Dietro l'ingannevole velo delle apparenze

di Rorat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black out ***
Capitolo 2: *** Un nuovo incarico ***
Capitolo 3: *** Mokkori man ***
Capitolo 4: *** Attentato ad Haruko?!? ***
Capitolo 5: *** Quando agli angeli spuntano le corna ***
Capitolo 6: *** Ricordi ***
Capitolo 7: *** La vera Angel ***
Capitolo 8: *** Un invito inaspettato ***
Capitolo 9: *** Contraddizioni ***
Capitolo 10: *** Danzando nella tana del lupo ***
Capitolo 11: *** Attese ***
Capitolo 12: *** Evoluzione ***
Capitolo 13: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 14: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Black out ***


Black out

 

Quando quella notte la corrente elettrica venne a mancare, Kaori si trovava nella sua stanza, sdraiata sul letto, intenta a leggere un giallo che, pagina dopo pagina, diventava sempre più interessante.

“Verso le nove del mattino, il detective Malone si svegliò. Si alzò cautamente per non svegliare Diana, che gli dormiva accanto, e andò a guardare Elisabeth. Nel suo letto la bambina non c’era, in bagno neanche. Era scappata, come aveva temuto. Ma come diavolo aveva fatto, se la porta era chiusa a chiave e la serratura ancora bloccata? Allora si mise a guardare in tutti i posti in cui avrebbe potuto nascondersi. Niente, svanita. Doveva svegliare Diana e dirle che…” 

Kaori non poté terminare la lettura della frase che all’improvviso la lampada non emise più luce e la stanza piombò in un buio pesto.

Si stupì, si lamentò, imprecò, ma non per questo la luce ritornò, così decise di alzarsi e, avanzando a tentoni, cercò di orientarsi verso la porta. Raggiunse il corridoio, per un soffio evitò di cozzare contro lo spigolo di una scarpiera e finalmente arrivò in cucina. Frugò nei cassetti e trovò il suo santo graal: la torcia a pile. L’accese.

Percorse tranquillamente la sala da pranzo. Uscì in balcone.

Erano numerose le persone affacciate alle finestre dei palazzi, che circondavano quello in cui abitava insieme a Ryo, uno sweeper di fama internazionale, di cui, lei, era l’assistente.

Anche fuori si era circondati dalle tenebre.

Osservando l’orizzonte, Kaori poté constatare che, esclusa la parte del quartiere di Shinjuku colpita dal black out, Tokyo continuava  a sfavillare in lontananza.

All’incessante canto delle cicale si unì il brusio e il parlottio dei vicini. Un insieme di vari tipi di voci: femminili, maschili, cristalline, nasali, adirate, annoiate, lamentose, si mescolarono insieme creando un coro fastidioso e stridulo.

Molte di loro informavano di aver telefonato alla compagnia elettrica: avevano risposto che stavano lavorando alle centraline e che tra circa un paio d’ore avrebbero ripristinato la tensione.

Era estate, un caldissimo agosto, l’umidità era alle stelle, l’aria era ferma e densa. Con climatizzatori e ventilatori fuori uso, pareva impossibile pensare di rimettersi a letto, ma la resa fu inevitabile. Stufi di mormorare, i vicini preferirono rientrare in casa. Il bisbiglio cessò, persino il frinire delle cicale ebbe fine. A rompere il silenzio rimase solo il rombo di qualche motore in lontananza. Kaori si abbandonò all’idea di provare a dormire e con la torcia accesa fra le mani, si avviò in cucina. Il caldo appiccicoso le aveva messo sete.

Aprì il frigo. Sarebbe rimasta volentieri lì davanti a godersi la salvifica frescura, ma, afferrata una bottiglia d’acqua, richiuse subito lo sportello per non disperdere il freddo. Pensò che da qualche parte ci dovevano essere delle candele. Avrebbe potuto cercarle, accenderle e facendosi luce con quelle aspettare il ritorno di Ryo. Quello scansafatiche, come al solito, non era in casa, sicuramente indifferente al fatto che, quasi tutta la zona in cui era collocato l’appartamento in cui viveva, fosse al buio.

“Sono certa,” pensò Kaori, “che quel porco è in qualche postaccio a divertirsi, a ubriacarsi, a far baldoria… Perché cavolo  dovrei preoccuparmi per lui?”

Ritornò in camera sua di malumore, tuttavia, nonostante la temperatura sfiorasse i 40° C, prese miracolosamente sonno poco dopo aver appoggiato la testa sul cuscino.

Aveva lasciato la porta della camera socchiusa, in modo da poter sentire l’arrivo di Ryo, che, da animale notturno qual’era, aveva l’abitudine di rincasare all’alba, canticchiando motivetti spensierati a bocca chiusa.

Non erano ancora le due di notte quando un rumore sordo, proveniente dal piano inferiore, la svegliò di colpo. Allungò una mano verso la lampada che teneva sopra il comodino, ma al click tutto rimase avvolto dal buio più totale: la luce non era ancora tornata.

Impugnò la torcia e scese al piano inferiore certa di trovarvi Ryo.

Cercò, illuminando la sala da pranzo, di scorgere la sagoma dello sweeper, ma non sembrava esserci anima viva in quella casa, a parte lei.

“Ryo,” chiamò a voce alta, “sei tu?” domandò.

Silenzio, nessuno rispose.

Kaori, ne era più che certa, quel rumore lo aveva sentito benissimo, non lo aveva sognato. Qualcuno doveva per forza essere lì. Si convinse che Ryo stesse approfittando della mancanza di luce, per sgattaiolare inosservato nella sua camera evitando di incontrarla o, magari, per comparire all’improvviso e farle prendere uno spavento.

“Avanti, non fare il cretino, esci fuori,” intimò Kaori. “E’ inutile che tu rimanga nascosto, ti ho sentito entrare. Forza, esci.”

Anche questa volta nessuno aprì bocca.

Nel tentativo di individuare il collega, esplorò la stanza spostando il sottile fascio di luce ovunque. Fu accurata, scrutò ogni mobile, divano, tavolo, dentro, dietro, sotto il quale Ryo si sarebbe potuto nascondere. Niente.

“Possibile che lo abbia solo immaginato?” si domandò.

Era del tutto inutile rimanere lì, probabilmente non c’era davvero nessuno, era stato solo uno scherzo della sua mente. Decise di ritornarsene a letto, tanto più che in quel silenzio abissale, Kaori riusciva persino a sentire i battiti del proprio cuore. Anche fuori tutto sembrava essere immobile.

Risalì le scale, si era appena lasciata alle spalle il quarto gradino, quando la luce della torcia s’illanguidì a poco a poco, per poi morirle tra le mani.

“Maledizione,” si lamentò, “ci mancava solo questa.” Tentò di rianimare l’apparecchio sferrandogli qualche colpo con il palmo della mano. Un ultimo debole bagliore si diffuse agonizzante davanti a lei, prima di estinguersi del tutto.

“Stramaledette batterie!”

Stava ancora brontolando quando l’impressione che qualcuno fosse con lei in casa divenne certezza fisica. Avvertì un odore estraneo, un’ombra scivolare lungo i margini ciechi del suo campo visivo, una presenza quasi invisibile avvicinarsi a lei. Non ebbe il tempo di voltarsi, perché si sentì afferrare alle spalle da braccia robuste. Una mano inguantata stretta alla bocca le impediva di gridare.

La torcia elettrica le scivolò dalle mani, cadde sul pavimento e si riaccese. Un debole cono di luce le permise di intravedere il suo aggressore.

Portava abiti scuri e, nonostante il caldo, indossava un passamontagna; rimanevano scoperti due occhi azzurri, freddi e taglienti come lame di ghiaccio. Era lampante il fatto che non volesse farsi riconoscere. Era più basso di Ryo di una decina di centimetri, muscoloso, ma allo stesso tempo agile e veloce nei movimenti.

Chi diavolo era quello? Cosa voleva da lei? Era forse un ladro? Se veramente lo era, doveva essere proprio sfortunato: in quell’appartamento non c’era niente da rubare. Gli elettrodomestici non erano dei più nuovi, di gioielli manco l’ombra e i soldi dell’ultimo incarico erano serviti per pagare le bollette, riempire il frigorifero, comprare qualche vestito nuovo…

Kaori era rabbiosa, ogni tentativo di liberarsi dalla presa di quell’uomo pareva inutile. Le forti braccia dell’oscuro individuo la tenevano stretta in una micidiale morsa. Si sentiva come una preda presa in trappola e a nulla le valse divincolarsi, neanche quando l’intruso si servì di una delle mani per estrarre qualcosa dalla tasca dei propri pantaloni.

Lo sconosciuto le spinse sulla bocca un bavaglio di stoffa imbevuto di cloroformio, la city hunter sentì l’odore dolciastro dell’anestetico attraversarle le narici,  penetrarle la gola, espandersi nel petto. Divenne debole, le gambe cedettero, gli occhi pesanti si chiusero e le parve di scivolare a terra lentamente mentre perdeva conoscenza. Prima che potesse raggiungere il pavimento, l’uomo però l’aveva risollevata da terra e, caricandosela sulle spalle, si era diretto fuori dall’appartamento.

Un furgone nero, con il motore acceso, lo attendeva nello spiazzo davanti la casa dello sweeper. Non appena fu dentro con la city hunter, l’autista schiacciò l’acceleratore e il veicolo sfrecciò a tutta velocità, eclissandosi nella notte.

 

La zona dei motel e dei locali notturni di Kabukicho, che Ryo era solito frequentare, non era stata colpita dal black out e le insegne luminose di pensioni, club e bar illuminavano a giorno le strade. Deliziose ragazze, in costumi  ultra sgambati da conigliette, cercavano di accattivarsi le simpatie dei passanti con moine maliziose.

Lo Stallone di Shinjuku, Ryo Saeba, si aggirava barcollando, mezzo ubriaco, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, proprio per una di quelle strade, ammiccando sorrisi da ebete alle procaci giovani in costume.

“Ryo, Ryo,” lo chiamò alle spalle un vocione sgraziato.

Saeba si voltò lentamente ritrovandosi di fronte un donnone alto, corpulento e muscoloso, vestito con un abito succinto e di colore rosso fuoco.

“Ryuccio, quando passerai un po’ di tempo con me?” domandò piagnucoloso il vocione di Erika, un trans che Ryo conosceva da anni e che era innamorato cotto di lui. 

“Hic, hic” singhiozzò lo sweeper. “Stasera niente, eh? Erika, hic, sono troppo ubriaco, hic, stavo giusto ritornando a casa, hic.”

“Dai Ryuccio,” insistette il donnone cercando di convincerlo. “e poi, ho saputo che nella zona in cui abiti la corrente manca da ore e non è ancora stata riallacciata. Ti annoieresti a morte a casa, su dai, vieni con me.”

“Dici sul serio, hic?”

“Ma certo, lo sai che non ti mentirei mai!” esclamò con voce mielosa portando le mani sui fianchi e facendo oscillare leggermente il busto.

“Mi dispiace Erika, hic,” si scusò Ryo spalancando la bocca in un enorme sbadiglio. “Sono a pezzi, credo proprio che andrò a dormire.”

“E va bene,” si arrese Erika, “ma sappi che ti lascio andare solo perché non vorrei che la stanchezza ti rovini quel bel visino.”

Gli mandò un bacio sulla punta delle dita e si diresse verso l’entrata del locale di cui era proprietaria. Ryo rabbrividì e con andatura oscillante riprese la via di casa.

Quando lo sweeper giunse nei pressi della sua abitazione, le luci dei lampioni erano accese, il black out era cessato e anche il sole si apprestava a fare capolino tra i palazzi e i grattacieli di Tokyo.

Non appena Erika lo aveva informato della mancanza di elettricità nella zona in cui abitava, i suoi pensieri si erano subito catapultati verso Kaori. Si era domandato cosa stesse facendo a quell’ora del mattino, se fosse sveglia o stesse dormendo, se stesse bene o avesse bisogno di qualche cosa.

Faticava ad ammetterlo, ma ormai aveva completamente perso la testa per quella ragazza, nonostante cercasse di frenare e mascherare i sentimenti per lei in qualunque modo. Non di rado capitava che invece di farle un complimento le sbraitasse contro ogni sorta di critica. Ma per quanto si impegnasse a dissimulare ciò che realmente provava, l’affetto che nutriva nei suoi confronti non svaniva.

Mise la chiave nella serratura canticchiando di avere un bisogno disperato di un letto.

 Aprì la porta, tastò il muro in cerca dell’interruttore, lo trovò e la luce illuminò la stanza. C’era un tale silenzio, la collega stava certamente dormendo.

Prima di andare nella sua camera, passò di fronte a quella di Kaori, la porta era aperta. Di solito, quando la mattina all’alba ritornava a casa o quando nel bel mezzo della notte si svegliava a causa di un incubo (non sempre sognava donnine sexy che gli concedevano mokkori), passando di fronte a quella porta, la trovava chiusa. Infatti, la sua assistente, essendo a conoscenza della sua natura pervertita, preferiva sigillarsi al suo interno, sia che ci fossero le clienti o meno.

Data l’eccezionalità dell’evento, lo sweeper non poté resistere dallo sbirciarvi all’interno. Sprofondò nella penombra e, come in una visione, apparve il corpo di Kaori abbandonato al sonno. Il lenzuolo sembrava un drappo lussurioso che la legava al letto, intrappolando la sua vita sottile, cingendo i fianchi sensuali, languendo sulle cosce nude, scoprendo un paio di gambe incredibilmente lunghe e snelle. Ryo non riusciva a distogliere gli occhi. Kaori si agitò nel sonno, si mosse e, cambiando posizione, il lenzuolo che l’avvolgeva si scostò. Era nuda. Vide il seno bianco, sodo, pieno. Una vallata avvolta dalle ombre in cui smarrirsi.

Ryo lasciò correre lo sguardo su quella pelle lunare, deglutendo estasiato. 

Non avrebbe mai immaginato che Kaori potesse dormire nuda.

“Certo che… nella posizione che ha assunto… il suo seno… già il suo seno, sembra più abbondante” commentò serio, mentre i suoi più bassi istinti si risvegliavano. Senza neanche rendersi conto di quanto stava per fare, le si avvicinò. I suoi sensi la bramavano, le sue gambe erano attratte da quello spettacolo come da una calamita.

Gli sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarla, per toccare quelle forme che sapevano di perdizione, ma il sogno finì, perché Kaori si svegliò e si trovò di fronte lo sguardo famelico di Ryo.

Lo guardò scioccata, saltando in piedi sul letto. Fumava rabbia da ogni poro. Che diavolo ci faceva quel depravato nella sua stanza? Che diavolo voleva farle? E perché continuava a mantenere in volto un’espressione da maniaco sessuale, quando invece avrebbe dovuto assumere l’aspetto di un animale braccato a morte?

La risposta la ebbe non appena, abbassato lo sguardo verso il proprio petto, da cui Ryo non riusciva proprio a scollare gli occhi, con sua enorme vergogna, si accorse che a parte gli slip, non indossava nient’altro. Era nuda. La canottiera che pensava di indossare, chissà perché, non c’era e il suo seno era completamente scoperto.

Un rivolo di sudore le attraversò la tempia, sentì il sangue affluirle velocemente al cervello, le orecchie andarle in fiamme, diventò paonazza.

Kaori lanciò un urlo agghiacciante e mentre con una mano cercava di coprirsi, con l’altra lanciava a Ryo quel che le capitava a tiro. Lo sweeper sgattaiolò fuori dalla stanza a velocità record. Non provò neanche a inventare qualche scusa assurda o a spiegare che lei aveva frainteso tutto; in quel momento il suo istinto gli suggerì l’unica via di scampo: la fuga.

La sua socia era furiosa, se lo avesse preso, altro che martellate e nottate all’aria aperta avvolto in una coperta; lo avrebbe scorticato vivo a forza di konpetito sulla faccia.

Ed era vero, perché Kaori, ancora rossa per la vergogna, pensava solo ad una cosa: vendetta.

Tuttavia era successo tutto così velocemente che non ci aveva capito niente.

Quando mai Ryo aveva cercato di infilarsi nella sua stanza in mancanza di clienti? Ma soprattutto, possibile che quel porco fosse riuscito a sfilarle la canottiera senza che lei se ne accorgesse?

Va be’ che era un super esperto di sconcezze, ma da qui a spogliarla senza svegliarla era difficile. Difficile, ma non impossibile….

Ma ammettendo il caso che non fosse stato Ryo, perché non riusciva a ricordare di essersela tolta?

Colpa del black out? No, che c’entrava quello?  Forse per colpa del caldo? Si era spogliata dimenticandosi però di chiudere a chiave la porta della sua stanza, come faceva di solito?

Ma perché non lo ricordava?

Va bene che più di una volta Ryo l’aveva rimproverata di soffrire di sonnambulismo…

E poi quell’incubo… L’uomo incappucciato che la bloccava e poi tramortiva se lo ricordava e il resto no? Ricordava di aver bevuto prima di coricarsi, di non aver potuto finire il suo bel giallo…

E poi? Si era alzata sentendo dei rumori, no quello era l’inizio del suo sogno…

Impossibile, lei era troppo giovane per soffrire d’Alzheimer mentre Ryo era un depravato capace di tutto, anche a volerlo difendere era impossibile: a scassinare porte era abilissimo e, per un maniaco come lui, non doveva essere stato difficile neanche imparare a denudare le povere ragazze dormienti e indifese come lei.

E poi da quando in qua la sua testa si premurava di scagionare quel fannullone del socio da qualche colpa?

La sua faccia da maniaco sessuale era una chiara prova della sua colpevolezza. In fin dei conti, che importava se la porta fosse chiusa o meno, se lei si fosse tolta la canottiera per il caldo o fosse stato Ryo a sfilargliela? Sempre sul letto se lo era ritrovato e con quell’espressione da allupato dipinta sopra.

Ebbene sì, sentenziò infine il cervello di Kaori, Ryo era colpevole e, come tale, andava punito.

Intanto si erano già fatte le sette.

 

Primo capitolo revisionato.

Mi sembra doveroso apportare delle modifiche, dal momento che la storia risale a molti anni fa.

Cercherò di non attuare stravolgimenti consistenti.

Ringrazio tutti coloro che durante questi anni hanno continuato a leggere questa fanfiction, incentivandomi, con i loro commenti, a portarla a termine.

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Capitolo 2
*** Un nuovo incarico ***


Un nuovo incarico

 

Quando Ryo, alle undici e trenta passate del mattino, entrò ciabattando in cucina, Kaori stava leggendo il quotidiano locale sorseggiando un caffè fumante.

Lo sweeper non ebbe tempo di fiatare che la ragazza alzò gli occhi dal giornale e glieli puntò contro aggrottando le sopracciglia, visibilmente contrariata.

“Porco!” esclamò prima di riabbassare lo sguardo sui fatti di cronaca.

Kaori, pensò Ryo, era più che furente, al momento si limitava alle ingiurie verbali, ma la rabbia repressa le andava aumentando. Prima o poi la socia sarebbe esplosa e lui sarebbe stato la principale e unica vittima. Era meglio parlarle il meno possibile e starle alla larga.

Dal canto suo, la city hunter decise, senza neanche avvertire il collega, di recarsi alla stazione di Shinjuku per controllare la presenza di qualche richiesta d’aiuto sulla lavagna.

Camminava con passo svelto, non riusciva a togliersi dalla testa la faccia depravata di Ryo, il solo il ricordo di quello che le era capitato la riempiva di vergogna, ma gliel’avrebbe fatta pagare a quel maledetto, cercava solo il momento giusto.

Intanto lo stallone di Shinjuku, dopo aver vagato su e giù per casa come un animale in gabbia, decise di vestirsi e di andare a caccia. Per allontanare dalla mente il timore per l’incombente vendetta della socia, sarebbe bastata la visione di qualche avvenente fanciulla, fasciata da un abito scollato o da una gonna cortissima.

“Al diavolo Kaori!” pensò. “Quella virago… Non capisco come tu abbia potuto spingermi a comportarmi in quel modo…” disse rivolto al suo amico.

“Che fai? Cambi improvvisamente gusti?” lo rimproverò.

“Certo che a saperlo prima che Kaori dormiva nuda, una capatina ogni tanto…. Ma che dico? Cioè che mi fai dire? Quella è l’unica donna su cui non devi avere pensieri… E’ un maschiaccio, non è per niente femminile, è manesca, non ha grazia e poi con la penombra, chissà che ti è parso di vedere… Le tavole sono più fornite di lei…”

La conversazione durò un altro po’ e, con la scusa di portare alla ragione le sue parti basse, lo sweeper cercò di distogliere da Kaori soprattutto se stesso.

La chiacchierata cadde del tutto quando lo sweeper arrivò nei pressi dello Studio Alta Building, lì il “fedele compagno dello sweeper” fu distratto da una piacevole visione.

Che spettacolo aveva di fronte: seni traboccanti, schiene abbronzate, gambe flessuose.

A Ryo sembrò di essere arrivato in paradiso, aveva solo l’imbarazzo della scelta.

Si guardò in giro in cerca di una preda e la trovò.

Un corpo seducente, dentro un abito rosso lussuria, quasi lo abbagliò con la sua bellezza.

Puntato l’obiettivo, vi si abbatté senza perdere altro tempo.

 “Signorina, che ne direbbe di bere qualcosa con me?” propose impertinente alla sconosciuta.

La giovane si voltò per rispondergli, portando alla fronte gli occhiali da sole. Due occhi da gatta selvatica lo guardarono sorpresi.

“Ryo, è un bel po’ che non ci si vede…”

Non appena la riconobbe il city hunter sorrise come un ebete.

“Reika,” balbettò.

“Sono felice di incontrarti,” ammise l’avvenente investigatrice, avvicinandosi a lui. “Sai, in questi giorni sono piena di lavoro... fino al collo, non è che mi daresti una mano?” domandò con voce suadente, cosa che a Ryo faceva completamente perdere la testa, soprattutto se a parlare così erano delle labbra invitanti come quelle che aveva davanti.

“Naturalmente ti pagherei,” aggiunse maliziosa, inclinando il busto verso lo sweeper, lasciandogli intravedere il seno prosperoso, quasi a volergli suggerire che la ricompensa non sarebbe di certo stata in denaro.

L’immaginazione dello stallone di Shinjuku schizzò a velocità stellare, edificando una scena in cui la bella investigatrice lo accoglieva, nuda e conturbante, tra lenzuola di seta.

Divorato dalla lussuria, era pronto a seguire Reika anche in campo al mondo, quando sentì qualcuno afferrargli una spalla.

“Ryo, dove credi di andare?” lo interrogò una voce rabbiosa. Si voltò. Non appena vide gli occhi di Kaori brucianti d’odio, i suoi piani libidinosi crollarono all’istante.

“Qualcosa non va?” domandò Reika con tono innocente.

“Certo, Ryo non ha tempo da perdere con te!”

“Non credo proprio, vero, Ryo? Diglielo tu con chi vuoi stare,” incalzò la sensuale investigatrice, mentre imprigionava lo sweeper tra le sue braccia.

Kaori sentì il sangue ribollirle nelle vene. Se c’era qualcosa che non sopportava era vedere Ryo fare il cascamorto con le donne, ma perdeva completamente la ragione quando queste, invece di tenerlo lontano, se lo tiravano dietro.

La city hunter tentò di controllare la collera, ma, quando il socio fece scivolare una mano audace più in basso di quanto la decenza permettesse, fare appello al buon senso fu completamente inutile.

Kaori sbottò e impugnato uno dei suoi martelli più pesanti, si scagliò sul dongiovanni con tale rapidità e violenza da lasciarlo esanime sul marciapiede.

Reika assistette alla sfuriata a bocca aperta. Contemplò quel che rimaneva di Ryo, spostò gli occhi verso la sweeper, che inviperita la osservava minacciosa, quindi decise di battere prudentemente in ritirata. Salutò in fretta i due city hunter e se la defilò con la scusa di avere  delle faccende molto urgenti da sbrigare.

Kaori poté così afferrare il partner per il bavero della giacca e, informandolo di aver finalmente trovato un lavoro, trascinarlo al luogo dell’appuntamento.

Giunti al luogo prestabilito, attesero l’arrivo della cliente. Ryo non accettava mai incarichi dagli uomini, a meno che non ci fossero di mezzo graziose sorelle o fidanzate disposte a concedergli un mokkori.

La donna fu puntuale. Alle sedici spaccate si fece trovare davanti alla fontana che decorava il cortile d’ingresso del Sunrise. Kaori, che per farsi riconoscere si era stretta un fazzoletto arancione intorno al polso, le fece segno di avvicinarsi ad uno dei tavolini esterni del bar ristorante, in cui lei e Ryo avevano preso posto.

“Buongiorno”, li salutò la sconosciuta, “siete voi city hunter?” domandò.

Lo sweeper sentendo una voce estranea, alzò il viso per vedere a chi appartenesse. Era una donna dall’aspetto serio e severo, con i capelli scuri raccolti dietro la nuca. Aveva una faccia già invecchiata dal tempo, con le zampe di gallina, le rughe d’espressione, le borse agli occhi, un naso aquilino e, vistosamente sporgente, un grosso neo sulla guancia destra. A volersi immaginare una cinquantenne più brutta, Ryo non sarebbe stato capace. La donna, invece, si trovò davanti una faccia sorpresa dai connotati irriconoscibili: gonfia, rossa, piena di ferite e cerotti.

La delusione fu reciproca: Ryo, al posto di un’avvenente fanciulla, aveva davanti una donna di mezza età, per nulla attraente; la signora, uno dei più temuti sweeper reduce da un evidente KO.

La cliente preferì discutere le condizioni del loro incarico in un luogo lontano da occhi indiscreti. Una lussuosa limousine li condusse nell’abitazione della signora: un’elegante villa dalle grandi finestre, arredata con raffinatezza e buon gusto.

Si accomodarono nello studio dove, tra tappeti di seta, mobili antichi, opere d’arte e tende ricamate, appresero che la cliente, Yuka Kyota, era una persona che non amava dilungarsi in chiacchiere.

“Il motivo per cui l’ho contattata, signor Saeba, è solo uno: voglio che lei protegga mia nipote, Haruko.”

La parola nipote ebbe in Ryo l’effetto di una miracolosa panacea, lividi e depressione sparirono, come anche l’idea che gli era balenata in testa non appena aveva visto la cliente, ovvero rifiutare l’incarico.

Kaori, guardando il collega. sospirò rassegnata. Poteva dargli tutte le mazzate che voleva, ma quell’uomo non sarebbe mai cambiato.

“Mi dica,” chiese interessato “com’è sua nipote? Bella? Alta? Mora? Diciotto anni li ha già vero?”

Kaori non fece in tempo ad assestargli una gomitata al fianco che la porta dello studio si aprì ed apparve un angelo.

L’angelo, Ryo non seppe definirlo in altro modo in quel momento, era una giovane di circa vent’anni, alta, bionda, abbronzata, dal corpo perfetto.

Un raggio di sole, filtrando da una delle finestre, si era premurato di avvolgerla di luce sulla soglia, mettendone in evidenza i delicati tratti del viso.

“Posso entrare?”

“Entra pure, cara.”

La giovane si mosse verso il divano come se i suoi piedi non toccassero terra, ma fluttuassero sul pavimento.

“Chi sono questi signori, zia?”

Il city hunter non diede alla signora Kyota neanche il tempo di rispondere alla nipote. Lo sweeper, volato ai piedi della ragazza, era già intento a farle un baciamano.

“Lei è veramente magnifica,” disse, optando per un approccio di tipo galante. “Sono Ryo Saeba, sua zia mi ha incaricato di proteggerti.” Passò dal lei al tu senza neanche accorgersene, i formalismi non erano proprio fatti per lui.

“E tu, invece, chi sei giovanotto?” chiese rivolta a Kaori.

E no! E che cavoli, la storia di venir scambiata per un ragazzo era vecchia. Non era affatto giusto, solo perché indossava un paio di jeans e una maglietta dovevano scambiarla per un “giovanotto”? Ma che avevano al posto degli occhi?

A Ryo scappò un sorriso. Kaori sbuffando si presentò scandendo bene il proprio nome.

“Sono Kaori Makimura, la socia di Ryo.” E per evitare i disguidi che la bocca del suo fantasioso collega era capace di generare (una volta era stato così abile da farla passare per un suo fratello gay) la sweeper corse ai ripari, affermando, tra lo stupore generale, di essere una donna e di non aver mai subito interventi estetici di alcun tipo.

Quando l’atmosfera fu di nuovo seria, la cliente espose il problema.

“Haruko, non è veramente mia nipote.”

“Lo credo bene,” borbottò Ryo che, a vederle sedute una accanto all’altra, poteva appurare la veridicità delle parole della signora.

“Mio fratello l’adottò quattordici anni or sono. Le ha sempre voluto bene, non le ha fatto mai mancare nulla, e poi come si fa a non voler bene ad Haruko, anche io gliene voglio tanto,” disse sorridendo.

“Già, come si fa a non volergliene?” commentò silenziosamente Ryo, soffermando lo sguardo nella scollatura della giovane. La collega gli mollò una gomitata e lo sweeper riportò l’attenzione alle parole della cliente.

“Purtroppo il mio carissimo fratello è morto anni fa insieme a sua moglie.”

“Come è accaduto?” domandò serio lo sweeper.

“Un incidente… un triste incidente,” si limitò a rispondere la signora Kyota, mentre la nipote accanto, seria, teneva gli occhi bassi.

“Ma non sono i genitori di Haruko il motivo per cui vi ho contattato,” affermò con voce dura.  “Da circa dieci giorni qualcuno ha preso di mira mia nipote. Temo vogliano ucciderla.”

“Zia, non dire così,” la interruppe la ragazza, “se avessero voluto mettere fine alla mia vita, lo avrebbero già fatto, sono stati solo degli incidenti.”

“Non essere ingenua, Haruko. Una macchina ha tentato di investirti, un’impalcatura ti è quasi crollata addosso e ieri ti hanno persino spinta sui binari della metropolitana!” La cliente alzò la voce, sembrava agitatissima.

“Signora Kyota, sa se qualcuno potrebbe avercela con voi, con la vostra famiglia o con Haruko?” si informò Kaori.

“No, non abbiamo nemici, siamo una famiglia rispettabile,” sospirò da donna.

“Siete stati alla polizia?”

“Certo, sostengono che si è trattato di spiacevoli incidenti. Non mi fido di loro, cominceranno a prendere sul serio questa faccenda solo dopo che Haruko rimarrà ferita o peggio...” dichiarò affranta.

Fu a quel punto che Ryo decise di prendere in mano la situazione.

“Signorina, sua zia ha perfettamente ragione,” affermò energico, “se la sua vita è realmente in pericolo, deve assolutamente farsi proteggere, non vorrà mica morire così giovane?”

“No, no… certo che no,” farfugliò timidamente la ragazza, mentre lo sweeper le si inginocchiava di fronte stringendole delicatamente le mani.

“Si fidi di me. Con me accanto nessuno oserà torcerle un capello!” esclamò incoraggiante e di nuovo formale.

“Dunque accetta l’incarico?” domandò la signora Kyota.

Ryo accettava l’incarico senza riflettere un secondo di più sulla questione. D’altra parte, come poteva rifiutare davanti a tanta grazia? Non riusciva a scollare gli occhi di dosso dalla giovane biondina.

“Signora Kyota, sarò felice di aiutarvi. Invito sua nipote a stare da noi da oggi stesso. Nel nostro appartamento potrò proteggerla più accuratamente!” puntualizzò ispezionando l’interno della camicia della ragazza e fantasticando sul contenuto. Kaori se ne accorse e gli lanciò uno sguardo diabolico.

Haruko un po’ perplessa cercò gli occhi della zia per trovarvi consiglio.

“Penso sia un’ottima idea,” ammise la signora Kyota rivolta a Saeba, “anche perché, come Haruko già sa, io devo partire per gli Stati Uniti. Non voglio che resti qui tutta sola.”

Kaori impallidì sbigottita. Haruko aveva proprio una zia premurosa! Lasciava la vita della nipote, a cui tanto era affezionata, in mano a due perfetti sconosciuti, uno dei quali un sottosviluppato porco schifoso.

Ritornata finalmente serena, la cinquantenne tirò persino un sospiro di sollievo.

“Sono tranquilla, so di lasciarti in buone mani,” disse prendendo commiato dalla nipote.

Se non fossero stati al verde come al solito, Kaori avrebbe rifiutato l’incarico, ma erano in magra e fare la difficile, solo perché la cliente era più affascinante del previsto, non le pareva proprio il caso.

La stessa limousine che li aveva condotti in quella villa lussuosa, li accompagnò nel loro modesto appartamento.

Durante il tragitto, la sweeper non poté fare a meno di studiare Haruko.  

Era silenziosa, si limitava a rispondere alle domande che la riguardavano in modo conciso e lapidario. Riservata ed estremamente timida, teneva gli occhi bassi e replicava alle avance di Ryo imporporando le guance.

Quella ragazza era proprio un’ingenua, pensò Kaori, proprio la manna dal cielo per il suo collega, che l’avrebbe circuita con facilità. La sweeper sospirò. Ryo avrebbe approfittato di ogni suo secondo di distrazione per catapultarsi addosso alla biondina. L’aspettavano delle lunghe notti di veglia.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Mokkori man ***


Mokkori man

 

“Haruko, sei veramente sicura di voler dormire da sola nella camera degli ospiti?” chiese, per la terza volta, all’ingenua cliente, una Kaori visibilmente sconcertata.

“Certamente, Kaori,” rispose nuovamente la giovane, per nulla turbata dalle insistenti proposte della sweeper.

“Ma… tu non conosci Ryo… è capace di tutto, si intrufolerà nella tua camera, verrà a importunarti.”

“Vorrà dire che chiuderò la porta a chiave.”

“Non è così semplice,” sospirò la city hunter, rendendosi conto di quanto fosse difficile convincere quella ragazza della validità delle proprie ragioni.

Possibile che non si fosse accorta delle persistenti occhiate del collega, della sua espressione bavosa mentre cercava di spogliarla con gli occhi?

Forse sarebbe stato più facile persuaderla, se avesse lasciato una qualche possibilità d’azione alla mano lasciva dello sweeper, invece di infilzarla con una forchetta ogniqualvolta tentasse di raggiungere le gambe della giovane, durante la cena. Probabilmente avrebbe dovuto permettere al “coso” di Ryo di drizzarsi beato in presenza della ragazza, invece di intimidirlo minacciando di mettere per sempre fine al suo alzabandiera.

Di certo sarebbe stato tutto più facile, la stessa Haruko l’avrebbe scongiurata di non essere lasciata sola alla mercé di quel maniaco.

Che nervoso! Ma perché era così testarda? Maledizione a lei, avrebbe dovuto permettere a Ryo di dare sfogo alle sue voglie, così si sarebbe finalmente svegliata. Ma che stava dicendo? Non poteva autorizzare quel porco a fare le sue sconcezze, la sua coscienza morale glielo impediva, la sua gelosia glielo proibiva.

“Haruko, sul serio, credimi, Ryo è davvero un maniaco.”

Gli occhi della fanciulla si riempirono di incredulità.

“Ma che dici? Sembra una così brava persona, è così simpatico, sempre sorridente, ha un’espressione così…”

“Così…” fece eco la sweeper.

“Felice, sì, felice,” stimò Haruko, soddisfatta di aver trovato l’aggettivo calzante.

Felice? Sorridente? Una brava persona? Ma stava scherzando? Aveva proprio sentito bene? Ma che razza di idea si era fatta quella ragazza di Ryo? Per cosa aveva scambiato quel suo sorrisetto libidinoso? Quell’ingenua era completamente fuori strada.

“Vedi Haruko,” si accinse a spiegare Kaori, “Ryo, può sembrare una brava persona, ma è solo apparenza, apparenza, capisci? Dietro il suo aspetto sorridente si nascondono secondi fini che se dico indecenti, forse è poco. Le apparenze ingannano, non te lo hanno mai insegnato?”

“Non aggiungere altro,” la interruppe la giovane, “non è necessario che tu continui, Kaori…”

La socia dello stallone di Shinjuku esultò mentalmente, gonfia di soddisfazione per aver finalmente portato Haruko alla ragione. Ma l’illusione durò poco, perché la ragazza si sentì in dovere di rassicurarla.

“Kaori, non devi preoccuparti di nulla. Io non cercherò di portarti via il ragazzo, non cercherò di portarti via Saeba, non è il mio tipo, non devi essere gelosa.”

Gelosa? Stava scherzando, vero? Lei e Ryo fidanzati? Ma che andava pensando. Quel maledetto porco non faceva che illuderla. Aveva detto di amarla, ma poi alla prima occasione era corso nuovamente dietro alle gonne delle altre donne. Maniaco! Stronzo! Haruko non voleva dormire con lei? Padrona di fare come desiderasse. Ryo le sembrava una persona per bene? Perfetto, si sarebbe accorta presto della sua vera natura. Lei l’aveva avvertita, non poteva mica obbligarla con la forza.

“Fa come vuoi!” esclamò, cercando di non far trapelare il nervoso che le rodeva l’anima.

“Io ti ho avvertita e comunque io e quel porco non siamo fidanzati!” tenne a precisare Kaori, furente.

“Vado a prepararti la stanza,” concluse.   

In quanto a Ryo, era bastata la sola presenza della biondina in casa ad eccitarlo, anche se, per via delle minacce di una Kaori onnipresente, aveva dovuto trattenere il suo mokkori power, che adesso stava per scoppiare. Era proprio curioso di sapere come avrebbe fatto la socia a fermarlo. Che cosa avrebbe escogitato? L’arrivo della ragazza era stato talmente improvviso, che la collega non aveva avuto né il tempo né la possibilità di disseminare trappole nel corridoio che separava la sua camera da quella degli ospiti. La via era libera.

La casa era avvolta nel silenzio, Haruko e Kaori erano andate a dormire già da tre ore buone e a lui non restava altro che entrare in azione.

Con un foulard in testa legato sotto il naso, una scatola di kleenex stretta alla mano destra e un cuscino sotto il braccio, coperto solo dai propri boxer, Ryo era pronto a sferrare il suo agguato notturno.

Uscì dalla propria camera e cominciò lentamente a strisciare verso quella degli ospiti. La notte rendeva il suo procedere invisibile. Attraversata una discreta distanza, raggiunse il suo obiettivo. Arrivò di fronte alla stanza di Haruko con un filo di saliva che già gli colava giù dall’angolo della bocca, due occhi da cane in calore e il basso ventre pronto all’azione. Una porta, soltanto una porta e poi avrebbe potuto dar sfogo alla sua potenza generatrice. Ryo fremeva per l’eccitazione, aveva appena impugnato la maniglia, quando un brivido gli attraversò la schiena. Annusò il pericolo alle sue spalle. Sudò freddo. Si voltò lentamente.

Due occhi diabolici lo fissavano intensamente. Un volto terrificante, illuminato dalla luce di una piccola torcia elettrica, emergeva dalla livida penombra come un’apparizione spettrale. Era Kaori. Lo sweeper non ebbe neanche il tempo di aprire bocca. Una martellata lo lanciò in aria e un’altra gli fece raggiungere in volo la propria camera. Lì la collega, tirandolo per un orecchio, lo avvertì con voce sommessa e minacciosa: “Sottosviluppato porco schifoso, abbiamo un lavoro dopo settimane e settimane di magra e tu… tu, stupido demente indisciplinato, cerchi di mandare tutto in malora già a prima sera? Ti conviene darti una calmata, se non vuoi scoprire di persona se esiste veramente una vita ultraterrena! Ci siamo capiti?”

Ryo annuì. Gli occhi sgranati per il terrore.

La sweeper gli lanciò un’altra terribile occhiata, poi uscì dalla stanza chiudendo l’uscio alle sue spalle.

La prima operazione-mokkori era dunque miserabilmente fallita, ma lo stallone di Shinjuku non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Sebbene intimorito, non riusciva a resistere a quella sorta di richiamo delle sirene che, proveniente dalla camera di Haruko, giungeva alle orecchie dei suoi infimi istinti.

Convinto che il suo impegno sarebbe stato premiato, Ryo, riprese le energie e avvolto da una spaventosa aura di determinazione, era nuovamente pronto a far sua la bella cliente.

Sbirciò fuori dalla porta, verso la camera degli ospiti. Armata dalla testa ai piedi, Kaori si era piazzata di fronte alla stanza di Haruko. Doveva cambiare tattica. Pensò di aggirare il nemico dall’esterno, passando attraverso la finestra, ma sfortunatamente per lui, la socia aveva previsto anche questo. Era ancora in bilico sul cornicione, quando cominciarono a piovergli sulla testa una trentina di martelli da 100 t. Con agilità felina, Ryo riuscì miracolosamente ad evitarli tutti, ma messo un piede in fallo, finì inesorabilmente col perdere l’equilibrio e cascare di sotto.

Qualsiasi essere con un po’ di sale in zucca avrebbe optato per la resa e sarebbe andato a dormire. Non era il caso di Ryo. Il detto “non c’è due senza tre” e la possibilità di attuare un mokkori erano per lui ragioni più che sufficienti per tentare fino allo strenuo delle forze. Ma anche il terzo tentativo si rivelò un disastro.

Arrampicandosi sui muri esterni del palazzo come una lucertola, era riuscito ad arrivare alla finestra della camera degli ospiti. Appiccicando la faccia al vetro, riusciva ad intravedere la sagoma di Haruko addormentata. Il sangue gli fremeva nelle vene. Distratto dall’eccitazione, non si accorse dell’enorme palla chiodata che gli penzolava sopra la testa. Quando sollevò lo sguardo verso l’alto, era ormai troppo tardi. Punito a dovere, Ryo si ritrovò a salutare l’alba avvolto come un salame dentro un futon.

 Diversamente dai due city hunter, nella quiete del mattino appena sorto, immersa nella brillante luce del sole che filtrava dalla finestra, Haruko si sentiva riposata. Aveva dormito magnificamente. Stiracchiò le braccia, pronta ad affrontare una nuova giornata.

Seguendo l’aroma del caffè che saliva dal piano inferiore, giunse in cucina.

“Dormito bene?” domandò.

Bastò osservare Kaori per avere la risposta. Aveva gli occhi cerchiati e arrossati, la faccia stanca e tirata, sotto la capigliatura bruna arruffata.

“Ho passato tutta la notte dietro Ryo,” sbuffò la sweeper. “È stato più intraprendente del solito, ho faticato parecchio per tenere a bada il suo mokkori.”

“Mokkori?”

“Mokkori, mokkori…” ripeté la city hunter versando la scura bevanda nelle tazze.

Conosceva troppo bene il collega per sperare in una sua resa. Nonostante i bernoccoli e i lividi riportati nello scontro, Ryo non si sarebbe dato per vinto e avrebbe cercato in tutti i modi di soddisfare le sue impudiche voglie.

Ci furono notti di fuoco a casa Saeba, ma non nel senso sperato dallo sweeper. La socia boicottò tutte le sue incursioni notturne. Il city hunter fu martellato, picchiato, contuso, ridotto quasi ad un ologramma a forza di essere sbatacchiato contro enormi palle chiodate, tuttavia niente riusciva a demoralizzarlo, sembrava dotato di energie illimitate e inesauribili. Al contrario, Kaori, tesa come una corda di violino, irascibile e nervosa per via dello stress e del sonno perduto, era ridotta uno straccio: il viso affilato e pallido, gli occhi microscopici e lucidi sotto le palpebre pesanti, due occhiaie scure, le labbra completamente aride.

“Haruko,” sbraitò esasperata, dopo tre notti insonni, “non posso più permetterti di dormire nella camera degli ospiti!”

“Perché?” domandò la biondina con la solita aria distratta.

“Ti prego,” la supplicò, “non ce la faccio più. Non dormo da giorni, quel bastardo attacca senza sosta fino alle sette del mattino, per poi ricominciare durante il giorno, sono esausta. Infilarti in quella camera è stato, per Ryo, come aprire la stagione della caccia. Quel maniaco recupera il sonno perduto, io invece non ce la faccio più. Ti scongiuro, non costringermi a minare il corridoio che porta alla tua stanza, a disseminarlo di trappole mortali, abbiamo appena fatto ristrutturare casa.”

Haruko prese a fissarla come se fosse pazza e l’assecondò come, appunto, si fa con i matti.

“Vedrai Kaori, non succederà nulla. Perché non provi a dormire qualche ora intanto.”

“Dormire? Non posso dormire, Ryo ne approfitterà per saltarti addosso.”

“Fino ad ora non è successo…”

“E grazie,” esclamò indispettita la city hunter, “ti sono rimasta incollata da quando sei arrivata!”

“Non ti preoccupare, so badare a me stessa.”

La sweeper sollevò le sopracciglia, perplessa. 

“Davvero, Kaori, non devi preoccuparti…” cercò di rassicurarla, “vedrai che non accadrà nulla, e poi anche Saeba sta dormendo in questo momento, no?”

“Sì, ma…” cerco di protestare la sweeper, mentre la biondina la trascinava al piano superiore. Kaori si ritrovò di fronte alla propria camera. Riusciva a vedere il letto invitante oltre l’uscio.

“Coraggio, Kaori, adesso riposati,” le mormorò Haruko.

Intontita dal sonno, ubbidì al consiglio come un automa.

 

La giovane cliente tirò un sospiro di sollievo mentre sprofondava mollemente nel divano.

In che gabbia di matti era finita? Una donna la aggrediva perché non riusciva a dormire, l’uomo che doveva proteggerla o era intento a leggere una rivista porno, oppure si trovava inspiegabilmente conficcato in qualche superficie della casa.

Senza Kaori in giro per l’appartamento a sbrigare le faccende domestiche, sembrava di essere in un luogo disabitato. Era tutto così silenzioso, così noioso. Provò ad accendere la tv, ma vi trovò solo repliche di vecchi telefilm, un documentario sugli animali, pubblicità... Spense.

Optò per una doccia rigenerante.

Si spogliò abbandonando vestiti e biancheria intima per terra. Si infilò sotto il getto tiepido dell’acqua, lasciando che quella pioggia artificiale le accarezzasse il viso, la schiena, i pensieri. Uscì dalla doccia in un bagno di profumo, il vapore acqueo la cingeva in una calda nebbia. Si avvolse in un morbido asciugamano di spugna. Dallo specchio appannato emerse l’immagine acquosa del suo corpo snello, mentre un’ombra scura apparve e scomparve alle sue spalle. Ebbe la spiacevole sensazione di essere osservata, avvertì due occhi scrutarla da cima a fondo. Si guardò intorno. Nessuno. Forse si era fatta impressionare troppo dai discorsi di Kaori, eppure quella sensazione persisteva. Qualcosa le sfiorò il seno. L’asciugamano scivolò via, lasciandola nuda. Il suo istinto si svegliò. Abbassò lo sguardo.

Un terribile urlo squarciò il silenzio.

A sentirlo Kaori si svegliò di colpo, precipitandosi fuori dal letto scossa da un presentimento orribile. Corse verso il bagno e spalancò la porta.

“Cosa succede?” ansimò.

Haruko era inginocchiata a terra, con una faccia tra l’incredulo e il terrorizzato.

“Ryo,” sibilò la giovane.

A Kaori bastò quel nome per comprendere ogni cosa.

“Non temere Haruko, ci penso io!”

Si diresse spedita verso la camera del collega. L’aspetto bellicoso non prometteva nulla di buono. Si fece strada con un calcio poderoso che spalancò la porta.

Strinse i pugni e face scrocchiare le nocche.  

Il passaggio segreto, costruito tempo addietro da quel porco del socio, per poter spiare le ospiti in bagno, conduceva in quella stanza, Ryo doveva per forza essere lì.

“Miserabile, lurido maiale, esci fuori!” risuonò perentoria la voce di Kaori.

“Dove diavolo sei?”

La sweeper si avvicinò al letto, si chinò per guardare sotto e Ryo, sospeso tra le due pareti ad angolo, dietro di lei, ne approfittò per scappare via.

Kaori sentì il socio sigillarla nella stanza. A causa del sonno, i suoi riflessi torpidi faticavano a reagire prontamente. Dannazione.

Si alzò furente e si diresse verso l’uscio. Quel maledetto l’aveva chiusa dentro.

“Ryo, dannato, aprimi!” strillò picchiando la porta.

“Haruko, aiutami, quel cretino mi ha chiusa dentro!”

Haruko? Pronunciare quel nome le rammentò che la ragazza era lì fuori, il collega pure, mentre lei…

“Oh, no! Ryo non ti azzardare ad avvicinarti nuovamente ad Haruko! Ryo provaci e sei morto! Aspetta solo che ti metta le mani addosso…” lo minacciò con quanto fiato aveva in gola. A quel punto udì Haruko gridare. Lo sweeper le dava la caccia famelico. Decisa a buttar giù l’ostacolo che le impediva di intervenire, la city hunter brandì un martello e si scaraventò contro la porta.

Intanto la biondina, stretta nell’asciugamano, tentava di fuggire dal suo inseguitore, correndo su e giù per casa. Kaori avvertì i passi concitati dei due avvicinarsi. Fece appello a tutte le proprie forze e colpì. La porta si frantumò. Finalmente libera, scagliò il martello contro il collega.

L’arma lo investì in piena faccia. Cadde a terra stordito e fu come vedere le stelle.

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Capitolo 4
*** Attentato ad Haruko?!? ***


Attentato ad Haruko?!?

 

Era da una settimana che voleva farlo, tuttavia con Kaori in giro per casa, anche una semplice operazione come quella diventava complicata. Però lei adesso stava dormendo. L’aveva vista, con i propri occhi, crollare esausta sul divano, mentre guardava la tv con Haruko. Finalmente aveva campo libero. C’erano solo lui e il quarto cassetto dell’armadio della camera degli ospiti, quello in cui la bella cliente aveva riposto le sue microscopiche mutandine e i suoi reggiseni dalle ampie coppe. Il solo pensiero di poter avere tutto quell’eccitante materiale a disposizione, gli provocava già qualche sussulto nel basso ventre. Aprì il cassetto lentamente.

Non doveva perdere neanche un istante di quel prezioso momento, di quel seducente attimo che fa tutt’uno con l’attesa e l’aspettativa, in cui l’anima si tende come il filo di un arco verso un desiderio, consapevole che l’obiettivo potrebbe non essere raggiunto.

E poi finalmente eccola lì.

Lingerie colorata, di seta, morbida, profumata, che Haruko indossava, toccava, costantemente e intimamente a contatto con la sua pelle, con le sue zone più segrete. Ryo ne fece incetta avido, bramoso, smanioso, al settimo cielo.

Ma la felicità non è fatta per durare a lungo e quella di Ryo svanì in un solo istante, quando una voce severa dietro le spalle, lo scaraventò nuovamente sulla terra ferma. 

“Dimmi, sei stanco di vivere?” domandò minacciosa Kaori.

“Forse è meglio che vada via…” biascicò Ryo con un sorrisetto nervoso e inquieto.

Lo sweeper si sollevò da terra e fece per allontanarsi dalla stanza, con disinvoltura e sicurezza, come se nulla fosse accaduto, ma la collega lo richiamò afferrandolo per la giacca.

“Dove credi di andare?”

“Da nessuna parte, perché?”

“Ryo, hai ancora i reggiseni e gli slip di Haruko,” gli fece notare lei con occhi di fiamma.

“Ehm, che strano…Pensavo di averli riposati…”

“Dici davvero?” chiese Kaori avvicinandosi al collega, e tirando fuori dalle sue tasche una lunga catena colorata di pizzo.

“Come li spieghi questi?” domandò quindi incenerendolo con lo sguardo.

Ryo non rispose e il suo sguardo si perse nel nulla.

Per un lunghissimo momento ci fu solo il silenzio, poi, finalmente, la bocca di Ryo si aprì.

“Kaori, devi sapere che io sono un uomo che vive fianco a fianco al pericolo, ormai è parte di me, non posso fare a meno del sapore che una forte emozione può generare: ogni occasione è buona per cercare di assaporarne una fetta. Devi sapere che gli uomini come me, dal rischio, dalla sfida, traggono fiducia in se stessi. Nelle situazioni di pericolo la capacità di stare all’erta, per agire, non per reagire, si dimostra fondamentale. Dobbiamo essere in grado di trasformare le situazioni in opportunità, sviluppando le strategie più adatte; controllare tutte le possibilità per poter scegliere quella che evita la sconfitta e conduce alla vittoria. Ecco perché ho cercato di prendere i reggiseni di Haruko, per tenermi in allenamento, per essere pronto a fronteggiare con sangue freddo le situazioni di reale rischio.”

Tutto tacque.

Lo sweeper, convinto che la pappardella inventata avesse spiazzato Kaori, sentendosi già in una botte di ferro (era sempre stato un tipo ottimista) con estrema nonchalance si avviò verso la porta. 

“Ma che andava cianciando quel demente?” si disse Kaori, mentre la pressione le saliva. L’aveva presa per stupida? Pensava forse che ricamando quel discorso senza senso lei potesse cambiare improvvisamente opinione sulla sua inammissibile condotta?

Quell’idiota era convinto che si potesse prendere gioco di lei tanto facilmente? Ah, ma non l’avrebbe di sicuro passata liscia, dove credeva di andare?

“Tu, degenerato blasfemo,” urlò fuori di sé, “pensi davvero che possa bermi una baggianata del genere? Visto il tempo impiegato per inventarla, potevi fare di meglio! Te lo do io l’allenamento contro la paura!”

Lo sweeper sentì improvvisamente la propria salivazione ridursi a zero, la bocca divenne secca ed arida come un deserto, le gambe si tramutarono in due pesanti blocchi di pietra, una gelida lama lo attraversò da parte a parte e la sua altezza si ridusse drasticamente a quella di un puffo.

Kaori brandì una delle sue armi ed ebbe inizio l’inseguimento.

Ryo cominciò a correre per casa alla stessa velocità di Speedy Gonzales, mentre la socia, con raffinata abilità, faceva roteare sopra la propria testa un enorme palla chiodata.

Il city hunter cercò disperatamente un rifugio, ma la donna gli era alle calcagna, svoltò quindi a destra, poi a sinistra, attraversò il corridoio, ancora indenne arrivò di fronte alla porta della propria stanza e vi si murò all’interno. Salvo.

Ecco che adesso, credendosi al sicuro, poteva finalmente tirare un profondo sospiro di sollievo. 

Il tempo di rilassarsi, di illudersi che fosse tutto passato, che un brivido gli percosse per intero la spina dorsale. Sgranò gli occhi per la paura e per vedere meglio, fuori dalla finestra della sua camera, l’enorme palla chiodata che, oscillando pericolosamente, acquistando velocità, gli si frantumava addosso.

Un dolore lancinante gli scoppiò dietro la tempia, una miriade di stelle bianche cominciarono a ruotare intorno alla sua testa intontita.

Era ancora stravaccato esanime sul pavimento, quando qualcuno aprì la porta della camera e gli si fece vicino, si inginocchiò al suo fianco e sorrise.

“Che c’è da ridere?!?” fece lui mettendosi a sedere, massaggiandosi il capo dolorante.

“E’ un tipo buffo, sa? Mi sto annoiando, mi accompagnerebbe a fare una passeggiata?” chiese Haruko, ormai esasperata da una settimana di vita domestica. Non ne poteva più di trascorrere le giornate davanti alla televisione.

“Eh?!” esclamò lo sweeper drizzando le orecchie. Aveva sentito bene? La cliente gli proponeva di andare a fare una passeggiata? Non era il caso di farselo ripetere due volte.

“Certo!” acconsentì, afferrandola per il braccio, catapultandosi fuori dall’appartamento, senza avvertire la collega e iniziando una furiosa corsa per acquisire un ampio vantaggio sulla socia, nel caso li avesse visti e seguiti.

Solo quando furono abbastanza lontani e al sicuro, Ryo si fermò.

“Non avevo mica tutta questa fretta!” lo informò Haruko accaldata, riprendendo fiato.

Nervoso lo sweeper si guardò attorno. Nessuno. Kaori non si era accorta della loro fuga, almeno per il momento, anche se presto sarebbe sicuramente venuta a cercarli. Ma per adesso non c’era di che preoccuparsi. Sorrise contento: era bello avere la fortuna dalla sua.

Prese a braccetto Haruko e si incamminò per i vicoli di Kabukicho.

“Scommetto che non hai mai visto questa zona della città” affermò, conducendola davanti ai vari love motel del quartiere, passando accanto a numerose coppiette di innamorati, di sposi, di amanti.

“No,” sussurrò Haruko guardandosi curiosa in giro.

“Infatti, le signorine a modo non le portano mai qui, tendono a precludere loro tutto il divertimento,” ridacchiò Ryo.

“Non li hai mai visti dentro, vero? Non ci crederai, ma ci sono delle bellissime salette a tema,” continuò, fermandosi davanti all’ingresso di uno dei tanti alberghi ad ore.

Si immaginava già all’interno di una di quelle stanze, mentre spogliando Haruko, la invitava a fare una doccia insieme a lui, prima di condurla sotto le coperte di un enorme e voluttuoso letto a cuore.

Bastò il pensiero per far drizzare il “suo compare”; ma, mentre Ryo fantasticava, una biglia colorata attraversò a gran velocità l’aria diretta in direzione dei due. Distratto dalle sue perverse fantasie, lo sweeper non si accorse di nulla, finché, beccato in pieno, si piegò in due dal dolore. La piccola sfera, infatti, aveva arrestato bruscamente la sua corsa, investendo in pieno il suo organo erettile.

“Signor Saeba, si sente bene?” domandò la ragazza, che pareva non essersi accorta di nulla, vedendolo sbiancare di colpo.

“Tutto ok!” mentì Ryo con una vocetta stridula, trattenendo a stento le lacrime, in un bagno di sudore.

“Lei mente,” insisté Haruko, “venga, entriamo, sicuramente è il troppo caldo ad averla ridotta così… Guardi, è tutto sudato!”

La bella cliente, premurosa, lo accompagnò all’interno di uno dei love motel, convinta che qui avrebbe potuto far rinfrescare lo sweeper.

Che bello, la cliente lo conduceva a braccetto in una delle camere: nella disgrazia, un brandello di buona sorte, si rincuorò Ryo stringendo i denti.

“Coraggio, si faccia una doccia” lo invitò la ragazza sfilandogli la giacca e avviandolo verso il bagno, all’interno di una camera sfavillante di rosso passione.

Stava sognando, non poteva essere vero, si disse il city hunter, cercando di non pensare al dolore martellante che gli attanagliava il basso ventre.

Forse Haruko aveva ragione, una bella doccia avrebbe rimesso in sesto il suo “amico”. Doveva per forza essere così, perché era indispensabile che il suo apparato riproduttivo funzionasse correttamente in un posto del genere, e con quel tipo di compagnia.

Si piazzò sotto la doccia, mentre Haruko, seduta sul letto, lo aspettava nell’altra stanza.

Non era poi conciato così male, un po’ d’acqua fredda e sarebbe ritornato a posto. Si sentiva già meglio, quando inaspettatamente il getto d’acqua diventò bollente e il suo coso, fumante, parve andare in fiamme. Lanciò un urlo disperato catapultandosi fuori dal box doccia. Il piede destro, bagnato, beccò in pieno una saponetta abbandonata per terra. Inevitabilmente scivolò, schiantandosi, con precisione quasi millimetrica, sullo spigolo di un mobiletto, a gambe aperte.

Disperato, questa volta non trattenne le lacrime.

Un rarissimo esempio di accanimento del destino verso le sue parti basse.

Haruko se lo rivide davanti un quarto d’ora dopo, completamente vestito e sfatto, in condizioni peggiori di come lo aveva lasciato prima che entrasse in bagno.

“Sta bene? L’ ho sentita gridare, vuole ritornare a casa?”

“No, non preoccuparti, sto bene,” sospirò in un soffio, “continuiamo pure la nostra passeggiata…”

Figuriamoci se ora come ora era il caso di ritornare a casa, sarebbe stato come aggiungere dolore al dolore, Kaori non l’avrebbe certo risparmiato.

Si accingevano a lasciare i vicoli di Kabukicho, quando Ryo ebbe la sensazione di essere seguito.

Kaori? Circospetto si guardò intorno. No, non poteva essere la sua collega, di solito lo avvertiva se era lei: un brivido gli percorreva immediatamente la spina dorsale se la socia era nelle vicinanze. Era qualcun altro, lo stesso che gli aveva scagliato contro quella biglia, beccando il suo povero “amico”. Forse lo stesso che aveva cercato di attentare alla vita della ragazza.

Avvertì un sibilo e simultaneamente, dietro le loro spalle, volò un pugnale. Il city hunter se ne accorse, e premette la cliente sul muro che costeggiava la stretta stradina che stavano attraversando. La lama sfiorò pericolosamente il basso ventre dello sweeper che, dopo quanto visto, afferrò Haruko per un braccio e incrementò il passo. Ryo cominciava a spazientirsi. ‘Sto bastardo che li pedinava, ce l’aveva con la ragazza o con il suo mokkori?

“Signor Saeba, che succede?” chiese Haruko, non capendo perché improvvisamente il suo accompagnatore l’avesse spinta contro un muro per poi riprendere a camminare tanto velocemente.

“Ci seguono,” le bisbigliò all’orecchio.

“Chi?” domandò lei allarmata.

“Shhh. E’ solo un uomo. Fa finta di niente, accelera solamente il passo e, soprattutto, stammi vicino.”

L’uomo che li seguiva, Ryo lo aveva visto per un attimo, mezzo nascosto dietro un palo della luce, nell’istante in cui aveva spinto Haruko contro il muro, poi era sparito nuovamente, senza lasciare traccia. Ma continuava a seguirli, lo sweeper ne avvertiva costante la presenza.

Il city hunter guardò l’orologio, a quell’ora la stazione doveva essere satura di gente, sarebbe stato semplice obliarsi in mezzo alla folla. Già nei pressi dello Studio Alta, il tizio in occhiali scuri, dalla barba e i lunghi capelli corvini, che li pedinava, ebbe qualche difficoltà a star loro dietro.

Arrivarono alla stazione e come previsto era piena zeppa. Ryo ed Haruko si addentrarono in mezzo alla fiumana di persone.

Ogni tanto lo sweeper volgeva uno sguardo in direzione dell’inseguitore e lo vedeva in difficoltà, alla disperata ricerca dei suoi obiettivi, ormai dispersi tra la confusione.

Dunque la zia di Haruko non mentiva, c’era veramente qualcuno che voleva ucciderla. Non aveva mai creduto fino in fondo a quella storia, la stessa cliente gli era parso nascondere un segreto sin dal primo momento che l’aveva vista. I suoi occhi verdi, per quanto lei cercasse di tenerli bassi e renderli dimessi, celavano un’estrema scaltrezza e furbizia.

Lo sweeper aveva a che fare con il pericolo da quando era bambino e l’odore dell’inganno lo fiutava ormai da lontano, così, per niente convinto della faccenda, aveva chiesto al suo amico Mick Angel, ex sweeper ed ora investigatore, di indagare per conto suo sulla ragazza.

Con suo enorme sorpresa, però, si era reso conto che il suo infallibile fiuto, una volta tanto, aveva fatto cilecca: Mick non aveva trovato nulla di compromettente sul passato di Haruko, tanto meno su quello di sua zia e dei genitori della fanciulla, morti in un banalissimo incidente stradale a causa del maltempo.

Quindi se la ragazza non aveva a che fare con nessun ambiente malavitoso, se i pochi amici che frequentava avevano delle fedine penali immacolate, se la questione dell’eredità non c’entrava niente, chi cavolo poteva voler far del male a quell’innocente creatura? Qualche spasimante geloso? Qualche matto?

Quando Ryo fu assolutamente certo che nessuno li stesse più seguendo, propose ad Haruko di tornare a casa. L’emblema virile gli doleva ancora e dopo le terribili esperienze di quel giorno, sentiva il bisogno di obliare il tutto con una bella sbronza.

Tuttavia, quando giunsero di fronte all’appartamento, il pensiero che Kaori potesse essere in casa, furente come non mai, pronta ad attenderlo con un martello in mano, gli fece cambiare idea.

“Vieni,” disse rivolto ad Haruko, trascinandola nel palazzo accanto, “ti faccio conoscere un mio amico.”

Bussarono.

Aprì loro un uomo in guanti bianchi, biondo, alto, americano, stupito.

“Ryo… e questa bella signorina? Ma prego entrate.”

Galante come al solito, l’ex sweeper si presentò ad Haruko con un inchino e un baciamano.

“Estasiato di fare la sua conoscenza, il mio nome è Mick Angel, e il vostro, angelica sirena?”

Haruko sorrise imbarazzata, presentandosi a sua volta.

“I suoi occhi, sa, i suoi occhi sono davvero fantastici, sembrano due smeraldi, glielo hanno mai detto?” chiese l’americano alla bella cliente, cominciando a corteggiarla.

“Smettila di fare il leccapiedi,” lo insultò Ryo, “piuttosto facci sedere, è tutto il pomeriggio che siamo in giro…”

“Leccapiedi? Questo non è fare il leccapiedi, è essere galanti, animale che non sei altro!”

“Si, si, come dici tu…” tagliò corto Ryo guardandosi intorno. “E Kazue? Non è in casa?”

“No, è dal Professore, si sta occupando di una ricerca sui possibili effetti benefici di una non so quale bava di insetto… Ma prego, accomodatevi,” disse conducendoli in salotto e indicando loro il divano.

“Cosa posso offrirvi?” chiese premuroso, più rivolto ad Haruko, che al maleducato ospite che aveva preso a ispezionarsi le cavità nasali con le dita.

“Solo un bicchiere d’acqua, grazie,” rispose la giovane sedendosi.

“A me un whisky, se ce l’ hai, altrimenti mi accontento pure di una birra,” lo informò Ryo, liberando le dita di quanto ritrovato durante l’esplorazione.

Mick lo guardò disgustato prima di sparire in direzione della cucina.

“Non pensi che Kaori possa essere preoccupata? Siamo andati via senza neanche avvertirla,” lo ammonì la biondina.

“Figurati!” rispose disinvolto, lasciandosi scivolare senza fretta su una poltrona. Adagio, lentamente, per non rischiare di fare troppo male al suo “amico” ancora dolorante.

“Non pensi che si preoccuperebbe se il suo collega rimanesse ferito in qualche modo?” domandò con voce inaspettatamente gelida. Estratto un pugnale dalla borsa, la biondina si lanciò sullo sweeper, mentre quello, distratto, guardava altrove.

Puntò al cuore, ma una mano scattò verso l’alto. Ryo si era accorto del bagliore della lama e, vedendola calare su di sé all’improvviso, con un’incredibile prontezza di riflessi aveva afferrato il polso della ragazza e torcendoglielo l’aveva costretta a ad allentare la presa sull’arma. Il pugnale cadde a terra tintinnando. Lo sweeper guardò la killer negli occhi, e il suo sguardo dritto, sicuro, duro, sembrava attraversarla come una spada. Rapido, la mise a sedere con uno spintone e l’ammanettò ad una sedia.

“Ti piacciono?” chiese Ryo, con quello che ad Haruko parve essere un sorriso mal riuscito, invece era una ben celata smorfia di dolore, perché tutti quei movimenti bruschi avevano acuito la sofferenza al suo basso ventre.

“Sono le mie manette dell’amore. Le porto sempre con me, penso che prima o poi potrebbero essermi utili, anche se preferirei usarle in altro modo…” precisò con occhi bramosi.

“Ma che diavolo succede?” chiese Mick ricomparendo con un vassoio colmo in mano.

“Mick, lascia perdere le bibite e le spiegazioni, al momento, l’unica cosa che ci può essere utile è una corda!” 

Il city hunter non aveva dimenticato che quel pomeriggio la ragazza era riuscita con facilità ad entrare nella sua stanza, nonostante si fosse sigillato all’interno per sottrarsi alla furia di Kaori.

Mick ubbidì all’ordine uscendo dalla sala, mentre Ryo rimase nuovamente solo con Haruko.

Era arrivato il momento di chiarire tutta l’intricata faccenda.

 

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Capitolo 5
*** Quando agli angeli spuntano le corna ***


Quando agli angeli spuntano le corna

 

“Cosa vuoi da me?” domandò Ryo guardandola duramente. Il viso di Haruko era sereno e rilassato come la prima volta che l’aveva vista, mentre i suoi occhi smeraldo adesso lo fissavano compiaciuti. La tranquillità di quella ragazza lo irritava.

“Ci sono persone che meriterebbero di morire, non ti pare?”

“Sono forse tra quelle?”

“Ne dubiti?”

“Tu non sei giapponese…”

“Che intuito!” rise la donna, come se Ryo se ne fosse uscito con una battuta spiritosa.

“Sei venuta per uccidermi?”

“Non lo so, dipende… City Hunter è un personaggio interessante, da che parte sta? Dalla parte del bene o del male?”

“Chi sei?”

“Potrei essere la Morte, non ti affascina l’idea della morte? Oppure hai paura di morire, Saeba?”

“Non ci vuole coraggio per morire, morire è così facile, piuttosto è per vivere che il coraggio diventa essenziale.”

“E tu, hai abbastanza coraggio per vivere?”

Ryo la fissò negli occhi, cercando di capire perché gli ponesse quegli strani quesiti.

“Se non avessi abbastanza coraggio per salvare la mia vita, non farei questo mestiere cercando di salvare quella degli altri, non credi?”

“Salvare la vita degli altri rischiando la propria… Perché? Per denaro, per amore della giustizia, per sfidare la sorte?”

“Esclusivamente per il mokkori!” rispose lui sorridendo a trentadue denti. Era stanco di sottostare a quell’interrogatorio. “Adesso, se non ti spiace, mia bella Morte ammanettata, le faccio io le domande: chi ti manda?”

La yakuza, un centinaio di killer, organizzazioni mafiose di quasi mezzo mondo, criminali di ogni sorta volevano la sua morte; non era certo la prima volta che qualcuno sfruttava il suo debole per le donne per fargli la pelle. Tuttavia la risposta di Haruko se non lo spiazzò, di certo lo stupì parecchio.

“La Central Intelligence Agency.”

“La CIA? Ma… Ma allora tu sei…”

“Esatto! Un’agente segreto, una spia, una 007… Il mio vero nome è Angel Rascal, piacere.”

“Piacere…” si ritrovò a ripetere come un ebete Ryo. Ma che diavolo stava succedendo?  Non era possibile, avrebbe dovuto saperlo, Mick avrebbe dovuto scoprirlo. La CIA, che diavolo poteva volere la CIA da uno come lui?  Poi, perché montare tutta quella messinscena: l’incarico, gli inseguimenti, i falsi attentati? Per non parlare della zia racchia e delle domande senza senso.

Di solito era lui quello che se ne usciva con le rivelazioni, perché adesso aveva la sensazione di cascare dalle nuvole?

Eppure lui lo aveva avuto il presentimento che quella Haruko non gliela raccontasse giusta, per questo aveva chiesto a Mick di raccogliere informazioni… Mick, era colpa sua…

Era proprio vero il detto: chi fa da sé fa per tre! Ma dove cavolo era finito quell’incompetente? Gli aveva chiesto di prendere una corda, non di andare sulla luna. Sentì ciabattare in corridoio. Eccolo, finalmente.

“Mick, maledetto idiota,” lo invocò spazientito, “ti avevo solo chiesto di portarmi…”

“Una corda?” chiese l’uomo appena entrato nel salone.

A bocca aperta e senza parole, così rimase lo sweeper, quando si voltò verso la porta. Perché se era vero che un uomo era entrato nella stanza, quell’uomo non era di certo Mick.

Al suo posto era apparso lo sconosciuto che li aveva pedinati tutto il pomeriggio, quel grandissimo fetente che aveva attentato al suo mokkori. E Mick allora dove era finito?

Il city hunter fece due più due. O lui e Mick, come due principianti, non si erano accorti della sua presenza o qualcuno giocava sporco. Si avvicinò al tizio, lo studiò per qualche istante da vicino e senza che quello reagisse in qualche maniera gli strappò via barba, parrucca e occhiali.

“Dovevo immaginarmelo che ci dovevi essere tu dietro tutto questo!”

“Caro Ryo,” ridacchiò Mick grattandosi la tempia, “non sei l’unico a saperti travestire!” Una volta, lo sweeper, mascherato da donna, quasi glielo aveva fatto diventare duro.

L’americano sentì gli occhi di Ryo perforargli la faccia, non sembrava averla presa tanto bene. E infatti:

“Brutto imbecille che non sei altro, razza di informatore da strapazzo, le hai retto il gioco… e io che mi fidavo di te! Come hai potuto tradirmi? Tu, stramaledetto, tu, sei stato tu a tentare di trucidare il mio mokkori! Me la pagherai!” sbraitò esasperato, afferrandolo per il collo e iniziando a scuoterlo con forza.

“Ryo…Ryo… non respiro…” gli fece notare Mick cianotico, senza fiato.

“Meriteresti di morire,” ringhiò lo sweeper, allentando la presa e cercando di calmarsi.

L’avrebbe ucciso, dopo però, prima, forse, era il caso di sapere qualcosa di più sulla situazione, pensò.

“Perché montare tutta questa pagliacciata?” domandò. Era fuori di sé.

“Ehi, non prendertela con me, io non c’entro!” tentò di discolparsi l’americano, sistemandosi il bavero della giacca. “E’ stata lei,” gracchiò, puntando un indice accusatore verso la prigioniera. “E poi mi conosci,” aggiunse, “lo sai meglio di me che non so rifiutare favori alle donne…”

“Favori?” sbottò Haruko scandalizzata, “io non ti devo alcun favore, semmai sei tu che sei in debito con me,” tenne a precisare la biondina, sistemandosi la lunga coda di cavallo servendosi di entrambe le mani. Approfittando del battibecco tra i due uomini difatti era riuscita indisturbata a forzare la serratura delle manette con una forcina.

“Ehm…” borbottò l’americano diventando rosso fino alla punta dei capelli.

“Bravo Mick, complimenti!” esclamò Ryo, assestandogli una fragorosa pacca sulle spalle, non esitando a mettere il dito nella piaga. “E dimmi, da quand’è che contrai debiti con le donne? Che genere di favore ti ha fatto? Niente di compromettente, spero. Sai, se Kazue lo scoprisse…” sogghignò malizioso.

“Brutto bastardo, che vai cianciando? Non sono un maniaco come te, non vado elemosinando mokkori alle clienti come fai tu!”

“Ora non vorrai dirmi che quando lavoravamo insieme, non tentavi di mettere le mani addosso alle clienti?”

“Io cercavo solo di proteggerle da te, brutto pervertito! Meglio con me che con te, tu le avresti fatte soffrire!”
“Io non ho mai fatto soffrire le donne, io, diversamente da te, so come dar loro piacere!”

“Ma che vai blaterando…”

“La verità, stupido!”

“Stupido a chi? Demente da strapazzo!”

“Insomma, volete tagliarla?” chiese Angel, ritrovatasi improvvisamente esclusa dalla conversazione.

Ma che, era come parlare al vento.

“Chissà che bello quando Kazue scoprirà che hai avuto rapporti con questa donna,” cantilenò Ryo.

“Brutto maiale, cosa hai intenzione di fare?” sbraitò l’americano, stringendo i pugni nervoso.

“Quando scoprirà la verità, la bella Kazue, sarà disperata… ma non preoccuparti, tra le mie braccia troverà consolazione!”

Stavolta fu Mick ad attaccarsi alla gola del city hunter.

“Sadico maniaco, sta lontano dalla mia donna.”

“Ghhh…” riuscì a rispondere un Ryo violaceo, tendente al bluastro.

Basta, era troppo!

“Sileeeeeenzio” urlò Angel spazientita, facendo quasi vacillare le fondamenta del palazzo, scoprendosi un soprano niente male.

Mick mollò la presa all’istante e il city hunter cadde a terra senza fiato.

Ci volle qualche minuto prima che la conversazione potesse ritornare su toni seri, se mai lo fosse stata.

“Allora, mi aiuterai?” chiese Angel.

“NO!” esclamò Ryo irremovibile, incrociando le braccia.

“Perché?”

Perché? C’era pure bisogno di chiederlo? Fino a qualche minuto fa era Haruko Kyota, un’indifesa e timida cliente e adesso Angel Rascal niente popò di meno che un agente della CIA, coalizzata addirittura con il suo ex collega di lavoro per far fuori le sue parti basse. E adesso gli veniva a chiedere aiuto, certo che ce ne voleva di coraggio… Come se non bastasse, si era messa a fare quelle, peraltro assurde, domande. Se prima la faccenda gli puzzava di bruciato adesso mandava un fetido puzzo di fogna.

Comunque rispose ugualmente alla domanda.

“Primo, non accetto incarichi senza sapere in che cosa consistano; secondo, vorrei sapere perché la necessità di creare tutta questa pagliacciata; terzo, nel remoto caso in cui accettassi l’incarico, ti costerà un bel mucchio di mokkori. Già, già…!” puntualizzò Ryo.

La bella 007 sembrò riflettere qualche istante.

Quell’uomo apparentemente insignificante, di cui non si conosceva né l’età, né la nazionalità, che viveva a Tokyo, la cui sorprendente abilità con la pistola era conosciuta in tutto il mondo, l’uomo dotato di uno straordinario intuito, che si vociferava aver sgominato per ben due volte l’organizzazione mafiosa Unione Teope, riuscendo ad eliminare persino chi ne stava a capo, lo aveva di fronte. Quello che aveva sentito dire su di lui doveva essere sicuramente vero, Mick glielo aveva confermato molte volte, Ryo Saeba era l’uomo che faceva al caso suo. Doveva fidarsi di lui, convincerlo ad accettare l’incarico.

Dopo un lungo silenzio, la voce cristallina di Angel diede le spiegazioni a lungo attese.

“Sono stata incaricata di svolgere delle indagini qui in Giappone. Pare che una organizzazione malavitosa, che ha il suo quartier generale nell’America latina, coinvolta nel traffico internazionale di droga e di armi, sia interessata a metter piede anche qui, nel Sol Levante. Ci è giunta notizia che abbia già preso accordi con vari clan della yakuza, ma, soprattutto, che stia cercando di introdurre nel mercato nipponico una nuova e potente droga, la Valchiria.”

“E quale sarebbe il nome di questa organizzazione mafiosa?”

“Mai sentito parlare dell’organizzazione Odino?”

“Non molto… Neanche tra la malavita si conosce il nome di chi ne regge le fila, alcuni sostengono addirittura che tale organizzazione non esista realmente.”

Angel allargò la bocca in un sorriso amaro.

“Invece esiste, ma ha saputo sottacersi per bene, in fondo anche il silenzio è una merce che si compra facilmente, basta corrompere la gente giusta… In quanto al capo dell’organizzazione è vero, non sappiamo chi sia. Su di lui girano parecchie voci. Si dice che sia un uomo sulla quarantina, sfregiato in volto. Ai suoi ordini ha un vero e proprio esercito di assassini a lui fedelissimi. Pare che nei suoi rifugi segreti siano esposti decine di cadaveri di nemici da lui assassinati. Chi lo tradisce o gli mette i bastoni tra le ruote viene torturato sino alla morte davanti ai suoi uomini, per scoraggiare possibili tradimenti…”

“Bene, e io che c’entro con tutta questa faccenda?”

“Presto ci sarà un incontro tra il clan Taira e l’organizzazione Odino per stringere un’alleanza, io sono stata incaricata di raccogliere quante più informazioni possibili per il mio Paese.”

“E vuoi che ti dia una mano? Per così poco?” Ryo parve dubbioso. Era davvero necessario il suo aiuto per raccogliere qualche informazione? La cosa continuava a puzzargli, tuttavia preferì sorvolare il discorso. “Piuttosto, dimmi, la pagliacciata come me la spieghi?”

Prese la parola Mick.

“Ho conosciuto Angel quando lavoravo in America come sweeper. Ho lavorato con lei qualche volta e, in queste occasioni, mi è capitato di parlarle di quello che era stato il mio compagno di lavoro per qualche anno. Arrivata qui in Giappone mi ha trovato con facilità e mi ha chiesto aiuto. Le ho risposto che non ero più uno sweeper, ma che avrebbe potuto rivolgersi a te…

Poiché non era sicura di affidare in buone mani la propria vita, le ho proposto di architettare la messinscena, a maggior ragione che la sua copertura qui in Giappone è quella di una giovane e ricca fanciulla.”

“Quindi avevo ragione! E’ stata un’idea tua, brutto farabutto!” vociò lo sweeper stizzito.

“Considerala come un’innocente prova…” gli suggerì Mick.

“Prova? Prova un corno? Le prove falle sul tuo mokkori la prossima volta!”

“D’accordo, d’accordo, calmati adesso…” cercò di rabbonirlo “piuttosto dovresti essermi grato, in fondo ti ho trovato qualcosa da fare; se adesso hai un lavoro è merito mio.”

Il city hunter lo guardò in cagnesco.

Forse era arrivata l’ora di chiudere la bocca, pensò Mick, prima di finire male.

“Per quanto riguarda il terzo punto: il pagamento…” disse Ryo voltandosi verso Angel.

“Pagamento?” chiese lei di rimando.

“Esatto! Il pagamento è un elemento fondamentale perché io accetti l’incarico,” confermò lo sweeper con occhi affamati. “So che hai offerto già un anticipo a Kaori, ma devi sapere che il denaro non è la ricompensa che preferisco… Io sono più propenso a ricevere pagamenti in natura,” precisò famelico.

“Mokkori?” domandò lei con un filo di voce, temendo di aver finalmente compreso il significato di quella parola.

“Già, mokkori!” disse Ryo avventandosi sulla bionda, con la stessa velocità di un proiettile.

Mick lo bloccò all’istante, assestandogli una gomitata al centro di zucca.

“Calmati, animale! Ti pare modo di comportarsi con una signora?” lo rimproverò afferrandolo e bloccandolo con una presa.

“Voglio il mio mokkori, altrimenti niente incarico,” frignò Ryo. Un bambino dalle voglie insoddisfatte.

Fu allora che accadde l’imprevedibile. Come una scena girata al rallentatore, nella stanza il tempo, a Ryo, parve scorrere a rilento, come ad offrirgli la possibilità di non perdere neanche un fotogramma di quanto stava avvenendo. Angel gli venne incontro, con passo felino e occhi ammalianti. Con un gesto leggero e sensuale sciolse i suoi lunghi fili d’oro. Con le dita sottili e affusolate ravviò la lunga chioma, che ricadde come una cascata sulle sue spalle perfette. I due uomini deglutirono nervosi, mentre lei, avanzando, si faceva più vicina, con le sua bocca rossa, gli occhi smeraldo, la pelle abbronzata che sapeva di pesca.

Nella stanza, Mick e Ryo cominciarono ad avvertire un sensibile aumento della temperatura.

Ed ecco che adesso era a tre passi da loro e, delicatamente, faceva scivolare il dorso della propria mano sulla guancia del city hunter, in una sinuosa carezza.

Lo sweeper era al limite, a stento riuscì a evitare che un fiotto di sangue gli schizzasse fuori dal naso. Non credeva ai propri occhi.

“Sei proprio sicuro che Kaori non ne avrà a male?” mormorò la biondina, ad un passo da un bacio.

Ryo si fulminò e il tempo tornò a scorrere normalmente.

Kaori, che stupido, non ci aveva pensato.

“A proposito di Kaori,” asserì di colpo, facendosi serio. “Non voglio sappia niente di quanto detto in questa stanza.”

“E perché mai?” domandò Angel stupita.

“Ryo!” esclamò Mick quasi commosso, allentando la presa, con occhi luccicanti. “Possibile che tu abbia finalmente capito…” E, pensando di interpretare le intenzioni dell’ex collega, continuò:

“Possibile che tu abbia finalmente realizzato di amare Kaori? La sua sorte ti sta così a cuore? Questa organizzazione non è sicuramente famosa per la pietà mostrata nei confronti di chi le rompe le uova nel paniere e desideri che lei resti fuori da tutta questa faccenda… Non ti facevo così altruista!” aggiunse asciugando quattro lacrimucce con il polsino della giacca.

Ryo lo guardò disgustato, ma che cavolo stava delirando quel pazzo?

“Veramente, mi premono di più i mokkori,” bofonchiò lo sweeper, “se Kaori scoprisse che Haruko è disposta a darmela… non credo che mi permetterebbe di essere ripagato in natura.”

Le fragili illusioni di Mick si frantumarono come uno specchio.

“Bene,” concluse dunque Ryo, rivolto ad Angel, “ora possiamo continuare, dove eravamo rimasti?”

“Non ci penso neanche,” rispose lei, riportando il suo sex appeal a livelli normali. “Pagherò ad operazione conclusa.”

“Tze! Tutte scuse, è tutta una mossa per evitare il pagamento,” protestò. 

“Tu dici? Invece, a me non pare il caso di farlo di fronte a Kaori.”

“Credi che caschi in questi trucchetti?” replicò Ryo catapultandosi verso di lei con le brache calate.

Sfortunatamente per il city hunter, Angel non stava mentendo. Kaori era veramente alle spalle dello sweeper, davanti la porta finestra da cui era entrata, calandosi dal tetto con una fune, giusto in tempo per frenare le sue indecenti voglie. Il city hunter non ebbe neanche il tempo di stupirsi, il massiccio martello della collega fu più veloce. Così, senza né ai né bai, venne frantumato a terra.

“Dunque eri qui, brutto porco.”

Ryo riconobbe la terribile voce della collega anche se seppellito nel pavimento.

“Haruko, appena in tempo, vieni, andiamo a casa, non è prudente rimanere ancora con questi due maniaci.”

Ryo non ebbe la forza di controbattere e Mick di difendersi, se c’era una cosa che aveva imparato a proposito di Kaori, era che in momenti come quelli non era salutare contraddirla.

L’indiavolata sweeper trascinò via la cliente sbattendo la porta alle sue spalle. Il palazzo tremò.

Era prevedibile finisse così, d’altra parte Kaori li cercava da quella mattina, ne aveva avuto di tempo per accumulare rabbia.

“Tutto a posto Ryo?” si informò preoccupato Mick.

Lo sweeper boccheggiò.

 

Qualche ora dopo, ripresosi dalla poderosa botta, Ryo si trovava affacciato al balcone, intento ad approfittare della leggera brezza che, dopo giorni e giorni di caldo soffocante, offriva finalmente un po’ di refrigerio.

Sollevò il capo verso le pallide stelle, la falce di luna faceva capolino dietro qualche nuvola opaca. Le luci del palazzo di fronte erano ancora accese. Kaori era ancora sveglia.

“E’ proprio una bella serata,” disse Mick spuntandogli alle spalle e porgendogli una birra.

“Credi che Kaori stia ancora cercando di sbollire la rabbia?” lo interrogò l’americano, indicando il salone illuminato nell’appartamento del city hunter.

Imbronciato, Ryo portò una mano al mento e poggiò i gomiti sulla ringhiera.

“Pensi che abbia trascorso tutto il pomeriggio a cercarvi?”

Lo sweeper sbuffò.

“Ehi, Ryo, parlo con te!” gli fece notare Mick.

Come se non lo sapesse. Come se non se lo immaginasse. Ormai conosceva Kaori. Ogni volta che lui scappava con una cliente, lei lo andava a cercare furente per tutti i love motel di Kabukicho. Poi, quando finalmente lo trovava, lo massacrava con uno dei suoi martelli, sotto gli occhi stupefatti dei passanti, facendogli promettere di non fare più una stupidaggine simile.

Ma quel pomeriggio, stranamente, non era stata capace di trovarlo. Un bene. Un male forse. Probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Adesso si trovava impelagato in un incarico del tutto diverso dall’originario ed Haruko si era rivelata essere tutt’altro che un angelo indifeso.

Odino, il dio della guerra della tradizione scandinava… Il nome di quell’organizzazione mafiosa non prometteva nulla di buono e poi aveva la sensazione che Angel gli avesse raccontato solo una mezza verità, c’era qualche altra cosa sotto, chiedere l’aiuto di city hunter solo per raccogliere qualche informazione… Ci doveva essere dell’altro, quella era solo una scusa. E poi c’erano quegli occhi. Quando gli aveva parlato dell’organizzazione, negli occhi di quella ragazza per un attimo Ryo aveva letto qualcosa, una strana ombra di tristezza che gridava vendetta.

 “Quante volte hai lavorato per quella donna?” chiese Ryo, cercando di eludere così le domande dell’amico e sapere qualcosa di più su Angel.

“Negli Stati Uniti mi è capitato di lavorare con lei parecchie volte, non ricordo più nemmeno quante… ovviamente, sempre gratis.”

“Gratis?”

Mick annuì.

“Almeno, tu puoi ritenerti fortunato, hai avuto un anticipo in denaro. Se penso a tutte le volte che mi ha incastrato costringendomi a lavorare per lei, mi sale un nervoso…” disse cambiando colore. L’argomento lo pungeva ancora sul vivo.

“Riusciva a fregarmi ogni volta,” continuò l’americano. “Puntualmente mi dava appuntamento da qualche parte per chiedermi un favore e, puntualmente, mi trovavo in una situazione disperata, dove ero io a ritrovarmi ad accettare il suo aiuto.”

“Spiegati meglio,” lo esortò lo sweeper.

“Beh, per esempio, una volta, mi diede appuntamento in una palestra, in una sala di aerobica, lo ricordo come fosse ieri: disposto in ultima fila godevo dello sconvolgente spettacolo di voluttuose forme femminili che si muovevano a ritmo di musica, glutei perfetti, seni saltellanti, ma di Angel nessuna traccia. A malincuore abbandonai la sala e mi recai negli spogliatoi, forse si stava cambiando, pensai. Non era neanche lì. In compenso vi erano degli armadietti dalle serrature tentatrici, così scadenti che si aprirono con una facilità inaudita… Avevo già per le mani un lauto bottino di biancheria intima, quando una donna apparve alla porta e vedendomi tra reggiseni e mutandine, come puoi ben immaginare, si fece subito un’idea sbagliata di me… Cominciò a sbraitare come un’ossessa chiamando aiuto. Ero in trappola, presto sarebbero accorse in frotta. Non sapevo proprio cosa fare quando, dalla finestra, vidi spuntare Angel travestita da lavavetri. – Piss, – mi chiamò – ti serve una mano? – mi chiese.

– Sappi, però, che se ti aiuto, mi dovrai un favore! – ci tenne a precisare.

Che potevo fare? La scelta era tra il linciaggio o un incarico. Optai per il secondo.”

“In poche parole, mi stai dicendo che Angel è una sorta di Saeko all’americana?”

“Esattamente!”

“E’ terribile pensare che donne di questo genere esistano sparse per tutto il pianeta.”

“Puoi ben dirlo, mi viene quasi la pelle d’oca.”

Chi l’avrebbe mai immaginato che anche Mick avesse avuto a che fare con donne del genere. L’idea di non esserne l’unica vittima confortò lo sweeper.

“E dimmi,” fece Ryo curioso, dandogli delle leggere gomitate sul braccio destro, “che ha fatto stavolta per convincerti a collaborare?”

“Mi ha ricattato,” confessò l’amico, trattenendo a stento la rabbia.

“Quella dannata ha scoperto che mi sono fidanzato. Mi ha detto: – se non mi aiuti, la tua ragazza scoprirà un bel po’ di cose sulle tue malefatte statunitensi, sai, conservo ancora i numeri della rubrica che ti rubai… chissà se alla tua donna piacerebbe intrattenere una conversazione con Roxanne o con Cathryn o con Scarlet… – Che potevo fare?”
Ryo lo guardò pensoso per un attimo.

“Non mi pare così terribile,” si azzardò a dire.

“Ma sei impazzito?” gli sbraitò contro Mick, “eppure sai benissimo cosa è capace di fare una donna in preda alla gelosia! Sarebbe la morte.”

Ryo rifletté per qualche istante, forse Mick aveva ragione, Kazue non avrebbe di certo digerito tutte le sconcezze di cui si era macchiato l’americano.

Sospirò.

Aveva per le mani una bella gatta da pelare. Altro che angelo, aveva a che fare con il demonio in persona! Come se non gli bastassero le terribili sorelle Nogami. Perché il destino si accaniva contro di lui?

Erano questi gli sconfortanti pensieri di Ryo in quella serata di fine agosto.

Demoralizzato, ritornò a casa che erano le tre di notte, dopo aver tracannato, insieme all’amico, litri e litri di birra, per dimenticare la loro infelice situazione di uomini sottopagati e sfruttati da quello che, per lungo tempo, era passato alla storia come il sesso debole.

Kaori lo sentì cantare a squarciagola nelle scale, senza rispetto per il sonno altrui.

Abbandonò il divano prima che lui entrasse in casa e se ne andò nella propria camera.

Ryo spalancò baldanzoso l’uscio ed entrò. Il suo udito ben addestrato avvertì il suono lontano di una porta chiudersi. Il sorriso da ubriaco si chiuse in un’espressione seriosa e colpevole. E adesso come doveva comportarsi? Tenerla all’oscuro di tutto l’avrebbe protetta? Mentirle in fondo era come tradirla…

Attraversò il salone odiandosi.

Barcollando si gettò sul divano e prese a guardare il soffitto, rivolgendovi una profonda attenzione, come se lì potesse trovare scritte le risposte alle sue innumerevoli domande.

“A che pensi?”

Questa domanda lo colse all’improvviso.

Angel gli si era inginocchiata a lato e lui non se ne era neanche accorto.

Trattenne lo stupore, si voltò e annegò in quei profondi occhi verdi.

“Non rispondi?”

Ryo, intontito dalla bellezza della giovane, riprese l’uso della parola.

“Non penso a niente,” mormorò.

“Io invece credo che tu stia pensando alla donna che ami.”

A quelle parole lo sweeper assunse un’aria contrariata.

“Ma come può venirti in mente un’idea del genere?”

La ragazza rise divertita.

“Voi uomini, siete tutti uguali, non volete mai ammettere di essere innamorati.”

“Ma che dici? Io innamorato di Kaori? Ma sei matta? Lei è solo la mia collega, niente di più.”

“Io non ho detto che sei innamorato di Kaori.”

Fregato. Che idiota, doveva in qualche modo rifarsi della gaffe.

“Infatti, io sono innamorato di te,” disse avvicinandola a sé con veemenza, con occhi da cane in calore, bocca a cuore e mani da polipo.

La ragazza gridò spaventata.

“Zitta, zitta, per carità,” la supplicò Ryo portandole una mano alla bocca. “Sei pazza, se ti sente Kaori…”

“Se ti sente Kaori, cosa? Eh, Ryo? Cosa succede?” sbraitò minacciosa la sweeper spuntando di colpo nella stanza.

Ryo agghiacciò all’istante. Mollò l’ambita preda e alla velocità della luce si precipitò nella propria camera, davanti agli occhi meravigliati delle due donne.

Sparito dalla circolazione Ryo, Kaori con tono indagatore domandò ad Haruko cosa ci facesse in piedi a quell’ora. Se fosse rimasta nella sua stanza, in fin dei conti, Ryo non l’avrebbe  importunata.

“Avevo sete,” rispose innocente, prima di ritornare a letto sotto lo sguardo attento di Kaori, non certo privo di gelosia.

 

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Capitolo 6
*** Ricordi ***


Ricordi

 

Ryo Saeba non aveva sempre avuto quel nome. Lo stesso Ryo ignorava quale nome gli avessero dato alla nascita, come lo chiamassero i suoi genitori. Non ricordava neanche che volto avessero suo padre e sua madre.

I suoi ricordi cominciavano quando bambino, unico superstite di un incidente aereo, si era ritrovato a vagare spaventato in una giungla del Centro America, in un paese governato da una dittatura militare. Ferito e affamato era stato salvato da un gruppo di guerriglieri che lo avevano adottato, preso con sé nel loro villaggio, dove lo avevano addestrato a combattere contro l’esercito governativo. Quegli uomini assuefatti alla guerra erano diventati la sua famiglia, mentre le armi avevano preso il posto dei giochi, in un mondo rozzo e crudele.

A dargli quel nome era stato un giapponese, un guerrigliero di nome Shin Kaibara, che gli aveva fatto da padre.

Ryo aveva dovuto imparare a difendersi da solo, a contare esclusivamente sulle proprie forze, ad uccidere per poter sopravvivere, a rimanere sveglio, anche per giorni, per non cadere nelle mani dei nemici. E verso questi, dimostrare di non avere alcuna pietà o esitazione.

Ricordava ancora gli spari, le esplosioni, la polvere sollevata dalle bombe, l’odore del sangue mischiato al fango, della carne in cancrena, le bestemmie, le urla, i lamenti dei moribondi, il silenzio dei defunti.  La morte gli aleggiava accanto dall’infanzia e in quel tragico teatro di violenza si era chiesto innumerevoli volte quando l’ossuta signora delle tenebre l’avrebbe trascinato con sé. Ma era rimasto in vita. Proprio quando il suo animo ammalato si era stancato di vivere in quel modo, quando avrebbe voluto veramente morire e sprofondare in una notte senza fine, la guerra finì. I guerriglieri persero, e lui con loro fu espulso dal paese. 

Era uscito dalla guerra, infine. Vivo, ma assassino. Avrebbe voluto lasciarsi alle spalle il passato, ma non riusciva a sopprimerne il ricordo. A nulla serviva affondarsi nel presente, vivere senza domani, desiderare l’oblio e un sonno senza sogni. Le sue mani erano sporche di sangue, non avrebbe mai potuto cancellare ciò che era stato, ciò che continuava ad essere.

Dopo aver viaggiato in lungo e in largo per l’America, giunse negli Stati Uniti, dove un suo compagno d’armi gli propose di diventare suo partner come sweeper: killer a pagamento, all’occorrenza ladro, spia, guardia del corpo. Accettò, ma più che una scelta, una possibilità, quella fu una logica conseguenza della sua vita passata. Non aveva fatto altro che uccidere, maneggiare armi e costruire trappole, inoltre  risultava morto. Come vivo, era un clandestino. La sua libertà senza anagrafe non serviva a nulla, poteva solo seguitare a vivere al di fuori della legge.

Poi un giorno, il suo destino cambiò nuovamente. Braccato da un’organizzazione mafiosa che lo voleva morto, costretto ad abbandonare gli Stati Uniti, si rifugiò in Giappone, a Tokyo, nella grande capitale orientale. Fu lì che conobbe un uomo, un certo Hideyuki Makimura. Lavorava per la polizia e possedeva un profondo senso della giustizia e un naturale istinto per la verità.

Non sembrava un tipo sveglio, aveva un aspetto insignificante, le spalle curve perennemente coperte da un lungo impermeabile, due occhi malinconici e stanchi dietro un paio d’occhiali dalle lenti ambrate. Ma Ryo dovette ben presto ricredersi delle sue considerazioni affrettate, Makimura era diverso dagli altri poliziotti. 

“Sei un criminale, ma hai eliminato gran parte della feccia di questa città, i malviventi ti temono. Certo, i tuoi metodi sono poco ortodossi, ma abbiamo qualcosa in comune,” gli aveva detto la prima volta che si erano trovati faccia a faccia, mettendo da parte le manette. Avevano qualcosa in comune: l’odio per le ingiustizie.

La stima e il rispetto reciproco si trasformarono in breve tempo in sincera amicizia. Collaboravano spesso e allo sweeper non dispiaceva affatto, anche perché l’investigatore faceva coppia con una bellissima donna di nome Saeko Nogami, una vera femme fatale, capace di manipolare gli uomini con la stessa naturalezza con cui indossava i suoi abiti succinti. Abbindolato dalle sue moine e dalle sue promesse irresistibili, Ryo aveva finito per lavorare per lei centinaia di volte, senza mai ricevere niente di quanto sperato in cambio.

Makimura e Nogami erano una coppia affiatata, capace di risolvere i casi più complicati. Un giorno però si trovarono ad indagare sulla misteriosa scomparsa di trenta ragazze. Bastò catturare qualche pesce piccolo per scoprire che a monte di quei rapimenti c’era un’organizzazione malavitosa che si occupava della tratta di donne, merce umana da vendere e immettere nel vasto mercato della prostituzione. Non avevano indizi. Le indagini giunsero ad un punto morto, mentre molte altre ragazze continuarono a scomparire in diverse regioni del Paese. Divennero impazienti e decisero di usare un’esca per smuovere le acque. Mandarono in giro diverse agenti per i quartieri più a rischio e, come previsto, una di loro fu catturata. Qualcosa però andò storto, i criminali si accorsero della trappola e assassinarono la donna. Makimura se ne assunse tutta la responsabilità e poco dopo lasciò la polizia. Fu allora che divenne socio di Ryo, svolgendo per lui il ruolo di intermediario. Non confidò mai all’amico quale ragione lo avesse spinto ad abbandonare il suo lavoro di investigatore. Quando lo sweeper cercava di affrontare l’argomento, Makimura si incupiva e si chiudeva in un serrato mutismo. Ryo venne a sapere quella storia molti anni dopo, ma non per bocca del poliziotto, bensì dalle seducenti labbra di Saeko, quando, ricominciate le sparizioni di ragazze a Tokyo, l’affascinante investigatrice chiese l’aiuto del city hunter per riuscire a chiudere definitivamente il caso.

Ryo si stupiva sempre ripensando alla sua amicizia con Hideyuki Makimura. Quell’uomo era il suo esatto opposto: paziente, razionale, riservato, completamente votato al dovere, estremamente timido e impacciato con le donne. Del tutto incapace di dichiarare il proprio amore a Saeko, Hideyuki invidiava un po’ l’intraprendenza e la faccia tosta che lo sweeper esibiva di fronte al gentil sesso.

Per Ryo, che aveva l’inclinazione alla vita notturna e si proferiva uno scapolo irriducibile, Hideyuki risultò essere un cattivo compagno di baldoria.

Tra tutti i ricordi che conservava del socio, estremamente divertenti erano le “dissertazioni sull’ira della sorella”. Lo sweeper aveva soprannominato così le interminabili lavate di capo a cui Kaori sottoponeva il fratello quando, preoccupata che gli fosse capitato qualcosa, rimaneva ad aspettarlo in piedi tutta la notte, per poi vederselo comparire l’indomani mattina, vittima del dopo sbronza. Lavate di capo che puntualmente il collega gli riportava parola per parola, aggiungendo che, se sua sorella si era arrabbiata, era tutta colpa sua, perché lo aveva fatto ubriacare e portato in chissà quali postacci.  

Ryo rispondeva sempre divertito: “Hideyuki, non sono io a farti ubriacare, sei tu che non reggi quasi per niente l’alcool, finisci KO dopo qualche birra…”

“Certo, peccato che, invece di riportarmi a casa, mi trascini in locali in cui non metterei mai piede da sobrio…”

“Non fare l’offeso, ieri sera hai pure fatto colpo!”

“Dici sul serio?!?”

“Sì, era un bel donnone del gay bar di Erika, sapessi che occhi dolci che ti faceva, ora che ci penso ti ha pure baciato.”

Hideyuki rabbrividiva ogni volta, gridandogli di finirla, ma Ryo continuava descrivendo il bacio fin nei minimi dettagli, finché l’amico seccato non gli assestava un pugno in testa, uscendo dalla stanza con la fronte aggrottata, nell’immane sforzo di ricordare qualcosa che forse sarebbe stato meglio dimenticare.

E assieme ai ricordi divertenti c’erano anche quelli tristi, quelli di un’uggiosa mattina di fine marzo, quando, seduto su una panchina di un parco, il suo migliore amico gli confidò il suo più grande segreto.

“Sono passati ormai venti anni… mio padre faceva il poliziotto. Un giorno portò a casa una neonata e mi disse: – da oggi in poi questa bambina sarà tua sorella – quella bambina era Kaori. Era la figlia di un delinquente, che morì schiantandosi con la macchina mentre mio padre lo inseguiva per catturarlo. La piccola non aveva più la madre, né altri parenti, così mio padre decise di adottarla.”

A quel punto Makimura tirò fuori da una delle tasche interne dell’impermeabile un cofanetto. Lo aprì, c’era un anello.

“Ricordo,” continuò il collega, “che certe volte, quando mio padre guardava quest’anello, che considerava come un ricordo della madre di Kaori, diventava triste… – Quando compirà vent’anni,– borbottava, – le darò questo gioiello e le racconterò tutta la verità. – Purtroppo però, papà morì appena cinque anni dopo. E così adesso spetta a me tenere fede a quell’impegno… stasera darò a Kaori l’anello e le dirò tutta la verità.”

Era una verità dolorosa, pensò Ryo. Il passato a volte faceva male, il suo, come quello di altri, non sarebbe stato meglio dimenticare tutto?

“Sembra che il cielo stia per mettersi a piangere, in giorni come questo, le vecchie ferite fanno ancora più male,” riuscì a dire solo questo all’amico.

Ma Hideyuki non aveva mai potuto rivelare la verità a Kaori, perché quella sera, nonostante Ryo si fosse offerto di andare al posto suo, si era recato al Silky Club per incontrare un cliente. Quel locale non era decisamente il più tranquillo dei posti, il socio lo aveva avvertito, consigliandogli di portare con sé la pistola.

L’ex poliziotto era arrivato in orario, puntuale come sempre. Al centro del locale campeggiava un enorme palco, sopra il quale si esibivano, illuminate dalla luce artificiale dei faretti, una decina di ballerine seminude. Makimura si guardò in giro, assordato dai bassi ritmici della musica ad alto volume. Il suo aspetto trasandato e dimesso strideva con lo sfarzoso lusso del mobilio, con gli abiti firmati dei raffinati signori seduti ai tavoli. Si sentì fuori posto. Un uomo gli fece cenno di seguirlo. Lo condusse in una saletta laterale, nascosta da una pesante tenda di broccato. Seduto dietro una tavola apparecchiata, lo attendeva il proprietario del locale. Quell’uomo non gli piacque da subito, c’era qualcosa di viscido e subdolo in lui. Gli occhi, nascosti dietro un paio di occhiali dalla raffinata montatura, erano freddi e privi di scrupoli. Le mani erano curate, senza calli e imperfezioni. Erano mani che nella vita non avevano fatto altro che dilettarsi a contar denaro, a dar cenni e ordini ai sottoposti, a sfiorare donne sempre diverse. 

Il cliente era un membro di un organizzazione mafiosa dal nome Unione Teope, Makimura non lo riconobbe subito. L’incarico che voleva affidare a city hunter era semplice: un omicidio. L’obiettivo era il capo della cosca che controllava Tokyo e dintorni, Tadashi Nishioka.

Hideyuki capì subito che quei tipi miravano a sbarazzarsi della concorrenza per poter ottenere il pieno controllo del mercato giapponese della droga. Era disgustato, rifiutò l’incarico. Non sarebbe mai sceso a patti col diavolo, non voleva immischiarsi in quegli sporchi affari, che si ammazzassero tra loro.

Ma quella non era gente disposta ad accettare una no come risposta.

Cercarono di dargli una lezione già all’interno del locale, due uomini tentarono di puntargli contro le pistole; tuttavia la sua abilità con i coltelli gli salvò la vita. Non li uccise, si limitò a recidere loro i tendini della mano, e a minacciare il loro capo, premendogli la pistola contro la fronte.

Uscì dal locale e fuori pioveva.

In auto cercò di dimenticarsi del Silky Club e dell’orribile gente che vi stava all’interno, pensando che tra un po’ avrebbe cenato in compagnia di Ryo e sua sorella. Sicuramente, si diceva, Kaori, per far colpo sul palato dell’ospite, aveva cucinato i suoi piatti migliori. Ci doveva essere anche la torta, perché quella mezzanotte la sua sorellina avrebbe compiuto vent’anni e lui le avrebbe dato l’anello, le avrebbe detto che le voleva bene, immensamente, ma non era il suo vero fratello. Le avrebbe confessato che i genitori verso i quali aveva provato nostalgia tante volte, tempestandolo di domande quando era piccola, non erano i suoi veri genitori.

La pioggia sferzava contro i finestrini e il cielo nero era lacerato dai lampi, i fari della sua auto illuminarono un uomo in mezzo alla strada. Era un gigante, tanto alto quanto muscoloso, la bocca era spalancata in un ghigno sinistro. Makimura tentò di scansarlo, ma quel pazzo si lanciò sull’auto in corsa. Un solo pugno di quell’essere bastò per mandare in frantumi il finestrino dell’auto. Due occhi folli e vuoti lo trafissero attraverso il parabrezza, Hideyuki si sentì soffocare. Attraverso il finestrino rotto, il gigante tentava di spezzargli il collo. L’ex poliziotto sterzò bruscamente verso il muro che costeggiava la strada, ma la stretta mortale alla gola non si allentò. Aumentò la velocità, poi frenò di colpo, l’uomo venne scaraventato lontano con violenza. Il suo corpo cadde rovinosamente sull’asfalto, rotolando più volte su se stesso. Makimura uscì dalla macchina cercando di riprendere fiato, ma quel demonio gli ricomparve davanti, per nulla intaccato dall’impatto. Ebbe paura, c’era qualcosa di sovrannaturale in quel gigante che dichiarava di essere superman, che lo guardava con occhi senz’anima, che rimaneva in vita nonostante gli avesse scaricato in pieno petto l’intero caricatore della sua Magnum. Quell’uomo era drogato, imbottito fino al midollo di PCP, la polvere degli angeli, la droga che inghiottiva l’anima in cambio di forza e resistenza sovraumane. Si sentì perduto.

 

Ryo guardò il cielo sconsolato, sbuffando. Riparato dalla pioggia, sotto i portici del palazzo in cui abitava, aspettava che Hideyuki lo venisse a prendere. In giro non si vedeva nessuno, non passava neanche una macchina. Che tempaccio, forse sarebbe stato meglio rimanere a casa, come diavolo si era convinto ad andare a quella cena? Forse perché gli piaceva la compagnia di Makimura, forse perché voleva incontrare di nuovo quella ragazza?

L’aria era fredda e tagliente, la città odorava di terra bagnata, mentre la pioggia continuava a cadere a dirotto.

Il vento portò alle sue orecchie l’eco lontano di passi stanchi, le pozzanghere si tinsero di rosso. Si voltò versò l’ombra tremante di un uomo ferito.

“Makimura!”

L’amico senza forze gli cadde fra le braccia. Aveva la schiena trafitta da un pezzo di lamiera, l’impermeabile lacero era impregnato di pioggia e sangue.

“La polvere… la polvere degli angeli…” gli sussurrò Hideyuki.

“La polvere degli angeli?!”

“Sono quelli dell’Unione Teope, l’organizzazione di trafficanti di droga, visto che modi?” mormorò ironico, il respiro era impercettibile, quasi assente. Ryo si ritrovò a pensare a Kaori.

“Cosa devo dire a Kaori?” chiese, senza riuscire a guardarlo negli occhi, che sapeva offuscati dal dolore.

Hideyuki strinse in una mano il cofanetto che gli aveva mostrato quella stessa mattina.

“L’anello, per favore, daglielo. Abbi cura di lei, Ryo,” disse in un faticoso sospiro, prima di chiudere gli occhi per sempre, lasciando lo sweeper nuovamente solo.

 

Il 31 marzo del 1985, fu quel giorno che Kaori decise del suo futuro, il giorno del suo ventesimo compleanno.

Tutta la notte aveva aspettato il ritorno di suo fratello e quando suonarono alla porta, scoprì che Hideyuki non sarebbe più tornato a casa.

Era Ryo. Indossava l’impermeabile di Hideyuki, logoro e strappato. Portava con sé una valigia.

La tavola apparecchiata per tre persone era ancora imbandita. L’aroma di cibo impregnava le pareti del piccolo appartamento.

“Non sono venuto per cenare, mi spiace…” le disse, porgendole una scatoletta.

Un anello.

“Ma questo…”

“E’ un ricordo di tuo fratello, voleva regalartelo…” 

Non era riuscito a raccontarle la verità, la storia triste di quel dono, soprattutto ora che Hideyuki era morto, così, quello che doveva essere un ricordo della madre di Kaori, era diventato quello di suo fratello.

Kaori gli stava di fronte, immobile, come un bersaglio in attesa di essere colpito da una freccia. E lui era il carnefice che scoccava il dardo.

“E’ stato ucciso da un’organizzazione criminale chiamata Unione Teope, che sta cercando di monopolizzare i traffici di droga. Ho già mandato all’inferno il tirapiedi che l’ha ammazzato!”

Inutile usare eufemismi, giri di parole per renderle una verità che per quanto edulcorata non sarebbe cambiata e poi non potevano perdere altro tempo, presto quelli dell’Unione Teope si sarebbero messi sulle tracce della ragazza e, temendo che potesse essere a conoscenza dei loro sporchi traffici, non si sarebbero di certo fatti scrupoli di ucciderla. Kaori era in pericolo, doveva andare via da quella città, lasciarsi tutto dietro le spalle, farsi una nuova vita, altrove.

Kaori taceva e lui non aveva il coraggio di guardarla in viso, perché perdersi in quello sguardo trasparente significava guardarsi allo specchio e scorgervi anche la propria disperazione e solitudine. Sentiva i suoi occhi addosso. Occhi, incerti, impauriti, ma asciutti.

“Non piangi? Mi stupisci. Immaginavo scoppiassi in lacrime, ma evidentemente sei più forte di quanto pensassi. Del resto, non c’è tempo per disperarsi.”

Ryo aprì la valigia. Era piena di soldi.

“Ho preso questi dalla sede dell’Unione Teope. Voglio che li usi per scappare da qui!”

“Che cosa? Dovrei scappare con quel denaro?”

“Sì! Ormai ci siamo messi contro un’intera organizzazione mafiosa! Hanno detto che uccideranno me, e poi sarà il tuo turno!”

“E io che c’entro?!”

“E’ il loro modo d’agire, cancellare tutti gli individui potenzialmente pericolosi. Su, non c’è tempo da perdere, vai a prepararti!”

Fuggire? Perché sarebbe dovuta fuggire? Scappare via, per andar dove? Non aveva avuto nessun altro al mondo se non suo fratello. Era stato il suo compagno di giochi nell’infanzia, l’aveva accompagnata all’asilo il primo giorno di scuola, l’aveva aiutata a fare i compiti, fatto le raccomandazioni prima di uscire di casa, esortandola a comportarsi come una signorina dabbene, a non picchiare i compagni, anche quando li credeva in torto, a non essere un maschiaccio. Era Hideyuki che le rimboccava le coperte quando lei fingeva di dormire, dopo che l’aveva aspettato in piedi tutta la notte, era lui che le raccontava del suo lavoro e di Ryo, e che adesso non c’era più. Se ne era andato, per sempre. Si sentì sola, totalmente devastata e perduta.

Una lacrima fuggì dai suoi occhi e le scivolò sulla guancia.

“Beh? Che ti prende? Lo sai che non abbiamo il tempo per piangere.”   

Già, non doveva piangere, non serviva a nulla, le lacrime non riportavano indietro i morti. Doveva essere forte, coraggiosa, suo fratello glielo diceva sempre.

“Non ho intenzione di lasciare la città! Ho una cosa importante da fare!” disse, senza alcuna vibrazione di paura nella voce. Non aveva nessuna voglia di scappare. Non era una codarda.

“Hai bisogno di un nuovo partner.”

Il suo sguardo non ammetteva repliche.

Kaori aveva deciso di diventare la nuova assistente di City Hunter, anche se così facendo, si era ritrovata in una realtà a lei del tutto estranea, fatta di sparatorie, lotte tra bande rivali, mercenari, vendette. Le piaceva lavorare con Ryo, le permetteva di conoscere tante persone, di aiutarle. Inizialmente, seguire le orme del fratello era stato un modo per sentirlo ancora vicino a sé, un modo per conoscerlo meglio, per capire il motivo che lo aveva spinto ad abbandonare il suo lavoro di poliziotto per far da partner ad un pervertito quale era e continuava ad essere lo sweeper. Era divertente lavorare con Ryo, imprevedibile com’era, con le sue bizzarrie comportamentali, i suoi mokkori, i suoi attacchi notturni alle clienti, i suoi modi a volte poco ortodossi.

Con il tempo aveva imparato a capirne le stranezze, certo sempre condannando alcuni suoi comportamenti troppo licenziosi, ma con lui si sentiva nuovamente a casa, protetta. Per quanto a volte cercasse di negarlo anche a se stessa, aveva finito con l’innamorarsi di un uomo che possedeva più difetti che pregi: trasandato, incostante, maleducato, scansafatiche, sporcaccione, spendaccione, maniaco, donnaiolo eppure coraggioso, protettivo, gentile, generoso, altruista. E per quanto razionalmente si sforzasse nel convincersi a disinnamorarsi di lui, il suo cuore non ne era proprio capace.

 

Se c’era qualcosa che non mancava a Ryo, questo qualcosa erano sicuramente le donne. Aveva avuto molte amanti nella sua vita; non doveva fare molto perché le donne cascassero ai suoi piedi, ci sapeva fare, ed era un bel ragazzo, ma di nessuna si era mai innamorato, nessuna lo aveva reso vulnerabile. Distante, lasciava che il suo spirito restasse inafferrabile e lontano.

La guerra lo aveva cambiato, si era nutrito di odio per così tanto tempo che a lungo si era creduto incapace di amare.

Ma come spesso gli capitò nella vita, dovette ricredersi. Kaori si era insinuata sotto la sua pelle, lentamente. Sin dalla prima volta che l’aveva vista ne era rimasto affascinato e da quel giorno l’aveva sempre osservata con curiosità e inconfessabile tenerezza. Il suo coraggio da guerriera lo faceva ammutolire di ammirazione, determinata com’era nel portare avanti le sue scelte, senza lasciarsi abbattere dagli ostacoli, senza lasciarsi scoraggiare dalle correnti avverse, ma quando la vedeva cedere gli sembrava così fragile da essere irrimediabilmente vinto dal desiderio di proteggerla. Inaspettatamente si era ritrovato legato a lei da numerosissimi fili, saldamente intrecciati tra loro. Fili che aveva cercato di recidere, di indebolire, ma quelli si erano fatti più saldi.

Dal giorno in cui aveva conosciuto Kaori non aveva più cercato un’occasione per morire, per liberarsi da quell’incubo che era la sua vita. Quella donna lo aveva cambiato, il suo amore l’aveva riscaldato dall’odio verso se stesso. Saperla vicina gli infondeva sicurezza, gli dava la forza per andare avanti, per affrontare ogni cosa, intraprendere ogni strada senza il pericolo di perdersi e annullarsi nel suo mondo fatto di sangue ed armi, lo stesso mondo in cui l’aveva vigliaccamente coinvolta; perché se inizialmente l’aveva presa con sé per poterla più facilmente difenderla dagli uomini che ne volevano la morte, quando poi avrebbe potuto lasciarla andare, non ci era riuscito. Come fare a meno di lei, della sua voce, dell’affetto delle sue carezze, del guardarla negli occhi e capirla senza parlare? Egoisticamente la voleva tutta per sé, al suo fianco, anche se così facendo l’avrebbe messa in pericolo.

Sparò. Il proiettile centrò il bersaglio all’altezza del cuore. Un colpo e sentì la rabbia contro se stesso scivolargli via dall’animo. Premette nuovamente il grilletto, questa volta furono i suoi dubbi a svanire, il terzo proiettile si portò via le sue paure, il quarto…

Passi. Qualcuno stava scendendo le scale che conducevano al poligono. Passi quasi impercettibili e leggeri, poi sempre più concreti, finché non avvertì nitidamente una presenza dietro di lui.

Lasciò partire un altro proiettile dalla sua Magnum.

“Allora è vero, la tua abilità con la pistola non è solo una leggenda…”

“Haruko” la chiamò, voltandosi verso la donna, “oppure preferisci che ti chiami Angel…”

La voce quasi involontariamente gli uscì dura e severa.

“Fai un po’ tu, in fondo sei tu che preferisci che Kaori non sappia  niente!”

“Già.” Non le aveva ancora detto niente. Come se questo potesse servire a qualcosa.

“Quando dovrò entrare in azione?” domandò il city hunter.

“Presto, molto presto, non preoccuparti. Mi toglierò dai piedi prima di quanto credi…” lo informò facendo per andarsene, ma Ryo l’afferrò per un braccio, l’avvicinò a sé e di nuovo quegli occhi grigi la trapassarono leggendogli dentro.

“Sai Angel, i tuoi occhi sono molto belli, ma… profondamente tristi.”

“Che sciocchezze dici?” mormorò, ma istintivamente abbassò lo sguardo.

“Sono infelici perché hanno perso qualcosa, qualcosa che non potranno più avere indietro, perché la Morte non ti rende mai ciò che trascina con sé…”

Ryo sentì il corpo di Angel irrigidirsi, gelare e rabbrividire nell’anima.

“Lasciami…” sussurrò la ragazza. E in quel sussurro lo sconfortante desiderio di abbandonarsi, lasciarsi scivolare in un abisso. La presa di Ryo si fece più forte, quasi a impedirle di precipitare.

“Vuoi ucciderlo come ha ucciso tua sorella? E’ così, Angel?”

Sua sorella, Isabel…

Angel sentì il suo cuore bloccarsi per un istante. Vacillò. Tremò. Migliaia di ricordi le invasero la mente, le percossero l’animo, rapidi, come fotogrammi impazziti, corsero davanti ai suoi occhi. E in un attimo si ritrovò di fronte all’appartamento di sua sorella. La porta della casa, socchiusa. Non un suono, né un sussurro ad accoglierla, solo il frastuono del traffico proveniente da fuori.

–  Isabel, – la sua voce si perse nell’appartamento – dove sei? Sei pronta? Guarda che la prenotazione al ristorante non ce la riservano per tutta la vita…–  Nessuna risposta. – Isabel, stai male? – In quel momento c’era qualcosa che non le piaceva in tutta la casa, qualcosa di indefinibile, che andava dal silenzio all’orribile tanfo di chiuso. ­– Isabel, sei in bagno? Isabel, guarda che se mi spunti all’improvviso per farmi paura me la paghi! – La porta del bagno era aperta e dentro non c’era un’anima. – Isabel – la sua voce aumentò di qualche decibel, in una tonalità quasi isterica. La porta della camera da letto era chiusa. – Isabel – Nessuna risposta. Nessun rumore. Provò a girare la maniglia. Perché si era chiusa a chiave? Bussò forte col pugno, tre, quattro volte, finché capì che sua sorella non le avrebbe mai aperto. Si scaraventò contro la porta con rabbia e disperazione, fino a quando non la buttò giù a spallate. Entrò in quel buio che si faceva penombra, aspirando aria che sapeva di morte. – Isabel – chiamò con un filo di voce.

Cercò di respirare profondamente, ma si sentì mancare l’ossigeno. L’aria si era fatta improvvisamente fetida e rarefatta. Si avvicinò tremando al letto della sorella. La debole voce del vento entrò dalla finestra spalancata, giunse alle sue orecchie come canto lamentoso. Il chiarore vago e sfuggente della luna illuminò il fragile corpo di Isabel, i suoi lunghi capelli sciolti sulle lenzuola, sul seno scoperto. Gli occhi vuoti e cechi fissi sul soffitto, i lineamenti trasparenti, bloccati in un’espressione di orrore. Si chinò su di lei, le sfiorò una mano, dura e fredda come il ghiaccio. Il cuore le si riempì di terrore, un urlo lacerante le uscì dalla gola. Si lasciò cadere a terra in un angolo buio della stanza, si sedette e pianse. Sopraffatta dalla disperazione, lasciò scorrere le lacrime sul suo volto finché non si esaurirono.

 

Sentì qualcuno afferrarla per le spalle, scuoterla fino a riportarla alla realtà, nell’istante presente.

“Angel…”

Avrebbe voluto piangere, ma non una lacrima le rigò il viso. Le aveva versate tutte le sue lacrime.

“Aiutami,” sussurrò all’uomo che la reggeva. “Aiutami a catturare chi me l’ ha portata via…”

 

 

 

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Capitolo 7
*** La vera Angel ***


La vera Angel

 

Ryo rimase stupito dall’onda dolorosa che lesse in fondo a quello sguardo, verde mare in tempesta travolto dall’angoscia del passato. Dentro gli occhi di Angel c’era tutta la tristezza del mondo. Era come se il ricordo di Isabel avesse aperto uno squarcio nell’apparente tranquillità con cui mascherava la propria disperazione. E quel vuoto, quell’assenza incolmabile che le artigliava il cuore, lo sweeper la conosceva benissimo e l’aveva provata più di una volta nella vita.

“Cosa farai dopo che ti avrò aiutato a catturare quell’uomo?” le chiese.

“Non lo immagini?”

Sorrideva. Un sorriso amaro per quella domanda dalla risposta ovvia, che le si poteva leggere negli occhi, non più abissi agitati, ma ferma e densa palude ribollente d’odio e rancore.

Ryo emise un lungo sospiro. Sapeva che la vendetta non avrebbe alleviato la sofferenza, né cancellato l’immagine di quella notte risanando le ferite. Angel doveva imparare a curare il proprio animo servendosi dei ricordi piacevoli, aspettando che la polvere del tempo ovattasse un po’ il dolore delle cicatrici.

Lo sweeper infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori una musicassetta.

“L’ho trovata in mezzo alla tua biancheria intima…” confessò senza imbarazzo porgendole il nastro.

Angel lo guardò storto, ma Ryo fece finta di nulla.

“Senza questa, non avrei mai scoperto di tua sorella Isabel. Te la restituisco, penso che per te sia importante.”

Gli occhi scuri e profondi dello sweeper continuavano a guardarla come se cercassero di far emergere qualcosa che lei stessa era restia a riportare in superficie.

Erano i ricordi della sua infanzia con Isabel, dei momenti sereni che aveva vissuto con lei, di quella musicassetta, in cui lei e sua sorella avevano registrato un radio-giornale, improvvisandosi giornaliste e presentatrici. Era un gioco. Era stata Isabel a inventarlo, durante un noioso pomeriggio di pioggia.

Angel ricacciò indietro quelle immagini felici. Un’espressione ermetica e taciturna accarezzò nuovamente i suoi lineamenti. Della vera Angel non vi era più traccia.

“Cosa hai scoperto su Isabel?” domandò con voce asettica e distante.

“Quello che ho potuto leggere sui giornali: agente della narcotici trovata morta nel proprio appartamento. Overdose, ma si tratta di omicidio,” rispose lo sweeper, citando uno dei titoli che ricordava a memoria.

La notizia non era passata inosservata ai media, anche perché Isabel, prima di essere uccisa, era riuscita a sollevare un gran polverone, indagando su alcuni colleghi e politici corrotti invischiati nel giro della droga. Principale indiziato dell’omicidio era un certo Scott McCarty, un agente della narcotici, collega di Isabel.

Arrestato in seguito alle indagini dell’agente Rascal, era riuscito ad evadere di prigione, uccidendo quattro guardie carcerarie. A due giorni dalla sua fuga, Isabel era stata ritrovata morta nel proprio appartamento, mentre di McCarty si erano perse le tracce.

“Sai Ryo, Isabel odiava la droga, provava pena per quanti perdendo se stessi, pensavano con quella di ritrovarsi, alleggeriti dai loro problemi e falsamente liberi. Come molti, alla narcotici, era a conoscenza dei traffici illeciti di McCarty. Quell’uomo rubava la droga sequestrata e la rivendeva al migliore offerente, ma non veniva mai trovata nessuna prova a suo carico e i potenziali testimoni si trasformavano presto in cadaveri o, semplicemente, scomparivano, senza lasciare traccia. McCarty rendeva il loro duro lavoro inutile. A che servivano le retate, gli appostamenti, le indagini, i sequestri di droga?

Isabel sapeva anche che McCarty non era il solo agente coinvolto e che quella gente corrotta poteva contare su autorevoli agganci con il potere politico. Forse fu il più grosso errore della sua vita intestardirsi a volerli incastrare.

McCarty era un tipo senza scrupoli, ambizioso e il suo passatempo preferito erano le donne. Isabel cercò di guadagnarne la fiducia, di farselo amico. Fu difficile, perché McCarty non era affatto uno sciocco, ed era anche un tipo piuttosto diffidente, ma Isabel era anche una donna giovane e affascinante e McCarty pur sempre un uomo con il debole per il gentil sesso. Quando fu certa di avere in mano tutte le prove necessarie per incastrare lui e i suoi complici, Isabel rese pubblica la sua indagine. Fu come far scoppiare una bomba: per la narcotici fu un duro colpo, saltarono parecchie teste e per le autorità coinvolte fu un terribile momento. McCarty venne arrestato, ma evase e volle vendicarsi. La uccise iniettandole in corpo un quantitativo di eroina bastevole per fare un viaggio senza ritorno, la spogliò e la depose sul letto…”

Angel chiuse gli occhi e abbassò lo sguardo, come a voler respingere le immagini di quella notte in un angolo buio della sua mente.

“Il resto… il resto sto cercando di dimenticarlo.”   

La voce di Angel si era mantenuta atona e inespressiva per tutta la durata della spiegazione, ma in quell’ultima frase Ryo aveva potuto avvertire un cambiamento di tonalità. Era come se i fantasmi che scorrazzavano senza pietà nella mente della ragazza, la loro scia di pensieri ossessivi e amari, l’enorme carico di rabbia e impotenza, di rancore e odio con cui la tormentavano, avessero avuto per un attimo la meglio, costringendola ad incrinare la voce quasi in un lamento.

“Ti chiederai ora cosa l’organizzazione Odino c’entri in tutto questo,” proseguì la 007, riprendendo il controllo delle proprie emozioni.

“Ad un anno dalla morte di Isabel, venni a sapere, durante una missione, che McCarty, in seguito alla fuga, non aveva perso tempo ed era entrato a far parte dell’organizzazione Odino. Le sue conoscenze sul narcotraffico, la mancanza di scrupoli e la smania di potere, devono averlo facilitato nella scalata all’interno dell’ organizzazione di cui adesso è luogotenente.”

Di nuovo silenzio. Ryo si era seduto su una cassa di legno, con gli occhi chiusi, la testa inclinata indietro poggiata sul muro bianco, sembrava teso, come intento a riflettere su qualcosa. Secondo le sue ricerche l’organizzazione Odino aveva una struttura gerarchica, nella quale ogni membro era tenuto a rispondere del proprio operato direttamente ad un suo superiore e ne doveva eseguire gli ordini e le disposizioni. Se un compito non veniva assolto in modo da soddisfare i vertici, venivano inflitte dure punizioni. Al vertice di questa architettura sociale vi era un solo uomo, di cui Ryo non era riuscito a scoprire nulla.

“Cosa sai del capo dell’organizzazione?” domandò.

Angel scosse la testa.

“Non ha un nome, non ha un volto, di lui non sappiamo assolutamente niente. È una sorta di uomo invisibile anche per i membri dell’organizzazione di cui è al comando, ad eccezione di due uomini, i due luogotenenti a lui sottoposti. Sono gli unici che hanno il permesso di convenire direttamente con lui, gli unici che ne conoscano l’identità e, naturalmente, non si sognerebbero neanche per un momento di tradirlo. La fedeltà all’organizzazione è totale, per lei si è disposti anche a dare la vita, entrare in essa è come sposare una causa. E più sei abile e spietato, più sono le possibilità di accedere ai livelli organizzativi più alti, quindi più denaro, più fama, più potere.”

Da Angel Ryo venne a sapere che l’organizzazione si occupava di traffico di armi e droga, di prostituzione e riciclaggio di denaro sporco. Gli uomini che ne facevano parte venivano accuratamente selezionati nei bassifondi della malavita e sottoposti ad un duro e ferreo addestramento e, a seconda delle loro abilità, inseriti nei vari reparti dell’organizzazione. Chi tradiva, chi contravveniva a qualche ordine, chi non raggiungeva lo scopo della sua missione, chi metteva in pericolo con i suoi errori l’equilibrio o l’esistenza dell’organizzazione, non veniva più riconosciuto come membro di essa, cessava anche di essere una persona, un essere umano. Per incutere terrore e paura ai suoi uomini, per annullare in loro qualsiasi volontà di disubbidienza o opposizione, l’organizzazione sottoponeva i traditori a punizioni crudeli, inumane e degradanti.

 “E dei due luogotenenti, cosa puoi dirmi?” domandò lo sweeper.

“Come ti ho già detto, uno dei due è McCarty, è lui che seleziona tra la malavita i possibili nuovi membri e ne cura l’addestramento. L’altro si chiama Rudolf Eichmann. Laureato in medicina, sarebbe stato un ottimo medico, se non si fosse convinto che infliggere torture sia più gratificante che dar sollievo ai pazienti. Questo è tutto ciò che posso dirti,” concluse avvicinandosi a Ryo.

“Adesso sarà meglio salire. Se Kaori si dovesse svegliare, non oso neanche immaginare cosa potrebbe accadere se ci scoprisse così vicini,” gli sussurrò contro la pelle.

La seguì con gli occhi mentre usciva dalla stanza.

Impugnò la Python. Fece fuoco. Uno sparo riempì l’aria.

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Capitolo 8
*** Un invito inaspettato ***


Un invito inaspettato

 

Ogni mattina, alle 11.30 spaccate, Kaori spalancava con violenza la porta ed entrava nella camera dello sweeper avvolta dalla penombra. Senza esitare, la donna si avvicinava al letto, dove scompostamente, mezzo avvolto dalle lenzuola, il viso rivolto al soffitto e la bocca aperta, ronfava beato il collega. Kaori faceva dunque un bel respiro e chinatasi sull’uomo urlava: “Ryo, è tardi, alzati!”

Mezzo intontito dal barrito sviluppatosi a pochi centimetri dalle sue orecchie, lo sweeper si svegliava di soprassalto, scattava a sedere sul letto e prendeva a fissare un indefinito punto di fronte a lui. Si concedeva così qualche minuto per rendersi conto che lo avevano appena trascinato via da un sogno peccaminoso, in cui era intento a sfiorare seni tondi e corpi bollenti, quindi adirato si voltava verso la socia e cominciava ad esibirsi in una tiritera di lamenti e imprecazioni. 

Quella mattina invece la detonazione proveniva dalla cucina e la voce di Kaori dovevano averla sentita anche in Cina, non poté fare a meno di pensare Ryo, guardando la sveglia che segnava le dieci e un quarto.

“Una festa da ballo?!?” tuonava. “Ma…ma, Haruko, sei impazzita?”

“E’ solo un ballo, Kaori, calmati…”

“Calmarmi?” domandava esterrefatta la sweeper aumentando la voce di qualche decibel, forse voleva farsi sentire anche in Turchia.

“Suvvia, che potrebbe mai succedere?”

“Che…che potrebbe mai succedere?”

 Possibile che Kaori non si sentisse mancare il fiato? Strillava così tanto che pareva non respirare.

“Quel depravato sfrutterà l’occasione per saltare addosso a tutte le ragazze presenti, te compresa, e non dirmi ancora che lo credi una brava persona!” esclamava esasperata.

Ragazze? L’argomento si faceva interessante, il city hunter decise che era il momento di fare la propria entrata, era indispensabile cominciare ad indagare sulla faccenda.

“Che diavolo succede?” gracchiò sulla soglia della cucina, spettinato e impresentabile, con la faccia ancora gonfia di sonno.

Kaori invocò il suo aiuto: “Ryo, diglielo tu che potrebbe essere pericoloso…”

“Cosa?” domandò lui cascando dalle nuvole.

“Kaori, non cercherebbero mai di eliminarmi davanti a tutti quei testimoni, in mezzo a tutta quella confusione, coraggio, dai, accetta, ti supplico…” pregò piagnucolosa Haruko.

“Dai Ryo, è una pazzia vuole per forza andare al ballo.”

“Ballo? Che ballo?” chiese Ryo continuando a non capir niente.

“Uffa!” sbuffò Kaori, sbattendogli in faccia uno degli inviti che Haruko le aveva consegnato.

“Questo ballo!”

Lo sweeper lesse velocemente quanto scritto e lanciò un’occhiata ad Angel, il messaggio proveniente dai suoi occhi era uno solo: “Reggimi il gioco.”

Eseguì l’ordine.

“Haruko, che idea grandiosa hai avuto, vedrai sarà fantastico!” strillò saltellante di gioia.

“Ma come?!?” ululò Kaori. Si era illusa di poter trovare in Ryo un alleato, invece quello pensava già a divertirsi, l’idea di andare ad un ballo non lo preoccupava affatto, anzi, tutt’altro, lo eccitava. E a chi voleva attentare alla vita di Haruko, quello sciocco non ci pensava? Credeva forse di farlo uscire allo scoperto recandosi a quella festa? Ma se non sapeva neanche che faccia avesse? E poi gli importava veramente dell’incarico o era più interessato alle donne che quella serata gli avrebbe permesso di rimorchiare? C’era da aspettarselo da un dongiovanni come lui.

“Oh, insomma, non c’è nessuno qui con un po’ di sale in zucca?” si ritrovò a sospirare Kaori.

“Se non ti piacciono le feste, nessuno ti obbliga ad andarci,” le fece notare serio il collega.

“Certo, così tu potrai fare ciò che ti pare e quando ti pare, vero? Come se non ti conoscessi!”

“Hai così poca fiducia in me, Kaori? In fondo si tratta di lavoro. Non penso che Haruko ci abbia assunti per rimanere segregata in casa, dico bene? Il lavoro prima di tutto, è il nostro motto, se poi all’utile associamo anche il dilettevole…” commentò lo sweeper, poggiando una mano sul fianco di Haruko, per farla salire in direzione del seno. Le sue dita però non arrivarono mai a destinazione perché con l’aiuto di Kaori, la mano, con tutto Ryo, fece un volo di tre metri e si spiattellò sul parquet.

“Hai finito di unire l’utile al dilettevole?” lo rimproverò la socia, carbonizzandolo con lo sguardo. “Che diavolo volevi fare?”

“Cercavo solo di far immaginare ad Haruko la sensazione della seta, che accarezza delicatamente la pelle…”

Un’altra occhiataccia di Kaori bastò a convincerlo che forse era il caso di volatilizzarsi alla velocità della luce.

“Sei ancora convinta di volerlo portare con te?” domandò seccata alla biondina.

“Certo,” rispose Haruko, “dopotutto è la mia guardia del corpo, no?”

La sweeper sospirò sconfitta. Portare alla ragione quella donna era un’impresa assolutamente impossibile.

“E tu che farai, verrai al ballo?” chiese curiosa.

“Mi hai dato l’invito, no?” gracchio la city hunter, trattenendo a stento la bile. Siccome la invitavano tutti i giorni ad occasioni galanti come quelle, non aveva di che preoccuparsi, si era preparata all’evento: aveva scarpe, abito e accessori adatti! Proprio una bella idea aveva avuto Haruko! E poi con che anticipo le aveva comunicato il tutto, neanche il preavviso di 24 ore le aveva dato! E adesso come avrebbe fatto a tenere d’occhio il collega?

“E lo userai?”

Insisteva pure. Maledizione, che nervi! Ma lo faceva apposta, godeva a ficcare il dito nella piaga? Al diavolo Ryo e i vermi che si ritrovava al posto del cervello.

“Vado a fare la spesa,” tagliò corto Kaori. “Nel frattempo, allenati pure a tenere a bada quel pervertito, se ne sei capace!”

 

Passarono circa una decina di minuti prima che Ryo riapparisse nella camera.

“Ehi!” sussurrò nascosto dietro una pianta del salone, “Kaori è veramente uscita?”

“Sì, stai tranquillo, è andata a fare la spesa.”

“Ne sei sicura?” domandò guardandosi attorno circospetto.

“Certo.”

Lo sweeper abbandonò il nascondiglio sollevato.

“E così siamo soli soletti!”

“Già,” rispose lapidaria Angel.

“Kaori non c’’è,” lo sweeper ridacchiò soddisfatto. “Via il gatto, i topi ballano,” disse famelico balzandole addosso. Ma una pioggia di lame affilate tagliò l’aria, e lo stallone di Shinjuku si ritrovò conficcato alla parete appeso per i vestiti.

“Ehi, ma sei impazzita? Vuoi farmi fuori?” sbraitò più pallido di un fantasma.

“No,” rispose lei, con la solita tranquillità di un Buddha. “Kaori mi ha detto di allenarmi a difendermi dalle tue grinfie…”

“Tirami giù da qui!” ruggì il city hunter.

“No, non ne ho voglia, sei capacissimo di farlo da solo…”

“Si può sapere almeno cos’è questa storia del ballo?”

“Ah, il ballo…”

“Già quello…” puntualizzò Ryo dalla sua angusta posizione.

“Be’, è la tua missione.”

“La mia missione? Il compleanno di un vecchietto la mia missione?”

“Non è un vecchietto qualunque. Questa sera il signor Kenzaburo Natsume compirà sessant’anni. Per l’occasione, il ricco magnate ha organizzato una festa da ballo, invitando le più importanti e facoltose famiglie di Tokyo e dintorni. Quello che non tutti sanno però è che il signor Natsume ha stretti legami con il clan Taira e che il ballo, in realtà, è solo una copertura per nascondere gli accordi per una possibile alleanza…”

“Tra il clan e l’Organizzazione Odino…”

“Esatto, e pensa, per consacrare l’accordo, l’organizzazione offrirà ben 5 Kg di cocaina purissima, nonché l’eccezionale Valchiria, messa a punto per l’occasione…”

“Valchiria, una sorta di potenziamento della Polvere degli Angeli…”

“E’ proprio grazie alla Valchiria che l’organizzazione è riuscita a costruire delle armi umane altamente programmate; quando serve, imbottisce i propri uomini di Valchiria e di esplosivo, e al momento buono li fa saltare in aria. Nessuno ci assicura che non piazzerà tali ordigni anche durante questo incontro.”

“Credi forse che quella dell’accordo sia una farsa e che invece l’organizzazione miri ad altro?”

“Non è detto, penso solo che il clan Taira controlla una larga fetta del mercato della droga del Paese, mercato a cui aspira fortemente l’organizzazione, perché dividerlo dunque, quando lo si può avere tutto per sé? In fondo la cupidigia è un peccato vecchio quanto il mondo…”

“Io che cosa dovrò fare?”

“Semplicemente goderti la festa sino al mio segnale; dopodiché cercheremo la sala dove hanno intenzione di svolgere gli accordi, ascolteremo quanto si dicono le parti, filmeremo il tutto, faremo irruzione nella stanza e  mentre tu ti dedicherai agli uomini che vorranno farci la pelle, io mi occuperò di McCarty.”

“La fai troppo semplice. Non credi che avranno preso le loro precauzioni?”

“Certo, e io ho preso le mie assumendoti, no?” disse puntando i suoi profondi occhi smeraldo su quelli perplessi di Ryo.

La fragile e smarrita Angel, che lo sweeper aveva visto appena due giorni prima, aveva lasciato il posto ad una perfetta 007, imperturbabile, priva di dubbi ed esitazioni.

“E adesso vado a farmi una doccia,” lo informò avviandosi verso la porta.

“Fammi scendere da qui,” piagnucolò Ryo, sentendosi un quadro appeso alla parete.

“Non ci penso neanche,” cantilenò lei.

“Angel,” la supplicò, “non posso rovinarmi i vestiti, Kaori mi ucciderà!” Nulla. La donna era già scomparsa oltre la porta.

 

L’invito di Haruko alla festa da ballo aveva colto Kaori alla sprovvista, il suo guardaroba non contemplava abiti per occasioni così raffinate. Comprare un vestito nuovo era impensabile, il suo portafogli non era certo tintinnante di denaro.

Mandare Ryo da solo con Haruko?

Ma neanche per sogno! Un pervertito come lui, assetato di donne e privo di freni inibitori, avrebbe, senza ombra di dubbio, approfittato della situazione. L’unica possibilità era Eriko, così, nonostante non fosse sua abitudine approfittare delle amicizie per richiedere favori, si rivolse a lei, raccontandole tutta la situazione.

Eriko, amica di Kaori sin dalle superiori, era un’affermata stilista di moda, quindi non le risultò difficile risolvere il problema della sweeper, anzi fu ben lieta di farlo. Quante volte aveva predicato a Kaori di evidenziare la sua femminilità, mettendo in mostra la bellezza che nascondeva sotto gli abiti maschili? Quel ballo costituiva un’ottima occasione.

“Kaori, non preoccuparti, vedrai, sarai la più bella,” sentenziò Eriko da dietro la scrivania del suo studio.

“Ti ringrazio molto Eriko, senza di te non avrei proprio saputo come fare.”

“Sciocchezze, non c’è bisogno di ringraziarmi, lo faccio con piacere. Adoro l’idea di trasformare completamente il tuo look, è un po’ come farti rinascere! Poi, vestire una modella bella come te costituisce un’ottima pubblicità per i miei abiti, no? E pensa alla reazione di Ryo quando ti vedrà, credo proprio che non potrà resisterti…”

“Ma Eriko!” esclamò Kaori balzando in piedi come galvanizzata, completamente rossa in viso.

La stilista sorrise. Si era accorta presto dei sentimenti che Kaori provava per il city hunter e, quando le si presentava l’occasione, cercava sempre di svolgere il ruolo di cupido nei confronti di quei due.

“Comunque sia, bando alle ciance, coraggio, non c’è tempo da perdere, dobbiamo scegliere il vestito, gli accessori, il trucco…”

“Sì, sì, certo… ma, prima, posso fare una telefonata?” chiese Kaori, che già faticava nel tenere a bada l’entusiasmo dell’amica.

“Una telefonata? Sicuramente.”

La sweeper afferrò con decisione il telefono che Eriko le porse e compose il numero senza esitare. Risposero subito.

“Pronto.”

“Ryo, sono Kaori. Ascolta, sono al Total Fashion Eri Kitahara, non penso di ritornare a casa...”

“Sei da Eriko?”

“Sì e allora?”

“Ma non eri andata a fare la spesa?”

“Ho cambiato idea…”

“E Haruko, non hai paura che potrò approfittare di lei?”

Lunga pausa di silenzio. In effetti era probabile, pensò Kaori, ma forse in questo modo la ragazza avrebbe cambiato idea nei confronti di Ryo e avrebbe rinunciato alla festa.

“Passami Haruko.”

“Vuoi che ti passi Haruko?”

“Sì!”

“Come se fosse facile,” pensò lo sweeper, ancora conficcato nel muro. Non voleva mica mandare a brandelli il suo completo nuovo. Ma quando Haruko apparve, come una dea dopo il bagno, con i capelli bagnati, la pelle umida e coperta solo da uno striminzito asciugamano, Ryo, mandando al diavolo i buoni propositi, sacrificò camicia e pantaloni per saltarle addosso.

Fluttuò nell’aria mezzo nudo per qualche secondo prima che una superficie terribilmente dura e contundente lo spalmasse a terra come una mosca.

“Un martello…” farfugliò incredulo e intontito dalla botta.

“L’ho trovato in bagno, chissà, forse me lo ha lasciato Kaori,” lo informò la biondina mentre si avvicinava tranquilla in direzione della cornetta.

Dall’altro lato, la city hunter attendeva impaziente. Perché ci metteva tutto quel tempo? Era il caso di allarmarsi? Forse era meglio ritornare a casa?

“Pronto.”

La voce di Haruko mise fine al suo flusso di coscienza.

“Haruko, tutto bene?”

“Certo!”

“Ryo non ti sta dando nessun fastidio?”

“Si è appena appisolato, dorme come un angelo,” la informò gettando uno sguardo sullo sweeper stravaccato a terra, svenuto.

“Quindi va tutto bene?”

“Sì, sì, Kaori, non preoccuparti, me la cavo da sola… Be’ ora devo andare, devo asciugarmi i capelli. Ci sentiamo.”

“Haruko…”

Niente da fare, la ragazza aveva chiuso il ricevitore.

Kaori emise un profondo sospiro.

La situazione non le era molto chiara. Possibile che Ryo avesse smesso di importunare le clienti in sua assenza? No, era da escludere, era una possibilità che proprio non la convinceva.

“Kaori!”

Eriko la tirò per un braccio distogliendola dai suoi pensieri.

“Sì?”

“Kaori, hai chiamato Saeba?”

“Be’, sì…”

“Bene, allora andiamo,” disse spingendola fuori dalla stanza, “cominciamo a farti bella.”

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Contraddizioni ***


Contraddizioni

 

“Hai paura della morte?”

Quella dannata domanda lo perseguitava.

“No, non ho paura della morte!” Così gli avevano insegnato a gridare prima di una battaglia quando era un guerrigliero. La morte poteva essere anche un sollievo, la fine di un incubo. Una volta lui l’aveva anche desiderata. 

La morte non faceva paura a chi non aveva niente da perdere.

Ma adesso, non era più così.

Adesso la temeva. Della morte che trascina via gli affetti, che ti porta via ciò che vorresti sempre in vita, aveva cominciato ad avere una paura folle. E lui, che cercava di non guardarsi mai indietro, che non badava ai se o ai ma, sempre più spesso adesso si ritrovava a pensare: “Se quel pomeriggio avessi insistito di più, se non avessi permesso a Makimura di andare da solo al Silky Club, se ci fossi andato io al posto suo, come sarebbe stata la mia vita adesso? Makimura sarebbe ancora vivo?”

Lo sapeva, erano domande sciocche, il passato era passato e non lo si poteva cambiare, tuttavia si sentiva in colpa nei confronti di Kaori, non solo aveva permesso che le portassero via il fratello, ma le impediva di condurre una vita normale, quella che Makimura si era sforzato in tutti i modi di darle.

Un lavoro onesto, una vita sicura, matrimonio, figli… Tutto questo diventava impossibile, un sogno irrealizzabile. La gente come lui non poteva permettersi alcun legame, figuriamoci una famiglia. Era meglio poter pensare ad una Kaori lontana, ma viva. Lontana da lui che in fondo non era altro che un bersaglio ambulante destinato all’Inferno. Accanto a lui, in quel suo mondo crudele, come avrebbe potuto sperare in un domani felice?

Si stava avvicinando il tramonto e l’aria era più fresca. Da quella terrazza riusciva a vedere buona parte di Shinjuku. Un tempo, guardare la città dall’alto gli sarebbe bastato per lasciar scivolar via le zavorre di paure che si portava dietro; adesso tutto questo non gli era più sufficiente, anche la solitudine, che un tempo tanto aveva apprezzato, cominciava a risultargli insopportabile.

Si appoggiò al parapetto della terrazza e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. Non si mosse da quella posizione neanche quando si fece viva Angel, che lo aveva cercato per tutta casa, prima di trovarlo lì, gli occhi rivolti al pavimento e il volto privo di ogni baldanza.

“Finalmente ti ho trovato!”

“Angel…”

“A che pensi?”

“E’ la seconda volta che mi fai questa domanda,” le fece notare Ryo, tuttavia non rispose, se non con un'altra domanda.

“Perché mi cercavi?”

“Ha richiamato Kaori, ha detto che l’autista di Eriko l’accompagnerà alla villa, quindi di non preoccuparsi di passarla a prendere.”

Così Kaori era rimasta da Eriko; non era venuta neanche per cucinargli il pranzo, si era dovuto arrangiare preparandosi un panino; non era ritornata neanche nel pomeriggio e adesso gli faceva sapere che non l’avrebbe incontrata se non quella sera. Anche a volerle raccontare tutta la verità, quando avrebbe dovuto farlo?

“Pensavo che Kaori non sarebbe venuta al ballo. Sarebbe stato tutto più semplice se quella stupida non fosse andata a chiedere aiuto a Eriko,” si ritrovò a sospirare.

“Credi forse che ti avrebbe lasciato andare da solo? Che non ti avrebbe seguito?” domandò Angel divertita, pensando che lo sweeper si dimostrasse deluso perché, quella sera, la collega non gli avrebbe certamente permesso di rimorchiare qualche bella donna.

Ma Ryo non rispose ed Angel in quel silenzio ricordò che lo sweeper teneva nascosta alla partner la verità, Kaori non sapeva nulla delle ragioni di quel ballo, di lei, della sua vera identità, del reale scopo dell’incarico loro affidato.

“Nascondi sempre così tante cose alla tua collega? Non ti fidi di lei?”

Non aveva fiducia in se stesso, era questo il punto. Lui era cambiato e non era più sicuro di riuscire a proteggerla. Infiacchito dai sentimenti e dai dubbi.

E se si fosse distratto? Se non fosse riuscito a tenere tutto sotto controllo? Se quell’organizzazione fosse stata capace di rapirla, di farle del male? Sarebbe bastato un solo attimo di distrazione e avrebbe perso tutto.

“Non sono affari tuoi!” le rispose brusco.

“Volevi che non venisse coinvolta…”

Ryo le lanciò uno sguardo duro, che suggeriva di tagliare il discorso lì, subito. Ma Angel non era del suo stesso parere e così continuò.

“Probabilmente, avresti dovuto pensarci prima, magari quando l’hai presa come tua partner. Kaori è troppo ingenua per vivere in questo ambiente, tuttavia la tieni ancora con te, e credo anche di aver capito il motivo…”

Ryo fece per andarsene, non aveva voglia di ascoltarla, forse perché sapeva che in fondo Angel aveva ragione.

“Tu la ami,” disse, prima che lo sweeper potesse scomparire oltre la porta.

Ryo amava Kaori e non serviva molto per capirlo.

Angel aveva notato che lo sweeper seguiva sempre la sua socia con lo sguardo, che non perdeva mai occasione per starle vicino, anche se solo per stuzzicarla con qualche battutaccia. Aveva saputo leggere oltre le righe, interpretare il linguaggio silenzioso fatto di gesti, di movimenti, di carezze lontane, con cui quei due si comunicavano il loro affetto.

Forse non aveva il diritto di parlargli in quel modo, di impicciarsi della sua vita privata, ma non riusciva a comprendere perché quell’uomo si ostinasse a celare la verità alla persona che amava, era un modo alquanto stupido di proteggerla. E poi, che idea bizzarra e impossibile quella di volerla difendere da quel mondo permettendole di viverci dentro. Inoltre l’amava e non faceva nulla per dimostrarglielo, anzi la teneva distante. Contraddizioni. Forse rientrava tutto nell’illogicità, nell’incoerenza dei sentimenti che trascinano inevitabilmente alla debolezza, alla fragilità e all’errore. Perché in quell’assurda situazione quell’uomo prima o poi avrebbe commesso uno sbaglio, era inevitabile. Ma in fondo, non poteva fare a meno di ridere di stessa. Pensava agli errori dello sweeper, ma non guardava ai suoi. Che razza di agente segreto era diventata? Rivelava informazioni top secret, si serviva di uno sweeper come specchietto per le allodole per poter compiere una vendetta, la sua vendetta, per di più durante una missione; si permetteva persino di insinuare dubbi nella mente di un uomo che conosceva solo da qualche settimana e che non riusciva a comprendere del tutto, sfuggente, sembrava nascondersi come lei.

“Non è più agosto, potresti prendere freddo,” le fece notare Ryo. Angel era coperta solo da un leggerissimo abito di lino, bianco, quasi trasparente.

“Però potrei sempre riscaldarti io,” disse sulle scale con seducente voce da seduttore.

“Sei solo un buffone!” lo rimproverò la ragazza.

“Ognuno indossa le sue maschere Angel, vuoi forse strapparmi via la mia?” domandò prima di scendere al piano di sotto, lasciando che fosse il vento, a divertirsi a scoprire il corpo della biondina.

Non aveva tempo per occuparsi del suo mokkori, era troppo impegnato a chiedersi cosa diavolo stesse combinando. Si stava comportando come un principiante, stava facendo un errore dietro l’altro. Ingannato da Mick ed Angel, si era ritrovato alle prese con un’organizzazione di fanatici addestrati, mossi da ideali pericolosi: ricchezza e potere, fama e sprezzo del pericolo. Come combattevano quegli uomini? E se veramente, secondo quanto sosteneva Angel, quella sera fossero stati imbottiti di esplosivo e Valchiria? E gli invitati? Sarebbe stata messa in pericolo anche la loro incolumità? E Kaori, anche lei sarebbe stata in pericolo? Ma perché non voleva dirle la verità? Perché non voleva coinvolgerla? Non aveva senso nasconderle così tante cose, oppure ce lo aveva, ma era così assurdo che si vergognava di se stesso.

“Se le dicessi la verità adesso,” si diceva, “forse lei si arrabbierebbe, ma io non voglio farla arrabbiare, voglio che lei mi odi.”

Voleva farsi odiare, voleva che fosse Kaori a detestarlo, ad abbandonarlo, perché lui non ne era capace. Doveva riuscire a separarsene, non poteva permettere che qualcuno le facesse del male.

Per lei era disposto anche all’impossibile. Se fosse andata via, lontano, in un altro Paese, avrebbe cancellato le sue tracce, nessuno più avrebbe saputo della sua ex partner, sarebbe anche riuscito a far credere all’intera malavita di Tokyo, del Giappone, del mondo intero, che Kaori Makimura era morta per sempre.

La sua mente era ancora occupata da questi pensieri quando raggiunse l’appartamento di Mick.

L’ex sweeper non parve per nulla stupito dell’ennesima visita del city hunter.

“Che c’è questa volta?” chiese rassegnato all’amico.

“Avrei bisogno di un favore.”

“Sarebbe…”

Ryo gli porse un invito.

Mick lo lesse con attenzione.

“Da quando mi chiamo Erich Jones?” gli fece notare Mick.

“Ryo, che ne dici di cominciare a spiegarti un po’ meglio!”

 Lo sweeper gli raccontò dell’Organizzazione Odino e dell’accordo che questa voleva stipulare quella sera con il clan Taira, del ballo e delle vere intenzioni di Angel.

“Vorrei che tu tenga Kaori lontano da me questa sera… Che tu la tenga d’occhio,” concluse Ryo.

“Immagino che tu non le abbia ancora detto nulla, dico bene?”

Nella voce dell’amico, Ryo lesse una nota di disapprovazione.

“Potresti parlargliene tu, nel caso si ostinasse a volermi cercare, sarebbe un modo come un altro per prendere tempo…”

Aveva capito che Kaori soffriva di più quando veniva a sapere la verità da altri, quando scopriva che lui le aveva nascosto qualcosa. Doveva pensare che non si fidasse di lei, che la volesse escludere dalla sua vita.

“Tu sei matto! Non ho nessuna intenzione di farlo, lascerò il piacere a te,” sbottò Mick, cominciando a intuire le vere intenzioni dello sweeper.

“Comunque, vedo che sei di nuovo dell’idea che Kaori non sia fatta per quest’ambiente, per questo lavoro, per stare al tuo fianco… Hai paura che quella dannata organizzazione possa in qualche modo farle del male?”

Ryo non rispose, non lo guardava neanche in volto.

“Idiota. Verranno ugualmente a sapere che lei è la tua partner, non l’avevi pensato questo? Ma forse non è di loro che hai paura, ma di te stesso, credi di non essere più in grado di proteggerla.” Cercava di pungerlo e ci riuscì. Ryo irritato alzò lo sguardo e lo puntò dritto sui suoi occhi.

“Mick, ti ho chiesto un favore, non di farmi da coscienza morale. La tua risposta è sì o no?”

Ryo non aveva nessuna intenzione di dargli spiegazioni, tagliava direttamente la questione, sbattendogli in faccia un ultimatum, molto diplomatico da parte sua. Ebbe la tentazione di rifiutare, ma, in fin dei conti, non se la sentiva di negargli quel favore, e poi si trattava di proteggere Kaori e lei occupava un posto speciale nel suo cuore. Era stata la prima donna di cui si era innamorato sul serio, l’unica donna che non era riuscito a sedurre in tutta la sua vita; forse per questo motivo l’aveva amata, perché era stata un’eccezione. Si era accorto che i sentimenti di Kaori verso Ryo, verso le persone che amava, non si lasciavano confondere dalle bugie o dalle verità nascoste, ma rimanevano saldi e di una sincerità disarmante, probabilmente era stato proprio questo suo aspetto a farlo capitolare.

Mick si passò una mano nervosa fra i capelli. Per quanto potesse capire il desiderio di Ryo di voler proteggere Kaori da quel mondo e da se stesso, trovava inammissibile tenerla all’oscuro di tutto, d’altra parte, conosceva la sweeper, sempre disposta a rischiare la propria vita pur di salvare il partner.

“Stai di nuovo decidendo per lei, non è così, Ryo? Non pensi che Kaori sia grande abbastanza per disporre della propria vita?”

“Non è in grado di decidere. Se avesse un po’ di sale in zucca, capirebbe che io non posso darle ciò che vuole, ciò che merita, andrebbe via, mi lascerebbe stare, e invece no, si ostina, si intestardisce a vivere in questo mondo dannato, come un angelo tra le fiamme dell’inferno… Perché?”

Era un perché disperato quello che uscì dalla sua bocca. Era una scelta, quella di Kaori di rimanergli accanto, che non riusciva a comprendere. Si rendeva conto di come non la meritasse affatto, sentendo il proprio animo, deforme e orrido, stridere con quello puro di lei.

“Ti ama, per quanto assurdo ti possa sembrare, lei ti ama. Non le importa nulla di ciò che hai fatto, del modo in cui hai vissuto, di quello che sei stato nel tuo passato, del mondo in cui continui a vivere… Sei fortunato e non lo capisci. Lei ti ama, semplicemente. Non chiede altro.”

“Io non ho bisogno di essere amato,” mentì Ryo.

“Sei uno stupido. Tu la ami, così tanto da essere disposto a rinunciare a lei, ma non pensi che forse lei non ti voglia lasciare, che lei ti voglia restare accanto e che questa decisione la farebbe solo soffrire? Vuoi farla soffrire ancora, Ryo?”

“Sono un egoista Mick, sono io a non voler soffrire,” confessò finalmente lo sweeper. “Se le accadesse qualcosa… già, se le accadesse qualcosa, sarei io a soffrire. Preferisco che si arrabbi con me, che mi detesti, che mi odi, se può…”

Che la bella farfalla si allontanasse per sempre dal fuoco, questo voleva.

Mick sospirò. Era inutile continuare a spolmonarsi, Ryo si era nuovamente avvinghiato alle sue paure, sommerso nell’ondata di autodisprezzo che gli si era abbattuta contro, smarrito nei suoi dubbi.

“Continuo a pensare che tu sia un idiota, comunque accetto di proteggere Kaori da quegli uomini questa sera, anche se forse sarebbe più giusto proteggerla da te.”

“Ti ringrazio,” disse lo sweeper sollevandosi dal divano, dove l’amico lo aveva fatto accomodare.

“Non lo faccio per te, ma per Kaori,” ci tenne a puntualizzare.

“E adesso, fammi preparare, devo cercare il mio abito da sera, chissà in quale armadio lo avrà cacciato Kazue…”

 

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Capitolo 10
*** Danzando nella tana del lupo ***


Danzando nella tana del lupo

 

La villa del signor Natsume era una reggia, circondata da giardini e fontane che sembravano germogliare sotto la luce della luna. Attraversato un ampio portico colonnato, Ryo giunse all’interno di una piccola sala circolare. Un ometto canuto accolse lui ed Angel con un inchino. Tanta formalità lo fece rabbrividire, tuttavia dovette ammettere che in quegli interni dalle linee dolci e sinuose, dagli stucchi e i lampadari lucenti, non vi era nulla di pacchiano o eccessivamente sfarzoso, anche l’immensa sala da ballo, interamente rivestita di legni intarsiati, era di una finezza elegante. 

In situazioni normali, lo sweeper sarebbe stato lieto di addentrarsi in quel salone, esplorare le scollature e i fondoschiena delle donne che danzavano, che chiacchieravano vicino alle finestre o fuori, appoggiate alle colonne, ma non era affatto un’occasione mondana quella che aveva di fronte né una semplice dama vestita di rosso quella che teneva sottobraccio, chissà poi dentro quella tana di lupo quanti nemici si nascondevano.

Proseguirono a braccetto finché non giunsero vicino ad una finestra che affacciava sul giardino illuminato. Non si erano detti una parola né durante il viaggio né tanto meno arrivati alla villa. Ognuno aveva preferito lasciare l’altro in compagnia dei propri pensieri, per mettere chiarezza in essi, prima di affrontare la battaglia di quella sera.

Angel lasciò il braccio del suo accompagnatore e, per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, prese a studiarne l’aspetto con curiosità.

Era attraente, anche se non se ne era mai accorta prima, quella sera dovette ammetterlo: Ryo aveva un viso e un sorriso che non lasciavano indifferenti il sesso femminile e quegli occhi di velluto scuro, parevano capaci di scrutare qualsiasi pensiero dell’animo.

Sembrava a disagio nello smoking delle grandi occasioni, ma si muoveva con sicurezza in quella sala piena di gente, che nella vita non aveva fatto altro che andare a balli, feste e cene galanti.

E poi, quella sera, c’era in lui qualcosa di diverso, nulla dell'uomo screanzato e fannullone che aveva avuto sotto gli occhi per settimane, il suo sguardo concentrato sembrava adesso analizzare ogni singola persona, ogni singolo movimento, ogni possibile via d’accesso e di fuga e sembrava preoccupato.

“Sbaglio o sei diventato improvvisamente serio? Cosa stai cercando?”

Lo sweeper si schiarì la voce, circospetto le si avvicinò, quasi le appoggiò le labbra sui lobi dell’orecchio, sussurrandole di guardare dritto davanti a sé.

“Vedi quella donna in abito celeste? Quella vicino a quei due signori?” le domandò.

Angel allungò il collo cercando di vedere oltre le spalle e le teste dei numerosi invitati. Possibile che lo sweeper avesse già notato qualcosa?

“Sì,” rispose non appena la ebbe individuata, ma vide semplicemente una normalissima donna, che chiacchierava e sorrideva con un bicchiere di vino in mano. Probabilmente Ryo, indicandogliela aveva voluto portare alla sua attenzione i due uomini, pensò, ma a parte una vistosa calvizie in uno e l’eccessiva magrezza nell’altro, Angel non riuscì a trovare in loro alcunché di sospetto.

Non le restò che voltarsi con aria interrogativa verso la faccia dello sweeper, che con voce ferma le chiese:

“Dimmi, secondo te, che misura porta?”

Ma che razza di domanda era? Altro che scrupolosa indagine in cerca di sospetti, quel maniaco stava unicamente valutando le qualità delle possibili prede! E lei che lo aveva pure assecondato...

“Ma che vuoi che ne sappia!” rispose irritata.

“Beh, poco male, tanto penso che con il mio charm conquisterò un bel po’ di pulzelle!” esclamò fiducioso. “Non trovi anche tu che gli abiti da sera mi donino un sacco?” continuò pavoneggiandosi, osservando compiaciuto la sua immagine riflessa sul vetro della finestra.

“Ti ricordo che sei qui per lavorare,” puntualizzò Angel incrociando le braccia.

“Lo so, lo so, non preoccuparti…” la tranquillizzò lui, spostando furiosamente gli occhi a destra e a manca. Nel suo tono di voce Angel non riusciva a trovare nulla di rassicurante.

“Ma si può sapere chi diavolo stai cercando?” sibilò furente. Non ne poteva più di osservare la testa dello sweeper ruotare come un periscopio.

“Sto solo selezionando le mie dame.”

“Ma perché non provi a vedere se Kaori è già qui? Io non l’ho ancora vista in giro, magari non è ancora arrivata.”

“Meglio così!” sbottò Ryo stracontento, allontanandosi da Angel e dirigendosi verso la pista da ballo, pronto, a suo dire, a far girare la testa a qualche bella fanciulla.

Angel non trattenne un sospiro colmo d’angoscia, senza la partner a tenerlo d’occhio, c’era da aspettarsi di tutto da un tipo come lui.

 

Lo sweeper tentò diversi approcci galanti, ma il risultato fu un deludente due di picche, quelle civette si rifiutavano persino di ballare con lui.

Sconfortato si stava dirigendo verso il buffet, quando una donna di incredibile bellezza, avvolta in un morbido abito di seta, era improvvisamente entrata nella sala, arrestandosi accanto ad una vetrata.

Era elegante, sinuosa e aggraziata. Gli occhi erano di una dolcezza infinita, il naso dritto, le labbra carnose, rosse come il corallo, schiuse in un sorriso che lasciava scorgere due file di denti bianchissimi. I capelli, corti e mossi,  le ricadevano sulle spalle che il vestito lasciava scoperte.

Non fu l’unico ad accorgersi di quell’incanto, molti uomini ne erano rimasti ammaliati e molte donne la fulminavano con invidia.

Sembrava spaesata, si guardava intorno in cerca di qualcuno.

Ryo andò incontro alla giovane, che voltatasi, adesso gli dava le spalle.

Restò senza fiato nell’ammirare la profonda scollatura che le lasciava scoperta tutta la schiena.

“Sei un bocconcino niente male,” disse tra sé e sé.

Quando fu a tre passi da lei cercò di attirarne l’attenzione, rivolgendole un complimento.

“Signorina, sa che lei è davvero splendida.”

La ragazza a quelle parole si voltò di scatto.

Ryo rimase come un ebete, senza parlare né muoversi, incredulo, già incredulo.

“Ryo!”

“Kaori… sei tu…” balbettò.

Adesso lei era lì, con il viso a venti centimetri dal suo e lui aveva appena fatto una terribile gaffe. E adesso? Che poteva fare? Da lontano non l’aveva mica riconosciuta.

Maledizione a Eriko, l’aveva proprio trasformata; ma Kaori era sempre stata così bella?

“Bene, finalmente sei capitolato… Sbaglio o hai appena detto che sono splendida? Ma non dicevi che ammettere la mia bellezza per un uomo equivale a dichiararsi omosessuale?”

La bocca di Ryo si prosciugò all’istante.

Non riusciva a capire se a fargli quell’effetto fossero le parole della collega o la disarmante bellezza del suo viso.

Per fortuna a toglierlo dagli impicci arrivò Angel.

“Kaori, sei fantastica!” commentò osservandola.

La sweeper arrossì.

“Pensavo non arrivassi più… Temevo di dover tenere a bada Ryo da sola, sei stata via tutto il pomeriggio!”

“Sai, la mia amica… mi ha aiutato con il vestito e il trucco e così…”

Mentre le donne parlavano, Ryo cercò di defilarsela, ma l’occhio di Kaori non perdeva un suo movimento. Lo sweeper non ebbe nemmeno il tempo di fare tre passi che la city hunter lo richiamò afferrandolo per il collo della giacca.

“Dove credi di andare?”

“Io?”

“Sì, tu, pervertito che non sei altro!”

“Ma se non ho fatto niente.”

“Non ci credo.”

“Credimi invece, Haruko, diglielo tu…”

“Dai, Kaori,” la esortò la giovane diventando dello stesso colore del vestito, rendendosi conto che quei due stavano attirando un po’ troppo l’attenzione con le loro scenate, “per una volta che non mente.”

Kaori non era molto convinta della veridicità di tale affermazione, tuttavia in mancanza di prove fu costretta a lasciare andare il socio. Per quella sera avrebbe fatto meglio a chiudere un occhio, troppa gente per andare in escandescenza. Decise di andare a sedersi su uno dei divani vuoti della sala per sbollire un po’ i nervi, abbandonando Haruko e Ryo senza troppe spiegazioni.

Lo sweeper la seguì con gli occhi sino a quando non prese posto in un sofà traboccante di cuscini, incantato dai suoi passi, dai suoi movimenti ammalianti.

Sentì gli occhi di Angel studiarlo con attenzione, dunque distolse lo sguardo da Kaori e lo rivolse alla scollatura a cuore della biondina.

La ragazza se ne accorse e lo schiaffeggiò con un’occhiataccia.

Ryo capì l’antifona e, ripreso il controllo delle sue percezioni visive, si sforzò di apparire serio, dunque chiese alla 007 delucidazioni sul da farsi.

“Quando dovrei entrare in azione?”

“Dopo il quarto valzer, per quell’ora gli uomini del clan Taira dovrebbero prepararsi per fare lo scambio.”

“Va bene, mi terrò pronto.”

“Come farai con Kaori, quando non ti vedrà più in sala si allarmerà…”

“Non preoccuparti, a Kaori ci penso io.”

Ryo spostò lo sguardo in direzione della collega.

Che cosa? Un uomo le si era inginocchiato di fronte e facendole il baciamano la stava invitando a ballare? Lo sweeper non credeva ai suoi occhi.

“A quanto pare ci sta pensando qualcun altro a tenere impegnata Kaori…” gli fece notare Angel.

Il city hunter provò un’inspiegabile tentazione di scagliarsi contro quella specie di damerino e prenderlo a pugni, ma si placò quando si accorse che la socia, abbozzando un mezzo sorriso e inventando una qualche scusa, lo aveva fatto allontanare con la coda tra le gambe.

Ma che cavolo gli era preso? Non poteva mica diventare geloso tutt’ad un tratto.

Riprese ad osservare la sweeper. Era strano vederla con indosso quell’abito tanto elegante.

Kaori era sempre stata seria, silenziosa, concentrata, non assomigliava alle ragazze della sua età, non si metteva in ghingheri per attirare su di sé l’attenzione degli uomini, non faceva la civetta, tuttavia ne era sempre stato irresistibilmente attratto. Anche adesso, mentre con occhi sognanti guardava gli invitati danzare al centro della sala.

 

“Maledizione a Ryo, riesce sempre a farmi innervosire, che gli costa ammettere che anche io sono una bella ragazza? Uffa… Che bella musica, forse ho fatto male a rifiutare di ballare con quell’uomo… beh, ormai è troppo tardi, pazienza, resterò a fare la muffa tutta la serata su questo divano, oppure potrei andare a ingozzarmi al buffet… Che pensieri deprimenti, forse avrei fatto meglio a restarmene a casa, tanto più che Ryo si sta comportando degnamente e non sta importunando nessuna… Mi chiedo cosa ci faccia io qui?”

I pensieri di Kaori si arrestarono di colpo quando un uomo le si avvicinò, si inchinò e le tese la mano.

“Può concedermi questo ballo, signorina?” chiese abbozzando un inchino.

Lei sgranò leggermente gli occhi, sorpresa, poi annuì col capo e sorrise.

Era imbarazzata e se a porle quell’invito fosse stato un uomo qualunque, pensò, forse non sarebbe stata neanche così agitata, invece si trattava di Ryo e questo l’aveva colta alla sprovvista. Lo seguì sulla pista da ballo e presero a danzare in silenzio.

“Stava ballando o stava sognando?” si ritrovò improvvisamente a chiedersi, Kaori quasi non credeva ai proprio occhi: Ryo non aveva mai ballato con lei. Be’, le cose non stavano proprio così, una volta aveva danzato stretta tra le braccia dello sweeper, ma non contava, perché lui non sapeva che quella ragazza fosse in realtà lei, truccata com’era, con quella lunga parrucca, gli abiti eleganti. L’aveva scambiata per una Cenerentola di città, un’altra donna, insomma. Per lo meno, era questo ciò che credeva Kaori, del tutto convinta che Ryo non l’avesse affatto riconosciuta.

Adesso erano così vicini che poteva sentire il cuore di Ryo battere tranquillo, chissà se anche lui poteva sentire il suo che, invece, tamburellava all’impazzata. Tesa come una corda di violino e terribilmente impacciata, quasi non si rese conto che, seguendo le note di un walzer, il loro ballo aveva preso un ritmo più lento.

“Sigh,” sbuffò improvvisamente lo sweeper con aria sconsolata, rompendo l’atmosfera da sogno.

Kaori sollevò gli occhi verso la faccia palesemente delusa del collega.

“Avrei preferito ballare con Haruko… Se avesse ballato con me, non ci sarebbe stato bisogno di tenerla d’occhio a distanza ballando con un mezzo uomo. In questo modo mi sto rovinando la reputazione…”

Fu in quel preciso istante che un'ondata di rabbia iniziò ad annebbiare il cervello di Kaori, che perse      completamente il controllo della situazione.

Lo guardò scioccata, mentre la sua mano partiva da sola per affibbiargli un ceffone. Il socio però le afferrò il polso a pochi centimetri dal viso. Un lampo le attraversò gli occhi. Avvampò. Aveva voglia di imprecargli contro. Fece per aprire la bocca, ma lo sweeper gliela sigillò con una mano.

Delle teste si girarono nella loro direzione interrompendo il ballo. Kaori si rese allora conto che stavano dando spettacolo, che una coppia era rimasta bloccata nel bel mezzo di una piroetta e che Haruko li guardava con occhi di fuoco. Arrossì di vergogna e di collera.

Scostata con violenza la mano di Ryo dalla propria bocca, si voltò, si fece strada tra le altre coppie della pista, e cercò un luogo dove eclissarsi per il resto della serata.

Quel bastardo, perché ogni volta doveva umiliarla in quel modo? La illudeva, ecco cosa faceva, la faceva sentire importante e poi la gettava via come se fosse un giocattolo rotto. Senza farsi problemi diceva tutto quello che gli passava per la testa, senza pensare che le sue parole potessero farle del male.

Uscì da una portafinestra della sala e si addentrò nel giardino che circondava la villa. Non appena avvistò una panchina la occupò, dando libero sfogo alla sua rabbia.

“Brutto zoticone, maniaco, ignorante, buzzurro, animale, miserabile sottosviluppato porco schifoso… Lascia che ti metta le mani addosso e sarà un miracolo se ti potranno riconoscere nei giorni a venire...”

Haruko si avvicinò allo sweeper fulminandolo con gli occhi.

“C’era bisogno di creare tutta questa messa in scena per tenere lontana Kaori?”

“Un metodo vale l’altro…”

“Non credi di aver esagerato? Kaori è letteralmente scappata dalla sala…”

“Kaori non doveva neanche essere qui, se è per questo; con tutta questa faccenda, lei, non c’entra niente,” disse serio mettendo fine alla discussione. “E ora, sarà meglio avviarci, il walzer sta quasi per terminare.”

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Capitolo 11
*** Attese ***


Attese

 

Ryo seguì Angel tra la folla di gente danzate.

Dove l'avrebbe condotto?

Salirono delle scale marmoree, un tappeto rosso era steso a festa.

Osservò la sala dall'alto, tutti quegli abiti che si muovevano come nuvole colorate sfiorando il pavimento. Guardò oltre i vetri delle grandi finestre cercando di scorgere Kaori, ma i suoi occhi non la trovarono, così li rivolse in avanti, in quel piano sopraelevato pullulante anch'esso di persone, che discutevano del più e del meno, con bicchieri in mano e sorrisi di cortesia sul volto.

Attraversò un corridoio quasi deserto, tappezzato di cornici dorate, di dipinti con paesaggi evanescenti. Si fermò davanti a una porta chiusa.

Angel entrò e lo spinse dentro tirandolo per la manica della giacca. Lo sweeper si ritrovò in un bagno porcellanato, con rubinetti di lusso e uno specchio che inghiottì la sua immagine, che sorrideva come un ebete, mentre la biondina sbottonava la sua lunga gonna porpora, scoprendo così gambe lunghissime, coperte da una tuta aderente. Silenziosa. Concentrata. Lo sweeper la osservò sollevarsi in punta di piedi e svitare la grata che copriva la presa per l’aerazione. Con un mezzo inchino e un gesto della mano lo invitò a farsi strada all’interno.

“Prima le signore...” disse. Non gli sarebbe dispiaciuto seguire ed ammirare da vicino il fondoschiena della 007, ma Angel pugnalandolo con un'occhiataccia lo costrinse ad andare per primo.

In quel cunicolo buio e stretto la ragazza gli fornì indicazioni precise.

“A destra, sinistra, di nuovo sinistra...” 

“Quando arriviamo?”

“Zitto, fai silenzio.”

“Ma...”

“Shhh.. ora prosegui dritto.”

E dritto Ryo proseguì finché udì delle voci e una fievole luce bianca gli permise di vedere un po’ oltre il suo naso.

“Ecco sono loro,” sussurrò Angel.

Il city hunter sbirciò oltre le sottili fessure della grata; seduto dietro una costosa scrivania d’ebano riconobbe il boss del clan Taira, Benkei Saitou, attorniato da tre dei suoi uomini armati.

“Sono in ritardo…” fece notare Saitou ai presenti, dopo aver lanciato un’occhiata alle lancette dell’orologio d’oro che portava al polso. Era vistosamente impaziente e irritato.

Passò qualche minuto, poi qualcuno bussò alla porta.

“Avanti,” disse il boss.

Entrò uno dei suoi scagnozzi.

“Sono arrivati,” annunciò.

“E allora, che aspetti? Falli entrare!” sbraitò.

Ryo si fece attento, finalmente lo avrebbe visto, Scott McCarty, l’assassino di Isabel, il luogotenente dell’Organizzazione Odino.

L’individuo che varcò la soglia, accompagnato da due uomini in nero, era un tipo vigoroso, alto, sulla quarantina, sbarbato e di colorito pallido, dai modi blandi e insinuanti, e un paio di occhi azzurri straordinariamente acuti e penetranti.

“Buonasera signor Saitou, scusi il ritardo, ma le strade di Tokyo sono un vero inferno. Sono Scott McCarty, piacere,” disse presentandosi, allungando la mano verso il boss per una stretta.

Al suono di quella voce Ryo avvertì il corpo di Angel irrigidirsi.

Benkei Saitou invece rimase impassibile. A quanto pare non era in vena di convenevoli, pensò lo sweeper.

“Dunque  passiamo agli affari? Lei non sembra il tipo d’ uomo che ama perdersi in chiacchiere,” fece McCarty, ritirando la mano senza scomporsi, quindi poggiò una valigia sulla scrivania e la aprì.

“Questo è un dono da parte del capo dell’Organizzazione,” sottolineò e nel farlo mostrò delle buste trasparenti piene di cocaina, “mentre questa,” disse indicando una busta dal contenuto nocciola, “è il nostro pezzo forte: la Valchiria. Non so se ha mai sentito parlare della Polvere degli Angeli, la nostra Valchiria è senza dubbio una versione migliorata e corretta, se così possiamo definirla… immagini soldati sempre pronti ad ubbidire ai suoi ordini, senza pietà e senza sensi di colpa, dalla forza sovraumana, privi di fatica e disposti a dare persino la vita per qualsiasi ideale lei riesca a inculcargli. Dei burattini, semplici burattini nelle sue mani, non è un’immagine fantastica?” domandò sorridendo.

Gli occhi del boss si illuminarono; a quanto pare immaginava già una sua schiera di sottoposti, pronti a morire per lui senza rimorsi.

“Il nostro obiettivo è fare in modo che questa splendida immagine diventi reale anche qui in Giappone.”

L’Organizzazione Odino pensava in grande. McCarty, affabile e sicuro di sé, sapeva bene come persuadere il proprio interlocutore, pensò Ryo sentendolo parlare. La conversazione tuttavia prese una piega inaspettata.

“Saremo felici di esaminare la vostra proposta dopo che...”

Saitou non terminò la frase che McCarty lo interruppe.

“La nostra non è una proposta,” precisò il luogotenente con sguardo pericoloso e arrogante, abbandonando le sembianze di imbonitore accattivante.

“Ci state minacciando?” domandò il capoclan con tono alterato.

“Io non la vedrei da questo punto di vista,” gli suggerì McCarty. “Più che altro direi che vi stiamo vivamente consigliando di allearci con noi.”

Benkei Saitou cominciava a perdere la pazienza. Nervoso prese a tamburellare le dita sull’immensa scrivania piena di documenti. Di certo non aveva gradito il consiglio offertogli dall’Organizzazione Odino.

 “Come osava McCarty sovrastarlo in quel modo?” pensò Saitou nel lungo silenzio interrotto dalle parole del luogotenente.

“Vi stiamo offrendo la nostra collaborazione, la nostra protezione...”

“Protezione? Sappiamo benissimo proteggerci da soli. E da chi dovremmo proteggerci poi?”

“Da noi, mi sembra ovvio,” rispose perentorio McCarty.

“Supponevo che la vostra non sarebbe stata un’offerta.”

“Signor Saitou, le stiamo proponendo di far sopravvivere il suo clan.”

“Non mi pare che lei sia nella posizione di minacciarci,” replicò il capoclan furente. Dopotutto aveva fatto disarmare il luogotenente e i suoi tirapiedi prima che entrassero nella stanza.

McCarty non si scompose di una virgola e ciò aumentò visibilmente l’ira del boss. Come si permetteva quell’uomo a dettare legge in casa sua? Sembrava urlare il volto in fiamme di Benkei. Spazientito il boss fece un cenno con la mano destra ai suoi uomini. Era il segnale per buttare fuori dalla sala quegli ospiti indesiderati.

McCarty sembrò prontamente intuire la situazione e avvertì i presenti: “Non lo farei se fossi in voi. Credete forse che io sia venuto qui senza prendere delle precauzioni? Se non uscirò da questa villa con le mie gambe salterà tutto in aria e poi…”

In quell’istante Saitou si ritrovò con un’arma puntata alla tempia; ad impugnare la pistola che lo teneva in scacco era uno dei suoi scagnozzi.

Il boss del clan Taira impallidì.

“Dovrebbe imparare a scegliere meglio i suoi tirapiedi,” suggerì calmo McCarty.

“Hisashi, traditore,” farfugliò, rivolto a quello che fino a qualche secondo prima era uno dei suoi uomini più fidati.

“Non sono mai stato dalla sua parte Benkei Saitou,” precisò l’ex tirapiedi.

“Che le avevo detto? Lei ha un disperato bisogno della nostra protezione,” ribadì il luogotenente.

Al piano di sotto intanto la festa per il compleanno del signor Natzume  proseguiva tranquillamente e gli invitati continuavano a danzare inconsapevoli.

Anche Kaori ignorava dove si trovasse in quel momento il suo collega e, a dire il vero, neanche le importava. In preda alla collera più feroce aveva preso posto in una panchina del giardino e adesso, quieta e silenziosa, pensava solo che sarebbe voluta ritornare a casa al più presto.

“Una bella ragazza come te, che ci fa qui tutta sola?”

Kaori riconobbe la voce calda di Mick, il suo accento americano inconfondibile. Si voltò verso di lui tentando di mascherare la tristezza con un sorriso.

“Quel cretino di Ryo non capisce nulla,” affermò Mick, leggendole nel pensiero.

“Già,” sospirò lei.

Mick le si sedette accanto.

“Che ci fai qui, Mick?” gli domandò Kaori, affatto meravigliata della sua presenza.

“Haruko ha dato un invito anche a me... così...”

Era una frana a raccontare balle, specialmente a Kaori. Sospirò, si sentiva un verme. Si arrese. Passandosi una mano nervosa sui capelli le domandò: “Perché non sei sorpresa di vedermi qui?”

“Ryo è venuto a trovarti due volte da quando Haruko è arrivata a casa nostra, non credo sia una coincidenza,” rispose con voce spenta.

“Ti ha chiesto di tenermi d’occhio, non è vero? Non si fida di me, vuole di nuovo allontanarmi, non vuole avermi tra i piedi, non vuole avermi come sua partner. È così, Mick? Ti ha chiesto di proteggermi perché pensa che io non sappia badare a me stessa? Lo so che non esiste nessuna Haruko Kyota, ho fatto qualche ricerca… Cosa mi sta nascondendo Ryo?”

Lo fissava con occhi interrogativi, preoccupati e imploranti. Mick non poteva sopportare quello sguardo. Kaori non meritava di essere infelice, non era giusto che si tormentasse per colpe che non aveva. Non riusciva a capire perché Ryo continuasse a fuggire e probabilmente neanche Kaori riusciva a spiegarselo. Una lacrima scivolò sul volto della city hunter e Mick la osservò scendere sulla guancia. Kaori si affrettò a nascondere la sua tristezza eclissando il viso tra le mani. Si sentiva inutile, stupida e vulnerabile.

L’ex sweeper maledì mentalmente Ryo. Era tutta colpa di quello stupido. Se le avesse detto la verità sin dall’inizio, se le avesse rivelato le sue paure, se le avesse semplicemente parlato.

“Ti prego Kaori...” le sussurrò avvolgendola in un goffo abbraccio.

La ragazza liberò il viso dalle mani e lo affondò nel petto di Mick.

Chissà se Ryo si sarebbe ingelosito di fronte a quella scena, in fondo il suo ex partner aveva amato Kaori, persino sotto l’effetto della polvere degli angeli aveva riconosciuto la sua voce, tremato di fronte alle sue lacrime, ricordati i suoi sentimenti per lei. Ma al momento il city hunter aveva altro per la testa. Scomodamente rannicchiato in un condotto per l’areazione, mentre filmava con una microtelecamera la scena che si svolgeva dietro la grata che lo nascondeva, attendeva che Angel gli ordinasse di intervenire.

Il boss del clan Taira, ancora sotto tiro, sudava freddo.

“Spero che si sia reso conto in che posizione si trovi e si troverà sempre se non verranno accettate le nostre condizioni,” disse McCarty perentorio.

“Da oggi il suo clan sarà sottoposto al controllo dell’Organizzazione Odino. Lei può decidere di ubbidire o dissentire e morire. La scelta è sua, signor Benkei Saitou.”

Saitou si morse le labbra. Intuì che, anche se avesse accettato il ricatto di McCarty, sarebbe stato ugualmente ucciso. Quell’uomo voleva solo umiliarlo, lo leggeva nei suoi occhi torvi e compiaciuti.

La situazione era critica. Angel sussurrò a Ryo che era tempo di agire. Lo sweeper non se lo fece ripetere due volte: diede un colpo secco alla grata e contemporaneamente lanciò una granata accecante all’interno della sala. Il lampo generato disorientò per qualche secondo tutti gli uomini presenti nella stanza, dando al city hunter e alla 007 il tempo di abbandonare il nascondiglio e prepararsi allo scontro.

Mentre Ryo con un pugno e una ginocchiata all’addome stendeva uno degli uomini del clan Taira, Angel con il calcio della pistola assestava un colpo alla mandibola di uno dei due scagnozzi di McCarty, lasciandolo tramortito a terra. Con due calci allo stomaco lo sweeper mise ko un terzo uomo, prima che questi potesse opporvisi in qualche modo. Intanto con destrezza da felino Angel disarmò un quarto malvivente, abbattendolo con un colpo alla nuca.

Il luogotenente dell’Organizzazione Odino in pochi istanti si trovò con due dei suoi uomini a terra; indietreggiò verso la porta.

“Hisashi, uccidi Benkei!” ordinò prima di scappare.

La luce illuminò la canna della pistola del doppiogiochista, ma un pugnale lanciato da Angel tagliò l’aria conficcandosi nel polso dell’uomo che lasciò cadere l’arma, che tintinnò sul pavimento. Saitou allungò la mano verso una scatola grigia e premette il bottone rosso al suo interno. Lo sweeper non fece in tempo a fermarlo. Era sicuramente un allarme, pensò Ryo. Presto la stanza si sarebbe riempita di uomini del clan Taira.

“Idiota!” esclamò il city hunter saltandogli addosso, mentre la 007 si lanciava all’inseguimento di McCarty.

Angel lo vide salire le scale che conducevano al secondo piano della villa, probabilmente tentava di raggiungere la terrazza. Forse di lì a poco un elicottero sarebbe venuto a prenderlo.

Imboccato un corridoio, lo perse di vista. Quella villa era un labirinto.

“Maledizione!” imprecò Angel. Non poteva lasciarselo scappare così, ora che era così vicino, ora che aveva la possibilità di vendicare sua sorella. Impugnò il calcio del revolver con maggiore determinazione e si avvicinò ad una porta socchiusa. Entrò nella stanza con cautela. Una finestra filtrava i deboli raggi della luna. Abituati gli occhi al buio, la 007 capì di essere in una camera da letto. Stava cercando l’interruttore della luce quando un’ombra, apparsa dal nulla, la disarmò, sferrandole un colpo al polso. Un istante e si sentì sopraffatta dalla forza dell’uomo che stava inseguendo. Si ritrovò a terra, bloccata dal corpo di lui, un macigno.

“Da cacciatore a preda,” sogghignò McCarty.

Angel cercò di divincolarsi dalla morsa che la teneva prigioniera. Tutto inutile.

“Chi diavolo sei?”

“La donna che ti ucciderà.”

McCarty rise divertito.

“Tu hai ucciso mia sorella!” lo zittì brusco.

“Ho ucciso molte sorelle, perché dovrei ricordarmi della tua? Aveva un seno morbido come il tuo?” la schernì sfiorandole il petto.

Angel sentì rabbia e umiliazione scorrerle nelle vene come un fiume in piena.

Riuscì a contorcersi sotto il peso dell’uomo e con la forza delle gambe spingerlo lontano da sé.

McCarty scivolò vicino alla pistola abbandonata a terra, l’afferrò, prima che la ragazza potesse avvicinarsi, premette il grilletto. Uno sparo ed Angel cadde al suolo come una bambola rotta.

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Capitolo 12
*** Evoluzione ***


Evoluzione

 

Il rumore dello sparo proveniente dal piano superiore Ryo lo udì distintamente, mentre un grosso energumeno gli mollava un pugno in pieno volto. Il colpo lo fece indietreggiare di qualche passo. Un filo di sangue gli scivolò dall’angolo della bocca, lo asciugò con il dorso della mano guardando con disprezzo il bisonte che aveva di fronte.

Aveva messo al tappeto parecchi uomini e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Era sudato e aveva sicuramente qualche livido addosso, nonostante ciò agguantò per le spalle lo scagnozzo di Saitou e lo scaraventò con violenza contro il muro. Lo osservò perdere conoscenza, augurandogli di risvegliarsi con un gran mal di testa. Anche questo era andato. Si affrettò verso le scale che conducevano al piano superiore e lo perlustrò a lungo prima di riuscire a trovare la 007. Si era trascinata fuori dalla stanza in cui si era scontrata con il luogotenente, forse aveva tentato di seguirlo in qualche modo, tuttavia adesso giaceva a terra, immobile, in una pozza di sangue. Ryo le si inginocchiò accanto. Aveva gli occhi aperti e respirava a fatica, sveniva, riprendeva conoscenza per qualche istante e poi tornava incosciente.

Lo sweeper se la caricò in braccio dopo averle tamponato la ferita che aveva all’addome. Il proiettile non sembrava aver colpito nessun punto vitale, con un po’ di fortuna forse si sarebbe salvata. Cercando di mantenere i nervi saldi, il city hunter cercò di pensare al da farsi.

Prima di tutto doveva portare Angel via di lì, doveva trovare Mick e far trasportare la ragazza da Doc il più velocemente possibile; avrebbe dovuto contattare anche Saeko, con tutte le prove che era riuscito a racimolare di sicuro la poliziotta sarebbe stata in debito con lui di un bel po’ di mokkori; una volta in salvo, poi, avrebbe raccontato tutto a Kaori, scusandosi per averla nuovamente messa in disparte. Kaori, sempre Kaori. Era il suo pensiero fisso. Odiava trovarsi dove non era lei. Doveva essere furente, l’aveva trattata malissimo, prima o poi probabilmente si sarebbe stancata di perdonarlo, ma adesso desiderava solo vederla, saperla in salvo.

 

Mick prese il viso di Kaori tra le mani e le asciugò gli occhi con la stoffa dei guanti immacolati, che indossava per nascondere le cicatrici da ustione, che gli correvano fin su le braccia. Aspirò il tenue odore di lei. Il cuore prese a battergli forte, come se volesse esplodergli, schizzargli via dal petto; gli succedeva sempre quando era con lei.

Anche la prima volta che l’aveva vista, aveva provato una strana emozione: era come se l’avesse riconosciuta. Era una persona speciale, una persona importante, forse addirittura una persona per cui poteva provare amore, si era detto. L’amore. L’amore ti poteva spezzare il cuore, se non stavi attento. Ti poteva far sentire così sperduto, confuso e insignificante tanto da spingerti a credere che non valesse più la pena vivere. Ricordava di aver desiderato di morire con perfetta lucidità e pacatezza quando si era reso conto che nel cuore di Kaori non c’era posto per lui.

Eppure, quando, in preda alle crisi di astinenza dalla PCP, aveva pensato che non rimanesse niente che lo trattenesse alla vita, che desse senso alla sua esistenza, aveva trovato Kazue al suo fianco, ad infondergli coraggio e speranza. Kazue era riuscita a comprenderlo, perché anche lei aveva indossato la sua stessa veste di dolore ed occupandosi delle sue ferite, aveva in qualche modo curato anche le proprie. Ma Kazue non era Kaori.

Lo sguardo di Kaori lo intrappolava come un insetto caduto nella tela di un ragno; non riusciva più a riflettere lucidamente.

Chiuse gli occhi cercando di non pensare a niente; l’ultima cosa che voleva era perdere il controllo della situazione proprio in quel momento.

Respirò profondamente. Se c’erano donne che avrebbe preferito non incontrare, per paura di sentirne poi la mancanza, Kaori era una di queste. Sciolse l’abbraccio con cui l’aveva legata a sé e le depose un affettuoso bacio sulla fronte. Si impose di mostrarsi scanzonato come al solito.

“Non vale la pena rovinarsi il trucco per quel depravato di Ryo. Lo sai come è fatto: ha paura di essere troppo felice oggi e troppo infelice domani, è un vigliacco. Vedrai, basterà una martellata per farlo rinsavire.”

Kaori sorrise. Dopo quel pianto si sentiva più leggera, era come se le lacrime le avessero ripulito l’animo da paure e incertezze. Se Ryo si era comportato in quel modo, doveva esserci sicuramente una ragione.

“Mick, voglio che mi racconti la verità. Perché Ryo ha così paura? Chi è veramente Haruko? Cosa c’è di così pericoloso in questa villa?”

“Troppe domande.”

“Ti prego, Mick, ho bisogno di sapere.”

Gli occhi di Kaori, ancora arrossati per le lacrime che avevano versato, erano risoluti; la sweeper non gli avrebbe dato pace finché non le avesse dato le risposte che cercava e, d’altra parte, lui non era capace di negare nulla a quello sguardo, a quella donna. Sospirò rassegnato e cominciò a raccontare. Quando ebbe finito, come aveva immaginato, Kaori era furente, determinata ad entrare nella villa, per aiutare il socio o, forse, per picchiarlo a morte.

“Non puoi andare,” disse afferrandola per un braccio, avvicinandola a sé con forza, “l’ho promesso a Ryo.”

“Lasciami andare da quell’idiota,” gridò lei con occhi di fiamma.

“No, Ryo ha ragione. È pericoloso, sei più al sicuro qui. Andrò io a cercarlo.”

Kaori parve convincersi.

“Resta qui,” le intimò l’ex sweeper, allontanandosi.

Mick si diresse verso il retro della villa. Sicuramente Ryo sarebbe sbucato fuori da qualche uscita secondaria, per non dare nell’occhio, e difatti, l’ex sweeper non dovette aspettare molto per vederlo sbucare fuori da una portafinestra, con Angel tra le braccia. Si avvicinò.

“È ferita, bisogna portarla da Doc,” lo informò il city hunter.

“Ho fallito... è scappato...” biascicò stordita dal dolore la 007.

“Non pensarci adesso,” la rassicurò Mick, caricandosela sulle spalle.

“Ho fallito... ho fallito... farà saltare la villa... tutte queste persone...”

“Quando?” urlò lo sweeper, ricordandosi improvvisamente delle minacce di McCarty a Saitou.

“McCarty... a mezzanotte… Ryo, mi dispiace” sussurrò prima di ripiombare nella nebbia.

“Merda! Mancano appena quaranta minuti!” esclamò lo sweeper, guardando l’orologio come a voler congelare il tempo. I suoi nervi da samurai cominciavano a cedere.

“Porta via di qui Kaori ed Angel immediatamente. Io faccio evacuare questo posto.”

“Fa attenzione, se ti succedesse qualcosa la tua partner mi ammazzerebbe,” gli ricordò Mick allontanandosi.

Quando l’americano tornò nel luogo in cui aveva lasciato Kaori, lei non c’era. Imprecò. Avrebbe dovuto immaginarlo, Kaori era stata fin troppo docile e accondiscendente.

Infilò Angel in macchina e chiamò Ryo col cellulare.

“Che c’è adesso?” il tono dello sweeper era esasperato.

“Kaori è dentro la villa, le avevo detto di aspettarmi, ma evidentemente è venuta a cercarti.”

“Maledizione, la odio quando fa di testa sua!”

“Mi dispiace Ryo.”

“Non preoccuparti, ci penso io. Tu pensa solo a portare Angel dal Professore.”

Ci mancava solo questa, come se non avesse già abbastanza problemi con la bomba, l’evacuazione della villa e McCarty chissà dove.

Perché quella donna doveva essere così testarda?

Ryo si inoltrò nella sala da ballo. Nonostante avesse i vestiti macchiati di sangue e i segni di una colluttazione addosso, nessuno parve fare caso a lui. Quella gente era troppo impegnata a divertirsi, come li avrebbe convinti ad andare via di lì?

Raggiunse il centro esatto della sala. Estrasse la pistola, la puntò verso il soffitto, sparò.

Il brusio incessante, la musica, tutto tacque. Un fitto silenzio si diffuse tra gli invitati; nei loro volti Ryo leggeva una sola domanda: era proprio uno sparo quello che ho sentito?

Aveva finalmente l’attenzione che stava cercando.

Gridò. “Non ve lo ripeterò una seconda volta: c’è una bomba da qualche parte nella villa e sta per esplodere, prima che ciò accada, vi consiglio di scappare…”

E come aveva immaginato, scoppiò il panico.

In mezzo a quella fiumana di gente che cercava di rovesciarsi fuori, come diavolo avrebbe trovato Kaori adesso?

 

Tra tutta quelle persone, che disordinatamente si riversavano all’esterno, la sweeper si vide perduta, ma prima che quella folla riuscisse a spingerla a terra e calpestarla, qualcuno l’afferrò per la vita e la trascinò in un angolo, al sicuro.

Quando sollevò lo sguardo verso il misterioso salvatore, si trovò soggiogata da un paio di occhi azzurri, che sembravano poter vedere sin dentro il suo cervello. Il volto pallido che aveva di fronte inoltre non sembrava turbato da quanto gli avvenisse intorno, piuttosto appariva colto alla sprovvista dalla sua presenza. Poi un’immagine sgusciò via come vapore dai sogni e lei rivide quegli occhi. In un incubo in bianco e nero quell’ uomo le accarezzava la pelle, le faceva scivolare via i vestiti mentre lei era inerme, voce muta che invocava pietà. Ricordi, come frammenti di specchio, una cascata di schegge in cui a scrutarla sin dentro l’anima erano gli stessi occhi taglienti che adesso la guardavano stupiti di trovarla lì, in quel momento, in quell’istante, in quel luogo. Ma accadde tutto in un lampo, sguardi, ricordi, pensieri, perché se lei era rimasta immobile, lui di corsa era fuggito, dileguato in mezzo alla folla spaventata, che gridando si riversava fuori dalla villa. E l’immagine nella sua testa era già scomparsa, abortita come mercurio in mille gocce.

 

Quando la sala si svuotò, finalmente Ryo la vide, l’oggetto dei suoi pensieri apparve di fronte ai suoi occhi. Determinato a non lasciar trasparire il sollievo provato, lo sweeper represse un sospiro.

Raggiunse la collega a grandi passi e la chiamò. La donna si voltò all’istante.

“Kaori, devi scappare, c’è una bomba in questa villa, salterà tutto in aria,” l’avvertì.

La sweeper fece per andarsene, ma quando non vide il collega seguirla, si bloccò preoccupata. Che intenzioni aveva?

“Ryo, e tu?”

“Devo assicurarmi che non rimanga dentro nessuno.”

“Verrò con te.”

“No. Voglio che tu vada via.”

“Non sono una bambina, non puoi dirmi cosa fare o non fare.”

“Invece lo sei, vattene, non fare i capricci come una poppante.”

“Dimmi la verità, è perché non ti fidi di me, credi che non sia alla tua altezza?”

“Kaori,” la interruppe perentorio, “non è questo il motivo, smettila, non è un gioco.”

“Un gioco? Non ho mai pensato che si trattasse di un gioco e comunque non hai alcun diritto di decidere della mia vita!”

“Kaori, ti prego, non c’è tempo... maledizione, vattene.”

“Io non me ne resterò lì fuori, mentre tu te ne vai in giro da solo, in un edificio che sta per saltare in aria.”

Lo sweeper aggrottò le sopracciglia; negli occhi della socia c’era quell’espressione testarda, di sfida, che assumeva sempre in circostanze del genere. Doveva essere convincente e rassicurante.

“Kaori, non voglio perderti. Se ti saprò al sicuro, lì fuori, avrò qualcuno da cui ritornare,” le confessò.

“Ritornerò da te,” disse abbracciandola.

“Non morirò,” le promise con le labbra fra i capelli.

Era quanto di più vicino ad una dichiarazione Ryo sapesse pronunciare. Kaori aveva le guance in fiamme. Colpita e affondata. La vide allontanarsi. Ubbidiente, dirigersi verso l’uscita.

 

Passarono alcuni minuti che sembrarono un’eternità.

I luminosi raggi della luna vennero offuscati da una nuvola di passaggio e Kaori si trovò ad attendere Ryo in una notte fattasi improvvisamente densa e cupa, in un lasso di tempo che le parve interminabile.

“Perché diavolo era ancora lì dentro? Cosa aspettava ad uscire?” si domandava Kaori preoccupata e impaziente.

Cominciava a perdere le speranze, quando avvertì un rumore dietro di lei.

“Ryo,” chiamò, voltandosi a cercarlo. Nessuno.

Prima che la delusione potesse disegnarsi sul suo volto, un tremendo boato si levò alle sue spalle. Tremò. Un’ondata calda, carica di polvere e terra, la investì. Avvertì una forza spaventosa premerla in avanti. Fiamme altissime divoravano la villa e in mezzo al denso fumo, che si alzava verso il cielo, lo sweeper non spuntava ancora. Kaori osservò l’edificio collassare su se stesso, come se fosse di carta. Stordita, sgranò gli occhi con orrore, un grido muto le si congelò nel petto, il terrore le salì per tutto il corpo.

E poi Ryo apparve, avvolto da una nube di cenere. Per un istante la city hunter ebbe l’impressione che si trattasse solo di un fantasma.

Lo sweeper si avvicinò alla sagoma snella di Kaori, accarezzata dalla luce tenue della luna, che era tornata a splendere.

Si avvicinò a lei a passi lenti.

Quando le fu abbastanza vicino, allungò il braccio e le prese la mano. La strinse a sé. Fragile, affascinante, meravigliosa; una bellissima donna di cera che perse i sensi tra le sue braccia.

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Capitolo 13
*** Sopravvissuti ***


Sopravvissuti

 

Kaori era così vicina, quasi incollata a lui, ne sentiva il respiro, l’odore, il calore, il battito del cuore.

Gli tornò alla mente un 26 marzo di tanti anni prima, quando lei era uno sugar boy in cerca di risposte, in un mondo che non era il suo, e lui ancora un uomo in cerca di se stesso. Anche quel giorno era stato costretto a caricarsela sulle spalle, spaventata come adesso dalla malvagità di una realtà con cui lei non avrebbe mai dovuto avere a che fare.

Ma stranamente ripensò anche ad un discorso che aveva avuto con lei, un pomeriggio di primavera, quando si era lasciato convincere a fare una passeggiata nel parco.

“Che cosa sogni per te stesso?” gli aveva chiesto ad un certo punto.

Lui l’aveva guardata con aria interrogativa, preso alla sprovvista da quella semplice domanda.

“Cosa sogni per te stesso? Per essere felice…”

“Ovvio, vorrei che ogni bella donna del pianeta mi concedesse un mokkori!” aveva risposto lui, attirandosi addosso un occhiataccia di Kaori, colma di disapprovazione.

“Quelli sono i sogni di un pervertito! Con te non si può mai parlare seriamente,” aveva sospirato la ragazza.

Cosa sognava? Lui a quella domanda non ci aveva mai pensato. Ed era questo ciò che gli piaceva di lei, Kaori lo costringeva a riflettere su cose che prima di allora non gli avevano mai sfiorato la mente.

Lui era felice, adesso lo era, quando era con quella donna, poteva dirsi felice e se avesse potuto esprimere un desiderio, in quell’istante, avrebbe desiderato che quell’attimo non terminasse mai.

Perché la felicità in fondo dipendeva solo dalla capacità di dare senso alle cose, e lui riusciva a costruire un significato intorno alla sua esistenza unicamente quando aveva lei accanto.

Quando Kaori aprì gli occhi, trovò le spalle del collega farle da riparo; la reggevano, la proteggevano, salde davanti a lei, accoglienti. Era svenuta, ma aveva sognato. Era bambina e suo fratello la portava in giro a cavalluccio e lei, accostando la testa alla sua schiena, poteva sentire il cuore di Hideyuki pulsare tranquillo.

“Mi piacciono le tue spalle,” sussurrò allo sweeper.

“Me ne sono accorto!” esclamò Ryo ironico.

“Se vuoi, puoi mettermi giù.”

“Certo, così mi toccherà raccoglierti nuovamente da terra…Comunque siamo quasi arrivati…”

Era una bugia, aveva nascosto la macchina tra la boscaglia che circondava la villa così bene che non riusciva più a trovarla. Stava per esibirsi in una litania di querimonie quando la voce di Kaori, leggera come un soffio di vento, domandò: 

“Sai perché sono svenuta?”

“Perché sei una fifona,” rispose Ryo per canzonarla.

Kaori però, non aveva nessuna voglia di scherzare, per un attimo aveva creduto veramente di averlo perso per sempre.

“Hai ragione, sono una fifona… quando non ti ho visto ritornare, ho avuto paura, ero terrorizzata e quando è esploso tutto ho temuto di morire… non fare più cose così rischiose… non voglio perderti… non farlo più.”

“Sai che non posso promettertelo.”

La sua vita era una continua corsa sul filo del rasoio.

“Scusami.”

“Sono io che dovrei scusarmi con te per averti mentito... vorrei poter riuscire a proteggerti da questo mondo, da me stesso... ma riesco sempre a incasinare tutto.”

“Ti amo.”

L’amava anche lui, ma non poteva ammetterlo a voce alta. Si era già sbilanciato abbastanza quella sera e Ryo temeva i cambiamenti. Aveva paura che le risate spontanee, le silenziose premure che si scambiavano potessero essere sostituite dalla tensione, dall’imbarazzo. Dopo la conversazione avuta con lei il giorno del matrimonio di Miki e Falco, per settimane, qualcosa tra loro era come mutato; non erano riusciti a trovarsi da soli nella stessa stanza senza sentirsi a disagio, e, nonostante sembrassero desiderare entrambi di trovarsi soli, avevano iniziato a evitarsi. Il desiderio di seguire Kaori nella sua camera, aveva torturato Ryo per notti, ma, trattenuto da un misto di affetto e rispetto, non aveva mai osato attraversare quella soglia. Il silenzio che si era venuto a creare tra loro lo aveva spaventato, di nuovo aveva temuto di perderla e ferirla, di nuovo i dubbi avevano preso a torturarlo. Aveva ricominciato a uscire fino a tarda notte, a ubriacarsi, a infastidire le passanti in strada, a fare lo stupido con Saeko e Miki, nell’improbabile tentativo di riportare indietro il tempo, dimenticandosi delle parole che si erano detti, delle promesse che si erano scambiati, pensando che probabilmente il loro destino era quello di essere due rette destinate a non avere alcun punto di tangenza. Aveva pensato che finché le avesse taciuto i suoi sentimenti, avrebbe potuto fingere che nulla fosse accaduto, poiché quello che non viene nominato, quasi non esiste.

Ti amo, aveva detto Kaori. 

“Lo so,” sospirò lui.

“E allora non lo dimenticare,” aggiunse la sweeper, per nulla turbata dall’affermazione del partner.

“Scusami.”

“Ti perdono, piuttosto... c’è una cosa che volevo chiederti da un po’...”

“Dimmi...”

“Sei sicuro di ricordare dove hai nascosto l’auto?”

“Ehm...”

Kaori rise.

“Che pivello.”

 

 

Angel riprese conoscenza in una stanza che non riconobbe. Si stupì nel trovarsi ancora viva. Sentiva il cervello annebbiato, immagini e ricordi mescolati in un cocktail di morfina.

“Ehi, 007, come stai?” 

“Intontita,” rispose, riconoscendo la voce amica di Mick. Era merito suo e di Saeba se era sopravvissuta. Sarebbe mai riuscita a ringraziarli?

 Accennò un sorriso che non le riuscì. La memoria le era di colpo scivolata sugli occhi divertiti di McCarty mentre lei cadeva a terra ferita. Aveva fallito. Voleva vendicare Isabel, ma non ne era stata in grado. Cercò di fare ordine nei fotogrammi impazziti di quella notte; l’immagine di McCarty al telefono che comunicava di essere costretto a far saltare in aria la villa, il luogotenente che si allontanava. Ricordava la rabbia bruciante che l’aveva colta nel vederlo andare via così facilmente, mentre il dolore le si scioglieva addosso e tentava faticosamente di trascinarsi fuori da quella stanza. A quel punto tutto diventava ombra, la voce dello sweeper si sovrapponeva ai suoi lamenti, alle parole di Mick. Chissà se il city hunter era riuscito a portare in salvo tutti?

“Dov’è Saeba?” domandò preoccupata. Se fosse anche lui morto nell’esplosione? E Kaori? Come stava Kaori? Quante persone era riuscita a mettere in pericolo in una sola notte?

“Si è appena addormentato,” rispose con aria tranquilla Mick.

“Questa notte ha avuto un bel da fare, credo che vorrà essere ripagato con un gran quantitativo di mokkori. È riuscito a far scappare tutti da quella villa, credo lo abbia aiutato anche una grande dose di fortuna, era un’impresa a dir poco impossibile, in così poco tempo poi.”

“McCarty?”

“È riuscito a fuggire, Angel, mi dispiace. Ryo dice di non averlo visto.”

“Capisco...” biascicò delusa.

“Dovresti abbandonare l’idea della vendetta, Angel... Non credo che tua sorella ne sarebbe contenta. Hai rischiato seriamente di morire, lei avrebbe voluto che vivessi, non che organizzassi missioni suicide all’oscuro della CIA.”

Mick aveva ragione. Dove l’aveva condotta la vendetta? Aveva messo a repentaglio la sua vita, quella di tante persone innocenti e McCarty era ugualmente riuscito a scappare. Doveva arrendersi, forse un giorno qualcun altro avrebbe vendicato sua sorella, riuscendo dove lei aveva fallito. Era stanca. La ferita al fianco le tirava. Aveva solo voglia di dormire, abbandonarsi ad un sogno senza sogni.

“Riposati adesso,” sussurrò Mick, mentre lei già chiudeva gli occhi nel notturno abbraccio del silenzio.

 

 

“Daniel.”

L’uomo dal colorito pallido e gli occhi azzurri si voltò.

La voce, severa ed aspra, proveniva da una sagoma scura, dall’altra parte della stanza. Il luogotenente conosceva quell’uomo, anche se non riusciva a vederlo, lo aveva riconosciuto, era Seishiro Nakamura, il capo dell’Organizzazione Odino.

McCarty non si mosse. Rimase a studiare le ombre, aspettando la comparsa della persona che lo aveva chiamato. Aveva addosso la sgradevole sensazione che due occhi severi e implacabili lo stessero analizzando. Sentì i passi di Nakamura avvicinarsi e poi lo vide, vagamente, almeno. Si era avvicinato ad una finestra, la fievole luce della luna tagliava le linee profonde del suo volto con ombre severe. Era imponente, avvolto in un abito nero, le labbra sottili erano tirate in un sorriso forzato, una deturpante profonda cicatrice gli tagliava la guancia destra correndogli sul mento. C’era qualcosa di sinistro in lui, di violento.

Agghiacciato dal terrore per la punizione che l’avrebbe sicuramente atteso, McCarty avrebbe voluto tremare, ma sapeva che non era opportuno mostrarsi spaventati di fronte a quell’uomo.

“L’affare è andato a monte,” si limitò a dire, tentando di mantenere la voce ferma.

“Dunque Saitou è ancora vivo, ancora a capo di un clan che volevo mio.”

McCarty raggelò, sentiva gli occhi di Nakamura perforarlo come una spada.

“Makimura, c’era anche lei, l’ho protetta, è salva.”

Il capo dell’Organizzazione Odino teneva all’incolumità di quella donna, voleva che vivesse più di ogni altra cosa al mondo. Sapere che l’aveva salvata poteva forse attenuare l’ira nei suoi confronti.

“Quella donna non avrebbe mai dovuto trovarsi in quel luogo, è stata la tua inettitudine a condurla lì,” sibilò l’uomo in nero.

Non ci sarebbe stata clemenza, pensò McCarty, mentre un nugolo di dubbi cominciò a serpeggiargli nella mente. 

La sua inettitudine? Perché? La sweeper non lo aveva riconosciuto, ne era sicuro; non avrebbe mai potuto riconoscerlo, non era in grado di ricordare quanto accaduto quella notte. Per quella donna, lui era meno di un labile sogno. Dove aveva sbagliato?

 La risposta gli si materializzò sulle labbra.

“Angel Rascal,” sussurrò il luogotenente, come sconfitto.

Angel Rascal, l’agente della CIA, la sorella di quella maledetta donna che lo aveva costretto ad abbandonare la narcotici, il Paese, braccato come un animale in fuga, Isabel. I pensieri gli bruciavano in testa rabbiosi. Lo spettro di quella donna si stava vendicando di lui, in quel preciso istante, in quella stanza.

 “Quella donna deve aver seguito le tue tracce fino in Giappone, ha chiesto aiuto a city hunter perché voleva te, il tuo sangue. A causa tua adesso quello sweeper sa di noi. Hai reso tutto complicato. Avresti dovuto sistemare le tue questioni in sospeso prima di unirti all’Organizzazione. Sei una delusione,” gli disse.

“Signore io...” tentò di scusarsi, osando alzare gli occhi verso quelli di Nakamura, per la prima volta da quando era entrato nella stanza. Vide due braci, pece fumante fetida d’odio. Impallidì. In quello sguardo che lo trafiggeva lesse la sua fine.

“Vattene,” gli ordinò rauco di rabbia.

Ubbidì. Uscì dalla stanza; due uomini gli vennero incontro. Fuggire era inutile.  Lo bloccarono. McCarty non tentò neanche di opporre resistenza. Sentì un ago conficcarsi dentro le carni, nel collo, le vene bruciare, poi più nulla.

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Capitolo 14
*** Un nuovo inizio ***


Un nuovo inizio

 

Sprofondata in una stasi, dove ogni cosa appariva lontana e sfumata come in un sogno, per giorni Angel dormì un sonno profondo, da cui si svegliò di rado. 

Da quell’abbandono, che la teneva distante da ricordi e realtà, emerse, suo malgrado, un pomeriggio. Nel torpore del dormiveglia si insinuò una voce melodiosa, un’antica canzone per bambini si diffuse nell’aria.

Sakura, sakura
Yayoi no sora wa, miwatasu kagiri
Kasumi ka kumo ka, nioi zo izuru
Izaya izaya mi ni yukan

La melodia parlava dei fiori di ciliegio, della primavera, della capacità di guardare avanti.

La 007 aprì gli occhi. Bagnata dalla luce di fine estate, che penetrava tagliente da una finestra, seduta accanto a lei, trovò Kaori.

“Credo di conoscere questa canzone,” disse.

La sweeper ammutolì, voltò la testa verso di lei e si scusò. Aveva le guance accese per l’imbarazzo.

“Angel, perdonami, non volevo svegliarti, ma quando sono sovrappensiero mi ritrovo a canticchiare senza che me ne renda conto…”

Era la prima volta che la city hunter la chiamava con il suo vero nome. D’altra parte, dopo tutto quello che era successo alla villa di Natsume, come avrebbe potuto ometterle ancora la verità? Saeba doveva averle raccontato tutto. Angel preferì nascondere lo stupore. Si mise a sedere. La ferita all’addome quasi non le doleva più.

“Come stai?” chiese Kaori premurosa, rompendo il silenzio impacciato che si era creato.

Come stava? Bella domanda. Fisicamente stava decisamente meglio, ma dentro si sentiva uno schifo.

“Non lo so,” rispose la 007 con aria depressa. Adesso che era sveglia, tornava a farsi vivo quel penoso senso di impotenza e sconfitta, che l’aveva sopraffatta quando McCarty aveva fatto fuoco, lasciandola inerme a terra, riuscendole a sfuggire. Aveva desiderato uccidere quell’uomo con tutte le proprie forze, aveva colmato il vuoto lasciato da Isabel con la ferma volontà di vendicarla, e adesso che aveva fallito, non riusciva a perdonarsi, così quella vecchia ferita ritornava a pulsare.

Vedendo il viso di Angel rabbuiarsi, la sweeper si rammaricò. La fatica nel regolare i conti con i fantasmi e i ricordi del passato, tentando di farli convivere con il presente, la conosceva benissimo. Rimase in silenzio a lungo, indecisa se parlare o tacere, consapevole di essere sul punto di toccare corde dell’anima dolorosamente scoperte.  

“Ryo mi ha raccontato di Isabel,” le rivelò d’un fiato.

“Quindi saprai anche che è stato tutto un totale fallimento,” asserì l’agente della CIA con tono pieno di amarezza. “Il suo assassino era di fronte a me, potevo vendicarla e non ci sono riuscita… Non la rivedrò più, mentre lui è ancora da qualche parte vivo. Come potrò perdonarmi?” dichiarò in preda allo sconforto.

 “Posso capire come ti senti,” disse Kaori. La sua voce sembrava una carezza triste. “Anche io avevo un fratello, anche lui, come Isabel, è morto. È stato assassinato dall’Unione Teope...”

Fino a quel momento, mai avrebbe creduto che la city hunter, all’apparenza così spensierata e combattiva, avesse un passato tanto simile al suo, mai avrebbe immaginato che quella donna convivesse con i suoi medesimi spettri, tuttavia, quando rivolse il suo sguardo verso quello di Kaori, non ebbe alcun dubbio. Angel si ritrovò appesa a due occhi fermissimi e asciutti, eppure in guerra con un tempo lontano. In essi riuscì a vedere riflessi, come in uno specchio, tutte le proprie sofferenze, le vecchie ferite dell’anima, i segni indelebili della sua storia.

“Il risentimento e il rancore a cui tenacemente ti sei aggrappata,” proseguì la sweeper, “non ti faranno sentire meglio, non ti ridaranno Isabel. Neanche la morte del suo assassino ti darà pace. Quando Hideyuki è morto, il vuoto lasciato dalla sua scomparsa è stato divorante, era come se mi avessero scavato una voragine dentro. Colmare la sua assenza con il ricordo era doloroso, il pensiero del presente e del futuro erano dolorosi, perché non ci sarebbe stato più lui. Ero distrutta o meglio… svuotata.”

La stanza ricadde nel silenzio, Angel poteva percepire il cuore di Kaori battere forte. La vide trarre un profondo respiro, come se cercasse di tenere a bada l’angoscia soffocante che quei ricordi portavano con sé.  

“Una volta, Ryo mi ha detto che, nel passato, ognuno di noi può decidere di trovare la propria distruzione o la propria salvezza. Per lungo tempo mi sono ossessionata con una domanda: se Hideyuki fosse stato ancora vivo, verso quale strada mi avrebbe indirizzato?”

Kaori chiuse gli occhi, quasi tentasse di intrappolare nella propria mente l’orma di un’antica memoria, quindi riprese a parlare.

 “Quando ero bambina, qualche volta, correndo, cadevo e scoppiavo in lacrime… mio fratello allora mi si avvicinava e con tono rassicurante mi diceva: non piangere, sei solo inciampata, nulla di grave, coraggio, alzati, su, ricomincia a camminare.”

La sweeper sollevò le palpebre. Il suo sguardo era ancora limpido e incrollabile.

“Quello che voglio dirti,” concluse, “è che, a volte, l’unico modo che abbiamo per andare avanti è rialzarsi e andare avanti.”  

Regolare i conti con i fantasmi del passato non avrebbe cambiato le cose, uccidere McCarty non le avrebbe restituito Isabel. Non poteva fuggire dalla realtà, non c’era niente che potesse fare per cambiare lo stato delle cose, poteva solo accettare quel vuoto, quell’immensa nostalgia che la morte di Isabel le aveva scavato addosso. Doveva far leva sulla propria volontà di sopravvivere, imparare a ricordare e dimenticare, a perdere l’equilibrio e avanzare. Isabel non avrebbe mai voluto che si arrendesse.

Angel volse lo sguardo oltre la finestra aperta, il cielo era azzurro e privo di nubi. In qualche modo, sentiva di aver trovato un appiglio nel naufragio dei pensieri.

Qualcuno bussò alla porta. Invitato ad entrare, si fece avanti un attempato signore in camice bianco. Era di bassa statura, portava con sé un bastone e il sorriso placido, sul viso rugoso, gli conferiva un’aria fanciullesca.  

“Vedo che finalmente hai smesso di fare la bella addormentata e che interagisci col mondo!” esclamò l’uomo.

Kaori glielo presentò come il Professore. Era un medico, era stato lui ad operarla e a darle ospitalità in quei giorni di degenza.

Angel lo ringraziò con somma gratitudine. Era merito di quel vecchietto se era ancora viva.

“Sono sempre lieto di ospitare delle belle e giovani ragazze,” le fece sapere l’attempato occhialuto, allungando nel frattempo una mano impudente sulle natiche di Kaori. La donna però, quasi se lo aspettasse, rispose prontamente torcendogli le carni del braccio con un pizzicotto.

“Vedi di stare attenta a questo tipo,” la informò la city hunter, con malcelato disappunto, “è stato il maestro di sconcezze di Ryo.”

Angel non poté fare a meno di appurare che, persino le scuse accampate per giustificare il proprio comportamento, erano insensate e improbabili, come quelle utilizzate da Saeba di fronte alla socia infuriata: la storia del riflesso incondizionato, la necessità di verificare la morbidezza del tessuto che cingeva il corpo alla sweeper.

Era la prima volta che vedeva quell’uomo eppure aveva l’impressione di conoscerlo da tempo. Da quando era in quella villa, in effetti, si ritrovò a pensare Angel, ad occuparsi di lei era stata una donna che le si era presentata come la fidanzata di Mick, Kazue Natori. Per quanto avesse avuto a che fare con l’americano per anni, aveva faticato a credere ai propri occhi. Ne aveva memoria di scapolo impenitente, perennemente interessato a corteggiare belle ragazze, preferibilmente impegnate sentimentalmente. Era irruento, persino nel lavoro, e sfidava il pericolo agendo esaltato dal desiderio di mettere costantemente alla prova la sua buona sorte. Di indole girovaga, poteva andare in qualunque luogo sentendo di non appartenere a nessuno. In Giappone però lo aveva trovato cambiato. Nonostante certi suoi atteggiamenti da donnaiolo fossero rimasti intatti, era meno spavaldo, più cauto e riflessivo. Aveva una relazione stabile, una casa, una donna con cui conviveva. Quando aveva chiesto a Mick le ragioni del suo mutamento, questi ne aveva dato il merito ai due city hunter, e in particolare a Kaori, alla sua incrollabile forza d’animo. “È come se quella donna riuscisse a spingere chi le sta intorno a tirar fuori il meglio di sé,” le aveva confidato l’americano.

Un ennesimo tentativo di attacco alle grazie di Kaori da parte del Professore, distolse Angel dai suoi pensieri. Minacciato di essere sepolto dai martelli della sweeper, il medico fuggì a razzo dalla stanza, lasciando le due donne nuovamente sole.

“Ti chiedo scusa per tutti i problemi che vi ho causato,” disse Angel, ricordandosi di non aver ancora ringraziato Saeba per averla messa in salvo. Non lo vedeva dalla sera del ballo, se ne stupì.

“Come mai non c’è il tuo socio in giro?” domandò. Solitamente i due city hunter erano inseparabili, Angel si aspettava che da un momento all’altro Saeba si materializzasse nella stanza con la sua tipica espressione da cane in calore.

“È con Mick. Stanno torchiando mezza Tokyo per riuscire ad avere quante più informazioni possibili sull’Organizzazione Odino. Più tardi anche loro verranno a farti visita,” sospirò la sweeper, certamente preoccupata di dover tenere entrambi i casanova a bada.

Kaori dunque sapeva anche dell’organizzazione, si ritrovò a ripetere mentalmente Angel. Quel Saeba era proprio strano. Aveva tenuto la propria socia all’oscuro di tutto, nell’ingenua speranza di tenerla lontana dal pericolo e alla fine era stato costretto dagli eventi a sputare il rospo. Eppure la sweeper sembrava non portare alcun rancore nei confronti del socio.

“Non sei arrabbiata con Saeba, per il fatto che ti abbia esclusa, che ti abbia mentito?” chiese a bruciapelo.

Kaori, spiazzata dalla domanda, rimase per qualche istante a meditare. Inizialmente, rammentò la sweeper, avrebbe voluto prendere il collega e strozzarlo con le proprie mani. Ma quando Mick le aveva raccontato tutto, aveva poco a poco cominciato a capire le paure di Ryo, le tarantole di incertezza, inquietudine e sensi di colpa che lo tormentavano e lo confondevano, sino a fargli credere che separarsi da lei sarebbe stata la soluzione migliore. Kaori sapeva che l’amore rendeva vulnerabili, soprattutto in un mondo come il loro. Conosceva il doloroso passato del city hunter, l’impronta delle cose in frantumi che aveva lasciato alle sue spalle. Odiava le insicurezze di Ryo, ma le comprendeva, consapevole del fatto che lo sweeper fosse capace di esprimere tutte le passioni, meno quelle che gli laceravano l’anima. Quell’uomo era ancora un enigma. Per quanto lo conoscesse, c’era sempre in lui un luogo segreto dove lei non poteva entrare. Il suo cuore era come una nuvola che non si lasciava afferrare. A volte aveva l’impressione che il socio la pregasse di leggergli dentro, ma molto spesso sul suo volto vedeva un’espressione che era come una porta chiusa. Ma l’amava e non poteva farci niente.

“Vedi Angel,” confessò la city hunter, cercando di rispondere alla domanda che la ragazza le aveva posto, “ogni bugia è una maschera, e per quanto ben realizzata, con un po’ di attenzione, si riesce sempre a distinguerla dal volto. Parlare non è l’unico modo per esternare i propri sentimenti; Ryo manifesta con le azioni ciò che non riesce a esprimere a parole, allo stesso modo di un bambino che piange e strilla con tutto se stesso perché ancora incapace a parlare.”

Quando Kaori nominava il collega, la sua voce, i suoi occhi, si colmavano d’affetto, non riuscendo più a celare i sentimenti che provava nei confronti di quell’uomo. Dalle sue parole si evinceva facilmente quanto profondamente lo conoscesse e, nell’udirle, Ryo si sentì un verme.

Appena arrivato alla villa del Professore, il city hunter aveva abbandonato Mick nella stanza in cui Kazue giocava al piccolo chimico e si era diretto, sparato, nella camera di Angel, intenzionato a dare sfogo alla propria intraprendenza sessuale. Sapeva che vi avrebbe trovato Kaori, quello che non si aspettava era che avrebbe sentito le due ragazze parlare di lui. Incuriosito, era rimasto a spiare la collega e adesso non riusciva a trovare il coraggio di entrare. Pensò che con quella donna non era mai stato in grado di mentire bene, non stupendosi affatto che quei sui occhi nocciola, così limpidi e sinceri, riuscissero a vedere oltre tutte le sue bugie e i suoi inganni.

Si fece coraggio e, imponendosi di mostrarsi scanzonato come al solito, spalancò con veemenza la porta, fiondandosi con un balzo verso il letto della 007. Ma Kaori, senza scomporsi, come sua consuetudine, sollevò uno dei suoi enormi martelli e Ryo, ancora sospeso in aria, finì con lo sbatterci contro, beccandosi una fragorosa craniata.

“Ti dovrebbero sterilizzare come fanno con i conigli!” sentenziò la city hunter, mentre il socio precipitava rovinosamente a terra.

Anche nei giorni successivi Angel poté assistere a scene simili. Il medico che l’aveva operata era un pervertito quanto quel dongiovanni di Ryo. Kazue, che gli faceva da assistente, era perennemente impegnata a difendere se stessa e la convalescente dalle attenzioni moleste di quel vecchio. Ad accrescere la confusione, poi, si adoperavano, con le loro visite, i due sweeper: Ryo con la sua smisurata intraprendenza sessuale, Kaori con la sua implacabile gelosia. Persino Mick finiva sovente sotto i martelli della city hunter. Era peggio che essere rinchiusi dentro una gabbia di matti; così quando il Professore la informò che il mattino seguente l’avrebbe dimessa, la 007 non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Fu quella notte che Ryo, all’insaputa della socia, si intrufolò nella villa del medico e la convinse ad immergersi nei piaceri di Shinjuku.

Quell’uomo la incuriosiva e lei lo seguì.

Venne trascinata in vari show erotici, gay bar e strip club. Il city hunter era un cliente abituale, in qualunque locale entrasse veniva salutato, attorniato e coccolato da donnine semivestite o energumeni lascivi. Tra le vie di Kabukicho, illuminate dalle vistose insegne al neon, la notte si confondeva con il giorno, in un’incredibile sequenza di luci colorate. Un fiume di folla serpeggiava senza fretta, tra lo sfolgorio delle strade luminose e il buio dei vicoli, appena illuminati dal fioco bagliore dei lampioni e dai solitari distributori automatici.

Ryo si muoveva sicuro di sé, nonostante i litri di alcol in corpo. Conosceva ogni centimetro quadrato di quel quartiere, come se fosse casa sua.

In quel passeggio senza fretta, alla ricerca di piaceri futili, nello splendore indifferente delle vetrine dei negozi e delle sale di pachinko, pareva possibile vivere e basta, senza pensare a nulla, al riparo da rancori, rimorsi, rabbia.

Era ancora buio quando intrapresero il viaggio di ritorno verso l’appartamento dello sweeper.

Il passo di Saeba era pigro e barcollante. Molle sulle gambe, sbandava e procedeva a zig-zag, ma aveva ancora la forza di intonare canti agitando le braccia al cielo. Di fronte ai comportamenti giullareschi di quell’uomo, era impensabile riuscire a rimanere seri. Quella notte Angel si era ritrovata a ridere di gusto, come non faceva da tempo, stranamente di buon umore.

Il city hunter si era esibito in comici strip-tease e, una volta rimasto in boxer, aveva cantato a squarciagola canzoni popolari; aveva sfoggiato abilità circensi, facendo roteare sopra la testa bottiglie di saké vuote e si era improvvisato ballerino, cimentandosi in una improbabile danza dei ventagli.

L’aria era fresca, si era alzato un leggero vento che aveva preso a giocare con i capelli sciolti di Angel, scoprendone il collo, il volto, la pelle ambrata che non aveva ancora perso l’abbronzatura estiva. Ryo si appoggiò ad un lampione per godersi lo spettacolo. L’americana era bella, maledettamente bella, con quegli occhi smeraldo, il naso sottile, le labbra carnose.

“Sei stanco?” gli domandò la biondina.

“Sono indistruttibile,” rispose lo sweeper con fierezza, “potrei ancora offrirti del fantastico mokkori!”

In realtà era ubriaco ed esausto, anche se ancora ragionevolmente lucido.

Si stiracchiò e sentì qualche osso scricchiolare. Forse aveva esagerato con i bagordi.

“Mi sono davvero divertita”

“Era quello che speravo” disse allegro, cacciandosi le mani nelle tasche della giaccia per recuperare  una sigaretta e l’accendino.

“Devo dirti una cosa,” le comunicò, improvvisamente serio. Aveva acceso la sigaretta tra le labbra e ne aspirava lentamente il fumo.

“Io e Mick abbiamo fatto ricerche in questi giorni, gira voce che l’Organizzazione Odino abbia perso uno dei suoi luogotenenti e pare che tra i suoi ranghi sia già iniziata la scalata per occuparne il posto. Come sai l’organizzazione non ammette fallimenti, McCarty con molta probabilità è stato fatto fuori. Non ne abbiamo ancora la certezza, però…”

Non finì la frase perché, alzando lo sguardo, vide le guance di Angel rigarsi di pianto, ma non c’era traccia di tristezza sul suo volto, piuttosto sembrava sorpresa, sollevata.

Non piangeva da tanto tempo, per anni aveva creduto di non esserne più capace.  

Sentì le lacrime calde e brucianti di sale scivolarle sul viso. Era come se le ripulissero l’anima, come se la liberassero dai germi d’Inferno che si era portata dentro per anni. Si sentì libera, come rinata. Come se un artiglio gelido avesse finalmente abbandonato il suo petto, come se il fantasma di Isabel avesse trovato pace. E mentre piangeva qualcosa accadde intorno a lei.

Vide i primi bagliori azzurri del mattino levarsi sulla città, una luce lattiginosa inghiottire le stelle, mentre i contorni dei palazzi si facevano nitidi e il cielo diventava viola pallido, rosa, d’oro e porpora. L’alba li illuminò. Si rivide bambina, giocava insieme a sua sorella e insieme immaginavano tutto ciò che avrebbero potuto essere. Isabel le pettinava i capelli e le raccomandava di diventare una donna splendida. Per la prima volta dopo tanto tempo non percepiva il passato come un laccio che le stringeva la gola, ma come un abbraccio da cui potersi sciogliere, per vivere il presente.  

Ryo le si avvicinò, la tirò a sé.

“Non riesco a smettere,” singhiozzò la ragazza.

“Non preoccuparti,” le mormorò, “piangere fa bene, dicono che le lacrime lavino gli occhi e poi dopo si veda meglio.”

“È così.”

“Cosa farai adesso?”

“Ho voglia di casa, di tornare alla mia vita, al mio lavoro. Non ho più motivo di restare qui in Giappone.” 

Rimasero stretti l’uno all’altra a lungo, ognuno nel silenzio dei propri pensieri, mentre la città emergeva lentamente dal sonno.

 

 

 

 

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