'Cause I know that you feel me somehow - Klaine Week

di Alchbel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1. Cooper + Klaine ***
Capitolo 2: *** Day 2. Roomates!Klaine ***
Capitolo 3: *** Day 3: Heroes!Klaine ***
Capitolo 4: *** Day 4: Skank/Nerd Klaine ***
Capitolo 5: *** Day 5: Photographer/Model ***
Capitolo 6: *** Day 6: Dalton!Klaine ***
Capitolo 7: *** Day 7. Winter in New York ***



Capitolo 1
*** Day 1. Cooper + Klaine ***


'Cause I know that you feel me somehow.

 

Day 1: Cooper + Klaine 

Secret Pleasure.

 

 

«Avanti Blaine, perché devi farti pregare ogni volta?».                     

Il minore degli Anderson sbuffò sonoramente, ma più per scena che perché fosse davvero scocciato. Non vedeva suo fratello da un po’ di tempo ormai e il fatto che fosse in città – anche se per lavoro – era un’occasione che davvero non poteva farsi scappare, soprattutto da quando avevano riallacciato i rapporti.

«Sono secoli che non ci vediamo…», si lamentò, appunto, Cooper.

«Appunto, sono secoli e sarebbe bello andare in un semplice localino per mangiare qualcosa… non in una discoteca gay che neanche conosco!».

«Sei noioso, Blaine! Se lo dicessi a Kurt sarebbe immediatamente d’accordo!».

«Non farai nulla del genere! L’ultima volta che siamo andati in un locale gay è finita in modo pessimo e davvero non ho bisogno di repliche…».

«È finita male solo perché sei un coglione e ti sei ubriacato. Stavolta sarà diverso: ci sono io e farò in modo che siate entrambi responsabili».

Perché la cosa non suonava così credibile detta da lui?

«Ma tu ti sentiresti a disagio, no? Insomma, i locali gay non sono il tuo genere di posti», tentò di dissuaderlo sempre con minore convinzione Blaine.

«Mi sto aprendo a nuove esperienze, fratellino, quindi tranquillo: sarà interessante per tutti!».

Il riccio colse immediatamente il doppio senso della frase ed arrossì fino alla punta dei capelli, ringraziando il cielo che la conversazione fosse per telefono.

«Niente più scuse: passo alle dieci, poi andiamo a prendere Kurt. Siate puntuali».

La chiamata terminò prima che il più piccolo potesse avere ancora voce in capitolo. Blaine restò a fissare il display per qualche istante: aveva un brutto, pessimo presentimento per quella serata, ma ormai la cosa era fatta e non ci sarebbe stato modo di evitarlo. Per questo si diede una scossa e chiamò Kurt, avvisandolo dei nuovi programmi.

«É un'ottima idea!» esclamò felice il suo ragazzo, appena ebbe esposto la cosa «Non vedi Cooper da un po', sarà una bella serata».

Blaine mugugnò, senza essersene ancora convinto del tutto.

«Qual è il problema, Blaine?»

«Non so... non mi convince la cosa: Coop ha insistito particolarmente e quando ci tiene così tanto non è mai un buon segno, credimi».

«Oh, avanti! Dagli una possibilità per una volta» rise Kurt «Vedrai che andrà benissimo».

«Se consideri i nostri precedenti nei locali gay...»

«Ecco, era qua che volevo arrivare: possibile che ancora pensi a quella storia? È davvero acqua passata, quindi, per favore, andiamo e divertiamoci... almeno così potrai bilanciare la bella esperienza di stasera con l'altra e limitare il tuo pregiudizio. D'accordo?»

«O potrebbe essere la volta buona che ti convinci anche tu del contrario...», sussurrò Blaine.

«Ti ho sentito!» rise di nuovo l'altro «Dai, a che ora passate?».

«Per le dieci e mezza saremo da te».

«A dopo, allora! Ti amo».

«Ti amo anche io».

Blaine chiuse anche la seconda chiamata del pomeriggio e no, il presentimento che fosse un pessima idea non si era minimamente fatto intimorire dall'ottimismo del suo ragazzo. Si disse che era semplicemente paranoico e che davvero avrebbe potuto dare, per una volta, una possibilità  a suo fratello e si avviò verso il bagno per farsi una doccia.

 

***

 

«Kurt! È bello rivederti!».

Il maggiore degli Anderson strinse a sé il ragazzo con affetto e poi lo guardò bene, dall'alto al basso, con occhio critico «Però, mica male il ragazzo!».

Kurt arrossì lievemente e guardò prima Blaine e poi Cooper senza sapere se dovesse sentirsi o meno a disagio. Il suo ragazzo spezzò quell’imbarazzo tirandolo a sé e lasciandogli un dolce bacio sulle labbra – a nessuno sfuggì il brillio negli occhi del più grande che li guardava attento.

 «Su, piccioncini, pronti per una serata folle?», li incitò risalendo in macchina e lasciando che entrambi prendessero i posti dietro.

«Ecco, è di questo che voglio ancora parlare», prese la palla al balzo Blaine «Non sarà nulla di eccessivo, vero?».

«Dio, Kurt, ma come fai a sopportarlo?», si lamentò Cooper «O forse fa la mamma chioccia solo con me?».

«Avrò le mie ragioni, ti pare?», sbuffò il minore, mettendo un broncio che solo il bacio divertito di Kurt riuscì a far sparire.

«Gli stiamo dando una possibilità, ricordi?», gli sussurrò all’orecchio – consapevole ovviamente delle occhiate che il guidatore stava lanciando loro attraverso lo specchietto retrovisore.

«Promettimi che quando questa cosa finirà male mi lascerai dire “te l’avevo detto”».

Stavolta fu Kurt a sbuffare «Pessimista!».

«Realista», lo contraddisse Blaine, proprio mentre Cooper parcheggiava.

Scesero senza che nessuno dicesse nulla ed immediatamente si trovarono a fissare la grande insegna luminosa davanti a loro. Con un bianco quasi accecante, un “Secret Pleasure indicava il nome della loro meta. Kurt sorrise: pareva di classe, in qualche modo raffinato, di certo lontano dal target dello Scandals; Blaine, dal canto suo, non aveva mai sentito parlare del posto, nonostante non distasse così tanto da Lima e doveva ammettere – con un certo orgoglioso rammarico – che non c’era nulla di sospetto.

«Entriamo?», chiese cortese il loro cicerone improvvisato, facendogli strada verso l’interno che, se possibile, fece loro ancora una migliore impressione dell’esterno.

L’ambiente era ovviamente poco illuminato, ma le luci soffuse di vari colori riuscivano a riscaldarlo e conferirgli un’aria di eleganza che impreziosiva quella semi oscurità. I due ragazzi si guardavano intorno stupiti, come due bambini al luna-park: no, non c’era davvero nulla lì che ricordava loro l’ultimo locale gay dove erano stati. La musica era forte, ma non stordiva più di tanto e i tre si sedettero su un divanetto di pelle davvero comodo.

Fermarono il primo cameriere che passò loro accanto e Cooper li prevenne prima che potessero ordinare.

«Solo analcolici per loro, Alex, sono ancora piccoli», fece, con una certa scioltezza e l’altro annuì come se lo conoscesse.

«Li hai portati per…», azzardò quello.

«Per far conoscere loro l’ambiente», lo prevenne con uno strano sguardo il più grande «Michael è già qua?».

«Lo trovi sul retro», si limitò stavolta a dire il cameriere, dopodiché se ne andò, digitando qualche tasto sul taccuino elettronico, nonostante effettivamente nessuno aveva ordinato qualcosa.

«Lo conosci?», dedusse – riservandosi un tono interrogativo – Blaine.

«Sì… ascoltate, devo parlare con un amico di affari. Voi intanto mettetevi comodi e attendete le ordinazioni», rispose vago Cooper prima di alzarsi e fare per allontanarsi «Ah, buono spettacolo», ammiccò e poi si mosse verso il retro del palco attorno al quale erano sistemati i tavolini con i vari divanetti.

«Pensi che facciano karaoke?», chiese curioso Kurt e l’altro pregò che non fosse così, perché, altrimenti, aveva la sensazione di sapere cos’era andato a chiedere Cooper a quell’Alex e davvero non aveva voglia di un nuovo duetto davanti a tutti – non uno con suo fratello, quantomeno.

Se solo avesse capito che cosa li aspettava, il duetto sarebbe davvero stata l’ultima delle sue preoccupazione.

Mentre avevano appena cominciato a sorseggiare i cocktail analcolici che un altro cameriere aveva portato e stavano prendendo confidenza col posto, rilassandosi e chiacchierando tra loro, d’improvviso le luci si abbassarono, facendo piombare ogni cosa nella più totale oscurità. Istintivamente, Kurt e Blaine si avvicinarono, fino a che non avvertirono la presenza l’uno dell’altro  e cercarono di distinguere qualcosa di ciò che fino a pochi istanti prima li circondava.

«Pessimista, eh?», si lamentò Blaine.

«Non sarà certo colpa di Cooper! Ci dovrà essere stato un guasto a-», ma l’altro non riuscì a finire di parlare perché in quel preciso istante un fascio di luce aveva illuminato la parte centrale del palco che stava loro di fronte e su di esso erano appena apparsi cinque uomini in impermeabile scuro. Per qualche istante tutto restò fermo, congelato: i cinque protagonisti della scena sembravano manichini, resi tutti uguali dall’abbigliamento e dai cappelli che, calati sul viso, impedivano di riconoscere i diversi tratti somatici.

Poi la luce si mosse e ad essa si unì il suono, una musica disco che a scatti accompagnava anche i movimenti dei ragazzi sul palco. Si muovevano fluidi, sinuosi come rettili e fu impossibile tanto per Kurt quanto per Blaine non far cadere l’attenzione sui bacini invitanti che si avvicinavano sempre più.

«Un locale… di spogliarellisti!», sussurrò Blaine, che non sapeva se essere più scandalizzato e furioso col fratello o più irrimediabilmente attratto da ciò che si stava ora muovendo sulla base di “I’m sexy and I know it.

«Voleva… farci una… sorpresa», cercò ancora una volta di difenderlo Kurt, anche lui distratto dallo show.

Il pubblico intorno a loro applaudiva e gridava per l’approvazione, ma non era nulla in confronto a ciò che si scatenò quando volarono via gli impermeabili ed i cappelli. Il caos fu così totale da non permettere ai due di capire più nulla. Funzionava solo la vista ed era abbastanza occupata al momento.

Almeno fino a che Blaine – e dopo qualche istante anche Kurt – non capì quale fosse la vera sorpresa che Coop aveva in serbo per loro. Era lì, sul palco, tra gli altri spogliarellisti, che si destreggiava con movimenti pelvici, perfettamente a suo agio in quello che era diventato un tripudio di fischi, risate e mani che si allungavano – soprattutto mani piene di banconote.

I vari “attori”, continuando a muoversi in modo flessuoso, tirarono via anche i gilettini lucidi, scoprendo i loro petti scolpiti – compreso Cooper, ovviamente. Blaine, in quel momento, sarebbe voluto scomparire. Suo fratello si stava esibendo davanti a tutti – a Kurt! – in uno strip tease che probabilmente lo avrebbe lasciato – nel migliore dei casi – in mutande.

Non poteva crederci!

Coop si avvicinò sempre più, fino a che non incontrò sfacciatamente – e con un sorrisetto ironico – prima lo sguardo di Kurt, ammiccandogli, e poi quello di Blaine. Il minore gli lanciò lo guardo più allucinato e sconvolto che avesse mai fatto, ma ovviamente questo non fece altro che far inorgoglire ancora di più il maggiore, che ora, a pochi passi da loro, si abbassò fino a stendersi per terra muovendo il bacino su e giù, come un serpente, con fare provocatorio.

Kurt deglutì, senza sapere quanto e se vergognarsi e spostò lo sguardo su Blaine, che aveva assunto una tonalità rosso fuoco distinguibile anche nella poca luce del locale, alla ricerca di una direttiva. Quando Cooper fu tornato in piedi e si fu allontanato abbastanza da loro, anche il riccio cercò lo sguardo del suo ragazzo.

«Kurt io-».

«Tuo fratello è uno stripper! Siamo in un locale di spogliarellisti in cui tuo fratello è uno stripper! Chiariamoci, probabilmente sarebbe stata una di quelle esperienze da togliere insieme dalla nostra lista di cose da fare… ma ti giuro che non avrei mai immaginato di farlo in questo modo!».

Blaine davvero non sapeva che cosa dire ed entrambi attesero ancora qualche istante che il numero finisse, dopodiché scattarono verso i camerini, dietro il palco.

«Cooper Anderson!», gridò il più piccolo, senza saper bene dove andare «Cooper Anderson ti voglio immediatamente qui!».

Kurt non sapeva se ridere o meno, anche se dopo l’imbarazzo iniziale, non poteva negare che la situazione era di un’ilarità pazzesca.

«Schizzo! Allora come ti sono sembrato?».

La testa scura di Coop aveva fatto capolino dalla stanza in fondo al corridoio. Blaine dovette prendere un respiro profondo per non sbottare in grida senza senso che sarebbero state solo controproducenti.

«Uno: non chiamarmi Schizzo, sai benissimo che non sopporto quando lo fai. Due: cosa diavolo stai facendo?! Perché lavori qui, perché hai fatto… quello?! Tre: uno strip club?! Ci hai portati in uno strip club? Era questa la tua idea di serata da trascorrere con tuo fratello e il suo ragazzo? Niente di eccessivo, per carità!».

«Blaine, Blaine, Blaine!».

Il maggiore lo prese per le spalle, cercando di farlo calmare, perché nel gridare così, si era praticamente dimenticato di respirare.

«Fa’ un bel respiro. Così, con calma. Ora, cercando di ricordare tutto quello che mi hai chiesto… adoro chiamarti Schizzo, è un nomignolo perfetto; è un lavoro provvisorio, sai che vado in giro a fare nuove esperienze e questa mi è sembrata davvero interessante: non si sa mai che ruolo potrebbero offrirti, devi essere pronto a tutto! E sì, pensavo che sarebbe stata una serata perfetta: ho unito utile al dilettevole, vi ho portati in uno strip club gay – non ditemi che non avete apprezzato tutto quello che abbiamo mostrato» e qui non poté mancare lo sguardo ammiccante «E in più posso avere dei giudizi obiettivi sulla mia performance! Avanti, come sono andato? Sono stato abbastanza provocante, ho scosso i vostri ormoni? Si è mosso qualcosa lì sotto?!».

«COOPER ANDERSON!», Blaine non aveva mai gridato così, ma ovviamente la cosa non sconvolse minimamente il maggiore degli  Anderson, anzi, se possibile, il suo sorriso si allargò ancora di più.

«Uh! Immagino sia un bel sì, questo! Bene, ottimo lavoro Coop! Ora se non vi spiace, avrei un numero da preparare. A dopo!» e con un occhiolino se ne andò, lasciando i due ragazzi di stucco, senza sapere davvero che fare.

Blaine ebbe la forza di lanciare un eloquente sguardo al suo ragazzo che alzò gli occhi al cielo.

«Sfogati», gli concesse.

«Te l’avevo detto, Kurt. Io te l’avevo detto!».

 

 

 

 

 

 

 

 

____________________________

Eh sì! Stavolta anche noi abbiamo deciso di prendere parte a questa magnifica iniziativa, organizzata dalla grande Flan, per una nuova Klaine Week! E quale momento, se non questo, per indirne una? Anche solo per ricordare che, nonostante tutto, i Klaine sono endgame e si troveranno sempre e comunque!

Come vedete abbiamo cominciato con qualcosa, nel nostro caso particolare, di divertente, perché Cooper è un personaggio meraviglioso e merita il suo spazio xD Io e la Bel ci siamo divisi i sette prompt, stavolta è toccato a me – Alch – le prossime starete a vedere.

Spero sia stato un buon inizio :) Ringraziamo tutti coloro che presteranno attenzione

A domani, per il resto delle shot e a stasera per l’aggiornamento di “Klaine Songs 2”.

 

Alch

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Capitolo 2
*** Day 2. Roomates!Klaine ***


Ten Things I Hate About You

 

 

 

 

Un taxi si fermò davanti a un imponente edificio di mattoni rossi, circondato da un basso cancello scuro; una delle porte che dava sul retro si aprì per lasciar scendere un giovane ragazzo spaurito, con il naso all’insù e i suoi grandi occhi azzurri sgranati. Subito dietro di lui, scese una ragazza bassina, con i lunghi capelli mossi scossi dal vento e un sorriso entusiasta sulle labbra.

 

«Kurt, non posso credere di essere qui! Con te!» esclamò, abbracciando forte il ragazzo al suo fianco.

 

«Già, neanchio…» le rispose il ragazzo senza fiato, ricambiando l’abbraccio dell’amica.

 

«Ehi, voi due! Avete intenzione di scaricare i vostri bagagli o siete rimasti imbambolati?»

 

Il tassista li riportò alla realtà con la sua voce e i suoi modi poco cordiali. Così i ragazzi scaricarono le loro valigie dal taxi, pagarono la corsa e si avviarono dentro l’edificio. Una targa d’ottone lucido troneggiava all’entrata, recitante solo le seguenti lettere: NYADA.

 

 

***

 

 

Persino le loro valigie non sembravano tanto pesanti mentre si trascinavano lungo il corridoio, alla ricerca delle loro rispettive stanze. Kurt salutò Rachel davanti a una porta di legno scuro e si avviò da solo fino al piano di sopra, dove si trovavano le stanze dei ragazzi. Giunto davanti a una porta con su appeso il numero 8, fece un profondo respiro prima di abbassare la maniglia e aprire la porta.

 

Circa un nanosecondo dopo – il tempo di realizzare esattamente ciò che aveva davanti agli occhi – la richiuse di scatto, rosso in viso e con il battito del cuore accelerato per la sorpresa e anche per ciò che aveva visto. Stringendo la presa sui manici delle sue grosse valigie, Kurt fece qualche passo all’indietro, incapace di staccare gli occhi da quella porta… che improvvisamente si aprì.

 

Una testa riccia spuntò dalla fessura tra la porta e lo stipite, due occhi color nocciola – o verdi? – si fissarono su Kurt, che notò quanto anche il ragazzo di fronte a lui avesse le guance rosse, sebbene per altri motivi.

 

«Ciao!» gli disse lo sconosciuto con voce affannata. «Scusa per… beh, quello.» Fece un gesto strano, come se stesse per allungare la mano per presentarsi correttamente ma poi sembrò ripensarci su.

 

Tieni quella mano lontana da me! Pensava Kurt nel frattempo.

 

«Sono Blaine comunque…» continuò l’altro, sorridendogli.

 

«Kurt,» rispose con la voce più fredda e distaccata possibile, nonostante le sue guance fossero ancora rosse.

 

«Io… beh, è meglio che vada. Ti dispiace aspettare – uhm… mezz’ora?»

 

Una parte di Kurt avrebbe voluto rispondergli di no, che non avrebbe aspettato, che pretendeva di entrare nella sua stanza in quel preciso istante, ma gli fu impedito dall’espressione da cucciolo che il suo futuro compagno di stanza aveva appena assunto. E così Kurt si trovò a dirgli che certo, non aveva nessun problema a tornare tra mezz’ora, e dopo un frettoloso grazie da parte dell’altro si era ritrovato di nuovo a fissare la porta chiusa.

 

Rimase fermo imbambolato per qualche istante, cercando di cacciare via dalla sua mente la scena cui aveva appena assistito, finché un gemito che non lasciava spazio a dubbi si levò da dietro la porta chiusa. Pertanto Kurt si voltò, il viso in fiamme, e volò giù fino davanti alla stanza di Rachel.

 

«Rachel, aprimi, sono Kurt!»

 

La ragazza comparve sulla soglia, sorridente e con i capelli raccolti in una coda, ma quando vide l’espressione sconvolta del suo migliore amico, lo fece entrare chiedendogli cosa fosse successo, preoccupata.

 

«Il mio compagno di stanza stava facendo sesso e mi ha chiesto di tornare fra mezz’ora,» snocciolò in un fiato.

 

«Oh!» disse la ragazza sedendosi al suo fianco con un sorrisetto sulle labbra. «Beh, sono cose che capitano nei dormitori… Non dovresti sorprenderti più di tanto, soprattutto perché credo che ne vedremo di tutti i colori in giro per New York.»

 

«Credimi, Rach, ho visto abbastanza!»

 

 

***

 

 

Kurt si presentò in stanza circa un’ora dopo. Non bussò – dopotutto, quella era anche la sua stanza e non capiva perché mai dovesse chiedere il permesso di entrarci – ma comunque la aprì lentamente e facendo sì che una delle sue valigie sbattesse contro il legno, di modo che chiunque ci fosse stato dall’altra parte lo avrebbe sentito.

 

Dato che non ci fu nessun segno, né rumore, strano, Kurt aprì completamente la porta ed entrò nella sua stanza. Il suo compagno era seduto a gambe incrociate sul letto, un libro sulle ginocchia e lo sguardo concentrato. Non appena lo sentì entrare, alzò lo sguardo e si alzò dal letto, sorridendogli mentre gli veniva incontro con la mano tesa. Kurt l’afferrò, guardandola prima con occhio critico.

 

«Piacere, io sono Blaine Anderson.»

 

«Kurt Hummel

 

«Scusa per prima… Avrei dovuto pensare che saresti potuto arrivare da un momento all’altro,» si scusò il ragazzo, grattandosi la testa riccia e squadrandolo da capo a piedi con aria dispiaciuta.

 

Kurt rimase fermo sotto lo sguardo caramellato – verde, nocciola, che diamine di colore è? – del suo compagno di stanza, e si sentì invadere da una profonda, inspiegabile sensazione di fastidio e da una voglia incontrollabile di far smettere a quegli occhi di scrutarlo. Sarebbe stato troppo brutto tirargli un pugno in pieno viso?

 

«Oddio, e ora chissà quale idea ti sarai fatto di me! Io… non capita spesso, ma a volte succede. È che mi piace divertirmi…»

 

Kurt rimase per un attimo in silenzio a fissarlo, domandandosi effettivamente il motivo del suo comportamento – anche se, effettivamente, non erano affari suoi – e scacciando via la sensazione che ci fosse molto di più sotto.

 

«Beh, vedi di non farlo più succedere.» Kurt si voltò, spostando le sue valigie fino a posarle sul letto e concentrandosi sui suoi vestiti, così che non poté cogliere il tono sarcastico di Blaine.

 

«Certo.»

 

 

***

 

 

Le lezioni alla NYADA cominciarono, e Kurt fu totalmente assorbito da esse. La loro insegnante di danza, Cassandra July, era una stakanovista, sembrava prendersela con tutti gli studenti, ma pareva proprio che avesse preso Rachel in antipatia. Kurt si impegnava tantissimo, era sempre uno dei primi a imparare le coreografie, ma mai quanto Blaine. Dopo la prima lezione insieme, Kurt poteva giurare che Blaine sembrava nato per ballare; non l’avrebbe mai detto, ma Blaine era davvero bravissimo. Quasi senza che se ne accorgesse, si trovò a stringere i pugni mentre guardava la loro insegnante congratularsi con Blaine e praticamente adorarlo con lo sguardo.

 

E non fu la sola. Anche tutti gli altri loro insegnanti sembravano venerare Blaine. Il loro insegnante di canto se ne innamorò fin da subito, fin da quando Blaine aprì bocca per solfeggiare; la loro insegnante di dizione decretò che Blaine non avrebbe avuto bisogno delle sue lezioni, e lo costrinse ad aiutarla con tutti gli altri studenti; il loro insegnante di recitazione rimase a bocca aperta quando Blaine riuscì a far sciogliere metà del suo pubblico in lacrime – e no, Kurt non aveva nessun magone in gola, assolutamente – nella sua interpretazione di Christian di Moulin Rouge.

 

Tutti adoravano Blaine. Aveva un nugolo di studenti petulanti al seguito, persino i ragazzi più grandi lo veneravano. Kurt invece, lo odiava. Non ce l’aveva con lui solo perché fosse invidioso di lui e della sua bravura – anzi, era a dir poco stimolante avere un tale elemento in classe insieme, perché lo spronava a impegnarsi sempre di più – ma i motivi erano ben altri.

 

Tanto per cominciare, Blaine sembrava sempre fissarlo in un modo che Kurt non riusciva a interpretare, e che lo mandava in confusione; poi aveva il vizio di usare qualsiasi bagnoschiuma o shampoo si trovasse sotto mano, non importava di chi fosse, e Kurt si era quindi ritrovato ben presto senza niente ed era stato costretto ad andarsene a comprare dell’altro – a nulla erano valse le sue proteste, Blaine si era limitato a scusarsi con quel suo sorriso perfetto, ma aveva poi continuato a usare i prodotti di Kurt. Non aveva nessun senso del pudore, o per lo meno così sembrava, dal momento che usciva dal bagno sempre con un asciugamano legato alla vita e un sorrisetto sulle labbra, intento a fissare un Kurt rosso come non mai. Il fatto che fosse sempre circondato da adulatori, non permetteva a Kurt di studiare in santa pace nella sua stanza, o perché erano proprio fisicamente presenti lì, oppure perché erano fuori dalla porta a schiamazzare per cercare il coraggio di bussare.

 

E infine… beh, Blaine non aveva ancora perso il vizio di portare le sue nuove conquiste in camera, costringendo Kurt a una veloce ritirata.

 

Era un freddo pomeriggio di fine ottobre quando Rachel gli aprì la porta della sua stanza senza dire una parola – l’espressione sul viso di Kurt le bastava per sapere il motivo della presenza del suo amico lì.

 

«Un’altra volta?» chiese Rachel più per cortesia che per altro.

 

Kurt sbuffò, prima di andarsi a sedere a gambe incrociate sul letto di Rachel, annuendo alla sua amica. Non capiva il motivo per cui si sentisse così male a causa di Blaine e delle attenzioni che tutti sembravano riservargli, e dei ragazzi che gli gironzolavano intorno; più che altro non sapeva spiegarsi il fastidio di doversene andare dalla sua stanza ogniqualvolta Blaine avesse delle… visite.

 

Proprio in quel momento, la compagna di stanza di Rachel fece capolino con la testa dal bagno, fissando lo sguardo su Kurt.

 

«Oh Kurt! Se tu sei qua, vuol dire che Blaine è…

 

Kurt aggrottò le sopracciglia. La ragazza squittì e si precipitò fuori dal bagno in accappatoio per afferrare il cellulare e iniziare a digitare velocemente sulla tastiera.

 

«Cosa diavolo…

 

«Oh, credimi Kurt, non lo vuoi sapere,» disse Rachel ridacchiando ma, dopo l’occhiata eloquente del suo amico, riprese a parlare con uno sbuffo. «Hanno fondato tipo un fan club di Blaine Anderson, e non si lasciano scappare neanche una notizia su di lui, soprattutto sulla sua vita… sessuale.»

 

Kurt grugnì e affondò il viso tra le braccia.

 

«Ma lo sanno che è gay, sì?»

 

«Sembra che non importi, anzi.»

 

Kurt rimase lì per circa un’ora e mezza, indispettito come non mai, ma soprattutto confuso. Capitava che lo fermassero in giro per la scuola per chiedergli di Blaine, e Kurt all’inizio rimaneva senza parole, colto del tutto alla sprovvista. Poi però aveva iniziato a rispondere male a tutti. Odiava il fatto che lo conoscessero solo come “il compagno di stanza di Blaine Anderson”, si sentiva quasi come Ron Weasley. Con la differenza però, si disse, che per lo meno Ron ed Harry erano amici, lui e Blaine invece cos’erano? Solo dei semplici compagni di stanza.

 

 

***

 

 

Kurt fremeva di rabbia, camminando per i corridoi come una furia diretto in aula canto. Non capiva il motivo per cui il loro insegnante di canto sembrasse odiarlo così tanto, davvero non capiva; non arrivava mai in ritardo a lezione, svolgeva per bene ogni esercizio veniva loro assegnato, e soprattutto, non sembrava di avere una brutta voce, anzi. Entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e cercando con tutte le sue forze di non sbatterla, e si andò a sedere davanti al pianoforte.

 

Era davvero stufo. Uno studente lo aveva appena fermato per chiedergli di Blaine, e davvero era l’ultima cosa cui voleva pensare al momento; aveva fin troppi problemi già di suo, senza che si aggiungesse il fastidio e la confusione che provava ogni volta che veniva nominato Blaine. Senza pensarci, sollevò una mano e posò un dito su un tasto a caso, sospirando. Aveva bisogno di calmarsi, e c’era solo una cosa che sarebbe stata in grado di farlo; peccato che la sua stanza fosse off limits. Così iniziò a suonare, le note di Defying Gravity si levarono alte, nel silenzio, seguite poi dalla voce di Kurt.

 

Wicked riusciva sempre a calmarlo; era il suo musical preferito, sarebbe stato un sogno esibirsi in quell spettacolo. Kurt chiuse gli occhi mentre continuava a cantare e suonare contemporaneamente; non aveva bisogno di guardare i tasti, conosceva a memoria le note, e le sue mani si muovevano come se fossero state dotate di vita propria. La sua voce acuta riempì l’aria, senza sbagliare una nota, senza stonare mai. Quando arrivò alla fine, Kurt aveva il fiatone, ma si sentiva incredibilmente meglio.

 

Un applauso alle sue spalle lo fece sobbalzare. Si girò, chiedendosi come avesse fatto a non sentire la porta aprirsi, e gli occhi quasi gli uscirono dalle orbite nel vedere la persona che stava applaudendo. Blaine era appoggiato allo stipite della porta, un sorriso gentile sul volto, gli occhi più luminosi che mai; continuava a guardare Kurt, applaudendo educatamente ancora un po’ prima di fermarsi.

 

«E’ stato stupendo,» disse, avvicinandosi.

 

Kurt gli diede le spalle, ritornando a fissare la tastiera. Cosa ci faceva Blaine lì? Non doveva essere in camera loro a divertirsi? Sarebbe stato maleducato chiederglielo, vero?

 

Kurt si strinse nelle spalle – nonostante fosse felice del complimento appena ricevuto – senza osare alzare lo sguardo su Blaine, che si era appena seduto vicino a lui sullo sgabello davanti al pianoforte. Blaine appoggiò le dita sulla tastiera, cominciando a suonare una melodia inventata sul momento, ma non per questo meno bella. E Kurt si sentì invadere da un calore inaspettato.

 

«Grazie,» si trovò a dirgli, mentre un piccolo sorriso gli spuntava sulle labbra.

 

Blaine si fermò e Kurt poté sentire il peso degli occhi dell’altro ragazzo puntati su di lui; si trovò ad alzare lo sguardo, legandolo a quello del suo compagno di stanza.

 

«Se stavi cantando una canzone di Wicked vuol dire che c’è qualcosa che non va.»

 

Kurt sgranò gli occhi. E lui come diamine faceva a sapere quanto Wicked lo calmasse? Come faceva a sapere che, quando era triste o arrabbiato o confuso, gli piaceva sedersi sul suo letto, le cuffie e le canzoni di quel musical nelle orecchie?

 

Blaine scoppiò in una breve risata davanti allo sguardo sconvolto di Kurt, e fu costretto a spiegarsi.

 

«Circa un mesetto fa, tu e la tua amica Rachel stavate parlando di Wicked; e tu hai detto quanto ti aiuti quando sei triste o arrabbiato,» fece una pausa, godendosi ancora un attimo l’espressione stupita di Kurt. «Scusa, non ho potuto fare a meno di origliare. Wicked è anche uno dei miei musical preferiti.»

 

Kurt era senza parole. Come faceva Blaine a ricordarsi di una cosa che aveva detto settimane prima, per di più non a lui? Continuò a guardare il suo compagno di stanza, che riprese a suonare il piano, lo sguardo fisso sulle sue dita che si muovevano veloci sui tasti.

 

«Il professor Reeves mi sta facendo ammattire,» si ritrovò ad ammettere Kurt, senza sapere il motivo per cui glielo stesse dicendo.

 

«L’ho notato,» annuì Blaine, senza smettere di suonare. «Suppongo sia geloso…»

 

«Come scusa?»

 

«Non mi dire che non lo sai,» ridacchiò Blaine. «Un tempo, quand’era ancora un ragazzo, il professor Reeves era un controtenore, uno dei più promettenti in realtà. Poi però si ammalò gravemente, e non poté cantare per un bel po’… quando riprese a cantare, la sua voce non era più come prima.» Ora la musica aveva assunto un tono triste.

 

Kurt rimase a bocca aperta; si sentiva in colpa per tutte le volte che aveva dato contro il professore.

 

«Non lo sapevo…» sussurrò, più a se stesso che a Blaine, che smise improvvisamente di suonare e si alzò.

 

«Non devi prendertela, lui cerca solo di spronarti quanto più possibile,» disse prima di lasciare la stanza con un altro sorriso gentile rivolto a Kurt.

 

Il ragazzo rimase immobile ancora un bel po’ prima di alzarsi e seguire Blaine in stanza. In questi primi due mesi si era tanto concentrato sui difetti di Blaine, che forse nella sua mente se lo era dipinto peggio di quanto in realtà non fosse.

 

 

***

 

 

Kurt cominciò a osservare Blaine sempre più spesso nelle settimane a venire; sotto sotto se ne vergognava, gli sembrava quasi di stalkerarlo o simili, ma non riusciva a non guardarlo. Blaine era gentile. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Era sempre educato e disponibile con tutti, sembrava non tirarsela affatto per tutte le attenzioni che gli riservavano, anzi, una volta lo vide persino sbuffare un secondo prima di rivolgersi al nugolo di ragazzi intorno a lui con un sorriso cordiale sul viso, pronto ad ascoltarli e dar loro consigli o qualsiasi cosa volessero. Blaine si impegnava tantissimo, studiava come un matto per stare dietro a tutto, fino a notte fonda; e, in quelle occasioni, si ritirava in bagno a studiare, di modo da permettere  a Kurt di poter dormire con la luce spenta. Kurt era così intento ad odiarlo che non si era nemmeno accorto del fatto che Blaine avesse iniziato a comprare gli stessi suoi prodotti per la doccia, di modo che, anche in caso li avessero confusi, non sarebbe stato poi tanto un dramma.

 

Nonostante tutto, però, Blaine continuava a portare in stanza ogni volta un ragazzo diverso; ma anche in queste occasioni, lasciava una delle sue cravatte appese alla maniglia della loro stanza, di modo che Kurt sapesse in anticipo prima di entrare. Oppure, quando Blaine entrava in stanza, ridendo e baciandosi con il ragazzo di turno, si staccava e chiedeva sempre cortesemente a Kurt se potesse andare da Rachel e tornare dopo un’oretta, sempre con lo stesso tono educato. Kurt così si alzava e se ne andava, sebbene con il cuore pesante e la voglia di prenderlo a pugni.

 

Tuttavia, Blaine era davvero gentile, non solo con tutti, ma anche con lui. Gli sorrideva sempre, a volte lo aiutava quando lo vedeva in difficoltà con qualche esercizio – non che la cosa capitasse spesso – e Kurt lo sorprendeva più volte a fissarlo con quegli occhi stupendi, luminosi come non mai e che lo lasciavano sempre destabilizzato.

 

E poi, arrivò il momento di iniziare a prepararsi per lo spettacolo di Natale. Il professor Reeves, ogni anno, permetteva all’allievo più bravo di scegliere se cantare un assolo o un duetto e, nel secondo caso, di scegliere il proprio compagno. Quell’anno nessuno si stupì quando il professore disse a Blaine di scegliere; quello che però nessuno si aspettava, era che Blaine scegliesse il duetto.

 

«Ne sei sicuro?» chiese il professore, guardandolo come se fosse pazzo.

 

«Sicurissimo.»

 

«E chi vorresti come compagno di duetto?»

 

Kurt poteva percepire la tensione e il senso di aspettativa che era appena sceso sull’aula; anche lui era curioso di scoprire chi avrebbe scelto Blaine, ma di certo non pensava di poter essere scelto. Proprio in quel momento però, lo sguardo di Blaine si posò su di lui, e il suo viso si aprì in un sorrisetto strano, a metà tra il dolce e qualcosa che Kurt non riuscì a interpretare.

 

«Vorrei cantare con Kurt.» Sull’aula scese un silenzio tombale. «Sempre se sei d’accordo,» continuò Blaine, questa volta rivolgendosi direttamente a Kurt.

 

E il ragazzo, con la gola secca e gli occhi quasi fuori dalle orbite per quanto era sconvolto al momento, si ritrovò ad annuire, mentre Rachel al suo fianco gli dava una gomitata sul fianco per scuoterlo dal suo stato di stupore.

 

«Sì, va bene…»

 

 

***

 

 

Le luci si spensero mentre il numero prima del loro duetto si avviava alla conclusione. Kurt salì sul palco, al buio, con il cuore in gola e le mani sudate; era più agitato che mai, aveva quasi paura che la voce non gli uscisse, o che stonasse, o qualsiasi altra cosa terribile sarebbe potuta capitargli. Certo, non era la prima volta che cantava da solo davanti a un pubblico, ma era comunque la prima volta che cantava davanti a tutti gli studenti e gli insegnanti della NYADA.

 

Poteva sentire la presenza di Blaine al suo fianco, il suo respiro calmo e il suo profumo che riempiva l’aria. Se ci fosse stata Rachel al suo posto, l’avrebbe presa per mano per cercare di tranquillizzarsi, per appigliarsi a qualcosa, ma non poteva prendere Blaine per mano. Tuttavia, proprio mentre quel pensiero si stava facendo largo nella sua testa, sentì un tocco delicato sfiorargli il polso.

 

«Andrà tutto bene,» gli sussurrò Blaine all’orecchio, per poi staccarsi appena in tempo prima che le luci si accendessero, mostrandoli da soli, sul palco.

 

Kurt non riusciva a staccare lo sguardo da quello di Blaine; era quasi magnetico, e Kurt poté distintamente sentire la sicurezza invaderlo mentre sprofondava in quegli occhi dorati. La melodia di Baby it’s cold outside cominciò a risuonare per tutto il teatro; Kurt iniziò a cantare, subito seguito dal suo compagno di stanza.

 

Avevano provato e riprovato tante volte a lezione con il professor Reeves nell’ultima settimana, avevano messo tutto il loro impegno per far sì che venisse al meglio; avevano persino improvvisato una specie di coreografia. Perciò in quel momento stavano semplicemente ripetendo gli stessi passi e le stesse parole che li avevano accompagnati per tutta la settimana precedente, flirtando con gli sguardi e interagendo l’uno con l’altro come se fossero davvero attratti l’uno dall’altro. Non c’era niente di diverso dal solito.

 

Ma per Kurt, era tutto diverso. Sotto le luci, gli occhi di Blaine brillavano più che mai, il suo sorriso malizioso lo colpiva con forza; la sua voce era amplificata e più dolce e calda che mai, le sue mani che lo sfioravano erano bollenti, poteva percepirlo persino attraverso la stoffa degli abiti. Kurt continuò a vagare per il palco, perfettamente calato nella parte mentre fingeva di far storie per non restare con Blaine, che invece faceva di tutto per convincerlo a restare. Ma niente era normale, il cuore di Kurt batteva a una velocità disarmante nel petto, e non aveva a che fare con il fatto di star cantando davanti a un centinaio di persone.

 

Kurt avrebbe voluto con tutto se stesso che lo sguardo caldo e pieno d’amore che Blaine gli stava rivolgendo in quell’istante fosse davvero per sé, e non solo dettato da un’interpretazione. Voleva davvero che Blaine lo corteggiasse, che lo desiderasse. Voleva piacere a Blaine. E forse era quello il motivo per cui si sentiva il cuore pesante ogni volta che quella cravatta appesa alla maniglia della porta della loro stanza gli ricordava la presenza di un ragazzo – un ragazzo che non era lui – in camera con Blaine.

 

A Kurt piaceva Blaine. A Kurt piaceva il suo compagno di stanza. La rivelazione lo colpì tanto forte che quasi si dimenticò che toccava a lui cantare. Vide Blaine lanciargli un’occhiata stranita, quasi subito mascherata da un sorriso di circostanza; se n’era accorto, si era reso conto che qualcosa non andava. E l’ultima cosa che Kurt voleva, era che Blaine sapesse dei suoi sentimenti per lui.

 

Ma quali sentimenti, poi? Kurt lo odiava! Vero?

 

La loro esibizione terminò e fu accolta da una standing ovation. Non erano solo stati bravi, erano stati reali; sembrava davvero di poter scorgere l’attrazione presente tra i due ragazzi, e al pubblico tanto era bastato per alzarsi in piedi e applaudire. Kurt e Blaine si inchinarono, godendosi i loro applausi, e quando Kurt spostò lo sguardo sul ragazzo al suo fianco, questi gli riservò un sorriso ancora più caldo di quelli che gli aveva riservato finora.

 

Kurt si sentì invadere da una strana rabbia. No, non poteva piacergli Blaine, dannazione! Non sapeva nulla di lui, non lo conosceva, sebbene ci vivesse insieme da ormai quattro mesi. Preso da un’improvvisa rabbia, Kurt accolse con gioia il buio sul palco, che gli permise di scappare via dietro le quinte; e la sua corsa non finì lì. Aveva bisogno di pensare, doveva stare solo. Senza pensarci, si precipitò nella sua stanza, correndo a perdifiato fino a chiudercisi dentro.

 

Si sedette sul letto, con il fiatone e lo sguardo fisso davanti a sé. Era così arrabbiato in quel momento. Non poteva essere attratto da Blaine, era un disastro! Non sarebbe più riuscito a stare in stanza con lui.

 

Proprio in quel momento, la porta si aprì e Blaine fece la sua apparizione nella stanza, lo sguardo preoccupato fisso su di lui.

 

«Kurt, stai bene?»

 

Kurt lo odiava. Odiava che Blaine dovesse essere così gentile, odiava che Blaine lo avesse scelto per quello stupido duetto, odiava stare in stanza con lui, lo odiava.

 

«No, non sto bene!» si trovò a gridare senza che avesse dato il permesso alle sue parole di lasciare le sue labbra. «Tu… tu, non puoi essere così!»

 

Blaine sgranò gli occhi, sconvolto dalla sua reazione e dal suo rossore – non aveva mai visto Kurt scaldarsi così tanto, anzi, gli era sempre sembrato molto riservato e pacato.

 

«Così come, scusa?»

 

«Così!» urlò Kurt con quanto fiato aveva in gola, lasciando interdetto il suo compagno di stanza, in piedi di fronte a lui.

 

«Ti odio! Odio tutto di te! Odio il fatto che devi usare i miei prodotti per capelli, odio il fatto che devi imbarazzarmi uscendo da quel dannato bagno con solo un asciugamano addosso! Odio il fatto che sei bravissimo a ballare, odio la tua voce perfetta, odio il modo in cui riesci a recitare qualsiasi ruolo come se fosse la cosa più naturale del mondo! Odio le attenzioni che ricevi da tutti, odio il tuo seguito petulante e schiamazzante! Odio il fatto che tu sia gentile con me! Odio i tuoi sguardi e i tuoi sorrisi.»

 

A questo punto, Kurt era quasi in lacrime, il viso rosso e sconvolto.

 

«Ma più di tutto, odio il fatto di non riuscire a odiarti. Nemmeno un po’, nemmeno un pochino. Proprio per niente.»

 

Quello che avvenne dopo, lasciò entrambi sorpresi. Anche se forse, non avrebbe dovuto essere così sconvolgente come invece poteva sembrare loro.

 

Blaine fece un passo in avanti, prese il viso di Kurt tra le mani e posò le labbra sulle sue. Kurt aveva visto Blaine baciare molti ragazzi, ma non lo aveva mai visto baciarli in quel modo; quei baci erano profondi, quasi animaleschi, era uno scontro di bocche e lingue e saliva. Questo invece non aveva niente a che fare con quei baci: era lento, dolce, quasi timido. Era un semplice sfiorarsi di labbra, casto e assolutamente perfetto, quasi irreale.

 

Kurt tenne gli occhi spalancati per tutto il tempo, troppo sconvolto dal gesto del suo compagno di stanza, mentre mille domande gli si agitavano in testa. Perché Blaine lo aveva baciato? Lo considerava uno dei suoi semplici ragazzi che si scopava una volta e di cui poi si dimenticava? O c’era qualcosa di più?

 

Blaine si staccò, ma non del tutto. Si allontanò da Kurt quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi, ma le sue mani rimasero esattamente dov’erano prima, sulle guance bollenti di Kurt.

 

«Anche tu mi piaci.»

 

«Io cosa?» chiese Kurt del tutto sconvolto, provocando una lieve risatina nel ragazzo di fronte a lui.

 

«Non era ovvio? Non so se lo hai notato, ma nell’ultimo mese non ho mai portato nessun ragazzo in camera…» disse Blaine sollevando un sopracciglio e accarezzando la guancia di Kurt con una mano, mentre l’altra scendeva a stringergli la spalla.

 

Effettivamente Kurt lo aveva notato ma pensava che semplicemente Blaine fosse stato sfortunato – cosa alquanto improbabile – o che non avesse voglia. Ma poi, i suoi piccoli gesti acquisirono un diverso significato: i prodotti per capelli comprati uguali, il suo sorrisetto un po’ timido quando lo beccava a guardarlo, quelli un po’ più sornioni di quando usciva seminudo dalla doccia, le sue continue attenzioni, il fatto che si ricordasse di Wicked e che lo avesse spiato mentre cantava, il suo desiderio di duettare con lui. Ora tutto acquisiva un senso. Ovvio, solo un pazzo lo avrebbe capito, ma comunque… piaceva a Blaine.

 

Tanto bastò a Kurt per chinarsi in avanti e baciare il suo meraviglioso compagno di stanza.

 

 

 

 

 

NdA:

Ed eccoci di nuovo qui con un’altra storia per la Klaine Week! Questa volta il prompt era Roomates!Klaine e vi giuro che ho amato scriverla.

Probabilmente i personaggi vi sembreranno un po’ OOC, non tanto Kurt quanto Blaine – ma a tutto c’è un motivo… questa volta, lascio scegliere a voi quale! =)

 

Due piccole precisazioni – una delle quali suppongo sia inutile!

Innanzitutto, il titolo è ovviamente presto dal film 10 cose che odio di te. E infine, il titolo della raccolta ‘Cause I know that you feel me somehow è una frase della canzone Iris dei Goo Goo Dolls… L’ho trovata più che azzeccata in un momento come questo – perché sono davvero sicura che Kurt e Blaine si troveranno sempre, qualsiasi sia il loro contesto: loro saranno in grado di sentirsi, di riconoscersi come anime gemelle. Perciò questo titolo…

 

Bye!

Bel

 

PS: il numero 8 non è una scelta causale u.u

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Capitolo 3
*** Day 3: Heroes!Klaine ***


The Avengers: “Progetto Klaine

 

 

Uscire fuori con suo padre, per Blaine, era sempre stato… complicato. Da bambino, adorava andare in giro con lui, accoccolarsi tra le braccia forti di suo padre, o mostrare quanto fiero lui fosse del suo papà; da adolescente, aveva attraversato un periodo di ribellione, pertanto cercava di farsi vedere con il padre il meno possibile. Ora invece, Blaine era riuscito a raggiungere un equilibrio, era fiero di ciò che il padre faceva, ma al contempo non amava uscire con lui: era vanesio, anche se lo faceva ridere, aveva sempre la battuta pronta e attirava sempre l’attenzione su di sé. A volte, a Blaine sembrava che fosse lui l’adulto della situazione, e non il suo padre ultramiliardario e ultrafamoso conosciuto ai più con il nome di Iron man, all’epoca Tony Stark.

 

Blaine Stark uscì da una caffetteria anonima di Los Angeles, seguito dal sorriso un po’ strafottente del padre, scuotendo la testa e sbuffando come un mantice.

 

«Che c’è?» chiese il padre, facendo finta di non vedere le occhiate che tutti rivolgevano loro, mentre salivano sull’auto guidata da Hogan.

 

«Devi smetterla, papà!»

 

«Di fare cosa?»

 

Blaine alzò gli occhi al cielo notando il sorriso sbarazzino del padre. Dannazione, lo sapeva che non avrebbe dovuto dirgli niente, che si sarebbe dovuto tappare quella boccaccia e andare a parlarne con la madre.

 

«Ascolta, se non glielo dici tu, sarò costretto a dirglielo io. Potrei sempre entrare nel suo profilo Facebook e aggiungerti come suo amico…»

 

«Oddio, non lo fare! Ti prego…» Blaine si prese la testa tra le mani, lasciandosi sfuggire un lamento; sapeva che il padre ne sarebbe stato capace.

 

«Vuoi farlo tu?» chiese Tony alzando un sopracciglio.

 

«Assolutamente no! È una cosa troppo inquietante… No, cercherò di parlargli la prossima volta. E ancora no, questa volta non verrai anche tu a rubarmi la scena e mettermi in imbarazzo!»

 

Blaine cercò di non far caso all’espressione da cucciolo che aveva appena assunto suo padre – l’aveva collaudata anni prima, per cercare di rabbonire sua madre, ma Pepper Potts era fin troppo abituata a gestire Tony Stark per lasciarsi abbindolare così facilmente – e che lui aveva ereditato.

 

Riportò lo sguardo sulla strada, sovrappensiero. Qualche settimana prima, tornando da un’uscita con il suo amico Wes, era entrato in quella stessa caffetteria anonima da cui lui e il padre erano appena usciti; e in quell’occasione, il suo sguardo aveva incrociato quello azzurro del ragazzo al bancone che serviva il caffè. La sua carnagione chiara, il profilo scolpito, il capelli castano chiari tirati su con la lacca e ormai sfatti dopo una giornata di lavoro e le labbra rosse erano state sufficienti a Blaine per infatuarsi di quel ragazzo – Kurt c’era scritto sul cartellino che aveva attaccato al petto. Aveva passato tutto il tempo a guardarlo a bocca aperta, mentre l’altro non l’aveva degnato che di uno sguardo frettoloso quando gli aveva chiesto la sua ordinazione; e lui aveva balbettato, sotto lo sguardo stupefatto di Wes e di mezzo locale.

 

Tutti conoscevano Blaine Stark, figlio di Tony; aveva ereditato dal padre la sua genialità e dalla madre il grande dono di sopportare il padre; a soli sedici anni, era entrato all’università, e da lì la sua strada era stata tutta in salita, lavorando nell’impresa del padre e con il padre. Ormai c’erano due Iron man che volavano nei cieli di Los Angeles (e non solo).

 

Perciò era certo che Kurt lo avesse riconosciuto, ma non aveva dato alcun tipo di cenno di adulazione o falsità da cui invece era solito essere circondato Blaine. E forse era anche per questo che Blaine era andato in fissa con questo ragazzo; lo incuriosiva, voleva conoscerlo. Aveva iniziato a frequentare quella caffetteria assiduamente, cercando il coraggio, che di solito non gli mancava, di rivolgere la parola a quel ragazzo; ma niente, quando si ritrovava davanti a quegli occhi di ghiaccio, si impappinava, iniziava a sudare freddo e si limitava a fare la sua ordinazione, balbettando.

 

E poi, Blaine aveva avuto la brutta idea di mettere il padre al corrente della sua cotta per questo fantomatico Kurt. Ovviamente Tony aveva dovuto vederlo, e lo aveva trascinato alla caffetteria, dove lo aveva messo in imbarazzo davanti a tutti iniziando a parlare con Kurt, con quel suo tono affascinante, chiedendogli cosa ne pensasse del figlio; Kurt aveva sorriso timidamente – e Blaine si era sciolto come neve al sole nel vedere per la prima volta il sorriso del ragazzo – ma non aveva guardato Blaine, né suo padre, per più di qualche secondo, prima di ritornare al suo lavoro, non rispondendo alla domanda di Tony.

 

Blaine avrebbe voluto che una voragine si aprisse sotto i suoi piedi e lo inghiottisse. 

 

«Ascolta figliolo, devi trovare il coraggio di parlargli, d’accordo? Prova a fare colpo su di lui!» Il padre lo riportò con i piedi per terra. «Dopotutto, sei mio figlio, no? Sei Iron man anche tu.»

 

Blaine fissò lo sguardo in quello del padre, sovrappensiero. Aveva ragione, dannazione! Lui era l’unico, insieme a Pepper Potts, in grado di avere una discussione con il padre e uscirne vittorioso – a volte – e aveva salvato il mondo più volte insieme al padre e ai loro amici (ormai tra di loro non si chiamavano più i Vendicatori, ma “gruppo dello Shawarma”). Lo sapevano tutti, ma a Blaine non piaceva vantarsi. A volte invidiava gli eroi dei fumetti, quelli che nascondevano la loro vera identità; non avrebbe mai rinunciato all’armatura, a ciò che faceva, ma a volte avrebbe preferito che nessuno lo conoscesse. Aveva solo vent’anni e tutti sapevano chi lui fosse, quali fossero le sue preferenze sessuali e cosa avesse fatto, ed era quasi impossibile per lui avere una vita normale.

 

«Già…» sussurrò, non accorgendosi dello sguardo preoccupato del padre.

 

 

***

 

 

«Ehi, Kurt!»

 

Kurt fece un cenno alla sua collega per farle capire che stava ascoltando, ma non distolse gli occhi dal cappuccino che stava preparando.

 

«Sono tornati gli Stark, oggi! Mi sa che Blaine ha una cotta per te… Passa il tempo a fissarti imbambolato!»

 

«Non dire sciocchezze! E poi, figurati, vorranno solo farsi vedere... Si sa che le persone di quel tipo sono piene di boria.» rispose Kurt con freddezza.

 

«Non credi di stare generalizzando?»

 

Kurt finalmente alzò lo sguardo sulla sua collega; aveva ragione, lui non conosceva gli Stark, non sapeva com’erano veramente. Al di fuori, sapeva che Tony Stark era vanesio e a volte arrogante, ma nonostante tutto aveva salvato la situazione in diverse occasioni. Il figlio invece gli era sempre sembrato molto più riservato del padre, ma non si fidava. Pensava fosse tutto uno scherzo, perché insomma, come poteva interessare veramente a Blaine Stark? Era solo un umile commesso di Starbucks, dopotutto.

 

 

***

 

 

«Buongiorno.» La voce metallica di Jarvis li accolse, non appena entrati in casa. «Signore, la devo avvisare della presenza del signor Banner in laboratorio. La signora Potts sta cercando di spiegare l’uso di un tablet ai fratelli Asgardiani. Natasha Romanoff, Clint Barton e Steve Rogers sono nell’area adibita agli allenamenti.»

 

«Quand’è che questa casa è diventata un luogo di ritrovo?» chiese Tony alzando gli occhi al cielo e decidendo di passare a salutare per lo meno Pepper – in realtà a controllare che Thor o Loki, dopo anni ormai in buoni rapporti, non gli distruggessero niente – per poi andare in laboratorio da Bruce.

 

Blaine si lasciò scappare un sorrisetto, fiondandosi dritto nel seminterrato. Aveva bisogno di stare solo, i suoi pensieri in macchina lo avevano intristito; e l’unico modo che Blaine aveva per rilassarsi, sin da quando era ragazzo ed era riuscito a costruirsi la sua prima armatura tutto da solo, era quello di farsi un volo in giro per la città.

 

«Jarvis, preparami la Mark VIII di papà, per favore.»

 

«Posso sapere come mai questa scelta, signore?» gli rispose la voce metallica.

 

«Così,» rispose con un’alzata di spalle Blaine, mentre uno dei pannelli davanti a lui si sollevava, mostrando un’armatura di titanio verniciata di blu.

 

 

***

 

 

Qualche ora e qualche pensiero in meno dopo, Blaine si ritrovava a volare sopra lo Starbucks di prima, aspettando che Kurt uscisse. Aveva deciso che gli avrebbe parlato, doveva farlo, o sarebbe impazzito. Non capiva come mai avesse questo desiderio ancorato nel petto, era inspiegabile, ma gli sembrava quasi di conoscere Kurt, come se lo avesse già incontrato prima, in un altro mondo, in un altro tempo. Aveva visto così tante cose nella sua giovane vita, che ormai avrebbe potuto credere praticamente a qualsiasi cosa.

 

«Jarvis, aiutami.»

 

«Cosa stiamo cercando, signore?»

 

«Non cosa. Chi. Si chiama Kurt, lavora in quello Starbucks

 

«Posso entrare nei file del computer del loro datore di lavoro facilmente.» La voce metallica si interruppe per circa venti secondi, prima di ricominciare a parlare. «Kurt Hummel, vent’anni, nato a Lima, Ohio. Studente di astronomia alla UCLA, ha una passione per la moda e stacca alle nove.»

 

«Grazie Jarvis

 

Pochi minuti dopo, Blaine vide Kurt uscire dalla caffetteria, usando la porta sul retro. Con un sorriso sul volto e facendosi coraggio, Blaine atterrò davanti a lui, facendo saltare dallo spavento il ragazzo di fronte.

 

«Cosa diamine…?! Sei impazzito, per caso?» urlò Kurt, quando il casco dell’armatura si aprì, rivelando gli occhioni dorati di Blaine.

 

«Io… scusami, non volevo spaventarti.»

 

«Beh è quello che hai fatto!»

 

Blaine rimase a fissare Kurt, senza sapere che cosa dire, né come comportarsi. Un silenzio tombale scese tra di loro; Kurt non si muoveva, Blaine non parlava. Rimanevano immobili a guardarsi, Kurt con un’espressione un po’ torva in viso.

 

«Mi stavi seguendo?» chiese Kurt con fare aggressivo.

 

«N-no…» mentì Blaine, spaventato dal modo in cui stavano andando le cose. Ma il sopracciglio alzato di Kurt, lo fece capitolare. «Ok, sì… stavo aspettando che tu uscissi. Volevo solo fare quattro chiacchiere, magari parlare del tuo corso di astronomia alla UCLA.»

 

«Pessima mossa, signore,» disse la voce di Jarvis nei suoi auricolari.

 

«Hai fatto delle ricerche su di me?!» Il tono di voce di Kurt aveva raggiunto dei livelli esorbitanti. Blaine si ritrovò a fare un passo indietro, mentre Kurt gli veniva contro con un dito puntato.

 

«Tu… come osi?! Solo perché sei Iron man, non significa che hai il diritto di violare la privacy altrui! Sei solo un borioso figlio di papà elevato all’ennesima potenza, ecco cosa sei!»

 

Blaine abbassò gli occhi. Di certo non aveva pensato che il loro incontro si sarebbe concluso in questo modo.

 

«E ora vattene! Vola via, vai a provarci con qualcun altro! Anzi, sai che ti dico? Me ne vado io!» Kurt lo superò, senza degnarlo di un altro sguardo, le guance rosse per la rabbia e le mani strette a pugno, lasciando dietro di sé un Blaine attonito e deluso.

 

«Aspetta!» gli urlò, ma l’altro ragazzo non si girò, continuando a camminare con passo spedito verso la via principale.

 

 

***

 

 

«Tony, la vuoi smettere? Clint non ha messo su nessuna pancetta. Nessuno ha messo su pancetta,» disse Natasha, alzando gli occhi al cielo e posando una mano sulla spalla del marito.

 

«Non possiamo essere come quelli di una volta,» replicò Bruce con tono calmo.

 

«Parla per te!»

 

Tony incrociò le braccia sul tavolo, certo di aver avuto l’ultima parola, quando le luci si spensero all’improvviso, mettendo tutti sull’attenti. Poi uno schermo spuntò dal nulla e la voce familiare di Jarvis riempì la casa, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo.

 

«Signore, forse c’è una cosa che dovreste vedere.»

 

Il video dell’incontro tra Blaine e Kurt che Jarvis aveva registrato venne proiettato sullo schermo, sotto lo sguardo attento di tutti gli altri.

 

«Mi piace il ragazzo…» disse Loki, ricevendo un’occhiata indignata da parte del fratello.

 

«Chi era quello?» chiese Steve con espressione stupita.

 

Tony, con un’espressione indecifrabile, si ritrovò a spiegare a tutti cosa fosse appena successo; non appena ebbe finito, si scambiò uno sguardo preoccupato con Pepper. Sapevano quanto loro figlio a volte soffrisse di avere tutta questa fama; quello che più desiderava era di trovare qualcuno che lo amasse, non perché figlio di Iron man e Iron man stesso, ma perché amava il vero lui.

 

Proprio in quel momento, Blaine, con ancora l’armatura addosso, atterrò sul terrazzo della cucina; il casco si abbassò subito,  rivelando i suoi occhi bassi e l’espressione triste. Sentendosi osservato, sollevò lo sguardo e incrociò quelli degli altri Vendicatori; gli bastò guardarli per un secondo soltanto per capire che sapevano. Strinse i pugni e volò di nuovo via, mentre veniva invaso da una strana rabbia.

 

«Blaine!» gridò Pepper, ma non venne ascoltata.

 

«Dobbiamo fare qualcosa…» decretò Thor.

 

 

***

 

 

La mattina dopo, davanti alla porta della sua camera alla UCLA, Kurt trovò un mazzo di gigli per terra, in un vaso. Stupito, li raccolse, mentre veniva invaso da uno strano dubbio che gli venne confermato dal biglietto sotto il vaso.

 

Scusami per aver fatto ricerche su di te e averti seguito. Giuro che ho le migliori intenzioni. – B.S.

 

Inutile dire che Kurt prese e accartocciò il biglietto, lasciando il vaso alla prima ragazza che incrociò per il corridoio.

 

Lo stesso si ripeté quel pomeriggio al lavoro. Questa volta c’erano di nuovo gigli in un vaso ad attenderlo, e un biglietto; stavolta però la scritta era diversa.

 

Non so se hai trovato i fiori stamattina davanti alla porta. Effettivamente potevo risparmiarmelo, quella era davvero una mossa da stalker. Spero accetterai anche questi. – B.S.

 

Questa volta, Kurt accartocciò il bigliettino nelle sue mani sotto lo sguardo perplesso della sua collega, e mise da parte i fiori. Lavorò tranquillamente per tutto il giorno ma a volte, quando passava davanti al vaso, un odore fresco di gigli gli colpiva le narici; quando fu il suo turno di andarsene, decise che nonostante tutto poteva lasciarli lì. Avrebbero dato un tocco in più all’ambiente.

 

Per le settimane successive, Kurt continuò a ricevere fiori e bigliettini da parte di Blaine. Ormai era diventata quasi un’abitudine, una bella abitudine; conservava i bigliettini e i fiori, che si portava nella sua stanza. Ma quello che adorava più di tutto, erano i bigliettini; in ognuno, infatti, Blaine gli diceva cose di sé che nessuno sapeva. Certo, erano piccole cose – come per esempio quale fosse il suo colore preferito, o il modo in cui preferiva bere il caffè, o per quale film avesse riso di più in assoluto – ma forse gli piacevano proprio perché erano piccolezze.

 

Certamente, Kurt aveva pensato che fosse tutto uno scherzo, era titubante e ci aveva messo un po’ ad accettare questo fatto; ma poi gli tornava in mente lo sguardo dispiaciuto di Blaine quando lo aveva liquidato quella sera, o quello imbarazzato di quando si era presentato in caffetteria con il padre. Forse aveva ragione la sua collega, forse era davvero prevenuto. E pensare che era questo quello che gli aveva insegnato il suo Glee Club all’epoca delle superiori: mai giudicare qualcuno dalle apparenze.

 

Avrebbe voluto parlarne con lui, di persona, o per lo meno ringraziarlo per i fiori, ma non sapeva come fare. Ovviamente tutti sapevano dove si trovava villa Stark, ma non poteva andarsene fino a Malibu semplicemente per ringraziare Blaine: sarebbe morto di imbarazzo! E glielo avrebbe detto di persona se Blaine si fosse degnato di venire in caffetteria; invece sembrava essere sparito.

 

Circa un mese dopo il loro litigio, Kurt stava camminando di tutta fretta verso casa, attraversando il parco con uno dei mazzi di fiori di Blaine stretto tra le mani. Ad un tratto, poco più avanti, la sua attenzione fu catturata da una figura familiare: era Blaine, che camminava di fianco a un ragazzo asiatico. Stava ridendo spontaneamente, senza far caso alla gente che gli lanciava delle occhiate. Senza sapersi spiegare il motivo, Kurt provò un improvviso moto di gelosia verso il ragazzo sconosciuto  di fianco a Blaine.

 

Devo essere impazzito, pensò Kurt, immobile in mezzo alla strada, lo sguardo fisso su Blaine che sembrava non averlo visto – per fortuna, perché era un disastro… e oddio, ora pensava anche al suo aspetto fisico e al modo in cui l’avrebbe trovato Blaine?

 

Hummel, ti bastano dei fiori per farti capitolare?

 

Doveva fare qualcosa; se avesse continuato ad andare dritto sarebbe passato proprio affianco a Blaine, che si stava avvicinando sempre di più. Così decise di tagliare, girando a destra, senza accorgersi dell’arrivo di una ventina di ciclisti diretti proprio verso di lui.

 

Fu un attimo. Kurt si immobilizzò, come un cervo colto sull’autostrada dai fari di una macchina, congelato, il cervello che calcolava se fosse riuscito a spostarsi in tempo o no. Qualcuno gridò «Attento!». E poi, Kurt si ritrovò per terra, un dolore improvviso al fianco ma per fortuna ben lontano dalla strada e dai ciclisti impazziti, mentre un peso caldo lo tratteneva a terra.

 

Kurt alzò lo sguardo e non si stupì di trovarsi di fronte gli occhi grandi e dorati di Blaine, nei quali riusciva a leggere un velo di preoccupazione. Rimasero a fissarsi per degli istanti interminabili, mentre intorno a loro tutti scoppiavano in un applauso.

 

Blaine fece finta di non vederli neanche, alzandosi e porgendo una mano a Kurt, che la afferrò e si tirò in piedi. Il ragazzo asiatico li raggiunse, lo sguardo fisso sulle loro mani ancora unite e un sorrisetto sulle labbra. Quando Kurt riuscì a distogliere lo sguardo da Blaine, notò dov’era diretto lo sguardo dell’altro, così si affrettò a lasciare la mano che stava stringendo.

 

«Grazie.»

 

«Figurati…» Blaine rimase imbambolato a fissarlo; non lo vedeva da più di un mese e non si era nemmeno reso conto di quanto gli fosse mancato vedere quei lineamenti, quegli occhi e quelle labbra. «Uhm, lui è Wes, un mio amico.»

 

Kurt non riuscì a trattenersi; fece uscire un sospiro di sollievo dalle labbra nell’apprendere che quel ragazzo fosse solo un amico. Blaine non si lasciò sfuggire niente, e lo fissò con una strana occhiata interrogativa.

 

«Piacere, Kurt.» Disse velocemente, stringendo la mano dell’altro ragazzo. Poi riportò lo sguardo su Blaine, come se fosse incapace di staccarsene, come se fossero due calamite che lo attiravano.

 

«Grazie per i fiori,» gli uscì, tutto d’un fiato.

 

«I fiori? Quali fiori?»

 

«Quelli!» Kurt indicò il mazzo di fiori, ormai tutti sparpagliati, a terra; Blaine spostò il suo sguardo stupito sui fiori in questione.

 

«Io… non ti ho mandato dei fiori,» spiegò a Kurt, i cui occhi si spalancarono all’improvviso, delusi e feriti. «Avrei dovuto farlo? Oddio volevi dei fiori? Pensavo non volessi vedermi più e –»

 

«No, tu mi hai mandato i fiori…» Kurt si chinò e raccolse il bigliettino per terra, porgendolo poi a Blaine.

 

È quasi un mese che ti mando fiori, ma non mi sono ancora stancato. Questa volta ti dirò qual è la mia foto preferita: ci sono io a sei anni, sulle spalle di Loki, con tutti gli altri intorno a noi. Mi dicono sempre che è grazie a me se Loki si è unito definitivamente ai Vendicatori, perché non è riuscito a resistere al mio faccino. – B.S.

 

Blaine sgranò gli occhi, sconvolto. Non era stato lui a mandare i fiori a Kurt per un mese intero – così diceva il biglietto – né a scrivergli quei biglietti; ma su quel foglietto di carta c’era scritta una cosa della sua vita privata che nessuno sapeva. Nessuno a parte i Vendicatori. Rialzò lo sguardo su Kurt e Wes – che aveva capito tutto e  stava facendo di tutto per non scoppiare a ridere.

 

«Mi dispiace Kurt, non sono stato io a mandarti i fiori e i biglietti. Ma so chi è stato.»

 

«Chi?»

 

«Ehm, mi sa che è meglio che io me ne vada,» si intromise Wes. «Avete parecchie cose di cui parlare, mi sa.» E, dopo un saluto cortese a Kurt e un sorrisetto a Blaine, si voltò e se ne andò.

 

Kurt e Blaine rimasero a fissarsi per qualche istante, finché Blaine si aprì in un sorrisetto imbarazzato e spiegò tutto a Kurt.

 

 

***

 

 

«Quindi vuoi dirmi che i tuoi genitori e… i Vendicatori mi hanno mandato i fiori per tutto questo tempo?» chiese Kurt stupito, mentre guardava le strade di Los Angeles scorrere al di fuori del finestrino.

 

Avevano passeggiato per il parco per un po’, mentre Blaine gli spiegava cosa doveva essere successo, finché si erano ritrovati davanti alla macchina di Blaine; il ragazzo gli aveva chiesto di salire con un sorriso cortese e caldo, e Kurt si era ritrovato ad accettare, come uno stupido. E ora era in macchina con Blaine, dopo essere stato in silenzio per circa dieci minuti ad assimilare tutto quello che gli aveva detto Blaine, e non sapeva dove stessero andando.

 

«Sì.»

 

«Ma è tutto vero quello che c’è scritto nei biglietti?»

 

Blaine gemette. «Purtroppo sì… Non oso immaginare quante cose imbarazzanti ti abbiano detto…»

 

«Oh, soltanto alcune… Dove stiamo andando?»

 

Blaine si sorprese per il brusco cambio di argomento, ma sorrise. Aveva un’idea. «Che ne dici di andare a casa mia e dire che abbiamo scoperto tutto?”

 

Kurt arrossì, scambiandosi una veloce occhiata con Blaine, che sorrise soddisfatto mentre riportava lo sguardo sulla strada, lasciando il tempo a Kurt di valutare la proposta. Che cosa doveva fare? Accettare l’invito di Blaine e andare a casa sua? E se gli fosse successo qualcosa? E se lo avessero rapito per farlo diventare una cavia dei loro esperimenti? Non voleva diventare come quel grosso affarone verde. Tuttavia, Kurt sentiva di potersi fidare di Blaine, e una parte di sé sentiva di conoscerlo. Inoltre, voleva davvero gustarsi la  vittoria sui Vendicatori.

 

«Ok, ci sto.»

 

 

***

 

 

«Sono a casa!» urlò Blaine mettendo piede nella villa, seguito da un Kurt attonito che si guardava attorno a bocca aperta. Casa sua sarebbe entrata perfettamente in quell’ingresso.

 

«Buongiorno, signore.» La voce metallica di Jarvis fece sussultare Kurt dalla sorpresa.

 

«Non preoccuparti, è solo Jarvis. Gestisce la casa,» gli spiegò Blaine con un sorriso, avvicinandosi alle sue spalle e aiutandolo galantemente a sfilarsi la giacca. Le sue mani sfiorarono appena le spalle e le braccia di Kurt, ed entrambi rabbrividirono per quel contatto tanto semplice.

 

«Jarvis, dove sono tutti?»

 

«In palestra, signore.»

 

Blaine si fece coraggio, prese Kurt per mano e lo guidò per la casa, giù per le scale e dentro un ascensore metallico che li portò ancora più in profondità. Kurt stava per spaventarsi, ma la stretta calda e delicata della mano di Blaine lo rassicurava. Usciti dall’ascensore, si trovarono davanti a una porta chiusa, con vicino un pannello; Blaine si chinò, allineando l’occhio a uno strano obiettivo, poi posò la mano sul pannello e quello si aprì, rivelando una palestra enorme piena di attrezzi.

 

Kurt rimase a bocca aperta. La Vedova Nera stava esercitandosi nella lotta con Thor; Capitan America, Loki e Iron man stavano cercando di battere Hulk, che se la rideva della grossa sbatacchiando l’uno e l’altro da una parte all’altra; Occhio di falco stava lanciando pigramente le frecce contro un manichino, centrando perfettamente i punti più strategici quasi senza guardare. Una signora dai capelli biondo fragola, che Kurt immaginò essere la famosa Pepper Potts, la mamma di Blaine, e che assomigliava in modo inquietante a una sua vecchia supplente del liceo, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e sorrise nel notare le loro mani intrecciate. Kurt lasciò andare la mano di Blaine.

 

«Ci sono ospiti,» disse la voce fredda di Jarvis.

 

Tutti si fermarono immediatamente. Il viso di Tony spuntò dal casco che si era appena aperto, sorridendo in direzione del figlio.

 

«Finalmente vi siete incrociati e avete scoperto dei fiori!»

 

«Già…» disse Blaine, guardando tutti a uno a uno con sguardo a metà tra il severo e l’affettuoso. Kurt invece aveva perso completamente l’uso della parola. «Perché lo avete fatto?»

 

«Credo tu possa arrivarci da solo,» disse Pepper, avvicinandosi a loro e lasciando un bacio sulla guancia di Blaine, che arrossì.

 

Blaine fissò tutti, interdetto, finché un sorriso di consapevolezza gli spuntò sulle labbra. «Grazie.» Abbracciò tutti con un sorriso enorme.

 

«Shawarma per tutti?» propose Tony con espressione da cucciolo.

 

«Perfetto!»

 

E di colpo, tutti li superarono, avviandosi verso l’uscita della palestra e riservando un sorriso e un colpetto sulla spalla a Kurt e Blaine. Bruce, che era tornato in fretta e furia normale e si era infilato un paio di pantaloni della tuta di nascosto dagli occhi di tutti, passò loro di fianco con un occhiolino rivolto a Blaine e un sorriso per Kurt.

 

Rimasti soli, Blaine riportò lo sguardo su Kurt, che aveva gli occhi a palla e un’espressione persa in viso. Ridacchiò, sventolando una mano di fronte al suo volto.

 

«Tutto a posto?»

 

«Io…» Kurt si riscosse dal suo stato di torpore. «Sì, sto bene. Non ho detto una parola, ma va bene.» Spostò lo sguardo sui vari tipi di armi appesi alle pareti, e i suoi occhi si illuminarono all’improvviso.

 

«Quelli sono sai!» si avvicinò alle armi in questione, seguito da Blaine.

 

«Già! Li sai usare?» chiese Blaine, sorpreso dal ricevere un cenno di assenso da Kurt, che lo guardò dritto negli occhi.

 

«Vuoi -?»

 

«Posso -?»

 

Scoppiarono a ridere entrambi, imbarazzati per aver parlato contemporaneamente.

 

«Prima tu,» disse Kurt.

 

«Volevo chiederti se preferivi  tornare a casa…»

 

Kurt sorrise, scuotendo la testa. «No. Vorrei sapere come mai mi hanno mandato quei bigliettini e i fiori.»

 

Di colpo, Blaine abbassò lo sguardo, arrossendo; sembrò pensarci un po’ su, passandosi la mano tra i capelli, spettinandoli un po’, ma infine si decise a parlare.

 

«Essere un supereroe è difficile. Certo, è fantastico, ma nella vita reale è maledettamente complicato; non sai chi ti è veramente amico o chi vuole solo approfittare della tua popolarità. In tutti questi anni, non ho mai avuto un vero ragazzo, perché alla fine erano tutti interessati ai soldi, o alla fama…» Fece una pausa, alzando lo sguardo su Kurt. «Tu invece mi sei sembrato diverso, fin da subito. Mi degnavi a malapena di un’occhiata, ti limitavi a servirmi e tornavi al tuo lavoro; non sembravi adularmi né altro. Avevo voglia di conoscerti, lo desideravo davvero tanto perché… beh, perché mi sei piaciuto fin da subito. Anche se in quasi tutti i biglietti non miei ti chiedevo scusa, forse è meglio che te lo dica di persona: scusami. Non volevo fare ricerche su di te, né seguir –»

 

Un dito delicato si posò sulle labbra di Blaine, che arrossì a quel gesto. Kurt sorrise, rimuovendo il dito.

 

«Sono felice che lo abbiano fatto. Che abbiano mandato quei biglietti, e i fiori. Mi dispiace di essere stato così sgarbato con te, anche perché pensavo davvero tutte quelle cose che ti ho detto in quel vicolo,» spiegò Kurt imbarazzato, distogliendo lo sguardo da Blaine e ridacchiando.

 

«E ora hai cambiato idea?»

 

«Sì…» sussurrò Kurt, riportando gli occhi su Blaine.

 

«Allora anche io sono felice che lo abbiano fatto.»

 

Continuarono a sorridersi per un tempo interminabile, finché sentirono l’atmosfera cambiare intorno a loro, farsi più calda e pesante. Kurt e Blaine si attiravano come magneti, avvicinandosi sempre di più l’uno all’altro, i loro occhi che continuavano a spostarsi sulle labbra dell’altro; Blaine chiuse gli occhi, il cuore che batteva all’impazzata e un minuscolo angolo del suo cervello che ringraziava le idee strambe del padre. Finché un rumore sordo, come due oggetti metallici che si scontrano l’uno contro l’altro, attirò la sua attenzione.

 

Aprì gli occhi di scatto, tirandosi indietro e voltandosi il tanto che bastava per notare uno dei sai per terra, ai piedi di suo padre, con ancora indosso l’armatura, che sorrideva con occhi luccicanti. Blaine riportò lo sguardo su Kurt, che aveva in mano l’altro dei sai e lo stava facendo roteare con destrezza tra le dita.

 

Tony scoppiò in una risata fragorosa. «Oh, mi piace questo ragazzo! Sei bravo con i sai; dovresti unirti a noi!»

 

«Scusi, signore, non mi piace essere osservato mentre sto per baciare qualcuno,» replicò Kurt con un sorrisetto sulle labbra.

 

«Hai ragione, scusami. Giuro di non intromettermi più.» Blaine si chiese se era stato il solo a cogliere il sarcasmo nella voce del padre. «Volevo solo dirvi che è arrivato da mangiare.» E poi, detto questo, sparì.

 

Blaine arrossì ancora di più, gemendo. «Scusalo… anzi, scusa tutti.»

 

«Non preoccuparti. Devo loro un favore, dopotutto,» disse Kurt sorridendo.

 

«Ah sì?»

 

«Sì.»

 

Kurt si sporse in avanti, appoggiando le labbra su quelle di Blaine e ancorandosi alle sue spalle. Blaine rilasciò un sospiro, intrecciando le dita tra i capelli di Kurt e tirandoselo ancora più vicino.

 

Nel frattempo, fuori dalla palestra, Tony si girò verso gli altri.

 

«Progetto Klaine terminato con successo,» informò gli altri. «E ora, shawarma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Allora, non so cosa sia venuto fuori questa volta. Sapevo di poter affrontare il tema Heroes in 300 milioni di modi diversi, senza cadere in certe americanate ma… jfidfgidghiadfgahi scusate, io AMO The Avengers, i film della Marvel e tutte queste cose, ma soprattutto AMO, ADORO, VENERO Robert Downey jr. Vado addirittura alle premiere londinesi dei suoi film per vederlo,  ed è l’attore che seguo da più tempo in assoluto.

 

Perciò, se unite questo, al prompt che ci è stato affidato e ai centomila crossover su tumblr… beh, è venuto fuori questo! =)

 

Ho preso vagamente spunto da questo gifset in cui, appunto, Tony è il papà di Blaine. E da qui è nata questa storia che probabilmente non sta né in cielo né in terra ma… dovevo scriverla *__*

Ovviamente immagino sappiate chi sono i personaggi e i loro vari interpreti; in caso contrario, chiedete pure! =)

 

Spero vi sia piaciuta! =)

A domani con la Skank/Nerd Klaine

 

Bel 

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Capitolo 4
*** Day 4: Skank/Nerd Klaine ***


Masquerade

 

 

Kurt si lasciò scappare un profondo sospiro non appena il complesso del McKinley High School entrò nel suo campo visivo: più giorni lo vedeva, meno era la voglia di entrarci e spendere lì le sue giornate. Ed erano solo al secondo anno!

 

Il grigiore dell'inverno appena cominciato, poi, non faceva altro che deprimerlo ancora di più, così che, parcheggiando la macchina e scendendo con cautela, si chiese che cosa mai gli sarebbe potuto succedere in una giornata che era appena cominciata nel peggiore dei modi.

 

Neanche qualche istante dopo, il ragazzo dovette prender nota del fatto che il Karma sapesse sempre dove e quando colpire. Si chiese se invece avesse ancora qualche problema con il "chi", perché ultimamente – da più di un anno, a dirla tutta – pareva essersi particolarmente affezionato a lui. Alzando lo sguardo ed incamminandosi verso l'entrata, infatti, una delle prime persone che involontariamente aveva incontrato con lo sguardo era stata Blaine Anderson ed il cuore aveva improvvisamente fatto male.

 

Si fermò per un attimo, il tempo necessario per riprendere fiato. Era un anno che lo vedeva in quello stato e la cosa riusciva ancora a ferirlo come se fosse la prima volta. La parte migliore della storia, poi, era che Blaine neanche sapeva di tutto quello, dei suoi sguardi furtivi, del fatto che ci stesse ancora male. Lui semplicemente se ne andava in giro col suo gruppo – e al fianco dell'immancabile Quinn Fabray – sigaretta alla mano, orecchino azzurro fosforescente che risaltava sul suo lobo, giubbotto di pelle ed aria arrabbiata, senza degnare nessuno di uno sguardo se non per minacciare o essere irrispettoso del prossimo.

 

Quello ormai era il gruppo degli skank della scuola e lui ne faceva parte.

 

Quando Kurt raggiunse l'armadietto, ormai i corridoi erano quasi del tutto vuoti. Farsi vedere quanto meno possibile in giro prima che suonasse la campanella restava una delle tattiche migliori per evitare l'incontro con spiacevoli soggetti e c'erano giorni in cui era capace anche di tornare a casa senza aver ricevuto alcuno spintone. Giorni fortunati.

 

Mentre cercava il libro di storia, il ragazzo non poté fare a meno di gettare lo sguardo sulle foto che aveva appeso da tempo nella parte interna dello sportello. C'era una foto che lo ritraeva con Mercedes e Rachel, sue compagne al Glee Club nonché migliori amiche, una con suo padre ed un'altra di qualche anno prima. Quella era una delle sue foto preferite, di quelle fortuite che però catturano istanti preziosi: suo padre l'aveva scattata senza che lo sapesse, mentre si stava divertendo in giardino. Con Blaine. Sorridevano, vittime di chissà quale gioco esilarante e Kurt ricordava  di essersi sentito, allora, spensierato e felice come in altre poche occasioni.

 

Avrebbe fatto di tutto perché gli fosse restituito il Blaine di quella foto, il Blaine con cui era cresciuto e che era stato suo amico – almeno fino all'inizio delle superiori. Lì, poi, qualcosa era cambiato e quello che davvero riusciva a farlo ancora stare male era il non aver mai saputo cosa fosse successo. Da un giorno all'altro, durante l'estate, non si era fatto più sentire e poi, una volta cominciata la scuola, se lo era trovato di fronte completamente trasformato, dall'abbigliamento, ai capelli, al carattere. Non gli aveva rivolto più la parola e i suoi tentativi di parlargli erano stati ignorati o respinti in malo modo.

 

Fino a che non si era semplicemente arreso all'evidenza. Era cambiato. Lo aveva perso. E il suo cervello, a dirla tutta, non ci aveva messo chissà quanto ad abituarsi alla cosa: non doveva più salutarlo, chiamarlo o rivolgergli la parola, sarebbe stato inutile anche pensarlo o parlare di lui con qualcun altro. Una lista di divieti semplici da rispettare.

 

E invece no, lui lo pensava, parlava di lui e aveva provato a chiamarlo decine e decine di volte, salvo poi essere puntualmente ignorato. Non aveva perso le speranza, perché se c'era una cosa che aveva imparato era ad essere tenace: era ciò che lo aveva fatto diventare uno dei ragazzi più intelligenti della scuola, quello a cui si chiedeva una mano per passare il compito di matematica, per poi negare di aver avuto, invece, una qualsiasi interazione su un qualsivoglia argomento.  La  stessa tenacia che lo aveva portato ad impegnarsi per migliorare anche nel Glee Club e che gli impediva di perdere quell'ultima speranza, riguardo Blaine, facendogli immaginare scenari in cui il ragazzo sarebbe andato da lui, a testa bassa e cuore aperto, e gli avrebbe spiegato ogni cosa.

 

Che cosa stupida, si disse, mentre si affrettava a raggiungere l'aula, Non succederà mai!

 

 

***

 

 

Sperare che la giornata passasse nel modo più anonimo possibile era stato esagerato da parte di Kurt, ma quando aveva chiuso l'armadietto per recarsi alla lezione di Francese, l'ultima della giornata, si era davvero rilassato all'idea che stavolta il cambio di vestiti non gli sarebbe servito. Grosso errore, perchè non appena aveva svoltato l'angolo, il freddo appiccicoso di una granita ai mirtilli – a giudicare dall'odore – gli si era insidiata tra i vestiti, fino alla pelle, facendolo rabbrividire.

 

Addio lezione di Francese. Si era immediatamente recato in bagno, una volta recuperato il cambio, ed ora era impegnato ad aggiustarsi la camicia su cui un grazioso foulard si poggiava morbidamente. Inutile dire che la parte più difficile sarebbe stata mettere a posto i capelli, ora un completo disastro.

 

«Dannate granite e dannati giocatori di football!», si lamentò, alzando la voce, mentre si passava un asciugamano in testa dopo aver  sciacquato i capelli alla bene e meglio: lì non aveva tutti i prodotti che gli servivano, ma se la sarebbe dovuta cavare con la lacca di riserva che aveva sempre nell'armadietto. Al resto avrebbe pensato una volta a casa.

 

«Ti abbiamo rovinato l'acconciatura, fatina?».

 

Quella voce ebbe il potere di farlo rabbrividire. Si voltò di scatto, l'asciugamano che gli scivolava sulle spalle, per scorgere i tre energumeni – capitanati dall'immancabile David Karofsky – che erano appena entrati nel bagno.

 

«Non dovreste essere a lezione?», chiese, ostentando la sfacciataggine che in momenti simili prevaleva in lui.

 

«E tu non dovresti usare il bagno delle ragazze?», gli fece eco uno di quelli.

 

Kurt trovò il coraggio di sorridere della pessima battuta.

 

«I bambini dell'asilo saprebbero offendere con più creatività. Il vostro repertorio è davvero scarso, ragazzi».

 

Chiunque avrebbe potuto leggere una scintilla inquietante di rabbia farsi strada nello sguardo dei tre giocatori di football.

 

«Vediamo  se la penserai ugualmente anche del nostri colpi!», disse furioso Azimio, prima di scattare in avanti e spingere Kurt contro le mattonelle del bagno. Lo zaino poggiato sul bordo del lavandino cadde a terra, lasciando che quaderni ed appunti vari si sparpagliassero sul pavimento. Kurt sentì appena uno dei due ragazzi più lontani sghignazzare un sarcastico "ops", perché il colpo violento contro il muro gli aveva fatto mancare il fiato e spalancare gli occhi per la pochissima distanza che lo separava dal bullo –  sentiva praticamente il suo fiato addosso.

 

«Sei il peggio del peggio! Non solo frocio, ma anche un secchione sfigato! Per quale motivo dobbiamo essere costretti a vederti ogni mattina qua dentro, eh?», gli gridò addosso, stingendogli così forte un braccio che Kurt poteva avvertire la circolazione fermarsi all'altezza del polso. La paura gli impedì di pensare logicamente, così che provò comunque a sfuggire a quella stretta, ma  si ritrovò in breve steso sul pavimento, con una spalla dolorante e gli occhiali che premevano sul viso fino a fargli male, mentre le risate dei tre ragazzi che lo colpivano dritto al petto, ferendolo quasi più del colpo.

 

Si era promesso che non avrebbe mai pianto davanti a loro, ma in quel momento trovava estremamente difficile mantenere quella parola.

 

«Non devi più farti vedere!», gridò il più alto dei tre, Josh «Mi hai capito?! Non farti più vedere» e si avvicinò in modo pericoloso.

 

Kurt arrancò indietro, col fiato corto e la paura che governava ogni movimento, ma non riuscì ad evitare il calcio che lo colpì in pieno stomaco. Gridò, stingendosi su se stesso, in un estremo tentativo di difendersi da successivi colpi, che, però, non arrivarono.

 

Quando si concesse di aprire gli occhi, alzando lo sguardo, vide i tre bulli rivolti verso l'entrata del bagno e, fermi sulla soglia, un paio di ragazzi tra cui riconobbe Blaine. Anche in un momento del genere la sua vista ebbe il potere di fargli saltare il cuore in gola dall'emozione. Forse era salvo: ora Blaine lo avrebbe aiutato, avrebbe detto a David e compagnia di sparire, avrebbe fatto in modo che smettessero di picchiarlo, probabilmente adesso-

 

Quello che vide gli fece perdere le ultime forze che aveva. Blaine osservò la scena per qualche istante, poi si fece avanti, dandosi una sciacquata al viso e sistemandosi i capelli, dopodiché senza dire nulla, sparì da dove era arrivato. Blaine lo aveva lasciato lì, da solo, senza fare nulla.

 

Ora Kurt aveva una voglia disperata di piangere, mentre lo stomaco gli faceva davvero male e doveva aver sbattuto da qualche parte anche la guancia, perché sentiva quella parte del viso in fiamme.

 

David lo degnò di un altro sguardo derisorio, facendo volare nuovi insulti, poi anche loro lasciarono il bagno. Il ragazzo non seppe fare altro che raggomitolarsi su se stesso e piangere.

 

 

***

 

 

Il cellulare di Mercedes vibrò mentre lasciava l'aula dell'ultima ora e si dirigeva verso la mensa. La ragazza lo estrasse e sorrise quando vide chi era il mittente. Quel gesto allegro, però, si perse non appena lesse il contenuto del messaggio.

 

"Sono sul retro. Vieni subito, ti prego."

 

Senza pensarci su due volte, cambiò strada e in pochi minuti fu sulle scale antincendio che conducevano all'esterno. Le scese quasi correndo fino a che, a pochi passi da esse, seduto per terra e col volto nascosto nelle ginocchia, non scorse il suo amico.

 

«Kurt!», gridò, raggiungendolo «Che cosa è successo?».

 

Quando il ragazzo alzò la testa verso di lei, non ci fu bisogno di risposte o ulteriori domande. Mercedes sentì un attimo girare la testa, ma riuscì a restare calma e si avvicinò con cautela, prendendo un fazzoletto di stoffa dallo zaino e tamponando la scia di sangue che sporcava la guancia sinistra di Kurt.

 

Il contatto lo fece fremere e il ragazzo resistette a stento all'impulso di tirarsi indietro. Mercedes si accorse subito che stava tremando e senza dire nulla, lo tirò a , stringendolo tra le sue braccia. Kurt si lamentò appena, risentendo ancora abbastanza dei colpi subiti, ma si lasciò stringere, perché al momento sentiva che da solo sarebbe crollato.

 

«Se vuoi piangere, fallo: fa bene, tesoro», gli sussurrò lei, ma sentì Kurt scuotere la testa sulla sua spalla.

 

«No. Ho già pianto abbastanza», fece, trovando infine la forza di staccasi dall'amica.

 

Mercedes gli sfiorò di nuovo la guancia.

 

«Devi parlarne con il preside: ora deve fare qualcosa!», disse seria, ma lo vide scuotere ancora la testa.

 

«Non servirebbe a nulla: sarebbe la mia parola contro la loro e al massimo prenderebbero un ammonizione. Se facessi la spia sarebbe solo peggio. Oggi erano... particolarmente arrabbiati, suppongo».

 

«E sarà sempre peggio, Kurt!», insistette la ragazza, ma le parole le morirono in gola quando lo vide scoppiare improvvisamente a piangere «No, tesoro... non volevo peggiorare le cose, scusami», sussurrò, tirandolo di nuovo più vicino a sé.

 

«Non s-sei stata t-tu», balbettò  il ragazzo, appoggiando la propria testa sulla spalla dell'amica «Oggi... mentre è successo... c'èra Blaine», confessò.

 

Mercedes gli lanciò uno sguardo sconvolto.

 

«É stato lui?», chiede.

 

«No, no. Ma era lì. È entrato in bagno mentre io ero per terra... lui mi ha visto... e non ha fatto nulla», riprese a singhiozzare.

 

«Tesoro... ma perché continui a farti male così? Sappiamo che è cambiato, perché ci tieni ancora così tanto a lui?».

 

«Come potrebbe essere diversamente?», gridò «É stato il mio migliore amico per così tanto tempo... e 'Cedes, è con lui che ho capito di essere gay... ne sono innamorato, lo sai! Non riuscirò mai ad accettare di averlo perso, non così. Ma vederlo completamente indifferente... mi ha spezzato il cuore...».

 

La ragazza avrebbe voluto fare qualcosa per alleviare quel dolore, ma non c'era nulla che potesse farlo stare meglio. Kurt pensava a tutti i momenti vissuti con Blaine, a quando gli era stato vicino dopo la morte di sua madre, aiutandolo a superare quel brutto momento o quando al parco si erano dovuti difendere da un gruppo di ragazzi più grandi che aveva preso ad infastidirli. Non c'era un momento, allora, in cui non fossero insieme, spesso dormivano anche uno a casa dell'altro... ed ora questo.  Ora erano arrivati al punto che non solo non si parlavano più, ma erano completamente  estranei uno per l'altro, non importava quale fosse la situazione.

 

No, Kurt non riusciva ad accettare una cosa del genere, il suo cuore non sarebbe mai stato pronto a lasciar andare Blaine, anche se al momento sanguinava proprio a causa sua.

 

 

***

 

 

Kurt si lasciò scappare un flebile lamento, mentre si spalmava una pomata sui lividi che percorrevano il suo corpo, inarcandosi quanto più possibile per raggiungere anche la pelle della schiena e le scapole. Sentì lo scampanellio del campanello poco più in basso, ma non se ne preoccupò: Burt era in cucina a fare compagnia a Carole mentre cucinava, sarebbe andato lui ad aprire. I rumori di una conversazione arrivarono attutiti dal piano di sotto, ma Kurt continuò a non farci caso, troppo intento a esaminare il suo corpo pieno di lividi nello specchio del bagno.

 

Poi, dei colpi alla sua porta lo fecero sobbalzare, riscuotendolo dai suoi tristi pensieri.

 

«Kurt, posso entrare? C’è… una persona per te.»

 

Merda!

 

Non poteva permettere che suo padre lo vedesse conciato in quel modo, così si affrettò a rimettersi la maglia a maniche lunghe che prima aveva appoggiato sul letto. Quando fu certo di aver coperto ogni segno giallo o violaceo che fosse, aprì la porta della sua stanza, trovandosi di fronte l’espressione stupita e un po’ corrucciata di suo padre.

 

«Dimmi, chi vuole vedermi?»

 

«Blaine

 

Kurt sgranò gli occhi. Chi? Blaine? Quel Blaine Anderson? Il suo migliore amico fin dall’età di otto anni, quel ragazzino con cui aveva condiviso film Disney, corse al parco, cadute varie, abbracci rassicuranti e primi, inaspettati, del tutto nuovi sentimenti? Lo stesso ragazzo che faceva finta di non conoscerlo da ormai due anni, che non aveva mai risposto alle sue telefonate, né alle sue domande, che non gli aveva mai dato una spiegazione del suo comportamento?

 

Kurt sorpassò il padre fino ad avere una chiara visuale della porta di casa sua, davanti alla quale stava Blaine, le mani in tasca e lo sguardo disinteressato che vagava per la casa.

 

Sì, era proprio quel ragazzo.

 

Blaine alzò gli occhi, fissandoli in quelli dell’altro ragazzo in cima alle scale, che quasi si sentì mancare il fiato: era la prima volta che si guardavano negli occhi così a lungo in due anni. Kurt non seppe spiegare perché disse quelle parole; quelle gli uscirono dalle labbra, e non sembravano affatto sbagliate in quel momento.

 

«Sali.»

 

Burt si avvicinò alle spalle del figlio, chinandosi su di lui con fare protettivo; sapeva quanto il cambiamento di quel ragazzo avesse fatto male a Kurt e, fosse stato per lui, non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi troppo. «Non voglio che salga in camera tua.»

 

Kurt, lasciando gli occhi di Blaine che si avvicinavano sempre di più dal momento che stava salendo le scale, si voltò verso il padre, guardandolo con sguardo rassicurante. «Papà, non succederà nulla. Ma ho bisogno di parlare da solo con lui.»

 

A Burt bastò un’occhiata veloce agli occhi del figlio per farsi da parte, permettendo a Kurt e Blaine di chiudersi in camera, da soli. Incrociò lo sguardo di Carole e Finn in fondo alle scale, e, seppur titubante e sbuffando come un mantice, raggiunse la moglie e il figliastro, rientrando con loro in cucina.

 

Rimasti soli in camera, Kurt continuava a fissare Blaine in attesa che parlasse, ma questi non sembrava averne alcuna intenzione; faceva vagare lo sguardo svogliato sui poster di Kurt appesi alle pareti, sul suo letto, sulle fotografie appoggiate alle mensole – e si riconobbe addirittura in alcune foto, un se stesso bambino, così diverso dal ragazzo che era diventato. Blaine distolse lo sguardo, infastidito.

 

«Perché sei qui?» proruppe Kurt con tono flebile, aggiustandosi gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso.

 

«Volevo sapere come stavi.»

 

 La voce di Blaine, un tempo dolce e calda, sembrava completamente snaturata, così distaccata e fredda. Ma Kurt quasi non ci fece caso, troppo sconvolto da ciò che aveva appena sentito: Blaine era preoccupato per lui? Come poteva esserlo? Il pensiero, al contrario di quello che si aspettava, gli fece soltanto ribollire il sangue nelle vene dalla rabbia. Kurt provò a respirare profondamente, cercando di calmarsi e di non urlare addosso al ragazzo che si trovava di fronte – non era proprio il tipo che urlava spesso, anzi – ma anche solo guardarlo gli faceva montare ancora più rabbia in corpo. Strinse i pugni, cercando di non lasciarsi andare alla rabbia, ma senza riuscirci.

 

«Che cosa?» si trovò a sputar fuori. «Ti preoccupi per me adesso? Dopo che hai passato gli ultimi due anni a ignorarmi? Dopo che hai lasciato che Karofsky e i suoi amici mi facessero del male in quel bagno?! Tu… chi ti credi di essere, Blaine Anderson?!»

 

Ormai stava urlando a pieni polmoni, il respiro pesante, le sopracciglia aggrottate e gli occhi furenti fissi su Blaine, che strinse i pugni, pronto a difendersi.

 

«Non preoccuparti, la prossima volta non mi interesserò più a te, Hummel,» sibilò, prima di girarsi e fare per uscire dalla stanza.

 

Kurt, per la terza volta quella sera, si ritrovò a fare cose che non aveva ordinato a se stesso di fare. Con un balzo in avanti, afferrò Blaine per un polso, torcendoglielo appena, e lo costrinse a voltarsi; Blaine, colto alla sprovvista, si fece girare e sballottare appena dalla stretta di Kurt, ma poi reagì, stringendo forte le dita di Kurt con l’altra mano libera e allontanandolo da lui. Ma Kurt era più forte di quanto pensasse e, anche grazie all’altezza, riuscì a tenerlo fermo.

 

Rimasero a fissarsi in cagnesco per un tempo infinito, molto più vicini di quanto imponessero le buone maniere, ma nessuno dei due sembrò farci caso.

 

«Lasciami andare!» ringhiò Blaine.

 

«No! Non prima che mi avrai detto perché ti importa ancora di me, ma continui a evitarmi e trattarmi male. Non prima che tu mi abbia spiegato che cosa io ti abbia mai fatto per meritarmi questo tuo comportamento.»

 

Kurt lasciò andare il polso di Blaine, gli occhi che gli si inumidivano di lacrime.

 

 «Non prima che tu mi spieghi che cosa ti è successo, perché sei cambiato. Che fine ha fatto il Blaine che conoscevo? Dov’è il mio migliore amico?»

 

La sua mano scattò in alto, ancorandosi alla guancia di Blaine, ruvida per il lieve accenno di barba che cominciava a spuntargli ma calda esattamente come Kurt ricordava.

 

«Mi manchi,» deglutì, cercando di mandare giù il singhiozzo che voleva scappargli dalle labbra.

 

I suoi occhi, velati di lacrime, si legarono a quelli dorati e spenti di Blaine davanti a lui. Ma poi, qualcosa sembrò cambiare all’improvviso, le iridi chiare di Blaine parvero farsi più calde, il dorato nei suoi occhi sciogliersi; ma durò solo un attimo, perché quello successivo Blaine aveva fatto un passo indietro, allontanandosi dal suo tocco e guardandolo con la stessa espressione disinteressata di sempre. I suoi occhi erano di nuovo freddi e spenti.

 

«Affari tuoi.» Senza aggiungere un’altra parola, Blaine si girò e se ne andò, sbattendo la porta della stanza di Kurt alle sue spalle.

 

Kurt scoppiò in singhiozzi, accasciandosi a terra  e rannicchiandosi su se stesso, senza far caso al dolore allo stomaco causato dal calcio di Karofsky; il dolore più grande, era poco più su, in centro al suo petto dove ormai si trovava una voragine.

 

 

***

 

 

Era passata ormai quasi una settimana da quando Kurt aveva avuto quella lite con Blaine. Quella sera, aveva passato tutto il tempo a piangere, rannicchiato per terra, non permettendo a nessuno dei suoi familiari di entrare per consolarlo, o per lo meno chiedergli cosa fosse successo; Kurt non voleva parlarne, nemmeno con Rachel o Mercedes.

 

La sua amica aveva ragione: avrebbe dovuto dimenticare Blaine. Era stato il suo migliore amico per tanti anni, era stato l’unico a stargli vicino quando sua mamma era morta, quando gli altri bambini lo prendevano in giro perché lui preferiva giocare con le bambole anziché a calcio; era stato il primo ragazzo che Kurt avesse mai guardato con occhi diversi, chiedendosi come mai gli piacevano di più le labbra di Blaine invece che quelle della loro amichetta Brittany. Kurt amava trascorrere il suo tempo con Blaine, si sarebbe accontentato anche solo di guardarlo e a volte provava il desiderio di spingersi in avanti e posare le labbra sulle sue, così come aveva visto fare tante volte la sua mamma con il suo papà, anni prima. Ma non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a Blaine, troppo spaventato per la sua possibile reazione, spaventato che lui non gli sarebbe più voluto essere amico.

 

Quando però si era deciso a rivelargli tutto, quando aveva trovato il coraggio di dirgli che voleva provare a baciarlo, Blaine non si era presentato al loro incontro. Kurt lo aveva aspettato, chiamato, ma Blaine non si era fatto sentire. Il primo giorno di scuola del liceo, quando lo aveva rivisto, era rimasto turbato dal suo cambiamento e dalle crudeli parole con cui era stato cacciato via da Blaine quando aveva provato a salutarlo.

 

In realtà, Kurt lo stava ancora aspettando. Era come se stesse ancora aspettando Blaine, seduto sotto l’albero più alto del parco dove erano soliti andare a giocare. Ma ormai, Kurt sapeva che Blaine non sarebbe mai più tornato. Doveva toglierselo dalla testa.

 

Si trascinò nervosamente per i corridoi, cercando di evitare il gruppo di giocatori di football che stavano attraversando il corridoio, e si rifugiò appena in tempo nel bagno alla sua destra. Sospirò di sollievo, avvicinandosi allo specchio e osservando la sua espressione sollevata; almeno per questa volta, sembrava aver evitato uno spintone o peggio.

 

Proprio in quel momento, la porta del bagno sbatté pesantemente alle sue spalle, facendolo sobbalzare dallo spavento. Si girò di scatto e fece appena in tempo a mettere a fuoco chi si trovava di fronte, che venne spinto con forza contro il muro alla sua sinistra. Un lamento gli uscì dalle labbra quando le sue scapole ancora un po’ contuse sbatterono contro le piastrelle.

 

I suoi occhi si legarono a quelli di Blaine che stava semplicemente in silenzio davanti a lui, un’espressione arrabbiata sul volto, gli occhi accesi di rabbia. Kurt tremò leggermente sotto quello sguardo.

 

«C-che cosa vuoi?» si trovò a tremare, mentre una lacrima gli scivolava lungo una guancia.

 

Perché faceva così male guardare Blaine negli occhi?

 

Blaine si allontanò di scatto da lui, tirando un calcio a una delle porte dei cubicoli alla  sua sinistra.

 

«Smettila di piangere! Basta!» urlò, guardando Kurt negli occhi. «Vuoi sapere perché mi sono allontanato da te? Vuoi sapere perché sono cambiato, perché non sono più tuo amico, perché ti evito? Per essere normale!»

 

Kurt sbatté le palpebre, cercando di impedire alle sue lacrime di cadere, gli occhiali che gli scivolavano sul naso ormai bagnato.

 

«Io –»

 

«Zitto! Non dire niente… Tu non sai che cosa ho dovuto passare!» sibilò Blaine. «Vuoi sapere la verità? Quella sera, quando dovevamo vederci per parlare, ero euforico: volevo vederti, avevo sempre avuto voglia di vederti, ma questa volta era diverso. Volevo vederti perché avevo delle cose importanti da dirti. Ero confuso, stare con te mi rendeva confuso. E ho chiesto aiuto a mio padre. Gli ho chiesto come mai, quando ero con te, passavo il tempo a desiderare di prenderti per mano, a guardare le tue labbra, a cercare un modo qualsiasi per farti ridere. Speravo che mio padre avesse le risposte, che mi avrebbe aiutato a capire. Povero illuso.»

 

Kurt continuava a stare in silenzio, sconvolto, tremante, il cuore che batteva all’impazzata e la voglia di correre in avanti e stringere Blaine in un abbraccio.

 

«Non fu così. Non avvenne niente di tutto quello che avevo sperato. Mio padre mi picchiò tantissimo quella sera. Tu eri lì ad aspettarmi mentre io venivo preso a calci da mio padre.» Fece una pausa, stringendo i pugni. «Mi disse che dovevo essere normale, che se non lo fossi stato mi ci avrebbe costretto con la forza. Mi proibì di vederti. Passò un’estate intera a circuirmi, a farmi il lavaggio del cervello. Incominciai a credere alle sue parole… incominciai a desiderare di essere normale.»

 

Blaine alzò gli occhi su Kurt, facendo un passo verso di lui.

 

«Quell’estate ho incontrato Quinn. Lei era così arrabbiata, così simile a me che iniziai a trascorrere tutto il mio tempo con lei. Ero arrivato ad odiarti, Kurt. Era colpa tua se era successo tutto quello, era colpa tua se non ero normale. È per questo che ti ho sempre respinto in questi due anni. Ero così arrabbiato con te…»

 

Blaine ora era vicinissimo a Kurt, che tremava come una foglia, ancora contro il muro.

 

«Ma l’altro giorno è cambiato tutto. Non so cosa sia successo, vedere le sudice mani di Karofsky su di te, ha fatto scattare qualcosa in me che… Non sai quanto mi sia pentito di non averti difeso, Kurt.»

 

Kurt deglutì, rabbrividendo nel sentire pronunciare il suo nome da quella voce, per la prima volta in due anni. I suoi occhi si legarono a quelli di Blaine, e per la seconda volta Kurt vide il dorato negli occhi di Blaine sciogliersi e rimase senza fiato quando quegli occhi dorati si inumidirono di lacrime.

 

«E’ che… io mi sento così arrabbiato. Tutto questo,» e si indicò, «è una maschera. Una maschera per sentirmi normale, per difendermi dagli altri, per difendermi da mio padre, per difendermi da te. Ma non mi sento normale. Per niente.»

 

La mano di Kurt tremava quando si staccò dal muro per avvicinarsi alla guancia di Blaine. La tenne sospesa in aria per un tempo quasi interminabile, dando a Blaine il tempo di scostarsi se avesse voluto, ma il ragazzo non si mosse, anzi; sbatté una volta le ciglia, le lacrime gli scivolarono lungo le guance, e i suoi occhi sembrarono allargarsi ancora di più. Kurt quasi ci cadde dentro, e spostò la mano fino a posarla sulla guancia calda di Blaine, spazzando via le sue lacrime.

 

«Devi…» Kurt sospirò, accarezzando la guancia di Blaine e prendendosi nella morbidezza della sua pelle. «Devi essere te stesso per sentirti normale…»

 

«Kurt…» disse semplicemente Blaine, continuando a piangere davanti agli occhi dell’altro ragazzo, che non resistette: afferrò Blaine per le spalle e lo trascinò contro di sé, abbracciandolo stretto.

 

Kurt sospirò quando le braccia di Blaine si alzarono e lo strinsero di rimando intorno alla vita; affondò il viso nel collo di Blaine, annusando il suo profumo un po’ strano, diverso da quello di un tempo, ma allo stesso tempo sempre uguale. Era Blaine. E Kurt non si era sentito mai tanto al sicuro come in quel momento.

 

«Non è vero che ti odio. Non ti ho mai odiato…» sussurrò Blaine contro la sua spalla.

 

«Lo so.» Kurt sperava di non avere la voce troppo spezzata.

 

Blaine strusciò una guancia contro quella di Kurt, indietreggiando sempre di più fino a trovarsi con la fronte sulla sua. Kurt tenne gli occhi chiusi, il respiro caldo di Blaine che si infrangeva sulle sue labbra.

 

«Non ho mai smesso di desiderare di baciarti.»

 

Kurt aprì gli occhi, appena in tempo per vedere Blaine avvicinarsi quel tanto che bastava per posare le labbra sulle sue, in un bacio tenero e dolce, affettuoso e casto. Kurt rispose al bacio, muovendo le labbra su quelle di Blaine, lo stomaco sotto i tacchi e il cuore in gola. Si staccarono presto, fin troppo per i suoi gusti, ma valeva davvero la pena interrompere un bacio tanto desiderato per vedere ciò che si trovava davanti agli occhi.

 

Blaine stava sorridendo. Nonostante i capelli disordinati, l’orecchino, la matita nera agli occhi, assomigliava così tanto al suo Blaine, al suo migliore amico e forse qualcosa di più, al ragazzo che amava. Eppure, l’avrebbe amato in ogni caso, Kurt lo sapeva.

 

Rimasero così per quelle che sembravano ore, semplicemente a guardarsi. La campanella era suonata già da un po’, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a muoversi per andare in classe; quel giorno Blaine Anderson avrebbe avuto un’altra delle sue assenze ingiustificate, mentre per Kurt Hummel sarebbe stata la prima. Ma a nessuno dei due importava nulla. Si erano appena ritrovati, non si sarebbero allontanati tanto facilmente.

 

 

 

 

 

 

NdA:

Ebbene ce l’abbiamo fatta anche questa volta! Day 4: Skank/Nerd! Che ve ne pare? Questa è stata scritta insieme, da entrambe e ne siamo davvero soddisfatte, considerato che è la nostra prima esperienza con questo tipo di AU. Che ne ve pare? Ci voleva un po’ di angst dopo tutto il fluff/comico di precedenti shot, vi pare? (Alch ne sentiva la mancanza LOL – anche Bel)

 

Ringraziamo tutti quelli che fino ad ora hanno apprezzato la nostra raccolta *---*
Vi ricordiamo anche della nostra serie,
Klaine Songs

 

A domani, con la Photografer/Model!

 

Alchbel!

 

 

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Capitolo 5
*** Day 5: Photographer/Model ***


Love your smile.

 

«É un pessima idea, lo sai vero?».

«Sarà la centesima volta che lo ripeti, in tre giorni. Se anche non ne fossi stato consapevole, direi che l'ho capito».

«E lo stai comunque facendo. Quindi sono autorizzata a ripetertelo».

«Non cambierò idea, ormai sono in gioco».

«Non finirà bene».

«Buona giornata anche a te, Rachel».

Kurt chiuse velocemente la conversazione e passò attraverso le porte scorrevoli dello stabilimento, cercando di apparire quanto più serio e professionale possibile, nonostante fosse il suo primo giorno ed il suo primo incarico.

In cuor suo sperò che nessuna delle parole dette dalla sua migliore amica fosse vera – insomma, non stava facendo davvero nulla di male, era un fotografo che prendeva servizio per la Calvin Klein.

Gli girò la testa. Stava prendendo servizio alla Calvin Klein. Lui, Kurt Hummel. Si fermò per prendere un bel respiro: forse, dopotutto Rachel aveva ragione – stava facendo un passo enorme senza avere alcuna certezza. In fondo lui non era un professionista e anche se aveva studiato fotografia, probabilmente non era adatto per un simile lavoro, considerato che la vera ragione per cui ci stava andando era che -

«Hummel, giusto? La stavamo aspettando, da questa parte!».

In un attimo, il giovane fotografo perse il filo dei suoi incasinati pensieri e si trovò trascinato da una donna lungo un corridoio: ora non poteva più tirarsi indietro.

«Primo giorno, giusto? Niente panico: fa' il tuo lavoro e nessuno ti dirà nulla. Se ti hanno preso vuol dire che ci sai fare».

Quelle parole avrebbero dovuto incoraggiarlo? Kurt deglutì e tentò di rimanere calmo: certo, se l'avevano preso doveva esserci un motivo, ma da qui ad essere all'altezza della situazione ne passava di acqua sotto i ponti!

«Questi sono i camerini dei modelli, lì in fondo c'è un bagno comune, sulla destra trovi l'ala delle stanze dei fotografi – la tua è la 10 –; da questa parte, invece, ci solo le stanze dove lavorerai. Al momento devi andare nella 4, già sono al lavoro» e la donna ancora anonima raggiunse a grandi passi la stanza suddetta per poi gettarvi dentro un Kurt spaurito e spaesato.

Il ragazzo si voltò per dar voce alla prima delle decine di domande che aveva, ma la donna aveva già chiuso la porta davanti al suo naso. Sospirò lentamente, chiudendo gli occhi e tentando di farsi coraggio; poi si voltò, giusto in tempo per trovarsi almeno cinque paia di occhi che lo fissavano.

Quale inizio migliore avrebbe potuto avere? L'istintiva voglia di darsela a gambe levate fu soppressa con chissà quale forza, mentre fece qualche passo avanti, in silenzio.

«Tu sei quello nuovo, giusto?», chiese un uomo bruno, con una cartellina in mano.

«Kurt Hummel, signore», confermò il ragazzo, tendendogli la mano; questo la strinse brevemente.

«Per ora resta a guardare come si fa, più tardi proverai degli scatti».

Kurt annuì col cuore in gola, mentre uno dei tre fotografi presenti nella stanza riprese a scattare, dando indicazioni per pose diverse. Alzò lo sguardo verso il modello e rimase qualche istante fermo ad ammirarlo: i capelli biondi e corti, un viso pulito ma formato e degli occhi chiari che proprio in quel momento trovarono i suoi. Era davvero bello.

Ci mise qualche istante di troppo a distogliere lo sguardo, così che l'altro ragazzo sorrise appena e gli si avvicinò.

«Sono Sam», si presentò, fermando arbitrariamente il servizio fotografico «E tu sembri parecchio... spaesato».

Kurt gli strinse la mano arrossendo appena. Avrebbe dovuto rispondere? E per dire cosa?

«Io... sì, ma ci metto poco ad abituarmi», riuscì a rispondere sicuro.

Il modello sorrise, battendo una mano sulla sua spalla e tornando velocemente davanti all'obiettivo, di nuovo calato nella parte. Kurt si sentì immediatamente più rilassato, come se quel semplice gesto avesse rotto il fatidico ghiaccio e adesso fosse già parte del gruppo.

«Sam sa sempre come mettere le persone a proprio agio», gli sussurrò una ragazza e lui si trovò di nuovo a sorridere, d'accordo.

Forse dopotutto non sarebbe andata così male...

«Per oggi abbiamo finito, Evans», fece il fotografo professionalmente, per poi rivolgersi al nuovo arrivato «Ti occupi tu del prossimo photoshoot, d'accordo? Così vediamo di che pasta sei fatto!».

Kurt annuì, deciso, ma non poté fare a meno di notare una nota discordante negli occhi del biondo – avrebbe voluto chiedergli per cosa fosse quando un altro ragazzo entrò nella stanza, attirando l'attenzione di tutti. Hummel non fu da meno e anzi, appena si rese conto di chi fosse, il cuore gli saltò in gola.

«Kurt Hummel, ti presento Blaine Anderson», fece l'uomo avvicinando il nuovo arrivato al modello.

«Piacere», sussurrò questi, ma Blaine non lo degnò di uno sguardo, puntando invece i suoi occhi sull'altro.

«Spiegami perché devo lavorare con lui, Alex!», sbottò scocciato.

«Perché ora lui fa parte del nostro gruppo di fotografi», rispose secco l'uomo, facendo poi un cenno di capo in direzione delle luci.

Blaine sbuffò e vi si avviò lentamente: certo, ora quel ragazzino faceva parte della troupe, ma non capiva perché a fare da cavia doveva essere proprio lui! Avevano Sam lì, che ci sapeva fare con i nuovi arrivati e invece spettava a lui fargli da babysitter.

Si mise in posizione, aspettando irritato che l'altro fosse pronto e poi prese in mano la situazione, senza dare tempo al ragazzo di indicargli come muoversi, ma spostandosi da sé in pose ogni volta diverse. Kurt dal canto suo scattava, senza sapere se intervenire o meno, fino a che non ne ebbe abbastanza. Abbassò l'obiettivo e lo stette a guardare.

«Sono tutte... ottime pose, Blaine, ma-»

«Anderson».

Davvero? Gli stava davvero dicendo che doveva chiamarlo per cognome? Alzò per un attimo lo sguardo e tornò a parlare.

«Anderson, ma sei freddo e senza voglia. Capisco di essere nuovo e che la cosa ti secchi, ma qua si tratta di professionalità», disse serio – certo, non era un fotografo esperto, ma quello pareva essere un affronto personale e non l'avrebbe tollerato oltre.

Il modello non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito: il novellino gli stava dando delle lezioni su come posare? Era inconcepibile!

«Stammi a sentire, fino a prova contraria quello nuovo qua dentro sei tu e nessuno ti ha autorizzato a dare lezioni a chi c'è già da tempo!», esclamò risentito.

Kurt sorrise.

«Ecco, questo andava già meglio! Furioso, certo, ma almeno sei vivo! Credo che se gli stilisti cercassero solo dei manichini su cui poggiare le loro creazioni, non prenderebbero delle persone vive, ti pare? Non porti solo l'abito, sei parte di esso. Una grande parte!».

Blaine rimase spiazzato. Per un attimo trattenne il fiato, colpito da quelle parole. Kurt poté vedere l'ambra dei suoi occhi sciogliersi e seppe di aver fatto centro. Era come immaginava, era sempre stato come immaginava.

«Prova... prova a camminare verso di me serio. Fai qualche passo – diciamo cinque – poi voltati verso Sam e sorridi. Non è difficile».

Il modello non trovò modo di ribattere, ancora spiazzato dalle parole del nuovo fotografo, ma fece qualche passo indietro ed eseguì i movimenti che gli erano stati detti.

«Sorridi Blaine, sorridi! Pensa di aver visto un vecchio amico, qualcuno di speciale e sorridigli come se fosse la cosa migliore al momento», lo incoraggiò Kurt e l'altro ci provò con tutto se stesso. Ripensò alla Dalton, la vecchia scuola dove aveva frequentato le superiori, ripensò ai Warblers, a Wes che era stato il suo migliore amico e sorrise. Di un sorriso che nessuno lì aveva mai visto, che apparteneva ad un Blaine che non si era fatto vedere da tanto tempo.

«Bellissimo...», si lasciò scappare Kurt mentre scattava. Perché a pensarci era nato tutto con quel sorriso...

Il resto dei presenti era rimasto positivamente sorpreso dal modo in cui Kurt aveva tirato fuori una parte di Blaine che nessuno aveva mai visto: non era il primo a fargli notare che mancava passione e vitalità nei suoi scatti, ma molti avevano fatto in modo che compensasse quel calore con una freddezza che stupiva quasi in egual modo. Fino ad ora non si erano accorti di quanta differenza facesse invece sul viso di Blaine.

«Sai... Io credo che per essere convincenti, ad una sfilata, bisogna mostrare tutto se stesso. È come mettersi a nudo di fronte a chi osserva, ma senza alcuna confessione verbale. Bastano gli occhi ed il viso. Il vestito che porti addosso è solo parte del lavoro che devi fare... il resto lo fa il corpo che lo indossa...».

Kurt non sapeva perché aveva detto quelle cose: le sentiva come vere. Alle volte aveva visto modelle che davvero mostravano tutto di sé con un semplice sguardo e avrebbe davvero voluto che anche Blaine provasse a farlo.

Dal canto suo il modello lo fissò per qualche istante interminabile per poi andare via con una certa fretta, come se stesse scappando. Il fotografo lo guardò preoccupato: probabilmente aveva esagerato e forse Anderson si era offeso per le sue parole da “grande filosofo”?  Ma per il sorriso che aveva regalato alla macchina fotografica, ne ara valsa la pena.

«Ben fatto, ragazzo», si sentì dire da Alex «Non era mai successo che qualcuno riuscisse ad entrare così in contatto con Blaine».

«Pensa che se la sia presa?».

«Staremo a vedere. Sam, accompagnalo a fare una passeggiata, per stamattina abbiamo finito».

Il biondo lanciò un sorriso a Kurt, facendogli strada fino a che non uscirono dal palazzo.

«Caffè?», chiede cortese, ma l'altro scosse la testa.

«No, grazie. Ci sono andato... pesante, con Blaine intendo?».

Sam si accigliò un po', fermandosi e appoggiando la schiena contro il muro.

«Non è un tipo molto aperto. Non da quando lo conosco. Con me capita che si confidi, ma credo di essere un'eccezione. Ha... ha avuto dei problemi con i suoi genitori, credo. Sta di fatto che ha imparato a stare da solo e ci si trova bene – o così dice».

«L'avevo immaginato...».

«Ma tu lo hai smosso, accidenti! Ne sono davvero impressionato! Da quanto lavori in questo campo?».

Kurt arrossì. Per qualche istante entrò in panico.

«É il primo incarico. Il primo... primo», cercò di dire rimanendo calmo.

«Beh, complimenti! Hai occhio!» e gli diede una nuova pacca sulla spalla, facendolo ridere.

«Spero che Blaine la pensi allo stesso modo. Per ora è certo che mi odia».

Sam sorrise, enigmatico e poi lo invitò a continuare quella passeggiata.

 

***

 

Checché ne dicesse Sam, dopo una settimana Kurt era ormai certo che Blaine – Anderson, come ancora voleva che lo chiamasse – lo odiasse. Da quel giorno aveva fatto in modo che non capitasse mai con lui e se succedeva, evitava di rivolgergli la parola e dava l'impressione di non vedere l'ora di andare via.

Kurt aveva provato a parlargli, fosse anche chiedergli scusa, ma non aveva ottenuto altro che rifiuti atoni, tanto che era arrivato al punto di desiderare anche che lo prendesse a pugni piuttosto che gli riservasse quel comportamento indifferente.

Quello che non sapeva era che per Blaine lui era tutt'altro che indifferente. Il modello non aveva smesso di pensarlo da quando si erano parlati, perché lui era stato il primo dopo tanto tempo che lo avesse smosso: si era creato un'immagine, da quando lavorava lì, e a Kurt era bastato un attimo e poche parole per farla crollare. Lo aveva fatto sorridere e aveva riportato alla mente ricordi che credeva di aver perso.

E aveva fatto male ricordare, ma lo aveva fatto sentire improvvisamente vivo. Lui, che aveva bandito gli affetti ed il calore umano dalla sua vita, ora si sentiva improvvisamente fragile ed umano. Per questo tentava di tenersi quanto più lontano possibile da lui, per paura che accadesse di nuovo, perché non sapeva se fosse un bene...

Quella sera, mentre stava per andare via, si trovò a passare davanti il camerino di Kurt e la vista del suo nome sulla porta gli riportò alla mente le sue parole. Non seppe bene per quale motivo, ma si scoprì – dopo giorni che lo evitava – a bussare alla sua porta.

«…Hummel?», chiamò, ma nessuno lo rispose «Hummel, sei dentro? Posso entrare?».

Quando gli rispose di nuovo solo il silenzio, il modello si decise ad entrare. La stanza era vuota e – notò, dopo aver acceso la luce – anche molto ordinata. Blaine girovagò prestando attenzione alle varie cose con cui l’aveva arredata: un paio di soprammobili, dei fermacarte colorati con delle foto si sé e – immaginò – la famiglia,  ed altri piccoli oggetti che rendevano l’ambiente particolare ed allegro. Pensandoci, non si sarebbe aspettato nient’altro da un ragazzo come Kurt.

Stava per lasciare la stanza, facendo finta che non ci fosse mai entrato, quando da un cassetto mezzo aperto, scorse una cartellina di carta, con sopra scritta una sola lettera. B. Non dovette pensarci per più di qualche istante, prima di decidersi ad aprirla, in barba a tutti i diritti sulla privacy.

Non appena ne vide il contenuto, desiderò non essere mai entrato in quella stanza. Erano foto, una decina di foto che lo ritraevano – foto rubate, in momenti in cui lui non si era accorto di avere un obiettivo puntato addosso, ma soprattutto foto vecchie di almeno un mese, o forse anche due. Foto di prima che Kurt cominciasse a lavorare con la Calvin Klein.

Blaine rimase fermo sul posto, le mani che stringevano le foto più per bisogno di tenersi stretto a qualcosa che per altro. La testa girò lievemente, mentre tentò di realizzare quello che stava succedendo. Kurt aveva delle sue foto, foto che aveva scattato da solo e di cui lui non s’era accorto. Cos’era, uno stalker? Per quale maledetto motivo aveva quelle foto, perché era venuto a lavorare con loro, perché aveva detto proprio a lui quelle parole?!

Le domande lo schiacciavano e gli parve di non poter più respirare. Tremava, tremava di rabbia e –non lo avrebbe mai ammesso a se stesso – di dolore. Nonostante tutto, nonostante lo evitasse e tentasse di dimenticarlo, quella situazione faceva male.

«Anderson! Che cosa ci fai qui?».

La voce del fotografo lo fece sussultare e voltare di scatto, con ancora le foto in mano. Fu la prima cosa che notò Kurt e capì immediatamente che stava per succede un disastro.

«Ascolta… io posso spiegarti…».

«Non c’è nulla che tu possa spiegare! Chi diavolo sei?! Perché sei qui, perché hai delle mie foto? Mi stai spiando? Chi cazzo sei per fare una cosa del genere?».

«No, no! Ti sbagli! Non ti stavo spiando, non stavo facendo nulla del genere… so che può sembrarlo, ma davvero, non è così!» e Kurt avrebbe voluto fare un’uscita migliore di quella battuta da film romantico di seconda classe, ma Blaine non gli diede tempo di dire nient’altro.

«Prendi la tua roba e sparisci! Se domani ti trovo di nuovo a lavoro, giuro che ti denuncio! Non voglio vederti mai più!», gridò, lanciando via le foto e lasciando la stanza.

A nulla valsero le grida di Kurt di tornare indietro: il modello corse via, sotto la pioggia che cadeva e nascondeva vergognose lacrime.  Perché nonostante tutto, lui aveva creduto che Kurt fosse diverso, che quelle parole fossero sincere, che avesse capito di lui qualcosa che gli altri non immaginavano neanche e che Sam aveva solo intravisto.

Si era illuso che Kurt fosse diverso, invece era come tutti gli altri – aveva scopiazzato quelle frasi ad affetto chissà da dove solo per far colpo su di lui… ma in realtà neanche a lui fregava nulla.

 

***

 

Quella notte, Blaine non aveva dormito affatto e questo sarebbe davvero stato un problema per il servizio fotografico che avrebbe dovuto fare nel pomeriggio. Avrebbe tanto voluto annullare l’impegno e stendersi da qualche parte, recuperare l’equilibrio che al momento definire precario sarebbe stato dire poco.

Sperava almeno di non dover rivedere più Kur- Hummel. Sì, era solo Hummel, uno sconosciuto che aveva tentato di ferirlo. Ma non ci era riuscito, era ancora in piedi e sarebbe andato avanti come aveva fatto fino ad ora.

Il modello entrò nel suo camerino in modo svogliato, ma non poté fare a meno di non notare qualcosa di colorato a terra. Quando si abbasso per prenderla, si accorse che era una delle sue foto… una di quelle foto? L’impulso di gettarla nel cassonetto fu forte, ma prima che lo facesse, si accorse che il resto era scritto. Una calligrafia sottile ed elegante riempiva tre quarti dello spazio.

Era firmata da Kurt.

 

“Sei andato via e non ho avuto il tempo di spiegarti come stanno le cose… ma ci tengo davvero a farti sapere il perché di quelle foto. Non dovrebbe importarmi, dopotutto, ma è così. Sono davvero un fotografo e questo è era davvero il mio primo incarico importante. Non ti ho mentito. Mai. Ma non sono stato sincero con te – e tu non me ne hai dato occasione.

Vedi questa foto? È la prima che ti ho scattato. Non l’avevo neanche fatto di proposito. C’era una sfilata ed ero andato a guardarla con un paio di amici, senza alcun impegno. Ho cominciato a scattare foto casuali al paesaggio e alla folla… e poi sei capitato tu. Non me ne sono neanche accorto fino a che non le ho scaricare sul pc.

Guardati. È questo che intendevo il nostro primo giorno. Non so che cosa ti avesse detto Sam – ora so che è Sam quello accanto a te – ma hai un viso così rilassato ed un sorriso così bello che sono rimasto senza fiato. Per non parlare dei tuoi occhi…

Mi sono informato – sì, ho fatto delle ricerche su di te per sapere chi eri, puoi biasimarmi per questo. E quando ti ho visto… non lo so, non ho idea del perché, ma dovevo conoscerti. Forse per la differenza così abissale che vedevo nelle tue foto di lavoro rispetto alla mia, forse perché sono completamente impazzito… Non lo so.

Volevo vederti e conoscerti, capire perché spegnevi e nascondevi una parte di te quando posavi e mi sono lasciato trascinare dalla cosa: sono stato alle tue sfilate , ho provato invano a catturare di nuovo quello che avevo visto la prima volta. Alla fine ho deciso di farmi assumere. Rachel mi aveva detto che sarebbe andata male, ma non le ho dato ascolto. Ci ho messo mesi, ma sono entrato.

 Guarda quella foto, Blaine. Puoi biasimarmi per quello che ho fatto? Sei bellissimo: quando sorridi in modo affettuoso i tuoi occhi si sciolgono e diventano lucidi ed il tuo sorriso è meraviglioso. Volevo semplicemente che non ti privassi di quel sorriso… io… mi spiace, mi spiace di tutto Blaine.

Davvero. Vorrei solo dirti

 

Kurt Hummel.

 

Blaine aveva gli occhi lucidi, mentre tornava a guardare la foto su cui era scritta quella lettera. Sì, ricordava perfettamente quella serata, circa tre mesi prima. Stava parlando con Sam, gli stava raccontando di uno scherzo che Nick e Jeff – due suoi vecchi compagni di scuola – avevano fatto al resto dei Warblers – il suo Glee Club. Era stata una delle rare volte in cui guardare al passato non aveva fatto male.

Improvvisamente, seppe che cosa fare. Aveva sbagliato ogni cosa! Aveva giudicato senza lasciar spiegare, aveva condannato senza concedere difesa. Ma forse era ancora in tempo. Scattò dal suo camerino fino alla reception.

«Julie, Hummel stamattina è venuto?»,  chiese col fiatone.

La ragazza lo guardò stranita.

«È uscito meno di un minuto fa. Ha dato le dimissioni. Sembrava… triste».

Blaine non le diede tempo di dire altro e scattò fuori, bloccandosi però quasi subito perché non sapeva se Kurt avesse svoltato a destra o a sinistra. Era più di una settimana che staccavano tutti insieme e non sapeva in che modo era solito raggiungere questo posto. Cercando di fare mente locale ricordò che a più o meno mezzo chilometro di distanza doveva esserci una delle entrate della metropolitana. Poteva essere quella la sua meta.

Senza esserne del tutto sicuro, prese a correre verso sinistra, badando appena alle persone che urtava nella corsa, intento solo a cercarlo tra la perenne folla di quelle strade.

Quando lo vide, accanto ad altri, che aspettava che il semaforo dei pedoni diventasse verde, quasi non gli parve vero.

«Hummel!», gridò, ma nella confusione – o almeno sperava che fosse per quello – l’altro non lo sentì.

«Hummel!» disse di nuovo, stavolta quando gli fu alle spalle e l’altro finalmente si voltò, rimanendo stupito, probabilmente, dal fatto che fosse lì davanti a lui.

«Sei venuto a concludere la sfuriata di ieri, Anderson?», gli chiese, recuperando la freddezza che lo stupore gli aveva fatto perdere.

Il modello restò a guardarlo per qualche istante, poi scosse la testa.

«Non avrei dovuto giudicarti… io… sembrava tutto così chiaro…».

«Non sempre le cose evidenti sono quelle esatte».

Kurt continuava a trattarlo con freddezza e Blaine non sapeva per quanto avrebbe retto quella situazione.

«Ti sto dicendo che mi dispiace, accidenti! Tu cosa avresti pensato al mio posto?».

Stavolta fu Kurt a restare qualche istante senza parole.

«Ti avrei lasciato quanto meno spiegare il perché!»

«E per questo ti sto chiedendo scusa! Ascolta… non è facile per me… fidarmi. Preferisco essere solo piuttosto che perdere le persone a cui mi lego o essere tradito da esse… quindi non puoi biasimarmi per la scenata che ho fatto. Ma mi spiace, perché ho esagerato e perché in fondo… hai ragione tu: non sorrido spesso, ma c’è un motivo se – Attento!».

Blaine non finì il discorso perché un pullman passò velocemente davanti a loro, schizzando l’acqua della pozzanghera che si era formata ai bordi del marciapiede. Il modello ebbe i riflessi abbastanza rapidi da prendere l’altro per le spalle e farlo spostare, in modo da rivolgere le proprie spalle all’acqua e non far bagnare Kurt.

Il fotografo non capì molto fino a che non si vide il modello bagnato dalla testa ai piedi, mentre lui era perfettamente asciutto. Ma quello che più lo lasciò interdetto fu il meraviglioso sorriso che ora stava illuminando il volto di Blaine.

«Fino ad ora sei stato la prima persona – a parte Sam – che ha provato a capirmi un po’ di più e ti devo un grazie per questo. Davvero Kurt. Ci sono così tante cose nel mio passato che mi hanno ferito – i miei genitori, innanzitutto – che è difficile per me avere ancora qualcosa per cui valga la pena sorridere. Ma quando mi hai detto di farlo, il primo giorno… mi sono trovato a pensare alla stessa cosa che mi aveva fatto sorridere nella tua prima foto, ai miei vecchi amici… non lo facevo da così tanto che li avevo dimenticati. Grazie».

«P-prego. Immagino fosse questo il mio scopo… insomma, dirti di sorridere un po’ di più. Amo il tuo sorriso».

Una risata scappò dalle labbra di Blaine, mentre il colorito di Kurt diventava rosso per l’improvvisa confessione.

«Suppongo che siamo partiti col piede sbagliato… Che ne dici di ricominciare da capo?», chiese, porgendogli poi la mano.

Il fotografo piegò appena la testa curioso, con un mezzo sorrisetto che saliva spontaneo sulle sue labbra.

«Scusami, ciao. Posso chiederti un’informazione: sono nuovo qui…»

«Mi chiamo Blaine»

«Kurt. Sai dove posso trovare la sede della Calvin Klein? Avrei delle dimissioni da ritirare…».

«Ti accompagno con piacere. Anche perché dovrei cambiarmi», scherzò Blaine.

Poi, senza che l’altro se l’aspettasse, lo prese per mano e cominciarono a ripercorrere i propri passi. Insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

___________________________________________

Wow! Rieccoci ancora una volta!

Stavolta è Alch che vi parla, e vi posso garantire che questo prompt (Photographer/Model) mi ha davvero messa in difficoltà… sono stata a pensarci su tutta la notte e stamattina è finalmente giunta una sottospecie di idea che lentamente si è sviluppata. Spero non sia così male e che possiate apprezzarla… Di mio, ho messo tutto quello che potevo :D

Ad domani, con i Dalton!Klaine

 

Alch

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Capitolo 6
*** Day 6: Dalton!Klaine ***


Just a little bit melancholy.

 

Blaine si mosse nel letto, spostandosi verso destra ed occupandone tutto lo spazio. Sentiva che qualcosa non andava, ma il sonno lo privava della voglia di concentrarsi per capire che cosa fosse.

Quando si rese conto che quel pensiero non riusciva a fargli riprendere sonno, aprì pigramente un occhio nel buio della stanza. Doveva essere notte fonda a giudicare al fatto che non distingueva nulla ad un palmo dal suo naso e non gli ci vollero più di pochi istanti per capire che lì mancava l'essenziale. Kurt.

Si erano addormentati insieme nel proprio letto, guardando la televisione, ma adesso non era accanto a lui. Cercando di non fare rumore, il Warbler si spostò dall'altro lato, cercando di vedere se era tornato nel suo letto. Neanche lì c'era.

Si mise a sedere, ormai definitivamente sveglio ed accese la luce dell'abatjour: Kurt non solo non era nel suo letto, ma non era nella stanza – a meno che non fosse in bagno con la luce spenta. La sveglia segnava le 3:54  e Blaine non aveva idea di cosa fare: dov'era finito il suo ragazzo?

Sussultò a quel pensiero. Sì, perché Kurt era il suo ragazzo, da ormai... 19 giorni – no non stava affatto portando il conto –, ma pensare o pronunciare quella parola faceva ancora lo stesso effetto del primo. Sorrise inevitabilmente e scese dal letto per avviarsi in corridoio: forse si era svegliato e, non riuscendo a dormire, stava passeggiando...

Cercando di non fare rumore, chiuse dietro di sé la porta e si avviò a piedi scalzi, rabbrividendo appena per il freddo del marmo ancora fastidioso nonostante fossero a marzo inoltrato. Non ebbe fatto che pochi passi, però, quando sulla destra, in corrispondenza del balcone che si affacciava sull'entrata della scuola, vide una figura in controluce.

«Kurt...», chiamò leggero, una volta che fu uscito «Hey...».

Il ragazzo si voltò lentamente, il classico chiarore della sua pelle illuminato dalla luce della notte.

«Blaine», sussurrò sorpreso «Mi spiace, non volevo svegliarti».

Il riccio non riuscì a trattenersi dall'abbracciarlo e si sorprese un po', quando l'altro si aggrappò a lui con trasporto.

«Perché sei qui fuori? Non riesci a dormire?», gli chiese con tono amorevole e sentì il suo ragazzo scuotere la testa sulla sua spalla.

«Posso fare qualcosa?», chiese ancora, ma ottenne un nuovo gesto di diniego.

«Sono solo un po' malinconico, scusami», sussurrò Kurt dopo averci pensato per un po' «Non voglio rattristare anche te».

«Non mi rattristi. Se vuoi parlarmene sono qua, lo sai».

Stavolta il ragazzo annuì lievemente, guardando Blaine negli occhi e sorridendo appena: era la cosa migliore del mondo, il suo migliore amico ed il suo ragazzo. Alle volte gli sembrava di non aver bisogno di altro per stare bene.

«Torniamo in camera?», suggerì prendendogli la mano e l'altro si lasciò guidare senza chiedere più nulla.

 

***

 

Quando la mattina dopo, Blaine si svegliò, Kurt stava appena uscendo dal bagno, con addosso già i pantaloni della divisa e la canottiera.

«Buongiorno», lo salutò con un veloce bacio a fior di labbra, per poi afferrare la camicia e finire di vestirsi.

«Buongiorno», biascicò in risposta l'altro, alzandosi a fatica dal letto – come ogni mattina «Sei riuscito a dormire poi, stanotte?».

Kurt smise di aggiustarsi il colletto della camicia e restò fermo per qualche istante, per poi voltarsi con un leggero sorriso.

«Sì, sì. Tranquillamente. Grazie», ma c'era qualcosa sul suo viso, nei suoi occhi che non convinse del tutto Blaine, che tuttavia non replicò e si diresse in bagno.

Venti minuti dopo, erano scesi e si erano appena seduti in aula, in attesa che la lezione di letteratura cominciasse. Blaine non aveva staccato gli occhi dal suo ragazzo, cercando di coinvolgerlo in una qualsiasi delle conversazioni che gli erano venute in mente – da quella classica sul tempo, al prossimo musical che avrebbero visto insieme – ma Kurt non era stato affatto partecipe, liquidandolo, senza pensarci su due volte, con monosillabi ed espressioni distratte, fino che non si era seduto davanti a lui, nella fila accanto alla finestra.

Il riccio non sapeva che cosa stesse succedendo e soprattutto perché il suo ragazzo non gliene stesse parlando, ma anzi gli avesse mentito dicendo che era tutto a posto quando invece era evidente il contrario.

Si sentiva impotente e la cosa non gli piaceva affatto.

A neanche dieci minuti dall'inizio della lezione, il cellulare nella tasca di Blaine vibrò, attirando la sua attenzione. Era un messaggio da Jeff. Il ragazzo si voltò verso il mittente, pochi banchi dietro il suo, ma il biondo gli fece segno di leggere quello che gli aveva scritto.

"Che cosa gli hai fatto?"

Blaine alzò di nuovo la testa verso l'amico, se possibile capendoci ancora meno, ma Jeff indicò rapidamente Kurt e poi puntò di nuovo lo sguardo su di lui.

Oh. Ecco che intendeva. Il riccio rimase un attimo contrariato dal fatto che il biondo avesse dato per scontato che fosse colpa sua e digitò velocemente una risposta.

"Perché credi sia colpa mia? Non ho fatto nulla! È da stanotte che è triste, ma continua a dirmi che va tutto bene".

Non passarono che pochi istanti prima del nuovo messaggio.

"Perché sei il suo ragazzo, ecco perché. Comunque, riunione speciale dei Warblers subito dopo pranzo. Dirò agli altri di preparare qualcosa di allegro".

Il cipiglio preoccupato del riccio era segno che non sapeva se fosse la cosa migliore da fare, ma lo sguardo eccitato di Jeff lo convinse che magari gli avrebbe fatto bene.

"Bene. Ma non esagerate".

 

***

 

«Te l'ho detto, Blaine: preferisco restare qua e studiare. Anche perché più tardi devo fare un salto  a casa e non posso perdere tempo».

Il riccio sospirò: era da più di venti minuti che provava a convincere Kurt ad andare con lui nella sala dei Warblers – dove ormai erano pronti per una divertente esibizione che avrebbe sicuramente tirato su di morale il ragazzo – ma lui non voleva saperne di collaborare.

«Non perderai più di mezz'ora, dai! Aspettano solo noi!», continuò ad insistere.

Kurt sbuffò.

«Cosa non ti è chiaro di "non ho tempo", Blaine? Lasciami in pace!», si trovò a gridare, pentendosene subito.

«Vorrei solo capire che cosa succede! Sei così assente oggi... triste. Sai che puoi parlare con me di tutto, vero? Sono il tuo ragazzo, ma non smetto di essere il tuo migliore amico».

«Lo so...», il sospiro lento di Kurt fece male più di quanto credesse, «Ma per favore, lasciamo semplicemente stare», lo pregò di nuovo, ma stavolta uscì dalla stanza, lasciandolo lì, senza sapere cosa fare.

Blaine sospirò, sconfortato, e si adagiò sul letto, mandando un messaggio ai suoi amici per annullare la riunione. Si sentiva così inutile e frustrato, così lontano da Kurt in quel momento che avrebbe preso a pugni ogni cosa. Una lacrima scappò dalle sue ciglia, ma la scacciò con impeto: non si sarebbe arreso. Avrebbe insistito, sarebbe stato accanto al suo ragazzo, a costo di farsi mandare a quel paese.

E sapeva dove trovarlo.

«Sai, capisco perché ti piace questo balcone. C'è una bella vista da qui».

Kurt sospirò con un tremulo sorriso sulle labbra. Era certo che Blaine non si sarebbe arreso e a dirla tutta ci sperava.

«Mi dispiace», sussurrò «Mi spiace di averti cacciato così... io-», ma non ebbe forza di dire altro, perché Blaine lo stava già stringendo a sé, per poi cercare e baciare le sue labbra.

«Va tutto bene... ora dimmi che cosa sta succedendo».

«Vieni con me?», chiese, senza dargli risposta, ma il riccio annuì: era un inizio.

Scesero ed uscirono dalla scuola, prendendo la macchina di Kurt. Blaine trattenne ogni domanda che gli saltava alla testa, lanciando di tanto in tanto degli sguardi furtivi al suo ragazzo, che guidava con gli occhi fissi sulla strada. Ripensò a quello che era successo negli ultimi giorni, cercando di trovare un evento, anche minimo, che potesse avere a che fare con quella situazione, ma non fu capace di individuarne nessuno.

Fino al giorno prima non era stato diverso dal solito e poi... quella notte, quella notte era successo qualcosa, da quando lo aveva trovato fuori al balcone alle 4. Si sforzò di capire se lui c'entrasse, se avesse perso qualcosa nelle poche ore che aveva dormito, ma non valse a nulla: non c'era niente che potesse giustificare una simile sofferenza da parte sua.

Perso in quei pensieri, si accorse appena che Kurt aveva parcheggiato. Scese di fretta, e si sistemò il blazer con la mano, per poi alzare lo sguardo e guardarsi intorno. Qualsiasi parola gli morì in gola quando si rese conto di dove fossero.

«Seguimi», sussurrò il suo ragazzo e lui, senza dire nulla, lo seguì attraverso uno dei sentieri sulla destra.

Camminavano tra il verde dell'erba ed il silenzio di quel luogo aperto senza dire una parola, Kurt mesto e perso nei suoi pensieri, Blaine che non staccava gli occhi da lui e non sapeva che reazione aspettarsi – per quanto ormai avesse capito cosa lo turbava. Quanto era stato cieco! Non aveva minimamente pensato a quell'eventualità, per quanto fosse così facile da capire. Si diede dello stupido, mentre cercava di stare al passo di Kurt, fino a che quasi non gli sbatté contro, non essendosi accorto che si era fermato.

Il suo ragazzo stava fissano un punto davanti a sé e quando anche gli occhi di Blaine lo raggiunsero, sospirò leggero, sapendo a cosa stava andando incontro. Kurt cercò la sua mano e la strinse forte, mentre riprendeva a camminare, lasciandola solo quando il padre lo strinse tra le sue braccia.

«Signor Hummel», lo salutò cortese il Warbler e l'altro fece un cenno di capo con gli occhi lucidi.

Kurt si avvicino alla lapide, accovacciandosi davanti ad essa e sfiorando le lettere con la punta delle dita. Elizabeth Hummel. Sua madre.

Blaine si sentiva improvvisamente fuori posto, come ad una cerimonia a cui non era stato invitato. Provò il forte impulso di scappare via, perché percepiva la sofferenza di un marito e di un figlio che avevano perso parte della loro vita e quello era certamente un tipo di dolore che non sarebbe mai stato attutito dal tempo.

Fece un passo indietro, per provare a lasciar loro un po' di privacy, ma Burt lo guardò con affetto, come per dirgli che non c'era alcun bisogno di farlo, che se era lì c'era un motivo. E infatti Kurt si alzò e si rivolse a lui, tendendogli la mano.

«Vieni, voglio farti conoscere una persona».

Senza dire nulla, il riccio gli si avvicinò, stringendogli la mano con più forza quando vide che una lacrima gli aveva bagnato il viso.

«Sai mamma... oggi ho portato qualcun altro qui. Si chiama Blaine. Ricordo che quando ero piccolo, poco prima che tu...», sospirò tremante, socchiudendo gli occhi «Ricordo che alle volte mi guardavi in modo strano, come se fossi sovrappensiero; ma quando ti chiedevo il perché, eri solita rispondere: "va tutto bene, piccolo mio. Sono solo un po' malinconica oggi". Ora so a cosa pensavi allora, perché tu già sapevi tutto. Sapevi chi sarei diventato e sapevi anche, in cuor tuo, che ero gay. Eri preoccupata perché temevi che sarei rimasto solo e che avrei sofferto. Lo capisco solo ora, mamma... Ma è per questo che ho portato qui Blaine, oggi. Voglio che tu lo conosca... sai, lui è il mio migliore amico, ma soprattutto il mio ragazzo. L'ho trovato, mamma, è lui. Quando mi parlavi di papà dicevi che lui era stato il solo che era riuscito a farti stare davvero bene, come se non avessi bisogno di altro. Beh, è lo stesso con Blaine. Lui... io non so neanche descriverlo, ma mi rende felice, come nessuno aveva mai fatto finora».

La voce di Kurt era sporcata dal pianto e senza rendersene conto, anche Blaine aveva lasciato che le lacrime scorressero silenziose sul suo viso. Quel giorno era l'anniversario della morte della signora Hummel e Kurt gliela stava presentando...

Passò un braccio intorno alle sue spalle e lo tirò a sé, tremante.

«Piacere, signora Hummel», sussurrò con un sorriso «Le prometto che, qualunque cosa accada, farò di tutto per non perdere suo figlio».

Nessuno dei due si accorse che, dietro di loro, anche Burt stava piangendo, con un misto di dolore e gioia nel cuore.

 

 

 

 

 

 

 

_________________________

Salve! Qui è ancora Alch che vi parla, per questo sesto giorno di Klaine Week! Sta per finire e non so davvero se sentirmi triste o meno xD
Che ve ne pare dei Dalton!Klaine? Era la sola idea che avessi da prima che cominciasse la week e comunque ci ho messo secoli a scriverla! Spero di non essere caduta in un angst patetico ^^’’

Fateci sapere che cosa ne pensate

 

A domani, con la “Winter in NY!” di cui si occuperà la cara Bel.

Baci.

 

Alch

 

 

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Capitolo 7
*** Day 7. Winter in New York ***


But give me winter

 

 

A Kurt non era mai piaciuto tanto l’inverno. Inverno significava freddo, vento gelido e miriadi di vestiti da mettersi addosso – che lo faceva assomigliare a un’enorme cipolla con miriadi di strati; le sue labbra si seccavano, la sua carnagione pallida diventava rossa tutto d’un colpo ed era costretto a riempirsi di crema più di quanto facesse; il Natale si avvicinava e, per lui che non credeva in Dio e non aveva nessuno con cui trascorrerlo se non suo padre, era solo triste. Vedeva gli altri ragazzi, euforici e frettolosi alla ricerca del regalo perfetto, le coppiette che passeggiavano sotto le illuminazioni, e Kurt avrebbe solo voluto avere qualcuno con cui condividere tutto quello, festeggiare il Natale con la persona che amava, festeggiare per l’amore che gli era stato regalato e basta.

 

Nei suoi primi diciassette anni di vita non fu fortunato. E poi arrivò Blaine.

 

Blaine, meraviglioso, dolce, perfettamente imperfetto Blaine. Il suo migliore amico, il suo primo amore, l’amore della sua vita. Il loro primo Natale insieme non lo scorderà mai, le promesse che gli fece Blaine nel corridoio affollato del McKinley donandogli quel piccolo anello costruito con la carta di caramelle che Kurt ancora conservava, dopo tutti questi anni.

 

Kurt non si è mai dimenticato di quelle promesse, nemmeno in tutti quei mesi che lui e Blaine stettero separati. Ci mise parecchio a perdonarlo, a fidarsi ancora di lui, e Blaine lottò per riottenere la sua fiducia; e più passavano i mesi, più Kurt si rendeva conto di non poter vivere senza Blaine. Lui era davvero l’amore della sua vita. Nei primi mesi dopo averlo perdonato, Kurt si era chiesto spesso se avesse fatto la scelta giusta, ma da allora non se n’era mai pentito.

 

Grazie a Blaine, lui aveva imparato ad amare l’inverno. Blaine aveva le mani calde, che stringevano sempre le sue quando camminavano fuori al freddo; portava sempre con sé un burrocacao in più, e Kurt faceva finta di esserselo dimenticato solo per poter usare quello di Blaine. Quando si erano trasferiti a New York, poi, Blaine gliel’aveva fatto amare ancora di più, mostrandogli quanto la città si illuminasse a causa delle decorazioni natalizie, quanto fosse bello l’Albero di Natale al Rockefeller, quanto la neve bianca conferisse a Central Park un’aria ancora più mistica e quasi da favola.

 

Kurt si era ritrovato a essere d’accordo con tutto questo, perso negli occhi brillanti ed entusiasti di Blaine, le sue mani calde strette nelle proprie, cercando di avvicinarsi quanto più possibile al calore che sembrava emettere il corpo di Blaine – e, dopo un’occhiata a metà tra il divertito e il consapevole del suo ragazzo, ritrovarsi stretto a lui in un abbraccio che sapeva di casa.

 

Ma la favola più bella, era la loro.

 

Kurt aveva imparato ad amare l’inverno, amarlo veramente, aspettare impaziente il suo arrivo, solo per dei momenti come quello.

 

Era steso nel suo letto, il respiro un po’ pesante di suo marito, ancora addormentato, e altri, più corti e leggeri, che riempivano l’aria.  Kurt si puntellò su un gomito, girandosi su un fianco nello spazio ristretto del suo letto, mentre lasciava che i suoi occhi scivolassero sulle tre figure addormentate vicino a lui.

 

Blaine, dall’altro lato rispetto a lui, aveva una massa indisciplinata di ricci tutti davanti al viso, le labbra semiaperte e un’espressione un po’ corrucciata. Il suo braccio era stretto attorno alla vita esile di Iris, la loro bellissima bimba di cinque anni; i suoi boccoli castani erano sparsi sul cuscino, le palpebre chiuse che celavano i suoi occhi identici a quelli di Blaine. La mano della bimba era posata sul cuscino, vicino al viso del suo fratellino, di un anno più grande di lei. Graham aveva la guancia premuta sul cuscino, la bocca aperta e due occhioni azzurri spalancati e fissi su di lui. Kurt sorrise al figlio e gli passò una mano tra i capelli neri.

 

“Buongiorno cucciolo,” sussurrò piano per non svegliare gli altri due.

 

“Ciao papi…” Graham sbadigliò, rabbrividendo appena e facendosi più vicino per accoccolarsi contro Kurt e scatenando una risatina da parte del padre. “C’è un bel calduccio qui.”

 

Kurt non disse niente, si limitò ad abbracciare il figlio e tenere lo sguardo fisso sulle tre persone che amava di più al mondo. Dopo qualche minuto, anche Iris aprì gli occhi, riservando a Kurt un dolce sorriso prima di girarsi e iniziare a disturbare Blaine.

 

Papà… Papà, svegliati!”

 

Umpf…” mugugnò Blaine, aprendo dopo un po’ un occhio assonnato. “Buongiorno principessa.”

 

“Papà, il papi sta abbracciando Graham. Tocca a te ora!”

 

Blaine e Kurt si scambiarono un sorriso, entrambi consapevoli che cosa stesse chiedendo Iris con tanta insistenza. Kurt fece spostare il figlio un po’ più verso il centro del letto, mentre Blaine faceva lo stesso con la figlia. Dopodiché si trovarono tutti e quattro vicinissimi; Iris stringeva forte la maglia del pigiama di Blaine, la fronte appoggiata contro il collo del papà. Graham aveva una mano stretta a quella della sorellina, il corpo vicinissimo a quello di Kurt che, girato su un fianco, aveva steso un braccio fino a raggiungere la spalla di Blaine, chiudendo tutti in un caldo abbraccio.

 

Stettero tutti e quattro lì, respirando profondamente e lasciandosi cullare dal calore che quell’abbraccio dava loro. Ben presto i bambini si riaddormentarono, stretti tra le braccia dei loro papà; nel frattempo Blaine non aveva smesso un attimo di guardare Kurt, che invece aveva lo sguardo fisso sulla finestra, oltre la spalla di Blaine.

 

Stava nevicando, il cielo era grigio e sarebbe stata una giornata davvero fredda. Kurt fece una smorfia, pensando al freddo che li avrebbe assaliti quando sarebbero scesi per andare a pranzo da Rachel e Finn, ma poi la sua espressione corrucciata fu sostituita da un sorriso. Incrociò lo sguardo di Blaine, rivolgendogli un sorriso pieno d’amore. In quel momento, sotto le coperte del suo letto, avvolto dal calore dei suoi bambini e dagli occhi di Blaine, Kurt era certo di amare l’inverno.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Buonasera! Non so da voi, ma qui si gela; avrei davvero bisogno di un po’ di calduccio anche io e questa cosina qui su… si è scritta da sola. Volevo inserire una daddy Klaine, perché ora più che mai ne abbiamo bisogno, ma davvero non avevo idea di come gestirla! Spero non sia venuta una completa schifezza!

 

Il titolo di questa ultima OS per la Klaine Week (Winter in NY) viene da una canzone di Bruce Springsteen, Winter Song, mentre i nomi dei bambini sono presi rispettivamente dai personaggi del film L’amore non va in vacanza, interpretati da Jude Law (Graham) e Kate Winslet (Iris). Il nome Iris l’avevo già usato per l’altra Daddy Klaine che avevo scritto, e diciamo che richiama anche la canzone che ha fatto da titolo a questa raccolta - Iris dei Goo Goo Dolls. Nella mia mente, Iris è il nome della bimba di Kurt e Blaine *__* Un po’ più difficile è stato scegliere il nome per il fratello, ma alla fine mi è uscito Graham proprio perché nel film (che, se non avete visto, dovete farlo perché è l’amore!) i due sono fratelli!

 

E con questa si conclude la Klaine Week! Sinceramente questa settimana mi ha aiutata parecchio a superare un po’ la tristezza causata dalla 4x04. Finora tutte le storie che ho letto (e con le quali sono rimasta tremendamente indietro, ma giuro che recupererò tutto) mi sono piaciute davvero tanto. Credo che ciascuno abbia dato il meglio di sé, pertanto ci tenevo a ringraziare tutti coloro che hanno scritto e partecipato all’iniziativa. Grazie a tutti.

 

Un grazie speciale va a Flan, che ha organizzato tutto.

Un altro grazie speciale va al Kurt del mio Blaine, all’Alch del mio Bel perché è sempre un piacere e un onore lavorare con lei.

E un altro grazie va ad hale_y perché mi è stata più vicina che mai in questo periodo, perché ha sempre una parola di conforto per qualsiasi cosa mi renda triste e alla quale dedico questa OS. Perché la Daddy Klaine fa sempre bene al cuore!

 

Speriamo che questa raccolta vi sia piaciuta, tanto quanto a noi è piaciuto scriverla!

Un abbraccio!

Bel

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