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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Day 1. Cooper + Klaine *** Capitolo 2: *** Day 2. Roomates!Klaine *** Capitolo 3: *** Day 3: Heroes!Klaine *** Capitolo 4: *** Day 4: Skank/Nerd Klaine *** Capitolo 5: *** Day 5: Photographer/Model *** Capitolo 6: *** Day 6: Dalton!Klaine *** Capitolo 7: *** Day 7. Winter in New York ***
«Avanti Blaine, perché devi farti
pregare ogni volta?».
Il minore
degli Anderson sbuffò sonoramente, ma più per scena che perché fosse davvero
scocciato. Non vedeva suo fratello da un po’ di tempo ormai e il fatto che
fosse in città – anche se per lavoro – era un’occasione che davvero non poteva
farsi scappare, soprattutto da quando avevano riallacciato i rapporti.
«Sono secoli che non ci vediamo…», si lamentò,
appunto, Cooper.
«Appunto, sono secoli e sarebbe bello andare in un semplice
localino per mangiare qualcosa… non in una discoteca gay che neanche conosco!».
«Sei noioso,
Blaine! Se lo dicessi a Kurt sarebbe immediatamente d’accordo!».
«Non farai nulla del genere! L’ultima volta che siamo andati
in un locale gay è finita in modo pessimo e davvero non ho bisogno di
repliche…».
«È finita male
solo perché sei un coglione e ti sei ubriacato. Stavolta sarà diverso: ci sono
io e farò in modo che siate entrambi responsabili».
Perché la cosa non suonava così credibile detta da lui?
«Ma tu ti sentiresti a disagio, no? Insomma, i locali gay
non sono il tuo genere di posti», tentò di dissuaderlo sempre con minore
convinzione Blaine.
«Mi sto aprendo a
nuove esperienze, fratellino, quindi tranquillo: sarà interessante per tutti!».
Il riccio colse immediatamente il doppio senso della frase
ed arrossì fino alla punta dei capelli, ringraziando il cielo che la
conversazione fosse per telefono.
«Niente più
scuse: passo alle dieci, poi andiamo a prendere Kurt. Siate puntuali».
La chiamata terminò prima che il più piccolo potesse avere
ancora voce in capitolo. Blaine restò a fissare il display per qualche istante:
aveva un brutto, pessimo presentimento per quella serata, ma ormai la cosa era
fatta e non ci sarebbe stato modo di evitarlo.Per questo si
diede una scossa e chiamò Kurt, avvisandolo dei nuovi programmi.
«É un'ottima idea!» esclamò felice il
suo ragazzo, appena ebbe esposto la cosa «Non vedi Cooper da un po', sarà
una bella serata».
Blaine mugugnò, senza essersene ancora convinto del tutto.
«Qual è il problema, Blaine?»
«Non so... non mi convince la cosa: Coop ha insistito
particolarmente e quando ci tiene così tanto non è mai un buon segno, credimi».
«Oh, avanti! Dagli una possibilità per una volta» rise
Kurt «Vedrai che andrà benissimo».
«Se consideri i nostri precedenti nei locali gay...»
«Ecco, era qua che volevo arrivare: possibile che ancora
pensi a quella storia? È davvero acqua passata, quindi, per favore, andiamo e
divertiamoci... almeno così potrai bilanciare la bella esperienza di stasera
con l'altra e limitare il tuo pregiudizio. D'accordo?»
«O potrebbe essere la volta buona che ti convinci anche tu
del contrario...», sussurrò Blaine.
«Ti ho sentito!» rise di nuovo l'altro «Dai, a che
ora passate?».
«Per le dieci e mezza saremo da te».
«A dopo, allora! Ti amo».
«Ti amo anche io».
Blaine chiuse anche la seconda chiamata del pomeriggio e no,
il presentimento che fosse un pessima idea non si era minimamente fatto
intimorire dall'ottimismo del suo ragazzo. Si disse che era semplicemente
paranoico e che davvero avrebbe potuto dare, per una volta, una
possibilitàa suo fratello e si avviò
verso il bagno per farsi una doccia.
***
«Kurt! È bello rivederti!».
Il maggiore degli Anderson strinse a sé il ragazzo con
affetto e poi lo guardò bene, dall'alto al basso, con occhio critico «Però,
mica male il ragazzo!».
Kurt arrossì lievemente e guardò prima Blaine e poi Cooper
senza sapere se dovesse sentirsi o meno a disagio. Il suo ragazzo spezzò
quell’imbarazzo tirandolo a sé e lasciandogli un dolce bacio sulle labbra – a
nessuno sfuggì il brillio negli occhi del più grande che li guardava attento.
«Su, piccioncini,
pronti per una serata folle?», li incitò risalendo in macchina e lasciando che
entrambi prendessero i posti dietro.
«Ecco, è di questo che voglio ancora parlare», prese la
palla al balzo Blaine «Non sarà nulla di eccessivo, vero?».
«Dio, Kurt, ma come fai a sopportarlo?», si lamentò Cooper
«O forse fa la mamma chioccia solo con me?».
«Avrò le mie ragioni, ti pare?», sbuffò il minore, mettendo
un broncio che solo il bacio divertito di Kurt riuscì a far sparire.
«Gli stiamo dando una possibilità, ricordi?», gli sussurrò
all’orecchio – consapevole ovviamente delle occhiate che il guidatore stava
lanciando loro attraverso lo specchietto retrovisore.
«Promettimi che quando questa cosa finirà male mi lascerai
dire “te l’avevo detto”».
Stavolta fu Kurt a sbuffare «Pessimista!».
«Realista», lo contraddisse Blaine, proprio mentre Cooper
parcheggiava.
Scesero senza che nessuno dicesse nulla ed immediatamente si
trovarono a fissare la grande insegna luminosa davanti a loro. Con un bianco
quasi accecante, un “Secret Pleasure” indicava il nome della loro meta. Kurt
sorrise: pareva di classe, in qualche modo raffinato, di certo lontano dal
target dello “Scandals”;
Blaine, dal canto suo, non aveva mai sentito parlare del posto, nonostante non
distasse così tanto da Lima e doveva ammettere – con un certo orgoglioso
rammarico – che non c’era nulla di sospetto.
«Entriamo?», chiese cortese il loro cicerone improvvisato,
facendogli strada verso l’interno che, se possibile, fece loro ancora una
migliore impressione dell’esterno.
L’ambiente era ovviamente poco illuminato, ma le luci
soffuse di vari colori riuscivano a riscaldarlo e conferirgli un’aria di
eleganza che impreziosiva quella semi oscurità. I due ragazzi si guardavano
intorno stupiti, come due bambini al luna-park: no, non c’era davvero nulla lì
che ricordava loro l’ultimo locale gay dove erano stati. La musica era forte,
ma non stordiva più di tanto e i tre si sedettero su un divanetto di pelle
davvero comodo.
Fermarono il primo cameriere che passò loro accanto e Cooper
li prevenne prima che potessero ordinare.
«Solo analcolici per loro, Alex, sono ancora piccoli», fece,
con una certa scioltezza e l’altro annuì come se lo conoscesse.
«Li hai portati per…», azzardò quello.
«Per far conoscere loro l’ambiente», lo prevenne con uno
strano sguardo il più grande «Michael è già qua?».
«Lo trovi sul retro», si limitò stavolta a dire il
cameriere, dopodiché se ne andò, digitando qualche tasto sul taccuino
elettronico, nonostante effettivamente nessuno aveva ordinato qualcosa.
«Lo conosci?», dedusse – riservandosi un tono interrogativo
– Blaine.
«Sì… ascoltate, devo parlare con un amico di affari. Voi
intanto mettetevi comodi e attendete le ordinazioni», rispose vago Cooper prima
di alzarsi e fare per allontanarsi «Ah, buono spettacolo», ammiccò e poi si
mosse verso il retro del palco attorno al quale erano sistemati i tavolini con
i vari divanetti.
«Pensi che facciano karaoke?», chiese curioso Kurt e l’altro
pregò che non fosse così, perché, altrimenti, aveva la sensazione di sapere
cos’era andato a chiedere Cooper a quell’Alex e davvero non aveva voglia di un
nuovo duetto davanti a tutti – non uno con suo fratello, quantomeno.
Se solo avesse capito che cosa li aspettava, il duetto
sarebbe davvero stata l’ultima delle sue preoccupazione.
Mentre avevano appena cominciato a sorseggiare i cocktail
analcolici che un altro cameriere aveva portato e stavano prendendo confidenza
col posto, rilassandosi e chiacchierando tra loro, d’improvviso le luci si
abbassarono, facendo piombare ogni cosa nella più totale oscurità.
Istintivamente, Kurt e Blaine si avvicinarono, fino a che non avvertirono la presenza
l’uno dell’altroe cercarono di
distinguere qualcosa di ciò che fino a pochi istanti prima li circondava.
«Pessimista, eh?», si lamentò Blaine.
«Non sarà certo colpa di Cooper! Ci dovrà essere stato un
guasto a-», ma l’altro non riuscì a finire di parlare perché in quel preciso
istante un fascio di luce aveva illuminato la parte centrale del palco che
stava loro di fronte e su di esso erano appena apparsi cinque uomini in
impermeabile scuro. Per qualche istante tutto restò fermo, congelato: i cinque
protagonisti della scena sembravano manichini, resi tutti uguali
dall’abbigliamento e dai cappelli che, calati sul viso, impedivano di
riconoscere i diversi tratti somatici.
Poi la luce si mosse e ad essa si unì il suono, una musica
disco che a scatti accompagnava anche i movimenti dei ragazzi sul palco. Si
muovevano fluidi, sinuosi come rettili e fu impossibile tanto per Kurt quanto
per Blaine non far cadere l’attenzione sui bacini invitanti che si avvicinavano
sempre più.
«Un locale… di spogliarellisti!», sussurrò Blaine, che non
sapeva se essere più scandalizzato e furioso col fratello o più
irrimediabilmente attratto da ciò che si stava ora muovendo sulla base di “I’m sexy and I knowit”.
«Voleva… farci una… sorpresa», cercò ancora una volta di
difenderlo Kurt, anche lui distratto dallo show.
Il pubblico intorno a loro applaudiva e gridava per
l’approvazione, ma non era nulla in confronto a ciò che si scatenò quando
volarono via gli impermeabili ed i cappelli. Il caos fu così totale da non
permettere ai due di capire più nulla. Funzionava solo la vista ed era
abbastanza occupata al momento.
Almeno fino a che Blaine – e dopo qualche istante anche Kurt
– non capì quale fosse la vera sorpresa che Coop aveva in serbo per loro. Era
lì, sul palco, tra gli altri spogliarellisti, che si destreggiava con movimenti
pelvici, perfettamente a suo agio in quello che era diventato un tripudio di
fischi, risate e mani che si allungavano – soprattutto mani piene di banconote.
I vari “attori”, continuando a muoversi in modo flessuoso,
tirarono via anche i gilettini lucidi, scoprendo i loro petti scolpiti –
compreso Cooper, ovviamente. Blaine, in quel momento, sarebbe voluto
scomparire. Suo fratello si stava esibendo davanti a tutti – a Kurt! – in uno
strip tease che probabilmente lo avrebbe lasciato –
nel migliore dei casi – in mutande.
Non poteva crederci!
Coop si avvicinò sempre più, fino a che non incontrò
sfacciatamente – e con un sorrisetto ironico – prima lo sguardo di Kurt,
ammiccandogli, e poi quello di Blaine. Il minore gli lanciò lo guardo più
allucinato e sconvolto che avesse mai fatto, ma ovviamente questo non fece
altro che far inorgoglire ancora di più il maggiore, che ora, a pochi passi da
loro, si abbassò fino a stendersi per terra muovendo il bacino su e giù, come
un serpente, con fare provocatorio.
Kurt deglutì, senza sapere quanto e se vergognarsi e spostò
lo sguardo su Blaine, che aveva assunto una tonalità rosso fuoco distinguibile
anche nella poca luce del locale, alla ricerca di una direttiva. Quando Cooper
fu tornato in piedi e si fu allontanato abbastanza da loro, anche il riccio
cercò lo sguardo del suo ragazzo.
«Kurt io-».
«Tuo fratello è uno stripper! Siamo in un locale di
spogliarellisti in cui tuo fratello è uno stripper! Chiariamoci, probabilmente sarebbe
stata una di quelle esperienze da togliere insieme dalla nostra lista di cose
da fare… ma ti giuro che non avrei mai immaginato di farlo in questo modo!».
Blaine davvero non sapeva che cosa dire ed entrambi attesero
ancora qualche istante che il numero finisse, dopodiché scattarono verso i
camerini, dietro il palco.
«Cooper Anderson!», gridò il più piccolo, senza saper bene
dove andare «Cooper Anderson ti voglio immediatamente qui!».
Kurt non sapeva se ridere o meno, anche se dopo l’imbarazzo
iniziale, non poteva negare che la situazione era di un’ilarità pazzesca.
«Schizzo! Allora come ti sono sembrato?».
La testa scura di Coop aveva fatto capolino dalla stanza in
fondo al corridoio. Blaine dovette prendere un respiro profondo per non
sbottare in grida senza senso che sarebbero state solo controproducenti.
«Uno: non chiamarmi Schizzo, sai benissimo che non sopporto
quando lo fai. Due: cosa diavolo stai facendo?! Perché lavori qui, perché hai
fatto… quello?! Tre: uno strip club?! Ci hai portati in uno strip club? Era
questa la tua idea di serata da trascorrere con tuo fratello e il suo ragazzo?
Niente di eccessivo, per carità!».
«Blaine, Blaine, Blaine!».
Il maggiore lo prese per le spalle, cercando di farlo
calmare, perché nel gridare così, si era praticamente dimenticato di respirare.
«Fa’ un bel respiro. Così, con calma. Ora, cercando di
ricordare tutto quello che mi hai chiesto… adoro chiamarti Schizzo, è un
nomignolo perfetto; è un lavoro provvisorio, sai che vado in giro a fare nuove
esperienze e questa mi è sembrata davvero interessante: non si sa mai che ruolo
potrebbero offrirti, devi essere pronto a tutto! E sì, pensavo che sarebbe
stata una serata perfetta: ho unito utile al dilettevole, vi ho portati in uno
strip club gay – non ditemi che non
avete apprezzato tutto quello che abbiamo mostrato» e qui non poté mancare lo
sguardo ammiccante «E in più posso avere dei giudizi obiettivi sulla mia
performance! Avanti, come sono andato? Sono stato abbastanza provocante, ho
scosso i vostri ormoni? Si è mosso qualcosa lì sotto?!».
«COOPER ANDERSON!», Blaine non aveva mai gridato così, ma
ovviamente la cosa non sconvolse minimamente il maggiore degliAnderson, anzi, se possibile, il suo sorriso
si allargò ancora di più.
«Uh! Immagino sia un bel sì, questo! Bene, ottimo lavoro
Coop! Ora se non vi spiace, avrei un numero da preparare. A dopo!» e con un
occhiolino se ne andò, lasciando i due ragazzi di stucco, senza sapere davvero
che fare.
Blaine ebbe la forza di lanciare un eloquente sguardo al suo
ragazzo che alzò gli occhi al cielo.
«Sfogati», gli concesse.
«Te l’avevo detto, Kurt. Io te l’avevo detto!».
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Eh sì! Stavolta anche noi abbiamo deciso di prendere parte a
questa magnifica iniziativa, organizzata dalla grande Flan, per una nuova
Klaine Week! E quale momento, se non questo, per indirne una? Anche solo per
ricordare che, nonostante tutto, i Klaine sono endgame
e si troveranno sempre e comunque!
Come vedete abbiamo cominciato con qualcosa, nel nostro caso
particolare, di divertente, perché Cooper è un personaggio meraviglioso e
merita il suo spazio xD Io e la Bel ci siamo divisi i
sette prompt, stavolta è toccato a me – Alch – le prossime starete a vedere.
Spero sia stato un buon inizio :) Ringraziamo tutti coloro
che presteranno attenzione ♥
A domani, per il resto delle shot
e a stasera per l’aggiornamento di “Klaine Songs 2”.
Un
taxi si fermò davanti a un imponente edificio di mattoni rossi, circondato da
un basso cancello scuro; una delle porte che dava sul retro si aprì per lasciar
scendere un giovane ragazzo spaurito, con il naso all’insù e i suoi grandi
occhi azzurri sgranati. Subito dietro di lui, scese una ragazza bassina, con i lunghi capelli mossi scossi dal vento e un
sorriso entusiasta sulle labbra.
«Kurt,
non posso credere di essere qui! Con te!» esclamò, abbracciando forte il
ragazzo al suo fianco.
«Già,
neanch’io…» le rispose il
ragazzo senza fiato, ricambiando l’abbraccio dell’amica.
«Ehi,
voi due! Avete intenzione di scaricare i vostri bagagli o siete rimasti imbambolati?»
Il
tassista li riportò alla realtà con la sua voce e i suoi modi poco cordiali.
Così i ragazzi scaricarono le loro valigie dal taxi, pagarono la corsa e si
avviarono dentro l’edificio. Una targa d’ottone lucido troneggiava all’entrata,
recitante solo le seguenti lettere: NYADA.
***
Persino
le loro valigie non sembravano tanto pesanti mentre si trascinavano lungo il
corridoio, alla ricerca delle loro rispettive stanze. Kurt salutò Rachel
davanti a una porta di legno scuro e si avviò da solo fino al piano di sopra,
dove si trovavano le stanze dei ragazzi. Giunto davanti a una porta con su
appeso il numero 8, fece un profondo respiro prima di abbassare la maniglia e
aprire la porta.
Circa
un nanosecondo dopo – il tempo di realizzare esattamente ciò che aveva davanti
agli occhi – la richiuse di scatto, rosso in viso e con il battito del cuore
accelerato per la sorpresa e anche per ciò che aveva visto. Stringendo la presa
sui manici delle sue grosse valigie, Kurt fece qualche passo all’indietro, incapace
di staccare gli occhi da quella porta… che
improvvisamente si aprì.
Una
testa riccia spuntò dalla fessura tra la porta e lo stipite, due occhi color
nocciola – o verdi? – si fissarono su Kurt, che notò quanto anche il ragazzo di
fronte a lui avesse le guance rosse, sebbene per altri motivi.
«Ciao!»
gli disse lo sconosciuto con voce affannata. «Scusa per…
beh, quello.» Fece un gesto strano, come se stesse per allungare la mano per
presentarsi correttamente ma poi sembrò ripensarci su.
Tieni quella mano lontana da me! Pensava Kurt nel frattempo.
«Kurt,»
rispose con la voce più fredda e distaccata possibile, nonostante le sue guance
fossero ancora rosse.
«Io… beh, è meglio che vada. Ti dispiace aspettare – uhm… mezz’ora?»
Una
parte di Kurt avrebbe voluto rispondergli di no, che non avrebbe aspettato, che
pretendeva di entrare nella sua stanza in quel preciso istante, ma gli fu
impedito dall’espressione da cucciolo che il suo futuro compagno di stanza
aveva appena assunto. E così Kurt si trovò a dirgli che certo, non aveva nessun
problema a tornare tra mezz’ora, e dopo un frettoloso grazie da parte
dell’altro si era ritrovato di nuovo a fissare la porta chiusa.
Rimase
fermo imbambolato per qualche istante, cercando di cacciare via dalla sua mente
la scena cui aveva appena assistito, finché un gemito che non lasciava spazio a
dubbi si levò da dietro la porta chiusa. Pertanto Kurt si voltò, il viso in
fiamme, e volò giù fino davanti alla stanza di Rachel.
«Rachel,
aprimi, sono Kurt!»
La
ragazza comparve sulla soglia, sorridente e con i capelli raccolti in una coda,
ma quando vide l’espressione sconvolta del suo migliore amico, lo fece entrare
chiedendogli cosa fosse successo, preoccupata.
«Il
mio compagno di stanza stava facendo sesso e mi ha chiesto di tornare fra
mezz’ora,» snocciolò in un fiato.
«Oh!»
disse la ragazza sedendosi al suo fianco con un sorrisetto sulle labbra. «Beh,
sono cose che capitano nei dormitori… Non dovresti
sorprenderti più di tanto, soprattutto perché credo che ne vedremo di tutti i
colori in giro per New York.»
«Credimi,
Rach, ho visto abbastanza!»
***
Kurt
si presentò in stanza circa un’ora dopo. Non bussò – dopotutto, quella era
anche la sua stanza e non capiva perché mai dovesse chiedere il permesso di
entrarci – ma comunque la aprì lentamente e facendo sì che una delle sue
valigie sbattesse contro il legno, di modo che chiunque ci fosse stato
dall’altra parte lo avrebbe sentito.
Dato
che non ci fu nessun segno, né rumore, strano, Kurt aprì completamente la porta
ed entrò nella sua stanza. Il suo compagno era seduto a gambe incrociate sul
letto, un libro sulle ginocchia e lo sguardo concentrato. Non appena lo sentì entrare,
alzò lo sguardo e si alzò dal letto, sorridendogli mentre gli veniva incontro
con la mano tesa. Kurt l’afferrò, guardandola prima con occhio critico.
«Piacere,
io sono Blaine Anderson.»
«Kurt
Hummel.»
«Scusa
per prima… Avrei dovuto pensare che saresti potuto
arrivare da un momento all’altro,» si scusò il ragazzo, grattandosi la testa
riccia e squadrandolo da capo a piedi con aria dispiaciuta.
Kurt
rimase fermo sotto lo sguardo caramellato – verde, nocciola, che diamine di
colore è? – del suo compagno di stanza, e si sentì invadere da una profonda,
inspiegabile sensazione di fastidio e da una voglia incontrollabile di far
smettere a quegli occhi di scrutarlo. Sarebbe stato troppo brutto tirargli un
pugno in pieno viso?
«Oddio,
e ora chissà quale idea ti sarai fatto di me! Io… non
capita spesso, ma a volte succede. È che mi piace divertirmi…»
Kurt
rimase per un attimo in silenzio a fissarlo, domandandosi effettivamente il
motivo del suo comportamento – anche se, effettivamente, non erano affari suoi
– e scacciando via la sensazione che ci fosse molto di più sotto.
«Beh,
vedi di non farlo più succedere.» Kurt si voltò, spostando le sue valigie fino
a posarle sul letto e concentrandosi sui suoi vestiti, così che non poté
cogliere il tono sarcastico di Blaine.
«Certo.»
***
Le
lezioni alla NYADA cominciarono, e Kurt fu totalmente assorbito da esse. La
loro insegnante di danza, Cassandra July, era una
stakanovista, sembrava prendersela con tutti gli studenti, ma pareva proprio
che avesse preso Rachel in antipatia. Kurt si impegnava tantissimo, era sempre
uno dei primi a imparare le coreografie, ma mai quanto Blaine.
Dopo la prima lezione insieme, Kurt poteva giurare che Blaine
sembrava nato per ballare; non l’avrebbe mai detto, ma Blaine
era davvero bravissimo. Quasi senza che se ne accorgesse, si trovò a stringere
i pugni mentre guardava la loro insegnante congratularsi con Blaine e praticamente adorarlo con lo sguardo.
E
non fu la sola. Anche tutti gli altri loro insegnanti sembravano venerare Blaine. Il loro insegnante di canto se ne innamorò fin da
subito, fin da quando Blaine aprì bocca per
solfeggiare; la loro insegnante di dizione decretò che Blaine
non avrebbe avuto bisogno delle sue lezioni, e lo costrinse ad aiutarla con
tutti gli altri studenti; il loro insegnante di recitazione rimase a bocca
aperta quando Blaine riuscì a far sciogliere metà del
suo pubblico in lacrime – e no, Kurt non aveva nessun magone in gola,
assolutamente – nella sua interpretazione di Christian di MoulinRouge.
Tutti
adoravano Blaine. Aveva un nugolo di studenti
petulanti al seguito, persino i ragazzi più grandi lo veneravano. Kurt invece,
lo odiava. Non ce l’aveva con lui solo perché fosse invidioso di lui e della
sua bravura – anzi, era a dir poco stimolante avere un tale elemento in classe
insieme, perché lo spronava a impegnarsi sempre di più – ma i motivi erano ben
altri.
Tanto
per cominciare, Blaine sembrava sempre fissarlo in un
modo che Kurt non riusciva a interpretare, e che lo mandava in confusione; poi
aveva il vizio di usare qualsiasi bagnoschiuma o shampoo si trovasse sotto
mano, non importava di chi fosse, e Kurt si era quindi ritrovato ben presto
senza niente ed era stato costretto ad andarsene a comprare dell’altro – a
nulla erano valse le sue proteste, Blaine si era
limitato a scusarsi con quel suo sorriso perfetto, ma aveva poi continuato a
usare i prodotti di Kurt. Non aveva nessun senso del pudore, o per lo meno così
sembrava, dal momento che usciva dal bagno sempre con un asciugamano legato
alla vita e un sorrisetto sulle labbra, intento a fissare un Kurt rosso come
non mai. Il fatto che fosse sempre circondato da adulatori, non permetteva a
Kurt di studiare in santa pace nella sua stanza, o perché erano proprio
fisicamente presenti lì, oppure perché erano fuori dalla porta a schiamazzare
per cercare il coraggio di bussare.
E infine… beh, Blaine non aveva
ancora perso il vizio di portare le sue nuove conquiste in camera, costringendo
Kurt a una veloce ritirata.
Era
un freddo pomeriggio di fine ottobre quando Rachel gli aprì la porta della sua
stanza senza dire una parola – l’espressione sul viso di Kurt le bastava per
sapere il motivo della presenza del suo amico lì.
«Un’altra
volta?» chiese Rachel più per cortesia che per altro.
Kurt
sbuffò, prima di andarsi a sedere a gambe incrociate sul letto di Rachel,
annuendo alla sua amica. Non capiva il motivo per cui si sentisse così male a
causa di Blaine e delle attenzioni che tutti
sembravano riservargli, e dei ragazzi che gli gironzolavano intorno; più che
altro non sapeva spiegarsi il fastidio di doversene andare dalla sua stanza
ogniqualvolta Blaine avesse delle…
visite.
Proprio
in quel momento, la compagna di stanza di Rachel fece capolino con la testa dal
bagno, fissando lo sguardo su Kurt.
«Oh
Kurt! Se tu sei qua, vuol dire che Blaineè…?»
Kurt
aggrottò le sopracciglia. La ragazza squittì
e si precipitò fuori dal bagno in accappatoio per afferrare il cellulare e
iniziare a digitare velocemente sulla tastiera.
«Cosa
diavolo…?»
«Oh,
credimi Kurt, non lo vuoi sapere,» disse Rachel ridacchiando ma, dopo
l’occhiata eloquente del suo amico, riprese a parlare con uno sbuffo. «Hanno
fondato tipo un fan club di Blaine Anderson, e non si
lasciano scappare neanche una notizia su di lui, soprattutto sulla sua vita… sessuale.»
Kurt
grugnì e affondò il viso tra le braccia.
«Ma
lo sanno che è gay, sì?»
«Sembra
che non importi, anzi.»
Kurt
rimase lì per circa un’ora e mezza, indispettito come non mai, ma soprattutto
confuso. Capitava che lo fermassero in giro per la scuola per chiedergli di Blaine, e Kurt all’inizio rimaneva senza parole, colto del
tutto alla sprovvista. Poi però aveva iniziato a rispondere male a tutti.
Odiava il fatto che lo conoscessero solo come “il compagno di stanza di Blaine Anderson”, si sentiva quasi come Ron Weasley. Con la differenza però, si disse, che per lo meno
Ron ed Harry erano amici, lui e Blaine invece
cos’erano? Solo dei semplici compagni di stanza.
***
Kurt
fremeva di rabbia, camminando per i corridoi come una furia diretto in aula
canto. Non capiva il motivo per cui il loro insegnante di canto sembrasse odiarlo
così tanto, davvero non capiva; non arrivava mai in ritardo a lezione, svolgeva
per bene ogni esercizio veniva loro assegnato, e soprattutto, non sembrava di
avere una brutta voce, anzi. Entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle
spalle e cercando con tutte le sue forze di non sbatterla, e si andò a sedere
davanti al pianoforte.
Era
davvero stufo. Uno studente lo aveva
appena fermato per chiedergli di Blaine, e davvero
era l’ultima cosa cui voleva pensare al momento; aveva fin troppi problemi già
di suo, senza che si aggiungesse il fastidio e la confusione che provava ogni
volta che veniva nominato Blaine. Senza pensarci,
sollevò una mano e posò un dito su un tasto a caso, sospirando. Aveva bisogno
di calmarsi, e c’era solo una cosa che sarebbe stata in grado di farlo; peccato
che la sua stanza fosse off limits. Così iniziò a
suonare, le note di DefyingGravitysi
levarono alte, nel silenzio, seguite poi dalla voce di Kurt.
Wickedriusciva sempre a
calmarlo; era il suo musical preferito, sarebbe stato un sogno esibirsi in quell spettacolo. Kurt chiuse gli occhi mentre continuava a
cantare e suonare contemporaneamente; non aveva bisogno di guardare i tasti,
conosceva a memoria le note, e le sue mani si muovevano come se fossero state
dotate di vita propria. La sua voce acuta riempì l’aria, senza sbagliare una
nota, senza stonare mai. Quando arrivò alla fine, Kurt aveva il fiatone, ma si
sentiva incredibilmente meglio.
Un
applauso alle sue spalle lo fece sobbalzare. Si girò, chiedendosi come avesse
fatto a non sentire la porta aprirsi, e gli occhi quasi gli uscirono dalle
orbite nel vedere la persona che stava applaudendo. Blaine
era appoggiato allo stipite della porta, un sorriso gentile sul volto, gli
occhi più luminosi che mai; continuava a guardare Kurt, applaudendo
educatamente ancora un po’ prima di fermarsi.
«E’
stato stupendo,» disse, avvicinandosi.
Kurt
gli diede le spalle, ritornando a fissare la tastiera. Cosa ci faceva Blaine lì? Non doveva essere in camera loro a divertirsi?
Sarebbe stato maleducato chiederglielo, vero?
Kurt
si strinse nelle spalle – nonostante fosse felice del complimento appena
ricevuto – senza osare alzare lo sguardo su Blaine,
che si era appena seduto vicino a lui sullo sgabello davanti al pianoforte. Blaine appoggiò le dita sulla tastiera, cominciando a
suonare una melodia inventata sul momento, ma non per questo meno bella. E Kurt
si sentì invadere da un calore inaspettato.
«Grazie,»
si trovò a dirgli, mentre un piccolo sorriso gli spuntava sulle labbra.
Blaine si fermò e Kurt poté sentire il peso
degli occhi dell’altro ragazzo puntati su di lui; si trovò ad alzare lo
sguardo, legandolo a quello del suo compagno di stanza.
«Se
stavi cantando una canzone di Wickedvuol dire
che c’è qualcosa che non va.»
Kurt
sgranò gli occhi. E lui come diamine faceva a sapere quanto Wickedlo calmasse? Come faceva a sapere che, quando era triste o
arrabbiato o confuso, gli piaceva sedersi sul suo letto, le cuffie e le canzoni
di quel musical nelle orecchie?
Blaine scoppiò in una breve risata davanti
allo sguardo sconvolto di Kurt, e fu costretto a spiegarsi.
«Circa
un mesetto fa, tu e la tua amica Rachel stavate parlando di Wicked; e tu hai detto quanto ti aiuti
quando sei triste o arrabbiato,» fece una pausa, godendosi ancora un attimo
l’espressione stupita di Kurt. «Scusa, non ho potuto fare a meno di origliare. Wickedè anche uno dei miei musical
preferiti.»
Kurt
era senza parole. Come faceva Blaine a ricordarsi di
una cosa che aveva detto settimane prima, per di più non a lui? Continuò a
guardare il suo compagno di stanza, che riprese a suonare il piano, lo sguardo
fisso sulle sue dita che si muovevano veloci sui tasti.
«Il
professor Reeves mi sta facendo ammattire,» si ritrovò ad ammettere Kurt, senza
sapere il motivo per cui glielo stesse dicendo.
«L’ho
notato,» annuì Blaine, senza smettere di suonare.
«Suppongo sia geloso…»
«Come
scusa?»
«Non
mi dire che non lo sai,» ridacchiò Blaine. «Un tempo,
quand’era ancora un ragazzo, il professor Reeves era un controtenore, uno dei
più promettenti in realtà. Poi però si ammalò gravemente, e non poté cantare
per un bel po’… quando riprese a cantare, la sua voce non era più come prima.»
Ora la musica aveva assunto un tono triste.
Kurt
rimase a bocca aperta; si sentiva in colpa per tutte le volte che aveva dato
contro il professore.
«Non
lo sapevo…» sussurrò, più a se stesso che a Blaine, che smise improvvisamente di suonare e si alzò.
«Non
devi prendertela, lui cerca solo di spronarti quanto più possibile,» disse
prima di lasciare la stanza con un altro sorriso gentile rivolto a Kurt.
Il
ragazzo rimase immobile ancora un bel po’ prima di alzarsi e seguire Blaine in stanza. In questi primi due mesi si era tanto
concentrato sui difetti di Blaine, che forse nella
sua mente se lo era dipinto peggio di quanto in realtà non fosse.
***
Kurt
cominciò a osservare Blaine sempre più spesso nelle
settimane a venire; sotto sotto se ne vergognava, gli
sembrava quasi di stalkerarloo simili, ma non riusciva a non
guardarlo. Blaine era gentile. Come aveva fatto a non
accorgersene prima? Era sempre educato e disponibile con tutti, sembrava non
tirarsela affatto per tutte le attenzioni che gli riservavano, anzi, una volta
lo vide persino sbuffare un secondo prima di rivolgersi al nugolo di ragazzi
intorno a lui con un sorriso cordiale sul viso, pronto ad ascoltarli e dar loro
consigli o qualsiasi cosa volessero. Blaine si
impegnava tantissimo, studiava come un matto per stare dietro a tutto, fino a
notte fonda; e, in quelle occasioni, si ritirava in bagno a studiare, di modo
da permetterea Kurt di poter dormire
con la luce spenta. Kurt era così intento ad odiarlo che non si era nemmeno
accorto del fatto che Blaine avesse iniziato a
comprare gli stessi suoi prodotti per la doccia, di modo che, anche in caso li
avessero confusi, non sarebbe stato poi tanto un dramma.
Nonostante
tutto, però, Blaine continuava a portare in stanza ogni
volta un ragazzo diverso; ma anche in queste occasioni, lasciava una delle sue
cravatte appese alla maniglia della loro stanza, di modo che Kurt sapesse in
anticipo prima di entrare. Oppure, quando Blaine
entrava in stanza, ridendo e baciandosi con il ragazzo di turno, si staccava e
chiedeva sempre cortesemente a Kurt se potesse andare da Rachel e tornare dopo
un’oretta, sempre con lo stesso tono educato. Kurt così si alzava e se ne
andava, sebbene con il cuore pesante e la voglia di prenderlo a pugni.
Tuttavia,
Blaine era davvero gentile, non solo con tutti, ma
anche con lui. Gli sorrideva sempre, a volte lo aiutava quando lo vedeva in
difficoltà con qualche esercizio – non che la cosa capitasse spesso – e Kurt lo
sorprendeva più volte a fissarlo con quegli occhi stupendi, luminosi come non
mai e che lo lasciavano sempre destabilizzato.
E
poi, arrivò il momento di iniziare a prepararsi per lo spettacolo di Natale. Il
professor Reeves, ogni anno, permetteva all’allievo più bravo di scegliere se
cantare un assolo o un duetto e, nel secondo caso, di scegliere il proprio
compagno. Quell’anno nessuno si stupì quando il professore disse a Blaine di scegliere; quello che però nessuno si aspettava,
era che Blaine scegliesse il duetto.
«Ne
sei sicuro?» chiese il professore, guardandolo come se fosse pazzo.
«Sicurissimo.»
«E
chi vorresti come compagno di duetto?»
Kurt
poteva percepire la tensione e il senso di aspettativa che era appena sceso
sull’aula; anche lui era curioso di scoprire chi avrebbe scelto Blaine, ma di certo non pensava di poter essere scelto.
Proprio in quel momento però, lo sguardo di Blaine si
posò su di lui, e il suo viso si aprì in un sorrisetto strano, a metà tra il
dolce e qualcosa che Kurt non riuscì a interpretare.
«Vorrei
cantare con Kurt.» Sull’aula scese un silenzio tombale. «Sempre se sei
d’accordo,» continuò Blaine, questa volta
rivolgendosi direttamente a Kurt.
E
il ragazzo, con la gola secca e gli occhi quasi fuori dalle orbite per quanto
era sconvolto al momento, si ritrovò ad annuire, mentre Rachel al suo fianco
gli dava una gomitata sul fianco per scuoterlo dal suo stato di stupore.
«Sì,
va bene…»
***
Le
luci si spensero mentre il numero prima del loro duetto si avviava alla
conclusione. Kurt salì sul palco, al buio, con il cuore in gola e le mani
sudate; era più agitato che mai, aveva quasi paura che la voce non gli uscisse,
o che stonasse, o qualsiasi altra cosa terribile sarebbe potuta capitargli.
Certo, non era la prima volta che cantava da solo davanti a un pubblico, ma era
comunque la prima volta che cantava davanti a tutti gli studenti e gli
insegnanti della NYADA.
Poteva
sentire la presenza di Blaine al suo fianco, il suo
respiro calmo e il suo profumo che riempiva l’aria. Se ci fosse stata Rachel al
suo posto, l’avrebbe presa per mano per cercare di tranquillizzarsi, per
appigliarsi a qualcosa, ma non poteva prendere Blaine
per mano. Tuttavia, proprio mentre quel pensiero si stava facendo largo nella
sua testa, sentì un tocco delicato sfiorargli il polso.
«Andrà
tutto bene,» gli sussurrò Blaine all’orecchio, per
poi staccarsi appena in tempo prima che le luci si accendessero, mostrandoli da
soli, sul palco.
Kurt
non riusciva a staccare lo sguardo da quello di Blaine;
era quasi magnetico, e Kurt poté distintamente sentire la sicurezza invaderlo
mentre sprofondava in quegli occhi dorati. La melodia di Baby it’scoldoutsidecominciò a risuonare per tutto il teatro; Kurt
iniziò a cantare, subito seguito dal suo compagno di stanza.
Avevano
provato e riprovato tante volte a lezione con il professor Reeves nell’ultima
settimana, avevano messo tutto il loro impegno per far sì che venisse al
meglio; avevano persino improvvisato una specie di coreografia. Perciò in quel
momento stavano semplicemente ripetendo gli stessi passi e le stesse parole che
li avevano accompagnati per tutta la settimana precedente, flirtando con gli
sguardi e interagendo l’uno con l’altro come se fossero davvero attratti l’uno
dall’altro. Non c’era niente di diverso dal solito.
Ma
per Kurt, era tutto diverso. Sotto le luci, gli occhi di Blaine
brillavano più che mai, il suo sorriso malizioso lo colpiva con forza; la sua
voce era amplificata e più dolce e calda che mai, le sue mani che lo sfioravano
erano bollenti, poteva percepirlo persino attraverso la stoffa degli abiti.
Kurt continuò a vagare per il palco, perfettamente calato nella parte mentre
fingeva di far storie per non restare con Blaine, che
invece faceva di tutto per convincerlo a restare. Ma niente era normale, il
cuore di Kurt batteva a una velocità disarmante nel petto, e non aveva a che
fare con il fatto di star cantando davanti a un centinaio di persone.
Kurt
avrebbe voluto con tutto se stesso che lo sguardo caldo e pieno d’amore che Blaine gli stava rivolgendo in quell’istante fosse davvero
per sé, e non solo dettato da un’interpretazione. Voleva davvero che Blaine lo corteggiasse, che lo desiderasse. Voleva piacere
a Blaine. E forse era quello il motivo per cui si
sentiva il cuore pesante ogni volta che quella cravatta appesa alla maniglia
della porta della loro stanza gli ricordava la presenza di un ragazzo – un
ragazzo che non era lui – in camera con Blaine.
A
Kurt piaceva Blaine. A Kurt piaceva il suo compagno
di stanza. La rivelazione lo colpì tanto forte che quasi si dimenticò che
toccava a lui cantare. Vide Blaine lanciargli
un’occhiata stranita, quasi subito mascherata da un sorriso di circostanza; se
n’era accorto, si era reso conto che qualcosa non andava. E l’ultima cosa che Kurt
voleva, era che Blaine sapesse dei suoi sentimenti
per lui.
Ma
quali sentimenti, poi? Kurt lo odiava! Vero?
La
loro esibizione terminò e fu accolta da una standing ovation. Non erano solo
stati bravi, erano stati reali; sembrava davvero di poter scorgere l’attrazione
presente tra i due ragazzi, e al pubblico tanto era bastato per alzarsi in
piedi e applaudire. Kurt e Blaine si inchinarono,
godendosi i loro applausi, e quando Kurt spostò lo sguardo sul ragazzo al suo
fianco, questi gli riservò un sorriso ancora più caldo di quelli che gli aveva
riservato finora.
Kurt
si sentì invadere da una strana rabbia. No, non poteva piacergli Blaine, dannazione! Non sapeva nulla di lui, non lo
conosceva, sebbene ci vivesse insieme da ormai quattro mesi. Preso da
un’improvvisa rabbia, Kurt accolse con gioia il buio sul palco, che gli permise
di scappare via dietro le quinte; e la sua corsa non finì lì. Aveva bisogno di
pensare, doveva stare solo. Senza pensarci, si precipitò nella sua stanza,
correndo a perdifiato fino a chiudercisi dentro.
Si
sedette sul letto, con il fiatone e lo sguardo fisso davanti a sé. Era così arrabbiato in quel momento. Non poteva
essere attratto da Blaine, era un disastro! Non
sarebbe più riuscito a stare in stanza con lui.
Proprio
in quel momento, la porta si aprì e Blaine fece la
sua apparizione nella stanza, lo sguardo preoccupato fisso su di lui.
«Kurt,
stai bene?»
Kurt
lo odiava. Odiava che Blaine dovesse essere così
gentile, odiava che Blaine lo avesse scelto per
quello stupido duetto, odiava stare in stanza con lui, lo odiava.
«No,
non sto bene!» si trovò a gridare senza che avesse dato il permesso alle sue
parole di lasciare le sue labbra. «Tu… tu, non puoi
essere così!»
Blaine sgranò gli occhi, sconvolto dalla sua
reazione e dal suo rossore – non aveva mai visto Kurt scaldarsi così tanto,
anzi, gli era sempre sembrato molto riservato e pacato.
«Così
come, scusa?»
«Così!» urlò Kurt con quanto fiato aveva
in gola, lasciando interdetto il suo compagno di stanza, in piedi di fronte a
lui.
«Ti
odio! Odio tutto di te! Odio il fatto che devi usare i miei prodotti per
capelli, odio il fatto che devi imbarazzarmi uscendo da quel dannato bagno con
solo un asciugamano addosso! Odio il fatto che sei bravissimo a ballare, odio
la tua voce perfetta, odio il modo in cui riesci a recitare qualsiasi ruolo
come se fosse la cosa più naturale del mondo! Odio le attenzioni che ricevi da
tutti, odio il tuo seguito petulante e schiamazzante! Odio il fatto che tu sia
gentile con me! Odio i tuoi sguardi e i tuoi sorrisi.»
A
questo punto, Kurt era quasi in lacrime, il viso rosso e sconvolto.
«Ma
più di tutto, odio il fatto di non riuscire a odiarti. Nemmeno un po’, nemmeno
un pochino. Proprio per niente.»
Quello
che avvenne dopo, lasciò entrambi sorpresi. Anche se forse, non avrebbe dovuto
essere così sconvolgente come invece poteva sembrare loro.
Blaine fece un passo in avanti, prese il
viso di Kurt tra le mani e posò le labbra sulle sue. Kurt aveva visto Blaine baciare molti ragazzi, ma non lo aveva mai visto
baciarli in quel modo; quei baci erano profondi, quasi animaleschi, era uno
scontro di bocche e lingue e saliva. Questo invece non aveva niente a che fare
con quei baci: era lento, dolce, quasi timido. Era un semplice sfiorarsi di
labbra, casto e assolutamente perfetto, quasi irreale.
Kurt
tenne gli occhi spalancati per tutto il tempo, troppo sconvolto dal gesto del
suo compagno di stanza, mentre mille domande gli si agitavano in testa. Perché Blaine lo aveva baciato? Lo considerava uno dei suoi
semplici ragazzi che si scopava una volta e di cui poi si dimenticava? O c’era
qualcosa di più?
Blaine si staccò, ma non del tutto. Si
allontanò da Kurt quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi, ma
le sue mani rimasero esattamente dov’erano prima, sulle guance bollenti di
Kurt.
«Anche
tu mi piaci.»
«Io
cosa?» chiese Kurt del tutto sconvolto, provocando una lieve risatina nel
ragazzo di fronte a lui.
«Non
era ovvio? Non so se lo hai notato, ma nell’ultimo mese non ho mai portato
nessun ragazzo in camera…» disse Blaine
sollevando un sopracciglio e accarezzando la guancia di Kurt con una mano,
mentre l’altra scendeva a stringergli la spalla.
Effettivamente
Kurt lo aveva notato ma pensava che semplicemente Blaine
fosse stato sfortunato – cosa alquanto improbabile – o che non avesse voglia.
Ma poi, i suoi piccoli gesti acquisirono un diverso significato: i prodotti per
capelli comprati uguali, il suo sorrisetto un po’ timido quando lo beccava a
guardarlo, quelli un po’ più sornioni di quando usciva seminudo dalla doccia,
le sue continue attenzioni, il fatto che si ricordasse di Wickede che lo avesse spiato mentre cantava, il suo desiderio di
duettare con lui. Ora tutto acquisiva un senso. Ovvio, solo un pazzo lo avrebbe
capito, ma comunque… piaceva a Blaine.
Tanto
bastò a Kurt per chinarsi in avanti e baciare il suo meraviglioso compagno di
stanza.
NdA:
Ed
eccoci di nuovo qui con un’altra storia per la Klaine
Week! Questa volta il prompt era Roomates!Klaine e vi giuro che ho amato scriverla.
Probabilmente
i personaggi vi sembreranno un po’ OOC, non tanto Kurt quanto Blaine – ma a tutto c’è un motivo…
questa volta, lascio scegliere a voi quale! =)
Due
piccole precisazioni – una delle quali suppongo sia inutile!
Innanzitutto,
il titolo è ovviamente presto dal film 10
cose che odio di te. E infine, il titolo della raccolta ‘Cause I knowthatyoufeel
me somehow è una frase della canzone Iris dei GooGooDolls… L’ho trovata più che
azzeccata in un momento come questo – perché sono davvero sicura che Kurt e Blaine si troveranno sempre, qualsiasi sia il loro
contesto: loro saranno in grado di sentirsi, di riconoscersi come anime
gemelle. Perciò questo titolo…
Uscire
fuori con suo padre, per Blaine, era sempre stato… complicato. Da bambino, adorava andare in giro con
lui, accoccolarsi tra le braccia forti di suo padre, o mostrare quanto fiero
lui fosse del suo papà; da adolescente, aveva attraversato un periodo di
ribellione, pertanto cercava di farsi vedere con il padre il meno possibile.
Ora invece, Blaine era riuscito a raggiungere un
equilibrio, era fiero di ciò che il padre faceva, ma al contempo non amava
uscire con lui: era vanesio, anche se lo faceva ridere, aveva sempre la battuta
pronta e attirava sempre l’attenzione su di sé. A volte, a Blaine
sembrava che fosse lui l’adulto della situazione, e non il suo padre
ultramiliardario e ultrafamoso conosciuto ai più con il nome di Iron man, all’epoca Tony Stark.
BlaineStark uscì
da una caffetteria anonima di Los Angeles, seguito dal sorriso un po’
strafottente del padre, scuotendo la testa e sbuffando come un mantice.
«Che
c’è?» chiese il padre, facendo finta di non vedere le occhiate che tutti
rivolgevano loro, mentre salivano sull’auto guidata da Hogan.
«Devi
smetterla, papà!»
«Di
fare cosa?»
Blaine alzò gli occhi al cielo notando il
sorriso sbarazzino del padre. Dannazione, lo sapeva che non avrebbe dovuto
dirgli niente, che si sarebbe dovuto tappare quella boccaccia e andare a
parlarne con la madre.
«Ascolta,
se non glielo dici tu, sarò costretto a dirglielo io. Potrei sempre entrare nel
suo profilo Facebook e aggiungerti come suo amico…»
«Oddio,
non lo fare! Ti prego…» Blaine
si prese la testa tra le mani, lasciandosi sfuggire un lamento; sapeva che il
padre ne sarebbe stato capace.
«Vuoi
farlo tu?» chiese Tony alzando un sopracciglio.
«Assolutamente
no! È una cosa troppo inquietante… No, cercherò di
parlargli la prossima volta. E ancora no, questa volta non verrai anche tu a
rubarmi la scena e mettermi in imbarazzo!»
Blaine cercò di non far caso
all’espressione da cucciolo che aveva appena assunto suo padre – l’aveva
collaudata anni prima, per cercare di rabbonire sua madre, ma PepperPotts era fin troppo
abituata a gestire Tony Stark per lasciarsi
abbindolare così facilmente – e che lui aveva ereditato.
Riportò
lo sguardo sulla strada, sovrappensiero. Qualche settimana prima, tornando da
un’uscita con il suo amico Wes, era entrato in quella
stessa caffetteria anonima da cui lui e il padre erano appena usciti; e in
quell’occasione, il suo sguardo aveva incrociato quello azzurro del ragazzo al
bancone che serviva il caffè. La sua carnagione chiara, il profilo scolpito, il
capelli castano chiari tirati su con la lacca e ormai sfatti dopo una giornata
di lavoro e le labbra rosse erano state sufficienti a Blaine
per infatuarsi di quel ragazzo – Kurt c’era
scritto sul cartellino che aveva attaccato al petto. Aveva passato tutto il
tempo a guardarlo a bocca aperta, mentre l’altro non l’aveva degnato che di uno
sguardo frettoloso quando gli aveva chiesto la sua ordinazione; e lui aveva balbettato, sotto lo sguardo stupefatto
di Wes e di mezzo locale.
Tutti
conoscevano BlaineStark,
figlio di Tony; aveva ereditato dal padre la sua genialità e dalla madre il
grande dono di sopportare il padre; a soli sedici anni, era entrato
all’università, e da lì la sua strada era stata tutta in salita, lavorando
nell’impresa del padre e con il padre. Ormai c’erano due Iron
man che volavano nei cieli di Los Angeles (e non solo).
Perciò
era certo che Kurt lo avesse riconosciuto, ma non aveva dato alcun tipo di
cenno di adulazione o falsità da cui invece era solito essere circondato Blaine. E forse era anche per questo che Blaine era andato in fissa con questo ragazzo; lo
incuriosiva, voleva conoscerlo. Aveva iniziato a frequentare quella caffetteria
assiduamente, cercando il coraggio, che di solito non gli mancava, di rivolgere
la parola a quel ragazzo; ma niente, quando si ritrovava davanti a quegli occhi
di ghiaccio, si impappinava, iniziava a sudare freddo e si limitava a fare la
sua ordinazione, balbettando.
E
poi, Blaine aveva avuto la brutta idea di mettere il
padre al corrente della sua cotta per questo fantomatico Kurt. Ovviamente Tony
aveva dovuto vederlo, e lo aveva trascinato alla caffetteria, dove lo aveva
messo in imbarazzo davanti a tutti iniziando a parlare con Kurt, con quel suo
tono affascinante, chiedendogli cosa ne pensasse del figlio; Kurt aveva sorriso
timidamente – e Blaine si era sciolto come neve al
sole nel vedere per la prima volta il sorriso del ragazzo – ma non aveva
guardato Blaine, né suo padre, per più di qualche
secondo, prima di ritornare al suo lavoro, non rispondendo alla domanda di
Tony.
Blaine avrebbe voluto che una voragine si
aprisse sotto i suoi piedi e lo inghiottisse.
«Ascolta
figliolo, devi trovare il coraggio di parlargli, d’accordo? Prova a fare colpo
su di lui!» Il padre lo riportò con i piedi per terra. «Dopotutto, sei mio figlio,
no? Sei Iron man anche tu.»
Blaine fissò lo sguardo in quello del
padre, sovrappensiero. Aveva ragione, dannazione! Lui era l’unico, insieme a PepperPotts, in grado di avere
una discussione con il padre e uscirne vittorioso – a volte – e aveva salvato
il mondo più volte insieme al padre e ai loro amici (ormai tra di loro non si
chiamavano più i Vendicatori, ma “gruppo dello Shawarma”).
Lo sapevano tutti, ma a Blaine non piaceva vantarsi.
A volte invidiava gli eroi dei fumetti, quelli che nascondevano la loro vera
identità; non avrebbe mai rinunciato all’armatura, a ciò che faceva, ma a volte
avrebbe preferito che nessuno lo conoscesse. Aveva solo vent’anni e tutti
sapevano chi lui fosse, quali fossero le sue preferenze sessuali e cosa avesse
fatto, ed era quasi impossibile per lui avere una vita normale.
«Già…» sussurrò, non accorgendosi dello sguardo preoccupato
del padre.
***
«Ehi,
Kurt!»
Kurt
fece un cenno alla sua collega per farle capire che stava ascoltando, ma non
distolse gli occhi dal cappuccino che stava preparando.
«Sono
tornati gli Stark, oggi! Mi sa che Blaine ha una cotta per te… Passa
il tempo a fissarti imbambolato!»
«Non
dire sciocchezze! E poi, figurati, vorranno solo farsi vedere... Si sa che le
persone di quel tipo sono piene di boria.» rispose Kurt con freddezza.
«Non
credi di stare generalizzando?»
Kurt
finalmente alzò lo sguardo sulla sua collega; aveva ragione, lui non conosceva
gli Stark, non sapeva com’erano veramente. Al di
fuori, sapeva che Tony Stark era vanesio e a volte
arrogante, ma nonostante tutto aveva salvato la situazione in diverse
occasioni. Il figlio invece gli era sempre sembrato molto più riservato del
padre, ma non si fidava. Pensava fosse tutto uno scherzo, perché insomma, come
poteva interessare veramente a BlaineStark? Era solo un umile
commesso di Starbucks, dopotutto.
***
«Buongiorno.»
La voce metallica di Jarvis li accolse, non appena
entrati in casa. «Signore, la devo avvisare della presenza del signor Banner in
laboratorio. La signora Potts sta cercando di
spiegare l’uso di un tablet ai fratelli Asgardiani. NatashaRomanoff, Clint Barton e Steve Rogers sono nell’area adibita agli allenamenti.»
«Quand’è
che questa casa è diventata un luogo di ritrovo?» chiese Tony alzando gli occhi
al cielo e decidendo di passare a salutare per lo meno Pepper
– in realtà a controllare che Thor o Loki, dopo anni
ormai in buoni rapporti, non gli distruggessero niente – per poi andare in
laboratorio da Bruce.
Blaine si lasciò scappare un sorrisetto,
fiondandosi dritto nel seminterrato. Aveva bisogno di stare solo, i suoi
pensieri in macchina lo avevano intristito; e l’unico modo che Blaine aveva per rilassarsi, sin da quando era ragazzo ed
era riuscito a costruirsi la sua prima armatura tutto da solo, era quello di
farsi un volo in giro per la città.
«Jarvis, preparami la Mark VIII di papà, per favore.»
«Posso
sapere come mai questa scelta, signore?» gli rispose la voce metallica.
«Così,»
rispose con un’alzata di spalle Blaine, mentre uno dei
pannelli davanti a lui si sollevava, mostrando un’armatura di titanio
verniciata di blu.
***
Qualche
ora e qualche pensiero in meno dopo, Blaine si
ritrovava a volare sopra lo Starbucks di prima,
aspettando che Kurt uscisse. Aveva deciso che gli avrebbe parlato, doveva
farlo, o sarebbe impazzito. Non capiva come mai avesse questo desiderio
ancorato nel petto, era inspiegabile, ma gli sembrava quasi di conoscere Kurt,
come se lo avesse già incontrato prima, in un altro mondo, in un altro tempo.
Aveva visto così tante cose nella sua giovane vita, che ormai avrebbe potuto
credere praticamente a qualsiasi cosa.
«Jarvis, aiutami.»
«Cosa
stiamo cercando, signore?»
«Non
cosa. Chi. Si chiama Kurt, lavora in quello Starbucks.»
«Posso
entrare nei file del computer del loro datore di lavoro facilmente.» La voce
metallica si interruppe per circa venti secondi, prima di ricominciare a
parlare. «Kurt Hummel, vent’anni, nato a Lima, Ohio.
Studente di astronomia alla UCLA, ha una passione per la moda e stacca alle
nove.»
«Grazie
Jarvis.»
Pochi
minuti dopo, Blaine vide Kurt uscire dalla
caffetteria, usando la porta sul retro. Con un sorriso sul volto e facendosi
coraggio, Blaine atterrò davanti a lui, facendo
saltare dallo spavento il ragazzo di fronte.
«Cosa
diamine…?! Sei impazzito, per caso?» urlò Kurt,
quando il casco dell’armatura si aprì, rivelando gli occhioni
dorati di Blaine.
«Io… scusami, non volevo spaventarti.»
«Beh
è quello che hai fatto!»
Blaine rimase a fissare Kurt, senza sapere
che cosa dire, né come comportarsi. Un silenzio tombale scese tra di loro; Kurt
non si muoveva, Blaine non parlava. Rimanevano
immobili a guardarsi, Kurt con un’espressione un po’ torva in viso.
«Mi
stavi seguendo?» chiese Kurt con fare aggressivo.
«N-no…» mentì Blaine, spaventato
dal modo in cui stavano andando le cose. Ma il sopracciglio alzato di Kurt, lo
fece capitolare. «Ok, sì… stavo aspettando che tu
uscissi. Volevo solo fare quattro chiacchiere, magari parlare del tuo corso di
astronomia alla UCLA.»
«Pessima
mossa, signore,» disse la voce di Jarvis nei suoi
auricolari.
«Hai
fatto delle ricerche su di me?!» Il tono di voce di Kurt aveva raggiunto dei
livelli esorbitanti. Blaine si ritrovò a fare un
passo indietro, mentre Kurt gli veniva contro con un dito puntato.
«Tu… come osi?! Solo perché sei Iron
man, non significa che hai il diritto di violare la privacy altrui! Sei solo un
borioso figlio di papà elevato all’ennesima potenza, ecco cosa sei!»
Blaine abbassò gli occhi. Di certo non
aveva pensato che il loro incontro si sarebbe concluso in questo modo.
«E
ora vattene! Vola via, vai a provarci con qualcun altro! Anzi, sai che ti dico?
Me ne vado io!» Kurt lo superò, senza degnarlo di un altro sguardo, le guance
rosse per la rabbia e le mani strette a pugno, lasciando dietro di sé un Blaine attonito e deluso.
«Aspetta!»
gli urlò, ma l’altro ragazzo non si girò, continuando a camminare con passo
spedito verso la via principale.
***
«Tony,
la vuoi smettere? Clint non ha messo su nessuna pancetta. Nessuno ha messo su
pancetta,» disse Natasha, alzando gli occhi al cielo
e posando una mano sulla spalla del marito.
«Non
possiamo essere come quelli di una volta,» replicò Bruce con tono calmo.
«Parla
per te!»
Tony
incrociò le braccia sul tavolo, certo di aver avuto l’ultima parola, quando le
luci si spensero all’improvviso, mettendo tutti sull’attenti. Poi uno schermo
spuntò dal nulla e la voce familiare di Jarvis riempì
la casa, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo.
«Signore,
forse c’è una cosa che dovreste vedere.»
Il
video dell’incontro tra Blaine e Kurt che Jarvis aveva registrato venne proiettato sullo schermo,
sotto lo sguardo attento di tutti gli altri.
«Mi
piace il ragazzo…» disse Loki,
ricevendo un’occhiata indignata da parte del fratello.
«Chi
era quello?» chiese Steve con espressione stupita.
Tony,
con un’espressione indecifrabile, si ritrovò a spiegare a tutti cosa fosse
appena successo; non appena ebbe finito, si scambiò uno sguardo preoccupato con
Pepper. Sapevano quanto loro figlio a volte soffrisse
di avere tutta questa fama; quello che più desiderava era di trovare qualcuno
che lo amasse, non perché figlio di Iron man e Iron man stesso, ma perché amava il vero lui.
Proprio
in quel momento, Blaine, con ancora l’armatura
addosso, atterrò sul terrazzo della cucina; il casco si abbassò subito,rivelando i suoi occhi bassi e l’espressione
triste. Sentendosi osservato, sollevò lo sguardo e incrociò quelli degli altri
Vendicatori; gli bastò guardarli per un secondo soltanto per capire che
sapevano. Strinse i pugni e volò di nuovo via, mentre veniva invaso da una
strana rabbia.
«Blaine!» gridò Pepper, ma non
venne ascoltata.
«Dobbiamo
fare qualcosa…» decretò Thor.
***
La
mattina dopo, davanti alla porta della sua camera alla UCLA, Kurt trovò un
mazzo di gigli per terra, in un vaso. Stupito, li raccolse, mentre veniva
invaso da uno strano dubbio che gli venne confermato dal biglietto sotto il
vaso.
Scusami per aver fatto ricerche su di
te e averti seguito. Giuro che ho le migliori intenzioni. – B.S.
Inutile
dire che Kurt prese e accartocciò il biglietto, lasciando il vaso alla prima
ragazza che incrociò per il corridoio.
Lo
stesso si ripeté quel pomeriggio al lavoro. Questa volta c’erano di nuovo gigli
in un vaso ad attenderlo, e un biglietto; stavolta però la scritta era diversa.
Non so se hai trovato i fiori
stamattina davanti alla porta. Effettivamente potevo risparmiarmelo, quella era
davvero una mossa da stalker. Spero accetterai anche
questi. – B.S.
Questa
volta, Kurt accartocciò il bigliettino nelle sue mani sotto lo sguardo
perplesso della sua collega, e mise da parte i fiori. Lavorò tranquillamente
per tutto il giorno ma a volte, quando passava davanti al vaso, un odore fresco
di gigli gli colpiva le narici; quando fu il suo turno di andarsene, decise che
nonostante tutto poteva lasciarli lì. Avrebbero dato un tocco in più
all’ambiente.
Per
le settimane successive, Kurt continuò a ricevere fiori e bigliettini da parte
di Blaine. Ormai era diventata quasi un’abitudine,
una bella abitudine; conservava i bigliettini e i fiori, che si portava nella
sua stanza. Ma quello che adorava più di tutto, erano i bigliettini; in ognuno,
infatti, Blaine gli diceva cose di sé che nessuno
sapeva. Certo, erano piccole cose – come per esempio quale fosse il suo colore
preferito, o il modo in cui preferiva bere il caffè, o per quale film avesse
riso di più in assoluto – ma forse gli piacevano proprio perché erano
piccolezze.
Certamente,
Kurt aveva pensato che fosse tutto uno scherzo, era titubante e ci aveva messo
un po’ ad accettare questo fatto; ma poi gli tornava in mente lo sguardo
dispiaciuto di Blaine quando lo aveva liquidato
quella sera, o quello imbarazzato di quando si era presentato in caffetteria
con il padre. Forse aveva ragione la sua collega, forse era davvero prevenuto.
E pensare che era questo quello che gli aveva insegnato il suo Glee Club all’epoca delle superiori: mai giudicare qualcuno
dalle apparenze.
Avrebbe
voluto parlarne con lui, di persona, o per lo meno ringraziarlo per i fiori, ma
non sapeva come fare. Ovviamente tutti sapevano dove si trovava villa Stark, ma non poteva andarsene fino a Malibu
semplicemente per ringraziare Blaine: sarebbe morto
di imbarazzo! E glielo avrebbe detto di persona se Blaine
si fosse degnato di venire in caffetteria; invece sembrava essere sparito.
Circa
un mese dopo il loro litigio, Kurt stava camminando di tutta fretta verso casa,
attraversando il parco con uno dei mazzi di fiori di Blaine
stretto tra le mani. Ad un tratto, poco più avanti, la sua attenzione fu
catturata da una figura familiare: era Blaine, che
camminava di fianco a un ragazzo asiatico. Stava ridendo spontaneamente, senza
far caso alla gente che gli lanciava delle occhiate. Senza sapersi spiegare il
motivo, Kurt provò un improvviso moto di gelosia verso il ragazzo
sconosciutodi fianco a Blaine.
Devo essere impazzito, pensò Kurt, immobile in mezzo alla
strada, lo sguardo fisso su Blaine che sembrava non
averlo visto – per fortuna, perché era un disastro… e
oddio, ora pensava anche al suo aspetto fisico e al modo in cui l’avrebbe
trovato Blaine?
Hummel,
ti bastano dei fiori per farti capitolare?
Doveva
fare qualcosa; se avesse continuato ad andare dritto sarebbe passato proprio
affianco a Blaine, che si stava avvicinando sempre di
più. Così decise di tagliare, girando a destra, senza accorgersi dell’arrivo di
una ventina di ciclisti diretti proprio verso di lui.
Fu
un attimo. Kurt si immobilizzò, come un cervo colto sull’autostrada dai fari di
una macchina, congelato, il cervello che calcolava se fosse riuscito a
spostarsi in tempo o no. Qualcuno gridò «Attento!». E poi, Kurt si ritrovò per
terra, un dolore improvviso al fianco ma per fortuna ben lontano dalla strada e
dai ciclisti impazziti, mentre un peso caldo lo tratteneva a terra.
Kurt
alzò lo sguardo e non si stupì di trovarsi di fronte gli occhi grandi e dorati
di Blaine, nei quali riusciva a leggere un velo di
preoccupazione. Rimasero a fissarsi per degli istanti interminabili, mentre
intorno a loro tutti scoppiavano in un applauso.
Blaine fece finta di non vederli neanche,
alzandosi e porgendo una mano a Kurt, che la afferrò e si tirò in piedi. Il
ragazzo asiatico li raggiunse, lo sguardo fisso sulle loro mani ancora unite e
un sorrisetto sulle labbra. Quando Kurt riuscì a distogliere lo sguardo da Blaine, notò dov’era diretto lo sguardo dell’altro, così si
affrettò a lasciare la mano che stava stringendo.
«Grazie.»
«Figurati…» Blaine rimase
imbambolato a fissarlo; non lo vedeva da più di un mese e non si era nemmeno
reso conto di quanto gli fosse mancato vedere quei lineamenti, quegli occhi e
quelle labbra. «Uhm, lui è Wes, un mio amico.»
Kurt
non riuscì a trattenersi; fece uscire un sospiro di sollievo dalle labbra
nell’apprendere che quel ragazzo fosse solo un amico. Blaine
non si lasciò sfuggire niente, e lo fissò con una strana occhiata
interrogativa.
«Piacere,
Kurt.» Disse velocemente, stringendo la mano dell’altro ragazzo. Poi riportò lo
sguardo su Blaine, come se fosse incapace di
staccarsene, come se fossero due calamite che lo attiravano.
«Grazie
per i fiori,» gli uscì, tutto d’un fiato.
«I
fiori? Quali fiori?»
«Quelli!»
Kurt indicò il mazzo di fiori, ormai tutti sparpagliati, a terra; Blaine spostò il suo sguardo stupito sui fiori in
questione.
«Io… non ti ho mandato dei fiori,» spiegò a Kurt, i cui
occhi si spalancarono all’improvviso, delusi e feriti. «Avrei dovuto farlo?
Oddio volevi dei fiori? Pensavo non volessi vedermi più e –»
«No,
tu mi hai mandato i fiori…» Kurt si chinò e raccolse
il bigliettino per terra, porgendolo poi a Blaine.
È quasi un mese che ti mando fiori,
ma non mi sono ancora stancato. Questa volta ti dirò qual è la mia foto
preferita: ci sono io a sei anni, sulle spalle di Loki,
con tutti gli altri intorno a noi. Mi dicono sempre che è grazie a me se Loki si è unito definitivamente ai Vendicatori, perché non
è riuscito a resistere al mio faccino. – B.S.
Blaine sgranò gli occhi, sconvolto. Non era
stato lui a mandare i fiori a Kurt per un mese intero – così diceva il
biglietto – né a scrivergli quei biglietti; ma su quel foglietto di carta c’era
scritta una cosa della sua vita privata che nessuno sapeva. Nessuno a parte i
Vendicatori. Rialzò lo sguardo su Kurt e Wes – che
aveva capito tutto estava facendo di
tutto per non scoppiare a ridere.
«Mi
dispiace Kurt, non sono stato io a mandarti i fiori e i biglietti. Ma so chi è
stato.»
«Chi?»
«Ehm,
mi sa che è meglio che io me ne vada,» si intromise Wes.
«Avete parecchie cose di cui parlare, mi sa.» E, dopo un saluto cortese a Kurt
e un sorrisetto a Blaine, si voltò e se ne andò.
Kurt
e Blaine rimasero a fissarsi per qualche istante,
finché Blaine si aprì in un sorrisetto imbarazzato e
spiegò tutto a Kurt.
***
«Quindi
vuoi dirmi che i tuoi genitori e… i Vendicatori mi
hanno mandato i fiori per tutto questo tempo?» chiese Kurt stupito, mentre
guardava le strade di Los Angeles scorrere al di fuori del finestrino.
Avevano
passeggiato per il parco per un po’, mentre Blaine
gli spiegava cosa doveva essere successo, finché si erano ritrovati davanti
alla macchina di Blaine; il ragazzo gli aveva chiesto
di salire con un sorriso cortese e caldo, e Kurt si era ritrovato ad accettare,
come uno stupido. E ora era in macchina con Blaine,
dopo essere stato in silenzio per circa dieci minuti ad assimilare tutto quello
che gli aveva detto Blaine, e non sapeva dove
stessero andando.
«Sì.»
«Ma
è tutto vero quello che c’è scritto nei biglietti?»
Blaine gemette. «Purtroppo sì… Non oso immaginare quante cose imbarazzanti ti abbiano detto…»
«Oh,
soltanto alcune… Dove stiamo andando?»
Blaine si sorprese per il brusco cambio di
argomento, ma sorrise. Aveva un’idea. «Che ne dici di andare a casa mia e dire
che abbiamo scoperto tutto?”
Kurt
arrossì, scambiandosi una veloce occhiata con Blaine,
che sorrise soddisfatto mentre riportava lo sguardo sulla strada, lasciando il
tempo a Kurt di valutare la proposta. Che cosa doveva fare? Accettare l’invito
di Blaine e andare a casa sua? E se gli fosse
successo qualcosa? E se lo avessero rapito per farlo diventare una cavia dei
loro esperimenti? Non voleva diventare come quel grosso affarone verde.
Tuttavia, Kurt sentiva di potersi fidare di Blaine, e
una parte di sé sentiva di conoscerlo. Inoltre, voleva davvero gustarsi lavittoria sui Vendicatori.
«Ok,
ci sto.»
***
«Sono
a casa!» urlò Blaine mettendo piede nella villa,
seguito da un Kurt attonito che si guardava attorno a bocca aperta. Casa sua
sarebbe entrata perfettamente in quell’ingresso.
«Buongiorno,
signore.» La voce metallica di Jarvis fece sussultare
Kurt dalla sorpresa.
«Non
preoccuparti, è solo Jarvis. Gestisce la casa,» gli
spiegò Blaine con un sorriso, avvicinandosi alle sue
spalle e aiutandolo galantemente a sfilarsi la giacca. Le sue mani sfiorarono
appena le spalle e le braccia di Kurt, ed entrambi rabbrividirono per quel contatto
tanto semplice.
«Jarvis, dove sono tutti?»
«In
palestra, signore.»
Blaine si fece coraggio, prese Kurt per
mano e lo guidò per la casa, giù per le scale e dentro un ascensore metallico
che li portò ancora più in profondità. Kurt stava per spaventarsi, ma la
stretta calda e delicata della mano di Blaine lo
rassicurava. Usciti dall’ascensore, si trovarono davanti a una porta chiusa,
con vicino un pannello; Blaine si chinò, allineando
l’occhio a uno strano obiettivo, poi posò la mano sul pannello e quello si
aprì, rivelando una palestra enorme piena di attrezzi.
Kurt
rimase a bocca aperta. La Vedova Nera stava esercitandosi nella lotta con Thor;
Capitan America, Loki e Iron
man stavano cercando di battere Hulk, che se la
rideva della grossa sbatacchiando l’uno e l’altro da una parte all’altra;
Occhio di falco stava lanciando pigramente le frecce contro un manichino,
centrando perfettamente i punti più strategici quasi senza guardare. Una
signora dai capelli biondo fragola, che Kurt immaginò essere la famosa PepperPotts, la mamma di Blaine, e che assomigliava in modo inquietante a una sua
vecchia supplente del liceo, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e
sorrise nel notare le loro mani intrecciate. Kurt lasciò andare la mano di Blaine.
«Ci
sono ospiti,» disse la voce fredda di Jarvis.
Tutti
si fermarono immediatamente. Il viso di Tony spuntò dal casco che si era appena
aperto, sorridendo in direzione del figlio.
«Finalmente
vi siete incrociati e avete scoperto dei fiori!»
«Già…» disse Blaine, guardando
tutti a uno a uno con sguardo a metà tra il severo e l’affettuoso. Kurt invece
aveva perso completamente l’uso della parola. «Perché lo avete fatto?»
«Credo
tu possa arrivarci da solo,» disse Pepper,
avvicinandosi a loro e lasciando un bacio sulla guancia di Blaine,
che arrossì.
Blaine fissò tutti, interdetto, finché un
sorriso di consapevolezza gli spuntò sulle labbra. «Grazie.» Abbracciò tutti
con un sorriso enorme.
«Shawarma per tutti?» propose Tony con espressione da
cucciolo.
«Perfetto!»
E
di colpo, tutti li superarono, avviandosi verso l’uscita della palestra e
riservando un sorriso e un colpetto sulla spalla a Kurt e Blaine.
Bruce, che era tornato in fretta e furia normale e si era infilato un paio di
pantaloni della tuta di nascosto dagli occhi di tutti, passò loro di fianco con
un occhiolino rivolto a Blaine e un sorriso per Kurt.
Rimasti
soli, Blaine riportò lo sguardo su Kurt, che aveva
gli occhi a palla e un’espressione persa in viso. Ridacchiò, sventolando una
mano di fronte al suo volto.
«Tutto
a posto?»
«Io…» Kurt si riscosse dal suo stato di torpore. «Sì, sto
bene. Non ho detto una parola, ma va bene.» Spostò lo sguardo sui vari tipi di
armi appesi alle pareti, e i suoi occhi si illuminarono all’improvviso.
«Quelli
sono sai!» si avvicinò alle armi in questione, seguito da Blaine.
«Già!
Li sai usare?» chiese Blaine, sorpreso dal ricevere
un cenno di assenso da Kurt, che lo guardò dritto negli occhi.
«Vuoi
-?»
«Posso
-?»
Scoppiarono
a ridere entrambi, imbarazzati per aver parlato contemporaneamente.
«Prima
tu,» disse Kurt.
«Volevo
chiederti se preferivitornare a casa…»
Kurt
sorrise, scuotendo la testa. «No. Vorrei sapere come mai mi hanno mandato quei
bigliettini e i fiori.»
Di
colpo, Blaine abbassò lo sguardo, arrossendo; sembrò
pensarci un po’ su, passandosi la mano tra i capelli, spettinandoli un po’, ma
infine si decise a parlare.
«Essere
un supereroe è difficile. Certo, è fantastico, ma nella vita reale è
maledettamente complicato; non sai chi ti è veramente amico o chi vuole solo
approfittare della tua popolarità. In tutti questi anni, non ho mai avuto un
vero ragazzo, perché alla fine erano tutti interessati ai soldi, o alla fama…» Fece una pausa, alzando lo sguardo su Kurt. «Tu
invece mi sei sembrato diverso, fin da subito. Mi degnavi a malapena di
un’occhiata, ti limitavi a servirmi e tornavi al tuo lavoro; non sembravi
adularmi né altro. Avevo voglia di conoscerti, lo desideravo davvero tanto perché… beh, perché mi sei piaciuto fin da subito. Anche se
in quasi tutti i biglietti non miei ti chiedevo scusa, forse è meglio che te lo
dica di persona: scusami. Non volevo fare ricerche su di te, né seguir –»
Un
dito delicato si posò sulle labbra di Blaine, che
arrossì a quel gesto. Kurt sorrise, rimuovendo il dito.
«Sono
felice che lo abbiano fatto. Che abbiano mandato quei biglietti, e i fiori. Mi
dispiace di essere stato così sgarbato con te, anche perché pensavo davvero
tutte quelle cose che ti ho detto in quel vicolo,» spiegò Kurt imbarazzato,
distogliendo lo sguardo da Blaine e ridacchiando.
«E
ora hai cambiato idea?»
«Sì…» sussurrò Kurt, riportando gli occhi su Blaine.
«Allora
anche io sono felice che lo abbiano fatto.»
Continuarono
a sorridersi per un tempo interminabile, finché sentirono l’atmosfera cambiare
intorno a loro, farsi più calda e pesante. Kurt e Blaine
si attiravano come magneti, avvicinandosi sempre di più l’uno all’altro, i loro
occhi che continuavano a spostarsi sulle labbra dell’altro; Blaine
chiuse gli occhi, il cuore che batteva all’impazzata e un minuscolo angolo del
suo cervello che ringraziava le idee strambe del padre. Finché un rumore sordo,
come due oggetti metallici che si scontrano l’uno contro l’altro, attirò la sua
attenzione.
Aprì
gli occhi di scatto, tirandosi indietro e voltandosi il tanto che bastava per
notare uno dei sai per terra, ai piedi di suo padre, con ancora indosso
l’armatura, che sorrideva con occhi luccicanti. Blaine
riportò lo sguardo su Kurt, che aveva in mano l’altro dei sai e lo stava
facendo roteare con destrezza tra le dita.
Tony
scoppiò in una risata fragorosa. «Oh, mi piace questo ragazzo! Sei bravo con i
sai; dovresti unirti a noi!»
«Scusi,
signore, non mi piace essere osservato mentre sto per baciare qualcuno,»
replicò Kurt con un sorrisetto sulle labbra.
«Hai
ragione, scusami. Giuro di non intromettermi più.» Blaine
si chiese se era stato il solo a cogliere il sarcasmo nella voce del padre. «Volevo
solo dirvi che è arrivato da mangiare.» E poi, detto questo, sparì.
Blaine arrossì ancora di più, gemendo. «Scusalo… anzi, scusa tutti.»
«Non
preoccuparti. Devo loro un favore, dopotutto,» disse Kurt sorridendo.
«Ah
sì?»
«Sì.»
Kurt
si sporse in avanti, appoggiando le labbra su quelle di Blaine
e ancorandosi alle sue spalle. Blaine rilasciò un
sospiro, intrecciando le dita tra i capelli di Kurt e tirandoselo ancora più
vicino.
Nel
frattempo, fuori dalla palestra, Tony si girò verso gli altri.
«Progetto
Klaine terminato con successo,» informò gli altri. «E
ora, shawarma!»
NdA:
Allora,
non so cosa sia venuto fuori questa volta. Sapevo di poter affrontare il tema Heroes in 300 milioni di modi diversi, senza cadere in certe
americanate ma…jfidfgidghiadfgahi
scusate, io AMO The Avengers, i film della Marvel e
tutte queste cose, ma soprattutto AMO, ADORO, VENERO Robert Downey
jr. Vado addirittura alle premiere londinesi dei suoi film per vederlo, ed è l’attore che seguo da più tempo in
assoluto.
Perciò,
se unite questo, al prompt che ci è stato affidato e
ai centomila crossover su tumblr… beh, è venuto fuori
questo! =)
Ho
preso vagamente spunto da questo gifset in cui, appunto, Tony è il papà di Blaine. E da qui è nata questa storia che probabilmente non
sta né in cielo né in terra ma… dovevo scriverla *__*
Ovviamente
immagino sappiate chi sono i personaggi e i loro vari interpreti; in caso
contrario, chiedete pure! =)
Kurt si lasciò scappare un profondo sospiro
non appena il complesso del McKinley High School
entrò nel suo campo visivo: più giorni lo vedeva, meno era la voglia di
entrarci e spendere lì le sue giornate. Ed erano solo al secondo anno!
Il grigiore dell'inverno appena cominciato,
poi, non faceva altro che deprimerlo ancora di più, così che, parcheggiando la
macchina e scendendo con cautela, si chiese che cosa mai gli sarebbe potuto
succedere in una giornata che era appena cominciata nel peggiore dei modi.
Neanche qualche istante dopo, il ragazzo
dovette prender nota del fatto che il Karma sapesse sempre dove e quando
colpire. Si chiese se invece avesse ancora qualche problema con il
"chi", perché ultimamente – da più di un anno, a dirla tutta – pareva
essersi particolarmente affezionato a lui. Alzando lo sguardo ed incamminandosi
verso l'entrata, infatti, una delle prime persone che involontariamente aveva
incontrato con lo sguardo era stata Blaine Anderson
ed il cuore aveva improvvisamente fatto male.
Si fermò per un attimo, il tempo necessario
per riprendere fiato. Era un anno che lo vedeva in quello stato e la cosa
riusciva ancora a ferirlo come se fosse la prima volta. La parte migliore della
storia, poi, era che Blaine neanche sapeva di tutto
quello, dei suoi sguardi furtivi, del fatto che ci stesse ancora male. Lui
semplicemente se ne andava in giro col suo gruppo – e al fianco
dell'immancabile Quinn Fabray – sigaretta alla mano,
orecchino azzurro fosforescente che risaltava sul suo lobo, giubbotto di pelle
ed aria arrabbiata, senza degnare nessuno di uno sguardo se non per minacciare
o essere irrispettoso del prossimo.
Quello ormai era il gruppo degli skank della scuola e lui ne faceva parte.
Quando Kurt raggiunse l'armadietto, ormai i
corridoi erano quasi del tutto vuoti. Farsi vedere quanto meno possibile in
giro prima che suonasse la campanella restava una delle tattiche migliori per
evitare l'incontro con spiacevoli soggetti e c'erano giorni in cui era capace
anche di tornare a casa senza aver ricevuto alcuno spintone. Giorni fortunati.
Mentre cercava il libro di storia, il
ragazzo non poté fare a meno di gettare lo sguardo sulle foto che aveva appeso
da tempo nella parte interna dello sportello. C'era una foto che lo ritraeva
con Mercedes e Rachel, sue compagne al Glee Club
nonché migliori amiche, una con suo padre ed un'altra di qualche anno prima.
Quella era una delle sue foto preferite, di quelle fortuite che però catturano
istanti preziosi: suo padre l'aveva scattata senza che lo sapesse, mentre si
stava divertendo in giardino. Con Blaine.
Sorridevano, vittime di chissà quale gioco esilarante e Kurt ricordavadi essersi sentito, allora, spensierato e
felice come in altre poche occasioni.
Avrebbe fatto di tutto perché gli fosse
restituito il Blaine di quella foto, il Blaine con cui era cresciuto e che era stato suo amico –
almeno fino all'inizio delle superiori. Lì, poi, qualcosa era cambiato e quello
che davvero riusciva a farlo ancora stare male era il non aver mai saputo cosa
fosse successo. Da un giorno all'altro, durante l'estate, non si era fatto più
sentire e poi, una volta cominciata la scuola, se lo era trovato di fronte
completamente trasformato, dall'abbigliamento, ai capelli, al carattere. Non
gli aveva rivolto più la parola e i suoi tentativi di parlargli erano stati
ignorati o respinti in malo modo.
Fino a che non si era semplicemente arreso
all'evidenza. Era cambiato. Lo aveva perso. E il suo cervello, a dirla tutta,
non ci aveva messo chissà quanto ad abituarsi alla cosa: non doveva più
salutarlo, chiamarlo o rivolgergli la parola, sarebbe stato inutile anche
pensarlo o parlare di lui con qualcun altro. Una lista di divieti semplici da
rispettare.
E invece no, lui lo pensava, parlava di lui
e aveva provato a chiamarlo decine e decine di volte, salvo poi essere
puntualmente ignorato. Non aveva perso le speranza, perché se c'era una cosa
che aveva imparato era ad essere tenace: era ciò che lo aveva fatto diventare
uno dei ragazzi più intelligenti della scuola, quello a cui si chiedeva una
mano per passare il compito di matematica, per poi negare di aver avuto,
invece, una qualsiasi interazione su un qualsivoglia argomento.Lastessa tenacia che lo aveva portato ad impegnarsi per migliorare anche
nel Glee Club e che gli impediva di perdere
quell'ultima speranza, riguardo Blaine, facendogli
immaginare scenari in cui il ragazzo sarebbe andato da lui, a testa bassa e
cuore aperto, e gli avrebbe spiegato ogni cosa.
Che cosa stupida, si disse, mentre
si affrettava a raggiungere l'aula, Non succederà mai!
***
Sperare che la giornata passasse nel modo
più anonimo possibile era stato esagerato da parte di Kurt, ma quando aveva
chiuso l'armadietto per recarsi alla lezione di Francese, l'ultima della
giornata, si era davvero rilassato all'idea che stavolta il cambio di vestiti
non gli sarebbe servito. Grosso errore, perchè non
appena aveva svoltato l'angolo, il freddo appiccicoso di una granita ai
mirtilli – a giudicare dall'odore – gli si era insidiata tra i vestiti, fino
alla pelle, facendolo rabbrividire.
Addio lezione di Francese. Si era
immediatamente recato in bagno, una volta recuperato il cambio, ed ora era
impegnato ad aggiustarsi la camicia su cui un grazioso foulard si poggiava
morbidamente. Inutile dire che la parte più difficile sarebbe stata mettere a posto
i capelli, ora un completo disastro.
«Dannate granite e dannati giocatori di
football!», si lamentò, alzando la voce, mentre si passava un asciugamano in
testa dopo aversciacquato i capelli
alla bene e meglio: lì non aveva tutti i prodotti che gli servivano, ma se la
sarebbe dovuta cavare con la lacca di riserva che aveva sempre nell'armadietto.
Al resto avrebbe pensato una volta a casa.
«Ti abbiamo rovinato l'acconciatura,
fatina?».
Quella voce ebbe il potere di farlo
rabbrividire. Si voltò di scatto, l'asciugamano che gli scivolava sulle spalle,
per scorgere i tre energumeni – capitanati dall'immancabile David Karofsky – che erano appena entrati nel bagno.
«Non dovreste essere a lezione?», chiese,
ostentando la sfacciataggine che in momenti simili prevaleva in lui.
«E tu non dovresti usare il bagno delle
ragazze?», gli fece eco uno di quelli.
Kurt trovò il coraggio di sorridere della
pessima battuta.
«I bambini dell'asilo saprebbero offendere
con più creatività. Il vostro repertorio è davvero scarso, ragazzi».
Chiunque avrebbe potuto leggere una
scintilla inquietante di rabbia farsi strada nello sguardo dei tre giocatori di
football.
«Vediamose la penserai ugualmente anche del nostri colpi!», disse furioso Azimio, prima di scattare in avanti e spingere Kurt contro
le mattonelle del bagno. Lo zaino poggiato sul bordo del lavandino cadde a
terra, lasciando che quaderni ed appunti vari si sparpagliassero sul pavimento.
Kurt sentì appena uno dei due ragazzi più lontani sghignazzare un sarcastico
"ops", perché il colpo violento contro il
muro gli aveva fatto mancare il fiato e spalancare gli occhi per la pochissima
distanza che lo separava dal bullo –sentiva praticamente il suo fiato addosso.
«Sei il peggio del peggio! Non solo frocio,
ma anche un secchione sfigato! Per quale motivo dobbiamo essere costretti a
vederti ogni mattina qua dentro, eh?», gli gridò addosso, stingendogli così
forte un braccio che Kurt poteva avvertire la circolazione fermarsi all'altezza
del polso. La paura gli impedì di pensare logicamente, così che provò comunque
a sfuggire a quella stretta, masi
ritrovò in breve steso sul pavimento, con una spalla dolorante e gli occhiali
che premevano sul viso fino a fargli male, mentre le risate dei tre ragazzi che
lo colpivano dritto al petto, ferendolo quasi più del colpo.
Si era promesso che non avrebbe mai pianto
davanti a loro, ma in quel momento trovava estremamente difficile mantenere
quella parola.
«Non devi più farti vedere!», gridò il più
alto dei tre, Josh «Mi hai capito?! Non farti più
vedere» e si avvicinò in modo pericoloso.
Kurt arrancò indietro, col fiato corto e la
paura che governava ogni movimento, ma non riuscì ad evitare il calcio che lo
colpì in pieno stomaco. Gridò, stingendosi su se stesso, in un estremo
tentativo di difendersi da successivi colpi, che, però, non arrivarono.
Quando si concesse di aprire gli occhi,
alzando lo sguardo, vide i tre bulli rivolti verso l'entrata del bagno e, fermi
sulla soglia, un paio di ragazzi tra cui riconobbe Blaine.
Anche in un momento del genere la sua vista ebbe il potere di fargli saltare il
cuore in gola dall'emozione. Forse era salvo: ora Blaine
lo avrebbe aiutato, avrebbe detto a David e compagnia di sparire, avrebbe fatto
in modo che smettessero di picchiarlo, probabilmente adesso-
Quello che vide gli fece perdere le ultime
forze che aveva. Blaine osservò la scena per qualche
istante, poi si fece avanti, dandosi una sciacquata al viso e sistemandosi i
capelli, dopodiché senza dire nulla, sparì da dove era arrivato. Blaine lo aveva lasciato lì, da solo, senza fare nulla.
Ora Kurt aveva una voglia disperata di
piangere, mentre lo stomaco gli faceva davvero male e doveva aver sbattuto da
qualche parte anche la guancia, perché sentiva quella parte del viso in fiamme.
David lo degnò di un altro sguardo
derisorio, facendo volare nuovi insulti, poi anche loro lasciarono il bagno. Il
ragazzo non seppe fare altro che raggomitolarsi su se stesso e piangere.
***
Il cellulare di Mercedes vibrò mentre
lasciava l'aula dell'ultima ora e si dirigeva verso la mensa. La ragazza lo
estrasse e sorrise quando vide chi era il mittente. Quel gesto allegro, però,
si perse non appena lesse il contenuto del messaggio.
"Sono sul retro. Vieni subito, ti
prego."
Senza pensarci su due volte, cambiò strada e
in pochi minuti fu sulle scale antincendio che conducevano all'esterno. Le
scese quasi correndo fino a che, a pochi passi da esse, seduto per terra e col
volto nascosto nelle ginocchia, non scorse il suo amico.
«Kurt!», gridò, raggiungendolo «Che cosa è
successo?».
Quando il ragazzo alzò la testa verso di
lei, non ci fu bisogno di risposte o ulteriori domande. Mercedes sentì un
attimo girare la testa, ma riuscì a restare calma e si avvicinò con cautela,
prendendo un fazzoletto di stoffa dallo zaino e tamponando la scia di sangue
che sporcava la guancia sinistra di Kurt.
Il contatto lo fece fremere e il ragazzo
resistette a stento all'impulso di tirarsi indietro. Mercedes si accorse subito
che stava tremando e senza dire nulla, lo tirò a sè,
stringendolo tra le sue braccia. Kurt si lamentò appena, risentendo ancora
abbastanza dei colpi subiti, ma si lasciò stringere, perché al momento sentiva
che da solo sarebbe crollato.
«Se vuoi piangere, fallo: fa bene, tesoro»,
gli sussurrò lei, ma sentì Kurt scuotere la testa sulla sua spalla.
«No. Ho già pianto abbastanza», fece, trovando
infine la forza di staccasi dall'amica.
Mercedes gli sfiorò di nuovo la guancia.
«Devi parlarne con il preside: ora deve fare
qualcosa!», disse seria, ma lo vide scuotere ancora la testa.
«Non servirebbe a nulla: sarebbe la mia
parola contro la loro e al massimo prenderebbero un ammonizione. Se facessi la
spia sarebbe solo peggio. Oggi erano... particolarmente arrabbiati, suppongo».
«E sarà sempre peggio, Kurt!», insistette la
ragazza, ma le parole le morirono in gola quando lo vide scoppiare improvvisamente
a piangere «No, tesoro... non volevo peggiorare le cose, scusami», sussurrò,
tirandolo di nuovo più vicino a sé.
«Non s-sei stata t-tu», balbettòil ragazzo, appoggiando la propria testa
sulla spalla dell'amica «Oggi... mentre è successo... c'èra Blaine»,
confessò.
Mercedes gli lanciò uno sguardo sconvolto.
«É stato lui?», chiede.
«No, no. Ma era lì. È entrato in bagno
mentre io ero per terra... lui mi ha visto... e non ha fatto nulla», riprese a
singhiozzare.
«Tesoro... ma perché continui a farti male
così? Sappiamo che è cambiato, perché ci tieni ancora così tanto a lui?».
«Come potrebbe essere diversamente?», gridò
«É stato il mio migliore amico per così tanto tempo... e 'Cedes,
è con lui che ho capito di essere gay... ne sono innamorato, lo sai! Non
riuscirò mai ad accettare di averlo perso, non così. Ma vederlo completamente
indifferente... mi ha spezzato il cuore...».
La ragazza avrebbe voluto fare qualcosa per
alleviare quel dolore, ma non c'era nulla che potesse farlo stare meglio. Kurt
pensava a tutti i momenti vissuti con Blaine, a
quando gli era stato vicino dopo la morte di sua madre, aiutandolo a superare
quel brutto momento o quando al parco si erano dovuti difendere da un gruppo di
ragazzi più grandi che aveva preso ad infastidirli. Non c'era un momento,
allora, in cui non fossero insieme, spesso dormivano anche uno a casa
dell'altro... ed ora questo.Ora erano
arrivati al punto che non solo non si parlavano più, ma erano completamenteestranei uno per l'altro, non importava quale
fosse la situazione.
No, Kurt non riusciva ad accettare una cosa
del genere, il suo cuore non sarebbe mai stato pronto a lasciar andare Blaine, anche se al momento sanguinava proprio a causa sua.
***
Kurt si lasciò scappare un flebile lamento,
mentre si spalmava una pomata sui lividi che percorrevano il suo corpo,
inarcandosi quanto più possibile per raggiungere anche la pelle della schiena e
le scapole. Sentì lo scampanellio del campanello poco più in basso, ma non se
ne preoccupò: Burt era in cucina a fare compagnia a Carole mentre cucinava,
sarebbe andato lui ad aprire. I rumori di una conversazione arrivarono attutiti
dal piano di sotto, ma Kurt continuò a non farci caso, troppo intento a
esaminare il suo corpo pieno di lividi nello specchio del bagno.
Poi, dei colpi alla sua porta lo fecero
sobbalzare, riscuotendolo dai suoi tristi pensieri.
«Kurt, posso entrare? C’è…
una persona per te.»
Merda!
Non poteva permettere che suo padre lo
vedesse conciato in quel modo, così si affrettò a rimettersi la maglia a
maniche lunghe che prima aveva appoggiato sul letto. Quando fu certo di aver
coperto ogni segno giallo o violaceo che fosse, aprì la porta della sua stanza,
trovandosi di fronte l’espressione stupita e un po’ corrucciata di suo padre.
«Dimmi, chi vuole vedermi?»
«Blaine.»
Kurt sgranò gli occhi. Chi? Blaine? Quel Blaine
Anderson? Il suo migliore amico fin dall’età di otto anni, quel ragazzino con
cui aveva condiviso film Disney, corse al parco, cadute varie, abbracci
rassicuranti e primi, inaspettati, del tutto nuovi sentimenti? Lo stesso
ragazzo che faceva finta di non conoscerlo da ormai due anni, che non aveva mai
risposto alle sue telefonate, né alle sue domande, che non gli aveva mai dato
una spiegazione del suo comportamento?
Kurt sorpassò il padre fino ad avere una
chiara visuale della porta di casa sua, davanti alla quale stava Blaine, le mani in tasca e lo sguardo disinteressato che
vagava per la casa.
Sì, era proprio quel ragazzo.
Blaine alzò gli occhi,
fissandoli in quelli dell’altro ragazzo in cima alle scale, che quasi si sentì
mancare il fiato: era la prima volta che si guardavano negli occhi così a lungo
in due anni. Kurt non seppe spiegare perché disse quelle parole; quelle gli
uscirono dalle labbra, e non sembravano affatto sbagliate in quel momento.
«Sali.»
Burt si avvicinò alle spalle del figlio,
chinandosi su di lui con fare protettivo; sapeva quanto il cambiamento di quel
ragazzo avesse fatto male a Kurt e, fosse stato per lui, non gli avrebbe mai
permesso di avvicinarsi troppo. «Non voglio che salga in camera tua.»
Kurt, lasciando gli occhi di Blaine che si avvicinavano sempre di più dal momento che
stava salendo le scale, si voltò verso il padre, guardandolo con sguardo rassicurante.
«Papà, non succederà nulla. Ma ho bisogno di parlare da solo con lui.»
A Burt bastò un’occhiata veloce agli occhi
del figlio per farsi da parte, permettendo a Kurt e Blaine
di chiudersi in camera, da soli. Incrociò lo sguardo di Carole e Finn in fondo alle scale, e, seppur titubante e sbuffando
come un mantice, raggiunse la moglie e il figliastro, rientrando con loro in
cucina.
Rimasti soli in camera, Kurt continuava a
fissare Blaine in attesa che parlasse, ma questi non
sembrava averne alcuna intenzione; faceva vagare lo sguardo svogliato sui
poster di Kurt appesi alle pareti, sul suo letto, sulle fotografie appoggiate
alle mensole – e si riconobbe addirittura in alcune foto, un se stesso bambino,
così diverso dal ragazzo che era diventato. Blaine
distolse lo sguardo, infastidito.
«Perché sei qui?» proruppe Kurt con tono
flebile, aggiustandosi gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del
naso.
«Volevo sapere come stavi.»
La
voce di Blaine, un tempo dolce e calda, sembrava
completamente snaturata, così distaccata e fredda. Ma Kurt quasi non ci fece
caso, troppo sconvolto da ciò che aveva appena sentito: Blaine
era preoccupato per lui? Come poteva esserlo? Il pensiero, al contrario di
quello che si aspettava, gli fece soltanto ribollire il sangue nelle vene dalla
rabbia. Kurt provò a respirare profondamente, cercando di calmarsi e di non
urlare addosso al ragazzo che si trovava di fronte – non era proprio il tipo
che urlava spesso, anzi – ma anche solo guardarlo gli faceva montare ancora più
rabbia in corpo. Strinse i pugni, cercando di non lasciarsi andare alla rabbia,
ma senza riuscirci.
«Che cosa?» si trovò a sputar fuori. «Ti
preoccupi per me adesso? Dopo che hai
passato gli ultimi due anni a ignorarmi? Dopo che hai lasciato che Karofsky e i suoi amici mi facessero del male in quel
bagno?! Tu… chi ti credi di essere, Blaine Anderson?!»
Ormai stava urlando a pieni polmoni, il
respiro pesante, le sopracciglia aggrottate e gli occhi furenti fissi su Blaine, che strinse i pugni, pronto a difendersi.
«Non preoccuparti, la prossima volta non mi
interesserò più a te, Hummel,» sibilò, prima di
girarsi e fare per uscire dalla stanza.
Kurt, per la terza volta quella sera, si
ritrovò a fare cose che non aveva ordinato a se stesso di fare. Con un balzo in
avanti, afferrò Blaine per un polso, torcendoglielo
appena, e lo costrinse a voltarsi; Blaine, colto alla
sprovvista, si fece girare e sballottare appena dalla stretta di Kurt, ma poi
reagì, stringendo forte le dita di Kurt con l’altra mano libera e
allontanandolo da lui. Ma Kurt era più forte di quanto pensasse e, anche grazie
all’altezza, riuscì a tenerlo fermo.
Rimasero a fissarsi in cagnesco per un tempo
infinito, molto più vicini di quanto imponessero le buone maniere, ma nessuno
dei due sembrò farci caso.
«Lasciami andare!» ringhiò Blaine.
«No! Non prima che mi avrai detto perché ti
importa ancora di me, ma continui a evitarmi e trattarmi male. Non prima che tu
mi abbia spiegato che cosa io ti abbia mai fatto per meritarmi questo tuo
comportamento.»
Kurt lasciò andare il polso di Blaine, gli occhi che gli si inumidivano di lacrime.
«Non
prima che tu mi spieghi che cosa ti è successo, perché sei cambiato. Che fine
ha fatto il Blaine che conoscevo? Dov’è il mio
migliore amico?»
La sua mano scattò in alto, ancorandosi alla
guancia di Blaine, ruvida per il lieve accenno di
barba che cominciava a spuntargli ma calda esattamente come Kurt ricordava.
«Mi manchi,» deglutì, cercando di mandare
giù il singhiozzo che voleva scappargli dalle labbra.
I suoi occhi, velati di lacrime, si legarono
a quelli dorati e spenti di Blaine davanti a lui. Ma
poi, qualcosa sembrò cambiare all’improvviso, le iridi chiare di Blaine parvero farsi più calde, il dorato nei suoi occhi
sciogliersi; ma durò solo un attimo, perché quello successivo Blaine aveva fatto un passo indietro, allontanandosi dal
suo tocco e guardandolo con la stessa espressione disinteressata di sempre. I
suoi occhi erano di nuovo freddi e spenti.
«Affari tuoi.» Senza aggiungere un’altra
parola, Blaine si girò e se ne andò, sbattendo la
porta della stanza di Kurt alle sue spalle.
Kurt scoppiò in singhiozzi, accasciandosi a
terrae rannicchiandosi su se stesso,
senza far caso al dolore allo stomaco causato dal calcio di Karofsky;
il dolore più grande, era poco più su, in centro al suo petto dove ormai si
trovava una voragine.
***
Era passata ormai quasi una settimana da
quando Kurt aveva avuto quella lite con Blaine.
Quella sera, aveva passato tutto il tempo a piangere, rannicchiato per terra,
non permettendo a nessuno dei suoi familiari di entrare per consolarlo, o per
lo meno chiedergli cosa fosse successo; Kurt non voleva parlarne, nemmeno con
Rachel o Mercedes.
La sua amica aveva ragione: avrebbe dovuto
dimenticare Blaine. Era stato il suo migliore amico
per tanti anni, era stato l’unico a stargli vicino quando sua mamma era morta,
quando gli altri bambini lo prendevano in giro perché lui preferiva giocare con
le bambole anziché a calcio; era stato il primo ragazzo che Kurt avesse mai
guardato con occhi diversi, chiedendosi come mai gli piacevano di più le labbra
di Blaine invece che quelle della loro amichetta Brittany. Kurt amava trascorrere il suo tempo con Blaine, si sarebbe accontentato anche solo di guardarlo e a
volte provava il desiderio di spingersi in avanti e posare le labbra sulle sue,
così come aveva visto fare tante volte la sua mamma con il suo papà, anni
prima. Ma non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a Blaine,
troppo spaventato per la sua possibile reazione, spaventato che lui non gli
sarebbe più voluto essere amico.
Quando però si era deciso a rivelargli
tutto, quando aveva trovato il coraggio di dirgli che voleva provare a
baciarlo, Blaine non si era presentato al loro
incontro. Kurt lo aveva aspettato, chiamato, ma Blaine
non si era fatto sentire. Il primo giorno di scuola del liceo, quando lo aveva
rivisto, era rimasto turbato dal suo cambiamento e dalle crudeli parole con cui
era stato cacciato via da Blaine quando aveva provato
a salutarlo.
In realtà, Kurt lo stava ancora aspettando.
Era come se stesse ancora aspettando Blaine, seduto
sotto l’albero più alto del parco dove erano soliti andare a giocare. Ma ormai,
Kurt sapeva che Blaine non sarebbe mai più tornato.
Doveva toglierselo dalla testa.
Si trascinò nervosamente per i corridoi,
cercando di evitare il gruppo di giocatori di football che stavano
attraversando il corridoio, e si rifugiò appena in tempo nel bagno alla sua
destra. Sospirò di sollievo, avvicinandosi allo specchio e osservando la sua
espressione sollevata; almeno per questa volta, sembrava aver evitato uno
spintone o peggio.
Proprio in quel momento, la porta del bagno
sbatté pesantemente alle sue spalle, facendolo sobbalzare dallo spavento. Si
girò di scatto e fece appena in tempo a mettere a fuoco chi si trovava di
fronte, che venne spinto con forza contro il muro alla sua sinistra. Un lamento
gli uscì dalle labbra quando le sue scapole ancora un po’ contuse sbatterono
contro le piastrelle.
I suoi occhi si legarono a quelli di Blaine che stava semplicemente in silenzio davanti a lui,
un’espressione arrabbiata sul volto, gli occhi accesi di rabbia. Kurt tremò
leggermente sotto quello sguardo.
«C-che cosa vuoi?»
si trovò a tremare, mentre una lacrima gli scivolava lungo una guancia.
Perché faceva così male guardare Blaine negli occhi?
Blaine si allontanò di
scatto da lui, tirando un calcio a una delle porte dei cubicoli allasua sinistra.
«Smettila di piangere! Basta!» urlò,
guardando Kurt negli occhi. «Vuoi sapere perché mi sono allontanato da te? Vuoi
sapere perché sono cambiato, perché non sono più tuo amico, perché ti evito?
Per essere normale!»
Kurt sbatté le palpebre, cercando di
impedire alle sue lacrime di cadere, gli occhiali che gli scivolavano sul naso
ormai bagnato.
«Io –»
«Zitto! Non dire niente…
Tu non sai che cosa ho dovuto passare!» sibilò Blaine.
«Vuoi sapere la verità? Quella sera, quando dovevamo vederci per parlare, ero
euforico: volevo vederti, avevo sempre avuto voglia di vederti, ma questa volta
era diverso. Volevo vederti perché avevo delle cose importanti da dirti. Ero
confuso, stare con te mi rendeva confuso. E ho chiesto aiuto a mio padre. Gli
ho chiesto come mai, quando ero con te, passavo il tempo a desiderare di
prenderti per mano, a guardare le tue labbra, a cercare un modo qualsiasi per
farti ridere. Speravo che mio padre avesse le risposte, che mi avrebbe aiutato
a capire. Povero illuso.»
Kurt continuava a stare in silenzio,
sconvolto, tremante, il cuore che batteva all’impazzata e la voglia di correre
in avanti e stringere Blaine in un abbraccio.
«Non fu così. Non avvenne niente di tutto
quello che avevo sperato. Mio padre mi picchiò tantissimo quella sera. Tu eri
lì ad aspettarmi mentre io venivo preso a calci da mio padre.» Fece una pausa,
stringendo i pugni. «Mi disse che dovevo essere normale, che se non lo fossi
stato mi ci avrebbe costretto con la forza. Mi proibì di vederti. Passò
un’estate intera a circuirmi, a farmi il lavaggio del cervello. Incominciai a
credere alle sue parole… incominciai a desiderare di
essere normale.»
Blaine alzò gli occhi su
Kurt, facendo un passo verso di lui.
«Quell’estate ho incontrato Quinn. Lei era
così arrabbiata, così simile a me che iniziai a trascorrere tutto il mio tempo
con lei. Ero arrivato ad odiarti, Kurt. Era colpa tua se era successo tutto
quello, era colpa tua se non ero normale. È per questo che ti ho sempre
respinto in questi due anni. Ero così arrabbiato con te…»
Blaine ora era vicinissimo
a Kurt, che tremava come una foglia, ancora contro il muro.
«Ma l’altro giorno è cambiato tutto. Non so
cosa sia successo, vedere le sudice mani di Karofsky
su di te, ha fatto scattare qualcosa in me che… Non
sai quanto mi sia pentito di non averti difeso, Kurt.»
Kurt deglutì, rabbrividendo nel sentire
pronunciare il suo nome da quella voce, per la prima volta in due anni. I suoi
occhi si legarono a quelli di Blaine, e per la
seconda volta Kurt vide il dorato negli occhi di Blaine
sciogliersi e rimase senza fiato quando quegli occhi dorati si inumidirono di
lacrime.
«E’ che… io mi
sento così arrabbiato. Tutto questo,» e si indicò, «è una maschera. Una maschera
per sentirmi normale, per difendermi dagli altri, per difendermi da mio padre,
per difendermi da te. Ma non mi sento
normale. Per niente.»
La mano di Kurt tremava quando si staccò dal
muro per avvicinarsi alla guancia di Blaine. La tenne
sospesa in aria per un tempo quasi interminabile, dando a Blaine
il tempo di scostarsi se avesse voluto, ma il ragazzo non si mosse, anzi;
sbatté una volta le ciglia, le lacrime gli scivolarono lungo le guance, e i
suoi occhi sembrarono allargarsi ancora di più. Kurt quasi ci cadde dentro, e
spostò la mano fino a posarla sulla guancia calda di Blaine,
spazzando via le sue lacrime.
«Devi…» Kurt
sospirò, accarezzando la guancia di Blaine e
prendendosi nella morbidezza della sua pelle. «Devi essere te stesso per sentirti
normale…»
«Kurt…» disse
semplicemente Blaine, continuando a piangere davanti
agli occhi dell’altro ragazzo, che non resistette: afferrò Blaine
per le spalle e lo trascinò contro di sé, abbracciandolo stretto.
Kurt sospirò quando le braccia di Blaine si alzarono e lo strinsero di rimando intorno alla
vita; affondò il viso nel collo di Blaine, annusando
il suo profumo un po’ strano, diverso da quello di un tempo, ma allo stesso
tempo sempre uguale. Era Blaine. E Kurt non si era
sentito mai tanto al sicuro come in quel momento.
«Non è vero che ti odio. Non ti ho mai odiato…» sussurrò Blaine contro
la sua spalla.
«Lo so.» Kurt sperava di non avere la voce
troppo spezzata.
Blaine strusciò una
guancia contro quella di Kurt, indietreggiando sempre di più fino a trovarsi
con la fronte sulla sua. Kurt tenne gli occhi chiusi, il respiro caldo di Blaine che si infrangeva sulle sue labbra.
«Non ho mai smesso di desiderare di
baciarti.»
Kurt aprì gli occhi, appena in tempo per
vedere Blaine avvicinarsi quel tanto che bastava per
posare le labbra sulle sue, in un bacio tenero e dolce, affettuoso e casto.
Kurt rispose al bacio, muovendo le labbra su quelle di Blaine,
lo stomaco sotto i tacchi e il cuore in gola. Si staccarono presto, fin troppo
per i suoi gusti, ma valeva davvero la pena interrompere un bacio tanto
desiderato per vedere ciò che si trovava davanti agli occhi.
Blaine stava sorridendo. Nonostante i capelli
disordinati, l’orecchino, la matita nera agli occhi, assomigliava così tanto al
suo Blaine,
al suo migliore amico e forse qualcosa di più, al ragazzo che amava. Eppure,
l’avrebbe amato in ogni caso, Kurt lo sapeva.
Rimasero così per quelle che sembravano ore,
semplicemente a guardarsi. La campanella era suonata già da un po’, ma nessuno
dei due sembrava intenzionato a muoversi per andare in classe; quel giorno Blaine Anderson avrebbe avuto un’altra delle sue assenze
ingiustificate, mentre per Kurt Hummel sarebbe stata
la prima. Ma a nessuno dei due importava nulla. Si erano appena ritrovati, non
si sarebbero allontanati tanto facilmente.
NdA:
Ebbene
ce l’abbiamo fatta anche questa volta! Day 4: Skank/Nerd! Che ve ne pare? Questa è stata scritta insieme,
da entrambe e ne siamo davvero soddisfatte, considerato che è la nostra prima
esperienza con questo tipo di AU. Che ne ve pare? Ci voleva un po’ di angst dopo tutto il fluff/comico di precedenti shot, vi pare? (Alch ne sentiva
la mancanza LOL – anche Bel)
Ringraziamo
tutti quelli che fino ad ora hanno apprezzato la nostra raccolta *---*
Vi ricordiamo anche della nostra serie, KlaineSongs♥
«Sarà la centesima volta che lo ripeti, in tre giorni. Se anche non ne
fossi stato consapevole, direi che l'ho capito».
«E lo stai comunque facendo. Quindi sono autorizzata a ripetertelo».
«Non cambierò idea, ormai sono in gioco».
«Non finirà bene».
«Buona giornata anche a te, Rachel».
Kurt chiuse velocemente la conversazione e passò attraverso le porte
scorrevoli dello stabilimento, cercando di apparire quanto più serio e
professionale possibile, nonostante fosse il suo primo giorno ed il suo primo
incarico.
In cuor suo sperò che nessuna delle parole dette dalla sua migliore amica
fosse vera – insomma, non stava facendo davvero nulla di male, era un fotografo
che prendeva servizio per la Calvin Klein.
Gli girò la testa. Stava prendendo servizio alla Calvin Klein. Lui, Kurt
Hummel. Si fermò per prendere un bel respiro: forse, dopotutto Rachel aveva
ragione – stava facendo un passo enorme senza avere alcuna certezza. In fondo
lui non era un professionista e anche se aveva studiato fotografia,
probabilmente non era adatto per un simile lavoro, considerato che la vera
ragione per cui ci stava andando era che -
«Hummel, giusto? La stavamo aspettando, da questa parte!».
In un attimo, il giovane fotografo perse il filo dei suoi incasinati
pensieri e si trovò trascinato da una donna lungo un corridoio: ora non poteva
più tirarsi indietro.
«Primo giorno, giusto? Niente panico: fa' il tuo lavoro e nessuno ti dirà
nulla. Se ti hanno preso vuol dire che ci sai fare».
Quelle parole avrebbero dovuto incoraggiarlo? Kurt deglutì e tentò di
rimanere calmo: certo, se l'avevano preso doveva esserci un motivo, ma da qui
ad essere all'altezza della situazione ne passava di acqua sotto i ponti!
«Questi sono i camerini dei modelli, lì in fondo c'è un bagno comune, sulla
destra trovi l'ala delle stanze dei fotografi – la tua è la 10 –; da questa
parte, invece, ci solo le stanze dove lavorerai. Al momento devi andare nella
4, già sono al lavoro» e la donna ancora anonima raggiunse a grandi passi la
stanza suddetta per poi gettarvi dentro un Kurt spaurito e spaesato.
Il ragazzo si voltò per dar voce alla prima delle decine di domande che
aveva, ma la donna aveva già chiuso la porta davanti al suo naso. Sospirò
lentamente, chiudendo gli occhi e tentando di farsi coraggio; poi si voltò,
giusto in tempo per trovarsi almeno cinque paia di occhi che lo fissavano.
Quale inizio migliore avrebbe potuto avere? L'istintiva voglia di darsela a
gambe levate fu soppressa con chissà quale forza, mentre fece qualche passo
avanti, in silenzio.
«Tu sei quello nuovo, giusto?», chiese un uomo bruno, con una cartellina in
mano.
«Kurt Hummel, signore», confermò il ragazzo, tendendogli la mano; questo la
strinse brevemente.
«Per ora resta a guardare come si fa, più tardi proverai degli scatti».
Kurt annuì col cuore in gola, mentre uno dei tre fotografi presenti nella
stanza riprese a scattare, dando indicazioni per pose diverse. Alzò lo sguardo
verso il modello e rimase qualche istante fermo ad ammirarlo: i capelli biondi
e corti, un viso pulito ma formato e degli occhi chiari che proprio in quel
momento trovarono i suoi. Era davvero bello.
Ci mise qualche istante di troppo a distogliere lo sguardo, così che
l'altro ragazzo sorrise appena e gli si avvicinò.
«Sono Sam», si presentò, fermando arbitrariamente il servizio fotografico
«E tu sembri parecchio... spaesato».
Kurt gli strinse la mano arrossendo appena. Avrebbe dovuto rispondere? E
per dire cosa?
«Io... sì, ma ci metto poco ad abituarmi», riuscì a rispondere sicuro.
Il modello sorrise, battendo una mano sulla sua spalla e tornando
velocemente davanti all'obiettivo, di nuovo calato nella parte. Kurt si sentì
immediatamente più rilassato, come se quel semplice gesto avesse rotto il
fatidico ghiaccio e adesso fosse già parte del gruppo.
«Sam sa sempre come mettere le persone a proprio agio», gli sussurrò una
ragazza e lui si trovò di nuovo a sorridere, d'accordo.
Forse dopotutto non sarebbe andata così male...
«Per oggi abbiamo finito, Evans», fece il fotografo professionalmente, per
poi rivolgersi al nuovo arrivato «Ti occupi tu del prossimo photoshoot,
d'accordo? Così vediamo di che pasta sei fatto!».
Kurt annuì, deciso, ma non poté fare a meno di notare una nota discordante
negli occhi del biondo – avrebbe voluto chiedergli per cosa fosse quando un
altro ragazzo entrò nella stanza, attirando l'attenzione di tutti. Hummel non
fu da meno e anzi, appena si rese conto di chi fosse, il cuore gli saltò in
gola.
«Kurt Hummel, ti presento Blaine Anderson», fece l'uomo avvicinando il
nuovo arrivato al modello.
«Piacere», sussurrò questi, ma Blaine non lo degnò di uno sguardo, puntando
invece i suoi occhi sull'altro.
«Spiegami perché devo lavorare con lui, Alex!», sbottò scocciato.
«Perché ora lui fa parte del nostro gruppo di fotografi», rispose secco
l'uomo, facendo poi un cenno di capo in direzione delle luci.
Blaine sbuffò e vi si avviò lentamente: certo, ora quel ragazzino faceva
parte della troupe, ma non capiva perché a fare da cavia doveva essere proprio
lui! Avevano Sam lì, che ci sapeva fare con i nuovi arrivati e invece spettava
a lui fargli da babysitter.
Si mise in posizione, aspettando irritato che l'altro fosse pronto e poi
prese in mano la situazione, senza dare tempo al ragazzo di indicargli come
muoversi, ma spostandosi da sé in pose ogni volta diverse. Kurt dal canto suo
scattava, senza sapere se intervenire o meno, fino a che non ne ebbe
abbastanza. Abbassò l'obiettivo e lo stette a guardare.
«Sono tutte... ottime pose, Blaine, ma-»
«Anderson».
Davvero? Gli stava davvero dicendo che doveva chiamarlo per cognome? Alzò
per un attimo lo sguardo e tornò a parlare.
«Anderson, ma sei freddo e senza voglia. Capisco di essere nuovo e
che la cosa ti secchi, ma qua si tratta di professionalità», disse serio –
certo, non era un fotografo esperto, ma quello pareva essere un affronto
personale e non l'avrebbe tollerato oltre.
Il modello non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito: il
novellino gli stava dando delle lezioni su come posare? Era inconcepibile!
«Stammi a sentire, fino a prova contraria quello nuovo qua dentro sei tu e
nessuno ti ha autorizzato a dare lezioni a chi c'è già da tempo!», esclamò
risentito.
Kurt sorrise.
«Ecco, questo andava già meglio! Furioso, certo, ma almeno sei vivo! Credo
che se gli stilisti cercassero solo dei manichini su cui poggiare le loro
creazioni, non prenderebbero delle persone vive, ti pare? Non porti solo
l'abito, sei parte di esso. Una grande parte!».
Blaine rimase spiazzato. Per un attimo trattenne il fiato, colpito da
quelle parole. Kurt poté vedere l'ambra dei suoi occhi sciogliersi e seppe di
aver fatto centro. Era come immaginava, era sempre stato come immaginava.
«Prova... prova a camminare verso di me serio. Fai qualche passo – diciamo
cinque – poi voltati verso Sam e sorridi. Non è difficile».
Il modello non trovò modo di ribattere, ancora spiazzato dalle parole del
nuovo fotografo, ma fece qualche passo indietro ed eseguì i movimenti che gli
erano stati detti.
«Sorridi Blaine, sorridi! Pensa di aver visto un vecchio amico, qualcuno di
speciale e sorridigli come se fosse la cosa migliore al momento», lo incoraggiò
Kurt e l'altro ci provò con tutto se stesso. Ripensò alla Dalton, la vecchia
scuola dove aveva frequentato le superiori, ripensò ai Warblers, a Wes che era
stato il suo migliore amico e sorrise. Di un sorriso che nessuno lì aveva mai
visto, che apparteneva ad un Blaine che non si era fatto vedere da tanto tempo.
«Bellissimo...», si lasciò scappare Kurt mentre scattava. Perché a pensarci
era nato tutto con quel sorriso...
Il resto dei presenti era rimasto positivamente sorpreso dal modo in cui
Kurt aveva tirato fuori una parte di Blaine che nessuno aveva mai visto: non
era il primo a fargli notare che mancava passione e vitalità nei suoi scatti,
ma molti avevano fatto in modo che compensasse quel calore con una freddezza
che stupiva quasi in egual modo. Fino ad ora non si erano accorti di quanta
differenza facesse invece sul viso di Blaine.
«Sai... Io credo che per essere convincenti, ad una sfilata, bisogna
mostrare tutto se stesso. È come mettersi a nudo di fronte a chi osserva, ma
senza alcuna confessione verbale. Bastano gli occhi ed il viso. Il vestito che
porti addosso è solo parte del lavoro che devi fare... il resto lo fa il corpo
che lo indossa...».
Kurt non sapeva perché aveva detto quelle cose: le sentiva come vere. Alle
volte aveva visto modelle che davvero mostravano tutto di sé con un semplice
sguardo e avrebbe davvero voluto che anche Blaine provasse a farlo.
Dal canto suo il modello lo fissò per qualche istante interminabile per poi
andare via con una certa fretta, come se stesse scappando. Il fotografo lo
guardò preoccupato: probabilmente aveva esagerato e forse Anderson si era
offeso per le sue parole da “grande filosofo”?Ma per il sorriso che aveva regalato alla macchina fotografica, ne ara
valsa la pena.
«Ben fatto, ragazzo», si sentì dire da Alex «Non era mai successo che
qualcuno riuscisse ad entrare così in contatto con Blaine».
«Pensa che se la sia presa?».
«Staremo a vedere. Sam, accompagnalo a fare una passeggiata, per stamattina
abbiamo finito».
Il biondo lanciò un sorriso a Kurt, facendogli strada fino a che non
uscirono dal palazzo.
«Caffè?», chiede cortese, ma l'altro scosse la testa.
«No, grazie. Ci sono andato... pesante, con Blaine intendo?».
Sam si accigliò un po', fermandosi e appoggiando la schiena contro il muro.
«Non è un tipo molto aperto. Non da quando lo conosco. Con me capita che si
confidi, ma credo di essere un'eccezione. Ha... ha avuto dei problemi con i
suoi genitori, credo. Sta di fatto che ha imparato a stare da solo e ci si
trova bene – o così dice».
«L'avevo immaginato...».
«Ma tu lo hai smosso, accidenti! Ne sono davvero impressionato! Da quanto lavori
in questo campo?».
Kurt arrossì. Per qualche istante entrò in panico.
«É il primo incarico. Il primo... primo», cercò di dire rimanendo calmo.
«Beh, complimenti! Hai occhio!» e gli diede una nuova pacca sulla spalla,
facendolo ridere.
«Spero che Blaine la pensi allo stesso modo. Per ora è certo che mi odia».
Sam sorrise, enigmatico e poi lo invitò a continuare quella passeggiata.
***
Checché ne dicesse Sam, dopo una settimana Kurt era ormai certo che Blaine
– Anderson, come ancora voleva che lo chiamasse – lo odiasse. Da quel giorno
aveva fatto in modo che non capitasse mai con lui e se succedeva, evitava di
rivolgergli la parola e dava l'impressione di non vedere l'ora di andare via.
Kurt aveva provato a parlargli, fosse anche chiedergli scusa, ma non aveva
ottenuto altro che rifiuti atoni, tanto che era arrivato al punto di desiderare
anche che lo prendesse a pugni piuttosto che gli riservasse quel comportamento
indifferente.
Quello che non sapeva era che per Blaine lui era tutt'altro che indifferente.
Il modello non aveva smesso di pensarlo da quando si erano parlati, perché lui
era stato il primo dopo tanto tempo che lo avesse smosso: si era creato
un'immagine, da quando lavorava lì, e a Kurt era bastato un attimo e poche
parole per farla crollare. Lo aveva fatto sorridere e aveva riportato alla
mente ricordi che credeva di aver perso.
E aveva fatto male ricordare, ma lo aveva fatto sentire improvvisamente
vivo. Lui, che aveva bandito gli affetti ed il calore umano dalla sua vita, ora
si sentiva improvvisamente fragile ed umano. Per questo tentava di tenersi
quanto più lontano possibile da lui, per paura che accadesse di nuovo, perché
non sapeva se fosse un bene...
Quella sera, mentre stava per andare via, si trovò a passare davanti il
camerino di Kurt e la vista del suo nome sulla porta gli riportò alla mente le
sue parole. Non seppe bene per quale motivo, ma si scoprì – dopo giorni che lo
evitava – a bussare alla sua porta.
«…Hummel?», chiamò, ma nessuno lo rispose «Hummel, sei dentro? Posso entrare?».
Quando gli rispose di nuovo solo il silenzio, il modello si decise ad
entrare. La stanza era vuota e – notò, dopo aver acceso la luce – anche molto
ordinata. Blaine girovagò prestando attenzione alle varie cose con cui l’aveva
arredata: un paio di soprammobili, dei fermacarte colorati con delle foto si sé
e – immaginò – la famiglia,ed altri
piccoli oggetti che rendevano l’ambiente particolare ed allegro. Pensandoci,
non si sarebbe aspettato nient’altro da un ragazzo come Kurt.
Stava per lasciare la stanza, facendo finta che non ci fosse mai entrato,
quando da un cassetto mezzo aperto, scorse una cartellina di carta, con sopra
scritta una sola lettera. B. Non dovette pensarci per più di qualche istante,
prima di decidersi ad aprirla, in barba a tutti i diritti sulla privacy.
Non appena ne vide il contenuto, desiderò non essere mai entrato in quella
stanza. Erano foto, una decina di foto che lo ritraevano – foto rubate, in
momenti in cui lui non si era accorto di avere un obiettivo puntato addosso, ma
soprattutto foto vecchie di almeno un mese, o forse anche due. Foto di prima
che Kurt cominciasse a lavorare con la Calvin Klein.
Blaine rimase fermo sul posto, le mani che stringevano le foto più per
bisogno di tenersi stretto a qualcosa che per altro. La testa girò lievemente,
mentre tentò di realizzare quello che stava succedendo. Kurt aveva delle sue
foto, foto che aveva scattato da solo e di cui lui non s’era accorto. Cos’era,
uno stalker? Per quale maledetto motivo aveva quelle
foto, perché era venuto a lavorare con loro, perché aveva detto proprio a lui
quelle parole?!
Le domande lo schiacciavano e gli parve di non poter più respirare.
Tremava, tremava di rabbia e –non lo avrebbe mai ammesso a se stesso – di
dolore. Nonostante tutto, nonostante lo evitasse e tentasse di dimenticarlo,
quella situazione faceva male.
«Anderson! Che cosa ci fai qui?».
La voce del fotografo lo fece sussultare e voltare di scatto, con ancora le
foto in mano. Fu la prima cosa che notò Kurt e capì immediatamente che stava
per succede un disastro.
«Ascolta… io posso spiegarti…».
«Non c’è nulla che tu possa
spiegare! Chi diavolo sei?! Perché sei qui, perché hai delle mie foto? Mi stai
spiando? Chi cazzo sei per fare una cosa del genere?».
«No, no! Ti sbagli! Non ti stavo spiando, non stavo facendo nulla del
genere… so che può sembrarlo, ma davvero, non è
così!» e Kurt avrebbe voluto fare un’uscita migliore di quella battuta da film
romantico di seconda classe, ma Blaine non gli diede tempo di dire nient’altro.
«Prendi la tua roba e sparisci! Se domani ti trovo di nuovo a lavoro, giuro
che ti denuncio! Non voglio vederti mai più!», gridò, lanciando via le foto e
lasciando la stanza.
A nulla valsero le grida di Kurt di tornare indietro: il modello corse via,
sotto la pioggia che cadeva e nascondeva vergognose lacrime.Perché nonostante tutto, lui aveva creduto
che Kurt fosse diverso, che quelle parole fossero sincere, che avesse capito di
lui qualcosa che gli altri non immaginavano neanche e che Sam aveva solo
intravisto.
Si era illuso che Kurt fosse diverso, invece era come tutti gli altri –
aveva scopiazzato quelle frasi ad affetto chissà da dove solo per far colpo su
di lui… ma in realtà neanche a lui fregava nulla.
***
Quella notte, Blaine non aveva dormito affatto e questo sarebbe davvero
stato un problema per il servizio fotografico che avrebbe dovuto fare nel
pomeriggio. Avrebbe tanto voluto annullare l’impegno e stendersi da qualche
parte, recuperare l’equilibrio che al momento definire precario sarebbe stato
dire poco.
Sperava almeno di non dover rivedere più Kur-
Hummel. Sì, era solo Hummel, uno sconosciuto che aveva tentato di ferirlo. Ma
non ci era riuscito, era ancora in piedi e sarebbe andato avanti come aveva
fatto fino ad ora.
Il modello entrò nel suo camerino in modo svogliato, ma non poté fare a
meno di non notare qualcosa di colorato a terra. Quando si abbasso per
prenderla, si accorse che era una delle sue foto… una di quelle foto? L’impulso di gettarla nel cassonetto fu forte, ma
prima che lo facesse, si accorse che il resto era scritto. Una calligrafia
sottile ed elegante riempiva tre quarti dello spazio.
Era firmata da Kurt.
“Sei andato via e non ho avuto il tempo di spiegarti come
stanno le cose… ma ci tengo davvero a farti sapere il perché di quelle foto.
Non dovrebbe importarmi, dopotutto, ma è così. Sono davvero un fotografo e
questo è era davvero il mio primo incarico
importante. Non ti ho mentito. Mai. Ma non sono stato sincero con te – e tu non
me ne hai dato occasione.
Vedi questa foto? È la prima che ti ho scattato. Non
l’avevo neanche fatto di proposito. C’era una sfilata ed ero andato a guardarla
con un paio di amici, senza alcun impegno. Ho cominciato a scattare foto
casuali al paesaggio e alla folla… e poi sei capitato tu. Non me ne sono
neanche accorto fino a che non le ho scaricare sul pc.
Guardati. È questo che intendevo il nostro primo giorno.
Non so che cosa ti avesse detto Sam – ora so che è Sam quello accanto a te – ma
hai un viso così rilassato ed un sorriso così bello che sono rimasto senza
fiato. Per non parlare dei tuoi occhi…
Mi sono informato – sì, ho fatto delle ricerche su di te
per sapere chi eri, puoi biasimarmi per questo. E quando ti ho visto… non lo
so, non ho idea del perché, ma dovevo conoscerti. Forse per la differenza così
abissale che vedevo nelle tue foto di lavoro rispetto alla mia, forse perché
sono completamente impazzito… Non lo so.
Volevo vederti e conoscerti, capire perché spegnevi e
nascondevi una parte di te quando posavi e mi sono lasciato trascinare dalla
cosa: sono stato alle tue sfilate , ho provato invano a catturare di nuovo
quello che avevo visto la prima volta. Alla fine ho deciso di farmi assumere.
Rachel mi aveva detto che sarebbe andata male, ma non le ho dato ascolto. Ci ho
messo mesi, ma sono entrato.
Guarda quella
foto, Blaine. Puoi biasimarmi per quello che ho fatto? Sei bellissimo: quando
sorridi in modo affettuoso i tuoi occhi si sciolgono e diventano lucidi ed il
tuo sorriso è meraviglioso. Volevo semplicemente che non ti privassi di quel
sorriso… io… mi spiace, mi spiace di tutto Blaine.
Davvero. Vorrei solo dirti
Kurt Hummel.
Blaine aveva gli occhi lucidi, mentre tornava a
guardare la foto su cui era scritta quella lettera. Sì, ricordava perfettamente
quella serata, circa tre mesi prima. Stava parlando con Sam, gli stava
raccontando di uno scherzo che Nick e Jeff – due suoi vecchi compagni di scuola
– avevano fatto al resto dei Warblers – il suo Glee Club. Era stata una delle
rare volte in cui guardare al passato non aveva fatto male.
Improvvisamente, seppe che cosa fare. Aveva
sbagliato ogni cosa! Aveva giudicato senza lasciar spiegare, aveva condannato
senza concedere difesa. Ma forse era ancora in tempo. Scattò dal suo camerino
fino alla reception.
«Julie, Hummel stamattina è venuto?»,chiese col fiatone.
La ragazza lo guardò stranita.
«È uscito meno di un minuto fa. Ha dato le
dimissioni. Sembrava… triste».
Blaine non le diede tempo di dire altro e scattò
fuori, bloccandosi però quasi subito perché non sapeva se Kurt avesse svoltato
a destra o a sinistra. Era più di una settimana che staccavano tutti insieme e
non sapeva in che modo era solito raggiungere questo posto. Cercando di fare
mente locale ricordò che a più o meno mezzo chilometro di distanza doveva
esserci una delle entrate della metropolitana. Poteva essere quella la sua
meta.
Senza esserne del tutto sicuro, prese a correre
verso sinistra, badando appena alle persone che urtava nella corsa, intento
solo a cercarlo tra la perenne folla di quelle strade.
Quando lo vide, accanto ad altri, che aspettava
che il semaforo dei pedoni diventasse verde, quasi non gli parve vero.
«Hummel!», gridò, ma nella confusione – o almeno
sperava che fosse per quello – l’altro non lo sentì.
«Hummel!» disse di nuovo, stavolta quando gli fu
alle spalle e l’altro finalmente si voltò, rimanendo stupito, probabilmente,
dal fatto che fosse lì davanti a lui.
«Sei venuto a concludere la sfuriata di ieri,
Anderson?», gli chiese, recuperando la freddezza che lo stupore gli aveva fatto
perdere.
Il modello restò a guardarlo per qualche
istante, poi scosse la testa.
«Non avrei dovuto giudicarti… io… sembrava tutto
così chiaro…».
«Non sempre le cose evidenti sono quelle
esatte».
Kurt continuava a trattarlo con freddezza e
Blaine non sapeva per quanto avrebbe retto quella situazione.
«Ti sto dicendo che mi dispiace, accidenti! Tu
cosa avresti pensato al mio posto?».
Stavolta fu Kurt a restare qualche istante senza
parole.
«Ti avrei lasciato quanto meno spiegare il
perché!»
«E per questo ti sto chiedendo scusa! Ascolta…
non è facile per me… fidarmi. Preferisco essere solo piuttosto che perdere le
persone a cui mi lego o essere tradito da esse… quindi non puoi biasimarmi per
la scenata che ho fatto. Ma mi spiace, perché ho esagerato e perché in fondo… hai
ragione tu: non sorrido spesso, ma c’è un motivo se – Attento!».
Blaine non finì il discorso perché un pullman
passò velocemente davanti a loro, schizzando l’acqua della pozzanghera che si
era formata ai bordi del marciapiede. Il modello ebbe i riflessi abbastanza
rapidi da prendere l’altro per le spalle e farlo spostare, in modo da rivolgere
le proprie spalle all’acqua e non far bagnare Kurt.
Il fotografo non capì molto fino a che non si
vide il modello bagnato dalla testa ai piedi, mentre lui era perfettamente
asciutto. Ma quello che più lo lasciò interdetto fu il meraviglioso sorriso che
ora stava illuminando il volto di Blaine.
«Fino ad ora sei stato la prima persona – a
parte Sam – che ha provato a capirmi un po’ di più e ti devo un grazie per
questo. Davvero Kurt. Ci sono così tante cose nel mio passato che mi hanno
ferito – i miei genitori, innanzitutto – che è difficile per me avere ancora
qualcosa per cui valga la pena sorridere. Ma quando mi hai detto di farlo, il
primo giorno… mi sono trovato a pensare alla stessa cosa che mi aveva fatto
sorridere nella tua prima foto, ai miei vecchi amici… non lo facevo da così
tanto che li avevo dimenticati. Grazie».
«P-prego. Immagino fosse questo il mio scopo…
insomma, dirti di sorridere un po’ di più. Amo il tuo sorriso».
Una risata scappò dalle labbra di Blaine, mentre
il colorito di Kurt diventava rosso per l’improvvisa confessione.
«Suppongo che siamo partiti col piede sbagliato…
Che ne dici di ricominciare da capo?», chiese, porgendogli poi la mano.
Il fotografo piegò appena la testa curioso, con
un mezzo sorrisetto che saliva spontaneo sulle sue labbra.
«Scusami, ciao. Posso chiederti un’informazione:
sono nuovo qui…»
«Mi chiamo Blaine»
«Kurt. Sai dove posso trovare la sede della
Calvin Klein? Avrei delle dimissioni da ritirare…».
«Ti accompagno con piacere. Anche perché dovrei
cambiarmi», scherzò Blaine.
Poi, senza che l’altro se l’aspettasse, lo prese
per mano e cominciarono a ripercorrere i propri passi. Insieme.
___________________________________________
Wow!
Rieccoci ancora una volta!
Stavolta
è Alch che vi parla, e vi posso garantire che questo prompt (Photographer/Model) mi ha
davvero messa in difficoltà… sono stata a pensarci su tutta la notte e
stamattina è finalmente giunta una sottospecie di idea che lentamente si è
sviluppata. Spero non sia così male e che possiate apprezzarla… Di mio, ho
messo tutto quello che potevo :D
Blaine si mosse nel letto, spostandosi verso destra ed occupandone tutto lo
spazio. Sentiva che qualcosa non andava, ma il sonno lo privava della voglia di
concentrarsi per capire che cosa fosse.
Quando si rese conto che quel pensiero non riusciva a fargli riprendere
sonno, aprì pigramente un occhio nel buio della stanza. Doveva essere notte
fonda a giudicare al fatto che non distingueva nulla ad un palmo dal suo naso e
non gli ci vollero più di pochi istanti per capire che lì mancava l'essenziale.
Kurt.
Si erano addormentati insieme nel proprio letto, guardando la televisione,
ma adesso non era accanto a lui. Cercando di non fare rumore, il Warbler si
spostò dall'altro lato, cercando di vedere se era tornato nel suo letto.
Neanche lì c'era.
Si mise a sedere, ormai definitivamente sveglio ed accese la luce
dell'abatjour: Kurt non solo non era nel suo letto, ma non era nella stanza – a
meno che non fosse in bagno con la luce spenta. La sveglia segnava le 3:54e Blaine non aveva idea di cosa fare: dov'era
finito il suo ragazzo?
Sussultò a quel pensiero. Sì, perché Kurt era il suo ragazzo, da ormai...
19 giorni – no non stava affatto portando il conto –, ma pensare o pronunciare
quella parola faceva ancora lo stesso effetto del primo. Sorrise
inevitabilmente e scese dal letto per avviarsi in corridoio: forse si era
svegliato e, non riuscendo a dormire, stava passeggiando...
Cercando di non fare rumore, chiuse dietro di sé la porta e si avviò a
piedi scalzi, rabbrividendo appena per il freddo del marmo ancora fastidioso
nonostante fossero a marzo inoltrato. Non ebbe fatto che pochi passi, però,
quando sulla destra, in corrispondenza del balcone che si affacciava
sull'entrata della scuola, vide una figura in controluce.
«Kurt...», chiamò leggero, una volta che fu uscito «Hey...».
Il ragazzo si voltò lentamente, il classico chiarore della sua pelle illuminato
dalla luce della notte.
«Blaine», sussurrò sorpreso «Mi spiace, non volevo svegliarti».
Il riccio non riuscì a trattenersi dall'abbracciarlo e si sorprese un po',
quando l'altro si aggrappò a lui con trasporto.
«Perché sei qui fuori? Non riesci a dormire?», gli chiese con tono amorevole
e sentì il suo ragazzo scuotere la testa sulla sua spalla.
«Posso fare qualcosa?», chiese ancora, ma ottenne un nuovo gesto di diniego.
«Sono solo un po' malinconico, scusami», sussurrò Kurt dopo averci pensato
per un po' «Non voglio rattristare anche te».
«Non mi rattristi. Se vuoi parlarmene sono qua, lo sai».
Stavolta il ragazzo annuì lievemente, guardando Blaine negli occhi e
sorridendo appena: era la cosa migliore del mondo, il suo migliore amico ed il
suo ragazzo. Alle volte gli sembrava di non aver bisogno di altro per stare
bene.
«Torniamo in camera?», suggerì prendendogli la mano e l'altro si lasciò
guidare senza chiedere più nulla.
***
Quando la mattina dopo, Blaine si svegliò, Kurt stava appena uscendo dal
bagno, con addosso già i pantaloni della divisa e la canottiera.
«Buongiorno», lo salutò con un veloce bacio a fior di labbra, per poi
afferrare la camicia e finire di vestirsi.
«Buongiorno», biascicò in risposta l'altro, alzandosi a fatica dal letto –
come ogni mattina «Sei riuscito a dormire poi, stanotte?».
Kurt smise di aggiustarsi il colletto della camicia e restò fermo per
qualche istante, per poi voltarsi con un leggero sorriso.
«Sì, sì. Tranquillamente. Grazie», ma c'era qualcosa sul suo viso, nei suoi
occhi che non convinse del tutto Blaine, che tuttavia non replicò e si diresse
in bagno.
Venti minuti dopo, erano scesi e si erano appena seduti in aula, in attesa
che la lezione di letteratura cominciasse. Blaine non aveva staccato gli occhi
dal suo ragazzo, cercando di coinvolgerlo in una qualsiasi delle conversazioni
che gli erano venute in mente – da quella classica sul tempo, al prossimo
musical che avrebbero visto insieme – ma Kurt non era stato affatto partecipe,
liquidandolo, senza pensarci su due volte, con monosillabi ed espressioni
distratte, fino che non si era seduto davanti a lui, nella fila accanto alla
finestra.
Il riccio non sapeva che cosa stesse succedendo e soprattutto perché il suo
ragazzo non gliene stesse parlando, ma anzi gli avesse mentito dicendo che era
tutto a posto quando invece era evidente il contrario.
Si sentiva impotente e la cosa non gli piaceva affatto.
A neanche dieci minuti dall'inizio della lezione, il cellulare nella tasca
di Blaine vibrò, attirando la sua attenzione. Era un messaggio da Jeff. Il
ragazzo si voltò verso il mittente, pochi banchi dietro il suo, ma il biondo
gli fece segno di leggere quello che gli aveva scritto.
"Che cosa gli hai fatto?"
Blaine alzò di nuovo la testa verso l'amico, se possibile capendoci ancora
meno, ma Jeff indicò rapidamente Kurt e poi puntò di nuovo lo sguardo su di
lui.
Oh. Ecco che intendeva. Il riccio rimase un attimo contrariato dal fatto
che il biondo avesse dato per scontato che fosse colpa sua e digitò velocemente
una risposta.
"Perché credi sia colpa mia? Non ho fatto nulla! È da stanotte che è
triste, ma continua a dirmi che va tutto bene".
Non passarono che pochi istanti prima del nuovo messaggio.
"Perché sei il suo ragazzo, ecco perché. Comunque, riunione speciale
dei Warblers subito dopo pranzo. Dirò agli altri di preparare qualcosa di
allegro".
Il cipiglio preoccupato del riccio era segno che non sapeva se fosse la
cosa migliore da fare, ma lo sguardo eccitato di Jeff lo convinse che magari
gli avrebbe fatto bene.
"Bene. Ma non esagerate".
***
«Te l'ho detto, Blaine: preferisco restare qua e studiare. Anche perché più
tardi devo fare un saltoa casa e non
posso perdere tempo».
Il riccio sospirò: era da più di venti minuti che provava a convincere Kurt
ad andare con lui nella sala dei Warblers – dove ormai erano pronti per una
divertente esibizione che avrebbe sicuramente tirato su di morale il ragazzo –
ma lui non voleva saperne di collaborare.
«Non perderai più di mezz'ora, dai! Aspettano solo noi!», continuò ad
insistere.
Kurt sbuffò.
«Cosa non ti è chiaro di "non ho tempo", Blaine? Lasciami in
pace!», si trovò a gridare, pentendosene subito.
«Vorrei solo capire che cosa succede! Sei così assente oggi... triste. Sai
che puoi parlare con me di tutto, vero? Sono il tuo ragazzo, ma non smetto di
essere il tuo migliore amico».
«Lo so...», il sospiro lento di Kurt fece male più di quanto credesse, «Ma
per favore, lasciamo semplicemente stare», lo pregò di nuovo, ma stavolta uscì
dalla stanza, lasciandolo lì, senza sapere cosa fare.
Blaine sospirò, sconfortato, e si adagiò sul letto, mandando un messaggio
ai suoi amici per annullare la riunione. Si sentiva così inutile e frustrato,
così lontano da Kurt in quel momento che avrebbe preso a pugni ogni cosa. Una
lacrima scappò dalle sue ciglia, ma la scacciò con impeto: non si sarebbe
arreso. Avrebbe insistito, sarebbe stato accanto al suo ragazzo, a costo di
farsi mandare a quel paese.
E sapeva dove trovarlo.
«Sai, capisco perché ti piace questo balcone. C'è una bella vista da qui».
Kurt sospirò con un tremulo sorriso sulle labbra. Era certo che Blaine non
si sarebbe arreso e a dirla tutta ci sperava.
«Mi dispiace», sussurrò «Mi spiace di averti cacciato così... io-», ma non
ebbe forza di dire altro, perché Blaine lo stava già stringendo a sé, per poi
cercare e baciare le sue labbra.
«Va tutto bene... ora dimmi che cosa sta succedendo».
«Vieni con me?», chiese, senza dargli risposta, ma il riccio annuì: era un
inizio.
Scesero ed uscirono dalla scuola, prendendo la macchina di Kurt. Blaine
trattenne ogni domanda che gli saltava alla testa, lanciando di tanto in tanto
degli sguardi furtivi al suo ragazzo, che guidava con gli occhi fissi sulla
strada. Ripensò a quello che era successo negli ultimi giorni, cercando di
trovare un evento, anche minimo, che potesse avere a che fare con quella
situazione, ma non fu capace di individuarne nessuno.
Fino al giorno prima non era stato diverso dal solito e poi... quella
notte, quella notte era successo qualcosa, da quando lo aveva trovato fuori al
balcone alle 4. Si sforzò di capire se lui c'entrasse, se avesse perso qualcosa
nelle poche ore che aveva dormito, ma non valse a nulla: non c'era niente che
potesse giustificare una simile sofferenza da parte sua.
Perso in quei pensieri, si accorse appena che Kurt aveva parcheggiato.
Scese di fretta, e si sistemò il blazer con la mano, per poi alzare lo sguardo
e guardarsi intorno. Qualsiasi parola gli morì in gola quando si rese conto di
dove fossero.
«Seguimi», sussurrò il suo ragazzo e lui, senza dire nulla, lo seguì
attraverso uno dei sentieri sulla destra.
Camminavano tra il verde dell'erba ed il silenzio di quel luogo aperto
senza dire una parola, Kurt mesto e perso nei suoi pensieri, Blaine che non
staccava gli occhi da lui e non sapeva che reazione aspettarsi – per quanto
ormai avesse capito cosa lo turbava. Quanto era stato cieco! Non aveva
minimamente pensato a quell'eventualità, per quanto fosse così facile da
capire. Si diede dello stupido, mentre cercava di stare al passo di Kurt, fino
a che quasi non gli sbatté contro, non essendosi accorto che si era fermato.
Il suo ragazzo stava fissano un punto davanti a sé e quando anche gli occhi
di Blaine lo raggiunsero, sospirò leggero, sapendo a cosa stava andando
incontro. Kurt cercò la sua mano e la strinse forte, mentre riprendeva a
camminare, lasciandola solo quando il padre lo strinse tra le sue braccia.
«Signor Hummel», lo salutò cortese il Warbler e l'altro fece un cenno di
capo con gli occhi lucidi.
Kurt si avvicino alla lapide, accovacciandosi davanti ad essa e sfiorando
le lettere con la punta delle dita. Elizabeth Hummel.
Sua madre.
Blaine si sentiva improvvisamente fuori posto, come ad una cerimonia a cui
non era stato invitato. Provò il forte impulso di scappare via, perché
percepiva la sofferenza di un marito e di un figlio che avevano perso parte
della loro vita e quello era certamente un tipo di dolore che non sarebbe mai
stato attutito dal tempo.
Fece un passo indietro, per provare a lasciar loro un po' di privacy, ma
Burt lo guardò con affetto, come per dirgli che non c'era alcun bisogno di
farlo, che se era lì c'era un motivo. E infatti Kurt si alzò e si rivolse a
lui, tendendogli la mano.
«Vieni, voglio farti conoscere una persona».
Senza dire nulla, il riccio gli si avvicinò, stringendogli la mano con più
forza quando vide che una lacrima gli aveva bagnato il viso.
«Sai mamma... oggi ho portato qualcun altro qui. Si chiama Blaine. Ricordo
che quando ero piccolo, poco prima che tu...», sospirò tremante, socchiudendo
gli occhi «Ricordo che alle volte mi guardavi in modo strano, come se fossi
sovrappensiero; ma quando ti chiedevo il perché, eri solita rispondere:
"va tutto bene, piccolo mio. Sono solo un po' malinconica oggi". Ora
so a cosa pensavi allora, perché tu già sapevi tutto. Sapevi chi sarei
diventato e sapevi anche, in cuor tuo, che ero gay. Eri preoccupata perché
temevi che sarei rimasto solo e che avrei sofferto. Lo capisco solo ora,
mamma... Ma è per questo che ho portato qui Blaine, oggi. Voglio che tu lo
conosca... sai, lui è il mio migliore amico, ma soprattutto il mio ragazzo.
L'ho trovato, mamma, è lui. Quando mi parlavi di papà dicevi che lui era stato
il solo che era riuscito a farti stare davvero bene, come se non avessi bisogno
di altro. Beh, è lo stesso con Blaine. Lui... io non so neanche descriverlo, ma
mi rende felice, come nessuno aveva mai fatto finora».
La voce di Kurt era sporcata dal pianto e senza rendersene conto, anche
Blaine aveva lasciato che le lacrime scorressero silenziose sul suo viso. Quel
giorno era l'anniversario della morte della signora Hummel e Kurt gliela stava
presentando...
Passò un braccio intorno alle sue spalle e lo tirò a sé, tremante.
«Piacere, signora Hummel», sussurrò con un sorriso «Le prometto che, qualunque
cosa accada, farò di tutto per non perdere suo figlio».
Nessuno dei due si accorse che, dietro di loro, anche Burt stava piangendo,
con un misto di dolore e gioia nel cuore.
_________________________
Salve! Qui è ancora Alch che vi
parla, per questo sesto giorno di Klaine Week! Sta per finire e non so davvero
se sentirmi triste o meno xD
Che ve ne pare dei Dalton!Klaine? Era la sola idea
che avessi da prima che cominciasse la week e comunque ci ho messo secoli a
scriverla! Spero di non essere caduta in un angst
patetico ^^’’
Fateci sapere che cosa ne pensate ♥
A domani, con la “Winter in NY!”
di cui si occuperà la cara Bel.
A
Kurt non era mai piaciuto tanto l’inverno. Inverno significava freddo, vento
gelido e miriadi di vestiti da mettersi addosso – che lo faceva assomigliare a
un’enorme cipolla con miriadi di strati; le sue labbra si seccavano, la sua carnagione
pallida diventava rossa tutto d’un colpo ed era costretto a riempirsi di crema
più di quanto facesse; il Natale si avvicinava e, per lui che non credeva in
Dio e non aveva nessuno con cui trascorrerlo se non suo padre, era solo triste.
Vedeva gli altri ragazzi, euforici e frettolosi alla ricerca del regalo
perfetto, le coppiette che passeggiavano sotto le illuminazioni, e Kurt avrebbe
solo voluto avere qualcuno con cui condividere tutto quello, festeggiare il
Natale con la persona che amava, festeggiare per l’amore che gli era stato regalato e basta.
Nei
suoi primi diciassette anni di vita non fu fortunato. E poi arrivò Blaine.
Blaine, meraviglioso, dolce, perfettamente
imperfetto Blaine. Il suo migliore amico, il suo
primo amore, l’amore della sua vita. Il loro primo Natale insieme non lo
scorderà mai, le promesse che gli fece Blaine nel
corridoio affollato del McKinley donandogli quel piccolo anello costruito con
la carta di caramelle che Kurt ancora conservava, dopo tutti questi anni.
Kurt
non si è mai dimenticato di quelle promesse, nemmeno in tutti quei mesi che lui
e Blaine stettero separati. Ci mise parecchio a
perdonarlo, a fidarsi ancora di lui, e Blaine lottò
per riottenere la sua fiducia; e più passavano i mesi, più Kurt si rendeva conto
di non poter vivere senza Blaine. Lui era davvero
l’amore della sua vita. Nei primi mesi dopo averlo perdonato, Kurt si era
chiesto spesso se avesse fatto la scelta giusta, ma da allora non se n’era mai
pentito.
Grazie
a Blaine, lui aveva imparato ad amare l’inverno. Blaine aveva le mani calde, che stringevano sempre le sue
quando camminavano fuori al freddo; portava sempre con sé un burrocacao in più, e Kurt faceva finta di esserselo
dimenticato solo per poter usare quello di Blaine.
Quando si erano trasferiti a New York, poi, Blaine
gliel’aveva fatto amare ancora di più, mostrandogli quanto la città si
illuminasse a causa delle decorazioni natalizie, quanto fosse bello l’Albero di
Natale al Rockefeller, quanto la neve bianca conferisse a Central
Park un’aria ancora più mistica e quasi da favola.
Kurt
si era ritrovato a essere d’accordo con tutto questo, perso negli occhi
brillanti ed entusiasti di Blaine, le sue mani calde
strette nelle proprie, cercando di avvicinarsi quanto più possibile al calore
che sembrava emettere il corpo di Blaine – e, dopo
un’occhiata a metà tra il divertito e il consapevole del suo ragazzo,
ritrovarsi stretto a lui in un abbraccio che sapeva di casa.
Ma
la favola più bella, era la loro.
Kurt
aveva imparato ad amare l’inverno,
amarlo veramente, aspettare impaziente il suo arrivo, solo per dei momenti come
quello.
Era
steso nel suo letto, il respiro un po’ pesante di suo marito, ancora
addormentato, e altri, più corti e leggeri, che riempivano l’aria.Kurt si puntellò su un gomito, girandosi su
un fianco nello spazio ristretto del suo letto, mentre lasciava che i suoi
occhi scivolassero sulle tre figure addormentate vicino a lui.
Blaine, dall’altro lato rispetto a lui,
aveva una massa indisciplinata di ricci tutti davanti al viso, le labbra
semiaperte e un’espressione un po’ corrucciata. Il suo braccio era stretto
attorno alla vita esile di Iris, la loro bellissima bimba di cinque anni; i
suoi boccoli castani erano sparsi sul cuscino, le palpebre chiuse che celavano i
suoi occhi identici a quelli di Blaine. La mano della
bimba era posata sul cuscino, vicino al viso del suo fratellino, di un anno più
grande di lei. Graham aveva la guancia premuta sul cuscino, la bocca aperta e
due occhioni azzurri spalancati e fissi su di lui.
Kurt sorrise al figlio e gli passò una mano tra i capelli neri.
“Buongiorno
cucciolo,” sussurrò piano per non svegliare gli altri due.
“Ciao
papi…” Graham sbadigliò, rabbrividendo appena e
facendosi più vicino per accoccolarsi contro Kurt e scatenando una risatina da
parte del padre. “C’è un bel calduccio qui.”
Kurt
non disse niente, si limitò ad abbracciare il figlio e tenere lo sguardo fisso
sulle tre persone che amava di più al mondo. Dopo qualche minuto, anche Iris
aprì gli occhi, riservando a Kurt un dolce sorriso prima di girarsi e iniziare
a disturbare Blaine.
“Papà… Papà, svegliati!”
“Umpf…” mugugnò Blaine, aprendo
dopo un po’ un occhio assonnato. “Buongiorno principessa.”
“Papà,
il papi sta abbracciando Graham. Tocca a te ora!”
Blaine e Kurt si scambiarono un sorriso,
entrambi consapevoli che cosa stesse chiedendo Iris con tanta insistenza. Kurt
fece spostare il figlio un po’ più verso il centro del letto, mentre Blaine faceva lo stesso con la figlia. Dopodiché si
trovarono tutti e quattro vicinissimi; Iris stringeva forte la maglia del
pigiama di Blaine, la fronte appoggiata contro il
collo del papà. Graham aveva una mano stretta a quella della sorellina, il
corpo vicinissimo a quello di Kurt che, girato su un fianco, aveva steso un
braccio fino a raggiungere la spalla di Blaine,
chiudendo tutti in un caldo abbraccio.
Stettero
tutti e quattro lì, respirando profondamente e lasciandosi cullare dal calore
che quell’abbraccio dava loro. Ben presto i bambini si riaddormentarono,
stretti tra le braccia dei loro papà; nel frattempo Blaine
non aveva smesso un attimo di guardare Kurt, che invece aveva lo sguardo fisso
sulla finestra, oltre la spalla di Blaine.
Stava
nevicando, il cielo era grigio e sarebbe stata una giornata davvero fredda.
Kurt fece una smorfia, pensando al freddo che li avrebbe assaliti quando
sarebbero scesi per andare a pranzo da Rachel e Finn,
ma poi la sua espressione corrucciata fu sostituita da un sorriso. Incrociò lo
sguardo di Blaine, rivolgendogli un sorriso pieno
d’amore. In quel momento, sotto le coperte del suo letto, avvolto dal calore
dei suoi bambini e dagli occhi di Blaine, Kurt era
certo di amare l’inverno.
NdA:
Buonasera!
Non so da voi, ma qui si gela; avrei davvero bisogno di un po’ di calduccio
anche io e questa cosina qui su… si è scritta da
sola. Volevo inserire una daddyKlaine,
perché ora più che mai ne abbiamo bisogno, ma davvero non avevo idea di come
gestirla! Spero non sia venuta una completa schifezza!
Il titolo
di questa ultima OS per la Klaine Week (Winter in NY) viene da una canzone di Bruce Springsteen, WinterSong, mentre i nomi dei bambini sono presi
rispettivamente dai personaggi del film L’amore
non va in vacanza, interpretati da JudeLaw (Graham) e Kate Winslet (Iris). Il nome Iris l’avevo
già usato per l’altra DaddyKlaine
che avevo scritto, e diciamo che richiama anche la canzone che ha fatto da
titolo a questa raccolta - Irisdei GooGooDolls.
Nella mia mente, Iris è il nome della bimba di Kurt e Blaine
*__* Un po’ più difficile è stato scegliere il nome per il fratello, ma alla
fine mi è uscito Graham proprio perché nel film (che, se non avete visto, dovete
farlo perché è l’amore!) i due sono fratelli!
E
con questa si conclude la Klaine Week! Sinceramente questa
settimana mi ha aiutata parecchio a superare un po’ la tristezza causata dalla
4x04. Finora tutte le storie che ho letto (e con le quali sono rimasta
tremendamente indietro, ma giuro che recupererò tutto) mi sono piaciute davvero
tanto. Credo che ciascuno abbia dato il meglio di sé, pertanto ci tenevo a
ringraziare tutti coloro che hanno scritto e partecipato all’iniziativa. Grazie
a tutti.
Un grazie
speciale va a Flan,
che ha organizzato tutto.
Un altro
grazie speciale va al Kurt del mio Blaine, all’Alch del mio Bel perché è sempre un piacere e un onore
lavorare con lei.
E un
altro grazie va ad hale_y perché mi è stata più vicina che mai in questo
periodo, perché ha sempre una parola di conforto per qualsiasi cosa mi renda
triste e alla quale dedico questa OS. Perché la DaddyKlaine fa sempre bene al cuore!
Speriamo
che questa raccolta vi sia piaciuta, tanto quanto a noi è piaciuto scriverla!