Fandom:
A Tutto Reality-Total Drama
Autore:
Clover DreamOn
Titolo:
You've got a reason to live (don't give up) Capitolo:
1/3 – Giovedì 16 maggio
Beta:
Jules_Black
(a cui vanno tutto il mio amore e la mia gratitudine ♥)
Personaggi:
Trent, Tyler, Brick, Noah, Geoff, OC; Gwen, Zoey, Bridgette, Lindsay
Tipo
di coppia: Het, Slash
Coppie:
TrentGwen; TylerLindsay;
NoahOC
Genere:
Generale, Comico, un minimo di Romantico -che ci sta sempre- e..
Erotico?
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
Minilong, AU, lime, ignobile quantitativo di idiozie
Contoparole:
5606
Note:
Dedicata a Faithfully
per il suo compleanno ♥
Scene
slash abbastanza approfondite (ma da rating arancione). Don't like?
Don't read!
Dichiaro
un po' di OOC per quanto riguarda Noah.
Alla
mia Faithfully, cui non ho mai promesso nulla – e che quindi
non se l'aspetta ♥
Per
te, tesoro, perché anche se non ti ho mai vista dal vivo ti
voglio bene ♥
You've
got a reason to live (don't
give up)
-I:
Giovedì 16 maggio
“Dopo
questa, posso anche uccidermi” sussurrò Brick al
microfono del cellulare non appena Trent rispose, cosa che era
avvenuta pressoché al terzo o al quarto squillo.
Parlò
piano, con un filo di voce, ma non perché volesse fare scena o
sembrare minaccioso, ma semplicemente perché era mezzanotte
passata: Brick non chiamava mai così tardi, anzi, era già
tanto che alle undici e mezza stesse sotto le coperte.
Il
moro al di là della cornetta trattenne il respiro. Già
altre volte aveva sentito Brick parlare con una voce afflitta, ma
questa le batteva tutte.
“Che
succede, Bricks?” chiese di rimando. Era preoccupato per il suo
migliore amico, ma non voleva darlo a vedere; così, usato il
solito tono pacato, l'aveva chiamato usando il vecchio soprannome che
gli aveva dato anni prima.
Il
ragazzo sospirò e si accasciò lentamente sulla sedia
della sua scrivania, una poltroncina verde militare con le rotelle
che facevano la loro figura al termine dei cinque raggi che tenevano
la seggiola in piedi.
“Ho
chiesto a Jo di uscire e lei mi ha detto di no.”
Trent
si diede una manata sulla fronte.
Di
nuovo Jo.
Quella
ragazza sembrava averci preso gusto nel rifiutare Brick e Trent la
detestava ogni giorno di più. Il moro ne era tuttavia
innamorato e, essendo una testa dura, non desisteva dal provare a
conquistarla.
Evidentemente,
però, quella volta gli era andata peggio del solito.
“Bricks,
non credo che tu debba abbatterti così tanto. Sono tre mesi
che ti rifiuta.” esalò in evidente imbarazzo il ragazzo.
“Sì,
ma stavolta mi ha riso in faccia e mi ha gridato di non cercarla più.
Pensa che io sia uno sfigato, me l'ha detto Scott” ribatté
tristemente l'altro.
Prima
che Trent si potesse chiedere perché diamine il suo migliore
amico avesse parlato con Scott, uno dei peggiori scapestrati che
conoscessero, sempre in coppia con un tale Duncan, Brick riprese a
parlare.
“Cioè,
non è che me l'abbia detto con gentilezza. Me l'ha strillato
dall'altra parte del marciapiede mentre andavo in palestra.”
proclamò mesto. Il moro, in quel momento, odiò anche
Scott.
La
voce di Brick tremava leggermente. Trent decise che avrebbe dovuto
fare qualcosa.
“Bricks,
dammi due giorni e vedrai che ti farò passare la voglia di
piagnucolare su te stesso.” decretò, sforzandosi di
rendere la sua voce più allegra che potesse. Brick gonfiò
il petto e inarcò la schiena.
“Io
non sto piagnucolando!” si lamentò, preso da un momento
di virilità. Eppure entrambi sapevano quanto non fosse vero:
ogni volta che interagiva con
Jo, Brick finiva per piangersi addosso.
“Due
giorni. Poi, fra tre, usciamo: vedrai che ti divertirai.” disse
speranzoso Trent.
“Se
non m'ammazzo prima.” rispose l'altro. A un silenzio opprimente
del ragazzo dall'altra parte del telefono, si affrettò ad
aggiungere un Dio, scherzavo!,
per poi accordarsi sulle quarantottore di tempo per organizzare
l'uscita del terzo giorno.
Si
salutarono e attaccarono, già sapendo come avrebbero passato
la nottata: non avrebbero dormito entrambi, il primo perché
avrebbe pensato troppo a Jo, il secondo perché avrebbe pensato
troppo al primo.
Era
mercoledì quindici maggio e non erano di certo state le
ventiquattr'ore più rosee della vita di Brick.
Trent,
come del resto aveva previsto, passò le successive sette ore a
rigirarsi fra le lenzuola, intervallato solo da piccoli e brevi sonni
travagliati dai continui movimenti del suo corpo, che non si fermava
nemmeno quando il suo cervello andava in stand by.
Quando
la sveglia iniziò a suonare, quel bip
irritante lo destò dallo stato di dormiveglia in cui era
caduto. Era giovedì sedici, non era un giorno di festa e la
scuola lo reclamava. Si vestì di malavoglia con i primi abiti
che si trovò davanti - fortunatamente la sua maglietta blu con
la stampa di Freddie Mercury si intonava bene con i jeans e le
Converse rosse che aveva afferrato al volo -, baciò la madre,
salutò il padre e scese, puntuale, alla fermata dell'autobus.
Era pronto a salire sul mezzo giallo, che mostrava fiero il numero
trentasei nella fascia di led verdi sovrastante la facciata, che
l'avrebbe portato alla Leaside High School.
Arrivò
nella classe di Trigonometria, la materia che aveva alla prima ora,
cinque minuti prima della campanella; appoggiò lo zaino verde
brillante allo schienale della sedia posizionata davanti al suo banco
e si avvicinò ai suoi amici, che stavano chiacchierando
qualche metro più in là.
Gwen
fu la prima ad accorgersi che fosse arrivato: gli andò
incontro, facendo ondeggiare la maglietta nera con il viso di Amy Lee
che le aveva regalato il ragazzo qualche mese prima e che le arrivava
a metà coscia (va bene, Trent aveva sbagliato taglia, ma lei
la indossava lo stesso poiché amava tanto gli Evanescence
quanto il ragazzo che le aveva donato la maglia).
“Ehi!”
gli disse, rivolgendogli un sorriso dolce.
Gwen
era cambiata da quando si era fidanzata con Trent. Era più
dolce, più tendente all'allegria e più aperta - pur
mantenendo il suo stile ed i suoi momenti di tristezza, rabbia o
apatia -. Era anche leggermente meno scontrosa, ma i loro amici non
se n'erano accorti, poiché con loro non era mai stata tanto
intrattabile, salvo qualche volta, magari durante i momenti
sopracitati.
Si
scambiarono un bacetto soffice a stampo, portando lei le mani sulle
spalle del ragazzo, lui le braccia attorno ai fianchi di Gwen;
dopodiché tornarono verso il gruppo, che si era finalmente
accorto dell'arrivo del moro.
“Grant!”
trillò Lindsay, che nonostante fossero amici da tre anni non
aveva ancora imparato il suo
nome. Trent le diede un bacino sulla guancia morbida e rosea per
rispondere al saluto.
“Ehi,
Lind!” la salutò inoltre, con un sorriso sincero.
Noah
gli diede un'amichevole pacca sulla spalla, ma rimase silenzioso.
Trent non lo biasimava affatto; il castano stava infatti passando uno
dei più difficili periodi della propria vita, se non il più
difficile in assoluto: erano un paio di settimane che il suo coming
out aveva avuto inizio e le reazioni che ne erano scaturite erano
state varie. C'era stato chi era rimasto impassibile, chi era voluto
sembrare avanti dicendo che l'aveva sempre saputo o immaginato, chi
aveva smesso di parlargli, chi aveva persino iniziato a bullizzarlo;
ma il fondo l'avevano toccato due ragazzine del secondo anno
dall'aria stupida che andavano in giro vestite nello stesso modo: non
appena saputo dei gusti sessuali del ragazzo, l'erano andate a
cercare e, una volta trovato, l'avevano implorato di diventare il
loro MAG, Migliore Amico Gay, adducendo come scusa il fatto che fosse
figo averne uno. Noah era
rimasto male per il fatto di essere stato considerato solo una
tendenza e non una persona. Tra chi lo vedeva sbagliato e chi lo
vedeva come un oggetto che facesse moda, c'era veramente poco da
stare allegri.
Fortunatamente,
però, gli amici più stretti del castano avevano saputo
accettarlo e chi non l'aveva fatto era stato mandato malamente a quel
paese.
Trent
abbracciò Noah e lo sentì sciogliersi un po'. Il
ragazzo aveva infatti un'espressione più rilassata e la
mantenne anche quando si staccarono.
Sopraggiunse
Geoff, che si frappose a Lindsay e Trent, mettendo loro un braccio
attorno alle spalle a testa.
“Bella,
gente!” esclamò allegro, passando poi ad abbracciare
Gwen e Noah. L'affetto che dimostravano a quest'ultimo, unito al il
fatto che non lo considerassero una macchina per il sesso che si
sarebbe scopato qualunque maschio nel raggio di un chilometro (era
gay, ok, ma questo non significava che non avesse sentimenti!), era
incredibile.
Trent
rimase un po' scuro in volto: aveva da chiedere ai suoi amici un
consiglio per dare una mano a Brick.
“Fratello,
qualche problema?” chiese Geoff, che pur essendo un festaiolo
DOC era sempre meticolosamente attento alle singole sfumature sui
volti dei suoi amici.
“Infatti,
Grant, che succede?” domandò la bionda. Gwen si limitò
a stringergli un braccio e a poggiargli la testa nell'incavo fra la
spalla e il collo.
“T?”
Trent
li guardò: sembravano il sogno di chiunque; quattro amici
affiatati nel prendersi cura del quinto, abbracciati a due a due - e
grazie al cielo era stato Noah a mettere un braccio attorno alle
spalle di Gwen, perché, se fosse stato Geoff, il moro avrebbe
sicuramente sentito un amaro retrogusto di gelosia, pur fidandosi
ciecamente del ragazzo -, poi decise di parlare.
“Mi-mi
ha chiamato ieri sera – oddio -, ieri notte Brick. Jo l'ha
rifiutato più duramente del solito e Scott ci si è mes-
ha infierito, per cui è-è sotto un treno. Gli ho
chiesto due giorni di tempo, poi usciamo sabato. Gli ho promesso
che-che l'avrei reso-uhm... Felice?” titubò il ragazzo.
“Fammi
indovinare, non sai cosa organizzare?” chiese Gwen. Era
dolcissima la maniera in cui i due si capivano con un solo sguardo.
“Esatto.”
esalò Trent con un sospiro.
I
cinque restarono pochi attimi in silenzio, mentre il brusio lì
attorno faceva da cornice, poi la campana suonò sancendo
l'inizio delle lezioni. La classe si mosse quasi come un corpo unico
e scomposto, i ragazzi presero posto nei banchi e smisero, più
o meno, di chiacchierare.
Entrò
il professore della prima ora, un uomo alto e giovane che aveva i
capelli castani sollevati
sulla fronte e gli occhi di un colore indefinibile tra il verde,
l'azzurro, il grigio ed il blu. Questi disse ai ragazzi di prendere
il libro di trigonometria e, mentre quelli lo facevano,
si espresse in un sorriso radioso comunicando loro il numero della
pagina alla quale avrebbero
dovuto aprire il libro.
Trent
sfogliò svogliatamente il tomo che aveva appena tirato fuori
dallo zaino fino ad arrivare alla pagina giusta, dopodiché
tentò invano di concentrarsi.
A
metà dell'ora gli arrivò un foglietto ripiegato con
cura meticolosa.
“Concerto?”
recitava questo.
La
grafia era ordinata, ma non piena di fronzoli e ghirigori: in questa,
il ragazzo riconobbe la calligrafia di Noah. Afferrò una penna
e scrisse la risposta sotto alla proposta del castano.
“Non
penso si divertirebbe molto, non è il tipo da concerto...”
Gli
venne in mente quella volta che lui e Gwen avevano tentato di
trascinarlo ad un concerto dei Rise Against, un gruppo che piaceva da
morire a lei: il cantante aveva urlato, ad un certo punto, e tutto il
pubblico aveva urlato di rimando, poi le luci si erano spente di
botto. Brick si era spaventato e si era bagnato i pantaloni, anche se
proprio poco.
No.
Decisamente,
il concerto no.
Ripiegò
il pezzetto di carta e lo tirò sul terzo banco della fila a
sinistra, dove Noah lo raccolse, lo lesse, poi fece un'espressione
stufa e alzò le spalle, come a dire beh, io ci ho
provato.
Trent
si sciolse in un sospiro. Doveva aspettare la ricreazione, poi
sarebbe potuto andare a salutare anche gli altri membri della
compagnia che stavano in altre classi. Magari avrebbe anche spiegato
loro il problema, ma senza farsi sentire da Brick.
Nella
classe di spagnolo, la materia che Brick, Tyler e Zoey, avevano alla
prima ora, la situazione era simile: un ragazzo pensieroso e gli
amici tutti intorno a chiedergli cosa fosse successo. Solo che Brick
era leggermente più silenzioso di Trent, quindi i due non
vennero a sapere niente.
“Bricks,
che hai?” scrisse Zoey su un bigliettino, con l'intenzione di
tirarglielo. Una volta compiuto il lancio il moro allungò le
mani per afferrarlo, ma mancò la presa e il foglietto gli
colpì l'occhio, facendolo imprecare sottovoce. Grazie a Dio,
la professoressa non si accorse del movimento.
Scorte
le parole impresse con un inchiostro viola - ah, Zoey... -, si limitò
a scuotere la testa e a far cadere il biglietto nell'astuccio,
tornando a concentrarsi sulla coniugazione del pluscuamperfecto che
la professoressa, una donna non troppo alta, con i capelli scuri che
le arrivavano più in basso delle spalle e due occhi neri e
magnetici, stava spiegando alla lavagna.
Tyler,
che era il compagno di banco della ragazza, la guardò con fare
interrogativo.
“Zò,
nulla?” domandò.
“No,
Tylers, nulla.” proferì, sussurrando, lei.
Maledizione.
Due
aule più in là c'era la classe di inglese, dove al
penultimo banco a destra stavano seduti Sebastian e Bridgette, gli
ultimi due ragazzi del gruppo. Il primo fra i due, un bel ragazzo
alto, con gli occhi di un verde sconcertante e i capelli ricci biondo
chiaro, era stato accolto fra loro da qualcosa come un mese e pochi
giorni - molto di meno rispetto ai tre anni dai quali si conoscevano
tutti gli altri -, ovvero da quando era diventato il ragazzo di Noah.
Si erano fidanzati quando ancora il castano non era uscito allo
scoperto, quando si si confidava ancora con pochi.
Si
erano conosciuti un anno prima, Noah e Sebastian, ed erano diventati
molto amici fin da subito. Poi, pochi giorni dopo la prima volta che
si erano abbracciati chiamandosi amico,
esattamente nel mese di giugno, Sebastian era sparito dalla vita
dell'altro, evitandolo e non chiamandolo più. Il castano c'era
rimasto malissimo e l'aveva cercato mettendoci tutto l'impegno
possibile - ed i suoi amici (Trent, Zoey, Tyler, Bridgette, Brick,
Geoff, Gwen e Lindsay), sapendo sia della sua omosessualità
che della sua inclinazione
per il biondo, non si allarmavano troppo quando lo vedevano
convogliare tutte le energie nel mettersi sulle sue tracce.
Poi
era successo l'incredibile.
All'inizio
di settembre, poco prima che ricominciasse la scuola, Sebastian era
ricomparso sotto casa dell'amico del tutto diverso da come Noah
l'aveva conosciuto, ma soltanto esteticamente, perché era
bastata un'occhiata del castano negli smeraldi dell'altro per
ritrovare la solita scintilla.
Si
era lasciato crescere di un poco i capelli, rinunciando a tagliarseli
quasi a zero, e la zazzera arruffata e chiara che aveva sembrava
lanciare a destra e a manca dei segnali per invogliare la gente a
passare le dita fra quei riccioli. Alcuni di questi gli ricadevano
sul viso, sembravano dei raggi di luce che uscivano da quegli occhi
verdi meravigliosi.
Il
suo modo di vestire, poi, era totalmente cambiato. Noah aveva sempre
pensato che il ragazzo non si valorizzasse, perché indossava
solo tute, felpe e tutto ciò che fosse estremamente largo, ma
stavolta... Oh.
Sebastian
indossava un paio di jeans chiari attillati con disegnate sul retro
due ali bianche d'angelo, una camicia a maniche corte di un azzurro
pastello e un paio di scarpe di tela beige chiaro. Noah l'aveva
trovato accettabile.
Oh,
no.
Noah
l'aveva trovato irresistibile.
Si
erano guardati per un attimo, poi Sebastian aveva parlato lentamente,
scandendo bene le parole e tremando, quasi come se da questo
dipendesse la sua vita.
“Noah,
io- ecco, vedi, volevo- sai, sono sparito perché- Dio,
devo-devo parlarti.” aveva esalato difficilmente. L'altro aveva
alzato le spalle con fare sarcastico, aveva inarcato le sopracciglia
e l'aveva condotto in un angolo del piccolo giardino, dove erano
posizionate due sdraio.
Si
era seduto su una delle due ed aveva osservato il biondo fare lo
stesso.
“Perché?”
aveva chiesto semplicemente, aspettandosi una risposta soddisfacente.
“I-io
non sapevo come-come l'avresti, ecco- oh, Dio!- come l'avresti
presa.” aveva balbettato Sebastian.
“Bas,
se non ti spieghi bene non posso capirti.” aveva detto il
castano.
“Nò,
ho- ecco- io ho... Maledizione!” aveva esclamato, con
l'intenzione di scuotere Noah - cosa che non era riuscita affatto,
visto che questi era rimasto impassibile.
L'altro
era rimasto in silenzio.
“Ho
iniziato il coming out. Da-da tre settimane. E-e, Dio, non avevo la
minima i-idea di come l'avresti-l'avresti presa tu.”
Detto
questo, si era preso la testa fra le mani, come aspettando una bomba.
Bomba che però non venne mai lanciata da Noah.
“Bas,
sei gay?” aveva chiesto l'amico, che alle parole coming
out aveva sentito qualcosa
rimescolarsi all'interno del
proprio corpo.
“Sì.”
aveva confermato l'altro, trattenendo poi il fiato.
“Anche
io.” aveva detto velocemente Noah, senza pensare alle eventuali
conseguenze.
“Ma
allo scoperto non ci esco.” aveva proferito subito dopo.
Sebastian
era rimasto fulminato e subito dopo l'aveva abbracciato forte.
“Scusami.”
aveva mormorato. Noah non aveva saputo che fare, si era limitato a
toccarlo lievemente, perché si sentiva a disagio.
Il
ragazzo di cui era innamorato - perché ne era innamorato - era
gay come lui, ma era anche il suo migliore amico.
Dannazione.
Poi,
una decina di mesi dopo, mentre stavano ripassando insieme Chimica
sdraiati sul letto a una piazza e mezza di Sebastian, a una trentina
di centimetri l'uno dall'altro, il biondo aveva chiuso di scatto il
tomo e aveva guardato Noah, che immediatamente si era girato verso
l'amico ed aveva piantato i suoi occhi in quelli dell'altro.
Un
secondo.
Un
altro secondo.
Poi
un terzo secondo.
Sebastian
aveva chiuso gli occhi, a Noah era bastato un attimo a capire e, un
istante dopo, si stavano baciando non esattamente in modo casto.
E
la loro storia aveva avuto inizio così.
Durante
la lezione, dunque, mentre la professoressa di Inglese stava
declamando un sonetto, Bridgette notò che Sebastian non stava
per niente attento, anzi: si stava limitando a disegnare circoletti
in basso a sinistra del foglio di quaderno che aveva davanti, con lo
sguardo perso.
“Seb?
Qualche problema?” chiese.
L'altro
si risvegliò immediatamente dallo stato simile a quello di
trance in cui stava, guardando la compagna di banco.
“Inizio
il mio corso di latino lunedì. Sono in ansia.” esalò.
La
bionda strabuzzò gli occhi.
“Corso
di latino? E che ci fai?” domandò sinceramente curiosa.
Sebastian
la guardò in tralice.
“È
un aiuto per entrare al college. Se ottengo voti alti, ho una
qualificazione in più ed è più facile che mi
ammettano, se allego alla domanda il certificato. E poi il latino mi
interessa.” finì sognante.
Bridgette
ridacchiò e gli diede un buffetto sul braccio. Avevano legato
molto, da quando lui era entrato nel loro gruppo di amici.
Suonò
la campanella della ricreazione, finalmente. I ragazzi avevano
cambiato tre volte classe, avendo tre lezioni differenti, e si erano
ritrovati smistati nei modi più diversi: alla seconda ora, ad
esempio, Gwen e Brick avevano avuto francese; Tyler, Noah, Sebastian
e Lindsay avevano avuto educazione fisica; Zoey e Geoff si erano
trovati a inglese e Trent e Bridgette avevano fatto insieme un
esperimento di chimica.
Al
driiin della campanella, uno sciame di ragazzi si riversò
nei corridoi. Gwen e Trent, uscendo insieme dalla classe di biologia,
si erano diretti verso il cortile della scuola, andando verso un
vecchio acero che era sempre stato il loro punto di ritrovo. Si
sedettero placidamente ai piedi di questo e, poiché i loro
amici non erano ancora arrivati, si guardarono con una scintilla
maliziosa. Una furtiva occhiata per guardare se c'era qualcuno che li
stava osservando ed ecco che si stavano baciando non proprio
dolcemente. Trent mordicchiò il labbro superiore di
Gwen, mentre lei si stava occupando dell'inferiore del ragazzo, poi
insinuò gentilmente la lingua fra le labbra di lui.
“Dio.”
esalò Noah, facendo sobbalzare Trent e Gwen. “Potevate
andare in uno sgabuzzino e finirla lì, non pensate?”
continuò.
Sebastian,
che era sopraggiunto praticamente insieme al castano, gli portò
un braccio sulle spalle e tossì rumorosamente, lasciando
sbigottiti i due seduti ai piedi dell'albero.
Fortunatamente,
l'arrivo di Tyler, Zoey, Geoff e Lindsay, reduci da una lezione di
storia, smorzò l'imbarazzo che si era andato a formare.
Mancavano solo Bridgette e Brick, per questo Trent si sbrigò a
parlare.
“Serve
qualcuno che allontani Brick per due o tre minuti, ragazzi. Poi
potete tornare.”
Zoey
lo guardò sbigottita.
“Ma
cosa...” provò a dire, ma venne immediatamente
interrotta da Geoff.
“Dobbiamo
parlarvi di lui.” proclamò.
Gwen
lanciò uno sguardo a Trent come per mettersi d'accordo con
lui: avrebbe tenuto lei Brick lontano dalla compagnia per quei pochi
minuti. L'arrivo dei due mancanti li fece scattare e, mentre Gwen
andava verso il moro per trascinarlo via, Sebastian fece un segno
alla bionda per invogliarla ad avvicinarsi più velocemente.
“Che
succede?” chiese questa, non appena arrivò presso il
gruppetto, che nel frattempo si era posizionato a capannella.
Trent
spiegò a tutti la situazione, chiedendo loro un aiuto per
trovare un'idea valida per il sabato seguente.
“Shopping?”
propose Lindsay con una nota particolarmente enfatica nella voce.
Tyler
le posò una mano sul braccio.
“Non
lo so, Lind, io non credo che a Brick piaccia lo shopping...”
sussurrò in imbarazzo. Trent annuì, come per dargli un
aiuto.
La
ragazza si limitò a esibire un faccino imbronciato veramente
adorabile, tanto che Tyler non resistette all'impulso di posarle un
bacio leggero sulle labbra rosee. La biondina ridacchiò
sommessamente, felice di quell'effusione.
Bridgette
aprì la bocca, forse per suggerire qualcosa, ma in quel
momento Brick e Gwen si avvicinarono, il primo sinceramente
incuriosito dal capannello e la seconda con un'espressione di scuse
per non essere riuscita a trattenere il ragazzo per più tempo.
Il gruppo si ritrovò a dover cambiare velocemente discorso,
così passarono a parlare delle lezioni a cui avevano
partecipato.
Brick
guardò Trent contrariato, ma non ricevendo risposte dal suo
migliore amico desistette dal capire cosa fosse successo.
“Vieni
da me a studiare, oggi pomeriggio?” chiese Sebastian a Noah,
mentre imboccavano il secondo corridoio a destra. “Domani ho il
test di trigonometria, e non vorrei che Mr. Anderson mi trovasse
impreparato.”
Noah
inarcò le sopracciglia. “Bas, tu sei una scheggia in
trigonometria. Sei un genio, e Anderson ti adora. Non riusciresti a
prendere una F nemmeno se lo volessi.”
Il
compagno gli lanciò uno sguardo malizioso. “Appunto.
Vieni a studiare da me?” domandò di nuovo,
enfatizzando ben troppo la voce nell'ultima frase, rimarcando per
bene la parola studiare.
Noah
sembrò capire e gli si scurirono gli occhi marroni.
“Ok
Bas, dimmi un orario.” esalò velocemente.
“Fai
tu.” replicò il biondo, cui già girava la testa
al pensiero del pomeriggio imminente.
“Quattro
e mezza.” decise Noah.
“Non
resisto fino alle quattro e mezza. Quattro e un quarto, non si
discute.”
Poi
si separarono: Sebastian andò nell'aula di chimica, Noah in
quella di storia.
Il
resto della giornata passò abbastanza rapidamente, sicché
si ritrovarono ognuno a casa propria, con fin troppi pensieri che
frullavano loro in testa.
Bridgette
e Trent stavano tornando insieme a casa, seduti vicini sul trentasei.
Avevano
una cuffietta a testa e stavano muovendo la testa al ritmo di Time
is running out, una delle canzoni preferite della biondina.
Il
moro, con aria pensierosa, stava guardando fuori dal finestrino come
alla ricerca di un'idea valida nascosta fra i fili d'erba dei
giardini delle adorabili villette a schiera nelle quali vivevano
entrambi.
“Ma
se restiamo a dormire fuori?” disse all'improvviso Bridgette.
Trent
boccheggiò per un attimo, poi la guardò negli occhi.
“È
un'idea fantastica!”
Tyler
aveva un po' di sonno arretrato, visto che erano un paio di giorni
che faceva tardi per messaggiare con Lindsay, e si avvicinò al
divano, con l'intento di buttarcisi a pesce per dormire un paio
d'ore, ai compiti avrebbe pensato dopo. Fece per lasciarsi mollemente
cadere su questo, ma si era coordinato male, per cui la testa
scavalcò il bracciolo e sbatté sul tavolino di legno
chiaro che stava accanto al divano. Guaendo per il dolore, il castano
si rialzò a stento e procedette verso camera sua, volendo
mettersi un po' sul letto, ma intruppò con il mignolo contro
lo spigolo del comodino, facendo partire dalla sua bocca una sonora
imprecazione esemplare. Si trascinò malamente sul materasso,
lasciando che il sonno prendesse il sopravvento sul suo cervello.
Era
già entrato in uno stato di dormiveglia e stava quasi per
addormentarsi, quando lo squillo impertinente del cellulare lo
spaventò, facendolo alzare di scatto - e facendogli guadagnare
una dolorosa testata alla mensola sopra il suo letto, che era stata
attaccata anni prima un po' troppo in basso.
Il
telefono non aveva intenzione di smettere di suonare la melodia
spacca timpani di American Idiot, così Tyler si vide
costretto a rispondere, addirittura senza controllare chi fosse il
seccatore che l'aveva destato.
“Chi
è?” disse, un po' rudemente.
“Tylers,
sono nei casini.” esclamò un Geoff un po' troppo
sovreccitato.
L'altro
sospirò pesantemente.
“Che
succede, Geoff?” esalò stancamente.
“Mi
sono preso una cotta.” confessò il biondo. Per Tyler fu
una martellata in piena testa.
“GEOFFREY!
Avevi promesso che almeno tu non ci saresti cascato!” lo
rimproverò.
Seguirono
pochi secondi di silenzio, durante i quali a Tyler venne in mente
quella volta in cui si erano ripromessi, lui ed il suo migliore
amico, di non innamorarsi mai, per poter restare sempre liberi e
godersi ogni istante.
Poi,
un mese dopo, lui gli era andato a confidare di essersi innamorato di
Lindsay, una delle sue compagne del corso di francese, che però
era fidanzata con un certo Burromuerto, il quarterback della squadra
di football, anche se si diceva in giro che lui la frequentasse solo
ed esclusivamente per far ingelosire la capo cheerleader, famosa in
tutta la scuola per la sua bellezza disarmante e per il suo essere
una vera bastarda.
Geoff
l'aveva sgridato, ma poi l'aveva aiutato a conquistarla e, dopo tanti
tentativi, c'era finalmente riuscito. Mentre gli dava una mano a
scegliere il ristorante dove portarla, cosa che fu abbastanza
faticosa (“Portala al McDonald, no? O al Burger King, le
patatine sono più lunghe! Oppure alla paninoteca qui a fianco,
fanno degli hamburger che sono la fine del mondo! Che ne pensi,
Tylers?”), il biondo si era detto di fare attenzione a non
prendersi nemmeno la più insignificante cotta per nessuna
ragazza, poiché aveva visto le condizioni dell'amico e non
aveva la minima voglia di ritrovarsi in quella situazione.
“Lo
so. Ma mi piace così tanto!” sussurrò
Geoff nel telefonino.
Tyler
tentò di darsi una manata sulla fronte, ma si toccò
l'occhio destro con il polpastrello del medio e gemette di dolore.
“Qualche
problema, Tylers?” domandò il biondo, non sentendo
risposte.
“Chi..
Chi è?” chiese il ragazzo, con l'occhio ancora chiuso.
“Bridgette.”
esalò Geoff.
Tyler
stava per dire qualcosa, ma in quel momento la batteria del suo
telefono decise che era arrivato il momento perfetto per scaricarsi e
lo abbandonò lì, con un bip d'avviso e il
cellulare, ormai spento, vicino all'orecchio.
Dannazione.
Quattro
e tredici.
Sebastian
non stava più nella pelle, a essere sinceri.
Era
passato tanto dall'ultima volta in cui lui e Noah avevano fatto una
cosa del genere, perché i loro genitori, pur avendo bene o
male accettato le loro scelte e sapendo il fatto che fossero una
coppia da più di un mese, sembravano voler evitare che i due
si scambiassero effusioni: ogni volta che si vedevano e in casa
c'erano anche gli adulti, tutte le scuse erano buone per introdursi,
più o meno rumorosamente, nella camera in cui i ragazzi
stavano studiando.
Non
li avevano mai beccati, ma solamente perché mentre i genitori
erano in casa Noah e Sebastian studiavano davvero.
Quella
volta, però, la madre ed il padre del biondo erano andati al
centro commerciale per fare spese e la quantità ingente di
tempo che ci impiegavano tutte le volte era ben nota al figlio.
Quattro
e quattordici.
Il
cuore del ragazzo batteva forte, nemmeno fosse un martello
pneumatico.
D'un
tratto, gli venne in mente il problema di Trent.
Pur
essendo entrato nel gruppo da una quarantina di giorni, aveva molto a
cuore i nuovi amici e, come dovrebbe essere in tutte le compagnie, un
problema di uno era un problema di tutti.
Prese
a pensare attentamente a cosa avrebbero potuto fare, ma ogni idea era
da scartare.
Un
giro al centro? Banale.
Prendere
parte ad un flash mob? Che ne sapesse, però, non ne erano
previsti.
Ad
un certo punto, ebbe l'illuminazione, prese il telefonino e digitò
rapidamente un messaggio per il moro.
A:
Trent :)
Una
gita in spiaggia?
La
risposta di Trent, però, arrivò in fretta e non fu
soddisfacente.
Da:
Trent :)
Fa
troppo freddo per restarci a dormire :(
Sebastian
gettò il cellulare sul divano, sbuffando. All'improvviso,
però, riafferrò velocemente il Blackberry e ricontrollò
il messaggino attentamente.
Sarebbero
rimasti a dormire fuori?
Oh
Dio, sì. Meraviglioso.
Quattro
e diciassette.
Oddio.
Dov'era
Noah?
Sebastian
stava per mandargli un messaggio in preda ad un raptus di paura,
temendo che non venisse più, quando sentì il citofono
suonare. Realizzò chi fosse e aprì all'istante, per poi
piantarsi davanti alla porta di casa, non vedendo l'ora di sentir
trillare il campanello.
Le
dita di Noah fecero appena in tempo a sfiorare il pulsante grigio che
la porta si spalancò e due braccia forti lo afferrarono per
poi sbattervelo. Il castano chiuse gli occhi, mentre Sebastian si
spalmava letteralmente sul suo corpo, avvicinandosi al suo collo.
E
poi... Oh.
Labbra
e denti.
Labbra
e denti ovunque.
Il
biondo gli stava baciando il collo in una maniera decisamente
deliziosa, soffermandosi sulla giugulare e mandando brividi in tutto
il suo esile corpo.
“Seb-ast
ba-ah-asta!” riuscì a mormorare sommessamente, ottenendo
solamente un no sussurrato contro la sua pelle olivastra.
“No-ohn
so se-eh è il ca-ah-so!” continuò a boccheggiare.
“Lo
è. Ed ora zitto.” replicò a mezza voce il
compagno, per poi tornare all'assalto del collo di Noah. Si fermò
a quattro dita sotto l'orecchio destro, sapendo bene quando quel
punto facesse impazzire l'altro, e cominciò a succhiare con
veemenza.
Questa
volta, il castano non tentò di reprimere il gemito che gli
sfuggì dalle labbra e, facendosi attraversare dall'ennesimo
brivido di piacere che gli scese per tutta la spina dorsale, portò
le dita affusolate fra i ricci del biondo, prendendo a tirare alcune
ciocche.
Sebastian
si staccò solo quando fu certo che il segno sarebbe rimasto (a
come poter giustificare un segno rosso così evidente avrebbero
pensato dopo), poi alzò la testa e andò a posare le
labbra su quelle di Noah. Il bacio, però, non rimase casto
nemmeno per un istante, dato che quest'ultimo affondò senza
ritegno la lingua nella bocca dell'altro e - oh - forse di lingua ce
n'era veramente troppa, ma a nessuno dei due sembrava importare.
Noah
passò ad aprire i primi bottoni della camicia del ragazzo,
spostando le labbra dalla sua bocca alla clavicola di Sebastian.
Morse senza troppa gentilezza la sua porzione di pelle fra il collo e
la spalla, mandando in estasi il compagno, che nel mentre aveva
spostato le mani dalle scapole al fondoschiena dell'altro,
avvicinandolo a sé ancora di più di quanto già
non fosse.
Continuò
a mordicchiare quel punto, facendo gemere l'altro.
“Qua-ah-lsiasi
cosa suc-succeda – ah! – Tu non – oddio –
smettere!” lo implorò.
“Divano.”
esalò il castano in tutta risposta.
Senza
staccarsi, si diressero verso di questo, un divano rivestito in pelle
verde chiaro, quasi della stessa tonalità degli occhi di
Sebastian. Non della stessa, però, perché - Noah ne era
convinto - nemmeno la natura sarebbe mai stata capace di replicarla,
figuriamoci un tintore di pelli per divani. Per favore.
Il
ragazzo montò a cavalcioni del biondo, continuando il
delizioso lavoretto che gli stava facendo alla clavicola pochi
secondi prima.
Oh,
sì.
Il
pomeriggio sarebbe stato proficuo.
“E
quindi lei gli ha tirato un ceffone nel bel mezzo del negozio!”
“No,
non mi dire!”
“Sì,
accidenti! Lui l'aveva guardata con il vestito che lei si era provata
per il ballo e le aveva detto che la faceva incredibilmente grassa,
così lei si è arrabbiata e gli ha tirato lo schiaffo!”
Alle
sette e mezza di sera, Lindsay, con gli occhi che le brillavano per
il coinvolgimento che riusciva ad avere ogni volta che rivelava un
pettegolezzo a Zoey, trillava nel telefono da più di un quarto
d'ora.
“Ma
ti prego, dov'è finita la cavalleria?” chiese, con tono
retorico, la rossa.
“Non
lo so! Ti giuro, ero lì con Taylor, mi aveva accompagnato per
scegliere un vestito... Ho visto tutto! Avresti dovuto vedere la
faccia di Dylan, quando Christine gli ha dato lo schiaffo!”
Zoey
sospirò, stando ben attenta a non farsi sentire dalla bionda.
Erano anni che sbagliava i nomi di tutti, ma non riusciva a
farci l'abitudine.
“E
poi? Insomma, Duncan che ha fatto? Si è scusato con Courtney?”
chiese, curiosa.
“Beh,
ha guardato Christine e le ha chiesto scusa, ma si vedeva che era
tutto finto. In realtà, me l'ha detto Greta - che ci ha
parlato una volta, te l'ha mai detto? -, lui non la sopporta più!”
trillò di nuovo Lindsay.
“E
come dargli torto?” replicò la rossa. (Gwen aveva
parlato con Duncan? Avrebbe dovuto farle un bel discorsetto.)
“Non
dire cose cattive, Zò!” la rimproverò la ragazza.
“A parte questo... Non è che ti è venuta un'idea
per Sabato? Grant è disperato - me l'ha detto sempre Greta.”
“Veramente
nulla. Mi dispiace, ma qui il mio cervello è nella situazione
zero carbonella. Non so che dirti.” rispose l'altra.
Evitò
di raccontare alla bionda dell'idea geniale che le era venuta
qualche ora prima, vista la risposta di Trent (Da: Trent *^*: Stai
scherzando, tesoro? Insomma, credi davvero che Brick si divertirebbe,
se lo portassimo ad uno schiuma-party?).
Sentì
poi la madre chiamarla dalla cucina perché l'aiutasse ad
apparecchiare la tavola per la cena.
“Ehi,
Lind, mamma mi chiama. Ci vediamo domani a scuola!”
“Va
bene, tesoro. A domani.” rispose Lindsay.
Brick
si abbandonò sul letto dopo aver finito i compiti di storia.
Erano
le dieci e mezza, la giornata era stata davvero pesante e il suo
corpo reclamava una buona dose di sonno.
Mandò
un messaggio a Trent, prima di addormentarsi.
A:
Treeeent
Visto?
Non mi sono ucciso. Confido in sabato ;)
Cadde
vittima di Morfeo troppo presto, però, perché leggesse
la risposta del moro.
Da:
Treeeent
Ok,
Bricks. Riposati e... Uhm. Ci vediamo domani a scuola.
Fortuna
che il venerdì era il giorno meno impegnativo della settimana.
Note
dell'Autrice.
Fortuna che mi ero
detta di contenermi .-. Non ho mai scritto una cosa così
lunga.
Dunque...
Sinceramente non so come definire questa storia. Era nata come una
One Shot un po' lunghetta e piena di comicità, poi è
diventata un tre capitoli
più epilogo. E
poi in questo capitolo di comicità non è che ce ne sia
molta. C'è tanto, tanto, tanto ormone,
ma questo è colpa di Noah e Sebastian.
Oh,
ecco, parliamo un attimo di loro due. Mi dispiace di aver reso OOC
Noah, ma per esigenze di trama (e di perversione, ma who
cares?) l'ho dovuto
fare.
Mi auguro che, invece,
Sebastian vi sia piaciuto. È liberamente ispirato a chi-so-io,
a cui mando tanti cuori ♥ ♥ ♥.
Diciamo che sono innamoratissima dell'idea che Noah sia gay, quindi
gli ho creato il suo prince charming ad hoc *^*
Avevo intenzione di
fare solo un piccolo divagamento su di lui e sulla sua storia con
Noah, ma in pratica la cosa si è scritta da sola.
Dio, la mia prolissità
non mi porterà lontano D:
Aggiornerò la
storia una volta a settimana (ogni Lunedì).
Breve momento
chiarificazioni: no, non è assolutamente un caso che Sebastian
si chiami come quel figo di Glee. Come non è per niente un
caso che il professore di trigonometria faccia di cognome come Blaine
e sia identico a Kurt. My Klaine feelings ♥
Ed ora arriva la nota
dolente.
Non vi sto obbligando,
non sia mai!, ma vi vorrei chiedere un parere, una recensione.
Credo
molto in questa storia, in quanto... Non so spiegarlo bene, ma
diciamo che mi è piaciuto così
tanto scriverla che mi
dispiacerebbe se rimanesse abbandonata.
[Oh,
nel caso ve lo steste chiedendo: se state seguendo Ti
Ritroverò e vi
siete preoccupati perché sono sei/sette Mercoledì che
non aggiorno, sappiate che sono in fase di blocco scrittrice. Ho un
capitolo abbozzato, ma non mi piace, quindi devo farmi venire qualche
bella idea. In ogni caso, aggiornerò, prima o poi. Forse più
poi che prima xD]
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