All summer long

di ele_lele
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Miss Perfettina ***
Capitolo 2: *** 2. Black Out ***
Capitolo 3: *** Ultimatum ***



Capitolo 1
*** 1. Miss Perfettina ***


1. Miss Perfettina

Capitolo I

Miss Perfettina

 

 

 

Il campanello suonava, il telefono non le dava pace e, ovviamente, Samantha era sotto il getto bollente della doccia.
-Arrivo!- gridò a nessuno in particolare, chiudendo l’acqua e sbilanciandosi un poco oltre il bordo della vasca per tentare di afferrare l’accappatoio, attaccato, come sempre, sulla parte interna della porta del piccolo bagnetto.
Il campanello suonò di nuovo mentre cercava di allargare l’accappatoio fucsia di microfibra che le si era appiccicato addosso e si accorgeva, con enorme disappunto, di essersi dimenticata in camera le ciabattine.
Corse all’ingresso e fece scattare la serratura: la faccia tosta di suo fratello che si era dimenticato le chiavi si illuminò di un sorriso colpevole.
-Mi spiace Sam, ho scordato le chiavi di casa da Amanda. Sarah?- chiese guardandosi intorno e aggirando il tavolo della cucina per agguantare una manciata di cioccolatini ripieni al caramello dalla ciotola e metterseli direttamente in bocca.
Samantha represse a stento un’esclamazione disgustata, ma la sua espressione sincera più che eloquente fece ridere il fratello.
-Oh, andiamo Sam, non fare quella faccia. Allora Sarah non è in casa?-
-No- grugnì. Jason non avrebbe mollato la presa finché non avrebbe ottenuto quello che voleva.
Riaprì la bocca per dirle qualcosa ma, con almeno una decina di cioccolatini dentro, tutto quello che riuscì a fare fu biascicare qualcosa che Samantha non capì.
-Eh?- domandò scocciata. Perché agli altri capitavano fratelli bellissimi, super premurosi e muscolosi come neppure gli antichi Greci e a lei era toccato Jason? Non che lui fosse brutto, anzi! Con quegli occhi da cucciolo e l’aria giocherellona le ragazze capitolavano ai suoi piedi senza che facesse neppure il minimo sforzo… E con lei era sempre stato gentile, non l’aveva mai ignorata o trattata come una bambinetta capricciosa come faceva invece Amanda. In quanto a muscoli, si disse che probabilmente andava in giro con Ryan proprio per questo. Per compensare.
-Ho detto che io vado in spiaggia, mi vedo là con Ryan. E ti ho chiesto se volevi venire, ma evidentemente i tuoi due neuroni non hanno retto al pensiero di un certo biondo tutto muscoli che fa surf insieme al sottoscritto- la prese in giro bonariamente lui, ridendo di una cotta che lei aveva avuto per il suo migliore amico.
Stava per rispondergli a tono quando il telefono squillò e lei si precipitò a rispondere sotto lo sguardo divertito di suo fratello.
-Pronto? Ah, sei tu… no, nessuno, è che prima non ho fatto in tempo a rispondere e…- non terminò la frase e inarcò un sopracciglio -…stavo sotto la doccia, se me ne avessi dato il tempo e non avessi attaccato al quarto squillo…- vide Jason scuotere la testa: evidentemente doveva aver capito chi c’era all’altro capo del telefono. –Non essere sciocca, certo che l’ho inviato… Sì, l’ho detto alla mamma e se proprio vuoi saperlo ha detto che faccio bene!-
Fu il turno di Jason essere perplesso: che cosa approvava la mamma su Samantha? Era la classica ragazzina indecisa, troppo sognatrice per ottenere davvero quello che voleva e troppo rigida con se stessa per godersi la vita. Chi avrebbe mai approvato qualcosa su di lei?
-…Lascia stare, non ho bisogno che tu me lo ripeta per l’ennesima volta… -i toni si erano improvvisamente fatti acuti e l’atmosfera si era raggelata.
Jason smise persino di masticare i cioccolatini in bocca nell’intento di non perdersi neppure una parola.
 –Sì, lui è qui. Sì, te lo saluto. Ciao.-
Samantha lo guardò leggermente imbarazzata ma non mancò di scoccargli uno sguardo furente. –Amanda- sputò tra i denti, come se quel nome le causasse disgusto anche solo a pronunciarlo.
Jason annuì. Sapeva già che era lei ancor prima della conferma di Samantha.
Era ormai noto a tutto che tra le due sorelle non corresse buon sangue. Che lui ricordasse, da piccole erano indivisibili, poi crescendo, al liceo, dovevano aver avuto uno screzio di cui lui non era al corrente e il loro legame si era incrinato a tal punto che si vedevano solo se costrette, ovvero durante le festività e i pranzi di famiglia a cui la loro madre li obbligava a partecipare, e anche durante tali occasioni il loro rapporto era appena tollerabile: si ignoravano finché potevano, sedavano ai poli del tavolo, se una arrivava presto l’altra adduceva una scusa e arrivava trafelata un secondo prima di mangiare pur di stare assieme il minor tempo possibile.
-Sì, l’avevo intuito…- soffiò divertito mentre lei lo fulminava con gli occhi. –Che dice la cara sorellona?-
-Voleva sapere dov’eri-
-E…?-
-E niente, Jason. Voleva solo sapere dov’eri!- sbottò dandogli le spalle e andando in bagno per prendere un asciugamano rosa pesca da avvolgersi sui capelli bagnati a mo’ di turbante.
-Ciao! Ciao a te! Non trovo Jason, è per caso lì da te? Sì, è qui da me…-
La testa di Samantha spuntò dal bagno con un’espressione perplessa.
-Che stai facendo?- gli domandò dubbiosa, non molto sicura di voler conoscere la risposta. Suo fratello aveva il potere di farle scoppiare un terribile mal di testa con i suoi discorsi senza senso anche nei giorni in cui era perfettamente in forma.
-Contavo quanto ci vuole per chiedere a qualcuno, in modo civile, se sono o meno a casa sua e, a ben vedere, ti ci hai messo un po’ più di…- indugiò il tempo di guardarsi le mani: una era completamente aperta, l’altra aveva due dita piegate e le altre tre stese –otto secondi. Quindi deve averti chiesto qualcos’altro, no?-
Lui e la sua faccia di bronzo!
-Mi ha chiesto se avevo inviato il curriculum allo studio del dottor Sheridan e le ho detto di sì anche se lei non approva, al contrario di mamma, perché dice che quel posto ha pochi sbocchi professionali. Contento?-
-Ora sì. Beh, io vado. Se vedi Sarah salutamela!- e agguantò un’altra manciata di cioccolatini prima di avviarsi verso l’ingresso.
-Jason, Sarah ha già un ragazzo: Tim. Fa il cameriere in quel ristorante vicino al centro commerciale, l’hai anche incontrato, ricordi?-
-Certo che sì. Però non si sono mica sposati, no? E poi, anche in quel caso c’è sempre il divorzio…-
-O un marito geloso che te le dà di santa ragione…- terminò Samantha alzando gli occhi al soffitto.
-Può darsi. Ma solo se non corro abbastanza veloce- e sparì chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

Samantha scosse il capo. Jason era sempre il solito bambinone che, nonostante i ventidue anni suonati da un pezzo si ostinava a comportarsi come un liceale. Il contrario di Amanda, che si ergeva dall’alto dei suoi ventitre anni neanche fosse stata la regina d’Inghilterra. E poi c’era lei, Samantha, la piccola Sam, ventuno anni nella realtà anche se tutti gliene davano al massimo sedici, sia per il viso da bambina, sia per la fermezza con cui si atteneva alle regole. Ma se non sei una stanga di un metro e ottanta, con una quarta di seno e con degli splendidi occhioni celesti come era Amanda, ci sono delle regole da rispettare per non apparire ancora più scialba in confronto: andare a letto sempre alla stessa ora, non strafare con l’alcool come tutti quelli della sua età, mangiare cose sane e non fumare.
Praticamente fare l’eremita.
-Hey, Tappetta, tuo fratello?- una voce roca e baritonale le provocò un brivido e la riportò bruscamente alla realtà.
Sulla porta di casa sua, un fusto niente male la fissava con un sorriso divertito che gli tirava le labbra in modo sensuale.
Il tempo di un battito di ciglia, rendersi conto che conosceva il ragazzo in questione ed era già rossa come un peperone.
-Sam?- riprovò di nuovo lui.
Un conto era fingere che la cotta le fosse passata quando era con suo fratello che la sfotteva  e lui era lontano, un altro conto era dover prendere atto della realtà quando se lo trovava davanti, a torso nudo e con i pettorali scolpiti dal football e dal surf, le sue due passioni.
I capelli erano spettinati e lui, in un gesto che faceva anche suo fratello ma a lui non veniva certo così bene, ci passò in mezzo una mano, peggiorando la situazione.
Non solo dei capelli, ma anche quella di Samantha.
-Sam!-
-È venuto in spiaggia a cercare te. Dovevate vedervi lì, ha detto…-
Doveva riprendere fiato e soprattutto ricordarsi di respirare.
Se solo lui non avesse avuto quegli occhiali che Amanda diceva solo i burini portavano e che a lei invece sembravano tanto eccitanti…
Ryan DeRio, la sua prima vera cotta, annuiva distrattamente come colto da un pensiero che aveva finito col tenere per sé.
-Bene, Tappetta, allora vado. Meglio non far attendere i fratellone, eh?- e le strizzò un occhio in modo amichevole.
Un’amica. Ecco quello che lei era per il grande amore della sua vita.
Una dannata, maledetta, banalissima amica.
La sorellina imbranata del suo migliore amico. Ma poteva andarle peggio di così?!?

 

 

Si era messa al computer con l’intento di scrivere una relazione e ad aggiornare il proprio –infinito, come scherzava sua madre- curriculum vitae, anche se era finita per controllare un po’ troppo spesso la pagina di facebook e non aveva svolto neppure metà del lavoro che si era prefissata.
Quando la porta d’ingresso si aprì con poca grazia rivelando la presenza inopportuna di suo fratello Jason, erano le sette suonate.
-Alla fine non sei venuta in spiaggia.- si lagnò lui.
-Evidentemente…- Perché precisare una cosa tanto ovvia? Se non l’aveva vista in spiaggia c’era davvero bisogno di rimarcare che era rimasta a casa?
-Pensavo saresti venuta. Non hai mica detto di no-
-Perché sarei dovuta venire? Non ho mica detto di sì-
-Eccola che ricomincia... Sam, la vita non è fatta solo di regole. Pensavo saresti venuta perché è una bella giornata e magari ti saresti presa una giornata di svago invece di stare sempre lì a fare “Miss Perfettina”-
Miss Perfettina.
Come la chiamava Amanda.
Cercò di non fargli vedere quanto quelle parole avessero il potere di ferirla fino nel profondo, quanto ci stesse male a essere sempre l’asettica, distaccata, fredda, insopportabilmente pignola Miss Perfettina.
-Jason, viviamo a San Diego, in riva all’oceano. California, hai presente? Qui non fa mai davvero freddo, neppure d’inverno e abbiamo il sole trecentosessanta fottuti giorni all’anno, -era partita bene, fredda e distaccata, però poi si era fregata da sola con quella parolaccia: le diceva sempre quando si accalorava per qualcosa e suo fratello la conosceva troppo bene per non essersene accorto- con le eccezioni di Natale, Capodanno e, se siamo fortunati, altri tre giorni a caso. Se dovessi seguire la tua regola del non fare nulla perché c’è il sole sarei una nullafacente. Però non posso permettermelo, perché io –e sottolineò quell’ “io” con rabbia- non ho una sorella più grande che mi dà vitto e alloggio gratis e mi devo pagare l’affitto e la vita e non sbuffare, Jason, perché che tu ci creda o no, anche io ho una vita. E se darmi da fare mi rende Miss Perfettina, lascia che questa Miss Perfettina ti dica una cosa: fuori da casa mia, ora e subito, perché non ho intenzione di vedere ancora la tua faccia per stasera.-
Lui non se lo fece ripetere due volte, fece dietrofront, uscì dalla porta d’ingresso sbattendosela alle spalle, inforcò il vialetto e salì sulla sua jeep nera.
-I miei complimenti, Miss Perfettina- si disse Samantha guardandosi amaramente nello specchio del corridoio: gli occhi erano accesi di una collera che non le si confaceva, la coda da cavallo era sfatta e una bretellina della maglietta era calata sulla spalla. –Anche stavolta sei riuscita a interpretare alla perfezione il ruolo della stronza.-
Chissà se alla fine mi daranno un premio, si chiese, dirigendosi in cucina per scovare qualcosa di commestibile nel frigorifero.

 

 

Evidentemente non era destino.
Se lo ripeteva da quel fatidico giorno in cui i rapporti con Amanda, quando oltre che sua sorella era anche la sua migliore amica, erano andati sempre peggiorando.
Quando erano ancora piccoli, lei, Jason e Amanda, erano inseparabili: crescendo Jason si era avvicinato agli altri ragazzi, mentre lei e sua sorella si erano unite sempre più.
Amanda la vivace, Amanda l’anima delle feste, Amanda la star.
E poi c’era lei, la piccola Samantha, le efelidi sul naso, i capelli castani così diversi dal biondo Californiano di sua sorella, il seno piccolo e la testa sempre sui libri.
Per non dover incontrare lo sguardo ferito di sua sorella.
Samantha che si perdeva nei vestiti sempre troppo grandi, Samantha che si addormentava mentre gli altri la cercavano a nascondino, Samantha alla quale non pesava stare in silenzio anche se era un fiume in piena di parole, Samantha la sorellina piccola.
Samantha che viveva dell’ombra di sua sorella per paura delle luci della ribalta.
Gliel’avevano detto in molti di godersi i suoi ventuno anni, di rendere pan per focaccia alle occhiatacce di Amanda ma alla fine, vedendo che lei non cambiava mai, si erano stufati ed erano spariti a poco a poco dalla sua vita.
Gli inviti alle feste erano diminuiti e chi la invitava non si aspettava mai davvero che lei partecipasse.
“Stasera non posso, magari la prossima volta”, sorrideva, reclinando cortesemente l’invito.  Solo che non c’era mai una prossima volta: o erano gli altri ad allontanarsi da lei o era lei a mettere una distanza di sicurezza tra se stessa e il mondo.
Solo poche persone continuavano a girarle attorno, poche farfalle ubriache del suo profumo fresco come le sere d’estate e la brezza dell’oceano.
-Evidentemente non era destino- si lagnò nuovamente e agguantò un cleenex dalla scatola appoggiata sul divano.
-Stronzate.- Delicata come sempre, un vero fiore, Jasmine Wisteria, detta affettuosamente ‘Minnie’, le diede un colpetto affettuoso sulla spalla per comunicarle che, nonostante i modi e il linguaggio da scaricatore di porto, lei comunque c’era.
Sempre.
-Ti dico che non era destino, Minnie- ripeté nel fazzoletto già umido Samantha.
-E io ribadisco il mio concetto: tutte stronzate. Piantala di piangerti addosso, mica ti sei sposata il ruolo dell’ombra di tua sorella.-
-Non è solo quello, e lo sai…-
-Se stai frignando perché tuo fratello, per fare il bastardo, ti ha chiamato Miss Perfettina allora è ancora meglio: ti confermo io che non lo sei. Ora la puoi smettere che siamo in ritardo?-
Niente da fare, se c’era una cosa che Jasmine non conosceva era la parola “no”.
-Minnie, io non vengo a questa festa…-
-Adesso non fare la lagna! E poi “festa” è una parolona: è solo un ritrovo al parco sopra casa tua, tanto la musica la sentirai comunque anche da qui, perché fare l’orso e non venire? E poi così puoi controllare che non mi sbronzi come la volta scorsa e soccorrermi per bene senza dover correre in mio aiuto alle tre di mattina.-
Messa così non faceva una piega…
-Minnie…- tentò ancora con una nota di disperazione nella voce.
-Lo so, tesoro, certe volte mi sento così anche io.- E vedendo l’occhiata incredula che Samantha le lanciò, si affrettò a precisare –Quando non so mai che vestito mettere per i matrimoni. Per quanto io sia una persona decisa rimango sempre con il dubbio tra due abiti. Però poi la soluzione è semplice: basta indossarne uno e cambiarmi a metà serata!-

 

Se le avessero detto che avrebbe dovuto sopportare anche il silenzio ostinato di Minnie per tutto il tragitto da casa sua al parco, si sarebbe fatta una bella risata, avrebbe preso un plaid e si sarebbe accoccolata sul divano nero di pelle che si era comperata appena aveva fermato la casa e tanti saluti.
La sua amica era entusiasta dall’idea di andare al parco, lo vedeva da come camminava, ma si stava mordendo la lingua pur di farle pesare i suoi gusti in fatto d’abbigliamento.
-Sembri una turista Europea- borbottò per l’ennesima volta.
-Un paio di leggins non fanno mica Europea!-
-Sì se li indossi con una maglietta del genere e hai i capelli scuri.-
-Wisteria, a momenti anche gli anziani con i capelli bianchi hanno un colore di capelli più scuro dei Californiani!-
-Non chiamarmi così! Lo sai che i miei si erano bevuti completamente il cervello nel momento di darmi un nome. Chi è che chiamerebbe la propria figlia ‘Gelsomino’ e ‘Glicine’ solo perché sono le prime piantine che le sono state regalate dai parenti appena nata?- effettivamente non aveva poi tutti i torti. Samantha conosceva i coniugi Skinks abbastanza da sapere che con loro la parola sobrietà non sarebbe mai stata all’ordine del giorno –E riguardo ai capelli: dettagli. Senza contare che poi tu sei pure castana e bassetta rispetto alla media Americana, quindi puoi passare perfettamente per un’Europea-
-Ed è una cosa tremenda perché…?-
-Si rimorchiano le straniere se sono solari e disponibili- e le lanciò un’occhiata eloquente –e se hanno gambe chilometriche o due tette così- e mimò il gesto con le mani.
-Non sono certa di non dovermi sentire offesa-
-Sam, siamo oneste: sei venuta praticamente in tuta! A una festa alla quale avresti dovuto essere carina. Ora, capisco che vuoi dare l’idea della persona compita che prende sul serio il proprio lavoro, però così dai solo l’idea della bacchettona pure un po’ frigida-
-Ah-
-E ti sei messa una maglia talmente lenta che ci si perde la tua seconda di reggiseno. Senza contare le ciabattine da mare…-
-Non mi hai dato tempo di prepararmi- si scusò evitando lo sguardo dell’amica.
La musica cominciava ad essere alta e per farsi sentire fu costretta ad alzare notevolmente il volume della propria voce.
-Perché nell’armadio hai una marea di vestitini. Che li compri a fare se tanto non li metti mai?- le chiese Minnie allontanandosi per salutare degli amici che aveva intravisto nella calca di persone e fendendo la folla di ubriachi come se niente fosse.
Per lei erano tutti sconosciuti. Si era trasferita dal nord California, dove era nata e cresciuta e dove ancora viveva sua madre, a San Diego, dove già vivevano sua sorella Amanda e suo fratello Jason con la voglia di godersi il sole e l’oceano e di sentirsi finalmente libera.
In quattro mesi però non aveva fatto grandi amicizie, conosceva i ragazzi che negli anni precedenti le aveva presentato Jason e alcuni dei tanti amici di Minnie.
Nella massa però riconobbe, tra le tante chiome bionde, una particolarmente indisciplinata, capelli sparati da tutte le parti ancora freschi di doccia e che avevano sfidato la sabbia e la salsedine probabilmente per tutto il giorno.
Non vedeva il suo viso ma sapeva che, sotto la fronte ampia, c’era un naso dalle linee dure e che le ciglia degli occhi erano così lunghe che ogni volta sentiva la tentazione di sporgersi e prendergliele tra le labbra. Conosceva le pieghe di quella bocca che l’aveva fatta sospirare a lungo negli anni e avrebbe passato ore a carezzare le guance leggermente ruvide quando dimenticava di farsi la barba.
Ryan DeRio.
Parlava con una sventola bionda, con tanto di gambe da fenicottero e seno prosperoso e Samantha sentì una dolorosa stretta allo stomaco.
Madre Natura, appurato vari anni addietro con Minnie e Julia, un’altra loro amica, che era dell’Africa e se la faceva con tale Padre Albero, era stata piuttosto ingiusta.
La sventola in questione indossava un indumento che definire abito sarebbe stato eccessivo: copriva a mala pena le grazie della fanciulla ma questa, lungi dal risentirsene, approfittava di ogni occasione per scoprire le gambe toniche e spingere in fuori, con malcelata noncuranza, il petto generoso.
Risentì nella sua mente la domanda di Minnie: -Perché nell’armadio hai una marea di vestitini. Che li compri a fare se tanto non li metti mai?-
-Perché non si sa mai.- rispose a se stessa sottovoce.
D’altro canto, chi poteva sapere quando le sarebbero serviti? Meglio non farsi trovare impreparate…

 

 

-Allora, ti piace la musica?- Le chiese Jasmine.
E quattro. Se avesse dovuto mentire ancora a lungo alla sua amica, piuttosto alticcia e con l’ennesimo bicchiere di birra in mano, che continuava a farle a intervalli di tre minuti sempre la stessa domanda, Samantha si sarebbe volentieri messa le mani nei capelli e avrebbe gridato forte.
Annuì, giusto per fare qualcosa e la vide sorridere mentre riprendeva a muovere il capo in modo forsennato per stare a ritmo.
Come facesse a non rovesciarsi tutta la bibita addosso rimaneva un mistero.
La canzone finì ma ne iniziò un’altra talmente simile che Samantha si chiese se avessero cambiato solo le parole mantenendo la stessa base. Represse a stento uno sbadiglio e sbirciò l’orologio: l’una e mezza.
Per la miseria, ma a San Diego non c’erano regole da rispettare? Un orario in cui smettere di strimpellare a tutto volume e andare a dormire?
Aveva le gambe a pezzi, più per essere rimasta ferma come un palo mentre Minnie le ballava attorno che per essersi mossa.
Suo fratello non si era visto, o forse non l’aveva visto lei: d’altronde era una festa in un parco, con tanto di palco per i cantanti e la vasta distesa di erba fungeva da pista. E poi probabilmente se c’era suo fratello era a una distanza di sicurezza dal tavolo del cibo e delle bevande: la sicurezza di allungare un braccio e di riuscire a far rifornimento senza sprecare troppe energie.
-Allora, ti piace la musica?-
E cinque. Di quel passo avrebbe supplicato Minnie di tacere pur di non mentirle ancora. Per non sbilanciarsi, annuì nuovamente.
Uno spasso.
Evidentemente anche una tipetta con i capelli rossi e una gonna che Samantha avrebbe etichettato come ‘cintura’ la pensava come lei: uno spasso. Però lei ballava, o meglio si strusciava a Ryan e probabilmente questo dava punti alla serata e la rendeva non solo divertente, ma memorabile.
-Allora, ti piace la musica?- E sei.
-Uno spasso- si ritrovò a dire. Evidentemente Minnie approvava perché fu il suo turno di annuire, soddisfatta.
Sbirciò di nuovo l’orologio e sbuffò: le due.
Tornò ad alzare il capo e si rese conto che in realtà non guardava tutta la folla in modo omogeneo: fissava tanto intensamente il miglior amico di suo fratello strusciarsi con la tipa dai capelli rossi che non si sarebbe affatto sorpresa di vederla cadere a terra stecchita dalle occhiatacce che le stava inviando mentre quella, noncurante, le mostrava il didietro tentando di baciarsi Ryan.
Era talmente presa che neppure si accorse quando lui alzò lo sguardo e incrociò il suo con un sorriso divertito sulle labbra e l’espressione furba negli occhi.
-Merda!- sibilò girandosi verso Minnie e tentando una o due mosse col corpo. Pessima idea.
-Sembri un burattino a cui hanno appena tagliato i fili!- ecco, ci mancava giusto la sua migliore amica a darle il colpo di grazia. Anzi che non le aveva chiesto... -Allora, ti piace la musica?-
Ma non fece in tempo a risponderle: una mano abbronzata le si parò davanti assieme a un bicchiere di birra. Dal profumo sembrava…
-Birra all’arancia, la tua preferita!-
Per poco non si strozzò con la propria saliva.
Conosceva Ryan da quando era ancora una marmocchia, era il migliore amico di suo fratello e la trattava come se Amanda fosse stata una sorellina anche per lui: perché le faceva ancora quell’effetto?
-Grazie- accettò la birra di buon grado, continuando a fissarlo da sopra la schiumetta che usciva dal bicchiere di plastica.
L’aveva osservato per tutta la serata, eppure continuava a guardare rapita la maglia aderente leggermente bagnata di sudore che si tendeva sui bicipiti e lo accarezzava come una seconda pelle. Chissà come sarebbe stato passare i polpastrelli sui suoi pettorali dopo esserci stata a letto insieme…
la birra le andò di traverso e nel tentativo di non soffocare davanti a lui iniziò a tossire furiosamente. Lui rise scuotendo il capo e si avvicinò al suo orecchio.
-Che dici se ti riporto a casa?-
Poteva prenderla come una proposta indecente? Sarebbe stato troppo saltargli addosso in un parco durante una festa?
-Dammi il tempo di chiamare Sarah e tuo fratello e andiamo, eh?- e iniziò a cercare con lo sguardo dei volti tra la folla.
-No!- rispose Samantha, aggrappandosi con urgenza al suo braccio. Un conto era stare da sola con lui, un conto era trovarsi con lui e Jason. E quell’impicciona di Sarah.
-No, grazie. Sono con Minnie- lo liquidò sperando che lui insistesse per accompagnarla.
Invece si limitò a scrollare le spalle e a sorriderle –Come vuoi, Tappetta- e sparì nella massa di persone danzanti.
Samantha guardò sconsolata l’orologio: le due e mezza. Ma quando sarebbe finita?
Sentiva le tempie pulsarle e ogni tanto le immagini vorticavano su se stesse facendole perdere l’orientamento.
-Due minuti e andiamo- sibilò arrabbiata a Minnie.
Quella annuì ma poi, vedendo due ragazzi carini che le sorridevano avvicinandosi, si aprì in un sorriso tutto fossette.
E a Samantha venne voglia di piangere.

 

 

 

 

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Ebbene sì, sono davvero tornata su Efp!
Se sono qui è in parte merito di pepita, splendida persona nonché magnifica beta, e di Mimmi che ascolta sempre i miei deliri di parole con incredibile pazienza.
Infine, vorrei ringraziare C. che sa riempire i silenzi anche senza dire una parola.

Questa storia è nata durante un lunghissimo viaggio, nella calura estiva del deserto e tra infinite pianure.

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Capitolo 2
*** 2. Black Out ***


2. Black Out

Capitolo II

Black Out

 

 

 

Aprì un occhio, ma le palpebre erano talmente pesanti e il cerchio alla testa le causava una nausea talmente forte che era certa che sarebbe morta nell’impresa.

Tutta colpa di Minnie e delle sue strampalate idee. E sua, che aveva fatto l’accondiscendente senza puntare i piedi. Andiamo a una festa senza decidere un orario in cui tornare a casa? Certo che sì. Beviamo birra a stomaco vuoto? Ma naturalmente. Andiamo a dormire in un orario dimenticato da Dio e da tutte le anime pie?

Ovviamente.

-Buongiorno baby-

Più che rispondere, si limitò ad emettere un mugugno che avrebbe fatto esasperare Amanda. L’idea le sollevò un po’ l’umore e tentò nuovamente di aprire un occhio.

La prima cosa che realizzò era che non aveva la benché minima idea di dove accidenti si trovasse. La seconda, che c’era troppa luce nella stanza così tornò a strizzare le palpebre nel tentativo di non rimanere accecata.

Si mosse, a disagio, spostando con la gamba destra quello che doveva essere una coperta gettata sopra il suo corpo accaldato. Le notti, al contrario del giorno, potevano essere decisamente fredde in California.

-Vuoi un caffè, baby?- ripeté la voce.

Che Minnie si fosse bevuta il cervello? Lei era intollerante alla caffeina e, da un paio d’anni, intollerante a chi le chiedeva se voleva un caffè pur sapendo che non poteva berlo. Cos’è, voleva essere uccisa di prima mattina? Perché, considerando il mal di testa, la nausea e le occhiaie che sicuramente si sarebbe ritrovata, era sulla strada giusta per diventare martire.

Si mosse ancora, rigirandosi su un fianco e sentì il calore di un piede solleticarle il polpaccio.

Di male in peggio.

Una mano calda le si posò sul fianco destro risalendo lenta e lasciva verso la sua spalla per poi deviare, sorprendendola, verso il suo seno. Improvvisamente un campanello d’allarme le risuonò in testa e, aprendo gli occhi e rimanendo accecata dalla luce, si mise a sedere sul letto. Nella sua visuale c’erano poche cose: il solito tavolo rotondo sommerso dai libri e dalle scatole dei cereali mezze vuote che suo fratello aveva lasciato in giro e che lei si era rifiutata di mettere in ordine, la coperta azzurrina di pile e una gamba pelosa.

Ci mise meno di un secondo a rendersi conto che non poteva certo essere quella della sua amica, sia perché lei era una patita della ceretta e sia perché non aveva polpacci così scolpiti. Con uno scatto felino balzò in piedi e, nel tentativo di allontanarsi dal letto che ospitava un essere di sesso maschile sul quale non aveva ancora avuto il coraggio di puntare lo sguardo, inciampò nelle lenzuola a fiorellini e cadde sulla moquette.

 

Non avrebbe potuto andare peggio di così. Per non cadere come una pera cotta e farsi seriamente male appoggiò i gomiti e le ginocchia rimanendo con il bacino per aria.

-Bella visuale. È finalmente un invito?-

Decisamente non poteva essere Minnie!

Si fece coraggio e voltò il capo. Aveva uno sconosciuto nel letto. Uno sconosciuto! Ci mancavano solo i fenicotteri rosa nella piscina e i glitter per la stanza dato che sentiva pulsare le tempie come avesse un martello in testa.

Lo sconosciuto la guardò e giocò la carta di quello che per lui, evidentemente, equivaleva a uno sguardo provocante. Samantha spalancò la bocca senza sapere cosa dire per poi esclamare la cosa più ovvia.

-Non ti conosco.

-Oh, direi che dopo stanotte io conosco te.

Perfetto, aveva aspettato tutto quel tempo per andare a letto con un ragazzo e ora come una cretina era andata col primo che aveva deciso di aver voglia di fare sesso con una sconosciuta! Non che fosse vergine, ma la prima volta non poteva davvero valere ed essere catalogata sotto la voce “sesso”. Sarebbe stata un’ingiustizia.

Era anche una delle perle di saggezza della sua amica Julia: “Tutti hanno il sacrosanto diritto a un orgasmo”. Magari con un Ryan DeRio piuttosto che con un Andrew Wall, come era stato per le la prima e unica volta. Avrebbe volentieri sostituito il ragazzino sfigato con il belloccio palestrato.

-Baby, non fare quella faccia sgomenta. Non è mica successo niente di male, sono cose che capitano. A volte se ne sente la voglia e bisogna seguire l’istinto, non credi?-

Si ritrovò ad annuire quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare era sbattere quel pallone gonfiato fuori da casa sua. Poi, come rinvigorita, scosse il capo e lo guardò male.

-Come scusa?- stentava a credere alle sue orecchie. -Seguire l’istinto, dici? Bene, allora quella è la porta. Fuori dai piedi!

-È una cosa del tutto naturale, quasi fisiologica direi…- riprovò lui alzandosi dal letto con i soli boxer addosso. Samantha arrossì e chiuse gli occhi senza rendersene conto.

-…fisiologica…- si ritrovò a ripetere mentre sbirciava socchiudendo appena le ciglia.

-Ma sì, come svegliarsi nel mezzo della notte per bere o fare pipì…- continuò lui infilandosi dei bermuda pescati chissà dove.

-…pipì…- di quel passo l’avrebbe presa per una ritardata.

-…o per abbassare la tapparella per diminuire la luce che entra da fuori, rispondere al telefono che squilla, fare sesso per un’improvvisa voglia...-

-Sesso!- quasi urlò.

-Sesso- ripeté lui tranquillo e con un sorriso divertito sulle labbra. Poi, come colto da un’illuminazione, le chiese: -Samantha, esattamente quanto ricordi della serata passata insieme?-

 

 

 

 

Continuava a parlare raccontando di quanto si fossero divertiti, di come lei avesse improvvisato uno spogliarello dopo essersi scolata mezza bottiglia di vodka e di come lui fosse capitolato vedendola ballare in mezzo alla strada. Fu in quel momento, nell’istante esatto in cui Samantha credeva sarebbe scoppiata a piangere, che la porta della sua camera si aprì.

-Hey, allora sei qui. Credevo te ne fossi già andato.- Un ragazzo biondo, con addosso solo un telo da doccia, la guardò e le sorrise.

-E tu saresti?- chiese Sam in un sussurro al ragazzo che aveva aperto la porta facendo capolino nella sua camera da letto.

-Jeff. Non ti ricordi di me? Sei stata tu a dire che potevamo venire a casa tua-

-A quanto pare non si ricorda niente- intervenne, inaspettatamente, il ragazzo che aveva trovato nel suo letto appena sveglia.

Jeff inarcò un sopracciglio con fare dubbioso –Niente niente?- e vedendo che lei scuoteva la testa aggiunse –Peccato. Io mi sono divertito ieri sera- e uscì com’era entrato.

-Posso piangere?- domandò Sam con voce rotta. Evidentemente il ragazzo in bermuda non ci teneva particolarmente e le fu subito accanto tentando di consolarla.

-No! No, no, no. Hai un sorriso bellissimo e piangere non mi sembra una buona idea. Se vuoi ti vado a preparare un caffè così hai il tempo di calmarti- propose.

-Già, bel modo di scaricarsi la coscienza facendo un caffè. Senti, ti tolgo dall’impasse: io fingerò che la notte scorsa non ci sia mai stata, di non aver fatto sesso con due sconosciuti, e non sarà tutta questa fatica perché onestamente non ricordo nulla, e tu potrai andartene felice e contento.-

-Sesso? Credi che noi… Oddio, no! Cioè, magari! Lascia che ti spieghi, eh?- aggiunse vedendo lo sguardo truce della ragazza.

-Io sono Adrian- le porse la mano estremamente serio. Sam la strinse titubante mormorando –Samantha-.

-Lo so. Allora, non ti ricordi proprio niente di ieri notte?- tentò nuovamente Adrian.

-Black out- ammise.

-Fantastico. Beh, non sono mai stato un granché bravo nelle sintesi, però ci proverò. Niente menage a trois, inizio così almeno ti tranquillizzi.- Tranquillizzarsi? Per poco non si strozzava con l’aria! –Hai solo esagerato un po’ con la birra e poi la tua amica ha insistito per voler bere uno shot e tu hai voluto assaggiare il mio drink. Una decina di volte circa!- rise al ricordo, la mente persa in ricordi che lei non riusciva a evocare.

-A che gusto?- chiese senza pensarci.

-Melagrana- rispose prontamente lui, segno che non si stava inventando nulla.

Melagrana. Un sapore aspro, giovane, che si mescolava con quello avvolgente e caldo dell’alcol. Vodka e uno dei frutti della Terra Promessa. Il frutto della passione legato a ciò che toglieva ogni freno inibitore. Un mix esplosivo che tuttavia doveva essere molto…

-…Buono- concluse Samantha ad alta voce.

-Come, scusa?- le chiese Adrian perplesso.

-Niente, dicevo che sembra buono.- Per un attimo le era quasi sembrato di avere in gola il calore dell’alcol e il sollievo della granatina e si passò inconsapevolmente la lingua sulle labbra alla ricerca di quel sapore perso nei meandri della sua mente.

-Lo è. Me l’hai detto anche ieri notte che era buono. Veramente hai continuato a ripetermelo a ogni bicchiere che bevevi socchiudendo le ciglia e provocandomi con occhiate alquanto appannate dalla vodka. In ogni caso, abbiamo ballato, ah, per la cronaca, sei reticente all’inizio ma una volta che ci prendi il via balli come se ci fossi solo tu e tutto il mondo sparisse. È la cosa più arrapante che abbia mai visto.

Perfetto, ci mancava solo questo. Complimenti osceni di prima mattina da uno sconosciuto che si era portata a dormire a casa sua e con il quale non aveva fatto sesso pur essendosi svegliati entrambi in intimo avvinghiati nello stesso letto. Ce n’era abbastanza per entrare in analisi…

-Poi, niente di che- seguitò con nonchalance scrollando le spalle –ci siamo baciati ma mi hai detto che proprio non te la sentivi di fare altro e una volta a casa sono iniziati i giochi. Non guardarmi così, intendo dire che hai iniziato a parlare e Apriti Cielo! Manca solo che so il numero di carta di credito di Ryan e poi siamo a posto!

-Come scusa?- perché la voce non le veniva mai come se la immaginava? Sicura e decisa invece di quel pigolio timido che aveva soffiato fuori a fatica.

-Ryan DeRio. Non fare la finta tonta, capisco che ora stai fingendo di non capire. Mi hai raccontato vita, morte e presunti miracoli del tipo che, lasciatelo dire, non mi sembra neppure niente di che. Potresti guadagnarci giusto se ci sa fare ma, da come me l’hai descritto, sembra il classico pallone gonfiato che pensa al proprio piacere fregandosene di quello della compagna. Insomma, il classico…-

-Ho capito! –l’interruppe frettolosa di cambiare argomento -E dopo?

-E dopo siamo crollati a dormire e tu ti sei svegliata con questo vuoto di memoria.

-No- la pazienza la stava abbandonando e non era un buon segno –intendo dire di cosa abbiamo parlato dopo Ryan.

-Ah. Di niente. Ogni volta che provavo a cambiare argomento ricominciavi a lagnarti di quanto fosse ingiusta la vita che ha dato a Sarah le tette che ha negato a te e a Julia i capelli biondi che tu hai nelle tue fantasie. Anche quando provavo a baciarti e toccarti per farti sciogliere un po’ ti lamentavi, così alla fine mi sono arreso al fiume di piagnistei su Ryan. E se vuoi saperlo io non ti ci vedo bionda.-

Sarebbe impazzita, se lo sentiva.

Prima Adrian la faceva ubriacare a una festa, andava a casa sua e la mattina si svegliava nel suo letto in boxer, poi le faceva un sunto della nottata che lei aveva dimenticato per colpa dell’alcol dicendole che ci aveva provato varie volte con lei pur non conoscendola e che se non fosse stato per la sua parlantina probabilmente avrebbero anche concluso sotto le lenzuola e infine tirava fuori una banalità come “non ti ci vedo bionda”? L’avrebbero internata a breve…

-Ah, ok- si limitò a commentare atona per non perdere l’ultimo barlume di lucidità da utilizzare sfogandosi con Minnie. O meglio, su Minnie.

Adrian parve sul punto di aggiungere qualcosa ma fu interrotto dalla porta che si apriva nuovamente e la testa bionda di Jeff compariva e guardava l’amico con un sorriso divertito.

-Ehi, ma lo sai che ci sono almeno sei scatole di cereali di tipo diverso in questa casa?-

 

 

 

 

-Non ti piacciono i cereali-

Era la quarta volta che lo ripeteva e Samantha sperava che se ne sarebbe presto fatto una ragione.

Aveva provato a specificare che in realtà quelli al cioccolato e quelli con i frutti rossi le piacevano, così come le ciambelline colorate di Trader Joe’s, ma a quanto pare lui aveva capito solo quello che gli interessava. Ovvero il minimo indispensabile che, una volta immagazzinato, doveva aver esaurito lo spazio disponibile per ulteriori aggiunte o modifiche diventando così un assunto.

-Non ti piacciono i cereali- E dagli. Non sembrava così messo male quando poco prima aveva frugato nella sua cucina in cerca di ciotole, latte e cucchiaini. Anzi, sembrava bello arzillo anche quando si era impossessato di un suo telo da doccia e aveva fatto come a casa propria.

O come si sarebbe comportato un ipotetico fidanzato, prendendo possesso di quella casa dopo aver preso lei.

Perché non mangiasse con gli occhi chinati sulla sua ciotola o direttamente chiusi come tutte le persone che conosceva, compresa Amanda, facevano di prima mattina, era un mistero.

E soprattutto dove trovasse la forza di articolare frasi di senso compiuto di prima mattina era un mistero ancora maggiore.

Se si aggiungeva che era maschio la cosa poteva rasentare il miracolo, pensò amaramente Samantha vedendo che lui continuava a fissarla e a pescare i cereali nel latte.

Appena Jasmine uscì dal bagno vestita e pettinata, con tanto di trucco e profumo, Samantha strusciò la sedia sul pavimento e si alzò rigidamente.

-Vado a fare una doccia- annunciò senza guardare nessuno in particolare.

-Qualcosa non va, Sam?- l’interrogò la sua amica. Si era seduta accanto a Jeff ed era tutte fossette. E mascara e burro di cacao alla pesca e frutto della passione.

Prima di colazione. Decisamente sperava di fare di nuovo colpo.

Lui l’ignorava come se il posto che ora occupava lei continuasse a essere vuoto ma, quando lei gli passò di nuovo la scatola dei cereali le sorrise e Minnie sospirò.

Sì, lui ti ha usata e non glie ne frega più niente di te.

Sì, è venuto a letto con te ma solo per una notte.

Sì, ha fatto il carino solo per interesse personale.

-No, tutto ok. Vado a fare una doccia.-

Mentre chiudeva la porta e rigirava la chiave nella toppa udì chiaramente la litania di Jeff. –Non le piacciono i cereali!-

 

 

 

 

Non le veniva in mente nulla di più bello di una doccia calda per rilassare i nervi.

L’acqua le scorreva sulla pelle avvolgendo ogni millimetro, sciogliendo i tendini tesi e scaldando i muscoli intirizziti dall’aver dormito in intimo quando l’estate stava finendo anche in California e le notti diventavano mano a mano più fresche.

Prese dal bordo della vasca il bagnoschiuma –Gelsomino e tea verde, come aveva saputo per puro caso essere quello che piaceva a lui e si era scoperta ad amarlo anche lei- e ne versò una generosa dose sul palmo.

Il profumo si diffuse immediatamente per tutto il box facendole perdere un po’ di lucidità e rilassandola con l’aiuto dei vapori che appannavano lo specchio e riscaldavano la poca aria nel piccolo bagno.

Iniziò a massaggiarsi dalle spalle e chiuse gli occhi immaginando di non essere sola sotto il getto dell’acqua.

Non aveva mai fatto una doccia con un ragazzo e ultimamente si era ritrovata non poche volte a immaginare di avere altre mani invece delle proprie che toccavano avide il suo corpo.

I seni sembravano aver acquistato una misura in più solo grazie alle sue fantasie e Samantha li accarezzò lasciandosi sfuggire un sospiro.

Ryan l’avrebbe baciata proprio lì, su quel neo che aveva sul seno destro e avrebbe succhiato quella piccola cicatrice che si era fatta da bambina cadendo da un albero, in mezzo ai due seni. Una piccola mezzaluna che sicuramente lui avrebbe trovato sensuale e che l’avrebbe acceso di desiderio, come tutto di lei.

Le mani del ragazzo sarebbero scese lungo i fianchi rassicurandola che non erano troppo grossi come lei andava dicendo, ma perfetta presa durante i loro amplessi insaziabili. Insaziabili come la voglia che lui avrebbe avuto di lei scendendo ancora e perdendosi in carezze audaci sulle sue labbra e dentro di lei, accarezzando l’inguine e torturandola con fare lascivo in un’erotica carezza sulla coscia in un lento risalire.

Avrebbe posato la bocca sulla sua con la fretta dei moribondi per prendere aria direttamente dalle sue labbra, respirare dai suoi polmoni e nutrirsi della sua anima. Avrebbe avuto il suo sapore addosso e l’avrebbe presa contro le mattonelle fredde della doccia con l’impazienza di un ragazzino alle prime armi. Avrebbe spiato i suoi occhi farsi sempre più assenti e perdersi in un mondo dove gli unici colori per lei erano il grano dei capelli di lui e il verde dei suoi occhi, gli unici odori quello della sua pelle e dei loro corpi incastrati alla perfezione, gli unici suoni quello degli ansiti di piacere che si sarebbero tolti di bocca a forza, spingendosi l’uno nel profondo dell’altro, fino a toccare l’anima, estirpando il dolore dalla carne e cercando il punto fermo in quell’universo di sensazioni scoprendo di essere Stella Polare l’uno per l’altra.

L’avrebbe vezzeggiata, stretta tra le braccia finché il respiro non fosse tornato naturale per poi riprendere quella dolcissima tortura, scendendo a sfiorare con le dita la sua femminilità e facendole sfuggire l’ennesimo sospiro che avrebbe bevuto tra le sue labbra.

L’avrebbe amata e l’avrebbe odiata solo per poi poterla amare all’infinito.

Avrebbe provocato i suoi gemiti e si sarebbe saziato delle sue urla, godendo nel vederla godere.

Però, anche nelle fantasie più rosee, durante i loro amplessi Samantha non aveva mai sentito il rumore di ceramica rotta.

Si riscosse svogliatamente dai suoi sogni e finì di lavarsi, più sfinita di quando era entrata nella doccia e sicuramente più insoddisfatta.

Si passò lo shampoo velocemente, cercando di lavare via tutte le sue infantili speranze di un futuro con Ryan e si ripromise di non fare una scenata a Minnie di fronte a Adrian e comunque si chiamasse il tipo con la maglietta verde per la rottura di quella che immaginava fosse stata una ciotola da cereali.

Si avvolse nell’accappatoio e, sudando per l’aria calda nella stanzetta, accese il phon per tentare di asciugarsi i capelli per non andare in salotto gocciolante. Quando le sembrò di non essere più alle soglie dell’indecenza, indossò un paio di boxer femminili con il logo della sua vecchia università che le coprivano a mala pena le mutande e una maglia a bretelline dalla quale spuntava il pizzo rosa del reggiseno color pastello.

Aprì la porta e volò in salotto. Seduto sul suo divano di pelle c’era Adrian che fissava disteso il suo amico dalla maglia verde che era tutto intento in un discorso del quale Samantha capì solo poche parole.

Accanto a lui Ryan, che lo guardava con una scintilla di divertimento negli occhi ascoltando il resoconto della serata passata, di come Jeff fosse andato a letto con  Jasmine, di come Samantha avesse bevuto i drink di Adrian, e di come lei stessa fosse scappata sotto la doccia poco prima.

Inaspettatamente Ryan alzò lo sguardo piantando gli occhi in quelli di Samantha e provandole che sapeva esattamente dov’era e da quanto era nella stanza.

-E così, Tappetta, non ti piacciono i cereali…- le soffiò con un palese divertimento nello sguardo.

Chissà se era possibile avere una Giratempo e tornare indietro di ventiquattro ore, si chiese Samantha, mentre arrossiva sotto lo sguardo ilare del ragazzo ripensando alla doccia e ritrovandosi a fissare le sue mani abbronzate e forti.

 

 

 

 

 

§§§§§   NOTE   §§§§§

I riferimenti allo sconosciuto nel letto, ai fenicotteri rosa nella piscina e i glitter per la stanza, nonché al martellio in testa sono tutti dovuti alla canzone di Katy Perry “Last Friday Night”.

I cereali a forma di ciambelline colorate di Trader Joe’s esistono veramente in America.

Infine, la Giratempo, è un riferimento a Harry Potter.

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Capitolo 3
*** Ultimatum ***


3. Ultimatum

Capitolo III

Ultimatum

 

 

 

 

 

-Come?-

Era almeno mezz’ora che Jason blaterava dell’imminente partita di football che, a ben vedere, tanto imminente non era non essendo neppure incominciata la stagione.

-Sammy, non mi stai ascoltando. Ti ho detto che Mark dovrebbe essere confermato come quarterback mentre George, a Dio piacendo, sarà finalmente il nostro running back al posto di quel pallone gonfiato di Guillermo.

-Nostra? Devo forse ricordarti che tu non giochi a football? E poi tu ce l’hai con Guillermo per quella storia di Martha. Sai che è un bravo ragazzo e un bravo giocatore.

-Bravo un cavolo! Gioca da schifo ed è sleale sia sul campo che nella vita! Mi ha fregato la ragazza!

-Ti piaceva e basta, non stavate mica insieme!- precisò Samantha roteando gli occhi al soffitto.

-Sì, ma lui lo sapeva. E si è fatto avanti ugualmente!

-Jason! Santo cielo, tu stavi lì a contemplare Martha da lontano e quando lei si avvicinava a te sembravi la persona più insofferente della terra. Evidentemente hai mandato il messaggio sbagliato…

-Ero insofferente perché avrei voluto saltarle addosso e, giusto perché sei la mia sorellina, non ti dico come proseguivano le mie fantasie.

Ce ne volesse il Cielo. L’ultima cosa che Samantha voleva sapere di suo fratello erano i suoi sogni erotici.

-Beh, ribadisco, devi aver sbagliato espressione.

-Sbagliare espressione deve essere una cosa che hanno in comune i membri di questa famiglia. Sai, stamattina invece di “ciao” credo mi sia scappato fuori qualcosa come “cosa?”  quando Ryan mi ha detto che ti sei portata due tizi a casa. A dormire a casa. –era più che chiaro che volesse lasciar intendere che loro tre, invece di dormire, dovevano aver fatto tutt’altro -Evidentemente anche lui deve essersi espresso male, perché tu non faresti mai una cosa del genere, vero Sam?

Dire che era arrossita era un eufemismo. Sapeva di non essere tanto brava come attrice da negare ed essere convincente, tanto più che suo fratello sapeva già la verità da Ryan. Però confermare avrebbe significato ufficializzare la cosa e in meno di due ore avrebbe ricevuto una chiamata da sua madre avida di notizie e gossip e una da sua sorella Amanda piena di astio.

-Forse.

Forse poteva starci. Con un po’ di fantasia poteva anche sembrarle la risposta migliore del mondo.

-Sam, per favore. Lo so che San Diego è nuova e bellissima e tutta da scoprire, per te, però ricordati che sei tu. Sei mia sorella, la sfigata che arrossisce per un nonnulla, che non sa approcciarsi ai ragazzi e che è imbranata. Sei quella che passa ore a contemplare il niente persa nei propri pensieri, che sbatte ovunque e rovescia sempre l’acqua a tavola, sei la Miss Perfettina più innocente che conosca.

Oh, Jason.
Se solo sapessi che pensieri ho su Ryan cambieresti idea su di me. Se sapessi che sogno le sue mani sul mio corpo e il suo respiro tra le mie cosce cosa diresti? Come mi guarderesti?

-Sam! Ma allora oggi non è giornata!

Con un certo disappunto notò che l’aveva fatto di nuovo, si era persa nei propri pensieri.

Avrebbe potuto vincere una medaglia come peggior sorella, ne era quasi certa. Se fosse stato per Amanda, sarebbe stata la campionessa in carica già da tempo.

-Lascia stare, dai. Evidentemente hai del sonno arretrato ed è meglio che vai a dormire. Non preoccuparti, in caso mi scuso io con mamma perché non vieni. Magari però le dico che covi un raffreddore invece che la notte fai troppa baldoria e il giorno dopo dormi in piedi.

-Mamma? Che dici a mamma? Quando?- Perché diavolo ora suo fratello doveva spifferare tutto a loro madre? Già era abbastanza imbarazzante che Ryan non avesse tenuto la bocca chiusa e avesse raccontato la sua versione dei fatti, decisamente ritoccata, a Jason; se poi fosse intervenuta anche sua mamma aveva più possibilità Mozart di resuscitare che lei di vivere in pace.

-Vedi che io ho sempre ragione? Non mi ascolti mai! Stasera, e presta attenzione perché questa è l’ultima volta che te lo ripeto, mamma ci ha invitato a cena per festeggiare non so bene cosa con Patrick.

Ecco come peggiorare una giornata. Una cena da Theresa, ovvero la loro madre, significava una cena con Amanda e con Patrick, il loro patrigno che stravedeva per la maggiore delle due sorelle e si divertiva un mondo a rendere ridicola davanti a tutti Sam.

 

 

 

 

Aveva guidato tesa, chiedendosi costantemente il perché di quella cena e ora aveva il collo tutto dolorante.

Alla radio avevano passato ben undici volte la nuova canzone di Rihanna e lei si era ritrovata, tutte le undici volte, a canticchiarla nel tentativo di distrarsi  e di non mettersi a contare i minuti che mancavano per tornare a casa sua.
A San Diego.

Monterey, la città dove era nata e cresciuta,  era stato il porto sicuro dove rifugiarsi per anni e anni dal resto dell’assolata California, piena di pini e abeti, di montagne e di vento, con la nebbia che scendeva molte ore prima del tramonto e avvolgeva tutto creando quella singolare sensazione di ‘ovattato’ che tanto aveva amato durante il periodo del liceo.

Non aveva conosciuto altro del suo Stato se non qualche stereotipo che le era rimasto impresso guardando una serie televisiva di moda anni prima ambientata nell’Orange Country che, aveva scoperto con amarezza, non avrebbe potuto essere più lontana dalla realtà.

La jeep di suo fratello era parcheggiata dall’altro lato della strada, mentre l’Audi di Amanda, posteggiata nel vialetto davanti casa, la sfidava a scendere o a rimanere seduta nel veicolo fermo a pensare quanto avrebbe rimpianto, nel corso della serata, l’aver deciso di prendere parte alla cena della loro madre.

Non appena aprì lo sportello dell’auto infilò la scarpa di tela in una delle pozzanghere che tappezzavano il quartiere e, molto probabilmente, tutta Monterey.

-Merda!- imprecò furibonda.

Non bastava dover rivedere Patrick e sentire le chiacchiere sconclusionate di sua madre, aveva anche messo il piede in una pozza d’acqua. Non era già abbastanza dover cenare con Amanda?

-Stupida cena, stupida pozzanghera e stupido cane!-

Domino, il cocker di suo fratello, era iperattivo proprio come lui e già le stava saltando addosso col rischio di sbilanciarla e farla finire con le gambe all’aria.

-Benvenuta tesoro!- furono le prime parole che sua madre le rivolse prima di stritolarla in un abbraccio mozzafiato.

La colpì il fatto che il suo profumo le causasse una contrazione allo stomaco e la sensazione di benessere che provò stretta tra le braccia materne.

L’aria profumava di pizza Hawaiana e di chilli, la televisione cicaleggiava come sottofondo e uno dei due grassi e pelosi gatti di sua madre le si stava strusciando addosso lasciandole un’infinità di peli chiari sui suoi jeans neri.

Si sorprese di quanto tutto quello le desse l’idea di casa e non le provocasse un senso di inadeguatezza e di soffocamento come quando aveva deciso di partire per San Diego.

-Sam. A quanto pare sei ancora viva. Mi stupisce, dal momento che di solito non ne fai una giusta.

Amanda. Ecco, non era sicura che le mancasse anche quell’aspetto di essere a casa.

-Sì, beh, intendo restarci ancora per un po’. Sempre che la cosa non ti arrechi troppo disturbo.

-Samantha!- Eccolo lì, il paladino della giustizia. Il cavaliere mascherato in sella a un cavallo nero che accorreva per difendere la povera piccola orfanella maltrattata dalla regina cattiva.

-Ciao Patrick. Come stai? Vado a vedere se in cucina mamma ha bisogno di una mano- e sparì prima di lasciargli il tempo di rispondere.

-Mamma è al telefono- l’avvisò Jason rispondendo alla sua muta domanda e mettendosi in bocca un intero pezzo di brownie.

Samantha l’ignorò e si rifugiò nel regno di sua madre ma la pace durò per poco: il tempo di essere seguita da Amanda e di lanciare una preghiera silenziosa al Signore.

-E così, adesso ti sei data alla bella vita. Ma non ti senti in colpa a prendere in giro quel povero ragazzo? Oh, a proposito, hai controllato se ha una fidanzata che prima puoi farti amica per poi farti lui? Se non ricordo male sei brava a colpire gli altri alle spalle quando meno se lo aspettano…

Se anche avesse avuto la prontezza di formulare una risposta, dote che non aveva, l’entrata di sua madre gliela avrebbe sicuramente troncata sul nascere.

-Tesoro, vedi di comportarti a modo stasera. Pat ha ricevuto un’importante promozione e non vorrei che ci fosse la solita aria tesa tra te e tua sorella. Oh, guarda qua, Jason ha fatto già fuori metà teglia dei miei brownies!- si lamentò cambiando discorso come se niente fosse.

E forse, si disse, poteva farlo. Per una sera poteva fingere, per il bene di sua madre, di avere una grande famiglia felice. Solo per una sera.

 

 

 

 

Il tempo a cena passò più rapidamente del previsto.

E se non fosse stato per le occhiatacce di sua sorella e le allusioni che le aveva fatto e che Samantha si era sforzata di lasciar cadere, avrebbe potuto essere quasi piacevole.

Quando chiuse lo sportello della macchina e ripartì per San Diego, tuttavia non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.

Ce ne sarebbe stata un’altra di cena come quella, ma non prima di un mese.
Trenta lunghissimi giorni tra lei e sua sorella.
Quattro settimane prima di doversi sforzare a fingere di non capire insulti nemmeno troppo velati e di non notare l’astio nella voce di Amanda.

 

 

 

 

-Ciao Tappetta.

Seduto per terra, davanti alla porta di casa sua, c’era Ryan DeRio, i capelli scompigliati e lo sguardo esaltato. Conosceva quella scintilla, da piccola l’aveva anche Amanda quando faceva qualcosa che riteneva assolutamente mozzafiato. Come uscire con il suo ragazzo o fare un’incursione notturna in cucina per sgraffignare biscotti dalla credenza e gelato al cioccolato.

Era lo sguardo del felino che si prepara a sferrare il suo attacco, pregustandosi la vittoria che segue dopo aver giocato con la preda.

-Jason non c’è. Eravamo a cena da mia madre e Patrick, dovrebbe arrivare fra poco. Sempre se non si ferma da Bailey…

Le stava simpatica Bailey. Le era piaciuta fin da subito e le dispiaceva che suo fratello si stesse comportando come il perfetto idiota che era con lei. Le dispiaceva che la prendesse in giro ma soprattutto che lei si lasciasse prendere in giro.

-Tappetta, lo so. È il mio migliore amico.

Tappetta. Ce l’aveva soprannominata quando era ancora una bambina bassa rispetto alla media e talmente magra che dimostrava meno anni di quanti ne avesse in realtà. Era un modo di prenderla in giro e lei non si era mai lamentata.

Andava bene essere “Tappetta”: se non altro lui, con la sua altezza spropositata che accanto a lei appariva già un gigante, lui l’aveva notata.

Cosa avrebbe dovuto dirgli? “Ok”? “Allora buonanotte”?

Rimase in silenzio, a guardare quel viso che tante volte aveva accarezzato nei suoi sogni, immaginando di passare nuovamente la mano tra i suoi capelli e sentirli lisci e morbidi cedere alle sue volontà.

Come sarebbe ceduta lei, volentieri, si sarebbe piegata a quelle mani anche sull’uscio del portone di casa sua, accasciandosi come un vestito vecchio, dismesso e pronto per essere cambiato.

Ryan si era alzato e lei non faceva che fissare i pettorali che si notavano al di sotto della maglia bianca vecchiotta e un po’ lisa che indossava rendendolo assolutamente irresistibile.

Quanto sarebbe stato sconveniente proporgli un gioco di ruolo? Magari dove lui era un muratore infortunato sul lavoro e lei l’infermierina tutta panna e miele.

Perché diamine le veniva incontro? Non poteva starsene fermo e buono seduto a farsi fissare? E perché le sorrideva in quel modo? Non sapeva che quello era un “sorriso-da-sesso”? Perché saltargli addosso era l’unica cosa a cui Samantha pensava mentre lui muoveva un passo dopo l’altro verso di lei.

-Sono venuto solo per vedere se arrivavi a casa sana e salva, tutto qui. E se eri sconvolta per aver cenato con quell’arpia di tua sorella.

Avrebbe voluto ridere per la battuta ma non ci riuscì.

Tentò di stendere le labbra in un sorriso ma le venne tirato tanto che vide riflesso negli occhi di lui il dubbio di aver detto qualcosa di sbagliato.

Cavolo, non era così che doveva andare…

-Io… sto bene.- Poteva fare decisamente di meglio. –Grazie per essere passato.

Oh, ora sì che avrebbe vinto un Oscar come peggiore attrice.

-Oh, non c’è di che Samantha.

Samantha. Era lei Samantha? Faceva un certo effetto sentirsi chiamare col suo vero nome da Ryan.

Era talmente vicino che, quando allungò una mano verso di lei, sussultò nel constatare che poteva arrivare a sfiorarla.

Toccarla.

Toccarsi.

Il corpo di lui che emetteva un richiamo che lei non sarebbe stata capace di ignorare ancora a lungo. Era lui la sirena e lei lo sventurato marinaio ammaliato da tanta bellezza.

Accarezzò con le dita una ciocca di capelli, rigirandosela tra le mani mentre Samantha pensava che non li avrebbe mai più lavati per conservare il ricordo del tocco di lui su di sé.

-Beh, buonanotte Tappetta. –si congedò, la voce roca di chi vuole saltare tutti i preliminari perché non riesce più a resistere –Ci si vede in giro.

 

 

 

 

 

-Fammi capire, ti ha davvero detto “ci si vede in giro”?

-Già.

Minnie scosse la testa incredula.

Samantha l’aveva chiamata appena era riuscita a riprendere a respirare in modo normale, e lei era arrivata tutta trafelata con addosso una vecchia tuta e un asciugamano sui capelli ancora bagnati per la doccia. E le scarpe col tacco, sia mai dover incontrare il Principe Azzurro in un momento come quello e non avere la fatidica scarpina con tacco da perdere.

-Mi stai dicendo che un secondo prima stava flirtando in modo spudorato con te e un secondo dopo ti ha mollato come si abbandonano i cani sull’autostrada quando d’estate si va in vacanza?

-Io non la metterei proprio così, ma sì, se ne è andato.

-Il ragazzo mi sembra un po’ troppo sicuro di sé. Almeno sei stata tanto sfacciata da rendergli difficile girare senza annunciare a tutti un’imbarazzante alzabandiera?

Come no, lei, l’antisesso per antonomasia.

Nelle sue fantasie era più disinibita ma la cosa non valeva: nei suoi sogni aveva una quarta di reggiseno, uno stacco di coscia non indifferente e una sensualità che avrebbe mandato al tappeto Channing Tatum in qualsiasi film.

-Non dire stronzate, Minnie. Io che faccio la provocante? Come minimo se gli ammiccassi penserebbe che ho uno strano tic. Senza contare che arrossirei e mi sentirei terribilmente in imbarazzo.

-Perché? Perché lui è il fantastico, unico, magnifico Ryan DeRio, vostra illustrissima maestà, divinità scesa in terra per tentare noi comuni mortali? Andiamo, Sam. Non ti ha mai degnato di uno sguardo e ora improvvisamente si mette a flirtare con te?

-Non è che in questi anni mi abbia proprio ignorato- puntualizzò risentita. Va bene, sapeva di non essere tutta questa bellezza, era consapevole che non l’avrebbero mai incoronata come Miss Mondo, ma da lì a sentirsi una cacca, no. –Mi salutava. E da quando mi sono trasferita a San Diego ci vediamo più spesso. Viene anche a casa mia a volte…

-Sì, a cercare tuo fratello o a farsi una piacevole chiacchierata con una come te.

-Non so se dovrei offendermi o no. Mi stai dando della buffona o semplicemente della demente?

-Entrambe! Andiamo, non voglio essere brutale, ma perché ora d’improvviso si interessa a te? Santo cielo, non oscilli su due trampoli da fenicottero né sgambetti come Marilyn Monroe né sei una maggiorata.

Alla faccia della brutalità. Poteva dirle che la riteneva una complete cessa già che c’era…

-Ho capito, sono stata una cretina. Scusa tanto se ho interrotto la tua doccia, la prossima volta lo metterò in riga da sola senza mostrarmi patetica di fronte alla mia migliore amica.

Minnie sospirò e la guardò rassegnata. –Sai bene che non lo rimetterai in riga ma che aspetterai un’ipotetica prossima volta come questa neanche fosse Natale. E sai anche che non mi scoccia essere qui, altrimenti avrei trovato una scusa per non venire. Vorrei solo che non ti facessi illusioni, magari era un po’ sbronzo o magari aveva voglia di svagarsi un po’.

-So riconoscere un ubriaco quando lo vedo e so anche che lui non è tipo da certi giochetti.

-E come lo sai? In base a quale esperienza? Le relazioni, che siano di amicizia o amore, si costruiscono ogni giorno. Che ne sai tu di lui? Lo conosci solo nei tuoi sogni, non sai neppure qual è il suo colore preferito, se ha un rito prima di andare a letto, come prende la pizza quando è con gli amici. Hai costruito il ragazzo perfetto che però, mi spiace dirtelo, esiste solo nella tua testa. Esci dal sogno e vivi la vita vera, fatta di delusioni cocenti, di amarezza, di pianti e di dolore. Di abbandono. Però sotto a tutta questa montagna di dolore c’è la bellezza della scoperta, dell’amore, della speranza, della condivisione. C’è la crescita che si fa ogni giorno con la persona che speriamo essere quella giusta. Per un film, per una vacanza, per l’estate o per la vita. Esci dal tuo guscio, Samantha, e cerca un Ryan DeRio per il quale valga la pena svegliarsi la mattina e affrontare lo schifo di un nuovo giorno solo per poterlo fare assieme con lui.

Aspettò che la sua amica comprendesse appieno il messaggio che aveva voluto darle e quando la vide annuire si lasciò sfuggire un sospiro.

-Quattro formaggi. Quando è con gli amici prende sempre la quattro formaggi. E io so riconoscere un ubriaco.- si sentì rispondere.

Incredibile, lei per una volta aveva tentato di fare la seria e tutto quello che Samantha aveva fatto era fingere di ascoltarla per perdersi, come sempre, nei propri pensieri.

-Mi prendi in giro? Ti sto parlando a cuore aperto e tu mi prendi per il culo?

Samantha sbatté gli occhi, confusa. Perché mai Minnie avrebbe dovuto pensare una cosa del genere? Perché sapeva come Ryan prendeva la pizza quando si svagava col suo gruppo?

-No. Certo che no.

-Sam, in tutta onestà, se fino a poco fa non lo pensavo, ora ho la certezza che sei una completa idiota. Non puoi farti un filmino mentale solo perché il re dei cretini è venuto a casa tua, ti ha ammiccato e ha giocherellato con una ciocca dei tuoi capelli. Santo cielo, non è che ti ha fatto una proposta di matrimonio!- sbottò. Poi, come ripensando alle sue stesse parole, aggiunse –Per fortuna…

-Hai ragione. Julia riderebbe di me. E se fosse capitato a un’altra anche io sarei qui a riderci su. È stato solo un... –esitò cercando le parole.

-Momento?- le suggerì Minnie.

-Sì, un momento. Una cosa…-

-Isolata?-

Di nuovo, Samantha sorrise all’amica che le suggeriva come completare le frasi. Tra loro era sempre stato così: Sam tentennava un po’ troppo e l’impulsiva Minnie correva in suo soccorso, impaziente come sempre.

-Isolata. Sì, probabilmente è stata una cosa isolata.

-Quasi sicuramente, Sam. Guarda in faccia la realtà: quante possibilità ci sono che Ryan DeRio domani si presenti alla tua porta con un mazzo di rose rosse e ti chieda in ginocchio di essere la sua dolce metà finché morte non vi separi? Che, nel suo caso, potrebbe arrivare per mezzo di uno squalo o di tuo fratello, non so quale delle due mi convince di più. Dovrei scommetterci su con Julia…

-Non provarci neanche! Guai a te se ti azzardi a dire qualcosa a quella… a quella… Minnie!

-Hmm, bionda?

-Già, a quella bionda che ha un forno al posto della bocca! Guai a te!

Minnie sorrise delle minacce dell’amica, pensando che nessuno sano di mente avrebbe raccontato alcunché della propria vita privata a Julia.

Ovviamente, sia lei che Sam, ci avevano sbattuto ripetutamente la testa, ritrovandosi al centro di pettegolezzi riguardo alla loro vita privata che avevano avuto la malaugurata idea di condividere con l’amica bionda.

-Il Cielo ce ne scampi. Di sicuro non voglio essere di nuovo al centro dell’uragano come tutte le volte che parte un pettegolezzo da Julia, stai tranquilla Sam, terrò la bocca chiusa.

Come no, una garanzia sulla vita, pensò Samantha.

-Beh, penso che adesso che abbiamo chiarito me ne tornerò a casa ad asciugare i capelli prima di prendermi una polmonite. O, prima che mi prendano una brutta piega, dal momento che è più probabile la seconda ipotesi della prima, visto che siamo in California e viviamo praticamente sull’Oceano. Ci si vede in giro, baby!

-Fai poco la spiritosa, che non sei affatto simpatica!

Le urlò Samantha mentre Minnie era già sparita, chiudendosi la porta dell’appartamento dell’amica alle spalle non prima di averle fatto una linguaccia.

 

 

 

 

Il suono del campanello l’aveva svegliata e lei era corsa alla porta aprendola senza neppure chiedere chi fosse.

Sulla porta, un mazzo di rose rosse in mano, c’era Ryan, bello come sempre, elegante anche con i suoi jeans scoloriti, le infradito e una semplice maglia blu.

Se ne stava in ginocchio in trepidante attesa, e appena lei spalancò l’uscio si aprì in uno dei sorrisi più belli che Samantha avesse mai visto.

Scattò in piedi e, cingendole la vita con un braccio e posando le rose sulla poltrona preferita di suo fratello Jason, la spinse nuovamente dentro.

Samantha si rese conto di cosa indossava quando lui iniziò a tirare verso l’alto l’elegante camicetta da notte che sua madre le aveva regalato il Natale precedente, scoprendole le cosce e rivelando un paio di mutandine che non ricordava neppure di aver comperato: le aveva viste in vetrina con Minnie non molti giorni prima ed era arrossita al solo pensiero di indossarle per qualcuno che, nella sua mente, aveva il viso di Ryan.

Cercò con le labbra la bocca di lui e, quando la trovò, le sembrò di poter tornare a respirare dopo una lunga, lunghissima apnea.

La morbidezza del viso contrastava con la durezza del suo desiderio che le premeva all’altezza dell’inguine e, colta da un’audacia che avrebbe stentato a riconoscere come propria, infilò le mani sotto la maglia di lui afferrandone i lembi e tirandoli verso l’alto, obbligandolo a togliersi l’indumento mentre entrambi si muovevano in direzione della camera di Samantha.

A petto nudo era una visione. Non che non l’avesse mai visto prima senza maglietta, faceva surf e passava tutti i giorni in spiaggia nelle vicinanze della quale, per un motivo o per l’altro, Samantha si trovava sempre.

La sua bocca si era spostata dalle labbra al collo e Samantha, quando iniziò a succhiare sulla giugulare, si lasciò sfuggire un gemito.

Era normale sentire tutto quel calore? Andare a fuoco così presto anche laggiù?

Mai si era sentita tanto bagnata e mai si era sentita così poco a disagio col proprio corpo. Ryan era lì con lei e, da come muoveva il bacino contro il suo facendole sentire il proprio desiderio, la voleva in modo quasi disperato.

E lei voleva lui.

Altro che Bella ed Edward, altro che Ana e Mr.Grey: erano loro, loro l’unione perfetta.

-Ryan…

-Dimmi che mi vuoi, dillo Sam.

-Sì- pregò sulle labbra sue labbra mentre le sfiorava un seno con la mano. –Oh, ti supplico…

-Mi supplichi per cosa, Sam?

Se andava avanti con quella tortura lei sarebbe impazzita. Però, a ben vedere, poteva far impazzire anche lui.

Scese con la mano fino al bordo dei jeans e fece uscire il bottone dall’asola. Chissà che non l’avrebbe pregata anche lui…

-Ti voglio, Ryan.

Chiuse gli occhi mentre lo sentiva tremare di piacere contro la sua mano che lo aveva solo sfiorato. Era forse questo il desiderio? Lussuria pura, il non poter resistere a niente? L’arrendersi in modo incondizionato all’altro?

Le sue mutande erano diventate un lago ma la cosa non parve dispiacere troppo a Ryan quando le scostò e si lasciò sfuggire un gemito roco, più da animale che da persona.

Una scintille di passione attraversò il suo sguardo e si scostò con uno scatto da lei, sfilandosi i pantaloni e i boxer, rimanendo nudo davanti a lei.

Samantha deglutì, sentendo il proprio respiro farsi sempre più rapido.

Lui era lì e voleva lei.

-Sam, non ce la faccio più- le sussurrò lui mentre si sistemava tra le sue cosce.

Avrebbe voluto ricordargli di prendere un condom, perché lei credeva fermamente nel sesso protetto. Avrebbe voluto che almeno finisse di spogliarla e prolungare un altro po’ i preliminari ma tutto quello che riuscì a sibilare fu –Nemmeno io.

Vide il sorriso di Ryan alle sue parole e, un minuto prima di sentirlo dentro di sé, scoppiò il finimondo. Le sveglie presero a suonare, scattarono gli allarmi, i telefoni iniziarono a squillare e il sorriso di lui vacillò.

 

 

 

 

Alla fine, il finimondo, altro non era che il campanello di casa sua.

Si era addormentata sfinita e aveva sognato Ryan. Un sogno decisamente a luci rosse, constatò notando che effettivamente aveva bisogno non solo di una bella doccia, ma anche di un paio di mutande pulite.

-Minnie, mannaggia a te e alle idee che mi metti in testa prima di andare a letto- brontolò alzandosi e infilando un paio di pantaloni di una vecchia tuta sopra alle semplici mutandine di cotone bianco che indossava. Altro che brasiliana tutta pizzi come nel sogno…

Si guardò allo specchio e fece una smorfia: carina non era carina, soprattutto tutta spettinata e col viso accaldato per il sogno. Però il campanello continuava a suonare e non c’era davvero tempo per mettersi sotto il getto caldo dell’acqua e togliersi via le tracce del sogno peccaminoso che aveva stampate sul viso e tra le cosce.

E poi, perché avrebbe dovuto mettersi in tiro quando probabilmente era solo il postino che le consegnava la posta?

Quando aprì la porta per poco non ci rimase secca.

Alla fine Minnie si era sbagliata: Ryan non si era presentato alla sua porta con un mazzo di rose rosse chiedendole, in ginocchio, di essere la sua dolce metà fino alla fine dei loro giorni, ma con una tavola da surf e il sorriso furbo di chi la sa lunga.

-Allora, Tappetta, ti va o no di fare un giro sulla mia tavola da surf?

Cielo, non poteva uscirsene con una richiesta peggiore. Le parve che la sensazione di bagnato tra le gambe aumentasse e che il viso le stesse andando a fuoco.

Ryan la guardava in attesa di una risposta e Samantha si sentì nelle orecchie il mantra di Julia: “Carpe Diem. Ogni lasciata è persa”.

Sperando di non pentirsene troppo in fretta, annuì, e si richiuse la porta alle spalle lasciando Ryan fuori ad aspettare che indossasse un costume.

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