Burn

di Stateira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


PREMESSA

PREMESSA

Il racconto, pur basandosi su alcuni accadimenti storici, non pretende in alcun modo di essere fedele alla realtà storico/politica, che viene piegata alle esigenze di finzione.

I personaggi, ad eccezione di Joseph Turner, sono di mia invenzione, e non intendono riferirsi ad alcuna persona realmente esistita.

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

 

- E così, ci ritroviamo tutti naufraghi, a guardare la nostra nave arrendersi alle fiamme. -

 

Il volto pallido e raffinato di un giovane uomo di non più di venticinque anni si affacciò oltre il parapetto del battello, fermo sulle acque placide del Tamigi. Lord David Charles Mallow-Hamilton guardava il Parlamento londinese inginocchiarsi e contorcersi come un condannato a morte, sputando di tanto in tante fiamme rossastre e scintille indignate verso la bella luna piena, l’unico astro rimasto visibile nel cielo oscurato della città(*).

E se ne sentiva affascinato. Era a Londra da meno di due giorni, e nemmeno volendolo sarebbe riuscito ad arrivare più puntuale, per vedere la sua carriera politica morire senza nemmeno essere nata. Quelle fiamme significavano la paralisi di ogni attività, il cambio della sede, e mille altre incombenze che avrebbero scavalcato la questione della sua nomina, posticipandola di anni. Probabilmente non lo avrebbero mai più convocato.

Ma nonostante tutto, Londra che fiammeggiava nella notte era bellissima, più bella della città congestionata dalle carrozze e dalla confusione di troppe persone troppo vicine che aveva avuto occasione di visitare quello stesso pomeriggio. Assieme a quell’incendio andavano in fumo anche molte delle sue ambizioni, ma per Giove, quanto volavano alto, quelle guglie nerastre.

 

- Non ditelo, o andremo a fondo sul serio. -

 

La voce vagamente maliziosa che aveva appena parlato se ne stava seduta sulle labbra curiosamente rosse di un uomo dai capelli scuri, che non doveva essere più vecchio che di qualche anno. David inarcò involontariamente un sopracciglio, osservandolo alzarsi da uno sgabello e avvicinarsi a lui senza fretta, a suo agio come se si fosse trovato in un banchetto fra amici.

- Come avrete modo di notare, ci troviamo su una barca noi stessi, e benché la mia casa non disti poi molto da qui, gradirei non doverci tornare nuotando fra i liquami fognari della mia meravigliosa città. -

- Siete superstizioso? -

- Prudente, mio caro amico, prudente. – il giovane signore sorrise. – Siete scozzese? -

- Di Glasgow. -

- Oh, Glasgow! Magnifico sobborgo di allevatori di bovini, davvero. -

David aprì la bocca per replicare, ma ciò che ne uscì fu piuttosto una specie di smorfia sdegnata.

L’uomo sorrise apertamente. – Lo sapete? Trovo che il vostro modo di infiammarvi per la vostra città sia assolutamente migliore di quello del nostro Parlamento. -

- Sono Lord David Charles Mallow-Hamilton. – sbuffò David, allo strano uomo.

- Oh, Lord Hamilton. Si è parlato della vostra nomina, in una delle ultime riunioni. Un vero peccato che non vi siate potuto godere i magnifici marmi dei corridoi della Camera dei Lord. Il mio nome è Lord William Thomas Hudgens. Ma spero che William vi risulterà sufficientemente noioso da accontentarvi di chiamarmi così, soprattutto davanti al nostro povero palazzo in rovina. -

- Già. – David si appoggiò all’inferriata del parapetto, abbandonandosi sul busto. – Non trovate anche voi che ci sia qualcosa di immenso, in questo incendio? -

- Di immenso? – William inarcò un sopracciglio. – Temo piuttosto di vederci qualcosa di sciagurato. -

- Dovresti dare ragione al tuo giovane amico, William, una volta tanto, o finirai con lo strozzartici, con il tuo cinismo. – gracchiò improvvisamente una voce canuta, alle spalle dei due.

William si girò sui tacchi delle scarpe, e alzò gli occhi al cielo. – Non puoi dire sul serio, Joseph. – scandì, esasperato. – È un incendio, per Diana, non uno spettacolo teatrale. –

- Punti di vista, questione di punti di vista. -

- Lord David Mallow-Hamilton, mi permetterete di presentarvi il signor Joseph Turner? Si crede un pittore, stando a quel che si dice in giro. -

David trasalì senza far rumore, e si affrettò a tendere la mano. – Ho sentito molto parlare di voi, signor Turner. È un vero onore. – blaterò, imbarazzato.

- Onore sarebbe stringere la mano a Tiziano, ragazzo, non a me. –

- Ma se tu diventerai il nuovo Tiziano britannico, come si vocifera, questo giovane Lord sfortunato potrà dire di averti stretto la mano. –

- E a chi lo racconterò, Lord William, di grazia? Alle capre dei miei concittadini? –

William non rispose subito. Il fuoco che mangiava il Parlamento riluceva sul suo sorriso assente, rendendolo inquietante come un ritratto mal sfumato.

- Mucche, Lord David, mucche. –

David piegò la testa di lato. – Mucche. Dovete perdonarmi. –

- Sa il fatto suo, lo scozzese. – borbottò il signor Turner, gli occhietti affossati ben lontani dallo sforzarsi di dissimulare un certo divertimento.

 

Doveva essere ormai l’una del mattino, quando il battello fu attraccato al molo, e i passeggeri fatti scendere. Ognuno con la propria faccia, diversa dalle altre non tanto per i connotati, quanto per le sensazioni, la forma e la profondità delle rughe sulle loro fronti, o attorno agli occhi. C’era chi aveva aguzzato la vista per tutto il tempo, e adesso si massaggiava le tempie; chi non aveva fatto che discutere, chi aveva scosso la testa fino a farsi venire mal d’acqua. Qualcuno, forse, aveva persino pregato, fra quelli che ora si incamminavano con le mani strette dietro la schiena, il bastone sospeso a mezz’aria, perché a quell’ora darsi un tono non serviva a nulla.

David rimase dietro al signor Turner. Si era offerto di tenere i suoi blocchi da disegno per permettergli di scendere più agilmente, ma la poca luce del pontile non gli aveva permesso di distinguere altro che i segni lunghi e fluidi che abbozzavano il Tamigi, alcune macchie sullo sfondo, e una grande luna, che voleva essere bene illuminata, a giudicare dalla chiazza pulita che la circondava, prima che il gessetto si prendesse tutto lo spazio del buio di quella notte.

Nemmeno riusciva a vederlo, il Parlamento. Doveva essere uno dei tanti scarabocchi illeggibili, così complicati da sembrare studi su voli di farfalle. Si chiese se il signor Turner sarebbe stato capace di decifrare i suoi stessi schizzi, alla luce del giorno, nel suo studio, come fa chi ha una calligrafia talmente nervosa da non riuscire più a leggerla a distanza di giorni, e finì persino con il domandarsi quanto di ciò che stava tracciato sulla carta ruvida di quei blocchi fosse Londra, e quanto fosse Joseph Turner.

- Non vorrete passare la notte su quella canoa, mi auguro. –

La voce di William lo distrasse all’improvviso. Il giovane londinese lo stava guardando, sorridendo in quella maniera mordace che ricordava il modo di fare le fusa di un gatto dispettoso. Aveva un modo di guardare la gente davvero particolare, lui. La fissava con l’intensità di una sfida, e con la malizia di chi gioca una partita già vinta; e allo stesso tempo con l’ansia di riuscire a dire qualcosa, di aggrapparsi a quel contatto per chissà quale motivo.

- No, naturalmente. – rispose, fin troppo seriosamente. Restituì i quaderni al signor Turner, e balzò giù dal battello, raggiungendo gli altri due uomini, gli ultimi rimasti.

- E’ stato un vero piacere conoscervi, signor Turner. –

Educato, ma anche entusiasta, infantilmente entusiasta. I suoi occhi chiari brillavano come quelli di un cuccioletto, mentre stringeva di nuovo la mano dell’uomo.

Turner non doveva essere uno di molte parole, a giudicare dalle poche, burbere, che rivolse a William. Dovevano essere piuttosto in confidenza, vista la reazione di lui, sarcastica e ilare.

David suppose di dover salutare anche lui, a breve.

- Avete dove dormire, David? – esordì William, muovendo i primi passi.

- Ho preso alloggio non lontano da St. Paul. –

- Oh, mio povero amico, dovrete sentirvi uno scoiattolo che riposa vicino ad un enorme elefante. –

David accennò ad un sorrisino paziente. - Un problema che non tocca affatto voi, mi sbaglio, William? La vostra squisita boriosità vi proteggerebbe persino dall’ombra della luna. –

- Abito nella zona di Westminster, non ho bisogno di proteggermi da altre ombre. –

William si strinse nelle spalle in modo curioso, scrollandole leggermente, come se fosse stato sotto una pioggia fastidiosa. – Lasciate perdere St. Paul, i fantasmi del vecchio Wren e di tutti i gentiluomini sepolti lì dentro vi rovineranno il sonno. Sarei felice di offrirvi un buon Brandy. –

David reclinò la testa. – Mi state offrendo…? –

- Di certo non vi metterò nelle stalle, amico mio. Quella è una divertente usanza delle vostre parti. –

- Volete smetterla di sputare sentenze su Glasgow? –

William rise di cuore, gettando all’indietro i capelli neri, raccolti con un’incuria apertamente provocatoria.

- Amico mio, il vostro accento diventa ancora più deliziosamente provinciale, quando vi irritate, sapete? –

David gemette, e si premette una mano sulla tempia. - Cielo, e dire che non dovevo nemmeno venirci, qui a Londra. –

- E perdervi il miglior spettacolo pirotecnico dal lontano 1666? – William ridacchiò allegramente. – Certo che voi scozzesi siete proprio gente strana. –

- Ancora con questa faccenda? -

- Su, su, lamentatevi di meno e allungate il passo, casa mia non vi verrà di certo incontro! -

 

*

 

David si accomodò nel salottino privato che William doveva usare spesso come studio, a giudicare dalla scrivania di ebano, completamente ingombra di carte, volumi, fermagli e matite. La casa di William gli era sembrata subito molto grande, ma quella stanza era curiosamente piccola, piccola in un modo raccolto, con il suo soffitto alto a cassettoni, disadorno. C’era un caminetto, proprio in fronte alla scrivania, che doveva essere acceso da parecchio, ma la cenere e le braci non minacciavano ancora in alcun modo la vitalità del fuocherello che ardeva allegramente. Due poltroncine, una delle quali gli fu indicata, ed un divano rivestito di velluto verde scuro, e poco altro. Lord Hudgens non sembrava preoccuparsi particolarmente di come si presentasse la stanza. Doveva essere un luogo straordinariamente intimo, per lui, e David si sentì vagamene in imbarazzo, come se avesse sorpreso il suo ospite in un momento privato.

William aprì l’anta di legno di un mobiletto intarsiato, e ne estrasse una bottiglia e due bicchieri.

- Vi piacerà. – disse con una certa impudenza, versando una generosa quantità di Brandy in ciascun bicchiere.

David sentì subito l’inconfondibile odore rotondo di un eccellente Brandy d’annata diffondersi nel salottino, incalorendo l’atmosfera. Accettò il bicchiere, e rise, quando William propose il suo brindisi.

- Al nostro incontro, e alla gloria della città di Glasgow, che ha dato i natali ad un tale concentrato di affascinante, trasognato provincialismo. –

- Siete tremendamente offensivo verso la mia città, Lord William. -

- Sono anche tremendamente divertente. -

David gli concesse un sorriso, sul bordo del bicchiere. – Devo ammettere che nessuno mi aveva mai insultato in modo così interessante. –

William si rigirò il suo bicchiere fra le dita, con movimenti ipnotici e fluidi. – Ditemi di voi. – disse con voce improvvisamente assorta. – Avete dei terreni, a Glasgow? -

- Verso nord, sì. Ma la vita dell’amministratore dei miei stessi possedimenti non faceva per me, è per questo che ho tentato la strada della politica. -

- Siete certo che vi si addica, un simile percorso? -

- So combattere per i miei ideali. -

- Ah sì? E quali sono i vostri ideali, David? -

David trasalì. Non tanto per la domanda, ma per il modo quasi feroce in cui William l’aveva posta.

- Io… -

William scosse vivacemente la mano destra. - Voi siete il genere di persona che sogna una grande, immensa Gran Bretagna, a cui garantire abbastanza pace da potersi permettere di passare il proprio tempo a tormentarsi con tutte le nuove idee anticlassiciste con cui la Germania e la Francia ci stanno invadendo con tanta veemenza. Mi sbaglio? –

David non osò replicare. Improvvisamente, il londinese ironico e snob che gli si era rivolto sul battello sembrava aver lasciato il posto ad un uomo mordace e incredibilmente acuto, in modo persino inquietante. Si sentì davvero un provinciale, davanti ai suoi occhi scuri che brillavano, puntati nei suoi.

- Non stupitevi così, David. -

William rise all’improvviso, sgretolando in un momento la maschera che gli aveva adombrato il volto. - Il signor Turner la pensa esattamente come voi, e ormai ho imparato a leggerli, gli occhi di questi novelli amanti della tragedia. –

- Siete così avverso a queste idee? -

- Tutt’altro. – William picchiettò due delle sue dita sottili sul bracciolo della sua poltrona. – Stimo di gran lunga di più un uomo che disegna lune piene con il cuore, di uno che scolpisce titani ed eroi con il cervello. -

- E allora perché insistete nel voler essere così cinico? –

- Perché non voglio fare la fine che fanno quelli come voi, mio caro David. Bollati come distratti sognatori di cui tener poco conto. -

- Siete ipocrita. -

- E voi siete bello. Nessuno è esente da colpe, come potete vedere. -

David sbarrò gli occhi, e William gli sorrise mitemente.

– Non ditemi che nessuno, oltre vostra madre, vi aveva mai fatto notare questa tremenda pecca che vi affligge. – disse con leggerezza.

No, al dire il vero non gliel’aveva mai fatta notare nessuno. Di sicuro non un uomo, non un signorotto londinese. Ma Lord William ne parlava con la stessa ironia con cui commentava le nuvole nel cielo, senza nessun imbarazzo. Da parte sua, pensare che William fosse un uomo bello, e una persona affascinante, lo avrebbe fatto sentire terribilmente infantile.

– I vostri occhi sono preziosi. – aggiunse William, sollevando verso di lui il bicchiere di Brandy. – Vorrei essere capace di dipingere, sapete? L’Inghilterra avrebbe proprio bisogno di qualcosa di bello da guardare. –

David sbatté le palpebre meccanicamente, come se William, con le sue parole, vi avesse passato sopra le dita.

- Qualcosa di scozzese. – disse, inarcando un sopracciglio.

- Qualcosa di scozzese. – asserì William. – Sono i difetti che rendono le perle così affascinanti. –

- I difetti? – protestò David.

La mano di William percorse pigramente la poca distanza che separava dalla sua bocca il bicchiere di Brandy. Ne sorbì un sorso, gli occhi bassi sul vetro del bicchiere, le ciglia scure che vibravano appena per i vapori alcolici che ne salivano.

- La Scozia è lontana. – espirò infine, come se le sue parole fossero state una boccata di fumo.

David si irrigidì sulla sedia imbottita. William bevve ancora un po’, senza alcuna fretta di tornare a guardarlo. E forse David nemmeno voleva, che lui lo guardasse ancora.

- Sarà meglio che vada, ora. – disse, evasivo, facendo leva sulle mani per alzarsi. Si aggiustò rapidamente la giacca sul petto, con pochi movimenti nervosi delle dita, controllò il nodo del fazzoletto, e fu pronto.

- David. –

David trasalì. William si era alzato con la stessa, controllata calma con cui faceva sempre qualsiasi cosa. Ed ora eccolo, a guardarlo di nuovo. Troppo da vicino.

- Riesco a sentire l’odore del vostro Brandy. – fu tutto ciò che David riuscì a dire di quello che provava.

- E io il vostro. –

 

Ne assaggiarono un po’, di quel Brandy eccellente. William non aveva fretta nemmeno in quello, a quanto sembrava. Era ben rasato, morbido sulla pelle quanto spigoloso sulle ossa. Il sapore del Brandy in verità non era che una sfumatura che aggiungeva calore ad una bocca già calda, come un tocco di raffinata colonia su una pelle già profumata. David non lo sapeva, perché baciare quel giovane Lord londinese lo facesse sentire così molle, e così tramortito. Era qualcosa di intimamente giusto, di stupefacente e di rilassante allo stesso tempo. Era simile, davvero simile a quello che aveva provato guardando un incendio mostruoso dalla sicurezza di una barca. Il bacio di William era fuoco, e le sue braccia il rifugio che lo proteggevano da esso. Chissà se avrebbe finito con l’incendiarsi, se lui avesse lasciato andare le sue spalle prima della sua bocca.

La porta del salotto era chiusa a chiave, David ricordava di aver visto William trafficare con la serratura, al loro arrivo, e si chiese persino se quel demonio di un Lord non avesse previsto fin dall’inizio, di arrivare a quello. Cedette alla tentazione di affondare le dita nei capelli scuri di William, raccolti con poca attenzione sulla nuca. Erano naturali, e piacevoli da toccare.

William socchiuse la bocca, ma prima di interrompere il bacio si prese qualche momento per sfiorare le labbra di David.

- Non ve ne andate. – disse a mezza voce.

- Che cosa stiamo facendo? – boccheggiò David.

- Ha importanza? -

- Ne ha. -

- Quanta? -

David esitò. William era immobile, calmo come lui non riusciva ad essere. –Non lo so. – ammise. – Non molta, forse. -

William sorrise mitemente, e allungando una mano gli prese un polso, scivolando appena al di sopra dei bottoni che chiudevano il risvolto della giacca.

- Allora restate qui, con quest’uomo di non molta importanza. -

David accennò ad un sorriso teso. – Voi ignorate le conseguenze. – mormorò.

- Lo so. Le sto deliberatamente ignorando. Ma ditemi, David, non è questo che andiamo tutti cercando, al giorno d’oggi? Non è la libertà di sfuggire alle conseguenze? -

- Voler sfuggire alle conseguenze non è libertà, William, ma egoismo. –

- Oh, con me non serve che giochiate a fare il sofista. -

David abbassò lo sguardo, e dentro di sé sorrise. Di certo, si sarebbe deriso da sé, ascoltandosi predicare la moralità all’uomo che aveva appena baciato. Avrebbe più volentieri inveito contro sé stesso, ma la verità era che dell’etica non importava a nessuno dei due. Per William provava qualcosa che andava oltre l’ammirazione, e se questo forse non era naturale, era senza dubbio forte, troppo forte per poter essere messo a tacere. Troppo bello, per Diana, troppo sublime, per impedirsi di viverlo.

- Resterò. – disse a mezza voce.

Gli occhi di William si accesero di una luce pacata. Si sedette sul divano, lasciando abbastanza spazio da far capire a David che il suo era un invito a sederglisi accanto.

- Volete sapere perché ho scelto questa specie di stanzino, fra tutte le camere della mia casa, per il mio studio? – domandò, divertito.

- Ditemelo, vi prego. -

William indicò con malizia la finestra dietro la sua scrivania. David notò che le tende erano ancora raccolte, nonostante fosse notte fonda, e che tutt’intorno correvano due scaffali gemelli, ricolmi di libri, disposti senza troppa cura, l’uno sull’altro. Sulla sinistra, lo scaffale arrivava quasi fino al camino, mentre sulla destra si fermava prima di un grande quadro di un bel paesaggio curiosamente rurale.

Oltre la finestra, le fioche luci della città erano offuscate e continuamente spazzate dal movimento placido delle fronde di un albero dalle foglie sottili, ormai quasi completamente spoglio.

David pensò che dovesse essere bellissimo, l’effetto delle ombre delle foglie che si muovevano sulla schiena di William, mentre lui era intento a scrivere, o a leggere.

- Il perfetto complemento a quelle orribili tende, non trovate? – commentò William, sornione.

- E’ davvero splendido. – ammise David, sottovoce. – Lavorate sempre qui? -

- Vorrei viverci, qui. -

Sì, anche lui. Anche David avrebbe voluto viverci, lì.

Raccolse un po’ di coraggio, e baciò di nuovo William, provando a restare concentrato sulla sensazione di vertigine che gli si accumulava all’altezza dello stomaco, e che gli intorpidiva le mani. William rimase sorpreso dal suo gesto, ma ne sorrise, e ne prese le redini, per guidarlo ancora un po’ più in là. Fece scivolare all’indietro il busto di David, verso il bracciolo del divano, adattandosi ad una posizione scomoda, per non comprimerlo troppo sotto di sé. David mosse le mani a piccoli scatti, su di lui, stropicciandogli i vestiti senza darsene pena. Bruciava, tutto il suo corpo, di un incendio palpabile e irruente, un incendio che William sentì contagiare presto anche la sua pelle, ed assediargli la mente e il cuore, finchè ogni cosa prese fuoco.

 

*

 

- David. – William sorrise, assorto e affettuoso. - Permettetemi di pensare al vostro nome come ad un nome francese, se vorrete. -

David sollevò la testa dalla sua colazione, e inarcò le sopracciglia. – Perché mai dovreste pronunciarlo alla francese? – si sorprese.

William scrollò le spalle. – Amo molto i nomi privi della fastidiosa presenza delle erre. Il vostro per fortuna ne ha solo una. -

- Non ho mai amato il mio secondo nome. – ammise David, piegando all’insù l’angolo destro della bocca.

- Certo che no, Charles è un nome terribile. – fece William, con la sua naturalezza tutta irritante. – Ma David è un nome che varrebbe una poesia. –

David si schiarì la voce, quando la cameriera di William venne a portare un vassoio di pasticcini, e non riaprì bocca finchè non se ne fu andata, con un veloce inchino. L’intimità improvvisa con William era ancora qualcosa di selvaggio, qualcosa che gli impediva di giocare sulle sfumature dell’intesa, sugli sguardi sfuggenti, qualcosa che richiedeva delle briglie solide, per poter essere controllata. William non tradiva alcuna forma di disagio, davanti alla servitù, e nemmeno davanti a lui. Aveva un sorriso limpido e incurante, persino sconsiderato.

- Non arriveremo tardi, all’incontro con gli altri membri della Camera? –

- Oh, Lord Burghwell è abituato al mio ritardo. –

- Lord Burghwell? –

 

*

 

- Lord William Hudgens, che voi siate dannato! –

Un uomo sui trent’anni raggiunse William e David a piccole falcate, quasi saltellando. Aveva un volto morbido e ben nutrito, animato da un sorriso enorme e sincero. – Amico mio, a quale Provvidenza dovrò affidarmi, per sperare di vedervi arrivare ad un orario appropriato? -

- Non siate ingenuo, amico mio, sapete che lo faccio per voi. – rise William. – Se arrivassi in anticipo, vi causerei un imperdonabile collasso. -

David trattenne a stento un sorriso. William era davvero sfacciato, beffardo, e affascinante. Il genere di persona che riesce a conservare per tutta la vita il grande privilegio che hanno di bambini, di vedersi sempre accordato il perdono.

- Lord David, lasciate che vi presenti l’uomo a cui Londra deve il fastidio della mia presenza qui, Lord Richard Burghwell. Lord Burghwell, Lord David Charles Mallow-Hamilton. -

- Oh, Lord Hamilton. – Lord Burghwell strinse con entusiasmo la mano di David. – Sono desolato, davvero desolato, che il vostro arrivo sia coinciso con una simile disgrazia. -

- Uno spettacolo affascinante, Lord Burghwell. – sorrise David.

- Oh, non dategli ascolto. – lo liquidò William. – Lord David è membro onorario di quella deprecabile loggia presieduta dal caro Joseph Turner. -

- Siete voi che non capite gli orizzonti dell’arte del signor Turner, William. – lo rimproverò bonariamente Lord Burghwell. – Se questo signore ama le nuove scuole, allora ha gusto. –

- Povero me, sono l’unico a non vedere nulla di artistico, in un incendio? – si lamentò William, con un certo, drammatico autocompiacimento che fece sorridere gli altri due.

 

Il Parlamento era stato trasferito in un grande palazzo di cui David ignorava il nome, a non molta distanza dalla sede andata distrutta. E ci sarebbe rimasto finchè non si fossero ricostruite almeno le Aule, a meno che Sua Maestà non avesse deciso per un ulteriore cambio di sede. E, a quanto sembrava, la priorità di tutti i presenti era proprio quella di riorganizzarsi. Per il momento, non c’era tempo da perdere con altre questioni.

David non fu che uno spettatore della seduta, convocata quasi esclusivamente per discutere della situazione. Lord Burghwell parlò più di una volta, e David lo stette ad ascoltare con un mezzo sorriso, seduto accanto a William. Di fronte a tutti quei signori, provava un disagio fastidioso, e il fatto che William fosse la sola presenza in grado di rassicurarlo non lo aiutava per nulla. William era il suo appoggio ideale con il suo sciocco modo di fare, ma era capace di fargli scordare della notte appena trascorsa con una sola battuta, e di rammentargliela con uno sguardo rapido e suggestivo.

- Lord Hamilton. – una voce cupa lo fece sobbalzare.

Vicino a lui c’era un uomo, in piedi. Indossava dei vestiti piuttosto fuori moda, e troppo caldi, e aveva uno sguardo duro e brillante.

- Mi fareste il favore di seguirmi? -

David annuì con un po’ di esitazione, e vide William corrugare appena un po’ la fronte.

 

- Temo siate stato davvero molto sfortunato, Lord Hamilton. – disse Lord Burghwell, sinceramente costernato.

David sorrise, senza sapere cos’altro fare. Quando lui, assieme a tutti i nuovi membri della Camera dei Lord, erano stati chiamati dal vecchio uomo dai vestiti troppo pesanti per la stagione, che aveva comunicato loro la necessità di rimandare le loro investiture, vista la situazione, si era improvvisamente ritrovato a riflettere su cosa fosse meglio per la sua, di situazione. Ma adesso che Burghwell, che doveva contare davvero molto, ripeteva quasi letteralmente ciò che quell’uomo gli aveva prospettato, David si sentiva costretto in un sentiero che minacciava di biforcarsi bruscamente entro pochi passi. Due anni almeno, il tempo che serviva per rimettere le cose in ordine, e poi finalmente si sarebbe potuto procedere, e nel frattempo, non c’era altro da fare che tornare a casa, e aspettare.

Senza rendersene conto, cercò lo sguardo di William.

- Via, non mi direte davvero che non c’è posto per lui. Vorrà dire che farò portare qui una seggiola da casa mia, perché Lord David non sia costretto a stare in piedi. –

- Non è una questione di seggiole, amico mio, lo sapete. – rispose pacatamente Burghwell. – Vi renderete conto anche voi che la situazione è davvero straordinaria. Sua Maestà in persona ha chiesto di rimandare ogni nomina a quando ci saranno le condizioni per farlo. –

- E’ un’assurdità. –

- Non lo è. – ammise David. –E’ una scelta comprensibile. –

William gli rivolse uno un’occhiata strana. Per la prima volta, da quando lo conosceva, sembrava davvero in difficoltà.

– Non lo pensate davvero. – disse con decisione.

 

Ma David lo pensava davvero.

 

*

 

- Restate. – mormorò soltanto William, senza nemmeno cercare di nascondere il leggero tremore della sua voce.

David si fermò, a pochi passi dal suo alloggio. L’ombra di St. Paul incombeva davvero, vicina, sulla locanda elegante e discreta che presto avrebbe dovuto lasciare.

E insieme ad essa, lasciare William.

- E per cosa? – disse amaramente. – Non posso passare due anni qui senza far nulla. È meglio che io torni a Glasgow, ad occuparmi dei miei terreni, e che aspetti lì. -

- Siete qui soltanto da pochi giorni. – disse William. Parlava in un modo concitato che gli si addiceva per nulla; la sua voce elegante si mangiava lettere su lettere, rendendosi quasi irriconoscibile.

- Lo so. – David si morsicò forte un labbro. – Ma cercate di pensarci. Resterei solo per voi, e sarebbe un rischio troppo grande, soprattutto per voi. –

- Mi ci lucido le scarpe, con i rischi, maledizione. – inveì William. – Restate, ve ne prego. –

- Potrei. Ma sarebbe soltanto per pochi giorni. Per pochi altri giorni, William, nulla di più. –

William rivolse a David uno sguardo ferito e fiero, che non distolse nemmeno quando David fece per aprire la porta del suo albergo. 

David trasalì.

- Salite con me. – mormorò, senza voltarsi.

 

William rientrò a casa con la luce morente del crepuscolo che giocava con la sua ombra lunghissima. Si levò la giacca, che scagliò al maggiordomo senza dire niente, e andò a chiudersi nel suo studio. Si versò una buona quantità di liquore profumato, si lasciò cadere sul suo divano verde scuro, suo e di David, e cercò di calmarsi un po’.

Se nemmeno Burghwell poteva far nulla, per trattenere David, allora non c’era davvero speranza. Quel maledetto testardo di uno scozzese non ne aveva voluto sapere, di restare a Londra. William gli aveva offerto di pagargli l’affitto della pensione, di occuparsi di presentargli tutte le persone che valeva la pena di conoscere a Londra, ma la paura di David per ciò che era successo fra loro era troppo forte, e il fatto che fosse poi successo di nuovo, in quella stessa stanza di albergo, non aveva fatto altro che convincerlo definitivamente a partire.

Sciocco ragazzino, così innamorato delle sue idee tragiche e sublimi, ma così spaventato, poi, dalle loro conseguenze.

“ Tornerò a trovarvi”, gli aveva promesso, come avrebbe fatto con un vecchio parente malato, senza capire che lo avrebbe condannato a passare i suoi giorni senza di lui nell’attesa di vederlo, e quelli con lui nell’amarezza di sapere che presto sarebbe partito di nuovo. E se anche lui lo amava, doveva per forza provare uno strazio simile, e allora come poteva essere così deciso ad andarsene?

Amare, poi, aveva il sapore di una minaccia, ma William era troppo avido di emozioni, per cercare di sottrarsene.

David era bellezza da contemplazione, ma anche una suggestione, era una voce entusiasta e viva, era un mosaico di idee, era la passione che lui non riusciva più a sentire per la vita.

 

William imprecò sottovoce contro se stesso, e contro Dio, e scagliò nel fuoco del camino il suo bicchiere di Brandy ancora mezzo pieno. Il fuoco lo incendiò, scoppiettandone l’odore per qualche passo, prima di divorarselo di nuovo ed eclissarlo.

 

 

 

 

 

(*)16/10/1834: il Parlamento di Londra è distrutto da un grave incendio.

 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

 

 

 

12 Febbraio 1836

 

 

A Lord David Charles Mallow-Hamilton

 

Mio caro David,

Trovo modo di scrivervi qualche riga da Londra, e mi auguro che a Glasgow ogni cosa vada per il meglio.

Meglio che qui, per lo meno. Ogni giorno il cielo si fa sempre più grigio, ho proprio l’impressione che finirò con lo scordarmi di cosa sia il sole, fra questi tetti scoloriti. In quest’ultimo anno passato vi ho visto due volte soltanto, e mi permetto di lagnarmi a gran voce con voi, per questo. Non tanto per me, no. Lo sapete bene, quanto io detesti perdere con voi a scacchi, ma temo che la vostra lontananza nuoccia alla mia salute. Alla mia, e a quella di tutta la cittadinanza, invero. Il sole se n’è venuto via con voi, a quanto pare, e sembra più che mai deciso a restarsene in Scozia, a scaldare la groppa alle vostre mucche, e a benedire il vostro raccolto, invece del nostro.

Non vorrete costringermi a venire a Glasgow a riprendermelo, spero. Sarebbe piuttosto noioso intraprendere il viaggio di ritorno con voi sulla schiena.

 

Ma immagino che lo farei.

 

Sono accadute alcune cose davvero singolari, dopo il vostro ultimo, breve soggiorno qui. Nulla che vi possa interessare, ma d’altro canto io non ho alcuna voglia di concludere questa lettera, perciò vi farò la scortesia di annoiarvi, informandovi che la deliziosa Lady Dorothy, che tanto si entusiasmò nel conoscervi, e tanto apprezzò il vostro accento da farmi dolere i denti per il troppo stringerli, si è finalmente decisa a sposare quell’orrendo caprone di Sir Joseph Duckfold. Suppongo abbia avuto ciò che meritava, bontà divina, e non osate ridere del mio sollievo; sarebbe davvero molto villano, da parte vostra.

 

Il Parlamento ha approvato alcune interessanti crudeltà contro gli sventurati che lavorano sulle acque del Tamigi. Più tasse per le barche, e per i moli. Io mi sono limitato a far notare che di questo passo avremmo fatto del nostro onorato fiume uno Stige, ma sapete anche voi quanto il mio umorismo sia poco apprezzato da certi bifolchi. Più denaro, da più parti, persino le proprietà reali in Galles saranno spremute come frutta matura, quasi volessero realizzare il nuovo palazzo del Parlamento ammucchiando Sterline.

E, a proposito, il concorso per la ricostruzione procede come una locomotiva, e il mio buon amico, Lord Burghwell, si farà venire i capelli bianchi prima del tempo, a forza di litigare con chiunque si intenda di architettura in tutta la città. Sembra che desideri ardentemente fare di questo palazzo un’ode alle guglie di mezza Francia, ma temo che quelli disposti ad assecondarlo siano ben pochi. Non vi nasconderò che l’idea mi divertirebbe parecchio. Un edificio a guisa di candela sciolta sulle rive del Tamigi sarebbe una suggestione indimenticabile, per il prossimo, scenografico incendio.

 

Vi ricordate di quel mio amico, il signor Turner, che era con noi sul battello, il giorno disgraziato del rogo? Sono più che certo che lo ricordiate. Pare proprio si compiaccia di farsi chiamare “romantico”, o come altro lo definiscono alla Royal Accademy, perché non gli è riuscito di resistere alla tentazione di rendere quello sfortunato evento una specie di ode alla luce del fuoco.

“Arte, arte!”, la chiama lui, e io a rispondergli che la vera arte è il corpo dell’uomo, la vera arte è ritrarre un bel volto in tre quarti. E lui allora a dirmi “Ah, dovete essere innamorato, caro William, proprio innamorato”.

“Proprio innamorato”, dice lui, David. Suggeritemi voi una risposta da dargli, vi prego. Innamorato lo sono, ma se il prezzo che devo pagare per questo è la vostra assenza, allora preferirei odiarvi, ed avervi qui. Perdonate questo mio sfogo amaro, ma sembra che a voi poco importi, e nelle vostre lettere non vi è che prudenza, e lodevoli descrizioni dei vostri terreni, ahimè, fertili e produttivi.

 

Mi sono permesso di spedirvi alcuni suoi schizzi, assieme a questa lettera. Credo che vi piaceranno, almeno quanto è piaciuto a me convincere il mio buon amico a realizzarmeli, dalla Germania, o dalla Danimarca.

Ammiravate quella tremenda catastrofe come fosse una luna piena, David, dovevate guardarvi. Piuttosto inquietante, per un membro del Parlamento, ma mi divertì immensamente la vostra espressione, così burrascosa e intensa. Eravate così bello, e perduto nei vostri sogni, che mi stupisce ancora che nessuno, oltre a me, vi abbia notato. Nessun sospiro di dama, nessun fazzoletto scivolato ai vostri piedi, oh, aveva ragione Ovidio, allora, dicendo che, fra molti che guardano, uno rimane abbagliato (*).

Conoscete Kaspar Friedrich, David? Dipinse un quadro che ho avuto il piacere di vedere con questi miei occhi, non più di due mesi fa. In verità lo dipinse che noi dovevamo essere ancora bambini, a quello che so, ma immagino dipinse voi, immagino dovesse avervi conosciuto ed ammirato per come sareste diventato.

Volta le spalle, il suo David, sapete? Come facevate voi, su quella barchetta, così concentrato sul fuoco della nostra casa, se mi permetterete di chiamarla così, da non vedere nient’altro.

 

Ecco, ecco che finalmente riesco a sorridere un po’. Sono giorni che non lo faccio. E non è solo il pensiero di voi fissato su una tela, a farmi gioire, ma è la certezza che voi mi capiate. Devo avervelo già detto, lo so, ma permettete di ricordarlo ancora: mi avete incantato, l’ultima volta che ho avuto il piacere di parlare con voi di arte e di musica.

 

David, voi mi mancate.

 

 E sapete quanto mi costi ammettermi vinto su questo fronte. Ho creduto che voi non mi foste così necessario, e invece mi accorgo di non riuscire a sentirmi sereno.

Ne parlammo a lungo, lo so, l’ultima volta che vi ebbi qui. Ma sapevate già che avrei insistito di nuovo. Mi conoscete.

Ditemi che tornerete presto a Londra, ditemi che accetterete di riempire ancora la mia casa con il suono flautato del vostro fastidioso accento scozzese.

Attendo un vostro sì.

Oppure una spada, Narciso, che sia ricca e dignitosa (**).

 

Avete il mio cuore.

 

William

 

*

 

Lord David Charles Mallow-Hamilton scese dalla carrozza, accolto dall’aria umida e tiepida di Londra, che gli punse il naso. William lo aspettò, fermo sull’ingresso di casa sua, osservando con aria divertita il lavoro dei facchini, che scaricavano i bagagli di David, sotto la sua apprensiva supervisione.

- Sapevo che vi avrei convinto. – sogghignò, appena David fu abbastanza vicino da poterlo udire.

- Vi detesto, con tutto il cuore, William. – borbottò lui, stropicciandogli la lunga lettera provata dalle continue riletture davanti agli occhi.

- Oh, non mi importa affatto. – rispose William, sereno. – Qualsiasi cosa facciate con il vostro cuore, non può che rendermi felice. –

 

David si abbandonò su una delle poltroncine del salotto, accettando malvolentieri una tazza di tè.

- Siete invecchiato, William. -

- Sciocchezze. – William sorrise obliquamente, gli occhi lucidi e grigi attenti alle mani di David. – Non si invecchia mai, mio caro David, si continua a crescere. -

- Interessante eufemismo. – David raccolse le braccia sul petto, vagando con lo sguardo per il salone luminoso e decorato di pezzi d’antiquariato. Si alzò con indolente compostezza, aggirando la poltrona di pelle che lo aveva ospitato per pochi minuti, e raggiungendo la finestra più ampia della stanza, quella che dava sul giardino interno, ben curato, e pallidamente colorato da qualche fiore.

 

- Ogni volta che vi vedo, la vostra testa mi sembra sempre più affollata di pensieri. E dire che vi vedo così raramente. -

Le mani segnate da piccole venature azzurre di Wiliam toccarono le spalle di David con gentilezza. David inspirò a fondo l’aria profumata di tarda primavera, di legno pregiato e di fuliggine che impregnava la città di William. Osò reclinare all’indietro la testa fino a sentire sulla nuca il pizzo di un fazzoletto, e la pressione di un bottone ornamentale.

- C’è qualcosa che vi preoccupa? -

Era incredibile quanto la voce di William potesse cambiare, da una parola all’altra. Un attimo prima era tagliente e divertita, quello dopo era come una paternità vellutata.

- Mi preoccupate voi. – rispose David. – E ciò che provo rivedendovi. È troppo forte, come un distillato maligno, che mi porta all’ubriachezza se solo ne sento il profumo. -

- Forse, se lo assaggiaste, non si rivelerebbe poi tanto odioso. -

William sorrise sulle labbra appena socchiuse del giovane scozzese. Sorrise di un sorriso appena un po’ malinconico, del sapore delicato e ancora velato di burro della sua bocca.

- Non avete nulla da temere, da me. – bisbigliò, gli occhi socchiusi sulle ciglia di David.

- E da me? –

- Dentro di voi non covate che fantasmi. -

- Non trattatemi come un bambino. -

- Non lo faccio, lo sapete. È come uomo adulto che insisto nel chiedervi di restare. -

- Ne abbiamo già discusso molte volte. -

- Non è vero. Non considererò il discorso concluso finchè non sentirò da voi la risposta che voglio. -

- Il vostro è egoismo. E presunzione. -

- Lo so. Ma è il modo che ho di amarvi. - 

David alzò gli occhi al cielo, esasperato. – Amarmi. – borbottò, senza sapere come proseguire.

- Tornate a Londra, ve ne prego. – William gli riavviò un ciuffo di capelli chiari. – Penserò io ad ogni cosa, a trovarvi una sistemazione adeguata, e a raccomandare la vostra riammissione al più presto. Lord Burghwell non mi negherà ancora a lungo questo favore. -

David inarcò un sopracciglio. - E fatto questo? -

- E fatto questo, non mi perderò un solo altro istante di voi. -

David abbassò repentinamente gli occhi. – Voi sapete. – esordì con tono formale. – Dei rischi che correte. Voi più di me. Siete un nome rispettabile, qui a Londra. -

- E lo sarà anche il vostro. -

- E’ una pazzia, una pazzia che ci trascinerà entrambi in mezzo alla bufera. -

William rise cordialmente. – Mio caro David, voi ascoltate con troppo trasporto i concerti di Beethoven. -

- Faccio sempre tutto con troppo trasporto, secondo voi. -

- Ma è la verità. – William si strinse un po’ nelle spalle, sorridendo con semplicità. – Se solo vi fidaste di me, non ci sarebbe nulla di cui preoccuparsi tanto. Non è mai successo nulla, le altre volte che ho avuto il piacere di avervi qui, non ricordate? -

- Non successe nulla perché rimasi troppo poco. – sbuffò David.

- Ascoltatemi. – La mano destra di William si fece ferma, sul braccio di David. – David, io sono un uomo prigioniero di questa città, e del mio stesso nome, senza di voi. Potete aver paura, io vi capisco, ma per l’amor del cielo, non sopporterò di vedervi andar via un’altra volta. -

- Finirete in carcere per aver indugiato un momento di troppo sui miei capelli, con l’aria che tira. -

- Sono già in carcere, e che voi vogliate credermi o meno mi sento vivo, in questa prigione. -

 

*

 

David trovò una graziosa villa non lontana da quella di William, e si rassegnò a restare. La sua nuova casa era un rifugio perfetto, per loro due, ma William insisteva spesso perché David si fermasse da lui, per tutta la notte, nel suo studio.

William amava accarezzargli i capelli, mentre lo ascoltava infervorarsi contro le sue idee grette e conservatrici; amava mescolare la passione al Brandy, Shakespeare alla passione, e la musica all’Amleto.

E, specialmente in quei momenti, amava provocare David fino alle lacrime.

 

- Vi sono mancato? -

- Non dite sciocchezze. Continuate a tornare sul passato, anche ora che avete ottenuto ciò che volevate. -

- E’ vero. Ma insisto, vi sono mancato oppure no? -

- Non mi è mancato il vostro odioso carattere, William. Affatto. -

- Ma se sono lo scapolo più ambito di tutta Londra, per il mio magnifico carattere! -

David sbuffò un mezzo sorriso. – Nessuna donna con un po’ di senno accetterebbe mai di sposarvi. –

- Sciocchezze, sono io che non intendo sacrificare la mia misera esistenza alle ingordigie di una Lady Hudgens. -

- Non avrete figli. -

- Sarei un padre terribile. -

- E chi si occuperà del vostro nome? -

- I figli di quella strega della mia deliziosa sorella. -

- William. -

- State forse cercando di farvi scacciare dal mio letto, David? -

David arrossì vistosamente, e William si godette l’espressione terribilmente imbarazzata del suo viso.

- Come mai vi preoccupate tanto di trovarmi una moglie? – insistette, sogghignando.

- Non me ne preoccupo affatto, la mia era semplice curiosità. – rispose David, spiccio.

- La vostra è gelosia, David. Voi temete che io vi abbandoni per sposare qualche avvenente ragazzotta di buona famiglia. -

- Non siate assurdo. -

William si concesse una risata libera e allegra, fra i capelli di David, che cercò di divincolarsi, risentito.

- Morirei senza di voi. – disse all’improvviso. – Perciò ora dormite, prima che io sia tentato di andare a cercare qualche buon verso di Milton, per leggervi la vostra stupidità. -

- Avete frainteso le mie parole. -

- Non lo escludo. Ma sono troppo assonnato per pensarci ora, e da domani questa casa diventerà un inferno. -

- Andiamo, detestate così tanto la vostra famiglia? -

- Al punto da essere letteralmente fuggito dalla casa di famiglia, il giorno stesso della mia nomina in Parlamento. -

- Vi scriverò qualche lettera per confortarvi. -

- Oh, ve ne sarei grato, con tutto il cuore. Sarebbe la scusa ideale per chiudermi nel mio studio, e affogare nel Brandy e nelle vostre parole finchè riuscirò a non sentire più l’insopportabile voce di mio cognato. -

 

*

 

19 Settembre 1836

 

Mi avevate promesso una lettera, e invece ciò che avete fatto è stato davvero crudele.

Vi deve piacere molto, Narciso, rendermi folle della vostra assenza, con le vostre promesse. Vi deve divertire, immaginarmi disperato e circondato da presenze sgradite ed irritanti, quando sapete che non penso che a voi, e che non vorrei che voi, qui.

Lo sapete, non è vero, che ogni vostra parola mi è costata dolorose fantasie sul vostro corpo superbo? Muoio, per le vostre mani, e per la morbidezza illecita della vostra bocca, e tutto il fuoco che mi avete fatto respirare, nella vostra lettera, dovrete permettermi di saggiarlo, dovrete concedermelo, dovrete lasciarmelo spegnere pian piano, sulla vostra schiena affilata.

Crudele, crudele mio Narciso, vi ringrazio di esservi premurato di sincerarvi della mia buona salute, ve ne sono tanto grato che fingerò di non aver colto la vostra compiaciuta ironia. Mi inquietate, tanto cominciate ad assomigliarmi.

Lo voglia il Cielo, e tutti gli spiriti magni di questo glorioso Paese, entro domani, non più tardi dell’ora di pranzo, questa casa sarà di nuovo, finalmente, come l’ho sempre amata: vuota e silenziosa. Ed allora state pur certo che manderò una carrozza a prendervi, ed esigerò che voi passiate con me almeno un giorno ed una notte, per purificare le mie povere orecchie, e consolare i miei occhi. E, chi può dirlo, incendiare i miei sensi.

Ma nel frattempo, Narciso, divertitevi, e ridete ancora un po’ della mia disgrazia. Sarete ancora più bello da rivedere.

 

William

 

 

 

 

(*) Libera interpretazione di un passo di Ovidio, “L’Arte Amatoria”

(**) Riferimento alla vicenda mitologica del suicidio di Aminia: innamorato di Narciso, gli chiese un pegno d’amore, e Narciso gli inviò una spada, invitandolo a togliersi la vita.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

 

 

10 Novembre 1836

 

 

Troverete questa lettera sul cuscino del vostro letto, se la vostra cameriera avrà fatto il suo dovere. Spero che vi possa regalare il primo sorriso, dopo tanto tempo.

È stato penoso vivere tutte queste settimane senza potervi avvicinare, William. Penoso per il mio cuore. Ma finalmente, oggi vi faranno uscire da quell’orribile carcere, e anche se troverete una casa vuota ad attendervi, so che ne sarete felice, tanto che posso persino provare ad immaginare il vostro sorriso sottile, mentre vi versate un po’ di quel vostro buon Brandy che adorate. E che deve esservi mancato moltissimo.

Avete fatto tutto questo per me, ed io ancora non so cosa dire, non so come sdebitarmi, per ciò che avete passato per proteggermi.

Ho parlato con Lord Burghwell, e grazie al suo prezioso aiuto, e quello indispensabile di alcuni altri amici affezionati ai vostri insopportabili modi, i gentili signori del tribunale sono stati costretti a far cadere le accuse contro di voi, ed archiviare il vostro caso come un malaugurato fraintendimento. Sono più che certo che voi avrete trovato tutto molto ironico, ma mi auguro soltanto che in futuro non affiderete mai più una sola riga al vostro orribile giardiniere, che di Narciso dovrebbe conoscere solamente il fiore. E spero che sarete duro quanto si conviene, con lui, per avervi procurato tanti pensieri.

Mio William, il vostro cuore è mille volte più grande di quanto vi piaccia far credere agli altri. Ed io spero di potervi posare presto sopra il mio volto.

 

David

 

William sorrise davvero.

- Marianne, avverti che preparino una carrozza, immediatamente. -

 

*

 

- Ricadremo sempre nello stesso errore. –

- E ne usciremo. – William sorrise mitemente, vagando con la mano sulla spalla di David, calda nonostante il fuoco del caminetto fosse quasi spento. – E vi ricadremo, e ne usciremo, e vi ricadremo ancora, e ancora… -

- Ora siete voi che somigliate a Turner. -

William sorrise teneramente.

 

Era cambiato di un po’, da quando era tornato a casa, libero. Non che si potesse dire che avesse mutato atteggiamento, no. Il suo era stato più un cambio di sfumatura, in alcuni dei tratti più periferici e vaghi della sua personalità. Sorrideva con la stessa, imprevedibile frequenza di sempre, ma lo faceva con un po’ più di sincerità, qualche volta. Si sarebbe potuto azzardare che avesse imparato una qualche importante lezione sulla vita, se lo si fosse conosciuto un po’ meno. Talvolta dava esattamente quell’impressione, quando si isolava nei suoi pensieri, la fronte corrugata, il mento chiuso fra le dita della mano sinistra, e gli occhi scuri persi chissà dove.

 

– Venite, voglio suonare qualcosa. –

David si accorse solo allora del pianoforte, sistemato in un angolo discreto del salone, quasi nascosto. Pensò che non ciò non lo stupiva poi molto: William non era il genere di persona che tiene un grande pianoforte in mezzo ad una stanza, pasto per ostentazione ed adulazione. Probabilmente non lo suonava mai, in pubblico, come se la sua funzione fosse privata ed esclusiva, un passatempo come quello della lettura, qualcosa da fare con soli, o con pochi. Con lui, fino a quel momento, non aveva mai suonato, ma qualcosa spinse David ad immaginare già che lo avrebbe fatto divinamente. Si aggiustò distrattamente la camicia, prima si alzarsi per raggiungerlo.

- Conoscete Bach? – mormorò pigramente William, cominciando ad accennare ad un motivo fragile, dalle lunghe pause.

- Temo di no. – ammise David.

- E’ un peccato. Credo che Bach vi si addica. –

- E voi come fate a dirlo? –

William aggrottò le sopracciglia, divertito. – Molto più di quanto vi si addica il chiasso di quel Beethoven. –

- Ma come osate! – protestò David, indignato. – Voi siete, maledizione, arrogante, e presuntuoso, e sputasentenze. –

- Dovreste davvero ascoltare un concerto di Bach. – insistette William, sordo ad ogni critica. – Lo amereste. –

David sbuffò, mentre William si dilettava a suonare brevi sequenze che lasciava a metà, che abbandonava continuamente per altre, capricciosamente. Sembrava un bambino, circondato da tanti soldatini, che non sapeva quale scegliere. Il suo sorriso appena alluso, che gli illuminava il volto come una cipria discreta, era bello. Semplicemente, era bello, era quello di un uomo raro.

- Suonate Für Elise. –

- Ho detto niente Beethoven. – lo rimproverò William.

- Ma Für Elise non può non piacervi. –

- Non ho detto che non mi piaccia, ho detto che voi ne siete assuefatto. –

- Ve ne prego. –

William si voltò stancamente verso David, arretrato di appena un passo. Ne conobbe gli occhi intensi, e seriosi. E vivaci di un entusiasmo sincero e profumato.

E si rassegnò a suonare.

- Für David. – mormorò in un mezzo sorriso. – Voi mi rendete troppo buono, Lord, troppo buono. –

 

*

 

- Quei pazzi. – borbottò Lord Burghwell, fra un passetto e l’altro. – Accusare voi di omosessualità? Inaudito, inaudito. -

- Inaudito, invero. – concesse William a mezza voce.

 

David non osò intervenire, ma rivolse uno sguardo grato alle calzature che indossava, lucide a sufficienza da tenere occupata la sua attenzione per qualche minuto ancora.

 

- Non parliamone più, la prossima volta che vorrò nominare la parola “tribunale”, sarà per comunicarvi che quegli idioti sono stati sospesi per diffamazioni e calunnie a danno di un membro della Camera dei Lord, nonché rispettabilissimo gentiluomo. -

- Sapete quanto ve ne sono grato, Richard, amico mio. -

- Sciocchezze, William. Mi batto da una vita intera contro le menzogne e le infamie con cui i più meschini e invidiosi continuano a bersagliarci. Che si guardino i loro figli effeminati e rozzi, prima di gettar fango su un nome onorato come il vostro. -

 

William diede un sospiro di sollievo, appena il frastuono di marmi, metalli e voci li costrinse tutti a zittirsi.

- Il progetto vi soddisfa, Lord Burghwell? – insinuò David, proteggendo gli occhi dal sole, per poter guardare le impalcature più alte. William lo fulminò con un’occhiata deliziata e severa, a cui Burghwell non fece caso.

- Per nulla, caro Lord David, per nulla. – bofonchiò. – Troppo severo, troppo monolitico, troppo classico, per i miei gusti. -

- Via, non siate troppo esigente. Questa non è che una capanna provvisoria, in fondo. Al prossimo incendio andrà meglio, vedrete. -

- La vostra ironia non mi consola. – si afflisse Burghwell. – Oh, ma se aveste visto, Lord Hamilton, com’era magnifico, il nostro Parlamento, prima della disgrazia. Degno della grande Nazione che siamo. -

- Sono d’accordo. – fece William, leggero. –Il nostro povero Lord David non ha nemmeno fatto in tempo ad ammirare un po’ di civiltà, che questa ha deciso di andare a fuoco. Assolutamente riprovevole. –

Burghwell ridacchiò, arrossandosi tutto. – Siete davvero tremendo, amico mio. -

- Ho cercato di farglielo notare anch’io. – mormorò David. – Ma sembra che Lord William sia sordo ai richiami di chiunque. -

- Sono sordo a molte cose, David, ma state pur certo che il vostro incantevole accento saprei distinguerlo senza alcuna difficoltà anche nel mezzo di una burrasca. - 

- Con le prossime nomine, Lord Hamilton avrà tutto il tempo di abituarsi al sarcasmo del nostro buon William. -

David gemette per soffocare una risata, lasciando che Burghwell lo interpretasse come un sospiro sconsolato. William indugiò sui suoi capelli chiari e composti, illuminati dalla luce fioca del sole dicembrino, e sul profilo delle sue palpebre, che vibravano ad ogni colpo di martello, ad ogni grido degli operai.

- Tutto il tempo che vorrà. – disse, con un mezzo sorriso.

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Eccoci qui, già alla fine. Un grazie di cuore a tutti quanti hanno letto questa breve storia e hanno lasciato una loro opinione!

Nonostante la storia sia finita, credo che prima o poi riprenderò in mano questi personaggi e questa vicenda, magari con qualche spin-off, o perché no, con un seguito vero e proprio.

Non potrei mai abbandonare William!

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