Cuori Imperfetti

di Christine_Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una settimana di pace & Primi amori. ***
Capitolo 2: *** Un cuore malato & un tutore protettivo. ***
Capitolo 3: *** Un incubo & un abbraccio caldo. ***
Capitolo 4: *** Un padre violento da temere & un dottore gentile. ***
Capitolo 5: *** Un cuore di mamma & una Punizione. ***
Capitolo 6: *** Un vero amico & una famiglia meravigliosa. ***
Capitolo 7: *** Una notte fredda & un fratellino affettuoso. ***
Capitolo 8: *** Una serie di stelle e una vita perfetta. ***



Capitolo 1
*** Una settimana di pace & Primi amori. ***


“…”: Pensiero del personaggio
“…” Riflessione del personaggio
____ : Cambio scena
 

Una settimana di pace & Primi amori.
 

Anche quella giornata grazie a Dio era finita.
Balthazar aveva terminato il periodo di convalescenza in ospedale, e il dottore  adesso poteva riaccompagnarlo a “casa”.
Le strade erano semi deserte, e Brook non andava di fretta.
La macchina sfrecciava con calma tra un lampione e l'altro.
Balthazar, seduto al suo fianco, si era addormentato da poco.
Stava meglio e si vedeva.
Il colorito del volto, era tornato, e il respiro non era più così forzato come negli ultimi tempi.
Il cuore, per quanto i medicinali facessero il loro dovere, andava tenuto sotto controllo.
Brook mise la freccia, e sorpassò una macchina.
Balthazar si sistemò sul sedile, appoggiando meglio la testa, sulla spalliera.
Il dottore, si voltò a guardarlo.
Gli sorrise.
Riposava così bene.
Ne aveva proprio bisogno.
Gli accarezzò il capo, tornando con gli occhi sulla strada.
Il volante era così delicato.
Brook inserì la marcia e accelerò un po'.
Balthazar si sistemò ancora, coprendosi meglio con il cappotto che aveva addosso.
La notte si faceva sempre più scura.
Brook guardò nello specchietto retrovisore.
Non c'era davvero nessuno per strada.
Sentì Balthazar lamentarsi nel sonno.
Secondi e si svegliò di colpo.
Ebbe giusto il tempo di capire, dove si trovava, dove stava andando.
Afferrò per istinto il braccio di Brook.
“Che cosa succede?” chiese Brook con tono quasi divertito, senza distogliere lo sguardo dal parabrezza.
Il ragazzo si ritrovò con il fiatone, e il volto appena sudato.   
Non era un comune incubo, che perseguitava la mente del giovane.
Strinse i denti.
Qualcosa faceva male.
“Che cosa succede Balthazar?” domandò subito il medico, ora seriamente preoccupato, dalla reazione del piccolo, controllando un po' la strada un po' il giovane che ora, sembrava davvero non stare per niente “meglio” dopo quella maledetta settimana passata in ospedale.
Una mano ferma sul cruscotto, l'altra stretta all'arto del dottore.
“Non ti senti bene?”
Afferrò il petto, stringendo gli occhi.
“Balthazar?”
Anche l'altra mano, si unì a quella già posta sul petto.
“Devo rallentare?” chiese il medico, poggiandogli una mano sulla spalla.
Il dottore ritornò a fissare la strada, sopportando il ragazzo, e guidando con una mano sola.
In tutta risposta, Balthazar, strinse più forte il petto, sbattendo con violenza la testa contro l'apposito appoggio.
“Accosto?”
Una mano di Balthazar dal petto, passò alla fronte.
Brook, non aspettò la sua risposta.
La freccia di destra iniziò a lampeggiare.
Si fermò.
Tirò il freno a mano.
Inserì le quattro frecce.
Rapido si slacciò la cintura, e aprì la portiera.
La richiuse con un tonfo, e veloce, fece il giro della macchina.
Aprì lo sportello del ragazzo.
“Balthazar...”
L'aiutò a sedersi lateralmente.
Le gambe fuori dalla portiera, i piedi sull'asfalto.
Gli sfiorò la fronte.
“Che cos'hai?” domandò in ansia il medico.
“Non lo so...mi ha preso lo stomaco...”
“Andavo troppo veloce?”
Scosse deciso la testa.
“No...non sei stato tu...”
“Forse ti ha dato fastidio la curva...avevi un po' di nausea?”
“ Sì...la sensazione spiacevole...era quella...”
“Ti ha girato un po' la testa?”
Annuì, massaggiandosi lo stomaco.
Il medico gli accarezzò il volto.
“Sicuro che non sia stato il cuore?”
“Sì, questa volta lui...non c'entra...”
Brook sorrise.
“Credo che sia stato solo un po' di stanchezza...” affermò il ragazzo, abbassando gli occhi.
Non lo sopportava davvero.
Sentirsi e dimostrarsi debole davanti agli altri.
Anche se c'era il suo apprensivo tutore, alle volte il panico e lo sconforto erano due sentimenti difficili da controllare.
“Forse ne sono causa anche i medicinali...lo stomaco vuoto...” continuò.
“Hai fame?” domandò buono l'uomo.
“Non voglio mangiare nulla...”
“Sono solo stanco...” insistette di nuovo timido.
“ Vuoi riposare un altro po'?” chiese dolce il medico.
“....”
“Manca ancora molto...ti vuoi stendere dietro?”
“No...va bene qui...”
“D'accordo.” sorrise buono Brook.
Il ragazzo contraccambiò quel tenero affetto.
“Davvero non vuoi dirmi dove stiamo andando?” chiese incuriosito Balthazar.
Il medico scosse il capo:
“Non riuscirai a convincermi...ti ho detto che è una sorpresa!”
“Ti prego!”
“No, niente da fare!”
Il dottore si rimise in piedi e domandò:
“Allora, ci rimettiamo in marcia?”
Il ragazzino annuì.
Brook gli sorrise, e ritornò al suo posto.
Salì in macchina, tolse la quattro frecce, e si sistemò di nuovo la cintura.
Tolse il freno e guardò il piccolo.
Balthazar, aveva chiuso la portiera, e con attenzione aveva appoggiato la testa sul sedile.
Chiuse gli occhi e sospirò.
“Sicuro che vada tutto bene?”
Balthazar li riaprì e li posò sul volto dell'amico:
“Sì, tutto a posto!” esclamò sicuro.
Brook gli accarezzò il capo, poi riaccese la macchina.
Controllò quella “sotto specie di traffico” e ritornò sulla strada.
Fecero un  paio di metri, in un silenzio quasi totale, fin quando...
...Balthazar, scosso da un brivido di freddo, si ricoprì nuovamente con il suo cappotto.
Si strinse sotto il suo calore, soffermando la stoffa fin sopra le spalle.
Contrasse le gambe, per combattere quel gelido improvviso.
“Hai freddo Balthazar?” chiese Brook svoltando a destra.
Il giovanotto, si strinse ancora di più sotto quella coperta improvvisata e si limitò ad annuire.
Brook controllò ancora la strada, prima di abbassare gli occhi sul condizionatore.
L'accese portandolo ad una temperatura adeguata, e subito quell'aria calda, si impegnò nel riscaldare tutto l'abitacolo.
Balthazar si rannicchiò nuovamente.
“Va un po' meglio?”
Non rispose.
“Eppure oggi, non fa tutto questo freddo...forse ti sta tornando la febbre...ti senti accaldato?”
“No, ti ho detto che sto bene!”
“Forse è meglio se ritorniamo a casa!”
“No, ti prego...è tutto a posto...sto già meglio...il freddo sta già passando...per favore, sono sicuro che sia solo stanchezza...” lo supplicò il giovane con voce sicura, ma terribilmente debole.
“Balthazar...è meglio non aggravare la tua situazione!”
“Ti prego Brook...” lo pregò di nuovo.
“Balthazar, dov'è il problema...starai con me lo stesso...soli io e te...a casa mia...”
“Lo so...ma...” iniziò incerto.
“I tuoi genitori sono già partiti...possiamo divertirci anche a casa.” lo rassicurò Brook.
“Non lo metto in dubbio Brook, ma...” riprese indeciso il ragazzino.
“Che cosa vuoi dirmi Balthazar?” domandò semplicemente il medico con voce calda.
“Tu hai bisogno di staccare la spina...Amber ti ha lasciato solo da due settimane...e tu mi sembri così cambiato!”
“Cosa vuoi dire con così cambiato?”
“Non sembri più tu...ti arrabbi con facilità, sembri sempre così triste...Non sei il Brook che io ho sempre conosciuto...”
“Balthazar...” incrociò gli occhi del ragazzino, accarezzandogli il volto.
“Com'è buono e gentile!” pensò con affetto il dottore.
“Se anche fosse, non posso permettermi di pensare a me...qui c'è in ballo la tua salute...”
“Non ti devi preoccupare...non è nulla di grave...” disse Balthazar sorridendogli.
“Mi farai sentire in colpa se ti ammalerai di nuovo!” rispose il dottore riportando la mano sul volante.
“Farò attenzione, te lo giuro...”
“Balthazar...” lo richiamò con dolcezza Brook, ritornando sulla strada.
“....cercherò di non sforzarmi troppo, promesso...ma prendiamoci questa meritata vacanza, per favore...”
Guardò di nuovo il giovane.
“Sei sicuro di farcela...che non sia nulla di grave?” domandò un po' in ansia.
“Per favore.” lo scongiurò il ragazzino.
Il medico guardò di sottecchi il giovane.
Gli sorrise e con dolcezza gli scompigliò i capelli:
“Come farei io senza di te!” esclamò contento il medico.
Balthazar rise allegro, sotto le carezze del medico.
“Ti ringrazio Balthazar!” disse infine Brook.
Balthazar si stupì.
Perchè l'aveva appena ringraziato?
“Perchè mi hai ringraziato?”
Brook rise tra se e se:
“ Perchè malgrado tutto quello che ti è successo,ti preoccupi per chi ti è accanto, è molto saggio e premuroso da parte tua.” gli disse sincero.
“Tu sei sempre stato premuroso e gentile con me...non ho fatto nulla di speciale...”
Brook gli sfiorò di nuovo il viso:
“Che bravo bimbo!” gli disse fiero.
Balthazar sorrise lieto.
Sentiva gli occhi pesanti.
Si li strusciò un po' per convincersi a rimanere sveglio.
“Sei stanco?” domandò il medico.
Balthazar annuì, senza dare peso al gesto.
Chiuse gli occhi.
Si addormentò, vegliato dallo sguardo protettivo del suo tutore.
______
 
“Balthazar!” chiamò piano il dottore.
Il giovane dormiva beato, rannicchiato su sedile.
“Balthazar!” chiamò di nuovo.
“Sveglia.” gli disse accarezzandogli il capo.
“Siamo arrivati?” chiese il giovane ancora assonnato.
Brook annuì, ed indicò davanti a sé.
Un tetto di tegole colore mattone, spiccava solare, tra le foglie del boschetto che stavano attraversando.
Pochi metri, e il sentiero si affacciò su di una casetta in mattone bianco.
Piccole lanterne illuminavano il dintorno donandogli un'atmosfera da favola.
Il bambino rimase meravigliato, gli occhi sognanti e la bocca aperta.
Le mani e il volto, appoggiati contro il finestrino, per vedere meglio.
“Brook, ma dove siamo?” chiese stupito.
Non conosceva quel posto.
Il sentiero in terra che stavano percorrendo non gli era famigliare, gli alberi che circondavano quel paradiso non gli aveva mai visti, e quel laghetto in lontananza, in cui si rispecchiava la luna piena, circondato da un maestoso giardino profumato, non lo conosceva affatto.
Il dottore guardò sereno il giovane che si godeva la scena.
Fermò la macchina. Erano arrivati.
Balthazar si ricordò di colpo:
“La sorpresa...”
“E' questa la sorpresa di cui parlavi?” chiese meravigliato voltandosi verso l'amico.
Brook gli sorrise con affetto e annuì.
“Questa è casa di mio nonno!”
“Tuo nonno?”
“Sì, è la mia eredità...ci vengo a passare i periodi invernali e primaverili....i più belli dell'anno...ci vengo sempre da solo...per riflettere, per godermi un po' di pace...e ho pensato che poteva far bene anche a te...tu sei il suo primo ospite!” disse tranquillo il medico.
Guardò il volto del ragazzino.
Deglutì.
“Lo so, non è un Luna Park...ma è un luogo tranquillo, e l'aria fresca ti farà bene alla salute.”
“Ti aspettavi qualcosa di diverso?”
“No, è perfetto!” disse il ragazzino.
“Quanto disturbo però ti sei preso per me Brook” disse il piccino mortificato.
“Disturbo?” chiese l'altro non capendo il discorso del giovanotto.
“Sì, mi hai accompagnato in ospedale per la mia visita mensile, sei rimasto vicino a me in quei due giorni di convalescenza, e ora mi permetti di dimorare nella casa di tuo nonno, solo perchè può farmi bene alla salute...è davvero tanto...”
A Brook invece sembrava di aver fatto così poco.
“Balthazar, ti sei mai soffermato a pensare che ho fatto tutto questo solo perchè, per me non era un problema e mi fa piacere stare in tua compagnia?!”
“Dici davvero?”
Brook abbassò gli occhi sul volto del piccolo.
Con dolcezza gli sorrise.
“Sì Balthazar...dico sul serio!” affermò il medico sfiorandogli con affetto il volto.
Il giovane sorrise felice.
“Dai vieni...ti devo presentare delle persone!” disse entusiasta il medico.
Scese dalla macchina seguito da Balthazar.
Chiuse l'auto e fece strada al giovane.
La casa era sempre più vicina. Era così bella e ben illuminata.
Si respirava un'aria così serena e tranquilla.
C'era calore e familiarità da per tutto.
Davanti a lui, una bella signora gli stava correndo incontro per aprirgli la porta.
“Dottor Brook...Bentornato!” esclamò felice la donna.
“Signora Izumi...che bella ospitalità!” sorrise felice il medico.
Si avvicinò alla donna, per sfiorargli le guance:
“Mi dispiace, sono mortificato...non era mia intenzione farvi tardare così tanto!” aggiunse dopo l'uomo con un nuovo sorriso solare.
“Non si preoccupi Dottore...fatto buon viaggio?”
“Sì...è stato un viaggio tranquillo.”
Balthazar si avvicinò al tutore.
“Ah, signora Izumi, mi permetta di presentarle il mio piccolo ometto...Balthazar Rayback!” esclamò felice il dottore cingendo le spalle del ragazzo.
Il ragazzino sorrise intimidito e subito aggiunse:
“E' un piacere signora!” esclamò educato.
“Il piacere è tutto mio signorino!” rispose lei chinando appena il capo.
Signorino?
Balthazar non capiva, era confuso.
Perchè signorino?
Alzò gli occhi su Brook stranito.
Quel volto strappo un sorriso al medico.
Si avvicinò al suo orecchio:
“Ti spiego tutto dopo!”
Gli scompiglia con dolcezza i capelli.
“Ma sei da sola?” chiese educato Brook.
“No, ci sono mia madre e mia figlia in casa...ma prego, entrate nella vostra dimora!” disse invitante la donna, accogliendoli gioiosa.
Si fece da parte, per farli entrare.
Balthazar seguì curioso il medico.
La casa era confortevole e spaziosa.
Ben decorata, luminosa e bella.
Balthazar si ritrovò nell'ampio salone.
Brook cordiale e solare come prima, stava salutando una vecchietta arzilla, e una piccola fanciulla.
“Balthazar, ti presento la nonnina Mei...” presentò il medico indicando con un palmo aperto della mano la signora anziana.
“...e la piccola Yoko!” esclamò infine con un sorriso.
Balthazar sorrise cortese:
“Felice di conoscervi!” esclamò educato.
“Il piacere è tutto nostro signorino!” disse la nonna.
La bambina invece in tutta risposta, rise felice e chinò il capo in segno di saluto.
Balthazar rimase affascinato da quella piccolina.
Gli sorrise felice, e imitò il suo gesto.
Chinò il capo e le disse:
“Piacere di conoscerti Yoko!” esclamò educato.
Lei sorrise entusiasta.
Brook si avvicinò al piccolo e gli posò una mano sulla spalla.
Balthazar alzò gli occhi sul medico che tranquillo gli fece l'occhiolino come per dire: ben fatto.
“Ora è meglio se andiamo...sarete stanchi.” disse con gentilezza Izumi.
“Sì...grazie infinite!” rispose educato il medico.
“Venite, vi accompagno.” propose poi.
“Buona notte signorino.” augurò la nonna.
“'Notte nonnina.” rispose lui senza farsi problemi.
“Su vieni Yoko...andiamo.” disse la madre alla piccola prendendola per mano.
Izumi sorrise lieta al ragazzino.
La piccola invece fece ciao ciao con la manina.
Balthazar concesse un sorriso tenero ad entrambe e le salutò con la mano.
Rimase solo nel salotto.
Senti la porta di “casa” chiudersi.
Balthazar sospirò stanco e si mise a sedere sul divano.
“Allora come ti sembrano?” chiese curioso il medico.
“Sono davvero simpatiche.” rispose solare Balthazar.
“C'è qualcosa che non va?” domandò il dottore sedendosi accanto al ragazzino.
“No, sono solo stanco.”
“Capisco...”
“...beh infondo si è fatto tardi... “ rispose Brook alzandosi.
“...vieni, ti mostro dov'è la tua camera.”
“Brook, perchè mi chiamano signorino?” domandò improvvisamente Balthazar senza muoversi dal divano, obbligando così il medico a ritornare su i suoi passi.
“...io non sono il loro signore.” aggiunse deciso.
“Lo so piccolo, ma vedi...è solo il loro modo per dimostrarti rispetto e affetto.” spiegò senza fretta l'altro.
“Ma è giusto?” chiese Balthazar.
“Io non sono neanche tuo figlio.” aggiunse poi.
“Questo non vuol dire niente.” rispose sicuro il medico.
“Non c'è nulla di male...è solo un onorifico che ti concedono, tutto qui.”
Balthazar annuì poco convinto cercando di nascondere uno sbadiglio.
“Scusa...sono davvero sfinito.” spiegò.
“Dai su...ne parliamo domani...ti accompagno a letto.” sorrise cordiale il medico.
Brook fece strada al ragazzo accompagnandolo su per le scale.
“Brook...” chiamò calmo il ragazzo.
“Sì, dimmi Balthazar.”
“Ma la piccola Yoko, non parla?”
Brook sorrise:
“No, parla e come, solo è molto timida, anche con me le prime volte non proferiva parola.”
“Ah...” esclamò sorpreso.
“E' carina,eh?”
Balthazar arrossì appena:
“Sì...sembra molto dolce.”
“Ed ha la tua stessa età.” notò sarcastico il medico.
“Ma che...!” non riuscì a finire la frase.
“Che cosa vuoi dire con questo?” chiese imbarazzato il giovane.
“Niente...non voglio dire assolutamente niente.” sorrise il medico.
“Come le hai conosciute?” chiese poi il piccolo per cambiare a rgomento.
“Loro si sono occupate di mio nonno, quando io non potevo, e dopo la sua morte, non mi sono sentito di lasciarle andare chissà dove, gli ho permesso di vivere nella vecchia casa sul sentiero, gli ho permesso di arredarla come meglio credevano, infondo quella casa era abbandonata da secoli...ma era ancora in perfetto stato... quando avevo un po' di tempo libero venivo ad aiutarle con il trasloco e la sistemazione... in cambio quelle tre donne si sono prese la briga di pulire e sorvegliare la casa di mio nonno...quando né io né mia sorella ci siamo...così facendo gli ho offerto anche un lavoro onesto e pagato.” spiegò tranquillo come se la cosa fosse successa solo una settimana fa.
“Che uomo buono.” pensò sincero Balthazar.
La rampa di scale finì, e Brook si soffermò vicino ad una porta, a pochi passi dagli ultimi gradini.
“Eccoci qui...questa sarà per un po' la tua stanza.” disse il medico aprendo la porta della stanza.
“Wow...quanto è grande.” rimase sorpreso il piccolo.
“Ti piace?” chiese Brook.
“Non è male.” rispose Balthazar incrociando gli occhi del medico.
Era una modesta camera da letto.
Carta da parati zafferano vivo, con affreschi continui di piccole onde celesti, un letto dal materasso ampio e comodo, nascosto da una trapunta leggera azzurra, una scrivania con “infiniti” cassetti in legno con una lampada in porcellana, un grande armadio, un tappeto che nascondeva quel tanto il parquet su cui “riposa”  un tavolino circolare con due sedie, dal legno fine, rifinito e lucido.
Semplice, dalle sembianze antiche, ma confortevole.
“Questa un tempo era la mia stanza.” spiegò il dottore.
Balthazar spalancò la bocca.
Non se l'aspettava.
“Dici davvero?” domandò.
Il medico annuì come se fosse ovvio.
“Sentiti libero di cambiarla come vuoi.” gli disse solare.
Balthazar rimase ancora un po' a vagare con gli occhi in quella bella camera.
Faceva una certa fatica ad immaginare un Brook della sua stessa età, che passava lì dentro alcuni dei suoi pomeriggi nel periodo estivo.
Era difficile immaginarlo seduto a quella scrivania, o a quel tavolino mentre continuava i suoi studi e le sue lezioni, o ancora sdraiato in quel letto con in mano un buon libro.
Faceva strano, ma la cosa non dispiaceva affatto a Balthazar.
Quanto poteva essere diverso una persona così buona in giovane età?
“Ah...no, va bene così....” rispose in fretta il giovane.
“Se hai bisogno di me, sono nella stanza accanto.” gli disse Brook.
“Va bene Brook.” rispose tranquillo l'altro.
“Puoi utilizzare i pigiami che trovi nell'armadio...” gli disse il medico.
“...poi domani porterò in camera la tua valigia.”
“Va bene...”
Avrebbe indossato i pigiami di Brook?
“Che cosa buffa.” pensò divertito Balthazar.
“Ora è meglio se ti lascio dormire... “
“...ti aspetta una settimana intensa qui.” gli disse divertito il medico.
“Lo so.” rispose felice il ragazzino.
“Buona notte Balthazar.” augurò il medico accarezzandogli la testa.
“Buona notte Brook.” rispose lui contento.
Sorrisero.
Il medico chiuse la porta, con attenzione lasciando solo il ragazzino.
______
 
Balthazar si svegliò frastornato.
Il letto era davvero comodo, ma come sempre il suo sonno era stato un po' agitato.
Guardò l'orologio erano solo le otto e mezzo di mattina.
Si alzò dal letto.
Si infilò la maglietta leggera sul pigiama.
E si avvicinò alla finestra.
Scostò le tende.
Il tempo prometteva bene.
Sospirò confortato, e lasciò ricadere il tendaggio.
Scese le scale.
S’incamminò per la cucina.
Si sentiva a casa sua.
“Buongiorno Balthazar.” esclamò solare il medico vedendolo entrare.
“Ciao Brook.” disse piano in risposta l'altro.
Si mise a sedere a capo tavola.
“Vuoi fare colazione.”
Balthazar scosse il capo, triste.
“Come mai niente colazione?” domandò curioso il medico.
“Non hai fame?” chiese ancora.
“Mhm mhm...” rispose vago il ragazzino.
“Tutto a posto?” osò il medico.
Gli sembrava così giù di corda.
“Che succede Balthazar?”
Spostò la tazzina del caffè e attese una sua risposta.
Incrociò le braccia e guardò il piccolo con affetto.
“Che c'è che non va?” chiese Brook.
“Posso uscire oggi?” chiese educato.
“Ma certo... “ rispose il dottore sorseggiando il caffè.
“Dici davvero?” chiese felice.
“Perchè tanto sorpreso Balthazar...?” quasi chiese stupito il medico.
“...ti sei sentito poco bene ultimamente ma non è stato nulla di grave, non sei obbligato a letto, devi solo riposare...” precisò di nuovo il dottore.
Infondo così aveva detto i medici, aveva bisogno di molto riposo, per non agitare troppo e ulteriormente il cuore già sotto sforzo.
“... e infondo sei qui per rilassarti...se oggi vuoi uscire, puoi ben farlo...”
“...basta che fai attenzione e che non ti allontani troppo dalla mia sorveglianza...” disse con un sorriso il medico.
“Va bene Brook...vado subito a cambiarmi.” disse allegro.
Uscì lesto dalla stanza e percosse in fretta le scale.
“Grazie!” sentì risuonare con gioia da metà scala.
Brook sorrise divertito.
_____
 
Il sole era veramente caldo e Balthazar voleva solo godere del suo calore.
Lasciò scorrere la porta che dava sul giardino.
Rimase un po' sotto la tettoia di legno a godersi il panorama.
Un ampio giardino, vivo e colmo di verde.
Una leggera fragranza di fiori, trasportata da un leggero vento.
Scese il gradone, e s'incamminò sul sentiero.
Continuava a stringere sotto il braccio il volume che aveva deciso di iniziare a leggere.
Quel posto gli piaceva molto.
Era così tranquillo.
Attraversò il piccolo ponte in pietra.
Si ritrovò sull'altra parte del giardino.
Respirò a fondo l'aria buona.
Guardò di fronte a sé.
Sorrise.
Lì a due passi da lui tra i giochi dei raggi del sole, tra il verde chiaro che si mischia allo scuro, tra i colori dei fiori, riposava un lago.
Le sue acque limpide e fresche, rilassarono il cuore malato del giovane.
Si sdraiò su quell'erba morbida.
Lasciò al suo fianco il libro.
Poggiò la testa con attenzione su di un sasso abbastanza grande riscaldato dal sole.
Sospirò sereno, osservando le soffici nuvole che si spostavano lente.
La camicia bianca svolazzava in quell'area di pura pace.
Incrociò le braccia e le poggiò dietro la nuca.
Chiuse gli occhi.
“Quanta pace.” disse tra se.
Senza volere poggiò una mano sul cuore.
Massaggiò il petto.
Non gli dava fastidio da due giorni.
Era una cosa positiva.
Si lasciò accarezzare ancora dal sole.
“Vi piace qui signorino?” si sentì chiedere.
E quella domanda improvvisa non l'aveva spaventato, come spesso accadeva.
Balthazar alzò il capo, per guardare indietro.
“Yoko...ciao.” salutò felice il giovane.
Si mise seduto senza fatica e incrociò gli occhi della ragazza.
Lei gli sorrise con simpatia.
“Sì, mi piace molto stare qui...”
“...è molto piacevole.” rise lui.
“E a te piace vivere qui?” domandò poi Balthazar.
La piccola Yoko si avvicinò al lago.
Tolse le sue scarpette nere, e le lasciò sul prato.
“Io amo vivere qui...” disse lei avvicinandosi all'acqua.
Alzò un pochino lo yukata rosa, ornato da piccole orchidee blu.
“...Il dottor Brook è stato tanto gentile con noi... e io ho sempre sentito questo luogo come casa mia!” sorrise lei.
Immerse i piedi in quell'acqua fresca.
“Non c'è posto più bello di questo.” disse sincera.
Balthazar rimase affascinato.
Era così bella e semplice.
Capelli neri legati sulla testa, decorati da due bacchette, occhi fini ed estremamente chiari, pelle bianca, e labbra rosse come una ciliegia.
Baciata dai raggi del sole, riflessa nelle acqua cristalline di quel lago.
“Parlo troppo è vero?” chiese lei quasi imbarazzata.
“Mia madre me lo dice sempre.” scherzò poi.
Balthazar scosse il capo, sorpreso dalla domanda.
“Yoko...lascia stare il signorino...e vieni ad aiutare la nonna.” la riprese la madre tranquilla.
“Sì mamma...arrivo subito.” rispose lei svelta.
Abbandonò le rive, si rimise le scarpette e corse via.
“Buona giornata” disse lei chinando appena il capo.
Balthazar le sorrise e:
“Grazie per la chiacchierata.”  la ringraziò cortese.
Lei in tutta risposta, divertita, gli fece l'occhiolino e gli mandò un baciotto.
Balthazar cercò di nascondere il suo lieve rossore.
Cosa che molto probabilmente lei non notò...era già lontana.
Salì svelta il gradone e rimase lì ferma a capo chino ad ascoltare “la ramanzina” della madre che la riprendeva con sguardo dolce e dito alzato.
Poi sparì dentro casa.
Balthazar sorrise divertito.
Come se qualcuno gli avesse appena detto una barzelletta.
Sospirò e calmo si rimise giù.
Osservò ancora un po' l'incanto della natura.
Si lasciò sfiorare ancora dal sole.
Poi prese il libro, e in quel paradiso iniziò a leggere.
_____
 
Aveva letto quasi metà libro, quando iniziò a fargli male la testa.
Sospirò e lasciò il libro aperto.
L'appoggiò sull'erba soffice.
Si strusciò gli occhi.
Era stata una mattinata così tranquilla e serena.
Una mattinata di certo diversa dalle altre.
Priva di “strani incidenti” e “assurdi rimproveri”.
Una giornata tranquilla per un tranquillo mago malato di cuore.
Balthazar sentiva gli occhi farsi pesanti.
Provò a resistere all'impulso di addormentarsi, ma non ci fu niente da fare.
Chiuse gli occhi e il sonno prese il sopravento.
____
 
“Miao.”
Balthazar stava ancora riposando, tant'è che credeva di aver solo sognato quel miagolio.
“Miao...” sentì di nuovo.
Ma questa volta qualcosa di soffice e peloso, si strusciò vicino alla sua gamba.
Aprì gli occhi senza agitarsi troppo, cosa che di norma non succedeva.
Guardò verso il basso e:
“Ciao piccolino!” esclamò stanco.
Si massaggiò un po' gli occhi e si mise a sedere.
“Ciao miciotto.” disse ancora allungando la mano verso il micetto.
Il piccino si mise a sedere, osservando curioso “la strana cosa color pelle”.
“Vieni qui piccolo...non ti faccio niente.” lo incoraggiò Balthazar allungando di più la mano.
Il piccolo micetto si buttò per terra, tirò fuori i piccoli artigli e iniziò a giocare con le dita del giovane, che davanti a quella scena rise tra se.
“No così piccino...finirai con lo sporcarti tutto.” gli disse.
Gli accarezzò la testa, e sembrava non dispiacere alla piccolo batuffoletto di pelo bianco.
Balthazar lo vide scodinzolare festoso.
“Ah, allora ti piace...?” chiese il giovane grattandogli dietro l'orecchio.
“Miao!” miagolò lui allegro in risposta.
Senza troppa fatica Balthazar lo raccolse da terra.
Era così leggero da non sembrare vero.
Si sdraiò di nuovo, rannicchiandosi un po'.
Piegò le gambe, e questa volta poggiò le spalle contro il sasso, così da tenere la testa appena sollevata, in modo tale da non sforzare il collo.
Il piccolo gattino si acciambellò sul suo petto, vicino al cuore.
“Sì sta bene, eh?” gli chiese poi, accarezzandogli sotto il mento.
Il micetto non disse nulla.
Si limitò a chiudere gli occhi e a godersi le coccole.
Balthazar  continuava a stuzzicargli il mento.
Gli piaceva a tal punto che iniziò a fare le fusa.
Balthazar sorrise intenerito.
Non aveva mai avuto un animale.
Lui avrebbe tanto voluto avere un cane.
Il micetto miagolò di nuovo.
“Hai fame?” gli chiese con dolcezza Balthazar.
Il piccoletto miagolò infastidito.
“Che succede?” chiese il giovane.
Sentì una goccia di pioggia sfiorargli la mano.
Il ragazzo alzò il capo.
Un'altra goccia gli toccò la punta del naso.
“Sta iniziando a piovere.” osservò con tristezza Balthazar.
“Meglio se rientro in casa.” disse alzandosi.
Prese in braccio il gattino e nascose il libro, per evitare che si bagnasse.
Non ebbe neanche il tempo necessario di fare un passo, che il cielo si oscurò e una pioggia battente  sorprese il giovane mago, che in meno di un secondo rischiava di essere bagnato fino all'osso.
Rapido, percosse il giardino, cercando di evitare le pozze di fango già formatesi.
“Balthazar!” si sentì chiamare.
Alzò lo sguardo.
“Brook!” chiamò forte il ragazzo.
Il medico corse da lui.
Aveva una giacca come riparo.
Si avvicinò al ragazzino.
“Su, presto...torniamo a casa.” gli disse accogliendolo sotto la giacca nera.
Il giovane annuì, e rapido seguì il passo del medico.
Quando finalmente furono sotto la tettoia in legno, i due si fermarono a riprendere fiato.
Brook lasciò cadere a terra la giacca zuppa.
Si avvicinò al piccolo.
“Tutto bene?” chiese sedendosi al suo fianco.
Balthazar annuì, cercando ancora di riprendesi.
Alzò gli occhi sul medico.
Si guardarono per un paio di secondi...
...poi scoppiarono a ridere.
“Che cosa strana!” esclamò Balthazar meravigliato.
“E' iniziato a piovere senza una precisa ragione.” disse divertito.
Rise di nuovo accompagnato dal medico.
Brook con affetto gli passò una mano tra i capelli bagnati:
“Ti piace stare qui?” gli chiese con dolcezza.
“Sì, Brook...è tutto meraviglioso.”
“Ti stai divertendo?”
“Come mai prima d'ora!” confessò il piccolo.
Il medico sorrise solare di fronte alla spontaneità del giovane.
“Mi fa piacere.”
Brook notò il volume che Balthazar aveva lasciato scivolare per primo.
“Hai iniziato a leggere.” disse sfiorando la copertina.
“Sì, ho trovato la biblioteca di tuo nonno...mi dispiace, non ho chiesto il tuo permesso per il libro...scusa!” disse mortificato il giovane.
“No, figurati...va bene.” gli sorrise affettuoso il medico.
“Sì è bagnato?” chiese preoccupato il piccolo.
“No...è intatto.”
“Meno male...è un libro meraviglioso.”
“Già, il mago di Oz...è incantevole.”
Sentirono miagolare.
Abbassarono gli occhi.
La piccola palla di pelo bianca dagli occhi verde acqua, li stava guardando.
Era appena uscito con difficoltà da sotto la giacca.
Era zuppo esattamente come loro.
I due risero di nuovo.
“E tu chi sei?” domandò Brook, avvicinando il gattino.
Brook accarezzò la testa del cucciolotto.
“E' tuo Balthazar?” chiese incrociando gli occhi del giovane.
“No, è venuto da me, quando ero in giardino...” spiegò tranquillo.
“...credo che sia di Yoko...”
“Ah, beh...” iniziò Brook alzandosi.
“...in ogni caso non possiamo lasciarlo qui da solo.” disse Brook prendendolo in braccio.
“Coraggio andiamo dentro a riscaldarci.” affermò Brook, allungando una mano verso Balthazar.
“Ci facciamo una cioccolata calda?” chiese Brook al suo giovane amico.
Balthazar si alzò in piedi, e strinse la mano del dottore.
Gli sorrise.
“Mi piacerebbe tanto.”
_____
 
Brook entrò piano nella stanza di Balthazar.
Era notte fonda, e voleva controllare come stava.
Fece cenno al piccolo micetto di fare silenzio.
Si avvicinò al letto del ragazzino.
Sembrava dormire tranquillo.
Sorrise.
“Mi raccomando micetto pensaci tu a fargli compagnia,capito?” disse rivolto al gattino.
Lui miagolò felice in risposta.
Il medico sorrise di nuovo.
Accarezzò la testa di Balthazar:
“Buona notte, mio piccolo mago!” gli disse con dolcezza.
Gli baciò la fronte.
Lo coprì meglio.
Strizzò l'occhio al micetto.
E uscì dalla stanza.
______
 
La notte era passata in un soffio.
O almeno così parve a Balthazar.
Che appena sveglio sentiva ancora il grande bisogno di dormire un altro po'.
Si rigirò nel letto, e sospirò affaticato.
Sentiva le ossa fargli un po' male, come quando il corpo rimane fermo per troppo lungo nella stessa posizione.
“Miao!” arrivò quel miagolio felice al suo orecchio.
Sentiva quattro piccole zampette farsi strada sulla trapunta.
“Miao!” salutò felice, quando “avvisto” il volto di Balthazar.
Balthazar gli sorrise con affetto, malgrado la stanchezza.
Iniziò a strusciarsi accanto al suo collo in cerca di coccole.
“Non ora micetto.” gli disse con calma.
Lo prese con attenzione, e l'appoggiò al suo fianco.
Si rannicchiò con cura su di un lato, permettendo alle coperte di imitare il suo gesto.
Nascose dietro la mano, il suono sinistro, di una tosse sommessa.
Qualcosa di morbido, si accoccolò contro il suo petto contratto.
“Miao...miao...miao...” disse il micetto con un che di preoccupato.
_____
 
“Balthazar posso entrare?” chiese il medico l'indomani.
Aprì la porta senza aspettare risposta.
Il suo giovane amico, era ancora a letto.
Sulle spalle solo la sua maglietta per ripararlo dal freddo.
“Buongiorno Balthazar.” salutò solare il medico.
Guardava fuori dalla finestra, fermo sotto le coperte, con il micetto acciambellato sullo stomaco, che accettava le sue carezze.
“Buongiorno Brook.” salutò lui triste, quando si rese conto della presenza dell'amico.
“ Che cosa succede? Come mai non sei ancora andato in giardino?”.
“....”
“Non ti senti bene?” gli chiese subito il medico.
“Credo che quel poco d'acqua presa ieri non mi sia stata d'aiuto.”
“Allora è meglio se oggi rimani a riposo.”
“Vuoi che chiami Yoko per farti compagnia?” domandò subito Brook.
“No, lascia stare...tanto c'è Ai con me.” rispose svelto Balthazar accarezzando la testa del piccolo micetto.
Già, avevano scoperto che il micetto era effettivamente di Yoko, e il piccoletto era scappato dalla sua cuccetta perchè si “sentiva solo”.
Ai, questo era il suo nome, è in giapponese voleva dire Amore.
E ora il piccoletto “vagabondava” da una casa all'altra in cerca di coccole.
Brook sorrise, e gli sfiorò la fronte:
“Niente febbre, è già un bene.” disse fiducioso il medico.
“Già...ma lo stesso per il momento preferirei rimanere a letto.”
“Puoi scendere un po' in salotto, se te la senti.”
“Magari più tardi...”
“Brook...” chiamò poi il ragazzino.
“Sì Balthazar...?” chiese il medico incrociando i suoi occhi.
“Non posso scendere neanche un pochino, per andare al lago a leggere...?”
“Forse questo pomeriggio, se il tempo migliora.”  precisò il medico annuendo.
“Ma Brook...mi piace tanto stare lì...è così piacevole...anche al mio cuore non dispiace...”
“Balthazar...” lo riprese con dolcezza il medico, ma con un tono che non ammetteva repliche.
“Ho capito...” affermò Balthazar sospirando sconfortato.
Il medico gli accarezzò testa con affetto:
“Sai che lo dico per il tuo bene.”
“Lo so...” disse onesto e grato Balthazar.
Il medico gli sorrise con affetto:
“D'accordo...ti lascio riposare.” concluse il medico.
Gli baciò la guancia e aggiunse:
“Sono di sotto, se hai bisogno di me.”
“Va bene.” annuì il ragazzino, fermandosi ad osservare il medico, mentre giocava con l'orecchio destro del piccolo micetto.
“Ci vediamo dopo.” affermò il medico chiudendo la porta.
Balthazar gli sorrise e lo salutò con la mano.
Con dolcezza posò Ai, accanto a se, e tranquillo aprì il primo cassetto del suo comodino, per prendere la copia del “Il mago di Oz”.
La lettura era così piacevole in quella casa.
______
 
Balthazar scese con calma le scale.
Ai lo seguiva felice.
Di tanto in tanto si intrometteva tra le gambe del giovane, obbligandolo a fermarsi per non cadere.
Ma per quanto volesse non riusciva a rimproverarlo di stare attento a non farlo inciampare.
Ogni volta Balthazar si fermava, lo lasciava passare avanti concedendogli un lieve sorriso.
Si avvicinò al salotto, e alla porta che dava sul giardino.
La lasciò scorrere.
Ai si precipitò fuori.
Ma si fermò sotto la tettoia.
Miagolò triste.
Balthazar uscì per avvicinarsi al gattino.
“Lo so Ai, piove...oggi niente giardino.” gli disse accarezzandogli la testolina.
Lo prese in braccio, e si soffermò ad osservare la pioggia.
Per quanto potesse essere fastidiosa in quella giornata, aveva il suo fascino.
Non aveva lo stesso “peso” e la stessa “tristezza” che aveva quando era a casa sua.
Lì era diversa, era quasi piacevole e di compagnia.
Non gli dava fastidio.
Era ipnotica e rilassate.
Era perfetta come quel posto di pace.
“Balthazar, rientra dentro, questo tempo è veleno per il tuo corpo.” si sentì dire.
“Arrivo Brook.” rispose voltandosi verso il medico, che l'attendeva appoggiato alla cornice della porta.
Ritornò sulla pioggia.
“Adesso Balthazar.” lo riprese con tenerezza il medico.
“Sì.” rispose il piccolo un po' triste.
“Mi dispiace Balthazar...ma bisogna essere prudenti.” gli spiegò con cura il medico, cingendogli le spalle, per aiutarlo ad entrare in casa.
Richiuse la porta.
“Lo so Brook.” rispose tranquillo il ragazzino.
Gli sorrise.
E il medico non riuscì a capire.
Gli aveva appena detto che non doveva fare una precisa cosa.
Ogni ragazzo della sua età si sarebbe “offeso”.
Lui invece gli aveva sorriso.
E non era un sorriso qualunque.
Era così carico di vita e d'affetto.
Ed era rivolto proprio a Brook.
“Vedrai...ci divertiremo anche in casa.” gli disse sicuro il medico.
“Con te...per forza.” rispose solare il piccolo, mettendosi a sedere sul divano.
“Con te tutto è sempre divertente.”
 
Quella è stata una delle poche volte, l'unica settimana in cui sono stato, veramente felice.
 
 
 
Note dell’autrice:
Vi prego, mettete giù quelle mazze!
Non è stata colpa mia, mi hanno richiesto questa ff, io non volevo mettere questo obbrobrio!
Ma cercate di mettervi nei miei panni…voi sareste mai stati capaci di resistere di fronte a due faccine minacciose e terrificanti?!
No, appunto!
Comunque se c’è qualche buona anima, che ha apprezzato la storia, mi permetto di spiegare alcuni punti:
-Istinto: Utilizzo questa parola all’inizio solo perché Balthazar di norma, non si affida d’istinto agli altri, è molto sulle sue.
-Brook ogni qual volta Balthazar affronta una crisi della sua malattia autoimmune, si sente in colpa, perché vorrebbe fare di più per lui. Ç_ç
-Balthazar è convinto di essere un disturbo vivente per colpa del padre.
-Izumi: Vuol dire Primavera in giapponese.
-Mei: Vuol dire Germoglio di vita in giapponese.
-Yoko: Significa Bambina dell'oceano in giapponese. Yoko deve rappresentare la prima cotta di Balthazar, la prima fidanzatina a cui lui non riesce a dichiararsi, ecco perché spesso imbarazzato e timido di fronte a lei.
Cosa che in verità non è mai. :D
-Pace: Ho utilizzato proprio questa parola, perché è il primo periodo in cui Bryan da di matto. La pace per Balthazar, sia mentale che fisica, è solo un utopia.
-Yukata: Tipico abito giapponese utilizzato in questo caso per la casa.
- La descrizione della casa e del giardino sono un omaggio al film Arrietty di Miyazaki.
 
Ah, Mi ero ripromessa di creare un Brook meno ansioso…mi è venuto l’effetto opposto. -__- La prossima volta uso il pensiero inverso.
In ogni modo un grazie di cuore a tutti quelli che leggeranno e recensiranno.
Bacio ^3^
Chris.
 
 

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Capitolo 2
*** Un cuore malato & un tutore protettivo. ***


“…”: Pensiero del personaggio
“…” Riflessione del personaggio
____ :
Cambio scena
 
 

 

Un cuore malato & un tutore protettivo.
 

Brook non riusciva a capire la strana richiesta di Balthazar, ma in ogni modo decise di accontentarlo.
Il piccolo era andato nella sua stanza a riposare

Decise di chiamare la madre, per avvertire del loro “ritardo”.
Lasciò squillare.
“Pronto!” sentì dirsi dall'altro capo.
“Ciao Daphne, sono Brook...” disse chiaro il medico.
“Ciao Brook...” salutò solare la donna.
“...Che cosa succede? Balthazar sta bene, non è vero?” chiese subito in ansia.
“Sta bene...non ti preoccupare.” gli disse subito il medico per tranquillizzarla.
“E' solo che purtroppo abbiamo avuto un piccolo contrattempo.”
“Oddio...di che cosa si tratta?” chiese un po' in pensiero.
“La strada è stata bloccata per alcuni lavori, purtroppo non possiamo rientrare oggi!”
“Che cosa?” chiese confusa.
“Sì, mi dispiace...gli addetti credevano di riuscir a finire per domani...ma hanno avuto qualche piccolo problema...” mentì il medico.
E ringraziò il cielo di trovarsi al telefono, perchè sicuramente il suo volto l'avrebbe tradito.
“Oh...ma non potete proprio rientrare?” chiese speranzosa.
“No...non ci è possibile...” non riuscì a finire.
“Neanche se vi mando a prendere?” domandò la donna svelta.
“No, sarebbe inutile...dico sul serio.”
“Ah, capisco...” rispose seria.
“Tra quanto riuscirete a tornare?”
“Resteremo a casa di mio nonno, solo per quest'altra settimana...” rispose sicuro.
Sospirò sconfortata.
“Non hai nulla di cui preoccuparti, il tuo bambino sta bene...si sta riposando come si deve...e anche la visita all'ospedale è andata per il verso giusto.” gli spiegò tranquillo il medico.
“Meno male...” respirò rassicurata.
“...per fortuna...non ha nulla di grave...” disse tranquilla Daphne. 
“Mi dispiace per l'accaduto...” si scusò il medico.
“Non ti preoccupare...sono contenta che stia lì con te...è in ottime mani...” disse sincera.
“...Porterò pazienza...e aspetterò questa altra settimana.”
“Balthazar è lì con te...vorrei salutarlo!” aggiunse poi speranzosa.
“No, il piccolo è andato nelle sua stanza...era molto stanco...”
“Povero piccolo...come mai?”
“...Ha solo dormito poco questa notte..tutto qui...”
“Va bene...” disse sollevata.
“...Me lo saluti tu, da parte mia, per favore?” domandò gentile.
“Ma certo...”
“Grazie...” disse con dolcezza.
“Grazie di tutto, Brook...stai facendo così tanto per lui.” affermò di nuoco con affetto.
“E' un vero piacere...” confessò il medico onesto.
“Allora...a presto!”
“A presto!”
______
 
“Balthazar!” chiamò solare il medico entrando nella sua stanza.
Sorrise aspettandosi d' incontrare il suo volto triste.
“Ho buone notizie.” disse felice.
Ma la sua felicità si smorzò di colpo.
Perchè stava piangendo?
“Balthazar che cosa succede?” chiese preoccupato.
Corse vicino al suo letto.
Il giovane mago era piegato in due dal dolore.
Rannicchiato su se stesso.
In lacrime.
Il medico gli accarezzò le spalle e l'aiutò a voltarsi.
Ma il giovane non demordeva la presa.
Si rannicchiò con più forza.
“Che cos'hai piccolo?” domandò ansioso.
Balthazar singhiozzò di nuovo.
Una lacrima cadde sulla federa del cuscino.
“Ehi, che cosa c'è?” domandò in ansia il dottore.
Afferrò con dolcezza la sua mano.
“Su...respira con calma...piano piano...” gli disse tranquillo.
L'aiutò a mettersi seduto.
Il giovane si sistemò sul bordo del letto.
Altre due lacrime gli graffiarono le guance.
“Balthazar...” chiamò piano il medico.
Senza aspettare un'altro attimo, abbracciò forte il ragazzino.
“E’ stato il cuore?” chiese preoccupato.
Balthazar annuì, senza staccarsi dal medico.
 
In verità non potevo dirgli che il cuore aveva fatto male, solo perchè per la prima volta qualcuno, un maschio adulto, era stato ad ascoltarmi, solo perchè qualcuno si era offerto di farmi da supporto, e di permettermi di “vivere” ancora un po'.
Qualcuno aveva deciso di mentire agli altri, solo per vedermi felice.
 
“Ha fatto molto male?”
“Sì...” mormorò il piccolo.
L'abbracciò più forte, accarezzandogli i capelli.
Il giovane singhiozzò di nuovo.
“Forza...non fare così...” gli disse con calma il dottore.
Il giovane non riusciva a lasciare l'amico.
Non aveva paura.
Ma voleva solo, sentirsi “amato”.
Voleva ricordarsi il “sapore” dell'affetto e della sicurezza.
Voleva sentirsi accettato.
Voleva sentirsi qualcuno.
“Balthazar...è passato?” domandò l'uomo asciugandogli le guance.
Il ragazzino annuì, deglutendo appena.
Coraggio piccolo, adesso basta piangere!” gli disse asciugando quei lacrimoni con un fazzoletto di carta, preso dal contenitore del comodino.
“Le medicine le hai prese?”
“Sì...” singhiozzò ancora.
Il medico sospirò sconfortato.
“Mi dispiace...” gli disse accarezzandogli il volto.
“Va meglio...?” osò chiedere l'adulto.
Balthazar annuì con poco entusiasmo.
“Sei molto pallido...” disse Brook preoccupato.
“...faresti meglio a riposare...” aggiunse poi con fare da esperto.
“A letto?” domandò subito triste Balthazar.
“Sì Balthazar a letto.” precisò il medico annuendo.
“Ma Brook..per favore...” lo supplicò l'altro.
“No Balthazar...niente discussioni!” lo riprese con dolcezza il medico.
“D'accordo Brook.” disse stanco.
Il piccolo scostò le coperte, e si sdraiò di nuovo.
Brook lo coprì appena con attenzione.
“Hai passato una notte insonne, sai che non fa bene al tuo corpo...deve riposare...il tuo cuore non regge una stanchezza tale...vuoi mettertelo in quella zucchetta vuota...” gli disse con affetto il medico colpendogli con calma due volte la testa.
Le nocche di Brook non erano mai state così delicate.
Balthazar sorrise rilassato.
“Rimani qui...?” chiese Balthazar guardando il medico.
“Non vado da nessuna parte...” rispose l'uomo sedendosi al suo fianco, sulla sponda del letto.
Ci fu solo un attimo di silenzio, poi...
“Brook...”chiamò piano Balthazar.
“Sì Balthazar...” rispose subito Brook tranquillo.
“Tra quanto dobbiamo partire?” chiese triste il piccolo.
“Partire?” domandò confuso il dottore.
Il suo tono di voce stranito ricordava molto quello del “Signor Spock”.
Balthazar sorrise dentro di sé, immaginando il dottore con le orecchie appunta, mentre faceva il saluto vulcaniano.
Ma poi ritornò serio.
“Sì...dobbiamo tornare a casa.” disse convinto.
Il medico gli sorrise con affetto:
“Possiamo rimanere qui un'altra settimana.” gli spiegò solare.
“Dici davvero?!” esclamò felice il piccolo.
“Sì...ho detto una piccola bugia...” spiegò il dottore, facendogli l'occhiolino.
Hai mentito...per me...?” chiese Balthazar sorpreso.
“Non finirò all'Inferno per questo....” ironizzò Brook.
Balthazar rimase sorpreso.
Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per lui.
Insomma nessuno adulto aveva mai osato tanto.
“Perchè?” chiese senza pensarci.
“Beh...è solo una piccola bugia...non ho ucciso nessuno.” spiegò sorpreso il medico.
“No...” sorrise divertito Balthazar.
“...perchè hai detto alla mamma che...” non sapeva come spiegarsi.
“...insomma perchè mi ha permesso di rimanere ancora?” si decise.
“Stai così bene qui...ti vedo più rilassato...ti diverti...e questo fa molto bene al tuo cuore malato...” gli disse con dolcezza il dottore accarezzandogli il volto.
“...ma se hai cambiato idea, basta dirmelo.” aggiunse dopo sicuro.
“No.” rispose subito Balthazar.
“...non ho cambiato idea...voglio rimanere un'altro po' qui...” disse sereno.
“Ora posso chiederti io il perchè di questa tua richiesta?” domandò il dottore gentile.
“....” non voleva rispondere.
“Perchè sei voluto rimanere almeno un'altra settimana?” chiese ancora il medico.
“Credo perchè sia tutto così tranquillo qui...tutto così “normale...”
“...così non devo tornare subito nella mia monotonia...non devo tornare subito da...”
“Da mio padre...” pensò senza avere la forza di dirlo.
“E poi...” aggiunse subito per evitare “pressioni” da parte dell'amico.
“...così non devo tornare subito a scuola.” disse deciso.
“Che cosa strana che hai detto...tu non amavi andare a scuola?” chiese il medico con dolcezza.
“Sì, mi piace...insomma apprendere non mi è mai dispiaciuto...ma alle volte i voti, gli esami, le interrogazioni...stancano molto.”
“E' vero...la scuola può stancare...” gli concesse il medico.
“Sgridami pure se non sei d'accordo con me...ti starò ad ascoltare...”
“...ma volevo godermi ancora un pochino questo sole, questa pace, quest'armonia...”
Balthazar incrociò gli occhi del medico, in attesa.
Voleva sentire la sua.
“Lo so...è un pensiero egoista il mio.” sorrise imbarazzato Balthazar.
“No.” lo corresse subito il medico.
“E' solo un pensiero umano...” spiegò il medico sereno.
“E tu sei umano Balthazar, giusto?” scherzò l'altro.
“Sì...credo di sì...” disse vago il piccolo.
“Che brutta cosa cha hai detto...perchè credi di essere umano?”
“C'è qualcosa che mi manca...” confessò triste.
“Ti devo prendere a schiaffi o cosa?” osò il medico abbastanza serio.
Ma che...” iniziò Balthazar sorpreso.
“...Brook!” lo riprese serio.
“Hai detto una cosa orrenda Balthazar...cosa sei un mostro?”
“No...” disse incerto.
“Che cosa ti manca, sentiamo?” chiese Brook meravigliato.
“Io...”
“...credo...di aver paura di non riuscire a provare un sentimento forte, ho paura di non essere in grado di commuovermi...ho paura che davanti a me...sia sempre tutto buio...”
“Cosa vuoi dire con buio?” chiese il medico confuso.
“Brook...ho paura di non saper fare nulla, di essere inutile o di essere di troppo...”
“Lo pensi davvero?” lo fermò il medico.
Sembrava che stesse dicendo sul serio.
“Non lo so...” rispose vago Balthazar.
“Chi ti ha messo in testa queste brutte cose?” domandò il dottore rattristato.
“Mio padre!” pensò d'istinto il piccolo.
“Nessuno...” rispose poi.
“Beh, in egual modo...”
“...non dargli ascolto Balthazar...” disse con delicatezza il dottore.
“Perchè?” domandò il piccolo stranito.
“Perchè sei un bimbo speciale e unico...è questa credimi non è cosa da poco!”
“Io...sono speciale e unico?”
“Vedi per caso qualcun'altro bambino dell'età di dodici anni, qui intorno!” esclamò buono il medico, donandogli un sorriso affettuoso.
Balthazar scosse il capo.
“Dico sul serio.” lo incoraggiò il medico vedendolo mogio.
Gli occhi di Balthazar lo tradivano di continuo.
Ma per il medico, quegli occhi così simili a quelli di suo nonno, erano tutto per lui.
Erano qualcosa d’insostituibile.
Il bimbo alzò il capo.
Sorrise.
“Grazie Brook!” disse lieto.
“Dai, stai tranquillo.” affermò il dottore, accarezzandogli la testa.
“Hai un cuore dispettoso...tutto qui.”
“Ma non puoi buttarti giù, ogni qual volta hai una crisi...”
“Capisco che non è facile...ma così distruggi la tua energia, la tua vitalità...”
“E a me non piace un Balthazar triste.” affermò il medico.
“Neanche a me.” confessò il piccolo.
“Ah bene...allora siamo d'accordo su qualcosa.” scherzò il medico.
Poi guardò l'orologio e aggiunse:
“Abbiamo parlato fin troppo...”
“Ora, voglio vederti dormire un po'...devi recuperare il sonno perso.”
Balthazar si coricò di nuovo.
Strinse la mano del medico, com'era sua abitudine ormai.
Quando era triste e “depresso”, la mano di Brook, era la cosa più soffice e morbida al mondo.
Era il suo calmante.
______
 
Qualcuno bussò alla porta.
“Dottore, posso entrare?” chiese delicata.
“Yoko...” chiamò piano il medico accogliendola con un sorriso.
“...vieni pure.” le disse calmo.
La bambina entrò nella stanza con passo delicato.
“Grazie per essere venuta...”
“Che cosa posso fare per lei signore?” chiese educata.
“Puoi fare compagnia a Balthazar mentre non ci sono, per favore?” domandò cortese.
“Io devo uscire con tua madre...e non voglio che rimanga solo.” spiegò.
“Ma dottore...io non so cosa fare se...” disse spaventata la piccola.
“E' calmo...” le disse subito con un sorriso.
“Sta bene, non ti preoccupare...” aggiunse infine.
Si alzò piano dal letto.
Gli sistemò con dolcezza la mano sul materasso per evitare che si svegliasse.
“Puoi farmi questo favore?” domandò educato.
“Sì, certo dottore...” disse lei quasi intimidita.
“Ti ringrazio Yoko.” rispose il medico gentile.
Gli pizzicò la guancia e poi fece per uscire.
“Non ci metterò molto, promesso.”
_____
 
Balthazar aprì con calma gli occhi.
Qualcosa di fresco gli stava bagnando a piccoli tratti la fronte.
“Ti ho svegliato io?” chiese preoccupata la bambina.
“Ciao Yoko...” salutò stanco.
“...no, non mi hai svegliato...” disse stanco.
“Stai bene?” chiese subito lei.
“Sì...” rispose lesto il ragazzino.
Sentì qualcosa di morbido su di sé.
Si rese conto che aveva le gambe coperte.
Sul comodino la scatola di fazzoletti e un pezzetto di stoffa umido in un catino vuoto.
“Stavi tremando...” spiegò subito Yoko, notando il suo volto perso.
“....ho pensato che avessi freddo...” aggiunse vaga.
“Ero preoccupata per te.” disse subito convinta.
Balthazar rimase sorpreso dopo quell'affermazione.
Erano poche le persone che si preoccupavano per lui.
Eppure c'erano.
“Allora Brook aveva ragione...” pensò sollevato.
“...sto a cuore a qualcuno.” continuò divertito.

“Grazie!” disse sincero, rivolgendo un sorriso semplice a Yoko.
La bimba si rilasso sulla sedia, tirando un sospiro di sollievo.
“Di niente...” rispose contenta.
Da quanto Balthazar gli aveva permesso di dargli del Tu, tutto era diventato più facile e allegro.
“Sono una pessima infermiera.” aggiunse poi scontenta.
“Dai, io non direi così...sei stata brava.” si congratulò Balthazar.
La ragazzina arrossì appena.
“Non ho f-fatto nulla di speciale...”> balbettò contenta.
“Ti sbagli...questo per me conta molto...” gli disse stanco.
I suoi occhi chiari si chiusero di nuovo.
“Dormi un'altro po'?” chiese con dolcezza la bambina.
“Sì...” mormorò appena Balthazar.
Cercò invano di rimanere sveglio il più possibile.
Ma le sue palpebre si chiudevano di continuo, obbligandolo tutte le volte a resistere all'impulso di rimanere sveglio.
Lasciò cadere la sua mano destra.
Il suo respiro così calmo, era così rilassante.
Si era veramente riaddormentato.
E con una velocità incredibile.
Yoko, con gentilezza strinse forte la mano del giovane nella sua.
Sorrise.
Un sorriso dolce e carico d'affetto.
_____
 
Bussarono alla porta.
“Yoko...” chiamò piano il medico.
Aprì la porta...
“Come sta?” chiese poi avvicinandosi ai due.
“Sì è da poco riaddormentato...” spiegò con semplicità la piccola.
Il medico gli sorrise con tenerezza.
Poi si avvicinò di più al letto.
“Balthazar...” lo chiamò piano sfiorandogli i capelli.
“Balthazar...coraggio...è ora di svegliarsi...”
Yoko non capiva il comportamento del medico.
Balthazar doveva o non doveva riposarsi?
Ma infondo il medico era lui, e di certo sapeva cosa fare, meglio di lei.
“Balthazar...” chiamò di nuovo il medico accarezzandogli di nuovo il capo.
Balthazar respirò affondo.
Poi stranito si ricordò di aprire gli occhi.
“Ehi, allora sei sveglio!” esclamò felice il dottore.
“Come ti senti?” chiese poi.
Balthazar guardò per un paio di minuti il volto dell'amico.
Come se dovesse capire chi aveva di fronte.
“Sto bene...il riposo mi è servito.” confessò alla fine.
Si tirò su e con calma si mise a sedere.
“Mi fa piacere...” affermò il medico sollevato.
“Mi dispiace averti svegliato...” si scusò Brook.
Balthazar si strusciò gli occhi con delicatezza, poi aggiunse:
“Non scusarti...hai fatto bene...non voglio passare un'altra notte completamente sveglio...”
“Già...e poi...” aggiunse il dottore.
“...ho una sorpresa per voi.” disse solare mostrandogli un sacchetto di carta.
“Sono ancora caldi!” esclamò felice come se fossero opera sua.
“Prego!” esclamò galante porgendo il sacchetto alla ragazza.
“Grazie dottore.” disse lei gentile prendendo il suo cornetto alla crema.
“Su, coraggio Balthazar.” gli disse il medico.
“E tu Brook?” domandò educato.
“Io e la signora Izumi abbiamo già costatato che è ottimo!” scherzò il medico.
“Non ho molta fame.” confessò il ragazzino.
“Ma Balthazar, che cosa hai mangiato pranzo?”
“Solo un po' di pasta...”
 “Appunto...e non hai neanche fatto colazione...”
“Sì...lo so...”
“...dovresti mangiare qualcosa per recuperare un po' di forza.”
“Non mi va.” affermò triste.
“Non farmi arrabbiare signorino...lo sai che se mi costringi ti faccio mangiare per via endovenosa...è questo che vuoi?” lo riprese brusco il medico ma senza durezza.
Il suo tono era così calmo e dolce.
Yoko sorrise divertito.
“No Brook.” rispose lesto Balthazar afferrandosi il braccio sinistro.
“Allora...” propose il dottore avvicinandogli il dolce.
Il ragazzino sorrise insicuro e prese tra le mani il dolcetto.
“Bravo piccolo.” gli disse stropicciandogli i capelli.
Balthazar deglutì, e prese il primo morso.
Masticò con calma e buttò giù.
Il suo stomaco non lo rifiutava, anzi sembrava quasi apprezzare.
Sorrise.
“Che buono.” mormorò felice prendendone un altro morso.
Fu la volta del medico a sorridere soddisfatto.
“Yoko, tua madre, ti stava aspettando...vai pure da lei...” gli disse gentile.
“...adesso rimango io.” concluse il dottore.
“Grazie tesoro.” gli disse gentile.
“Di nulla Dottore.” rispose gentile la ragazzina.
“A presto Balthazar.” salutò Yoko prima di uscire.
“Ci vediamo domani Yoko.” rispose lui solare.
“Sì...mi raccomando riguardati.” sorrise con un occhiolino.
 
_____
 
“Ahahahahaha!!! Davvero?! Ma che cosa buffa!” sorrise divertito.
Brook cercò di smorzare la risata e guardò l'orologio.
“Accidenti...si è fatto davvero tardi...tra poco è ora di cena!” esclamò sorpreso.
“Che ne dici, vuoi venire in cucina con me, a preparare il tuo piatto preferito?!” chiese allegro il dottore, sorridendogli
“Ho riposato abbastanza?” chiese Balthazar insicuro.
“Mi sembra di sì...” disse il medico.
“...sei riuscito a dormire, hai mangiato qualcosa, il tuo volto non è più così pallido e poi da quando sono con te, il cuore non sembra averti dato fastidio.” spiegò il medico ottimista.
“Hai ragione.” confermò Balthazar calmo.
“Allora vieni a darmi una mano?” domandò il medico contento.
“Volentieri.” sorrise il bambino felice.
Si alzò dal letto.
“Ma che fai?” domandò incuriosito Brook.
“Sistemo solo un pochino il letto...non lo sopporto vederlo in disordine...”
“...aspetta solo un attimo...e arr...”
Non ebbe il tempo di finire la frase che...
...le sue mani iniziarono a tremare.
Tremarono con violenza e senza sosta.
“Balthazar...che succede...?”
Il ragazzino perse l'equilibrio.
I sensi vennero meno e si sbilanciò all'indietro.
“Coraggio...ti tengo io...” gli sussurro buono il medico, sostenendolo.
Le gambe di Balthazar cedettero, cadde in ginocchio, trascinando con se il dottore.
“Balthazar...” chiamò in ansia il medico soffermandosi di fronte a lui.
Il piccolo si piegò in due, afferrando il petto con entrambe le mani.
Chinò il capo, tanto da sfiorare il pavimento.
Brook continuava a sostenerlo per le spalle.
“Le medicine le hai prese?” chiese il medico preoccupato.
“Non-non p-posso abusarne...” sussurrò il giovane dolorante.
“Ma se fa così male...non hai altra scelta.”
“No-non voglio...”
Brook gli afferrò la mano destra, e vi appoggiò sopra tre compresse.
“Prendile.” gli ordinò.
Balthazar le accostò alla bocca.
Le inghiottì.
Brook gli passò un bicchiere d'acqua.
E non lo lasciò andare fin quando Balthazar non riuscì a sostenerlo come si deve.
Il ragazzino riuscì a berne una grande quantità.
“Come va?” domandò il medico in ansia.
Balthazar riprese a respirare calmo.
“Tutto a posto...” sussurrò.
Il piccolo annuì demoralizzato.
“Ma sei impazzito, non prendi i medicinali per non abusarne...tu non sei ancora fuori pericolo...la tua malattia è ancora grave...devi fare attenzione...stupido.” lo riprese il medico severo.
“Sc-scusami...” sospirò Balthazar.
Il piccolo non riusciva a muoversi.
Le sue gambe non si schiodavano dal terreno.
Non si alzava.
“Coraggio...” pronunciò Brook offrendogli la mano.
Balthazar la strinse forte, per non ricadere di nuovo.
“Su...piano...piano...” gli disse aiutandolo.
Balthazar deglutì una volta in piedi.
Si accostò al dottore, senza lasciargli la mano.
“Tutto okay, ne sei sicuro?” domandò ancora il medico.
Balthazar annuì una e più volte.
“Sì...è tutto okay...”
“Vuoi sederti un attimo...?”
“No...”
Brook, lo lasciò avvicinare con calma lo strinse forte.
“Mi dispiace Brook...non volevo...”
“Non è nulla Balthazar...” gli disse con affetto il dottore.
Gli baciò la testa senza pensarci.
“Andrà tutto bene...”
Le mani del dottore non riusciva a staccarsi dal quel corpo tanto fragile.
Voleva proteggerlo e aiutarlo con ogni mezzo.
_____
 
Erano solo le dieci di sera.
La televisione era accesa su un programma abbastanza interessante.
“Che dici facciamo così domani Balthazar?” domandò il medico dalla sua poltrona.
Nessuna risposta.
“Balthazar?” chiamò stranito il dottore.
Ancora nulla.
Il medico chinò gli occhi sul divano.
“Balthazar...”
Il ragazzino si era addormentato sul divano.
Sdraiato, con la testa su di un cuscino, le mani ferme sul petto.
Il suo respiro calmo e regolare.
Brook sorrise intenerito.
Spense la televisione senza pensarci troppo.
E si alzò dalla poltrona.
“Oggi ti sei agitato troppo, non è vero?” chiese il medico con tenerezza.
Si chinò su di lui, accarezzandogli il viso.
“Andiamo a letto?” gli chiese come se potesse rispondere.
Balthazar non rispose.
“Sì, decisamente sì.” affermò il medico.
Il medico sollevò con calma il ragazzino dal sofà.
“Oddio...!” esclamò sorpreso.
“...ormai sei diventato pesante...” affermò il medico, aggirando con attenzione il tavolino.
S'incamminò con tranquillità verso le scale.
“Ormai stai diventando grande Balthazar.” gli disse con dolcezza.
“Mettimi giù...posso camminare...se vuoi...?” chiese il ragazzino nel dormiveglia.
Ma in risposta però, senza rendersene conto il ragazzino si accoccolò contro il petto di Brook.
Era così rassicurante.
“No, sta tranquillo.” gli sorrise il dottore.
“Brook...” chiamò piano il ragazzino
“Sì Balthazar...” affermò chiaro il medico
“Posso dormire con te questa sera?” chiese con stanchezza il piccolo.
“Come mai?” domandò confuso l'altro.
“Per via del cuore...io...” provò a concludere.
“Sì Balthazar...non c'è problema.” rispose lesto il medico, dopo aver capito.
Il dottore sospinse con calma la porta socchiusa della sua stanza.
Entrarono in camera.
Brook appoggiò con delicatezza il corpo sul materasso morbido.
“Eccoci...” gli sussurrò calmo.
Si distese al suo fianco.
“Niente pigiama?” domandò curioso il medico.
Balthazar scosse il capo, sistemandosi meglio nel letto.
“Va bene...”  disse serio ma con dolcezza.
Balthazar sprofondò la testa sul cuscino, lasciando fuori solo la mano sinistra.
“Buona notte Brook!” esclamò educato il piccolo ormai sul punto di addormentarsi di nuovo.
“Buona notte Balthazar!” esclamò gentile il medico stringendo quella manina solitaria con affetto e dolcezza.
La luna piena splendeva alta nella notte serena.
 
Quella fu una delle prime settimane in cui ho mostrato tutta la mia debolezza ad una persona a me cara.
 


Note dell’autrice:
Ecco qui con il secondo capitolo, e visto che la mia testa è al suo posto, e che nessuna mazza l’ha sfiorata, e che il primo capitolo si è salvato, spero anche che questo abbia fortuna e che vi piaccia! ;)
Anche qui, ci sono un paio di spiegazioni, che vorrei condividere:
-Il ringraziamento da parte di Daphne, doveva esserci! Volevo dal profondo del cuore che Daphne ringraziasse il dottore per  l’aiuto che dona di continuo al figlio ^^.
- Brook aiuta Balthazar a mettersi seduto solo perché è la procedura standard!  Me l’ha insegnato Dottor House.  ^^
-Spock: Lo stesso smarrimento e il simile tono di voce era presente nel vulcaniano che stavo guardando alla Tv. ^^ Star Trek ispira bene! *_* Coincidenze della vita. Divertente dico io.
-Lo so Brook, fa delle battute pessime, ma è un uomo spiritoso, e il problema è che gli vengono spontanee! :)
-Buio: Balthazar parla di buio,nel senso che è difficile “risorgere” dall’ “oscurità” che lo sta avvolgendo in questo periodo.
-Nella famiglia di Balthazar ogni emozione che viene nascosta, viene tradita dalla  sensibilità degli occhi. Così deciso perché gli occhi, secondo me, sono lo specchio dell’anima. 
- Brook in questo capitolo ancora non sa di Bryan, ma capisce che la malattia al cuore limita le energie e l’entusiasmo del ragazzo.
-Yoko è diretta e spontanea, e dice sempre quello che pesa senza vergogna…anche se la cosa vuol dire deridersi! ;)
-Endovenosa: Altro fattore medico ispiratomi da Bones, il medico di bordo dell’ Enterprise, Star Trek. Ma Brook l’ha solo “minacciato”, non avrebbe mai il coraggio di fare una cosa del genere. :)
-Il punto in cui i due ridono come matti: Non ho la più pallida idea di che cosa stanno parlando, ma mi piaceva l’idea di questo attimo di serenità tra i due, proprio come padre e figlio.
-In questo capitolo è una delle poche volte che Brook si arrabbia sul serio.
Va beh, però possiamo perdonarlo, era solo “leggermente” preoccupato! ù-ù
 
Un grazie speciale ad Agapanto Blu  & a vale1991…vi adoro! ;)

 

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Capitolo 3
*** Un incubo & un abbraccio caldo. ***


“…”: Pensiero del personaggio
“…”: Incubo
“…” Riflessione del personaggio
____ :
Cambio scena


 

Un incubo & un abbraccio caldo. 
 

“Brook!” chiamò Balthazar.
Si era appena svegliato.
La voce del giovane era impastata.
Aveva gli occhi ancora assonati.
Se li strusciò appena.
Si alzò dal divano.
Qualcuno l'aveva coperto.
Si appoggiò al bracciolo con la schiena.
“Brook!” chiamò di nuovo.
Gli girava la testa.
Si allungò sul mobiletto, per accendere la luce.
Premette l'interruttore, senza successo.
Ci riprovò di nuovo.
Niente.
La luce non si accendeva.
“Ehi Brook...” chiamò di nuovo.
Si mise in piedi.
La coperta cadde per terra.
Balthazar s’incamminò un po' traballante verso la cucina.
Si passò una mano tra i cappelli.
“Dottore...” chiamò con fare scherzoso.
Si massaggiò un po' la testa.
“Brook...qualcosa non va?” chiese il ragazzo un po' preoccupato.
Altri due passi.
Sentì il sangue raggelare.
Abbassò gli occhi.
Aveva appena calpestato qualcosa di freddo, liquido e viscido.
Guardò per terra.
Il composto era scuro e vischioso.
Sbarrò gli occhi per la paura.
“Che cos'è?” pensò spaventato.
“Brook...ti prego...rispondimi...” esclamò sconvolto il ragazzo.
Non sentiva niente.
In quell’orrendo buio, non riusciva a percepire nulla.
Sentiva le lacrime agli occhi.
“Brook...che succede...”
Ad ogni passo che faceva, lasciava un’impronta… insanguinata.
Ma in compenso tutto quello sembrava nulla.
Un fulmine bastò a rischiarare i dintorni.
La cucina era imbratta di sangue.
Schizzi irregolari, imprecisi e sinistri ovunque.
Balthazar era atterrito.
“Brook...andiamo via...per favore...”
Si strinse nelle spalle.
Aveva un’oscura sensazione addosso.
Aveva gli occhi lucidi.
“Brook...ma ci sei?” domandò impaurito.
Alzò lo sguardo.
Davanti a lui, c'era qualcuno.
“Ehi Brook...ma perchè non mi hai risposto prima?” chiese.
Nessuna risposta.
“Brook...stai bene...?” osò il ragazzo, sfiorandogli un braccio.
“Credo che adesso...starà benissimo...” rispose.
Balthazar rimase di sasso.
“NO...anche qui no...” pronunciò farfugliante il ragazzo.
Avrebbe riconosciuto quella voce da per tutto.
“Che cosa hai fatto a Brook?” domandò terrorizzato.
“Credo che...abbia avuto un...piccolo incidente...” affermò voltandosi verso il ragazzo.
Il suo sorriso maligno fu illuminato da un lampo.
La lama sporca di rosso, brillò.
“Non è vero...”
“Oh, invece è proprio così...figliolo!”
“Non ti credo...”
“Puoi costatarlo tu stesso...” disse.
E con eleganza, spostò il suo mantello nero.
Il volto di Balthazar s’inondò di lacrime.
“No...”
“No...Brook...” pianse disperato.
Il corpo dell'amico, giaceva immobile, a terra, macchiato di sangue.
Gli occhi vitrei e fermi.
“Brook...perchè!” urlò spaventato.
Fece per gettarsi sul corpo esanime del tutore.
Si sentì afferrare con forza.
Tanta forza, da rompergli il braccio.
Balthazar urlò per il dolore.
Fu spinto in mal modo all'indietro.
Il ragazzo colpì con violenza il pavimento.
“Io ti avevo avvertito!” minacciò l'uomo.
“Te l'avevo detto!” continuò.
Balthazar giaceva a terra.
Strinse in una morsa ferrea il braccio rotto.
Le lacrime non volevano più fermarsi.
“DO-DOVEVI UCCIDERE SOLO ME!!!” esclamò rabbioso il ragazzo.
“Sì, lo so...ma così mi sono divertito di più...”
“SEI UN MOSTRO!!!”
“Non ti sembra di esagerare figlio mio...?” affermò.
Schioccò le dita.
Il corpo di Balthazar si sollevò fulmineo in mezzo alla stanza.
Un fumo denso e nebbioso, strinse il giovane.
Gli afferrò, in una morsa violenta le caviglie, i polsi e il collo.
“Non sta bene, parlare così a tuo padre!” ridacchiò.
“TU NON SEI MIO PADRE...IO TI ODIO!!!”
Lo schiaffo che colpì il volto di Balthazar, risuonò duro, in tutta la cucina.
“Come osi dirmi una cosa del genere, piccolo moccioso!” disse con un che di disgusto.
Gli occhi di Balthazar luccicarono appena per il dolore provato alla guancia.
“PERCHE' HAI COINVOLTO BROOK...LUI NON C'ENTRAVA NULLA!!!”
“Te l'ho già detto...che fai non mi ascolti?”
Balthazar non ebbe la forza di rispondergli.
I suoi occhi tremavano di rabbia fissi in quelli del padre.
Le lacrime continuano a scendere per il dolore e la paura.
“E va bene, te lo ripeto...la cosa mi ha divertito al quanto!!!” confessò di buon umore.

“TI DETESTO...IO TI ODIO...MI FAI SCHIFO!!!”
“DOVEVI UCCIDERE SOLO ME!!!”
“Beh, se ci tieni tanto ad andartene...” iniziò convinto.
“...risolviamo subito!!!” rise sadico.
Quella sinistra foschia avvolse con più foga il corpo del piccolo.
Si sentì sfiorare le costole, come una mano scheletrica, che cercava di rubargli l'anima.
Il brivido freddo percorse rapido la schiena Balthazar.
La risata malefica del padre risuonò oscura in quella piccola stanza degli orrori.
“Addio figlio mio!” pronunciò a chiare lettere.
Balthazar vide la lama già sporca di sangue, sollevarsi.
E senza pietà affondò rapida, letale e con dolore nel suo corpo.

 
 
Si svegliò di soprasalto.
Non aveva neanche la forza di mettersi seduto.
Avvinghiò con foga le coperte.
Il cuore gli batteva con così tanta energia da fargli male.
Stava sudando freddo per la paura.
Eppure dalla finestra brillava un bel sole caldo.
Dalla stanza accanto salivano voci tranquille e un buon profumo.
Si sentì avvolgere.
Una guancia tenera sfiorò quella del giovane.
Sentì di nuovo una mano sfiorargli le costole.
Era calda e morbida come il pane.
Qualcuno l'aiutò ad alzarsi.
Lo teneva fermo, comodamente seduto, stretto in quel semplice abbraccio.
Balthazar si sentiva protetto, al sicuro.
Una mano tenera, gli sfiorò i capelli.
“Sta tranquillo Balthazar...è solo un brutto sogno.” gli sussurrò con dolcezza il dottore.
Gli occhi di Balthazar si riempirono di lacrime.
Gettò le sue braccia intorno al collo del tutore.
Calde lacrime iniziarono a bagnarli la faccia.
Il medico gli accarezzò di nuovo la testa.
“Brook...stai bene...?” domandò tra le lacrime, con un che di sollievo.
Brook s'inginocchiò accanto al ragazzino, senza lasciarlo un attimo.
“Va tutto bene Balthazar...” gli sussurrò di nuovo stringendolo più forte.
Balthazar nascose il suo volto, in quella morbidezza infinita.
Singhiozzò appena.
“Era solo un incubo...” continuò a dirgli con affetto il medico.
Katherine si affacciò in salotto.
Stava per dire qualcosa, ma si fermò, osservando la scena.
Brook alzò gli occhi su di lei.
Le sorrise con amore.
E senza lasciare il corpo del ragazzino tremante, alzò una mano, e gli fece cenno di fare silenzio.
Kat si soffermò sugli occhi color blu - ghiaccio del suo ragazzo.
Erano così dolci.
Kate non aveva mai visto tanta dolcezza in un uomo.
Sorrise e arrossì appena.
Sì sentiva così fortunata ad averlo.
Si allontanò senza far rumore.
Balthazar si sentì accarezzare la schiena.
Brook non smetteva di stringerlo.
“Balthazar...ora calmati...era solo un sogno...”  continuò ad incoraggiarlo il medico, permettendo alle proprie dita di accarezzare i capelli del ragazzino.
“Nessuno ti farà del male...” aggiunse il tutore, baciandogli la testa.
Balthazar senza sottrarsi all'affetto dell'amico, scosse il capo, diminuendo le lacrime.
“Che cosa c'è?” chiese Brook non capendo il suo no, detto d'improvviso.
“Lui mi ucciderà!” esclamò spaventato Balthazar stringendolo con più forza.
“Di chi stai parlando?” chiese Brook spaventato.
Si distaccò dal piccolo, ma senza allontanarsi.
Lo guardò negli occhi.
“Balthazar a me vuoi dirlo...?” chiese educato il medico, sfiorando con il polpastrello del pollice, le guance del ragazzo, per asciugare quelle lacrime, che non cessavano un secondo.
“Brook...io ho paura...” mormorò piano Balthazar unendo le mani.
“Io sono qui Balthazar...non devi avere paura...ci sono io con te...” lo incoraggiò il medico, sfiorandogli con dolcezza la guancia.
Balthazar deglutì, abbassando gli occhi.
Si scoprì e si alzò in piedi.
Senza dare spiegazioni si aprì la felpa,e l'appoggiò sul divano.
Poi lesto si tolse la maglia.
Brook non riuscì a dire nulla.
L'addome del ragazzino, era livido da far paura.
Balthazar abbassò lo sguardo sul pavimento, lasciando modo al medico di esaminarlo.
“Balthazar...che cosa è accaduto?” chiese con un filo di voce.
Il ragazzino deglutì di nuovo.
Sfiorò il primo livido, quello estesosi sulla spalla destra:
“Questo è perchè ho sbagliato a proteggermi...come nobile della famiglia, non posso sbagliare queste piccolezze…devo tenere alto l’onore della famiglia, non posso in alcun modo far vergognare mio padre!” spiegò come se l'avesse imparato a memoria.
Poi sfiorò quello all'altezza del cuore:
“Questo perchè non posso permettermi di essere debole!” spiegò di nuovo.
Brook era paralizzato dall'orrore, non voleva sapere come li aveva ricevuti e per quale motivo.
Gli premeva sapere solo una cosa.
E l'avrebbe saputa adesso.
Balthazar toccò ancora l'addome.
Quel punto era molto sensibile, solo perchè le percosse erano recenti.
Balthazar strozzò un lamento in gola, stringendo i denti.
“Balthazar....” chiamò preoccupato.
Per ogni ematoma c'era una spiegazione.
Quindi non tutti erano “attuali”.
Ma in ogni modo era tutti terribilmente estesi e orribili.
Erano stati dati con cattiveria e violenza.
Solo alcuni e pochi, troppo pochi, avevano deciso di abbandonare quel corpo.
Chi si stava divertendo in quel modo barbaro con quel piccoletto?
“Questo invece...”
Il medico lesto, cacciò la mano dalla pelle ferita.
Si alzò di colpo, e lo strinse di nuovo.
Non voleva più sentire.
Non ci riusciva.
“Non m'importano queste stupide spiegazioni, senza cuore!” esclamò rapido il medico.
Il suo abbraccio per quanto affettuoso e sicuro, era più delicato.
Temeva sul serio di fargli male.
“Voglio solo sapere...” il tono di Brook aveva preso una piega furiosa.
“...Chi è stato?” domandò rabbioso.
Balthazar strinse la vita dell'uomo, nascondendo il volto.
Si sentiva così amato da quell'uomo.
“Non ti preoccupare Brook...io sto bene!” disse per rassicurarlo.
“Balthazar...” sussurrò il medico, accarezzandogli i capelli.
“Come puoi dirmi che stai bene...guarda questi lividi...”
Il medico non riuscì a finire la frase.
Solo perchè il ragazzino alzò, gli occhi per incrociare i suoi e gli sorrise con affetto.
“E' tutto a posto...il corpo non mi fa più così male!”
“Ma Balthazar...”
Il medico, gli sfiorò la guancia, e l'aiutò a sedersi.
S’inginocchiò di nuovo di fronte a lui.
“Brook...io non ti posso e non voglio coinvolgerti...”
“Che cos'è rischioso?” ironizzò Brook.
“Ne vale della mia vita?” scherzò ancora, sistemando la maglia del ragazzino.
Il giovane chinò il capo.
“Balthazar...se pure fosse...sta tranquillo!” gli sorrise con affetto.
“Sono un uomo grande e vaccinato, e mi so difendere molto bene!” spiegò sicuro, aiutandolo ad infilare di nuovo la maglietta, con la massima attenzione a non sfiorare i lividi.
“Non è un gioco Balthazar...ti fai male per davvero se la cosa continua...il tuo cuore non lo può reggere!” gli spiegò Brook seriamente preoccupato.
Balthazar, si sistemò la felpa, e con calma la richiuse.
“Lo so...il mio cuore è debole...”
“Balthazar...per favore.” lo supplicò Brook.
Il giovane alzò lo sguardo sul medico.
I suoi occhi erano lucidi.
Il ragazzino rimase sorpreso, quasi sconcertato.
“Brook...” sussurrò commosso.
Era davvero preoccupato per lui?
“Perchè ti preoccupi così tanto per me?” chiese confuso.
“Sei il mio figlioccio preferito!” scherzò il medico per sdrammatizzare.
“Sono anche il tuo unico!” affermò Balthazar con un mezzo sorriso.
“Sì, anche questo è vero!” esclamò il medico, sfiorandogli di nuovo la guancia.
“Finirai col arrabbiarti Brook..” disse il piccolo in un leggero mormorio.
“Sì, è vero...mi arrabbierò sul serio...e chiunque ti ha fatto questo passerà le pene dell'inferno per mano mia!”
“No, ti prego...peggiorerai solo le cose!” esclamò spaventato Balthazar, afferrandogli le mani, con fare istintivo.
“Balthazar...non capisco!”
Gli occhi del piccolo tremarono impauriti.
“Mi ha detto che non posso sempre stare con te...non gli piace..mi ha detto che io quelle botte me le merito...e che devo prenderle senza fiatare!”
Balthazar non si rendeva conto che così facendo stava solo aumentando la furia del medico.
“Balthazar...dimmi... chi è stato?” domandò con tono minaccioso.
Il giovane non aveva mai sentito quel tono di voce.
Rimase paralizzato, sgomento, come una statua di ghiaccio.
“E' stato mio padre!” esclamò senza pensarci.
Forse se l'era fatto scappare, solo perchè doveva dirlo a qualcuno.
E non c'era persona migliore di Brook.
Il volto del medico sbiancò.
“Bryan...tuo padre...?” chiese sconvolto.
Ne parlava come se la cosa fosse impossibile.
Bryan, il suo migliore amico?
Lo sposo della sua prima ragazza che aveva amato con tutto se stesso?
Il padre, di quel ragazzo che tanto adorava?
“Cerca solo di darmi un’educazione adeguata!” cercò di spiegare Balthazar calmo.
“EDUCAZIONE ADEGUATA!!!” urlò con rabbia la mente di Brook.
Sentì il sangue ribollire nelle vene.
“Educazione adeguata!” pensò di nuovo sconvolto.
Quasi gli mancò il respiro.
Che fine aveva fatto il Bryan, che Brook conosceva da tutta una vita?
Non avrebbe mai fatto una cosa del genere a suo figlio.
Ma Balthazar non stava mentendo, e neanche i suoi occhi potevano tradirlo.
Aveva davvero paura.
“Sta tranquillo Balthazar!” lo rassicurò Brook, sfiorandogli di nuovo il volto.
“Fin quando resterai qui, andrà tutto bene!” gli disse tranquillo.
“E poi?” pensò istintivamente Brook.
“Che cosa posso fare?” ragionò subito.

“Brook, prometti che non farai nulla?” domandò preoccupato il giovane.
Brook, in verità moriva dalla voglia di fare qualcosa, e di farla anche nei peggiori dei modi, il più dolorosa possibile.
Ma così facendo, rischiava di mettere in pericolo Balthazar.
Non poteva permettere che la cosa accadesse di nuovo, per causa sua addirittura.
“Non te lo posso garantire Balthazar!”
“Tua madre lo sa?” chiese poi.
“No, e neanche deve saperlo...per favore!”
“Perché?”
“Ti prego…non dire niente alla mamma.” lo supplicò sull’orlo delle lacrime.
Brook stava impazzendo, voleva sapere il perchè...ma non poteva fargli troppe domande, era sotto pressione, si era già agitato per via di quell'orrendo incubo...il suo corpo non poteva sopportarlo.
Gli sorrise con affetto.
 “Non dirò nulla a tua madre, fin quando non sarai tu a dirmelo, non temere!” lo rassicurò di nuovo, scompigliandogli un po' i capelli.
Ma Balthazar ormai credeva di aver fatto un danno nel raccontare tutto al suo tutore.
Si gettò tra le braccia del medico:
“Ti prego...non farmi del male anche tu!” lo supplicò.
“Se mio padre scopre che te l'ho detto...mi uccide per davvero!”
Brook lo strinse di nuovo, giocando con i suoi capelli.
“Non ti preoccupare Balthazar...nessuno saprà niente...non dirò niente a nessuno!” gli sussurrò tranquillo.
“Penserò io a proteggerti!” esclamò Brook sicuro.
Continuò a stringerlo, accarezzandogli con dolcezza la testa.
 
“Me la pagherai Bryan, me la pagherai molto cara...non adesso, ma un giorno, ti farò scontare tutto questo!” pensò Brook con furia.
 
 
Questa fu la prima volta che mi fidai cecamente di qualcuno.
 
 
 
Note dell’autrice:
Lo so, è un capitolo tremendo, ve ne do atto! ù__ù
È vero, è terribile, anch’io ho avuto paura di quello che stavo scrivendo. o__O
Ma siccome so, che non ve la prendere con me, ma con chi giustamente “cerca”la vostra ira, senza far nomi…Bryan…passo alle spiegazioni:
-L’incubo:Su Word sono 2 pagine e 7 righe…cioè se Balthazar non avesse compreso che era un brutto sogno sarebbe morto d’infarto! Poverino! Sorry fratellone! Ç__ç
-Mano calda: omaggio a Italo Calvino, paragone tratto dai “Nidi di ragno”. Insomma il confronto mi piaceva, è descrivere così la mano di Brook, mi sembrava al quanto tenero e rassicurante .
- Color blu –ghiaccio: Adoro gli occhi di Brook. :)
- Figlioccio: Omaggio al Re Leone…solo che Brook è più fico di Scar! Balthazar invece può farlo ad occhi chiusi il piccolo Simba.
-Madre: Non insito molto su questo fattore, per due motivi, primo perché Brook si è ritrovato dentro ad una notizia sconvolgente, scioccante, e secondo in quel momento a più a cuore Balthazar di chiunque altro.
- In questo capitolo per la prima volta ci s’imbatte nella rabbia e nella furia che Brook, prova nei confronti del suo vecchio amico, e in questo caso gli starei veramente alla larga…solo per una questione di panico, tutto qui!
- Detesto e odio Bryan senza il minimo sforzo, anche se è di mia creazione.
 
Se questo capitolo vi è sembrato duro…credetemi se vi dico…che non è nulla a confronto di quello che succederà in futuro…la psiche e il fisico di Balthazar ne risentiranno molto.
 
Sono lieta che la storia piaccia a qualcuno. Vuol dire davvero tanto per me! ;)
Alla prossima.
Ciao ciao!
Chris.
 

 

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Capitolo 4
*** Un padre violento da temere & un dottore gentile. ***


 “…”: Pensiero del personaggio
“…”: Ricordo
“…” Riflessione del personaggio

____ : Cambio scena
 
 

Un padre violento da temere & un dottore gentile.
 


Non riusciva più a stare in casa!
Doveva andarsene e alla svelta.
Lì, solo con il padre, non era mai al sicuro.
Infondo era già successo.
Aveva il diritto di respirare libertà per alcuni minuti.
Cauto come spesso accadeva, uscì dalla sua stanza.
Si affacciò sulle scale, alla ricerca di Bryan.
Sentì la sua voce tranquilla.
Il tintinnio del ghiaccio in un bicchiere di vetro.
Stava sorseggiando qualcosa probabilmente whisky.
Era in salotto, comodamente seduto con la cornetta del telefono vicino all’orecchio destro.
Lo sentì ridere, e la cosa gli afferrò il cuore.
Sapeva dannatamente mentire come si deve quell’uomo.
Scese piano i gradini della rampa di legno.
Cercò di non fare rumore.
Non voleva farsi sentire in nessun modo.
Sapeva bene cosa sarebbe accaduto se la cosa fosse successa, se il minimo scricchiolio di legno fosse arrivato all’orecchio di Bryan.
E non voleva dargli quella “soddisfazione”.  
Non di nuovo.
Respirò profondamente una volta raggiunto l’ultimo gradino.
Afferrò con attenzione la sua felpa, e l’infilò, chiudendo la cerniera fin sotto il mento.
Nascose il viso sotto il cappuccio scuro.
Respirò di nuovo, e si precipitò contro la porta.
Svelto riuscì a spalancarla, e uscì da quel posto in cui doveva sentirsi al sicuro e protetto.
Per la troppa fretta, il pomello gli scappò di mano.
La porta si richiuse lesta con un tonfo.
Balthazar rimase di sasso.
Non aveva fatto attenzione.
Si era fatto sentire.
“E ora?!” pensò spaventato.
Indietreggiò abilmente e si allontanò di corsa.
Non gli importava se si era fatto sentire.
Non gli importava se Bryan aveva capito.
Non gli importava che quell’uomo sapesse, dove stava andando.
Voleva solo essere libero di vivere per poco tempo.
Corse con così tanto impeto che in breve tempo, malgrado l’aria tiepida della primavera, si ritrovò con il fiatone, e la gola secca.
L’aria gli sbuffava via dai polmoni con troppa fretta.
Ma non voleva fermarsi.
Si sentiva braccato.
E se si fosse fermato per riprendere fiato, poteva essere perduto.
Poteva essere riagguantato e ribattuto in quell’Inferno.
Non voleva.
Doveva prima riscattare la sua forza e la sua energia.
E solo una persona ci riusciva, oltre sua madre.
Lui era l’unico che sapeva e cercava di aiutarlo.
Si fermò davanti al suo ambulatorio.
Respirò con forza, cercando di regolare i battiti.
Aprì la porta e si guardò attorno.
Non voleva che gli altri lo scrutassero.
Non in quel momento.
Non era veramente lui.
Non salutò come spesso faceva.
Non né aveva la forza.
Non gli serviva sapere dove mettersi, per aspettare l’amico.
Sapeva bene dove doveva andare.
Doveva entrare, ne aveva bisogno.
Senza troppa fretta nei suoi passi si avvicinò alla porta.
La sala d’attesa, lo infastidiva, e gli donava troppa ansia.
Si sentiva come in gabbia.
Afferrò la maniglia.
Fece per abbassare quando:
“Ehi, aspetta un attimo…” si sentì dire da una voce semplice e melodioso.
Si sentì come un ladro scoperto con le mani nel sacco.
Provò ad aprì la porta ed ad entrare.
“Devo vedere…” cercò di spiegarsi.
Si sentì afferrare per il braccio destro.
Una fitta di dolore gli attraversò tutto il corpo.
Con così tanta prepotenza da fargli socchiudere un occhio, e sopprimere un gemito.
“Non puoi entrare, il dottore sta visitando.” gli spiegò con dolcezza la segreteria.
“Lasciami andare, ti prego!!!” esclamò con forza, cercando di liberarsi.
“Non si può.”
“Tu…non capisci!!!” esclamò sul punto di piangere.
“Devo vedere il dottore!” esclamò di nuovo.
Era così vicino a lui, eppure…
“Per favore.”
“Ci sono altri pazienti…non puoi fare così.”
Balthazar cercò di divincolarsi con più forza, con l’unico risultato di sentire solo più dolore di prima.
“Lasciami andare.”
Donna, la ragazzina dai capelli lisci biondi – rossicci, dagli occhi verdi chiaro, cercò di allontanarlo dalla porta.
“ Puoi aspettare qualche secondo?!” chiese paziente la signorina.
“No, lasciami andare!!!”
Balthazar fece leva sulla maniglia che non aveva ancora lasciato, nella speranza che la ragazza l’avesse lasciato entrare, come da lui richiesto, e finalmente la porta si aprì.
Brook era lì, ad occuparsi di una bimba di pochi mesi.
“Lasciami…ti prego.” ripete con più forza.
Era sicuro che adesso l’avrebbe sentito.
Infatti il medico alzò lo sguardo, per capire cosa stava accadendo.
“Balthazar!” chiamò subito perplesso.
“Lasciami!!!”
“Lasciami!!!”
Gridò di nuovo Balthazar.
Si stava frenando dal piangere.
“Dottore?” chiese incerta la ragazzina.
Brook si avvicinò alla porta.
“Lascialo stare, ci penso io.” gli disse con tenerezza.
Allungò una mano al piccolo.
“Dai coraggio, entra dentro.” disse con la sua voce calda, con un sorriso timido.
Donna ritornò al suo posto, mentre il dottore chiuse la porta dello studio.
“Finn ti dispiace occupartene tu della piccola?” chiese gentile.
“Come vedi…” e abbassò gli occhi sul Balthazar.
“Io ho un piccolo ospite di cui occuparmi.” scherzò con un sorriso solare.
Balthazar si sentiva così di troppo.
Sapeva di essere stato irrispettoso e precipitoso nei confronti del dottore.
Ma che altro doveva fare?
Era troppo terrorizzato per saperlo.
Il giovane medico annuì con un lieve sorriso.
“Non c’è problema Victor!” affermò tranquillo.
Si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla neonata.
“Vieni.” sussurrò con affetto Brook, avvicinandosi al ragazzo e appoggiandogli un palmo della mano sulla schiena gli fece strada.
Entrarono nello studio del dottore.
Balthazar si sistemò al centro della stanza, mentre Brook chiudeva la porta a chiave.
“Balthazar, però così non va bene.” iniziò a dirgli con calma, scuotendo la testa paziente come si fa con un bimbo capriccioso.
“Non puoi arrivare di corsa a lavoro e pretendere di vedermi.” gli disse con affetto.
Gli si accovacciò di fronte.
“Hai capito, piccolo?” gli chiese gentile.
Fece per accarezzargli la guancia, ma Balthazar abbassò il capo per non farsi toccare.
“Che succede Balthazar?” chiese stranito Brook.
“Mi dispiace Brook…” si scusò il bambino.
“…so bene di aver sbagliato…ma…”
“Che cosa è successo Balthazar?” domandò di nuovo l’uomo poggiandogli le mani sulle spalle.
Ma non poteva sapere che una di questa, era malridotta.
Notare il volto del piccolo sfigurarsi per via del dolore, gli fece fermare il cuore.
“Balthazar…” mormorò preoccupato.
Senza chiedergli altro provò a togliere il cappuccio scuro dalla testa.
Balthazar cercò di fermarlo…
“Sta tranquillo, non ti faccio niente.” gli disse sicuro.
“Fammi vedere cos’è successo.” gli disse tranquillo.
C’era sempre così tanta tenerezza nella voce del dottore, quando doveva parlargli.
C’era sempre attenzione e pazienza nei suoi confronti.
Si sentiva sempre protetto vicino al dottore.
“Aspetta un attimo…” gli mormorò il giovane che deglutì appena.
Brook aspettò poi lasciò scivolare la stoffa delicata lungo il collo.
La luce del sole, aiutò a mostrare con più chiarezza i lividi sul volto.
La guancia destra era talmente viola da sembrare irreale.
L’occhio si era arrossato per i colpi presi e le palpebre erano rotte a sangue.
Il labbro tagliato in più punti.
 Il collo graffiato profondamente.
Il dottore resistette all’impulso di scattare fuori dalla stanza e correre a casa del piccolo amico.
Sapeva bene cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a controllarsi.
“Puoi aiutarmi?” chiese Balthazar piano.
“Che cosa hai fatto?” domandò in ansia.
Provò ad avvicinare la mano alla pelle ferita.
La mano gli tremava troppo.
“Sono caduto dalle scale.” affermò il bambino con le lacrime agli occhi.
“Balthazar, sappiamo entrambi che non è così.” gli disse calmo.
“Sono caduto dalle scale.” insistete Balthazar trattenendo i lucciconi.
“Balthazar…”
Voleva solo la verità, ma sapeva di chiedergli troppo.
Era paralizzato dalla paura.
Sempre.
Ogni maledetta volta che accadeva.
“Sono caduto dalle scale.” disse infine.
E una lacrima sfiorò la pelle macchiata di rosso-viola.
“Sono caduto Brook, credimi.” lo supplicò subito dopo.
E un'altra lacrima seguì la prima.
“Sono solo caduto…” disse cercando di trattenere due lacrime.
Il dottore gli accarezzò i capelli con dolcezza e affetto.
“Va bene Balthazar, ti credo.” gli disse calmo.
“Non piangere…” aggiunse.
“…è…stato…solo…un incidente.” disse a denti stretti, sottolineando con rabbia le ultime due parole.
“Sono solo cad…” singhiozzò.
“Ma certo.” rispose Brook con un sorriso incoraggiante.
“Sono…” sembrava che il ripeterlo potesse aiutarlo a superare la cosa.
Ma il solo fatto di sentirlo e risentirlo, irritava ancora di più il povero dottore.
Ringraziò il dio che Bryan non fosse con lui nella stessa stanza.
Altrimenti…
Il diavolo in persona l’avrebbe temuto.
Scosse il capo, per concentrarsi.
“Sta tranquillo.” gli sussurrò paziente.
S’inginocchiò con calma di fronte al piccolo.
E lo strinse forte e con affetto contro di se.
Non poteva fare altro per il momento.
Non sapeva come consolarlo ora.
E sembrava che questo a Balthazar bastava.
Sentì il volto del piccolo nascondersi contro il suo camice bianco.
Poche lacrime gli bagnarono il corpo.
Brook non disse nulla.
Rimase in silenzio.
Lasciandogli tutto il tempo che gli serviva per sfogarsi.
Si limitò ad abbracciarlo per infondergli un po’ della sua forza.
Bryan stava superando ogni suo limite.
E la cosa per il dottore non era più tollerabile.
“Non riesco a proteggerlo, come in verità vorrei!” pensò con ira.
“Sono così maledettamente idiota!” continuò.

Bryan era solo un vigliacco che nascondeva il cuore.
E lo mostrava quando gli faceva più comodo.
I muscoli del medico s’irrigidirono furiosi.
Adesso provava un inspiegabile senso omicida.
___
 
Il dottore sospirò distratto.
Malgrado avesse medicato con premura le ferite di Balthazar, la cosa sembrava non bastargli.
La spalla del piccolo era così terribilmente conciata da credere a primo impatto che poteva cadere appena venisse sfiorata.
Sospirò di nuovo.
Moriva dalla voglia di andare alle autorità, ma aveva promesso.
Si sentì tirare la manica.
Abbassò gli occhi, per incontrare quelli argentei del figlioccio.
“Che cosa c’è?” gli chiese con dolcezza.
Un sorriso dolce si stampò subito sul volto del dottore, rivolto al suo giovane “paziente”.
“Va bene.” gli disse un po’ confuso.
“Possiamo ritornare a casa.” disse titubante.
“Non sei obbligato.” azzardò subito Brook.
Il piccolo deglutì.
“La mamma li noterà?” chiese triste, riferendosi ai colpi violacei.
 
“Perché non mi hai permesso di dirlo a tua madre?”.
Balthazar rimase di sasso.
“Non è il momento.” rispose vago il piccolo.
“Ma ha il diritto di saperlo.”
“No Brook, tu non puoi capire…”
“E’ tua madre, come credi che reagirà appena lo verrà a sapere?!.”
“Brook, ti prego…se la mamma verrà a saperlo, si agiterà troppo, e perderà il bambino…e così anche lei finirà con l’odiarmi… non posso vivere con il suo odio…”
“Balthazar…se la cosa dovesse accadere, tu non ne avrai colpa.”
“Tua madre non ti potrà mai odiare, ti ama per quello che sei, ti ama per come sei, sei suo figlio, e ti adora, non potrebbe vivere senza di te.”

 
Ma anche quelle parole dette con il cuore, non riuscirono a farmi cambiare idea.
Mia madre doveva affrontare gli ultimi mesi nella più completa calma, e questo voleva dire nasconderle le mie crisi, i miei malori, e le violenze subite, e per sopravvivere, appena mi era possibile, nascondermi dall’uomo che mi ha sempre accolto, senza la minima esitazione.
La sola idea di perdere mio fratello, di perdere Salomon per sempre, mi terrorizzava.
 
Brook gli guardò di nuovo il volto.
Di certo quelle orrende ferite, non passavano inosservate a nessuno.
“Fa ancora male?” chiese chinandosi su di lui.
Il ragazzino non rispose. Brook abbassò gli occhi e sospirò impensierito. Avvicinò la sua mano a pochi centimetri dal volto del piccolo. Balthazar trattenne il fiato, e nei suoi occhi si accese una nuova paura. Brook lasciò i suoi occhi chiari inchiodati in quelli del piccolo, e scosse il capo sicuro.
“Non temere…non sentirai nulla.” gli spiegò sereno.
Soffiò sul suo palmo e una piccola luce dorata accarezzò la guancia del bimbo.
Era calda, lenta, piena di vita e delicata, come il tocco di un’entità celeste.
Era davvero piacevole.
 
Di norma non facevamo ricorso alla magia, la medicina andava più che bene!
Ma Brook, ogni volta che era in mia presenza, si lasciva coinvolgere, e veniva meno ai suoi principi. Quando io ero con lui, non c’era più il dottore, non c’era più il tutore, solo un uomo dal cuore sanguinante per la vergogna e il dispiacere.
 
Appena il medico nascose la sua mano in tasca, Balthazar non resistette all’impulso di sfiorarsi la faccia. Gemette appena toccandosi.
“Posso far sparire i segni, ma non il dolore.” spiegò infine tranquillo l’altro.
Balthazar lasciò ricadere la sua mano lungo il corpo.
Gli occhi del piccolo s’illuminarono di gratitudine e apprezzamento.
Gli sorrise gioioso.
“Grazie!” disse sincero e affettuoso.
E di fronte a tanta tenerezza e bontà, Brook pensò che il solo uccidere Bryan, era troppo poco, davvero troppo poco.
Meritava di peggio.
Meritava di essere condannato a vita.
Al supplizio più atroce di tutti.
Si meritava di diventare un’ombra, persa nel nulla.
___
 
Non voleva.
Eppure l’aveva fatto.
Aveva riaccompagnato Balthazar, di nuovo a casa sua.
E stava proprio pensando a questo, a quel suo grande errore, come la sua mente lo stava definendo, fuori dalla porta della sua abitazione.
Sospirò, ormai rassegnato, all’azione che era già stata compiuta.
Inserì la chiave nella toppa e aprì la porta dell’appartamento da poco comprato.
Era tutto così caldo e colorato in casa sua, soprattutto da quando…
“ Tesoro sei tornato!” esclamò felice Katherine.
Da quando…c’era lei.
Gli si gettò tra le braccia come faceva ogni sera, quando rientrava dal lavoro.
Dita soffici gli accarezzavano il collo, mentre il dolce profumo di lei riempiva la stanza.
Era una creatura così piena di vita e solare.
Unica nel suo genere.
Capelli mossi e cremisi-castani, pelle chiara e occhi nocciola-ambrati, così limpidi e chiari da donare tranquillità e conforto.
Almeno tanto riuscivano a fare per Brook, in qualsiasi momento della giornata.
Katherine era il suo mondo.
Era il suo conforto.
E lei era la sua ragione di vita.
Davvero.
Era l’unica donna che gli permetteva di vivere essendo se stesso, senza rischiare la pazzia, per l’orrore che al volte il dottore doveva affrontare.
Era tutto per lui.
La sua migliore amica, la sua amante, la sua ragazza, e sperava sempre che un giorno fosse diventata sua moglie e la madre dei suoi figli.
Sorrise intenerito, di fronte all’affetto incondizionato che ogni sera gli dimostrava.
Con la sua vitalità, Brook riusciva ad affrontare tutto.
Ma in egual modo, quella donna, tanto forte, tanto bella e tanto sensibile, riuscì a notare gli occhi tristi e spenti del compagno.
Fissò quelli occhi che tanto amava, poggiando le mani sulle sue spalle:
“Che cos’hai Victor?” chiese con gentilezza.
Il dottore gli sorrise con affetto.
“Nulla che tu non possa far guarire.” gli disse con garbo, spostando il ciuffo dal volto della sua ragazza.
“Sul serio Victor, che cosa c’è?” chiese di nuovo.
“Kat, ti prego.” rispose calmo.
Si allontanò da lei con passo sicuro.
“Victor…” lo chiamò con dolcezza voltandosi verso di lui.
“Non tenerti tutto dentro…” gli disse avvicinandosi.
“…parlami!” esclamò con tenerezza sfiorandogli un braccio.
Brook posò il volto su quella mano tanto dolce.
Era così confortante.
Sospirò deluso.
“Sono uno stupido.” annunciò serio.
“Vic…perché dici una cosa del genere?” chiese lei confusa.
“Perché sono veramente un perfetto stupido e cretino…”.
Senza aggiungere altro si mise seduto, sotto lo sguardo rattristato di lei.
Sospirò di nuovo, abbassando gli occhi.
“Oggi…mentre ero a lavoro…Balthazar è venuto da me.” confesso
“Balthazar? Quel bambino dai capelli castani che ho visto l’altra volta?” chiese la donna per avere conferma, sedendosi accanto all’uomo.
Brook annuì, guardandola:
“Sì, proprio lui.” affermò con un mezzo sorriso.
“E beh, non è una cosa buona?” chiese Kat con un incoraggiante.
“Non se viene da te, in lacrime.” disse convinto con un che di amaro nella voce.
“In lacrime?” domandò ancora la ragazza sconvolta.
 Brook sospirò di nuovo, quasi con frustrazione.
“Quel bambino è venuto da me oggi, con il solo intento di nascondersi, e di farsi curare.” spiegò.
“Curare?”
“Quel piccolo, era ricoperto di sangue e lividi.” disse il dottore con tono freddo.
Katherine trattenne il fiato di fronte a quell’affermazione.
“Stai scherzando?” osò chiedere lei con un filo di voce.
“Ho forse la faccia di qualcuno che scherza.” rispose minaccioso.
Katherine rimase di pietra di fronte a quello scatto ira.
Non ebbe neanche la forza di dire di no.
Credeva che una persona dolce e buona come Brook non ne fosse capace.
“Perdonami…” sussurrò subito Brook accarezzandogli la mano.
Aveva capito immediatamente che la sua furia l’aveva spaventata e di certo non era quella la sua intenzione.
“Non volevo alzare la voce.” si scusò continuando con quel semplice gesto.
Adorava la mano di Katherine era così morbida e soffice.
“Non dovevo dirtelo.” aggiunse poi scoraggiato.
“Ma non so per quanto riesca a sopportare la situazione.” confessò.
Sentì le dita di lei stringersi tra le sue.
Alzò il volto per incontrare quello di Kat.
“A me puoi dirmi tutto, lo sai.” affermò lei con un sorriso dolce.
“Sì, lo so…ma…”
“Raccontami…” insistette lei, interrompendolo.
“…se la cosa ti può aiutare.” spiegò.
“Io voglio solo fare di più per quel bambino.” precisò Brook.
Non voleva sconvolgere ulteriormente Kat, raccontandogli come Balthazar era stato sfigurato quella volta. Le avrebbe spezzato il cuore, e sarebbe stato costretto a vedere le sue lacrime.
Non voleva ferirla, era troppo per lui.
“Non merita tutto questo.” pronunciò.
“Tu, non puoi fare davvero nulla?” chiese Kat.
“Sono solo un tutore.” disse lui privo di speranze.
“E la madre, non ha mai notato la cosa?”.
“No…ed è tutta colpa mia.”. precisò
“Perché t’incolpi tanto?” domandò lei senza riuscire realmente a capire.
“Perché…” respirò a fondo.
“…ogni maledetta volta…” nascose un groppo alla gola.
“…sono costretto a nascondere quei segni…”.
“…solo per la tranquillità del piccolo.” affermò
“Per quale motivo?”
“Daphne, è fragile…rischia di perdere il bambino…e Balthazar non lo vuole per nulla al mondo… così soffre in silenzio le crudeltà del padre…”
“Lui sta male, soffre…e non si apre con nessuno, per non far soffrire gli altri nel suo stesso modo… accetta la sua pena senza dire niente a nessuno…”“.
“A nessuno tranne a te?” cercò di capire Kat.
“Non può tenersi tutto dentro, è così piccolo…”.
“Ma perché Bryan lo fa?”
“Non.lo.so.” disse con odio il dottore.
Chinò di nuovo il capo, amareggiato.
“So solo che l’alcool, e la fragilità del ragazzo, non valgono più come scusa.”.
“Secondo te…c’è altro sotto?”
“Lui vuole solo un figlio perfetto.” rispose con un sospiro.
“E per ottenere questo, continua a punire ogni minimo errore del ragazzo, quando sono soli in casa, così da assicurarsi il silenzio del piccolo e la tranquillità della moglie.”
Il volto del dottore si adombrò nuovamente.
Kat non l’aveva mai visto così.
“Vorrei solo che quel bastardo, lo vedesse con gli stessi occhi, con cui lo vedo io.” affermò con rabbia Brook.
“Vorrei solo che capisse la gentilezza e la generosità del figlio come ci sono riuscito io.” disse ancora e la sua voce s’incrinò appena.
“Vorrei solo che capisse il cuore grande che ha quel bambino, malgrado la sua età.” concluse con gli occhi lucidi.
Kat rimase colpita e lieta.
C’era davvero tanto amore in quell’uomo.
“Gli sei molto affezionato, gli vuoi davvero molto bene.”.
“E’ solo un bambino, Kat…è quasi normale.”.
“Ed è il figlio della tua prima ragazza…” precisò Kat, arrossendo appena.
Brook sorrise dentro di se, di fronte a quella nota di gelosia.
Ma non ebbe la forza di ironizzarci sopra.
“Ma non è mio figlio.” disse sicuro.
“Se solo lo fosse…” prosegui senza riuscire a finire la frase.
Adesso gli occhi Brook erano più cupi e lucidi di prima.
Kat gli accarezzò la guancia:
“Vic, tu stai facendo il possibile…” lo consolò con affetto Katherine.
“…e sono sicura che questo Balthazar lo apprezzi veramente.” confessò infine.
“Lo spero.” disse il dottore in mormorio.
Non riuscì a dire altro quella sera, rimase lì, seduto, perso nei suoi pensieri.
Mentre Kat, continuava ad accarezzargli il dorso della mano, e di tanto in tanto il volto, nella speranza di vederlo sorridere.
Nella speranza di consolarlo e di tirargli su il morale.
Vedere gli occhi dell’uomo che amava colmi di lacrime, non l’aiutava.
Perché lei sapeva che Brook avrebbe dato la vita per quel bambino, era nella sua natura, ma non gli era permesso, e questo lo feriva nel profondo.
E in verità faceva stare male anche lei.
Il suo Victor era bellissimo, solo quando era in lui.
La depressione e la tristezza, sfiguravano tutto in lui.
Gli distruggeva il cuore.
La luce soffusa della stanza rischiarava entrambi i corpi dei giovani amanti.
 
Ero troppo giovane e spaventato per capire chi stava veramente soffrendo.
 
 
Note dell’autrice:
Sì, lo so è un capitolo orrendamente triste!
Balthazar ormai teme anche solo il fatto di parlare del padre, e Brook, mi fa un tenerezza infinta, mi sento in colpa per lui, per ciò che è costretto a sopportare, senza riuscire a fare quello che realmente vorrebbe.
Ah, per specificare, non vuole solo riempire di botte Bryan, sì, quello è in cima alla sua lista nera, ma infondo zio Brook, non è cattivo! ;)
Ora passo a quelle poche spiegazioni:
-Whisky: Sì, Bryan oltre ad essere un coglione, stronzo e anche un alcolizzato. In poche parole, è un soggetto da prendere in esempio.
- Donna: Mi piaceva l’idea che Brook avesse una segretaria, giovane e carina, dai bei modi, il nome mi è venuto per caso, forse è anche un po’ colpa di Doctor Who, quando ho scritto questo capitolo accanto a zio Ten, c’era Donna Noble…forse ho voluto ricordare la cosa in questo modo simpatico. ;)
-Finn: E’ il vice di Brook, un medico che lavora al fianco del nostro protagonista. Comparirà solo in questo capitolo, perché dopo, molto dopo, lo stesso posto aspetterà ad un Balthazar adulto.
-Katherine: Qui la ragazza, conosce il dottore solo da pochi mesi, ma la sua spontaneità, e la sua semplicità, sono sufficienti a conquistare il cuore e all’amore di Brook.
 
Ah, non mi detestate e soprattutto lasciate stare il piccolo Balthazar, vi è concesso odiarmi nel capitolo successivo, perché sarà peggio di questo.

Grazie di tutto!
Chris.

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Capitolo 5
*** Un cuore di mamma & una Punizione. ***


“…”: Pensiero del personaggio
“…”: Ricordo
“…” Riflessione del personaggio
____ : Cambio scena
 
 

Un cuore di mamma & "una" Punizione.
 

 
Era in ritardo.
In forte ritardo.
E questo voleva dire guai, grossi guai.
Voleva dire che ben presto la pelle del povero ragazzino, avrebbe bruciato come le fiamme dell’Inferno. 
Ben presto sarebbe stato obbligato a serrare i denti e a soffrire in silenzio.
Ben presto non avrebbe più distinto la sua carne, dai suoi lividi e dal suo sangue.
Aveva infranto le regole, ed era compito di suo padre, riportarlo in riga.
“Ho sbagliato di nuovo!” pensò spaventato.
“L’ho deluso ancora!”
“Perché non riesco mai a farne una giusta!”

“Perché non riesco mai a stare fuori dai guai!” rifletté in ansia.

 Non voleva farsi punire di nuovo.
Suo padre gli aveva già assegnato la giusta punizione tre giorni fa, per un compito poco brillante, e il suo corpo ancora ne risentiva.
“Se non mi affretto peggiorerò solo le cose!” decise preoccupato.
Corse il più veloce di quanto in verità stessa già facendo.
Spalancò la porta di casa una volta giunto, e la richiuse lesto, appoggiandosi a quest’ultima per riprendere fiato.
Deglutì un paio di volte, cercando di regolare il respiro.
E si guardò intorno.
Deglutì un ultima volta e avanzò di un passo.
“Ciao amore mio!” esclamò lei felice.
Balthazar alzò il volto sulla donna che l’aveva salutato.
Sorrise con il cuore leggero.
“Sono salvo!” pensò sereno.
Daphne aveva sentito il figlio rientrare, e ora era all’ingresso del salotto, con un bel sorriso sulle labbra.
La madre corse ad abbracciare il figlio, come faceva sempre quando tornava da scuola.
“Ciao mamma!” salutò solare Balthazar.
Accennò un sorriso.
Aveva fatto tardi rientrando da scuola, ma se c’era sua madre, era al sicuro.
Si sentiva più sollevato quando c’era la sua mamma in casa.
“E’ andato tutto bene a scuola?” domandò dolce.
Si sistemò per terra, per essere alla stessa altezza del figlio, e il suo vestito bianco formò per terra un piccolo fiore.
Sorrise con tenerezza.
“Tutto a posto!” mentì il piccolo per non farla preoccupare.
Infondo aveva solo avuto un capogiro, non c’era motivo di preoccuparla.
“Sei rimasto in compagnia di Ethan?” domandò ancora.
“Ero in compagnia!” rispose vago Balthazar, sorridendo con calore.
Daphne gli baciò la guancia, con affetto, come faceva sempre.
Il lungo vestito bianco che indossava per far star comodo il pancione non gli faceva giustizia, era così bella.
Lunghi e di seta capelli dorati, occhi sottili e del color del cielo talmente dolci da sembrare di cristallo, labbra sfumate appena di rosso.
Una mano dolce, accarezzava la vita che portava dentro.
“Vuoi venire a farmi compagnia in salotto?” domandò lei con dolcezza.
“Certo mamma!” esclamò lui felice prendendole la mano.
Una volta in salotto, Balthazar corse ad aggiungere un ceppo al camino per evitare che la stanza si raffreddasse.
“Non voglio che la mamma senta freddo!” pensò sorridendo timido alle fiamme del fuoco.
Sua madre invece si appoggiò alla cornice della finestra.
I suoi occhi incantati a osservare l’orizzonte, e lo spettacolo dell’avvicinarsi della sera.
I colori rosso, rosa,arancione e d’oro, affrescavano il panorama, colorando appena il volto chiaro di quella bellissima donna.
Sorrideva, di fronte a quella meraviglia, e con dolcezza, accarezzava il suo pancione.
“Mamma!” chiamò ammirato Balthazar.
La donna si volse, verso il figlio, e con un sorriso tenero sul volto:
“Tesoro mio!”
Lo invitò ad avvicinarsi, con un gesto garbato della mano.
“Hai visto quanto è bella la neve colorata d’oro?” chiese Daphne solare.
Il ragazzino annuì, stringendo la mano della donna.
“Scusami mamma!”esclamò Balthazar unendo le mani in grembo, e abbassando il capo.
“Per che cosa piccolo mio?”
“Ho fatto tardi…ti ho fatto preoccupare…non volevo!”
La madre gli sorrise con amore.
“Hai tutto il diritto di stare in compagnia dei tuoi amici Balthazar!” affermò comprensiva la mamma, accarezzandogli con affetto la testa ancora china.
Con lentezza si avvicinò al divano.
Balthazar corse in suo aiuto.
Le prese la mano e l’aiutò a sedersi.
“Grazie, ma che gentiluomo!” scherzò buona la madre, accarezzando di nuovo la pancia.
Il bambino tirò un sorriso forzato.
“Tesoro mio…non sono arrabbiata con te!” affermò la donna sfiorandogli il volto.
“Ma…” provò a dire incerto il piccolo.
“Balthazar se non ti diverti adesso…non avrai altre occasioni di vivere!” sorrise buona.
Amava quel bambino senza il minimo sforzo, era così dolce secondo lei, che non poteva farne a meno. Era importantissima la sua presenza. Voleva dargli forza in un attimo, donargli quella forza che il suo corpicino non aveva sempre. Era vitale per lei la sua esistenza, più importante di quella del marito. Era suo figlio, e non c’era niente di più prezioso, per lei.
“Il papà se ti sgrida per i tuoi ritardi, esagera solo…ma non c’è l’ha con te…lo fa solo perché ti vuole bene! Lui vuole il meglio per te, piccolo mio!”
Il bambino annuì, con la tristezza che gli si stampava sul volto.
Gli occhi di Balthazar si riempirono di lacrime.
Moriva dalla voglia di dichiarare tutta la verità alla madre.
Sapeva che se solo avesse saputo, sarebbe stata pronta, ad assorbire ogni suo livido.
Ma non aveva il coraggio, come poteva sconvolgerle la vita, sull’uomo che amava.
Come poteva dirgli che ogni fasciatura del suo corpo era dovuta al padre.
Provò a distogliere quel pensiero sinistro dalla sua testa.
Cercò di trattenere le lacrime e di rilassare i nervi.
I suoi occhi per qualche strano motivo si fermarono ad osservare la pancia della madre.
Con tenerezza, si chinò e accarezzò con entrambe le mani quella rotondità.
“Ciao fratellino!” esclamò contento.
Con dolcezza baciò il ventre materno.
Sorrise sentendo il fratellino muoversi.
Non era ancora nato, ma Balthazar già adorava quella piccola creatura.
“Come stai oggi Salomon?” domandò buono.
Ogni giorno Balthazar gli rivolgeva quella domanda come se la pancia potesse rispondere.
“Salomon?” chiese la mamma stupita.
Balthazar annuì e aggiunse:
“Sì! A lui piace questo nome!” affermò con un sorriso.
“Senti?” disse prendendogli la mano e poggiandola sul ventre.
“Salomon!!!” chiamò di nuovo.
Il piccolino all’interno iniziò a muoversi con gioia.
“Ma sentilo…è come se…si stesse esibendo in una marea di capriole!” scherzò la madre.
“Salomon!” chiamò lei con dolcezza, accarezzandolo piano.
Il piccino sembrò quasi accoccolarsi alla carezza morbida della madre.
“Mamma.” chiamò piano Balthazar.
“Sì tesoro mio?”
“Devi andare oggi via con zio Brook?” chiese nascondendo la sua voce tremolante.
“Purtroppo sì amore mio.” confesso un po’ abbattuta.
“Ma vedrai una settimana passerà presto…” l’incoraggiò la madre.
“…e poi Brook verrà a farti compagnia di tanto in tanto, no?” chiese con fare curiosa.
“Sì…”
“Quando Brook, ti fa una promessa la mantiene sempre, giusto?”
Il giovanotto annuì, lasciando trasparire un timido sorriso.
“Vedrai amore mio, andrà tutto bene, il bambino starà bene, non rischierò più di perderlo, e presto potrai tenere tra le braccia il tuo fratellino.” gli sorrise con affetto la madre.
Balthazar sembrò rabbuiarsi ancora di più.
“Balthazar, amore mio, non è stata colpa tua, non ho rischiato di perdere il bambino perché tu ti sei sentito male, è una cosa che doveva succedere piccolo della mamma, hai capito?”
Balthazar annuì, senza riuscire a dire nulla, la sua voce poteva tradirlo in quel momento.
“Hai un cuoricino debole, ma tu non hai colpe…andrà tutto bene.”
Balthazar accennò un sorriso timido.
“Sì mamma, starete benissimo tutti e due!” affermò ottimista Balthazar.
“E forse dopo riuscirò a dirti tutto, mamma.”
“Riuscirò a dirti del papà che mi detesta e odia, soprattutto da quando ha saputo del mio amato fratello.”
“Riuscirò a dirti che quell’uomo che da prima mi ha cresciuto come un figlio donandomi amore e affetto, ora vuole solo rendere la mia vita, un inferno.”
“ Riuscirò a dirti che quell’uomo mi sta uccidendo pian paino solo perché non sono il figlio che dovrei essere.”
“Riuscirò a dirti che soffro in silenzio…solo perché temo , che possa far del male anche a te mamma…ho paura che possa prendersela con te, e picchiarti…e questo non lo permetterò mai…non permetterò mai che ti tocchi…”
“Non toccherà mai né la mia mamma, né mio fratello!”

La testa cominciò a girare di nuovo.
Balthazar iniziò a sentirsi stanco.
Con cura si sdraiò accanto alla madre.
Sistemò le gambe e con attenzione poggiò l’orecchio destro su quella pancia, a lui tanto cara.
Fece in modo che il braccio sinistro ancora sofferente poggiasse sulla morbida superficie del divano.
“Stai bene tesoro mio?” chiese piano la mamma, accarezzandogli i capelli.
“Sì! Sto bene!” affermò piano, coccolando la pancia.
E per una volta aveva dichiarato la verità, stava davvero bene in quel momento.
Era sereno, e riusciva a respirare un’aria piacevole e carica d’amore.
“Il mio bellissimo, dolce e speciale Balthazar!”esclamò lei accarezzandolo.
“E il mio piccolo e vivace Salomon!” affermò con un sorriso, fermandosi sull’altro figlio.
Balthazar sorrise, e con quelle ultime parole che gli echeggiavano in testa, tra una carezza e l’altra della madre, e il movimento dolce e attivo del fratellino, chiuse gli occhi e si addormentò.
 
Quello stesso pomeriggio mia madre si ricoverò in ospedale, e una parte del mio cuore malato, si unì a lei.
____
 
“Mia madre tornerà presto.” pensò Balthazar fiducioso.
Si accoccolò nel letto, e cercò di rimanere sveglio.
Voleva aspettare Brook.
In quel momento era solo, con suo padre.
E Balthazar sapeva bene cosa poteva succedere in quegli attimi.
Gli occhi si aprivano e si richiudevano rendendo inconoscibile la stanza.
Era tutto così confuso.
Sembrava sotto anestetici.
In quella strana atmosfera, notò che la porta, era rimasta socchiusa.
 
“ Brook, posso chiederti un favore?”
“Ma certo!” ripose sorpreso il dottore.
“Puoi chiudere la porta?”
Il medico guardò prima l’ingresso, poi tornò sul ragazzino con una faccia stranita, come per dire: “Ma Balthazar è appena accostata di pochi centimetri, che fastidio può darti!”

“Per favore!” supplicò il ragazzo, capendo l’espressione dell’amico.
Brook non voleva fare domande, così si avvicinò all’apertura e chiuse la porta.
“Va bene così?” chiese voltandosi verso il piccolo.
“Puoi chiuderla a chiave senza far rumore?”
A quella triste richiesta, Brook capì che il terrore del piccolo nei confronti del padre, era totale.
Fece scattare la serratura con estrema attenzione.
“Grazie mille!” pronunciò infine Balthazar.

 
“Perché non l’ho chiusa!” pensò d’impatto.
Si sottrasse dal caldo delle coperte.
Dolorante, debole e probabilmente con un po’di febbre, si alzò dal letto.
Poggiò i piedi nudi per terra, e iniziò la sua camminata incerta.
La maniglia fredda della porta entrò in contatto con la sua mano caldissima.
La porta si chiuse piano, come tutte le sere.
La mano del piccolo afferrò la chiave, e mentre la stava girando nella serratura:
“Che cosa stavi facendo Balthazar, eh!” esclamò severo.
Balthazar rimase di sasso, paralizzato davanti alla porta spalancata.
Capelli d’acciaio, occhi scuri, pelle chiara.
Paura.
“M-m-mi dispiace…” riuscì a farfugliare.
Era nel panico più totale.
Il ragazzino impietrito e spaventato, indietreggiò atterrito.
Ma era talmente stanco e spaventato, che inciampò tra i suoi piedi.
Cadde a terra, colpendo con violenza il fianco e la spalla sinistra.
Strinse i denti.
Ancora allarmato, si allontanò aiutandosi con i gomiti.
Le gambe gli tremavano troppo per aiutarsi anche con quelle.
“Mi dispiace…non succederà più…”
Gli occhi del ragazzo, erano così vacui e spenti.
Irrigiditi dalla paura.
“….Perdonami…” pronunciò ancora.
Si vide alzare una mano contro.
Ecco lo sentiva.
L’odore della paura, stava inebriando la stanza.
Balthazar stava già annusando l’odore del suo sangue.
Non poteva fare molto, nelle condizioni in cui si trovava.
Affaticato e impaurito, si limitò a proteggere il volto.
“Perché esita così tanto?” pensò Balthazar, non sentendo nulla.
Il dolore attardava troppo, nel venire.
Si sentì prendere con delicatezza una mano.
E qualcuno con la stessa dolcezza gli accarezzò la guancia.
“Stavo scherzando Balthazar…scusami!”
Rimase meravigliato.
Quella voce non era di suo padre.
Abbassò le braccia, e si costrinse a guardare avanti.
Il volto severo di suo padre interferì, con quello dolce e spaventato di Victor.
“Brook!” esclamò il piccolo stupefatto.
“Sì, sono io!” disse il dottore con un sorriso caldo.
La mano del medico scivolò lontano dalla guancia del ragazzino.
“Non credevo di spaventarti tanto!” ammise con tristezza.
Balthazar fece di tutto per trattenersi dal piangere.
Ma la tensione, la paura, e la stanchezza ora erano davvero troppi, non riusciva più sopportarli.
Demoralizzato, si gettò tra le braccia del medico.
Scoppiò in lacrime, con una paura matta nel cuore.
“Balthazar…” lo chiamò piano il tutore.
Odiava vederlo ridotto in quel modo.
Ignorando lo sforzo fisico, l’alzò da terra, e l’abbracciò forte.
Infondo il suo corpo fragile e magro non pesava poi molto.
Iniziò a sperare che almeno quell’abbraccio gli donasse un po’ di conforto e coraggio.
Ma Balthazar non smetteva.
Continuava a stringere il cappotto lungo del medico, senza dare freno alle lacrime.
Brook si lasciò invadere dalla rabbia.
E con quella stessa arrabbiatura, colpì con un calcio la porta.
Il tonfo dell’ingresso risuonò nella casa. Ma Brook ignorò quel rumore.
Un altro gli stava tormentando le orecchie.
Quel pianto continuo gli stava lacerando il petto, come una serie di pugnali, conficcati uno a uno.
Il dottore, cercò invano di consolarlo.
Sembrava che le carezze continue e l’abbraccio protettivo non servissero poi a molto.
“Sta tranquillo Balthazar…è tutto a posto…” cercò di tranquillizzarlo il medico.
Balthazar si stava affaticando davvero tanto e Brook riusciva a sentirlo.
“Balthazar…non dovresti sforzarti così tanto!” gli sussurrò.
Senza lasciarlo, continuando a sorreggerlo, l’accompagnò vicino al letto.
L’aiutò a sedersi, e gli si sistemò accanto.
Ma Balthazar non riusciva a staccarsi da lui.
Continuava ad abbracciarlo, senza smettere di singhiozzare.
Brook lo strinse di nuovo, sfiorandogli con dolcezza la schiena.
“Rivoglio mio padre Brook!” pronunciò piagnucolando.
“Voglio il mio papà!”
“ Lo so Balthazar!” esclamò buono il medico.
“Ti capisco!” affermò poi.
E lo capiva per davvero, anche lui, rivoleva indietro il suo migliore amico, che era stato un tempo.
Chissà cosa era successo per cambiarlo a quel modo?
Il medico con delicatezza allontanò il piccolo da lui e gli sfiorò le guance bagnate.
Il dottore gli coccolò un po’ capelli.
Voleva farlo sentire meglio.
Ora che le lacrime, stava smettendo pian piano, voleva solo calmarlo.
“Ascoltami piccolo…” iniziò Brook alzandosi dal letto.
Gli coprì le gambe, e gli stropicciò il cuscino.
“…Sei troppo stanco per permetterti un’ora così tarda…”.
“…Non ti fa bene alla salute…”
“…Hai bisogno di riposo!” esclamò alla fine.
Balthazar scosse il capo, impaurito.
“No. Non voglio!” disse il ragazzino impaurito.
“Balthazar…!”
“Brook ti prego, ti prego!”
 “No Balthazar! Hai bisogno di dormire!”
Cercò di farlo stendere, ma il ragazzino si ostinava a non mettersi giù, e alla fine Balthazar gli fermò le mani, supplicandolo di nuovo.
“Ascoltami Balthazar…” disse il medico fermandogli il volto.
“Guardami!” disse costringendolo a guardarlo negli occhi.
Schioccò le dita prima di parlare di nuovo.
Entrambi sentirono la porta chiudersi a chiave.
“La porta è chiusa, ed io sono qui accanto a te …sta tranquillo!”
“Ho paura!” esclamò il ragazzo.
“E di che cosa Balthazar?” domandò il medico con sorriso caldo.
“Ci siamo solo io e te in questa stanza…nessuno può farti del male!”
Sistemò le coperte, e l’aiutò a sdraiarsi.
“Hai capito Balthazar?” domandò gentile il medico, accarezzandogli il volto.
Il ragazzino annuì.
“Sì, ho capito!”
Senza dire nulla, Balthazar afferrò la mano del medico.
“Non te ne andare!” sussurrò triste.
“Non vado da nessuna parte!”
“Ti starò vicino tutta la notte!”
Accennò un sorriso:
“Posso rimanere un po’ così, per favore.”
La mano tremò un po’ in quella calda del medico.
“Se ti aiuta, puoi stringermi la mano, tutte le volte che hai paura!” affermò il medico guardandolo con affetto.  Afferrò la sedia della scrivania, e si mise seduto accanto al ragazzino, senza lasciargli mai la mano. Appena si fu accomodato, involontariamente iniziò ad accarezzargli il dorso, con il polpastrello del pollice.
“Dormi tranquillo Balthazar!”
“Ci sono io qui!”
____
 
Ma rimase solo per quella notte. La sua protezione durò solo un giorno, perché quando un medico ha un’emergenza, deve correre qualunque siano le circostanze.
Doveva andare anche se questo voleva dire, lasciarmi solo con…
 
“Ti piace Katherine?” chiese ancora Balthazar.
Brook gli sorrise con affetto, e chinandosi verso di lui, gli mormorò all’orecchio:
“Non è affar tuo, signorino!” scherzò il dottore.
Balthazar sorrise e guardò Brook allontanarsi, diretto nel piccolo salotto.
Si sistemò e chiuse l’impermeabile, compreso di cappuccio.
E rimase lì fermo, a guardare Brook che parlava con la sua ragazza, non capiva cosa stavano dicendo ma comprese che l’argomento era lui, perché Brook, molto spesso indicava il piccolo, voltandosi appena.
Alla fine della chiacchierata, vide la ragazza annuire, e Brook con estrema dolcezza, le accarezzò il capo e le baciò la fronte. Sorrise con amore, apprezzando il fatto che la sua ragazza avesse capito la situazione, e che avesse mostrato buon cuore. Era una ragazza così tenera e carina.
“Torno presto!” gli sussurrò infine.
Le prese le mani, e lentamente gli sfiorò le labbra.
“Fai la brava bimba, va bene?” scherzò Brook sfiorandogli una ciocca di capelli.
Lei arrossì appena, ma con uno sorriso dolce, annuì.
Brook si costrinse ad allontanarsi da lei, con un simpatico occhiolino.
Ritornò in sala da pranzo e si avvicinò all’attaccapanni.
“Vieni Balthazar, possiamo andare!” affermò Brook, facendogli segno di avvicinarsi.
“Brook, posso farti una domanda?” chiese il piccolo, una volta vicino all’amico.
“Ma anche due se vuoi!” rispose Brook, infilandosi il suo d’impermeabile avana.
“Credi  che io sia un incapace e una persona inutile?”
“Oh no, Balthazar…non è assolutamente così!” affermò Brook chiudendo l’ultimo bottone.
Ma il bimbo non sembrava molto convinto, tant’è che abbasso il capo pensieroso.
Brook, si sistemò il risvolto del soprabito, e poi si inginocchiò di fronte al piccino.
“Balthazar ascoltami…tu non sei un incapace…tu sei il bambino più forte e coraggioso che conosco…non c’è nessun’altro con la stessa forza che possiedi tu.”

“Non sei un uomo e non sei ancora adulto, sei solo un ragazzo che ha ancora un sacco di tempo per crescere, e per imparare dal resto del mondo.”

 
Ma purtroppo Bryan, non mi aveva mai visto in questo modo, ero sempre stato inutile, d’intralcio, un peso e uno stupido di fronte ai suoi occhi…
Ed essendo io per lui solo un estraneo debole, e non degno di vita, “meritavo” solo una cosa…
“Meritavo” solo di essere…
 
Quella stessa sera, rimasto da solo con l’uomo che chiamava padre, Balthazar stava combattendo con il suo stesso stomaco.
Respirò a fondo, cercando di ignorare l’amaro in bocca.
Poi si decise a bussare a quella maledetta porta.
Aspettò per un secondo.
“Entra!” si sentì dire con disprezzo.
Respirò un ultima volta, sapendo di essere costretto ad affrontare il suo triste destino.
Entrò in quella dannata stanza che conosceva bene.
Bryan non si accorse neanche della sua presenza, rimase impassibile, davanti alla sua scrivania, seduto al suo posto.
Balthazar non aveva il coraggio di guardarlo, ne tanto meno di confermare la sua presenza.
Non aveva l’ardire di guardarlo in volto.
Non aveva la forza di affrontarlo.
Non l’aveva mai avuta.
Lì, in quella stanza, in quel momento, era solo, privo di ogni speranza.
Lui e il suo eterno terrore.
Lui e il buio che presto avrebbe visto.
Lui e il suo dolore, che presto l’avrebbe avvolto.
 
Aveva, e ha sempre avuto il controllo su di me, ero completamente soggiogato al suo volere, sottomesso ai suoi capricci, incapace anche solo di mentirgli, piegato e obbediente come un cane, impotente di agire e reagire di fronte a lui, senza diritti, e senza la possibilità di decidere, e io stupido, convinto che quel dolore era utile alla mia formazione e alla mia educazione. Convinto che quelle punizioni, erano l’unico mezzo per riavvicinarmi a mio padre, l’unico modo per ottenere il suo perdono, di fronte alle mie continue delusioni…
L’unico modo per avere un po’ di quell’affetto perduto, l’unico modo per credere che quell’uomo mi volesse ancora bene.
 
Solo Brook, dopo troppo tempo è riuscito ad aprirmi gli occhi, e solo dopo tanto tempo, ho capito che tutto quello era sbagliato, che non ero io lo stolto e l’ignorante.
Era quell’altro ad essere folle.
 
Continuò a fissare il pavimento, cercando di frenare il tremore che sentiva dei muscoli.
Le sue mani strette come sempre, le unghie conficcate nella pelle.
Finalmente Bryan alzò gli occhi sul ragazzino.
Sbuffò irritato.
“Io, che cosa devo fare con te?” chiese con rabbia.
Si alzò dalla sua sedia, che strusciò con violenza per terra e si avvicinò al piccolo, che trasalì all’istante. Un grave errore.
“Tks, sei così imbarazzante!” l’offese.
Il piccolo deglutì e annuì con il capo.
“Sì…” mormorò piano.
“Attento a quello che dici…io non ti ho ancora permesso di parlare!” affermò contrariato.
Il ragazzino chinò di più il capo, e si morse il labbro inferiore.
 
Avevo solo quattordici anni, ma di fronte a quell’essere, dimenticavo che stavo diventando uomo, e ritornavo a essere bambino.
Un bambino troppo piccolo e spaventato.
 
“Lo sai perché sei qui? Rispondi.” chiese dopo con fare annoiato.
“Perché ho commesso errori in quest’ultimi giorni, troppi…e non vi ho reso fiero di me…ho sbagliato.”
“E perché hai sbagliato?” domandò ancora seccato.
“Perché non sto mai attento, e non faccio come mi viene detto.”
“Quante volte mi devo ripetere con te?” osò indispettito.
“Non vuoi proprio ascoltarmi?!” osò ancora.
“Mi dispiace padre…non era mia intenzione…”.
“NON OSARE CHIAMARMI COSI’, PICCOLO STUPIDO!!!” tuonò Bryan sdegnato.
Il primo schiaffo bruciò all’istante la guancia destra di Balthazar.
“TU NON SEI MIO FIGLIO, SEI SOLO UN BASTARDO INUTILE!!!” concluse adirato.
Il seguente schiaffo, colpì la guancia opposta, per punire l’errore che la bocca del piccolo aveva commesso. E malgrado il dolore, Balthazar fu costretto a trattenere le lacrime.
Sapeva bene cosa sarebbe accaduto se solo una lacrima avesse sfiorato la superficie del pavimento.
 
Il mio fianco e il mio stomaco ricordavano fin troppo bene i suoi calci.
 
“Dì la verità, ti diverte umiliare me e mia moglie?” lo rimproverò con ferocia.
“No Signore…” cercò di rispondere, frenando il tremore della voce.
“GUARDAMI IN FACCIA QUANDO RISPONDI, NON HAI TUTT’ORA CAPITO COME PORTARMI RISPETTO, PICCOLO IDIOTA?” lo riprese di nuovo.
L’afferrò per la camicia, e con uno strattone, l’obbligò ad alzare il volto.
La stretta ferrea, quasi impediva il respiro a Balthazar.
Gli occhi terrorizzati del piccolo, fissi in quelli rabbiosi del padre.
Se si azzardava a chiuderli, ci avrebbe pensato la mano arrabbiata di quell’uomo a ricordargli che cosa poteva o non poteva fare.
“Allora la cosa ti diverte?” chiese di nuovo con lo stesso tono duro di prima.
“No, signore!” rispose lesto Balthazar.
“Allora ti prendi gioco di me?”
“No…”
“Ti rallegra il fatto deludermi e di mortificare mia moglie?”.
“No signore, dovete credermi…”
“Su che cosa dovrei crederti?” domandò quasi con derisione.
“Perdonatemi, non accadrà di nuovo…”
 “Che cosa me ne faccio io delle tue scuse?” affermò con tono freddo.
“Vi prego… farò più attenzione…m’impegnerò di più…sarò impeccabile…non sarò più fonte di guai…sarò perfetto come voi avete sempre desiderato!”.
“Tu non vuoi ascoltarmi, non vuoi capire, non rispetti me e le mie regole, non rispetti le persone che vogliono darti un minimo di educazione e insegnamento, sei debole e fragile, una vergogna, sei un continuo fallimento, una disgrazia!”
“Ma adesso t’insegnerò io a ritornare al tuo posto.” minacciò con un sorriso sinistro sul volto.
“Vediamo se la prossima volta mi ritorni a casa con una misera sufficienza, e se osi nuovamente tardare nel rientrare a casa, non ti ho dato delle regole perché mi diverto, mi hai capito?”.
 
Solo l’ennesima scusa per punirmi…ero castigato per molto meno.
Il suo limite di pazienza e di sopportazione erano molto bassi.
E per questo il mio corpo e la mia mente soffrivano spesso.
Quasi quotidianamente.
 
“Sì signore…”
“E visto che i normali metodi con te non funzionano, ne utilizziamo un altro!”
“Sì signore.” ripose serio il ragazzo.
Ma dentro di se il cuore aveva smesso di battere, dalla paura.
Bryan prese dalla scrivania l’arma per la punizione del piccolo.
La tese fra le mani.
“Forza non farmi perdere tempo.” affermò con ripugnanza.
“Devo impartiti la lezione che ti meriti!”. Sorrise compiaciuto per quello che stava per fare.
“Sì, è quello che mi merito.” acconsentì in un sussurro.
 
Sì, era la mia frase di circostanza. Perché ero davvero consapevole di meritarmi le lezioni violente che quel maledetto uomo m’impartiva, senza battere ciglio.
 
“Le regole le ricordi, vero?” chiese con scherno.
“Non mi è permesso piangere né urlare, e in oltre mi è proibito supplicarvi di smettere!”
Bryan sorrise soddisfatto.
“Muoviti allora.” gli ordinò ammiccando verso la camicia.
Balthazar annuì, e sbottono il colletto.
Poi i restanti bottoni, fin quando la camicia bianca non scivolò ai suoi piedi.
Deglutì impietrito, mentre poggiava le mani al muro e donava la schiena al suo castigo.
Gli mancava il respiro e i suoi muscoli erano tesi al massimo.
Chinò il capo e attese.
La prima frustata non tardò ad arrivare.
 
Il primo colpo non tardò ad arrivare.
Strappandomi la pelle, lacerandomi la carne che subito prese a sanguinare.
 
E assieme ad essa, una continua sofferenza, soffocata da lacrime e gemiti silenziosi.
 
E quando ebbe finito con me, credetti di sfiorare la morte con un dito.
Rimasi lì, per terra, come l’animale che secondo quell’uomo, io ero privo di sostentamento, raggomitolato tra il mio sangue e il mio dolore.
E quando Brook fu il testimone di quello scempio, fece quello che il suo cuore gli aveva chiesto di fare dalla prima volta.
 
Assistetti alla sua furia silenziosa.
Dicono che c’è una prima volta per tutto.
Io per la prima volta vidi la rabbia del mio tutore e l’odio che provava sfogarsi sul corpo dell’individuo che mi aveva terrorizzato per cinque anni.
 
“Se osi avvicinarti di nuovo a Balthazar, a Daphne o al figlio che porta in grembo, io giuro sulla mia vita, che ti ammazzo con le mie mani”.
 
Quella notte, Bryan, sparì per sempre dalla mia vita, accusato per i crimini commessi.
 
 
Un odore nuovo, che non sapeva di vomito e sangue, invase le narici di Balthazar.
Aprì gli occhi con fatica, solo per guardarsi intorno.
Il letto in cui si era addormentato, era scomodo e duro.
Talmente duro, che il fianco su cui stava riposando si era intorpidito.
E poi le bende erano troppo strette.
Avvolgevano tutto il torace, nascondendo il petto e la schiena, stringevano il collo e le spalle.
In alcuni punti anche le braccia e le gambe erano fasciate.
Appoggiò la mano sul materasso, per provare a mettersi di schiena.
Ma si fermò, perché appena la mano sfiorò il materasso, una fitta di dolore percosse tutto il braccio, raggiungendo la schiena, lasciandolo senza fiato.
Balthazar fu costretto a serrare gli occhi, e a lasciare che l’aria ritornasse con forza nei suoi polmoni per alleviare un po’il male.
“No, non ti muovere!” si sentì dire con premura.
“Altrimenti sposterai la flebo.” gli spiegò.
Un volto dolce, ma terribilmente preoccupato incrociò gli occhi di Balthazar.
 
Fin da quando ne ho memoria, Brook c’è sempre stato.
 
“Brook, lo sai che detesto la flebo.” gli rispose calmo, rimettendosi giù.
“Lo so, ma non c’era altra scelta…oppure…” il dottore non concluse la frase.
In tutta risposta si asciugò l’occhio destro.
Balthazar rimase a bocca aperta, fermandosi ad osservare la scena.
“Che cos’ha, sta male?” si chiese preoccupato.
Ma non ebbe modo di chiederglielo, il primo a parlare fu il suo tutore:
“Come ti senti?” gli chiese poi avvicinandosi al letto.
La mano dolce di Brook gli accarezzò i capelli appena zuppi, spostandoli con affetto dalla fronte ormai tiepida.
“ Mi fa male il corpo…è tutto indolenzito…” cercò di spiegarsi.
Brook sorrise lieve di fronte alla spontaneità del piccolo, anche se i suoi occhi erano terribilmente lucidi.
“Ti do una mano a metterti seduto, vuoi?”
“Sì…per favore.” rispose educato il ragazzino allungandogli la mano.
Il medico gli sorrise di nuovo, anche se dentro di sé si sentiva morire per la colpa.
Balthazar si mise seduto, facendo attenzione nel sistemare le gambe stanche.
“Perché non ti sei ribellato?” chiese Brook cercando di nascondere la rabbia che gli ribolliva dentro, e l’angoscia che provava per il ragazzino.
“Non ce n’era bisogno.” rispose Balthazar massaggiandosi l’addome insonnolito.
“Come hai potuto sopportarlo senza fare niente?” chiese il medico preoccupato.
“Che cosa avrei potuto fare…ero paralizzato…dalla paura.” confessò vergognandosi di se stesso.  Brook ebbe il coraggio di vedere come Bryan aveva ridotto quel piccolo.
Il ragazzino che tanto adorava, era quasi irriconoscibile.
Il volto livido, la fronte ferita all’altezza dell’occhio, il labbro rotto in più punti, il naso che di tanto in tanto si ricordava di sanguinare, vecchie bruciature sulle braccia, e segni irregolari misti ad arrossamenti e tumefazioni sul restante corpo.
La schiena martoriata, dall’ultima punizione ricevuta, talmente dura che ancora sporcava le bende che cercavano di risanare il danno. Brook espirò a fondo per cercare di controllarsi.
“Perché non me l’hai detto Balthazar…sarei rimasto con te.” gli disse accarezzandogli la guancia, per conforto.
“Era giusto così.” rispose sereno Balthazar.
Il cuore del dottore si ruppe.
“Giusto?” chiese senza riuscire a capire.
“Certo Brook, io meritavo di essere punito…”.
Il cuore ormai sfinito del medico si sbriciolò, e la sua anima pianse.
 
“Come si può essere così convinti di questo?”
“Come si può accettare un tale destino senza replicare?”
“Come si può essere così obbedienti, senza reagire?”
 
“Con quale coraggio un uomo può fare questo ad un bambino?”
 
“Tks…un uomo…sarebbe ingiusto anche chiamarlo animale.”

 
“No-no-no Balthazar!” lo fermò il medico, scuotendo il capo.
Gli afferrò le mani chinandosi protettivo su di lui.
S’inginocchiò davanti a lui.
Incrociò gli occhi argenti del giovane e affermò di nuovo:
“Nessuno merita quello che tu sei stato costretto a subire!”.
“Brook…era solo per il mio bene!”
“Non era per il tuo bene!” esclamò nervoso e irritato da quella convinzione che gli avevano messo in testa per forza.
“E se hai sofferto così tanto, è stato solo per colpa mia!” concluse mentre una lacrima abbandonava il suo occhio.
“Non è vero…tu mi hai aiutato... mi hai dato una mano.” gli disse tranquillo il bambino.
“No, è stata tutta colpa mia.” affermò di nuovo stringendo più forte le mani del piccolo.
“Brook, l’hai fatto per la mamma e per Salomon, l’hai fatto per me.” gli ricordò Balthazar.
“Potevo farlo per voi, in modo diverso, potevo fare da subito la cosa giusta, e starti vicino…starvi vicino per affrontare il momento…”. Affermò versando altre due lacrime.
“E invece non l’ho fatto, sono stato un codardo!”. S’insultò alla fine il medico.
Chinò il capo, senza allentare la presa su quelle mani che erano state costrette a parare così tanti colpi, e a stringersi così tante volte per la paura.
“Sono una persona orribile!” singhiozzò disperato.
Brook si strinse nelle spalle, e pianse di nuovo.
“Mi dispiace!!!” urlò disperato.
Il medico nascose il suo volto sulle gambe del bambino, lasciando libero sfogo al pianto.
“Perdonami!!!” gridò di nuovo.
Pianse più forte, bagnando le mani del bambino.
“Balthazar, ti prego, perdonami!!!”
Balthazar rimase impietrito di fronte a quella scena.
Deglutì smarrito.
Appoggiò una mano sulla spalla del medico che continuava a piangere, per lavar via le sue colpe.
“Brook, tu non hai fatto nulla di male, perché mi chiedi perdono?” cercò di capire Balthazar.
Ma non giunse mai risposta, c’erano solo lacrime continue.
“Brook…” sussurrò il bambino.
Balthazar deglutì un ultima volta, prima di stringere in un abbraccio delicato il dottore.
L’avvolse con la speranza di donargli sostegno.
“Non hai fatto nulla di male Brook.” gli disse di nuovo piano.
Il bambino versò solo una lacrima, nascondendo il suo volto mortificato accanto a quello del tutore, distrutto dal dolore.
Aveva causato una sofferenza indescrivibile a quella persona che l’aveva sempre protetto.
 
Quella fu la prima volta che vidi Brook piangere.
E solo allora mi resi conto che avevo chiesto tanto, ad un uomo troppo buono.
Avevo chiesto un enorme sacrificio al cuore di una persona che mi vuole bene per quello che sono.
Gli avevo chiesto di mantenere un segreto più grande di lui.
Brook in quello stesso giorno m’insegnò che le lacrime possono essere versate anche per amore.
 
La mia schiena, riporta ancora le cicatrici di quella tremenda notte.
 
 
 
Note dell’autrice:
ç___ç Lo so…è crudeltà allo stato puro!!!
Ma vi avevo avvertiti…e poi non è colpa mia…T^T…io non farei mai così male al mio angioletto!
Questo capitolo è stata la mia crociata personale…lo detestavo ancora prima di pensarlo!
E una volta concluso, ci ho messo un po’ per decidere di ricorreggerlo!
Ma la cosa brutta, è che nel romanzo, scene di questo genere, ce ne saranno fin troppe, dure più o meno allo stesso modo! Ç_ç Povero il mio tenero Balthy!!!
Ora mi odiate, vero?!?
Ecco io lo sapevo… :(
Ma vi prego, vi prego  <(_ _)>…non odiate Balthazar…cercate di capirlo…Bryan l’ha reso suo schiavo, ed è talmente “mortificato” dal padre, che gli obbedisce senza storie, è sotto la sua completa volta, ma solo per paura…agisce in modo automatico, solo perché ormai conosce già la conseguenze, ed evita di peggiorare la situazione…dai, non ha neanche il coraggio di guardarlo in volto per timore…come potete detestare questo piccino dal cuore grande?! Non reagisce, è vero, ma voi che avreste fatto al suo posto, eh?
E Brook, avrebbe fatto l’impossibile da subito…lo sapete…ma era combattuto tra la cosa giusta da fare e la promessa fatta al suo piccolo amico!
Cercate di perdonarli…non hanno fanno nulla di male! o__O
Ah, dimenticavo le piccole spiegazioni:
- Daphne: Sì, qui per la prima volta compare la madre di Balthy. Non è bellissima? Io l’adoro!!!
E anche se non sa nulla su ciò che succede al figlio, credetemi se vi dico che lei è la prima a voler vedere il marito morto per ciò che ha fatto. Qui non lo dico, ma questo è il periodo in cui lo scopre, e la storia d’amore tra due finisce per sempre! (Anche per la mia felicità)
- Salomon: Sì, il nome del nascituro, è stato scelto da Balthazar. ;)
- Zio: Balthazar dopo aver confessato gli abusi del padre al medico, inizierà a chiamarlo zio, solo per affetto!
- Febbre: Nel romanzo in questa scena Balthazar aveva per davvero la febbre alta, ma qui avendo riadattato il racconto, ho preferito che fosse solo tanta stanchezza, dovuta all’assenza della madre.
- Porta: Balthazar dopo la prima volta che il padre l’ha picchiato, ha preso il vizio a chiudersi a chiave, e anche se qui non lo dico, quelle porta è stata sfondata un paio di volte…ecco perché tanta agitazione quando viene spalancata di getto.
- Brook: Qui purtroppo ha raggiunto il suo limite di sopportazione tant’è che minaccia e “rimette in riga” Bryan…ma tutto questo non serve ad attutire il suo senso di colpa.
- Perdono: Balthazar non riesce a capire dove il tutore abbia sbagliato, per lui è un eroe, che l’ha protetto e tenuto al sicuro.

Nel titolo, una è tra "...", perchè magari fosse stata solo una punizione!

Alla prossima! ;)
Bacio ^3^
Chris


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Capitolo 6
*** Un vero amico & una famiglia meravigliosa. ***


“…”: Pensiero del personaggio
“…”: Ricordo

“…” Riflessione del personaggio
____ : Cambio scena

 

 

Un vero amico & una famiglia meravigliosa.
 

 
Sembrava ieri.
Ancora non mi sembrava vero che eravamo diplomati già da anno, e che ora Ethan, avrebbe seguito con orgoglio le orme di suo padre.
“Ma chi l’avrebbe mai detto, tu un’agente dell’autorità!” esclamò felice Balthazar.
“Già, fa strano anche a me.” confessò Ethan, accarezzandosi la divisa nuova di zecca.
Gli occhi verde smeraldo di Ethan, incrociarono quelli argenti di Balthazar.
“E tu invece, sei uno dei camerieri di un importante ristorante.”
“ E’solo una cosa momentanea…io diventerò il pediatra che ho sempre sognato di essere!” esclamò sicuro.
Ethan sorrise divertito, davanti alla tranquillità che il migliore amico aveva conquistato, malgrado la sua vita difficile.
Sorrise e poi si passò una mano tra i capelli corti e neri:
“Spero solo di essere all’altezza di questo compito.” sospirò sconfortato il nuovo agente.
“Io sono convinto del fatto che sarai impeccabile, farai il tuo bel figurone, agente Ethan!”
“Che fai mi stai prendendo in giro!?” gli disse quasi offeso.
“No…” affermò Balthazar scuotendo il capo.
“…Tu sapevi di Bryan, mi hai dato man forte fino all’ultimo…credimi non potevi fare nient’altro che questo.” gli disse con un leggero sorriso.
Ethan sorrise con piacere.
“Grazie fratellino.” affermò grato.
“Accidenti a te, la finirai mai con questa storia!? Sono più piccolo di te solo di alcuni mesi, non hai il diritto di sminuirmi così!”. esclamò sull’orlo dell’imbarazzo.
“Ma è divertente.” affermò scherzosamente.
“Sei un grandissimo infame!” confessò Balthazar con ironia.
Entrambi si scambiarono un sorriso complice e divertito.
“Mi mancherai pazzo d’un amico!” affermò deglutendo Ethan.
“Buona fortuna per l’esame finale!” gli augurò spontaneo Balthazar abbracciandolo.
“Non mi sparire, okay?!” gli disse Ethan stringendolo forte.
“Sta tranquillo, non scappo: non ne avrei mai il coraggio!”.
 
E lì, nello stesso parco dov’è iniziata la nostra amicizia, con nuove speranze nel cuore stavamo iniziando una nuova vita.
 
____
 
 
“ Sono tornato!” esclamò felice Balthazar facendo il suo ingresso in casa.
Rapido entrò e chiuse la porta.
Si sfregò le mani, cercando di adattarle al caldo della casa.
“ Anna?”chiamò forte.
Si tolse guanti, sciarpa e cappotto, li appoggiò dove capitava, e felice corse su per le scale.
Aprì la porta della stanzetta del fratellino, da cui proveniva la melodia di un carillon, che riportava una ninna nanna.
 
Quella ninna nanna, la preferita di mia madre.
E tutt’ora è un peso non vedere più il suo volto, più il suo sorriso solare.
Ma non la dimenticherò mai.
La custodisco gelosamente in un angolino del mio cuore.
Infondo lei, mi ha lasciato un bene prezioso.
 
Si affacciò senza far rumore.
“ Ciao Anna!” il giovane salutò la migliore amica di sua madre.
 “ Ben tornato Balthazar…com’è andata oggi a lavoro?”.
“ Tutto a posto ti ringrazio!”
Entrò piano, chiudendo la porta con attenzione.
“ Dorme?” chiese avvicinandosi alla culla.
La donna annuì, raccogliendo le sue cose.
Balthazar con premura per non svegliarlo, accarezzò la testa del piccolino.
“ Dormi tranquillo, Salomon!” sussurrò.
Seguì la donna fuori la porta.
“ Grazie per oggi, non potevo davvero assentarmi…scusa se ho fatto più tardi del previsto…”.  esclamò Balthazar socchiudendo la camera del piccolo, e accompagnando la donna alla porta.
“ Non ti preoccupare, non fa niente!”
“ …Devo fare qualcosa?”  chiese poi lui.
“ Ho già fatto tutto io, devi solo fare il bagnetto a Salomon, e hai la cena in caldo!”  rispose la donna.
“ Grazie Anna, sei davvero un tesoro!”
“ Domani avete bisogno d’aiuto?” domandò Anna.
“ Ehm…no, domani posso occuparmene io, non c’è problema!”  sorrise il giovane.
“ Sicuro?”
“ Sì, non sono di turno, e poi domani c’è Kat!” esclamò lui.
“ Se hai bisogno non fare complimenti!” disse la donna avvicinandosi alla porta di casa.
“ Certo, grazie ancora!”  salutò Balthazar..
 “ Beh, allora buona notte!”  esclamò Anna.
“ Buona notte Anna e grazie ancora!” salutò Balthazar chiudendo la porta con calma mentre la guardava andar via.
 Si volse verso la casa.  
Balthazar sospirò.
Non aveva fame, anche se ormai erano in pratica le otto di sera.
Si avvicinò al lavandino, e prendendo un panno pulito, lo passo sotto l’acqua fredda.
Lo accarezzò sulla guancia, richiudendo il rubinetto.
Continuando a poggiare la stoffa, afferrò il bordo della sedia e si mise seduto.
“ Certo che oggi Brook mi ha sfiancato con lo studio!” pensò Balthazar.
“Beh, infondo se non passo l’esame universitario, non posso entrare alla facoltà di medicina.”
“ Però è stato dannatamente severo…”
“… ma di certo è premuroso e gentile con me!”  pensò subito dopo.
“ Premuroso al contrario di….”

Nella sua memoria fece breccia un uomo sulla quarantina forse più. Una frangia lunga scalata e sfilata, gli nascondeva la fronte mentre folti capelli lunghi e ondulati ricadenti sotto le spalle, di un grigio acciaio che incorniciavano il volto ordinati, un viso pallido, bianco come la neve.
Occhi fini e scuri, privi di calore.
Un sottile sorriso altezzoso stampato sul volto.
Il viso raffinato ed elegante come quello di un angelo, il corpo scolpito e slanciato come un atleta.
Quell’uomo trasudava arroganza e devozione, dal colletto della sua camicia elegantemente gessata alla punta dei suoi stivali perfettamente lucidi.
Bryan.
Istintivamente afferrò la camicia in petto.
Si lasciò guidare dai ricordi, chiudendo gli occhi.
Oscuri pensieri cominciarono a fargli compagnia.
Uno schioccò di frusta improvviso gli risuonò nel cervello, facendolo trasalire.
Strinse la presa.
“ Maledetto!”  pensò con rabbia.
Sentì un vagito, e la sua mente ritornò alla realtà.
Aprì gli occhi, e si precipitò su per le scale.
“ Salomon!” chiamò piano, aprendo la porta.
Si avvicinò al lettino.
“ Ciao piccolo principe!” lo salutò Balthazar con un sorriso.
Gli poggiò la mano destra sul pancino, accarezzandolo piano.
Il piccino sbadigliò e aprì gli occhietti svegli.
“ Ben svegliato bambolotto!” continuò Balthazar.
Il bimbo sorrise al fratello, e con interesse afferrò il pollice e l’anulare della grande mano, posta sul suo pancino, per studiarli con attenzione.
Balthazar lo lasciò giocare.
Poi allegro, come solo i bambini di sei mesi sanno fare, rise felice, gridando la sua contentezza.
E con ancora il sorriso sulle labbra, allungò le mani verso il fratello.
“ Vuoi venire in braccio, Salomon?” domandò gentile Balthazar.
Il piccolo continuava ad allungarsi verso di lui.
“ Ma sì, che vuoi venire in braccio!”.
Balthazar allungò le braccia, e sorreggendo la testa con attenzione, lo prese.
“ Vieni dal fratellone!” pronunciò ancora Balthazar.
Quando lo sentì stabile, lo portò sopra la testa, dondolandolo appena.
“ Mi ha detto Anna, che hai dormito davvero tanto, eri stanco piccolo mio, non è vero?” chiese continuando a giocare con lui.
Il bimbo rideva allegro.
Balthazar con garbo lo avvicinò al volto, sfiorò con la propria fronte quella del piccino.
Dopo gli sorrise, e gli baciò più volte la guanciotta destra.
Salomon ancora contento gli poggiò una manina sul braccio.
“ Scusa se oggi ho fatto tardi, ma sono stato impegnato!”  si giustificò Balthazar sistemando con cura, il piccolo con la schiena sul braccio sinistro.
Si avviarono fuori dalla stanza.
Balthazar stringendo il piccolo contro il petto, chiuse la porta della sua stanzetta.
“ Andiamo di sotto, giochiamo un po’, ti va?” chiese percorrendo il piccolo corridoio.
Scese lentamente i gradini, continuando ad accarezzare la manina di Salomon, che stringeva forte il suo indice. Accompagnò il fratellino nel piccolo salotto.
“ Eccoci qua, siamo arrivati!” esclamò Balthazar, poggiando con cura il piccino sul tappeto.
La stanza era bella calda, grazie al camino acceso, ma grazie a Dio, Salomon, sembrava più interessato ai vari giochini sparsi per terra.
Balthazar si sdraiò di fronte al piccolo, mentre quest’ultimo era incuriosito dai giochi intorno.
Ne afferrò uno, e muovendolo appena lo sentì suonare.
Con una risata cristallina, cominciò a scuoterlo, lasciandolo risuonare per tutta la stanza, mentre con piccoli versi, cercava di provare a parlare.
Conversava con il fratello, convinto del fatto, che con le sue “parole”, potesse illustrare come fosse bello quel giocattolo.
Balthazar sembrava stanco, ma nonostante questo ascoltava i balbetti senza senso del fratellino, sorridendogli, e rispondendo di tanto in tanto.
“ Sei meraviglioso, Salomon…è proprio vero che i bambini sono la gioia della vita!”
E con quel pensiero sereno che vagava per la testa, accarezzò la testolina del fratellino, affondando le dita tra i suoi capelli biondi.
Il piccolo da prima sorpreso, si lasciò coccolare contento, poi quando si rese conto che la carezza continuava, rise di gioia, battendo le manine, muovendo i piedini, e dondolandosi appena allegro.
Con affetto Balthazar, fece scendere la mano, lungo la guancia e poi sotto il mento, sollevandoglielo appena. Quando la carezza finì, Balthazar incrociò le braccia, e vi poggiò sopra il mento.
Salomon gli mandò un bacio, ed entusiasta, afferrò di nuovo il suo gioco.
Il fratello sorrise divertito, e senza pensarci troppo prese il gioco più lontano e si unì al bambino.
Continuarono a giocare o a provarci, fin quando Balthazar non si fermò a guardare la pendola dell’orologio, appesa al muro principale del salotto.
 “ Aspetta piccolino, Balthazar torna subito!” esclamò guardando l’orologio.
Con affettò Balthazar baciò la fronte del fratellino e si alzò in piedi.
Salomon accompagnò con lo sguardo il fratello, si sentì perso, disperato richiamò la sua attenzione con un mugolio.
“ Che succede Salomon?”  domandò Balthazar voltandosi verso di lui.
Incontrò i suoi occhietti tristi e il suo labbrino tremolo.
Salomon guardò un po’ in giochini che aveva in mano, e poi gli allungò il peluche che suonava.
“ Oh Salomon…non voglio il tuo peluche…”disse Balthazar accovacciandosi davanti a lui.
“ …devo solo andare un attimo in cucina…” aggiunse indicandola.
“ …e poi torno subito!” concluse con un sorriso.
“ Capito?” annuì Balthazar pizzicandogli la guancia.
“ Arrivo!” concluse baciandogli di nuovo la fronte.
Si alzò di nuovo senza voltargli mai le spalle. Indietreggiava sicuro. Raggiunse la cucina. Prese un bicchiere e poi Salomon lo vide sparire. L’aveva perso di vista, e curioso, allungò il collo oltre la cornice della porta scorrevole del salotto, alla ricerca del fratello. Quando lo vide ritornare e fare il suo ingresso nel salottino, sorrise felice, applaudendo con le manine, come se quel mago improvvisato fosse riuscito nel suo trucco magico.
Balthazar sorrise felice vedendolo divertirsi.
 Poi s’infilò qualcosa in gola, e accostando le labbra, al bicchiere buttò giù con una grande quantità d’acqua quella che sembrava una pasticca bianca. Posò il bicchiere quasi vuoto sul tavolino, e si buttò di nuovo a terra. Con il sussidio dei gomiti si avvicinò al fratellino, e una volta vicino gli baciò il viso:
“ Sta tranquillo Salomon, non ti lascio solo!”.
 
Sì, alla sua nascita, e dopo la perdita di mia madre, mi ero ripromesso che nulla gli sarebbe mai successo. Sarebbe cresciuto sano e forte sotto la mia protezione.
 
_____
 
Era notte inoltrata, quando Brook rientrò a casa.
Si chiuse la porta alle spalle e la chiuse a chiave.
Si spogliò del cappotto pesante e si avvicinò al lavabo.
Si fermò ad osservare il salotto.
Sorrise.
Entrò nella stanza semi illuminata dal fuco del camino, senza far troppo rumore.
Si guardò intorno, e sorrise di nuovo, notando i vari volumi scolastici, posti sul tavolino da caffè.
“Che figlio testardo mi ritrovo!” pensò divertito il dottore.
Poi si voltò verso il divano.
“Balthazar.” chiamò piano il medico.
Il ragazzo si svegliò frastornato.
“Ehi…con calma…con calma…hai Salomon in braccio.” affermò con un sorriso Brook.
Balthazar appoggiò di nuovo la testa sul bracciolo, e strinse più forte il braccio intorno al piccolo fagottino, che riposava tranquillo sul suo stomaco.
Il piccolo dormiva sereno, con le manine chiuse strette contro il maglione del fratellone, le guanciotte rosse, per il caldo della coperta ampia e spessa che lo copriva.
Il maggiore lo guardò sereno, e sorrise felice.
Gli baciò il capo cullandolo un po’.
 
E pensare che appena nato, non riuscivo neanche a prendere in braccio il piccolo Salomon, avevo paura, temevo dal profondo di poter fargli male.
Mi preoccupavo per lui, ero in ininterrotta ansia per la sua salute, domandavo di continuo se stava bene o male, ma non riuscivo a dimostrargli il mio affetto, non riuscivo a stringerlo a me.
Non riuscivo a comportarmi da fratello maggiore, e non perché il ruolo non mi piacesse…
Temevo di reagire come Bryan…
Temevo di essere Bryan…
 
Che cosa magnifica, mi perdevo!
 
“Sì è appena addormentato?” domandò Brook con dolcezza.
Balthazar annuì e poi rispose:
“Sì, ci siamo appena addormentati.” scherzò.
“Vuoi darlo a me?” chiese tranquillo il dottore.
Balthazar si mise seduto con attenzione, tenendo sempre stretto a sé il fratellino.
Si mosse con la massima lentezza per non svegliarlo.
“Fai attenzione alla testolina.” gli disse piano Balthazar.
Brook sorrise divertito:
“Guarda che li so prende in bimbi in braccio, Balthazar!” esclamò contento il dottore, mettendosi seduto accanto al giovane.
“Ho preso anche te.” affermò con un sorriso.
“Ah, è vero hai ragione.” sorrise timido il ragazzo.
Brook si appoggiò con la schiena al divano, appoggiando con attenzione il piccolo sul suo petto.
Gli sistemò la manina e gli baciò la guancia.
Infine gli coprì meglio le piccole spalle.
Salomon in tutta risposta, allungò un po’ le gambine, sorridendo.
“Mi spieghi che stavi facendo a quest’ora?” domandò poi Brook al più grande.
“Stavo solo ripassando gli ultimi appunti.” spiegò Balthazar chiudendo i libri.
“Ma non l’avevamo già fatto insieme?” chiese confuso il medico.
“Sì, ma tra tre giorni ho l’esame, e ho paura di non ricordare niente, sono terrorizzato all’idea di fare la figura dello scemo, per di più ignorante!” esclamò nervoso.
“Balthazar, è una cosa normale.” precisò il dottore poggiandogli con affetto una mano sulla spalla.
“E’ il panico, che precede ogni esame…ma sta tranquillo, hai studiato tanto in quest’ultimo periodo, è impossibile, che ti dimentichi praticamente tutto.” gli sorrise buono.
“Lo so…ma se…”
“Ma se che cosa?” chiese il medico facendogli coraggio.
“E se ti deludo?” chiese tristemente.
“Deludere me?!” disse Brook confuso.
“Se non dovessi passare l’esame, tu come la prende…”
“Balthazar, Balthazar, fermati, non aggiungere altro!” esclamò Brook fermandolo con la stessa mano che poco prima dava man forte al ragazzo.
“Ma Brook…” disse insicuro Balthazar.
“A me non m’importa degli esami, non m’importa del resto della gente, non m’importa delle scuole prestigiose, a me m’importa solo di te!” affermò con un sorriso.
“M’importa solo della tua felicità, di quella di Salomon, e di quella di mia moglie…solo in questo puoi deludermi.”
 
Avrei pagato oro, per sentire queste stesse parole uscire dalla bocca di Bryan, ma la cosa era impossibile, solo il mio vero padre, poteva donarmi così tanto amore incondizionato…
 
Il medico cinse il suo piccolo amico, e s’incamminarono lontano dagli schiamazzi degli altri.
“Ti è andata bene!” esclamò di improvviso il dottore.
“Di che cosa stai parlando Brook?” chiese il ragazzino confuso.
“Sei troppo debole, per impartirti la punizione che ti meritavi!”
“Che cosa?!” chiese sconvolto.
Quella parola tanto sinistra, gli fece raggelare il sangue.
“Sei scappato di casa, in piena mattina, senza dirmi nulla, senza lasciare un messaggio, credi davvero che lascerò che la cosa si ripeta?”
“Ma Brook…”
“Ti avevo detto che avremmo costato le tue condizioni l’indomani appena sveglio, e invece vado in camera tua e trovo il letto vuoto, come credi che mi sia sentito?”
“Era importante questo compito non potevo mancare, se perdevo questo, rischiavo di…”.

“Non importa, tu hai preso un’iniziativa rischiosa è per questo che penserò a te quando ti sentirai meglio!” disse serio.
E per Balthazar quel tono era troppo serio.
Iniziò a implorare che quella febbre non finisse mai, se le condizioni erano quelle.
“Cosa mi farà?” pensò, sempre più preoccupato.
Il solo sentire quel tono così arrabbiato gli faceva venire le farfalle allo stomaco.
“Ma Brook, tu non mi hai mai punito.” precisò.
“Beh, c’è sempre la prima volta, no?” affermò il medico senza incrinare la voce.
Balthazar cominciava ad aver paura della furia del tutore.
Come poteva punirlo, dopo che aveva scoperto di suo padre?
Balthazar lo fermò per un braccio.
“Fai sul serio o stai scherzando Brook?” domandò sempre più spaventato.
“Secondo te?” chiese intimidatorio.
Detto questo, gli lanciò uno sguardo che lo fece raggelare, era furioso!
“Spero di più la seconda!” affermò il bambino, abbassando il capo.
Sentiva le lacrime agli occhi.
Non voleva deluderlo e spaventarlo a tal punto!
Era talmente stranito e impaurito dalle parole dell’amico, che non riusciva neanche a pensare.
Lo sentì ridacchiare allegro.
Il dottore si coprì la bocca con una mano, mentre l’altra reggeva lo stomaco.
Balthazar lo guardava dubbioso, non capendo cosa stava succedendo.
Scoppiò a ridere.
“Dovevi vedere la tua faccia, era così buffa!” ridacchiò il medico.
Si portò via una lacrima che stava per scendere per via del troppo ridere.
“Era un faccino dolce!” sorrise divertito.
“Davvero carino!” affermò accarezzandogli la testa.
“Mi stavi prendendo in giro?” chiese confuso il piccolo.
“Ma è ovvio Balthazar!” esclamò con semplicità.
“Mi stavi spaventando sul serio!”
“E’ quello che ti meriti, per avermi fatto prendere un mezzo infarto!” scherzò il dottore.
“Così impari!” affermò subito il medico.
“Ti chiedo scusa…non avevo pensato che…”
E senza finire la frase Balthazar, si avvicinò al medico, e gli strinse la mano.
Per una volta i ruoli si erano scambiati.
La mano del bambino, accesa per la febbre, era più calda di quella del medico.
Brook rimase scosso da quell’azione.
Gli mancò il respiro per un breve secondo.
Stava giocando, e lo sapeva, ma Balthazar l’aveva presa sul serio.
Aveva davvero temuto di rincontrare per un giorno quella cattiveria del padre, che stava provando con enorme difficoltà a dimenticare.
“Ti ho davvero spaventato così tanto?” domandò Brook stringendogli più forte la mano.
Il bambino annuì, senza avere la forza di alzare il capo.
“Balthazar!” chiamò dolcemente il medico.
Si accovacciò per cercare gli occhi del piccolo, per avere un suo cenno.
Ma l’aveva spaventato a tal punto, che non riusciva, a guardalo.
Gli prese le mani e le nascose tra le sue, non solo per consolarlo, anche per evitare che si ghiacciassero, a causa di quel freddo pungente che si stava avvicinando.
“Guarda che io non sono Bryan, io non sono come tuo padre!” sottolineò il medico.
“Lo so!” mugugnò il bambino.
“Io sono Victor Brook, sono il tuo tutore e il tuo amico!” affermò sollevandogli il volto.
“E non avrei mai il coraggio di toccarti neanche con un dito…non mi sognerei mai di farti del male!” gli sorrise con occhi sinceri.
“Guai a chi, anche solo osa guardarti ingiustamente!” disse sorridendogli.
Il ragazzo annuì, deglutendo, con quel faccino fortemente mascherato dalla tristezza.
“Non volevo riportarti alla mente brutti ricordi!” si scusò il medico.
“Scusami Balthazar…”
“E’ stato davvero uno scherzo pessimo, da parte mia, non accadrà di nuovo”.
“Brook mi…” provò a dire il ragazzino.
"Ehi, piccolo, ora basta con le scuse, ok? Non ce n’è più bisogno.”
“ Fammi vedere un bel sorriso!" lo incoraggiò il dottore.

Si sforzò di sorridere, i suoi occhi grigi ora erano più accesi per via di quelle lacrime che aveva trattenuto fino al’ultimo.
"Molto meglio!" disse il tutore ridendo.
Balthazar abbracciò il tutore, stringendo le braccia esili, intorno al collo dell’amico.
“Come vorrei che fossi tu mio padre!” sussurrò senza vergogna.
“Lo vorrei anch’io Balthazar…” affermò il dottore, stringendolo a sua volta con affetto.
Gli accarezzò un po’ la schiena e poi:
“Su...andiamo!” disse alzandosi.

 
Balthazar rimase a sbalordito da quelle parole.
“Tu sei un ragazzo saggio e maturo…quasi quanto me.” scherzò Brook.
“Sei un ragazzo coscienzioso, che ha sempre considerato con attenzione le sue scelte.”
“Ma la mia paura è…” cercò di spiegarsi il giovane.
“Balthazar, se l’esame dovesse fallire, non vedo dove sia il problema, ricominceremo a studiare, e affronterai nuovamente la prova.”
“Tu mi aiuteresti da capo?” domandò Balthazar sorpreso.
“Sono pur sempre il tuo tutore.” disse come se fosse ovvio.
“E sei anche mio padre.” affermò il giovane onesto.
“Sì, sono anche tuo padre.” sorrise piacevolmente Brook.
Balthazar annuì sicuro.
Ma dentro di sé Balthazar sorrise fiero.
Era davvero bello avere qualcuno che si preoccupava per lui.
 
Sì, avevo scoperto la verità sul dottor Victor Brook.
Lui, era il mio vero padre biologico.
Il mio e di Salomon.
Il destino e la buona sorte per una volta hanno rallegrato il mio cuore.
Il peso di poter diventare uguale a Bryan, e di fare del male a Salomon mi distruggeva l’anima.
Io invece ero il figlio di una persona splendida.
 
“Balthazar!” chiamò qualcuno.
“Sì papà, sono in salotto!” affermò a grand voce, per farsi sentire.
“Guarda un po’ chi arriva.” disse Balthazar voltandosi verso l’ingresso del salotto.
Salomon alzò il capo sull’uomo che era appena entrato, tenendo stretta la mano del fratello.
Un bell’uomo, magro, dai lineamenti sottili e decisi, i capelli corti fin sotto la nuca, neri come la pece, che s’intonavano perfettamente alla sua carnagione chiara.
“Ciao amore del papà!” esclamò felice Brook avvicinandosi ai due.
Salomon rise contento allungando le braccine.
Brook si chinò sul piccolo e lo prese.
“Ciao tesoro, come stai?” gli chiese prendendogli le manine.
Il bimbo sorrise, sfiorando il mento del medico.
Brook gli mordicchiò il palmo con fare sereno.
Poi strizzò l’occhio a Balthazar, sorridendogli con affetto.
 
“Non farlo bruciare, mi raccomando.” affermò Katherine, con tranquillità, come se già sapesse che la cosa non poteva succedere.
“Sì non ti preoccupare.” scherzò divertito Balthazar.
Salomon dal suo seggiolone, fece suonare allegramente il suo peluche morbido, sbattendolo sulla ripiano in legno.
“Fai piano Salomon, altrimenti ti fai male!” lo riprese buono il fratello, mentre Kat sorrise allegra.
“ Salomon sta diventando grande.”
“Già, sembrava ieri che ha messo il primo dentino.” affermò con un sorriso dolce Balthazar, mentre lavava l’insalata.
“Ti rendi conto che fra un po’ potrà dire la prima parolina…chissà cosa potrà mai dire…”.
“Io vorrei che dicesse Mamma!” rispose lesto Balthazar chiudendo l’acqua.
Alzò gli occhi su Katherine, e gli sorrise:
“Io vorrei che ti chiamasse Mamma!”

 
Perché infondo Kat, non è stata altro per noi. E’ stata una mamma spettacolare.
 
E invece la prima cosa che disse il mio fratellino, fu One, che stava per fratellone!
 
Era una cosa meravigliosa, essere circondato da tanto affetto, sentire in casa il profumo d’amore e di bambino, respirare un’aria carica di serenità e pace, sentire le risate di mio padre e di mia madre, vedere la premura che mi veniva donata, gli abbracci e gli incoraggiamenti che non venivano mai a mancare, ogni loro piccolo gesto, significava tutto per me.
 
I miei lividi si rimarginavano piano piano, le parole orrende, che avevono fatto così male scomparivano dalla mia mente, e se alle volte le lacrime accarezzavano i miei occhi, non mi sentivo più in colpa, non c’era più vergogna nel pianto. Mi sentivo così protetto.
 
Era così dolce ogni sera rientrare a casa.
 
E’ così meraviglioso avere una famiglia.



 

Note dell’autrice:
Allora che mi dite, vi è piaciuto il colpo di scena?! ;)
A me si tanto, da morire! :)
All’inizio mi sembrava un idea assurda, impossibile.
Ma poi dopo ho pensato che Bryan, non meritava due figli così splendidi. <3
Allora passiamo alle spiegazioni:
-Ethan: Il migliore amico d’infanzia di Balthazar. Il ragazzo tenero che dopo aver scoperto di Bryan, a modo suo a fatto di tutto per proteggerlo. :)
Diventerà agente di polizia seguendo le orme del padre, altro grande sostegno per il nostro protagonista.
-Ninna nanna: Composizione di Daphne. Balthazar farà dono del carillon, a Salomon appena nato, per far sì che anche lui possa avere vicino la mamma ormai scomparsa.
Balthazar inoltre, è l’unico che può eseguire il brano, essendo lui semi musicista, abile con il pianoforte. La musica, così come la lettura, erano gli unici svaghi che Balthazar si permetteva per dimenticare la crudeltà del padre. Bryan ha insegnato a Balthazar i primi accordi e l’aiutato con il primo brano da eseguire. Quindi sì Bryan ha fatto almeno una cosa buona per Balthazar prima di diventare cretino. Balthazar in seguito smetterà di suonare, solo perchè perderà la mano con lo strumento! v.v
-Qui Balthazar ha al massimo 20-21 anni, ma già è super - iper protettivo con il fratellino, si comporta già da padre, ed è cosciente del fatto che lui è il primo ad avere ogni responsabilità sul piccolo.
-Salomon: Non è una amore di bimbo?! ^^
No, seriamente, il piccolino, è la copia esatta della madre, occhi chiari come il cielo e capelli biondi.
Fattore che permette a Balthazar di amarlo ancora di più.
-Balthazar: Malgrado gli anni passati, Balthazar ha ancora il chiodo fisso di Bryan.
Nonostante l’affetto e i consigli che Brook gli dona quotidianamente, le lezioni di quell’infame sono ancora vive nella mente di Balthy, e paralizzato dalla cosa, tende ancora a dargli importanza e a rispettarle. Anche Brook è l’opposto di Bryan.
-Ricordo: Il grosso ricordo in cui il dottore si “prende gioco” del bambino, si svolge nel periodo successino dalla scomparsa di Bryan, Sal, non è ancora nato, ma Brook ha preso lo stesso sotto la sua ala Balthazar, con l’intenzione di fargli da tutore a tutti gli effetti, e di sostituire il padre, e quindi di comportarsi anche come tale! Poi destino ha voluto che… :D
-Katherine: Balthazar adora dal profondo del cuore questa donna. E gli vuole bene davvero come ne voleva a sua madre. Quello che Kat fa per lui e il fratello, vuol dire molto.

 
Grazie di cuore a tutti.
Bacio ^3^
Chris.
 

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Capitolo 7
*** Una notte fredda & un fratellino affettuoso. ***


“…”: Pensiero del personaggio
“…”: Ricordo
“…” Riflessione del personaggio
“…” Riflessione di Salomon
____ : Cambio scena
 

 

Una notte fredda & un fratellino affettuoso.

 

“A-Aaa... Arbero!” esclamò il bambino, con davanti un libro illustrato.
Balthazar, intento a lavare i piatti, lì accanto, ridacchiò divertito.
“No Salomon…leggi con attenzione…!”.
“Ah…” esclamò confuso Salomon.
Il piccolino abbassò di nuovo gli occhi sul libriccino.
“Sei…sicuro che non ho detto tutto sbagliato?”
“Eeeeh?!” esclamò confuso il più grande.
“A-a…sicuro che non è…” il piccolo guardò di nuovo la figura.
“…come ho detto io?” chiese alla fine.
“L’alfabeto l’abbiamo fatto insieme…non ti ricordi che letterina è quella?!” chiese tranquillo Balthazar.
 Il bambino la guardò di nuovo.
Deglutì incerto.
“Non ti viene?” domandò il maggiore rassicurante, per fargli capire che era tutto a posto.
Salomon fece di no, con il capo.
Balthazar ridacchiò di nuovo:
“ Albero, quella lettera che vedi si legge Elle. “ lo corresse con dolcezza il fratello.
“Albero!” ripeté soddisfatto il bambino.
“Molto bene Salomon…e cosa abbiamo con la b?” chiese Balthazar chiudendo l’acqua, e asciugando l’ultimo piatto.
“Ba-bar…barc…Barca?” esclamò il piccolino insicuro.
“Sì Salomon, è giusto!” gli fece coraggio il maggiore.
Rimise a posto il piatto, e si voltò verso il piccolo.
Gli sorrise e si sistemò il panno sulla spalla sinistra.
Tranquillamente si appoggiò lavabo, e incrociando le gambe:
“Che cos’hai con la c?” domandò curioso.
“Ca-cav…cavar…”
“Caval…” lo corresse di nuovo.
“Cavallo!” esclamò felice il piccolo, alzando lo sguardo sul fratello.
Balthazar annuì sorridendogli amorevolmente:
“Bravo il mio pulcino!” disse accarezzandogli la testa.
Salomon si accollò alla carezza e giocherello con le gambe sotto il tavolo felice del complimento.
“Dai,continua.”
“Vaaaa beneeee!” esclamò gioioso il frugoletto.
Balthazar piegò il panno e lo rimise a posto.
Salomon nascose uno sbadiglio.
“D…”
Il piccolo non aggiunse altro, quando sentì il fruscio del passaggio del fratello dietro di lui.
Stava andando solo in salotto, e lo sapeva ma:
“Balthazar aspetta!”
Il fratello si fermò sul posto, e si girò verso il fratellino.
“Che cosa succede…la d è troppo difficile?” chiese buono.
Salomon rimase a fissarlo.
“Guarda che vengo subito a darti una mano.” spiegò.
Lo vide abbassare il capo rattristato.
Ne rimase sorpreso.
Poggiò i libri sul tavolino del salotto, senza neanche degnarli di uno sguardo e subito dopo, si riavvicinò al piccolino.
Gli accarezzò la testa:
“Che c’è Salomon?” chiese con tenerezza.
Il bimbo non rispose subito.
Si lasciò coccolare un altro po’.
“Salomon…che è successo?” chiese smarrito Balthazar.
Il piccino scivolò giù dalla sedia.
E allungò le manine verso il fratello.
Il maggiore s’inginocchiò di fronte al piccolo e con un sospiro disse:
“E va bene; vada per un abbraccio!”
Le mani del piccolo si strinsero intorno all’addome del fratello.
Balthazar gli cinse la schiena con le mani.
“Sei stanco?” domandò al bambino.
In effetti per il piccolo era già tardi.
“S-si!” rispose lui timido.
“Scusa…”
 ”Non devi scusarti...” gli rispose Balthazar, baciandogli la testa.
“Però domani facciamo almeno una paginetta di lettere.” aggiunse subito il maggiore deciso.
“Altrimenti mi arrabbio davvero, capito?”
“D’accordo!” rispose il piccino con la sua voce ovattata stretto alla camicia di Balthazar.
Balthazar guardò il libriccino che ormai se ne stava lì buttato in un angolino del tavolo.
“Ormai ti sei distratto!” affermò il ragazzo interrompendo l’abbraccio.
Balthazar si alzò con calma.
“Dai…” iniziò scompigliandogli i capelli.
“…inizia ad andare…vengo subito.” concluse con un altro sorrisetto.
“Finisco di mettere a posto qui…e vengo a rimboccarti le coperte!”.
“Vuoi una mano?” chiese gentile il bambino.
Il maggiore scosse il capo.
“Va pure…sarò immediatamente da te.”
“Va bene!” canticchiò il piccolo.
Balthazar l’accompagno con lo sguardo, mentre il piccino saltellava da un gradino all’altro.
“Vai piano!” gli esclamò contro, per paura che potesse cadere.
“Non ti preoccupare fratellone…faccio attenzione!” gli rispose ridacchiando.
Balthazar raccolse gli ultimi giocatoli del fratellino, e li appoggiò su un mobiletto lì vicino.
 
______
 
“Eccoci!” esclamò Balthazar una volta dentro la cameretta.
Salomon si stava infilando il pigiama.
“Ta-dan!” esclamò trionfante quando riuscì a infilarselo da solo.
“Sono pronto!” esclamò felice avvicinandosi al fratello.
Balthazar gli sorrise, malgrado la stanchezza.
“Sei stato bravissimo Salomon!” si complimentò.
Sorrise quando notò conto che il fratellino aveva messo al contrario il pezzo di sopra del pigiamino.
Aiutò il bambino a sedersi sul letto.
Salomon, scostò le coperte, pronto a infilarsi sotto.
“Aspetta un attimo!” lo fermò il fratello, trattenendolo per un braccino.
Il piccino si rimise seduto e guardò confuso il maggiore.
Con dolcezza Balthazar, l’aiutò a liberare le braccine.
Roteò il pigiama, e chiuse i bottoncini, tralasciando quello posto sotto il collo.
“Non va meglio così?” chiese Balthazar pizzicando il naso al bambino.
Salomon accarezzò il colletto bianco, e annuì.
“Dai, sotto le coperte!” gli sorrise.
Salomon ubbidì e il fratello con estrema dolcezza lo coprì per bene.
Si sedette sul bordo, scostando una ciocca di capelli chiari dal bel visino del piccolo.
“Ora però riposa, va bene?”
“D’accordo fratellone!”
“Buonanotte, Salomon.” gli mormorò, dandogli un bacetto sulla fronte.
“Buona notte fratellone!” esclamò felice il piccolo.
Balthazar reclinò appena il capo, per permettere al fratellino di baciargli la guancia com’era sua abitudine.
 
Lo facevamo ogni sera quando gli rimboccavo le coperte e ogni mattina quando l’accompagnavo a scuola.
 
Gli sorrise con affetto, prime di accostare la porta della stanzetta del piccolo.
 
_____
 
Quella notte fece più freddo, e una pioggia insistente iniziò a scendere sulla cittadina.
Tuoni e fulmini iniziarono a colorare il cielo con bagliori accecanti.
La porta della stanza di Balthazar, si aprì piano.
Qualcuno vi scivolò dentro senza far rumore.
L’orsacchiotto, un po’ più grande di Salomon, strusciava con le zampine a terra, mentre la testa dell’animaletto veniva stritolata dal forte abbraccio del bambino.
Era corso in camera del fratello, per una paura improvvisa.
Con passo delicato, si avvicinò al fratello, che dormiva tranquillo, sfinito da quella stessa serata.
Il piccino deglutì, e guardandosi intorno, sussurrò il nome del fratello.
Purtroppo Balthazar era troppo stanco, e non si era nemmeno accorto dell’ingresso del piccino.
Il bambino deglutì ancora e stringendo con più forza il suo peluche, allungò la manina.
Con gentilezza iniziò ad accarezzare i capelli del più grande, permettendo alle ciocche di passargli tra le dita.
Balthazar però dormiva così bene, prono, la schiena appena coperta e la mano sinistra ferma sul cuscino un poco affagottato.
La finestra posta sopra il letto sembrava non dargli fastidio, cosa che invece stava terrorizzando il piccolo Salomon.
Salomon lo sfiorò di nuovo, guardandosi indietro, dove aveva lasciato la porta semi aperta.
“Fratellone…” sussurrò ancora.
Il piccino gli accarezzò la spalla, scuotendolo un pochino.
Balthazar strizzò appena gli occhi, percependo qualcosa.
Gli aprì senza troppa fretta.
Ci mise un paio di secondi, prima di adattare la vista a quel buio assurdo.
“Salomon… che cosa c’è?” chiese Balthazar con la bocca un po’ impastata.
Fece leva sulle braccia, notando il volto spaventato del bambino.
 “Non ti senti bene?” domandò ancora accarezzandogli il viso.
Il piccino scosse il capo.
“Salomon…che cos’hai?” domandò scoprendosi.
Un fulmine cadde troppo vicino alla casa, e le finestre tremarono con durezza.
Salomon impaurito ancora di più, lascio cadere a terra il proprio pupazzetto, e rapido si tappò le orecchie con le manine, chiudendo gli occhietti.
“Salomon…” lo chiamò con dolcezza il fratello.
S’inginocchiò di fronte a lui, prendendogli le manine.
“Ehi…non devi fare così…è tutto a posto.” gli sorrise.
“Ho paura!” mormorò Salomon con la sua vocina tremante.
“Ci sono io!” lo rassicurò il giovane.
Un altro frastuono, e Salomon si nascose tra le braccia del maggiore.
“Posso dormire con te?” chiese il piccolino.
“Ma certo!” rispose il fratello, accarezzandogli i capelli.
Salomon s’impadronì del letto, sdraiandosi sotto le coperte pesanti.
Balthazar stendendosi al suo fianco, lo coprì donandogli più coperta.
Stropicciò meglio il cuscino, e gli accarezzò la testolina.
Il bambino si rannicchiò contro la parete per ignorare la finestra.
“Se vuoi, chiudo le tende.” propose il ragazzo.
Salomon gli prese la mano, facendo di no, con la testa.
Balthazar si perse nei suoi occhi azzurri, belli e uguali a quelli della madre.
“Non devi avere paura Salomon…è solo un po’ di pioggia!”
Il piccino sospirò, avvicinandosi al petto scoperto del fratello.
“E poi sono solo gli angeli che giocano!” sorrise con dolcezza.
“Gli angeli?” domandò un po’ rincuorato il piccino.
Balthazar accennò un pallido sorriso e annuì:
“Anche loro hanno il diritto di divertissi, solo non sanno che qui sulla terra, i loro giochi diventano forti rumori che spaventano i più piccoli!” aggiunse.
Salomon ascoltava la voce soave del fratello, con interesse, come se gli stesse raccontando una storia della buona notte.
“Ma tu devi dimostrargli che sei forte…che non hai paura…che sei un bimbo coraggioso!”
“Ma io sono forte!”
“Dici davvero?” chiese il fratello con un tono sorpreso.
“Sì certo!” esclamò il piccino.
Un altro rombo tanto bastò a far cambiare idea al piccoletto, che abbracciò forte il fratello, nascondendo la faccina contro il suo corpo.
Balthazar rimase immobile, assaporando la vicinanza con il fratello.
Abbassò gli occhi, ed incrociando i capelli dorati del fratellino accennò un sorriso appena divertito:
“Ma hai appena detto che sei forte, e che non hai paura.” disse meravigliato.
Il piccolino scosse il capo:
“La prossima volta!” esclamò senza staccarsi dalla sicurezza che gli infondeva il fratello.
Balthazar sorrise, e stringendolo con un braccio gli sussurrò:
“Dormi tranquillo fratellino…ci sono io con te!”.
Si sistemò su un fianco e lo osservò addormentarsi.
“Balthazar…” chiamò ancora il piccolo.
“Sì, che c’è Sal?”
“Credi che la mamma stia bene lì, in quel posto migliore dov’è andata?” domandò triste.
“La mamma starà benissimo, piccolo.” gli rispose subito il fratello pizzicandogli la guancia.
“Anche lei sarà un angelo?”
“Sarà l’angelo più bello di tutti.”
“E che cosa fa?”
“Sono sicuro che ci stia vegliando dall’alto, e in questo momento starà pensando che sei un bambino adorabile!” sorrise il più grande.
“Dici sul serio?” chiese meravigliato il bambino.
Il fratello maggiore annuì, e aggiunse:
“Non senti mai un’aura piacevole accanto a te?” chiese curioso il fratello.
“Un’ aur…che?”
“Troppo difficile da capire? E’ un discorso da grande il mio, vero?” chiese ridacchiando Balthazar.
“Sì fratellone…” disse vago il piccolo.
Balthazar sorrise intenerito:
“Sappi solo Sal, che la mamma ti è sempre vicina.” affermò baciandogli la fronte.
Il bimbo sorrise quasi lieto e felice dopo quella notizia.
Balthazar accarezzò la testa del piccolo, con tocchi semplici e delicati, quasi come se fosse ipnotizzato dalla creaturina che voleva addormentarsi al suo fianco.
“Ora dormiamo Sal?”
“Ma io non ho sonno!”
“Ma domani devi andare a scuola, e io devo andare a lavoro.”
“Uffa!” esclamò offeso Salomon, incrociando le braccine.
“Guarda che non ti faccio fare un altro giorno d’assenza, mi hai capito?” chiese con un sorriso Balthazar arruffando i capelli biondi del fratellino.
Il piccolo Salomon sorrise divertito.
“Su, coraggio, si dorme.” affermò serio il Balthazar coprendo con attenzione il piccolo.
Tutto rimase in silenzio e fermo, fin quando Balthazar che aveva già chiuso gli occhi, non sentì il lenzuolo muoversi sopra di lui.
Dischiuse un occhio per vedere cosa stava combinando il fratellino.
Il piccolo stava litigando, lui, le manine e la coperta, che non gli obbedivano e non si mettevano come lui voleva.
Balthazar sorrise tra se e se divertito.
Poi senza dire nulla, fece finta di stiracchiarsi.
Allungò le braccia al massimo, fin quando non le lasciò ricadere giù.
Così facendo avvolse completamente il piccolo contro di sé.
Il bimbo frenò istintivamente le manine.
“Fratellone?” chiamò perplesso.
I piccoli occhietti azzurri di Salomon sbatterono un paio di volte le ciglia, confuso.
“Fratellone…mi fai male…mi stringi troppo…troppo forte!” esclamò il piccolo cercando di sistemarsi in quella morsa tanto tenera.
“Shhh, fai silenzio cuscino.” disse tranquillo il maggiore.
Poi quasi come da copione Balthazar incurvò la fronte, riflettendo su quello che aveva appena detto.
“Non sapevo di avere un cuscino parlante?!” affermò stranito.
“Ma non sono un cuscino, sono Salomon!” esclamò convinto il piccolo.
“Salomon???” domandò come se non avesse mai sentito quel nome.
“Sì, Salomon…” affermò subito il minore leggermente nel panico.
Balthazar riaprì gli occhi e incrociò quelli da cucciolo del fratellino.
“Ah, già è vero...c'è qui il mio piccolino!” gli disse con calma sfiorandogli la guancia.
Balthazar allungò le gambe, e si rannicchiò meglio contro quel piccolo corpo che tanto adorava, senza smettere di abbracciarlo.
“Posso tenerti stretto a me?” gli chiede con gentilezza.
“Sìììììììì!” esclamò felice il bimbo.
“Ma certo che puoi Fratellone.” rispose il piccolo abbracciando a sua volta il maggiore.
“Buona notte Sal.” augurò Balthazar baciandogli i capelli.
“'Notte One.” rispose subito il piccolo accoccolandosi contro il maggiore.
 
Quando furono sotto le coperte, Salomon si avvicinò quatto quatto al fratello.
“Da quando si dorme così?” chiese Balthazar con un sorriso.
Il piccolo poggiò la manina sulla guancia del fratello:
“Ti voglio bene Balthazar!”
Il più grande sorrise e poggiando a sua volta la mano sul faccino del fratellino affermò:
“Ti voglio bene anch’io piccolo Salomon!”


Quella notte niente e nessuno poteva spaventare il piccolo Salomon, c’era suo fratello, e per lui questo voleva dire avere al suo fianco più di mille guardie.
 
Mio fratello, la mia forza, il mio angelo custode, la mia protezione…si è sempre sacrificato per me, per il mio bene…nessuno poteva fare di più.
 
Da quando Salomon è entrato nella mia vita, io sono cambiato, sentivo il forte dovere di proteggere qualcuno che aveva bisogno di me, qualcuno che riusciva sempre a restare al mio fianco, qualcuno che riusciva a donarmi un legame forte, indissolubile e unico.
 

  




Note dell’autrice:
Allora quante fan per il bel Balthazar?!
E il piccolo Salomon di appena cinque anni non è mega puccioso? :)
Preciso subito non si può adottare, né l’uno né l’altro.
Allora spiegazioni:
-La scena iniziale è stata voluta espressamente da mia sorella! Io ero indecisa sul metterla o non, ma siccome poi l’ho trovata tenerella, l’ho aggiunta volentieri. Infondo Salomon fa di tutto con il fratello, quindi anche studiare.
-Casa: Qui sono ormai stabili nella casa del padre Brook (quanto adoro scriverlo ^^), e momentaneamente i due fratelli sono soli.
-L’orsacchiotto: Ho voluto che il peluche fosse più grande di Sal, per indicare quanto fosse piccolo e delicato il bambino.
-Fulmini: In ricordo di questa notte, Salomon una volta adulto, si tatuerà una saetta sulla spalla destra, ha significare che il fratello maggiore è sempre stato la sua luce, che squarciava le sue notti di paura, ha rappresentare, il fatto che Balthazar è sempre riuscito a mettere fine ai timori del più piccolo, senza preoccuparsi dei propri demoni.


Vi aspetto per l'ultimo capitolo.
 
Grazie mille per tutto.
Bacio ^3^
Chris.
 

 

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Capitolo 8
*** Una serie di stelle e una vita perfetta. ***



“…”: Ricordo
“…” Riflessione del personaggio
____ : Cambio scena
 
 

Una serie di stelle e una vita perfetta.
 

Balthazar aprì gli occhi.
Era già passato così tanto tempo?!
Si rigirò nel letto.
Sorrise.
Alzò la mano sinistra per guardare sotto quella leggera luce, la fede dorata brillare al suo anulare.
Si voltò sulla destra.
Sua moglie era lì, accanto a lui.
Gli accarezzò il volto, con la premura di non svegliarla.
Scostò le coperte e si alzò dal letto.
 
Ho davvero affrontato tutto?
Ho davvero fatto tutto quello che la mia mente ricorda?
Con quale coraggio sono riuscito nel mio intento.
 
Ci sono riuscito perché ci sono loro.
Ci sono tutti loro.
Tutte persone che mi stanno a cuore.
 
Si avvicinò alla finestra, per osservare la città silenziosa.
L’aiutava a riflettere.
 
Mio padre, il mio vero padre.
La figura che mi è sempre corsa incontro nei momenti di bisogno.
 Il primo ad aiutarmi in tutto.
La persona dolce che mi ha sempre ascoltato e difeso, di fronte ai mostri della società.
La persona che passava notti insonne solo per starmi vicino.
L’uomo calmo e gentile che cercava sempre di farmi sorridere.
L’uomo responsabile che ha taciuto fin quando ha potuto, solo per non arrecarmi nuove preoccupazioni e mali al mio cuore fragile.
L’uomo apprensivo, che ha curato le mie ferite senza fiatare, che ha assistito alle mie paure senza mai lamentarsi, che è stata la vittima dei miei tormenti e delle mia malattia.
Ma anche se il mio cuore vacillava, procurandomi dolori indescrivibili, sapevo che c’era sempre una mano pronto a sostenermi.
L’uomo protettivo, che ha fatto tutto ciò che ha potuto per il mio bene.
L’uomo comprensivo, che mi avrebbe fatto passare ogni capriccio.
L’uomo adorabile che ho imparato a conoscere, e l’uomo che avevo giurato che sarei voluto diventare una volta adulto.
L’uomo che malgrado tutto, mi ha cresciuto come se fossi stato suo.
E ancora nonostante la mia maturità, si preoccupata per me.
Brook, Victor Brook, è stato il mio maestro, la mia salvezza, la mia roccia, il mio sostegno, in quei momenti in cui credevo di impazzire.
E’ stato l’uomo che non ho mai deluso.
 
Mia madre, Daphne, la donna che mi ha amato dal mio primo battito di vita.
La donna che con la sua dolcezza e pazienza mi faceva dimenticare la mia vita difficile.
La donna che sapeva ascoltarmi e calmarmi.
La donna che mi ha sempre offerto la sua mano e le sue carezze.
La donna orgogliosa sempre e comunque.
La donna sempre fiera di me.
La donna orgogliosa, del bambino che ero e dell’uomo che sono diventato.
La prima donna che mi ha fatto capire come si ama.  
 
Katherine, la mia seconda mamma.
La donna forte, che ha cresciuto me e mio fratello come suoi figli.
La donna saggia, matura e paziente che metteva fine ai battibecchi dei suoi uomini.
La donna coraggiosa, che non si è mai arresa.
La donna che mi è stata accanto nei momenti più oscuri della mia vita, sempre con un abbraccio pronto.
 
Salomon, il mio Salomon.
Mio fratello, il mio migliore amico, il mio pari, il mio confidente, il mio consigliere, la mia protezione.
Il ragazzo deciso, maturo, saggio, sempre pronto a buttarsi in tutto.
L’angelo che cacciava via i miei demoni.
Il mio adorato fratello. Il fratello che tutti vorrebbero avere.
Non c’è stato mai un capriccio, mai una richiesta, solo un legame profondo e sincero.
Solo reciproca preoccupazione e affetto.
Solo sorrisi e responsabilità. Solo fiducia e forza.
Mio fratello, colui che si è fatto carico della mia sofferenza e delle mie disavventure, trasformandoli in sensi di colpa, colpa che non ha mai avuto.
Avrei dato la vita per la sua felicità.
E lui avrebbe fatto lo stesso, senza tirarsi indietro.
 
Anastasia, mia cognata.
La mia meravigliosa cognata. La donna che ha rapito il cuore di mio fratello.
La donna che non si è mai arresa di fronte a nulla. La donna coraggiosa e piena di vita.
La donna che sa sorridere davanti ad ogni problema. La donna perfetta per quel testone di Sal.
 
I miei nipoti.
I miei bellissimi nipoti, Daphne e Victor. Le mie creature perfette, belle e sensibili.
Vivaci e carini come dei pupazzetti. Allegri e solari.
Gli unici amori dello zio.
 
Ethan, il mio migliore amico.
L’amico d’infanzia, che ha fatto il possibile per me. L’amico dall’anima pura e il cuore d’oro.
L’amico leale e sincero. L’amico che mi ha fatto da testimone e da padrino.
L’amico che nonostante il tempo sa ancora come starmi vicino.
 
Lucy, la prima ragazza che mi avrebbe voluto al suo fianco per tutta la vita.
Lucy, la moglie del mio migliore amico.
La donna carina e affettuosa, che si merita ogni bene.
 
Kassandra, mia moglie, la mia dea, la mia musa, la mia primavera, la donna che amo.
Semplice, affettuosa, unica e perfetta.
La donna delicata come un fiore. La donna brillante più di un diamante.
La donna gentile, piena compassione. La donna dolce e gioiosa.
La donna che mi sfoggiava come un trofeo.
La donna che non vedo l’ora di passare un po’ di tempo con me e con la sua famiglia.
La donna che nei miei giorni più fragili, lasciva rifiorire il buono di me.
La donna che ha parlato al mio cuore.
La donna che mi ha cambiato la vita.
 
Il pomeriggio era passato velocemente per il nuovo medico del reparto di pediatria.
Balthazar salutò i colleghi e uscì dallo spogliatoio.
Si chiuse il cappotto e sistemò la sciarpa.
S’incamminò tranquillo verso casa con passo sicuro.
La mente distratta, gli occhi incantati di fronte al panorama.
E si sa la distrazione comporta sempre a…
“Accidenti!!!” sì lamentò qualcuno.
Ma quella lamentela proveniva da una voce così dolce, quasi angelica per le orecchie di Balthazar.
Balthazar si rese conto che sotto i suoi occhi, una bella donna perse l’equilibrio e rovesciò le buste della spesa.
“Ma insomma, è la seconda volta oggi!”
La ragazzina graziosa, si abbassò per raccogliere il più in fretta possibile, il tutto.

Il dottore l’accompagnò con lo sguardo e si rese conto che in verità…
…i due si erano scontrati.
“Mi dispiace, sono desolato.” si scusò subito imbarazzato.
Lesto come non mai si affrettò a darle una mano.
“E’ che ero distratto, non guardavo, dove mettevo i piedi, mi dispiace veramente.” continuò a scusarsi Balthazar.
“Non si preoccupi, non fa niente…poteva succedere a chiunque!”esclamò tranquilla la fanciulla scuotendo il capo.
“Mi dispiace…” ripeté di nuovo Balthazar afferrando un frutto.
Ma nel farlo sfiorò la mano di lei.
Un tocco appena bastò ad entrambi per…
…per lasciarli senza fiato.
I loro occhi così diversi, si incrociarono e si persero gli uni dentro gli altri.
“Ma tu sei…” iniziò confuso Balthazar.
Il giovane, gli allungò una mano, e l’aiutò ad alzarsi.
“Ci conosciamo?” le domandò poi prendendo una busta della spesa.
“No, non credo..” rispose lei in fretta, prendendo l’altra.
“Ci siamo mai visti prima d’ora?” domandò ancora Balthazar.

La ragazza lo guardò per un paio di minuti.
Quasi per istinto la ragazza accarezzò il volto di Balthazar.
Era un tocco così caldo il suo, così famigliare.
“Tu…mi…ricordi quel ragazzo…” rispose stranita.
Arrossì e poi aggiunse:
“Forse ci siamo conosciuti in un sogno.” rispose sorridendo dolcemente mentre un nuovo filo di imbarazzo le si dipingeva sul volto.
Balthazar rimase disorientato.
“In un sogno?” pensò stranito.
“Ma che dice?” si disse ancora.
Ma nonostante questo non riuscì a negare l’evidenza.
“E malgrado quel pensiero, infantile e sciocco, nonostante la sua ingenuità e spontaneità…”
Sentì le guance infiammarsi, quando si rese realmente conto che quella ragazza dai capelli mossi e castani, gli occhi dorati, e il sorriso dolce sul volto da bambina le piaceva sul serio.
Si lasciò trasportare dalla risata, lieto di quella certezza.
“Io l’amai da subito. Non l’avrei lasciata a nessun’altro. Era perfetta. Era mia”
“Fu amore a prima vista.”

 
Sì avvicinò alla culla bianca.
Spostò il velo leggero che ricopriva il baldacchino.
Sorrise.
Sua figlia dormiva così tranquilla.
Con le manine aperte, il visino sereno, e il pancino che si muoveva su e giù in un respiro regolare e dolce.
Balthazar rimase un paio di minuti a fissarla, con amore.
Gli sfiorò le dita, coprendola meglio.
Si chinò appena su di lei e gli baciò la fronte.
“Buona notte amore del papà!”
 
“Dai fratellone, calmati un attimo…andrà tutto bene!”
“Non ci riesco Sal…e se qualcosa dovesse andare storto…se ci fossero delle complicazioni…”.

“Rilassati…non accadrà nulla.”.
“Ma ti rendi conto che tra pochi minuti stringerò tra le braccia un altro fagottino, bisognoso di affetto e di cure...una creaturina fragile e delicata...”
“Sì, me ne rendo conto stai parlando di mia nipote, eh?!”
Balthazar non ascoltò il fratello, pensieroso e spaventato si passò una mano tra i capelli.
“... E se non ne sono all'altezza?” domandò Balthazar.
Salomon lo guardò confuso.
“A fare cosa?” chiese stranito.
“A fare il padre…”
Salomon sorrise intenerito di fronte alla premura del fratello.
“Con me hai fatto un bel lavoro!” confessò Sal.
Balthazar alzò gli occhi sul minore, confuso, come se l’avesse notato solo adesso.
“Dici sul serio?”
“Sì, dico sul serio.”
Balthazar accennò un sorriso timido.
“Grazie Sal…” rispose sollevato.
“…ma vedi diventare padre…è diverso da essere un fratello maggiore…diventare padre…vuol dire avere…”
“Avere delle responsabilità?” concluse il minore.

“Esatto...” affermò svelto Balthazar.
“Balthazar, credimi se ti dico che le responsabilità sono la cosa più bella al mondo!”.
“Ma…”
“Kassandra è fortunata ad averti…” affermò Salomon sereno.
“…sta tranquillo, nessuno avrebbe mai il coraggio di non volerti come padre.”
“Va da tua moglie…va da lei!” gli disse contento.
E quando per la prima volta vidi il visetto della mia bambina, ogni dubbio, svanì.
Ebbi la certezza, che avrei fatto di tutto per essere un buon padre.
Lei era lì, perché aveva bisogno di me.
Lei era lì per me.

 
Diana, mia figlia, la mia principessa, la bambina più meravigliosa che io abbia mai visto.
Bella come la madre, e forte come il padre.
Piccola e graziosa, dal faccino sottile e i capelli scuri.
Il suo sorriso, tanto dolce da scaldarmi il cuore, vedo i riflessi del mio viso.
Mia figlia, l’emozione più grande.
Mia figlia, la bimba che stringo a me, per amarla e proteggerla.
Mia figlia, colei che accende i miei sogni e libera la mia anima da ogni peso.
Mia figlia la mia gioia più grande.
 
Alzò gli occhi dalla sua bambina, e senza volerlo, con la coda dell’occhio, notò lo specchio.
Fissò serio per un istante infinito, i segni che il suo corpo ancora portava.
Le cicatrici ben visibili sulla schiena ormai rovinata.
La sua unica debolezza.
L’unica cosa che ancora cercava di nascondere.
L’unica cosa che non faceva toccare a nessuno.
Kassandra era l’unica che poteva.
 
Bryan, che per quanto quell’uomo mi abbia distrutto la vita, mi ha fatto capire…
Mi ha fatto capire i miei limiti, dove posso e non posso arrivare.
Mi ha fatto capire chi era il vero debole e mostro.
Mi ha fatto capire che io non mi sarei mai comportato con nessuno in quel modo disumano.
E per quanto le sue “Lezioni” mi abbiamo fatto capire, non credo che riuscirò mai a perdonarlo seriamente.
Mi ha lasciato credere che lo stupido, che l’irresponsabile, la causa dell’infelicità della mia famiglia, il debole, ero io.
Accusato di non essere abbastanza uomo, quando l’unico vigliacco e codardo non ero io.
Ti ho chiesto perdono e supplicato più volte, per colpe che non avevo.
E se anche adesso tutto questo è solo un brutto ricordo, e ancora troppo vivido nella mia mente, questa è una di quelle cose che non si scordano facilmente.
E il volto infuriato del mio falso padre, le sue mani forti che più volte mi hanno colpito, la sua disciplina che includeva torture al mio fisico e alla mia mente, non riuscirò mai a dimenticarli.
 
Ho fatto le mie scelte, e ho cambiato la mia vita.
Quella vita, che mi ha deluso, che mi ha fatto male, che mi ha fatto piangere, che mi ha fatto emozionare, che mi ha fatto sorridere, che mi ha fatto crescere, che mi ha fatto vivere.
 
Infondo dicono che dopo la tempesta, sorge sempre il sole.
 
Io dopo la mia pioggia e il mio gelo, ho trovato le mie stelle.
 
Quelle stelle…che…
 
…Non ringrazierò mai abbastanza.
Forse un giorno capirò l’importanza che queste persone hanno e hanno avuto nella mia vita, e forse in quel momento le ringrazierò come si deve, perché un comune grazie non è sufficiente, non è abbastanza.
Perché non riuscirò mai a ringraziarle nel modo giusto.
 
“Balthazar…” si sentì chiamare.
Kassandra cercò il marito, coprendosi con le coperte.
Si voltò per incontrare il viso tenero di sua moglie.
Le sorrise con amore.
Si avvicinò a lei, facendo attenzione a non scombussolare troppo le coperte.
S’inginocchiò accanto alla sua dolce metà.
“Che succede mia regina?” le chiese con dolcezza, baciandogli la mano.
“Che cos’hai…non riesci a dormire?” le chiese lei preoccupata.
“Stavo solo controllando Diana…sto bene.” disse accarezzandole il dorso.
Kassandra gli sfiorò il volto.
“Non è il cuore, vero?”
“No, non è il cuore…sta bene…e il respiro è tranquillo.” gli spiegò con calma.
Lei gli accarezzò di nuovo la guancia, con delicatezza, fermandosi sullo zigomo.
“Niente incubi?” chiese quasi sollevata.
“Non posso avere degli incubi, quando ogni notte dormo accanto al mio sogno.” affermò lui tranquillo.
La fissò negli occhi, in quelli occhi che ormai erano diventati la sua nuova forza.
“Ti amo...”, sussurrò alla moglie.
 E con il cuore leggero e colmo d’amore le baciò le labbra.
Kassandra sorrise contro le labbra del marito:
“ Ti amo!” mormorò lei felice.
Un nuovo lungo bacio.
Un bacio che rappresentava tutto.
 
 
La mia vita ora, è perfetta.
 

Fine
 
 

 

Note dell’autrice.
Eccoci qui!
Purtroppo sì, questo è l’ultimo capitolo.
Il capitolo che mi ha fatto disperare nel vero senso della parola.
Ero incerta e dubbiosa su tutto lo scritto, ma dopo un “Sei scema”, un “Te l’avevo detto”, nel timore di beccarmi altri insulti ho deciso di postarlo così com’è.
Infondo non riesco a trovare altra soluzione per la conclusione, quindi credo che vada bene così. ^^
Spiegazioni:
-Inizio: Sì, alla fine ho deciso che tutti i capitoli precedenti fossero tutti ampi ricordi rivissuti in sogno.
-Spazio: Ho cercato di dare più spazio possibile, a tutti i personaggi, che in un modo o nell’altro hanno aiutato Balthazar. Volevo che il nostro protagonista alla fine di tutto, si rendesse finalmente conto che lui è perfetto così, cha ha intorno persone splendide che sono orgogliose e fiere di lui. Volevo che capisse l’importanza vera dell’affetto e dell’amore. Ecco perché alla fine dice che non potrà mai ringraziarle abbastanza, perché loro hanno fatto tanto per lui, e Balthazar l’ha capito con calma.
E’ chiaro che non ringrazia Bryan. Alla fine lascio sfogare Balthazar, gli permetto di inveire contro quella bestia, anche per vendetta personale.
-“Tu mi ricordi quel ragazzo”: Kassandra qui non è impazzita, voi direte “Ma come, l’ha appena visto, è pazza per forza.”, no, non è così, dice questa frase perché risulta a verità.
Perché nella storia originale, Balthazar una volta scappato, perché accusato d’omicidio, rischia di morire congelato, ma durante il sonno, vedrà il volto di Kassandra in sogno. Quel volto tanto bello e radioso, gli darà la forza di andare avanti e di sopravvivere.
E Kassandra non ha dimenticato a sua volta il volto di quel giovane misterioso che è riuscito a farla arrossire.
Ecco perché entrambi si sentono a proprio agio uno vicino all’altra.
Erano destinati a stare assieme. ^^
-Salomon: Gli do sempre poco spazio piccolo, ma qui doveva esserci il supporto che mostra al fratello quando Balthazar è incerto su cosa fare una volta diventato padre. Infondo Sal, diventa papà per primo, e l’onestà a questo ragazzo non manca. ;)
-Stelle: Mi sembrava una figura poetica e dolce, paragonare le persone a lui care a stelle, quasi a voler dire: “Avete sempre illuminato il mio sentiero buio e solo.”
-Cicatrici: Anche se il ricordo di Bryan, è un tarlo nella mente di Balthazar, sta affrontando il trauma con decisione, tant’è che permette alla moglie di cui si fida, di toccare quei segni che teneva nascosti a chiunque.
A dimostrare che quei segni, non significano più nulla per lui, c’è altro di più importante nella sua vita adesso. Bryan ormai va solo dimenticato.
-Cuore: Malgrado gli anni passati, la malformazione cardiaca di Balthazar non cessa.
Essendo una malattia autoimmune che colpisce anche le vie respiratorie, potrà solo peggiorare o migliorare, ma non potrà mai guarire. Diana non ne soffre.
 
Grazie mille per tutto. :)
Bacio ^3^
Chris.
 
Agapanto Blu & vale1991 cosa farei io senza di voi?!
Avete fatto così tanto per la mia autostima, che la maggior parte dei casi, si ritrova sotto i miei piedi. ;)
Grazie! *.*

 

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