3. Ultimatum
Capitolo III
Ultimatum
-Come?-
Era almeno
mezz’ora che Jason blaterava dell’imminente partita di football che, a ben
vedere, tanto imminente non era non essendo neppure incominciata la stagione.
-Sammy, non
mi stai ascoltando. Ti ho detto che Mark dovrebbe essere confermato come
quarterback mentre George, a Dio piacendo, sarà finalmente il nostro running
back al posto di quel pallone gonfiato di Guillermo.
-Nostra?
Devo forse ricordarti che tu non giochi a football? E poi tu ce l’hai con
Guillermo per quella storia di Martha. Sai che è un bravo ragazzo e un bravo
giocatore.
-Bravo un
cavolo! Gioca da schifo ed è sleale sia sul campo che nella vita! Mi ha fregato
la ragazza!
-Ti piaceva
e basta, non stavate mica insieme!- precisò Samantha roteando gli occhi al
soffitto.
-Sì, ma lui
lo sapeva. E si è fatto avanti ugualmente!
-Jason!
Santo cielo, tu stavi lì a contemplare Martha da lontano e quando lei si
avvicinava a te sembravi la persona più insofferente della terra. Evidentemente
hai mandato il messaggio sbagliato…
-Ero
insofferente perché avrei voluto saltarle addosso e, giusto perché sei la mia
sorellina, non ti dico come proseguivano le mie fantasie.
Ce ne
volesse il Cielo. L’ultima cosa che Samantha voleva sapere di suo fratello
erano i suoi sogni erotici.
-Beh,
ribadisco, devi aver sbagliato espressione.
-Sbagliare
espressione deve essere una cosa che hanno in comune i membri di questa
famiglia. Sai, stamattina invece di “ciao” credo mi sia scappato fuori qualcosa
come “cosa?” quando Ryan mi ha detto che
ti sei portata due tizi a casa. A dormire
a casa. –era più che chiaro che volesse lasciar intendere che loro tre, invece
di dormire, dovevano aver fatto tutt’altro -Evidentemente anche lui deve essersi
espresso male, perché tu non faresti mai una cosa del genere, vero Sam?
Dire che era
arrossita era un eufemismo. Sapeva di non essere tanto brava come attrice da
negare ed essere convincente, tanto più che suo fratello sapeva già la verità
da Ryan. Però confermare avrebbe significato ufficializzare la cosa e in meno
di due ore avrebbe ricevuto una chiamata da sua madre avida di notizie e gossip
e una da sua sorella Amanda piena di astio.
-Forse.
Forse poteva starci. Con un po’ di
fantasia poteva anche sembrarle la risposta migliore del mondo.
-Sam, per
favore. Lo so che San Diego è nuova e bellissima e tutta da scoprire, per te,
però ricordati che sei tu. Sei mia sorella, la sfigata che arrossisce per un
nonnulla, che non sa approcciarsi ai ragazzi e che è imbranata. Sei quella che
passa ore a contemplare il niente persa nei propri pensieri, che sbatte ovunque
e rovescia sempre l’acqua a tavola, sei la Miss Perfettina più innocente che
conosca.
Oh, Jason.
Se solo sapessi che pensieri ho su Ryan cambieresti idea su di me. Se sapessi
che sogno le sue mani sul mio corpo e il suo respiro tra le mie cosce cosa
diresti? Come mi guarderesti?
-Sam! Ma
allora oggi non è giornata!
Con un certo
disappunto notò che l’aveva fatto di nuovo, si era persa nei propri pensieri.
Avrebbe
potuto vincere una medaglia come peggior sorella, ne era quasi certa. Se fosse
stato per Amanda, sarebbe stata la campionessa in carica già da tempo.
-Lascia
stare, dai. Evidentemente hai del sonno arretrato ed è meglio che vai a
dormire. Non preoccuparti, in caso mi scuso io con mamma perché non vieni.
Magari però le dico che covi un raffreddore invece che la notte fai troppa
baldoria e il giorno dopo dormi in piedi.
-Mamma? Che
dici a mamma? Quando?- Perché diavolo ora suo fratello doveva spifferare tutto
a loro madre? Già era abbastanza imbarazzante che Ryan non avesse tenuto la
bocca chiusa e avesse raccontato la sua versione dei fatti, decisamente
ritoccata, a Jason; se poi fosse intervenuta anche sua mamma aveva più
possibilità Mozart di resuscitare che lei di vivere in pace.
-Vedi che io
ho sempre ragione? Non mi ascolti mai! Stasera, e presta attenzione perché
questa è l’ultima volta che te lo ripeto, mamma ci ha invitato a cena per
festeggiare non so bene cosa con Patrick.
Ecco come
peggiorare una giornata. Una cena da Theresa, ovvero la loro madre, significava
una cena con Amanda e con Patrick, il loro patrigno che stravedeva per la
maggiore delle due sorelle e si divertiva un mondo a rendere ridicola davanti a
tutti Sam.
Aveva
guidato tesa, chiedendosi costantemente il perché di quella cena e ora aveva il
collo tutto dolorante.
Alla radio
avevano passato ben undici volte la nuova canzone di Rihanna e lei si era
ritrovata, tutte le undici volte, a canticchiarla nel tentativo di
distrarsi e di non mettersi a contare i
minuti che mancavano per tornare a casa sua.
A San Diego.
Monterey, la
città dove era nata e cresciuta, era
stato il porto sicuro dove rifugiarsi per anni e anni dal resto dell’assolata
California, piena di pini e abeti, di montagne e di vento, con la nebbia che
scendeva molte ore prima del tramonto e avvolgeva tutto creando quella
singolare sensazione di ‘ovattato’ che tanto aveva amato durante il periodo del
liceo.
Non aveva
conosciuto altro del suo Stato se non qualche stereotipo che le era rimasto
impresso guardando una serie televisiva di moda anni prima ambientata nell’Orange
Country che, aveva scoperto con amarezza, non avrebbe potuto essere più lontana
dalla realtà.
La jeep di
suo fratello era parcheggiata dall’altro lato della strada, mentre l’Audi di
Amanda, posteggiata nel vialetto davanti casa, la sfidava a scendere o a
rimanere seduta nel veicolo fermo a pensare quanto avrebbe rimpianto, nel corso
della serata, l’aver deciso di prendere parte alla cena della loro madre.
Non appena
aprì lo sportello dell’auto infilò la scarpa di tela in una delle pozzanghere
che tappezzavano il quartiere e, molto probabilmente, tutta Monterey.
-Merda!-
imprecò furibonda.
Non bastava
dover rivedere Patrick e sentire le chiacchiere sconclusionate di sua madre,
aveva anche messo il piede in una pozza d’acqua. Non era già abbastanza dover
cenare con Amanda?
-Stupida
cena, stupida pozzanghera e stupido cane!-
Domino, il
cocker di suo fratello, era iperattivo proprio come lui e già le stava saltando
addosso col rischio di sbilanciarla e farla finire con le gambe all’aria.
-Benvenuta
tesoro!- furono le prime parole che sua madre le rivolse prima di stritolarla
in un abbraccio mozzafiato.
La colpì il
fatto che il suo profumo le causasse una contrazione allo stomaco e la
sensazione di benessere che provò stretta tra le braccia materne.
L’aria
profumava di pizza Hawaiana e di chilli, la televisione cicaleggiava come
sottofondo e uno dei due grassi e pelosi gatti di sua madre le si stava
strusciando addosso lasciandole un’infinità di peli chiari sui suoi jeans neri.
Si sorprese
di quanto tutto quello le desse l’idea di casa e non le provocasse un senso di
inadeguatezza e di soffocamento come quando aveva deciso di partire per San
Diego.
-Sam. A
quanto pare sei ancora viva. Mi stupisce, dal momento che di solito non ne fai
una giusta.
Amanda.
Ecco, non era sicura che le mancasse anche quell’aspetto di essere a casa.
-Sì, beh,
intendo restarci ancora per un po’. Sempre che la cosa non ti arrechi troppo
disturbo.
-Samantha!-
Eccolo lì, il paladino della giustizia. Il cavaliere mascherato in sella a un
cavallo nero che accorreva per difendere la povera piccola orfanella
maltrattata dalla regina cattiva.
-Ciao Patrick.
Come stai? Vado a vedere se in cucina mamma ha bisogno di una mano- e sparì
prima di lasciargli il tempo di rispondere.
-Mamma è al
telefono- l’avvisò Jason rispondendo alla sua muta domanda e mettendosi in
bocca un intero pezzo di brownie.
Samantha l’ignorò
e si rifugiò nel regno di sua madre ma la pace durò per poco: il tempo di essere
seguita da Amanda e di lanciare una preghiera silenziosa al Signore.
-E così,
adesso ti sei data alla bella vita. Ma non ti senti in colpa a prendere in giro
quel povero ragazzo? Oh, a proposito, hai controllato se ha una fidanzata che
prima puoi farti amica per poi farti lui? Se non ricordo male sei brava a colpire
gli altri alle spalle quando meno se lo aspettano…
Se anche
avesse avuto la prontezza di formulare una risposta, dote che non aveva,
l’entrata di sua madre gliela avrebbe sicuramente troncata sul nascere.
-Tesoro,
vedi di comportarti a modo stasera. Pat ha ricevuto un’importante promozione e
non vorrei che ci fosse la solita aria tesa tra te e tua sorella. Oh, guarda
qua, Jason ha fatto già fuori metà teglia dei miei brownies!- si lamentò
cambiando discorso come se niente fosse.
E forse, si
disse, poteva farlo. Per una sera poteva fingere, per il bene di sua madre, di
avere una grande famiglia felice. Solo per una sera.
Il tempo a
cena passò più rapidamente del previsto.
E se non
fosse stato per le occhiatacce di sua sorella e le allusioni che le aveva fatto
e che Samantha si era sforzata di lasciar cadere, avrebbe potuto essere quasi
piacevole.
Quando
chiuse lo sportello della macchina e ripartì per San Diego, tuttavia non poté
fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
Ce ne
sarebbe stata un’altra di cena come quella, ma non prima di un mese.
Trenta lunghissimi giorni tra lei e sua sorella.
Quattro settimane prima di doversi sforzare a fingere di non capire insulti
nemmeno troppo velati e di non notare l’astio nella voce di Amanda.
-Ciao
Tappetta.
Seduto per
terra, davanti alla porta di casa sua, c’era Ryan DeRio, i capelli scompigliati
e lo sguardo esaltato. Conosceva quella scintilla, da piccola l’aveva anche
Amanda quando faceva qualcosa che riteneva assolutamente mozzafiato. Come uscire
con il suo ragazzo o fare un’incursione notturna in cucina per sgraffignare
biscotti dalla credenza e gelato al cioccolato.
Era lo
sguardo del felino che si prepara a sferrare il suo attacco, pregustandosi la
vittoria che segue dopo aver giocato con la preda.
-Jason non
c’è. Eravamo a cena da mia madre e Patrick, dovrebbe arrivare fra poco. Sempre
se non si ferma da Bailey…
Le stava
simpatica Bailey. Le era piaciuta fin da subito e le dispiaceva che suo
fratello si stesse comportando come il perfetto idiota che era con lei. Le
dispiaceva che la prendesse in giro ma soprattutto che lei si lasciasse
prendere in giro.
-Tappetta,
lo so. È il mio migliore amico.
Tappetta. Ce
l’aveva soprannominata quando era ancora una bambina bassa rispetto alla media
e talmente magra che dimostrava meno anni di quanti ne avesse in realtà. Era un
modo di prenderla in giro e lei non si era mai lamentata.
Andava bene
essere “Tappetta”: se non altro lui, con la sua altezza spropositata che
accanto a lei appariva già un gigante, lui l’aveva notata.
Cosa avrebbe
dovuto dirgli? “Ok”? “Allora buonanotte”?
Rimase in
silenzio, a guardare quel viso che tante volte aveva accarezzato nei suoi
sogni, immaginando di passare nuovamente la mano tra i suoi capelli e sentirli
lisci e morbidi cedere alle sue volontà.
Come sarebbe
ceduta lei, volentieri, si sarebbe piegata a quelle mani anche sull’uscio del
portone di casa sua, accasciandosi come un vestito vecchio, dismesso e pronto
per essere cambiato.
Ryan si era
alzato e lei non faceva che fissare i pettorali che si notavano al di sotto
della maglia bianca vecchiotta e un po’ lisa che indossava rendendolo
assolutamente irresistibile.
Quanto sarebbe stato sconveniente
proporgli un gioco di ruolo? Magari dove lui era un muratore infortunato sul
lavoro e lei l’infermierina tutta panna e miele.
Perché
diamine le veniva incontro? Non poteva starsene fermo e buono seduto a farsi
fissare? E perché le sorrideva in quel modo? Non sapeva che quello era un
“sorriso-da-sesso”? Perché saltargli addosso era l’unica cosa a cui Samantha
pensava mentre lui muoveva un passo dopo l’altro verso di lei.
-Sono venuto
solo per vedere se arrivavi a casa sana e salva, tutto qui. E se eri sconvolta
per aver cenato con quell’arpia di tua sorella.
Avrebbe
voluto ridere per la battuta ma non ci riuscì.
Tentò di
stendere le labbra in un sorriso ma le venne tirato tanto che vide riflesso
negli occhi di lui il dubbio di aver detto qualcosa di sbagliato.
Cavolo, non
era così che doveva andare…
-Io… sto
bene.- Poteva fare decisamente di meglio. –Grazie per essere passato.
Oh, ora sì
che avrebbe vinto un Oscar come peggiore attrice.
-Oh, non c’è
di che Samantha.
Samantha.
Era lei Samantha? Faceva un certo effetto sentirsi chiamare col suo vero nome
da Ryan.
Era talmente
vicino che, quando allungò una mano verso di lei, sussultò nel constatare che
poteva arrivare a sfiorarla.
Toccarla.
Toccarsi.
Il corpo di
lui che emetteva un richiamo che lei non sarebbe stata capace di ignorare
ancora a lungo. Era lui la sirena e lei lo sventurato marinaio ammaliato da
tanta bellezza.
Accarezzò
con le dita una ciocca di capelli, rigirandosela tra le mani mentre Samantha
pensava che non li avrebbe mai più lavati per conservare il ricordo del tocco
di lui su di sé.
-Beh,
buonanotte Tappetta. –si congedò, la voce roca di chi vuole saltare tutti i
preliminari perché non riesce più a resistere –Ci si vede in giro.
-Fammi
capire, ti ha davvero detto “ci si vede in giro”?
-Già.
Minnie
scosse la testa incredula.
Samantha
l’aveva chiamata appena era riuscita a riprendere a respirare in modo normale,
e lei era arrivata tutta trafelata con addosso una vecchia tuta e un
asciugamano sui capelli ancora bagnati per la doccia. E le scarpe col tacco,
sia mai dover incontrare il Principe Azzurro in un momento come quello e non
avere la fatidica scarpina con tacco da perdere.
-Mi stai
dicendo che un secondo prima stava flirtando in modo spudorato con te e un
secondo dopo ti ha mollato come si abbandonano i cani sull’autostrada quando
d’estate si va in vacanza?
-Io non la
metterei proprio così, ma sì, se ne è andato.
-Il ragazzo
mi sembra un po’ troppo sicuro di sé. Almeno sei stata tanto sfacciata da
rendergli difficile girare senza annunciare a tutti un’imbarazzante
alzabandiera?
Come no,
lei, l’antisesso per antonomasia.
Nelle sue
fantasie era più disinibita ma la cosa non valeva: nei suoi sogni aveva una
quarta di reggiseno, uno stacco di coscia non indifferente e una sensualità che
avrebbe mandato al tappeto Channing Tatum in qualsiasi film.
-Non dire
stronzate, Minnie. Io che faccio la provocante? Come minimo se gli ammiccassi
penserebbe che ho uno strano tic. Senza contare che arrossirei e mi sentirei
terribilmente in imbarazzo.
-Perché?
Perché lui è il fantastico, unico, magnifico Ryan DeRio, vostra illustrissima
maestà, divinità scesa in terra per tentare noi comuni mortali? Andiamo, Sam.
Non ti ha mai degnato di uno sguardo e ora improvvisamente si mette a flirtare
con te?
-Non è che
in questi anni mi abbia proprio ignorato- puntualizzò risentita. Va bene,
sapeva di non essere tutta questa bellezza, era consapevole che non l’avrebbero
mai incoronata come Miss Mondo, ma da lì a sentirsi una cacca, no. –Mi
salutava. E da quando mi sono trasferita a San Diego ci vediamo più spesso.
Viene anche a casa mia a volte…
-Sì, a cercare
tuo fratello o a farsi una piacevole chiacchierata con una come te.
-Non so se
dovrei offendermi o no. Mi stai dando della buffona o semplicemente della
demente?
-Entrambe!
Andiamo, non voglio essere brutale, ma perché ora d’improvviso si interessa a
te? Santo cielo, non oscilli su due trampoli da fenicottero né sgambetti come
Marilyn Monroe né sei una maggiorata.
Alla faccia
della brutalità. Poteva dirle che la riteneva una complete cessa già che c’era…
-Ho capito,
sono stata una cretina. Scusa tanto se ho interrotto la tua doccia, la prossima
volta lo metterò in riga da sola senza mostrarmi patetica di fronte alla mia
migliore amica.
Minnie
sospirò e la guardò rassegnata. –Sai bene che non lo rimetterai in riga ma che
aspetterai un’ipotetica prossima volta come questa neanche fosse Natale. E sai
anche che non mi scoccia essere qui, altrimenti avrei trovato una scusa per non
venire. Vorrei solo che non ti facessi illusioni, magari era un po’ sbronzo o
magari aveva voglia di svagarsi un po’.
-So riconoscere
un ubriaco quando lo vedo e so anche che lui non è tipo da certi giochetti.
-E come lo
sai? In base a quale esperienza? Le relazioni, che siano di amicizia o amore,
si costruiscono ogni giorno. Che ne sai tu di lui? Lo conosci solo nei tuoi
sogni, non sai neppure qual è il suo colore preferito, se ha un rito prima di
andare a letto, come prende la pizza quando è con gli amici. Hai costruito il
ragazzo perfetto che però, mi spiace dirtelo, esiste solo nella tua testa. Esci
dal sogno e vivi la vita vera, fatta di delusioni cocenti, di amarezza, di
pianti e di dolore. Di abbandono. Però sotto a tutta questa montagna di dolore
c’è la bellezza della scoperta, dell’amore, della speranza, della condivisione.
C’è la crescita che si fa ogni giorno con la persona che speriamo essere quella
giusta. Per un film, per una vacanza, per l’estate o per la vita. Esci dal tuo
guscio, Samantha, e cerca un Ryan DeRio per il quale valga la pena svegliarsi
la mattina e affrontare lo schifo di un nuovo giorno solo per poterlo fare assieme
con lui.
Aspettò che
la sua amica comprendesse appieno il messaggio che aveva voluto darle e quando
la vide annuire si lasciò sfuggire un sospiro.
-Quattro
formaggi. Quando è con gli amici prende sempre la quattro formaggi. E io so
riconoscere un ubriaco.- si sentì rispondere.
Incredibile,
lei per una volta aveva tentato di fare la seria e tutto quello che Samantha
aveva fatto era fingere di ascoltarla per perdersi, come sempre, nei propri
pensieri.
-Mi prendi
in giro? Ti sto parlando a cuore aperto e tu mi prendi per il culo?
Samantha
sbatté gli occhi, confusa. Perché mai Minnie avrebbe dovuto pensare una cosa
del genere? Perché sapeva come Ryan prendeva la pizza quando si svagava col suo
gruppo?
-No. Certo
che no.
-Sam, in
tutta onestà, se fino a poco fa non lo pensavo, ora ho la certezza che sei una
completa idiota. Non puoi farti un filmino mentale solo perché il re dei
cretini è venuto a casa tua, ti ha ammiccato e ha giocherellato con una ciocca
dei tuoi capelli. Santo cielo, non è che ti ha fatto una proposta di
matrimonio!- sbottò. Poi, come ripensando alle sue stesse parole, aggiunse –Per
fortuna…
-Hai
ragione. Julia riderebbe di me. E se fosse capitato a un’altra anche io sarei
qui a riderci su. È stato solo un... –esitò cercando le parole.
-Momento?-
le suggerì Minnie.
-Sì, un
momento. Una cosa…-
-Isolata?-
Di nuovo,
Samantha sorrise all’amica che le suggeriva come completare le frasi. Tra loro
era sempre stato così: Sam tentennava un po’ troppo e l’impulsiva Minnie correva
in suo soccorso, impaziente come sempre.
-Isolata.
Sì, probabilmente è stata una cosa isolata.
-Quasi
sicuramente, Sam. Guarda in faccia la realtà: quante possibilità ci sono che
Ryan DeRio domani si presenti alla tua porta con un mazzo di rose rosse e ti
chieda in ginocchio di essere la sua dolce metà finché morte non vi separi?
Che, nel suo caso, potrebbe arrivare per mezzo di uno squalo o di tuo fratello,
non so quale delle due mi convince di più. Dovrei scommetterci su con Julia…
-Non
provarci neanche! Guai a te se ti azzardi a dire qualcosa a quella… a quella…
Minnie!
-Hmm,
bionda?
-Già, a
quella bionda che ha un forno al posto della bocca! Guai a te!
Minnie
sorrise delle minacce dell’amica, pensando che nessuno sano di mente avrebbe
raccontato alcunché della propria vita privata a Julia.
Ovviamente,
sia lei che Sam, ci avevano sbattuto ripetutamente la testa, ritrovandosi al
centro di pettegolezzi riguardo alla loro vita privata che avevano avuto la
malaugurata idea di condividere con l’amica bionda.
-Il Cielo ce
ne scampi. Di sicuro non voglio essere di nuovo al centro dell’uragano come
tutte le volte che parte un pettegolezzo da Julia, stai tranquilla Sam, terrò
la bocca chiusa.
Come no, una garanzia sulla vita, pensò Samantha.
-Beh, penso
che adesso che abbiamo chiarito me ne tornerò a casa ad asciugare i capelli
prima di prendermi una polmonite. O, prima che mi prendano una brutta piega,
dal momento che è più probabile la seconda ipotesi della prima, visto che siamo
in California e viviamo praticamente sull’Oceano. Ci si vede in giro, baby!
-Fai poco la
spiritosa, che non sei affatto simpatica!
Le urlò
Samantha mentre Minnie era già sparita, chiudendosi la porta dell’appartamento
dell’amica alle spalle non prima di averle fatto una linguaccia.
Il suono del campanello l’aveva
svegliata e lei era corsa alla porta aprendola senza neppure chiedere chi
fosse.
Sulla porta, un mazzo di rose rosse
in mano, c’era Ryan, bello come sempre, elegante anche con i suoi jeans
scoloriti, le infradito e una semplice maglia blu.
Se ne stava in ginocchio in
trepidante attesa, e appena lei spalancò l’uscio si aprì in uno dei sorrisi più
belli che Samantha avesse mai visto.
Scattò in piedi e, cingendole la vita
con un braccio e posando le rose sulla poltrona preferita di suo fratello
Jason, la spinse nuovamente dentro.
Samantha si rese conto di cosa indossava
quando lui iniziò a tirare verso l’alto l’elegante camicetta da notte che sua
madre le aveva regalato il Natale precedente, scoprendole le cosce e rivelando
un paio di mutandine che non ricordava neppure di aver comperato: le aveva
viste in vetrina con Minnie non molti giorni prima ed era arrossita al solo
pensiero di indossarle per qualcuno che, nella sua mente, aveva il viso di
Ryan.
Cercò con le labbra la bocca di lui
e, quando la trovò, le sembrò di poter tornare a respirare dopo una lunga,
lunghissima apnea.
La morbidezza del viso contrastava
con la durezza del suo desiderio che le premeva all’altezza dell’inguine e,
colta da un’audacia che avrebbe stentato a riconoscere come propria, infilò le
mani sotto la maglia di lui afferrandone i lembi e tirandoli verso l’alto,
obbligandolo a togliersi l’indumento mentre entrambi si muovevano in direzione
della camera di Samantha.
A petto nudo era una visione. Non che
non l’avesse mai visto prima senza maglietta, faceva surf e passava tutti i
giorni in spiaggia nelle vicinanze della quale, per un motivo o per l’altro,
Samantha si trovava sempre.
La sua bocca si era spostata dalle
labbra al collo e Samantha, quando iniziò a succhiare sulla giugulare, si
lasciò sfuggire un gemito.
Era normale sentire tutto quel
calore? Andare a fuoco così presto anche laggiù?
Mai si era sentita tanto bagnata e
mai si era sentita così poco a disagio col proprio corpo. Ryan era lì con lei
e, da come muoveva il bacino contro il suo facendole sentire il proprio
desiderio, la voleva in modo quasi disperato.
E lei voleva lui.
Altro che Bella ed Edward, altro che
Ana e Mr.Grey: erano loro, loro l’unione perfetta.
-Ryan…
-Dimmi che mi vuoi, dillo Sam.
-Sì- pregò sulle labbra sue labbra
mentre le sfiorava un seno con la mano. –Oh, ti supplico…
-Mi supplichi per cosa, Sam?
Se andava avanti con quella tortura
lei sarebbe impazzita. Però, a ben vedere, poteva far impazzire anche lui.
Scese con la mano fino al bordo dei
jeans e fece uscire il bottone dall’asola. Chissà che non l’avrebbe pregata
anche lui…
-Ti voglio, Ryan.
Chiuse gli occhi mentre lo sentiva
tremare di piacere contro la sua mano che lo aveva solo sfiorato. Era forse
questo il desiderio? Lussuria pura, il non poter resistere a niente?
L’arrendersi in modo incondizionato all’altro?
Le sue mutande erano diventate un
lago ma la cosa non parve dispiacere troppo a Ryan quando le scostò e si lasciò
sfuggire un gemito roco, più da animale che da persona.
Una scintille di passione attraversò
il suo sguardo e si scostò con uno scatto da lei, sfilandosi i pantaloni e i
boxer, rimanendo nudo davanti a lei.
Samantha deglutì, sentendo il proprio
respiro farsi sempre più rapido.
Lui era lì e voleva lei.
-Sam, non ce la faccio più- le
sussurrò lui mentre si sistemava tra le sue cosce.
Avrebbe voluto ricordargli di
prendere un condom, perché lei credeva fermamente nel sesso protetto. Avrebbe
voluto che almeno finisse di spogliarla e prolungare un altro po’ i preliminari
ma tutto quello che riuscì a sibilare fu –Nemmeno io.
Vide il sorriso di Ryan alle sue
parole e, un minuto prima di sentirlo dentro di sé, scoppiò il finimondo. Le
sveglie presero a suonare, scattarono gli allarmi, i telefoni iniziarono a
squillare e il sorriso di lui vacillò.
Alla fine,
il finimondo, altro non era che il campanello di casa sua.
Si era
addormentata sfinita e aveva sognato Ryan. Un sogno decisamente a luci rosse, constatò notando
che effettivamente aveva bisogno non solo di una bella doccia, ma anche di un
paio di mutande pulite.
-Minnie,
mannaggia a te e alle idee che mi metti in testa prima di andare a letto-
brontolò alzandosi e infilando un paio di pantaloni di una vecchia tuta sopra
alle semplici mutandine di cotone bianco che indossava. Altro che brasiliana
tutta pizzi come nel sogno…
Si guardò
allo specchio e fece una smorfia: carina non era carina, soprattutto tutta
spettinata e col viso accaldato per il sogno. Però il campanello continuava a
suonare e non c’era davvero tempo per mettersi sotto il getto caldo dell’acqua e
togliersi via le tracce del sogno peccaminoso che aveva stampate sul viso e tra
le cosce.
E poi,
perché avrebbe dovuto mettersi in tiro quando probabilmente era solo il postino
che le consegnava la posta?
Quando aprì
la porta per poco non ci rimase secca.
Alla fine
Minnie si era sbagliata: Ryan non si era presentato alla sua porta con un mazzo
di rose rosse chiedendole, in ginocchio, di essere la sua dolce metà fino alla
fine dei loro giorni, ma con una tavola da surf e il sorriso furbo di chi la sa
lunga.
-Allora,
Tappetta, ti va o no di fare un giro sulla mia tavola da surf?
Cielo, non
poteva uscirsene con una richiesta peggiore. Le parve che la sensazione di
bagnato tra le gambe aumentasse e che il viso le stesse
andando a fuoco.
Ryan la
guardava in attesa di una risposta e Samantha si sentì nelle orecchie il mantra
di Julia: “Carpe Diem. Ogni lasciata è
persa”.
Sperando di
non pentirsene troppo in fretta, annuì, e si richiuse la porta alle spalle
lasciando Ryan fuori ad aspettare che indossasse un costume.
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