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di Mattimeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In silenzio è nato l'universo ***
Capitolo 2: *** L'essenziale è invisibile agli occhi, ma notevole al cuore. ***
Capitolo 3: *** Nel cuore dell'uomo abita il tempo ***
Capitolo 4: *** Di cosa è fatta la terra. ***
Capitolo 5: *** "Luce" è solo un attributo. ***



Capitolo 1
*** In silenzio è nato l'universo ***


journey


In silenzio è nato l'universo.


Il silenzio pervade l'universo dalla sua nascita. Gli eventi più catastrofici e maestosi non possono essere uditi, perché non c'è mezzo per cui le onde possano propagare.

Di più: l'universo non sa di essere in silenzio, perché l'universo è il silenzio. Il cosmo non contempla suoni, tanto meno la parola, per cui il silenzio è la sua condizione. La vita è suono, rumore. L'uomo è parola.

Per poter comunicare con il mondo, condizione necessaria è quindi l'assenza di linguaggio – perché il mondo non ha lingua – e di suono – perché il mondo non ha orecchie.

L'uomo nasce nel suono, l'universo è nato nel silenzio.

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Capitolo 2
*** L'essenziale è invisibile agli occhi, ma notevole al cuore. ***


L'essenziale è invisibile agli occhi, ma notevole al cuore.


Nel deserto, il silenzio sorprende l'uomo nella sua veste più pura.

Il deserto è vasto quanto il pensiero. Per attraversarlo, un uomo deve avere una mente pronta e un buon mantello.

Il deserto è un luogo magnifico, ma anche il più navigato dei viandanti finisce col farci l'abitudine.

Nel deserto manca l'acqua, perché non tutti possano attraversarlo.

Notò il gruppo di rocce una notte di luna nuova. Da quelle rocce proveniva un fioco bagliore che sarebbe stato invisibile con la luna piena. Si chiese cosa potesse essere.

Nel deserto le leggi dell'ospitalità sono sacre, ma gli sprovveduti muoiono ugualmente. L'uomo col mantello decise di avvicinarsi a quelle rocce. Erano molto più lontane di quanto pensasse, tanto che ci arrivò all'alba.

Era un ammasso di guglie erose dal vento, un complesso abbastanza vasto. Nel mezzo c'era scavato un corridoio verso l'interno. Mentre lo percorreva, l'uomo con il mantello si accorse di camminare su terra, non più su sabbia. Inoltre iniziava a scorgere qualche pianta, per lo più Fiori dei Viandanti.

Entrò in una grotta illuminata da alcune spaccature nel soffitto. Quel luogo non era nuovo agli uomini, perché per la grotta si osservavano caratteri antichi e motivi geometrici. Comunque era un luogo in rovina. Al posto della sabbia, l'altro era ricoperto di polvere, residuo del tempo.

L'uomo col mantello si spinse ancora più all'interno, scoprendo un'enormità di candelabri incrostati di cera. Ora i luoghi che attraversava assomigliavano molto di più a stanze, sempre occupate dai candelabri.

In una stanza con delle colonne, trovò la fonte.

Colmo di gioia, l'uomo col mantello si inginocchiò a pregare, perché la sua preghiera era gioia, e la sua gioia era una preghiera. Avrebbe pianto, ma non aveva più acqua negli occhi. Si addormentò davanti alla fonte, ancora inginocchiato.

Si svegliò al tramonto, non sapeva se dello stesso giorno. Tutte le candele nella stanza con le colonne erano accese, lo specchio d'acqua rifletteva molta luce. L'uomo col mantello si alzò con uno sforzo. Non bevve, ma prese ad aggirarsi per le altre stanze. Capitò in una nella quale le candele non erano ancora state accese. Prossima a quella, una lunga serie di stanze non illuminate. Andò da quella parte, svoltò e cambiò nuovamente percorso, finché arrivò in una stanza dove era presente la luce. Ora aveva davvero sete. Tornò sui suoi passi e trovò che molte delle stanze buie ora erano illuminate. Nella stanza delle colonne, trovò un altro uomo. Aveva un lume in mano e sembrava lo stesse aspettando.

L'uomo col mantello entrò timidamente nella stanza, e timidamente prese la sua scodella. L'uomo con il lume fece un cenno di assenso.

L'uomo col mantello riempì a metà la scodella e bevve. La sua anima respirò di nuovo, mentre la poca acqua veniva assorbita subito dalla sua gola.

«Non conosce l'acqua chi non è assetato» disse l'uomo con il lume.

L'uomo con il mantello respirò profondamente, poi riempì di nuovo la scodella e bevve, e poi di nuovo, e di nuovo ancora.

L'uomo con il lume rimase ad osservarlo a lungo. Quando l'uomo col mantello ebbe terminato di bere, gli disse: «Vieni con me.»

L'uomo col mantello mise nella bisaccia la scodella e si alzò per seguirlo. Percorsero molte stanze, tutte illuminate. La luce calda delle candele si rifletteva sui rimasugli di intarsi nelle decorazioni. Ormai si erano praticamente cancellati tutti, mostrando la base di nuda pietra. Tuttavia, alla luce delle candele, si riscoprivano frammenti minuscoli che luccicavano come fosse oro in una miniera.

Alla fine arrivarono davanti ad una stanza buia. L'uomo alzò il lume davanti a sé ed entrò: l'antro era immenso.

La caverna non aveva il solito aspetto delle stanze: oltre ad avere una volta altissima, le sue pareti erano di roccia grezza. Il pavimento era liscia terra battuta, concepita per rendere stabili gli enormi scaffali che affollavano l'oscurità. Sugli scaffali erano custoditi degli oggetti biancastri.

«Sono candele.» Disse l'uomo con il lume. «Guarda là.»

Poco più avanti c'era qualche scaffale vuoto.

«Custodisco questo luogo da quando solo uno di quelli era vuoto.»

«Te ne sono grato.»

«Qual è la tua meta?»

«Yggdrasill.»

«Per questo stai attraversando il deserto. Un viaggio del genere è ammirevole.»

L'uomo col mantello non rispose.

«Quanto tempo credi ti occorrerà?»

«Vasto è il pensiero del mondo, a confronto con un'anima sola. Sono in viaggio da quelli che sono tre anni, ma che potrebbero essere anche tre giorni, o tre secondi. Non so quanto ancora dovrò impiegare.»

«Questo luogo risale alle epoche antiche. Ora ci crescono le cipolle dolci. Te le mostro.»

L'uomo con il lume condusse l'uomo col mantello fino ad un largo chiostro illuminato dalle stelle. Lo spiazzo era un campo di cipolle dolci. L'uomo con il lume disse:

«Questo luogo esiste perché il deserto possa essere attraversato. Prendine, e concludi il tuo viaggio.»

L'uomo col mantello pregò nuovamente, mentre l'altro lo lasciava solo. Si cibò delle cipolle dolci e ne prese altre per continuare l'attraversata del deserto.

Ripartì la mattina dopo.



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Capitolo 3
*** Nel cuore dell'uomo abita il tempo ***


Nel cuore dell'uomo abita il tempo.

Un passo è un passo.

Un passo viene prima di del successivo e dopo il precedente.

Quando si cammina a lungo, a questo non si fa caso. La descrizione che facciamo della nostra esperienza non fa uso del concetto di passo, ma considera il camminare nella sua totalità.

Il tempo è quindi la misura dello sforzo, la misura dello stato camminare. Ma se il camminare diventa la misura di se stessi e lo stato principale dell'animo, a cosa serve il tempo? Appare come un concetto nulla più che interessante, ma del tutto superfluo. Solo un modo di gingillarsi in una condizione a cui non si appartiene più, come a ricordare “il prima”.

Per cui è naturale che, il questi attimi di memoria, ci si chieda che senso abbia il tempo stesso, poiché quello che ricordo come l'essere partito un attimo fa è un momento remoto, mentre pensare a dove ero stamattina mi ricorda quanta strada ho fatto da ieri.

Quando si cammina, è il camminare stesso il significato e il mezzo.

Il tempo abita il cuore umano: quando nel cuore ci sta altro, del tempo non si ha più traccia.



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Capitolo 4
*** Di cosa è fatta la terra. ***


Di cosa è fatta la terra.

Una foresta è come una città, basta saper guardare. C'è chi va di fretta, chi si fa i fatti suoi, chi si è perso. È anche risaputo che le piante sono spesso antipatiche.

Quanta verità ci sia in questo pregiudizio è difficile da stabilire, dato che è radicato nelle piante stsse. Quando uno cerca di approcciarsi in modo simpatico o amichevole, ecco che la pianta crete tu la stia prendendo in giro e si mette a fare la scontrosa. È abbastanza difficile trattare con le piante. Nonostante questo, si sa anche che le piante possiedono una grande saggezza, e questo è dimostrato.

La storia che sto per raccontare l'ho sentita personalmente da una felce, che era amica del noce in questione che la raccontò per primo. Bene, una mattina un chinghialetto accompagnò una ciliegia da questo noce. La ciliegia aveva una domanda che le toglieva il sonno e doveva assolutamente trovare chi potesse darle una risposta. Avendo sentito parlare della saggezza del noce, la ciliegia lo pregò di aiutarla.

Tra piante vige una certa cortesia, perché tutti temono segretamente di risultare antipatici e di confermare quindi il famoso pregiudizio. Tuttavia quel noce di cosa pensassero gli altri se ne infischiava e non volle nemmeno udire la domanda della ciliegia.

«Perché non riesci a darti da sola una risposta?» Sbottò il noce.

«Perché mi hanno detto delle cose sbagliate. Così io adesso non so più cosa è giusto.»

«Le cose sbagliate dipendono sempre da noi o da altri, mentre che una cosa sia giusta dipende da come è fatto il mondo. Si può sempre distinguere ciò che è giusto, occorre essere sinceri a se stessi. Gli uomini, loro fanno molta fatica in questo.»

«Faccio fatica a capire.»

Il noce sbuffò, spazientito.

«Forza, dimmi! Qual è questa domanda?»

La ciliegia e il cinghialetto guardarono sorpresi il noce. Poi la ciliegia disse:

«Di cosa è fatta la terra?»

«Di cosa è fatta la terra?» ripeté il noce «è questa la domanda?»

«Sì»

«Ciò che non hai capito prima è questo: vai tu stessa a vedere di cosa è fatta la terra! Se credi di non riuscire a scoprirlo da te è perché non sei sincera con te stessa.»

La ciliegia era perplessa. Il noce ribadì:

«Tu di cosa pensi sia fatta?»

«Quando l'ho chiesto mi hanno detto che la terra è terra, ed è fatta di terra. Non credo che sia così, però.»

«Non lo credi perché tu hai visto altro. Vai dunque fino in fondo, guarda sotto di te e osserva cosa stai calpestando.»

«L'ho già fatto, ho visto solo marrone. Altri mi hanno detto che la terra è fatta di minerali, ma è una risposta troppo generica.»

«Non stai guardando!»

La ciliegia guardò a terra, concentrandosi.

«Cosa vedi?»

«Foglie.»

«Ecco la tua risposta.»

La ciliegia si impressionò: aveva indovinato. Guardò ancora, meglio. Le foglie cadute dagli alberi si erano seccate ed erano diventate giallastre, poi marroni. La pioggia e i passanti le avevano sfaldate e pressate una sull'altra. Più si scendeva, più un frammento di foglia era indistinguibile dall'altro. Felice di aver compreso, la ciliegia volle dimostrarlo al noce.

«Si cammina sugli antenati.»

«Fai silenzio, c'è qualcuno.»

Delusa per non essere stata apprezzata, ma comunque intimorita, la ciliegia fece silenzio.

Sull'altro versante di quella piccola valle, oltre la pietraia, un uomo col mantello stava scendendo il pendio, diretto al lago. L'uomo si sentiva osservato dalla montagna, da tutto ciò che era sempre stato i quel luogo e in quel luogo sarebbe morto. Anche la montagna sarebbe stata sgretolata via. Tra mille anni, tra un secondo, poco importava. Quel che importava era che per quei passi, l'uomo col mantello era ospite di quella montagna, di quei noci, ciliegie e cinghialetti che lo stavano osservando scendere al lago.



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Capitolo 5
*** "Luce" è solo un attributo. ***


Luce è solo un attributo.

È un bosco nobile, questo. Senza sottobosco, ordinato, pulito. Un ligneo colonnato frondoso, arrampicato sulla collina e proteso al cielo. Un giardino per i re.

Questo è ciò che credono i re. Quel luogo non è per loro, nessun luogo è per loro. È il giorno a far credere loro il contrario: tutta quella luce, lo sguardo vaga in lungo e in largo, dando l'illusione del potere alla mente umana. In realtà quel bosco non è nobile – la nobiltà non è una prerogativa vegetale, ma una costruzione umana – ne ordinato: i giardinieri del re lo puliscono settimanalmente, ignorando che uno strato di sottobosco o almeno di foglie renderebbe più fertile il suolo e farebbe crescere meglio gli alberi.

I re non vanno di notte nel bosco, non senza luce. Senza luce i loro occhi non possono vagare, sono schiacciati contro le stesse palpebre dall'inconsistenza dell'oscurità. Ma il bosco non cessa di esistere. Rimane là, magnifico come suo solito, ma irraggiungibile dai sensi umani. Semplicemente, l'uomo smette di avere potere su di esso. Ma lui è sempre lì.

La luce non è accessoria, anzi è fondamentale alle piante quanto all'uomo. Ma l'uomo la desidera, l'uomo la utilizza. L'uomo crede che la luce sia per lui e per lui solo. Per l'uomo, luce è sinonimo di bene, di vita, di potere, mentre il buio è mascherato da male, cattiveria, morte, ma solo impotenza. Il mondo non ha predilezione per luce o ombra.

«E cosa dovrebbe fare allora l'uomo?» grida il principe nel bosco. «Come dovrebbe vivere senza aggrapparsi alla luce? Come potrebbe ignorare il tempo che passa, mentre i momenti importanti gli sfuggono via dalle dita come la sabbia del deserto? Non dovrebbe forse tentare di avere potere sulla materia, per aggrapparsi alla vita? L'uomo s'è costruito il mondo con le sue parole, ma è l'unico mondo in cui sia in grado di vivere.»

«No» replica l'uomo col mantello «Pur misurando il mondo col le parole, il potere che deriva all'uomo è solo sulla misura costruita da se stesso. Come puoi sperare di comprendere gli alberi a parole, o le stelle, o mari?»

«E cosa viviamo a fare, dunque?»

«Non possiamo rinunciare alle parole, né alla luce, né alla vita. Ma le parole non le abbiamo inventate per essere felici. Per essere felici occorre ascoltare, non parlare. Occorre aprire, non chiudere. Occorre camminare. L'essenziale è invisibile agli occhi, ma notevole al cuore. Rivendica la luce! Non per gli occhi, ma per il cuore.»



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