda
volta :'( Inutile dire
che sto frignando come una scema, perché io a questi due mi sono
affezzionata da morire. Se anche voi vi siete affezzionati a questi
personaggi, potrete incontrarli ancora nella fanfiction Destiny heart
che tornerà presto completa, e in un sequel con Seth e Noela che
saranno anche loro protagonisti :)
Grazie a J,
Noemi, Maria, fufe, Carmen Black, Eryca, Irene, Booow95, per aver
sempre recensito , rendendomi felicissima <3 <3 <3
E poi è stato fantastico vedere che hanno seguito questa storia
anche più persone della prima volta. Grazie per le 7 preferite,
2 ricordate e 11 seguite <3
Vi ringrazio di cuore :) Ringrazio voi che amate Leah, ringrazio
voi che l'avete amata in questa storia. Ne sono tanto felice.
* La poesia che dice Brian, se così può essere
definita, l'ho presa da un libro in inglese e l'ho tradotta io, quella originale è ( nel caso voleste saperlo)
"My
love is tall and gracefull as the young waving on the hills, and swift
in his course as the noble stately deer; his hair is flowing, and dark
as the black bird that floats trought the air".
Il libro da cui l'ho presa parla proprio
della tribù degli Ojibwe, che io ho letto l'estate scorsa. E' una
collana di libri tutta dedicata ai nativi americani, quello che ho
letto si intitola "Lifeways - The Ojibwe" della casa editrice Raymond
Bial. Non chiedetemi dov'è l'ho comprato, perchè mi
è stato regalato da una zia e non so proprio dove possa averlo
preso *O*, di quella collana ne ho anche altri due. Quello che ho letto
è veramente bello, vi potete esercitare con l'inglese e
conoscere le antiche tradizioni di quei popoli :)
La canzone all'inizio è di James Morrison ed io la adoro davvero
tanto. Secondo me per Brian e Leah ci stava molto bene :)
Cos'altro? In
questa storia non ho fatto altro che fare innamorare Leah, non è
successo niente e ne sono consapevole. Se vi va di leggere un'altra storia su
Leah, che l'autrice ( un genio) definisce come " una storia in cui non
succede niente" andatevi a leggere Una giornata di sole, è qualcosa di stupendo e vi farete tantissime risate. Vi consiglio anche questa shot Sandcastles è
molto ma molto bella, anche se triste, è quello che sarebbe
successo a Leah se non avesse incontrato Brian, credo. Leggerla,
sapendo che qui è andata in questo modo magari vi farà
fare un sospiro di sollievo... e farvi rendere conto di quanto è
brava la ragazza che l'ha scritta. E una Leah felice e... vedrete quanto è bella, potete trovarla in Moleskine :))
Questa storia non doveva nemmeno esserci, al massimo averbbe dovuto
essere di tre capitoli ed essere inserita in dei missing moment, e
invece no, perché Leah meritava di avere un posto tutto per
sé. Soul's Wind non era in programma, avrebbe dovuto essere
più corta, ma poi mi ha dato delle bellissime soddisfazioni. Io
sono e sarò qui per voi che leggete, per me è bellissimo
e importantissimo.
Lettori, per me
è una gioia immensa avervi. Grazie per esserci. Sono qui
perché amo scrivere, per migliorarmi, confrontarmi, divertirmi,
emozionarmi ed emozionarVI. Non potrei chiedere altro, davvero.
Grazie a Virginia, Cate, M, C, S, J, sono state e sono fantastiche, ognuno a suo modo.
Davvero grazie :)
Con affetto, Ania <3
p.s Se vi piacciono i lupi, c'è una long su Embry che verrà aggiornata a breve con il secondo capitolo, si chiama Same Mistake <3 <3 <3
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