Capitolo
I
Miss
Perfettina
Il
campanello suonava, il telefono non le dava pace e, ovviamente, Samantha era
sotto il getto bollente della doccia.
-Arrivo!- gridò a nessuno in particolare, chiudendo l’acqua e sbilanciandosi un
poco oltre il bordo della vasca per tentare di afferrare l’accappatoio,
attaccato, come sempre, sulla parte interna della porta del piccolo bagnetto.
Il campanello suonò di nuovo mentre cercava di allargare l’accappatoio fucsia
di microfibra che le si era appiccicato addosso e si accorgeva, con enorme
disappunto, di essersi dimenticata in camera le ciabattine.
Corse all’ingresso e fece scattare la serratura: la faccia tosta di suo
fratello che si era dimenticato le chiavi si illuminò di un sorriso colpevole.
-Mi spiace Sam, ho scordato le chiavi di casa da Amanda. Sarah?- chiese
guardandosi intorno e aggirando il tavolo della cucina per agguantare una
manciata di cioccolatini ripieni al caramello dalla ciotola e metterseli
direttamente in bocca.
Samantha represse a stento un’esclamazione disgustata, ma la sua espressione
sincera più che eloquente fece ridere il fratello.
-Oh, andiamo Sam, non fare quella faccia. Allora Sarah non è in casa?-
-No- grugnì. Jason non avrebbe mollato la presa finché non avrebbe ottenuto
quello che voleva.
Riaprì la bocca per dirle qualcosa ma, con almeno una decina di cioccolatini
dentro, tutto quello che riuscì a fare fu biascicare qualcosa che Samantha non
capì.
-Eh?- domandò scocciata. Perché agli altri capitavano fratelli bellissimi,
super premurosi e muscolosi come neppure gli antichi Greci e a lei era toccato
Jason? Non che lui fosse brutto, anzi! Con quegli occhi da cucciolo e l’aria
giocherellona le ragazze capitolavano ai suoi piedi senza che facesse neppure
il minimo sforzo… E con lei era sempre stato gentile, non l’aveva mai ignorata
o trattata come una bambinetta capricciosa come faceva invece Amanda. In quanto
a muscoli, si disse che probabilmente andava in giro con Ryan proprio per
questo. Per compensare.
-Ho detto che io vado in spiaggia, mi vedo là con Ryan. E ti ho chiesto se
volevi venire, ma evidentemente i tuoi due neuroni non hanno retto al pensiero
di un certo biondo tutto muscoli che fa surf insieme al sottoscritto- la prese
in giro bonariamente lui, ridendo di una cotta che lei aveva avuto per il suo migliore
amico.
Stava per rispondergli a tono quando il telefono squillò e lei si precipitò a
rispondere sotto lo sguardo divertito di suo fratello.
-Pronto? Ah, sei tu… no, nessuno, è che prima non ho fatto in tempo a
rispondere e…- non terminò la frase e inarcò un sopracciglio -…stavo sotto la
doccia, se me ne avessi dato il tempo e non avessi attaccato al quarto
squillo…- vide Jason scuotere la testa: evidentemente doveva aver capito chi
c’era all’altro capo del telefono. –Non essere sciocca, certo che l’ho inviato…
Sì, l’ho detto alla mamma e se proprio vuoi saperlo ha detto che faccio bene!-
Fu il turno di Jason essere perplesso: che cosa approvava la mamma su Samantha?
Era la classica ragazzina indecisa, troppo sognatrice per ottenere davvero
quello che voleva e troppo rigida con se stessa per godersi la vita. Chi
avrebbe mai approvato qualcosa su di lei?
-…Lascia stare, non ho bisogno che tu me lo ripeta per l’ennesima volta… -i
toni si erano improvvisamente fatti acuti e l’atmosfera si era raggelata.
Jason smise persino di masticare i cioccolatini in bocca nell’intento di non
perdersi neppure una parola.
–Sì, lui è qui. Sì, te lo saluto. Ciao.-
Samantha lo guardò leggermente imbarazzata ma non mancò di scoccargli uno
sguardo furente. –Amanda- sputò tra i denti, come se quel nome le causasse
disgusto anche solo a pronunciarlo.
Jason annuì. Sapeva già che era lei ancor prima della conferma di Samantha.
Era ormai noto a tutto che tra le due sorelle non corresse buon sangue. Che lui
ricordasse, da piccole erano indivisibili, poi crescendo, al liceo, dovevano
aver avuto uno screzio di cui lui non era al corrente e il loro legame si era
incrinato a tal punto che si vedevano solo se costrette, ovvero durante le
festività e i pranzi di famiglia a cui la loro madre li obbligava a
partecipare, e anche durante tali occasioni il loro rapporto era appena
tollerabile: si ignoravano finché potevano, sedavano ai poli del tavolo, se una
arrivava presto l’altra adduceva una scusa e arrivava trafelata un secondo
prima di mangiare pur di stare assieme il minor tempo possibile.
-Sì, l’avevo intuito…- soffiò divertito mentre lei lo fulminava con gli occhi.
–Che dice la cara sorellona?-
-Voleva sapere dov’eri-
-E…?-
-E niente, Jason. Voleva solo sapere dov’eri!- sbottò dandogli le spalle e
andando in bagno per prendere un asciugamano rosa pesca da avvolgersi sui
capelli bagnati a mo’ di turbante.
-Ciao! Ciao a te! Non trovo Jason, è per caso lì da te? Sì, è qui da me…-
La testa di Samantha spuntò dal bagno con un’espressione perplessa.
-Che stai facendo?- gli domandò dubbiosa, non molto sicura di voler conoscere
la risposta. Suo fratello aveva il potere di farle scoppiare un terribile mal
di testa con i suoi discorsi senza senso anche nei giorni in cui era
perfettamente in forma.
-Contavo quanto ci vuole per chiedere a qualcuno, in modo civile, se sono o
meno a casa sua e, a ben vedere, ti ci hai messo un po’ più di…- indugiò il
tempo di guardarsi le mani: una era completamente aperta, l’altra aveva due
dita piegate e le altre tre stese –otto secondi. Quindi deve averti chiesto
qualcos’altro, no?-
Lui e la sua faccia di bronzo!
-Mi ha chiesto se avevo inviato il curriculum allo studio del dottor Sheridan e
le ho detto di sì anche se lei non approva, al contrario di mamma, perché dice
che quel posto ha pochi sbocchi professionali. Contento?-
-Ora sì. Beh, io vado. Se vedi Sarah salutamela!- e agguantò un’altra manciata
di cioccolatini prima di avviarsi verso l’ingresso.
-Jason, Sarah ha già un ragazzo: Tim. Fa il cameriere in quel ristorante vicino
al centro commerciale, l’hai anche incontrato, ricordi?-
-Certo che sì. Però non si sono mica sposati, no? E poi, anche in quel caso c’è
sempre il divorzio…-
-O un marito geloso che te le dà di santa ragione…- terminò Samantha alzando gli
occhi al soffitto.
-Può darsi. Ma solo se non corro abbastanza veloce- e sparì chiudendosi la
porta alle spalle.
Samantha
scosse il capo. Jason era sempre il solito bambinone che, nonostante i ventidue
anni suonati da un pezzo si ostinava a comportarsi come un liceale. Il
contrario di Amanda, che si ergeva dall’alto dei suoi ventitre anni neanche
fosse stata la regina d’Inghilterra. E poi c’era lei, Samantha, la piccola Sam,
ventuno anni nella realtà anche se tutti gliene davano al massimo sedici, sia
per il viso da bambina, sia per la fermezza con cui si atteneva alle regole. Ma
se non sei una stanga di un metro e ottanta, con una quarta di seno e con degli
splendidi occhioni celesti come era Amanda, ci sono delle regole da rispettare
per non apparire ancora più scialba in confronto: andare a letto sempre alla
stessa ora, non strafare con l’alcool come tutti quelli della sua età, mangiare
cose sane e non fumare.
Praticamente fare l’eremita.
-Hey, Tappetta, tuo fratello?- una voce roca e baritonale le provocò un brivido
e la riportò bruscamente alla realtà.
Sulla porta di casa sua, un fusto niente male la fissava con un sorriso
divertito che gli tirava le labbra in modo sensuale.
Il tempo di un battito di ciglia, rendersi conto che conosceva il ragazzo in
questione ed era già rossa come un peperone.
-Sam?- riprovò di nuovo lui.
Un conto era fingere che la cotta le fosse passata quando era con suo fratello
che la sfotteva e lui era lontano, un
altro conto era dover prendere atto della realtà quando se lo trovava davanti,
a torso nudo e con i pettorali scolpiti dal football e dal surf, le sue due
passioni.
I capelli erano spettinati e lui, in un gesto che faceva anche suo fratello ma
a lui non veniva certo così bene, ci passò in mezzo una mano, peggiorando la
situazione.
Non solo dei capelli, ma anche quella di Samantha.
-Sam!-
-È venuto in spiaggia a cercare te. Dovevate vedervi lì, ha detto…-
Doveva riprendere fiato e soprattutto ricordarsi di respirare.
Se solo lui non avesse avuto quegli occhiali che Amanda diceva solo i burini
portavano e che a lei invece sembravano tanto eccitanti…
Ryan DeRio, la sua prima vera cotta, annuiva distrattamente come colto da un
pensiero che aveva finito col tenere per sé.
-Bene, Tappetta, allora vado. Meglio non far attendere i fratellone, eh?- e le
strizzò un occhio in modo amichevole.
Un’amica. Ecco quello che lei era per il grande amore della sua vita.
Una dannata, maledetta, banalissima amica.
La sorellina imbranata del suo migliore amico. Ma poteva andarle peggio di così?!?
Si era messa
al computer con l’intento di scrivere una relazione e ad aggiornare il proprio
–infinito, come scherzava sua madre- curriculum vitae, anche se era finita per
controllare un po’ troppo spesso la pagina di facebook e non aveva svolto neppure
metà del lavoro che si era prefissata.
Quando la porta d’ingresso si aprì con poca grazia rivelando la presenza
inopportuna di suo fratello Jason, erano le sette suonate.
-Alla fine non sei venuta in spiaggia.- si lagnò lui.
-Evidentemente…- Perché precisare una cosa tanto ovvia? Se non l’aveva vista in
spiaggia c’era davvero bisogno di rimarcare che era rimasta a casa?
-Pensavo saresti venuta. Non hai mica detto di no-
-Perché sarei dovuta venire? Non ho mica detto di sì-
-Eccola che ricomincia... Sam, la vita non è fatta solo di regole. Pensavo
saresti venuta perché è una bella giornata e magari ti saresti presa una
giornata di svago invece di stare sempre lì a fare “Miss Perfettina”-
Miss Perfettina.
Come la chiamava Amanda.
Cercò di non fargli vedere quanto quelle parole avessero il potere di ferirla
fino nel profondo, quanto ci stesse male a essere sempre l’asettica,
distaccata, fredda, insopportabilmente pignola Miss Perfettina.
-Jason, viviamo a San Diego, in riva all’oceano. California, hai presente? Qui
non fa mai davvero freddo, neppure d’inverno e abbiamo il sole trecentosessanta
fottuti giorni all’anno, -era partita bene, fredda e distaccata, però poi si
era fregata da sola con quella parolaccia: le diceva sempre quando si
accalorava per qualcosa e suo fratello la conosceva troppo bene per non
essersene accorto- con le eccezioni di Natale, Capodanno e, se siamo fortunati,
altri tre giorni a caso. Se dovessi seguire la tua regola del non fare nulla
perché c’è il sole sarei una nullafacente. Però non posso permettermelo, perché
io –e sottolineò quell’ “io” con
rabbia- non ho una sorella più grande che mi dà vitto e alloggio gratis e mi
devo pagare l’affitto e la vita e non sbuffare, Jason, perché che tu ci creda o
no, anche io ho una vita. E se darmi da fare mi rende Miss Perfettina, lascia
che questa Miss Perfettina ti dica una cosa: fuori da casa mia, ora e subito,
perché non ho intenzione di vedere ancora la tua faccia per stasera.-
Lui non se lo fece ripetere due volte, fece dietrofront, uscì dalla porta
d’ingresso sbattendosela alle spalle, inforcò il vialetto e salì sulla sua jeep
nera.
-I miei complimenti, Miss Perfettina- si disse Samantha guardandosi amaramente
nello specchio del corridoio: gli occhi erano accesi di una collera che non le
si confaceva, la coda da cavallo era sfatta e una bretellina della maglietta
era calata sulla spalla. –Anche stavolta sei riuscita a interpretare alla
perfezione il ruolo della stronza.-
Chissà se alla fine mi daranno un premio,
si chiese, dirigendosi in cucina per scovare qualcosa di commestibile nel
frigorifero.
Evidentemente non era destino.
Se lo ripeteva da
quel fatidico giorno in cui i rapporti con Amanda, quando oltre che sua sorella
era anche la sua migliore amica, erano andati sempre peggiorando.
Quando erano ancora piccoli, lei, Jason e Amanda, erano inseparabili: crescendo
Jason si era avvicinato agli altri ragazzi, mentre lei e sua sorella si erano
unite sempre più.
Amanda la vivace, Amanda l’anima delle feste, Amanda la star.
E poi c’era lei, la piccola Samantha, le efelidi sul naso, i capelli castani
così diversi dal biondo Californiano di sua sorella, il seno piccolo e la testa
sempre sui libri.
Per non dover incontrare lo sguardo
ferito di sua sorella.
Samantha che si perdeva nei vestiti sempre troppo grandi, Samantha che si
addormentava mentre gli altri la cercavano a nascondino, Samantha alla quale
non pesava stare in silenzio anche se era un fiume in piena di parole, Samantha
la sorellina piccola.
Samantha che viveva dell’ombra di sua sorella per paura delle luci della
ribalta.
Gliel’avevano detto in molti di godersi i suoi ventuno anni, di rendere pan per
focaccia alle occhiatacce di Amanda ma alla fine, vedendo che lei non cambiava
mai, si erano stufati ed erano spariti a poco a poco dalla sua vita.
Gli inviti alle feste erano diminuiti e chi la invitava non si aspettava mai
davvero che lei partecipasse.
“Stasera non posso, magari la prossima volta”, sorrideva, reclinando
cortesemente l’invito. Solo che non
c’era mai una prossima volta: o erano gli altri ad allontanarsi da lei o era
lei a mettere una distanza di sicurezza tra se stessa e il mondo.
Solo poche persone continuavano a girarle attorno, poche farfalle ubriache del
suo profumo fresco come le sere d’estate e la brezza dell’oceano.
-Evidentemente non era destino- si
lagnò nuovamente e agguantò un cleenex dalla scatola appoggiata sul divano.
-Stronzate.- Delicata come sempre, un vero fiore, Jasmine Wisteria, detta
affettuosamente ‘Minnie’, le diede un colpetto affettuoso sulla spalla per
comunicarle che, nonostante i modi e il linguaggio da scaricatore di porto, lei
comunque c’era.
Sempre.
-Ti dico che non era destino, Minnie- ripeté nel fazzoletto già umido Samantha.
-E io ribadisco il mio concetto: tutte stronzate. Piantala di piangerti
addosso, mica ti sei sposata il ruolo dell’ombra di tua sorella.-
-Non è solo quello, e lo sai…-
-Se stai frignando perché tuo fratello, per fare il bastardo, ti ha chiamato
Miss Perfettina allora è ancora meglio: ti confermo io che non lo sei. Ora la
puoi smettere che siamo in ritardo?-
Niente da fare, se c’era una cosa che Jasmine non conosceva era la parola “no”.
-Minnie, io non vengo a questa festa…-
-Adesso non fare la lagna! E poi “festa” è una parolona: è solo un ritrovo al
parco sopra casa tua, tanto la musica la sentirai comunque anche da qui, perché
fare l’orso e non venire? E poi così puoi controllare che non mi sbronzi come
la volta scorsa e soccorrermi per bene senza dover correre in mio aiuto alle
tre di mattina.-
Messa così non faceva una piega…
-Minnie…- tentò ancora con una nota di disperazione nella voce.
-Lo so, tesoro, certe volte mi sento così anche io.- E vedendo l’occhiata
incredula che Samantha le lanciò, si affrettò a precisare –Quando non so mai
che vestito mettere per i matrimoni. Per quanto io sia una persona decisa
rimango sempre con il dubbio tra due abiti. Però poi la soluzione è semplice:
basta indossarne uno e cambiarmi a metà serata!-
Se le
avessero detto che avrebbe dovuto sopportare anche il silenzio ostinato di Minnie
per tutto il tragitto da casa sua al parco, si sarebbe fatta una bella risata,
avrebbe preso un plaid e si sarebbe accoccolata sul divano nero di pelle che si
era comperata appena aveva fermato la casa e tanti saluti.
La sua amica era entusiasta dall’idea di andare al parco, lo vedeva da come
camminava, ma si stava mordendo la lingua pur di farle pesare i suoi gusti in
fatto d’abbigliamento.
-Sembri una turista Europea- borbottò per l’ennesima volta.
-Un paio di leggins non fanno mica Europea!-
-Sì se li indossi con una maglietta del genere e hai i capelli scuri.-
-Wisteria, a momenti anche gli anziani con i capelli bianchi hanno un colore di
capelli più scuro dei Californiani!-
-Non chiamarmi così! Lo sai che i miei si erano bevuti completamente il cervello
nel momento di darmi un nome. Chi è che chiamerebbe la propria figlia
‘Gelsomino’ e ‘Glicine’ solo perché sono le prime piantine che le sono state
regalate dai parenti appena nata?- effettivamente non aveva poi tutti i torti.
Samantha conosceva i coniugi Skinks abbastanza da sapere che con loro la parola
sobrietà non sarebbe mai stata all’ordine del giorno –E riguardo ai capelli:
dettagli. Senza contare che poi tu sei pure castana e bassetta rispetto alla
media Americana, quindi puoi passare perfettamente per un’Europea-
-Ed è una cosa tremenda perché…?-
-Si rimorchiano le straniere se sono solari e disponibili- e le lanciò
un’occhiata eloquente –e se hanno gambe chilometriche o due tette così- e mimò
il gesto con le mani.
-Non sono certa di non dovermi sentire offesa-
-Sam, siamo oneste: sei venuta praticamente in tuta! A una festa alla quale avresti dovuto essere carina. Ora,
capisco che vuoi dare l’idea della persona compita che prende sul serio il
proprio lavoro, però così dai solo l’idea della bacchettona pure un po’
frigida-
-Ah-
-E ti sei messa una maglia talmente lenta che ci si perde la tua seconda di
reggiseno. Senza contare le ciabattine da mare…-
-Non mi hai dato tempo di prepararmi- si scusò evitando lo sguardo dell’amica.
La musica cominciava ad essere alta e per farsi sentire fu costretta ad alzare
notevolmente il volume della propria voce.
-Perché nell’armadio hai una marea di vestitini. Che li compri a fare se tanto
non li metti mai?- le chiese Minnie allontanandosi per salutare degli amici che
aveva intravisto nella calca di persone e fendendo la folla di ubriachi come se
niente fosse.
Per lei erano tutti sconosciuti. Si era trasferita dal nord California, dove
era nata e cresciuta e dove ancora viveva sua madre, a San Diego, dove già vivevano
sua sorella Amanda e suo fratello Jason con la voglia di godersi il sole e
l’oceano e di sentirsi finalmente libera.
In quattro mesi però non aveva fatto grandi amicizie, conosceva i ragazzi che
negli anni precedenti le aveva presentato Jason e alcuni dei tanti amici di
Minnie.
Nella massa però riconobbe, tra le tante chiome bionde, una particolarmente
indisciplinata, capelli sparati da tutte le parti ancora freschi di doccia e
che avevano sfidato la sabbia e la salsedine probabilmente per tutto il giorno.
Non vedeva il suo viso ma sapeva che, sotto la fronte ampia, c’era un naso
dalle linee dure e che le ciglia degli occhi erano così lunghe che ogni volta
sentiva la tentazione di sporgersi e prendergliele tra le labbra. Conosceva le
pieghe di quella bocca che l’aveva fatta sospirare a lungo negli anni e avrebbe
passato ore a carezzare le guance leggermente ruvide quando dimenticava di
farsi la barba.
Ryan DeRio.
Parlava con una sventola bionda, con tanto di gambe da fenicottero e seno
prosperoso e Samantha sentì una dolorosa stretta allo stomaco.
Madre Natura, appurato vari anni addietro con Minnie e Julia, un’altra loro
amica, che era dell’Africa e se la faceva con tale Padre Albero, era stata
piuttosto ingiusta.
La sventola in questione indossava un indumento che definire abito sarebbe
stato eccessivo: copriva a mala pena le grazie della fanciulla ma questa, lungi
dal risentirsene, approfittava di ogni occasione per scoprire le gambe toniche
e spingere in fuori, con malcelata noncuranza, il petto generoso.
Risentì nella sua mente la domanda di Minnie: -Perché nell’armadio hai una marea di vestitini. Che li compri a fare
se tanto non li metti mai?-
-Perché non si sa mai.- rispose a se stessa sottovoce.
D’altro canto, chi poteva sapere quando le sarebbero serviti? Meglio non farsi
trovare impreparate…
-Allora, ti
piace la musica?- Le chiese Jasmine.
E quattro. Se avesse dovuto mentire ancora a lungo alla sua amica, piuttosto
alticcia e con l’ennesimo bicchiere di birra in mano, che continuava a farle a intervalli di tre minuti sempre la stessa domanda,
Samantha si sarebbe volentieri messa le mani nei capelli e avrebbe gridato
forte.
Annuì, giusto per fare qualcosa e la vide sorridere mentre riprendeva a muovere
il capo in modo forsennato per stare a ritmo.
Come facesse a non rovesciarsi tutta la bibita addosso rimaneva un mistero.
La canzone finì ma ne iniziò un’altra talmente simile che Samantha si chiese se
avessero cambiato solo le parole mantenendo la stessa base. Represse a stento
uno sbadiglio e sbirciò l’orologio: l’una e mezza.
Per la miseria, ma a San Diego non c’erano regole da rispettare? Un orario in
cui smettere di strimpellare a tutto volume e andare a dormire?
Aveva le gambe a pezzi, più per essere rimasta ferma come un palo mentre Minnie
le ballava attorno che per essersi mossa.
Suo fratello non si era visto, o forse non l’aveva visto lei: d’altronde era
una festa in un parco, con tanto di palco per i cantanti e la vasta distesa di erba
fungeva da pista. E poi probabilmente se c’era suo fratello era a una distanza
di sicurezza dal tavolo del cibo e delle bevande: la sicurezza di allungare un
braccio e di riuscire a far rifornimento senza sprecare troppe energie.
-Allora, ti piace la musica?-
E cinque. Di quel passo avrebbe supplicato Minnie di tacere pur di non mentirle
ancora. Per non sbilanciarsi, annuì nuovamente.
Uno spasso.
Evidentemente anche una tipetta con i capelli rossi e una gonna che Samantha
avrebbe etichettato come ‘cintura’ la pensava come lei: uno spasso. Però lei
ballava, o meglio si strusciava a Ryan e probabilmente questo dava punti alla
serata e la rendeva non solo divertente, ma memorabile.
-Allora, ti piace la musica?- E sei.
-Uno spasso- si ritrovò a dire.
Evidentemente Minnie approvava perché fu il suo turno di annuire, soddisfatta.
Sbirciò di nuovo l’orologio e sbuffò: le due.
Tornò ad alzare il capo e si rese conto che in realtà non guardava tutta la
folla in modo omogeneo: fissava tanto intensamente il miglior amico di suo
fratello strusciarsi con la tipa dai capelli rossi che non si sarebbe affatto
sorpresa di vederla cadere a terra stecchita dalle occhiatacce che le stava
inviando mentre quella, noncurante, le mostrava il didietro tentando di
baciarsi Ryan.
Era talmente presa che neppure si accorse quando lui alzò lo sguardo e incrociò
il suo con un sorriso divertito sulle labbra e l’espressione furba negli occhi.
-Merda!- sibilò girandosi verso Minnie e tentando una o due mosse col corpo.
Pessima idea.
-Sembri un burattino a cui hanno appena tagliato i fili!- ecco, ci mancava
giusto la sua migliore amica a darle il colpo di grazia. Anzi che non le aveva
chiesto... -Allora, ti piace la musica?-
Ma non fece in tempo a risponderle: una mano abbronzata le si parò davanti
assieme a un bicchiere di birra. Dal profumo sembrava…
-Birra all’arancia, la tua preferita!-
Per poco non si strozzò con la propria saliva.
Conosceva Ryan da quando era ancora una marmocchia, era il migliore amico di
suo fratello e la trattava come se Amanda fosse stata una sorellina anche per
lui: perché le faceva ancora quell’effetto?
-Grazie- accettò la birra di buon grado, continuando a fissarlo da sopra la
schiumetta che usciva dal bicchiere di plastica.
L’aveva osservato per tutta la serata, eppure continuava a guardare rapita la maglia
aderente leggermente bagnata di sudore che si tendeva sui bicipiti e lo
accarezzava come una seconda pelle. Chissà come sarebbe stato passare i
polpastrelli sui suoi pettorali dopo esserci stata a letto insieme…
la birra le andò di traverso e nel tentativo di non soffocare davanti a lui
iniziò a tossire furiosamente. Lui rise scuotendo il capo e si avvicinò al suo
orecchio.
-Che dici se ti riporto a casa?-
Poteva prenderla come una proposta indecente? Sarebbe stato troppo saltargli
addosso in un parco durante una festa?
-Dammi il tempo di chiamare Sarah e tuo fratello e andiamo, eh?- e iniziò a
cercare con lo sguardo dei volti tra la folla.
-No!- rispose Samantha, aggrappandosi con urgenza al suo braccio. Un conto era
stare da sola con lui, un conto era trovarsi con lui e Jason. E
quell’impicciona di Sarah.
-No, grazie. Sono con Minnie- lo liquidò sperando che lui insistesse per
accompagnarla.
Invece si limitò a scrollare le spalle e a sorriderle –Come vuoi, Tappetta- e
sparì nella massa di persone danzanti.
Samantha guardò sconsolata l’orologio: le due e mezza. Ma quando sarebbe
finita?
Sentiva le tempie pulsarle e ogni tanto le immagini vorticavano su se stesse
facendole perdere l’orientamento.
-Due minuti e andiamo- sibilò arrabbiata a Minnie.
Quella annuì ma poi, vedendo due ragazzi carini che le sorridevano
avvicinandosi, si aprì in un sorriso tutto fossette.
E a Samantha venne voglia di piangere.
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° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ ° ~ °
Ebbene sì,
sono davvero tornata su Efp!
Se sono qui è in parte merito di pepita,
splendida persona nonché magnifica beta, e di Mimmi che ascolta sempre i miei deliri di parole con incredibile
pazienza.
Infine, vorrei ringraziare C. che sa
riempire i silenzi anche senza dire una parola.
Questa
storia è nata durante un lunghissimo viaggio, nella calura estiva del deserto e
tra infinite pianure.