In the eyes of darkness

di StephEnKing1985
(/viewuser.php?uid=4263)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Contenuto speciale - PENSIERI DELL'AUTORE ***
Capitolo 37: *** BACKSTAGES!!!! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Le sue lunghe dita affusolate battevano i tasti della macchina per scrivere, che imprimeva lettere su carta ad una velocità impressionante. Quel ritmo che conosceva bene, che aveva imparato a conoscere fin da quando aveva imparato a scrivere, era ciò che gli dava il pane per vivere. Era con quello che aveva costruito lo studio dove si trovava in quel momento, il camino acceso accanto a lui che gli regalava calore, il letto in cui da lì a poco l’avrebbe ospitato. Una piccola reggia, costruita solo e unicamente sulle parole.

Ma a lui, tutto ciò non importava nulla.

Erano altri, i motivi per cui scriveva.

 

…Il demone allora spiegò le ali, rivelando tutta la sua imponente corporatura. – Non dovevi venire fin qui. Ti ucciderò così lentamente da farti pentire di essere nato – disse, e allungò gli artigli verso Brandon.

Non sarò certo io quello che farà la fine del topo, pensò il ragazzo. Gli artigli del mostro fendettero l’aria sopra la sua testa, lui si scansò e andò a finire contro un’armatura, che si disfece in tutti i suoi pezzi. Con una prontezza di riflessi degna di un cavaliere, Brandon raccolse l’alabarda e la impugnò saldamente, correndo incontro al demone.

- Ah ah ah! …povero sciocco, credi di potermi fare fuori? – la sua risata era stridula come un’unghia che gratta su di una lavagna.

Brandon continuò la sua corsa, ma non si accorse che il demone gli aveva teso una trappola: con una mossa repentina, fece saettare i suoi artigli dritti verso il ragazzo, che inciampò e cadde a faccia in giù.

- Un ultimo desiderio, prima che io ti uccida? –

- Fottiti – riuscì a dire Brandon.

Ridendo, il demone alzò la mano, preparandosi a vibrare il colpo di grazia…

 

*****

 

- Tom, vuoi venire a darmi una mano, per favore? –

L’avvincente romanzo fu interrotto sul più bello dal richiamo della madre, quella rompiscatole. Sicuramente voleva aiuto per un’altra delle sue faccende domestiche. Che diamine! Perché non se le sbrigava da sola?

- Uff… arrivo! – disse Tom, posando il libro. S’intitolava “Gli occhi dell’oscurità”, di Howard P. Jackson.

Prima di uscire dalla porta, a Tom caddero gli occhi sulla copertina del libro. Raffigurava due occhi felini su sfondo nero, che a Tom parvero brillare. Fu un attimo di estraniamento per Tom, che restò fermo sulla soglia della porta a guardare nel vuoto.

- Tom, ti decidi a venire o devo prenderti per un orecchio? –

Senza rispondere, Tom si avviò lentamente per le scale.

Come previsto, sua madre era da basso che aveva appena tirato fuori il bucato dalla lavatrice.

- Ne ho fatto veramente tanto. Se non mi dai una mano, non riuscirò mai a stenderlo tutto da sola. –

Tom non si accorse di quello che la madre gli aveva appena detto. Andò al banco della cucina e prese un utensile da un cassetto…

- Tuo padre si lamenta sempre che quando arriva non è mai pronta la cena. Bè, adesso che sei a casa, puoi anche darmi una mano, non cr…………. –

E fu un attimo. La donna si vide arrivare una coltellata proprio sul collo, che le aprì una ferita grande abbastanza da far sgorgare un bel po’ di sangue, che schizzò tutto sui capi appena tirati fuori puliti dalla lavatrice.

- Tom!!! Che cosa…..?!? –

Ma non ebbe il tempo di finire, che Tom le fu addosso e la riempì di coltellate, alla gola e all’addome. Morì quasi subito, mentre la cucina si riempiva del sangue caldo della poveretta.

Intanto, nella camera da letto, il libro era sempre lì, fisso. Con quei due occhi gialli che guardavano il mondo con malocchio.

 

In the eyes of Darkness

Fan-fiction di

Notrix

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


1.

 

 

Silent Hill

Ospedale psichiatrico Brookhaven.

 

 

 

Lisa Garland non aveva avuto un buon inizio di giornata. Appena arrivata si era dovuta sorbire il richiamo della caposala perché non aveva spento le luci del braccio E dopo il turno di notte. – Il sorvegliante notturno era nuovo – si era giustificata – gliele ho lasciate accese di proposito perché non si perdesse. –

Nonostante la sua giustificazione, la caposala l’aveva rimproverata per bene, aggiungendo un altro granello alla sua clessidra mentale che le diceva di tornare da dov’era venuta, ovvero l’ospedale Alchemilla.

Essere trasferita al Brookhaven dall’amministrazione era stata una gioia fino ai primi giorni, salvo poi trasformarsi in una specie di prigione: sorvegliare i malati mentali e stare loro dietro qualunque cosa facessero/dicessero, era un’impresa davvero ardua. Soprattutto perché i criminali non avevano tutti la stessa faccia… No. Per dirla con un’espressione che usavano spesso i colleghi di Lisa, erano polimorfi.

E quello che stava al braccio E, era sicuramente il più polimorfo di tutti.

Solitamente qualcuno immagina gli assassini come delle bestie assetate di sangue, con un aspetto orribile e modi rozzi e violenti. Invece Niall Horan (così era stato registrato alla reception quando era arrivato) era tutto il contrario: un ragazzino di origini irlandesi neanche ventenne, che con quei capelli biondi e quegli occhi azzurrissimi, quei lineamenti dolci e quel corpicino atletico sembrava un angioletto… Un angioletto della morte, in quanto autore di una strage a mano armata in una libreria del centro di New York.

Eppure Lisa non lo avrebbe mai detto, che avesse commesso un crimine così orrendo. Le era bastato leggere un articolo sul The New York Post, per tenere un terzo occhio aperto ogni volta che doveva accompagnarlo da qualche parte nell’ospedale.

Tuttavia il ragazzo non sembrava proprio un pluriomicida aggravato. Era sempre tranquillo, parlava poco ma bene… quello che osservava spesso Lisa era come se a volte non fosse parte del mondo reale. Come se Niall fosse un alieno, o per lo meno appartenente ad un’altra dimensione.

 

A rendere ancor più tragica la mattinata iniziata male, ci si metteva anche il cielo plumbeo carico di pioggia. Lisa guardò per un attimo fuori dalla finestra i neri cumulonembi, rabbrividendo.

- Lisa – disse Sheila, una sua collega – Stai bene? –

- Sì… Forse. Se continua questo tempo, avrò poco da stare bene, credimi… -

- Ti capisco – rispose la ragazza, mentre compilava un modulo – Anch’io ho seri problemi quando c’è un tempaccio del genere. –

- Be’ – riprese Lisa, sfogliando la rivista che teneva sulla scrivania – cerchiamo di rilassarci. Ci passerà. –

 

Intanto fuori aveva iniziato a piovere. Nel vialetto d’accesso dell’ospedale comparve un’auto, una Toyota Prius nera. L’auto si fece tutto il viale per poi fermarsi ad un parcheggio adiacente l’entrata coperta del complesso psichiatrico.

 

Il rumore di passi nel corridoio distolse Lisa dall’articolo che stava leggendo. Alzò gli occhi e vide un uomo alto che indossava un soprabito di pelle marrone, che avanzava verso la guardiola. Lisa mise via la rivista che stava leggendo, e si preparò ad accogliere l’individuo.

Arrivato di fronte a lei, l’uomo si tolse il cappello, rivelando una testa piena di capelli neri, un viso sbarbato e spigoloso tipico della mezza età, e due occhi neri come la notte.

- Buongiorno – salutò – sono il dottor Kaufmann, psichiatra. È qui che tenete l’ultima rockstar? –

- Buongiorno – rispose Lisa – Quale rockstar, mi scusi? –

Il medico anzianotto rise – Ma come, non lo sa? Quel ragazzino che ha fatto la strage in una libreria a New York. –

- Ah – disse Lisa, come cascando dalle nuvole – Niall Horan. Certo, è un nostro ospite – confermò, prendendo il registro degli accessi. Anche se era il 2012, al Brookhaven non avevano ancora informatizzato quella parte burocratica, per cui ogni persona che entrava doveva essere registrata manualmente.

- Ho bisogno di un suo documento d’identità e di una firma sul registro. –

 

*****

 

Mentre si avviavano al braccio E, dov’era rinchiuso Horan, il dottor Kaufmann esaminava la sua cartella clinica, facendo di tanto in tanto qualche domanda a Lisa.

- Il ragazzo dorme molto? –

- No, quasi nulla. Per farlo dormire dobbiamo iniettargli del sedativo, altrimenti è capace di rimanere sveglio tutta la notte. –

- Hmh – bofonchiò Kaufmann – Ha avuto episodi di pazzia, crisi epilettiche, o qualcosa fuori dall’ordinario? –

- Per quel che mi riguarda, quel ragazzo è totalmente fuori dall’ordinario. A parte ciò… no, non ha mai fatto il cattivo. L’unico comportamento strano è che dà l’impressione di essere su un altro pianeta. Come se… come se fosse in comunicazione con entità ultraterrene. –

- Credo che sia un classico di tutti i pazienti – minimizzò Kaufmann.

Arrivati alla porta della sua cella, Lisa infilò la chiave nella serratura e girò, facendola scattare.

La stanza era immersa nel buio, quindi Lisa fece per accendere le luci.

- No – disse una voce dall’interno della cella – Niente luce. –

Lisa ritrasse la mano, poi guardò il dottor Kaufmann, vergognandosi un po’. Poi prese a parlare con Niall.

- Niall – gli disse, dolcemente, come una maestra che deve rimproverare un bambino – c’è qui una visita per te. Non è carino starsene nell’ombra, senza accendere nemmeno una luce. –

- La luce mi brucia gli occhi – rispose Niall, dopo un minuto di silenzio.

Lisa fece per ribattere, ma con un gesto della mano molto calmo, Kaufmann la fermò.

- Niall Horan – disse Kaufmann – Ho un regalo per te. Ma te lo darò solo se prometti di accendere la luce una volta che sarò entrato. Che dici, ci stai? –

Ci fu un altro minuto di silenzio, poi Niall parlò di nuovo. – Che genere di regalo? –

Dalla sua borsa, il dottor Kaufmann tirò fuori una copia di un libro, e lo infilò nella stanza buia.

- Un libro. Ti piace leggere, non è vero? –

Mentre tendeva il libro alla stanza, una mano lo afferrò e glielo portò via. Kaufmann ritirò istintivamente la mano, avvertendo per un secondo un principio di pelle d’oca. “Cazzo”, pensò.

- Venga avanti, Doc. Lisa, accendi pure la luce, ma prima socchiudi la porta. –

- Va bene, Niall. –

Kaufmann entrò nella stanza e Lisa accese le luci. La luce al neon balbettò per un secondo o due, infine si stabilizzò, illuminando l’ambiente.

Una tipica cella da ospedale psichiatrico, con un letto, un tavolo con sopra molti libri, e dei fogli pieni di disegni strani e improbabili. Per lo più scarabocchi. Kaufmann si guardò intorno, non riuscendo a trovare il ragazzo.

- Cercava me, Doc? –

Kaufmann si girò, e vide Niall seduto in un angolo a gambe incrociate. Portava il pigiama clinico di stoffa deperibile, i suoi capelli biondi erano tutti arruffati e al polso destro portava un braccialetto irremovibile con i suoi dati identificativi.

Stupito dall’entrata in scena, Kaufmann ammezzò un sorriso. – Già. Cercavo proprio te, Niall – disse Kaufmann, quindi gli tese la mano – Sono il dottor Michael Kaufmann. Piacere di conoscerti. –

Niall guardò quella mano grande come se non avesse mai visto una mano così in vita sua, ma la sua espressione era quella di un alieno che, appena arrivato sulla terra, si stesse chiedendo che cosa bisogna fare quando qualcuno ti porge la mano. Improvvisamente se ne ricordò e gliela strinse debolmente, senza però alzarsi in piedi.

- Che cosa ci fa qui, dottor Kaufmann? –

- Niente d’interessante. Ero solo venuto a farti visita. Come tutti gli psichiatri, sono un po’ curioso. Ed ero curioso di fare due chiacchiere con te. –

Niall ridacchiò – Va bene, dottore, parliamo pure. –

- Chiamami pure Michael, Niall. Chiudiamo le formalità dietro quella porta. –

- Come vuoi, Michael. – improvvisamente, il suo sorriso gli morì sulle labbra.

- Allora – esordì Kaufmann, prendendo la sedia della scrivania di Niall e sedendovisi sopra  – Cosa ci fa un giovanotto come te in questo albergo? –

- Aspetto. – disse Niall, guardando un punto imprecisato del pavimento.

Kaufmann intanto prese il suo pacchetto di Marlboro e se ne ficcò una in bocca – Ti dà fastidio se fumo? –

- No – rispose Niall, sempre continuando a fissare il pavimento.

- Aspetti, dunque? – Kaufmann accese la sigaretta e ne prese una bella boccata. – Chi? –

- La chiamata del mio padrone. –

- Hmh – annuì Kaufmann – Un padrone… E chi sarebbe, questo tuo padrone? –

Niall alzò gli occhi, e Kaufmann poté vedere le iridi cristalline del ragazzo. Pensò che qualunque ragazza l’avesse visto se ne sarebbe potuta innamorare. Poi Niall gli sorrise sornione, come se la cosa che stava per dire fosse la più ovvia cosa al mondo, come gli uccellini fanno cip.

- Howard P. Jackson – rispose, tirando fuori il libro che Kaufmann gli aveva regalato poco prima – Lui non è solo il mio padrone. È il padrone di tutti. Di tutto e tutti. –

- Interessante – osservò Kaufmann, cercando un posacenere – Hai un posacenere, per favore? –

Senza rispondere, Niall indicò un bicchiere di carta sul tavolo.

- Grazie – rispose Kaufmann, spolverando la cenere della sua Marlboro – Stai aspettando il tuo padrone, Howard P. Jackson, allora? –

- Sì. Tutti noi lo stiamo aspettando. Tutti noi sappiamo che lui ci condurrà verso un mondo nuovo. –

- Be’… è un po’ l’obiettivo di tutti i messia, condurci verso un mondo nuovo. E dimmi, Niall… tu sai qualcosa, a proposito? –

- Oh, dottore… la verità è sotto gli occhi di tutti. Chi non conosce, conoscerà. Chi non vede, vedrà. E chi non crede… crederà. –

- Parlamene un po’, Niall, vuoi? –

Niall alzò lo sguardo verso il soffitto, mentre Kaufmann lo osservava attentamente. Dopo un minuto riabbassò gli occhi, riportando il suo sguardo verso Kaufmann.

- D’accordo – rispose il ragazzo – Venga più vicino, le dirò tutto quello che vuole sapere. -

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


2.

 

 

New York, qualche tempo prima...

 

 

La Pendragon Bookstore era la libreria più “in” di New York. Affiliata alla Pendragon Press, la famosa casa editrice di tutti i romanzi di Howard P. Jackson, ne condivideva i locali. Praticamente come avere la produzione e la distribuzione nello stesso posto. Una vera chicca per chi, come tanti, amava i romanzi dello “Scrittore Maledetto”, come lo aveva soprannominato il Post, che si beava nel pensiero di ricevere il libro direttamente dalla fonte. Un po’ come quelli che cercavano di prendere la palla lanciata dal battitore in home run ad una partita di baseball.

Se aveste chiesto a Ben Ridgewick, il custode dello stabile che qualche giorno prima era stato interrogato in merito alla vicenda di Thomas Bailey, il diciannovenne matricida che era passato alla casa editrice poche ore prima di commettere il terribile delitto, vi avrebbe detto che era come quella storia dove il ragazzo crede di comprare un cavallo che caga oro, e quando mette il cappello sotto il buco dell’animale, anziché materia gialla viene fuori materia marrone.

Quell’idiota folle scrive libri di merda che vanno a comprare come se fosse pane. Ah, questo è uno di quei Re Mida che sanno trasformare in oro anche la merda, ecco cosa vi avrebbe detto.

Quel giorno Ben era come al solito intento a spazzare l’ingresso della libreria, borbottando di quando nel 1974 era in trincea assieme ai suoi compagni a sparare ai fottuti culi gialli vietnamiti che li caricavano di chicchi roventi sulla testa, quando sollevò lo sguardo e si trovò di fronte un ragazzo biondo.

- Ciao Ben – lo salutò Niall, sorridendo – Come va oggi? –

- Ehi Niall – ricambiò il vecchio – Potrebbe andare meglio, se questo dannato negro d’un presidente si decidesse a prendere delle decisioni sensate. Tutti così, quegli stupidi democratici… Per lo meno Clinton si limitava a mettere le stagiste sotto la scrivania, questo sotto la scrivania ci mette tutto e tutti, se continua così! –

Ridacchiando, ben consapevole delle solite sparate del vecchio Ben, Niall rispose bonario – Non sta bene chiamare così una persona democraticamente eletta, Ben. Dopotutto, è anche il tuo presidente. –

- Già – convenne il vecchio, tirando fuori una banana dalla tasca della tuta marrone da lavoro e iniziando a sbucciarla – Sei qui per la nuova cazzata del Grande Maestro Jackson? –

Sempre sorridendo, Niall rispose – Proprio così. Johnny è dentro? –

Addentando la banana, rispose – Se non si sta esercitando a far precipitare aerei su noi cittadini americani, dev’essere sicuramente dentro che muore dalla voglia di far cadere aerei su tutti voi fan sfegatati di quell’imbecille che crede di essere uno scrittore – concluse, ridacchiando. Niall rise con lui, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla.

- D’accordo, vado. –

- Ehi Niall! Lo sai cosa ebbe a dire mio padre, prima di schiattare, nel 1980? –

Niall si fermò e si voltò verso il vecchio – No, che cosa ti disse? –

- Che prima o poi i comunisti ci seppelliranno, ingozzandoci di retorica e farcendoci di letteratura. Stai attento, mi raccomando! Voi giovani siete il futuro, non lasciatelo in mano alla feccia della società! –

Per dire la verità, Niall conosceva parola per parola quel monito, e avrebbe tanto voluto rispondergli Ben, vecchio imbecille repubblicano e guerrafondaio, siamo nel 2012, la guerra in Vietnam è finita da più di trent'anni anni, e alla tua età tu sei ancora imprigionato in schemi mentali preistorici, nonostante tu debba ringraziare anche quel Presidente se stringi ancora quella scopa nella mano come se fosse un fucile… Ah, Ben, Ben… lasciatelo dire, sei vecchio e stupido. Invece, rimase sul classico – D’accordo, Ben, farò tesoro di questa tua perla. Ciao, ci vediamo! – disse, e si avviò verso l’entrata della libreria.

 

*****

 

Anche quel giorno la libreria era strapiena di ragazzi e ragazze, tutti affezionati lettori di Howard P. Jackson. Il suo ultimo romanzo, Dark Blood, aveva venduto più di quindici milioni di copie, ed aveva ricevuto un ampio ventaglio di opinioni, dalla più generosa alla più amara: Jackson meriterebbe che gli spezzassero entrambi i polsi per manifesta demenza letteraria. I suoi sono romanzi di consumo che, passata l’onda dell’innovazione, tutti dimenticheranno. Sarà, intanto continuava a scrivere e vendere, con buona pace della Pendragon Press e delle librerie affiliate. Niall si guardò intorno, cercando con gli occhi Johnny. Lo vide dietro al suo banco di vendita, intento a tenere buona una folla di ragazzini urlanti.

- Ragazzi, ragazzi! Vi prego, un attimo di silenzio! Stiamo verificando la disponibilità del libro! –

Niall si avvicinò un po’ di più, cercando di non mettersi troppo vicino alla folla, per capire bene cosa stesse succedendo. Una ragazza con il gilet rosso e il cartellino della libreria appeso al collo andò vicino a Johnny. La sua faccia era una maschera a metà tra il triste e il disperato. Disse qualcosa a Johnny, che si toccò la fronte in un gesto di disperazione nell’apprendere ciò che la sua collega gli aveva detto.

- Ehm… ragazzi, purtroppo le copie di Dark Blood sono terminate. Dovrete aspettare che… -

Non l’avesse mai detto. La folla urlante si scatenò in un coro di proteste.

- Ma com’è possibile! Io ho prenotato su internet! Ecco qui la ricevuta!!! – disse una ragazza un po’ in sovrappeso, sventolando la stampa di una e-mail.

- E io ho prenotato tramite Facebook! Non è giusto! –

- Ragazzi, vi prego – disse Johnny tentando di ristabilire la calma – Purtroppo non possiamo farci nulla, le copie sono terminate e non abbiamo più disponibilità a negozio! –

- Buffoni! – urlò un ragazzo – siete attaccati alla casa editrice, fatevi dare un paio di copie di riserva! –

- Non è così semplice, Einstein! – sbottò Johnny – Anche le copie di riserva sono state esaurite! –

- Io da qui non mi muovo senza il mio libro! –

- Oh, cristo – disse Johnny, portandosi le mani nei capelli - Janine, per favore, pensaci tu. Procedura d’emergenza. – Aveva deposto le armi di fronte a tanta ignoranza dei fan.

- Ehm – esordì Janine – Dunque, adesso uno alla volta, in fila, mi date i vostri nominativi e vedremo di riservarvi dei libri, che arriveranno domani. Okay??? –

Nonostante i borbottii di scontentezza, era l’unica soluzione. Lentamente, i ragazzi iniziarono a fare una fila ordinata per riservarsi una copia.

 

*****

 

Poco dopo Niall era insieme a Johnny nel suo ufficio, a sorseggiare una tazza di caffè.

- Deduco che la mia copia non ci sia più, vero? –

- Purtroppo – rispose Johnny. I suoi lineamenti giapponesi si corrugarono in un’espressione corrucciata – Si accampano la sera prima, quando c’è una nuova uscita. Ho dovuto esaurire tutte le copie, altrimenti rischiavo che mi distruggessero il negozio, e lassù non sono tanto gentili con gli store-managers che non accontentano i clienti. –

Niall rise – Eviterò di denunciarti alla Pendragon Press solo perché sei mio amico – gli disse.

Johnny gli sorrise di rimando, quindi sorseggiò un po’ del suo caffè.

- Ci sono novità da parte della Grande Casa? –

- Hmh. Forse. – rispose Johnny, accennando un sorriso furbetto mentre posava il bicchiere di carta sulla scrivania – voci di corridoio parlano di un nuovo libro, il cui lancio è previsto fra due mesi. –

- Wuao! – esclamò Niall, facendo quasi un salto sulla sedia – Dimmi tutto! –

- Non ci penso neanche – rispose Johnny, guardandosi intorno con aria divertita – Top secret. –

- Daaaaaiiii…. –

- No… -

- Ti prego! – Niall gli andò vicino, congiungendo le mani. Johnny sorrideva, ben deciso a non dire nulla.

- Ti prego ti prego? –

- No, no! –

- Ti prego ti prego ti prego??? –

- Niall! Se dico anche solo una parola, mi licenziano! –

- Ah, è così?! Allora io vado su a spifferare che non hai tenuto la mia copia nonostante te l’avessi chiesta ben un mese prima del lancio! – lo minacciò bonariamente Niall.

- Uffa! Che piattola! E accidenti a me che vado ad accennarti cose che non dovrei… vieni qui. –

Come se stesse assistendo allo spoglio di una scheda segreta, Niall si avvicinò guardandosi intorno. Anche Johnny si guardò intorno, mentre dalla scrivania prendeva fuori una scheda prodotto che aveva stampato poco prima.

- Si chiama In the eyes of darkness. È il romanzo che dovrebbe chiudere la pentalogia delle tenebre. Le stesse voci di corridoio dicono che sia una bomba. Una bomba pari all’atomica lanciata su Hiroshima! –

- Oh no, anche tu fai riferimenti ad una guerra? –

- Lasciami indovinare, hai incontrato Ben all’entrata, vero? –

- Sì. Oggi è abbastanza arzillo, il vecchio. Che gli avete fatto? –

- Nulla. Solo suppongo che sia ora per il vecchio di andare in pensione. Se non altro in un castello di riposo troverà qualcuno con cui condividere le sue lamentazioni geremiache. – disse, e Niall si mise a ridere, facendo ridere anche Johnny.

- Se qualcuno non gli pianta una pallottola in mezzo agli occhi prima, s’intende. – concluse, provocando un nuovo accesso di risa in Niall.

- Eh già… ehi, ma…! Non cambiare discorso! Non mi hai detto la cosa più importante! –

- E cosa dovrei dirti di più? – domandò Johnny, con aria di sufficienza.

- Quando esce la bomba? –

- E chi lo sa? –

- Come sarebbe a dire? Dovresti saperlo! –

- Be’, mi dispiace amico mio, ma non so proprio quando uscirà. So solo che Jackson lo sta ancora scrivendo, ma a breve dovrebbe finirlo, e quando lo finirà… bang! Sarà pronto per essere inghiottito, digerito e defecato dalle nostre rotative, nonché venduto nella grande stanza qui a fianco! –

- Uhm. Dove si ritira di solito Jackson per scrivere le sue storie? –

Johnny guardò Niall con gli occhi spalancati.

- Non ne ho la minima idea, sai? Questo bisognerebbe chiederlo su, all’amministrazione. –

- Bah, lo sapevo. Non si cava mai un ragno dal buco, a parlare con te. –

Ridacchiando, Johnny si alzò dalla scrivania, dando una pacca amichevole sulla spalla di Niall. – Forse. O forse è ora per me di tornare a lavorare, se non voglio perdere il posto. La nostra amichevole conversazione finisce qui per oggi, e… -

- …e stai dimenticando ancora una cosa. –

Johnny sbuffò – Cosa c’è ancora? Ti ho detto tutto quello che sapevo! –

- Cioè niente – concluse Niall per lui. Prima che Johnny potesse ribattere, gli disse – hai dimenticato che devi tenermi una copia di Dark Blood. Mi raccomando! Altrimenti prendo il primo ascensore del palazzo accanto e spiffero tutto quello che mi hai detto. –

- Umpf – mormorò Johnny – Lo ammetto, ancora una volta mi hai dato scacco matto. Ma come può un ragazzo come me avere un amico così perfido come te? –

- Forse perché sono il tuo miglior cliente? –

- Ah-ha. Spiritoso. Ringrazia tuo fratello, se mi conosci. –

- Non mancherò. Ciao Johnny, a domani! –

- Ciao Niall, e salutami Chris. –

 

Uscendo, nel corridoio adibito a magazzino c’erano i promo-stand con le nuove uscite. C’era uno stand che raffigurava cinque ragazzi con una stella sullo sfondo. Sulla descrizione, c’era il nome del gruppo: 1D

- Che nome del cazzo, per una boy band. – commentò Niall, avviandosi verso la porta di servizio e uscendo in strada.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


3.

 

- Sono a casa! – annunciò Niall aprendo la porta. Sua madre era in salotto che guardava la televisione e sferruzzava a maglia sul divano. Quando il figlio fece capolino dall’ingresso ad arco, gli sorrise e gli tese la mano. Lui le andò vicino e le baciò la fronte.

- Ciao amore – disse la donna – com’è andata a scuola? –

- Benone, direi. Che c’è per cena? –

- Ti ho preparato del roast-beef e un po’ d’insalata. –

- Va bene, allora vado. –

- D’accordo figliolo. –

- Papà, non c’è? –

- No, è ancora a lavorare, sta rifacendo il tetto ai Phyllis. –

- Non imparerà mai a stare fermo… - ridacchiò Niall.

- Eh già. – rispose sua madre, ridacchiando a sua volta.

 

*****

 

Dalla cucina, gli giungeva chiaramente la voce del televisore, che in quel momento stava trasmettendo il programma che stava guardando sua madre, un gioco a premi.

- Per cinquemila dollari… io le offro: un rasoio elettrico a motore, un tagliaerba Multiplex e un paio di forbici per l’aggiustamento del giardino. Accetta lo scambio? –

Conosceva bene quel tipo di gioco: al concorrente venivano ficcate un paio di cuffie che sparavano musica a tutto volume, e il conduttore proponeva scambi improbabili. A volte cianfrusaglie (come quelle che aveva appena sentito), altre volte erano oggetti di valore. Ad un certo punto il concorrente doveva dare la sua risposta, o no, quando si accendeva una luce rossa sulla tabella posta sotto i suoi occhi. Gioco abbastanza cretino, ma sapeva di gente che lo seguiva con passione. Sua madre lo seguiva di sfuggita, per lo più guardava le figure mentre creava lavori a maglia. Ad un certo punto però cambiò canale, passando ad un telegiornale.

- …veniamo ora alla cronaca locale. Si indaga ancora sulla vicenda di Thomas Bailey, il diciannovenne accusato di omicidio ai danni della madre, Patricia Langdon-Bailey… -

Di solito Niall non guardava con attenzione i telegiornali, ma quella volta accadde qualcosa. Dopo aver snocciolato tutti i dettagli dell’omicidio, il telegiornalista appostato di fronte alla casa dov’era avvenuto il delitto, stava riportando le ultime notizie circa il giovane accusato.

- …interrogato dagli psichiatri che l’hanno avuto in cura all’Ospedale Psichiatrico dov’è stato internato in attesa del processo, Thomas Bailey ha dichiarato “Ho accoltellato mia madre perché non sapevo cosa stavo facendo. Non ero in me. Lei mi aveva chiamato mentre stavo leggendo un libro… sono sceso… ho visto quel coltello… e…” …il resto lo sappiamo. La stanza del ragazzo è stata trovata piena di libri di Howard P. Jackson, il famigerato “Scrittore maledetto”. Ciò farebbe pensare ad un tentativo di emulazione dettata dalla letteratura troppo violenta a cui era abituato, ma fonti attendibili dipingono Thomas come un ragazzo qualunque, un classico studente con la passione per la letteratura e i videogiochi… insomma il classico ragazzo della porta accanto. Cosa avrà spinto questo mite giovanotto a trasformarsi in un sanguinario omicida? Le indagini lo chiariranno. –

Thomas Bailey era un fan di Jackson…? Accidenti. Immagina che pubblicità sarà per la Pendragon Press… Pensò Niall, finendo l’ultimo boccone del suo roast-beef.

Poco dopo era in camera sua, davanti al computer. Facebook era una droga dalla quale stava tentando di disintossicarsi, ma nonostante questo una o due orette la sera ancora le faceva passare. Be’, poteva considerarsi un guadagno, considerato che in altri tempi ci tirava mattina, con quel social network. Annoiandosi un po’, decise di andare a controllare il profilo dell’omicida Thomas Bailey. Digitò il nome nel motore di ricerca e gli apparve tutta la sfilza di Thomas Bailey presenti a New York.

Come riconoscerlo? Semplice.

La sua foto era apparsa parecchie volte nei giorni passati, ed era la stessa che utilizzava per Facebook. Così cliccò sulla foto “conosciuta” e sbirciò nel suo profilo.

Il ragazzo, nonostante dovesse essere parecchio timido, evidentemente non sapeva come proteggere il suo profilo. Una volta aperto, si trovò tutta la sua vita davanti agli occhi. Nato a Detroit nel 1993 (che simpatico, ha la mia stessa età, pensò Niall), Thomas era un ragazzo modello, anche se un po’ sfigato con le ragazze. Per lo più sul suo profilo aveva molti amici, all’apparenza tutti Nerd. I suoi post in bacheca erano storie scritte da lui, sulla falsariga dello stile di Jackson.

Accidenti, sono lunghissime… e io non ho tempo di leggerle… pensò Niall, scorrendo fino alla fine quei lunghissimi post. Nonostante la lunghezza, dovevano essere vere e proprie bombe, in quanto piacevano a molti. Ogni post incassava un numero di Like mai inferiore a 6mila.

Uno scrittore mancato… pensò Niall, …ma perché fare fuori tua madre?

In mezzo ai tanti post dei racconti, Niall ne scorse uno, di un suo amico. Un certo Harry Styles.

Harry scriveva: Brutto bastardo, devi assolutamente prestarmi il libro che hai sgraffignato prima che uscisse! XD

Libro-sgraffignato-prima-che-uscisse? La mente di Niall entrò in fibrillazione. Come faceva quel ragazzino ad avere un libro prima che fosse uscito?

Thomas gli aveva risposto: Stà zitto, brutto idiota… ti passo quello che vuoi, ma smettiamo di parlare qui.

Il mistero s’infittiva. Come mai tutta questa segretezza? Niall non era un detective, ma aveva idea che ci fosse sotto qualcosa di grosso, di molto grosso. Ovviamente i messaggi interessanti finivano lì, ma qualcosa gli diceva che quella poveretta della madre di Thomas si era trovata al posto sbagliato e al momento sbagliato, e c’era un libro che c’entrava qualcosa, in una qualche misura.

 

*****

 

Poco dopo Niall era sul suo letto, la testa riversa sul cuscino e gli occhi chiusi. Dormiva profondamente, e nelle sue mani stringeva The Herald of the Darkness, terzo romanzo della pentalogia Jackson. In copertina era raffigurato un demone alato che minacciava tre ragazzi con i suoi affilatissimi denti.

 

*****

 

Tic… tic-tic. Ti-ti-tic. Tic! Tic! Tic! Tic-ti-ti-ti-tic!

Ding!

Niall fu svegliato dai rumori di una macchina per scrivere in funzione. Aprì lentamente gli occhi, mettendosi contemporaneamente a sedere. La sua mano non affondò nel materasso come al solito, bensì toccò qualcosa di molto duro. Roccia pura.

Ma dove…?

Si guardò intorno, l’ambiente non era molto ben illuminato, eccezion fatta per la luce di alcune torce appese al muro. Intanto il ticchettio della macchina per scrivere proseguiva. Incessante, ripetuto, intervallato dai ritorni di capoverso, segnalati dall’immancabile campanello. Ding! E un nuovo capoverso iniziava.

Avanzò lentamente cercando di capire da dove provenisse quella fonte di rumore, anche se l’eco non lo aiutava nell’impresa. L’ambiente sembrava una specie di caverna, o le segrete di un castello, volendo… l’unica cosa certa era che gli ricordavano molto le ambientazioni di Jackson. Buie, umide e spaventose.

 

…ogni posto, ogni angolo era carico di oscuri presagi, un mondo a sé stante dal quale sarebbero potuti fuoriuscire centinaia, forse migliaia di mostri. Brandon si sentì minacciato da tali presenze, guardandosi intorno con terrore. In nessun posto sarebbe stato al sicuro, nessuna forza avrebbe potuto salvarlo…

 

Come per magia, udì quelle parole nella sua mente. Qualcuno sembrava stare sussurrandogliele, da qualche recesso del suo inconscio. Oh mio dio, pensò, avanzando nel corridoio e pregando che le torce non si spegnessero. All’improvviso, giunse a un bivio. Due corridoi neri si aprivano, entrambi senza illuminazione. Niall spalancò gli occhi, meditando di tornare indietro. Ma dove…? Da dov’era venuto non c’erano porte, era stato confinato in un antro senza uscita.

Se questo è un incubo, voglio svegliarmi. Pensò di nuovo.

- Questo non è che l’inizio. – disse una voce, facendolo trasalire.

- C… Chi… ha p…parlato? – domandò, voltandosi lentamente.

Nessuna risposta.

- Chi… chi c’è? – domandò ancora.

E di nuovo non vi fu risposta.

Pensò di essersi immaginato che qualcuno gli avesse parlato, quando dal muro accanto a lui spuntarono fuori due mani artigliate che lo ghermirono. Niall soffocò un “oh” di stupore, sostituendolo con un grido fortissimo di paura.

- Ahhhhh!!! – urlò, ma una terza mano intervenne a tappargli anche la bocca. Provò a divincolarsi, ma quelle braccia avevano davvero una forza sovrumana. E con la stessa forza lo tirarono e lo trascinarono dentro il muro, per portarlo chissà dove.

 

*****

 

- Ahhhh!!! – Niall aveva urlato una seconda volta, però senza ragione alcuna. Socchiuse gli occhi, e si accorse di essere in camera sua. A casa. Si mise a sedere sul letto, ansimando di paura. Il suo cuscino era madido di sudore, più o meno come lo era lui adesso.

Era solo un incubo. Un fottutissimo, schifoso, incubo.

Si passò una mano tra i capelli biondi, scuotendo la testa per scacciare via quanto aveva visto. Poi prese l’orologio da polso e guardò l’ora. Le tre meno dieci del mattino.

Incubo o no, devo dormire. Non posso stare sveglio tutta la notte. Domani avrò da fare. Pensò, e si rimise sotto le coperte. Qui, sentì qualcosa di rettangolare pungergli la coscia. Era il suo libro di Jackson, The Herald of the Darkness.

- Se trovo chi ha detto che leggere un libro accompagna il sonno, lo prendo e gli do un calcio nel culo. – mormorò, poggiando il libro sul comodino e spegnendo la luce.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


4.

 

 

Se felice vuoi campare, gli affari tuoi ti devi fare.

Era un precetto molto interessante, soprattutto per chi si andava a cercare i guai. Dal canto suo, Niall cercava di starci lontano il più possibile, dai guai… ma probabilmente non sapeva a cosa stava andando incontro quando decise di chiedere l’amicizia su Facebook a Harry Styles.

Gli si era presentato come un giornalista di un’edizione universitaria, e voleva intervistarlo in merito al suo amico Thomas. Siccome non era una cosa proprio ufficiale, Niall si era raccomandato che nulla sarebbe dovuto trapelare, e che avrebbero dovuto incontrarsi inderogabilmente da soli in caso Harry avesse accettato di farsi intervistare.

No, non era impazzito. Semplicemente, l’incubo che aveva avuto la notte in cui aveva curiosato nel profilo di Thomas Bailey gli aveva aperto un po’ gli occhi (in tutti i sensi, dato che aveva quasi smesso di dormire). Unito alla convinzione che ci fosse qualcosa di sospetto in tutta la vicenda, decise di scoprirne un po’ di più. E la persona che forse avrebbe potuto dirgli qualcosa, era Styles.

Harry Styles era, come diceva un po’ il suo cognome, un po’ fissato con lo stile. Esteriormente sembrava un Nerd, proprio come il Bailey, ma si comportava come una ragazzina. Non solo: il giorno del loro primo incontro non erano soli. Styles non l’aveva avvertito che sarebbe venuto un terzo incomodo.

- Niall, piacere. – disse Niall, sedendosi al tavolino del caffè che aveva scelto Harry per l’incontro. Il ragazzo a cui aveva stretto la mano era un ragazzo bruno, alto e ben piazzato. Tutto il contrario di Harry che era magrolino. Sembrava la controfigura di Mika, con quei capelli arruffati.

- Lui è il mio ragazzo – cinguettò Harry, carezzando il braccio del biondo.

- Louis – disse questi a Niall, guardandolo negli occhi – Piacere mio. –

 - Spero non ti sia dispiaciuto, Niall. L’ho portato perché non mi fidavo di andare ad un incontro totalmente solo. E poi… - guardò Louis – Louis è un po’ geloso di me. Non è vero, amore? –

- Già. – disse il biondo, sbrigativo.

Niall guardò prima Harry poi Louis, grattandosi distrattamente un sopracciglio mentre tirava fuori la sua attrezzatura da giornalista: un taccuino e una matita.

Louis alzò un sopracciglio perplesso – Che razza di giornalista va ancora in giro con carta e penna? Non ce l’hai un i-phone? –

Senza scomporsi, ma regalando soltanto un sorriso fasullo, Niall rispose – Sono un tradizionalista. Allora Harry, che cosa puoi dirmi a proposito della vicenda di Thomas Bailey, che ha trucidato sua madre? –

- Ah, che storia terribile – esordì teatralmente Harry, portandosi una mano al petto – Conoscevo Thomas fin da quando eravamo bambini, e credimi, mai e poi mai mi sarei aspettato che avrebbe fatto fuori Patricia in modo così brutale! Ma ci rendiamo conto? Con un coltello! Le ha ficcato una lama per dieci centimetri nella giugulare! E poi non si è fermato! Ha continuato, l’ha letteralmente squartata viva! E poi… -

- Amore, ti prego… - disse Louis, toccando il braccio al suo ragazzo – Risparmia i dettagli impressionanti. –

- Scusate – disse Harry, chinando un po’ la testa e bevendo un sorso della sua bibita – A volte mi capita di divagare. Se lo faccio, fermatemi pure. – concluse, con un sorriso raggiante.

Niall proseguì nella sua pseudo-intervista. Certo era una cosa ardua scegliere le domande, soprattutto perché non si era preparato una scaletta da seguire… certo, avrebbe potuto rivederlo quando voleva, ma se il ragazzo si sarebbe portato di nuovo quel pezzo di marcantonio biondo di nome Louis, col cavolo che avrebbe fatto delle domande coerenti. Si sentiva confuso, parecchio. Era solo per la paura di essere preso per un ficcanaso o c’era dell’altro?

- Thomas aveva degli hobby? –

- Oh, certo che sì! Facebook, videogiochi, giochi di ruolo… e …. La letteratura. Adorava Howard P. Jackson… per la verità, lo adoro anch’io. –

- Ecco, parliamo di questo. Thomas aveva letto un suo libro, recentemente? –

- Sì sì! – confermò vigorosamente Harry – Però… - si morse le labbra, guardandosi intorno, poi invitò Niall ad abbassarsi - …Non è cosa che posso dire così facilmente, quindi magari questo dettaglio lasciamolo fuori dall’articolo, d’accordo? –

- Oh, beh… certo. –

- Non staremmo compiendo un reato di omessa informazione, vero? – gli occhi di Harry erano grandi come quelli di un cucciolo spaventato. Niall si chiese quanto di vero ci fosse nella sua persona e quanto di teatrale.

- Ehm … no, certo che no. Parla pure senza paura, io depongo la matita e smetto di scrivere. –

- Come se avessi scritto chissà che – osservò Louis, sorseggiando la sua bibita. Niall fu imbarazzato da tale osservazione, dal momento che il taccuino era completamente bianco.

- Amore, ma che villano! Si vede che Niall riesce a tenere tutto a mente, no??? –

- Tsk. – sbuffò Louis, scuotendo la testa.

- Dov’eravamo rimasti…? – domandò Harry – Ah sì! …ti stavo dicendo che Thomas era in possesso di un libro che doveva ancora uscire. In the mouth of madness, del nostro autore preferito Jackson… Un libro veramenteveramente…. Oh dio! Non riesco a trovare il termine adatto, tanto è magnifico!!! –

- Epico? – suggerì Niall lì per lì. Più andavano avanti, più gli sembrava che Harry fosse un attore che recita di fronte ad una cinepresa. Si aspettò da un momento all’altro che un regista gridasse Stooop! e un ciacchista che chiudesse la ripresa.

- Epico, esattamente! – sottolineò la sua convinzione con un fermo gesto della mano, come se avesse dato un taglio netto ad un immaginario tronco presente sul tavolino. Gettò un’occhiata a Louis, che guardava da tutt’altra parte. Se era imbarazzato, il biondo stava dissimulando benissimo: sembrava un perfetto estraneo rispetto a loro. Niall gli mandò telepaticamente tutto il suo appoggio morale per essersi scelto un fidanzato del genere.

Prima che Harry potesse incominciare una nuova divagazione, Niall gli buttò una nuova domanda.

- Quanto tempo prima, rispetto all’omicidio, era entrato in possesso di quel libro? –

- Uhm – mormorò Harry, portandosi un indice sulle labbra e ciucciandoselo per un po’ – direi che è entrato in possesso del libro tre giorni prima dell’omicidio. Voglio dire, ha preso il libro un giorno, e tre giorni dopo ha fatto fuori sua madre. Oh, mio dio! Non posso pensarci! –

Niall alzò gli occhi al cielo, sospirando. – In questi tre giorni vi siete mai parlati? –

- Cosa? Ma come facevamo, lui adesso è internato in un ospedale psichiatrico! Come posso averlo sentito tre giorni fa se è internato da almeno tre settimane? –

A quella esternazione, fu Louis ad alzare gli occhi al cielo chiedendo pietà, quindi Niall intervenne.

- Ehm no, intendevo… nei tre giorni intercorsi tra il possesso del libro e l’assassinio della madre. –

- Ah-haaa! – esclamò Harry, battendosi il palmo della mano sulla tempia destra – Ma potevi dirlo subito, no? …Certo che ci eravamo parlati, in quei tre giorni. –

- E cosa vi eravate detti? – Niall era ansioso di sapere il contenuto delle loro conversazioni.

- Hmh, nulla di particolare… sai, lui mi parlava di come le ragazze non lo filassero, e io gli dicevo Ma no dai Tommy, magari qualcuna per te la troviamo. Ci penso io, che ho tante amiche! E poi se proprio non riusciamo a trovarti una ragazza, possiamo sempre trovarti un ragazzo, e a quel punto lui… -

- Harry, stai di nuovo divagando…! - disse Louis.

- Oh! Scusa amore. Scusa Niall. Ehm… sì, insomma, le nostre conversazioni sono state più o meno queste… -

- Okay, ma… del libro… che cos’ha detto? – Niall era sull’orlo della disperazione. Sostenere una conversazione con quel ragazzo era praticamente impossibile.

- Maaah, ha detto che era avvincente, appassionante, super!!! Un concentrato di gotico allo stato puro. Qualcosa di eguagliabile a Lovecraft, non so se mi spiego! Anzi, forse addirittura meglio di Lovecraft! –

- Qualcosa di più preciso riguardo i suoi pensieri? Non so, ti ha per caso accennato a degli strani incubi? –

Harry alzò un sopracciglio perplesso. – Cosa c’entrano ora i pensieri con gli incubi? Un incubo lo si fa quando non si pensa, è tutto inconscio! –

- Oh santo cielo – sbottò Niall, al limite della pazienza – Ti ha raccontato per caso se aveva avuto degli incubi? –

Come se fosse cascato da una nuvola, Harry spalancò gli occhi e disse – Sì sì!! Eccome! Mi raccontò di aver avuto incubi per tutta la notte. Neanche avesse fatto sesso con Martin, il nostro amico africano. Ti ricordi amore, quello…? –

Intorno a loro, gli avventori del locale avevano iniziato a guardarli. Tanto parecchio teatrale ed enfatico era Harry nelle sue spiegazioni, quanto più imbarazzati erano Niall e Louis. Una signora di mezza età con un portatile sul tavolino si fece una risatina sotto i baffi, mentre un signore anziano scosse la testa, e la sua espressione diceva chiaramente Questi giovani… dove andremo a finire. Per la prima volta nella sua vita Niall stava parlando con una persona più gnucca di Ben Ridgewick, il custode della libreria.

- Tesoro, non penso sia il caso di… - lo fermò Louis, accarezzandogli la guancia.

- No no, invece è il caso “di”! – si rivolse a Niall, battendo l’indice sul tavolino talmente forte che le bibite quasi si rovesciarono – Tommy era sconvolto da quegli incubi… diceva Oh mio dio, oh mio dio, sono in casa mia, prima o poi verranno a prendermi, che cosa devo fare???

- Ah, davvero? – disse Niall, al colmo della confusione.

- Oh sì mio caro. E poi… e poi ha fatto fuori sua madre. Che perdita… A volte mi chiedo se non sia stato proprio quel libro, a fargli fare quel gesto. –

Detto questo, Harry si fermò dal parlare, e il locale ricominciò armonicamente a farsi gli affari propri. La donna di mezza età ricominciò a lavorare al suo portatile, una ragazza continuò a leggere il suo libro, e l’anziano signore riprese a leggere il giornale.

- D’accordo… mi pare che ne abbiamo abbastanza per il pezzo di domani – disse Niall. Louis lo guardò attentamente, con occhio torvo. Niall se ne accorse ma non disse nulla, rivolgendosi di nuovo a Harry – Un’ultima cosa, Harry. –

- Sì? –

- Sai per caso dov’è finito il libro? –

- Oh, e chi lo sa? Quando è andata la polizia a fare il sopralluogo, penso che abbiano prelevato dei reperti… magari c’era anche quel libro, chi lo sa. Non lo so proprio, scusa… -

Louis continuava a guardare Niall con sguardo sempre più torvo. Sentendosi pesare addosso quello sguardo, Niall si alzò con molta nonchalance.

- D’accordo. Beh, ho raccolto materiale sufficiente, direi – dichiarò, affrettandosi a chiudere il taccuino (sul quale peraltro non aveva scritto nemmeno una riga) e a rimetterlo nella sua sacca – ho il tuo indirizzo Facebook, quindi quando sarà pubblicato l’articolo, ti manderò il link.

- Oh, è un giornale in rete? –

- Sì sì! Proprio così! –

- Che bellezza! – cinguettò Harry – Hai sentito amore? Diventerò famoso! –

- Già, famoso… e gabbato. – mormorò Louis, scuotendo la testa.

- Come dici, scusa? –

- Niente… Ah guarda, il tuo amico si è dileguato. –

- Cos…? – Harry si voltò, e in effetti Niall era scomparso dal locale. – Ma dov’è andato? Che maleducato. Andato senza neanche salutare. –

Louis lo scorse fuori dalla vetrina che attraversava la strada, ma si guardò bene dal dirlo a Harry.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5.

 

 

Dove finiscono le coincidenze, inizia il destino.

Niall non ricordava chi avesse pronunciato quelle parole, se fosse stato un dittatore cinese o un saggio francese o viceversa. Una cosa però era emersa dal colloquio con quella gatta sciantosa di Harry Styles: che prima di accoppare sua madre, Thomas Bailey aveva avuto degli incubi.

Se fossero o meno stati dettati dai capoversi troppo forti del libro, questo non lo sapeva. Però era una coincidenza curiosa che il ragazzo li avesse avuti, proprio come lui aveva avuto il suo incubo qualche notte prima. Dalla sua posizione disteso sul letto, guardò sulla sua scrivania. In ordine sullo scaffale alto, quello riservato ai classici, c’erano tutti e quattro i libri di Jackson. Ne mancava soltanto uno a termine della pentalogia, In the eyes of darkness, quello che sarebbe dovuto uscire non si sapeva ancora quando.

 

*****

 

Li prese tutti e quattro, compreso l’ultimo che aveva arraffato, Dark Blood, e si era messo ad esaminarli uno per uno. Le immagini di copertina erano come al solito suggestive, popolate di demoni, creature malevole e spettri oscuri. L’oscurità. Quella era un filo conduttore di tutti e quattro i romanzi, finora… Li accostò insieme, mettendoli due sopra e due sotto, così per caso.

Quel che ne venne fuori non gli piacque per niente.

Guardandoli da lontano, le quattro copertine formavano due cavità nere, come due occhi vuoti. Niall sbattè le palpebre più volte, confuso. La testa incominciò a girargli, e un’immagine attraversò la sua mente.

Questo non è che l’inizio.

Si accasciò a terra in ginocchio, tenendosi alla scrivania… la testa gli girava come una trottola. Con le ultime forze che gli restavano, scaraventò a terra i quattro libri, scomponendo quell’immagine che aveva creato.

- Oh cristo – mormorò – è … è pazzesco. –

 

*****

 

Il giorno dopo, Niall se ne stava seduto a un tavolino alla caffetteria dell’università a leggere l’ultimo capolavoro di Jackson, Dark Blood. Anche questo libro era appassionante, ricco di colpi di scena e intrighi. Leggendolo, per un momento si dimenticò di aver avuto quella strana visione la sera prima, illudendosi che le pagine di quel libro fossero come una specie di carezza confortante dopo uno schiaffo ricevuto. Gli occhi correvano tra le righe, era come ipnotizzato, catturato dalle pagine di quel libro.

A sottrarlo all’incantesimo, fu una mano sulla spalla, che oltre a distoglierlo dalla lettura, lo fece trasalire.

- Paura, eh? – Niall si voltò. Dietro di sé, l’imponente figura di Louis Tomlinson. Il biondo lo guardava con aria di superiorità.

- Louis? –

- Ciao – lo salutò il ragazzo – Allora, come procede l’articolo sulle dichiarazioni del mio ragazzo? –

Come se non sapesse di cosa stava parlando, Niall sgranò gli occhi. Poi, come ricordandosene all’improvviso, esclamò – Ah, ma certo! …procede bene, grazie. Domani mando i pezzi al caporedattore che li leggerà e… -

Senza nemmeno esser stato invitato, Louis prese una sedia e si sedette accanto a Niall, ridacchiando furbescamente.

- Be’? Cosa c’è da ridere? –

- C’è che mi fa ridere il modo in cui reciti. Da cane. –

- N… non capisco – disse Niall – Che cosa vuoi dire? –

- Voglio dire, caro il mio giornalista farlocco, che puoi smetterla di recitare la commedia. So tutto. –

- Ah. E come … come l’hai scoperto? –

- Diciamo che qui intorno ho molti amici. È bastato fare una telefonata al direttore del giornale di qui e chiedere se ti conosceva. Mi ha risposto picche, e così… -

- E così sei venuto qui per sbugiardarmi, giusto? – Niall ridacchiò – Oh Louis, Louis… se ti fa tanto piacere, fai pure. Racconta tutto al tuo boy-friend, se vuoi… e se ti capisce, ovviamente. –

Anziché arrabbiarsi, Louis fece spallucce – A dire la verità non avevo intenzione di raccontargli nulla – ammise – Ma se proprio insisti… -

- Lascia perdere – tagliò corto Niall – Perché sei venuto da me, dopo aver fatto questa scoperta? –

- Non lo so, forse per godermi la faccia che avresti fatto una volta che ti avessi messo di fronte alle tue responsabilità. O forse… -

- Dai, sputa. Perché sei venuto? –

- Forse perché penso che tu stia andando a caccia di qualche strega. O in alternativa, a caccia di guai. –

- Cosa te lo fa pensare? –

- Oh, nulla. Solo il semplice fatto che stai indagando su un ragazzo che ha fatto fuori sua madre, e magari credi che l’abbia fatto sotto l’influsso di un libro. –

- Anche se fosse, a te cosa importerebbe? –

Dopo un attimo di silenzio, in cui i due si guardarono negli occhi, Louis disse – Vorrei capire perché il mio amico è impazzito. –

Niall sgranò gli occhi, stupito. – Vuoi dire che… -

- Proprio così, detective – rispose Louis – Thomas Bailey è un mio carissimo amico, oltre che di Harry. Si potrebbe dire che è stato lui a farci incontrare, anche se io avevo in progetto di portarmi lui, a letto, e non quella checca isterica di Harry… E ora voglio capire perché è impazzito. –

- Ehi ehi ehi, frena amico, frena. Mi stai forse rendendo una dichiarazione che a te non piace il tuo ragazzo? –

- A te è piaciuto? – gli rigirò la domanda Louis.

- Che cosa vuol dire? Beh francamente non è il mio tipo, ma da qui a dire che… -

- A me non piace proprio. – disse Louis – E se mi aiuti a capire cos’è successo al mio amico, forse la smetterò di tormentarmi. –

Niall guardò intensamente Louis per due minuti buoni. Poi alzò gli occhi al cielo e sospirò – D’accordo – disse – ma mi riservo tutto il diritto di mollare l’indagine quando voglio. Non sono un detective, né tantomeno un poliziotto. Per cui, se l’affare diventa troppo pericoloso, io mi ritiro. Okay? –

Annuendo, Louis confermò la decisione. – Affermativo – disse, con un mezzo sorriso.

- Bene. Adesso direi che… -

Le sue parole furono interrotte quando vide cosa stava succedendo fuori. Poco distante dalla caffetteria del campus, c’era una libreria. Dalle porte a doppio battente era fuoriuscito un uomo che impugnava un piccone insanguinato. Correva, e avanzava ammazzando chiunque gli si parasse davanti. Vibrò un fendente e ficcò il piccone nel cranio a una ragazza, quindi continuò ad avanzare, diretto verso la caffetteria. Attonito e spaventato, Niall guardò l’uomo correre verso la porta d’entrata, sfondarne le vetrate ed entrare. La sua entrata provocò il panico di alcune persone. Un ragazzo era rimasto seduto ad ascoltare la musica con le cuffie dal suo Ipad. Il ragazzo si voltò, vide un uomo alto, vestito con l’impermeabile che portava una camicia insanguinata e tentò di scappare, ma a nulla gli valse il tentativo. L’uomo alzò in aria il piccone, quindi vibrò un altro colpo che ferì violentemente il ragazzo al torace.

- Aaaargh! – strillò questi, mentre l’uomo si preparava a colpirlo un’altra volta.

- Il padrone ci ordina di farlo!!! – urlò quello, mentre calava il colpo mortale, sfondando il cranio del povero ragazzo.

Niall indietreggiò, con Louis accanto. Il biondo sembrava spaventato, ma faceva di tutto per mantenere il sangue freddo. Le mani chiuse a pugno, tentò un gesto disperato. Si mise a correre verso l’uomo per tentare di disarmarlo.

- Louis! No!!!! – urlò Niall, bianco per il terrore.

- Graaaur! – ringhiò l’assassino, vibrando un colpo che ferì Louis di striscio, mandandolo ad inciampare contro un tavolino. Ora l’uomo si diresse verso Niall, impugnando saldamente il piccone. Solo che nei suoi confronti lo tenne basso, avvicinandosi a lui stringendo in mano una busta di carta, simile a quelle che si usano per l’invio dei manoscritti alle case editrici.

- Questo – disse a Niall – Questo è tuo. –

Niall era atterrito, non aveva nemmeno le forze di prendere in mano qualcosa da quel pazzo.

L’uomo lasciò cadere la busta sul pavimento, ma visto che Niall se ne stava lì fermo, alzò di nuovo il piccone. Niall cercò di divincolarsi, mentre il piccone calava su di lui, distruggendo però un tavolino.

- Fermo! Polizia! – gridò un agente entrato nella caffetteria, con la pistola spianata. A quel richiamo, l’uomo non si girò, continuando a tenere gli occhi fissi su Niall.

- Tu… - disse l’uomo – Tu sei il prescelto – gli disse. Niall era sconvolto, non sapeva cosa pensare.

- Getta il piccone! – ripeté l’agente.

E fu un attimo. L’uomo si girò e corse verso l’agente, che senza pensarci due volte premette il grilletto della revolver e fece fuoco. Una, due, tre, quattro, cinque volte. L’uomo in impermeabile barcollò, prima di lasciare il piccone e cadere a terra di schiena.

Dalla sua posizione sotto il tavolo, Niall scorse la busta che aveva lasciato il pazzo assassino, e velocemente la prese, nascondendola nella sacca.

- Mio dio – disse il barista della caffetteria – Chi cazzo era quello? –

- Non lo so… - mormorò Niall – Io… prescelto…? -  

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


6.

 

 

Sigla di testa. Immagini in sequenza del sommario.

Cominciava il telegiornale.

- Buonasera a tutti, qui è Allie Donovan che vi parla in diretta da New York. Poche ore fa, presso l’università locale, Samuel Bean, docente di filologia antica, ha compiuto una strage in una libreria.

- Poco dopo le tre del pomeriggio, l’uomo è entrato nella libreria con una grossa custodia simile a quelle che si usano per trasportare le chitarre. Un commesso l’ha notato dirigersi verso il settore Horror-Fantasy. Come testimoniano le telecamere di sorveglianza installate nel punto vendita, l’uomo è rimasto fisso a guardare gli scaffali, vaneggiando parole incomprensibili, poi ha tirato fuori dalla custodia un grosso piccone ed ha iniziato la sua strage. La prima vittima è stata un commesso del negozio, poi l’uomo ha puntato una ragazzina che stava entrando nella libreria nonostante il fuggi-fuggi generale, e quando l’uomo è uscito ha mietuto altre vittime. La polizia, accorsa immediatamente sul posto, ha poi posto fine alla pazzia dell’uomo, sparandogli cinque colpi. Sembrava non volesse morire, ha dichiarato l’agente-eroe che ha fermato l’uomo, uccidendolo. Ulteriori dettagli nell’edizione delle otto. –

 

*****

 

Poco prima di lasciare Louis di fronte a casa sua, Niall lo guardò attentamente.

- Mi spieghi perché hai cercato di fare l’eroe? Cosa pensavi di fare, di disarmarlo da solo? –

Louis bofonchiò una risposta a metà tra il boh-non-lo-so, mi-è-venuto-d’impulso, alla quale Niall rispose scuotendo la testa.

- Ci mancava anche il pazzo furioso che mentre fa una strage, cerca di uccidermi… -

- Mentre ero giù ho sentito che parlava di un Prescelto. – disse Louis, sedendosi sui gradini di casa sua – Hai idea di che cosa volesse dire? –

Niall scosse la testa e si portò una mano nei capelli, ravviandoli un po’. Quella nuvola di capelli biondi attirò particolarmente Louis, che avvertì una certa sensazione mentre lo guardava. Arrossì, cercando di dissimulare quella sensazione con un colpo di tosse.

- Non so che cosa diavolo volesse dire – rispose Niall, guardando l’orizzonte di fronte a sé. Il sole era ormai al tramonto, e l’atmosfera autunnale era davvero suggestiva. Per un momento piccolissimo Niall dimenticò il brutto episodio accadutogli, per concedersi una piccola pausa. Si sedette sui gradini accanto a Louis.

- Sicuramente si trattava solo di un delirio mistico – azzardò Louis, mentre Niall frugava nella sua sacca, finché non ne estrasse la busta che il pazzo gli aveva donato. – Quella che cos’è? – domandò Louis.

- Non lo so – rispose Niall – me l’ha data l’uomo, prima di cercare di farmi fuori. –

Niall guardò attentamente quella busta. Era fatta di carta marrone e abbastanza ruvida al tatto. La aprì, facendo bene attenzione a non strapparne il contenuto interno.

Come se stesse assistendo all’estrazione di un prezioso reperto archeologico, Louis osservò Niall aprire la busta, incuriosito. Una volta che la busta fu aperta, Niall ne estrasse due fogli.

Il primo era una specie di strano disegno. Una specie di “pezzo” frastagliato con un puntino al centro… sotto di esso, una didascalia diceva Dove tutto incomincerà.

- Dove tutto incomincerà…? Ma che cosa…? –

- Non lo so, Louis. Non chiedermi nulla, ne so meno di te. –

Il secondo foglio era un dattiloscritto. Niall lo guardò attentamente, quindi lo lesse.

- …un grido gli morì in gola quando vide le creature emergere dal buio. “Non è possibile” mormorò Brandon, mentre Warlock lo osservava. “Questo non è che l’inizio” disse questi, ridendo sguaiatamente. –

Solo queste tre righe. Non c’era scritto più nulla.

- Che cos’è? –

- Sembrerebbe… un estratto di un libro di Jackson. Brandon è il protagonista, un ragazzo che s’imbatte in uno scontro tra demoni, e che compare in tutti i libri della saga. Warlock invece è il cattivo, il signore delle tenebre… Ma questo passo non l’ho mai letto. Eppure… -

- Eppure…? –

Questo non è che l’inizio.

Le sue elucubrazioni mentali furono interrotte dall’improvvisa comparsa di una sua nuova conoscenza.

- Niall! Ma ciao! Come stai? Sei venuto a trovare il mio ragazzo? –

La voce sciantosa di Harry colse di sorpresa entrambi, che, nonostante non stessero facendo nulla di male, si sentirono immediatamente imbarazzati di essere lì insieme, uno accanto all’altro.

- Ehm… c…ciao Harry. Effettivamente… io mi ero seduto qui e il tuo ragazzo mi ha raggiunto. Ehe. Che combinazione! –

Harry sollevò un sopracciglio perplesso. - E’ vero, amore? –

- Già, proprio così. – disse Louis, alzandosi. – Beh, che fai, vieni in casa con me? – propose a Harry.

- Oh sì! Ero venuto a passare la serata con te – Fece uno sguardo da cucciolo bisognoso – Non voglio restare da solo, è successa una cosa terribile. –

- Che cos’è successo? – domandarono Niall e Louis, quasi all’unisono.

- Oh, mio diiiiiiio! – esordì Harry con il suo classico incipit di conversazione di tre ottave più alte rispetto ad una voce maschile – Sembra che il professor Bean abbia voluto picconare un po’ i suoi studenti. Ma in senso letterale! –

- Che cos’ha fatto? –

- Una cosa terribile, amore! Ha preso un piccone e ha iniziato a fare strage di innocenti. L’ho appena sentito da Myra, la nostra amica. Ti ricordi Myra, tesoro? Quella che era fidanzata con Marcus, che poi lui l’ha lasciata perché aveva trovato un’altra, e… -

Questa volta, Louis non fermò Harry dalla sua divagazione, preferendo guardare negli occhi Niall, che stava scuotendo la testa in segno di comprensione.

- Sarà meglio che vada, prima che mia madre mi dia per disperso – dichiarò dunque il biondino.

Harry si fermò, e salutò amichevolmente Niall – Ciao ciao Niall! Fatti sentire su Facebook, mi raccomando! – disse, senza fare alcun accenno all’articolo che avrebbe dovuto leggere. Sicuramente se l’era già dimenticato, frivolo com’era.

- Senz’altro. Louis – disse, tendendo la mano al ragazzo – Ci vediamo. –

Louis guardò per un secondo la mano di Niall, poi lo guardò negli occhi. Niall gli fece un occhiolino d’intesa, quindi Louis fece un mezzo sorriso e gli diede un leggero cinque.

- Ci vediamo – gli disse infine.

Così, Niall si allontanò verso casa, lasciando i due piccioncini alla loro serata. Nel frattempo, nella sua testa, l’interrogativo di quella strana frase rimaneva.

Questo non è che l’inizio.

- L’inizio… L’inizio di cosa? -

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


7.

 

 

La via del ritorno a casa era diventata buia. L’autunno portava con sé il pregio di far accorciare di parecchio le giornate, pregio che a Niall piaceva poco, per non dire che lo odiava. Casa sua era a due passi, ma fece volontariamente un giro più lungo per schiarirsi le idee.

Anche di sera, New York era affollata di gente che passeggiava avanti e indietro. Specialmente il centro, teatro di parecchi negozi aperti, alcuni dei quali anche 24 ore su 24, ospitava un viavai di gente che se ne fregava del buio e si godeva una serata in anticipo. Passeggiando, Niall osservava le facce che gli passavano davanti, pensando e ripensando a Tom Bailey, rinchiuso in un ospedale psichiatrico per aver fatto fuori sua madre, e a quell’uomo (Professor Bean? Sì, così aveva detto Harry) che poche ore prima aveva dato di matto, spaccando il cranio a più di un povero cristo che si era trovato sulla sua strada. Osservando quelle facce anonime che transitavano sul marciapiede, che chiacchieravano nei ristoranti, che guidavano le auto, Niall si chiese E se succederà ancora?

Be’. Certo che come domanda era un po’ azzardata. Lui non era nessuno per dire che sarebbe potuto succedere ancora, né tantomeno era sicuro che qualcuno l’avrebbe ascoltato. E poi sulla base di cosa?

Ammetterai anche tu che non è normale. Due individui così diversi, per età e posizione sociale, che tutto d’un tratto impazziscono dopo aver letto un libro (almeno riferendoci al buon Tommy) che causa loro allucinazioni notturne (sempre riferendoci a Tommy) e per liberarsene fanno fuori le prime persone che capitano loro a tiro. Anche volendo, quale sarebbe il movente?

Continuò a pensare e fare congetture su tutto ciò che aveva visto, senza accorgersi di essere arrivato nei pressi della Pendragon Press. Guardò all’interno del punto vendita. Nonostante fossero appena le sette di sera, c’era poca gente.

- Toh – disse Niall tra sé e sé – guarda un po’ dove ci hanno portato i piedi. Chissà se il buon Johnny è ancora dentro a fare gli straordinari. –

*****

Seduto al suo posto nella guardiola antistante la libreria, c’era Ben. Fischiettava e canticchiava una canzone di Kid Rock, All summer long, e armeggiava con qualcosa che Niall non riuscì a vedere bene, troppo nascosto dal banco alto della reception.

- Salute, Ben – lo salutò Niall.

Il vecchio smise di colpo di fischiettare e alzò lentamente gli occhi. Sotto la visiera del cappello, i suoi occhi scuri incontrarono quelli chiari di Niall.

- Perché? Non ho mica starnutito. – rispose cinico Ben.

- Ah ah ah – rise Niall – Come vanno le cose qui in trincea, Ben? –

Ben scosse la testa, sospirando – Vanno male, figliolo. Vanno male. – annunciò grave – la vedi questa? – posò una specie di lungo spazzolino e rivelò una revolver calibro .44 magnum smontata, che stava pulendo. Ben sgranò gli occhi stupito.

- Cosa ci vuoi fare con quella? Fare fuori chi ha votato Obama alle ultime elezioni? – domandò scherzosamente Niall.

- Molto divertente, moccioso – lo apostrofò Ben – Ma ti giuro che se il prossimo che perde la bussola del cocomero in questa libreria voterà Obama, allora sarà una pallottola ben spesa, parola di Ben occhio di volpe Ridgewick. – disse, ghignando sardonicamente e riprendendo a pulire l’arma.

- Hai saputo di quel tizio che ha fatto una strage alla libreria dell’università, vero? –

- Precisamente. Qui io devo custodire una fottuta libreria e una fottutissima casa editrice, e quando non ci sarò più, non voglio che la gente passando davanti alla mia tomba, mi sputi addosso. Indi per cui, mi premunisco contro pazzi e maniaci che eleggono questa ridente valle di lacrime come luogo dove far partire completamente le loro rotelle fuori posto. – rispose con la solita arroganza che lo contraddistingueva. Niall fece un mezzo sorriso.

- Capisco. Johnny è ancora dentro? –

- Non l’ho visto uscire. Quel giapponese del cazzo sarà lì che escogita nuovi modi di andare in culo all’America. Forse lo trovi ancora nel suo ufficio. – rispose Ben, senza smettere di pulire la sua pistola.

- D’accordo. Io vado. Riguardati, Ben. –

- Hasta la vista, baby – rispose il custode, alzando il tamburo della pistola contro la lampada e soffiandovi dentro – Cristo, quant’era sporco questo. –

*****

- Il vecchio è andato fuori di senno – disse Johnny, mentre metteva in ordine alcuni raccoglitori verdi che recavano l’etichetta ordini fornitori – va bene che siamo negli Stati Uniti e ognuno può avere un’arma, ma se vuoi il mio parere, non mi sento tranquillo. Prima avevamo un custode razzista, sciovinista e mentecatto, adesso quello stesso custode è razzista, sciovinista, mentecatto e anche armato – si sedette pesantemente sulla sua poltrona, sospirando ampiamente – dimmi un po’ tu. –

- Effettivamente non hai tutti i torti – convenne Niall – Ben sembra un po’ più avvelenato del solito, ma bisogna capirlo … non è una cosa di poco conto dover badare ad una libreria e ad una casa editrice tutto in una volta. Me ne ha parlato proprio ora. –

- Ha! – esclamò Johnny, alzando il pollice e indicando con esso dietro di sé, Johnny rispose – Dico, sai cosa gli ha offerto la casa editrice per andarsene in pensione? Prova un po’ a dire? –

- Non lo so. Quanto? –

- Gli hanno offerto la bellezza di cento ottantamila dollari. Ci ha sputato sopra, dicendo che lui ama il suo lavoro e non vuole andarsene prima di pensionarsi effettivamente. Quindi le sue lamentele sulla sorveglianza può tranquillamente tenerle per sé. –

Niall ridacchiò – buon vecchio Ben. L’America sarebbe persa, senza di lui. –

- Già, rimarrà sempre nelle nostre barzellette. A proposito, hai sentito di quel tizio che ha fatto una strage alla libreria dell’università? –

Niall sospirò – Sentito… e anche visto. Ero lì quando quel tizio ha dato di matto, e per poco non faceva fuori me e un mio amico. – Amico? Da quando in qua Louis era diventato suo amico?

Johnny sgranò i suoi occhi a mandorla, sorpreso – No! Sul serio? Oh, cazzo. –

- Sì . – confermò Niall - Dico sul serio. –

- Racconta un po’? –

Velocemente, Niall gli raccontò tutto nei dettagli, da come si fosse accorto dell’uomo che usciva dalla libreria a come avesse fatto irruzione nella caffetteria e di come per poco non gli avesse sfondato il cranio con il piccone. Johnny ascoltò tutto nei dettagli, annuendo e tenendo una mano sulla bocca, spaventato. Niall immaginò che stesse proiettando tutto l’accaduto nella sua libreria, preoccupandosene di conseguenza.

- E questo è tutto. – dichiarò Niall alla fine. Johnny era sconvolto.

- Cristo – mormorò – Pensa un po’. Sembra un’epidemia. La gente normale che impazzisce. Ah.. e.. hai sentito? Sembra che vogliano interrogare Jackson. –

Niall fece una smorfia d’incredulità – Cosa..? ma.. perché? –

Johnny rispose con un’alzata di spalle – Boh, e chi lo sa. So soltanto che Jackson è scomparso. Non è più reperibile. –

- Cooosa? Davvero? –

- Certo. Stamani ho parlato con Wendy Silvers, dell’amministrazione. Era scesa per controllare alcuni ordini che non le tornavano, raccolti in quegli scaffali verdi – indicò gli scaffali con un cenno della mano – Allora ho approfittato per chiederle un po’ di Jackson.. -

- E..? –

- Ha risposto che Il signor Jackson ha detto di dover tornare a casa, ma non ha lasciato recapiti, e noi non sappiamo davvero dove possa essere andato. Suppongo che però si riferisse a Rirmor Sadkners, il paese da dove di solito ci invia la corrispondenza.

-Rirmor.. Sadkners? – Niall scosse la testa, anche se il nome non gli era del tutto estraneo. Solo non ricordava dove l’aveva sentito prima. Nel sentirlo, un debole bagliore di luce aveva illuminato la sua memoria, ma era troppo fioco perché potesse fare luce sui suoi ricordi.

– Hai da scrivere? – domandò Niall.

- Certo, tieni – Johnny gli porse una matita Berol Black Beauty ed un taccuino, dove Niall segnò il nome del posto. Staccò il foglio e se lo mise in tasca.

- Perché hai preso nota del posto, scusa? –

- Oh.. niente. Vorrei solo verificare una cosa, tutto qui. – buttò lì Niall, vago – A proposito, si sa nulla del romanzo che doveva scrivere? –

- Ah, per ora è tutto fermo. Cosa credi, che si metta a scrivere anche quando ha alle costole la polizia che vuole interrogarlo? Non ne ho saputo più nulla, se vuoi saperlo. –

- Hmh. Senti ma.. c’è qualcuno che legge i romanzi di Jackson prima che vengano pubblicati? –

- Che domanda. Certo che sì. Ci saranno almeno tre persone che leggono i suoi romanzi, tra cui la sua editor, il suo correttore di bozze, e Dhalia Claiborne, la segretaria del Gran Capo Harry baciami-il-culo Wesley. –

Harry Wesley era l’amministratore delegato della Pendragon Press. Nel suo ruolo dominante, considerava Jackson come la sua gallina dalle uova d’oro, e si riservava di leggere i suoi romanzi prima della pubblicazione, dopo che fossero stati passati al vaglio da editor e correttore di bozze. Johnny non lo sopportava, quel pallone gonfiato. Ogni volta che veniva a fare visita alla libreria aveva sempre qualcosa da ridire. Una volta erano gli scaffali troppo nascosti, un’altra i libri che non erano abbastanza bene ordinati, e via dicendo. E ogni volta Johnny doveva abbassare il capo e dire Certo, signor Wesley, sarà fatto, signor Wesley, senz’altro, signor Wesley, se gli era caro il suo posto di responsabile del punto vendita. Ecco, forse sarebbe stato contento se un altro cliente fosse impazzito mentre c’era lui in visita. Si sarebbe goduto la scena di quel rompicoglioni di Wesley che veniva ammazzato con particolare gusto.

- Capisco – disse Niall, annuendo. Gli occhi gli caddero sul suo orologio da polso – Cazzo, si è fatto tardi. Sarà meglio che vada, o mia madre chiamerà la polizia. –

- D’accordo. Io resto ancora un po’ qui, ho del lavoro da finire. –

- Come vuoi. Ciao Johnny, grazie della bella chiacchierata. –

- Ciao Niall, torna a trovarmi presto! – lo salutò, e Niall uscì velocemente dalla porta. Rimasto solo, Johnny rimase a fissare un punto indefinito della stanza. Chissà che cos’ha in mente, quello, pensò, prima di rimettersi al lavoro.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


8.

 

 

Per raggiungere casa sua in periferia, Niall avrebbe dovuto prendere un autobus. Man mano che ci si allontanava dal centro, il volume di gente diminuiva ad ogni isolato. E un’altra particolarità di New York era che contestualmente alla diminuzione dei passanti, diminuiva anche la qualità dei negozi e delle case. Infatti, tanto chic e luminosi erano i negozi del centro, tanto erano più squallidi e tetri i negozi della periferia. Mentre camminava, Niall si sentiva leggermente intorpidito, come quando ci si sveglia la mattina e non si sono recuperate bene le forze. Avrebbe voluto tornarsene a casa e mettersi direttamente a letto, ma prima avrebbe dovuto farsi il tratto in autobus.

Che palle, essere senza macchina. Se avessi un padre meno spilorcio, sarebbe meglio…

Nonostante fare chilometri a piedi fosse salutare, non avere un veicolo era un discreto problema. Specialmente quando accadeva che l’autobus era già arrivato alla fermata e stava per partire.

- Oh cazzo! – esclamò Niall, vedendo l’autobus che accostava al segnale della fermata, con la freccia lampeggiante. Dall’autobus scesero un po’ di persone, specialmente afroamericani e asiatici che vivevano nella bassa periferia. Niall accelerò il passo, ma fu quando vide che l’autobus aveva azionato la freccia a sinistra che si mise a correre a perdifiato.

- Ehi aspetti! – urlò, ma l’autista, una mano sul volante e l’altra sulla leva del cambio, si calò il berretto sugli occhi per non vedere. Mi dispiace signore, ho una tabella di marcia da rispettare, gli avrebbe detto se Niall avesse avuto il dono di leggere nel pensiero. Niall cerc. Di correre più forte, ma non ci fu nulla da fare. L’autobus partì senza di lui, sfrecciandogli incontro e girando poi a sinistra.

- Fanculo!!! – urlò Niall, disperato. Era l’ultimo autobus, quindi lo aspettava una bella passeggiata.

 

*****

 

Faceva fresco, per essere solo Ottobre. Niall era vestito con solo una maglietta a maniche corte e non aveva nulla addosso oltre alla sua sacca. Cazzo, che freddo, pensò, stringendosi nelle spalle con le mani calate nelle tasche per cercare di combattere quella sensazione. Il torpore di poco prima era addirittura aumentato, ora non si sentiva più solo mezzo rimbecillito: si sentiva completamente fuori di sé.

Forse mi sono ammalato. Si toccò la fronte, ma era fredda. Quindi l’ipotesi influenzale era da escludere. Accelerò il passo, per arrivare a casa prima che poteva.

Pochissime volte nella sua vita aveva perso l’autobus, e quelle pochissime volte non era mai stato solo. L’ultima volta era stato quando aveva appena sei anni, insieme a sua madre. Per una visita protrattasi fino a tardi all’ospedale conclusasi con una bella lavanda gastrica (il piccolo Niall aveva ingerito del gasolio per motoseghe scambiandolo per coca-cola), lui e sua madre avevano perso l’ultimo autobus per tornare a casa, e non potendo permettersi di chiamare un taxi, si erano disposti a tornarsene a piedi.

Il motivo per cui cercava di stare sempre attento agli orari era molto semplice: per strada giravano certe facce poco raccomandabili… da allora non era cambiato nulla: loschi figuri che si acquattavano nell’ombra per consumare droga, puttane e magnaccia che si assembravano attorno ai bidoni dati alle fiamme per scaldarsi, senza contare i chicanos che ti avvicinavano con un coltello chiedendoti se avevi qualche dollaro da prestare loro.

Sperò che nessuno avesse a rompergli le scatole, almeno per quella sera. Aveva provato già abbastanza emozioni.

Solo che il giorno non era ancora finito.

- Ehi amico – una voce dietro di sé lo fece trasalire. Si voltò, senza smettere di camminare, ma non vide nessuno.

- Ehi amico – disse di nuovo la stessa voce. Questa volta Niall vide di chi si trattava. Era un ragazzo di etnia messicana dalla faccia butterata e sfatta. Gli si parò davanti fermandolo con le mani, e al tentativo di Niall di scappare, questi lo fermò bruscamente.

- Non avresti qualche dollaro per me? –

- N.. No, sono uscito senza portafoglio – rispose Niall

A quella risposta, il ragazzo cambiò espressione. Niall lo guardò, e ciò che vide non gli piacque per niente.

Gli occhi del ragazzo si erano chiusi fino a diventare due fessure scintillanti di fuoco, e il viso si era contratto in sé, come se il ragazzo avesse preso un pugno in pieno naso e la faccia gli fosse rientrata nella testa. La bocca assunse un’espressione feroce, e i denti gli si erano aguzzati.

- Non sta bene rifiutare un po’ di denaro a chi te lo chiede – sibilò il ragazzo,

Il mostro

Il demone

mostrando i denti affilati. Niall indietreggiò senza smettere di guardarlo, e quello rimase immobile al suo posto, sogghignando maleficamente.

Indietreggiando, Niall urtò contro qualcun altro. Si voltò. Innanzi a lui c’era un altro ragazzo. Questo aveva i capelli riccioli e sconvolti, vestiva un completo da pallacanestro. Anch’egli aveva lo sguardo indemoniato e gli stessi denti di quell’altro.

- Che c’è, moccioso – domandò questo – ti sei perso? Ahahahah! – la sua voce era stridula e soffocata, come la sua risata.

- N.. no… No…. Noooo!!! –

Niall raccolse le sue forze e corse via da quei due mostri, che ridevano sguaiatamente. Nel correre, inciampò sul marciapiede, finendo in strada, contro un taxi che dovette inchiodare per non investirlo. La luce dei fari abbagliò gli occhi di Niall, che cercò di proteggersi con le mani, mentre il tassista abbassava il finestrino e agitava il pugno contro di lui.

- Pezzo d’idiota! Che cazzo credi di fare? –

- Mi scusi… - mormorò Niall – Sono.. inciampato. –

Nonostante la luce fosse molto forte, riuscì a vedere che anche il tassista aveva un aspetto da demone. Le mani sul volante erano diventate artigli insanguinati, e i suoi occhi sembravano quasi non esserci, tanto erano neri.

Niall si allontanò dal veicolo, sempre tenendo gli occhi fissi sull’uomo, che intanto stava scendendo dalla vettura e protendendo le mani verso di lui.

- Non… non toccarmi. … via. via!!!! – urlò, ma il tassista continuava ad avanzare.

Niall si girò, e mentre lo faceva, qualcuno gli toccò un braccio. Urlò.

- Ehi ragazzo – era un agente di polizia biondo – Tutto a posto? Perché urli? –

- Agente – Niall era frastornato, respirava a fatica, il ritmo del suo cuore era accelerato – Ci sono dei demoni qui in città! –

- Demoni? Che sciocchezze stai dicendo? Hai visto troppi film dell’orrore, forse? –

- E’ la verità! Li ho visti! Guardi lei! –

L’agente si guardò intorno, ma non vide null’altro che il solito teatrino di puttane, papponi, chicanos e asiatici.

- Molto divertente, ragazzo – rispose l’uomo in divisa – Adesso però vattene a casa, prima che ti sbatta dentro. –

- Vi giuro che… -

L’agente lo guardò con malocchio, quindi Niall decise di non aggiungere nient’altro. Quando si fu allontanato di qualche metro dall’agente, si voltò. Quello era ancora lì che lo fissava, non si era mosso di un millimetro da che si era allontanato. Per guardare meglio, Niall socchiuse gli occhi. La faccia dell’agente si era deformata, le sue dita erano diventate artigli e lo guardava sogghignando.

- Questo non è che l’inizio – disse l’agente, ridendo sguaiatamente.

Niall si voltò di scatto e fuggì.  

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.

 

 

 A dispetto di quanto lui dicesse e facesse, il lavoro di Ben Ridgewick era alquanto noioso. Nel 1976, quando lui era un trentaseienne in cerca di lavoro dopo aver servito la Patria nella Guerra del Vietnam, aveva dovuto scontrarsi con la triste e dura realtà di quegli anni di contestazione. Il boom economico che aveva investito l’America sembrava esser diventato talmente vecchio e opprimente da fare schifo alle nuove generazioni, che, mosse da chissà quali istinti pacifisti, andavano in giro per strada a cantare di amore libero e pace nel mondo, vestendosi come degli idioti e difendendo strenuamente i loro ideali, anche a costo di venire presi a botte dalle forze di polizia. In quegli anni, Ben Ridgewick andava in giro con i suoi abiti più preziosi, ovvero una camicia verde da soldato, un paio di pantaloni dello stesso colore e la medaglietta con scritto il suo nome e la sua data di nascita. Quando usciva di casa per trovarsi un lavoro, i figli dei fiori (così si facevano chiamare) lo sbeffeggiavano, lo insultavano, lo chiamavano assassino di donne e bambini, gli facevano credere che avesse combattuto per degli ideali fatui, che in realtà la patria se ne sbatteva altamente le palle di lui adesso che la guerra era finita, e gli auguravano di morire schiacciato come uno scarafaggio.

- Se avessi ancora un plotone di soldati ed il mio fucile a disposizione – diceva Ben – Vi caricherei e vi ammazzerei tutti quanti siete, brutti ingrati pezzi di merda! –

Se poi trovava qualcuno disposto ad offrirgli un lavoro, questo ritirava immediatamente l’offerta quando sentiva che l’uomo era stato impiegato nelle forze armate per muovere guerra al Vietnam.

Così, il povero ex-sergente Benjamin John Ridgewick era costretto a fare i conti con la schifosa realtà di non riuscire a reinserirsi nella società civile, finché…

…finché un giorno, non arrivò l’illuminazione.

Una telefonata.

Al Stiller, un suo vecchio ufficiale, gli aveva trovato un aggancio per lavorare come custode di una casa editrice appena nata, la Pendragon Press, di proprietà di un suo amico, il signor Harry Wesley Senior (padre dell’attuale proprietario Harry Wesley), che, in virtù della vecchia amicizia che lo legava a Stiller, dopo dieci minuti di colloquio assunse Ben nel ruolo in cui si trova ora, come custode della Casa Editrice e Libreria.

E così, era dal 1976 che non succedeva nulla di interessante, fino a quei giorni in cui i clienti entravano nelle porte a doppio battente delle librerie e facevano fuori un paio di clienti ed impiegati. E Ben era preparato all’evenienza.

Purtroppo quel giorno non doveva essere il suo giorno fortunato, quando il telefono del suo posto alla reception squillò.

Al primo squillo ben lasciò il suo giornale sulla sua scrivania e sollevò il ricevitore, portandoselo all’orecchio.

- Ben Ridgewick, chi parla? –

Bastarono poche parole per far saltare Ben sulla sedia, fargli aprire il cassetto dove teneva la sua .44 magnum e fargli dire – Arrivo subito! Voi chiamate la polizia! –

Impugnò la sua pistola e corse verso gli ascensori.

 

*****

 

 

Come tutte le mattine, ai piani alti della Pendragon Press c’era la solita tranquillità ovattata, fatta di pettegolezzi sulla segretaria del grande capo e su come le altre impiegate avevano passato la serata, inventando le migliori scuse per non dire che erano rimaste a casa a guardare l’ultima telenovela anziché uscire con qualcuno, inventando vite sociali meglio degli scrittori che pubblicavano libri presso la casa editrice. Una di queste, Goldie Jenkins, era in ottimi rapporti con la direzione, in special modo con la segretaria delle segretarie, la prima donna di tutta la Pendragon Press: Dhalia Claiborne.

Quella mattina Goldie Jenkins era andata alla porta dell’ufficio della Claiborne con l’idea di proporle un caffè fatto da lei con una nuova miscela italiana arrivata direttamente da Napoli. Roba d’importazione, le avrebbe detto, quindi molto pregiata. Arrivata alla porta, fu come se avesse suonato un campanello. La Claiborne uscì dal suo ufficio guardando dritta di fronte a sé, ma senza apparentemente accorgersi di Goldie. Goldie la guardò sollevando un sopracciglio. C’era qualcosa di strano nella donna, che non le piaceva per niente. Certo, di solito era abbastanza fredda e malvagia con la maggior parte delle ragazze, ma solo perché erano giovani e belle, mentre con le sue coetanee, Dhalia riusciva a tenere un comportamento anche civile. Con Goldie Jenkins era addirittura più gentile, visto che la donna era la sua fonte inesauribile d’informazioni sulle voci che correvano dietro la sua schiena: in poche parole, era la sua spia personale. Questo fruttava a Goldie dei benefit fuori busta e l’odio delle colleghe più giovani. Nonostante di solito si comportasse diversamente con Goldie, quella mattina Dhalia era diversa.

Goldie la osservò meglio, e vide che in mano stringeva qualcosa di metallico. Un tagliacarte.

- Dhalia, buongiorno! – la salutò con entusiasmo Goldie – Come va’? –

La donna non gli rispose immediatamente, quindi girò lo sguardo verso di lei. Sembrava catatonica.

- Goldie… - farfugliò – Stanno arrivando… -

- Chi, Dhalia? – Goldie le andò vicino e le toccò la spalla.

La bocca di Dhalia si contrasse lentamente in un sorriso, che assunse le fattezze di un vero e proprio ghigno satanico, quando la donna sollevò il tagliacarte che teneva nella mano destra e lo calò come un pugnale sul collo di Goldie.

Spaventata, Goldie si ritirò bruscamente, quasi cadendo all’indietro. Una delle ragazze sollevò gli occhi mentre stava battendo una lettera al computer, vide la Jenkins scartare una coltellata da parte della Claiborne e si alzò in piedi. Attonita, continuò a seguire ciò che successe dopo, incerta se urlare oppure stare zitta.

- Dhalia! Che cosa ti prende, in nome di Dio?!? Fermati! Fermati!!! –

Ma la Claiborne non si fermò. Buttò via il tagliacarte e ruppe con i gomiti una postazione antincendio, estraendone un’ascia d’emergenza.

Con la nuova arma tra le mani, prese bene la mira e centrò in pieno il cranio della Jenkins, spaccandoglielo a metà. A quel punto, una ragazza si mise a urlare.

- Ahhhhh!!! –

- Aiuto!!! – urlò un’altra, correndo nel labirinto delle scrivanie. La Claiborne la intercettò e vibrò un colpo che le fece partire la mano destra tra schizzi di sangue.

- Aaaaaarrrrrghhhhhhhhhhh!!! – strillò la ragazza, cadendo in ginocchio con il moncherino insanguinato. Dietro di lei Dhalia calò un altro colpo all’altezza della spalla, spaccandole la clavicola sinistra.

Un ragazzo giovane, appena assunto nell’azienda, sopraggiunse alle spalle della donna, cercò di disarmarla, ma fallì miseramente: quando la Claiborne si accorse di lui, menò un colpo d’ascia all’altezza del braccio sinistro, spaccandoglielo. Il giovane cadde a terra, e lei alzò l’ascia all’altezza del suo inguine.

- N… no… no… Noooooooooooooo!! – urlò il giovane, ma invano. La lama dell’ascia calò miseramente sul suo inguine. Il giovane fece un Oooh di sorpresa, gettò un fiotto di sangue dalla bocca e rimase lì sulla moquette, agonizzante.

Mentre stava per dargli il colpo di grazia, dal corridoio adiacente sopraggiunse Harry Wesley, che vedendo la sua segretaria sporca di sangue brandire un’ascia, sgranò gli occhi preoccupato.

- Dhalia! Cosa cazzo sta succedendo qui??? –

- Nulla – rispose la donna, sollevando l’arma – Succede solo che Jackson sta per arrivare, e lei sta per morire, Presidente. –

- Che cos….? –

Harry Wesley non ebbe il tempo di pronunciare le ultime parole, che l’estremità appuntita dell’ascia gli sfondò il cranio quando la Claiborne gliela calò pesantemente sulla testa. Quando l’ascia penetrò nel suo cranio, schizzò un fiotto di sangue sui quadri, delle gigantografie di copertine di libri di successo venduti dalla Pendragon agli inizi della carriera. Rimasta sola, la Claiborne avanzò diretta verso gli ascensori.

Quando le porte si aprirono, si ritrovò davanti Ben Ridgewick che brandiva una pistola. Uscito dall’ascensore, l’uomo si guardò intorno, e vide i cadaveri delle persone che la Claiborne aveva trucidato.

- Ferma, Claiborne! Butta l’ascia! – le ordinò.

La Claiborne buttò la testa all’indietro e si mise a ridere. La sua faccia era una maschera di schizzi di sangue.

- Mi hai sentito? Butta quella cazzo di ascia! – ordinò nuovamente Ridgewick, avanzando verso di lei con la pistola spianata, nell’intenzione di non spararle finché non l’avesse aggredito direttamente. Sicuramente alla polizia l’avrebbero voluta viva, e se lui le sparava in quel momento, rischiava una denuncia per omicidio volontario. Doveva aspettare che la donna reagisse.

- Ti consiglio di non farmi incazzare, donna. Ne ho messe a posto di più stronze di te. Quindi vedi di ascoltarmi e facciamola finita! –

- Tu, omuncolo patetico e senza speranza – disse Dhalia Claiborne, con una voce che non sembrava nemmeno la sua – Tu non puoi fermare l’avanzata delle tenebre. Fatti da parte, e forse avrai salva la vita. –

Per nulla intimorito, Ben Ridgewick continuò a puntarle contro la calibro .44. – Forse non hai capito con chi hai a che fare, donna. Adesso conterò fino a tre, poi voglio vedere quell’ascia a terra e te con le mani in alto, è chiaro? Uno…! –

La Claiborne restò lì a fissarlo, con quel ghigno sardonico.

- Due…! –

Fuori si sentivano già le sirene della polizia e dell’ambulanza, sicuramente allertate da Johnny, giù alla libreria. Ridgewick tirò un sospiro di sollievo senza farsi vedere dalla megera, che nel frattempo aveva assunto un’espressione demoniaca. Avanzava verso di lui… dapprima erano passi lenti, che poi diventarono sempre più veloci.

- Tre!!! –

Non ebbe il tempo di dirlo, che la Claiborne (o quel che rimaneva della Claiborne) gli fu addosso. Dalla pistola di Ridgewick partì un colpo che mandò in frantumi la vetrata di accesso agli uffici, ma che non ferì la Claiborne che intanto si era avventata sull’uomo.

- Cazzo!! Lasciami, puttana!!! – sbraitò Ridgewick, mentre la donna spalancava le fauci e gli mordeva il collo.

- Aaaarghhh!!! – urlò il povero Ben, mentre i denti affilati del demone gli affondavano nella carne. Lasciò andare la pistola, e il demone la respinse via dietro di sé.  Con le ultime forze Ridgewick cercò di lottare per scrollarsi di dosso quel mostro (era incredibilmente forte, cazzo!!!), ma non ci riuscì, mentre perdeva lentamente conoscenza.

- Adesso chi è che comanda, omuncolo? – disse il demone, ridendo sguaiatamente. All’improvviso, un colpo di pistola lo fermò dalle risate. La Claiborne si girò di scatto, vedendo Johnny, quel ragazzo giapponese manager della libreria che brandiva la pesante arma con due mani tremanti, e gli occhi di un bambino spaventato. Abbandonò il cadavere di Ridgewick e si avvicinò a Johnny lentamente. Questi non ci pensò due volte e sparò un secondo colpo, che andò dritto in mezzo ai seni della donna.

La Claiborne si fermò un secondo, poi rialzò la testa e ricominciò ad avvicinarsi a lui, quindi Johnny sparò un secondo colpo, poi un quarto e infine l’ultimo.

L’ultimo colpo fece esplodere la testa della Claiborne in uno schizzo misto di sangue e materia cerebrale, che macchiò anche la sua faccia.

Il corpo senza testa di colei che era stata prima segretaria della Pendragon Press andò giù in ginocchio, cadendo con un tonfo ovattato sulla moquette, come se fosse stato un pupazzo umano a grandezza naturale. Johnny si sentì mancare le forze, e cadde seduto sulla moquette, abbandonando la pistola ormai scarica.

Mentre era accasciato a terra, sentì la polizia risalire per le scale, sfondare il portone d’accesso al piano presidenziale e irrompere nell’ufficio. Quando i poliziotti lo trovarono, Johnny era svenuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10.

 

 

La casa di Johnny era a pochi isolati di distanza da quella di Niall, con la differenza che il quartiere di Johnny non era un tranquillo quartiere residenziale di periferia… era bensì la Chinatown di New York.

Nonostante Johnny non fosse cinese ma giapponese, Niall sapeva che il ragazzo si trovava comunque bene in quel tranquillo sobborgo. Ci abitava da quando aveva deciso di vivere a New York pochi anni prima, e non aveva mai pensato di abbandonare il suo tranquillo appartamento in affitto. Quando Niall giunse nella sua via, non riuscì a ricordare quale fosse il portone giusto.

- Uhm … era questo…? –

Salì le scale e osservò i cognomi sui campanelli. Nessuno di questi corrispondeva a quello di Johnny.

- Che palle… - scese la scalinata e andò verso quella più prossima, ricordandosi improvvisamente che era quella.

Suonò il campanello, e dopo qualche istante, il portone si aprì.

 

*****

 

- …La Claiborne è impazzita circa alle nove, cioè un’ora dopo la sua entrata in azienda. Aveva l’abitudine di chiudersi in ufficio ed esaminare i manoscritti che le arrivavano, dopo la correzione degli editor. Ieri mattina è uscita dall’ufficio, e dopo aver fatto fuori Goldie Jenkins, si è accanita sugli altri impiegati… una carneficina inaudita. –

Lo sguardo di Niall era dispiaciuto. – E Ben…? – la domanda era del tutto retorica: aveva appreso della morte di Ben dal giornale del mattino, ma aveva voluto saperne di più da Johnny.

Johnny sospirò, dispiaciuto anch’egli – Ben… era stato avvisato dalle impiegate che erano riuscite a scendere un piano più in basso e a chiamarlo al telefono interno… Io l’ho visto che aspettava l’ascensore con la pistola in mano, gli ho chiesto che cosa stesse succedendo, e lui mi ha liquidato dicendo di chiamare la polizia. L’ho chiamata, poi sono andato all’ultimo piano e ho trovato la Claiborne che gli stava mordendo il collo. Dopodiché… -

- Dopodichè… -

- …Aveva perso la pistola. Senza capire bene come, l’ho presa io e ho mirato alla Claiborne, poi ho premuto il grilletto. Buon vecchio Ben… ci mancherà. A tutti. Era un rompiscatole e guerrafondaio, ma se non altro era sincero. – concluse Johnny, poi fece una pausa e scosse la testa. – E’… è semplicemente assurdo. Pazzesco. –

- Che cosa? –

Johnny si voltò verso Niall, alzandosi dal divano – Le ho sparato un confetto di piombo abbastanza potente da farle esplodere il torace, ma lei non andava giù. Era come se il suo corpo fosse diventato improvvisamente forte. – Si mise le mani in tasca e andò verso la finestra, guardando la città fuori. New York sembrava bellissima e poetica vista dall’alto, ma era un altro il motivo per cui Johnny stava versando una lacrima. Pensava a ciò che aveva fatto, al fatto che ci fosse qualcosa che veramente non andasse bene… al fatto che non riuscisse a capire cosa.

Niall lo capiva, e per solidarietà si alzò e gli andò vicino, abbracciandolo. Sapeva che Johnny aveva avuto una ragazza e ora era single, per cui non poteva contare sull’affetto di chissà chi. Johnny sospirò, lasciandosi abbracciare e carezzando dolcemente i capelli biondi di Niall - …Le ho scaricato un caricatore intero in corpo. Poi quando ho mirato alla testa… ho fatto centro. E gliel’ho fatta esplodere – mormorò.

- Sì – disse Niall – Ho letto il giornale stamani. –

- E’ quel libro – disse ad un certo punto Johnny, come colto da un’illuminazione. – C’entra quel dannato libro di quel dannato Jackson. – Disse, sciogliendosi velocemente dall’abbraccio.

Niall lo guardò con occhi tristi e stanchi – Che prove hai a conferma di ciò? –

- Quando sono entrati nel suo ufficio, della Claiborne, non hanno trovato il manoscritto da nessuna parte. Era come volatilizzato. –

- E’ incredibile – Niall scosse la testa – Anche se fosse, perché un libro dovrebbe far impazzire la gente? Che movente avrebbe Jackson? –

- Non lo so. E non lo voglio sapere. Oggi sono rimasto qui a casa, ed ho intenzione di rimanerci il più a lungo possibile. –

- Cosa…? E alla libreria come faranno, senza di te? –

Johnny scosse la testa – Non me ne importa nulla – rispose – Ho preso un mese di ferie, dopodiché deciderò se presentare o meno le mie dimissioni. Ho già pronta l’e-mail da mandare all’ufficio personale. –

- Ma… perché? –

Johnny si voltò verso Niall. I suoi occhi erano uno specchio di paura e rabbia – Niall – rispose – Se anche tu avessi visto ciò che ho visto io, forse capiresti. –

- Che cos’hai visto? –

In quel momento Johnny dovette rivivere ciò che aveva visto la mattina precedente: il corridoio insanguinato, una mano tranciata sulla moquette, un ragazzo con l’inguine spappolato, una donna con il cranio sfondato e il Presidente Harry Wesley con la stessa lesione… e poi quella donna. Quella donna che lo guardava con quell’espressione demoniaca. Johnny credeva nell’esistenza di un’entità superiore, credeva nel paranormale, e per ciò che la sua mente conosceva, aver visto quello spettacolo di sangue quel giorno era stato davvero troppo. Da quando era stato portato via dai poliziotti in ospedale per accertamenti medici, si era convinto che lavorare alla Pendragon non sarebbe più stato come prima.

- Quella donna… - mormorò, a bassa voce – …quella donna… era indemoniata. Non aveva più la sua espressione… era come… alterata. Sembrava un mostro. Non… non puoi capire cosa ho dovuto vedere, Niall. – concluse, portandosi le mani agli occhi, come un bambino che si copre il viso per non vedere quello che più lo spaventa.

A quella dichiarazione, Niall avrebbe voluto dirgli che lo capiva, avendo visto altri demoni in una sera in cui aveva perso l’autobus.

- Coraggio – gli disse Niall, andandogli vicino e cingendogli la vita – Adesso è passato. –

- No, non è passato – rispose Johnny – Non è finita. Bisogna scoprire dov’è Jackson. Chiedergli che cosa sta succedendo, che cos’ha in mente. –

- E come si può fare, Johnny? – domandò Niall – Non si sa dove sia andato a finire, l’hai detto tu che è ricercato dalla polizia ma che non riescono a trovarlo. –

A quel punto Johnny guardò Niall con uno sguardo triste e pesante. – Ti devo delle scuse, Niall – disse Johnny, andando verso la sua stanza.

- Dove stai andando? –

- Seguimi. –

 

*****

 

Lo studio di Johnny era incorporato nella sua stanza da letto. Su quella scrivania c’era di tutto: fumetti, libri, carteggi vari, raccoglitori sicuramente razziati dal suo ufficio, penne, matite e un computer portatile, semi sepolto dalla quantità di robaccia che Johnny aveva accumulato nel corso del tempo. Quando Niall entrò, trovò Johnny a frugare in mezzo al suo casino, mettendo da parte fogli e cianfrusaglie, e sbuffando per la quantità di polvere che c’era.

- Toglimi una curiosità, Johnny… da quanto tempo è che non dai una pulita, qui? – domandò Niall, passando un dito sul piano della scrivania e sporcandoselo di polvere.

- Oh, sarà da quando tu ancora sognavi i calciatori che venivano a farti visita di notte – rispose Johnny, senza smettere di frugare – Ma dove cavolo l’avrò messa! – esclamò, spazientito. Si mise le mani sui fianchi, guardandosi intorno nella stanza. Niall non riusciva a capire cosa stesse cercando.

- Ah! Forse ho trovato! –

- Che cosa? –

Senza rispondergli, Johnny si mise al computer portatile e lo accese. Sulla schermata principale di Windows XP (Johnny non era un gran maniaco di informatica, perciò teneva ancora un vecchio computer che gli bastava giusto per controllare le e-mail e per provare a scrivere qualche romanzo) comparve l’icona del suo account utente, le palme tropicali. Cliccò sopra e digitò una password. Una volta aperto, aprì Microsoft Outlook.

Come la sua scrivania, anche la sua e-mail era piena di messaggi. Niall stimò che più della metà fossero inutili, mentre solo una parte erano veramente significativi. Mentre cercava, Niall si mise a giocare con la chitarra del ragazzo, strimpellando qualche accordo. Intanto Johnny cercava tra i messaggi. Cercò per un bel po’ di minuti, poi finalmente esclamò – Ha! Lo dicevo io che non potevo averlo cestinato! –

- Hai trovato quello che cercavi? – domandò Niall, saltando giù dal letto e andandogli vicino. Johnny era a metà tra il trionfante e il felice, ma non era quello il momento per darsi all’euforia, quindi si limitò ad aprire il messaggio e lanciarne una stampa alla stampante sullo scaffale alto della libreria.

- Questa mail… è la mail di rifiuto di Jackson. L’avevamo invitato a tenere una presentazione del suo libro alla nostra libreria, ma lui ha cortesemente declinato con questa mail. Nella sua firma c’è l’indirizzo di dove abita. –

Niall osservò la stampante ruggire delicatamente mentre stampava il documento, quindi lo prese e lo esaminò.

- RirmorSadkners… - lesse ad alta voce Niall. – E’ il nome della città che mi avevi detto tu. Ma dove si trova? –

Johnny guardò la mail aperta sul suo computer – Maine – dichiarò, con sicurezza – è scritto lì, nell’indirizzo. C’è la sigla dello stato. –

- Hmh… non ho mai sentito di una città con quel nome, nel Maine. Dove sarebbe? –

- Questo non lo so – rispose Johnny – Ma sicuramente provando a fare una ricerca con Google Maps, ci si può arrivare. –

- Ti andrebbe di provare? –

- Assolutamente. –

Johnny fece una ricerca su Google Maps digitando “Rirmor Sadkners”, ma non ottenne nulla, neanche dopo svariati tentativi.

- Destinazione sconosciuta? Ah, andiamo! – esclamò, battendo le mani sul piano della scrivania – Come sarebbe a dire?!? –

- Lascia perdere, Johnny. Forse è una presa in giro che ti ha fatto quello scrittore…  -

Johnny sospirò ampiamente – Forse. D’accordo, allora come non detto. Sarà meglio buttarsi tutto questo alle spalle. Forse sarebbe stato meglio se non ti avessi detto nulla. Puoi anche buttare quel foglio che ho stampato, anzi… te lo consiglio. –

- Non preoccuparti – rispose Niall – Suppongo che … -

All’improvviso, il telefono squillò. Johnny si alzò dalla poltrona della scrivania e andò a rispondere. Lo sentì parlare al telefono forse con qualcuno della libreria, un suo sottoposto o un suo collega manager… nel frattempo esaminò quella mail. A parte le gentilissime parole di rifiuto, l’unica cosa che sarebbe potuta essere interessante era l’indirizzo scritto in firma. Non un numero di telefono, non un indirizzo e-mail. Niall guardò verso la stanza principale, vedendo Johnny che camminava con il cordless nella mano. Piegò il foglio e lo intascò nei jeans.

Andò verso la stanza principale, Johnny stava discutendo abbastanza animatamente di quanto fosse rimasto sconvolto da ciò che aveva visto con una ragazza, che Niall capì essere Thelma, una ragazza nuova che lo aveva preso in simpatia alla libreria. Sicuramente per la ragazza non doveva essere stato bello apprendere che Johnny era in procinto di rassegnare le sue dimissioni. Alzò la mano destra e salutò Johnny, che alzò lo sguardo e lo salutò allo stesso modo, mentre Niall usciva dalla stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11.

 

 

Per dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, Louis aveva conosciuto Thomas Bailey di vista, quando non era ancora rinchiuso per il brutale omicidio di sua madre. Per quel che ne sapeva di Thomas, poteva essere un figlio di puttana o un bravissimo ragazzo, ma non certo uno che voleva portarsi a letto. Conoscerlo gli era valso conoscere quella checca isterica che gli dormiva al fianco in quel momento, Harry. Si voltò a guardarlo.

Agli occhi di chiunque Harry sarebbe apparso come un ragazzo carino e molto sexy, come era apparso a lui alcuni mesi prima, quando Tom gliel’aveva fatto conoscere. Parlava come una ragazzina in fregola, era vero, però a letto era bravo. Louis guardò la curva del sedere sotto le coperte. Era perfetta, e lui si beava sempre ogni volta che Harry gli chiedeva di “fare l’amooooore!” in questo si poteva dire che era bravo. Sentirlo sotto di sé mentre gemeva era una bella cosa, forse una delle poche cose per cui Louis si sentiva bene… eppure non si poteva dire che avesse chiari i sentimenti per quel ragazzo. Abbassò un po’ le coperte, rivelando il suo corpo chiaro e sinuoso… mentre dormiva Harry era delizioso, sembrava un angioletto. Osservò i suoi capelli dispersi sul cuscino, e la sua espressione dipinta sul viso: felicità allo stato puro. Louis fece un debole sorriso, non capendo come Harry riuscisse ad essere felice nonostante quello che stva succedendo. Sapeva che Harry era solo uno spettatore in confronto a Niall, ma ugualmente c’era poco da stare allegri. Qualcosa non andava a New York, e in qualche modo c’entrava Jackson, lo scrittore maledetto. E Harry, che era uno dei suoi tanti fan? Nulla. Restava lì, nel suo mondo ovattato dove Louis era il suo Re, senza preoccuparsi di nulla. Beato te, Harry… pensò Louis.

Ricoprì lentamente il fidanzato per non svegliarlo, mentre questo si rigirava dall’altra parte. A quella visione, era stato tentato di prenderlo e fargli di nuovo l’amore, un’altra volta… ma si frenò dai suoi propositi, o meglio, fu il pensiero di un ragazzo a fermarlo.

Niall.

Chi era, costui?

Non più di un amico, non meno di un pezzo di merda. In termini più gentili, non lo conosceva abbastanza. Così come non conosceva il ragazzo moro con gli occhiali che aveva visto quel mattino in metropolitana, o l’istruttore di pallacanestro che insegnava al campetto vicino casa sua, o il poliziotto giovane che accompagnava il senior nel suo giro di pattuglia.

Eppure aveva una gran voglia di vederlo nudo nel suo letto.

Che problema c’era? Bastava andare a cercarsi un biondino qualunque in uno dei tanti bar che aveva frequentato in passato, quand’era ancora un sedicenne senza arte né parte, raccontare una balla a Harry per passare una serata senza problemi (Ehi amore, ho incontrato Tessa in metrò, sembrava un po’ giù di corda, perché non vai a trovarla? Magari vi fate quattro chiacchiere e riesci a tirarla un po’ su, che ne dici?) e tenerlo occupato, in modo da avere tutto il tempo per andare in un bar e trovare un ragazzo, intortarlo quel tanto che bastava per portarselo a casa, poi spogliarlo e fare un rapporto completo (soltanto uno?) con un probabile sostituto di Niall.

Effettivamente un problema c’era. Un sostituto di Niall non era Niall. Louis non aveva mai vissuto di surrogati, prima d’ora. Non ne aveva avuto bisogno, dal momento che qualunque ragazzo gay vedesse in un locale, gli si concedeva da subito. Ma allora perché non chiedere direttamente a Niall Ehi ciao, sei veramente un bel figo, ti andrebbe di venire a letto con me?

Perché c’era qualcosa che lo fermava. Dal primo momento che aveva visto Niall, in Louis era scattato qualcosa. Qualcosa che non aveva mai provato prima… eccitazione sessuale?

No.

Imbarazzo e farfalle nello stomaco.

Erano quelli, le due palle ai piedi che gli impedivano di correre nei confronti di Niall.

Si voltò di nuovo verso Harry, che ancora se la dormiva beato. Decise che per il momento era ora di dire basta alle fantasie, e di ritornare alla realtà. S’infilò nuovamente nel letto, e cinse con le braccia la vita di Harry, che gli si accoccolò addosso come un gatto, pur continuando a dormire. Louis annusò il profumo della sua pelle, e il membro gli si indurì di nuovo per quella sera. Non volendo svegliarlo, si accontentò di metterglielo solo in mezzo alle gambe, strofinando la punta contro l’apertura di Harry. Incominciò con lenti movimenti pelvici, affondando il viso nei capelli di Harry e chiudendo gli occhi. Lo strinse dolcemente mentre il suo membro s’insinuava nell’orifizio del ragazzo, mentre godeva del suo corpo sfruttando la sua fantasia…

…non c’era Harry sotto di lui. C’era Niall, con i suoi capelli biondi, che gli si concedeva senza dire una parola. Che si lasciava baciare e annusare, che si lasciava usare da quella bestia che Louis era. A questo stava pensando Louis quando eiaculò nel corpo del suo dormiente fidanzatino.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


12.

 

 

Buio.

Il cuore gli batteva forte nel petto, mentre la notte lo avvolgeva come un nero sudario prima che potesse cadere in un sonno senza sogni. Niall si girava e rigirava nel letto, senza riuscire a trovare conforto. Era come quando aveva avuto l’influenza, tante volte nella sua vita: si sentiva fuori dal mondo, a metà tra il sogno e la realtà, al limite del baratro…

tra la vita e la morte.

C’era una macchina per scrivere che ticchettava da qualche parte in quel luogo indefinito che avrebbe potuto essere una caverna come le segrete di un castello. Chiunque stesse lavorando a quello strumento doveva avere un pensiero fluente, ininterrotto. Niall poteva sentirlo mentre avanzava nel corridoio, seguendo come unica guida la luce delle torce attaccate al muro.

Che posto è questo? Pensò, mentre sotto i suoi piedi nudi sentiva un pavimento freddo e umido. Sicuramente stava sognando, ma questa volta il sogno era molto più nitido. La sola atmosfera gli causava uno sconvolgimento interno, una sorta di terrore ancestrale, un terrore sotteso, subdolo… che difficilmente si prova quando si guarda un film dell’orrore. Una sorta di quiete prima della tempesta.

- Jackson – disse Niall, ad alta voce, ma senza accorgersi di aver pronunciato alcuna parola. Quando finì di pronunciare l’ultima sillaba, la macchina per scrivere cessò di ticchettare. Al suo posto, s’intensificò lentamente la luce delle torce, rivelando un passaggio con delle scale. Niall aguzzò la vista, avvicinandosi a quell’anfratto abbastanza da scorgere che c’era qualcuno, lì sotto.

Una figura umana, all’apparenza. Ma Niall aveva imparato a non fidarsi delle apparenze già da molto tempo. Quella che a chiunque sarebbe potuta apparire una figura umana, era solo un’ombra. Proiettata dalla luce delle torce, rifletteva un corpo umano seduto su una poltrona, che lentamente si alzava, quel tanto che bastava a far capire la sua natura, che non era per nulla umana.

Quando si alzò, Niall scorse le gambe della figura adornate da delle enormi pinne. Se non erano pinne, poco ci mancava. Dietro la schiena, l’ombra aveva delle strane ali da pipistrello, con degli artigli alle estremità. Le braccia erano lunghe, e le dita erano artigli anch’esse.

Niall si tappò la bocca con entrambe le mani, sgranando gli occhi per la paura. Indietreggiò, sperando con tutto sé stesso di non essere stato notato, ma la speranza fu vana. Il mostro si era già accorto di lui nel momento in cui aveva smesso di scrivere, e ora si era diretto verso le scale per salire e fargliela pagare cara.

- No… no! Aiuto!!! –

Le parole gli morirono in gola. Come spesso accade nei sogni, non riuscì a lanciare le sue invocazioni. Sapeva di essere solo contro il demone, ma umanamente sperava di potersi svegliare gridando aiuto. Non gli importava nulla se non si vedeva nulla. Corse via, sperando che il demone non lo vedesse, sperando lui stesso di non vederlo più, mentre quello dietro rideva sguaiatamente. Uah Uah Uah sembrava dire tra le risate – Non puoi fare niente per fermarmi, questo è solo l’inizio!!! – E non solo sembrava. Aveva proprio detto così, Niall l’aveva sentito benissimo.

Improvvisamente Niall si risvegliò in un altro ambiente. Questa volta era un parco. Alcune panchine che dovevano aver visto tempi migliori, date le condizioni di abbandono in cui versavano, così divelte e arrugginite; alberi scheletrici ai quali l’inverno sembrava aver tolto anche le foglie che la pianta aveva in procinto di far nascere nelle prossime stagioni, e infine… un lago oscuro, talmente grande e all’apparenza molto profondo, che si apriva in tutta la sua maestosità di fronte a Niall.

Spaventato, Niall indietreggiò, come se presagisse ciò che nel lago oscuro stava accadendo. Quel bacino lo terrorizzava, sembrava un’enorme stella morta che come un buco nero attraeva tutto intorno a sé. La sensazione di terrore di Niall si accentuò di più quando l’acqua iniziò a ribollire e tremare. In lontananza venne fuori una mano artigliata, poi una testa, poi un’altra mano artigliata, e un’altra testa ancora… erano tutti demoni, come quelli che aveva visto in città quando aveva perso l’autobus.

Attonito, senza parole, Niall spalancò gli occhi e la bocca, scuotendo la testa in un disperato no-non-è-possibile, mentre in lontananza una risata sguaiata si faceva sentire.

Improvvisamente, una mano uscita dalle profondità del lago gli ghermì la caviglia. Niall urlò in una muta invocazione, mentre i suoi piedi affondavano nella gelida acqua nera. Continuò ad urlare e a dibattersi per cercare di liberarsi, ma nel frattempo un’altra mano aveva agganciato il suo piede destro, tirandolo giù. L’acqua ora gli arrivava alla cintola, mentre con le mani teneva ben salda una radice spuntata dal terreno. In suo aiuto accorse un ragazzo castano con un gilet militare e una maglia rossa.

- Brandon! – esclamò Niall, riconoscendo il personaggio dei romanzi di Jackson – Aiutami, ti prego! –

Brandon gli disse qualcosa di incomprensibile, gli tese una mano per cercare di aiutarlo, ma fu inutile. Non appena Niall lasciò una mano dalla radice alla quale si era aggrappato, le braccia forti che l’avevano ghermito, lo tirarono ancora più giù, trascinandolo in quell’abisso di oscurità, nel quale Niall si disperò definitivamente. Il suo cuore gli batteva a mille, mentre la riserva d’aria si esauriva man mano che scendeva giù… era come quando in piscina aveva avuto un malore e stava affondando, solo che in quel momento non c’erano sua madre e suo padre ad acchiapparlo uno per braccio e tirarlo su in superficie. Adesso stava affondando per davvero, la fine era vicina.

 

Come tante gocce d’argento, risaliranno dai riflessi di uno specchio nelle tenebre, gli angeli dell’apocalisse, e dalla loro discesa in campo nascerà un mondo nuovo…

 

Non sapeva da dove provenissero quelle parole, sapeva solo che qualcuno le stava leggendo. La voce gli era troppo familiare, solo che non riusciva a capire di chi fosse. L’aveva già sentita, eppure…

No, non poteva essere Brandon quello che leggeva a voce alta. Lui era solo un’ombra, come lo erano tutti i personaggi dei romanzi di Jackson. Difatti Brandon se ne stava lì, a balbettare parole incomprensibili a Niall, in quel posto oscuro dove si trovavano. Brandon si guardava intorno, tenendo la mano di Niall, forse cercando una via d’uscita da quel posto, quando in realtà non c’era alcun bisogno di cercare una via d’uscita: erano a New York, di nuovo a casa, anche se nulla era come prima.

New York appariva desolata nei suoi grattacieli anneriti dal fumo e con le strutture corrose dalla ruggine, le strade che un tempo erano grigie, ora erano nere e semidistrutte, le auto erano sparse qua e là, come se al culmine di una giornata tipo newyorkese, fossero state sorprese nel traffico dal caos. E la gente…?

Dov’era la razza umana, i suoi cittadini che passavano i loro giorni correndo avanti e indietro?

Sono scomparsi. Questo è il mondo nuovo. Non ci sono più umani.

Niall si voltò, e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: una nutrita schiera di demoni facevano capolino dalle auto, dai palazzi, volando in un cielo fosco e carico di terrore. In un secondo si vide allontanato mille miglia da Brandon, il quale stava lottando contro uno di questi demoni alati. A quella vista, Niall scattò ad aiutarlo, ma si fermò immediatamente quando vide come Brandon veniva fatto a pezzi dal mostro.

Gli artigli del demone penetrarono nella faccia di Brandon, squartandogli tutta la pelle del viso. Gli occhi gli esplosero come due botti, mentre l’altro artiglio affondava nella schiena del povero ragazzo. Poi il demone addentò la gola di Brandon, strappandogli la testa dal corpo. Niall si contorse per degli spasmi di dolore. Anche coprendo gli occhi, non serviva a nulla: il dolore era troppo forte, e le immagini erano nella sua testa, non all’esterno. Si premette i palmi talmente forte contro gli occhi. Quando le tolse, nei palmi stringeva i suoi stessi occhi chiari.

- Aaaargh!!!!!! –

Non era stato poco più che un fievole lamento, il suo urlo che lo svegliò dall’incubo che aveva avuto. Quando vide sul comodino i numeri verdi del display della radiosveglia, fu grato di essersi svegliato. Si guardò intorno, cercando una cosa ben precisa. I suoi pantaloni. Li individuò piegati sulla spalliera della sua poltrona accanto alla scrivania, li afferrò e tirò fuori la mail che aveva sottratto a Johnny.

La aprì, e riguardò l’indirizzo.

Subito dopo, prese gli articoli che gli aveva dato il Professor Bean prima di venire ucciso dai proiettili del poliziotto, in particolare prese fuori il disegno frastagliato e lo collocò sulla cartina geografica degli Stati Uniti. Lo collocò nella costa nord-orientale, per la precisione nello stato del Maine.

- Eccoci… - mormorò Niall, cominciando a capire molte cose, che chissà come gli erano state suggerite da quel sogno spaventoso che aveva fatto. L’immagine frastagliata corrispondeva perfettamente con la fisionomia del Maine, ora si trattava soltanto di capire a cosa corrispondeva il punto sulla “mappa”.

Dal suo cassetto prese le forbici, e tenendo ben fermo il foglio con la mano destra, premette con una delle due lame il punto sul foglio. Una volta tirato via, vide a cosa corrispondeva.

 

*****

 

Nel frattempo, in un altro quartiere, Johnny era in camera da letto che preparava le valigie. Sul suo letto c’erano due trolley e una borsa da viaggio, completamente piene di indumenti e vestiti. Johnny infilò in uno dei trolley un altro capo, quindi lo richiuse per bene.

Spero solo che sarà abbastanza lontano. Mio dio… speriamo che Niall ce la faccia. Pensò Johnny, sconvolto.

In bagno aprì a tutta manetta il rubinetto dell’acqua calda, che schizzò sullo specchio creando uno strano disegno di gocce d’acqua e vapore. Diminuì un po’ il getto, lasciando che il lavandino si riempisse di acqua calda senza troppa fretta.

Mentre preparava il rasoio e la schiuma da barba, sulla soglia della porta si sentì osservato. Alzò lo sguardo lentamente, per cercare di cogliere il riflesso dello specchio, e ci riuscì.

C’era un demone che lo guardava sogghignando, con i suoi artigli pronti a colpire.

- Ahhh! – esclamò Johnny, voltandosi di scatto con il rasoio spianato. Quando però si voltò, non c’era effettivamente nessuno. Si guardò intorno, non vedendo altro che la vasca da bagno, la tenda della doccia, il water, la lavatrice e il mobiletto dei medicinali. Nulla. Un semplice bagno all’americana.

- Heheheh. Credevi che mi sarei spaventato, eh? – rise Johnny – Adesso lui ha capito cosa deve fare. – Rise ancora più forte – Io non servo più a nulla, posso andarmene finalmente da questo paese. Tornerò in Giappone, mia madre e mio padre saranno contenti di rivedermi. E voi non mi avrete, dannati stronzi!!! –

La sua risata si trasformò in un raglio isterico, mentre si piegava in due con il rasoio in mano. Rise e rise forte per altri cinque minuti, poi pensò di che era meglio non perdere più tempo.

Si voltò verso il lavandino e lo specchio e lo vide.

Il demone era lì, al posto del suo riflesso, che lo guardava con quegli occhi giallo ambra e quell’aspetto minaccioso. Quello che passò per la mente di Johnny in quel momento fu una sorda e triste sensazione di paura, che lo pervase dalla testa ai piedi, facendolo gelare. Johnny era congelato, non riusciva a muoversi né ad emettere un suono. Se ci avesse provato, era sicuro che dalla sua gola non sarebbe uscito più che un rauco sussurro.

Dal riflesso dello specchio, venne fuori un artiglio che tracciò una linea orizzontale precisa sul collo di Johnny, recidendoglielo completamente. Dalla ferita schizzò un fiotto di sangue che andò a sporcare lo specchio e a colorare di rosso l’acqua calda. Johnny si accasciò contro il lavandino, mentre la vista gli si annebbiava… chiuse gli occhi, sentendo il suo corpo che lentamente si irrigidiva man mano che il cervello abbandonava le sue funzioni vitali. N…Niall… ti prego… Scusami… ti ho … taciuto… troppe….. cose….

Queste, erano le parole che avrebbe dovuto dirgli quel pomeriggio quando era venuto a casa sua. Ma non le aveva dette. Niall doveva aver capito, dato che si era intascato la mail senza problemi, ma nonostante ciò, Johnny non ne avrebbe tratto alcun beneficio.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13.

 

 

Ad un centinaio di miglia circa da New York, nello stesso momento in cui Niall stava ricomponendo gli indizi per stanare Jackson, il signor Clarence Beeks era seduto alla scrivania del suo ufficio, all’autosalone di veicoli usati Urban Family Cars a Philadelphia. Tra le mani stringeva un giornaletto porno (uno dei tanti) che gli avrebbe tenuto compagnia per la mattinata, e che sarebbe finito immediatamente nel cassetto della scrivania non appena avesse scorto dei clienti avvicinarsi al parco delle auto. Mentre guardava quelle donne formose e ben carrozzate, ogni tanto si asciugava il sudore sulla fronte pelata e prendeva un gran respiro cercando di dominare la voglia di andare in bagno e dare sfogo alla sua eccitazione. Si tratteneva per almeno tre motivi. Il primo, era perché anche se il suo capo era un uomo, difficilmente se fosse passato di lì e avesse visto il suo posto vuoto per troppo tempo, l’avrebbe perdonato; il secondo, era perché la giornata era ancora lunga, e se smetteva di leggere i giornaletti porno adesso, avrebbe poi dovuto far passare il tempo in altro modo; il terzo… perché era molto meglio non lasciare le auto incustodite. Tutti questi limiti, e il furto che sarebbe avvenuto di lì a poco, non ci sarebbero stati se quel giorno ci fosse stato anche Ralph, il suo giovane aiutante. Purtroppo quel giorno Ralph era stato costretto a letto da un’influenza stagionale, e il vecchio Clarence avrebbe dovuto tenere d’occhio tutte e centodue le auto della concessionaria da solo.

Stare da soli ha anche i suoi lati positivi pensò Clarence, mentre sfogliava un’altra pagina del giornaletto, sgranando gli occhi di fronte a tante bellezze messe tutte insieme. Ragazze… che cosa vi farei… pensò ancora, toccando il sedere di carta di una di queste.

Se anziché guardare il giornaletto avesse ascoltato la radio, sicuramente non avrebbe abbassato la guardia come in quel momento. Purtroppo però le azioni degli uomini non sempre sono dettate dal buonsenso, e nel caso di Clarence, quando accadeva era da considerarsi un miracolo.

Poco dopo aver finito il giornaletto, e poco prima di prenderne un altro, Beeks vide qualcuno entrare dal grande cancello d’accesso del parco macchine. Una famigliola. Papà, mamma, un bambino e una bambina in braccio alla madre. Il padre era il classico americano obeso che portava una maglietta bianca, e la madre una donna magra e slanciata con i capelli cotonati. La donna toccò la maniglia della portiera di una Chevrolet Caprice, poi rivolse il suo sguardo al marito, che scosse la testa. Subito dopo questo indicò un fuoristrada e corse a guardarlo, mentre la moglie lo seguiva sconsolata. Beeks si leccò le labbra, sogghignando – Bene bene. Cos’abbiamo qui? Una parodia dei Simpson? – Si fregò le mani – Sì, sì… guardate pure, valutate, vedete voi cosa può andarvi bene. E poi entro in scena io. –

Beeks tirò fuori un pettine dal taschino della giacca a quadretti e si pettinò gli ultimi capelli rimastigli in testa, preparandosi ad entrare in scena.

Uscì dall’ufficio modulare della concessionaria pochi secondi dopo, ed avvicinò la famigliola, che era troppo impegnata a valutare una station wagon.

- Salve! – salutò allegramente – Possiamo aiutarvi? –

L’uomo obeso lo guardò – Lei e chi altri? –

- Ahahah! – rise Clarence – Io… e Mr. Urbans! Chi, se non noi? Benvenuti nella nostra concessionaria, avete già trovato qualcosa d’interessante? –

- Uhm … sì – mormorò l’uomo, mentre il figlio era salito su una Porsche – Danny, scendi da quell’auto! – lo rimproverò.

- Oh, lo lasci pure giocare, caro amico – disse Clarence, prendendo sottobraccio l’uomo – Anche mio figlio ha l’abitudine di giocare con quella, sa? Penso proprio che quando farà sedici anni gliela regalerò! – parlava con quel tono untuoso e falso del venditore, che la moglie colse immediatamente. Prima che il marito si facesse intortare oltre, s’intromise tra i due.

- Vorremmo sapere qualcosa riguardo a quella vettura – disse la donna, indicando una station wagon della Toyota.

- Caspita, la signora sì che ha buon occhio! – esclamò – Seguitemi, vi illustrerò tutto. –

- Wroom wroom!!! – il piccolo stava ancora giocando con la Porsche, immaginando di prendere parte ad un epico inseguimento, quando all’improvviso vide un ragazzo aggirarsi tra le macchine.

Ai suoi occhi di bimbo, il ragazzo portava un camice bianco e delle scarpe dello stesso colore. Poteva avere si e no vent’anni, ma non ne era certo. Nei suoi otto anni, le persone erano tutte uguali per lui. Lo vide che entrava furtivamente nell’ufficio del venditore. Pensò un attimo a cosa fare, ma non trovando alcuna risposta coerente, si rimise a giocare con la sua fantasia.

 

- …E oltre alle quattro ruote motrici, l’auto è dotata anche di air-bag, doppio air-bag, e … sorpresa sorpresa…! – Clarence toccò un pezzo della plancia e venne fuori un piccolo vassoio adatto a reggere due bicchieri - …Un portavivande! Datemi retta, se avete in programma di fare lunghi viaggi, quest’auto è l’ideale! –

- Uhm. E quanto verrebbe…? – domandò la donna. Il marito la guardò come se avesse detto la cosa più orribile del mondo. Gli restituì uno sguardo di sufficienza, al quale il marito rispose con l’indifferenza.

- Il prezzo? Oh, mia cara signora. Una sciocchezza! Se volete seguirmi nel mio ufficio, vi faccio vedere il…… -

Clarence interruppe la sua frase a metà, quando vide una delle auto in vendita, una Honda Insight bianca, uscire dal cancello principale. in un minuto la sua mente cercò di pensare a qualcosa, ma non riuscendoci, si limitò a cercare di correre dietro all'auto.

- Ehi ehi!!! Fermati!!! – urlò all’autista che stava rubando il veicolo – Fermati, o chiamo la polizia!!! – batté i pugni sul cofano, ma non ci fu nulla da fare. L’auto accelerò e prese il largo verso la strada, bruciando due semafori rossi.

 

*****

 

Poche ore prima…

L’ospedale psichiatrico di Juniper Hill era situato a pochi minuti da Philadelphia, su una strada trafficata dove passavano e si fermavano molti camion. Nascosto tra la boscaglia, Thomas Bailey non sapeva se gli erano alle calcagna o meno. Bagnato come un biscotto per cercare di far disperdere il suo odore, adesso si era acquattato in attesa di un camion che si fermasse e lo portasse a Philadelphia.

La fortuna che già lo aveva aiutato ad evadere (era riuscito ad uscire dal complesso psichiatrico in maniera molto naturale, non aveva trovato nessuno ad impedirgli l’uscita), stava continuando. Un camion della Exxon carburanti si fermò nella piazzola di sosta. Dal suo cantuccio in mezzo al verde, Thomas vide l’autista scendere, appostarsi accanto al camion, slacciarsi la patta e orinare nell’erba fresca. Lentamente Thomas uscì dal suo nascondiglio e s’infrattò sotto il camion, aggrappandosi con le mani e con le gambe in uno spazio sotto il rimorchio, abbastanza comodo da starci disteso. Non aveva un’idea precisa di dove andare, sapeva solo che doveva tornare a New York in un modo o nell’altro, ma per farlo aveva bisogno di un’auto. Pensava a sua madre, che era perita sotto la lama di un suo coltello da cucina, ma non riusciva a ricordare bene perché l’avesse uccisa. Si sentiva il corpo intorpidito dal freddo (non era il massimo girare all’aperto con solo un pigiama da internato), e i piedi gli facevano male nelle scarpe del manicomio. Mentre attendeva con pazienza che l’autista avesse finito di orinare, vide una volante della polizia con i lampeggianti accesi in lontananza. L’auto si avvicinò piano al rimorchio colmo di carburante, e Thomas si appiattì ancora di più, evitando di fiatare.

Dalla volante della polizia scesero due agenti, che girarono intorno al camion e andarono dall’autista.

- Buongiorno, polizia di Philadelphia. – disse uno degli agenti.

- Buongiorno, agente. Cosa posso fare per lei? – domandò l’autista. La sua voce era roca e profonda, Thomas se lo immaginò come una specie di uomo barbuto e pelato, robusto di corporatura.

- Ci è stato segnalato che un internato dell’ospedale psichiatrico di Juniper Hill è evaso questa mattina. – disse un’altra voce. Questa era femminile, quindi Thomas intuì che uno dei due poliziotti era una donna.

- Ah, davvero? E chi sarebbe? –

- Thomas Bailey, vent’anni, di New York. Ecco una sua fotografia. – seguì una breve pausa in cui i poliziotti stavano mostrando una fotografia all’autista. – L’ha visto da queste parti? –

- Assolutamente no, agente. Non l’ho visto. –

- Se dovesse vederlo, chiami immediatamente il 911, okay? – questa era la poliziotta.

- Va bene, agente. Ora vogliate scusarmi ma devo consegnare questo bestione a Philadelphia. È tutta la notte che viaggio, e non vorrei rischiare una multa per essere arrivato in ritardo. Arrivederci. –

- Buon viaggio – lo salutarono i due agenti, tornandosene all’auto di pattuglia. Dopo una breve pausa, il motore del camion si accese, e Thomas poté tirare un sospiro di sollievo. Nella sua mente c’era un nome. Un nome che gli era apparso in sogno.

Niall Horan.

Colui che il Padrone Jackson voleva vedere.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


14.

 

 

Il mattino seguente alla sua “avventura” notturna con il suo fidanzatino Harry, culminata con un orgasmo ad insaputa di quest’ultimo, Louis si era alzato dal letto, si era rivestito e senza nemmeno lasciare un biglietto a Harry che dormiva beatamente, se n’era andato.

Erano state le sei e un quarto quando aveva varcato la soglia della porta dell’appartamento dove viveva Harry con la famiglia (che peraltro non conosceva, sapeva solo che i genitori di Harry erano separati, e che mentre ciascuno dei due faceva la bella vita con i rispettivi nuovi partner, Harry passava la maggior parte del tempo da solo, eccettuate alcune sporadiche apparizioni della madre), e per tutta la mattinata aveva passeggiato per New York.

Per qualche ora non era stato più un cittadino della sua città, bensì un semplice turista, che ammirava per la prima volta le meraviglie di una metropoli grandissima, ne ascoltava i rumori, ne annusava gli odori. E il bello era che non c’era stato alcun bisogno di un autoconvincimento: Louis si sentiva un turista perché quel giorno New York gli sembrava tutta nuova. Ricordava di aver già provato una sensazione del genere, forse quando era bambino e ci si avvicinava al Natale, e l’attesa dei doni era sempre un qualcosa di bello, quasi più dell’evento stesso. C’è più gusto nell’attesa di qualcosa che non nella cosa in sé.

Ma in quel momento della sua vita, lui cos’attendeva? Lo sai già cosa stai attendendo, gli disse una vocina interiore o meglio chi stai attendendo. Però non vuoi ammetterlo, non è vero?

- Già, proprio così – aveva mormorato seduto su una panchina di Central Park, accanto ad una vecchietta che stava distribuendo amorevolmente del granturco per i suoi amici pennuti. L’anziana signora si era girata a guardarlo, poi aveva ripreso la sua attività, allontanandosi un po’ da Louis.

Incurante di ciò, Louis aveva continuato il suo soliloquio.

Ti ha fatto proprio perdere la testa, eh? Dì la verità, vecchio sessuomane che non sei altro… quel biondino di Niall Horan ti attira come una mosca con il miele. Ma perché? Te ne sarai fatti a migliaia di ragazzi come lui. Che cos’ha in più lui rispetto a qualcun altro?

- Non lo so – si rispose Louis – Sarà che emana un qualcosa di strano che gli altri non hanno. Ha una personalità. Irradia. –

Già, e soprattutto non ha aperto la bocca e fatto rotolare fuori la lingua con tanto di occhi fuori dalle orbite appena ti ha visto. E questo ti fa dannare, non è vero?

- Anche quello. Già, forse se avesse fatto srotolare la lingua e gli fossero saltati gli occhi fuori dalle orbite, me lo sarei preso senza problemi… ma visto che non l’ha fatto… -

…vorresti fare di tutto per farglielo fare, non è così? Allora fai una bella cosa: intercettalo, portalo in un luogo appartato, abbassati la cerniera dei pantaloni, eee… faglielo vedere.

- Oh, vaffanculo. – mormorò alla vocina interiore di sé stesso – Non questa volta. Non questa volta! –

Si era alzato dalla panchina e si era diretto verso un altro posto di New York.

 

*****

 

C’è chi dice che i belli non abbiano un’anima. Beh, Louis era un belloccio, certo, e forse se aveste chiesto a uno qualunque dei suoi amanti vi avrebbe detto che non solo non aveva un’anima, ma se aveste beccato il più maligno, vi avrebbe anche detto che Louis avrebbe venduto sua madre per una scopata decente, e forse era vero, ma era anche vero che si comportava così perché dell’amore sapeva poco e niente. Così come sapeva poco e niente di Niall.

Con le mani affondate nelle tasche dei jeans, era passato davanti alla vetrina di una pasticceria. Lì, le paste avevano un aspetto molto invitante, così calde, appena sfornate. Fece un mezzo sorrisetto, mentre nella sua testa si profilava un’idea brillante.

 

*****

Pochi minuti e un viaggio in metrò dopo era nei pressi della casa di Niall (una telefonata all’aggancio giusto all’università gli aveva fornito l’indirizzo), reggendo un sacchetto rosso con dentro due colazioni coi fiocchi, a base di cappuccino italiano e dei bomboloni al cioccolato, per i quali aveva dovuto scomodare ben tre impiegate per farsi consigliare quale fosse il ripieno migliore fra crema, marmellata e cioccolato. Alla fine aveva preso un po’ di tutto, per un totale di ben sei (così mi piaci, vecchio mio! Fagli vedere che c’è un cuore, sotto la dura scorza del playboy!) bomboloni, con l’intenzione di consumarli insieme a lui. E se Niall avesse accettato, Louis sarebbe stato felice. Nemmeno quando aveva incominciato a frequentare Harry, gli aveva offerto una colazione così.

Giunto alla porta di casa, tenne fermo il dito sul campanello, indeciso se suonare o meno.

Oh, andiamo, cazzo. Non ci starai ripensando, spero?!? La sua vocina interiore era tornata alla carica. Questa volta per spronarlo ad andare avanti di fronte ad un suo probabile ripensamento.

- Forse non sto facendo la cosa giusta. –

Toh! Da quando in qua l’impietoso Louis Tomlinson si fa scrupoli? Oh dio, oh dio, fermate il mondo, voglio scendere! Di cos’hai paura? Gli stai solo per proporre di fare colazione insieme, da buoni amici. Che cosa c’è di male? E magari gli chiedi come stanno andando le indagini.

- Giusto! – esclamò, ad un volume che poteva quasi essere udito all’interno della casa – farò così, gli chiederò se ha scoperto qualcosa di nuovo! – Fece per suonare, quando la porta gli si aprì davanti, rivelando la figura di Niall in pigiama che strabuzzava gli occhi dal sonno. Imbarazzato da cotanta entrata in scena, Louis ammezzò un sorriso, mentre il suo colorito cambiava da pallido a rosso intenso fino a diventare viola vergogna. Niall indossava un pigiama blu scuro e un paio di infradito ai piedi, i suoi capelli biondi erano tutti arruffati e i suoi occhi erano rossi di sonno.

- Louis – lo nominò, spalancando la bocca in uno sbadiglio, che prontamente coprì con una mano – Ti pare il luogo e il momento giusto per mettersi a parlare da soli? Sono le sette del mattino e tu sei sulla porta di casa mia. –

Il mezzo sorriso di Louis si trasformò in una mal riuscita polemica di serietà sul suo viso.

- Buongiorno – lo salutò, mascherando l’euforia del vederlo – Passavo di qua e mi stavo chiedendo se per caso ti andava di fare colazione insieme – gli disse, tirando su il sacchetto con la colazione.

Niall intanto si era appoggiato al montante della porta a braccia conserte, e lo guardò sollevando un sopracciglio perplesso – Per quale arcano motivo sei fuori città? Questo quartiere non è un posto dove “si passa di qua”. –

- Ehm – si schiarì la voce Louis, visibilmente colto in fallo – Ok, lo ammetto. Volevo solo sapere come procedono le indagini, se hai scoperto qualcosa, tutto qui. – non aveva ammesso un bel niente, aveva solo sparato la seconda cartuccia nella sua doppietta mentale. E questa volta aveva centrato il bersaglio.

- Qualcosa. Comunque stavo per chiamarti io. Dai, entra. Fa freddo, qui fuori. –

- Hai già fatto colazione? – gli domandò, entrando.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


15.

 

 

Dopo aver rubato l’auto alla concessionaria di Philadelphia, Thomas era partito alla volta di New York, andando quanto più piano poteva, per non destare sospetti alla polizia stradale mentre era in autostrada. Era stato molto bravo a sgattaiolare nell’ufficio del venditore e arraffare le chiavi della Honda Insight che stava guidando ora senza essere visto da nessuno. Per la verità non era così sicuro di non essere stato notato: nonostante avesse preso tutte le precauzioni e si fosse mosso come un serpente fra gli angoli delle strade, non poteva dire esattamente se e quanti avessero notato il suo abbigliamento insolito, composto dal pigiama bianco del manicomio e dalle scarpe da ginnastica dello stesso colore. Una volta entrato nel cancello della concessionaria, aveva visto una Porsche in lontananza. Era ferma, a motore spento, e al volante c’era un ragazzino di circa otto anni. I loro sguardi si erano incrociati per una frazione di secondo. Forse il ragazzino aveva registrato la sua presenza, forse no. In ogni caso Thomas aveva continuato per la sua strada, entrando nell’ufficio modulare e arraffando le prime chiavi che gli erano capitate e rubando l’auto, senza torcere un capello al piccolo, che a quest’ora sicuramente si era già scordato di lui. Fortuna aveva voluto che l’auto avesse il serbatoio pieno, quindi in grado di raggiungere New York in tutta tranquillità. Fermarsi in una stazione di servizio con quell’abbigliamento sarebbe stato troppo rischioso.

Guardò gli specchietti retrovisori, per sincerarsi che non ci fossero sbirri alle calcagna. Non ce n’erano, quindi decise di aumentare di poco la velocità, per non perdere altro tempo. Aveva una missione da compiere: convincere Niall Horan ad andare dal Padrone Jackson, con le buone o con le cattive.

Mentre guidava, avvertiva una strana sensazione. Come se tutto ciò fosse già accaduto. Una fortissima sensazione di dejà vu, che si manifestava nel suo corpo sotto forma di uno sfarfallio nello stomaco. Ma non sarebbe stato corretto definirlo così.

La sensazione che aveva Thomas era qualcosa di ben più profondo e arcano, simile ad un vuoto esistenziale: Non sapeva perché era evaso, non capiva che cosa stava andando a fare, non sapeva nemmeno chi fosse questo Niall Horan. Eppure lo stava andando a cercare.

Nella sua mente stavano iniziando a formarsi degli interrogativi, destinati a rimanere senza risposta. Pensò a sua madre, a come l’aveva uccisa, e gli venne quasi da piangere. Per un attimo sollevò il piede dall’acceleratore, pensando addirittura di accostare e fare inversione di marcia, trovare una volante della polizia stradale e andare a costituirsi. Immaginava già la scena nei minimi dettagli: lui che fermava l’auto sul ciglio della strada, scendeva e andava a bussare al finestrino dell’auto di pattuglia degli agenti. Dopodiché loro scendevano e lui diceva: Salve, sono Thomas Bailey, ho ammazzato mia madre e sono evaso da Juniper Hill. Siccome mi sento non troppo bene, mi sento come un burattino i cui fili vengono manovrati da qualcuno parecchio in alto (e parecchio pericoloso anche) che ne direste di riportarmi nella mia cameretta imbottita e magari chiamare la dottoressa Sandler, per farmi fare una visitina di controllo?

Ma certo signor Bailey, avrebbero risposto i poliziotti, lei metta le mani dietro la schiena e non faccia scherzi, perché ora che è evaso dal centro di igiene mentale, la sua posizione nei confronti della giustizia si è ulteriormente aggravata. Ora, se non vuole farsi trasferire a Shutter Island, non ci riprovi mai più, questo gli avrebbero risposto, infilandolo nell’auto di pattuglia e riportandolo a Juniper Hill.

Per quanto fosse allettante e divertente pensare una scena del genere, ad essere sinceri la prospettiva di venire rimesso in cella non lo faceva gioire più che tanto, ma era sempre meglio di quella sensazione che…

- Ah!!! –

Una fitta acuta, come una picconata nel cranio, lo colpì all’improvviso, facendogli quasi perdere il controllo della vettura. Chiuse gli occhi, tenendo le mani ben salde sul volante, e quando li riaprì pochi secondi dopo, un TIR stava sopraggiungendo incontro a lui strombazzando e segnalando con i fari abbaglianti. Thomas scartò a destra dando un velocissimo colpo di sterzo che riportò l’auto sulla corsia giusta. Scampato il pericolo, Thomas tirò un sospiro di sollievo, poi avvertì una voce dentro di sé.

Se hai cara la vita, ti conviene non pensare più a niente del genere.

Thomas guardò nello specchietto retrovisore, e vide che c’era un demone seduto sui sedili posteriori che lo guardava sogghignando. Le sue mani erano lunghi artigli sporchi di sangue, così come i denti felini e gli occhi iniettati di sangue. Thomas girò di scatto la testa verso i sedili posteriori, ma su quell’auto c’era soltanto lui. Guardò di nuovo lo specchietto retrovisore, ma non c’era proprio nessuno. Immediatamente diventò bianco di paura, chiedendosi quali misteriose forze lo stessero controllando. Cercò di non pensarci, continuando a guidare.

A pochi chilometri da New York, sul ciglio della strada vide un sentiero che conduceva ad un trailer parcheggiato, probabilmente di qualcuno che non aveva abbastanza soldi per potersi permettere una casa vera e propria. Guardò meglio, e gli sembrò di vedere dei fili con degli abiti appesi ad asciugare.

 

*****

 

Per non farsi notare, aveva fermato la Honda Insight ad un centinaio di metri dall’imbocco del sentiero del trailer, era sceso ed aveva percorso in diagonale la strada che lo separava dal circondario della casa con le ruote.

Aveva già visto quei tipi di abitazione, in passato. Una volta a New York stavano girando un film, e ricordava di aver visto che gli attori si rifugiavano in quei trailer durante le pause nelle riprese. Si avvicinò ancor di più, guardandosi intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno in giro. Il trailer sembrava essere disabitato, se la fortuna lo assisteva. Velocemente si avvicinò al filo della biancheria, arraffando alla svelta un paio di pantaloni, una camicia a quadrettoni di flanella e un paio di mutande. Su un tavolino lì vicino c’erano anche un paio di occhiali da sole e un cappellino da baseball sporco di grasso per motori. Arraffò anche quelli, e se li mise. Una volta servitosi, andò ad acquattarsi nella boscaglia, appena in tempo per non farsi beccare dal proprietario, che era uscito in quel momento con una doppietta in mano.

- Dannato pezzo di merda!!! – esclamò. Era un uomo mediamente corpulento, dai capelli lunghi e bisunti che gli andavano a finire sugli occhi e che era costretto a ricacciare dietro alle orecchie e all’apparenza ubriaco. Thomas si acquattò contro un albero, riducendo al minimo il respiro. Intanto l’uomo continuava a sbraitare.

- Vieni fuori, schifoso! Lascia stare i vestiti di mio figlio!!! – abbaiò di nuovo, e Thomas immaginò che stesse girando intorno al trailer. Si allontanò un po’ dal suo cantuccio, cercando di non fare rumore. Sgattaiolando di albero in albero, riuscì a raggiungere la sua auto. Aprì velocemente le portiere e s’infilò dentro con i vestiti, avviò il motore e partì alla svelta.

 

*****

 

Dopo il cambio di vestiti si sentì un altro. Da quando era evaso

da quando l’avevano fatto evadere

non era riuscito a trovare un momento per andare al gabinetto. In prossimità dell’uscita per New York, si fermò ad una stazione di servizio Taxaco (la benzina era quasi finita, però rifornire senza soldi era abbastanza difficile, da quelle parti), dove andò nei bagni e si mise ad orinare.

La stazione di servizio era stranamente deserta. Di solito a quell’ora ci sarebbe dovuta essere non una folla di gente, ma almeno qualcosa di più di quel deserto che aveva trovato.

Si lavò velocemente le mani al lavandino, cercando di non perdere altro tempo oltre a quello che aveva già perso. L’acqua era fredda sulle sue mani bianche, tanto che digrignò i denti per il dolore. Quando alzò lo sguardo, negli specchi sui lavandini di fronte a sé, comparvero degli altri demoni. Thomas trasalì per un momento, restando fermo con le mani gocciolanti e la mascella che gli tremava per la paura. Era completamente bianco dal terrore, ma nonostante ciò non riusciva a reagire. I demoni dietro di lui lo osservarono, poi uno di questi chiuse la porta d’accesso ai bagni con un cenno della mano.

Thomas non osava muoversi. Nella sua mente cercava di trovare una soluzione possibile a quell’orrore che stava vedendo, senza tuttavia riuscirci. Che cosa volevano da lui quei mostri? Che cosa, in nome di Dio???

Come risposta alle sue elucubrazioni, un altro demone fece scomparire i riflessi dagli specchi e gli mostrò due ragazzi che facevano colazione nella stanza di una cucina. Senza che nessuno parlasse, Thomas capì che quello biondo era Niall Horan. Pochi secondi dopo l’immagine fu sostituita da una che conosceva bene.

- Harry! – esclamò Thomas, vedendo nello specchio l’immagine del suo amico che, seduto alla scrivania del computer, stava chiacchierando allegramente con qualcuno, reggendo in mano un telefono rosa a forma di cuscino che Thomas conosceva molto bene, essendo stato più volte a casa del suo amico.

- Che… che cosa c’entra lui? – domandò timidamente Thomas, senza staccare gli occhi da quel “filmato”.

Uno dei demoni ruggì, e Thomas lo guardò.

- Perché….? – si azzardò a dire, ma il demone gli puntò un artiglio alla gola con un gesto così fulmineo che Thomas ritirò immediatamente la domanda. Annuì, visibilmente terrorizzato, quindi uno dei demoni gli andò vicino e gli prese le guance tra il pollice e l’indice. Gli occhi rossi del demone e quelli chiari di Thomas s’incontrarono per un momento, un lunghissimo attimo in cui i due sembravano innamorati che stanno per darsi l’estremo addio.

Poi il demone alzò un dito in alto, che Thomas seguì con lo sguardo (non poteva fare altrimenti, neanche se avesse deciso di affettarlo, poteva soltanto osservare). Tuttavia il demone non sembrava intenzionato ad ammazzarlo, però fece una cosa che per poco non procurò un infarto a Thomas: con una mossa repentina, il demone ficcò l’artiglio in bocca a Thomas, che urlò e cercò di sottrarsi, ma i demoni lo tennero ben fermo. L’artiglio si allungò nel suo ventre fino allo stomaco, trasformandosi in uno strano liquido che Thomas sentì bruciargli nelle viscere.

- Aaaaaaarghhhh!!! – strillò, mentre quella strana sostanza gli entrava in corpo. Il demone sghignazzava, e così i suoi due compari che tenevano immobile il povero Thomas.

Quando il demone ebbe finito, Thomas si ritrovò solo nel bagno, con lo stomaco che gli bruciava e la testa che sembrava una trottola. Si accasciò sul lavandino, aprì la bocca e cercò di vomitare, ma vomitò solo dell’amara bile. Tossì, sputò, tossì ancora e cercò nuovamente di vomitare, ma il risultato fu lo stesso. Nient’altro che bile.

Si sciacquò la bocca più volte per mandare via quel bruciore nello stomaco, e sentì che forse stava passando. Si tolse gli occhiali e si guardò nello specchio: era sempre lui, non era cambiato… salvo che…

…per una frazione di secondo era diventato un demone. Si sentì i muscoli guizzare, gli occhi vedere oltre il muro, le orecchie sentire ciò che prima non riuscivano a udire.

Spaventato, si allontanò dallo specchio continuando a fissare la sua immagine, finché non uscì dal bagno, correndo verso l’auto. Una volta accomodatosi al posto di guida, infilò la chiave nel quadro e vide che il serbatoio era di nuovo rifornito. Riaccese il motore, e ripartì velocemente.

Intanto, nel bar, un avventore fissava il pavimento con occhi vitrei, mentre il suo mento poggiava sul tavolo, in un bagno di sangue che colava dalla bocca.

Una donna bionda era accasciata sul pavimento con un grosso squarcio nel petto che le aveva lacerato i vestiti, e il barista guardava il suo corpo senza testa sul pavimento del locale, insieme a tanti altri clienti che erano stati barbaramente uccisi senza nemmeno accorgersene.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


16.

 

 

La prima impressione che Niall aveva avuto di Louis, avallata dalla sua rivelazione che il fidanzato non gli piaceva per nulla, ma che ci si era messo insieme solo per ronzare attorno a Thomas, era stata quella di avere a che fare con un incallito playboy che se la faceva alle spalle del fidanzato. Trovandoselo alla soglia di casa sua quella mattina, intento a parlare da solo reggendo un pacco per la colazione, aveva fatto pensare a Niall che ora ci volesse provare con lui.

Niall aveva avuto il suo primo amore a sedici anni. Era stata una storia molto intensa e travolgente, ma durata appena un anno. Dopo di ciò, aveva ricevuto molte proposte, ma la paura di venire nuovamente deluso, unita alla fortuna di aver incontrato la maestria del grande Howard P. Jackson, lo aveva trattenuto per molto tempo dalla vita sentimentale. Soltanto adesso, a diciannove anni, pensava che forse gli serviva qualcuno, ma se qualcuno doveva essere, non c’era proprio speranza che potesse scegliere il ragazzo che ora gli sedeva di fronte e che sorseggiava il suo cappuccino guardando nel vuoto: Louis.

Lo fissò intensamente, mentre consumava il suo bombolone ancora caldo di forno, inzuppandolo nel cappuccino. Di fronte a lui, Louis fingeva totale indifferenza, ma gli era veramente difficile non buttare ogni tanto lo sguardo verso Niall, il ragazzo che l’aveva ammaliato così tanto da fargli portare la colazione a casa.

- Un pensiero davvero carino – sentenziò Niall, ridacchiando – A cosa devo questa lauta colazione? – domandò, avvicinando la bocca al pezzo di bombolone appena bagnato dal cappuccino.

- Te l’ho detto, voglio sapere come vanno le indagini. – rispose Louis, lottando per tenere lo sguardo basso e non incrociare i suoi occhi.

Accontentandosi della risposta, Niall annuì - Dunque, potrei aver scoperto dove si nasconde Jackson. –

- Sì? E quindi? –

- Finiamo la colazione, poi ti farò vedere come ho fatto. –

Dentro di sé Louis tirò un sospiro di sollievo per non dover essere costretto a stargli seduto di fronte anche dopo. Cominciava a non farcela più, doveva guardarlo, doveva guardare il suo corpo, il suo sedere, le sue gambe…

…i suoi occhi… la sua bocca… senza che lui se ne accorgesse. Ne aveva un bisogno disperato, spasmodico.

Cercò di finire in fretta la colazione che lui stesso aveva portato, chiedendosi dove si potesse nascondere quello scribacchino da strapazzo che tanto piaceva al suo fidanzato ed al suo amico matricida.

 

*****

 

Non c’era nulla che non andasse in quella stanza, tranne che forse era un po’ troppo piena di libri per un ragazzo di appena diciannove anni. C’erano autori di tutti i tipi, da Stephen King a Sophie Kinsella passando per Patricia Cornwell e Robert Ludlum. Louis, che di libri in vita sua ne aveva letti pochi e ben circostanziati, ebbe un fremito di pelle d’oca entrando in quella specie di tempio della parola scritta, dove ogni cosa sembrava essere al suo posto, nulla lasciato al caso, mentre nella sua stanza tutto era lasciato al caos.

- Benvenuto nel mio regno – disse Niall una volta entrato. Poi, notando l’espressione del viso di Louis – Che hai? Sei allergico ai libri? –

- N… no, è solo che … - tentennò Louis – è solo che non avevo mai visto così tanti libri in una sola stanza. Sei un lettore appassionato? –

- Sì. Leggo fin da quando ero bambino, e mi piace collezionare libri – rispose, sedendosi alla scrivania e preparando una sedia anche per Louis. Velocemente, tirò fuori tutte le carabattole che gli erano servite per determinare un presunto punto dove si trovasse Jackson.

*****

 

Nel frattempo, altrove, precisamente nel centro di New York, il traffico intasava le vie come ogni mattina. La normale routine dei pendolari e dei lavoratori della Grande Mela non si era fermata, nonostante i fatti di sangue dei giorni scorsi, e nonostante la carneficina appena avvenuta nella stazione di servizio dove Thomas Bailey era andato per servirsi della toilette.

Ovviamente i cittadini della Grande Mela non potevano essere a conoscenza di quest’ultimo fatto di sangue, dal momento che la strage era avvenuta solo poche ore prima, e affinché le notizie si divulgassero, ci voleva almeno un giorno, ma anche se l’avessero saputo, a chi sarebbe importato? The show must go on, come dicevano a Brodway, e i newyorkesi avevano fatto loro questo motto, bastava pensare al disastro delle Torri Gemelle, che non era riuscito a fermare la città per più di un certo tempo.

Zayn Malik, dal canto suo, avrebbe lasciato i suoi concittadini ad affannarsi nella corsa alla ricchezza, continuando farsi gli affari suoi nel suo appartamento, tranquillamente spaparanzato sul divano a poltrire e a fumare un po’ di erba insieme al suo compagno Liam Payne. Avrebbe continuato a farsi gli affari suoi anche dopo la notizia che Thomas Bailey era evaso, appena passatagli sotto gli occhi all’interno del notiziario CNN Breaking News, alla quale peraltro non aveva dato poi tanto peso, non fosse stato altro che cascava proprio a fagiolo dopo la notizia di una condanna per spaccio di droga ai danni del suo pusher di fiducia.

- Liam! – urlò Zayn all’indirizzo del suo ragazzo – Hanno beccato Doc! –

- Chi? – domandò lui dal bagno.

- Ma come “Chi”? Doc! Quel figlio di puttana della zolletta da cento dollari! –

Dopo un attimo di silenzio, Liam uscì dal bagno con l’asciugamano in vita – Ahhh, quel figlio di puttana di Doc. – disse, asciugandosi i capelli. - Cazzo. – imprecò tra i denti – Adesso ci toccherà trovare un altro pusher. –

Zayn si chinò sul tavolino dove aveva preparato tre piste bianche in precedenza, infilandosi una banconota da dieci dollari nel naso e incominciando a sniffare.

- Ehi – protestò Liam – Non te la finire tutta, lasciane un po’ anche a me! –

- Che palle… To’, pippane un po’ anche tu – gli disse, porgendogli la stessa banconota arrotolata e tirando su col naso – Hmmm… da sballo. –

- E’ l’ultima dose che abbiamo comprato da Doc. Facciamocela durare, almeno finché non troviamo un nuovo pusher. –

- Ah, ‘Fanculo… - mormorò Zayn.

- Ben detto… - rispose Liam.

Erano passate appena due ore dall’ultima dose, e come ogni volta che si faceva, Zayn provò un po’ d’appetito. Purtroppo però, non c’era nulla in frigo.

- Cazzo! – esclamò, tirando un pugno allo sportello del frigo – Ehi Liam! –

- Che c’è? –

- Dammi un ventone, devo andare a fare la spesa…! –

- Finalmente te ne ricordi, eh? Tieni… - gli disse, avvicinandosi a lui e porgendogli la banconota.

- Vado e torno. –

S’infilò il giubbotto e il cappellino di lana, e salì le scale che conducevano verso la strada.

 Fuori, sul marciapiede, la gente camminava in quella usuale danza cittadina, tipica della metropoli. Zayn camminava con il giubbotto ben allacciato e il cappellino di lana calcato sulla zucca. La dose di polvere d’angelo che si era fatto stava cominciando a fare il suo effetto, ma non c’era da preoccuparsi. Doveva arrivare fino al McBanner’s Grocery Store alla fine della strada, e poi sarebbe tornato indietro, a casa, al calduccio a guardare la televisione, magari facendosi una scopata con Liam, sempre se non era già messo K.O. dalla cocaina.

Una volta arrivato al negozio, s’inoltrò nelle corsie con un carrello, vedendo cosa di buono aveva da offrire il buon McBanner. Non l’aveva visto al suo posto accanto alla cassa, quindi aveva pensato che il vecchio fosse in magazzino, oppure da qualche altra parte. Di solito il mini-market era mediamente pieno di gente, ma quel giorno sembrava deserto. D’accordo che non era uno di quei mega-centri commerciali stracolmi di persone a fare shopping, però quel giorno era davvero troppo vuoto. Troppo maledettamente vuoto.

Nonostante ciò, Zayn continuò a fare la sua spesa, ficcando nel carrello degli affettati italiani d’importazione, una bomboletta di crema di formaggio, due barattoli di burro d’arachidi e del pane per sandwich (di cui Liam era ghiotto), il tutto annaffiato da una bottiglia di vino novello in cartone e una cassettina d’acqua minerale. Quando ebbe finito, si avviò alla cassa per pagare il tutto.

Mentre faceva la spesa, McBanner non era ancora tornato.

- Signor McBanner? – chiamò, ma non vi fu risposta.

Si guardò intorno, cercando lui o sua moglie, che di solito teneva d’occhio il negozio quando il marito andava in banca a versare gli incassi della giornata.

- Signora McBanner? C’è nessuno? – chiamò ancora. Restò in ascolto, ma non sentì nulla.

All’improvviso, avvertì un rumore che proveniva da una corsia. Un barattolo che cadeva, forse. Lentamente si avviò verso le corsie. Le passò in rassegna una per una, ma non c’era nessuno. Arrivato in fondo, c’era il settore ferramenta. Lì, vide una mano per terra, tranciata di netto.

Zayn si portò una mano alla bocca, riconoscendo la mano mozzata essere quella della signora McBanner.

Contro la sua volontà, il suo sguardo si spostò più in là verso la corsia, dove trovò il corpo della signora McBanner in un lago di sangue, la testa staccata di netto dal corpo, riversa su un lato con un’espressione di dolore e sgomento dipinta sul volto. Zayn per poco non collassò sul pavimento, tenendosi la mano premuta contro la bocca per non vomitare. Indietreggiò, andando a cadere con il sedere sul congelatore dei surgelati.

Mentre il suo cervello cercava una risposta coerente alla domanda “E adesso che cazzo faccio?”Un altro rumore attirò la sua attenzione. Si avventurò verso la corsia della ferramenta, trovando alla fine il colpevole dell’omicidio della signora McBanner.

A cavalcioni sopra il corpo del signor McBanner, che periva sotto le lame degli artigli del suo assassino, c’era un ragazzo circa della sua età, che si voltò non appena avvertì la sua presenza.

Pur non avendo visto bene la notizia al telegiornale, Zayn riconobbe perfettamente chi era quel ragazzo. Era Thomas Bailey, che con le mani stava brutalizzando il povero signor McBanner.

- A… i…. u… o… - mormorò McBanner, agonizzante. Il suo assassino lo finì artigliandolo alla gola, ponendo fine alle sue sofferenze. Zayn aveva visto tutto, ma non ebbe il coraggio di fare nulla. Notò che nella tasca del giubbotto, Thomas aveva un martello da minatore, probabilmente razziato dalla corsia ferramenta. Nella sua mente, aveva ricostruito tutto l’accaduto: Thomas (o meglio, quello che assomigliava a Thomas) aveva cercato di rubare quella piccozza, era stato sorpreso dalla moglie di McBanner, l’aveva decapitata e mutilata (forse era più probabile che l’avesse prima mutilata e poi decapitata), e poi si era accanito su McBanner. La fortuna aveva giocato dalla sua parte, facendo in modo che nel negozio non venisse gente.

Nel frattempo, Thomas si era alzato dal corpo di McBanner, e si stava avvicinando a Zayn. Questi, paralizzato dal terrore, andò a finire con la schiena contro uno scaffale, facendo cadere alcune scatole di chiodi e dei cuscinetti a sfera che toccarono il pavimento con un musicale suono metallico: tin-tin-tin!

Mentre si avvicinava, a Zayn sembrò che l’espressione sul volto di Thomas cambiasse: i lineamenti si erano deformati talmente tanto da far assomigliare la sua faccia a quella di un demone. Thomas gli andò talmente vicino, costringendolo ad indietreggiare ulteriormente, fino a che la strada non gli fu sbarrata dal muro che chiudeva la corsia. Thomas gli andò vicinissimo, bloccandolo lì come un topo in trappola. Zayn lo guardò intensamente negli occhi, tremando come una foglia. Nonostante si fosse fatto di cocaina, in cuor suo sapeva di non stare sognando. La cocaina non faceva certi effetti, almeno non su di lui, che di solito vedeva fiori e alieni, non demoni.

Il demone-Thomas sogghignò, mettendo l’indice sulla guancia di Zayn.

Zayn chiuse gli occhi, sudando freddo per la paura. Il dito di Thomas si aguzzò fino a diventare un artiglio, che ferì la guancia di Zayn, facendogliela sanguinare.

- Ringrazia l’inferno che non ho tempo da perdere – mormorò Thomas, allontanandosi velocemente da Zayn, che quando riaprì gli occhi, non lo vide più.

Rimasto solo, Zayn collassò a terra, guardando nel vuoto.

Poche ore dopo, avvertiti da Liam, arrivarono gli sbirri, che lo trovarono seduto nell’angolo dove l’aveva lasciato Thomas, rannicchiato in sé stesso, che guardava fisso il pavimento, visibilmente sconvolto.

Quando poi in serata Liam l’aveva portato a casa, dopo l’interrogatorio alla centrale, Zayn era ancora mezzo catatonico, e quando si era messo a letto con Liam, aveva detto al ragazzo Ho visto il male. Ho visto il male, e il male ha visto me. Stanno arrivando, Liam. Stanno arrivando… e noi siamo tutti morti.

Per tutta risposta, Liam l’aveva stretto dolcemente, cullandolo come un bimbo e carezzandogli i capelli, evitando persino di proporgli un’altra dose di cocaina. Non sapeva che altro fare.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


17.

 

Louis non aveva mai sentito quella città prima d’ora. Anche se si trovava nel Maine, ovvero lo stato più prossimo a quello dove si trovavano ora, era un nome sconosciuto, strano. Rirmor Sadkners. Più che certo che si trattasse di un gioco di parole.

- Non sei tanto lontano dal vero – gli disse Niall, puntando il dito sulla mappa – questo posto non esiste sulle normali cartine, perché è un gioco di parole, come hai appena detto. –

- Cioè? – Louis alzò lo sguardo, incontrando quello di Niall – cosa vorresti dire? –

Sospirando, Niall prese una penna e un foglio, e vi scrisse sopra il nome della città.

- Se tu provi a mescolare le lettere che compongono il nome della città, ottieni la parola Mirror Darkness, cioè lo Specchio delle Tenebre, che è la località fittizia dove ogni romanzo di Jackson ha inizio – Niall batté il dito sul foglio che aveva sotto la mano. – E’ lì che si trova Jackson. –

- Come fai ad esserne così sicuro? –

Come un avvocato esperto che si prepara a mostrare una prova schiacciante ad un tribunale, prese i suoi quattro libri della saga delle tenebre di Jackson e li compose in fila per due davanti agli occhi di Louis.

- Ecco. Componendo le copertine dei libri, viene fuori quello che sembra un buco nero. Ma se noi sovrapponiamo la cartina e il disegno del professor Bean, otteniamo questo. –

Sotto gli occhi di Louis comparve una perfetta cartina del Maine, dove all’estremità nord-orientale c’era un punto, che Niall era sicuro essere Rirmor Sadkners. Si voltò a guardare Niall. Questi alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi. Per un momento Niall sembrò mettere da parte per un momento tutta la loro riunione sul luogo dello scrittore pazzo e Louis ritornò con la mente al motivo vero per cui si trovava là: per fare colazione con lui. E magari…

…in quel momento di silenzio, ripensò ai sentimenti che provava per Niall. Lentamente, senza che Niall se ne accorgesse mentre si guardavano negli occhi, allungò una mano verso il suo collo, tirandolo leggermente a sé.

A quel gesto, Niall s’irrigidì e si ritrasse, allontanando Louis con una mano.

- Che cosa stai facendo? –

- Quello che vuoi anche tu. –

- Chi te l’ha detto che io voglia….? –

- Nessuno. Lo so. –

- No, Louis. Non sai un bel niente. – si alzò dalla poltrona della scrivania e andò alla porta della stanza, aprendola.

- Vai a casa, Louis. –

- C… cosa…? Perché…? –

- Perché ho capito che cosa vuoi. E non è ciò che voglio anch’io. Fuori. – disse, perentorio e tassativo all’indirizzo di Louis che lo guardava come un cucciolo smarrito.

- No, ti… ti sbagli. Vedi, io… -

- Non c’è giustificazione che tenga. Coraggio, esci fuori da casa mia. –

Sentendo che era inutile continuare a ribattere, Louis si alzò dalla poltroncina e andò alla porta, passando accanto a Niall, che guardava in basso. Lo accompagnò fino alla porta, e una volta che Louis fu uscito, la richiuse velocemente.

Sentendosi chiudere la porta dietro di sé, e presagendo che forse non avrebbe mai più rivisto Niall, Louis si sentì pervadere da un sentimento di tristezza profonda, come mai aveva provato prima.

Niall mormorò, alla porta chiusa. Ma non vi fu alcuna risposta.

Sconsolato, girò i tacchi e riprese la strada di casa, con un grande peso sul cuore.

 

*****

 

…Some boys take a beautiful girl
And hide her away from the rest of the world
I want to be the one to walk in the sun
Oh girls they want to have fun
Oh girls just want to have…

 

Come diceva Cindy Lauper, anche Louis aveva preso il suo bellissimo ragazzo, solo che non lo nascondeva agli occhi del mondo. Anzi. Harry era liberissimo di andare dove voleva, tanto a lui non sarebbe importato nulla.

Mentre ascoltava le parole della popolare canzone della Lauper, Louis si rigirava sul grande Pouf di fronte al televisore. Sul ripiano più basso, la sua XBoX 360 lo guardava con quel suo occhio verde, in un disperato tentativo di rianimare il suo padrone.

Coraggio, capo… fatti una bella giocata. Due minuti a sparare a qualche guerriero oppure ad uccidere dei demoni, e ti sarai dimenticato di quello smorfioso di Niall Horan e dei suoi romanzi. A te la letteratura non interessa, quindi perché gli vai dietro? Lascialo perdere, accendimi e goditi la vita.

Ma Louis non riusciva a cedere alla tentazione. Guardava il soffitto con aria affranta, mentre nella sua testa due pensieri lo afflliggevano: il primo, che un ragazzo gli avesse detto di no; il secondo, che quel ragazzo gli avesse detto di no. Louis era innamorato perso di Niall, ed ora se ne stava disteso con la paura di averlo perso per sempre.

Non può essere vero. Non mi è mai successo. Pensò Louis, passandosi una mano tra i capelli. Mentre pensava a qualche possibile tentativo per riavvicinarlo, gli venne in mente che erano ore che non sentiva Harry. A parte i soliti messaggi di ragazzi che volevano riprovare il brivido della prima volta insieme a Louis (che ovviamente non si concedeva mai più di una volta, salvo rarissime eccezioni), il suo cellulare non aveva registrato messaggi di Harry in tutta la giornata. Conoscendo bene Harry, e sapendo che il ragazzo era abbastanza apprensivo anche quando andava a fare shopping con le amiche (soprattutto quando andava a fare shopping con le amiche), non sentendo alcun segnale da parte sua, si preoccupò.

E si preoccupò ancora di più guardando il telegiornale quella sera.

Di solito Louis non guardava mai la televisione, ma quella sera, complice anche la figuraccia rimediata da Niall, per cercare di distrarsi, si mise sul divano e accese il televisore. I suoi erano già andati a dormire da un bel pezzo, godendosi qualche commedia americana o un bel film via cavo, incuranti dei problemi e delle avversità del mondo. Beati loro…

Non aveva un’idea di cosa guardare. Appena accesa, si mise a fare zapping per i canali: una sit-com, un talk-show, un incontro di tennis, pallacanestro, la parodia di un film horror… e un telegiornale.

Il CNN Evening News.

Il faccione truccato di Theodore Robbins stava annunciando le notizie della Pennsylvania.

- …e chiudiamo il servizio salutando i nostri inviati a Pittsburgh, augurando a tutta la  cittadinanza di passare un felice giorno del Ringraziamento. Bene… - il giornalista fece scorrere un po’ di fogli che teneva sottomano - …Non ci sono aggiornamenti per quanto riguarda l’evasione di Thomas Bailey dal penitenziario psichiatrico di Philadelphia; il ragazzo è tuttora latitante e la polizia lo sta cercando in lungo e in largo… -

Sentendo quella notizia, Louis fermò il dito dal premere il tasto del cambio di canale e ascoltò. Un brivido gli corse lungo la schiena.

- …ricordiamo che il ragazzo è evaso questa mattina presto dal penitenziario, è arrivato a Philadelphia e ha rubato un’autovettura bianca da un concessionario. Le telecamere di sorveglianza dei tratti autostradali hanno rilevato che l’auto in questione ha viaggiato fino a New York, dove si ritiene che il ragazzo abbia compiuto una strage in una stazione di servizio… -

Mentre Robbins parlava, immagini di Thomas Bailey e dei servizi successivi al suo arresto che lo vedevano protagonista passavano sul video. Louis si portò una mano alla bocca, tremando. Un brutto presentimento si stava insinuando nella sua testa.

- …Tuttavia, al momento attuale, il ragazzo non è ancora stato rintracciato. Chiunque lo avvistasse, è pregato di chiamare immediatamente il 911. –

Anziché chiamare immediatamente il 911, Louis prese il cellulare e compose velocemente il numero di Harry. Suonava libero, ma lui non rispondeva. Ad un certo punto, qualcuno rispose alla chiamata.

- Casa Styles, parla il detective Elsa Beaumont. –

Sentendo quella voce femminile, Louis si sentì spiazzato per un momento.

- D… detective? – mormorò Louis, ad un volume di voce appena udibile. Dall’altro capo ci fu un secondo di silenzio, poi...

- …Pronto? Chi è? – domandò di nuovo la donna.

- Mi chiamo Louis Tomlinson – disse Louis, meccanicamente – ho bisogno di parlare con il mio… - Louis ci pensò su un secondo. Stava per dire “ragazzo”, ma si frenò bruscamente. - …amico. Dov’è? –

- E’ quello che vorremmo sapere anche noi, signor Tomlinson – rispose secca la detective.

- Come…? Che vuol dire? –

- Senta – gli disse la donna – Mi dispiace doverle dare questa notizia tramite un cellulare, ma purtroppo… il suo amico è scomparso. –

Quell’aggettivo gli piombò dal cielo sulla testa come un’incudine di tre quintali. Cosa voleva dire scomparso? E dove era scomparso? Cercò di mantenere la calma, ma in quel momento gli riuscì veramente difficile: si sentiva la stanza girargli attorno e il terreno inghiottirlo.

- C…come, scomparso…? –

- Mi dispiace – ripeté la donna – Forse sarà il caso che facciamo quattro chiacchiere appena possibile, signor Tomlinson. Se vuole lasciarmi il suo num…. –

Meccanicamente, senza stare a pensarci troppo su, Louis chiuse la chiamata e si mise le mani in grembo. Harry era scomparso. Scomparso, chissà dove. Nella sua mente iniziarono a sfilare tutti gli scenari più foschi, ovvero che fosse stato rapito, che fosse scappato, che fosse stato ammazzato.

È stato lui a rapirlo. È stato lui. Lui. Thomas.

Come lo sai?

Lo so e basta.

Lo so e basta.

Lo so e basta…

- Aiuto. – disse Louis, alzandosi dal divano. Guardò l’orologio, erano appena le dieci meno dieci. – Devo fare qualcosa. –

Velocemente arraffò le chiavi dell’auto e l’aprì, saltandoci dentro. Infilò la chiave nel quadro d’accensione e…

- Ahhh!!! –

Nello specchietto retrovisore, vide l’ombra di una creatura malvagia. Sembrava un demone alato, o un diavolo, o qualcosa di simile. Urlò, per la paura tirò su il piede dalla frizione di scatto mentre la marcia era inserita e provocò il balzo in avanti della vettura con conseguente spegnimento del motore. L’auto urtò contro il portone del garage, ammaccandosi leggermente il paraurti. Louis guardò indietro, e vide che era solo. Non c’era nessun demone lì con lui, ma quel che era certo era che stava provando paura.

Paura per Harry.

Paura per lui.

Ma soprattutto… paura per Niall.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


18.

 

Alcune ore prima…

Campare con i soldi degli altri è difficilissimo, a meno di non essere molto furbi o di non vivere in Italia, dove chi campa coi soldi degli altri è quasi sempre legalizzato. Questo lo sapeva benissimo Barbara-Anne Saint-George per tutti conosciuta come la Maga della Fiamma: una formosa donna afroamericana che vestiva sempre con lunghi e coloratissimi abiti e portava al collo collane d’oro con pendenti dai colori sgargianti. A chi gliel’avesse chiesto, lei avrebbe risposto che erano preziosissimi amuleti magici, salvo poi scoprire che erano solo volgari pezzi di bigiotteria acquistabili in un qualunque negozio di chincaglierie nell’estrema periferia della città (poco lontano da dove abitava Niall).

Ad ogni suo cliente (per lo più donne che erano state piantate dal marito, o uomini che avevano perso ogni speranza nella vita) che la visitava per un consulto astrologico, sfuggiva sempre che la maga, nonostante la pelle scura, viveva in un appartamento a metà tra il lussuoso ed il borghese nel centro di New York, ad appena un piano sotto un importante studio legale, tutto il contrario di un antro magico in cui si prediceva il presente e il futuro delle persone. Comunque fosse, Barbara-Anne apriva ogni suo consulto con una garanzia: che lei aveva i poteri. Poteri divinatori ereditati da una sua bisnonna, la quale fin da piccola le aveva insegnato la magica arte di vedere nelle vite umane, e capire cosa il futuro riservasse loro. Adesso che era morta, diceva, le appariva in sogno costantemente, per indicarle sempre la via giusta da seguire.

Ecco, se quel giorno la cara nonna le fosse apparsa in sogno, le avrebbe sicuramente detto di stare attenta ai demoni.

 

*****

 

Come ogni mattina, l’ascensore aveva trillato al ventottesimo piano, dove la maga abitava e dispensava consulti magici. Non potendo contare sull’aiuto di nessuno (meglio soli che male accompagnati), andava ogni mattina a fare la spesa da sola, e anche quella mattina era uscita dall’ascensore con i sacchi della spesa, uno per mano, stando bene attenta a non far cadere le uova posate in alto nelle buste.

Sbuffando, si apprestò a percorrere il lungo corridoio che separava l’entrata dell’ascensore dal suo appartamento. Il corridoio era silenzioso come al solito, eccetto quel solito rompiscatole di Piquels, l’inquilino dell’appartamento 2857, che aveva la pessima abitudine di tenere troppo alto il volume del televisore.

- Ti si possano seccare le palle, Piquels – borbottò la donna, trascinandosi a fatica nei suoi settant’anni, quando all’improvviso udì il rumore di qualcosa che cadeva.

Secco come una fucilata, il rumore di un vaso che s’infrangeva al suolo.

Si voltò di scatto, cercando di capire da dove provenisse la fonte del rumore. Udì altri rumori di seguito, compreso un grido di ragazza (o era un ragazzo?) gli sovvenne che poteva essere stato il figlio degli Styles (nell’archivio mentale della donna erano una brava famiglia, la signora Styles più di una volta si era rivolta alla vecchia afroamericana per farsi predire il futuro – Potrebbe dirmi che cosa mi riserva la mia vita… ehm… amorosa… sentimentale… sessuale? Sa, sono sposata con mio marito da vent’anni, ma dopo la nascita di nostro figlio Harry, non mi tocca più con un dito. In quell’occasione Barbara-Anne aveva evitato accuratamente di rispondere Rebecca, mia splendente sirena in questa cupa città, forse tuo marito ha paura di metterti incinta e quindi di generare un ragazzo che sembra una ragazza come il piccolo Harry, e le aveva predetto il futuro), quel ragazzo diciottenne che si comportava come una ragazzina. In più di un’occasione aveva visto il suo partner, li aveva incontrati in ascensore e aveva scambiato quattro chiacchiere, e la prima cosa che pensò fu che forse i due piccioncini stavano litigando in casa Styles.

- Aiuto! – l’invocazione giunse alle orecchie della Brown ovattata, piuttosto confusa. Se Piquels avesse abbassato un po’ l’audio, forse avrebbe sentito meglio. Pur senza avere la stoffa dell’eroina, Anna si precipitò in quella direzione, salvo poi pentirsene quando giunse nel corridoio attiguo, quello dove c’era l’appartamento Styles.

Lì, fuori dalla porta, vide un ragazzo che teneva il giovane Harry su una spalla. Sembrava molto forzuto, data la disinvoltura con cui si muoveva con il ragazzo sulle spalle. Gli sembrò anche di riconoscerlo, ma non riusciva a capire chi…

Nel momento in cui Barbara-Anne cercava di ricordarsi dove avesse già visto quel ragazzo, questi aprì la bocca e mostrò due file di denti aguzzi.

- Mi aiuti, signora Saint-George! La prego!!! – il figlio degli Styles strillava come una ragazzina, sbattendo le gambe e dimenando le braccia come un pesce catturato. Nonostante la vecchiaia, la donna non era certo scema, come non lo erano gli altri inquilini che non avevano aperto nemmeno una porta per vedere che cosa stava succedendo alle invocazioni d’aiuto, così lasciò cadere le buste della spesa e fuggì a gambe levate verso il corridoio.

Ruggendo, quell’essere che sembrava un ragazzo le andò dietro, saltando a grandi passi per il corridoio. Davanti a lui, la grassa e nera signora camminava a grandi falcate cercando di sfuggire, urlando in preda al panico. Per grazia ricevuta riuscì a guadagnare la porta del suo appartamento, ma non avendo le chiavi a portata di mano, girò la maniglia a vuoto.

- Aiuto! Aiuto!!!! – strillò la donna, e questa volta una porta si aprì. Era la porta dei suoi vicini, i Bavaresco, una famiglia italiana il cui signor Giovanni era un dirigente d’azienda. Ignorando la bambina che aveva aperto la porta, la donna entrò di forza nell’appartamento, richiudendo frettolosamente la porta.

Frattanto, Harry continuava a strillare, ma purtroppo per lui il demone fu più lesto: spiccò un balzo e ruppe con la testa la finestra che dava all’esterno, saltando fuori. Harry urlò di terrore mentre veniva rapito dal demone, che in un attimo balzò su un’auto lì parcheggiata.

- Thomas…. Che cosa… che cosa sei diventato?!? – piagnucolò Harry.

Senza degnarlo di uno sguardo, il demone-Thomas lo tramortì con un colpo alla testa, e per Harry scese il buio.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


19.

 

 

Dopo una lunga giornata passata chiuso in camera, con i suoi genitori preoccupati perché non voleva venire fuori, Niall decise che sarebbe partito da solo alla volta di Rirmor Sadkners. L’idea lo spaventava, ma era l’unico modo di far luce su quanto stava succedendo, e non da ultimo per fargli passare quelle strane visioni che stava avendo, e chiarire quella sua posizione di “Prescelto”. Benché ne fosse tentato, evitò accuratamente di richiamare Louis. Il ragazzo si era comportato in maniera troppo impulsiva quel mattino, e Niall non aveva alcuna intenzione di avere tra i piedi un lussurioso che bramava solo di portarselo a letto.

A letto… già. Da quanto tempo era che Niall non aveva un rapporto decente? Un anno? Forse due? Non se lo ricordava. E dire che le occasioni non gli mancavano, ma a differenza di molti suoi amici, non voleva bruciarsi prima dei trent’anni, così aveva scelto la letteratura coadiuvante di un ascetismo sessuale in attesa di tempi migliori, o in alternativa di un ragazzo che lo amasse per ciò che era. Tra la cerchia di fan di Jackson di cui faceva parte su Facebook non ce n’era uno accettabile. Tutti troppo Nerd o troppo ossessionati dalla letteratura del Maestro per perder tempo a conoscere altra gente. D’accordo, e allora, chi rimaneva? A quanto pareva, soltanto Louis.

Ma scherziamo? È solo un playboy, uno che usa i ragazzi e poi li abbandona. Che sta con Harry solo perché non riesce a lasciarlo.

La voce che gli aveva parlato mentre preparava una sacca piena di abiti comodi era la sua coscienza moralista. Mise una felpa nella sacca e si sedette sul letto, guardando un punto nel vuoto.

D’accordo, questo è ciò che viene in mente appena apre bocca per parlare. Ma potrebbe non essere la verità. Magari Louis è solo un ragazzo che non riesce a trovare il suo posto nel mondo, e di conseguenza si comporta come un playboy e si sfoga in quel modo. Magari non è riuscito a trovare il ragazzo giusto.

- E dovrei per forza essere io? – mormorò Niall, nel silenzio della stanza e della casa dove i genitori stavano già dormendo da ore.

Non se non lo vuoi - rispose la sua voce interiore – Non lo vuoi?

- Bè… - Niall si morse un labbro. La domanda l’aveva lasciato spiazzato, e se l’era fatta lui stesso.

All’improvviso udì il rumore di un motore che si avvicinava, un’auto che frenava in tutta fretta e poi si spegneva. Andò alla finestra, e dall’alto del primo piano dove la sua cameretta si trovava, vide Louis, dall’altro lato della strada, che scendeva dall’auto e correva a grandi passi verso casa sua.

- Ancora lui… - Niall sbuffò, pensando che ora avrebbe voluto suonare il campanello. Velocemente corse alla porta d’ingresso, solo per scongiurare il pericolo che potesse svegliare i suoi genitori.

 

*****

 

Louis non fece in tempo nemmeno a sollevare il pugno contro la porta. Niall gliela aprì prima che potesse mettere in atto i suoi disturbatori propositi. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Louis, Niall cambiò un po’ la sua opinione che aveva del ragazzo: in quel momento non sembrava il Louis Tomlinson che aveva conosciuto qualche giorno prima. Sembrava un ragazzo terrorizzato che aveva appena smarrito una persona a lui cara.

- Che succede? – domandò Niall, senza nemmeno prendersi la briga di rimproverarlo per essere lì a quell’ora.

- H… Harry… - disse Louis, continuando a tenere gli occhi fissi in quelli di Niall – Thomas lo ha rapito. –

- Che… che cosa…? – Niall era sconvolto, la mascella che quasi toccava terra dallo stupore. – Come… come lo sai? –

- Lo so e basta. – replicò secco Louis – Dobbiamo assolutamente andare in quel posto che hai menzionato stamani. –

- Rirmor Sadkners. – scandì lentamente Niall, gli occhi persi nel vuoto. Se aveva avuto l’intenzione di accantonare l’idea di andare a cercare il folle scrittore Jackson, adesso quell’idea era definitivamente morta. Doveva andarci per forza, Harry era in pericolo.

- Già. Dobbiamo fare presto. –

- Con cosa vorresti andare? –

- Con la mia auto. Prendi le tue cose, ci arriveremo in un modo o nell’altro. E… -

- Sì…? –

- …I tuoi hanno una pistola? – domandò Louis. Adesso sembrava un comandante che dava istruzioni ad un suo soldato. Niall annuì lentamente, pensando alla Beretta M92FS che suo padre aveva acquistato dopo che un ladro aveva tentato di entrare in casa loro.

- Bene – disse Louis – Prendi anche quella. – poi aggiunse – …E speriamo di non doverla usare. –

Visibilmente scosso, Niall non perse altro tempo e andò in casa a prendere le sue cose.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


20.

 

 

Data la loro scarsa cultura di film d’azione e di spionaggio, Louis e Niall non avrebbero mai immaginato che mentre erano sulla soglia a parlare, ci potesse essere qualcuno che stava ascoltando tutta la loro conversazione.

Con le mani che tenevano stretta la corona del volante, e gli occhi che non perdevano di vista un secondo la Ford grigia di Louis, Elsa Beaumont stava costruendo le migliori ipotesi di rapimento degne di un film di Alfred Hitchcock. L’errore principale l’aveva fatto Louis: nel chiamare (naturalmente) Harry, non aveva nascosto il suo numero di cellulare. Così, quando la detective aveva risposto, era apparso il numero, e dopo che Louis ebbe riappeso, la detective si era andata a cercare di chi fosse quel numero. Non le era costato troppa fatica, era bastato fare la telefonata giusta all’aggancio giusto (come si sarebbe vantato di fare Louis) e in pochi minuti aveva ottenuto indirizzo e nome del suo interlocutore. Anche se Louis era uscito subito di casa, non le era stato difficile rintracciare la sua auto nei pressi dei quartieri di periferia (era l’unica messa un po’ meglio delle altre), così si era messa a tallonarlo ed aveva avuto la fortuna di assistere a tutta la conversazione e alla partenza dei due.

La Ford grigia imboccò l’autostrada. Direzione Nord-Est, Connecticut.

Dove cazzo volete andare, giovanotti? Pensò la Beaumont, mentre guardava il display sulla strumentazione per vedere se c’era abbastanza benzina. L’ago segnava serbatoio pieno – Ringrazio dio di avermi donato la provvidenza per tenere sempre il serbatoio pieno e l’acume di andare a ficcare il naso dove non dovrei – si complimentò con sé stessa, e si tastò il fianco destro per vedere se aveva la pistola. L’arma era lì al suo posto, e lei si sentì più rassicurata. Se c’era da fare casino, era pronta.

E in effetti il casino ci sarebbe stato. Solo che Elsa non poteva immaginare quanto grande fosse.

 

*****

 

- Va bene da questa parte? – domando Louis senza rivolgere il suo sguardo a Niall, troppo impegnato a guardare la strada.

- Vai verso il Maine. È lì che troveremo Rirmor Sadkners. –

Se veramente esiste, pensò Louis, alzando le sopracciglia per evitare di dirlo a Niall. Mentre guidava, guardava la strada senza parlare. Quanto era accaduto era troppo assurdo anche per lui. Nemmeno lui sapeva come, ma sapeva che Thomas era coinvolto. Lo sapeva con quell’intima certezza che si ha quando il tuo ragazzo ti sta tradendo. Non che fosse necessario né vitale andare a salvarlo, ma Harry era pur sempre il suo ragazzo, e anche se non provava appieno i sentimenti canonici di un ragazzo innamorato, Louis non voleva perderlo. Lanciò uno sguardo a Niall.

- Da quanto tempo leggi Jackson? – gli domandò.

- Cinque anni. –

- Come l’hai scoperto? –

Niall si morse un labbro, prima di rispondere. Spesso le persone trovano una passione naturalmente, così come l’aria che respirano. Per Louis invece era stato diverso.

- Avevo… - si fermò, come se volesse riformulare la frase. - …No, forse è meglio che non… -

- Coraggio – lo incitò Louis, mettendogli delicatamente una mano sulla sua, che stazionava sul ginocchio. – Raccontami, ti prego. –

Niall sospirò. – A quei tempi avevo problemi di socializzazione. Sai, i problemi che hanno gli adolescenti a quel punto della loro vita. Hai presente? –

 - Ho presente – mormorò Louis, benché lui di quel genere di problemi non ne aveva mai sofferto in vita sua, sempre attorniato da ragazze fin dall’infanzia e poi da ragazzi quando aveva scoperto il suo vero orientamento sessuale. Casomai aveva problemi opposti, ma non voleva distruggere un probabile ponte che si sarebbe potuto creare con Niall.

- Be’ – proseguì il ragazzo seduto sul sedile passeggero – Da ragazzino ero molto solo. Non riuscivo ad andare d’accordo con nessuno, me ne stavo sempre per conto mio. – Fece una risatina nervosa – …non che adesso sia diverso, ma sono un po’ migliorato. –

- E allora…? –

- Allora… nei miei momenti di solitudine, mi rifugiavo nella lettura. Avevo pile alte così di libri, e li leggevo avidamente. Li leggevo perché nulla mi soddisfaceva. Finché… -

- Finché…? – Louis continuava a guardare la strada, ma ascoltava attentamente le parole di Niall.

Guardando la strada anch’egli, Niall non si accorse che i suoi occhi erano diventati sognanti.

- …Un giorno non andai in libreria. Mi incamminavo tra gli scaffali, senza trovare ciò che cercavo. Ormai avevo letto tutto o quasi, non riuscivo a trovare nulla che mi soddisfacesse. In più… era appena finita la mia prima storia d’amore con un ragazzo. Ero distrutto. –

Louis guidava ascoltando le parole di Niall. Forse era solo un’impressione, ma sembravano cariche di dolore. L’aria era carica di tensione come un giorno grigio che minacciava pioggia.

- …In uno dei corridoi della libreria, mi imbattei nella sezione fantasy. Venite con me nel mondo delle tenebre. Fu quella la frase che mi attirò di più, nel mio momento di sconforto. Quella frase era la frase di un banchetto di libri di uno scrittore esordiente, Howard P. Jackson. Appena presi in mano uno dei suoi libri, mi sentii preso da una vertigine. Iniziai a leggerlo, e mi prese fin dalle prime parole. Fu come un amore a prima vista. – girò lo sguardo verso Louis - …Forse mi prenderai per un matto. –

- Assolutamente no – rispose Louis, scuotendo la testa. Si fermò ad un semaforo, e offrì a Niall una vista dei suoi occhi chiari – Non penso tu sia pazzo. Nessuno meglio di me sa che cosa voglia dire la parola “amore a prima vista”. – disse, e gli fece l’occhiolino.

Niall distolse lo sguardo, troppo impegnato a ricordare per replicargli – Lessi tutti i suoi libri, mi presero dal primo all’ultimo. E finché non ne usciva uno nuovo, io leggevo e rileggevo quelli che già avevo. Desideravo conoscerlo, desideravo incontrarlo. Desideravo essere uno dei suoi personaggi. –

La mano di Louis era ancora sulla leva del cambio della Ford quando il ragazzo ebbe un sussulto spaventoso. Gli si drizzarono i peli sulla testa, e il suo corpo fu scosso da un brivido di freddo lungo la schiena. La confessione di Niall, per qualche strana, inspiegabile ragione, lo agghiacciò. Con il suo sussulto per poco non sollevò il piede dalla frizione, mandando a spegnere il motore dell’auto, ma ripartì tranquillamente una volta che il semaforo mostrò la luminosa luce verde.

Intorno a loro, c’era tanto traffico in uscita da New York, tante auto che si dirigevano in ogni dove. Louis si sentiva stanco e visibilmente provato, soprattutto in pensiero per Harry. La confessione di Niall era stata poi il colpo di grazia per i suoi nervi già scossi. Se Niall voleva diventare un personaggio dei romanzi di quel folle, che cosa cazzo significavano lui e Harry in tutta questa storia? Perché proprio lui? Louis non seppe dare risposta a questi suoi interrogativi, e quasi telepaticamente, con una voce metallica degna di un delirante, Niall mormorò – Jackson. Ha mandato lui Thomas a prendere Harry. –

Louis continuò a restare concentrato sulla guida. Dopo un intervallo di tre minuti, nel quale pensò a tutte le possibili domande da evitare, rispose semplicemente - Perché? –

- Per assicurarsi che io andassi da lui. – rispose meccanicamente Niall, senza battere ciglio. A Louis sembrò che il ragazzo si fosse improvvisamente trasformato in un automa, incapace di intendere e di volere, ma solo di fornire risposte preconfezionate da chi l’aveva programmato.

Senza dare il tempo a Louis di fare un’altra domanda, Niall annunciò – Stiamo andando là dove tutto avrà inizio. Dove tutto incomincerà. –

Poi chiuse gli occhi, appoggiò la testa al poggiatesta del sedile e si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


21.

 

 

Dove tutto ha inizio…

Il brusio confuso di una folla di persone, unito alla musica di un’orchestrina, attirarono Niall verso un corridoio di un posto a lui sconosciuto. A giudicare dalla volta alta e dai lampadari che pendevano dal soffitto, si trovava in un castello. Alle pareti erano appesi grossi arazzi e quadri di ogni genere, per lo più scene raffiguranti battaglie, sacrifici o pestilenze. Andando più avanti, la luce aumentava sempre di più, e con essa salivano di volume la musica dell’orchestrina e le voci della folla. Voci educate, un brusio quasi sommesso. Niall avanzò in quella direzione, e si trovò di fronte ad una grossa porta a vetri a doppio battente, dietro la quale la musica era più forte e anche il brusio.

Posò la mano sulla maniglia del portone, l’abbassò e spinse.

C’era un grande salone dove si stava svolgendo un ballo di gran classe. Dame e damigelle, accompagnate dai rispettivi cavalieri, danzavano al ritmo di un valzer suonato dall’orchestrina in fondo alla sala, un ensemble di cinque elementi, quattro violini e due violoncelli, che chissà come, a Niall ricordarono la scena finale del film Titanic. Fece per scendere gli scalini che conducevano alla sala, con una sicurezza che non aveva immaginato di avere. Nessuno dei presenti badò a lui, tranne un ragazzo, che gli si avvicinò e s’inchinò riverente.

- B… Brandon? –

- Niall – disse il ragazzo inchinandosi e sfiorandogli la mano con le labbra – Permetti questo ballo? –

Sto sognando. È evidente che sto sognando, pensò Niall, guardando il protagonista dei suoi romanzi preferiti che gli chiedeva di danzare. Tutto ciò non poteva essere vero, o meglio lo era o lo era stato…

…ricordi confusi si affacciarono nella mente di Niall, che aveva come l’impressione che tutto quello che stava accadendo fosse in realtà già accaduto.

O sarebbe accaduto in futuro.

- S…sì. – rispose titubante Niall, mentre Brandon gli prendeva la mano e lo invitava a ballare – Ma… io non sono una damigella. –

- Veramente, qui non importa a nessuno – ribatté Brandon con un sorriso ampio. A Niall quel sorriso ricordò quello di Louis.

A dispetto di come lo descrivesse Jackson, Brandon ballava divinamente. volteggiarono tra gli altri ballerini, con una maestria che aveva del soprannaturale. Guidato da Brandon, Niall ebbe l’impressione addirittura di volare. Danzare con lui era semplicemente bellissimo, e chissà come mai, si sentiva stranamente bene.

- Lo so che ti senti bene – disse ad un certo punto Brandon – Qui sei a casa. –

- Cosa…? – la sensazione di benessere che aveva avuto si dissolse in un secondo nel sentire quell’affermazione – Che vuoi dire? –

Brandon fece un sorrisetto sardonico – Quello che ho detto. Che sei a casa. –

Frattanto, gli altri ballerini si erano fatti da parte per lasciar ballare i due ragazzi. Il salone era tutto per loro, e mentre volteggiavano, Niall ebbe l’impressione di non riuscire più a muovere il suo corpo. Si guardò intorno, e tra gli invitati vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.

Tra gli invitati c’erano molte delle persone che conosceva. In fondo alla sala vide Johnny, che seduto su uno sgabello, suonava il violino; Accanto a Thomas Bailey, c’era Harry Styles. Si tenevano per mano e si baciavano dolcemente, lanciandosi sguardi sensuali. Poco più in là, vestito come un generale di chissà quale esercito, c’era Ben Ridgewick in alta uniforme, uno strano completo nero che esibiva una sciabola appesa al fianco destro; Insieme ad un uomo, c’era quella donna, la prima segretaria della Pendragon Press, Dhalia Claiborne, che lo guardava applaudendo e mostrando un sorriso che in breve si trasformò in quello di un demone. Guardò anche gli altri che aveva visto prima. Johnny, Ben, tutti gli invitati si erano trasformati in demoni.

Lentamente si girò verso Brandon, solo che non era più Brandon.

Era Louis.

Louis, che gli sorrideva e che lo faceva volteggiare serenamente. In quell’istante Niall lo guardò negli occhi, con uno sguardo da cucciolo impaurito.

- Sei a casa, Niall. Siamo a casa. Non avere paura. – il tono della sua voce era dolce, suadente. Niall si perse negli occhi chiari di Louis, fino a che questi non li chiuse e avvicinò le sue labbra.

Lo baciò dolcemente, mentre Niall teneva gli occhi aperti, spaventato e tranquillo allo stesso tempo. Gli invitati avevano iniziato ad applaudire. Con la coda dell’occhio, Niall vide una persona che applaudiva, ma che non era un demone come tutti gli altri. Era in leggera penombra, seminascosto da uno dei pesanti tendaggi rossi.

A Niall bastò un’occhiata per capire chi era.

Era Jackson.

E sogghignava.

 

*****

 

Mentre Niall dormiva beato sul sedile accanto, Louis continuava a guidare. L’orario canonico del suo sonno era passato da un pezzo, ed il suo orologio biologico aveva iniziato a dare segnali di squilibrio già da un pezzo: appena giunto nel Maine, dopo cinque ore di viaggio ininterrotto, i suoi occhi stavano incominciando a chiudersi. Più d’una volta si sorprese a riaprire gli occhi di scatto quando li aveva già chiusi sulla strada, e più di una volta aveva rischiato di finire fuori strada. Non potendo continuare a guidare in quelle condizioni, decise di fermarsi. Azionò l’indicatore di direzione verso la prima stazione di servizio aperta, rallentò e imboccò il vialetto d’ingresso.

Al di là del parabrezza, gli si presentò l’immagine del negozietto con alcune persone all’interno, un’anziana signora che serviva caffè al bar annesso, qualche cliente che consumava seduto ai tavoli e… un telefono.

Si fermò di fianco alla pompa di benzina (senza notare l’auto della detective Elsa Beaumont che si fermava poco più in là, nel parcheggio), scese e rifornì il serbatoio.

Niall dormiva ancora.

Quando entrò nel bar, la porta tintinnò. Qualche avventore si girò a guardarlo con occhio torvo, ma lui non ci badò più che tanto. Si rivolse alla cameriera al di là del banco.

- Buonasera. – disse Louis, sorridendo.

- Buongiorno. Sono quasi le quattro del mattino – gli rispose la donna, continuando a strofinare il banco dai residui dei bicchieri di birra. Un avventore lì vicino ridacchiò con una grassa risata, e Louis si domandò cos’avesse avuto da ridere tanto. Puzzava di birra, dunque doveva essere ubriaco marcio.

- Posso usare il telefono? –

- E’ un telefono pubblico, bello. Puoi usarlo anche se non fai una consumazione, basta che tu abbia un quarto di dollaro. – La donna gli sorrise con quel sorriso anziano, mostrando una fila di denti giallognoli sporcati dal rossetto. Altra grassa risata da parte dell’ubriacone.

- Okay. La ringrazio. – rispose Niall, avviandosi verso la pensilina del telefono pubblico.

Compose il numero di casa sua. Squillò una… due… tre volte fino a che non partì la segreteria telefonica.

La voce di suo padre scandì lentamente: - Segreteria telefonica della famiglia Tomlinson. Siamo momentaneamente assenti. Lasciate un messaggio con vostro nome e numero di telefono dopo il segnale acustico e vi richiameremo prima possibile. –

Biiiip.

Raccogliendo le idee in testa, Louis parlò.

- Papà, Mamma, sono Louis. Domani non sarò a casa, sono impegnato ad aiutare… - ci pensò su, poi disse - …Un amico in difficoltà. Non preoccupatevi, tornerò presto. Un bacio a mamma, un abbraccio a papà. –

Dopodiché riagganciò sospirando. Nella sala intanto, avevano acceso un televisore. Il mezzobusto della CNN questa volta era Patrick DeLesseps.

- …Ancora nessuna notizia dai rapitori del giovane Harry Styles, il diciottenne rapito a New York. La polizia indaga a 360 gradi, ma per ora sembrano non esserci sviluppi sul caso. Continueremo a tenervi aggiornati in merito. Passiamo ora alla politica interna… -

Louis sospirò, scuotendo la testa. Lui sapeva chi aveva rapito Harry, ma non poteva assolutamente dire nulla alla polizia. Primo, perché non gli avrebbero creduto. Secondo, perché non ce l’avrebbero fatta. Terzo, perché il rapimento di Harry era qualcosa che aveva a che fare con Niall e solo con lui. In cuor suo sapeva che chiunque avesse tentato di interferire, sarebbe finito male, molto male. C’erano forze oscure che manipolavano quell’affare, ma questo ovviamente non poteva saperlo nessuno.

Nemmeno Elsa Beaumont, che si era nascosta dietro la porta del bagno per origliare la conversazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


22.

 

 

Prima di rimettersi in viaggio, dopo la telefonata alla segreteria telefonica di casa sua, Louis aveva preso una borraccia di caffè al bar, giusto in caso. Niall dormiva ancora sul sedile passeggero (a Louis sembrava incredibile come il ragazzo riuscisse a dormire così tanto), mentre Louis continuava a guidare. Andando avanti sull’autostrada, le auto si diradavano sempre di più. L’ultima che aveva visto era stata una Hyundai di colore verde con la targa della California, mentre c’era un’altra auto (una Subaru blu notte targata – curiosamente- New York) che continuava a ricorrere. Louis la vedeva sorpassare e scomparire, per poi ritrovarsela di nuovo dietro pochi minuti dopo. Gli sembrava strano, ma non riusciva a capire. Tuttavia, continuò il suo viaggio.

Fuori, la notte era scura e densa, quasi infinita. Louis guardò l’orologio della strumentazione e sgranò gli occhi.

Erano quasi le sette del mattino.

Ma allora perché il sole non sorgeva?

 

*****

 

Le sette del mattino. Ma perché il sole non sorge?

Lo stesso pensiero lo ebbe Elsa Beaumont guardando l’orologio sul display del suo BlackBerry.

Più per paura che per rispettare il protocollo, attivò il viva voce della sua auto per fare una telefonata alla centrale.

- Polizia di New York, Capo Jack Fielding. –

- Fielding – disse la donna – Sono io, Elsa. –

- Elsa? – la voce dell’uomo era più che sorpresa – Dove ti eri cacciata? Qui in centrale ti davamo per dispersa! –

- Sto seguendo una pista. – rispose la detective.

- Cosa? –

- Il rapimento del giovane Styles. Forse ho beccato due che sono coinvolti. Due suoi amici. Li sto seguendo da ieri sera. –

- Oh cazzo, Elsa. – mormorò l’uomo, esasperato. Elsa immaginò che stesse tenendo la cornetta con la mano destra e si stesse tastando l’ampia fronte afroamericana con la sinistra – Ti avevano detto di non fare sempre di testa tua. Se adesso finisci nei guai, hai idea che potresti essere licenziata…? –

- Ti sto chiamando per questo motivo. Appena ti richiamo, mandami dei rinforzi. In questo momento sto percorrendo l’autostrada… -

Non riuscì a terminare la frase, in quanto la linea cadde improvvisamente. Insieme con la linea, sembrarono cadere anche le luci dei fari dell’auto. Impulsivamente, Elsa mollò l’acceleratore, sentì il motore che scendeva di giri, ma l’auto non si fermò. Provò a frenare dolcemente, ma niente da fare. Il veicolo continuava ad andare, spinto da una strana forza. Spaventata, Elsa mise le mani sul volante, continuando a tenere gli occhi sulla strumentazione, senza capire cosa stesse succedendo. Quando alzò gli occhi, fuori era calata una coltre impenetrabile di nebbia.

 

*****

 

Prima della Beaumont, che a sua insaputa li stava seguendo, ad essere avvolto dalla nebbia fitta era stato Louis.

Anche la sua auto si era comportata analogamente a quella della Beaumont, continuando ad andare nonostante dovesse essere teoricamente ferma. In quel frangente, Louis fu colto dal panico. Come una donna impaurita che non sa bene che cosa fare, si mise a fare di tutto: pigiò il pedale del freno, spense il motore, sterzò bruscamente prima a destra e poi a sinistra, ingranò la retromarcia, ma nulla. L’auto non rispondeva ai comandi.

Quando guardò fuori dal finestrino. Gli sembrò di vedere delle luci. Solo che… c’era qualcosa che non quadrava.

Le luci erano troppo in basso e troppo in lontananza. Dunque…

Stiamo volando. Oh cazzo, quest’auto sta volando!

Giunto a questa brillante deduzione, Louis si lasciò andare, aspettando che succedesse qualcosa.

Effettivamente, qualcosa successe. Nella nebbia gli sembrò di vedere delle persone. Persone che camminavano, come in una grande fiera. Mentre l’auto passava attraverso, lui le guardò, una ad una. I volti di questi individui nella folla erano emaciati e spettrali, quasi cadaverici. Come ricordandosi di una cosa importantissima, Louis chiuse le portiere dall’interno dell’auto, tenendo le mani strette sul volante e respirando affannosamente. Accanto a lui, Niall continuava a dormire.

Poco dopo, venne altra gente. Fuori dal parabrezza sfilarono persone distinte in abiti settecenteschi, che danzavano come in un grande ballo. Erano tutti mascherati con delle maschere nere come la notte, facendo apparire le teste senza volto.

Ma che cosa… Che cosa diavolo…?

E di nuovo le visioni scomparvero. A quel punto, fuori dal parabrezza s’illuminò qualcosa. Una luce. Piccola piccola in lontananza, che s’ingrandiva man mano che l’auto procedeva.

L’uscita! Finalmente!

Confortato da questo pensiero, Louis pigiò l’acceleratore, e l’auto si mosse.

 

*****

 

Pochi secondi dopo l’auto era fuori, che usciva da un ponte coperto. Louis guardò fuori, una bella giornata di sole con pochissime nuvole, tipicamente autunnale. La strada era un lungo viale di cipressi ingialliti, che conduceva a quello che sembrava un piccolo centro abitato.

- Che ore sono…? – mormorò Niall, svegliandosi. Louis trasalì, lo guardò e rispose – Le sette. – disse, poi ci pensò su. – Credo – Aggiunse.

- Dove siamo? –

Louis si guardò intorno. Fermò l’auto, in cerca di un cartello.

Lo trovò.

 

BENVENUTI A

RIRMOR SADKNERS

(Maine, ME)

 

- Siamo Arrivati – disse soltanto Louis. Niall si stiracchiò, poi guardò Louis negli occhi.

- Bene. –

- Sai già cosa fare? – domando Louis.

- Te lo dico dopo. Intanto andiamo a cercare una stanza. –

Senza ribattere, Louis ripartì, diretto verso la città.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


23.

 

 

Rirmor Sadkners. Una città, un mistero.

Delle sue nozioni di geografia a scuola, Louis non conservava molto nella sua memoria, ma non ricordava di aver mai sentito una città del genere. Ovvio, perché la città non esisteva su nessuna cartina. Esisteva solo nella fantasia di quello scrittore perverso di nome Howard P. Jackson, e forse anche in quella di Niall Horan, che era riuscito a trovare la chiave per raggiungerla.

Che la città avesse qualcosa che non andava era chiaro, ma a parte una leggera sensazione di disagio che Louis provava da quando erano arrivati, c’era veramente da prendersi dei brividi di freddo.

La città si apriva con un lungo viale principale, intersecato da stradine ad ogni angolo, quasi una scacchiera. In fondo al viale, alla sommità di una collina, sorgeva una costruzione scura, che ricordava molto una struttura istituzionale (forse il municipio, pensò Louis), con delle scale e un colonnato, a sembrare una specie di tempio. Tutto intorno al viale c’erano le abitazioni: casette in legno con giardino annesso, all’apparenza tutte uguali, ma differenziate da dettagli sostanziali. I garage erano tutti chiusi, e non c’erano altre auto in giro. A ben pensarci, non c’era proprio nessuno, in giro.

Louis ebbe un brivido di freddo. Accanto a lui, Niall studiava la città, con sguardo quasi ammirato. A vederlo così, la sgradevole sensazione di disagio che Louis ebbe avuto la sera prima, s’intensificò, ma cercò di tenerla a bada. Almeno fino a che Niall teneva la pistola nella borsa.

- Vedi un motel, qui intorno? –

- Dovrebbe essercene uno più in là, oltre quella casa. –

- Come fai ad esserne così sicuro? –

Niall si girò e gli lanciò un’occhiata raggelante. Lo so e basta, dicevano quegli occhi chiari. Meglio non chiedergli da dove avrebbero dovuto incominciare le ricerche, allora.

- Incominceremo le ricerche da lì. – disse Niall, come se avesse letto nel pensiero di Louis, indicando la costruzione istituzionale sulla sommità della collina.

- Che cos’è quella? –

- La casa di Jackson – rispose Niall, frugando nella borsa da viaggio. Louis si risparmiò la fatica di domandargli come facesse a saperlo, ma per la verità nemmeno Niall sapeva di cosa stesse parlando. Aveva solo sentito le parole uscirgli di bocca, senza troppo pensiero. Contrariamente a Louis, Niall in quel posto si sentiva stranamente a suo agio – Bè, non proprio a suo agio -, come se ci fosse già stato e come se il passato gli fosse ritornato alla mente. Era una strana sensazione, ma al tempo stesso piacevole. Ciononostante, non poteva pensare solo a sé stesso: accanto a lui c’era Louis, che l’aveva accompagnato fin lì per cercare di ritrovare Harry, il suo fidanzatino rapito da Thomas Bailey, quindi doveva pensare anche a lui. Ma se fosse stato da solo... Forse sarebbe andato lì in quella casa senza compagnia.

Ne avvertiva il bisogno.

 

*****

 

Che razza di posto è questo?

Con gli occhi sgranati, Elsa Beaumont ammirava la costruzione che si ergeva innanzi a lei, un maniero diroccato su una collina, che metteva paura solo a guardarlo. Senza pensarci due volte, e visto che era l’unica strada dov’era approdata dopo esser stata risucchiata da quella strana nebbia, intuì che i due ragazzi potevano essere lì dentro. Mise la mano alla revolver che portava alla cintura, ne tolse la sicura e riprovò ad usare la radio. Niente. Prese il cellulare e provò a formare il numero del suo ufficio. Niente anche su quel fronte. Sospirò ampiamente, poi bestemmiò tra i denti perché da sola non poteva fare molto, se fossero stati armati. E poi era pericoloso condurre un’operazione di liberazione ostaggi in solitudine.

Ma questi pensieri non spaventarono minimamente Elsa Beaumont, la quale scese dal veicolo con la pistola spianata e un solo pensiero nella testa: Al diavolo. Se devo morire, morirò da eroina.

Tenendo la pistola puntata avanti a sé, Elsa s’incamminò a piedi verso il sentiero che collegava la strada alla casa. Nei dintorni sembrava non esserci nessuno, ma meglio non rilassarsi troppo.

 

Su uno degli alberi che costeggiava il viale, occhi gialli spiavano la persona che si avvicinava al maniero, muovendosi ad ogni suo passo…

 

Un fruscio. Elsa Beaumont si voltò, ma non vide nulla. Guardò in alto, sugli alberi, ma non vide nulla. Quel posto gli metteva i brividi, ma non voleva ammetterlo nemmeno con sé stessa. Strinse con più convinzione il calcio della pistola, sollevandola e muovendosi con più circospezione, stando ben attenta ad ogni rumore circostante.

All’improvviso, sentì il rumore di qualcosa che cadeva. Si voltò in quella direzione e fece fuoco, una, due, tre volte!

BANG! BANG! BANG!

La deflagrazione risuonò nei dintorni più forte di un aereo che cadeva, visto il silenzio di tomba che regnava. Elsa guardò oltre la piccola coltre di fumo che si era formata con gli spari, ma non vide nessuno. Solo foglie che si muovevano. Digrignò i denti e contemporaneamente sgranò gli occhi. Una brutta sensazione si era appena impadronita di lei.

Diamine, Elsa. Non fare certe cazzate, hai trentotto anni, non sei una ragazzina idiota. Hai attirato troppo l’attenzione sparando.

Quel pensiero le gelò il sangue nelle vene, al pensiero che i rapitori del giovane Styles avessero potuto vederla e di conseguenza si fossero rifatti sull’ostaggio. Cercò di non pensarci, quindi si voltò e ricominciò ad avanzare verso la casa.

Quando si fu voltata, per poco non le saltò fuori il cuore dal petto: di fronte a lei, insieme ad un ragazzo in camice bianco, c’erano ben sei demoni. Li vide in tutta la loro incredibile e paurosa mole: due demoni alati dai denti affilati e altri quattro poco più piccoli che avevano tirato fuori gli artigli. Le bestie respiravano sibilando, il loro respiro formava delle nuvolette di vapore nella fredda atmosfera autunnale. Prima che la Beaumont cacciasse un urlo straziante, puntasse la pistola per cercare di ammazzare qualcuna delle creature e scartasse di lato, il ragazzo aveva pronunciato una sola parola.

- Prendetela. –

E subito le belve si buttarono sulla povera detective, sopraffacendola. Elsa Beaumont urlò, cercò di sottrarsi alla cattura, ma i suoi sforzi furono del tutto vani: i demoni l’acchiapparono e la immobilizzarono, portandola in volo via dal giardino, verso la casa. Compiaciuto, il ragazzo (Thomas) guardò la scena con un sogghigno, e si allontanò anche lui, scomparendo dietro uno dei battenti della porta posteriore del maniero.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


24.

 

 

Nel silenzio innaturale della locanda (ma anche di tutto l’ambiente qui intorno, pensò Louis), quei tre botti in lontananza suonarono ancor più innaturali. Louis si voltò non appena sentì gli spari, che dovevano essere stati per forza esplosi da un’arma da fuoco (a meno che in questa ridente cittadina non festeggino Capodanno in anticipo), cercando di stabilirne la provenienza. Certo, nell’atrio dell’hotel la vista non gli era certo favorita, con quei pesanti tendaggi alle finestre e la luce fioca emessa dalle lampade verdi.

- Cos’è stato? – domandò Louis, più a sé stesso che a Niall, che non lo stava ascoltando. Il ragazzo era perso nel suo mondo, ad ammirare ogni dettaglio dell’ambiente con lo sguardo meravigliato di un bambino che vede dal vivo una cosa che prima aveva visto soltanto in TV. Louis gli toccò la spalla, preoccupato, ma Niall era del tutto perso.

- Guarda – gli disse – è tutto come nel romanzo di Jackson… il pavimento in moquette che scricchiola… le lampade verdi che emettono una luce fioca, talmente fioca da sembrare una camera ardente… -

Già la circostanza non era delle migliori, con Harry nelle grinfie di un pazzo che credeva di essere uno scrittore, figurarsi se poi ci si metteva Niall con i suoi vaneggiamenti e la prospettiva di passare la notte in una camera ardente.

- Ehm… io capisco che trovarti nel mondo delle fiabe del tuo amato Jackson ti galvanizzi, ma dobbiamo pensare anche a Harry – disse Louis, indurendo un po’ il tono della sua voce – e se non ci muoviamo a cercarlo, potrebbe anche finire male. –

Come se non avesse detto nulla, Niall andò verso la reception, con lo sguardo ancora sognante, cosa che irritò leggermente il povero Louis. – E qui… la reception. E scommetto che fra poco arriverà… -

Rumore di passi nel corridoio adiacente le scale. Da lì comparve una vecchina minuta che teneva in mano una torta. Niall sorrise, mentre Louis era fissato sulla torta. Era guarnita ai frutti rossi, ma quel rosso era troppo acceso: il pensiero che potesse essere sangue, gli fece drizzare i peli sul corpo. Fece una smorfia di disgusto prima di raggiungere Niall alla reception.

- Buongiorno – disse l’anziana signora – Ben arrivati. Desiderate una stanza? –

La voce della donna era roca e arcigna, sembrava quasi la strega di Biancaneve. Louis era sempre più a suo disagio, quindi lasciò che Niall si occupasse di tutto. Dopotutto, lui era nel suo mondo.

- Esattamente. Una stanza matrimoniale, per favore. –

- Ah, beati voi giovanotti. – disse la donna, prendendo un registro e una penna – Una firmetta qui, prego.

Mentre Niall firmava, con gli occhi chini sul registro, gli occhi di Louis erano fissi sulla vecchia. Quasi come se si fosse accorta, la donna alzò lo sguardo e incrociò quello di Louis. Piegò le labbra in un ghigno, mettendo in mostra due file di denti marci e ingialliti. Poi la sua espressione cambiò, i suoi canini si allungarono fino a diventare zanne, e gli occhi si chiusero fino a diventare due fessure. Louis chiuse gli occhi e poi li riaprì, pensando di aver avuto un’allucinazione. Quando li riaprì, la vecchina stava porgendo le chiavi a Niall.

- Be’? Che fai lì impalato? Andiamo, coraggio. –

- Eh? Ehm… io… - Louis era confuso.

Sempre con un ghigno sardonico sulle labbra, la vecchina lo apostrofò - Giovanotto, non ti senti bene? Vuoi forse un pezzo della mia torta ai mirtilli? –

- N… no… grazie. – disse soltanto Louis – Mi era sembrato di vedere… -

Niall sbuffò, stufo dei vaneggiamenti di Louis, e lo tirò per un braccio verso le scale. – Andiamo. – disse, perentorio e seccato.

 

*****

 

- L’hai vista anche tu? – Louis era sconvolto. La visione della vecchia locandiera che diventava un demone era stata troppo, anche per uno come lui. Niall gli stava ancora tenendo la mano, e lo stava trascinando in camera.

- Dico, mi hai sentito?!? –

Senza curarsi di lui, Niall aprì la porta della stanza e lo spinse dentro, mandandolo a finire seduto sul letto. Dopodiché chiuse la porta a chiave.

- M-ma..ma… che stai facendo? –

Niall si voltò lentamente, appoggiato alla porta. I suoi occhi erano fissi in quelli di Louis, che era sempre più confuso. Anche se la situazione era quella che era, e il suo stato d’animo era già abbastanza turbato da ciò che aveva visto nelle ultime ore, sentire lo sguardo di Niall su di sé era come una coltellata al cuore. Ti sei dimenticato perché sei qui, dannato idiota?!? La sua parte razionale stava urlandogli nel cervello proprio mentre il suo cuore stava sciogliendosi di fronte a quegli occhi azzurri.

Ma che cazzo vuoi? Non può guardarmi? Questo era il diavoletto di Louis, quello che bramava Niall sotto le coperte a fare

(sesso)

l’amore.

No, no, no! Non c’è nulla di razionale nel suo sguardo! Guardalo bene, ti sembrano gli occhi di uno che sta bene? Sembra un pupazzo manipolato da chissà chi!

Finché si muove e articola parole, non è un pupazzo.

Non farlo, testone!

Mentre la sua mente era intenta in un dialogo col cuore, il corpo di Niall stava reagendo a ciò che fino a qualche giorno prima avrebbe solo immaginato: Niall si avvicinò lentamente a lui, posandogli le mani sulle spalle e inginocchiandoglisi in mezzo alle gambe, sempre guardandolo negli occhi. Poi il ragazzo avvicinò le labbra a quelle di Louis, posandogli un bacio appassionato. Louis si sentì interdetto da tanto ardore, tanto che sulle prime pensò di stare sognando. Il cuore gli batteva forte nel petto mentre la lingua di Niall gli schiudeva lentamente le labbra, prima di entrare prepotentemente ed esplorare la sua bocca… Combattuto tra i sentimenti, Louis lottò strenuamente contro sé stesso per cercare di sottrarsi al giudizio della sua parte razionale, che gli imponeva di respingere il ragazzo che lo stava baciando, perché lui non era lì per pomiciare con Niall, lui era lì per salvare Harry e…

- Continua pure, Harry sta bene. –

Louis si staccò un momento dal bacio, guardandosi intorno. Niall lo guardò con impazienza, come se quello che aveva fatto gli fosse piaciuto e avesse voluto continuare.

- Hai… hai sentito anche tu? –

Ancora facendo finta di non sentire, Niall fece un sorrisetto malizioso – No. Però… sento qualcosa di molto più interessante contro il mio inguine. – disse, e portò la mano sul pacco di Louis, dove sotto i pantaloni rossi, il suo pene era duro come un sasso. Quella mano di Niall sulle sue parti intime gli fece perdere anche quell’ultimo simulacro di ragione che aveva conservato fino a quel momento. La mano di Niall che lentamente glielo accarezzava, lo galvanizzò, a tal punto da prenderlo lentamente e baciarlo ancora, questa volta cambiando le posizioni. Niall sotto e Louis sopra. Sotto di sé, Niall era ancora più bello, e i suoi occhi ancora più profondi. Senza dire una parola, Niall incominciò a slacciare i bottoni della polo di Louis, mentre questi esplorava il corpo del ragazzo sotto la maglietta… era liscio come marmo levigato, perfetto al tocco e tanto, tanto eccitante. Louis lo baciò ancora, mentre si dava da fare per togliergli di dosso tutti quegli indumenti che impedivano il contatto… mentre Niall faceva lo stesso.

Per tanti anni Louis si era dedicato a fare il playboy perché era conscio della sua bellezza e delle sue possibilità, salvo poi annoiarsi e cercare qualcosa di più stabile. Inizialmente i suoi amplessi erano eccitanti, ma poi avevano perso via via di significato, portandolo a restare con Harry solo perché non aveva bisogno di altre storie insignificanti.

Poi era arrivato Niall.

Niall, con quel suo bellissimo corpo e quell’aria da Nerd, da ragazzo serio, che non si sarebbe dato tanto facilmente.

Niall, che era immerso fino al collo in un guaio più grosso di lui.

Niall, il ragazzo che stava penetrando da ormai diverso tempo, e che si beava sotto di lui, gemendo di vivo piacere. Ma il piacere era tutto di Louis finché Niall era sotto il suo potere, sotto le sue spinte vigorose, sotto i suoi baci appassionati… Lo rigirò supino, penetrandolo da dietro, mentre gli baciava i capelli e gli teneva le mani. Niall gemette di piacere nel sentire Louis che aumentava le spinte dentro il suo corpo, mormorò un Oh, sì, vengo! prima di lasciarsi andare e bagnare il letto con il suo fluido corporeo. Con un ultimo gemito roco, anche Louis finalmente venne nel corpo di Niall, chiuse gli occhi e gli si accasciò addosso. Niall aveva chiuso gli occhi e si era addormentato, Louis era ancora sveglio e lo guardava dormire sotto di sé, ascoltando come musica ogni suo respiro. Gli baciò una guancia, prima di uscire dal suo corpo e piazzarsi accanto a lui, continuando ad osservarlo finché non sentì il sonno impadronirsi di lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


25.

 

 

Ad essere del tutto sinceri, Louis non era proprio sicuro di quello che aveva fatto. Spesso gli era capitato di fare delle cose delle quali poi si era pentito, e sì, tra queste c’erano anche delle sensazionali scopate con ragazzi raccattati in giro per locali newyorkesi. Il principale elemento di ripensamento era dato dalla soddisfazione. Se hai sete, bevi quanto ti basta, poi getti via la bottiglietta. Se hai molta sete te ne fai due, ma la bottiglietta va sempre a finire nel cestino, non la tieni lì a bella posta, a ricordo dei tempi di quando avevi sete. Così agiva Louis con i suoi partner improvvisati. Un po’ come molti ragazzi omosessuali carini che avevano il mondo a portata di mano.

Questa volta il ripensamento non era tanto dato dalla soddisfazione del desiderio (cinque volte in tre ore, woo-hoo! Signore e signori ecco a voi Louis William Tomlinson, il Re del Sesso!!!); era più dato dal non avere piena coscienza di ciò che aveva fatto. Dunque, cos’era successo? Louis l’aveva portato fin lì, un luogo lontano mille miglia da casa sua, raccontandogli della sua infanzia tormentata e di scrittori pazzi che evocavano demoni da chissà quali mondi… possibile che l’avesse fatto solo per una scopata? Non sarebbe stato più semplice dirgli Hey Louis, sei un gran bel pezzo di ragazzo, perché non ti abbassi i pantaloni e mi fai baciare il drago?

No, per due semplici ragioni: primo, perché se l’avesse fatto, Louis ci sarebbe stato ma di certo sarebbe crollata quell’aura di infatuazione che si era preso per il bel Niall, precipitandolo giù fino al minimo storico di un partner occasionale subito dopo l’eiaculazione; secondo, perché Niall, da quel poco che lo conosceva, non avrebbe mai proferito certe parole, né l’avrebbe portato fin lì, in un posto dimenticato da Dio (ammesso che esistesse – il posto, non Dio) solo per soddisfare degli appetiti. No, c’era qualcos’altro. Ci doveva essere qualcos’altro, ed era forse la cosa che in quel momento lo stava tenendo sveglio e vigile nel suo letto alla locanda, mentre Niall dormiva della grossa. Nel buio della camera, tutti gli oggetti presenti sembravano aver assunto pose spaventose, tanto che Louis si coprì più volte gli occhi con la coperta (ah-ah-ah. Fa tanto il macho, poi si fa spaventare da degli oggetti inanimati… avrebbe detto qualche suo detrattore), meditando spesso di uscire.

Sul comodino c’era una sveglia. Una dannatissima sveglia a lancette meccaniche che produceva un fastidiosissimo Tic-Toc. Quel suono gli stava rompendo i timpani, gli stava entrando nel cervello, lo stava portando alla pazzia.

Se non esco di qui, finisco al manicomio. Pensò, e scivolò lentamente fuori dal letto, lasciando Niall a dormire.

 

*****

 

Elsa Beaumont aprì lentamente gli occhi, svegliata da un ticchettio continuo. Era sicura di averlo sentito nei suoi sogni, ma adesso sapeva da dove veniva: dalla realtà. Il ticchettio non era quello di un computer, ma bensì di uno strumento che si usava quando lei ancora non era una detective, ma una semplice poliziotta: una macchina per scrivere. Si voltò faticosamente su un fianco, accorgendosi di aver dormito su un pavimento. La gamba destra le si era intorpidita.

- Aah… - biascicò, e si accorse anche di un’altra cosa. La testa le faceva male. Uno degli energumeni che l’avevano presa e portata là doveva averle dato una botta in testa. Cercò di riavvolgere il nastro mentale. Dunque: perché si trovava lì?

- Harry… Styles… dov’è? –

Già. Quella era una domanda interessante. Un’altra domanda interessante sarebbe potuta essere Che posto è questo?, ma per qualche strana ragione Elsa non riuscì a formularla correttamente. Mentre gli occhi correvano in su e in giù per quella stanza, ammirando come fosse così ben tenuta e al tempo stesso così lugubre (non c’era luce elettrica, solo tantissime candele) e chiedendosi che razza di mostri avessero rapito il giovane Styles.

- Mostri? Che esagerazione. –

Elsa Beaumont si voltò di scatto cacciando un gridolino di sorpresa. Dietro di lei c’era un uomo, capelli neri e lisci sulle spalle, un paio di occhialini neri che gli davano un tocco intellettuale, una giacca di Tweed e sotto un dolcevita nero.

- Mi scusi se l’ho spaventata – disse l’uomo, avvicinandosi. Si muoveva con una grazia quasi signorile, ma allo stesso tempo dava l’impressione di essere un uomo che sapeva tenere sotto controllo le persone. – Ma la informo che è entrata in una proprietà privata, signora Beaumont. –

La detective guardò l’uomo con gli occhi sgranati. – Chi è lei? –

- Oh, perdoni la mia villania – con un gesto aggraziato le prese la mano destra (Elsa pensò che dovesse essere gelata) e gliela baciò. – Sono Howard P. Jackson. Lieto di conoscerla, Detective Beaumont. –

Elsa era paralizzata. Si trovava al cospetto di quello scrittore il cui manoscritto aveva fatto impazzire un professore universitario e la segretaria della casa editrice, nonché un ragazzo all’apparenza normale.

- Dunque – disse Jackson, congiungendo le mani e guardandola negli occhi – esauriti i convenevoli, veniamo ai fatti. – inarcò le labbra in un ghigno, tornando a sedersi verso la sua scrivania (Elsa avrebbe giurato su sua sorella, il bene più caro che aveva avuto, che prima quella scrivania non c’era), e invitò Elsa a fare lo stesso, con un gesto della mano.

- Se lo può scordare – disse Elsa – Lei si sieda pure, io rimarrò in piedi. –

Jackson sospirò – Come vuole, signora Beaumont. Non sarò certo io a costringerla a fare qualcosa che non vuole. –

- Per prima cosa – incominciò Elsa, camminando verso di lui, e tenendo bene d’occhio tutte le entrate della stanza  - Mi spieghi che fine ha fatto Styles. –

Jackson fece un sorrisetto divertito, come se avesse appena sentito la barzelletta più divertente del mondo e stesse contenendo le risa – Di cosa sta parlando, signorina? –

- Lo sa benissimo. Ieri un ragazzo è stato rapito, da due o forse tre ragazzi. Due di questi mi hanno portata qui, e uno era… era… - Incespicò, cercando di ricordare in quale circostanza aveva visto quel ragazzo biondo che l’aveva fatta portare lì dai suoi amici demoni.

- …Thomas Bailey. – concluse Jackson per lei – Ho indovinato? –

Elsa spalancò la bocca in un Oh di sorpresa – S…sì. Lui. Devo dedurre che oltre al rapimento di Styles e alla soggiogazione psicologica dei suoi libri, si debba mettere in conto anche la coadiuvata fuga di un pericoloso criminale? –

Questa volta, anziché sorridere, Jackson rise. Rise di gusto, ed Elsa lo osservò, sentendo la rabbia dentro di lei che iniziava a montare.

- Oh, Oh, oh, questa… questa è veramente la conversazione più divertente che abbia mai avuto, mi crede, signora Beaumont? –

- Le credo abbastanza per dirle che se non la smette, con un calcio quel culo glielo faccio diventare una gobba. – rispose seccata la detective. Jackson rise ancora più forte.

- Splendido, splendido. – Jackson applaudì alla donna, che stava già serrando i pugni e stringendo i denti per la rabbia. – Adesso che ha finito, le darò le mie spiegazioni. –

- Sentiamo, sono proprio curiosa. –

- Dunque – incominciò Jackson congiungendo le mani e tenendo i gomiti sopra i braccioli della poltrona. Davanti a lui, la macchina per scrivere Royal sembrava quasi uno scudo. - Innanzitutto credo che un detective, per giunta senza mandato di arresto e disarmato, non possa permettersi il lusso di venire in casa di un onesto cittadino e accusarlo di tali amenità… In secondo luogo, non sono per nulla accusabile degli omicidi. Gli assassini uccidono, io scrivo solo libri. – disse, sorridendo seraficamente. – Ma non devo dimostrare proprio nulla a lei, neanche se fossi colpevole. Lei è un’intrusa, signorina Beaumont. Ma siccome è un’intrusa abbastanza simpatica, io voglio proporle un affare. –

Veramente indispettita, questa volta Elsa batté un pugno sulla scrivania di Jackson – Lei non è in grado di proporre un bel cazzo di niente, qui! – quasi strillò la donna – Adesso lei libererà Styles e mi consegnerà Thomas Bailey. Lei è un criminale, Jackson. La metteremo in cella e getteremo la chiave, lei è pericoloso! –

Jackson rise nuovamente. Nemmeno nel più infimo film poliziesco aveva mai visto una poliziotta comportarsi in maniera così comica. Stava lanciando minacce ad un uomo pericoloso… senza nemmeno un’arma. Non che sarebbe servita a molto. Non contro di lui.

- Se ci tiene tanto, può prendersi Thomas Bailey. E gli può chiedere di persona se è disposto a venire con lei. Quanto a Styles… -

- …Harry non si tocca. – disse una voce. Elsa si girò di nuovo con il cuore in gola. Dietro di lei, a un passo, c’era Thomas Bailey. Elsa indietreggiò, andando a finire quasi col sedere sulla scrivania di Jackson.

- Dov’è finita tutta la tua spavalderia, donna? – le domandò Thomas – Non hai più tanta voglia di “sbattermi dentro”? – il suo sguardo era una maschera di rabbia, i suoi denti erano aguzzi e affilati. Un demone. Elsa stava parlando con un demone. Non rispose alla provocazione del ragazzo, sentendo le gambe improvvisamente molli e un brivido di freddo lungo la schiena. Thomas ringhiò, spalancando la bocca e rivelando una fila di bianchi denti acuminati. Elsa tremò di paura, e si abbandonò ad un gesto disparato: prese un pesante fermacarte dalla scrivania di Jackson e cercò di sbatterlo addosso a Thomas. Thomas ringhiò ancora una volta, ma Elsa fu lesta e glielo sbatté sul viso, facendolo urlare di dolore. Il suo verso era straziante, nonché pauroso. Dopodiché corse verso la porta. L’aprì e la richiuse dietro di sé.

Corse via verso il corridoio, correndo a perdifiato verso le scale. Riuscì a scendere e guadagnare la porta d’ingresso. Uscì, correndo verso il viale da dove era venuta. Dietro di lei poteva chiaramente sentire il ruggito di Thomas che cercava di braccarla. Si voltò per un secondo e lo vide. Thomas era lì che correva dietro di lei. Sembrava un velociraptor: correva veloce ed agile, tanto che per un secondo Elsa pensò di essere spacciata. Mentre correva, inciampò sulla sua stessa pistola (rimasta lì da prima), e cadde con un ruzzolone. La bestia era dietro di lei, e stava per raggiungerla. Elsa fu lesta ad acchiappare la sua arma e caricare un colpo in canna, quindi mirò a Thomas e fece fuoco.

BANG!

Il proiettile colpì di striscio Thomas ad un polpaccio, ferendolo. Andò giù come un cane ferito, latrando di conseguenza. Velocemente Elsa si rialzò e corse verso la sua auto, rimasta lì. Estrasse le chiavi dall’impermeabile e le infilò nel quadro di accensione. L’auto andò in moto, e lei fuggì in sgommata.

Intanto Thomas era riverso sul terreno e latrava di dolore. Jackson arrivò lì con le mani in tasca, guardandolo con divertimento.

- Non scaldarti tanto, Thomas. Tanto non può andare da nessuna parte… -

 

*****

 

In auto, Elsa percorse la strada da dov’era venuta, che si collegava con la città. Un cartello diceva State per lasciare Rirmor Sadkners, e lei tirò un sospiro di sollievo. Sarebbe tornata a casa, avrebbe fatto delle telefonate e sicuramente sarebbero arrivati dei rinforzi. Quel che era certo, era che lei voleva andarsene da lì il più in fretta possibile. La giornata era tersa, con qualche nuvola in cielo… ma quando Elsa imboccò il ponte che portava fuori dalla città, si ritrovò avvolta dalla stessa strana nebbia che aveva trovato all’andata.

- Ma cosa…? –

Accelerò di più, quindi la nebbia sembrò brillare, e finalmente finì. Solo che c’era qualcosa che non andava.

Il cartello State per lasciare Rirmor Sadkners era ricomparso.

- Che cosa??? –

Inchiodò, fece retromarcia e sterzò bruscamente, facendo un testacoda con l’auto. Ripartì con gran stridore di pneumatici verso un’altra strada, ma il risultato fu lo stesso.

Nebbia.

Nebbia che brillava.

Cartello che annunciava State per lasciare Rirmor Sadkners.

Continuò a provarci, sempre più spaventata, sempre più nel panico. Si sentiva in trappola. Era in trappola. Non c’era modo di lasciare Rirmor Sadkners.

- Al diavolo!!! – esclamò, e fece inversione per la settima volta.

Di nuovo imboccò l’uscita dalla città, di nuovo vi fu la nebbia…

…E poi uscì il sole.

Elsa si ritrovò sull’autostrada del Maine, in direzione Sud. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro di sollievo, senza accorgersi di un pericolo imminente.

Di fronte a lei, un grosso autoarticolato della Exxon Carburanti stava viaggiando ad alta velocità. Il grosso automezzo lampeggiò e suonò il clacson, ma Elsa non fece in tempo a scansarsi.

L’impatto fu violentissimo. L’auto di Elsa si accartocciò su sé stessa, esplodendo al contatto con il camion. Elsa morì sul colpo, mentre nel camion, una persona rideva di gusto.

Era Jackson.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


26.

 

 

Per buona parte del tempo in cui era stato rinchiuso, Harry non aveva fatto altro che piangere. Andava in giro per quella grande stanza con le finestre chiuse e piangeva a dirotto. Ogni tanto si fermava e si sedeva sul divano, prendeva un cuscino e lo stringeva forte a sé, in cerca di conforto. Eppure quando aveva aperto la porta, non aveva creduto ai suoi occhi: sulla soglia c’era Thomas, il suo caro vecchio amico che era venuto a fargli visita. Gli aveva sorriso, l’aveva invitato a entrare. Poi Thomas gli aveva detto quella strana frase.

- Devi venire con me. –

Sgranando gli occhi sorpreso mentre chattava con una sua amica tramite Facebook, Harry aveva risposto – Cosa? Dove? –

- Non c’è tempo per le spiegazioni – aveva tagliato corto Thomas, e l’aveva preso di peso sulla sua spalla. Harry aveva inizialmente ridacchiato, poi vedendo che il ragazzo faceva sul serio, aveva alzato la voce e infine aveva urlato. Quando Thomas l’aveva portato fuori, c’era quella ciarlatana della sua vicina di casa, la signora Saint-George, la donnona afroamericana che diceva di aver ereditato i poteri da sua nonna e che prendeva in giro sua madre con delle profezie campate per aria. Peccato che non avesse previsto quella, di profezia. Se Harry avesse saputo in anticipo che Thomas l’avrebbe rapito, sicuramente si sarebbe dato alla fuga. Purtroppo però alla fine l’aveva rapito, l’aveva caricato su quella bella macchina bianca (dubitava che fosse sua) mentre era svenuto (Oh no Thomas ti prego non saltare giù siamo al ventottesimo piano… oh no no no, NOOOO!!!), e quando si era risvegliato, si era ritrovato solo in quella grande stanza.

- Mamma… mamma… voglio la mia mamma… - il suo volto era una maschera di lacrime, mentre stringeva forte quel cuscino… a sottolineare che era stato preso di peso dal suo appartamento, c’era anche il suo abbigliamento: era vestito con il pigiama ed era rimasto senza scarpe.

- Louis… amore… dove sei…? Perché non vieni a salvarmi? – pensò a Louis e pianse nuovamente, inondando il cuscino di lacrime (Ehi signorino, vogliamo darci una calmata? Non risolverai nulla facendomi questa doccia d’acqua salata!!!) e invocando tutte le sue amiche presenti nella lista contatti di Facebook, promettendo di uscire di nuovo con loro a fare shopping se mai fosse uscito da quella situazione kafkiana.

Mentre frignava, la porta alle sue spalle scattò e il battente si aprì verso l’interno. Harry scattò a sedere al lato opposto del divano, proteggendosi con il cuscino. Thomas venne avanti, guardandolo con indifferenza.

- Thomas! – squittì Harry – Ti prego, lasciami andare! Non so cosa abbiate in mente, ma io non ho fatto nulla! Nulla! – lo guardò per un secondo, ma Thomas non rispose. Continuava a rimanere impassibile nella sua espressione.

- Hai… hai sentito quello che ho detto? Lasciami andare, Thomas!! Non sono io la persona che state cercando, voglio tornarmene a casa, non voglio stare qui! –

Thomas sembrò ignorare le sue parole, quindi si sedette sul divano e poggiò un piede sul tavolino di vetro. Harry vide che si era ferito.

- Ti… ti sei fatto male? – domandò Harry, calmandosi un momento. Dopotutto, era pur sempre stato suo amico, in tempi passati…

- Già… una stronza. Mi ha preso a pistolettate. Era venuta per portarti via, ma io l’ho messa in fuga. –

La faccia di Harry assunse un’espressione di disperata tristezza. – Oh no, Thomas! Perché…? Perché….?!? –

Thomas si voltò verso di lui – E piantala di frignare. Mi sembri una ragazzina, lo sai? –

Anziché replicare, Harry affondò nuovamente la faccia nel cuscino e si mise a piangere più forte.

Harry aveva conosciuto Thomas per quello che era, ovvero un ragazzo mite e dai modi gentili, poco apprezzato dalle ragazze, ma parecchio apprezzato dai ragazzi. Tra questi c’era anche lo stesso Harry, che in epoca remota aveva voluto un bene che andava oltre la semplice amicizia verso il suo unico amico eterosessuale, ma di cui aveva quasi rimosso ogni traccia. Mentre piangeva, in quel momento rivide il comportamento di Thomas com’era ai bei tempi, o più che altro come lo vedeva lui: un ragazzo forte e determinato, simile in quasi tutto al suo adorato Louis.

Nonostante il suo cuore fosse stato imprigionato dalle magie di Jackson, il Padrone non gli aveva vietato di parlare con Harry. Difatti non era stata nemmeno un’idea del padrone di portare Harry in quel posto. L’idea era stata tutta di Thomas.

- Ehi – gli disse, dolcemente – Scusami. Non volevo essere cattivo con te. –

- Hai… hai assassinato tua mamma – mormorò Harry, singhiozzando. – E adesso… adesso vuoi fare fuori anche me… Non è così? –

- Non voglio ucciderti. – disse semplicemente Thomas. – Ma se non mi medichi questa ferita, stai sicuro che lo farò. – il suo tono era calmo, senza tracce di rabbia autentica.

Harry alzò lentamente la testa dal cuscino, rivelando il suo volto impastato dalle lacrime. Guardò prima Thomas e poi la ferita al polpaccio.

- In fondo a quella porta – disse Thomas, indicando una porta dietro Harry – c’è un bagno con un ripostiglio. Dovrebbe esserci un kit di pronto soccorso. –

 

*****

 

Mentre Harry spruzzava il disinfettante sulla ferita, Thomas stringeva i denti e serrava le unghie contro l’imbottitura del divano, per il dolore.

- Buono, Thomas. – lo ammonì Harry – Ho quasi finito. –

- Lo spero… ah… - brontolò Thomas, facendo un verso gutturale che sembrava quello di una bestia. Harry disinfettò la ferita e vi applicò sopra della penicillina, tamponando il tutto con un po’ di cotone idrofilo e infine fasciando il polpaccio con una benda.

Fatto questo, invitò Thomas a distendersi sul divano.

- Non ho sonno – protestò Thomas – E poi devo andare dal Padrone. –

- Non penso che in questo momento abbia bisogno di te. Se non ti ha chiamato… -

Thomas lo squadrò con uno sguardo torvo. Harry fece un debole sorriso e lo costrinse giù sul divano, sedendosi accanto a lui. Tuttavia era vero che per il momento il padrone non voleva nessuno tra i piedi. Era intento alla conclusione del nuovo romanzo, e non voleva essere disturbato. Harry continuava a guardare Thomas mentre era giù. Quando questi si accorse di essere osservato, scoprì due file di denti bianchi e leggermente deformati. – Che c’è? – domandò.

- Niente. Pensavo… -

- A cosa? –

- Pensavo… che forse mi hai portato qui per farti da crocerossino, ho indovinato? – Harry si mise a ridere dopo aver pronunciato quella frase. Quello che Louis aveva colto del ragazzo, forse il suo lato più bello, era senz’altro il suo essere lunatico. C’erano giorni in cui Harry era triste e sconsolato, mentre altri in cui era felice e gioioso, ma non c’erano mai giorni in cui trattava male qualcuno. Era sempre dolcissimo con tutti, e raramente si arrabbiava. Alla rabbia, preferiva il silenzio. Certo, alcuni lo vedevano stupido come una ragazzina della sua tenera età, ma Harry portava in sé tanti lati belli, che non nascondeva a nessuno.

- Forse. Quel che è certo è che con un pigiama del genere, un paziente lo faresti morire dal ridere prima di poterlo curare. – disse Thomas, ridacchiando. Harry spalancò la bocca in un Oh di offesa, quindi tirò una leggera sberla sul volto di Thomas, che ancora rideva.

- Che ha il mio pigiamino che non va? – disse, tirando i due lembi della giacca.

- Ti pare normale che un ragazzo di diciotto anni vada a dormire con il pigiama di Winnie The Pooh? Ma dai, è ridicolo! –

- Mi piace, va bene? Uffa! – esclamò, distogliendo lo sguardo da Thomas e incrociando le braccia. In quel momento, per qualche strana ragione, Thomas sentì la testa girare, vedendolo così imbronciato.

Dì la verità, sembra o no una ragazza?

Come tutti, anche Thomas aveva una coscienza. E questa coscienza si era risvegliata con la reazione femminile di Harry.

B…beh…

Da quanto tempo è che non baci una ragazza?

Non… non me lo ricordo.

E allora perché non provi con lui?

Che cosa??? È un maschio!

E allora? Di cos’hai paura?

Thomas si morse le labbra, distogliendo lo sguardo. Harry se ne accorse e si girò.

- Che c’è? – gli chiese, pronto ad una nuova cattiveria. Ma Thomas non gli rispose. Vide che si stava mordendo un labbro, come avevano fatto tanti che aveva conosciuto prima che Louis entrasse nella sua vita. Quel dettaglio gli fece brillare gli occhi, e pensare che forse c’era qualcosa sotto. Velocemente si mise a cavalcioni sull’inguine di Thomas, lo prese per il colletto della camicia (lui si era cambiato, non portava più il camice bianco che indossava quando l’aveva rapito) e lo tirò.

- Dimmi cosa c’è. –

- Ehi, scendi dal mio … - non finì la frase che Harry gli fu addosso, soffiandogli nell’orecchio.

- Dimmelo. Dimmelo. Dimmelo. –

- No. No. No. –

- Dimmelo dimmelo dimmelo? –

- Cosa??? –

- Dimmelodimmelodimmelodimmelodimmelodimmelodiiiiimmeloooooo! – ora le orecchie di Thomas erano bombardate dalla voce squillante di Harry, il quale oltre a spaccargli i timpani, lo stava tempestando di colpi alle cosce sbattendovi contro i suoi piedi.

Thomas cercò di tapparsi le orecchie, ma Harry gli aveva bloccato anche le mani. Siccome non se la sentiva di usare la sua forza, si limitò a girare la testa qua e là, mentre Harry cambiava orecchio di volta in volta.

E così accadde ciò che Thomas non voleva, almeno a livello conscio.

Mentre Thomas girava la testa per evitare Harry, che nel frattempo si era fermato, le sue labbra si posarono su quelle del ragazzo. Harry spalancò gli occhi per un istante, un istante lunghissimo in cui Thomas sudò freddo… Poi Harry chiuse gli occhi, portando lentamente entrambe le mani alle guance di Thomas, premendoselo contro le labbra. Thomas inizialmente oppose resistenza, ma poco dopo chiuse gli occhi anche lui e si lasciò baciare da Harry. Fu un bacio lungo e molto dolce, che Thomas assaporò anche in ragione del fatto che Harry aveva un buon profumo, molto simile (se non addirittura lo stesso) a quello che usava una ragazza che gli era piaciuta tempo prima.

Quando si staccarono, si guardarono entrambi negli occhi. Harry sorrideva, Thomas aveva la faccia confusa.

- Thomas… - mormorò Harry, accarezzandogli una guancia.

- Dimmi. –

- Mi… mi annoio, qui. Perché non resti a farmi compagnia? –

Thomas ci pensò su, guardando il soffitto e l’ambiente della stanza. Poi i suoi occhi si posarono di nuovo su Harry. Harry lo fissò. Thomas chiuse gli occhi e protese nuovamente le labbra.

Allora Harry sorrise e lo baciò nuovamente sulle labbra, cingendogli il collo con le braccia, rannicchiato su di lui come un gatto.

- Non… non vuoi che ti procuri dei vestiti? – domandò ad un certo punto Thomas.

A quella domanda, Harry fece un largo sorriso, prese la mano di Thomas e gliela guidò a sbottonargli la camicia del pigiama…

- …Senza fretta. E solo se sarai tu a togliermi di dosso questi. – disse Harry. Thomas sorrise e iniziò a spogliarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


27.

 

 

Il maniero sulla sommità della collina sembrava una cattedrale. Un luogo di culto di chissà quale perversa religione che sovrastava su tutta la città. Ciò che era più inquietante di tutto era la sensazione di Louis di essere osservato. Sì, quell’abitazione lo stava osservando, sapeva che era lì, che stava andando da lei, ma sapeva anche che il ragazzo non sapeva bene cosa fare.

Louis si era allontanato un bel po’ dalla locanda, lasciando Niall dormiente. Tanto sapeva che non avrebbe più potuto aiutarlo. Non finché erano confinati in quella città. Per un momento aveva anche pensato di riprendere l’auto e scappare via, tornarsene a casa, ricominciare da capo. Lasciare che Niall se la sbrogliasse da solo contro quei demoni che infestavano le sue fantasie idiote e farla finita anche con Harry. Tanto, aveva pensato Louis, non penso potrei fare nulla contro uno scrittore pazzo che sta cercando di fottere il cervello a tutti i suoi fans. Vada a fare in culo lui, i suoi lettori e tutto quanto sta loro intorno. Pensieri pieni di rabbia mista a sconforto, che era palpabile nel cuore di Louis, il quale era contento ma abbastanza deluso dall’ultima notte d’amore (invece Harry non era affatto deluso in quel momento, mentre prendeva il pene di Thomas nel suo corpo, beandosi perversamente del fatto che quell’attrezzo fosse entrato, prima che nel suo corpo, nel corpo di qualche ragazza – senza sapere che Thomas fosse vergine…). Si chiedeva se Niall fosse in sé oppure no.

- Oh, vaffanculo. Basta con queste masturbazioni mentali. – Alzò la testa, rivolgendosi alla casa. – C’è un pezzo di merda che può darmi delle spiegazioni lassù, e porca zozza, me le darà. –

Disse quelle parole col tono di voce più forte che gli riusciva, più per farsi coraggio che per farsi sentire. Mentre camminava, pensò a tutte le cose che gli avevano dato rabbia nella vita: un parcheggio rubato al centro commerciale, pettegolezzi di alcuni suoi amanti sulle sue prestazioni sessuali, suo padre e sua madre che litigavano, e…

…Un rumore alle sue spalle. Come un sibilo.

Louis si voltò, e in quel momento desiderò di non averlo fatto. Louis durante l’infanzia aveva avuto paura di poche cose e ben definite: dell’uomo nero nell’armadio, dei ponti senza illuminazione sospesi sui corsi d’acqua e… dei serpenti.

In quell’istante, proprio un grosso serpente (Oh cristo un cobra!) era apparso dietro di lui. Louis si sentì gelare il sangue nelle vene, quindi indietreggiò con le gambe che gli tremavano.

- N… no… Vai… vai via! – gli intimò, ma il grosso cobra spalancò le fauci e gli mostrò la lingua biforcuta.

Se non faccio qualcosa, questo stronzo mi mangerà vivo! Pensò Louis, e immediatamente scartò di lato facendo una giravolta. Il serpente scattò all’attacco, ritrovandosi a mordere l’asfalto poco dopo che Louis era fuggito.

La paura che Louis stava provando in quel momento, fece da carburante alle sue gambe mentre scappava. La strada che portava alla collina era in salita, ma lui era stato un bravo corridore durante l’infanzia, e anche adesso che aveva ventun anni, non se la cavava male. Il cuore gli batteva forte nel petto, se lo sentiva dentro le orecchie, nella testa che gli pulsava. Ma il suo istinto di conservazione era più forte del cobra che gli strisciava dietro, cercando di morderlo. Più d’una volta Louis dovette alzare il piede mentre correva, perché quel bastardo era davvero veloce. Lesto come un serpente, appunto. Louis scartò a destra. Poi a sinistra. Poi saltò in avanti! Mancava poco al maniero, davvero pochissimo. Se ci fosse stato un telecronista sportivo, sicuramente avrebbe snocciolato tutta la sua telecronaca.

Ecco a voi signore e signori Louis William Tomlinson, ventun anni, giovane di belle speranze, che cerca di sfuggire ad un cobra gigante venuto da chissà dove. Alcuni dicono dalla sua immaginazione, altri dicono dalla cattiva digestione. Ma com’è possibile, se il ragazzo è a stomaco vuoto da almeno due giorni? Ah-ha-ah. Gente! Questo ragazzo è formidabile! Scarta! Corre! Salta! Incredibile amici, ce la farà? Non ce la farà??? Percorre mezzo metro fino in fondo al vialetto d’accesso della casa, sale le scale, guadagna il patio eeeee….

…Una volta sul patio, Louis si precipitò alla porta, allungò la mano e…

Sorpresa! La porta si aprì da sola, e inciampando su un gradino, Louis cadde direttamente nell’abitazione, scivolò sul tappeto dell’ingresso e rovinò comicamente su una consolle con specchio, facendo cadere un vaso. Lo acchiappò con destrezza, evitando che s’infrangesse sul pavimento, quindi tirò un sospiro di sollievo. Dietro di lui, la porta si era già chiusa, e il serpente era scomparso.

- Fiu… c’è mancato poco, cazzo. –

Ancora con la schiena sul tappeto, si guardò intorno. La casa sembrava deserta, poco illuminata e inquietante. Louis sentì un ticchettio in sottofondo, come di una macchina per scrivere. Si drizzò a sedere, quindi si alzò in piedi e poggiò il vaso sulla consolle. Il suono sembrava provenire dai piani alti…

 

*****

 

Tic..ti-ti-tic-tic-tic-ti-ti-ti-tic-tic-tic-tic-tic-…tic-tic-tic-tic-tic-ti-ti-tic-Ting!

Era fuggito dalla locanda per non essere costretto a sentire il ticchettio della sveglia, e ora ne sentiva un altro, ben più potente e più forte. Jackson è qui. Adesso dovrà darmi un po’ di spiegazioni.

Il suono era più forte in prossimità di una porta in fondo al corridoio. Louis non aveva pensato di prendere in prestito la pistola di Niall, quindi aveva dovuto accontentarsi di un attizzatoio preso dal camino del salone di quella casa. Alzò l’arma mentre si avvicinava alla porta, pronto a fare di tutto per salvare la sua vita e quella di Harry. Allungò la mano sul pomo, tenendolo fermo, indeciso se entrare oppure no. Coraggio, vecchio mio. Abbiamo fatto trenta, facciamo pure trentuno. Si disse, e agguantò il pomolo facendolo scattare.

Quando entrò, Jackson non batté ciglio. Continuava a battere i tasti su quella macchina per scrivere, riversando su fogli giallognoli i suoi pensieri perversi. Louis andò verso di lui con l’attizzatoio spianato, ma Jackson non alzò lo sguardo se non dopo che ebbe tolto il foglio dal rullo e sistemato su un mazzo di fogli alla sua destra. Lo guardò con espressione neutra all’inizio, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso.

- Buonasera, Louis. Ti stavo aspettando. –

- Buonasera. Lei è Jackson? – domandò Louis. Il tono della sua voce era tentennante, ma le sue mani tenevano ben salda la presa sull’attizzatoio.

Senza smettere di sorridere, Jackson disse – In persona. – poi, alzando un sopracciglio perplesso – Non ti sembra un tantino scortese presentarsi ad una persona brandendo un attizzatoio? –

- Non finché quella persona tiene in ostaggio un ragazzo di diciott’anni. Dov’è Harry? – tagliò corto Louis.

- Perché vuoi saperlo? – Jackson continuava a sorridere, e a quel punto Louis fu preso in contropiede.

- Io… perché… perché voglio riportarlo a casa. –

Jackson aggrottò le sopracciglia, quindi si mise a ridacchiare – Tu dici? Io invece dico che non sai nemmeno tu perché sei qui, e nemmeno se vuoi salvare quel ragazzo. –

Questa volta Louis non solo fu preso in contropiede, ma addirittura si sentì sgambettato da tanta sicurezza. Abbassò un po’ il ferro, sospirando. – Dov’è? –

- E’ qui, insieme a Thomas. E… - Jackson alzò gli occhi, in un’espressione di santità - …se proprio vuoi saperlo, sta molto bene. – sogghignò, divertito da ciò che sapeva sui due ragazzi.

Louis non capì, ma rialzò l’arma. – Lasciaci andare. Tu vuoi Niall, giusto? Bene, allora ti propongo un patto. Tu lasci tornare me ed Harry a casa nostra, a New York, e io ti porto Niall. Siamo d’accordo? – si pentì egli stesso di aver pronunciato quelle parole. Se Niall l’avesse sentito, sicuramente non ne sarebbe stato troppo contento. E poi lui amava Niall, lo amava troppo per lasciarlo nelle grinfie di quel bastardo. Come aveva fatto con Elsa, così fece con lui: emise una fragorosa risata, divertito da quelle parole.

- Oh, figliolo, figliolo… sei davvero molto divertente, lo sai? Non penso che faresti più di mezzo metro con Harry accanto. Perché… - Jackson si avvicinò a Louis, posandogli dolcemente una mano nivea sulla spalla - …Perché tu non lo ami. Tu non lo ami più da quando hai visto Niall. –

- Questo non è vero! – esclamò Louis, con una punta di rabbia nella sua voce. Si sottrasse al contatto di Jackson, indietreggiando, e questi continuò a guardarlo.

- No? E allora com’è che nelle tue fantasie ci siete soltanto tu e lui impegnati a… tu-sai-cosa? –

- Questi… questi sono affari miei! Tu non hai il diritto di spiare in ciò che mi piace o non mi piace fare, è chiaro? Te lo dirò una volta sola, poi voglio che sia chiaro: lascia andare Harry e me! –

- Non lo vuoi veramente. – disse Jackson. Con un abile trucco, era riuscito a passare alle spalle di Louis, il quale saltò di paura nel sentirlo dietro.

- Tu non vuoi veramente stare con Harry. Lo so bene. Tu brami Niall come lui potrebbe bramare te, se mi ascolterai per qualche secondo. –

Jackson gli mise nuovamente una mano sulla spalla, ma quando Louis provò a reagire, anziché alzare l’attizzatoio, riuscì solo a mollare la presa, facendolo cadere sul pavimento con un suono metallico.

Le labbra di Jackson erano a pochi millimetri dal suo orecchio mentre gli parlava con quella voce suadente – Guarda – gli sussurrò nell’orecchio, mentre lo specchio dietro la sua scrivania diventava nero – Guarda bene cosa ti propongo, Louis … - sullo specchio incominciarono a danzare immagini di Louis e Niall felici, che si baciavano e si coccolavano… Louis sgranò gli occhi, nel riconoscere alcune sue fantasie che aveva avuto appena aveva visto Niall. Ci fu poi una sequenza dove Louis faceva l’amore con Niall, e per qualche strano motivo riuscì a sentire il godimento che quell’immagine stava provando. Perché era lui stesso, erano i suoi pensieri.

- …So bene che hai immaginato queste cose mentre eri in solitudine, nel tuo letto… o nel tuo bagno… Se entrerai nel mio club, mio caro, potrai averle. Tu e Niall. Felici insieme. Che ne dici? –

Louis era ammutolito. Quell’uomo era davvero il male fatto persona. L’unico pensiero che gli veniva in mente in quel momento non era Niall, era solo una domanda.

Perché?

Jackson sospirò. – Tu vuoi sapere troppo, mio caro. La verità non è cosa che ti appartenga, purtroppo. È una cosa che riguarda Niall, ma se proprio ci tieni… entra a far parte della mia squadra. Harry e Thomas saranno felici di rivederti. –

- Dagli retta, amico. – Louis si girò. Era Thomas. Accanto a lui, c’era Harry.

- Harry… tesoro… - mormorò Louis.

- Ciao, Louis – lo salutò Harry – però non chiamarmi tesoro. Fra poco saremo fratelli. –

- Perché…? –

Harry guardò Thomas. Quindi riportò lo sguardo su Louis.  – Io e Thomas… beh… abbiamo scoperto di avere qualche arretrato da smaltire. – disse, e gli prese la mano. Lo abbracciò, e Thomas gli sorrise. Poco dopo, entrambi sorrisero a Louis, il quale era sconvolto da tale notizia. Anche se Harry non gli era mai piaciuto più di tanto come fidanzato, col tempo gli si era un po’ affezionato. E vederselo portare via da un amico che per giunta un tempo si dichiarava eterosessuale, era una batosta abbastanza pesante.

- Hai visto, Louis? – Jackson gli mise un braccio intorno alle spalle – Pensi di avere altre alternative? –

Louis sospirò. Quindi chiuse gli occhi e pensò a Niall. Allora ti prego, fammi stare con lui. Con lui e nessun altro.

Jackson fece un sorrisetto compiaciuto – Sia fatta la mia volontà – disse, e si parò dinanzi a Louis. Il suo volto diventò quello di un demone, baciò Louis sulla bocca e vi riversò dentro un po’ del suo potere. Louis cadde all’indietro, e quando si risvegliò, sentiva dentro di sé uno strano potere.

Oltre a ciò, si sentiva bene. Tanto bene. Jackson ne fu compiaciuto.

- Fra poco arriverà Niall. E finalmente saremo liberi. – dichiarò Jackson, e insieme a Harry e Thomas, si mise a ridere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


28.

 

 

 

Nel buio della camera alla locanda, Niall aprì gli occhi. Si sentiva intontito come spesso accade dopo un lungo sonno. Effettivamente, non erano state poche le ore in cui aveva dormito. Cercò di fare mente locale su dov’era e perché.

Ricordava di aver scoperto dove si nascondesse Jackson, poi era arrivato Louis e si era offerto di accompagnarlo. Erano arrivati lì, a Rirmor Sadkners, e lui si era sentito preso da una strana sensazione: come se fosse già stato lì, come se conoscesse tutto di quel posto, e non solo. Ne fosse anche incantato. Aveva condotto Louis alla locanda, questo lo ricordava bene… e poi…?

Qualcosa doveva essere successo. Ricordava che Louis era sopra di lui, a fare quello che fanno due ragazzi omosessuali che si piacciono:

(uno dei due è soggiogato)

l’amore

(sesso).

Niall spalancò gli occhi, avvertendo una sensazione liquida in mezzo alle gambe. Si era bagnato, e qualcuno aveva bagnato lui.

- Ma… allora… non è stato un sogno. – mormorò Niall, e accese la luce. Accanto a lui, il letto era vuoto.

- Louis? – lo cercò con lo sguardo nella stanza, senza trovarlo. Aprì la porta del bagno e accese la luce.

Si avvicinò al lavandino, aprì il rubinetto e si sciacquò il viso. Cinque sciacqui belli vigorosi con acqua gelata, lo riportarono alla realtà. Con gli occhi chiusi, arraffò l’asciugamano appeso al mobile accanto a lui e si asciugò il viso. Quando si fu asciugato, lo specchio del bagno era diventato nero. Non rifletteva più la sua immagine, ma si era tinto di uno stranissimo nero, che sembrava muoversi. Niall fissò lo specchio ormai divenuto nero, come ipnotizzato. Vide delle immagini che si stavano formando… c’erano un gruppo di persone avanzavano. Le loro espressioni erano fameliche, come belve pronte ad attaccare.

Ma chi volevano attaccare?

Come in risposta alla sua domanda, lo specchio mostrò un’inquadratura di Louis. Il ragazzo stava indietreggiando con le mani protese, in un inutile tentativo di tenere i demoni a bada.

- Louis!!! – esclamò, le gambe molli che quasi lo tradirono. Uscì dal bagno, aprì la sua borsa e ne estrasse la pistola. Poi si fiondò fuori dalla camera.

 

*****

 

Per qualche strana ragione, sapeva dove si trovava Louis. Era nella piazza principale della città. Corse in quella direzione, e infatti i demoni erano tutti là, sparsi a perseguitare il povero Louis. Lo vide cercare di evitarli, spaventato più che mai.

- Louis!!! – lo chiamò Niall, correndo nella sua direzione. Un demone cercò di fermarlo, mettendogli le mani addosso. Con una mossa lesta, Niall lo scansò, facendolo cadere a terra. Un altro cercò di mordergli il collo, ma neanche questo tentativo andò a segno. A Niall parve che quei demoni stessero fingendo, non si stessero impegnando abbastanza. Quando raggiunse Louis, questi si fermò a guardarlo. E con lui si fermarono anche i demoni.

- Louis! Che cosa…? –

Stava per chiedergli Che cosa ti è saltato in mente di uscire da solo, ma non riuscì a terminare la frase: Niall sentì fischiare una mano artigliata sopra i suoi capelli. Si scansò, e quando vide chi era stato, ebbe un capogiro. Harry era lì, chino sull’asfalto, che lo guardava con un sogghigno malvagio. Anch’egli era stato preso dai demoni, e insieme con lui stava arrivando Thomas a cercare di mettere Niall fuori combattimento. Thomas ruggì in quel verso gutturale, da bestia, e spiccò un balzo diretto verso Niall. Avvertito il pericolo, Niall scartò di lato, mandando Thomas ad aggrapparsi ad un lampione.

Chhhh!!! Thomas soffiò come un gatto quando ha paura, solo che la sua non era paura, pensò Niall, ma era una reazione d’attacco. Il demone-Thomas stava per prepararne un altro.

Dimenticando ciò che era stato Thomas, Niall gli puntò la pistola contro e fece fuoco. Bang! L’arma provocò un botto assordante nelle sue orecchie (Oh che strano, al poligono di tiro insieme a tuo fratello usavi le cuffie antirumore, ma ora ti tocca sentirmi, mio caro). Chiuse gli occhi e urlò, sparando alla cieca. I suoi colpi abbatterono un demone, ne ferirono altri due e infine uno ferì di striscio Thomas alla guancia. Thomas cadde a terra per la seconda volta quella notte, ma stavolta Harry accorse in suo aiuto, cercando di uccidere il cattivo Niall che aveva fatto male al suo nuovo fidanzatino.

- Ti ammazzo!!! – la voce di Harry era stridula, e in una certa misura inquietante, ma chissà perché, Niall non la sentiva sincera. Era come se Harry stesse recitando un copione.

Evitando Harry con uno scarto di lato, Niall acchiappò Louis per un braccio (che si era accasciato ad un lampione) e lo tirò verso di sé.

- Andiamocene da qui, e alla svelta! – esclamò Niall guardando Louis, quindi lo tirò via e lo portò verso la locanda.

Qui, alla reception non c’era ancora nessuno, ma una volta arrivati al corridoio delle scale, per poco Niall non ebbe un infarto: una cosa piena di tentacoli sbarrava loro la strada. Ne riconobbe il grembiule, era l’anziana locandiera, trasformata in un mostro. Niall spianò la pistola, sparò altri cinque colpi, mandando giù il mostro. Entrò nella stanza, prese il suo borsone e corse via, verso l’auto. Louis sembrava catatonico, non esprimeva alcuna emozione, si limitava soltanto a seguire Niall.

Arrivati all’auto, trovarono tutti i demoni di prima ad aspettarli. Niall si fece strada sparando altri colpi. Ad un certo punto la pistola si scaricò, al che Niall cambiò velocemente caricatore e sparò ancora, finché l’accesso all’auto non fu abbastanza agevole. S’infilò nella vettura di Louis, sbattendolo dentro di peso. Entrò a sua volta al posto di guida e accese il motore. Ingranò la retromarcia e partì in sgommata, talmente in fretta che l’auto fece un balzo all’indietro.

Li vide tutti fuori attraverso il parabrezza. L’intera città era popolata dai demoni delle storie di Jackson. In quegli attimi concitati, l’unico pensiero di Niall era andarsene velocemente da quel posto, e anche se aveva già ferito alcuni di loro, mai si sarebbe sognato di investirli. Si morse il labbro inferiore, quindi si voltò indietro e fece una lunghissima retromarcia, concludendo con una brusca sterzata che portò il muso dell’auto al posto del retro. Ingranò la prima e partì sgommando. I demoni erano ora soltanto un riflesso nello specchietto retrovisore.

 

*****

 

Louis, che fino a quel momento era rimasto zitto, ora stava canticchiando.

Come si chiama tutti lo san, è quel birbante di un figliolo, si chiama Niall, questo lo so, ma che non si può uscire, lui non lo sa…

 Parole senza capo né coda, ma che incominciarono a preoccupare Niall.

La stradina a due corsie che portava fuori città, verso l’autostrada, era ancora immersa nel buio della notte, e in più c’era tanta nebbia. Buon segno, pensò Niall, accelerando ancora di più. Sul quadro degli strumenti, il tachimetro aveva toccato le 90 miglia orarie.

- …e corre, corre, sempre più forte, ma lui no, non lo sa, che non si può uscir da quaaa… - Louis canticchiò di nuovo, e questa volta si mise a ridere.

- Piantala, Louis! – lo ammonì Niall, mentre la riga di mezzeria tratteggiata diventava insolitamente luminosa.

- Ma che…? – Niall fu investito da un fascio di luce, prima di essere avvolto da altra nebbia e infine di rivedere i demoni di nuovo di fronte a sé, attraverso il parabrezza.

- Oh no! Ho fatto il giro??? – Sul sedile passeggero, Louis rideva.

Senza badare a lui, Niall fece di nuovo retromarcia e sterzò il volante, riportando l’auto sulla via d’uscita.

- Calmati, Niall. Calmati. Allora, che strada hai preso? È quella giusta? – in risposta alla sua domanda, vide il cartello State lasciando Rirmor Sadkners, poi la strada fu nuovamente avvolta dalla nebbia.

- Ok, questa è la strada giusta. Sei d’accordo, Louis? – gli lanciò una breve occhiata, e vide che il ragazzo stava ridacchiando. Sembrava in preda ad euforia etilica. Louis si rimise a guardare la strada. Di nuovo la linea di mezzeria tratteggiata che si illuminava, poi un altro fascio di luce, e di nuovo…

- …Cosa??? –

…di nuovo i demoni all’esterno. Era tornato al punto di partenza.

- Merda!!! – imprecò, mentre faceva di nuovo retromarcia e si rimetteva in strada. Di nuovo la linea di mezzeria che s’illuminava, solo che questa volta Louis era sparito dall’auto. Non c’era più.

- Louis??? – lo cercò con lo sguardo, ma non lo vide più. Era sparito, volatilizzato. Per quella sera Louis aveva fatto il pieno di pazzia, si maledisse per aver tentato un’impresa così ardua come quella di andare a parlare con Jackson, per non aver lasciato che tutte le cose fossero rimaste com’erano. Sbatté la mano sul clacson, quando fu investito da un altro fascio di luce e si ritrovò i demoni di nuovo sulla strada.

Questa volta Niall restò a guardarli. Con le mani sul volante, guardò tutti quei mostri che gli si paravano davanti. Notò un particolare che prima non aveva notato: loro non lo attaccavano. Se ne stavano lì fermi a fare delle pose teatrali per spaventarlo, ma non lo stavano attaccando. Senza staccare gli occhi da loro, Niall mise la mano destra sul cambio e ingranò la retromarcia. Lasciò delicatamente la frizione e l’auto indietreggiò lentamente. Vide che i demoni si allontanavano dalla sua vista, e quando furono abbastanza lontani, Niall pigiò il freno. Continuò a guardarli ancora un secondo, poi…

- …Andate all’inferno!!! – esclamò.

Ingranò velocemente la prima marcia e schiacciò l’acceleratore. Il motore della Ford di Louis rombò sommessamente, poi Niall mollò la frizione e l’auto partì in sgommata, diretta verso la folla dei demoni. Con quella manovra, Niall investì parecchi di loro, che andarono a finire sul parabrezza e sul tetto dell’auto. I più si scansarono velocemente, chi aggrappandosi ai lampioni, chi buttandosi sui marciapiedi. Niall stesso non sapeva cosa stava facendo, ma ormai non ne poteva più. Era esausto. La visione di una persona sulla strada gli fece cambiare umore immediatamente.

- Louis!!! –

Il ragazzo che poco fa era con lui nell’abitacolo ora era là, in piedi sulla carreggiata, un piede da una parte della mezzeria e uno dall’altra. Le mani allargate a formare una specie di “T”, come un toreador che sfida il toro. Niall inchiodò bruscamente, ma data la velocità che aveva preso l’auto, sbandò violentemente contro un muretto, e senza la cintura, fu proiettato contro il parabrezza. Dal vano motore incominciò ad uscire fumo, mentre lo sportello veniva aperto. Riuscì a scorgere Louis che lo tirava fuori prendendolo per le braccia e che lo guardava sorridendo, poi per lui scese il buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


29.

 

 

 

Per un tempo che gli parve lunghissimo, Louis credette di essere tornato indietro nel tempo. Per meglio dire, non era più nella realtà che conosceva (ammesso che di realtà si trattasse). Non era più a Rirmor Sadkners, bensì a New York. L’atmosfera era carica di pioggia, così come lo erano i marciapiedi. Nell’aria si sentiva chiaramente il profumo di terra bagnata che caratterizzava quei giorni piovosi. Niall camminava a testa bassa tra la folla che gli camminava incontro. Ad ogni passo riusciva a vedere le sue scarpe che calcavano il marciapiede.

Basta, non ce la faccio più.

Mentre camminava, con la testa zeppa di pensieri foschi, per poco non inciampò a causa di un ragazzo che gli aveva quasi fatto lo sgambetto. – Sei cieco, cretino? – gli aveva detto questi, affrettandosi a riprendere il passo e lasciando Niall con un palmo di naso, con le mani affondate nelle tasche della sua felpa. Entrò nel primo negozio a portata di mano, non sapeva nemmeno che cosa vendesse.

Sono tutti degli stronzi, là fuori. Io non ci torno.

Il negozio risultò essere una libreria. Alzò gli occhi, osservando come i libri erano ben composti sugli scaffali bianchi, come la poca gente passeggiasse per quei corridoi senza dire una parola, osservando i libri e creando nel contempo una parvenza di mondo perfetto.

Si mise anche lui a curiosare per gli scaffali, senza un’idea precisa. I libri esposti erano per lo più biografie di insigni politici che avevano fatto la storia degli Stati Uniti, poi c’erano libri della J. K. Rowling (da cui Niall teneva volutamente le distanze), uno spazio interamente dedicato alla narrativa horror di Stephen King, e poco più in là…

Uno spazio nuovo, curato da un ragazzo dai tratti orientali. Louis guardò la targhetta col suo nome: si chiamava Johnny.

In questo spazio, Louis prese in mano un libro che lo attirò particolarmente.

E questo…? “Howard P. Jackson – Nel labirinto della follia”?

Poche righe bastarono per suscitare in lui una curiosità enorme. A chi gliel’avesse chiesto, Niall avrebbe risposto che non ricordava perché si era sentito così attratto da quel libro, né cos’avesse trovato nella trama di tanto interessante. Eppure aveva pensato…

…Sembra interessante. Lo prendo!

E se l’era messo in tasca.

Da lì era cominciato tutto quanto.

 

*****

 

Aveva aperto gli occhi, e si era ritrovato su un divano spazioso, con sotto dei cuscini a reggergli la testa. Poco lontano, una musica di sottofondo riempiva il silenzio della sua stanza: poteva trattarsi di un valzer, o un’altra identica melodia.

- Ben svegliato, figlio mio. –

Niall trasalì, nel vedere che non era solo in quella stanza: Jackson era lì con lui, vestito di tutto punto, che lo osservava, seduto su una poltrona. Teneva le braccia sui braccioli e le mani giunte, come osservando una creatura rara.

- F… figlio… suo? Ma … che cosa…? –

Alzando la mano, Jackson lo fermò.

- Ti prego, non fare domande di cui già conosci le risposte. Tu sai perché sei qui, solo che non vuoi ammetterlo – fece una pausa, poi aggiunse – O più probabilmente, non te lo ricordi. -

Niall si drizzò a sedere. Da sempre Jackson, nel modo di scrivere che lui conosceva bene, gli dava l’impressione di un uomo molto sicuro di sé, molto persuasivo. Ora ne stava avendo la prova tangibile.

- Di cosa sta parlando? Io voglio solo riprendermi i miei amici, Louis e Harry. Ma a quanto pare, ho miseramente fallito. –

- Oh no, no. Non hai fallito, anzi sei stato davvero bravo ad arrivare fin qui sano e salvo, nonostante il brutto incidente con l’auto. A proposito, mi dispiace ma non credo che l’auto di Louis si potrà recuperare, così conciata… -

- Non cambi discorso, Jackson – disse Niall, alzandosi in piedi. Si sentiva parecchio debilitato e gli faceva male la clavicola. Si appoggiò ad un mobile lì vicino, e subito alle spalle di Jackson vide la sua scrivania con la macchina per scrivere e un mazzetto di fogli. Improvvisamente, ebbe una sensazione di dejà vu.

Poi, senza che Niall gli chiedesse nulla, Jackson cominciò a parlare.

- …I grandi antichi, Niall. Ti dice niente questa parola? –

Niall stava per rispondere “no”, ma la sua bocca si bloccò prima che potesse pronunciare alcunché. I Grandi Antichi. Quelle parole furono come una molla che caricò tutti i meccanismi fermi da anni nel suo cervello. Come una chiave che mise in moto il complesso motore del ricordo nella sua mente, riportandolo immediatamente indietro nel tempo a quando aveva solo tredici anni. Chiuse gli occhi e si rivide poco meno che adolescente, curvo su un manoscritto che cercava risposte alle domande che i romanzi di Jackson gli avevano ingenerato nella mente: esistevano o erano esistite entità superiori di stampo pagano, prima degli uomini? Leggendo quei romanzi, Niall si era convinto che ci fosse qualcuno, in un altro mondo, un mondo parallelo, che un giorno sarebbe venuto e avrebbe dominato la terra. Aveva anche capito che i Grandi Antichi non avrebbero mai potuto attraversare i varchi temporali che li separavano dal mondo reale (dove peraltro essi erano considerati fantasie buone per menti malate, come poteva esserlo Jackson) senza un tramite eletto. La testa incominciò a girargli, mentre ricordava un’altra cosa: le sedute dalla psicologa, tutti quegli psicofarmaci presi per cercare di sedare la sua sete di conoscenza, il suo desiderio di conoscere i demoniaci padroni del mondo… e poi Alvin, il suo fidanzato, che dopo un periodo passato insieme, lo lasciava miseramente, mandando a monte un lavoro di riabilitazione interiore durato più di un anno… un tempo che a Niall erano sembrati secoli, paragonati allo sforzo che aveva dovuto compiere per cercare di liberarsi della verità…

- La verità li renderà liberi. – citò Jackson proprio nel bel mezzo della scaletta mentale di Niall. Lo osservò con gli occhi sgranati e umidi di lacrime, per il ricordo appena vissuto della sua tormentata adolescenza. Jackson si alzò e gli andò vicino, quasi prossimo a toccarlo, ma non lo toccò. Si limitò a guardarlo.

- …per i più, i miei libri non erano altro che fantastiche storie piene di sangue e morte, buone a solleticare le loro fantasie perverse. Lettura superficiale, come la chiamo io. Ma tu… - disse, posandogli entrambe le mani sulle spalle e piegando le sue labbra in un ghigno - …Tu, figlio mio, sei riuscito a leggere oltre le righe. –

- Non devo essere stato il solo, a quanto pare… - mormorò Niall, avvertendo un disagio enorme, che traspariva dalla sua voce.

- Eh no, purtroppo. Thomas ha capito tutto prima di te, e molto più velocemente. Anche Dhalia Claiborne e il professor Bean avevano capito. Sarebbero stati pronti a venire da me, ma qualcuno li ha fermati prima del tempo. –

- A venire da lei?!? – sbottò Niall, sottraendosi al contatto con lo scrittore – Thomas ha assassinato sua madre! Bean ha trifolato la clientela di mezza libreria con un’ascia, e per poco non ammazzava anche me! Per non parlare della Claiborne, che ha fatto fuori mezza redazione della Pendragon Press… Sarebbe stato questo il modo in cui volevano venire da lei? –

Ridacchiando, Jackson fece un giro su sé stesso, andando verso la sua scrivania – Né Bean, né la Claiborne, né Thomas, e nessuno dei miei ragazzi – aveva un bel fegato a chiamarli “ragazzi”, pensò Niall – ti avrebbero torto un capello. Ti avrebbero solo portato qui, ma tu hai voluto fare di testa tua, mi hai resistito più volte, finché non sei arrivato. –

- Vuole spiegarmi che cosa ci faccio qui, allora? –

Jackson sospirò, fece un gesto con la mano indicando a Niall di voltarsi. Nel frattempo, nella stanza entrò Louis. Niall lo guardò per un secondo, notando come il ragazzo avesse perso la brillantezza negli occhi, la fluidità nei movimenti… e l’umanità nell’anima. Ai suoi occhi appariva come uno zombie, uno dei tanti burattini di Jackson.

- Voltati, Niall – disse Jackson – e guarda. Guarda. –

Lentamente, Niall si voltò. Dietro di sé, nel muro si era aperto un buco nero. Una specie di oblò sulla parete, dal quale non si vedeva altro che buio. Le tenebre erano sovrane, laggiù. A Niall vennero in mente le parole di Jackson.

Come angeli risaliranno dallo specchio delle tenebre…

Mirror of Darkness.

Rirmor Sadkners.

- Mirror of Darkness… - mormorò Niall, guardando fisso nel buco. – L’avevo inventato io. – concluse, ricordando che quella città l’aveva inventata lui in uno dei suoi racconti.

Dietro di lui, Jackson porse il manoscritto a Louis, che lo prese in mano e lo sfogliò. Poi si mise a leggere le ultime pagine ad alta voce.

Niall guardò nel buco nero, che aumentava di grandezza ogni secondo. In quel buio, egli riconobbe la salvezza dell’umanità: occhi gialli apparvero nell’oscurità, e gemiti riempirono il silenzio. Pochi attimi, soltanto pochi attimi, e i Nuovi Padroni avrebbero invaso il mondo reale. I Grandi Antichi non sarebbero più stati la perversa fantasia di pochi.

Niall indietreggiò, vedendo che gli occhi gialli avanzavano lentamente. Si rivolse a Jackson. – Lei… Lei è pazzo… - mormorò.

Jackson si mise a ridere – Solo grandi pazzi possono essere grandi geni. – sentenziò, quindi Louis avanzò verso Niall e gli porse il manoscritto. Niall guardò prima lui, poi le pagine.

- Voglio che tu dai alle stampe questo romanzo, Niall. Sarà il più grande successo di Howard P. Jackson. Tutti ne parleranno, e non solo: il mondo sarà un posto migliore. – disse, sogghignando.

- E lei crede che io…? –

- Se non vuoi farlo per lui… - disse Louis, avvicinandosi – Fallo per me. – e lo baciò sulla bocca. Niall non si sottrasse, ma ad un iniziale reticenza, chiuse gli occhi e baciò con dolcezza Louis sulle labbra, trasformando sempre di più il suo bacio in un bacio appassionato, da amante.

Quando si staccarono, Louis non aveva più il manoscritto. Ce l’aveva Niall.

Niall guardò negli occhi Louis, che sorrideva. Ma il suo non era un sorriso umano. Era il sorriso di un pupazzetto animato da malvagi intenti. Si chiese quanto del vero Louis ci fosse stato in quel bacio. Non molto, forse, ma ciò gli permise senz’altro di apprezzarlo di più. Intanto, alle spalle della scrivania di Jackson, si era aperto un altro buco. Questo però non era scuro, sembrava più… una galleria, con una luce in fondo.

- …attraversa questo passaggio e ritornerai nel tuo mondo. Torna a casa, rilassati e poi presenta questo manoscritto a nome mio. D’accordo, Niall? – disse Jackson, strizzando l’occhio al ragazzo.

- E se mi rifiutassi? – domandò Louis.

- Ohohohoh. Che domanda sciocca. Vai adesso, non perdere altro tempo. – lo incalzò Jackson, mentre Niall si avviava.

Fece pochi passi all’interno del tunnel, guardando di tanto in tanto indietro. Louis e Jackson erano ancora fermi lì, come statue, a guardarlo. Qualcosa diceva a Niall che se avesse cercato di tornare indietro, non ci sarebbe riuscito, perché una barriera glielo avrebbe impedito. Difatti, all’ultimo sguardo alle sue spalle, Louis e Jackson erano scomparsi.

Cristo… E adesso cosa faccio? Si domandò Niall, mentre l’uscita dal tunnel era sempre più vicina.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


30.

 

 

 

Il varco dimensionale si era chiuso all’improvviso, senza che Niall se ne accorgesse, lasciandolo sull’autostrada in un giorno grigio: grossi nuvoloni neri guardavano con malocchio dal cielo, gravidi di una pioggia che da un momento all’altro sarebbe esplosa con tutta la sua violenza. Con il manoscritto stretto al petto (non sapeva nemmeno lui perché ci tenesse a proteggerlo), Niall camminava piano, un passo dopo l’altro, alla ricerca di un ricovero per la notte. Notte? Ma lo sapeva che ore erano? No, certo che no. Il suo cellulare era scarico, non aveva incontrato nessuna auto in transito da quando era uscito da Rirmor Sadkners

(Lo specchio delle tenebre)

e dunque aveva perso, oltre alla strada di casa, anche la cognizione del tempo.

Mamma mi mangerà vivo quando torno a casa, pensò Niall con un sospiro; poi abbassò gli occhi sul manoscritto. Coraggio, non preoccuparti. Quando questo libro sarà pubblicato, la rabbia di tua madre sarà l’ultimo dei tuoi problemi, te lo garantisco. A quelle parole, pronunciate dalla sua testa, Niall si mise a ridere. Camminava e rideva, ad ogni passo uno sghignazzo, ogni chilometro una risata fragorosa. Aveva sentito dire che a volte i pazzi ridevano da soli.

Dunque cari studenti, facciamo un bel sillogismo: se i pazzi ridono da soli, e Niall Horan ride da solo, allora Niall Horan è un pazzo! Ah Ah Ah Ah! Che ridere, Prof!

Rise ancora più forte a quell’eventualità. Se anche Jackson era un pazzo furioso ma gli era andata di lusso fino ad ora (cioè non aveva trovato nessuno buono a piantargli una pallottola in mezzo agli occhi al momento giusto, ovvero prima di concludere quel romanzo), allora a lui poteva andare ancor meglio. Un tuono sovrastò le sue risate. Niall alzò gli occhi, e vide dei fulmini saettare in lontananza. Gocce di pioggia iniziarono a bagnargli il viso. Neanche il tempo di alzare gli occhi, che subito l’acqua iniziò a cadere a scroscio, costringendolo a cercarsi un riparo. Nel mentre che correva, pensò a proteggere il manoscritto, mettendoselo sotto la giacca.

 

*****

 

La pioggia continuava a cadere incessantemente da più di un’ora. Miracolosamente era riuscito a trovare una casa abbandonata. Il portico era ancora solido, e abbastanza integro da potergli offrire un riparo. Seduto su una vecchia sedia a dondolo, osservava la strada per vedere se riusciva a far fermare qualcuno. Quel giorno però sembrava non essere il suo giorno fortunato: da quando si era messo lì, non aveva visto un’auto che fosse una. Forse i turisti non amavano visitare le magnifiche terre dell’America nord-orientale? La sua gamba destra si muoveva impaziente, andando quasi a ritmo con il sottofondo provocato dalla pioggia battente, pensando che migliaia di fan del grande Jackson avrebbero voluto trovarsi al suo posto, in quel momento: seduto su una sedia a dondolo, da solo, con il sottofondo ideale (beh, non proprio così ideale)… e con il tanto atteso ultimo manoscritto della pentalogia delle tenebre. Un’occasione troppo ghiotta da lasciarsi sfuggire.

Niall Horan non era mai stato un ragazzino curioso. Da bambino aveva avuto qualche domanda in più rispetto ai suoi coetanei, ma si era sempre accontentato delle bugie bianche dei suoi genitori, non era mai andato a cercare risposte più articolate. Se ciò che aveva detto Jackson era vero, dunque che tutte le risposte erano in quel libro, lui non avrebbe dovuto far altro che leggerlo, e gli si sarebbero aperte le porte. Sicuro, era facile! Sarebbe bastato strappare la carta che lo avvolgeva, togliere i due intrecci di spago e via, dal produttore al consumatore senza passare dalla filiera editoriale. Chi gliel’avrebbe impedito? Jackson, forse?

Forse non sarà il massimo degli scrittori, però una cosa è sicura: Jackson sa stimolare la curiosità anche dalla copertina. Figurarsi un libro senza la copertina. Lo leggo o non lo leggo? Mmmh…!

Per dirla tutta, nei suoi pensieri c’era anche il progetto di distruggerlo. Distruggere quel fiume in piena di parole, quella bibbia dell’apocalisse per vedere se sarebbe riuscito a scongiurarla. Lo tirò fuori un momento dalla giacca, per guardarlo ancora un po’. Com’era ovvio, non si era macchiato né bruciato, né aveva mostrato segni d’insofferenza al pensiero che Niall aveva avuto su di lui, ovvero sé stesso che lo metteva su un barbecue, lo cospargeva di benzina e gli dava fuoco.

Fece un sorrisetto compiaciuto a quel pensiero, ma proprio quando si sentì ispirato per fare ciò che aveva in mente, il libro iniziò a fumare.

Niall cercò di tirarlo fuori dalla giacca, ma era come…incastrato. E scottava. Scottava sempre di più, fino a che non prese fuoco. Il manoscritto avvampò come una torcia contro il petto di Niall, che cacciò un urlo di terrore quando le fiamme iniziarono ad avvolgergli i vestiti e la pelle. Era come se lui stesso fosse stato cosparso di benzina, data la rapidità con cui le fiamme si propagarono sul suo corpo. saltò giù dal portico come una torcia umana, cercando di spegnere le fiamme sotto la pioggia. Urlò e si dimenò a destra e a sinistra, correndo in strada. Gli occhi gli esplosero fuori dalle orbite per il calore. Cieco, si voltò al suono di una sirena in lontananza: l’unico veicolo che era sopraggiunto da quelle parti, un TIR, lo investì in pieno, spappolandolo sull’asfalto.

 

*****

 

Si svegliò di soprassalto, respirando a fatica e sentendo ancora nelle narici l’odore del fumo che usciva da quel manoscritto. Non era più sotto un portico di una casa abbandonata, bensì sul sedile passeggero di una station wagon guidata da un uomo in giacca e cravatta, che somigliava moltissimo a George Clooney.

- Ehi ragazzo – lo apostrofò il guidatore – Tutto a posto? –

- I… io… - Niall si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. – S… sì. Sto bene. –

- Dal colorito della tua pelle non si direbbe. Sei pallido come un cencio – sentenziò l’uomo – ma non preoccuparti. Siamo quasi arrivati a New York. –

- Di già? – Niall sbadigliò vistosamente – Ma… che ore sono? –

- Le sette del mattino… di un piovoso venerdì, a quanto sembra. Le previsioni danno pioggia per tutto il giorno. Bah, l’autunno… - disse “George”, e trangugiò un po’ del suo caffè mentre guidava.

- Capperi! – esclamò Niall – devo aver dormito un bel po’, eh? –

- Scherzi? Hai ronfato beatamente per tutto il viaggio. Finché non ti sei svegliato. –

Niall si vergognò un po’ di quella scoperta, ma d’altronde non lo si sarebbe potuto biasimare: non era da tutti incontrare il proprio pazzo scrittore preferito, e non era da tutti ricevere da lui un manoscritto da dare alle stampe. A proposito… il manoscritto… dov’era?

- Signore? – domandò Niall.

- Sì? Che c’è? –

- Ha per caso visto il mio manoscritto? – mentre domandava, si mise a cercarlo. Forse gli era caduto in mezzo ai sedili.

L’uomo fece un’espressione interrogativa - Di quale manoscritto stai parlando? Non ti ho visto con nessun manoscritto, da che sei salito sulla mia auto. –

Niall alzò lo sguardo, incontrando il profilo serio dell’uomo. – …Ne Ne è sicuro? –

- Sicuro come la terra è rotonda, figliolo. Non avevi nulla con te oltre ai tuoi vestiti. –

Niall si rimise comodo sul sedile, valutando le possibili ipotesi. Per la legge dei Grandi Numeri, era molto probabile che: A) il libro si era volatilizzato da solo, lasciandolo lì come un frolloccone; B) il libro non era mai esistito, non erano mai esistiti né Jackson né gli altri, quindi il mondo non correva alcun pericolo; oppure, la più probabile C) Niall stava diventando pazzo.

Sto diventando pazzo, ripeté nella sua mente, mentre l’auto imboccava l’allacciamento autostradale di New York.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


31.

 

 

 

Quando tornò a casa, Niall pensò di aver sognato tutto. Corse nella sua stanza e trovò tutto come aveva lasciato prima di indagare sui libri di Jackson. Questi erano lì, sul solito scaffale dov’erano sempre stati, leggermente consunti dall’uso ma non certo portatori di chissà quale fantomatica “parola di Dio” che portava la gente alla pazzia. Su Facebook, Harry Styles era scomparso. Provò a chiamarlo al cellulare, ma il numero risultava inesistente. Se il cellulare risultava inesistente, il numero di casa era esistente, ma non corrispondeva a nessuna abitazione, bensì ad un ufficio legale al ventottesimo piano di quel palazzo dove Harry aveva detto di abitare insieme alla madre. Appena posato il cordless sulla base, si sentì preso da un capogiro fortissimo, che per poco non lo fece cadere ginocchioni sul pavimento. In suo aiuto accorse sua madre, che lo sorresse fino alle scale, portandolo a letto.

 

*****

 

- Oh mio dio, Niall tesoro… Hai la febbre a quarantuno! – esclamò la madre togliendogli il termometro dalla bocca.

Disteso in quel letto, Niall si sentiva il cervello friggere, la testa gli stava scoppiando e il corpo era quasi insensibile, ma conservava ancora una flebile fiammella di lucidità che lo spinse a parlare con sua madre.

- Mamma… - gemette, con le lacrime agli occhi per il dolore - …Ho… ho incontrato Jackson. –

Maura Gallagher mise una mano sulla fronte di suo figlio: scottava.

- Vado a prenderti la borsa del ghiaccio. Dobbiamo assolutamente far scendere la temperatura. –

- Mamma… ti prego, ascoltami… - ora Niall stava quasi piangendo - …i demoni… stanno arrivando… distruggeranno tutto, s’impadroniranno della realtà… - uno spasmo lo interruppe, la testa gli faceva male come se gliela stessero perforando con un trapano - … moriremo tutti, mamma… ti prego… fai … qualcosa… - mormorò, guardando negli occhi la donna.

Maura incontrò lo sguardo del figlio, che la guardava come un cucciolo smarrito e pauroso. Dagli occhi di Niall iniziarono a sgorgare calde lacrime, accompagnate da singhiozzi. Rimase zitta ad ascoltarlo ancora, quando fece una specie di confessione.

- S… sono… sono stato io. Ho … ho fatto prendere Louis Tomlinson e Harry Styles…. E … Thomas…Thomas! – esclamò, come in preda al delirium tremens – …Thomas! Thomas Bailey…! Ha fatto fuori sua madre, poi è …. Si è unito a Jackson, perché Jackson vuole… vuole aprire la strada ai dominatori… del mondo… vogliono… soggiogare la razza umana facendoli impazzire… tutti…. Tutti moriranno…! –

Maura non credeva alle proprie orecchie. Lentamente tolse la mano dalla fronte del figlio e si chinò a baciarlo.

- Amore – gli disse – Thomas Bailey è rinchiuso nell’ospedale psichiatrico di Silent Hill. L’hanno ritrovato questa mattina presto. Andrà tutto bene, vedrai. Non c’è niente di cui aver paura. Sei a casa tua, con la tua famiglia… -

- …G… Greg! D… dov’è Greg??? – annaspò Niall.

- Tuo fratello è ancora in guerra in Iraq, tesoro… non tornerà prima di un mese. –

- Oh mamma… mamma ti prego, devi credermi. Qualcuno deve fermarli… bisogna… bisogna bloccare la pubblicazione… di… di quel…. Libro… Ah… - annaspò ancora, sentendosi mancare il fiato. A quel punto sua madre si alzò e corse giù in cucina a preparare una borsa con del ghiaccio. La temperatura si stava alzando, bisognava assolutamente fare qualcosa.

- No… mamma non andare via… ti prego… -

- Vado a prepararti una borsa del ghiaccio! Torno in un lampo!!! – gli disse dal fondo delle scale. Niall abbandonò la testa sui cuscini, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra: pioveva ancora a dirotto, con lampi e tuoni.

Questo è il giorno del giudizio, pensò Niall prima di sprofondare lentamente in un sonno profondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


32.

 

 

 

La prima notte a casa dopo l’avventura a Rirmor Sadkners fu traumatica: dormì poco e male a causa della febbre che l’aveva colto, e vedeva dappertutto solo ombre malvage e demoni che uscivano dalle tenebre. In quelle poche ore, il suo letto era diventato il suo castello. Non ne era sceso nemmeno per andare in bagno, e per difendersi aveva rispolverato la sua vecchia mazza da baseball, che teneva accanto a sé, in caso di incursioni (era troppo sicuro che qualcuno sarebbe venuto a fargli visita).

Difatti, una visita la ricevette.

 

*****

 

Come molte persone quando hanno la febbre, Niall si girava e rigirava nel letto, senza riuscire a prendere sonno, vedendo cose che non potevano esistere se non nei suoi deliri onirici. La pioggia che aveva iniziato a cadere dal cielo dalla mattina presto, stava continuando a tormentare New York. Tutto quel ticchettio incessante era un altro cattivo modo per disturbare il suo sonno. Niall guardò l’orologio digitale sul comodino: le quattro meno venti. La notte sarebbe stata ancora lunga, perciò cercò di chiudere gli occhi e rilassarsi, nonostante la testa fosse sul punto di esplodergli. Pensò a Greg, che se fosse stato lì, sicuramente l’avrebbe difeso con una delle sue armi automatiche… per un attimo si chiese se aveva ancora a disposizione quella certa chiave…

Con la febbre ancora alta, il suo cervello gli regalava visioni pazzesche: più di una volta si girò di scatto verso la porta credendo che si stesse aprendo, rivelando la figura di un demone zannuto pronto a divorarlo. Cercò di tranquillizzarsi, ma fu tutto inutile. La seconda grande visione che ebbe in quegli attimi fu di suo fratello Greg che combatteva in Iraq. Li vedeva tutti là, con le loro divise mimetiche, gli elmetti e i fucili automatici a combattere il nemico… nemico che nei sogni di Niall non erano i terroristi islamici, bensì degli altri demoni che avanzavano contro i soldati. Soldati tra i quali si riconobbe anche egli stesso. Li vedeva in prima persona, i demoni impazziti… li vedeva… e non sapeva cosa fare.

La terza visione fu forse quella più terrificante.

Ormai rassegnato all’idea che se avesse chiuso gli occhi avrebbe visto soltanto paura e morte, Niall scontò le ultime ore di notte che gli restavano con gli occhi aperti. Se non mi addormento non li vedrò, pensava e ripensava, tra un brivido di freddo e l’altro, carezzando il manico della mazza da baseball e guardando la finestra. Improvvisamente, la porta iniziò a scricchiolare, fino ad aprirsi. Niall impugnò istintivamente la mazza, senza però tirarla fuori del tutto. Si sentiva parecchio debole, non era nemmeno sicuro di riuscire a tenerla in mano. Ma doveva provarci.

- Vieni avanti, Jackson – mormorò, sottovoce – che cosa stai aspettando? –

Anziché Jackson, nella sua stanza entrò Louis. Niall sentì il sangue fermarglisi nelle vene.

- L… Louis? Ma tu… Tu… -

- Ciao Niall – lo salutò amichevolmente Louis chiudendosi la porta alle spalle. Quel gesto non piacque per nulla a Niall, che prese la mazza e la tirò fuori, pronto a scassare il cranio di Louis se si fosse provato a fare scherzi.

- C…ciao… Ma… che cosa vuoi? –

- Voglio solo cercare di convincerti a passare da noi. –

Louis gli sorrise, incominciando a sbottonarsi la camicia… Sebbene Louis fosse leggermente attratto da lui, scosse la testa.

- No, stai sbagliando… ho la febbre, non riuscire a fare sesso nemmeno se… -

- Ma io non voglio fare sesso con te. – ribatté Louis, togliendosi la camicia e lasciandola cadere ai suoi piedi.

Niall non capiva se era un sogno o la realtà, ma ebbe abbastanza paura quando Louis gli si fiondò addosso e si tramutò in un demone. La prima cosa che il demone-Louis fece fu di spezzare a metà la mazza da baseball. Niall urlò come un pazzo, invocando mamma, papà e persino suo fratello, ben sapendo che non era lì a casa… il demone-Louis rise, quindi parlò con una voce cavernosa.

- So che anche tu lo vuoi, Niall… Perciò non resistere. Lasciati andare. –

Le zanne del demone gli lambivano il collo. Niall provò schifo e terrore quando Louis gli leccò il collo con quella lingua da demone mentre con le mani lo scopriva, abbassandogli i pantaloni e i boxer… ciò che doveva essere il membro di Louis lambì la fessura di Niall, che per tutta risposta, se la fece addosso dalla paura. Anche se spaventato, non si risparmiò di rispondere al demone.

- …Quando all’inferno si potrà sciare, allora io mi unirò a voi. – disse, e sputò in un occhio a Louis.

Louis riprese le sue sembianze umane, e si deterse lo sputo di Niall ridacchiando. Poi lo guardò. Gli mise una mano sul collo e iniziò a stringere.

- Non sai quanto mi eccita vederti così, Niall. Ti scoperei ancora una volta se avessi tempo. – Poi si avvicinò al suo orecchio – So che ti è piaciuto quella volta, non dire di no. Puoi riaverlo, ma solo se ti unisci a noi. –

- Mai! Mai! Mai!!! – esclamò Niall, esasperato. Dai suoi occhi iniziarono a sgorgare lacrime. Erano più di dispiacere per aver perso Louis che per altro. Ora avrebbe desiderato soltanto morire, ma qualcosa gli diceva che il peggio doveva ancora venire.

- Tanto non puoi più fare nulla. Stiamo già arrivando. –

- Ho perso il romanzo. Non è stato pubblicato. – mormorò Niall, tossendo.

Per tutta risposta, Louis buttò la testa all’indietro e si mise a ridere di gusto.

- Questo lo credi tu – rispose.

- Cosa…? –

- Ti consiglio di guardare la televisione domani, al risveglio. Avrai una bella sorpresa. – concluse il demone-Louis, prima di allontanarsi dal letto di Niall e scomparire nelle tenebre. Rimasto solo, Niall si asciugò le lacrime, lottando contro sé stesso per cercare di calmarsi… Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


33.

 

 

 

Troppo spesso, quando si apprende la notizia di un omicidio, la prima reazione dell’opinione pubblica in generale è la seguente:

Sembrava tanto una brava persona… chi se lo sarebbe mai aspettato?

Ma ciò è solo un incanto. Il gemito di dolore della signora corpulenta dopo che le si è rotto un tacco proprio mentre scendeva le scale. Il versetto di stupore di un pettegolo curioso che spia dal buco di una serratura chi sa godersi la vita meglio di lui, non certo un’analisi ragionata del perché il fatto è successo.

La storia criminale ha documentato casi in cui la follia omicida che ha preso il sopravvento sulla mente di una persona è stata scatenata dalle più svariate e soggettive motivazioni personali: c’è stato chi ha sparato al suo cane durante la proiezione di un film horror sui lupi mannari; chi ha assassinato il coniuge perché fedifrago; chi ha compiuto una strage in un centro commerciale per emulare l’eroe di un film d’azione, e tanti altri scenari. Casi, questi, in cui c’è stato un protrarsi della situazione patologica nella mente dell’individuo, a volte anche a sua insaputa, fino a che la patologia era sfociata nella violenza. Un classico.

Nel caso di Niall James Horan (ma diciamo come nella maggior parte dei casi di omicidi plurimi), la causa scatenante il raptus non fu determinata da uno stillicidio d’acqua, ovvero la classica goccia che fa traboccare il vaso, bensì da una convinzione.

La convinzione che da lì a poco, non ci sarebbe stato più nulla da fare, e che quella era l’unica soluzione possibile.

 

*****

 

Nonostante la febbre e la debolezza, Niall era uscito di casa prendendo l’auto di suo padre. Ai tentativi della madre di impedirglielo, lui si era ribellato, spingendola via e mandandola a rovinare sulla credenza, causando la rottura di un piatto e il rovesciamento della zuccheriera. Inerme, piangente e con un polso fratturato, la madre era rimasta lì ad osservare suo figlio uscire con in mano un arnese progettato per uccidere. I suoi urli coprivano a malapena il parlato del televisore.

In the eyes of darkness, è il nuovo romanzo del celeberrimo scrittore gotico contemporaneo Howard P. Jackson! L’ultimo capitolo della pentalogia da oggi in libreria! Affrettatevi, sta andando a ruba!!!

E, subito dopo la pubblicità

Continuano in tutta New York gli omicidi plurimi aggravati. Sembra una specie di virus, che colpisce gli individui e li porta ad una pazzia scatenante follia omicida. Consiglio di Stato oggi alla Casa Bianca: sono stati interpellati alcuni esperti, ma ancora non se ne conoscono le cause…

 

*****

 

- Vede, signor Horan, io trovo quantomeno incredibile che lei venga qui a supplicarmi di ritirare il libro dalle vendite. È appena uscito e già è un successo editoriale migliore degli altri quattro predecessori… -

A quelle parole Niall si alzò dalla poltroncina di fronte alla scrivania e vi sbatté vigorosamente e ripetutamente le mani, facendo ribaltare il cartellino con il nome di Ronald Sunderland – Assistenza alla clientela. L’uomo lo guardò stupito da dietro quegli occhialini da vista, ma Niall non si scompose di un millimetro.

- Mi ascolti, caro il mio signor Ronald-testa-di-cazzo-Sunderland. Quel libro di merda è un ricettacolo di follia. Basta leggerlo e si impazzisce. –

Sunderland, che di pazzi in vita sua ne aveva visti molti, trovava il delirio di Niall piuttosto originale. Lentamente si allontanò con la sedia dalla scrivania, e prese a giocherellare con la sua cravatta.

- Anche ammettendo che abbia ragione, signor Horan, non vedo come potrei aiutarla. Stiamo parlando di ritirare dalle stampe un libro la cui tiratura è immensa, e sulla base di che cosa…? …di supposizioni campate per aria. Me lo lasci dire, è proprio ridic… -

- Accenda la televisione, razza di cretino! – esclamò Niall, aprendo il braccio e indicando la finestra con l’indice ma senza staccargli gli occhi di dosso – là fuori si stanno massacrando come pazzi, tutto per colpa di quel libro che Voi avete pubblicato. –

- E che qualcuno ci ha spedito, mi pare. – ribatté Sunderland accigliato. – E quel qualcuno, mi risulta fosse stato proprio lei. –

A questo punto, Niall lo fissò incredulo. In quegli occhi azzurri Sunderland lesse smarrimento e confusione. Un’altra riprova del fatto che il ragazzo non stava affatto bene. Era pallido come un cencio, e gli occhi erano iniettati di sangue. Senza dire altro, Sunderland mise la mano sulla cornetta del suo telefono e fece per comporre un numero.

- No, aspetti – disse Louis, ritornando a sedersi e mettendosi le mani nei capelli – Io.. io non ricordo di aver spedito nessun romanzo. Non l’ho fatto. –

Sempre mantenendo la calma, Sunderland gli rispose come un educatore risponde ad un bambino ritardato – Signor Horan, il signor Jackson ci ha avvertiti che lei ci avrebbe consegnato personalmente il manoscritto. È arrivato qui un paio di giorni fa e ce l’ha consegnato. C’è ancora la sua firma sul registro. Crede che ora sarebbe qui in questo ufficio a parlare con me se ciò non fosse vero? –

Con le mani nei capelli, Niall scosse la testa. Jackson gliel’aveva fatta in barba. Incominciò a piangere sommessamente.

- Ero… ero a Rirmor Sadkners, due giorni fa. Non ero a New York. – mormorò, sottovoce.

Per un momento, Sunderland desistette dall’usare il telefono, ma fu tentato di riprenderlo quando Niall rialzò lo sguardo e incontrò il suo occhialuto interlocutore.

- Perché mi guarda così?!? Crede che io sia pazzo??? È così??? – sbottò Niall – Io non ero a New York due giorni fa, cazzo!!! – si alzò e buttò all’aria tutte le carte che Sunderland aveva sulla scrivania. Questi si scansò, provando ad invitarlo alla calma, ma Niall era già partito per la tangente.

- Mi ascolti signor Horan! Rirmor Sadkners non esiste! Lei è venuto qui ed ha consegnato questo manoscritto! –

- Puttanate!!! Puttanate!!!!! Io non ero qui! Ero a Rirmor Sadkners!!! – esclamò di nuovo, afferrando la lampada e scagliandogliela contro. Sunderland si scansò.

- Sicurezza!!! Sicurezza!!! – chiamò Sunderland, e prontamente due agenti della sicurezza fecero irruzione nell’ufficio. Manganelli alla mano, i due gorilla acchiapparono Niall uno per braccio, e lo trascinarono fuori dall’ufficio.

 

*****

 

La pioggia aveva ricominciato a cadere poco dopo che Niall era stato accompagnato fuori dalla Pendragon Press. Di fronte all’edificio aveva parcheggiato l’auto di suo padre, dalla quale adesso stava osservando il traffico di gente che entrava nella libreria. In quel momento quel posto sembrava sul punto di esplodere: c’era la fila fuori dalle porte a doppio battente, e i pochi che uscivano dal negozio avevano già divorato quasi la metà delle pagine. Niall strinse i pugni sul volante, mentre la radio continuava a dare notizie che gli omicidi stavano aumentando.

- Dove tutto è cominciato – disse ad un certo punto, scuotendo la testa. Le gocce di pioggia che cadevano sul parabrezza sembravano i suoi pensieri: confusi e disordinati, ma uniti da un filo comune: quello di cercare di riparare al grave errore commesso in passato.

Lanciò un’occhiata ai sedili posteriori. Il fucile d’assalto Beretta AR 70/90 era stato un vecchio amico di Greg per tutto il tempo in cui suo padre Bobby gli aveva insegnato a sparare. Quando Niall era diventato più grandicello, il fratellone l’aveva istruito all’uso delle armi ad un poligono di tiro. Potresti sempre averne bisogno, gli aveva detto quel giorno, poi aveva aggiunto, guardandolo intensamente negli occhi: ma non usare mai un’arma se non sei obbligato. Niall era stato un bravo allievo, per questo Greg gli aveva concesso un duplicato della chiave della rastrelliera. Dopotutto, prima o poi avrebbe dovuto usarlo. Con attenzione allungò la mano e prese lo sputafuoco sulle sue gambe, controllando che la sicura fosse inserita e il caricatore ben agganciato. Da una borsa prese una cartuccera con cintura incorporata, e v’infilò una revolver Smith & Wesson calibro 44. Il peso del fucile lo fece riflettere. Stava per usare un’arma per la prima volta nella sua vita. Era giusto? Era sbagliato?

Non usare mai un’arma se non sei obbligato.

Non usare mai un’arma se non sei obbligato.

Non usare mai un’arma se non sei obbligato.

Greg continuava a ripeterglielo, ma lui non riusciva a valutare. La risposta gli arrivò con una ragazza che gli passò accanto all’auto con il libro di Jackson in mano. Se non fosse stato per quel particolare, Niall non l’avrebbe degnata neanche di uno sguardo. Eppure lo fece. Anzi, fu lei a guardare lui per prima. Lo guardò e il suo volto si tramutò in quello di un demone. Niall strinse in pugno la pistola, aprì lo sportello e le sparò, freddandola.

Aveva appena iniziato.

 

*****

 

Lo sparo aveva attirato l’attenzione di molti presenti sulla via, fermato alcune auto, ma non aveva allertato alcun poliziotto. Nonostante ciò, Niall ebbe il tempo di attraversare la strada e correre verso la libreria Pendragon imbracciando il fucile come un soldato. Nella libreria, li vide chiaramente, c’erano tutti i demoni. Lo guardavano coi loro sguardi malevoli, preparandosi alla carneficina. Fuori intanto la gente correva spaventata da tutte le parti. Niall vide uno di questi cominciare a venire avanti, quindi puntò il fucile e premette il grilletto.

RATATATATATATATATATATATATATATATATAT!!!!!!!!

Il fucile sparò una raffica assordante, talmente forte che Niall dovette sorreggersi con un piede per non cadere all’indietro. Tenere il controllo dell’arma era veramente difficile, ma lui se la cavò egregiamente. Urlava, mentre i proiettili colpivano i demoni, facendoli perire come mosche. Dopo la prima raffica, entrò nella libreria. Alcuni dei superstiti erano lì e cercarono di braccarlo, ma lui premette nuovamente il grilletto e fece di nuovo fuoco, un’altra raffica che illuminò l’ambiente e maciullò i libri in una festa di brandelli di carta e cartone. La scarica colpì un ragazzo che stava scappando verso l’uscita di sicurezza, facendolo cadere in ginocchio. Il suo sangue aveva colorato le biografie di Michael Jackson con puntini di un rosso acceso. Una ragazza che si era accucciata fu colpita alla testa, e pezzetti di materia grigia del suo cervello erano andati a decorare l’intera sezione fantasy della Pendragon. Due commessi della libreria, nella speranza di salvarsi dalla scarica, si erano abbracciati sotto il bancone, ma nemmeno quello era bastato a proteggerli: furono ritrovati l’uno riverso sopra l’altro, ad occhi aperti, con le bocche colorate di sangue.

Quando ebbe consumato tre caricatori, Niall rimase senza munizioni. Gettò il fucile in un angolo, fece per girarsi, ma una voce lo chiamò.

- Niall, Niall, Niall. – era la voce di Jackson. Si voltò.

Jackson era lì, attorniato da Harry , Thomas e Louis, che avevano abbandonato la loro forma umana per assumere le espressioni demoniache. Jackson stava applaudendo.

- Splendido, splendido. – disse, sorridendo. – Questo sarà davvero il mio capolavoro. –

- Che modo stupido di concludere un romanzo, Jackson. – commentò Niall.

- Credi che sia finita qui? – lo apostrofò Jackson, divertito.

Niall tirò fuori la pistola dalla fondina, la puntò contro i quattro presenti e sentenziò – Non lo credo. Ne sono sicuro. –

E fece fuoco.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***


34.

 

 

 

La sigaretta del Dottor Kaufmann si era consumata quasi tutta, mentre lui ascoltava incredulo il racconto che gli aveva fatto il paziente. Niall era rimasto tutto il tempo nella sua posizione, cioè a gambe incrociate nell’angolo della stanza, a guardare ogni tanto lui, ogni tanto il vuoto.

- …Così… Jackson starebbe iniziando la sua conquista del mondo, ho capito bene? –

- No Michael – rispose Niall scuotendo lentamente la testa – Jackson si sta riprendendo il mondo. Ciò che era sempre stato dei demoni. Sta ripristinando il mondo del caos, di prima dell’antichità. – il suo sguardo era perso nel vuoto, ma poi si riebbe e lo riportò su quello di Kaufmann, che con la sigaretta ancora tra le dita, lo osservava sconcertato.

 

*****

 

…Bisogna solo decidere con chi stare. Con Jackson… O contro di lui. Ma non è una decisione facile, ci vuole una mente molto forte e una personalità determinata. Bisogna stare attenti agli infettati. Sì, quelli che io ho fatto fuori alla libreria Pendragon. E ai demoni. Gli sgherri di Jackson. Sono dappertutto, ma possono essere freddati con le armi da fuoco, almeno così ho potuto capire. Sta cominciando un’era nuova, un’era dove il Padrone Jackson riporterà alla realtà ciò che prima era dominio esclusivo del regno della fantasia. …Puoi vederlo anche tu là fuori, Michael, che non sto scherzando.

 

Alle 23.30 di quella sera, il dottor Kaufmann era ancora nel suo ufficio ad ascoltare e riascoltare la lunga registrazione dell’intervista al suo nuovo paziente. Questo è suonato come un tamburo, pensava ogni volta che il nastro finiva con le ultime parole, non sto scherzando. A parte lui e Thomas Bailey, rinchiusi peraltro in due manicomi differenti – Niall a Brookhaven e Thomas a Juniper Hill – gli altri casi di omicidi rientravano tristemente nella normalità della cronaca statunitense. Certo, i vaneggiamenti mistici erano all’ordine del giorno, ma per quanto ne sapeva Michael Kaufmann, non aveva mai sentito un vaneggiamento mistico anche solo paragonabile all’Apocalisse di Horan.

Mentre scriveva la sua prima relazione sullo stato mentale del ragazzo, sbadigliò vistosamente. Guardò l’orologio da polso. Le tre e trenta erano passate da un quarto d’ora. Si alzò dalla scrivania e andò al mobile dei liquori, lo aprì e si versò due dita di Jack Daniel’s.

Sopra il mobile c’era uno specchio e il busto di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Sciacquandosi la bocca con il whisky, Michael si guardò allo specchio, guardando anche il suo mentore alla lontana.

- Se questi sono i mostri con cui devo combattere io – mormorò Kaufmann – mi immagino solo con cosa avrai dovuto combattere tu, caro Maestro. – disse, e ridacchiò allegramente agitando il bicchiere per rimescolare ciò che rimaneva del whisky.

All’improvviso, vide qualcosa nello specchio. Un’ombra, come una presenza nel suo ufficio. Ridacchiò ancora un po’, salvo poi smetterla immediatamente, leggermente spaventato. Uno scricchiolio attirò la sua attenzione. Era lo scricchiolio del parquet della sala d’attesa, dove i suoi pazienti (molto abbienti) si riunivano prima delle sedute. Senza perdere di vista la porta aperta sul corridoio principale, aprì lentamente il cassetto della sua scrivania, estraendone altrettanto lentamente una rivoltella calibro 38. Tolse la sicura e puntò la pistola alla porta aperta, sentendo lo scricchiolio che continuava. Sul tavolo Kaufmann teneva una foto di lui, seduto su una gradinata insieme a sua moglie e sua figlia. La guardò, e il suo pensiero andò anche a loro, sole in casa mentre lui era ancora nel suo ufficio a lavorare… Scacciò dalla testa quel pensiero, avvicinandosi lentamente alla porta, sempre con la pistola spianata. Lentamente fece capolino sulla soglia, cercando di scorgere se ci fosse qualcuno.

- Mani in alto! – urlò, sicuro di sé. Ma il suo urlo fu sprecato. Nella sala d’aspetto non c’era nessuno.

Eppure avrei giurato che…

Un sibilo alle sue spalle gli raggelò il sangue nelle vene. Si voltò di scatto, vedendo dietro di sé una specie di mostro grigio con zanne al posto dei denti, gli occhi iniettati di sangue e artigli al posto delle mani. L’essere ringhiò, avvicinandosi verso il dottore. Kaufmann camminò all’indietro, poi si ricordò di essere armato e fece fuoco.

BANG! BANG!

Sparò due colpi in rapida successione, ma che non bastarono a fermare la belva. Questa gli si avventò addosso e cercò di morderlo al collo. Kaufmann urlò, imprecò, cercò di sottrarsi all’aggressione. Sparò ancora una volta, prendendo di striscio la testa del demone. Questi urlò in una specie di verso gutturale, quindi saltò via dal corpo del dottore e si buttò verso la finestra, mandandola in frantumi.

Scosso e spaventato, Kaufmann rimase lì a sedere sul parquet della sua sala d’attesa. Se ci fossero stati i suoi pazienti, allora sì che sarebbe stato un momento di comicità, ma in quel momento lui si era preso un attacco di fifa blu.

- Cazzo… - mormorò, ansimando. – NiallNiall ha ragione. Bisogna fare qualcosa. –

Velocemente raccolse le sue cose, la sua borsa ed il suo impermeabile (…e non dimenticarti la pistola, vecchio mio!) e corse via dallo studio. A casa, a proteggere sua moglie e sua figlia.

 

*****

 

Alle 03.40, ovvero dieci minuti dopo che Kaufmann, a qualche centinaio di chilometri di distanza da Silent Hill era stato aggredito da un demone nel suo studio, Niall aprì gli occhi, svegliato da urli nel corridoio. Riconobbe tante voci. C’erano l’infermiera Lisa Garland che urlava, insieme al capo servizio Henry Slowspeare detto l’Irlandese per le sue origini d’oltremanica. Slowspeare stava urlando comandi ai suoi sottoposti, preoccupato da chissà quale pericolo. Chiamate la polizia! L’esercito! Will! Scendi in armeria a prendere dei fucili, di corsa!!! E poi, pochi minuti dopo: Ma perché cazzo la polizia non arriva??? Cristo!

Poco dopo sentì la Garland che parlava ad alta voce:

Henry, al secondo piano le celle si sono tutte aperte!

E lui le rispondeva, incazzato:

Maledizione! Sigillate il braccio, chiudete tutte le uscite. Non fate scappare nessuno! Io chiamo la sicurezza!

Fuori dalla sua cella, era il caos totale. Si rannicchiò ancora di più in sé stesso, timoroso di ciò che stava accadendo e ciò che si era aspettato da quando era entrato lì al Brookhaven Mental Hospital, ciò per cui stava sempre attento, sempre calmo e pronto all’evenienza. Buttò un’occhiata alla porta della sua stanzetta imbottita. La sua era ancora chiusa. Forse quell’imbecille di Slowspeare sarebbe stato contento che almeno il braccio E era ancora sigillato. A proposito, era già da un po’ che non sentiva più nessuno. Come mai?

La risposta gli arrivò pochi minuti dopo. Doveva esserci Lisa Garland ancora nel reparto, lo evinceva dal suo camminare frettoloso, da ragazza del Sud… Si alzò dal letto e andò alla porta, guardando dalla finestrella con la grata. Lisa apparve pochi istanti dopo, sanguinante e trafelata.

- Niall! – esclamò – Qui fuori sta succedendo il finimondo! –

Lui restò calmo, guardandola senza risponderle. Per un momento sembrava che si fossero invertiti i ruoli: lui, il sano di mente, se ne stava nella cella. E lei, la pazza, era fuori. Proprio lo scenario che Jackson aveva prima teorizzato, poi scritto… e infine ricreato nella realtà. Le dispiaceva anche per lei, ma al momento non poteva aiutarla. Almeno, non finché se ne stava rinchiuso in quella cella.

- Stai calmo e vedrai che tutto si aggiusterà, okay? – lo rassicurò allontanandosi dalla porta. Subito dopo fu sopraffatta da un altro paziente – un uomo di circa quarant’anni, con barba e pigiama clinico – che l’acchiappò per i capelli e l’accoltellò in mezzo ai seni. Prima un colpo, poi un altro, poi un altro ancora… Lisa strillò sprizzando grandi quantità di sangue e cadendo ginocchioni sul linoleum, e a quel punto Niall sembrò ritrovare la sua sanità mentale.

- Lasciala!! Lasciala!!! – urlò, sbattendo i pugni sulla porta. L’uomo che l’aveva accoltellata si girò a guardarlo, rivelando con un sorriso due file di denti marroni e scomposti.

- E’ cominciata, Niall Horan. È cominciata l’apocalisse. Jackson sta arrivando, e finalmente non saremo più noi i pazzi. – dichiarò, poi si mise a ridere. Infine, prese per i capelli Lisa e le tagliò la gola.

- Noooooooo!!! – Urlò Niall, continuando a sbattere i pugni sulla porta. Poi l’uomo che l’aveva accoltellata le prese le chiavi e ne infilò una nella serratura della porta di Niall.

- Fammi uscire di qui e ti giuro che t’ammazzo, bastardo! Mi hai sentito?? Ti ammazzo!!! – urlò Niall, nero di rabbia. Tra tutti gli infermieri, Lisa Garland era sempre stata buona con lui, non gli aveva mai fatto pesare la sua condizione di internato, e vederla lì, sul linoleum verde a sprizzare le ultime gocce di sangue del suo corpo, gli strinse il cuore. Convinto di non poter fare nulla, si rimise sul letto. Per un po’ rimase con gli occhi umidi di lacrime a guardare la parete imbottita, fino a che non si addormentò.

 

*****

 

Paradossalmente, i sogni di Niall in quella stanza furono del tutto tranquilli. Sognò una domenica di tanti anni prima, quando con la sua famiglia era andato a visitare la città di Hollywood. Rivide sé stesso bambino, percorrere Sunset Boulevard, in quella lunga e caldissima estate. Erano i tempi in cui lui era ancora un moccioso sognatore, e in cui Greg non si era ancora deciso ad arruolarsi per il bene della sua nazione. Vedeva la scritta Hollywood sulla sommità della collina, e i tanti teatri che popolavano la via. Quella era la fabbrica dei sogni, il mondo del cinema, dove le fantasie degli uomini prendevano vita. Sognò suo padre Bobby che scattava fotografie a tutto spiano, e sua madre Maura che teneva per mano i suoi piccoli affinché non si perdessero in quella miriade di gente. Ad un certo punto vedeva una locandina, con su scritto The show must go on, lo spettacolo deve continuare, e mai frase si sarebbe resa tanto adatta.

Si svegliò a malincuore, ancora nella sua cella, ancora con la parete imbottita davanti agli occhi. Quando si svegliò del tutto, si accorse che la notte era passata da un pezzo, che dalla finestra della sua cella s’intravedeva un po’ di luce. Il sole non splendeva, ma ugualmente era mattina. Mise i piedi giù dal letto e si strofinò gli occhi. Il silenzio regnava sovrano, quella mattina.

Poco dopo si accorse che la porta della sua cella era socchiusa. Fece un balzo e andò al pomello, lo tirò e la porta si aprì. Guardò fuori, prima a destra e poi a sinistra nel corridoio. Le celle dove erano rinchiusi i suoi compazienti, erano aperte. Lisa era ancora lì, riversa a terra in un lago di sangue fuoriuscito dalla sua gola. I lunghi capelli rossi si erano mescolati al suo liquido corporeo, appiccicandosi al linoleum e impastandosi con esso. Niall sospirò, quindi si allontanò dalla sua cella.

A piedi scalzi percorse il corridoio, arrivando fino alla reception. Qui, gli uffici erano tutti sottosopra, c’erano carte sparse dappertutto, un neon pendeva dal soffitto con il suo cavo elettrico che ancora sfrigolava scintille. C’erano raccoglitori di fatture e registri sparsi in ogni dove, cocci di vetri rotti e cadaveri.

Cadaveri degli infermieri, occasionalmente qualche paziente, e sangue. Sangue sulle pareti e sul pavimento, persino sul soffitto. A parte questo, l’ospedale sembrava deserto. Abbandonato come dopo un disastro nucleare.

Niall si mise le mani sulle braccia. Faceva freddo. I suoi piedi erano diventati quasi ghiacciati, dal camminare sul pavimento gelato. Doveva assolutamente trovare un paio di scarpe e poi vestirsi.

Girando un po’, riuscì a trovare la lavanderia e il guardaroba. Qui c’erano ancora tante divise pulite da infermiere, e scarpe bianche. Fortunatamente le divise da infermiere scaldavano abbastanza. Erano di un tessuto particolare, in grado di adattare il corpo di chi le indossava alla temperatura esterna: così, in caso di un’eventuale fuga di un ospite, gli inservienti sarebbero potuti uscire senza doversi infilare alcun soprabito. Il corridoio attiguo al guardaroba portava ai sotterranei, dove c’era l’armeria. Immaginò che tutte le armi fossero state portate via, ma valeva la pena dare un’occhiata.

I sotterranei erano mezzi al buio. Eccezion fatta per qualche luce che lampeggiava, si poteva vedere bene comunque. Qui, Niall vide tante porte. Le targhette lo avrebbero aiutato. Una diceva ARCHIVIO, un’altra diceva MAGAZZINO BENI, un’altra ancora SALA CALDAIE. Girò a sinistra nel corridoio, trovandosi di fronte il gabbiotto dell’armeria. Non era certo un’armeria di dimensioni enormi come quella di un distretto di polizia, ma sicuramente bastava a tenere in sicurezza un posto come quello. Com’era prevedibile, quasi tutte le armi erano state già utilizzate: la rastrelliera dei fucili era praticamente vuota, così come quella delle pistole. Niall sospirò, girando i tacchi per tornarsene da dov’era venuto, quando dietro la porta vide qualcosa luccicare. Si fiondò immediatamente, raccogliendo l’ultima pistola rimasta. Controllò se nel caricatore erano rimaste munizioni. C’erano. Quindi la richiuse e se la mise in tasca. Per stare sicuro, prese un altro caricatore, in caso avesse avuto di nuovo a che fare con qualche demone o qualche altro infettato.

 

*****

 

Fuori, l’aria era fredda, molto fredda. Ma la divisa continuava a tenerlo caldo. Nel parcheggio, c’erano altri cadaveri. Tra questi, Niall riconobbe il cadavere di Slowspeare, il quale giaceva con la gola mezza asportata. Non era un patologo, ma Niall avrebbe detto sicuramente che era morto per il morso letale di un demone. Il cancello d’accesso era aperto, ma c’erano auto sparse ogni dove. Segno che chi le aveva utilizzate aveva tentato di scappare ma era stato fermato prima dai mostri.

- Jackson… maledetto figlio di puttana. Ti fermerò. – mormorò Niall, pensando che urgeva tornare immediatamente a New York. Se lì a Silent Hill, nel Maine, le cose stavano così, figuriamoci a casa cos’era successo. Scelse un’auto lì vicino, che aveva ancora il motore acceso. Tirò fuori il cadavere della donna alla guida e lo adagiò sull’asfalto, quindi chiuse le portiere e partì alla volta di New York.

Provò ad accendere la radio, ma tutte le stazioni erano diventate mute. Imprecò, pregando di trovarne una che funzionasse e che desse notizie chiare.

La trovò.

La voce dello speaker era sovraeccitata, ma carica di una tensione negativa nello spiegare gli eventi.

- …non ci sono sviluppi sui recenti fatti avvenuti tra questa notte e questa mattina. Sappiamo solo che gli omicidi si sono triplicati. In più, delle creature di natura misteriosa hanno fatto la loro comparsa. Delle specie di cani, o tigri, o che so io. Con gli occhi iniettati di sangue, che hanno seminato orrore e morte nelle ultime ore. L’esercito degli Stati Uniti d’America è in allarme, orde di cittadini hanno creato dei comitati di difesa del territorio. Il Presidente ha dichiarato lo stato di guerra questa mattina, una guerra non contro un altro popolo del mondo, ma bensì contro qualcosa di sconosciuto e letale, che si è insinuato da un giorno all’altro nelle nostre vite. Signore e signori, forse questa è l’apocalisse. Sarebbe inutile se vi dicessi che va tutto bene, perché non va tutto bene. A tra poco, dopo il bollettino d’informazione. –

E dopo lo speaker, anziché la musica, passava un messaggio registrato con le misure precauzionali per coloro che erano sopravvissuti.

- …Nell’avvicinarsi ai limiti di una città in auto, si deve segnalare la propria presenza utilizzando i proiettori abbaglianti per tre volte. Dopodiché bisogna scendere dai veicoli e alzare le mani, affinché gli ufficiali preposti verifichino lo stato di umanità o alienità. Rispondere sempre ai comandi delle forze dell’ordine. Non lasciare una città se non si è assolutamente costretti. I bambini al di sotto dei dieci anni devono girare con i propri genitori o con un ufficiale dell’esercito. Si consiglia ai superstiti di raggiungere i centri di raccolta più prossimi… - e altre indicazioni di sopravvivenza.

- E’ cominciata. Nessuno potrà fare più nulla, Niall Horan. –

Con le mani sul volante, Niall si girò. In auto con lui non c’era nessuno, era la radio che parlava.

- …Messaggio per Niall Horan. Qui è il suo dolce Louis che gli parla, e che vorrebbe tanto farlo suo in un letto. Per ora è costretto ad aspettare, ma prima o poi ci riuscirà. Niall, tesoruccio, torna a casa, ti stiamo aspettando. Mamma e papà sono così ansiooosi di rivederti! –

- Oh merda! Mamma! Papà! Che cosa gli avete fatto, bastardi!!! – esclamò Niall contro la voce alla radio. La voce di Louis non rispose più, in compenso Niall accelerò.

Era cominciata. Era cominciata. E bisognava fermarla.

 

 

FINE (?)

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Contenuto speciale - PENSIERI DELL'AUTORE ***


Contenuto speciale:

Dal libro degli appunti di Notrix:

Pensieri in libertà dell’autore

 

… Gli One Direction li ho conosciuti una sera, a casa di un mio amico. Dovevamo andare in un locale, e durante i nostri incontri “di preparazione” ci mettevamo un po’ su internet a guardare video, blog e quant’altro…

… Quella sera lui stava ascoltando della musica. Una canzone abbastanza orecchiabile, almeno secondo i miei personalissimi gusti. “Cazzo che bella musica”, pensai io, prima ancora di vedere chi la cantava: cinque ragazzetti molto carini. “Wow” – pensai allora, vedendoli tutti e cinque in quel video, su una spiaggia, a cantare per una ragazza insicura che si credeva un po’ bruttina (What makes you beautiful, NdA)… “Tu quale sceglieresti?” mi chiese il mio amico. “Dimmi un po’ tu quale butteresti via!” gli risposi io.

Quello fu il mio primo incontro con loro, gli 1D.

 

Attraversavo un periodo un po’ magro: la mia ultima fan-fiction (Nemmeno per noi è una passeggiata, NdA) era andata un po’ maluccio. Nonostante le recensioni fossero molto gradite, mi angustiava che fosse una sola persona a scriverle (cipri, la mia affezionatissima lettrice. – Grazie ancora una volta amica mia per averla recensita tutta!!!), ma mica perché io sia chissà che megalomane che vuole vedere recensioni a tutto spiano comparirgli sulla pagina, no… ma perché così non capivo se stavo scrivendo qualcosa di buono o meno. Delle due, l’altra. La fiction non era andata bene.

 

Lo ammetto, per un po’ di tempo ho marciato troppo sulle storie originali, con personaggi creati da me. Se da un lato le mie prime storie originali erano andate molto forte (“Semplicemente… Un bacio”, “Un ragazzo per due”, Finalmente… Laureati!”, NdA), da un altro, i personaggi erano in un certo senso “invecchiati”, se mi passate il termine. Per quanto Andrea, Emanuele e Marco fossero stati degli splendidi personaggi quando erano dei ragazzini, adesso che hanno dai 28 ai 31 anni, non hanno più la stessa freschezza di quando nel 2005 si presentavano al mondo con le loro storie di amori post-adolescenziali J , sia come storie che come personaggi: in poche parole, non riuscivo più a trarre ispirazione da loro.

 

Che fare, dunque? A prima vista può sembrare una domanda sciocca ad uno scrittore, che per molti è una macchina che defeca parole dopo un’abbondante scorpacciata di lettura, ma credetemi, è una domanda impegnativa. Ogni scrittore ha bisogno della sua ispirazione J E io non riuscivo più a trovare la mia.

 

Allora niente, cercavo ispirazione sul web e per caso m’imbattei in un video degli One Direction – Toh – pensai – Guarda un po’ chi si rivede! – lo guardai e lo riguardai, sentendo che qualche macchinario nel mio cervellino matto (XD) stava incominciando a muoversi…!

Stimolato da quel video, decisi di fare un po’ di ricerche sui ragazzi. Ad esempio: quanti anni avevano? Dov’erano nati? Che personaggi erano? Boh? E chi lo sa? Alle prime due domande mi rispose prontamente Wikipedia© - rivelandomi età e provenienze dei “boys”, mentre per l’ultima domanda dovetti rispondere da solo. Come?

Terminate le ricerche biografiche, passai alle ricerche fisionomiche e psicologiche. Guardai foto su foto di loro, studiai le loro espressioni e mi chiesi che tipo di storia volevo scrivere su di loro.

Avrei semplicemente potuto scrivere una storia d’amore, una classica LouisXNiall, o HarryXLouis, o LiamXZayn… ma ragazzi, credetemi: sarebbe stato troppo ovvio J c’è già chi scrive certe cose e io non volevo assolutamente seguire la massa. Due ragazzi carini che s’innamorano e poi si mettono insieme è davvero troppo scontato. E io, che per le cose scontate non sono fatto, ho cercato qualcosa di meglio. Qualcosa di più.

E cosa c’è di più decontestualizzato, di più incredibile, di più potente di cinque componenti di una boy-band che recitano in una fan-fiction horror??? :D :D :D

Trovato il contesto, ho iniziato a pensare a cosa avrebbero potuto fare i miei ragazzi, ovvero che ruolo assegnare a ciascuno di loro.

Ho iniziato ad osservare le foto di Louis. Le prime impressioni che ho avuto sulla sua probabile personalità erano: è il classico playboy impenitente, che magari fa le corna al ragazzo che stravede per lui. Però era soltanto quello, e non l’ho ritenuto adatto a ricoprire il ruolo principale.

Harry mi ha incuriosito, con il suo aspetto curato e i suoi vestiti sempre alla moda. Nella sua espressione ho visto un ragazzo dolce e amorevole, anche un po’ effeminato. Analogamente a Louis, non avrebbe potuto ricoprire il ruolo del protagonista, perché non era abbastanza sfaccettato.

 

Invece quando mi sono soffermato su Niall, ho visto tutto: Niall avrebbe potuto essere chiunque nella mia storia. Poteva essere tranquillamente un Nerd, un playboy, un ragazzo amorevole e docile, oppure uno spietato assassino, un pazzo, ecc. … “è lui, è lui! È lui che voglio come protagonista!!!” esclamai.

 

Così, decisi i ruoli dei personaggi, ho iniziato ad immaginare la trama. Mi sono ispirato ad un vecchio film di cui non ricordo il titolo, dove uno scrittore pazzo scriveva libri che facevano impazzire la gente. Da questa piccola idea è nata la fiction che avete appena letto, “In the eyes of DarknessJ

Spero soltanto che vi sia piaciuta. Probabilmente ci sarà un sequel, ma ho bisogno di pensarci su. ;)

 

 

Infine, un GRAZIE a tutti coloro che mi hanno seguito fino qui!!!

Grazie a tutte coloro che hanno recensito, in particolare:

 

CIPRI, la quale vince il premio “Follower d’oro” per aver sempre e costantemente recensito i miei lavori. J Grazie amica mia per la tua smisurata gentilezza nel commentare ed apprezzare le storie ^^ Spero di non deluderti mai!

ALWAYS_ATTRACT

THEDARKFLOWER

ELISA_B

GIOVIEAUG85

_WONDERWORLD_

 

E ultima, ma non per questo meno importante, la giovane JONAS_ADDICTED, che con le sue recensioni scoppiettanti, a volte anche irruente e cariche di un entusiasmo mai visto, mi ha spronato a continuare!!! Grazie anche a te, carissima :D :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** BACKSTAGES!!!! ***


BACKSTAGES!

OVVERO:

FUORI DALLE RIPRESE

(sottofondo: Everything’s gonna be alright – babysitter Circus)

 

♫ ♪ ♫ So you say everything’s going to be alright now
But how do you really know?
And I know everything’s going to be alright now,
Cos that’s the seed I sow. I-oh. ♫ ♪ ♫


*** Inquadratura di Louis che fa l’occhiolino alla cinepresa  ^_- ***

*** Niall alza la mano per dare un 5 a Harry e poi lo abbraccia ***

*** Zayn e Liam ballano il can-can insieme a Louis, ridendo ***

 

♫ ♪ ♫  And the universe told me that’s how I
That’s I how I think I know.
So you say everything’s going to be alright now
And that’s how I know. ♫ ♪ ♫

 

LIDEA

 

Notrix: …L’idea per questa fan-fiction m’è venuta guardando il loro video, “What makes you beautiful”… come ho già detto nell’altra intervista, ho voluto decontestualizzarli al massimo, e così…

*** Spezzone di Notrix che scrive al portatile ed esamina le foto degli One Direction ***

 

 

I PROTAGONISTI

(sottofondo: Boogie man, KC and the sunshine band)

 

♫ ♪ ♫   I’m your boogie man that’s what I am 
I’m here to do whatever I can 
Be it early mornin’ late afternoon 
Or at midnight it’s never too soon ♫ ♪ ♫   

 

Niall Horan: …il mio provino è durato tre minuti. Notrix mi guardava con gli occhi spalancati, come fossi stato un’apparizione mistica. Poi ha detto “è lui! È lui il protagonista!!!”, additandomi felice.

*** Notrix sorride e Niall lo abbraccia ^___^ ***

*** spezzone di Niall sul set, che parla al ristorante insieme a Louis ***

 

Louis Tomlinson: …E così Notrix crede che io sia un playboy, eh? Non è veeero!

Harry Styles: sì che è vero! Per fartelo tenere nei pantaloni non basterebbe il Bullock, l’antifurto con le palle!

Louis Tomlinson: però a te questa cosa non dispiace, nevvero?

*** Harry diventa rosso di vergogna O//////////O e prende a picchiare Louis, che se la ride allegramente X°°°°D ***

 

*** Spezzone di Notrix sulla cinepresa che gira le scene ***

*** Inquadratura del Ciak retto da Zayn, dove c’è scritto “In the eyes of Darkness – Take 3 – Colloquio di Louis e Niall” ***

 

♫ ♪ ♫   I’m your boogie man that’s what I am 
I’m here to do whatever I can 
Be it early mornin’ late afternoon ♫ ♪ ♫   

Harry Styles: …Dite la verità, vi sono piaciuto? ^_- femminucce, ma soprattutto… maschietti :* …vi adoro! A parte, è stato un piacere recitare in questa fan-fiction, Notrix è geniale, oltre che un bel ragazzo… vorrei segnalare che credo di essermi innamorato di lui durante le riprese… visto che abbiamo avuto dei momenti d’intimità…… Non è vero, Notty caro? ^_-

*** Notrix viene inquadrato e scuote vistosamente la testa agitando l’indice a dire “non è vero” XD ***

Harry Styles: Si vergogna, ma in realtà gli piaccio moltissimo… ^_-

*** Notrix appare in campo ***

Notrix: ...smentisco fermamente tutto quanto questo signorinello sta dicendo! Sono fidanzatissimo e soprattutto fedelissimo! XD

Harry Styles: eddai, dì la verità, se ti capitassi nel letto tu cosa faresti?

Notrix: chiamerei la disinfestazione, all’urlo di “Aiuto aiuto, c’è un mostriciattolo con un nido di vespe al posto della testa nel mio letto!!!” XD

*** Harry si alza e va via piangendo ç_ç***

Notrix: oh caz…. Dai Harry scherzavo!!! Uffa…. Questa la tagliamo, eh? xD

 

Or at midnight it’s never too soon 
To wanna please you to wanna please you 
To wanna do it all all for you 
I wanna be your be your rubber ball 
I wanna be the one ya love most of all – oh yeah ♫ ♪ ♫

 

Zayn Malik: …La nostra è stata una mera comparsata. Ma a quanto pare, sembra che ci saremo nel sequel…

Liam Payne: *annuendo* …Troppi personaggi in una storia devono essere ben controllati, e già Notrix fa fatica a controllare i nostri tre colleghi, figuriamoci se avesse dovuto inserire anche noi!

 

*** Spezzone di Notrix che inquadra insieme Louis, Harry e Niall mentre discutono al tavolo del bar ***

*** spezzone di Harry che naviga su Facebook ***

 

LE PAUSE

(sottofondo: What makes you beautiful, One Direction)

 

♫ ♪ ♫ You're insecure 
Don't know what for
 
You're turning heads
 
When you walk through the do-o-or
 ♫ ♪ ♫

*** Spezzone di Niall che mangia un’insalatina ***

*** Louis guarda Niall che mangia l’insalata e addenta un tramezzino farcito ***

 

Louis: Ragazzi, a me piace mangiare! Non ci posso fare niente. Volete un po’? *mostrando il tramezzino alla camera. Niall ride e Harry pure xD*

 

*** inquadratura di Notrix che mangia del riso in bianco ***

Niall: Notty, ma perché mangi il riso in bianco e non mangi con noi?

Notrix: beato te che non sei a dieta e puoi permetterti di fare queste domande…

Harry: ma perché dieta? °_° ma secondo me stai bene…

Louis: sì, stai benissimo! Quasi quasi ti presentiamo a Nicholas Holt

Niall: Ma chi, lo zombie di “Warm Bodies”?

Louis: Lui! Sai che mangiata si farebbe con tutta la ciccia che c’è qui! XD

*** Notrix lancia la scodella d’alluminio a Louis, che si scansa e ride xD ***

 

♫ ♪ ♫ Don't need make up 
To cover up
 
Being the way that you are is en-o-ough
 
Everyone else in the room can see it
 
Everyone else but you  ♫ ♪ ♫

 

*** Harry sta giocando col suo iPhone a Angry Birds ***

*** Niall guarda nel vuoto, seduto su una scalinata, ascoltando musica dal suo iPhone ***

*** Notrix guarda i piani di ripresa e discute con il direttore della fotografia, Hitoshi Kinomiya ***

 

*** durante una pausa, gli One Direction tutti si esibiscono nella loro canzone ***

 

♫ ♪ ♫ Baby you light up my world like nobody else 
The way that you flip your hair gets me overwhelmed
 
But when you smile at the ground it ain't hard to tell
 ♫ ♪ ♫

 

*** Lisa Garland balla con Niall, il Dottor Kaufmann applaude a ritmo con la musica ***

♫ ♪ ♫ You don't know oh oh 
You don't know you're beautiful
 
If only you saw what I can see
 ♫ ♪ ♫

 

*** Notrix balla insieme a Louis, cercando di seguire I suoi passi, ma non riuscendoci. Mentre canta, Louis lo guida ridacchiando ***

Notrix: meglio se continuo a fare lo scrittore, va’… XD

Louis: …ma va là, sei stato fenomenale!

Notrix: ma cosa? Ho sbagliato tutti i passi!

Louis: Certo, però guarda che risate hai regalato a tutti quanti!

 

***Tutta la troupe sta ridendo dopo la performance di Notrix x°°°°D ***

 

Notrix: ….volete vedere la mia performance migliore? Vi licenzio tutti e non vi pago nemmeno la liquidazione!!!!


♫ ♪ ♫ You'll understand why I want you so desperately 
Right now I'm looking at you and I can't believe
 
You don't know oh oh
 
You don't know you're beautiful
 
Oh oh
 
That's what makes you beautiful! ♫ ♪ ♫



 

LE AMMIRATRICI

Notrix: Fatemi una bella inquadratura delle ragazze, per favore….!

*** Notrix spalanca le mani e la cinepresa inquadra, da sinistra verso destra, Cipri, Jonas_Addicted, Giovieaug85, AlwaysAttract, elisa_b, TheDarkFlower, _Wonderworld_, e tutti gli altri che hanno commentato! ***

 

Notrix: Ragazzi, guardatele bene. Se solo osate farmi uno sgarro, io vi butto in pasto a loro! XD Quindi…… rigate dritti!!!!

 

*** gli One direction ridono di gusto ***

 

Notrix: oh ma porca put…. Io li cazzio e questi ridono XD ma che mondo è??? Ma vaff…!

 

 

GRAN FINALE!!!

GLI ERRORI SUL SET!

(sottofondo: Lonely Boy, The Black Keys)

 

*** Niall fa per partire in sgommata, ma si sbaglia e il motore si spegne ***

 

♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫  Well I’m so above you 
And it’s plain to see 
But I came to love you anyway 
So you tore my heart out 
And I don’t mind bleeding 
Any old time to keep me waiting 
Waiting, waiting ♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫

 

Louis: - Louis … Piacere mio. *ridacchiando*

*Niall ridacchia insieme a Louis XD*

Harry: …ha dimenticato la battuta mi sa. XD

Niall: hahahahah! XD

Louis: infattisuggeritoreee!!!

 

Niall: …ciao Ben! Come ti va oggi?

Ben: ….di merda, grazie. Mia moglie non me l’ha data e io devo stare qui a menarmelo in mezzo a voi froci…

*Niall diventa rosso di vergogna, mentre tutta la troupe ride*

*Louis se la ghigna della grossa X°°°D*

Niall: cazzo ti ridi tu! Guarda che rientri anche tu nella categoria!!! >///<

Louis: no veramente rido per la faccia che hai fatto… da fotografarti!! X°°°D

*Louis e Niall sono seduti al tavolo insieme. Si guardano intensamente, poi Louis spalanca la bocca in una smorfia :O e Niall si mette a ridere x°°°D*

Niall: Whahahah! XD Quando fa quella faccia è troppo deficiente!

Louis: XD :P

Notrix (fuori campo): se non la piantate di fare gli idioti, vi butto fuori dal set a calci nel culo!

Louis+Niall: okkkk! Vaaa beneeee XD


♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫   Chorus: 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting 
I’m a lonely boy 
I’m a lonely boy 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting ♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫  

Dr. Kaufmann: Buongiorno, sono il dottor Kaufmann, psichiatra. È qui che tenete l’ultima rockstar?

*Lisa fa per pronunciare la sua battuta, quando all’improvviso l’impalcatura della scenografia che regge il gabbiotto le cade rovinosamente sulla testa*

Lisa: AAHIA!!! Ç_ç

Dr. Kaufmann: oddio. Lisa stai bene?

Lisa: sì, sto bene…ma che botta!

Notrix: Dottore, prego!

*Degli infermieri accorrono a soccorrere Lisa*

 

♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫   Well your mama kept you but your daddy love you 
And I should’ve done you just the same 
But I came to love you 
Any old time you keep me waiting 
Waiting, waiting ♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫  

*** accerchiato dai demoni, Niall fa per scappare via. Nel correre però inciampa e fa un ruzzolone micidiale. Tutte le comparse che fanno i demoni si mettono a ridere, mentre Niall bestemmia in tredici lingue e quarantasei dialetti >___< ***


♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫  Chorus: 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting 
I’m a lonely boy 
I’m a lonely boy 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting ♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫

 

*** Mentre scende le scale insieme a Niall, Johnny mette un piede in fallo e casca col sedere sugli scalini. Niall lo aiuta a rialzarsi ridendo ***

 

Niall: la rifacciamo questa? XD

Notrix: tu che dici, Niall? La lasciamo così? È certo che dobbiamo rifarla! _-_


♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫   Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting 
I’m a lonely boy 
I’m a lonely boy 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting ♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫  

 

*** Durante le fotografie finali, gli One Direction sono in piedi su un’impalcatura, mentre Hitoshi Kinomiya prepara la macchina fotografica. Improvvisamente la struttura cede, facendoli cadere tutti ***

Niall: =O

Louis: =OOOO!!!

Harry: D=

Zayn: O.O

Liam: O_o!!!

 

 

E QUESTO è VERAMENTE TUTTO, GENTE!!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1376311