Perfetti sconosciuti

di LucyFire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quando il destino ci mette lo zampino ***
Capitolo 3: *** La realtà è inconcepibile ***
Capitolo 4: *** Nomignoli orribili. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Non è il viso che colpisce, ma le espressioni. Non è il corpo che ci piace,

ma il modo in cui si muove. Non è spesso l'aspetto fisico che ci attrae,

ma sono i modi di fare di una persona.”

 

Marilyn Monroe

 

 

PROLOGO

 

 

Il vento era stato troppo forte negli ultimi giorni. L’aria mi scompigliava tutti i capelli, facendoli diventare un cespuglio arruffato, e la mia maglietta ormai era andata a farsi benedire, dopo tutti quegli schizzi d’acqua salmastra che c’erano finiti sopra.

Aleggiava intorno a me un odore di sale tipico del mare, del quale un esempio ce l’avevo davanti agli occhi.

Il mar Tirreno stava mettendo in mostra tutta la sua bellezza: le onde si infrangevano su degli scogli, lì sulla destra; neanche una nuvola copriva l’orizzonte, dove si potevano vedere due isolette poco distanti.

L’acqua, colpita dalla luce mattutina, lasciava dei riflessi così tanto verde smeraldo e dorati che quasi erano fastidiosi a vederli.

Dei gabbiani volavano nel cielo e il sole era alto e splendente.

Per iniziare al meglio la giornata non potevo chiedere di più. .

Ma la visione romantica del luogo fu totalmente e irrimediabilmente rovinata da un pallone.

Si, proprio quel pallone con il quale dei ragazzi stavano giocando a beach volley urlando.

Quel pallone che andò a beccare proprio la mia testa, mentre io, sentendomi chiamata, mi giravo a incontrare per la prima volta un paio di occhi, il cui colore l’avrei scoperto neanche cinque minuti dopo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yup!

Ci vediamo tra una settimana con il primo capitolo.

Spero vi sia piaciuto :)

 

Anna

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Capitolo 2
*** Quando il destino ci mette lo zampino ***





CAPITOLO 1:

 

 

QUANDO IL DESTINO CI METTE LO ZAMPINO

 

 

Stavo sognando, non cera alcun dubbio.

Si dai!, quella dimensione parallela dove puoi essere chi vorresti e puoi fare quello che hai sempre desiderato.

Mi rifugiavo troppo lì in questo periodo. Ero come assuefatta a quel senso di impotenza costante nella mia vita che si eliminava all’istante quando chiudevo gli occhi.

Non dovevo neanche dormire: a volte mi buttavo sul letto e scivolavo lentamente in questo mondo, oppure a scuola buttavo lo sguardo fuori dalla finestra e mi incantavo ad osservare quelle nuvole dalle forme più disparate, a quel sole luminoso.

Ma specialmente ci cadevo quando ascoltavo musica.

Una strofa dei Simple Plan e canticchiando mi immaginavo di essere su un palco come una vera cantante, per sfuggire alla realtà, ovvero che gli unici che erano a conoscenza delle mie doti canore erano i muri della mia stanza.

Era il mio mondo personale e lo usavo più del necessario, forse.

Non cera nemmeno da stupirsi, infatti, se da un anno a questa parte ogni forma di amicizia aveva completamente dimenticato il mio nome e, anche quelli che mi volevano sinceramente bene, mi avevano un poabbandonato alla mia tristezza giornaliera. Si sa, la malinconia è contagiosa e nessuno vuole per amica una musona.

Comunque, ormai che ne ero unesperta, ero sicura di star sognando.

Lo sapevo per due motivi.

Primo: stavo parlando con Chris Evans, cosa decisamente improbabile.

Secondo: mi stavo sposando con Chris Evans, cosa scientificamente ancora più impossibile.

Non che mi dispiacesse la situazione, sia chiaro. Nonostante qualche annetto di differenza fra le nostre date di nascita, qualche pensierino, su quel bel pezzo di gnocco, si può sempre fare!

Chi sono io per vietarmi queste cose?

Indossavo un vestito composto da un semplice strascico, un bustino di pizzo con una gonna di satin. Camminando verso laltare il tutto ondeggiava e gli sguardi dei presenti mi facevano sentire davvero bella.

Per non parlare della persona al mio fianco. Chi non pensava a un principe vedendolo in quel magnifico smoking nero, aveva forti problemi mentali.

Tutto iniziò a vorticare e mi ritrovai già arrivata all’altare, al momento dello scambio degli anelli.

Vuoi tu prendere Veronica come…”

Eccolo arrivato il momento più importante del mio sogno: il bacio al marito. Mi avvicinai lentamente e lui mi tolse il velo, con una lentezza esasperante.

Contemplai per lennesima volta il viso di Chris e lo vidi aprire la bocca per parlare.

«Veronica, tesoro» mi appoggiò una mano alla guancia e io chiusi gli occhi al contatto «Ti devi svegliare»

Gli riaprii di scatto. Cosa? No, io volevo continuare a sognare!

«Chris?» domandai.

Ma non mi trovai davanti due occhi color azzurro, bensì verdi. Il loro possessore mi sorrise apertamente, quasi fosse rincuorato del fatto che avessi parlato.

«Si è svegliata!» urlò al suo amico dietro di lui.

«Cazzo Luca se ne hai di fortuna!» rispose quello, mister finezza.

«Comunque» mi rispose Luca sorridendomi «non so chi sia questo Chris, ma io sono Luca, piacere»

 

 

 

La mia immaginazione fu risucchiata in un secondo e improvvisamente presi coscienza di dove mi trovavo e, soprattutto, in braccio a chi ero sdraiata vergognosamente.

Arrossii per l’imbarazzo. Mi trovavo in braccio a uno sconosciuto, forse proprio quello che mi aveva atterrata con tanta delicatezza poco prima.

Cercavo di trovare qualcosa di intelligente da dire, ma dovevo aver preso davvero un brutto colpo perché il solo pensare mi faceva male alla testa.

Così mi feci bastare un banale segnale, perfettamente adeguabile alla situazione.

«Ahi!» quello sembrò accorgersi in quel momento che mi aveva ancora in braccio e delicatamente mi depose per terra sulla sabbia, tenendo però una mano dietro alla mia schiena.

«Lascia stare, faccio da sola» mi alzai a sedere e mi portai una mano alla testa.

Cavoli, mi sarebbe sicuramente rimasto il bernoccolo per qualche giorno.

Se cera qualcosa che io odiavo più dei bugiardi erano proprio le botte.

«Ciao, sono Andrew» non mi ero accorta fino a quel momento che dietro a lui cera anche un altro ragazzo che, saggiamente dopo una mia occhiata ammonitrice, ritirò la mano che mi stava porgendo, mormorando qualcosa di incomprensibile.

Intanto laltro mi stava ancora fissando.

«Dovremmo prenderti del ghiaccio» mormorò più rivolto a sé stesso che a me.

«Lascia stare ti ho detto. Mi potete spiegare cosè successo?» risatina dal coglione dietro.

«Stavamo giocando a beach volley, quando abbiamo» quello davanti a me mi rispose calcando molto quella parola «sbagliato mira e ti è arrivata addosso la palla»

«Abbiamo eh?» lo prese in giro Andrew.

Laltro sospirò.

«Ok, ho sbagliato mira, mi dispiace»

«Non preoccuparti. Grazie per» pensai velocemente a qualcosa «Bhe, in effetti per niente» altra risatina da Andrew.

Iniziavo a pensare che qualunque cosa dicessi ne partiva una, come quando si infila dentro quelle macchinette un soldino e ti viene fuori la sorpresa.

Solo che qui la sorpresa era un bel coglione contornato da un suo pari con una mira del cavolo.

«Comunque io sono Luca»

 

Me lo hai già detto e a me non me ne importa niente.

 

Forse si aspettava che gli rispondessi dicendogli il mio nome?
«Mi
piacerebbe dirti che mi fa piacere conoscerti, però» indicai eloquentemente la testa «non credo sarei sincera»

Fece una smorfia, mentre Andrew non fece altro che confermarmi quello che avevo appena pensato su di lui, aggiungendo peròche grande spirito di inventiva!un commento sarcastico.

«Ma che bel caratterino!»

«Vorrei vedere voi nella mia situazione» risposi a denti stretti.

 

Ma come si permette!

 

Irritata al massimo mi alzai e iniziai a togliere la sabbia dai vestiti, sbattendoli sotto lo sguardo dei due amici.

«Lascia almeno sdebitarmi» interruppi la richiesta di Luca con un gesto della mano.

Se senza volerlo era così, figurarsi se lo faceva apposta. Senza contare il suo amico, ovviamente.

«Non serve, ho già dimenticato. Ci vediamo» mi girai e mi incamminai verso casa, ma non avevo calcolato la testardaggine di Luca, perché mi rese una mano e mi dovetti rigirare.

«Lascia almeno che ti accompagni» mi stava supplicando?

«Ho detto di no. Non mi serve il tuo aiuto, ce la faccio benissimo da sola»

Fece un sospiro e, con mia grande gioia, mi lasciò la mano.

«Ok, come non detto. Mi dici almeno il tuo nome»

Te lo puoi scordare, bello.

 

Stavo per fare una risata sarcastica degna della situazione, però in qualche modo riuscii a controllarmi.

«Scusate, devo andare»
Non gli risposi neanche. Avrei potuto dire il mio nome, ma anche qualunque altro, tanto lui non lo avrebbe mai saputo.

Inizia a camminare molto velocemente, quasi a correre. Forse stavo dando l’impressione di star scappando, ma poco mi importava.

Mi stavano per arrivare conati di nausea e stare a fissare i due biondini lì non aiutava molto la cosa.

Ormai mi ero allontanata troppo e gli urlai semplicemente:

«Ci vediamo in giro!»

Ridacchiai rischiando di vomitare sul posto. Neanche io ci credevo alle mie parole.

Mi ero già girata ed ero ben distante, perciò non potevo essere sicura di aver sentito un sospiro e una pacca sulla spalla.

«Proprio una ragazza così antipatica dovevi beccare?» la voce era quella di Andrew.

«Che ti devo dire? Mica lho fatto apposta»

Feci un sorriso: avevo ragione a esiliarmi dal mondo.

La gente non capiva niente di me, e mai avrebbe capito.

 

 

 

Appena arrivata in casa mi chiusi la porta alle spalle e in tempo degno delle olimpiadi mi fiondai in camera mia. Accesi lo stereo a pieno volume e le dolci noteahah! - di Welcomew to my life dei Simple Plan riempirono la stanza.

 

Do you ever feel like breaking down?

Do you ever feel out of place?

Like somehow you just don't belong

And no one understands you

 

[Ti sei mai sentito come se stessi crollando?

Ti sei mai sentito fuori posto?

Come se in qualche modo non fossi adatto

e nessuno ti capisca]

 

Come sempre, i Simple Plan riuscivano a racchiudere in poche parole tutti i miei pensieri.

Strofa, ritornello, ancora strofa.

 

Are you stuck inside a world you hate?

Are you sick of everyone around?

With the big fake smiles and stupid lies

But deep inside you're bleeding

 

[Sei bloccato in un mondo che odi?

Sei stanco di tutti quelli che ti circondano?

con i loro grandi falsi sorrisi e stupide bugie

mentre tu dentro nel profondo stai sanguinando]

 

 

«Welcome to my life» canticchiai.

Benvenuto nella mia vita.

Quelle parole non potevo dirle a nessuno in quel momento. Non quando ero certa che chi le avesse sentite avrebbe potuto farmi male come me ne aveva fatto quella persona.



 

 

 

Tre, due, uno… Stop!

Fermate limmaginazione, perché non dirò cosa le è successo finchè la storia non lo vorrà :)

Spero vi sia piaciuto.

Come avevo già detto, niente colpo di fulmine, niente innamorati follemente al primo sguardo.

Dai, quelle cose esistono solo nei romanzi rosa! :)

Volevo provare a raccontare di qualcosa che potrebbe accadere veramente, anche se dubito visto la piega che prenderà la trama tra qualche capitolo.

Bhe… Non so più cosa dire!

In queste cose sono una frana, scusatemi!

Bon, ciao, al prossimo capitolo! :D

 

Anna

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Capitolo 3
*** La realtà è inconcepibile ***




CAPITOLO 2:


LA REALTÀ È INCONCEPIBILE

 

 

«Mamma, io esco!» urlai dalla porta di casa.

«Dove vai, tesoro? È ora di cena!» sentii uno sbatacchiare di pentole e odore di bruciato. Come sempre, mia mamma non sapeva cucinare neanche un uovo al tegamino.

«Mi salvo dalla tua cucina» le risposi ridacchiando fra me e me.

La sentii lanciare un’imprecazione, probabilmente ai fornelli, e subito dopo mi raggiunse.

«In effetti vengo anche io» si tolse il grembiule e prese la borsa.

«Allora, pizza?»

 

 

 

«Volete ordinare?»

Avevamo trovato un posto davvero carino.

Mia mamma voleva che credessi alla storiella Sai, ho un buono fiuto per i posti in cui si mangia, ma sapevo benissimo che lei li aveva provati tutti solo nella prima settimana che si era trasferita, a causa delle sue grandi doti culinarie.

Non che fosse tutto questo disastro, ma si poteva confondere facilmente.

Mi ricordo ancora quella volta da piccola che mi voleva insegnare a cucinare una torta.

 

«Mamy, facciamo una torta?»

 

Ero piccola e innocente, e ancora non sapevo

che inferno mi stavo premeditando da sola.

 

«Ehm… Certo stella. Aspetta, prendo due grembiuli. Intanto tira fuori quella terrina grande trasparente!»

Ero così contenta del mio grembiulino bianco panna che non mi accorsi del disastro che stavamo facendo.

Cacao, farina e uova stavano facendo l’esatto opposto di quello che dovrebbero fare: stavano bruciando nel forno e dopo un urlo disperato di mia mamma, le rivolsi un timido sorriso. La tirò fuori e non so con che coraggio tagliò un pezzo carbonizzato e lo assaggiò.

Fece una smorfia che mi ricorderò per il resto della vita.

«Mamy è buona?»

Sorriso anche nei momenti meno consoni era il motto di mia madre.

«Certo tesoro»

Le rivolsi un sorriso così grande che forse si sentì in colpa quando mi rispose:

«Sai, hanno aperto una nuova gelateria in paeseChe ne dici se prendiamo un bel cono con una pallina al cioccolato»

«Ma mamyyy! Io voglio la mia torta!» incrociai le braccia e le rivolsi una smorfia.

 

Ero abbastanza capricciosa da bambina.

 

«Capito, facciamo due palline, ok?»

«Siii!»

 

E da lì, io avevo preso lo stesso talento di mia mamma: saper solo cucinare una pasta.

Ma qual pasta! Come noi con il sugo al pomodoro, tonno e cipolle non la faceva nessuno!

Ma basta gasarsi per cose stupide.

«Io prendo una con il salamino piccante» la mia pizza preferita, forse avevo un innato senso di masochismo.

Il cameriere fece la stessa domanda a Sara (mia madre), prese i menù e si defilò alla velocità della luce.

In effetti c’era molta gente quella sera, avevamo avuto fortuna a trovare posto. Immersa nei miei pensieri, non mi accorsi della domanda che mi rivolse Sara.

«Allora, hai già fatto amicizia con qualcuno?»

Ecco la sua cosa più brutta, era la più brava impicciona che avessi mai conosciuto.

«Ma se sono qui solo da tre giorni!»

Si, tre giorni, ma in quei giorni ero già riuscita a prendermi una bella botta in testa e a farmi antipatici due ragazzi potenzialmente belli.

Alzò le mani, e come se non avesse ascoltato unh di quello che avevo detto, continuò a parlare secondo le sue idee.

«Lo so, lo so. Ma ci sono di quei ragazzi così carini in spiaggia!»

La guardai storto «Ma tu chi sei e cosa ne hai fatto di mia madre?»

Non mi aveva mai permesso in passato di uscire con gli amici oltre mezzanotte e mezza, mi aspettava sempre alzata, e niente alcolici pesanti.

Per non parlare di ragazzi! La prima - e lultima - volta che le aveva detto che ne aveva uno, aveva così tanto insistito per conoscerlo che feci questo rischio.

Appena arrivati a casa, mia madre laveva tartassato di così tante domande che appena era andata a lavoro, lui mi aveva lasciata con una scusa stupidissima: Scusa, ma non mi trovo molto bene con te. Sarebbe meglio se ci lasciassimo, quando sapevamo benissimo tutti e due che lo stava dicendo solo perché aveva paura di Sara.

Cero rimasta così male che non avevo più voluto rischiare.

Ma quello era il passato, che ormai era stato cancellato da quel giorno di due settimane prima, e il presente era alquanto bizzarro.

Non solo mamma chioccia voleva che mi trovassi un ragazzocosa totalmente inconcepibile -, ma voleva anche che fosse carino!

O degli alieni l’avevano rapita e avevano messo al suo posto un alterego, oppure doveva preoccuparsi della sua sanità mentale.

Forse era diventata schizofrenica.

Sara interruppe i suoi pensieri contorti mettendo una mano sopra la mia. Faceva molto psicologo la cosa.

«Voglio solo che tu sia felice, tesoro. Sarebbe bello se ti facessi degli amici»

Se possibile, mi rabbuiai ancora di più.

Grugnii qualcosa di incomprensibile che lei prese come un rifiuto.

Intanto arrivarono le pizze e io iniziai a divorare la mia, sperando che facesse lo stesso anche lei, tappandosi quella bocca.

Speranze vane.

«Ti trovavi così bene con Claudia e Anna! Siamo in una nuova città, potresti trovare qualcuno di qui che sia simpatico come loro o di più. Basta che non ti chiudi»

 

Super mamma chioggia e saggia in azione!

 

Le feci un sorriso di circostanza.

«Ci proverò, ok?» forse non lavevo convinta troppo, però.

«Prometti»

 

Orca.

 

«Dai, mamma. Ti ho detto che lo farò!»

«Ci sento bene io! Prometti!» sbuffai. Quando voleva una cosa, la riusciva ad avere, sempre. Altro comportamento che avevo preso da lei.

«Promesso» grugnii.

«Bene, perché ho sentito da Laura che cè una festa in spiaggia sta sera, e tu ci andrai!»

Era lei la più euforica fra le due al pensiero di una probabile festa a cui avrei potuto partecipare.

 

Inconcepibile.

 

«Non ci penso nemmeno! Sta sera non mi muovo!»

Strano ma vero, sembravano che i ruoli fossero invertiti. Io che non volevo uscire di casa, mia mamma che voleva che uscissi a farmi degli amici e – eh? – anche un ragazzo.

 

Inconcepibile.

 

«Se resti a casa niente mare per tutte le vacanze!»

E da quando eravamo passate alle minacce?

«Dai, lo sai quanto mi piaceNon mi puoi fare questo!»

«Io sono tua madre e posso eccome!»

Grugnii contrariata.

«Fra poco sono maggiorenne, decido io per me» fece un sorrisino furbo.

«Se decidi tu per te, te ne puoi andare da casa mia anche sta sera»

Quanto odiavo quando si comportava così.

«Ok, ok! Hai vinto, ma domani ristorante! E compri il gelato al cioccolato»

Se mi stava ricattando a quei livelli, tanto valeva che lo facessi anche io.

Fece una smorfia «Non ho mai capito come fai a mangiare il cioccolato anche destate. Facciamo al caffè»

Ecco, ci risiamo. Decide lei. Io amo il cioccolato, lei il caffè e in questi discorsi vince sempre lei.

Anche perché non capisco cosa abbia di meno pesante il caffè rispetto al cioccolato.

«Fatta»

Forse quello era il miglior accordo che le avrei potuto strappare quella sera.

Sara fece un grugnito soddisfatto e si tuffò a capofitto nel mangiare la sua pizza, pomodorini e rucola.

 

Ma dove mi sono cacciata?

 

 

 

 

 

 

Mi devo subito scusare: questo capitolo non come gli altri, come avrete capito. Veronica parla con sua mamma Sara facendo scoprire altri lati del suo carattere.

Fino all'ultimo non sapevo se pubblicare questo capitolo o meno. Non mi piace molto, perché qui lo sviluppo nella storia è pari a 0!

Se avete critiche o suggerimenti, non preoccupatevi, accetto di tutto! :)

Sarete comunque ricompensati dal prossimo capitolo, che sarà lungo più del doppio rispetto a questo. Si avrà la prima discussione fra i due protagonisti, dove incominceranno a conoscersi pian piano.

Cos'altro dirvi? Ah si! Grazie mille per aver letto e come sempre, al prossimo capitolo :)

 

Anna

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Capitolo 4
*** Nomignoli orribili. ***


 

 

CAPITOLO 3:

 

NOMIGNOLI ORRIBILI

 

 

Paura.

Paura ad aprire l’armadio. Non la solita tipo film horror “mi ritrovo un assassino dentro” alla Scream 4. No, paura a scoprire quello che mia mamma ci poteva aver ficcato dentro: una paura più che legittima, visto la persona che era mia mamma.

Seguendo un suo pensiero superficiale, sapevo che aveva battuto a tutto spiano il nostro nuovo paese per cercare qualcosa che “aiutasse la sua bambina a fare amicizie”, ma quanto avesse trasformato il mio guardaroba non lo sapevo.

Avevo paura di non trovare più la mia bellissima felpa grigia e verde comprata l’anno prima, di non poter mettere più quella maglietta blu che mi avevano regalato Anna e Claudia lo scorso compleanno.

Avevo paura perché aprendolo rendevo tutto reale.

Avevo paura perché aprirlo sarebbe voluto dire piombare nella realtà, iniziando a capire quanto veramente mi ero estraniata dal mondo nell’ultimo mese, quando avevo tagliato i ponti con le ormai vecchie amicizie, facendo finta che non fossero mai esistite.

Ma non potevo mentire a me stessa. Il passato è il passato e pian piano finisce nel dimenticatoio.

Forse, se mi concentravo a sufficienza, poteva anche aiutarmi l’apertura dell’armadio, che sarebbe coinciso con l’apertura della mente.

Ero lì davanti a fissare quelle ante di legno scuro, quando con un sospiro le aprii di scatto, chiudendo gli occhi.

 

Ho paura di vedere dei vestiti.

 

Se me lo avesse chiesto chiunque neanche tre mesi prima, gli avrei riso in faccia.

Strano come cambiava la vita.

 

Ma cosa vuoi che siano? Sono pezzi di stoffa, non sono i tuoi ricordi. Quelli ti rimarranno, non li potrai buttare via, qualunque cosa fai.

 

Già. Li riaprii e lo spettacolo che mi ritrovai davanti fu devastante per i miei occhi. Cera luccicante in ogni angolo e magliette che avrebbero fatto invidia a un catarifrangente. T-shirt di voga quellanno e pantaloni attillati.

Almeno in quello ci aveva fatto centro.

Raccattai il meno peggio e, dopo una veloce vista allo specchio, mi ritenni sufficientemente presentabile.

Maglietta nera abbastanza carina, con una scritta di quelle sceme che vanno tanto di moda: Sono simpatica, non posso essere anche figa!

Giuro, non capisco cosa ci sia di bello.

Pantaloncini bianchi come la frase e capelli sciolti e dritti di natura. Lunghi un popiù giù delle spalle e di un bel castano scuro.

Quanto mi avevano invidiato le mie amiche al liceo, per averceli sempre così come appena piastrati, ma soprattutto quanto mi vantavo io!

Quasi li rimpiangevo quei tempi, quando ancora mi interessavano quelle cose, quando ancora ero una ragazza normale con problemi normali.

Ultimo momento di panico per limminente festa, scarpe e via.

Non dovevo fermarmi tanto lì. Laccordo con Sara era che ci andassi, non che ci rimanessi.

Avrei fatto trascorrere una mezz’oretta leggendo un libro e sarei ritornata a casa di corsa.

Semplice e indolore.

 

 

 

 

Appena arrivata vidi dove si concentrava maggiormente la folla. Un bel gruppo di ragazzidi sesso prevalentemente maschileera davanti a un piccolo palco dove una band stava cercando di cantare musica rock, fallendo penosamente.

Quello più grande però, era davanti al campo da beach volley. Ovviamente era tutto al femminile, quindi si poteva benissimo capire chi stesse giocando.

Fustacchioni sudati e bellissimi che facevano morire di crepacuore una di quelle ragazze solo facendole l’occhiolino.

Che schifezza. Tutta quella smielosità gratuita non faceva per me.

Mi rifugiai in un angolino, lontana da tutti e a due passi dal mare, con i piedi in acqua. nessuno mi avrebbe disturbata e avrei potuto trascorrere la mia mezzoretta in santa pace.

Tirato fuori il libro dalla borsa mi fiondai sulla lettura di un libro di Nicholas Sparks, il mio autore preferito, mentre con il dito facevo disegni distratti sulla sabbia.

La cosa più bella dei suoi romanzi era l’amore infinito che ragazzi di ogni tipo finivano per provare. Qualsiasi cosa facessero, qualunque destino avrebbero avuto, non avrebbero mai smesso di amare l’altro.

Guerra, perdita della memoria, genitori contro, malattie. Niente.

Tutto ciò aveva un che di fiabesco, innaturale.

Era quasi impossibile credere che una cosa così possa succedere nella realtà.

Coppie che si amano? Un’infinità.

Coppie che si amano in quel modo? Potrei rispondere solo in un modo:Ahahah.

Eppure, una parte di me non faceva che sperare di poter avere una fortuna simile.

Il solo pensare che potesse davvero esistere un affetto tale mi faceva rabbrividire. Forse ero ancora alla ricerca del mio principe azzurro, che miracolosamente mi sarebbe piombato davanti quando meno me lo sarei aspettato.

Ed eccola lì, l’altra parte di me, quella pessimista.

Ero combattuta con due miei caratteri.

L’ottimista, quella che ha ancora speranza, quella che ci crede, quella che ancora sogna ad occhi aperti.

L’altra era totalmente il contrario. E non è difficile capire quale prendeva il controllo ultimamente.

Girai pagina.

 

[]

«Oh, Noah», dice con le lacrime agli occhi, «anchio ti amo.»

Se solo potesse finire così, sarei un uomo felice.

Ma non accadrà, ne sono sicuro, poiché mentre i minuti scivolano via comincio a leggere segni di angoscia sul suo viso.

«Qualcosa non va?» chiedo, e la sua risposta giunge in un sussurro.

«Ho tanta paura. Ho paura di dimenticarti di nuovo. Non è giusto… Non posso sopportare di rinunciare a questo.»

E’ qui che fallisco. Cerco di rassicurarla.

«Non ti lascerò mai. Siamo insieme per sempre.»

[]

 

«Ehi, ragazza senza nome!» ero così presa dalla lettura del libro che sobbalzai quando mi parlò da dietro le spalle.

«Ehi, il ragazzo cecchino!» risposi sarcastica.

Era la mia miglior tattica: io rispondevo male, loro se ne andavano, io avrei continuato a fare le mie cose indisturbata.

Ridacchiò piano.

«Ho già chiesto scusa, se non sbaglio» ironico al punto giusto.

«Ne sono consapevole. Peccato che quella parola non faccia tornare indietro nel tempo e cancellare le azioni»

Per me il discorso era già chiuso. Riaprii il libro e ripresi a leggere.

Per tutta risposta lui si mise più comodo: si distese supino, affiancandomi, e mise le mani dietro la testa. Sentivo ancora il suo sguardo addosso, che non accennava a togliersi, pungermi le spalle dall'intensità.

Sospirai. Già, quei meravigliosi occhi verdi.

«Se non ti era chiaro il concetto – cosa di cui dubito –, non ti voglio qui»

Ero troppo cattiva, ne ero consapevole, ma non potevo evitare di comportarmi così: volevo che se ne andasse in fretta.

Forse, si, mi faceva un po' paura parlare con qualcuno che non conoscevo. «L'avevo capito» rispose sarcastico «Non mi sembra che il tuo atteggiamento tradisca per me un amore smisurato»

Sorrisi. In fondo il tipo ci sapeva fare con il sarcasmo. Era bravo quasi quanto me, lo dovevo ammettere.

«Allora perché non ti alzi e mi lasci in pace?»

«Perché non mi va»

«La mia era una domanda retorica» rispondo acida.

«L'avevo capito»

Persona più propensa a un dialogo non l'avevo mai vista.

 

Bene. E perché caz...

 

Presi un bel respiro. Non ero mai stata una ragazza sboccata, sempre pronta a parole pesanti e non avrei dovuto neanche iniziare ad esserlo.

Magari se iniziavo a ignorarlo se ne andava...

 

[]

Il sole è tramontato da un pezzo e il ladro sta per insinuarsi tra noi e

io non riuscirò a fermarlo. Così la fisso e aspetto in

quegli ultimi secondi che sembrano un'eternità.

Nulla.

Il ticchettio dell'orologio.

Nulla.

La prendo tra le braccia e si stringe a me.

Nulla.

La sento tremare e sussurro al suo orecchio.

Nulla.

Per l'ultima volta quella sera le dico che l'amo.

E il ladro arriva.

[]

 

Avevo sbagliato libro. Non dovevo portare “Le pagine della nostra vita”, perché per me era il più triste fra tutti i romanzi di Sparks, nella sua bellezza.

L'avrò letto un centinaio di volte, fino a sapere a memoria alcune battute dei personaggi e ogni volta nel finale mi sortiva sempre lo stesso effetto.

Sentivo gli occhi arrossarsi e inumidirsi. Con un enorme sforzo di volontà ricacciai indietro le lacrime, ma non riuscii ad evitare un singhiozzo.

«Che fai? Piangi?» mi chiese. Non riuscivo a capire se nella sua voce quello che sento è disprezzo o preoccupazione.

«Ho il raffreddore, idiota!» ma la mia voce mi tradì.

Leggere quel libro in sua presenza: allora era vero che ero masochista!

Una lacrima sfuggì al mio controllo, ma con un gesto di stizza la ripresi subito.

Mi toccò la spalla.

«Che vuoi?» praticamente gli ruggii contro.

«Vorrei scusarmi per l'altro giorno»

Ecco, ci risiamo.

«L'hai già detto e io ti ho già risposto» ma mi ignorò completamente.

«Posso offrirti un gelato, qualcosa da bere... Un fazzoletto?»

Ok, adesso mi stava prendendo in giro. Mi girai, pronta a rispondergli a suon di sberle.

«Senti, lo capisco, veramente!: tu vuoi farmi un favore dopo l'altro giorno. Non ho niente da ridire, apprezzo il pensiero, ma rifiuto. Non mi serve niente! Chiaro?»

Speravo di essere stata il più convincente possibile; ero stata anche diplomatica: niente contatti fisici tra la mia mano e la sua faccia.

Non mi sembrava così difficile, non volevo ricevere favori da nessuno. Tutto nel mio comportamento urlava “solitaria”.

Diavolo!, ero io che a una festa si era messa a leggere!

Fece un sorrisino arrogante, che stonava con la dolcezza che era nei suoi occhi, la stessa che avevo visto appena mi ero risvegliata fra le sue braccia due giorni prima.

Indossava una canottiera leggera bianca, con un paio di pantaloncini jeans. Capelli di un biondo chiaro – sembravano quasi gialli – e quegli occhi tanto teneri e di un verde fuori dal comune. Tutto in lui urlava “sono figo, saltami addosso”, persino quell'espressione che aveva indossato.

Un secondo di mancata lucidità a causa dei miei ormoni impazziti e ripresi fiato.

Ero rimasta troppo fuori da il giro nell'ultimo periodo: non mi si poteva presentare così davanti un bel ragazzo senza pensare che sono una... Ragazza.

Mi ignorò totalmente per la seconda volta.

«Magari ti faccio conoscere qualcuno...» mi chiese indirettamente, ovviamente pensando che non avessi uno straccio di vita sociale.

In effetti però era vero... Ops.

«E chi ti dice che non abbia amici?» rimbeccai.

Alzò un sopracciglio «Se per amici intendi il club del libro, non ho nulla da ridire»

Si stampò in faccia un bel ghigno, sicuro di avermi distrutta l'autostima.

Chiusi gli occhi per calmarmi respirando l'odore del mare.

«Grazie» perché anche a me sembrava che non fossi minimamente convincente? «Ma preferisco trovarmeli da sola gli amici» calcai l'ultima parola, facendogli capire indirettamente che lui non ci avrebbe mai fatto parte.

Mugugnò un “uh-uh” come risposta.

Guardai l'orologio, accorgendomi che avevo ritardato di un po' sulla tabella di marcia.

Raccolsi le mie cose nel giro di due secondi e lo salutai velocemente borbottando un “ciao”, ma Luca richiamò la mia attenzione.

«Ehi, dove credi di andare?»

«A drogarmi in qualche vicolo buio, così poi posso essere assalita da qualche serial killer»

Sarcasmo, l'ancora di salvezza nella mia vita.

«E io che non ti facevo ragazza da cose da bad girl»

«Infatti stavo scherzando, idiota» gli rimbeccai, infastidita dalle sue continue frecciatine.

«Ehi, frena i complimenti tigre. Io ti sto solo proponendo una serata alternativa alla tua routine!» si difese, usando odiosi nomignoli.

Socchiusi appena gli occhi, infastidita.

Cavoli, avrei potuto farci una lista con le cose che mi infastidivano al momento e avrebbe fato invidia ai Promessi Sposi.

«E dimmi, quale sarebbe la mia routine, secondo te?» finse di pensare, mettendo la mano sotto il mento.

«Direi... Leggere, libri, niente alcol, casa, chiesa direi...»

«Ma come ti permetti? Ho amici anche io, e se voglio posso bere quanto te!»

Con i miei urli avevo raggiunto l'ottava dei pipistrelli, ma non si scompose minimamente, neanche davanti alla vista della mano che avevo agitato in preda al nervosismo agitandogliela contro.

Quanto mi prudevano le mani dalla voglia che avevo di fargli male. Non mi era mai capitato così tanto, prima. Io, che ero sempre stata una ragazza tranquilla e diplomatica.

«Allora facciamo che domani ti sfido...» sorrise malizioso.

«Sfido?» gli feci eco. Mi aveva lasciata basita, totalmente.

Solitamente quando si urla davanti a una persona come avevo fatto io, quella si alza e risponde. Ma lui non lo aveva fatto, anzi la sua calma aveva un che di impressionante.

Era ancora là disteso che mi fissava, nella piena tranquillità, mentre io avevo perso la pazienza al minimo accenno di insulto.

«Bevute. Tu hai detto che riusciresti a bere quanto me, e io ti sfido» un ghigno gli tagliò quel viso che fino a pochi attimi mi era sembrato tanto dolce.

In effetti a dire quelle cose avevo fatto un salto nel vuoto, ma cosa potevo dire? Che stavo scherzando? Ci avrei rimesso la faccia.

No, dovevo accettare.

«Ok, quando?» per un attimo restò lui lo spiazzato.

Dentro di me stavo ridendo: finalmente avevo scalfito quell'indifferente calma che si sforzava di provare!

«Come siamo impaziente, tigre» ancora quel maledetto nomignolo «Che ne dici se facciamo subito?»

L'aria mi mancò all'improvviso e impallidii. No, subito no. Non potevo mettermi a ubriacarmi come se niente fosse in una cittadina in cui mi perdevo anche da sobria!

«Oppure» ghignò di fronte alla mia espressione terrorizzata «puoi già darmi la vittoria e te ne vai a casa a finire il tuo bel libro»

 

Ma che brutto pezzo di me...

 

«No, va benissimo. Dove?» sorrisi io, anche se era più una smorfia a dirla tutta. Magari avrei potuto chiedere al barista di versarmi acqua o coca cola al posto di alcolici.

 

Si, Veronica. E io sono Monna Lisa.

 

Ma taci coscienza pessimista. Non mi aiuti per niente!

 

Si tirò su, e dopo avermi riservato una lunga occhiata penetrante, sorrise tristemente, passandosi una mano sul viso. Forse era stanco, doveva aver giocato molto prima, a sentire l'intensità degli schiamazzi delle ragazze dal campo di beach volley.

«Ok, va bene. Hai vinto tu... Ti ho trattato male, ma sei stata tu a istigarmi!»

Eh? Avete un dizionario Luchese – italiano?

Prima mi dava delle ragazza casa-famiglia-chiesa, poi mi sfidava a gara di bevute, poi quando avevo finalmente acconsentito, si ritirava e mi chiedeva scusa? Se si potevano chiamare scuse, poi. Alla fine mi aveva dato tutta la colpa.

«Cosa avrei fatto io?» gli ringhiai contro. Non poteva chiedermi di rimanere buona in silenzio, no.

«Appena mi hai visto hai iniziato a fare la stronzetta verginella, scusa se mi sono incazzato!»

No, veramente. Non riuscivo a capire cosa intendesse.

«Scusa?» gli richiesi, magari così poteva darmi una risposta quantomeno decente.

«Io ho cercato di scusarmi per l'altro giorno, ma tu ti metti a fare la verginella di ferro, che appena le dici qualcosa si mette a fare casini e dire cose assurde!»

Ma che cosa aveva per la testa quel ragazzo? Davvero, non riuscivo a capirlo.

Alla fine sbottai anche io, di fronte alla sua arroganza.

«Ma lasciami in pace! Le tue scuse le ho già accettate e non mi sembra di essere così smaniosa di parlarti! Ma vattene da qualche ragazza che non sia una verginella di ferro! Dico sul serio, lasciami in pace!»

«Cosa? No no, scusa. Scusa scusa scusa...» cercò di fermarmi mentre camminavo verso casa.

«Mi offendi e poi mi chiedi scusa? Ma che hai in testa?»

Mentre gli avrei voluto dire: “vattene via brutto st...”. Stavo diventando piena di brutte parole negli ultimi giorni.

«Ok, lo so. Cerco di essere più carino adesso. Tu lascia che ti offra qualcosa, così non mi sento più in colpa. Va bene?»

Che senso aveva che gli rispondessi “apprezzo il gesto, ma no”? Glielo avevo detto troppe volte e lui aveva continuato a chiedermelo, ignorandomi totalmente.

Tanto valeva che accettassi e mi facessi regalare un oggetto inutile per poi tornarmene a casa.

Sospirai.

Se seguendolo contro la mia volontà lo potevo far stare zitto, lo avrei rincorso in capo al mondo, di questo ero certa.

Finalmente mi decisi, facendo evaporare tutta la mia aria da incazzata, almeno teoricamente.

«Ok. Vediamo cosa puoi fare per scusarti»

Mi rivolse un sorriso di cui non potevo negare l'autenticità, facendo brillare gli occhi che se possibile divennero ancora più belli.

«Un bacio?» ma si può essere più scemi?

«Una sberla?» gli risposi in modo da farlo sentire un idiota.

Ci pensò su qualche secondo.

«Va bene, tigre. Vedrò cosa posso fare»

 

 

 

 

 

Che lungooooo :)

Ho scritto veramente tanto oggi, mi faccio i complimenti da sola!

Clap clap per Annaaa!

Oook.

Non sapevo più come far finire la storia della “sfida”, perciò ho fatto dire qualcosa ai nostri protagonisti di un po' stupido (?).

Se pensate male, o che i loro discorsi non siano corretti, avvertitemi che proverò a cambiare qualcosa :)

 

Come al solito grazie di aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo!

Baci,

 

Anna

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