E.S. L'esercito di S... everus?!?

di Thumbelina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fin ora tale e quale. ***
Capitolo 2: *** P.P.P. Professor Piton, Perfavore! ***
Capitolo 3: *** Prima Lezione ***
Capitolo 4: *** Seconda Lezione ***
Capitolo 5: *** La Presa della Bastiglia ***
Capitolo 6: *** La reazione del principe ***
Capitolo 8: *** Le scuse ***



Capitolo 1
*** Fin ora tale e quale. ***


Fin ora tale e quale.

Hermione si alzò in piedi mentre il rumore forte di un lampo squarciava il buio della notte fuori alla vetrata della finestra del dormitorio Grifondoro.
- E’ veramente lì fuori, è così? – chiese la ragazza ad alta voce, più a se stessa che ai suoi compagni forse, avvicinandosi lentamente alla vetrata.
Erano soli. Soli. E, soprattutto, erano in grave, grave pericolo.
E non c’era nessuno stavolta ad aiutarli.
Avrebbero dovuto combattere, prima o dopo, e qualcosa nella sua mente le diceva che quel momento era vicino. Sarebbe arrivata presto, l’ora della loro più grande battaglia.
– Dobbiamo essere in grado di difenderci da soli.
E, dimenticavo, c’era un altro terribile problema, ossia che erano totalmente inesperti. E c’era assoluto bisogno che qualcuno dicesse loro cosa fare.
- E se la Umbridge si rifiuta di insegnarcelo ci serve qualcuno che lo faccia.
E quel qualcuno non sarebbe piombato sulla terra dal nulla, e questo è ovvio, ma, fortunatamente, Hermione sapeva perfettamente a chi rivolgersi.


Lo so, questo capitolo non dice praticamente nulla, è solo una sorta di lieve introduzione, il bello viene dopo. La storia mi è venuta in mente mentre guardavo stasera il film di Harry Potter 5, e l'ho trovata così bella e originale che ho deciso di scriverla immediatamente. Francamente non so come adrà a finire di preciso, ma ho già qualche ideuzza in mente, e spero davvero di non deludervi. Se questa mia piccola intro avrà successo penso che riuscirò ad aggiungere un altro capitolo anche entro domani stesso. Fatemi gli auguri. Baci. Giulia.

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Capitolo 2
*** P.P.P. Professor Piton, Perfavore! ***


P.P.P. Professor Piton, Perfavore!

- Sai, Hermione - fece Ron mentre lui, Harry ed Hermione sostavano in attesa che le scale decidessero dove diamine fermarsi – quel tuo discorso su qualcuno che doveva aiutarci, quello tutto ispirato su come gli insegnamenti della Umbridge probabilmente non ci avrebbero portato da nessuna parte, quello dell’altra sera, alla finestra, proprio quello, beh, sai, francamente pensavo che ti riferissi ad Harry!
- Che razza di idiozia è mai questa, Ronald! – gli rispose lei – Harry ha solo quindici anni, diavolo, gli è già andata di culo la scorsa volta, è vivo per miracolo e dovrebbe essere lui ad allenarci? Che assurdità!
- Grazie, Hermione – commentò sarcastico Harry – grazie davvero.
- No, scusa, non volevo essere brutale – fece lei – è solo che lo trovo assurdo, insomma, a chi potrebbe mai venire la malaugurata idea che possa essere tu ad insegnarci?? [alla zia Row, probabilmente… -.-‘’’] Che roba!
- Ok, riguardo a questo hai ragione, – commentò Ronald, quando le scale si furono finalmente fermate e ai tre fu quindi consentito di scendere velocemente i gradini che li avrebbero portati ai sotterranei – quello che non capisco è come diavolo ti sia venuto in mente di poter chiedere aiuto proprio a… lui!
- Io appoggiò Ron – confermò Harry – insomma, chiunque, ma non Piton!
- Avanti, Harry! – esclamò lei fermandosi sul pianerottolo per pararsi dinnanzi ai due ragazzi – Piton fa parte dell’Ordine, quindi a conti fatti deve essere buono, e poi Silente si fida di lui, ed odia la Umbridge, e questo è un bene, e se è stato un mangiamorte ben venga, così possiamo sperare che conosca il modo di agire del Signore Oscuro e ci aiuti a difenderci da lui. Senza contare poi che è da ben 15 anni che fa richiesta per la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure…
- E ci sarà un motivo se Silente non ha mai voluto dargliela, tu non credi? – la interruppe Ron.
- E finiscila di fare lo scemo! – lo zittì lei – Sentite, battute a parte tutti sanno che il professor Piton è un grande mago, ed inoltre è l’unico qui disposto ad aiutarci, insomma, lo odio anch’io ma non mi sembra che abbiamo molta scelta…
- E se chiedessimo a Remus? – propose Harry – Non ha un’altra faccia che gli cresce parassitariamente dietro la nuca e non è un mangiamorte che si dopa di polisucco fingendosi un auror: è senza dubbio il migliore insegnante che abbiamo mai avuto!
- Oh, sì, ottima idea, io voto per Remus! – l’appoggiò Ronald
- Oh, che idea brillante, geni! Non pensate che voterei per Remus anche io se solo ci fosse il modo di farlo entrare?! – replicò Hermione – Insomma, ovviamente Remus non può smaterializzarsi qui dentro, e la Umbridge tiene sotto sorveglianza tutti i camini, come credete di farlo arrivare qui?? No, no, ci serve qualcuno che sia già dentro la scuola, e Piton è indiscutibilmente il nostro uomo. Sarà pure uno stronzo, non lo voglio negare, ha un carattere del cavolo e ci odia tutti, ma almeno è un bravo insegnante, un ottimo mago e probabilmente vuole davvero aiutarci. E poi non mi pare che ci sia molto da discutere: o lui o la Umbridge.
- Perfetto. – commentò Ron – Quanti per la Umbridge? – chiese poi alzando la mano.
Hermione sbuffò, Harry sorrise.
- Per quanto odi il professor Piton – cominciò Harry – ossia in misura inimmaginabile, - precisò – devo pur sempre ammettere che preferirei avere anche una sola possibilità su cento di non morire la prossima volta che combatterò contro Voldemort, e temo che se continueremo con solo e soltanto gli insegnamenti della Umbridge probabilmente non avrò neppure quella. Quindi,
, penso che il professor Piton sia il nostro unico estremo rimedio per venir fuori da questa diamine di situazione. Che Piton sia!
- Fantastico, Harry – esclamò Hermione dandogli euforica uno strattone al braccio – è davvero magnifico sapere che almeno uno di voi due – disse guardando accigliata Ronald Weasley – abbia un po’ di sale in zucca. Perfetto! – continuò cominciando a camminare, o meglio a saltellare, per il corridoio subito seguita dai due ragazzi - Ora andremo dritti nello studio del professor Piton e tu gli dirai…
Harry si bloccò all’istante, facendo inciampare anche Ron, ed Hermione si girò a guardarli.
- Io che??? – le chiese Harry guardando l’amica con tono interrogativo.
Lei si paralizzò all’istante, guardandolo a sua volta, mentre gli sguardi di Ron saettavano ora verso l’uno, ora verso l’altra.
- Beh, lo davo per scontato, Harry – rispose poi Hermione, senza muovere un muscolo – insomma, non posso mica andarci io: non mi ascolta mai quando gli parlo…
- Oh, hai ragione, Hermione, – rispose lei Harry – io invece gli sto così simpatico!
- E se ci andasse Ronald? – propose la ragazza puntando lo sguardo verso il rosso.
- Ma neanche per tutto l’oro del mondo! – rispose lui – io qui manco ci volevo venire! E poi tua l’idea tua la grana, - disse rivolgendosi ad Hermione – quindi a Piton gli parli tu.
- E dai, ragazzi, non scherziamo, - rispose lei – non posso mica andarci io per davvero. Insomma, immaginate la scena, una studentessa che entra nel suo studio alle quattro del mattino, la cosa potrebbe essere alquanto equivocabile, voi che dite?
- Potrebbe andar peggio, - rispose lei Harry – se entrassi io mi accuserebbe di essere un maiale come mio padre, cosa che fa praticamente un giorno sì e l’altro pure fin dallo sventurato momento in cui ci siamo conosciuti, e poi mi rispedirebbe in camera mia dicendomi che non dovrei certo andar girovagando in giro a quest’ora di notte sottraendo un numero di punti alla nostra casata tali da far crepare d’infarto la McGranit.
- Perfetto, - commentò Ronald – niente compito di Trasfigurazione per domandi allora!
- BASTA RON! – gridarono insieme gli altri due, cosa che, ovviamente, provocò l’aprirsi di una porta e l’immancabile sbucare fuori del professor Piton che li osservava severo dalla soglia del suo ufficio.
I tre ragazzi impallidirono.
È tipico di lui, pensò Harry preparandosi mentalmente alla ramanzina di un’ora e qualcosa in presenza del preside che Piton stava sicuramente per fargli, è tipico di lui comparire sempre e solo nel momento e nel luogo più opportuni. Insomma, pensava ancora, non c’è mai quando uno ha davvero bisogno di lui, e lo pensava per caso, dato che nella sua vita non aveva mai pensato di aver davvero bisogno di lui, ma c’è sempre e soltanto nel momento in cui, dannazione, dovrebbe far tutto fuorché esserci.
- Cosa ci fate voi tre qui? – scandì il professor Piton uscendo a passi lenti dal suo ufficio, ed estromettendo il povero Harry dai propri pensieri.
Pensò di dire qualcosa, qualcosa di diverso dal fantastico “perché non si fa i cazzi suoi, professore?” che gli era appena salito in gola, qualcosa di non compromettente che non andasse a gravare ancora di più sulla loro già drastica situazione.
Mise insieme, con incredibile sforzo, le parole “scusi”, “professore”, “Umbridge”, “allenamento”, “volevamo” e “per favore” ed era molto fiero di se. Ora doveva solo lavorarci un poco per renderle qualcosa di più presentabile e simile ad una frase di senso compiuto. Un gioco da ragazzi, pensò il ragazzo.
Fortunatamente per tutti, non fu lui ma Hermione a parlare.
- Ci scusi, professore, – fu svelta a rispondere la ragazza – eravamo venuti a cercarla, volevamo parlare con lei.
- Con me? – chiese lei il professor Piton guardandola con interrogativo – Non vedo davvero la benché minima ragione per cui voi tre dovreste andare in giro per i corridoi a quest’ora di notte per parlare con me…
- Riguarda la Umbridge – si affrettò a dire la Granger – la vita qui a scuola è insostenibile da quando c’è lei, e Voldemort probabilmente è alle porte e noi…
- Silenzio! – le intimò il professor Piton tappandole la bocca con una mano – Non qui fuori, venite dentro! - disse poi spingendo Ron ed Harry dentro il suo ufficio con la mano che gli restava libera.
Quando tutti e quattro furono dentro il professore lasciò andare la Granger. Ignorò pressoché totalmente i nuovi arrivati e si mise a confabulare qualche strano incantesimo di protezione in direzione del lucchetto della porta. Pronunciò a bassa voce quello che Hermione Granger, se lo avesse sentito, avrebbe potuto facilmente catalogare come un incantesimo insonorizzante, poi ripose la bacchetta nel fodero, circumnavigò il tavolo e si posizionò dinnanzi agli sventurati tre.
- Ricominci daccapo, signorina Granger – ordinò poi facendo saettare lo sguardo ora all’uno, ora all’altro ed ora all’altro ancora dei tre ragazzi – cosa siete venuti a fare qui, cosa c’entra la Umbridge e, soprattutto, cosa c’entrerei mai io in tutta questa storia.
Hermione Granger deglutì. In quel momento, sebbene sapeva benissimo che il professor Piton fosse la loro unica possibilità di sopravvivenza, le venne in mente la quanto mai folle idea di non parlare. Non perché avesse cambiato idea, perché non l’aveva davvero cambiata, è solo che erano così tanti anni che la ragazza cercava di farsi ascoltare dal suo professore, durante le lezioni, per rispondere alle sue domande, o per porgli lei qualche quesito, e lui non l’aveva mai, mai ascoltata. Era come se la sua voce non arrivasse alle sue orecchie, eppure Hermione sapeva di parlare a voce piuttosto alta. La cosa aveva compromesso la sua autostima per un bel po’. Ma adesso, beh, adesso la cosa era totalmente differente. Il professor Piton, proprio lui, stava lì in piedi, nel suo ufficio, alle quattro del mattino, le aveva appena chiesto qualcosa, ed ora stava in attesa di una sua, sua risposta. Era come se, per la prima volta dopo cinque fottutissimi anni, il suo professore le stesse dando il dannatissimo permesso di parlare. E se lei non avesse accettato? Insomma, lui l’aveva sempre ignorata fino a quel momento, perché avrebbe dovuto rispondergli adesso? Ecco, forse quella sarebbe stata la sua punizione, la punizione per il suo insegnante che alla ragazza sarebbe sempre piaciuto infliggergli. Lui, lui che l’aveva sempre ignorata, lui, beh, lui ora non avrebbe avuto nessuna, nessunissima risposta, la brillante Hermione Granger sarebbe stata assolutamente irremovibile su questo punto.
- Allora? – incalzò il professore – signorina Granger?
Hermione trattenne il respiro, sostenne il suo sguardo.
- Si tratta delle lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure, – rispose poi crucciandosi della propria resa – la professoressa Umbridge non ci insegna praticamente nulla, in vero, e noi sappiamo che ora più che mai dovremmo essere in grado di difenderci. Non credo che lei possa darci torto quando dico che…
- Si limiti ad elencare i fatti, signorina Granger – l’interruppe il professore con aria di rimprovero – deciderò io poi cosa posso o non posso fare.
La ragazza si morse le labbra. Un enorme nube di dubbio le oscurò la mente mentre ingoiando un’abnorme quantità di saliva si preoccupava adesso del modo migliore per chiedere scusa al suo insegnante: insomma, era davvero sicura che quell’uomo fosse un’alternativa migliore alla Umbridge?
- Scusi, professore, – sbiascicò poi - quello che volevo dire è che noi ragazzi di Hogwarts comprendiamo benissimo dell’immenso pericolo a cui stiamo andando incontro, e ci rendiamo anche perfettamente conto di non essere minimamente preparati ad affrontarlo. Quindi ci chiedevamo se lei, professore, se lei potesse aiutarci, ecco.
Il professor Piton li squadrò torvo. Mosse qualche parte in direzione ora dell’uno ora dell’altro, li scrutò attentamente.
- Aiutarvi? – chiese poi fermando il suo sguardo sulla ragazza – Ed in che modo, di grazia, dovrei aiutarvi?
Hermione respinse con tutta la forza che aveva in corpo la malaugurata idea di stampargli un pungo in faccia come aveva fatto con Malfoy all’alba del terzo anno e si preparò a rispondere.
- Quello che volevamo dire di preciso, professore, – scandì la ragazza – è che avremmo davvero bisogno di…
- Ci serve un insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure – l’interruppe Harry tagliando corto il filo del discorso.
Gli occhi del suo insegnante saettarono dalla sua compagna a lui.
Qualcosa di imperscrutabile immerse la mente del suo professore, cullandolo un poco in un oceano trasparente. Lo avvolse completamente, abbracciandolo come un’amante, fermandogli i polsi e tappandogli la bocca, come un ostaggio. Lo portò a un attimo dall’affogare, lo immerse nella fine della sua storia e lì lo trattenne fino a che l’uomo non se ne rese conto e non si rassegnasse a quel tragico epilogo. Quando fu abbastanza soddisfatto del effetto ottenuto, rise beffardo del proprio risultato, prima di sganciarlo da quella presa letale e lasciar che si allontanasse fluttuando in quel mare in tempesta dei suoi miti pensieri. Tutto questo avvenne nell’arco di pochi secondi.

- Che cosa intendi dire, Potter?? – chiese poi Severus al ragazzo, sporgendosi verso di lui.

Il ragazzo sostenne il suo sguardo di quell’uomo e fece mentalmente il calcolo di quanto diamine lo odiasse. Tanto. Lo odiava proprio tanto. Probabilmente era una delle persone che odiava di più al mondo, dopo Lord Voldemort, ovviamente. No, aspetta, a pensarci bene, se non fosse stata per tutta quella storia della morte dei suoi genitori, Voldemort gli sarebbe stato molto più simpatico. Sì, decisamente più simpatico. Ma forse, invece che a questo, sarebbe stato molto meglio se Harry in quel momento avesse pensato a cosa rispondere al suo professore. Beh, certo, Harry pensò anche a quello, in minima parte, ma non gli venne in mente nulla. Tentò di improvvisare, tanto peggio di così non poteva andare. E poi, non scordiamolo lui era sempre stato il mago delle improvvisazioni, aveva sempre improvvisato davanti a Lord Voldemort, del resto, e non gli era mai andata così male.

Peccato che, sfortunatamente per lui, Severus Piton non era certo Lord Voldemort.
- Sappiamo che Voldemort si avvicina, probabilmente presto dovremo affrontarlo e ci serve che lei ci insegni come fare, ecco.
Che discorso di merda, pensò il ragazzo, ed intuì dalla faccia del suo insegnante che anche il caro Severus Piton stava pensando, a modo suo, all’incirca la stessa cosa.
Un discorso stupido, troppo corto, poco convincente ed assolutamente inconcludente, pensò ancora il ragazzo, impossibile che il professor Piton accettasse di aiutarli, sarebbe già stato molto se non li avesse fatti espellere da Hogwarts, quel verme rimbambito. E gli avrebbe tolto dei punti, questo era bello che sicuro. Cinquanta, probabilmente, forse cento, se gli girava male. Piton lo guardava ancora con aria alquanto accigliata. Probabilmente, pensò Harry, al momento quell’uomo stava lavorando al suo stesso calcolo.
Merda, avrebbe dovuto far parlare Hermione.
- Quello che Harry voleva dire, - scandì la ragazza tentando di salvarlo in corner – …
- Mi sembra abbastanza chiaro quello il signor Potter volesse dire, signorina Granger – la interruppe Piton senza degnarla di uno sguardo, continuando semmai a fissare lui – continua pure, Potter.
Harry deglutì. Piton gli aveva appena concesso l’inestimabile privilegio di parlare, fantastico! Ora avrebbe dovuto di nuovo pensare a cosa dire.
- Non c’è nient’altro da dire, professore. – si limitò a concludere Harry – A noi serve un insegnante e lei è un insegnante, non mi sembra una cosa molto difficile da capire, a dirla tutta.
- Harry! – lo rimproverò Hermione assestandogli una gomitata in pieno petto.
Severus Piton continuava a guardarli torvo. Harry ed Hermione tornarono a ricomporsi.
- Sai, Potter, dopo la scuola – fece guardandoli divertito – ti consiglio le pubbliche relazioni.
- È un sì? – chiese timidamente Harry.
- No. – rispose lui bruscamente il professore – No che non lo è!
I tre ragazzi si guardarono interdetti. E, che dire, alquanto delusi.
- Avanti, - disse Severus Piton notando le loro espressioni e prendendo a camminargli intorno – voi tre avete forse la benché minima idea del pasticcio in cui vi state andando a cacciare? Beh, i guai sono il suo forte, signor Potter, dico davvero, ma se la Umbridge dovesse scoprirla non si accontenterà delle torture corporali che suole infliggere a voi studenti e sì – disse interrompendo quella che sarebbe stata una domanda di Hermione Granger se solo lui non l’avesse stroncata sul nascere – sì ne sono consapevole ed è solo me che dovete ringraziare se le vostre cicatrici vanno scomparendo così velocemente. Dubito che ci metterebbero così poco a guarire se non mescolassi ai succhi della colazione della pozione curante… ahime che banda di ottusi e no, signorina Granger, – fece bloccandola di nuovo – non ho la minima intenzione di approfondire il discorso. Ciò che mi chiedo, signor Potter – disse riarrotolando attorno al proprio gomito l’intero filo del discorso – è se lei vuol davvero rischiare di mandare in rovina tutto il lavoro che Albus ha fatto per lei difendendola contro il ministro per non farla espellere per poi farsi sbattere fuori da qui per una cosa simile, cosa che la Umbridge farà sicuramente, in caso dovesse scoprirla. Cornelius Caramel non vede l’ora di togliersela dai piedi, signor Potter, non sarò certo io a servirgli quest’occasione su un piatto d’argento. Sarebbe troppo troppo rischioso per lei se…
- Rischioso? – chiese lui Ron, intervenendo per la prima volta in quella conversazione – Rischioso?? Voldemort è vivo e a piede libero con tutti i suoi mangiamorte, sta cercando Harry e vuole ucciderlo, per l’amor del cielo, ed Harry non ha la benché minima idea di come affrontarlo. Lei era la nostra ultima speranza, professore, e ci sta dicendo che non ha assolutamente intenzione di aiutarci, quindi ok, ce ne andiamo, scusi il disturbo, appena avremo varcato quella soglia sarà libero di toglierci qualche centinaio di punti a testa e tornare alle sue belle pozioni come ha sempre voluto, ma almeno non si permetta di parlarci di ciò che è rischioso, professore, perché, che lei lo voglia o no, che lei ci insegni o no, noi dovremo combattere, alla fine. Quindi cosa crede che sia più rischioso, professore: rischiare di essere puniti dalla Umbridge o affrontare Voldemort senza la giusta preparazione? – il ragazzo sostenne con occhi di pietra lo sguardo immobile e sbigottito del suo insegnante, prima di scandire un semplice - Ma vada a farsi friggere…
E ciò detto, seguito da due piucchè stupefatti Harry Potter ed Hermione Granger, Ronald Weasley si avviò fiero verso la porta di quello studio. Fece ruotare la mano sul pomello d’argento arrugginito, poi lo strinse fra le mani e gli dedicò un quarto di giro a sinistra, per poi dare una spinta alla porta e…
- Fermi!
I tre ragazzi si girarono a guardarlo.
Un paralizzato, pallido Severus Piton li scrutava di nuovo adesso, ma la sua espressione era del tutto cambiata, devo dire. Sembrava meno altezzoso, meno severo, quasi, non so come dire, sconvolto, preoccupato. Probabilmente, fu solo una loro impressione.
- Che c’è? – gli rispose brusco Ron.
L’uomo deglutì.
- Ok, se io avessi intenzione di aiutarvi – scandì Severus Piton – e non canti vittoria, signorina Granger, – si sbrigò ad aggiungere notando il sorriso d’euforica soddisfazione che si andava disegnando sul viso della povera ragazza – ho detto solo se, è una situazione puramente ipotetica e ben difficilmente realizzabile, sono stato chiaro?
- Sì, signore. – rispose lei ridendo, mentre lui la fulminava con uno sguardo.
- Come dicevo, – fece poi riprendendo il discorso – se io avessi mai intenzione di aiutarvi, e sottolineo se, - ripeté per l’ennesima volta, come se la cosa fosse di fondamentale importanza – quale sarebbe il piano?
Harry ed Hermione si scambiarono sorridenti un’occhiata di intesa. Fu la ragazza a parlare, e Severus Piton, almeno stavolta, non si oppose.
- L’idea è quella di una associazione segreta, - spiegò lui Hermione – è stato l’Ordine della Fenice ad ispirarci, il tutto consisterebbe nel raggruppare quelli che vogliono imparare a difendersi, e di vederci segretamente il più possibile, come delle lezioni clandestine, quando le sarebbe più comodo ovviamente, in modo che lei possa istruirci.
- Capisco, - commentò il professor Piton come riflettendo sulle parole che la ragazza proferiva e su tutte le complicazioni che queste avrebbero, inevitabilmente, causato – ed avete già pensato al posto?
- In realtà no – rispose la ragazza – avevamo pensato a qualche luogo all’interno di Hogwarts ma sono tutti sorvegliati, e darebbe troppo nell’occhio se trenta studenti entrassero in fila per due nel suo ufficio quindi…
- Hey, hey, - l’interruppe Piton – frena, frena. Trenta studenti, hai detto? Avete già formato il gruppo, per caso?
- A dir la verità no, professore, – rispose lui Hermione – abbiamo solo fatto un calcolo quanto mai approssimativo delle persona che potrebbero farne parte. Tutto qui.
- Hum… - parve riflettere il professore – trenta studenti… sono un bel numero…
- Quasi quanto una classe ordinaria – commentò fiera la Granger.
- E non avete un posto dove farli allenare… - continuò Severus – hum… lasciatemi pensare… forse si potrebbe… no, no, nei sotterranei darebbe troppo nell’occhio, con tutti quei Serpeverde intorno poi… no, no è assolutamente escluso. Forse… no, no non posso gestire 30 studenti che si aggirano per la foresta, è fuori discussione. Si potrebbe provare con… ma no, che sto dicendo(?), qualcuno degli elfi farebbe probabilmente la spia se mi trovasse ad allenarvi nelle cucine, dobbiamo assolutamente trovare qualcos’altro. Ecco, ecco forse si potrebbe… no, no, lo spazio è troppo angusto, e mi sarebbe praticamente impossibile far passare ben trenta studenti nel passaggio segreto del Platano Picchiatore, ne perderei uno a lezione, come minimo. Altre idee, altre idee… Forse… no, cioè sì, sì ma… no, no è folle, è…
- Che posto è, professore? – chiese lui Harry – Tanto pure se fosse folle sarebbe l’unica opzione che abbiamo!
- Io ve lo dico è una pazzia, – scandì il professore – vorrebbe dire infrangere non solo le regole della Umbridge, ma anche quelle di Silente, e, per inciso, semmai qualcuno dovesse scoprirci ci toccherà pregare il cielo che quel qualcuno sia lei, perché la reazione di Silente sarà mooolto più terribile, sono stato chiaro?
- Le piace fare il misterioso, vero professore? – fece Harry a metà fra il vero e il sarcastico – Si decide a parlare o cosa?
- Ci sarebbe, ed è assolutamente fuori discussione come ho già detto, - spiegò loro Piton – ci sarebbe… il terzo piano.
- Il terzo piano? – chiese un po’ deluso Ronald – Francamente mi aspettavo qualcosa di peggio visto tutto il suo monologo, professore.
- Il terzo piano è zona proibita, signor Weasley, – lo rimproverò Piton – questo comporta il fatto che non vi girerà anima viva, cosa che lo rende perfetto, ira di Silente a parte. Il problema è che non possiamo allenarci nei corridoi, e dovremmo rifugiarci in un’aula che, seppur per puro caso qualcuno venisse a gironzolare là intorno, non verrebbe aperta. È una stanza in cui, sfortunatamente, voi tre siete già stati… al primo anno
I tre ragazzi si immobilizzarono fissare il professore. Questa volta, fu lui a sorridere del risultato ottenuto.
- Professore lei non sta dicendo…? – cominciò stupefatta Hermione.
- È un luogo nascosto, - elencò Piton - è spazioso, è ben arredato, è…
- È perfetto! – lo interruppe Harry euforico – è semplicemente perfetto. Lei quando può cominciare ad insegnare?
- Hey, hey, - lo smorzò Severus – io non ho detto che lo farò!
- Beh, era fra le righe – rispose lui Hermione.
- No, non lo era, ed io non lo farò, - scandì il professore – non ho intenzione di finire di nuovo ad Azkaban per voi.
Quel di nuovo risuonò nella mente di Harry un numero interminabile di volte, eclissando totalmente i suoi pensieri. Sapeva che Piton fosse stato ad Azkaban, o quantomeno lo immaginava, visto il suo passato da mangiamorte, ma sentirlo parlare così… non so come spiegarvelo, ma gli fece uno strano effetto. Gli suonò come se l’uomo lo avesse detto in modo troppo naturale, presentando la situazione come un dato di fatto, non come un’oscura piaga della sua vita di cui ora era completamente pentito, una cosa da nascondere. Forse, pensò il ragazzo, era perché non gli era mai capitato di parlare con il suo insegnante della sua vita da mangiamorte (beh, in realtà non gli era mai capitato di parlare con il suo insegnante affatto), e quindi gli fece molto effetto quella sua spensierata allusione. Insomma, che Piton fosse stato un mangiamorte ok, che Harry lo sapesse ok, che Piton sapesse che Harry lo sapesse ok, che Harry sapesse che Piton lo sapesse che Harry lo sapesse ok, ma addirittura parlarne… E poi, non so, a partire da tutto il discorso di Ron, da quella storia del pericolo e tutto, l’atteggiamento del professor Piton sembrava quasi esser cambiato totalmente, non solo rispetto a quella che era stata la loro conversazione solo pochi minuti prima, ma soprattutto in relazione a quello che poi era il suo solito comportamento. Era come se fossero amici di vecchia data, adesso. Il modo in cui parlava, in cui li stava a sentire, ed ora quell’allusione… E poi boh, pensò ancora Harry, era incredibile il fatto che stesse pensando così tanto a quell’uomo.
Un’occhiata di rimprovero lanciatagli da Hermione lo portò a distogliere lo sguardo. Solo allora, il ragazzo si rese conto di aver fissato il suo insegnante per tutto il tempo. Si chiese se lui ne fosse accorto.
- Ma avanti, professore, - fece Ronald Weasley – insomma, d’altronde lei ha sempre voluto la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure!
- Sì ma voi non mi state offrendo una cattedra, signor Weasley, – rispose lui Severus Piton – quel che voi mi state offrendo è un lavoro a tempo pieno non salariato e ad alto rischio, il che è differente!
- Sì ma… - balbettò il ragazzo.
- E poi da che pulpito! – continuò l’insegnante – Neanche me lo avessero chiesto tre studenti modello, avrei potuto quanto meno pensarci, ma da voi tre…
- Avanti, professore, - intervenne Harry deciso come in vita sua forse non era mai stato – lei odia me ed io odio lei, questo è risaputo e non cambierà di certo grazie a queste lezioni, e questo lo sappiamo entrambi…
- Harry! – lo rimproverò Hermione dandogli una gomitata.
Ma era troppo tardi per fermarlo. Le iridi verdi del ragazzo s’erano appena incatenate a quelle cupe del suo professore, che lo ascoltava stranamente compiaciuto.
suo Continuò il suo discorso.
- Visti i nostri complicati rapporti, immagino che lei possa benissimo immaginare quanto mi sia costato venire qui a implorare il aiuto, professore, come io immagino bene come sarà dura per lei accettare, ma sono in pericolo, e, umiliazione a parte, sono qui, e le sto chiedendo il suo aiuto e lei, oh beh, lei sta morendo dalla voglia di darmelo. Le si legge in faccia! È il mestiere che ha sempre desiderato, la cattedra dei suoi sogni, ed è pericoloso, sì, ma lei è stato un mangiamorte ed ora è un quanto mai valido membro dell’Ordine, il più fidato alleato di Albus Silente, quindi, a quanto pare, il pericolo non le dispiace. E vuole aiutarci, professore, lo so che lo vuole. Ha avuto così tante occasioni per sbarazzarsi di me ci deve pur essere un motivo se non l’ha mai fatto! Quindi, per favore, potrebbe mettere da parte, almeno per questa sera, vergogna e orgoglio, e, beh, ecco, come posso dire (?), accettare, invece di pentirsi per il resto della sua vita d’aver fatto la scelta sbagliata, per favore?

Lo sguardo sgargiante ed attonito di Hermione vibrò in quel breve lasso d’istanti da Harry e professore, dal professore ad Harry e così via. Gli occhi dei due, nel frattempo, s’erano, come ho già detto, totalmente incatenate. Harry fissava il suo avversario in modo fiero, sicuro, deciso, mentre il professore lo guardava in modo ammirato, divertito, compiaciuto, quasi come, e questo è assurdo, quasi come se in tutto quel tempo non avesse fatto altro che aspettare, e soprattutto sperare, che il suo ragazzo pronunciasse in quel modo quelle strane parole. Forse, pensò la ragazza, forse ce l’avevano fatta.
- Quando si fa una proposta del genere, signor Potter, - scandì in tutta risposta il professore, con aria un po’ divertita – dopo che si è presentato un discorso avvincente come questo, di solito si tende la mano.
Harry, pur non avendo capito bene ciò che il professore avesse in mente, tese il braccio sinistro in sua direzione.
- La destra, Potter! – lo rimproverò il professore – Non ti sto consegnando un diploma!
Pur avendo capito la battuta di dubbio gusto del suo insegnante, Harry si sbrigò a ritirare la mano mostrata e ad esporre l’altra, aspettando una qualche reazione.
Severus Piton tornò a guardarlo torvo. Harry sentì le sue iridi corvine perforarlo da parte a parte, come per un incantesimo, e il ragazzo si chiese davvero se il suo professore non stesse usando della magia oscuro su di lui. L’idea lo fece rabbrividire.
- Mie le condizioni, mie le regole – sancì il professore stringendogli la mano.
Hermione non poté trattenersi da urlare, persino Ron spalancò gli occhi e sorrise, mentre Harry persisteva, stupefatto, nella stretta del suo professore.
- Professore, è fantastico, - fece la Granger euforica – grazie, grazie davvero!
- Non canti vittoria, signorina Granger, - la rimproverò ancora Severus – ho detto che mie condizioni, mie regole siete d’accordo? E se non vi piacciono, ve le farete piacere. Innanzitutto, siete dei miei allievi, non dei miei colleghi, quindi i nostri contatti finiscono qui. Mi aiuterete a gestire la massa in caso io dovessi chiedervelo, ma non vi intrometterete mai e poi mai nelle mie lezioni né contraddirete le mie decisioni. Come ho già detto, le regole sono le mie. Ad ogni studente che si propone d’entrare nel gruppo verrà fatto un test, un interrogatorio, e sarò libero di porre loro tutte le domande che vorrò, sono stato chiaro? In caso per qualsivoglia motivo io abbia il dubbio che qualcuno ci stia per tradire, molto probabilmente sarò costretto a tenere un secondo interrogatorio, chiunque lui sia, e mi riterrò ben libero di usare le mie personali scorte di veritaserum a mio piacimento…
- Ma è una cosa vietata! – l’interruppe la Granger.
- Lo è anche organizzare una classe clandestina, signorina Granger, – le rispose Piton – e queste sono le mie condizioni, quindi, etica o no, veda di farsene una ragione. Come stavo dicendo prima che la signorina Granger ci interrompesse, - riprese l’insegnante – ad ogni studente che verrà scoperto sul punto di tradirci o giù di lì, verrà obliviata la mente dal sottoscritto, che vi piaccia o no. – aggiunse lanciando un’occhiataccia ad Hermione, che stava nuovamente per controbattere – Inoltre, in caso qualcuno di voi, o l’intera congrega, dovesse venir scoperta, nessuno di voi ha il diritto di fare il mio nome. Non vi crederò, se mi direte di aver confessato sotto veritaserum, perché mi occuperò personalmente di contraffare le pozioni che le servirò alla professoressa Umbridge in caso di interrogatori, e dato che farò quanto in mio potere per tenervi fuori dai guai, gradirei che anche voi altri faceste lo stesso con me.
- Può contarci, professore. – rispose lui sorridente Hermione.
Il professor Piton piegò il viso in un cenno di ringraziamento. Continuò a parlare.
- Inoltre, ovviamente, - disse ancora – non tollererò alcuna messa in discussione del mio metodo o delle mie lezioni, voi siete solo dei piccoli studenti e non siete nessuno per giudicare, ok? Inoltre pretendo puntualità schiacciante per le mie lezioni. Distribuirò a voi tre una pergamena stregata contenente date ed orari degli appuntamenti, e voi vi assicurerete di comunicare le informazioni agli altri studenti, non tutte insieme, ma giorno per giorno, man mano che le lezioni andranno avanti, guardandovi dall’avvertire membri che, nel frattempo, il sottoscritto avrà personalmente scelto di eliminare. Chi mancherà per più di tre lezioni, verrà considerato dal sottoscritto cancellato da questa associazione, per mancato interessamento da parte dello studente in questione. Per ora le regole sono finite, ovviamente, mi riterrò quanto mai libero di aggiungerne altre durante tutta la durata della nostra ben forzata collaborazione, e voi le accetterete senza fiatare, sono stato chiaro?
- Ed io chiamavo quella della Umbridge dittatura! – commentò Ron in tono sarcastico.
- Allora, ci state? – ripeté Piton alzando la voce e tentando di soffocare il commento del ragazzo.
Harry si voltò verso Ron ed Hermione. Il primo lo guardava con la faccia di chi pensa te lo avevo detto, mentre la seconda alzava stavolta le spalle, non sapendo neppure lei cosa fare.
Quindi, il ragazzo tornò a concentrarsi, come aveva fatto anche troppe volte in quella sera, sul suo professore.
Le condizioni di Piton erano assurde, e su questo non c’erano dubbi. Insomma, ci mancava solo che il professore chiedesse loro di respirare a ritmo! E il veritaserum, e l’oblivion, e gli orari, e gli interrogatori… insomma, non stavano sfuggendo da una dittatura per rifugiarsi in un’altra, dannazione! Eppure, dittatura a parte, Piton li avrebbe istruiti. Era per quello che si erano rivolti a lui, d’altronde, no? Certo, non avrebbero mai pensato che il professore avesse fatto pagare loro una così alta tassa in cambio della propria collaborazione, ma comunque, in un modo o nell’altro, li avrebbe aiutati, no?
Harry fantasticò per qualche momento sull’ipotesi di contrattare. Tristemente, dovette scartarla ancor prima d’averla anche solo lontanamente assaporata: sapeva benissimo che il professor Piton sarebbe stato irremovibile.
- Come se avessimo un’alternativa! – disse stringendo con vigore la destra del suo professore.
Mentre il ragazzo abbassava scocciato lo sguardo in direzione degli amici, Severus illuminò il suo.
Il patto era appena stato sancito.


Piaciuto il capitolo?? Personalmente, devo dire d'avere impegnato tutta me stessa per scriverlo, e sono molto fiera del mio risultato! Non è così male, non trovate? Povera Hermione, continuamente bruciata dal suo insegnante! E poi Ron, ed il suo discorso che ha salvato la situazione, beh, devo ammetterlo, in primis pensavo che lo avrei fatto restare zitto per tutto il tempo, ma poi la mmia ispirazione mi ha totalmente contraddetto! E che dire del monologo di Harry??? Oh, beh, a mio parere quella è la parte migliore di tutto il capitolo, ne sono più che soddisfatta, è perfetto! E che dire delle condizioni del professore? Un pò rigide, non trovate??? Spero davvero di non avervi deluso. Aspetto con ansia di saper cosa ne pensate. Baci. Giulia.

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Capitolo 3
*** Prima Lezione ***


Prima lezione

Non era una cosa facile, stare lì in quella stanza, in piedi, pensava Harry. Non era affatto, una cosa facile. Non solo perché questa gli ricordava terribilmente tutte le disavventure che aveva dovuto passare alla fine il suo primo anno, anno durante il quale, per inciso, aveva rischiato non solo di morire, ma aveva anche messo in serio pericolo anche i suoi due migliori amici, ma anche, e soprattutto, per le occhiate assassine che gli lanciavano ora i suoi nuovo compagni di classe da tutte le parti.
Il motivo era più che evidente, e si muoveva come un pipistrello avanti e indietro per tutta la misura di un arazzo viola raffigurante un qualche strambo ghirigoro che lui stesso aveva appeso per bloccare le finestre, facendo l’appello. Severus Piton, era il motivo inequivocabile della densa coltre di odio che al momento aromatizzava la stanza.
Ne aveva selezionati ventotto. Avrebbero dovuto essercene ventotto. E, sorpresona, ce n’erano ventotto. Quindi, si chiedeva il ragazzo, che senso aveva fare l’appello?
Non poteva essersi infiltrato qualcuno che non fosse dei loro, e questo lui lo sapeva bene dato che, insieme a Ron ed Hermione, aveva passato l’inizio lezione bloccato presso la porta a controllare chi entrasse e chi no, cosa che era risultata, agli occhi dei ragazzi, particolarmente noiosa e snervante, e lo sapeva anche il suo professore, dato che era stato proprio lui ad appioppargli quello stupido incarico, andando a controllare come stesse andando il loro lavoro con continuità martellante, quasi come una dama di San Lorenzo. Quindi, ripeto, che senso aveva fare l’appello?
Oh, certo, Harry aveva provato a spiegarlo al suo professore, mentre questo compiva puntuale il suo terzo giro del violaceo arazzo, ma si dà il caso che il caro Severus Piton si fosse limitato solo a lanciargli un’occhiata che stava a dire qualcosa del tipo tornatene al tuo posto o ti crucio, se non peggio ed aveva continuato, convinto, il suo appello.
Che persona odiosa!
Guardatelo, guardatelo come era insulso e viscido mentre si aggirava soddisfatto compiendo per l’ennesima volta lo stesso percorso.
Oh sì, sono Severus Piton è sto facendo l’appello, come sono bravo! Certo, lo so che ci sono già tutti, li ho contati e Potter me lo ha già ripetuto due volte, ma io sono troppo intelligente per non fare l’appello gne gne gne gne gne! Guardatemi, guardatemi come sono bravo, sono già arrivato alla E, sono un vero genio, alla faccia di Potter e di tutti gli altri, sono il professore io, ho le mie regole io!
- Venti punti in meno a Grifondoro, signor Potter – scandì il professor Piton senza staccare gli occhi dalla pergamena che teneva in mano.
Era una lista completa dei nomi degli alunni che avrebbero partecipato alle sue lezioni, fattagli firmare dal professore di loro pugno a colloquio effettuato, e, anche se Severus non lo avrebbe mai ammesso, ne andava incredibilmente fiero.
Ventotto studenti, ventotto studenti si sarebbe riuniti in segreto da qui alla fine dell’anno, correndo il pericolo di venir torturati od espulsi, solo per poter assistere alle sue lezioni. Ok, Severus Piton non era mai stato un uomo vanitoso, ma tutta quella faccenda stava dando un grosso colpo al cerchio della sua autostima. E chissà che cosa avrebbe detto il vecchio Albus, che non gli aveva mai concesso quella cattedra, ora che ben ventotto studenti si giocavano il loro futuro ad Hogwarts pur di farsi istruire da lui! Eh sì, son soddisfazioni!
- Ma, professore, - protestò Harry – come venti punti? Io non ho fatto nulla.
- Fra un po’ di tempo e con un po’ di studio probabilmente ben presto imparerà cosa sia un legilimens, signor Potter, - rispose lui Severus, riemergendo dai propri pensieri – per il momento, venti punti in meno a Grifondoro.
Ciò detto, l’insegnante continuò a concentrarsi sul suo appello. Sapeva che c’erano già tutti, eppure era giunto il momento che quei tutti, che erano entrati gozzovigliando e chiacchierando spensieratamente fra di loro in quella che da quel giorno in poi Severus Piton avrebbe probabilmente definito la sua aula, si accorgessero che c’era lui. Non che non se ne fossero ancora accorti nel senso letterale del termine, (caciaroni sì, ma rimbambiti no, per l’amor del cielo!) è solo che il loro magnanimo insegnante trovava particolarmente adeguato che tutti i suoi studenti si rendessero conto fin da subito dell’autorità che il caro vecchio professor Piton esercitava adesso su di loro. Se avesse ripetuto i numeri da 1 a 15 per tre volte, mantenendo la stessa andatura ora avanti, ora indietro per tutta la lunghezza dell’arazzo, con lo stesso tono di voce e lo stesso sguardo inquisitorio, l’effetto sarebbe stato suppergiù lo stesso. E poi, non dimentichiamolo, quell’appello era pur sempre un ché di particolarmente simbolico, insomma, una metafora mal colta della nascita di quella nuova classe segreta, di cui lui, e qui si ritorna a quel pizzico di calda vanità che al momento gli solleticava le smorfie, era il professore. Quindi, l’appello non era assolutamente discutibile, che a Potter e compagnia bella la cosa facesse piacere o no. Anzi, se non erano d’accordo tanto meglio, così avrebbero capito chi fosse l’insegnante. Ok, forse questa cosa lo stava montando un po’.
- Angelina Jonson? – chiamò il professore, tornando a concentrarsi sul suo appello.
- Presente. – dichiarò con fare rispettoso ma un tantino scocciato la ragazza, alzando lievemente la mano.
Senza alzare gli occhi dalla pergamena, Severus Piton ripercorse mentalmente i punti salienti del suo colloquio con la ragazza.
Pettinata in modo decente, vestita in maniera impeccabile, cosa che non si poteva certo dire per tutte le ragazze della sua età che si erano presentate all’incontro, la ragazza era entrata subito dopo la fine del colloquio dei due gemelli Weasley (ed anche su quel colloquio il professor Piton aveva abbastanza di cui ricordare), e si era seduta compostamente sulla sedia di fronte alla scrivania. Hermione, Harry e Ron le avevano sorriso rassicuranti, dall’altro capo del tavolo, lui l’aveva guardata torvo.
Aveva cominciato lui il discorso, con qualcosa del tipo e lei è qui per…? e di lì in poi, senza alzare gli occhi dalla consunta pergamena su cui stava al momento prendendo appunti, aveva lasciato che fosse la ragazza a parlare.
Pareva un po’ imbarazzata, come se non sapesse cosa dire.
Pessimo, aveva scritto Severus Piton sulla sua pergamena, ma lo aveva cancellato subito dopo, non appena la ragazza aveva cominciato a parlare.
“Non dico che se sentirò che il Signore Oscuro disti da me meno di trenta chilometri spolvererò la mia armatura, impugnerò la mia spada lucente e scenderò coraggiosamente in battaglia, senza battere ciglio, anzi, probabilmente creperò di paura prima d’aver finito di sentire la notizia. Ma la paura è normale, suppongo, è umano, provare paura. Ciò non vuol dire che me ne starò ferma a guardare, o che permetterò al timore di sopraffarmi, penso che l’avrei vinta io. Forse non sarò la prima a scendere in battaglia, forse cercherò di ritardare quel momento, di cercare un’altra via per salvare me ed i miei amici che non comprenda il duello, ma alla fine tirerò comunque fuori la bacchetta. Non scapperò via, per quanto io abbia paura, e non mi arrenderò, fino alla fine. Semmai dovessi entrare nella battaglia, e spero, ripeto, che ciò non succeda, penso che dovranno uccidermi per tirarmene fuori. Non starò in prima fila, forse, ma nemmeno nell’ultima, io lotterò insieme ai miei amici, fianco a fianco, qualunque cosa accada, e voglio saper come fare. Tutto qui, non ho nient’altro da dire.”
Le aveva fatto un’altra domanda poi, ora non riusciva bene a ricordare, doveva essere qualcosa del tipo lei è ben sicura che rimarrà fedele all”Esercito e con esso a tutti i suoi membri? Al che lei aveva risposto con qualcosa del tipo “C’è qualcosa che lei non ha capito nell’espressione lotterò insieme ai miei amici, fianco a fianco, qualunque cosa accada? Mi sembra abbastanza ovvio che mi ripudi il solo pensiero di tradirli.”. “Ma io non sono un suo amico, signorina Jonson,” aveva affermato allora lui “questo vuol dire forse che potrei essere io ad esser tradito?”. La ragazza l’aveva fissato negli occhi, aveva scansato con la mano una ciocca di capelli neri che le si erano andati a parare dinnanzi alla fronte ed aveva ricominciato a parlare. “Lei sa che gioco a quidditch, non è vero, professore?” aveva detto per principio in quella che doveva essere solo una domanda retorica, poiché le era bastato che il suo insegnante staccasse un attimo il volto dalla pergamena per guardarla un secondo, che la ragazza aveva ricominciato a parlare: “Beh, l’altro giorno, ci stavamo allenando con la professoressa Bump, ed indossavamo le uniformi regolamentari. Ora, una cosa che forse lei non sa, è che nella scorsa partita di quidditch a metà del primo tempo io sono caduta rovinosamente a terra, sfregiandomi la parte bassa del fianco sinistro. Forse lei non lo ha mai provato, professore, ma il tessuto dell’uniforme da quidditch è alquanto ruvido, e le assicuro che, quando struscia durante un allenamento su un eritema non fasciato ed ancora dolorante, non è proprio un brodo di giuggiole. Quindi, vedendo che la cosa mi faceva male, per non farmi rinunciare all’allenamento e tenendo comunque alla mia salute, la professoressa ha puntato la bacchetta contro la mia uniforme, e me l’ha accorciata facendo in modo che mi arrivasse poco più su dell’eritema, solo in quel punto, per aiutarmi. Beh, l’allenamento era quasi finito quando è arrivata la Umbridge, era lì per interrogare la Bump, suppongo. Comunque, appena arrivata, la prima cosa che ha notato è stata la modifica alla mia uniforme. È diventata nera. Ha cominciato a parlare di come fossi provocante e di come tutto questo andasse contro alle sue regole, ed ha chiesto chi avesse compiuto l’incantesimo. La Bump ha cercato di spiegarle che era solo perché mi ero fatta male, ci abbiamo provato entrambe, ma lei non ha voluto sentire spiegazioni, continuava a fare sempre e solo quella domanda, chi è stato? CHI???? Beh, io ho fatto il mio nome, ho detto d’aver fatto tutto da sola, se vuole ho ancora la cicatrice sul dorso della mano. La professoressa Bump non è una mia amica, professore, eppure non l’ho tradita lo stesso.”
“Ok, basta, è tutto, ho raccolto informazioni a sufficienza per poterla giudicare, mi creda.” aveva troncato il colloquio il professore “Le sue risposte non sono pienamente soddisfacenti, dimentica spesso di trovarsi dinnanzi ad un suo insegnante e non ad un suo compagno di squadra, e gira intorno alle domande o fornisce esempi, invece che rispondere come si deve.” “Professore, ma lei…” avevano provato a protestare i tre ragazzi che lo affiancavano, ed anche la stessa Angelina avrebbe replicato, se lui, continuando a parlare, non li avesse interrotti tutti e quattro. “Quindi, aveva detto, il suo colloquio è terminato, la aspetto alla prima lezione, signorina Jonson. Se adesso volesse firmare quella pergamena e lasciare la stanza gliene sarei particolarmente grato”.
La ragazza lo aveva guardato per qualche istante cercando di metabolizzare il succo del discorso. Le aveva detto che il colloquio era andato male, e poi che era stata presa, insomma, che doveva fare? Lo sguardo loquace di Hermione, che le indicava con gli occhi la pergamena, la persuase che seguire passo passo le indicazioni del suo insegnante sarebbe stata la scelta meno condannabile, quindi firmò il foglio prima di girare i tacchi, e, dopo aver salutato cortesemente il suo piucchè contraddittorio insegnante, era uscita dall’aula. E, considerando che era lì, adesso, a rispondere l’appello, probabilmente il suo colloquio non doveva essere andato poi così male.
No, non era andato affatto male, pensò il professore, la ragazza aveva risposto in modo diretto e sicuro di sé, e sembrava anche sincera, molto sincera, e lo sembrava al punto che al nostro caro Severus Piton non era venuto in mente nemmeno per un secondo di offrirle una calda tazza di tè con sorpresa (ed il veritaserum era la sorpresa). Quindi, anche se non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente, era alquanto fiero d’aver un tale elemento nella propria classe.
Continuò l’appello.
- Lee Jordan?
- Presente – aveva detto un ragazzo moro dal lato destro della stanza, alzando un poco la mano.
- Luna Lovegood?
- Presente, professore – aveva dichiarato la ragazza quella voce melliflua che tanto la caratterizzava.
Sorrideva al momento, ed a Severus Piton la cosa aveva dato fastidio. Non era rispettoso sorridere alle sue lezioni, era come ridere di lui. Ok, questa era una cavolata, probabilmente stava passando troppo tempo con la Umbridge. Sorvolò quindi sul sorriso, e distolse lo sguardo.
- Ernie Macmillan? – chiamò il professore continuando il suo appello.
- Eccomi, professore – rispose il ragazzo.
- Presente – lo fulminò il suo insegnante – si dice presente, non eccomi, chiaro?
Il ragazzo annuì ed indietreggiò di un passo commentando il tutto con un debole presente. Ciò permise al professore di continuare. Ah, ah no, prima poté perdere un momento di tempo a riflettere anche sul colloquio con Ernie.
Il ragazzo si era presentato all’incontro con ben cinquantaquattro secondi e mezzo di ritardo, e questo era un male, anche perché significava quasi un minuto di ritardo. Ovvio dirvi che, a causa di questa enorme mancanza da parte del ragazzo, il suo colloquio non era cominciato nel modo migliore.
Ho ovviamente Severus aveva offerto la sua massima disponibilità affinché tutto andasse per il verso giusto. Non gli aveva certo posto delle domande particolarmente difficili mostrando piucchè evidenti sintomi di intollerabilità lui.
“Ok, signor Macmillan” aveva cominciato non appena il ragazzo era entrato nell’aula, senza lasciargli neppure il tempo necessario per sedersi “lei sa dirmi per caso che cosa farebbe in caso si trovasse davanti ad un lupo mannaro mentre sta uscendo dalla Sala Grande?”. Harry, Ron ed Hermione si erano girati contemporaneamente in direzione del loro insegnante guardandolo interrogativi. “E’ una domanda?” gli aveva chiesto Ernie, immobile davanti alla porta ancora aperta, con un piede davanti all’altro. “Oh, no, signor Macmillan,” aveva risposto lui Severus Piton “è una constatazione senza senso, sa faccio spesso constatazioni senza senso quando le persone non arrivano in orario. Certo che è una domanda.” Silenzio. “Ma se non sa cosa rispondere,” aveva continuato il professore “potrei vedere di trovare qualcos’altro… ecco, è su uno sferrato, attorno e sotto di lei ci sono solo pietre e sassi grossi come arance, ha una spada in mano, solo una spada, niente bacchetta, chiaro? Si ritrova davanti ad una benshee in procinto di attaccare, cosa fa con la spada? No? Nulla? Ok, andiamo avanti, sta tranquillamente nuotando nelle acque del lago e viene afferrato da un avvincino che cerca di trascinarla sott’acqua, che fa?” “Beh, io credo che…” aveva cominciato confusamente il ragazzo “beh, forse potrei…” “Forse? Potrei?” aveva chiesto lui il professore con appena una punta di sarcasmo sulle labbra “il solo tempo di formulare il discorso, ed è già morto affogato. Un’altra, un’altra, è disarmato, a terra, un vampiro l’ha assalito e sta per morderla, non c’è nulla attorno a lei, afferra un crocifisso o un paletto?” “io… insomma, un pal…” aveva tentato Ernie. “Ma che cos’è un gioco a premi!?” era intervenuta la Granger alzandosi in piedi e sbattendo i pugni sul tavolo. “Non sono affari suoi, signorina Granger, si rimetta a sedere. Corre su per le scale, signor Macmillan, in caso un lupo mannaro la attacchi lei corre su per le scale senza neppure pensare ad afferrare la bacchetta, corre su per le scale e ci rimane, chiaro? I lupi mannari una volta trasformati non sono in grado di salire le scale. In caso una banshee l’attaccasse la lasci pure cadere la spada, la getti più lontano che può, se la inficchi nel fodero o dove più le fa piacere, e si sbrighi ad afferrare un sasso da conficcarle in bocca: la vera arma micidiale delle banshee è la voce, le impedisca di gridare ed è salvo e se un avvincino la dovesse attaccare provi a fare pressione sulle sue dita, le sue mani sono prensili, ma comunque molto deboli, probabilmente si spezzeranno. Quanto al crocifisso ed al paletto, c’è qualcosa di poco chiaro forse nell’espressione non c’è nulla attorno a lei? Era una domanda trabocchetto, ovviamente, se si troverà mai in una situazione del genere le consiglio vivamente di tentare a salvarsi con un poco di sana lotta alla babbana, ovviamente non potrà vincere, ma potrà prendere tempo almeno fino all’alba magari, e scappare mentre il vampiro se ne ritorna alla sua bara.” “Che cosa c’entravano banshee e vampiri adesso?” aveva chiesto lui Hermione “pensavo che gli studenti sarebbero stati intervistati su quali fossero i motivi per cui si iscrivevano all’esercito, non che sarebbero state proposte domande su situazioni ipotetiche a sua discrezione” “La cosa non la riguarda, signorina Granger, possibile che lei non sappia tenersi un cieco in bocca per più di venti secondi?” aveva tagliato il discorso lui. “Ma Hermione ha ragione, professore!” aveva replicato Harry, come solito, “Taci, Potter,” gli aveva risposto lui “vorrei solo ricordare a tutti e tre che sono io il professore qui, voi tre siete qui solo per mia gentilissima concessione.” “Ma…” aveva provato ad obbiettare ancora Harry “Obbiezione respinta!” aveva gridato lui prima ancora che il ragazzo riuscisse a formulare quantomeno nella sua testa una frase di senso compiuto “Io non devo certo render conto a voi di ciò che faccio o delle decisioni che prendo…” “Ma potrebbe quantomeno…”
“BASTA!” aveva gridato Ernie. E silenzio era stato fatto. Tutti e quattro i litiganti si erano girati in quel momento a guardarlo. “Questo è ancora il mio colloquio, permettetemi almeno di parlare, per l’amor del cielo! E’ vero, professore, non sapevo assolutamente nulla delle cose che mi ha chiesto, non avrei la minima idea di cosa fare in presenza di un lupo mannaro e sono stupidamente caduto nel tranello del vampiro, dato che stavo per rispondere paletto, e questa è la prima volta in vita mia che sento nominare una banshee! Ma è proprio per questo che sono qui! Non doveva essere una classe questa? Non doveva essere il nostro professore lei? Ed allora mi insegni, professore, perché non credo che mi avvicinerò più al lago nero finché lei non mi spiegherà per filo e per segno come spezzare le dita a un avvincino”.
Probabilmente, pensò il professore, in quel discorso il caro Ernie aveva appena raggruppato tutte quelle piccole briciole di coraggio che aveva risparmiato in una vita. Se solo gli avesse fatto una domanda in più, se solo gli avesse chiesto di continuare a parlare, probabilmente si sarebbe impappinato mandando in rovina tutti gli sforzi compiuti fin ora. Quello era il suo massimo.
Fortunatamente, a Severus Piton il suo massimo non dispiacque affatto.
“Ci vediamo alla prima lezione lunedì prossimo, signor Macmillan, per il momento si limiti a tenersi lontano dal lago,” aveva detto stemperando il più possibile il sorriso di soddisfazione che gli stava nascendo sulle labbra. “veda di essere puntuale, la prossima volta. Ora firmi e si tolga dalle scatole.”
Ed il colloquio era finito qui, con uno stupefatto Ernie Macmillan che abbandonava la stanza ed un perplesso Ronald Weasley che sussurrava ad Hermione, sottovoce: “ma tu la sapevi quella delle scale??”
- Neville Paciock? – chiamò il professore traendovi fuori, o curiosi lettori, dai suoi recenti ricordi.
- P-p-presente – aveva balbettato Neville provocando una seccata alzata di ciglia al suo insegnante.
- Padma e Calì Patil?
- Presenti, professore – aveva risposto una delle due, mentre l’altra, affianco a lei, alzava la mano.
Un conato di vomitò salì alla bocca del professore. Qualcosa gli disse che avrebbe dovuto soffermarsi anche su di loro.
Le due ragazze si erano presentate in perfetto orario per il loro colloqui, almeno questo era ok, il problema e che si erano presentate insieme. Che cosa ridicola, cioè, lo avevano fatto anche i gemelli Weasley, ma loro se lo potevano permettere. Insomma, erano una coppia brillante loro, mentre le Patil erano una coppia piatta, ecco. Comunque, come ho già detto, le due ragazze si erano presentate al colloquio insieme, cosa che aveva infastidito il professore non poco, e lui aveva cominciato con le domande. Ora non ricordava di preciso che cosa gli avesse chiesto, ma doveva probabilmente aver iniziato il discorso con una domanda del tipo cosa vi porta qui? e la loro risposta, a dire il vero, era si era dimostrata alquanto scadente.
“Beh io frequento il corso di Divinazione della Professoressa Cooman” aveva cominciato Calì “o meglio lo frequentavo prima che lei fosse sospesa dall’insegnamento dalla professoressa Umbridge. Beh, deve sapere che sono molto brava, e durante una delle sue lezioni la professoressa ha predetto che ci sarebbero stati enormi pericoli dietro ogni angolo fra poco, quindi…” “Mi faccia capire, signorina Patil,” l’aveva interrotta Piton “lei sta scegliendo di entrare a far parte di una classe segreta rischiando la tortura se non l’espulsione soltanto perché la professoressa Cooman dice di averlo predetto??!” la ragazza arrossì terribilmente, prima che sua sorella prendesse la parola al suo posto. “Professore,” cominciò Padma “io e mia sorella Calì siamo qui in quanto vogliamo imparare a combattere e a difenderci qualunque cosa accada. Capiamo benissimo che stiamo tutti andando incontro a gravi pericoli, crediamo a quello che Harry ha raccontato sulla morte di Cedric e il ritorno di Lei sa chi, e sappiamo anche che le lezioni della Umbridge non ci aiuteranno certo a difenderci. Io, come prefetto Corvonero, voglio dare alla mia casa il buon esempio, ed anche mia sorella.” Al che aveva taciuto. Ed il professore aveva appuntato qualcosa che non riusciva a ricordare sulla sua pergamena. Probabilmente era solo una frase senza senso o uno stupido promemoria, ma di certo non qualcosa che riguardasse le Patil. Il suo continuo scrivere sulla pergamena era, infatti, come anche l’appello, un atto puramente formale. Gli studenti dovevano pensare che lui li stesse analizzando sempre e comunque. Comunque, il colloquio era continuato. Non era stato un gran colloquio, a dirla tutta, le due ragazze di casa Patil non si erano dimostrate poi un gran che, come del resto il professor Piton aveva pensato fin dal principio. C’è da dire che si era dimostrato un veggente migliore della Cooman, a dirla tutta. Ed allora perché erano lì, al momento? Il motivo si spiegava, a dire il vero, nella loro risposta ad una domanda in particolare. “Cosa fareste” aveva chiesto loro Severus Piton in quella che sarebbe stata la loro ultima domanda “se vi trovasse dinnanzi alla possibilità di salvare cinque innocenti o una sorella?”. Le due Patil tacquero per un momento. Quella era una domanda difficile. “Chi sono questi cinque innocenti?” chiese infine, decisa, Padma Patil. “Come, scusa?” chiese lei il professore guardandola interrogativo. “Chi sono questi cinque innocenti” ripeté Padma “perché, onestamente, non lascerò morire mia sorella per salvare cinque innocenti qualunque. Vuole che io sia sincera, professore, perché sinceramente credo che se mi trovassi in una situazione simile correrei da mia sorella prima ancora che lei possa dire aiuto, e salverei lei e…” “Sarebbe la scelta sbagliata”. Questa, di preciso, sarebbe stata la risposta che le avrebbe dato chiunque. Hermione l’aveva pensata, Ron l’aveva pensata, Harry l’aveva pensata. Anche il professor Piton l’aveva pensata. La cosa buffa però, fu che non fu nessuno di loro a parlare. “Sarebbe la scelta sbagliata, Pad” aveva detto Calì, dal cantuccio della sua sedia “Sarebbe la scelta sbagliata. Tu non dovresti salvare me, tu dovresti correre da loro, e non perché è la scelta corretta, ma perché è quella giusta. È quello che vorrei, dico davvero, che tu salvassi loro invece che me è esattamente quel che vorrei. Sarei io a gridarti di correre da loro, di correre ad aiutarli. Io me la caverei da sola, il professor Piton ci insegnerà a difenderci, dopotutto, lo farà, non è vero, professore?”
Il professor Piton, come tutti gli altri nell’aula del resto, si soffermò a quel punto sulla ragazza. Aveva dato una risposta strana alla sua domanda. Per inciso, l’aveva totalmente ribaltata. Non aveva risposto, come lui aveva richiesto, a che cosa avrebbe fatto nella presentata situazione, lei aveva detto che cosa avrebbe sperato che sua sorella facesse in caso fosse stata lei in pericolo. Quella non era la soluzione del quesito, non ci si avvicinava nemmeno, ma era stranamente… interessante.
“Sì, suppongo che sia esattamente quello che farò.” rispose lei Severus, appuntando qualcosa di altamente insignificante sulla sua pergamena “Ed adesso potete firmare qui e, qui, il signor Potter o il signor Weasley, o la signorina Granger vi comunicheranno al più presto orario e data della prima lezione.
Ma tutto questo non era importante, pensò Severus Piton tornando a concentrarsi sul suo foglio di pergamena, quel che contava adesso era fare l’appello.
- Harry Potter?
Quel nome, che lui stesso aveva appena pronunciato, rimbombò nella sua mente per un centinaio di volte. Che faccia strana che aveva fatto il ragazzo quando il suo professore gli aveva comunicato che anche lui, come gli altri, avrebbe dovuto sottoporsi a colloquio!
Oh beh, la più contrariata in assoluto era stata la Granger! Quasi non poteva crederci, in cinque lunghi anni il professore non l’aveva mai vista tanto indispettita! Aveva detto qualcosa del tipo: “Non riesco davvero a concepire quale sia la motivazione di questa ulteriore analisi delle nostre intenzioni, del resto siamo stati noi ad avere l’idea” “Sei stata tu ad avere l’idea” aveva borbottato Weasley sottovoce, e poi la ragazza aveva ripreso con il suo monologo, che professor Piton ritenne opportuno evitar di ricordare.
Quello che gli tornò alla mente, invece, fu proprio il colloquio della ragazza.
Aveva un’aria alquanto scocciata Hermione Granger, quando si era seduta decisa sulla sedia dinnanzi alla sua cattedra. Aveva portato una ciocca di capelli semi-ricci dietro l’orecchio guardandolo irritata, ed aveva pazientemente aspettato che fosse lui a parlare. Stranamente, il professor Piton era stato zitto. Aveva inchiodato il suo sguardo a quello della sua allieva, ed era, semplicemente, rimasto in silenzio. La ragazza lo aveva imitato, seppur il suo livello di imbarazzo era andato aumentando man mano che l’assenza di parole aumentava. “Insomma?” aveva sbottato infine la ragazza “Si decide a parlare o no?” “Lo ha detto lei, signorina Granger,” le aveva risposto lui “è stata sua l’idea, quindi le faccia lei le domande”.
“Io dovrei fare le domande?” aveva chiesto lei incredula “Che vuol dire?” “Semplice,” aveva detto l’insegnante “sua l’idea, sue le grane”. La ragazza allora, per quel che il professor Piton riusciva adesso a ricordare, era rimasta zitta per qualche momento, guardando il suo insegnante con aria tesa e imbarazzata. “Ed io quindi che dovrei fare?” aveva chiesto poi “Semplice,” le aveva risposto il professore “le domande”. “E cosa dovrei chiederle?” aveva continuato lei irritata “Quello che vuole” le aveva detto lui.
Hermione lo aveva guardato con aria alquanto interrogativa soppesando la sua proposta. Probabilmente, aveva pensato la ragazza, il suo insegnante stava bluffando. Forse voleva metterla alla prova, sì, doveva proprio essere così. Lei gli avrebbe chiesto qualcosa, qualunque cosa le passasse per la mente, e lui avrebbe immediatamente commentato la sua domanda con qualcosa di sarcastico, stroncandola definitivamente, per poi cominciare uno stupido monologo su come la sua domanda fosse sbagliata e su come lei fosse una studentessa scadente eccetera eccetera, ed alla fine l’avrebbe congedata. Ci sarebbe solo mancato che non l’avesse ammessa alla classe segreta che lei stessa aveva ideato…
Comunque, pensò ancora la ragazza, qualunque cosa lei avesse detto, di sicuro lui avrebbe trovato da ridire, tanto valeva tacere.
Quel che la ragazza si chiedeva, comunque, era perché le avesse chiesto di porre lei le domande. Insomma, se tanto voleva umiliarla, non sarebbe stato più facile farlo ponendo lui le domande? E poi che si aspettava che gli chiedesse? Insomma, aveva già calcolato tutto? Si era già preparato un discorso brillante per fregarla? O magari avrebbe preso semplicemente spunto da qualunque parola lei avesse pronunciato per poi rigirarla a suo favore? “Nessuna delle due, signorina Granger,” le aveva risposto il suo insegnante in tono neutro “non mi sono preparato un discorso e non rivolterò ogni cosa dirà, e fregarla non è mia intenzione, anche se succederà, probabilmente”.
Merda, pensò Hermione “Ovviamente lei è un…?” “Un ottimo legilimens, signorina Granger, sì, lo sono, e non credo di aver bisogno di fornirle ulteriori spiegazioni dato che, nella sua mente, come ben vedo ora lei sta ripassando mentalmente vita, morte e miracoli della piucchè sublime arte del leggere nel pensiero. In caso le interessasse, comunque, non ho proposto di porre lei le domande per metterla in difficoltà, lo giuro. Questo vuol dire che può continuare pure, signorina Granger, io non ho davvero nulla contro di lei.” Già, come se fosse vero... pensò Hermione, oh merda, può sentirmi! “Già, signorina Granger, io posso sentirla” le rispose il professore “e francamente mi sarei immaginato un linguaggio un po’ meno scurrile da parte sua”. “Tecnicamente, professore” tentò di discolparsi la ragazza “non si tratta propriamente linguaggio se io non pronuncio parola, non trova?”. Il professor Piton trattenne un risata. “Ottima scusa” commentò poi “Grazie, professore” rispose la ragazza. “Perfetto,” commentò lui “riprendiamo allora da dove avevamo lasciato prima che lei ricominciasse a pensare. Come ho già detto, io non ho nulla contro di lei,” e si fermò un momento ad ascoltare i pensieri della Granger che apostrofava il tutto con una sorta di già, come no, “anche se lei, a quanto pare, pensa il contrario...” Merda! “Scusi!” balbettò la ragazza “non volevo dirlo ancora, cioè pensarlo ancora, cioè…” “Cosa le fa pensare che io abbia qualcosa contro di lei, signorina Granger?” “Sta scherzando?” aveva chiesto lui Hermione “No, affatto” le aveva risposto lui “mi chiedo davvero che cosa mai glielo abbia fatto pensare.” La ragazza si schiarì la voce. “Forse,” cominciò guardandolo negli occhi “forse sarà il fatto che lei mi ignori totalmente quando siamo in classe sebbene sappia benissimo come io sia l’unica a sapere le risposte, il modo duro e scontroso con cui mi si rivolge di solito, il suo togliermi punti anche quando dovrei essere premiata ed il fatto che lei si stia comportando come uno stronzo cercando di mettermi a disaggio anche durante questo colloquio, lei non trova?” “Non mi sembra questo il tono adatto per rivolgersi al suo insegnante, signorina Granger” l’aveva rimproverata lui, “Lo so, professore,” gli aveva risposto la ragazza “ma se pure non lo avessi detto lo avrei sicuramente pensato, e lei lo avrebbe sentito, quindi tanto valeva essere sincera”.
La giovane aveva pronunciato le ultime tredici parole con un tale ardore ed una tale velocità che finita la frase aveva dovuto fermarsi a riprendere fiato. Il suo professore la scrutava torvo dall’altro capo della scrivania. Torvo sì, ma anche alquanto divertito.
“Ottima risposta, signorina Granger…” aveva dichiarato infine. “Grazie, professore” aveva risposto lei. “Ma io non ho nulla contro di lei” aveva concluso il suo insegnante. “Francamente,” aveva risposto lui la ragazza “devo dire che mi è molto difficile crederle”. “Signorina Granger,” aveva cominciato a spiegarle il suo insegnante, piegando la faccia sui polsi a massaggiarsi le tempie “lei studia sempre per le lezioni di, chessò (?), Minerva McGranit, come studia sempre per le mie, giusto?” “Giusto” gli aveva risposto la ragazza” “E la professoressa McGranit la fa rispondere se lei alza la mano, giusto?” “Giusto” aveva ripetuto la ragazza” “E dopo un buon voto, perché dubito che lei abbia mai preso un voto inferiore all’Oltre Ogni Previsione, come si prepara per la lezione seguente” “Beh, di certo non riposo sugli allori, mi rimetto subito a studiare allo stesso modo, cerco di darmi da fare al fine di mantener linda e pinta la mia media” “Ottima organizzazione complimenti, ma ora risponda a qualche altra domanda, per favore. Allora, abbiamo detto che lei studia per le mie lezioni, e non le chiederò alcuna conferma, dato che ho la piena consapevolezza del fatto che lei sia indiscutibilmente la studentessa più brillante che io abbia mai avuto in una delle mie classi, ma ora mi dica, signorina Granger, quando noi siamo in classe, io faccio una domanda che lei sa e non la faccio rispondere, lei come si prepara per la lezione successiva?” “Beh,” rispose la ragazza “innanzi tutto mi arrabbio, faccio un monologo su quanto lei si odioso e poi mi rimetto a sgobbare sul libro di pozioni per farle il culo la prossima volta” “SIGNORINA GRANGER!” l’aveva rimproverata il professore “Scusi!” aveva esclamato lei (sì, come avrete ben capito quello era stato un colloquio alquanto divertente) “Comunque,” aveva ripreso in tono alquanto severo il professor Severus Piton “ritornando a noi, lei ha detto cerca di fare meglio ancora dopo essere stata ignorata durante le mie lezioni, giusto?” “Esatto” aveva risposto la ragazza “Perfetto. Come può vedere, signorina Granger, il mio ignorarla, come dice lei, non è altro che un modo per farla migliorare con il tempo, perché a me non basta che il suo studio sia costante, io voglio che vada aumentando. Se le dicessi ad ogni lezione Oh che brava, signorina Granger, è proprio un genio lei! probabilmente finirebbe per montarsi e basta. Se la professoressa McGranit le avesse chiesto se lei sapesse o no cosa fosse un legilimens, lei probabilmente avrebbe risposto di sì e basta, ma quando ho parlato io, beh, non ho fatto neppure in tempo a formulare la domanda che lei stava già completando un trattato! E poi a che mi serve farle rispondere? Io so già che lei sa le risposte! Cosa dovrei fare? Fingermi curioso di vedere se lei ha studiato o no e chiederle una cosa qualunque solo per soddisfare il suo ego? Non so se se ne è mai accorta, signorina Granger, ma non sono il tipo. Ed in più non interrogando lei mi riservo la possibilità di chiedere a qualcun altro di cui metto davvero in dubbio lo studio, come di quegli scellerati dei suoi due compagni, ad esempio. E non credo proprio di penalizzarla a voti, ha sempre avuto tutti Eccellente con me, e, quanto ai punti, Albus trova sempre il modo di restituirle tutti quelli che io le tolgo, quindi non mi sembra che sia un problema così tanto grave, lei non crede?” “Io…” balbettò stupita la studentessa Hermione Granger “Io non l’avevo mai vista sotto questo aspetto, professore” “Hum… strano” commentò il suo insegnante “mi sarei aspettato diversamente dalla studentessa più brillante della sua generazione. Ora può firmare qui” disse porgendole la pergamena “ed andarsene”. “Andarmene??” chiese lui la ragazza “Esatto,” le rispose lui “il suo colloquio è finito, signorina Granger, e lei lo ha superato brillantemente, può andare.” “Ma lei…” obiettò la ragazza “lei non mi ha fatto alcuna domanda”. “Non ce n’era bisogno” le aveva risposto il suo insegnante “suppongo che lei fosse preparata per questo colloquio almeno quanto lo era per la lezione di pozioni di questa mattina. Dico davvero, può andare.”
La ragazza aveva firmato allora la pergamena del suo insegnante, con un nuovo sorriso in faccia. Il suo insegnante sosteneva fosse soddisfazione. Fatto ciò si era cortesemente alzata, dopo averlo salutato, e si era diretta alla porta.
“Signorina Granger!” l’aveva richiamata lui prima che la ragazza varcasse l’uscio. “Sì, professore?” aveva chiesto lei voltandosi in direzione del suo insegnante “Avrei un’ultima domanda da farle, se non le dispiace” aveva detto lei Severus Piton “Certo,” aveva risposto lei “chieda pure”. “Beh, è stata lei ad avere l’idea di contattarmi, giusto?” le aveva domandato lui “Esatto” si era limitata a rispondere la ragazza “Quel che mi chiedo” aveva continuato lui “è come lei sia venuta l’idea di rivolgersi proprio a me”. “Beh, tutti sappiamo che lei è un grande insegnante,” aveva risposto lui la ragazza “ed è un valido membro dell’ordine, oltre che uno dei più fidati collaboratori di Albus Silente. Ed è un grande mago, chi meglio di lei avrebbe potuto…” “Gran bella sviolinata, signorina Granger,” l’aveva interrotta il professore “ora potrebbe dirmi qual è stato il vero motivo della sua scelta?” la ragazza arrossì terribilmente “Scusi, professore” aveva detto Hermione alquanto imbarazzata “Fa nulla” le aveva risposto lui “ora risponda semplicemente alla domanda, altrimenti dovrò leggerglielo nel pensiero!” la studentessa aveva sorriso “Ok, perfetto” aveva detto “beh è una situazione disperata, insomma, il signore Oscuro è alle porte e quel rospo rugoso della Umbridge in classe non ci permette neppure di sfoderare le bacchette, insomma, lei non ci sta proprio simpatico, cioè, in realtà la odiamo quasi, ma almeno può insegnarci qualcosa, è contrario alla Umbridge, è buono ed è l’unico a cui potevamo rivolgerci, è per questo che mi è venuta l’idea”.
Il professore aveva taciuto un momento guardando la sua allieva, al che aveva sorriso.
“Il nemico del mio nemico è mio amico,” aveva vociferato Severus Piton “ottima risposta, signorina Granger, ora può andare, ci rivediamo a lezione”.
E poi le cose erano andate esattamente come vi aspettate, cioè con Hermione Granger che se ne va dalla stanza e la porta che si richiude, tutto qui. Ed ora, Granger a parte, Severus Piton doveva indiscutibilmente continuare a fare l’appello.
- Zacharias Smith? – aveva chiamato ad alta voce il professore.
- Presente – aveva risposto il ragazzo, e, povero reduce dall’interminabile ricordo della Granger, il professore si rese subito conto che, per sua sfortuna, avrebbe dovuto soffermarsi anche su di lui. Non era stato un gran colloquio, in realtà, il ragazzo non gli era piaciuto poi molto. Altezzoso, spavaldo, arrogante, Zacharias Smith si era presentato al colloquio spaccando il secondo. Stando ai suoi calcoli, aveva pensato Severus Piton vedendolo arrivare con le mani in mano, il ragazzo doveva esser appena uscito dall’aula di Incantesimi, ed allora dove erano finiti i suoi libri? Forse, aveva continuato a pensare il professore, forse il ragazzo aveva chiesto a qualcuno di portarli in dormitorio al posto suo, o magari era sgattaiolato fuori dall’aula prima della fine della lezione per andarli a posare, queste gli sembravano le uniche due opzioni possibili, e, a dire il vero, non gli piaceva nessuna delle due. Non gli sarebbe dispiaciuto affatto, in vero, se il suo studente si fosse recato al colloquio con i libri in mano, diversi studenti lo avevano fatto, ed era stato un qualcosa che, senza darlo a vedere, il professore aveva apprezzato notevolmente. Quindi, come ho già detto, l’assenza di libri di testo del ragazzo, non aveva giocato fin dal principio a suo favore. Altra nota negativa, i suoi vestiti. Nemmeno una piega, nemmeno una grinza, la sua uniforme pareva esser appena uscita da una diamine di tintoria, era inaccettabile! Insomma, quello era un ragazzo che doveva esser stato a lezione fino al minuto precedente, dove cavolo aveva trovato il tempo di stirarsi l’uniforme?
Probabilmente un colpo di bacchetta, ma non era quello il punto. Come ho già detto, altri studenti si erano presentati vestiti in modo appropriato al suo colloquio, dovrei già aver citato Angelina Jonson, se ben mi pare, ma non in quel modo impeccabile. E così, i suoi vestiti erano finiti per diventare la seconda nota negativa.
Forse questa cosa dovrei spiegarvela meglio. Il problema non erano i libri o i vestiti in se e per se, infatti, il problema è che quella figura gli era sembrata alquanto costruita. Insomma, sei uno Tassorosso del sesto anno che è appena uscito da una lezione, presentati come tale punto e basta, non è credibile che la tua uniforme sia perfetta ed i tuoi libri di testo assenti, sembra solo ciò che è evidente, ossia che tu abbia appena finito di costruire un personaggio per far bella figura, e questo era pessimo.
Quindi, come ho già detto, il colloquio non era iniziato per il meglio. Anche l’atteggiamento montato e borioso del ragazzo poi non è che avesse giocato troppo a suo favore, ma non mi va di soffermarmi anche su questo, quindi, andiamo avanti.
“E lei è qui perché…” aveva domandato lui Severus Piton senza alzare gli occhi dal suo foglio di pergamena non appena il ragazzo era entrato nel suo ufficio.
Ora il professore non ricordava perfettamente cosa il ragazzo gli avesse risposto, ma era comunque certo che quel qualcosa riguardasse il fatto di non avere un insegnante ma un profondo bisogno di trovarne uno. Quella, aveva pensato il suo insegnante, era una cosa che aveva già sentito dire, e l’aveva sentita dire da molti, molti studenti prima di lui. Certo, il che era comprensibile dato che era quella la ragione per cui erano lì, e perciò era meglio non dargli un’altra nota negativa anche per quello.
Quello che aveva giocato a favore del ragazzo, per inciso, era stato il fatto che il alunno fosse molto sicuro di se, e questo, Severus Piton lo sapeva bene, era molto utile in battaglia. Ed inoltre, e questa era stata una mossa alquanto strategica, essendo lui il primo studente Tassorosso che si fosse presentato al provino, oltre che un giocatore di quidditch ed un elemento abbastanza conosciuto nella sua casata, il professore aveva ritenuto che prenderlo avrebbe significato un incremento dei Tassorosso alle proprie lezioni, e questo sarebbe stato senza dubbio un bene. In caso lo studente non si fosse considerato promettente, comunque, avrebbe sempre potuto riservarsi la possibilità di estraniarlo dalla proprie lezioni nel momento in cui lo avrebbe ritenuto più opportuno.
E così anche il giovane Zach era stato preso, e Severus Piton, dopo avergli dedicato questo breve pensiero, poté tornare nuovamente a dedicarsi al suo appello.
- Alicia Spinnet? – chiamò il professore.
- Presente – sentenziò la ragazza alzando la mano.
- Terry Steevel? - chiese ancora.
- Presente - rispose il ragazzo.
- Dean Thomas?
- Presente, professore.
Presente, professore. Presente, professore. Presente, professore. Presente, professore. Dean thomas aveva appena detto “Presente, professore”, e così facendo aveva appena mantenuto la sua promessa. Ma a voi questo adesso non può che non essere chiaro, e temo che perché voi possiate comprendere sia necessario che Severus si concentri un secondo anche su di lui.
Il ragazzo si era presentato nel suo ufficio circa un minuto prima dell’orario stabilito per il colloquio, con l’aria trafelata per chi doveva aver corso lungo tutti i corridoi per arrivare in tempo. Questo era un che di abbastanza buono. Non il fatto che il ragazzo fosse puntuale in sé e per sé quanto il fatto che si fosse sforzato per esserlo. Questo era, indubbiamente, un punto a suo favore. Se la sua classe fosse stata lì affianco, o il ragazzo avesse avuto, chessò (?) un’ora libera prima di quell’audizione, e si fosse presentato anche con ben cinque minuti di anticipo la cosa non avrebbe smosso o colpito il suo professore più di tanto. Ma il fatto che il ragazzo si fosse scapicollato per i corridoi pur di raggiungere l’aula in orario… quella era un’altra storia!
Comunque, il ragazzo aveva preso fiato per un momento, aveva mandato giù un po’ di saliva, e poi aveva lanciato un occhio sull’orologio a muro, che lo aveva dolcemente rassicurato comunicandogli che era riuscito, sorprendentemente, a non arrivare in ritardo.
Aveva aspettato sull’uscio della porta che il professore lo invitasse ad entrare, cosa che era avvenuta seduta stante.
E così, il ragazzo era entrato in aula, ed il suo colloquio era cominciato.
L’inizio era stato un qualcosa che dopo ben sei colloqui voi dovreste benissimo riuscire ad immaginare, qualcosa del tipo quali sono le ragioni che l’anno portata qui, signor Thomas?, ma ciò che era stato particolarmente sorprendente era stata la risposta del ragazzo. Non era stata il solito laUmbridgenonmiinsegnaediovoglioimpararemiaiutiprofessore, o almeno, seppure lo era stato, il ragazzo aveva avuto il buon gusto di presentarlo in maniera differente. “I miei sono babbani” aveva cominciato Dean “e loro, beh, loro non sanno praticamente nulla del mondo magico, eccezion fatta per quello che racconto io e, ultimamente, i miei racconti con diventati sempre più radi, e per di più bugie. Ce ne è una che uso molto di frequente, di bugia, ed è quando dico che sia tutto ok, quando mi chiedono come vadano le cose nel mondo magico. Ho detto loro che non c’è alcun pericolo qui, che è tutto a posto, ma non sono anch’io così stupido da credere alle mie stesse bugie. Non mi piace mentirgli, professore, e so anche che è una cosa sbagliata, ma sa, mi gioco Hogwarts se gli dico che il più potente mago oscuro di tutti i tempi è tornato in vita l’anno scorso, capisce?” “Vada avanti, signor Thomas,” gli aveva risposto il professore, alquanto incuriosito dalla presentazione del ragazzo “A parte questa, c’è un’altra cosa che dico spesso ai miei genitori, ossia quando loro mi chiedono se io sia in pericolo o no, rispondo sempre che non lo sono. Vorrei davvero che non diventasse una bugia anche quella, professore. E poi… Beh, io non posso imparare da nessuno, professore, da nessun altri che da lei. Per noi figli di babbani è tutto più difficile…” e qui, pensò Severus Piton, se la memoria non lo ingannava, Hermione Granger aveva sorriso al suo compagno “Insomma, ho sempre pensato che se i miei fossero stati dei maghi mi avrebbero potuto aiutare quando avessi avuto bisogno, ed ora è il momento in cui avrei più bisogno in assoluto. Suppongo che se lei non avesse accettato di aiutare Ron lui avrebbe potuto chiedere aiuto ad Arthur, a Molly, ai suoi milioni di fratelli, e potrebbero aiutarlo loro, insomma, insegnargli qualcosa, ma i miei… I miei genitori non potrebbero aiutarmi, seppure sapessero la verità, seppur volessero, io ho solo e soltanto la scuola. E se anche questa, nella persona della Umbridge, si rifiuta di aiutarmi allora…” “Non ha bisogno degli insegnamenti della Umbridge, signor Thomas, ci penserò io alla sua istruzione d’ora in poi. Ora firmi pure e se ne vada, i suoi compagni faranno in modo di comunicarle al più presto orario e giorno della prima lezione, veda bene di non mancare” “Subito, professore,” aveva esclamato il ragazzo entusiasta e, senza fare, come molti prima di lui, estenuanti ragazze su come e perché il suo insegnante non andasse avanti con le domande, si era sbrigato a scrivere nome e cognome sul foglio di carta, prima di restituirlo al suo professore “sarò presente” aveva aggiunto poi “non mancherò per nessuna ragione al mondo”.
E detto ciò era uscito dall’aula.
Ok, è vero, era stato un colloquio alquanto breve, ma anche molto, molto intenso. E, ciò detto, bisognava andare avanti con l’appello.
- Fred Weasley? – chiamò Severus
- Presente – rispose George mandando al fratello un’occhiata divertita e loquace.
- Fred Weasley? – ripeté il professore
- Sono qui – ripeté George.
- FRED WEASLEY? – chiese ancora Piton, ignorando le risposte di George.
- Presente, professore – fu la risposta di Fred, ed il professore, soddisfatto della risposta ottenuta, andò avanti con l’appello. Fred e George si lanciarono un’occhiata come a non capire come il professore li avesse smascherati.
- George weasley?
- Presente – dichiarò George alzando lievemente la mano.
- Oh, sono lieto che lei si ricordi come si chiama, signor Weasley, - si complimentò sarcastico il professor Piton - notevole, dico davvero. Ora vorrei che sappiate bene entrambi, voi due, – continuò il professore assumendo un tono più rigido e severo – che in quest’aula qui, a parte me, tutti sono utili e nessuno indispensabile, quindi se non avete voglia di prendere la cosa seriamente quella è la porta, mi sono spiegato?
I due ragazzi si erano guardati fra di loro, poi avevano guardato a terra ed infine avevano rivolto il loro sguardo all’insegnante, con fare alquanto scocciato. Severus Piton aveva appena volutamente sfiorato uno dei punti cardine del loro colloquio. Meglio farci un pensierino su…
“La domanda non è cosa lei possa fare per noi” aveva risposto lui George alla solita domanda del che cosa vi porta qui, “Ma quello che noi possiamo fare per lei” aveva concluso Fred. Ron aveva cercato di sprofondare nella sedia, Harry aveva nascosto il viso fra le mani, Hermione aveva fatto loro cenno di tacere agitando convulsamente le mani. Nulla da fare. I gemelli Weasley avevano continuato. “Saremo più chiari” aveva ripreso George “Noi siamo più che convinti” aveva continuato Fred “Che la nostra partecipazione le sia” aveva fatto George “Più che indispensabile” aveva concluso Fred. Severus Piton aveva alzato solo allora gli occhi dalla pergamena. “E che cosa mai ve lo farebbe pensare?” aveva chiesto loro facendo vagare lo sguardo dall’uno all’altro per una decina di secondi. Prima che i ragazzi cominciassero a rispondere, aveva abbassato nuovamente lo sguardo. Era stato Fred a cominciare, e poi avevano ripreso ad alternarsi “Beh, professore, è bene che lei sappia che” “Qui dentro” “Io e mio fratello siamo i più esperti di” “Passaggi segreti” “Diversivi” “E altri trucchi per non essere scoperti.” “Come ho già detto, professore,” “Se vuol davvero fare questa cosa” “Lei ha un piucchè dannato bisogno di noi.”
Al che avevano taciuto, ed Hermione, Ron ed Harry avevano ringraziato il cielo che lo avessero fatto. Certo, i gemelli Weasley con le loro parole avevano già segnato l’irreparabile, ma era comunque meglio che si fossero fermati invece di continuare a parlare. Il professor Piton aveva nuovamente alzato gli occhi a guardarli. “Tutto qui?” aveva chiesto poi “Non mi spiegate come e perché voi due dovreste tornarmi così utili? Parlate, avanti.”
Era una domanda a trabocchetto. Era più che chiaro che quella fosse una domanda a trabocchetto. Vi prego, pensava Hermione, non abboccate!
“Conosciamo a memoria tutti i passaggi segreti presenti nella scuola” aveva risposto lui Fred, prima che i due cominciassero a rialternarsi “Quindi possiamo far raggiungere ai nostri compagni il terzo piano velocemente” “E senza che Gazza se ne accorga” “E conosciamo abbastanza trucchi per distrarlo” “In caso si metta a perlustrare la zona” “Ed inoltre” “Possiamo fornire a tutti delle scuse piucchè brillanti” “Semmai la Umbridge si accorgesse di qualche assenza” “Siamo brillanti” “Geniali” “E siamo al suo servizio, professore”.
Perfetto, avevano abboccato! Il professor Piton li avrebbe distrutti.
“Allora?” aveva chiesto infine George “Quando cominciamo?”.
Forse fu un riflesso un tantino eccessivo, eppure la mano di Hermione schizzò prudentemente sulla bacchetta del professor Piton comodamente appoggiata sul tavolo di fronte a lui per portarla dalla propria parte, non appena i gemelli finirono di parlare. Se solo ce l’avesse avuta a portata di mano, aveva pensato la giovane strega, probabilmente li avrebbe inceneriti in un solo istante. Non avvenne nulla di tutto questo. Il professor Piton si limitò ad alzare nuovamente gli occhi sui due ragazzi.
“E quindi voi due sareste indispensabili alla riuscita della mia classe, giusto?” si limitò a chiedere loro il professore. “Esatto” risposero in coro i gemelli. “E quindi, a meno che io non abbia capito sareste gentilmente disposti ad offrirmi il vostro piucchè prezioso aiuto, giusto?” “Esattamente” avevano risposto nuovamente insieme i due. “Ma che gentili che siete, signori Weasley,” aveva risposto loro il professore “capitate proprio a fagiuolo voi due, ed io che ero così preoccupato di non farcela. Insomma, cosa sono i miei incantesimi protettivi, la mia esperienza di circa due anni come mangiamorte, e quelli come ufficiale membro dell’Ordine, contro i vostri giocattoli in stile Zonko? Non c’è che dire vi sono davvero, davvero grato.”
Solo in quel momento, Fred e George Weasley si erano resi conto che forse il professore non aveva gradito la loro introduzione nel modo in cui s’erano aspettati. Al che si erano squadrati l’un l’altro, e poi avevano abbassato la testa.
“Forse voi due signori non avete ancora capito bene di che cosa stiamo parlando.” aveva ripreso il professore, parlando seriamente stavolta “Non si tratta di un gioco, o una sorta di elettrizzante gara ad infrangere le regole, sebbene io mi rendo conto che vincereste di sicuro in caso si trattasse di questo, ma questa è una cosa seria.” Aveva taciuto per qualche istante, trapassando da parte a parte i due scolari, poi aveva ripreso “Quindi, ricominciamo. Salve, signori Weasley, sono lieto di vedervi, per quale ragione siete qui?”
I due ragazzi si erano rivolti l’uno all’altro. Avevano aspettato qualche istante, poi avevano cominciato a parlare. Anche stavolta erano andati ad alternarsi.
“Noi abbiamo diciassette anni” aveva cominciato Fred, in tono più serio stavolta “So bene quanti anni avete, signor Weasley, vada avanti” lo aveva interrotto Piton. “Quel che intendevo dire” aveva ripreso il ragazzo “E’ che saremo quasi sicuramente due degli studenti più grandi che si ritroverà nella sua classe” aveva continuato George “semmai avrà intenzione di prenderci”. “Non siamo male” aveva ripreso Fred “abbiamo la media dell’Oltre Ogni Previsione meno meno in difesa contro le arti Oscure” “O almeno ce l’avevamo l’anno scorso” “Prima che arrivasse la Umbridge, con lei le nostre medie si è abbassata drasticamente” “Ma questo è dovuto più al fatto che per lei non ci va di studiare che ad altro”. “Siamo anche membri dell’Ordine della Fenice” aveva detto George “lo siamo diventati quest’anno” “Nostra madre non voleva in principio” aveva aggiunto Fred “ma l’abbiamo assillata così tanto…” “Insomma,” aveva ripreso George “comunque alla fine l’abbiamo convinta.” “Ed è proprio questo il problema” aveva sentenziato Fred “Insomma,” aveva continuato George “il pensiero di partecipare a qualcosa di così importante, di così sovversivo, era un forza! E noi beh… noi non avevamo ben…” “Non avevamo ben calcolato rischi e pericoli, ecco”. “Abbiamo avuto l’occasione di rendercene conto solo ad ammissione avvenuta, e ci sembrava brutto dire che noi, che noi ci tiravamo fuori, ecco” “E come se tutto ciò non bastasse, ora, grazie alla Umbridge, oltre a essere nei guai, siamo nei guai e impreparati”. “Per questo ci serve il suo aiuto, professore, perché probabilmente siamo stati degli incoscienti, ci siamo cacciati in qualcosa di troppo grande per noi, e non possiamo uscirne” “E neanche vogliamo uscirne, perché, insomma, sappiamo che è una cosa giusta e importante, ma vorremo essere pronti almeno quanto basta per, ecco, come dire (?)” “Non morire, se mai dovremo trovarci a combattere”. “E questo è tutto”.
Al che i gemelli Weasley erano tornati a guardarsi l’un l’altro in silenzio.
“Davvero mooolto interessante” aveva commentato il professore “incredibile quante strane informazioni si possono captare quando le persone la smettono si decidono a rispondere alle domande…” Fred e George in quel momento presentavano un’espressione alquanto scoraggiata “Ok,” aveva continuato il professore, tornando a rilassarsi un po’ “ed ora torniamo ai vostri trucchi, come pensate di metterli in atto in modano che possano tornare utili a me e alla classe?”
I ragazzi erano tornati raggianti in un battibaleno.
“Innanzi tutto” aveva ripreso serio il professore “ci terrei a precisare che non si tratta i una gentile concessione, ma di un dovere verso il vostro insegnante e la vostra classe, e che non ammetterò errori, perché tutti sono utili qui, e nessuno indispensabile, a parte me, quindi toglietevi all’istante quel sorriso compiaciuto dalla faccia.”
E poi, beh, ora non ricordava con precisione, ma probabilmente doveva aver fatto loro qualche altra domanda, prima di congedarli. Ovviamente, erano stati ammessi.
- Ci scusi, professore, – sentenziò George – non succederà più.
- Stento a crederci, signor Weasley – rispose lui Severus.
- In questo caso – commentò Fred sorridendo – diciamo solo che faremo tutto il possibile per farlo accadere il meno possibile.
- Andiamo avanti – si limitò a dire il professore. – Ginevra Weasley?
La ragazza era lì, poco davanti ai suo fratello Ron, ed aveva mantenuto un comportamento a modo fino al momento prima. Dopo la ramanzina a Fred e George la ragazza sapeva bene che quello sarebbe stato il suo turno. Avrebbe dovuto semplicemente dire presente, alzando un minimo la mano, se avesse voluto, non era mica una cosa difficile, ed invece…
Ed invece era scoppiata a ridere. Non una risata accennata o un riso isterico, una risata vera, come se qualcuno, tipo Fred e George (sì, sarebbe stata una cosa da loro), le avesse sussurrato nell’orecchio una delle migliori battute nella storia dell’universo conosciuto e sconosciuto. La ragazza non era riuscita a fermarsi né a controllarsi. Tenendosi le mani prima sulla bocca, e poi sulla pancia, mormorando una sorta di impercettibile scusi, professore, si era piegata in due dalle risate, senza riuscire a ricomporsi. Il punto però, è che Fred e George non le avevano sussurrato proprio nulla. Nessuno, a dire il vero, le aveva sussurrato nulla. E nessuno aveva neppure fatto qualcosa di incredibilmente divertente con o senza rendersene conto. Nessuno aveva fatto nulla di nulla. Eppure…
Quel Ginevra Weasley
Insomma, nessuno la chiamava Ginevra da quando… no, aspetta un momento, nessuno l’aveva mai chiamata Ginevra in vita sua! Insomma, giusto sua madre usava il suo nome completo, e solo quando si trattava di rimproverarla, oltre tutto. Ginevra Molly Weasley, soleva dire sua madre durante le sue teatrali ramanzine, ritrasforma immediatamente la cuffia da notte di tua zia Muriel! Si arrabbierà moltissimo quando si accorgerà che l’hai trasfigurata in un topo! E sei in punizione, signorinella, oh sì, sì che lo sei. Ora, a parte il fatto che la cuffia della zia Muriel non era mai tornata ad essere tale perché il topo era scappato via dalla Tana quella stessa notte, e che era stata trasformata in un roditore per un motivo più che nobile (ossia perché Fred e George avevano avuto il coraggio di dire che lei, dall’altro dei suoi soli tredici anni appena compiuti non fosse abbastanza brava da trasfigurare la cuffia della zia in una ranocchia, e lei doveva dimostrare loro che questo non era assolutamente vero. Certo, forse si era un po’ confusa con gli animali ma non era questo il punto), a parte questo, come stavo dicendo, nessuno l’aveva mai chiamata Ginevra, tanto meno il suo professore. Ah, sì lo aveva fatto la stessa Muriel, quando la ragazza aveva poco più di tre anni, e lei per tutta risposta le aveva vomitato sulle scarpe, ecco tutto.
E poi Ginevra era un nome strano. Insomma, suonava vecchio. E poi aveva un suono strano, aspro, le ricordava una prugna.
Certo, la ragazzo non s’era certo aspettata che il suo professore la chiamasse Ginny, sarebbe stato alquanto strano anche quello, è solo che era sempre stata abituata a sentirsi chiamare signorina Weasley da lui, ed ora non riusciva più a ricomporsi.
A proposito, il suo professore ora le stava dicendo qualcosa. Non che la ragazza riuscisse ad afferrare a pieno il significato delle parole di lui, era troppo impegnata a ridere per starlo a sentire, ma era quasi si sicura che le stesse dicendo qualcosa sul fatto che avrebbe dovuto calmarsi. Come se fosse stato facile!
Intanto, gli altri studenti si guardavano imbarazzati fra di loro. Nessuno avrebbe saputo dire quale fosse il motivo di cotanta ilarità da parte della ragazza.
Quando finalmente la rossa era riuscita a ricomporsi (ossia quasi dieci minuti dopo quel fatale Ginevra), il suo professore la stava squadrando con aria alquanto accigliata, e gli sguardi di tutti all’interno della stanza erano rivolti a lei, ed inoltre tutti la guardavano come se fosse un’aliena. Era stata una cosa alquanto inbarazzante, a dire il vero.
- Si sente bene, signorina Weasley? – ebbe la premura di chiederle il suo professore, e la rossa in cuor suo ringraziò il cielo che lui non l’avesse chiamata di nuovo Ginevra, perché probabilmente se lo avesse fatto lei sarebbe scoppiata a ridere ancora una volta.
Questa domanda non era suonata nuova in quell’istante alle orecchie della ragazza, né tanto meno a quelle del suo professore.
Per chiarire questo punto, sarebbe meglio fare un piccolo, piccolissimo salto nel tempo, e ritornare al giorno del suo colloquio.
Per inciso, gli astri dovevano essersi combinati in qualche modo fino a formare una schiera completamente ostile al segno del Leone, quel giorno, perché le situazioni che le si erano presentate sarebbero state inspiegabili se fosse stato altrimenti.
Ma anche per capire questo avrete bisogno di ulteriori premesse.
Innanzi tutto c’è da dire che Ginny stava già uscendo con Micheal quando si era presentata al colloquio (e questo, tra l’altro, spiegava la presenza del ragazzo nell’aula), e questo, teoricamente, avrebbe dovuto significare che la sua storica cotta per il salvatore del mondo magico fosse finita. O almeno questo è quello di cui la rossa tentava di convincersi…
Quando Hermione, a cui la ragazza aveva finito per affezionarsi moltissimo nel corso dell’anno, aveva cercato di rassicurarla su come sicuramente il suo colloquio sarebbe andato alla grande, si era anche lasciata sfuggire che lei, Ron ed Harry sarebbero stati lì per lei. Stranamente, aveva pensato la stessa Ginny, la apprendimento della presenza di Harry non l’aveva toccata minimamente. Quindi, il giorno dopo, all’ora stabilita si era recata calma e rilassata nell’ufficio del suo insegnante, ed aveva aspettato di esservi introdotta sulla soglia della porta.
Fatto strano, seduti accanto a Severus Piton v’erano soltanto Ron ed Hermione, nessuna presenza di Harry Potter. Tanto meglio, aveva pensato la ragazza e, una volta ricevuto il segnale del suo insegnante, era entrata nell’aula avvicinandosi alla cattedra.
Ora, quel che voi non sapete, e che nemmeno la povera Ginny sapeva, ahimè, è che Harry Potter, per onor del vero era presente in aula, comodamente seduto al suo posto, alla destra di Ronald.
Allora, dovete sapere che i tre ragazzi erano arrivati in aula con ben tre minuti di anticipo, e per, ingannare il tempo, mentre Hermione rimaneva compostamente seduta al suo posto, Harry e Ron si erano messi a fare gli scemi giocando ad afferrare tutto ciò che avessero a portata di mano sulla scrivania di Piton. Il suddetto intanto aveva finto di non accorgersi di nulla per sedare un poco le sue manie omicide. Comunque, afferra una piuma, sposta una targa, Harry si era ritrovato a far cadere a terra un fermacarte d’acciaio a forma di ramo d’ortica. Lui e Ron erano sbiancati, ed avevano ritenuto entrambi, per non far adirare ulteriormente il tutto, di optare per un innocuo far finta di nulla.
“Lo raccolga immediatamente, signor Potter” aveva commentato Piton, e quella era stata, per inciso, la prima cosa che il professore aveva detto da quando erano arrivati.
Punto primo, i ragazzi erano balzati su se stessi, punto secondo, Harry Potter aveva chiesto scusa e poi si era chinato a raccoglierlo.
E quindi, come potete benissimo immaginare, era proprio in quel frangente, ossia con Harry piegato in terra a cercare il fermacarte, che Ginny era arrivata.
Ed ora possiamo continuare.
Insomma, ricevuto il segnale del suo insegnante, la rossa si era avvicinata alla cattedra, e, dopo aver cortesemente salutato il professore, stava per sedersi comodamente sulla sua sedia quando… Harry era improvvisamente riemerso da sotto la scrivania con uno strano coso d’acciaio in mano. Al che la ragazza aveva perso l’equilibrio e si era ritrovata a terra prima di avere il tempo per dire aiuto.
Fortunatamente, Hermione l’aveva raggiunta in un attimo e l’aveva aiutata a rialzarsi, prima di guardarla con un’espressione che stava a dire non preoccuparti, non fa nulla, questo non andrà assolutamente a pesare sul giudizio di Piton, te lo assicuro. Non ostante comunque l’occhiata rassicurante dell’amica, la ragazza era stata presa mediamente dal panico, cosa che aveva fatto di tutto per mascherare nel momento in cui finalmente era riuscita a sedersi.
“Si sente bene, signorina Weasley?” si era preoccupato di chiederle il suo insegnante “Benissimo, professore” gli aveva risposto la ragazza, e poi il colloquio era cominciato.
“A meno che il suo scopo non fosse proprio quello di testare quanto ci si possa far male riuscendo a non centrare la sedia,” aveva cominciato il professore “per quale motivo si sarebbe presentata qui quest’oggi?”
Sorvolando sul discutibile senso dell’umorismo del suo insegnante, Ginny Weasley aveva pensato un momento a come articolare una risposta che limitasse le domande seguenti, in modo da poter lasciare l’aula il prima possibile.
“Il motivo per cui sono qui, professore,” aveva risposto dopo averci, come ho già detto, riflettuto un po’ “perché voglio dare una mano, se come credo è vero che il Signore Oscuro è tornato, quindi mi serve che qualcuno mi insegni come fare. Sono in gamba, e poi imparo in fretta, avevo quasi tutti Eccezionale in Difesa Contro le Arti Oscure prima che arrivasse la Umbridge.” “Lei è a conoscenza del fatto che non sarà una passeggiata, vero signorina Weasley?” aveva chiesto lei Piton “Hum, professore,” aveva risposto lei “io vivo con ben sei fratelli maggiori maschi in una casa con solo due bagni, quindi, per favore, non mi parli di che cosa è o non è una passeggiata”. Il professore pensò che, se quella battuta la ragazza l’avrebbe fatta in un altro contesto, e cioè non al suo importantissimo colloquio, probabilmente avrebbe riso, ma, viste le circostanze, optò per un neutrale silenzio strategico, era sempre il professore lui! “E si tratta anche di correre diversi rischi, né è a conoscenza, signorina Weasley?” “L’anno scorso con la mia famiglia siamo andati a trovare Charlie in Romania per una settimana, e appena siamo arrivati lui si è offerto, fra le altre cose si far fare ai miei fratelli un giretto su un drago. Io mi sono dimostrata offesa del fatto che non lo proponesse pure a me, e, per principio, non per altro, ho fatto le storie fino a quando non mi ha concesso di fare un giro. Il drago era enorme, probabilmente l’animale più grosso che io avessi mai visto in vita mia. Ciò non ostante ho finto di non aver paura, se mi sono fatta issare sopra da Charlie e, anche se tutti mi dicevano che potevo benissimo scendere, ed io avessi una paura poco più che folle, ho finto che andasse tutto bene, e mi sono fatta il mio giretto. Allora, a parte il fatto che appena scesa ho vomitato, direi che a coraggio non sto messa poi così male, non le pare, professore?”.
Anche a questo, Severus pensò che avrebbe voluto ridere, ma preferì comunque mantenere un certo contegno.
“C’è altro?” aveva chiesto lui Ginny, vedendo che il professore non proferiva parola da quasi trenta secondi, e desiderosa come mai di lasciare quel maledetto studio.
“Ha forse fretta, signorina Weasley?” l’aveva apostrofata lui “Io… io…” aveva risposto lei “io suppongo di no.” “Perfetto,” aveva commentato il suo insegnante “allora si rilassi e veda di non metterne a me”. La ragazza si era morsa le labbra, scordandosi di chiedere scusa, e, se non fosse stato per la tazza di valeriana che Luna l’aveva pressoché costretta a bere prima di recarsi al colloquio, probabilmente avrebbe collassato.
“Allora, mi faccia pensare bene…” aveva detto Severus “che cosa potrei chiederle… che cosa potrei chiederle… che cosa potrei chiederle…?”
Qualunque cosa, pensava Ginny, mi chieda pure qualsiasi cosa, ma si sbrighi, per favore, perché io vorrei solo scappare di qui il più in fretta possibile!
“Ah, ecco, già. Come lei può benissimo immaginare, signorina Weasley, ovviamente tutto questo dovrà rimanere segreto, e lei, tanto per copiare una sua espressione, lei come se la cava a segreti?” “Come ho già detto,” si era sbrigata a rispondere Ginny “vivo con sei fratelli maggiori maschi, due dei quali, e le lascio immaginare chi, quando avevo undici anni hanno trovato il mio diario segreto e lo hanno trovato il mio diario segreto nella mia stanza ed hanno ritenuto opportuno renderlo pubblico a tutta la scuola, e diciamo che, beh, da allora ho smesso di tenere un diario, e di parlare dei cavoli miei in casa mia, e, beh, dato che i miei fratelli non sbandierano più vele al vento chi mi piace e chi no in mondo visione, beh, vuol dire che, probabilmente, sono diventata piuttosto brava.”
Una cosa che aveva sorpreso molto il professore, sia in questa che nelle precedenti risposte della ragazza, ossia la straripante sincerità con cui la rossa aveva parlato. Niente discorsi preparati, niente giri di parole, niente di niente, la ragazza aveva semplicemente risposto di pancia e questo, per inciso, era notevole.
“E in quanto a lealtà?” le aveva chiesto ancora Severus “Oh beh, sono leale” aveva risposto lui Ginny “di solito non tradisco, insomma, per fare un altro stupido esempio ho un ragazzo e io non potrei mai, mai” ed il suo sguardo incrociò quello di Harry. Cavolo Harry, la sua cotta di sempre dietro quella diamine di scrivania proprio ora che credeva di aver voltato pagina, che incubo! Ma se era vero che aveva voltato pagina allora perché diamine le tremavano le gambe al sol vederlo? Perché diamine aveva perso l’equilibrio vedendolo spuntare da sotto il tavolo? Le piaceva Micheal, e poi stava davvero molto bene con lui, eppure Harry… Harry restava sempre il suo amore fantastico, la sua storia in stile cenerentola, il suo finale da favola e poi... insomma, parlando di lealtà, se fosse stata ammessa alla classe probabilmente avrebbe dovuto vederlo quasi ogni giorno, ed era forse sicura di riuscire a sopportarlo? Non sarebbe caduta di nuovo in tentazione, forse, avendolo continuamente intorno? E Micheal? Che ne sarebbe stato di lui se la ragazza avesse irrimediabilmente rispolverato la sua eterna cotta per il ragazzo che era sopravvissuto? “Mai” rispose infine la ragazza inchiodando il suo sguardo con quello di Harry anzi che con quello del professore “io non tradirei mai il mio ragazzo, e per nessuno al mondo, qualunque cosa possa accadere, sono stata chiara?”
Al professore venne tremendamente da ridere, mentre Harry indietreggiava sulla sedia con un’espressione stampata sul visto alla checcentroio.
“Firmi pure e ritorni dal suo ragazzo, signorina Weasley,” le aveva detto infine “è ufficialmente dei nostri.”
- Tutto bene, tutto benissimo, professore – rispose Ginny cercando di non scoppiare nuovamente a ridere – e sono presente.
- Già – commentò il suo insegnante – c’eravamo arrivati. Ronald Weasley?
Ginny sperò con tutta se stessa che suo fratello non scoppiasse a ridere come aveva fatto lei nel sentire il professore pronunciare il suo nome completo.
- Sono presente, professore – rispose lui Ron, senza trovare la cosa troppo esilarante, per sua grande fortuna.
- Perfetto, - commentò il professore – sono lieto di sapere che ci siamo tutti.
Lo sapevi già che c’eravamo tutti, stupido idiota, pensò Harry trattenendo la voglia di rispondergli per le righe, lo sapevi eccome, è solo che volevi fare l’appello perché ti fa tanto sentire più figo! - Adesso seguitemi, di certo non faremo lezione nel posto che è stato la cuccia di un cane a tre teste, - disse il professore – venite, venite, avanti.
E dicendo ciò si era mosso alquanto velocemente da un corridoio all’altro, seguito dai suoi studenti, mostrando loro di quanto il suo rifugio fosse molto più grande di quanto si sarebbero mai aspettati. Gli unici che rimasero privi di stupore furono i soliti tre, Harry, Hermione e Ronald, e questo non perché avessero ancora vivo in mente il ricordo del loro primo anno ad Hogwarts, ma perché il nostro caro professore li aveva letteralmente obbligati ad aiutarlo a mettere in ordine tutto il casino di quel posto due settimane a quella parte. E, per inciso, ridecorare tutto quel posto era stato davvero un inferno. Innanzi tutto, avevano arredato la prima stanza, quella dell’appello, per intenderci. Innanzi tutto le avevano dato una rinfrescata, poi l’avevano arredata ornandola con tre vecchi candelabri di bronzo presi in prestito dalla stanza delle necessità (a dire il vero quasi tutti gli oggetti del nuovo arredamento erano stati loro gentilmente concessi dalla stanza vai e vieni!), e poi avevano appeso l’arazzo. Hermione aveva proposto di stendere a terra un tappeto, dato che ne avevano trovato uno persiano davvero molto bello, ma il professor Piton aveva bocciato l’idea dicendo che il drappo avrebbe finito per far sentire gli studenti troppo a proprio agio. I ragazzi avevano preferito non commentare. Comunque, la tana del tranello del diavolo era stata svuotata, e subito dopo riarredata e trasformata in una specie di suo secondo ufficio, nel quale erano stati adagiati una cattedra, una bella poltrona comoda, un appendi abiti, un armadietto, poi il professore ci aveva portato dell’altro, roba che ai ragazzi non era dato sapere. La stanza nella quale Harry era dovuto salire sulla scopa per prendere la chiave era stata abilmente tramutata in un enorme sgabuzzino, nel quale Severus Piton aveva fatto in modo che i ragazzi accantonassero tutte le altre pesantissime cianfrusaglie che lui aveva apostrofato come forse mi ritorneranno utili. Le due stanze finali, quella degli scacchi e quella in cui Harry aveva avuto il suo primo scontro con Voldemort/testadietrodiRaptor, erano diventate le vere aule. La prima, quella della scacchiera in cui Ronald era quasi morto, era stata lasciato quasi intatta, non vi erano state apportate grandi modifiche, in quanto il professore l’aveva trovata davvero suggestiva, e quindi la scacchiera era rimasta, e gli scacchi pure, i ragazzi gli avevano solo dato una bella spolverata completa, nulla di più. In quanto all’altra sala, questa era stata totalmente sgomberata, mentre ai lati erano stati montanti ben diciotto candelabri a tre bracci per illuminarla. Entrambe le stanze erano terribilmente importanti e necessarie. La prima gli sarebbe servita per spiegazioni e dimostrazioni, gli studenti avrebbero potuto comodamente sedersi sugli scacchi mentre lui spiegava, il che era una delle più brillanti idee che gli fossero mai venute, mentre l’altra stanza sarebbe stata destinata all’allenamento dei ragazzi.
Comunque, la stanza in cui il professore condusse i ragazzi fu proprio quella degli scacchi. Appena arrivati, Ron Weasley ed Harry Potter saltarono ad occupare due posti sui pedoni bianchi. Gli altri componenti del gruppo seguirono il loro esempio. Le file di pedoni bianchi e neri si riempirono velocemente, poi toccò ai cavalli. Susan Bones si sedette proprio sul cavallo che era stato la pedina di Ron. Il professore realizzò quanto ho appena scritto quando vide Ronald Weasley sbiancare a dismisura non appena vide qualcuno salirvi sopra. Sicuramente, pensò il rosso, la ragazza non dubitava neppure lontanamente del pericolo che stava correndo. Seppur non ci fosse nessun pericolo, pensò Severus Piton origliati i pensieri di Ronald, lo sprezzo del pericolo della giovane Susan la rendeva incredibilmente simile a sua zia. Non che le assomigliasse molto, a dire il vero, non fisicamente almeno. Innanzi tutto, lei era rossa, mentre sua zia era mora, e poi, per quello che Severus riusciva a ricordare, da giovane Amelia era stata più magra. Ed anche più alta. Ed aveva la pelle olivastra. Altre differenze, altre differenze… ah, sì, Amelia aveva gli zigomi più pronunciati, ecco. Quello del giocare al trova le differenze fra Amelia e sua nipote era una cosa che Severus non riusciva ad evitare. Quell’assurdo confronto gli aveva tenuto la mente occupata anche durante l’intero colloquio della ragazza.
Punto primo, già il fatto che si fosse presentata al colloquio mostrava i segni di una buona dose di coraggio, e Severus aveva pensato, vedendola entrare nel suo ufficio, che quella era una cosa che anche sua zia Amelia, se si fosse trovata in quella situazione, avrebbe fatto, anche se accompagnata da una minor dose di imbarazzo, probabilmente.
Punto secondo, Susan era un Tassorosso, e questo voleva dire che probabilmente lui c’aveva visto lungo nell’ammettere Zacharias alle sue lezioni.
Ma, per tornare al colloquio, la ragazza si era dimostrata piuttosto puntuale, presentandosi in ufficio all’orario prestabilito, cosa che probabilmente sua zia non avrebbe fatto, visto che in gioventù la ragazza era stata un tipo molto ritardataria, sebbene questo fosse andato fortunatamente cambiando nel tempo. Presentando alla ragazza la prima domanda, il professor Piton si era aspettato, in realtà di sentirle formulare un discorso ben congeniato e compatto, da grande oratrice, viste le stupefacenti doti di sua zia in quanto a questo, ma invece…
Timida, impacciata, il primo impatto con la giovane Susan era stato un granché deludente a dire il vero.
“Il motivo per cui sono qui” aveva detto la ragazza rispondendo alla domanda del suo professore “suppongo che sia il motivo per cui si presentano tutti. Ed oltre che un rospo, io suppongo di essere in possesso di più informazioni ancora per odiare la Umbridge. Mia zia lavora con lei al ministero” “Lo so questo” aveva commentato Severus “E lei la conosce bene la Umbridge” aveva ripreso Susan “e quando l’ho informata di quello che stava accadendo mi ha detto che andrà sempre peggio. In poco tempo, mi ha assicurato, la Umbridge canalizzerà nelle proprie mani il controllo di tutta la scuola, e sarà molto, molto peggio. Allora le rimpiangeremo le sue lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure, perché saranno il male minore.” “Ed allora perché è qui, signorina Bones?” le aveva chiesto il suo insegnante, “Perché, pur essendo queste il male minore sono anche l’unico a cui per ora posso tentare di porre rimedio” aveva risposto lei.
Il colloquio non era continuato. Quell’affermazione, da sola, si era rivelata sufficientemente esauriente. E forse il professore si era sbagliato in quanto a doti di oratrice…
Comunque, come stavo dicendo, Susan andò a posizionarsi su quel famoso cavallo, facendo sbiancare Ron al sol ricordo. Ed inoltre, come se quel cavallo non fosse già stato abbastanza per il povero rosso, se ne aggiunse un altro a dargli il tormento, ossia il cavallo bianco su cui Micheal Corner era già comodamente seduto, e sul quale ora stava aiutando a salire anche sua sorella Ginny.
Ora, voi tutti dovete sapere che Ron odiava Micheal, e non lo odiava per il suo carattere qualsiasi altra cosa anche solo lontanamente legata alla sua persona, lui l’odiava perché stava con Ginny! Tipico, pensò Severus, gelosia da fratello maggiore, e catalogò la cosa con così tanta semplicità che pareva quasi che potesse avere una sorella minore di cui essere geloso anche lui. Certo, c’era stato un tempo in cui era stato tremendamente geloso di Lily, ma quella non era la stessa cosa. Tornando a Micheal, comunque, divertito dall’espressione di Weasley, il professore andò a concentrarsi sul ragazzo.
Con il suo cravattino blu e argento lasciato distrattamente ciondolare giù dalla camicia bianca, non molto alla Corvonero, a dir la verità, i capelli arruffati, nessun segno del mantello, Micheal Corner si era presentato in orario il giorno del colloquio, gentilmente scortato, per non dire costretto, dalla cara e dolce Ginny Weasley.
A parte il fatto che la Umbridge risultasse ovviamente piucchè antipatica a lui come a tutti, gli aveva chiesto Severus Piton per cominciare, per quale ragione si era presentato quel giorno lì? “Beh, perché, se ci Lei-sa-chi è tornato come Harry sostiene, e vuole uno scontro,” aveva risposto il ragazzo “io credo che, una volta istruito, potrei fare la differenza”.
Questa non era una buona risposta, aveva pensato Severus Piton, sono qui perché la mia ragazza mi ha costretto, questa sì che sarebbe stata una buona risposta, o quantomeno una risposta sincera. E se avesse risposto così il professore avrebbe poi potuto chiedergli per quale motivo si era lasciato convincere? E poi avrebbe potuto articolare un discorso su lealtà ed obbedienza, e magari. Insomma, adesso non gli andava troppo di pensarci, ma comunque la conversazione sarebbe stata sicuramente più interessante. Ed invece quella risposta finta, così preparata… no, non era stata un granché.
“E perché mai dovrebbe fare la differenza lei?” gli aveva chiesto il suo insegnante “Perché lo voglio.” gli aveva risposto lui. Quella sì che era stata una risposta interessante. “Non sono lo studente più brillante del mio corso in questa materia, ci sono studenti molto più bravi di me, molto più capaci, più coraggiosi forse, e magari anche potenzialmente più dotati di me, ma loro non sono qui, io ci sono, e posso fare la differenza perché ci sono, perché voglio farla, ecco”. Ottima risposta. Davvero un’ottima risposta. Una delle risposte migliori che avesse mai sentito, a dirla tutta, aveva pensato il professor Piton, molto, molto interessante, se fosse stata così anche la sua prima risposta sicuramente Severus Piton avrebbe catalogato quello come uno dei migliori colloqui in assoluto. “E che cosa lo spinge a desiderarlo, a desiderare di fare la differenza, intendo, signor Corner?” gli aveva chiesto allora il professore. Il ragazzo aveva titubato un momento, forse indeciso sul come formulare la frase, poi si era piegato sulla cattedra, appoggiandoci sopra i gomiti ed appoggiando la testa sopra di questi. Poi aveva parlato. “Mi da fastidio quando viene accusato qualcuno che non se lo merita, quando qualcuno di più grande se la prende con qualcuno di più piccolo, e poi mi danno fastidio le ingiustizie, e mi sono già beccato sette punizioni da parte della Umbridge perché ho protestato anche per le cose più piccole è solo che io… io non le sopporto proprio. E così ho pensato che se lei mi insegnava a combattere, io avrei potuto sanarle, quelle ingiustizie. Certo, non tutte insieme, però io potrei…”
Ora non il professor Piton non si ricordava perfettamente come fosse continuato il colloqui, diciamo solo che si era limitato a ricordare il meglio di, evitando il resto.
Comunque, ciondolando e facendo picchettare la bacchetta con la mano sinistra contro quella destra, il professore si diresse verso il centro della scacchiera.
Velocemente, attorno a lui, gli ultimi studenti correvano ad occupare gli ultimi posti rimasti disponibili.
Chissà che avrebbe fatto il professore, e chissà che stanza era quella, e chissà quanto ci era voluto a portare dentro tutti quegli scacchi, e chissà se era meglio sedersi sui pedoni o sui cavalli, e chissà se si potevano vincere punti anche in quelle strane lezioni, beh a Potter qualche punto prima glielo aveva tolto, quindi forse si poteva, e chissà poi se…
Una bomba di luce della grandezza di un lampadario che andò esplodendo di luce rossa per tutta la grandezza dell’aula mise ufficialmente fine al chiacchiericcio. Tutti gli studenti tacquero all’istante, guardando il professore. Severus Piton, la bacchetta ancora puntata verso il soffitto, aveva appena indotto la sua classe al silenzio. La lezione poteva cominciare.
- Innanzi tutto, - cominciò il professore – questo non è un gioco, non è una protesta, non è una fottutissima sfida al sistema, siamo intesi? Questa è una classe, niente di più, niente di meno. E quindi non siete autorizzati a commentare, protestare o disobbedirmi in qualche modo, chiunque di voi lo farà… ne risponderà a me.
Il professore fermò un momento il suo colloquio per guardarsi intorno e captare se le sue parole avessero sortito l’effetto desiderato. La classe era muta, in silenzio. Tutte le attenzioni, tutti gli sguardi, erano rivolti a lui. Riprese il discorso.
- Questa sarà la vostra prima lezione, e partiremo dalle basi. Innanzi tutto voglio che voi tutti sappiate che dovreste sempre aver a portata di mano la vostra bacchetta, senza, siete morti, e con siete morti non mi riferisco solo a Lord Voldemort, ma anche ai mangiamorte, i suoi seguaci, o a qualsiasi altro mago oscuro, o al sottoscritto anche, perché vi toglierò una marea innumerevole di punti se vi sorprenderò in giro senza la bacchetta, oltre a espellervi da questa classe, sono stato chiaro? Andare in giro senza bacchetta è la cosa più pericolosa che possiate mai fare. È da stupidi, da incoscienti, da irresponsabili, ed io non voglio studenti di questa razza, chiaro? Ed ora andiamo avanti. Signor Potter, vuole cortesemente fare un passo avanti ed aiutarmi in una semplice dimostrazione davanti alla classe?
Harry aveva esitato. Innanzi tutto gli era preso un colpo non appena il professore aveva pronunciato il suo nome, insomma, era sobbalzato, non che non stesse seguendo il discorso del suo insegnante, è solo che era un po’ soprappensiero, dato che stava contemporaneamente ascoltando e giocando a tihotoccatotihotoccato con Ronald Weasley. Comunque, dopo aver risposto al suo insegnante con un improvvisato dice a me?, il ragazzo aveva considerato le varie opzioni che quella proposta gli presentava. Innanzi tutto, si sarebbe dovuto alzare da quella comodissimo posto, e questo era negativo, punto secondo, probabilmente quella cosa sarebbe stata imbarazzante. Sì, probabilmente, se lui ora non si fosse alzato, il professore avrebbe cominciato un monologo sulla codardia, e su come lui fosse come suo padre, e di come ci volessero doti speciali per potersi applicare in questa materia, doti che, ovviamente, lui non aveva. Se invece si fosse alzato raggiungendo il suo insegnante al centro dell’aula, probabilmente le cose non sarebbero andate poi tanto meglio. Innanzi tutto il monologo del professore ci sarebbe stato comunque, soltanto che probabilmente sarebbe cominciato con un discorso del professore su come sarebbe stato in equo lo scontro, su come il suo avversario fosse un fesso poco dotato eccetera eccetera. E poi lo avrebbe usato come cavia, insomma, gli avrebbe detto di fare qualcosa e lui lo avrebbe fatto, così che poi il professore potesse commentare e commentare, criticare e criticare le sue mosse. Oppure lo avrebbe fatto duellare con sé, ed allora sicuramente, qualunque cosa facesse, lo avrebbe probabilmente battuto, ed allora il monologo su come fosse un pessimo mago sarebbe ricominciato, e sarebbe durato di più. E poi, seppure Harry fosse riuscito a batterlo, lui si sarebbe rialzato massaggiandosi il mento, ed avrebbe detto qualcosa circa la sua tecnica scadente, ed il fatto che lo aveva lasciato vincere, e poi avrebbe fatto un altro monologo. Quindi, valutando tutte le offerte che la sua proposta gli offriva, questa si presentava come un fiasco mediante tutte le facce della medaglia.
- Signor Potter, - fece il suo insegnante – forse il mio tono interrogativo potrebbe averla un po’ confusa, mi scuso davvero, devo essermi espresso male. Meglio riformulare la frase, allora. Signor Potter, si alzi immediatamente e mi raggiunga al centro dell’aula, non è una domanda, è un ordine.
Il ragazzo sbuffò sonoramente in direzione del suo insegnante, che lo aspettava impaziente al centro della scacchiera.
Poi lanciò a Ron un’occhiata loquace che stava a significare qualcosa del tipo lo odio lo odio lo odio e poi si recò dal suo insegnante strusciando i piedi sul pavimento.
Quando ebbe raggiunto il professore i due si squadrarono per un po’. Le espressioni dei due uomini però erano alquanto differenti. Quella di Harry era alquanto arrabbiata, scocciata, mentre quella del suo insegnante era stranamente rilassata.
- Vada pure a posizionarsi dall’altra parte della scacchiera, signor Potter – gli ordinò poi – io la raggiungerò fra un momento dalla parte opposta.
Harry si diresse, sbuffando, nel posto scelto per lui dal suo insegnante, e si fermò nel punto stabilito, portando le mani a incrociarsi dietro la schiena con un piede su una piastrella nera e l’altro a metà fra quella nera e quella bianca, aspettando che il professore mettesse fine a quella tortura.
- Come ho già detto – aveva ripreso tranquillamente il professore – avere una bacchetta è una cosa maledettamente importante, ed è allo stesso modo importante che il vostro avversario non ce l’abbia. Quindi, cominceremo con qualche nozione di base, difesa elementare, come disarmare l’avversario. Signor Potter, lei sa dirci l’incantesimo?
Il ragazzo sbuffò. Certo che lo sapeva l’incantesimo, era un incantesimo da primo anno o giù di lì, roba di base, non era mica uno stupido lui. Avrebbe voluto rispondergli che non era uno stupido, e che lui non aveva nessun diritto di trattarlo così, e che lui non la voleva neppure fare quella stupida dimostrazione, e che non era neppure stata sua quella diamine di idea di quella diamine di classe. Che se la prendesse con Hermione se tanto volesse sfogarsi con qualcuno, ma non con lui.
- Credo che sia l’Expelliarmus, professore – rispose lui Harry, in tono alquanto scocciato.
- Che terribile tortura per le mie povere orecchie quell’orribile credo che – commentò il professore – e comunque sì, come il signor Potter ci ha appena illustrato l’incantesimo in questione è l’Expelliarmus. Ed ora ne daremo una breve, semplice dimostrazione. Signor Potter, - disse raggiungendo il capo opposto dalla scacchiera – mi disarmi.
Con molto piacere, professore, pensò il ragazzo, e poi tolse lentamente la bacchetta dal fodero e cercò una posizione adeguata, portando il braccio ora un po’ più in alto ora un po’ più in basso per mirare bene, e muovendo i piedi perché avessero una maggiore aderenza al terreno.
- Expelliarmus! – l’incantesimo colpì in pieno la bacchetta del suo avversario, facendola vibrare e poi volare via. Quando ricadde a terra era a tre metri di distanza dal suo proprietario. Quindi, Harry Potter si trovava ora disarmato.
Il suo professore, invece brandiva ancora la sua bacchetta, ed ora la stava abbassando dopo che l’incantesimo pronunciato aveva appena sortito l’effetto desiderato.
- Ma che diamine?!? – esclamò Harry – Che sta facendo?!?
- Semplice, - rispose lui il professore – do alla classe un’idonea dimostrazione dell’incantesimo proposto, mi sembrava ovvio.
- Ma aveva chiesto di farlo a me! – aveva protestato Harry.
- Hai ragione, l’ho fatto, – rispose lui Severus, tremendamente calmo – sei tu che non hai obbedito ai miei ordini. Avanti, raccogli la bacchetta e disarmami adesso.
Harry guardò il professore come si guarda un matto. Il fatto che quell’uomo non gli fosse mai piaciuto non giustificava certo quel suo modo assurdo di comportarsi. Quindi mosse alcuni passi, poi si piegò a terra e raccolse la bacchetta. Se la rigirò tra le mani per più di tre volte per controllare che non ci fosse nulla di rotto, e stava per rialzarsi in piedi quando…
- Expelliarmus! – gridò il suo insegnante. E la bacchetta volò di nuovo lontano da lui.
- Ma che cosa!?!?! – fece Harry
- Avanti, signor Potter, la raccolga e mi disarmi. – commentò Severus Piton.
Il ragazzo si rialzò da terra, si mosse di nuovo verso la sua bacchetta, che questa volta era volata a circa tre quadri della scacchiera da lui, e si chinò di nuovo a prenderla. La afferrò fra le mani, si alzò immediatamente, cercò la posa giusta per pronunciare l’incantesimo e…
- Expelliarmus! – gridò per la terza volta Severus Piton, e la sua bacchetta lo abbandonò per la terza volta.
- Ma insomma a che gioco sta giocando? – chiese lui Harry girandosi di scatto verso il suo insegnante.
- Nessun gioco, sto facendo la mia lezione, come voi mi avete chiesto. – rispose lui il professore.
- Noi non le abbiamo chiesto proprio nulla, Hermione le ha chiesto di insegnarci, - rispose Harry – e comunque io non sono un cane, non può divertirsi a far volare il bastoncino in modo che io corra ogni volta a riprenderlo, che senso ha tutto questo?
- Le ho chiesto di disarmarmi – si limitò a rispondergli il professore.
- Sì, ma poi mi ha disarmato lei, non mi ha dato tempo…
- Ed invece lord Voldemort le concederà un mucchio di tempo, non è vero, signor Potter? – gli rispose Severus Piton.
- Che vuol dire? – chiese lui Harry.
- Mi ha chiesto di addestrarla in caso Voldemort tornasse, e questo non me lo ha chiesto Hermione, me lo ha chiesto lei, signor Potter, e questo è esattamente quello che sto facendo, quindi raccolga quella bacchetta e mi disarmi.
Harry corse verso la sua bacchetta, la prese in mano, si alzò in piedi e…
- Expelliarmus! – esclamò il professor Piton - Più veloce, signor Potter, più veloce! Non è più in quest’aula, non è più neppure ad Hogwarts e non sono neppure più io il suo avversario, è un guerra adesso, e non c’è tempo per trovare la posizione giusta o di controllare che sia tutto a posto, deve attaccare, raccolga la bacchetta!
Harry corse ancora, si fiondò sulla bacchetta, caduta a tre metri di distanza da lui, e la puntò verso il suo insegnate.
- Expelliarmus! – gridò ancora Severus Piton.
- Mi dia almeno il tempo di concentrarmi! – protestò Harry.
- In guerra nessuno si curerà dei suoi problemi signor Potter, non c’è tempo di concentrarsi e raccolga la bacchetta!
Il ragazzo corse per l’ennesima volta contro la stecca di legno, che era caduta ai piedi del cavallo bianco di Micheal e Ginny. La raccolse, la puntò verso il suo insegnante.
- Expelliarmus! – pronunciò Severus.
- Basta! – gridò Harry
- Basta cosa, signor Potter? – chiese lui il professore.
- Basta con questa dimostrazione assurda, gli altri professori non ci hanno mai insegnato così!
- Gli altri professori avevano il compito di prepararvi per gli esami, non per la guerra! – gli sbraitò contro Severus Piton – quando sarà sul campo di battaglia, signor Potter, è bene che lei sappia che il tempo è un lusso che non le sarà concesso. Nessuno aspetterà che lei sia pronto per attaccare, Voldemort o chissà chi altro si scaglierà su di lei, e con maledizioni ben peggiori di un Expelliarmus, mi creda, quindi recuperi subito quella bacchetta. – ciò detto si girò verso il resto della classe prendendo a passeggiare per la scacchiera, mentre Harry si dirigeva nuovamente a recuperare la sua arma – Questo vale per tutti voi. Avete detto che siete disposti a lottare, avete detto che accettavate i pericoli a cui stavate andando incontro, avete detto che volevate essere preparati, avete detto che volete che io vi insegni, beh, lezione numero uno, non siete più in classe! La guerra per cui vi sto preparando sarà un affare da professionisti, e non vi saranno concessi errori come non vi sarà concesso tempo, chiaro? Dovrete essere sempre pronti, e dovrete essere svelti, e lei ha appena perso un’ottima occasione per disarmarmi, signor Potter! – gridò girandosi verso il ragazzo che, aveva riafferrato da circa tre minuti la sua bacchetta.
- Ma… - aveva provato a dire il ragazzo.
- Nessun ma, signor Potter, - aveva replicato lui – ciascuna distrazione dell’avversario può essere utile per disarmarlo, quindi avrebbe dovuto colpirmi alle spalle mentre ero impegnato a parlare.
- Ma colpire alle spalle sarebbe sleale – commentò Hermione.
- Nessuno sarà leale in guerra, signorina Granger, – le rispose il professore – la guerra è sleale, e quindi voi dovrete adattarvi…
- Expell…
- Expelliarmus! Più veloce, signor Potter, più veloce.
Harry si alzò da terra celermente e si mise a correre verso la sua bacchetta, che stavolta era andata a cadere ai piedi di un pedone bianco. Il ragazzo afferrò svelto la becchetta, e nel farlo alzò il viso incrociando lo sguardo con la ragazza che vi sedeva sopra. Incrociò lo sguardo con quello di lei e piegò le labbra in un’espressione che stava a dire chi lo sopporta questo.
Cho Chang gli rispose con un leggero sorriso.
- Expelliarmus! – pronunciò ancora il professore – Nessuna distrazione, signor Potter, nessuna distrazione! E corra a prendere quella bacchetta.
Harry si alzò di nuovo, mentre Cho lo salutava con espressione spiacente. Il ragazzo intrecciò ancora lo sguardo col suo.
A interrompere il gioco furono tre colpi di tosse forzati del professore, ed Harry scappò di nuovo ad afferrare la bacchetta, mentre il professor Piton lanciava segretamente un’occhiata di rimprovero alla ragazza. Ricordava chiaramente anche il colloquio di lei.
Per inciso, la prima cosa che la ragazza aveva fatto dopo essersi seduta al colloquio dinnanzi a lui era stato lisciarsi la gonna, e poi guardare Harry facendogli un cenno di saluto. Dal canto suo, Potter era arrossito, ed al professore era subito stata chiara ogni cosa. Aveva già notato quel giorno uno strano comportamento da parte del ragazzo. Innanzi tutto sembrava essersi pettinato quel giorno, o quantomeno aveva i capelli meno in disordine del solito, e già questo era alquanto strano, ed in più aveva messo il profumo, quitali di profumo, e neppure questa era una cosa tipica di Harry Potter. Il professore aveva intuito subito che ci fosse qualcosa fra i due.
Comunque, “Sono qui per rendermi utile,” gli aveva risposto la ragazza quando Severus le aveva chiesto perché si fosse presentata al colloquio, “credo a quello che ha detto Harry sul fatto che Voldemort sia tornato, e che sia stato lui a uccidere Cedric, e credo che sia nostro compito imparare a difenderci in modo che questo non accada, ma anche in modo di… vendicarlo, ecco.” “Ah, capisco…” aveva commentato il professore “in ogni modo, credo che le se decisioni non dovrebbero esser dettate da troppa emotività, signorina Chang, non vorrei che il suo desiderio di vendetta la portasse a compiere scelte che poi tutti quanti noi potremmo rimpiangere…” “Oh, no, io non volevo dire, cioè… ecco… io…” aveva balbettato la signorina Chang. “Se permette, signorina,” aveva ripreso il professore “credo di sentirmi alquanto in dovere di rivolgerle qualche altra domanda. Innanzi tutto, se le si presentasse l’occasione, al contempo, di ottenere, la sua, come dice lei, vendetta, ed io le ordinassi contemporaneamente di fare qualcos’altro, che cosa farebbe? Eseguirebbe o no i miei ordini?” “Non sono un tipo vendicativo, professore,” si era sbrigata a rispondere Cho “è solo che sono rimasta molto scossa dalla morte di Cedric, ecco, ma non credo che potrei mai vendicarmi personalmente di lui, il pensiero di poter far del male a qualcuno non è da me.” “Molto interessante,” aveva commentato il professore, mentre in testa pensava di male in peggio “ma siamo in guerra, signorina Chang, non crede che dovrà fare del male a qualcuno prima o poi?” “Beh, io…” “Sa, signorina, questa classe non sarà un gioco né una passeggiata, quindi se lei è qui perché crede che questo possa essere un passatempo divertente, o per dei crediti extra credo proprio che abbia sbagliato ufficio.” “Cho non si è spiegata bene, professore” aveva cercato di difenderla Potter, “sicuramente lei…” “Questo non è il suo colloquio, signor Potter” lo aveva rimproverato il suo insegnante “E se la signorina Chang non sa difendersi da sola neanche a parole allora…” “Mi lasci parlare, professore!” lo aveva interrotto la giovane Cho, mossa che il professore aveva ritenuto evitabile, ma l’aveva lasciata parlare comunque “Quello che voglio dire, professore, è che non sono un tipo a cui piaccia la violenza di alcun genere, ma questo non vuol dire che mi risparmierò di combattere in caso ce ne sia la necessità. E non voglio fare la stessa fine di Cedric, io voglio essere pronta, e voglio combattere per entrambi, per me e per lui, e mi serve il suo aiuto per questo. So già che mi sembrerà terribile, so già che avrò paura, eppure sarà lei il nostro insegnante, e credo che sarà in grado di darci coraggio. Forse ho paura, ma la posso superare, io ce la posso fare.” Il professore l’aveva allora guardata per un po’. Anche se poteva sembrare il contrario, quella era una ragazza straordinariamente forte, sebbene anche molto debole. Era emotiva, aveva paura, ma era anche molto, molto forte. Ed sarebbe anche indiscutibilmente stata un ottimo elemento per la sua classe. Era qualcuno che gli sarebbe piaciuto aiutare, ecco. Accanto a lui, Potter aveva intanto preso a strizzare gli occhi alla ragazza tentando di rassicurarla. La cosa gli diede fastidio. E gli diede ancora più fastidio vedere come la ragazza ricambiasse, a momenti alterni, i suoi sguardi. “Per me può andare, signorina Chang, se vuole firmare la pergamena adesso la signorina Granger sarà ben contenta di comunicargli gli orari delle prossime lezioni. Devo dirle che il principio del suo colloquio non mi ha entusiasmato, signorina Chang, ma fortunatamente è riuscita a riprendersi, ed in più immagino che lei avesse un’attenuante…” “Che vuole dire?” chiese lui la ragazza, “Beh, immagino che lo sguardo fisso del signor Potter che non ha staccato gli occhi dalle sue gambe per tutta la durata del colloquio, non sia stato un toccasana per metterla a suo agio, ci perdoni davvero.” Al che Potter era arrossito in modo da far sembrare più bianchi persino i capelli del suo amichetto Weasley, mentre la ragazza piegava il viso imbarazzata guardando male il bambino che era sopravvissuto. Dio mio, era stata una cosa così divertente! – aveva pensato Severus – insomma, era stato come infliggere una batosta a James! Comunque, a colloquio finito la ragazza si era nuovamente lisciata la gonna, e poi se ne era andata salutando cortesemente lui e i suoi assistenti, e apostrofando il ragazzo con un semplice Harry’.
Nonostante ciò, pensò il professor Piton, ora i due dovevano aver chiarito, se avevano ripreso a guardarsi così. O, certo, questi non erano affari suoi, eppure la cosa gli diede alquanto fastidio lo stesso.
- Expelliarmus! - fece disarmando per quella che doveva essere l’ennesima volta il professore – Avanti, Potter, se il Signore Oscuro si rivelerà più veloce di lei, lei non si ritroverà solo disarmato, ma morto stecchito nel giro di quattro secondi e recuperi la bacchetta!
Harry corse di nuovo, si gettò sulla bacchetta afferrandola e voltandosi verso il suo insegnate.
- Expelli…
- Expelliarmus! – fece il professore disarmandolo di nuovo.
- Ma c’ero quasi riuscito! – protestò Harry, piegandosi a riprendere la bacchetta che gli era caduta a pochi passi dai piedi
- Quel quasi non le basterà a salvarsi la vita, signor Potter. – lo rimproverò il professore – non si può quasi vincere, come non si può quasi perdere, o si vince o si perde ed è questo il punto. Lei non può quasi salvarsi come non può quasi rimetterci la vita quindi…
- Expelliarmus! – gridò Harry, e la bacchetta del suo insegnante volò via prima che lui potesse finire il monologo.
Se la classe non fosse già stata in completo silenzio, probabilmente avrebbe taciuto.
Il ragazzo era ancora a terra, con la bacchetta puntata, mentre il professore lo guardava attonito. E disarmato. Eppure, Harry era sicuro di aver fatto centro. Insomma, gli aveva detto lui di approfittare delle distrazioni dell’avversario, di essere scaltro, di essere veloce, e lui lo era stato, lo aveva sorpreso, lo aveva battuto, e quello era proprio il punto di quella lezione. Se Piton fosse stato lord Voldemort e quello fosse stato un vero duello, Harry avrebbe avuto adesso il tempo di attaccare e/o quello di mettersi in salvo. Pensò che forse il suo insegnante si sarebbe congratulato con lui.
- Pessimo lavoro, signor Potter, – si limitò a dire Severus Piton – ha impugnato la bacchetta troppo distante dalla punta, sarebbe potuta cadere, ed in più ha una pessima tecnica, una delle peggiori che io abbia mai visto, dico davvero.
Harry pensò a qualcosa da rispondere, ma non gli venne nulla. Non che di solito avesse la risposta pronta, questo a dire il vero non accadeva quasi mai, è solo che non si aspettava proprio di venir rimproverato dopo che aveva finalmente raggiunto lo scopo desiderato, e dopo così tanto sforzo inoltre! Se solo fosse stato Hermione, ed avesse avuto la sua parlantina, di sicuro avrebbe detto qualcosa. Avrebbe fatto un discorso articolato e di protesta, arricchendolo con svariate citazioni e frasi in latino perché suonavano meglio, avrebbe battuto alla grande qualsiasi monologo che il professore aveva mai fatto fin ora, e lo avrebbe lasciato di stucco. Ma lui non era Hermione, non era mai stato bravo con i discorsi e non sapeva una parola di latino, e, in più, al momento non aveva la minima idea di cosa dire. Quindi, per costrizione, non per altro, rimase in silenzio. Anche se nel suo fiero orgoglio da Grifondoro non l’avrebbe mai, il giovane Harry Potter sperò che qualcuno protestasse per lui.
- Va bene, - sentenziò il professor Piton dopo aver raccolto la sua bacchetta, smettendola di camminare per la prima volta da quando era entrato nell’aula – la nostra lezione per oggi termina qui, i signori Potter, Weasley e Granger saranno ben lieti di comunicarvi nel corso della settimana gli orari della prossima lezione. Potete andare.
A sentire quelle parole, tutti i ragazzi si alzarono dalle loro postazioni; Ron scivolò giù dal suo pedone, Cho Chang ne discese con grazia, Fred e George scesero con un balzo dalle torri sulle quali si erano appollaiati, Angelina Jordon si calò giù dal suo cavallo, Micheal, già a terra, aiutò Ginny a scendere dal loro. Riprendendo con le chiacchiere, gli studenti si avviarono borbottando verso l’uscita, prima che le parole del loro insegnante li inducessero nuovamente all’ordine e al silenzio.
- Per potete andare, - sottolineò il professore riinserendo la bacchetta nel fodero – intendo dire che lascerete la classe in gruppi da quattro o da tre, accompagnandovi con le persone con cui siete soliti girare ad Hogwarts. Abbandonerete quest’aula con due minuti di distanza l’uno dall’altro, i signori Weasley mi hanno assicurato che Gazza sarà occupato nell’ala opposta del castello in questo momento, quindi non dovreste correre pericoli, ma in ogni caso è meglio esser prudenti, quindi in caso un gruppo dovesse essere scoperto i suoi componenti dovranno urlare tanto forte da farsi udire dal resto della classe, in modo che gli altri evitino di uscire fino a mio ordine. Il signor Potter, la signorina Granger ed il signor Weasley saranno gli ultimi a lasciare l’aula, e, mentre gli altri se ne andranno, loro si preoccuperanno di controllare che tutto sia in ordine, o di mettere apposto, in caso contrario, mentre io mi ritirerò per qualche motivo nel mio studio. Loro tre abbandoneranno l’aula solo quando io lo riterrò necessario. Una volta usciti, faranno bene a contattare tutti gli altri membri dell’Esercito per accertarsi che tutti stiano bene. È tutto.

Hermione, Ron ed Harry uscirono dall’aula velocemente, scivolando di corsa giù per la rampa di scale, fino a toccare il suolo del secondo piano, terreno neutro. Il professor Piton si muoveva calmo dietro di loro. Discese le rampe, i ragazzi incrociarono lo sguardo con il professore, in cenno di tacita intesa, e poi si avviarono per i corridoi superando il professore di un metro.
- Signor Potter! – chiamò il professore, mentre i ragazzi si giravano a guardarlo – Potrebbe venire qui un momento? Da solo?
Harry lanciò un’occhiata a Ron ed Hermione, poi li lasciò un attimo soli per avvicinarsi al loro insegnante. Forse il professor Piton voleva scusarsi, pensò il ragazzo, forse voleva complimentarsi per il modo in cui si era comportato quel giorno in aula, pensò ancora, forse voleva spiegargli che lo aveva sgridato solo per dare alla classe l’immagine di un professore severo, ma che in realtà era molto fiero di lui, forse…
- Mi pesti un piede, signor Potter, adesso – gli ordinò Severus Piton usando il tono di voce più basso che il ragazzo avesse mai sentito (e c’è da dire che era un ragazzo che parlava con i serpenti).
Quella richiesta gli sembrò assurda. Insomma, il suo professore gli aveva chiesto davvero di pestargli un piede? Che senso aveva tutto quello? Insomma, forse è vero, aveva fantasticato un po’ ad immaginarsi Piton che si complimentava con lui, ma quello era ancora più assurdo! Probabilmente aveva capito male.
- Eh? – chiese confuso al suo insegnante.
- Le ho sottratto venti punti oggi, signor Potter – gli spiegò Piton a bassa voce – il punto è che non c’era nessuno quando glieli ho sottratti e se la Umbridge dovesse indagare scoprirebbe che noi due eravamo insieme quando questo è successo e dove nessuno poteva vederci. Quindi, mi serve un motivo per toglierle punti. Mi pesti il piede.
Il ragazzo squadrò il suo insegnante come fosse un matto.
- Dice davvero? – gli chiese infine
- Certo! E non mi faccia perdere tempo, Potter, mi pesti quel maledetto piede e si tolga di mezzo.
Harry riflettè un momento sulle conseguenze che questo suo gesto avrebbe comportato. Non pensava che quello del professore fosse un bluff, stranamente, Piton sembrava maledettamente serio, eppure quella continuava ad essere una richiesta assurda. Incerto, il ragazzo schiacciò un piede sopra quello del suo insegnante.
- Guarda dove metti i piedi, Potter! – sbraitò il suo insegnante a voce alta, in modo che tutti potessero sentirlo, rispolverando le doti da immancabile attore che tanto gli erano tornate utili durante gli interminabili anni del triplo gioco. – Trenta punti in meno a grifondoro!
- Trenta? – chiese lui Harry a bassa voce, con fare di protesta – Ma non erano venti? Che si sono moltiplicati?
- Certo che no, Potter. – rispose lui il professore – Venti sono per la faccenda del legilimens oggi in classe…
- E gli altri dieci? – chiese lui Harry
- Quelli sono per avermi pestato un piede, ovviamente – gli rispose il professore, e ciò detto lo sorpassò scomparendo nel corridoio sotto lo sguardo attonito di Harry.
Ron ed Hermione lo stavano ancora aspettando.
- Herm, - fece il ragazzo quando li ebbe raggiunti, cominciando ad avviarsi con loro verso il dormitorio grifondoro – tu lo sai cos’è un legilimens?
- È un mago in grado di leggere nella mente, Harry, perché? – gli rispose la ragazza.
Harry si fermò di botto sbiancando visibilmente.
- Merda!

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Capitolo 4
*** Seconda Lezione ***


Seconda Lezione

Era davvero, davvero strano che ci fossero tutti e ventotto in quella classe per affrontare la seconda lezione. Era molto, molto strano.
Hermione, dopo le discussioni che aveva avuto con praticamente tutti i membri della classe dopo la prima lezione del professor Piton, era piucchè sicura che non si sarebbe presentata neppure la metà di loro. I loro commenti sul loro primo incontro di Difesa Contro le Arti Oscure erano stati atroci. A parere di tutti, Piton era troppo severo ed inquietante, e da lì in poi i pareri si dividevano. Per il quaranta percento della classe Piton era un’arrogante, per il cinquanta percento metteva i brividi e per il restante dieci percento era semplicemente matto. E, ovviamente, nessuno voleva rischiare di cadere nelle mani della Umbridge, e cioè fra le pene dell’inferno, per farsi insegnare/rimproverare da un’arrogante/spaventoso/matto. E quindi si erano copiosamente lamentati.
E Piton è un verme, e Piton è uno stronzo, e Piton è terrificante, e Piton deve essere sicuramente fuggito da un manicomio, e Silente aveva ragionissima a non dargli la cattedra, per l’amore del cielo!
Ovviamente, Ron, Harry ed Hermione avevano tentato di calmarli, o meglio lei, aveva tentato di calmarli, mentre Harry rimaneva in silenzio molto propenso a dargli ragione e Ron le ripeteva per l’ennesima volta te lo avevo detto.
Ed inoltre calmarli non era stata certo una cosa facile. Ernie si lamentava, Neville si lamentava, le gemelle Patil si lamentavano, Zacharias si lamentava, Justin si lamentava, Lavanda si lamentava, Marietta si lamentava, persino Cho faccia da santa si lamentava. Ci mancava poco che si mettesse a protestare anche Harry… Ed inoltre persone di cui aveva creduto potessero darle aiuto e sostegno, tali Fred e George, si erano messe, al contrario, a capo della rivolta. Quella era stata solo la prima lezione, e la situazione era già insostenibile.
Hermione, comunque, pian piano, sembrava esser riuscita a placare gli animi di tutti.
Innanzi tutto, quando lei, Harry e Ron erano entrati nel dormitorio Grifondoro, si erano immersi nella valanga di proteste dei loro compagni di casa che li avevano aggrediti circa le ragioni che vi ho già proposto, ossia l’odio del loro insegnante. Dopo aver tentato di prender la parola fra la folla urlante, Hermione aveva cacciato un urlo e, a silenzio ottenuto, la ragazza aveva tenuto un discorso. Aveva detto ai suoi compagni, arrampicandosi su una poltrona per assicurarsi che tutti la vedessero e, soprattutto, sentissero, quello che aveva da dire.
Gran bei Grifondoro che erano loro, talmente coraggiosi da temere anche un loro insegnante, e come credevano forse di affrontare le atrocità della guerra se non riuscivano neppure a reggere i rimproveri del professore?
Oh beh, certo, il discorso di Hermione era stato più lungo, ma credo di avervene fornito un valido riassunto, anche perché l’orazione, scritta per intero, mi avrebbe occupato troppo, troppo tempo e spazio. Comunque, il discorso doveva essere alquanto buono, dato che riuscì a convincere, o quantomeno a zittire, tutti quei Grifondoro dapprima urlanti. Soddisfatta della sua orazione, e dopo aver sottolineato il tutto con un fierissimo pensateci, eh, era scesa in un balzo giù dalla poltrona.
Era allora che Ron l’aveva raggiunta e aveva commentato il suo brillante discorso con un semplice ok, ora i Grifondoro sono apposto, cosa credi di fare con Corvonero e Tassorosso?. Hermione era rimasta in silenzio per un po’. Cavolo, quella era una cosa a cui non aveva pensato!
Comunque, non appena Ronald le aveva messo la pulce nell’orecchio, la ragazza si era fiondata giù per le scale ed aveva corso fino a raggiungere torre Corvonero, e bussare al dormitorio.
Ad aprirle, per inciso, era stato il piccolo Nigel Wespurt, un ragazzino del secondo anno con i capelli scuri e gli occhi a palla, un grande fan di Harry Potter.
Comunque, la ragazza gli aveva chiesto dove di portarla da Cho Chang, ed il bambino le aveva spiegato che non si trovava in camera sua, ed allora la aveva condotta nel dormitorio maschile, nella stanza di Anthony Goldstein e Micheal Corner, dove, per inciso, si era radunata tutta la squadra dell’esercito di Severus.
C’era Padma Patil, comodamente seduta a gambe incrociate sul pavimento, e Marietta Edgecombe, seduta sul letto di Anthony, con Cho Chang dietro di lei che le faceva le trecce ai capelli. C’era Terry Steeval, sbracato sulla brandina di Micheal, accanto a lui, e Anthony, ovviamente, in piedi, appoggiato all’armadio. Sembravano tutti alquanto irritati.
Appena Hermione era entrata nel dormitorio, Padma si era presa la premura di cacciare via il piccolo Nigel con fare stizzito, cosa che aveva alquanto infastidito la Granger, ed Hermione era stata introdotta nella stanza. Anthony si era allora staccato dalla parete e, dopo averle dato una piccola spinta, aveva chiuso la porta dietro di lei, mentre Micheal pronunciava un Muffiato.
Tutti, in quell’istante, avevano taciuto, guardandola. Wow, quello sembrava un circolo nel circolo, una sorta di cricca segreta fra persone troppo intelligenti per parlare con gli altri. Per inciso, ora la stavano guardando dall’alto in basso.
“Cho, dov’è Luna?” aveva chiesto Granger. C’era stato un po’ di silenzio. I presenti si erano guardati scocciati e colpevoli fa loro. “Cho, ti ho chiesto dove è Luna” aveva ripetuto Hermione con fare più deciso, alzando di due toni la voce, in modo severo “Noi… noi non… non l’abbiamo invitata.” le aveva riposto timidamente la ragazza, arrossendo un poco “Già, è un po’ strana.” si era limitato a commentare Anthony “Fa comunque parte dell’Esercito!” aveva protestato Hermione, e nessuno aveva risposto. Qualcuno di loro aveva abbassato lo sguardo.
In quel momento, Hermione Granger aveva mentalmente ringraziato il cappello parlante di non averla smistata in Corvonero, lì erano tutti così spocchiosi e fanatici della propria intelligenza, dio quanto le davano ai nervi!
“Credo che se questa è, come credo, una riunione per parlare dell’Esercito, penso che lei dovrebbe senz’altro venire ammessa, ecco. Quindi, vado a chiamarla…” fece avviandosi verso l’uscita. “Ferma!” fece Micheal mettendole una mano sulla spalla, “Fermati pure, vado io”, e ciò detto l’aveva superata per uscire dalla propria stanza, con tono alquanto scocciato, a dire il vero.
Nel giro di mezzo minuto, era tornato con Luna.
La ragazza si era lasciata scivolare a sedere sul pavimento, Micheal aveva richiuso la porta, Anthony l’aveva muffiata di nuovo, e la riunione era ripresa.
Con suo non molto stupore, Hermione si era resa conto che, come il caro Ronald aveva predetto, i Grifondoro non erano certo gli unici a lamentarsi.
Anche i presuntuosi Corvonero non parevano volersi assolutamente astenere dal dire la loro. Le loro lamentele e quelle dei Grifondoro erano praticamente identiche, ma questa volta il discorso di Hermione era stato differente.
Ma come potevano loro mai dirsi Corvonero, se non erano intelligenti abbastanza da capire che il professor Piton era la loro unica chance di salvezza, che sarebbero stati finiti senza di lui? Oh sì certo, Piton era un osso duro, su questo non c’erano dubbi, e il modo con cui si era comportato con Harry quel giorno li aveva praticamente shockati tutti, ma erano davvero così stupidi da non capire che il professore stava facendo tutto questo per il loro bene?
Sì, ok, anche questo discorso era stato molto più lungo, e bello abbastanza da lasciare a bocca aperta persino i Corvonero, ma ad orazione conclusa Hermione stavolta non si era crogiolata fra gli allori e, veloce come un fulmine, era scivolata fiera verso il piano terra. Qualcosa le diceva che avrebbe dovuto presto discutere anche con i Tassorosso.
Quindi, una volta scese le scale, le quali, tempismo brillante a parte, avevano preferito spostarsi una quindicina di volte, prima di farla arrivare alla meta, Hermione si era avviata verso il dormitorio. Aveva superato di corsa la sala grande e si era diretta verso le cucine, e poi si era messa a bussare forte mentre il quadro di una natura morta se ne stava placido a guardare.
Finalmente, dopo due minuti buoni, qualcuno si era deciso ad aprirle.
“Susan!” aveva esclamato Hermione nel vedere il volto della Bones apparire da dietro il dipinto. “Oh, Hermione, sei qui,” aveva commentato la ragazza come se la cosa non fosse poi una così buona notizia “arrivi al momento giusto, se sei qui per l’Esercito, con gli altri ne stavamo giusto parlando.”
E ciò detto le aveva permesso di entrare. Quindi, Hermione l’aveva seguita attraverso all’accoglientissima sala comunque Tassorosso, inciampando tra l’altro nella bellezza di due cuscini gialli e neri disordinatamente abbandonati a terra, ed era stata introdotta da Susan, mediante il passaggio in numerosi sottopassaggi tutti ornati di coloratissimi arazzi neri e gialli, in quello che doveva essere il dormitorio di Zacharias Smith.
Come Susan si era lasciata sfuggire, e come Hermione avrebbe comunque potuto benissimo capire da sola, in quel dormitorio si erano già riuniti, prima del suo arrivo, tutti i membri Tassorosso dell’Esercito.
C’era Ernie McMillan, appollaiato su una poltrona gialla, e c’era Justin Fich, comodamente sbracato sulla propria branda, mentre Hannah Abbott sedeva a gambe all’aria su un’altra poltrona e Zach se ne stava in piedi, appoggiato al suo armadio.
Anche loro, ovviamente, si lamentavano. Prima ancora di dar loro il tempo comunque di esploderle in faccia tutte le loro proteste, Hermione aveva muffiato la porta, ed aveva cominciato la propria orazione.
Ma che bravi Tassorosso che erano, leali fino in fondo, pronti a mollare il proprio insegnante che si stava rischiando libertà e carriera pur di aiutarli dopo avergli giurato fedeltà, complimenti davvero! Lui, lui che si era messo in gioco pur di aiutarli, lui che si stava sacrificando per loro… beh, solo sarebbe rimasto, perché tutti i suoi allievi lo avrebbero tradito.
E ad orazione fatta, un’orazione molto più lunga, ma, ormai, che ve lo dico a fare (?), Hermione era uscita con fare indispettito dal dormitorio, riuscendo a trovare a fatica l’uscita, poi si era fiondata di nuovo su per le scale per raggiungere il proprio dormitorio e, una volta arrivatavi (le scale le avevano fatto la clemenza di cambiare posizione solo cinque volte), si era sbrigata a chiudersi in camera senza ascoltare niente e nessuno, commentando la faccenda lezioni di Piton come un’affare già chiuso.
Quindi, si può dire che, se tutti gli studenti erano risultati presenti anche quel giorno in aula, il merito era solo che suo.
Certo, le sarebbe piaciuto molto potersene vantare con il suo insegnante, prendersene i meriti, i riconoscimenti, e magari anche qualche complimento, ma la giovane Hermione Granger sapeva fin troppo bene di quanto il suo professore non fosse affatto tipo da lodi, e, inoltre, temeva che ne sarebbe uscito alquanto irritato se avesse saputo che nessuno dei suoi alunni era rimasto soddisfatto di lui. Quindi, programmò di tacere.
Come la volta precedente, il professor Piton aveva messo lei, Ron ed Harry a controllare l’ingresso prima della lezione, e questo aveva provocato il fatto che a Harry erano sanguinate le mani per quanto aveva stretto forte le unghie nei pungi per non rispondergli male, e Ron aveva cominciato a lagnarsi e a blaterare sul come probabilmente avrebbero dovuto sortirsi quell’incarico durante tutte le lezioni.
Quando l’ora era scattata, il professore aveva dato segno di chiudere la porte, si era piazzato dinnanzi a loro, ed aveva fatto nuovamente l’appello. Benché lo sapesse, questa volta Harry era stato bel lungi dal dirgli che c’era già tutti!
Come la volta scorsa, Severus Piton aveva srotolato la sua pergamena, e, dopo aver fatto un rapido conto ed essersi accertato mentalmente che ci fossero tutti, aveva cominciato l’appello, ed è proprio qui che eravamo rimasti, con Hermione che si guardava a sua volta attorno, sorprendendosi che ci fossero tutti.
- Hannan Abbott? – chiamò il professore senza prima esortare gli studenti neppure con il cenno di un ciao.
- Presente, professore – gli rispose una ragazza alta e magra, con le guance un po’ incavate e delle treccine bionde a incorniciarle il viso.
Il look era lo stesso del colloquio, o meglio era lo stesso di sempre, ma al professore ricordò il colloquio, in particolare, ed il modo in cui questo era andato.
La giovane Tassorosso si era presentata alquanto in orario, e, una volta entrata in aula, aveva chiesto permesso. Il ché, gli era sembrato alquanto stupido. Insomma, non puoi entrare in un luogo e dopo chiedere il permesso, o lo chiedi prima o non lo chiedi affatto, accidenti! Comunque, permesso a parte, la ragazza gli si era seduta davanti. Ah, dimenticavo, la ragazza era entrata nel suo studio subito dopo il colloquio di giovane Ernie McMillan. Quando il ragazzo era uscito, per inciso, i due si erano battuti il cinque sulle nocche, e poi lei era entrata eccetera eccetera, ma ora, torniamo a lei.
Solo quando la ragazza gli si era seduta davanti il professore aveva potuto notare il fatto che non indossasse l’uniforme Tassorosso di Hogwarts, ma ben sì la sua divisa da quidditch. Il che era strano. L’allenamento di quidditch Tassorosso doveva esser finito infatti, per quel che sapeva lui, circa mezz’ora prima. Mezz’ora sarebbe stata più che sufficiente per tornare in dormitorio a cambiarsi. Ed invece era venuta lì in tremendo anticipo e per fare cosa? Ah, già, per star fuori ad una porta ad aspettare, che cosa stupida. Severus avrebbe potuto scommettere con chiunque per qualunque cifra volesse che la sua scopa doveva essere appoggiata proprio dietro lo stipite della sua porta, ora fedelmente controllata dall’occhio vigile del suo amico Ernie Mcmillan. Ah, ecco ecco perché era venuta prima, che stupido a non averlo pensato prima! Visto che il colloquio del suo amico era mezz’ora prima del suo, la ragazza doveva aver scelto di arrivare anche lei in anticipo per sostenerlo. Roba da Tassorosso, tze! Sarebbe potuta andare in camera a cambiarsi, farsi una bella doccia magari, e presentarsi in modo un po’ più adeguato a quel colloquio, invece di stare a perder tempo dietro ad una porta chiusa solo per essere di sostegno al suo amico, per l’amore del cielo! E poi, se proprio non avesse voluto deluderlo avrebbe potuto accompagnarlo, promettergli che sarebbe rimasta lì per tutto il tempo, e invece correre a cambiarsi appena lui si fosse chiuso dietro la porta, cambiarsi in camera e tutto il resto, e poi ritornare sul luogo appena fatto, e così avrebbe potuto darsi una rinfrescata ed Ernie non avrebbe mai sospettato di nulla. Certo, forse avrebbe potuto notare che la giovane indossava abiti differenti, ma il Tassorosso in questione non sembrava essere troppo sveglio da accorgersene, senza contare che quella non era certo il tipo di cosa a cui i ragazzi maschi di quindici anni facevano caso, quasi sicuramente Hannah ne sarebbe riuscita illesa. Quindi, di tutte le opzioni che le si propinavano davanti, la Tassorosso sembrava aver scelto quella più stupida. Beh, pensò fra se e se Severus Piton, quantomeno avrebbe potuto risparmiarsi la domanda sulla fedeltà per questa volta…
“Il motivo per cui sono qui…” aveva risposto la ragazza rispondendo alla sua prima domanda, “il motivo per cui sono qui non lo so di per certo, a dire il vero. Insomma, stavo studiando per il compito di Difesa Contro le Arti Oscure con il mio amico Ernie nella sala comune Tassorosso quando è entrato Zach. Beh quando gli abbiamo chiesto se volesse unirsi a noi, lui ci ha risposto con fare un po’ montato, che quella che stavamo studiando non era la vera materia, che lui e che a lui non servivano certo gli insegnamenti della Umbridge, e che ben presto avrebbe avuto di meglio. Insomma ci siamo informati un po’ e lui ci ha spiegato tutto l’affare di questa classe. Beh, ecco, la cosa ci ha colpiti fin da subito. La vedevamo come una sorta di protesta, come un modo per prenderci quello che la scuola ci doveva di diritto, un qualcosa di straordinariamente proibito ed eccitante, insomma, una rivolta! Abbiamo passato tutta la serata a parlarne, dimenticando completamente tutte le altre cose che avevamo da fare (inutile dirle che il compito è andato male, giusto?), e quando sono andata a dormire ero così eccitata all’idea! Quasi non ho chiuso occhio per tutta la notte. La mattina dopo, ragionandoci a mente fresca, mi sono accorta che forse avevamo cantato vittoria troppo presto. Insomma, nell’eccitazione della novità ci eravamo limitati ad esaltare tutti i lati positivi che la cosa poteva offrirci, scordandoci di quelli negativi. Così, mi ci sono messa di impegno ed ho cercato di analizzare la cosa in maniera esauriente. La minaccia costante della Umbridge, il tempo da dedicare alle lezioni clandestine (che sarebbe dovuto essere irrimediabilmente tolto allo studio di altre materie, o magari al quidditch), avere lei come insegnate e tutto il resto. Beh, sai cosa le dico? Con le cose negative aggiunte, questa storia è riuscita a piacermi persino di più. Non so perché sono qui, non lo so di sicuro, però so che non c’è altro posto, in cui al momento vorrei stare.”
Il resto del colloquio adesso non se lo ricordava di preciso, eppure quella parte lo aveva colpito. Punto primo, era stata sincera, e questa era una cosa importante, punto secondo, quella cosa sul non c’è altro posto in cui vorrei stare l’aveva trovata molto azzeccata, gli aveva fatto un gran buon effetto. Quindi, sorvolando sul fatto che l’avesse catalogato fra le cose negative della lezione, la ragazza era stata comunque ammessa alla sua classe.
- Katie Bell? – scandì il professore.
- Presente – gli rispose la ragazza alzando un poco la mano.
Vista l’imminente partita di quidditch fra Tassorosso e Grifondoro e non volendo essere accusato di essere di parte, il professore ritenne opportuno soffermarsi un momento anche su di lei. Diciamo pure che, anche se questo non era affatto dipeso dalla povera Katie, il suo colloquio era stato la cosa più vicina a una catastrofe naturale che il caro professor Piton avesse visto negli ultimi vent’anni. Ed era già tanto che il colloquio ci fosse stato, a dirla tutta, ma sarò più chiara.
Innanzi tutto, il suo colloquio era stato stabilito subito dopo la lezione di Severus agli studenti del primo anno di Corvonero e Tassorosso, ed essendo che a quanto pare i bambini di undici anni non potevano dirsi abbastanza intelligenti da saper mantenere in equilibrio un calderone su un tavolo, due piccoli Tassorosso gli avevano fatto la gentile concessione di versargli addosso tutta quella poltiglia giallognola (che teoricamente, molto teoricamente, sarebbe dovuta essere una pozione restringente). Ovviamente, Severus Piton aveva tolto loro trenta punti a testa, ma non aveva comunque potuto allontanarsi dall’aula prima che finisse la lezione per ragioni di sicurezza (se i suoi brillanti studenti erano riusciti, in sua presenza, a rovesciare a terra un intero calderone, era meglio non sapere che cosa sarebbero stati in grado di fare una volta lasciati soli). Finita l’ora, comunque, il professore era slittato immediatamente nella propria stanza a cambiarsi.
Anche Harry, Hermione e Ron, sfortunatamente, avevano tardato.
La prima aveva già avvisato il suo insegnante che non sarebbe riuscita a venire causa lezioni di Antiche Rune, e gli altri due se l’erano presa comoda, vista l’assenza della puntualissima Hermione, contando che comunque la loro presenza non avrebbe alterato in qualcun modo il colloquio della loro compagna.
Il loro ritardo, invece, era stato fatale. Innanzi tutto, arrivata perfettamente in orario, Katie si era ritrovata davanti ad una stanza vuota. Aveva titubato un po’ quindi dinnanzi alla porta dell’ufficio, aspettando che arrivasse qualcuno. Il problema però era il seguente: quello che avrebbe avuto con il suo insegnante sarebbe stato un incontro clandestino, e quelli del sotterraneo, in cui lei si trovava al momento, erano luoghi Serpeverde, e quindi luoghi in cui era alquanto pericoloso sostare. Insomma, se le care serpi l’avessero notata lì, cosa assai probabile trovandosi in loro territorio, di sicuro avrebbero trovato la cosa alquanto strana, si sarebbero insospettiti. Quindi, dopo aver indugiato ancora un poco sperando di vedere la pipistrellina figura del suoi insegnante comparire all’orizzonte, aveva deciso di entrare nel suo studio. Probabilmente il suo professore si sarebbe arrabbiato nel trovarla lì, ma almeno sarebbe stata fuori pericolo. E così era entrata.
Allora, per era entrata intendo dire che aveva lentamente mosso un piedi avanti all’altro per raggiungere esitante la cattedra vuota del suo insegnante, richiudendo la porta dietro di se. E poi si era seduta sulla sedia. Intanto, il professor Piton, finito di cambiarsi s’era mosso verso il suo studio, e, vedendo vuoto il corridoio davanti al suo studio, aveva controllato l’orario. Dieci minuti, dieci minuti l’aveva fatta aspettare questa povera alunna, e quindi, tanto voleva andarsene. Punto primo perché, se la ragazza non era ancora arrivata questo voleva dire che aveva più di dieci minuti di ritardo, ed in questo caso non meritava neppure di esser sentita. Punto secondo perché, in caso la ragazza fosse già arrivata ed avesse deciso di andarsene, anche se da una parte avrebbe forse avuto ragione, visto il suo ritardo, dall’altra mostrava un enorme senso di superiorità nel non concedere il beneficio di un ritardo neppure a un suo insegnante. E poi dov’erano Potter e Weasley?? Quindi, l’uomo era salito, stizzito, fino a torre Grifondoro, e lì aveva tolto venti punti a testa ai due scapestrati, informandoli comunque che il colloquio della signorina Bell non si sarebbe tenuto affatto. Dopo questo, era tornato nei sotterranei, intenzionato a rilassarsi un po’ nel suo ufficio prima di dover affrontare la lezione di Serpeverde e Corvonero nell’ora successiva. Ma torniamo a Katie. Allora, noi l’avevamo lasciata comodamente seduta sulla sedia di fronte alla cattedra del suo insegnante, e ci stava da ben venti minuti, che, sommati ai cinque che la ragazza aveva atteso prima di entrare, significavano un totale di ben venticinque minuti di ritardo, quindi direi che la povera ragazza aveva aspettato anche troppo. Quindi, pensando che forse doveva aver sbagliato orario o giorno, e che il professore si sarebbe arrabbiato abbastanza, vista la sua mania per la puntualità se avesse saputo che si fosse confusa su ora e data, decise che sarebbe stato meglio se se ne fosse andata da quell’ufficio il prima possibile. Quindi, si era avviata verso l’uscita. Ma torniamo al professore. Innanzi tutto, questo stava per entrare nello studio, mentre un Hermione Granger correva veloce in sua direzione brandendo in mano piuma, pergamena e boccetta di inchiostro. Per poco non glielo rovesciò addosso. “Lo sa, Antiche Rune sono la mia materia preferita” gli aveva comunicato la giovane, mentre il professore la guardava con un’espressione da e a me dovrebbe interessare perché…?? “e quella di oggi era, per inciso, una delle lezioni più affascinanti a cui io avessi mai preso parte, ecco” l’espressione di Piton non era cambiata affatto “Ed allora che cosa ci fa fuori dalla classe, signorina Granger?” si era limitato a chiederle “Ho finto di stare male con la professoressa Bathsheda Babbling e sono corsa fuori. Sa che cosa le dico, professore? Penso che se qualcuno si prende un impegno allora deve rispettarlo, ecco, e quindi sono corsa qui, perché questa classe è più importante ed io non vengo meno alla parola data e poi…” e mentre faceva il suo bel discorso Hermione era comodamente situata proprio dinnanzi alla porta, con pergamena, piuma, e soprattutto boccetta d’inchiostro ancora in mano. Ma torniamo a Katie, la ragazza stava appunto lasciando l’ufficio, e, mentre Hermione sostava presso l’uscio, la Bell aveva spinto la porta in modo da aprirla.
In quel momento, causa l’urto, la bottiglietta di Hermione le era scivolata dalle mani andando a versarsi sulla tunica appena cambiata del suo insegnante. I tre si erano guardati.
“Punto primo, signorina Bell,” aveva cominciato Piton “che cosa diamine ci faceva nel mio ufficio? Punto secondo, signorina Granger, quando è passata di moda la buona usanza di mettere i tappi alle boccette?” dopo di che entrambe le ragazze avevano avuto il tempo di spiegarsi, Hermione aveva ammesso di aver dimenticato il tappo in classe nella fretta di uscire, mentre Katie aveva raccontato tutta la storia. Chiariti tutti gli equivoci, Hermione era corsa in torre a chiamare Harry e Ron, ed il colloquio c’era stato. E non era andato male, dato che la ragazza era ora presente in aula, ed oltre tutto, dopo tutta quella storia degli equivoci e visto tutto il tempo che l’aveva fatta aspettare ci sarebbe mancato solo che Severus non la prendesse fra i suoi quella povera alunna!
- Susan Bones? – chiamò il professore.
- Presente – gli rispose la ragazza.
- Lavanda Brown? – chiese ancora.
- Presente, professore – fece lei, contorcendosi incerta una ciocca dei capelli biondi introno a due dita, mordendosi le labbra. Il suo ragazzo era puntato verso Ronald Weasley, sebbene lui non se ne accorgesse.
Quella scena, con la cosa dei capelli e delle labbra, ed anche quella di Weasley, erano tutte cose che il professore aveva già visto… durante il colloquio della ragazza...
Lavanda si era presentata con ben dodici minuti di anticipo presso la porta del suo ufficio, ed aveva indugiato mordendosi le labbra ed arricciando i capelli, fino a che il suo insegnante non l’aveva invitata ad entrare.
Subito dopo essersi seduta dinnanzi alla cattedra, la ragazza aveva puntato il giovane Ronald Weasley, ed aveva continuato a fissarlo per tutto il tempo, anche se il ragazzo non se ne era mica accorto. Certo che no, nossignore, era troppo occupato a giocare con il signor Potter a tihotoccato tihottocato, lui. Tipico…
“Allora, signorina Brown, per quale motivo si è presentata lei qui?” gli aveva chiesto il professore, cercando di distrarla dai giochi di Weasley. Dopo tre secondi netti di assoluto silenzio e contemplazione, la ragazza era finalmente riuscita a capire che il professore stava parlando con lei, quindi s’era rianimata, aveva volto lo sguardo verso di lui, e poi aveva detto: “Beh, stavo nel dormitorio Grifondoro quando ne ho sentito parlare, insomma, io non ci credevo mica a tutta questa storia di Lui e tutto il resto, insomma, se lui fosse tornato davvero la professoressa Cooman lo avrebbe previsto!” e qui Severus Piton aveva trattenuto un sospiro “Quindi stavo appunto parlando di come pensavo che tutta questa storia fosse solo una fantasia quando è entrata Hermione. Lei ha fatto tutto un discorso su come fossi stupida a non preoccuparmi, e su come Silente ed Harry avessero ragione, e su come tutti fossimo in pericolo eccetera.” Il professore si era allora girato verso la Granger, a lanciarle un’occhiata loquace del tipo è mai possibile che, in un modo o nell’altro, debba sempre esserci di mezzo tu?!?!? , e poi era ritornato a guardare la Brown, aspettando che continuasse a parlare. “Ecco,” aveva proseguito la ragazza “io non dico di crederci appieno adesso, eppure il discorso di Hermione mi ha fatto pensare” “Ctm, impossibile!” aveva sussurrato Hermione mascherando il tutto con un finto colpo di tosse. Il professore le aveva dato una gomitata per farla tacere. “Continui pure, signorina Brown” aveva fatto poi, e la ragazza, pur non avendo fortunatamente capito nulla di ciò che era successo, aveva ripreso. “Dicevo, che il discorso di Hermione mi ha fatto davvero riflettere. Insomma, ovviamente Lui è morto e non può assolutamente ritornare in vita, sono fermamente convinta di tutto questo, ma se non fosse così…? Insomma, nella remota possibilità che Lui fosse davvero tornato… come farei a difendermi io? Le lezioni della Umbridge non sono certo un gran che, ecco. Ed in più, anche se, come credo, non c’è nessun pericolo, qualche lezione extra non mi farà certo male, no? Quindi è per questo che sono qui, perché se Lui sia tornato o no, tanto vale prepararsi a combattere.” Questo, aveva pensato il professore, era un buon discorso. Non il migliore che lui avesse mai sentito, eppure era sensato. E soprattutto ricco dell’umiltà di chi sa mettersi in dubbio. Pur non condividendo la credenza del ritorno di Voldemort, la ragazza non peccava di così tanta ottusità da negare totalmente quella possibilità, e questo era buono. Forse, e dico forse, pensò il professore, la giovane Lavanda Brown era molto meno stupida di quanto la cara Hermione Granger avesse pensato. La studentessa in questione, invece, non pareva essere affatto d’accordo. Per tutta la durata del suo colloquio, ossia durante le domande che avevano seguito questa, non aveva fatto altro che sussurrare commenti sarcastici, o lanciare occhiate al professore del tipo le faccia una domanda più difficile! Le faccia una domanda più difficile! ma, per quanto hermione si fosse prodigata per il contrario, la giovane Lavanda Brown era stata comunque ammessa a quella classe.
- Colin Canon? – chiamò il professore.
- Presente.
- Denis Canon?
- Presente.
E dopo che i due fratelli Grifondoro ebbero finito di rispondergli, il professor Piton poté concentrarsi un momento anche su di loro.
Erano entrati insieme, e, appena s’erano seduti dinnanzi alla cattedra, lo sguardo di Denis era andato a perdersi nell’immagine del giovane Harry Potter. Il fratello maggiore gli aveva dato un pizzicotto per farlo distogliere e poi aveva mosso la mano a salutare Harry, tutto contento. Il professor Piton, da principio, s’era solo limitato a guardare la scena. Dio mio quanto sembravano piccoli quei due ragazzini! Oh, sì, il più grande aveva la stessa età di Ginevra Weasley, solo un anno in meno di Potter, eppure sembravano molto, molto più piccoli. Vederli lì, presenti a quel colloquio, l’aveva trovata una cosa tremendamente commovente.
“Siamo qui per aiutare Harry,” gli aveva risposto Denis quando Severus aveva formulato la sua domanda “perché avrà proprio bisogno di noi in caso il signore oscuro dovesse tornare.” Al professore era venuto da ridere. “E in che cosa potreste essergli utili, di grazia?” aveva chiesto loro cercando di rimanere serio, e stavolta, mentre Denis taceva pensando a cosa rispondere, era stato Colin a parlare. “Beh, noi vogliamo lottare!” gli aveva risposto il ragazzino, “Sì,” l’aveva appoggiato entusiasta il fratello, “noi faremo di tutto pur di aiutare Harry, perché lui è un eroe. Noi gli abbiamo creduto fin da subito!” “Harry non direbbe mai una bugia,” aveva spiegato Colin “è troppo in gamba lui per mentire, non lo farebbe mai!” “Ah davvero?” gli aveva chiesto il professore, rivolgendo ad Harry, istintivamente un’occhiata amichevole alla sembra che ci troviamo al cospetto di due leaders del tuo fan club. Harry era rimasto un po’ stupefatto dinnanzi a quell’occhiata e, appena il professore s’era reso conto di ciò che aveva fatto, aveva piegato il viso in una smorfia severa ed aveva continuato come se niente fosse. “Non pensate di essere un po’ troppo piccoli per tutto questo?” aveva chiesto ai due ragazzini “Ma vuole scherzare?” gli aveva risposto Colin “un’organizzazione segreta, dei messaggi in codice, il pericolo dietro l’angolo, è il sogno di ogni ragazzo. Lei piuttosto non sarà un po’ troppo vecchio?”. Ronald Weasley era scoppiato a ridere. Severus Piton gli aveva lanciato un’occhiata truce. “Questo non è un gioco” aveva sottolineato l’insegnante, “capisco bene come tutto possa sembrarvi esilarante ma è una faccenda seria, siete almeno consapevoli dei pericoli a cui andate incontro? Insomma, non parlo della Umbridge, io parlo di Voldemort stesso, se mai ci sarà la battaglia. “Francamente,” gli aveva risposto il piccolo Denis “a me fa più paura la Umbridge. Insomma,” aveva ripreso dopo una brevissima pausa “io di certo non ho mai visto Voldemort, eppure non credo proprio possa essere così brutto!” Al che, ovviamente, Harry, Ron, Hermione e Colin erano scoppiati a ridere. Il professor Piton, trattenendo a sua volta le risate, aveva richiamato tutti all’ordine. “Oh, mi creda, signor Canon” gli aveva risposto “Lord Voldemort è molto, molto più brutto. Era già brutto all’epoca della prima guerra, ora lo è ancora di più. So che può sembrare arduo da credere ma posso dirle che Dolores Umbridge potrebbe essere considerata una bella donna in confronto a lui.” “Ora non esageriamo!” aveva commentato Ron, mentre Harry guardava torvo il suo insegnante e, dopo che questo ebbe zittito Ronald per la seconda volta, ignaro dello sguardo di Harry, il colloquio era ricominciato. “Ci rendiamo conto dei rischi” aveva spiegato Colin “ma questo non cambia comunque il fatto che vogliamo lottare. Noi siamo leali, e siamo coraggiosi, e vogliamo farlo, lo vogliamo davvero tanto, professore, davvero davvero tanto, perché non dovrebbe ammetterci?” “Non lo so,” aveva risposto lui il professore, con fare seriamente indeciso “è solo che mi sembrate davvero troppo, troppo piccoli, per questa cosa.” “Sa che le dico, professore?” aveva repilicato Colin “che noi lotteremo al fianco di Harry che lei ci istruisca o no, a questo punto, se ci tiene davvero alla nostra incolumità, non è forse meglio che lei ci prepari? Siamo più piccoli, è vero, ma è proprio per questo che dovremmo essere istruiti al pari degli altri, professori, perché se Lui è tornato non esiterà ad ammazzare dei ragazzini, come ha fatto la scorsa volta, e noi non sapremo difenderci. Ci alleni professore, magari così ci salva la vita.” Diciamo che Severus Piton si era un tantino intenerito, ma aveva fatto di tutto per non darlo a vedere. “E va bene, va bene,” aveva risposto loro, mentre sul volto dei due ragazzini andavano a schiudersi due sorrisi giganti “siete ammessi alla classe, ma di quella faccenda del combattere ne dobbiamo riparlare, perché ci sono diversi punti che non quadrano proprio in quella storia, d’accordo? Ora firmate e correte in classe, avanti!” ed i due avevano firmato tutti entusiasti, e poi avevano lasciato l’aula. Hermione e Ron si erano messi a parlottare come facevano di solito loro tre alla fine di ogni colloquio, mentre l’insegnante scriveva qualcosa sulla sua pergamena, ma Harry, stavolta era rimasto zitto. Guardava ancora torvo il professore. “Lei come lo sapeva?” gli aveva chiesto infine “Sapevo cosa?” gli aveva risposto Piton “Di come fosse Voldemort ora che è tornato. Io sono stato l’unico che lo ha visto, l’unico dei nostri. Lei come sapeva quale fosse il suo aspetto. Lei non lo ha mai visto… oppure no?”. Severus Piton aveva sentito il sangue raggelarsi nelle vene. Sì che l’ho visto invece, aveva pensato, l’ho visto perché sono tornato ad unirmi a lui, proprio come Silente mi aveva chiesto, per continuare il mio squallido triplo gioco e salvarti la vita, sottorazza di ingrato! Eppure, la sua risposta era stata differente. “No, non l’ho visto” si era limitato a rispondere “ma ho immaginato che dopo la morte si peggiori, ed inoltre volevo spaventarli un po’, vedere come reagivano, tutto qui. Potete andare.”, e ciò detto si era limitato a tornare a rivolgersi le sue attenzioni al suo foglio, ma Harry non pareva comunque esser troppo convinto. Comunque, seguendo Hermione e Ron aveva comunque lasciato l’aula, girandosi un’ultima volta a guardare il suo insegnante, che aveva fatto finta di nulla. Promemoria per Severus Piton, aveva pensato l’uomo una volta rimasto solo, fare molta, molta più attenzione la prossima volta.
- Cho Chang? – chiamò Severus.
- Presente – rispose la ragazza alzando leggermente la mano.
- Micheal Corner?
- Presente, professore – rispose Mich.
- Marietta Edgecombe?
- Presente – rispose lei, ed il professore non poté fare a meno di dedicarsi un secondo al suo colloquio.
Per inciso, quello della ragazza era stato, fra i tanti, uno dei colloqui che gli era piaciuto meno.
La ragazza era entrata nel suo ufficio esitante, incoraggiata dalla sua cara amica Cho Chang, subito dopo il colloquio di quest’ultima. A metà strada, si era voltata verso l’amica facendole come cenno di non voler proseguire, cenno al quale la ragazza aveva risposto con uno sguardo rassicurante, e poi Marietta s’era girata ed aveva proseguito. Seduta che s’era sulla sedia, s’era voltata un’altra volta per controllare che la sua amica ci fosse ancora. Con un gesto della bacchetta, il professor Severus Piton s’era sbrigato a chiudere la porta. “Mi dispiace, signorina Edgecombe,” aveva spiegato alla ragazza “ma questo è un colloquio privato, nessun altro alunno ha avuto l’opportunità di portarsi dietro un amico, e non intendo fare alcuna eccezione. Allora, perché mai lei è qui?”. Prima di rispondere alla domanda, la ragazza aveva esitato un po’, girandosi l’ennesima volta in direzione della porta, ma stavolta l’aveva trovata chiusa. Era quindi tornata a guardare il suo professore, che già aveva cominciato a scocciarsi. “Beh, io,” aveva risposto la ragazza in tono alquanto agitato e insicuro “io, beh, sono qui, io beh, io sono qui perché, beh, ecco, ecco io sono qui perché, cioè, io, ecco, io sono qui, beh, io sono qui perché penso che, cioè, che sia la cosa giusta, ecco.” “Oh beh, è stata chiarissima!” si era limitato a commentare il suo insegnante “Ora le dispiacerebbe spiegarmelo senza intervallare la frase con particelle scomode all’udito quali cioè, ecco e beh? Gliene sarei immensamente grato.” La ragazza aveva esitato. “E’ la cosa giusta da fare, ecco” si era limitata a rispondere poi. Quell’ecco era stata come una pugnalata d’un coltello bollente nelle orecchie del suo professore. Comunque, Severus Piton s’era astenuto dal commentare. “Ah davvero?” aveva chiesto lei “E che cosa intende con la cosa giusta da fare, signorina Edgecombe?”. La ragazza aveva indugiato ancora. A dire il vero, quei suoi troppi silenzi stavano davvero dando sui nervi al professore, ma andiamo avanti. “Intendo dire che questo sarà molto meglio della Umbridge” aveva risposto la ragazza come se stesse recitando una frase imparata a memoria “ed inoltre noi siamo in per… no, siamo tutti in grave pericolo ora che Lui è tornato e quindi per me sarebbe molto importante se lei mi, cioè, se lei, se lei mi istruisse, ecco.” Ecco un cazzo, avrebbe voluto risponderle il suo insegnante, ma era riuscito a trattenersi. “Sa, signorina Edgecombe,” le aveva detto “se non è convinta, può benissimo non partecipare, dico davvero. Dubito che la sua amica smetterebbe di parlarle o checchessia, e questa è una faccenda seria, quindi, per favore…” “No, professore, lei non capisce, lei deve assolutamente ammettermi alla classe, io… io ci tengo davvero, davvero davvero, e poi…”. In poche parole, lo stava supplicando. Lo stava praticamente supplicando. Era come però che della classe in generale non gliene fregasse più di tanto, che fosse lì tanto così, come se per lei farne parte significasse una bella esperienza con la sua amica. E questo, ovviamente, non andava affatto bene.
Severus Piton si era quindi alzato dal tavolo ed aveva raggiunto un piccolo armadio vicino alla porta. Ne aveva estratto cinque tazze colorate, vi aveva versato dentro il contenuto di un termos dell’acqua calda, e poi ci aveva adagiato delle bustine di tè. Lentamente, con circospezione, aveva lasciato scivolare una fiala di liquido ambrato dalla manica della tunica fino alla mano e, dopo aver fatto cedere il tappo, ne aveva versata una goccia nella prima delle tazze. Tutto questo ovviamente era sfuggito a Marietta, come era sfuggito a Harry e Ron. Peccato, però, che non fosse sfuggito a Hermione… Comunque, il professore aveva riposto la fiala nella fodera della tunica, e poi era tornato al tavolo. “Per lei, signorina Edgecombe,” aveva detto porgendole la tazza in cui aveva versato il liquido “spero che il tè l’aiuti a rilassarsi”. E poi aveva allungato agli altri tre ragazzi le altre tazze, e ne aveva tenuta una per se. Lo aveva notato, lo sguardo di rimprovero e sospetto con cui Hermione Granger lo avevo guardato, eppure lui lo aveva fronteggiato con espressione severa, e poi aveva fatto finta di nulla. Era quindi tornato a sedersi, mentre la Granger continuava a circoscriverlo con lo sguardo. Hermione non sembrava affatto intenzionata a desistere. Girava veloce lo sguardo dal suo insegnante a Marietta, incerta sul che cosa fare. Quando la ragazza aveva portato la sua tazza alla bocca però, la Granger non aveva potuto fare a meno di intervenire. “Lascia! Lascia! Quella è mia!” le aveva gridato Hermione prima che la ragazza potesse bere neppure un sorso. Tutti si erano voltati a guardarla, mentre Marietta le passava la tazza ed Hermione le cedeva la sua. E poi Hermione aveva spiegato la faccenda con un semplice: “E’ che mi piace questa di colore giallo”. Il professore l’aveva guardata di un male assurdo, la Granger aveva accennato a un sorrisetto spiacente, e il colloquio era ripreso. “Io sono molto fedele, dico davvero” aveva risposto la ragazza a domanda postale dal suo insegnante “non ho mai tradito nessuno, cioè, può chiederlo alla mia migliore amica, lei glielo può dire che sono fedele, lei le può dire…”. Ed era vero, a fedeltà era fedele, pensava il professor Piton, dato che, ovviamente, era lì solo su richiesta della cara Cho Chang. Questa, se non altro, pareva quasi essere una nota positiva. E poi il colloquio era andato avanti pressoché così, e poi il professore aveva suggerito a Marietta di lasciare la stanza, dopo averle fatto firmare la carta. Subito dopo che la ragazza se ne era andata, il professore s’era rivolto furibondo ad Hermione. “Lei dovrebbe davvero imparare a farsi gli affari suoi, signorina Granger!” le aveva sbraitato contro, “E lei dovrebbe imparare a fidarsi dei suoi studenti senza mettere nelle loro tazze del veritaserum, professore!” gli aveva risposto Hermione, gridando anche lei, ancora degli effetti della pozione. E poi i due avevano discusso per una mezz’oretta buona, mentre Harry e Ron si guardavano fra loro trattenendo le risate, e poi il professore aveva avuto il buon gusto di spedirli tutti e tre in classe. Ma torniamo al presente.
- Justin Finch-Fletchley? – chiamò il professor Piton.
- Presente – dichiarò il ragazzo.
Ed il professore, tanto per cambiare, ritenne opportuno soffermarsi anche sul colloquio di lui.
Punto primo, il ragazzo era un Tassorosso, per inciso, uno dei compagni di dormitorio di Zacharias Smith, e si era presentato al colloquio un giorno dopo di lui, cosa che sottolineava egregiamente l’ottima scelta compiuta dal professore ad ammettere alla sua classe il ragazzo. Per quel che ne sapeva, era stato lui a indirizzare alle sue lezioni quasi tutti i Tassorosso ora presenti ed i Tassorosso, per inciso, non erano affatto inadeguati per quelle lezioni, dato che c’era quanto mai bisogno di studenti leali per mantenere attiva una fondazione segreta come quella. Ma torniamo a Justin. Prima ancora che il professore avesse tempo di fargli domande, il ragazzo aveva cominciato a parlare a raffica. “Salve professore, sono davvero contento che lei abbia acconsentito a considerare le motivazioni per cui le chiedo di poter entrare a far parte della sua classe, dico davvero. Innanzi tutto, voglio dirle che sarebbe davvero fantastico per me venire ammesso alle sue lezioni, mi piacerebbe davvero imparare la Difesa Contro le Arti Oscure da qualcuno che non sia quel rospo della Umbridge, specialmente ora che siamo in così grave pericolo. Insomma, ho già rischiato troppo al secondo anno, essendo un nato babbano, con tutta quella storia del basilisco che non ho ancora capito alla perfezione, e mi piacerebbe sapere di potermi difendere ora, ecco. Ed inoltre aiutarlo a combattere sarebbe anche un modo per scusarmi con Harry per aver sospettato di lui, sempre per quella storia dell’Erede di Serpeverde, ecco. Ma, accanto, alle motivazioni di tipo teorico, ce ne sono anche alcune di fine pratico. Allora, innanzi tutto, lei deve sapere che i miei non sprizzavano affatto di gioia all’idea che io andassi ad Hogwarts, loro volevano che io andassi a Eton, un’ottima scuola babbana, ma, francamente, io preferisco di gran lunga essere qui. Comunque, oltre al fatto che i miei genitori non vedano troppo di buon occhio il fatto che io mi istruisca nelle arti magiche, ovviamente non vogliono che io corra il minimo rischio. Mia madre è davvero molto felice che sia la Umbridge ad insegnarci, insomma, preferisce di gran lunga sapere che studio sui libri che con quei pericolosi aggeggi che sputano scintille e con cui prima o poi finirò per farmi male, ma questo è solo perché lei non sa dei pericoli che sono sorti nel mondo magico (anche perché penso che mi sequestrerebbe immediatamente la bacchetta se solo lo sapesse). E mio padre è suppergiù della stessa opinione. Mio zio Julian però, è un mago, è lui quello che ha insistito con i miei affinché mi lasciassero andare ad Hogwarts, e si tiene sempre molto informato di ciò che accade e non accade nel mondo magico, e diciamo che non è neppure così sprovveduto da credere a una sola parola del Profeta sui fatti avvenuti l’anno scorso. Sotto suppliche e scongiuri, ha infine evitato di dire a mia madre e mio padre della morte di Cedric Diggory avvenuta qui a scuola l’anno scorso ma, benché io resti alquanto evasivo sull’argomento, ha capito benissimo da solo che, che il ministero voglia ammetterlo o no, c’è qualcosa che non và nel mondo magico, e che siamo tutti in pericolo. Quindi, dato che comprende pure che gli insegnamenti della Umbridge non ci stanno aiutando affatto per far fronte ai rischi che potrebbero verificarsi, penso che sia intenzionato a far gruppo con i miei e cancellarmi da scuola, ecco. E questa è una cosa che io voglio impedire. Quando l’altra settimana ho saputo da Zach di questa faccenda della classe segreta mi sono sbrigato a mandare una lettera a mio zio, nella quale missiva analizzavo la possibilità del tutto ipotetica di poter apprendere da un valido insegnante della scuola quelle che sarebbero state le nozioni fondamentali per far fronte al pericolo, pur senza mollare le lezioni della Umbridge che tanto piacciono a mamma. Il risultato è stato positivo. Zio Julian ha dato il suo consenso, promettendomi che avrebbe tenuto il tutto nascosto ai miei, soprattutto alla mamma (eh sì, sono un bel po’ le cose che le nascondiamo, a dire il vero), e che accetterà di tenermi a scuola almeno fino alla fine dell’anno, in caso io abbia qui i mezzi per imparare a difendermi. Ovviamente, professore, io non ho nessunissima intenzione di andarmene! Quindi, che lei mi alleni o no, io dirò comunque a mio zio di esser stato accettato. Ma è proprio questo il punto. Insomma, già sono costretto a mentire ai miei genitori praticamente riguardo a tutto e tutti, mio zio è l’unico della mia famiglia che può capirmi, l’unico a cui posso dire la, seppur parziale, verità, e vorrei evitare di essere costretto a mentire anche a lui. Mento per necessità io, e non voglio che tutto questo diventi un’abitudine, o uno sport estremo. Quindi mi accetti, professore, mi accetti alle sue lezioni, così posso istruirmi davvero, imparare come difendermi, farmi perdonare da Harry, e rimanere a scuola senza diventare un bugiardo cronico. Io ho finito.”
Quando il ragazzo aveva quindi concluso la sua lunga orazione, il professore aveva potuto bearsi di riflettere sui suoi contenuti. Quello, era probabilmente uno dei discorsi più ben fatti che avesse mai sentito durante uno dei suoi colloqui. Nessuna esitazione, nessuna frase fatta. Era ammirevole. Ed anche le ragioni di fondo erano buone. Sì, sia quelle dal ragazzo definite teoriche, sia quelle pratiche, con tutta quella storia delle bugie e tutto il resto. Quindi aveva limitato il suo interrogatorio ad un altro paio esiguo di domande e poi aveva congedato il ragazzo dicendo che, la prossima volta che avrebbe dovuto mentire, sarebbe stato alla Umbridge e non a suo padre. Ma andiamo avanti.
- Anthony Goldstein?
- Ci sono – rispose il ragazzo.
- Grazie per gentile comunicazione, signor Goldestein – commentò il professore – ora le spiacerebbe dire presente?
Il ragazzo rivolse, sbuffando, un’occhiata in direzione del suo amico Micheal, come a dire che palle questo, ma, girandosi, trovò che il compagno, al momento, non lo stava filando affatto, troppo impegnato che era a parlottare con Ginny Weasley. Quindi le sue intenzioni andarono a vuoto.
- Presente – rispose con fare scocciato, ed il professore, prima di andare avanti, dedicò qualche ricordo anche a lui.
Arrogante, pieno di se, un tantino ottuso, il giovane Anthony rappresentava a pieno la quinta essenza del Corvonero. Era entrato nel suo con aria di sufficienza e, dopo essersi guardato intorno catalogando l’ambiente con aria schifata, si era seduto sulla sedia dinnanzi alla cattedra, senza incastrare lo sguardo col professore, continuando a contemplare le pareti.
“L’ha già visto il mio studio, signor Goldstein,” aveva affermato il professore, attirando l’attenzione del ragazzo “è stato tre settimane fa, quando l’ho messo in punizione per quella faccenda del Distillato di Morte Vivente, ricorda? Quindi non mi pare il caso di starci a soffermare più di tanto sull’arredamento, e magari potremmo incominciare il suo colloquio.” Il ragazzo sì era limitato a rivolgere al professore uno sguardo di sufficienza. “Oh, sì, ovviamente” aveva risposto con fare alquanto lento e calibrato “è nuovo quello?” chiese poi alludendo distrattamente al fermacarte a forma d’ortica (vi ricordate di lui? ne avevamo già parlato per il colloquio di Ginny!) “Grazioso.”
Il professore aveva preferito di gran lunga non rispondere. O commentare.
“Oh grazie, signor Goldstein,” aveva detto infine “e lei è qui solo in veste si consulente immobiliare o vuol magari dirmi per quale altra ragione l’ha portata nel mio ufficio quest’oggi?”. Il ragazzo aveva rivolto sbuffando uno sguardo al suo insegnante, rispondendo alla sua domanda del cosa vi porta qui. “Beh, professore, come lei forse già sa, io sono prefetto Corvonero insieme a Padma Patil. Quando lei s’è iscritta alla sua classe, subito è venuta a comunicare la cosa anche a me, suggerendomi di dare il buon esempio. Allora, già da molto tempo avevo notato di quanto le lezioni della Umbridge fossero inadeguate, e così, quando mi è giunta voce di questa classe ho cominciato a fare delle ricerche per accertarmi che si trattasse di qualcosa di buono. Mi ci è voluto un po’ per farmi dire da Padma chi fosse l’insegnante, ma lo ritenevo un particolare di fondamentale importanza. Sono alquanto selettivo quando si tratta di insegnanti infatti, e francamente non ho affatto gradito i precedenti. Raptor, troppo poco autoritario, Lupin, troppo indietro col programma, Moody, troppo brusco, fra di loro devo dire che il mio preferito è stato Allock, ma era un po’ troppo vanaglorioso, ecco. Nessuno dei quattro era all’altezza del suo ruolo, ecco. E la Umbridge, in questo, li batte tutti. Quindi, quando ho saputo da Padma che sarebbe stato lei a farci da maestro, ho ritenuto alquanto opportuno fare delle ricerche a riguardo. Il miglior studente di Difesa Contro le Arti Oscure della sua classe, ha fatto richiesta per la cattedra per ben quindici anni di fila, fin da quando ha cominciato a lavorare ad Hogwarts e, sarò sincero, non capisco davvero perché mai il caro preside non si decida ad assegnarla, insomma, dalla mia analisi risulta che lei ha tutti i requisiti migliori a riguardo: un’ottima preparazione, la passione per la materia, la preparazione sul campo, se non sbaglio, perché immagino che ne abbia fatta parecchia di pratica lavorando per…” ed il ragazzo preferì non continuare. L’omissione di quella parola fu seguita da due secondi di silenzio, quanti stessero a occupare il tempo che avrebbe richiesto la pronuncia del nome, e poi cominciò una nuova frase come se nulla fosse. “Così, esaminate tutte le sue credenziali, professore, ho pensato che lei fosse semplicemente perfetto per l’incarico, sarei onorato davvero di prender parte alle sue lezioni, perché sono più che sicuro che lei sarà, senza dubbio, il miglior insegnante che abbiamo mai avuto. È tutto”.
E chiamatela vanità, e chiamatela immodestia, e chiamatela come vi pare, il caro Severus aveva ammesso il Corvonero alla sua classe.
Forse era stata una scelta stupida, dettata dalla presunzione e non da altro, eppure non lo si poteva certo giudicare il professore. Stava correndo enormi rischi per portare avanti quella cosa, istruendo studenti che reputavano la sua presenza in aula probabilmente più scocciante delle stesse lezioni della Umbridge, ed ora arrivava uno spocchioso Corvonero del quindi anno a dirsi onorato d’avere lui come insegnante, a definirlo il migliore che avessero mai avuto, il migliore su piazza, insomma, è normale che si fosse un po’ montato!
E comunque, aveva riflettuto poi ripercorrendo quella scelta col pensiero, forse le doti lusinghiere del ragazzo sarebbero potute tornargli utili per manipolare un po’ la Umbridge, chissà…
- Hermione Granger? – chiamò il professore.
- Presente – gli rispose la ragazza.
- Angelina Jonson?
- Presente, professore.
- Lee Jordan?
- Presente!
La voce squillante del ragazzo, posizionato a canto ai gemelli Weasley all’angolo destro della stanza, riportò il professore al suo colloquio.
Innanzi tutto, c’è da precisare che il suo colloquio s’era svolto subito dopo quello della signorina Jonson, e quindi i due s’erano incrociati nel momento in cui lei s’avviava alla porta e lui entrava in ufficio. Dopo essersi salutati, cosa che era avvenuta con un lieve cenno al sorriso da parte di lei, e un esultante cenno di saluto con la mano alzata a batticinque da parte di lui. Poi, quando lei lo aveva superato, la testa di lui aveva compiuto poco più di un quarto di giro per poterle guardare il culo. Ron ed Harry avevano fatto pressoché lo stesso.
“Signor Jordan!!” lo aveva rimproverato il professore, e quindi Lee si era girato verso di lui cercando di discolparsi con un sorrisetto spiacente ed aveva richiuso la porta dietro di se.
Aveva mosso qualche passo in modo non troppo veloce né troppo lento, e poi, una volta arrivato dinnanzi alla cattedra, s’era seduto sulla sedia che v’era davanti facendo un po’ di rumore nel trascinarla sul pavimento.
“Salve, professore,” aveva detto poi “ciao Hermione, ciao Ron, ciao Harry, ottima partita sabato, che passaggi, che parate, e quando hai afferrato il boccino poi! Oh, è stato davvero strepitoso! Le avete stracciate quelle viscide luride serp…” e poi la sua voce era andata a eclissarsi, a tramontare sotto lo sguardo severo del suo insegnante. Complimenti, Lee Jordan, s’era complimentato il ragazzo con se stesso, due figure di merda in quanto (?) due minuti scarsi (?), wow, quello avrebbe dovuto essere una sorta di nuovo record. “Oh, sono davvero lieto che la sconfitta della mia squadra la renda così contenta, dico davvero,” aveva commentato poi Severus Piton, in seguito al silenzio del ragazzo “ed ora vorremo andare avanti con la telecronaca o magari cominciare il suo colloquio, signor Jordan?” “Oh, il colloquio, sì, certo” aveva risposto il ragazzo con un ulteriore smorfia di scuse “e comunque anche la sua squadra ha giocato un’ottima, ottima partita, dico davvero,…” “Signor Jordan…” aveva cominciato il professore alzando un sopracciglio in modo irritato “Insomma, quando ho detto luride viscide serpi” aveva ripreso il ragazzo “quello che volevo dire è che beh, ecco, beh…” “Sì, signor Jordan? “Allora, cioè, serpi è solo un’abbreviazione di serpenti, ed i serpenti, beh loro hanno quella pelle strana pelle molliccia e squamosa che è viscida, e loro strisciano, sì, strisciano per terra, e quindi si sporcano, ed è per questo che sono luride e poi…” “Pessima trovata, signor Jordan,” aveva commentato Severus trattenendo una risata “ma apprezzo comunque lo sforzo, vogliamo andare avanti?” “Gliene sarei immensamente grato, professore” gli aveva risposto il ragazzo. “Ok, allora,” aveva ripreso il professore “sa, per il suo colloquio mi è venuta l’idea di fare qualcosa di un tantino differente, sa ormai sono così stufo di questi colloqui tutti uguali, sempre le stesse domande, le stesse risposte, eccetera eccetera eccetera, e così avrei deciso di sperimentare qualcosa di un tantino diverso con lei, ecco. Lei è d’accordo, signor Jordan?”. E qui il caro Severus Piton aveva taciuto per rivolgersi con volto interrogativo verso il suo stupendo. Ed il ragazzo aveva avuto quindi due barra tre secondi pieni per pensare. Ovviamente, aveva pensato immediatamente il ragazzo, il professore stava bluffando. Oh sì, il professore stava sicuramente bluffando, ed il caro Lee Jordan non era mica così stupido da non accorgersene. Ok, probabilmente gli capitava spesso di non saper contare fino a dieci prima di parlare, o di non accorgersi che una persona che stava prendendo in giro era appena arrivata alle sue spalle, ed a volte diceva o faceva cose che sarebbe stato molto, molto meglio evitare (cosa che la cara vecchia professoressa McGranit soleva dirgli ormai ogni singolo giorno, manco ci fosse il due per tre), ma non era un ragazzo stupido. Probabilmente domande del suo insegnante sarebbero state strane, impossibili, ed il professore si sarebbe forse vendicato con quel modo ironico e stravagante del suo pessimo commento sulle serpi, o magari di quella innocente sottile occhiata che aveva indirizzato al culo della Jonson, ecco. Avrebbe probabilmente posto lui quesiti impossibili, o falsi amici, forse, e per falsi amici intendo domande all’apparenza facili e scontante, che contenevano al proprio interno un’insidia velenosa come un serpente, tanto per rimanere in tema, e giusto pronta ad attaccare. Quello sarebbe stato un colloquio pessimo se il ragazzo avesse accettato di giocarlo alle condizioni del suo insegnante, ma il ragazzo, che come ho già detto, non era affatto stupido, aveva anche ben capito che quella del suo professore non era altro che una domanda retorica. Insomma, non poteva certo dire di no, il professore non avrebbe di certo gradito una risposta negativa, e gli avrebbe posto le sue domande alternative comunque. A questo punto, tanto valeva farsi vedere sicuri e convinti, e tenersi ben preparato a cogliere anche la più sottile sfumatura nei quesiti del suo insegnante, ecco. E quindi, a conti fatti, il ragazzo aveva piegato il volto in un’espressione sorridente, calma e compiaciuta, ed aveva risposto convinto: “Oh, per me va bene, professore, faccia lei!”. La reazione del suo insegnante era stata alquanto positiva. Ovviamente si era aspettato che il suo studente rispondesse in quel modo, non aveva mica scelta lui, eppure la finta sicurezza di questo, la recita perfetta di quelle sole sette parole, era un qualcosa di straordinariamente ammirevole. Aveva comunque fatto finta di niente. “Allora, signor Jordan,” aveva ripreso il suo insegnante “il gioco è questo, io le porrò le mie domande, quattro o cinque, non troppe insomma, ma saranno domande un po’ diverse, situazioni ipotetiche, ecco, e le offrirò, insieme a queste, quattro possibili risposte, o tre, in caso non mi venga in mente la quarta, e lei dovrà, beh, lei dovrà soltanto scegliere, non mi pare una cosa difficile, lei non crede?”. Hermione aveva allora tentato di lanciare al compagno una sorta di suggerimento, una sorta di avanti, non mollare, ma stai attento, bluffa, ma quella era una cosa che il ragazzo aveva già capito da sé, quello che gli serviva adesso era capire come uscire nel modo meno peggiore, se così si può uscire, da quella scabrosa situazione. Quindi aveva risposto con un sorrisino accennato al suggerimento della compagna, e poi aveva provato a rispondere. “Ha ragione, professore, sembra così facile!” aveva commentato sforzandosi di sorridere “Mi faccia pure tutte le domande che vuole, sono pronto!”. “Oh, perfetto” aveva commentato il professore “in questo cominciamo subito”. Perfetto, aveva pensato il ragazzo, sono morto.
“Allora, cominciamo così,” aveva iniziato il professore “mettiamo caso che lei si trovasse, per un qualche motivo, nella terribile situazione che ora io vado a proporle. Allora, lei è nel corridoio del terzo piano, appena uscito dalla mia aula, insieme al suo gruppo di compagni con cui io l’avrò fatta uscire. Ecco che lei quindi avvista, non so, Gazza o la Umbridge che stanno per vedervi, ma siete troppo, troppo lontani dalle scale. Opzione uno, corre dritto verso la rampa più vicina, veloce più che può, e cerca di tirarsi giù prima che la Umbridge la veda. Opzione due, ritorna dritto nella mia aula a nascondersi. Opzione tre, prende il suo gruppo e lo trascina di corsa verso l’aula più vicina che avete, in silenzio, in modo da non farvi scoprire. Opzione tre, grida un insulto alla Umbridge, si fa teatralmente beccare, e finisce in punizione. Quale delle quattro, signor Jordan?”. “Allora,” aveva cominciato titubante il ragazzo “va bene se analizzo tutte e quattro le opzioni prima di scegliere?” “Oh, assolutamente sì, signor Jordan,” aveva risposto lui “analizzi pure tutto quello che vuole”. “Perfetto,” aveva commentato il ragazzo “in questo caso parto dalla prima. Allora, se corro da solo verso le scale non ho molte probabilità di riuscita, non ne ho quasi affatto a dire il vero, ed inoltre lascio nei guai i miei compagni, quindi direi di no. Anche la seconda mi sa di no, perché se corro di nuovo dentro l’aula, e non siamo abbastanza veloci, cosa che è molto probabile, oltre a beccare noi faccio scoprire l’intera faccenda, che è peggio. Quindi la seconda è fra tutte la scelta peggiore, ed io la escludo. Poi c’è la terza, e la terza non mi sembra tanto male. Insomma, infilarci nell’aula più vicini per non farci scoprire potrebbe essere davvero una buona trovata, comunque analizzo anche la quarta, e poi decido. L’ultima opzione, infatti, mi sembra quasi una risposta stupida, o un’opzione a trabocchetto. Insomma, perché dovrei mai prendere in considerazione l’ipotesi di farmi intenzionalmente scoprire dalla Umbridge? Eppure, mi sembra questa un’opzione troppo scontata per dire di no, e quindi vorrei analizzarla meglio. Se io urlo la Umbridge ci vede, ci prende e ci mette in punizione, cioè ci tortura, ecco che succede. Se io invece mi nascondo nella stanza più vicina nessuno si accorge di nulla. Tortura, salvezza, tortura, salvezza, tortura, salvezza, insomma, dov’è la trappola?” Severus Piton aveva accennato al riso “Che cosa le fa pensare che ci sia una trappola, signor Jordan?” aveva chiesto poi. Il ragazzo aveva incrociato lo sguardo con quello di finta serenità del suo insegnante. “Sesto senso,” s’era limitato a rispondere poi, ed aveva ripreso la sua analisi puntigliosa che ovviamente, come voi scommetto che abbiate già capito, non era affatto sbagliata. “Grido, mi nascondo, grido, mi nascondo, grido, mi nascondo, ma se grido il mio gruppo… no, no fermi un attimo, qui non stiamo parlando solo del mio gruppo…” e Severus qui s’era sforzato di non sorridere all’illuminazione del suo alunno “Che intende dire, signor Jordan?” s’era limitato a chiedergli “Intendo dire” aveva ripreso il ragazzo “che nelle analisi precedenti io avevo considerato solo e solamente il bene del mio gruppo, e suppongo che sia questo l’errore. Insomma, se noi ci nascondiamo nell’aula più vicina, beh, siamo salvi, senza dubbio, ma quelli che escono dall’aula dopo di noi sono fritti, ed è fritta la classe in generale, è fritto anche lei, ecco. Ma se io urlo, e vengo quindi beccato, voi da dentro lo capite che c’è un problema, e quindi non uscite, e la classe è salva, almeno lei. Quindi l’opzione che scelgo è la quarta, eh sì, dico la quarta.” Il professore aveva taciuto “Ottima analisi,” aveva commentato poi “e scelta eccellente, andiamo avanti. Domanda numero due, stia attento che neppure questa è facile, pronto?” “Pronto, professore” “Perfetto, allora, diciamo che io decida di sospendere, di eliminare le mie lezioni, per il semplice fatto che il sottoscritto ritiene opportuno essere più prudenti, lei cosa fa? Opzione uno, continua a tenersi allenato mettendo in pratica, nella sua stanza, gli insegnamenti che io le ho fornito. Opzione due, lei ed altri ragazzi, tipo questi tre che ho io qui a fianco ad esempio, loro sarebbero davvero i tipi, continua a tenere lezioni di questo tipo, svolgendole, che so (?), nella Stanza delle Necessità ad esempio. Terza opzione, scongiura il sottoscritto di riprendere le lezioni. Opzione quattro, niente di niente, lezioni finite, allenamento finito. A lei la scelta, signor Jordan.” “Uff, mi faccia pensare,” aveva risposto il ragazzo “già la prima opzione non mi sembra tanto male, quella di continuare a tenermi allenato, no, non mi sembra male affatto. La seconda già mi pare un po’ peggiore. Insomma, per quanto credo che continuare a portare avanti noi le lezioni sarebbe una gran cosa penso anche che se lei le avesse sospese probabilmente sarebbe per un motivo valido, e noi non dovremmo essere così superficiali e sconsiderati da rischiare là dove lei ci ha detto di fermarci. Quindi diciamo che escludo l’opzione due, per il momento resto alla uno. Quanto all’opzione tre direi che è su per giù la stessa cosa, insomma, lei vuole insegnarci, e quindi se smette ci sarà per forza un motivo valido, quindi il nostro pregarla di tornare non cambierà proprio niente di niente, se non rischiare di farci scoprire dalla Umbridge, ecco. La quarta opzione poi non mi piace, insomma, io credo che gli insegnamenti che ci da siano fatti per durare, e che quindi sarebbe davvero stupido da parte mia smetterla di applicarmi anche in caso la classe dovesse essere sciolta, ecco. Quindi stavolta le rispondo in modo più sicuro: l’opzione che sceglierei è la prima, ne sono quasi totalmente sicuro”. Il professore aveva tirato un sospiro. “E’ giusta anche questa, signor Jordan, e complimenti davvero, le sue analisi sono davvero stupefacenti. Per la prossima domanda però mi terrò su qualcosa di più complicato. Allora, mettiamo che la Umbridge catturasse lei e qualche altro dei suoi compagni, scoprendo la storia della classe segreta ma non conoscendo gli altri membri. Vi minaccia al fin che le diciate chi era con voi, chi ha allestito la classe, chi la gestiva, lei che fa? Opzione uno, dice che eravate solo voi, nessun altro, nessuno ad insegnarvi. Opzione due, fa tutti i nomi, nessuno escluso, il mio compreso. Opzione tre, cerca di scegliere fra i membri più deboli dell’esercito e fare solo i loro nomi. Opzione quattro, cerca di scegliere fra i membri più forti dell’esercito e fare solo i loro nomi. Che cosa mi dice, signor Jordan?” “Allora, le analizzo tutte. La prima potrebbe sembrare buona, ma non mi sembra che in realtà lo sia: la Umbridge infatti non crederebbe mai che possiamo aver fatto tutto da soli, e ci torturerebbe fino al punto che alla fine faremmo i nomi giusti, ecco. La seconda non la prendo neppure in considerazione: io non tradirei mai la mia intera squadra. La terza e la quarta mi sembrano entrambe buone e cattive allo stesso tempo. Eliminare i più deboli dalla classe vorrebbe dire escludere dalla classe gli elementi meno validi, è vero, ma anche quelli che della classe avrebbero più bisogno, mentre al contrario si eliminerebbero sì dalla classe gli elementi più forti, ma sarebbero anche quelli ad aver meno bisogno delle sue lezioni. Quindi, a conti fatti, le sue opzioni me fanno schifo tutte quante”. “Come, scusi?” aveva esclamato con aria irritata il professori “E’ che non mi piacciono,” aveva risposto il ragazzo “non me ne piace nessuna, posso farmela io una quinta opzione che non comprenda le sue, professore?” “Se davvero pensa di saper fare di meglio…” aveva risposto Severus. Ed il ragazzo aveva allora esposto la sua quinta ipotesi. “Se mi chiedessero di fare dei nomi, io dei nomi li farei” aveva risposto il ragazzo “l’unica cosa è che sarebbero i nomi sbagliati. Qualcosa del tipo Vincent Tiger e Gregory Goyle, o Millicent Bulstrode, o Pansy Parkinson, o Draco Malfoy, qualcuno del tipo, in modo da far credere alla Umbridge che sto collaborando ed allo stesso tempo non tradire nessuno della classe, e denuncerei come nostro insegnante qualcuno tipo Gazza, così vi toglierei di mezzo pure quello, oppure la Cooman, se con Gazza non ci riesco, non perché la professoressa mi stia particolarmente antipatica, ma perché intanto lei è già stata tagliata fuori, più di tanto non possono farle, ecco.” E detto ciò, il ragazzo aveva taciuto. Il professore lo aveva squadrato male. Il ragazzo aveva impudentemente osato abiurare le sue ipotesi e deviare per una propria, gesto condannabile e sconsiderato, sintomo di una troppo elevata e criticabile sicurezza di sé e mancanza di rispetto. Eppure, sapete che vi dico (?), la sua risposta era stata migliore. Insomma, era stato un qualcosa a cui Severus Piton non aveva mai pensato, ed ora si chiedeva davvero il perché. Era un piano geniale, folle, sì, ma geniale, e chiunque lo proponesse era davvero degno di far parte della sua classe. Non ho altro da dire a riguardo.
- Luna Lovegood? – chiamò il professore destandosi dai propri pensieri.
- Oh, presente, professore – rispose la ragazza, come a rinvenire lei stessa da tutt’un altro mondo.
Aveva un’aria stralunata, persa, indecifrabile, sul volto, la stessa che l’aveva accompagnata passo passo per tutta la durata del suo colloquio. Quell’atteggiamento così strano, quei modi di fare così stravaganti, quei discorsi così dolcemente complicati, riportarono il professore a ricordarsi anche di lei.
Innanzi tutto, già da appena seduta, la ragazza lo aveva degnato di ben poche attenzioni, impegnata come era a guardarsi intorno con aria stralunata. “C’è qualcosa che non và, signorina Lovegood?” le aveva chiesto il professore dopo quasi un minuto di silenzio assoluto. “Oh no, no davvero,” aveva risposto lui la ragazza “è solo che il suo studio è pieno di nargilli!”. Il professore s’era voltato allora come a chieder spiegazione ai suoi assistenti, ma questi avevano alzato le spalle con un timido cenno dì no, non abbiamo la minima idea di cosa siano i nargilli, ed allora aveva roteato gli occhi in segno di ostentata sopportazione, prima di rivolgersi di nuovo alla ragazza. “Notizia davvero interessante, signorina Lovegood,” le aveva risposto quindi “vedrò di farlo controllare al più presto, promesso, ed ora vogliamo andare avanti col suo colloquio, magari?” “Oh, sì,” aveva risposto annuendo la ragazza “ne sarei davvero estasiata, e lei farebbe davvero un granché bene a far dare un’occhiatina al suo studio, ma attento a chi si rivolge: non siamo in molti a prendere sul serio i nargilli in realtà” “E me ne domando il perché…” sibilò a bassa voce Severus Piton, facendo scoppiare a ridere, con il suo commento, Harry Potter e Ronald Weasley che gli sedevano accanto. Con una gomitata nelle costole ad Harry ed un’occhiata torva a Ron, fortunatamente Hermione Granger aveva fatto in modo di far tornare entrambi a comporsi. “Ok, cominciamo” aveva tagliato corto il professore “innanzi tutto ci vuole dire quali sono i motivi che l’hanno portata qui quest’oggi?” “Quello che vorrei è fare parte della sua classe, professore” gli aveva risposto la ragazza in tono mellifluo e soporifero “sa, qualcuno pensa che io sia strana, la gente non mi ascolta molto frequentemente, ma io lo so che siamo in pericolo, me lo sento”. “Fammi indovinare,” aveva commentato Ronald a bassa voce “scommetto che glielo hanno detto i nargilli”. La battuta del ragazzo aveva provocato una risata da parte di Harry è, incredibile ma vero, anche una da parte di Piton, che però era riuscito brillantemente a mascherarla con un forzato cenno di tosse. Hermione aveva fulminato tutti e tre con un’occhiataccia, ed era stata lì lì per rimproverarli quando l’espressione seria del suo insegnante, che nel frattempo era tornato a ricomporsi, le aveva chiaramente ricordato chi fosse il professore lì. “Se lo sente, eh, lei dice?” aveva ripreso Severus Piton “E’ un’opinione davvero molto interessante la sua, e, mi faccia capire meglio, una premonizione, una deduzione, un’intuizione, una sensazione o magari un presentimento?”. La ragazza aveva esitato un qualche secondo. “Hum…” aveva risposto poi “oh, nessuna delle tante, professor Severus Piton, non v’è bisogno per me di quale straordinaria percezione o particolare applicazione dell’intelletto per capire che siamo in pericolo. Mi basta vederlo. È evidente come una bugia.” Harry e Ron s’erano lanciati un’occhiata interrogativa l’uno con l’altro ed il professor Piton, una volta intercettatala, non aveva proprio potuto fare a meno di, seppur non visibilmente, condividerla. “Che cosa intende,” le aveva chiesto “di preciso, con le parole evidente come una bugia?”. La ragazza era parla allora nuovamente immersa nei propri pensieri, come se le ci volesse un bel po’ per mettere davvero a fuoco le parole che le venivano dette, e riemerse quindi dal suo silenzio enigmatico dopo qualche momento, ed esordì con un mezzo sorriso dai denti bianchi schiarendosi la voce con un “Le persone si capisce quando dicono le bugie, professore,” gli aveva quindi spiegato poi “è una cosa così evidente, e penso che se uno dica una bugia, anche una piccola piccola, ci sia qualcosa che non và la sotto, ed al momento stanno girando molte, molte bugie nel nostro mondo, e quindi vuol dire che qualcosa sta certamente andando mooolto storto qui da noi. Ogni cosa va invertita, ogni parola riinterpretata quando vanno a mentirti, dice mio padre, e quindi quando i giornali dicono niente paura, non c’è nessuno là fuori, io comincio a tremare perché il loro nessuno già si avvicina, e quando il ministero ci dice nessun pericolo, nessun allarme, è posto! vuol dire che se la situazione non è ancora arrivata al margine della calamità poco ci manca, e quando la Umbridge ci dice che non ci servono lezioni di pratica, che la Difesa Contro Le Arti Oscure ci serve solo e soltanto per riuscir negli esami, io corro da lei per chiederle di allenarmi, professore. Tutto qui.” Intanto, professore e aiutanti avevano seguito il suo discorso interessati, ipnotizzati, ecco. Era tutto così strano e così… giusto! L’unica a sorridere alla giovane Corvonero era stata Hermione Granger, divertita anche dall’espressione dei suoi compagni di scrivania, che stavano ancora ricollegando fra di loro le parole del discorso di Luna, a bocca aperta. “Ctm,” aveva mimato il professore schiarendosi la voce “e perché crede che dovrei ammetterla alla mia classe, mi dica” “Perché è la cosa giusta, professore,” gli aveva risposto lei “perché io sono una sua studentessa e lei è un mio insegnante, e quindi lei non si rifiuterà dal darmi aiuto, lo so già, rientra nella parte della sua persona, ecco.” “Lui non ha quella parte” aveva sussurrato Ron al suo amico, ed entrambi avevano cominciato a ridacchiare, finché il professore non li avevi fatti tacere entrambi con uno scappellotto dietro al collo. Hermione li aveva già crocefissi con uno sguardo. “Ma sì che ce l’ha” aveva ripreso Luna, in tono convinto “è chiaro che ce l’ha, tutti ne hanno uno, sta poi a loro scegliere come utilizzarlo.” “Anche Lord Voldemort avrebbe secondo lei un lato buono allora?” le aveva chiesto quindi Piton. “Oh, è chiaro che ce l’ha,” aveva risposto lui Luna “o meglio che ce l’aveva, suppongo che l’abbia uccisa, sa, mio padre dire che una persona può uccidere la sua parte buona come quella cattiva, ed io penso proprio che lui l’abbia fatto, lei lo sa?” “E perché diamine dovrei saperlo io?!?” aveva chiesto lei il professore, in tono scontroso e un po’ interrogativo “Perché lei lo ha conosciuto, non è così?” si era limitata a rispondergli la ragazza, senza neppure un accenno a quel tono di voce sospettoso e maligno con cui la gente gli si rivolgeva di solito quando cadeva il discorso sul suo passato da mangiamorte. Il professore, a quanto pare, s’era appellato comunque alla facoltà di non rispondere. “Non è così?” gli aveva ripetuto allora la ragazza “Lo so che lei è stato dalla sua parte, mio padre me lo ha detto, dice che lei aveva accantonato la sua parte buona in quei tempi, l’aveva imprigionata, l’avrebbe liberata solo in seguito, ma che lei non l’aveva uccisa, come probabilmente non ha ucciso la sua parte cattiva adesso, è che in tutti convivono, poi sta a noi quale far prevalere. Certo, spesso influiscono altri fattori, le amicizie, l’istruzione, il contesto storico, ma poi l’ultima scelta sta sempre a noi, per questo nessuno parte già salvo, o già condannato, ed è per questo che può sempre esser perdonato, perché molto difficile, e doloroso sostituire una parte a quell’altra, e se uno riesce a farlo allora la sua decisione non dovrebbe mai essere guardata di traverso, perché sarebbe frutto di un sacrificio, e i sacrifici vanno onorati, non condannati. È tutto, chiaro, professore?”
- Ernie McMillan? – chiamò il professore.
- Presente – rispose stavolta il ragazzo.
Eh sì, anche Luna, ovviamente era stata presa, dopo una serie interminabile di domande a cui la ragazza aveva risposto con affermazioni apparentemente senza senso, ma in realtà molto profonde. Ok, diciamo che in vero il professore l’aveva presa per fiducia, perché s’era un tantino stancato di cercare di capire il suo complicato modo di parlare, o meglio di pensare. Continuava comunque a pensare che il suo ammettere la ragazza fosse stato quantomeno una scelta interessante.
- Neville Paciock? – domandò il professore.
- Presente – rispose lui timidamente.
E, soffermandosi sul ragazzo con tutto l’odio che riuscisse a provare, il professore andò a concentrarsi anche su quello che era stato il colloquio di lui.
Nel momento stesso in cui il ragazzo aveva avuto la brillante idea di presentarsi nel suo ufficio, al professore era venuto da vomitare. Innanzi tutto c’è da dire che non lo sapeva, che nessuno l’aveva avvertito che avrebbe partecipato, forse perché nessuno capiva perché mai avrebbe dovuto farlo. E così, quando il professore aveva chiesto distrattamente ad Hermione Granger chi fosse il prossimo, era quasi risalito nel sentir la giovane Granger pronunciare il chiaro nome di Neville Paciock. S’era sentito quasi male. Innanzi tutto aveva strabuzzato gli occhi, era diventato pallido, e le aveva chiesto con evidente agitazione in corpo di controllare, ed aveva sbraitato contro i suoi alunni dicendo che l’avrebbero dovuto avvertire, e ciò detto aveva affermato di voler uscir fuori a prendere una boccata d’aria, e s’era quindi assentato per cinque minuti buoni. Quando era tornato, a detta de suoi aiutanti, sembrava che il suo colorito fosse tornato alla normalità, ed era anche un po’ più calmo, seppure apparisse comunque alquanto disturbato. Quindi Hermione, seppure non sapesse neppure il perché, s’era sentita in bisogno di scusarsi, ed aveva costretto anche Ron e Harry a farlo. Il professore aveva detto che andava tutto bene, che non c’era nulla di cui preoccuparsi eccetera eccetera, eppure i suoi studenti avevano continuato a guardarlo come se si trattasse di un malato terminale. La cosa lo aveva alquanto infastidito, ma era irritato già da prima, quindi ci fece poco caso. Come ho già detto, quando il ragazzo era entrato in aula, con il suo passo insicuro, con quel da farsi così incerto, al professore era venuta una gran voglia di vomitare. Comunque, aveva preferito trattenere stretto il respiro e voltarsi un attimo dall’altra parte per prendere fiato, fingendo che non stesse succedendo nulla. Hermione, Ron ed Harry avevano continuato a guardarlo in modo sospetto. Il ragazzo gli si era seduto davanti, ed allora la nausea aveva cominciato ad aumentare (sarebbe andata crescendo durante tutto il tempo del colloquio). Avrebbe solo voluto dirgli che aveva avuto un gran bel coraggio a presentarsi lì da lui invocando il suo aiuto dopo tutto quello che gli aveva fatto, e di rispedirlo subito via con la rabbia sulla bocca, eppure s’era sforzato di rimanere calmo, e di non escludere il ragazzo a prescindere. Non è colpa sua, s’era sforzato di ricordare il maestro, non è colpa sua se Voldemort non l’ha ritenuto un degno rivale, non è colpa di nessuno se non di Voldemort stesso, ed anche dei suoi genitori un po’, forse, ma non di Neville, Neville in quello non c’entra proprio niente. Neville non c’entra niente se è stata Lily a morire, e non Alice. Lui non c’entra niente. Lui non c’entra niente.
Oh sì che c’entra, gli aveva sussurrato maligna una voce nella sua testa, guardalo là così grasso e insicuro, ci scommetto la faccia che si sarà presentato così pure in culla, perché mai avrebbe dovuto scegliere come suo pari uno come lui il Signore Oscuro, quando avrebbe potuto avere Harry? È tutta colpa sua, colpa sua, se solo fosse stato un po’ più degno… se solo si fosse dimostrato un po’ più valido, un po’ più forte, allora…
“Ctm, professore?” un finto cenno di tosse d’Hermione, seguito a ruota da un’espressione alquanto preoccupata con la quale la giovane gli ricordava che non aveva ancora rivolto la parola a Neville. Il professore era allora riemerso dai propri pensieri.
“Oh, salve, signor Paciock,” s’era sforzato di dire “mi scusi, non l’avevo vista arrivare,”, e qui Hermione, Harry e Ron avevano storto il naso per l’eclatante bugia “comunque, cominciamo, quali sono le ragioni che la portano qui?”
Il ragazzo aveva titubato, balbettato, e questo voleva dire silenzio. E questo voleva dire un errore. Era peccato mortale infatti in quel momento, in cui la mente incerta del povero professor Piton era così vulnerabile agli attacchi di quella vocina balorda, concedere spazio al silenzio, perché se mentre parlava il professore sarebbe stato impegnato ad ascoltarlo, se stava zitto dava possibilità di parlare a qualcun altro.
Che ti avevo detto? aveva continuato malevola la vocina E’ uno sfigato, guardalo! Non potrà fare niente di buono, per voi, niente, non è stato in grado di fare qualcosa di utile quando ancora era in culla, tu figurati adesso! E tu non vorrai certo aiutare colui che ha contribuito all’omicidio della tua Lily Evans, GIUSTO? Mandalo via! MANDALO VIA SUBITO! Ed il professore sarebbe stato anche sul punto di farlo, se solo il suo studente non avesse cominciato a parlare.
“I-io” aveva balbettato esitante il ragazzo “io non sono bravo a combattere”. Il nulla, aveva pensato il suo insegnante, praticamente il nulla, ma almeno aveva aperto bocca mettendo a tacere i suoi pensieri, quello era già qualcosa, “ed io il motivo per cui sono qui” aveva continuato il ragazzo “è che vorrei sapere come fare. Io mi impressiono quando vedo le immagini di quelle che sono le creature che dovremmo affrontare, il sentimento prevalente in me praticamente sempre è la paura, paura di questo, paura di quello, paura di quell’altro ancora, ed inoltre sono mezzo incapace con gli incantesimi.” Curriculum interessante… aveva commentato sarcastica la vocina. Il professor Piton l’aveva messa a tacere, “Vada avanti, signor Paciock” s’era limitato a dire, ed il ragazzo aveva continuato. “Ora, il fatto che io sia praticamente negato, teoricamente dovrebbe voler dire che lei non dovrebbe ammettermi, e questo lo capisco, eppure, dato che questa è una classe, lei dovrebbe istruire alunni che ne hanno bisogno, non quelli già preparati, giusto?” il professore s’era gentilmente preso la briga di non rispondere. “Sa,” aveva continuato Neville “i miei genitori non erano così, loro erano coraggiosi, erano proprio bravi. Ed io vorrei solo, per una volta, sentirmi degno di essere figlio loro.” E qui Severus Piton s’era un tantino intenerito. Non era colpa sua. Non era colpa sua. Quel ragazzo non era un complice del carnefice di Lily, quel ragazzo era solo un’altra delle sue vittime. E per quanto gli fosse impossibile non odiarlo, per quanto gli fosse impossibile smettere anche solo per un attimo di pensare che Lily sarebbe potuta essere ancora in vita se solo Lord Voldemort avesse scelto lui, in quel momento non aveva potuto fare a meno di provar compassione per lui. Forse, quella era la prima volta che guardava il suo studente sotto un diverso punto di vista.
Ma che cosa stai facendo?? Caccialo, rammollito! gli era inveita contro la vocina E’ un perdente, guardalo, è lui che ha ucciso Lily! E non dirmi che provi pietà per lui adesso, non dirmelo proprio, sarebbe come affermare d’aver a buon cuore Codaliscia! Caccialo! Mandalo via! LUI L’HA UCCISA!
“Può andare, signor Paciock,” aveva quindi detto lui Severus Piton, ottimo! l’aveva appoggiato la vocina “non mi serve altro;” aveva continuato il professore “lei è preso”.
E ciò detto il giovane Paciock aveva ringraziato balbettando e poi aveva girato i tacchi, mentre il professore lo guardava andare via. Fanculo, stupida vocina!
- Calì Patil? – chiamò il professore.
- Presente, professore – rispose la ragazza.
- Padma Patil?
- Presente anch’io.
- Harry Potter?
- Presente.
- Zacharias Smith?
- Presente, professore.
- Alicia Spinnet?
- Presente, professore – rispose cortesemente la ragazza, e questo portò il professore a ricordare anche il suo colloquio.
La ragazza era arriva in perfetto orario, con indosso ancora la sua tuta da Quidditch (era stata una mossa molto studiata quella del professore nel fissare più colloqui possibili nella prossimità della fine degli allenamenti di Quidditch, in modo che gli alunni si presentassero lì stanchi e stremati e non offrissero lui altro che se stessi, in modo naturale e senza false tinte), e, dopo aver salutato cortesemente tutti, s’era seduta di fronte alla cattedra.
“La Umbridge è un mostro, lì fuori è un disastro, e noi dobbiamo trovare un rimedio al più presto” s’era limitata a rispondere la ragazza, a quanto pare stanca morta, alla solita domanda del professore del che cosa la porta qui, e Harry s’era un tantino esaltato commentando il tutto con “Ha fatto la rima!”. Il professore s’era limitato a roteare gli occhi in segno di sconforto, e non commentare, mentre la Granger, assai meno discreta, aveva lanciato un’occhiata di fuoco al ragazzo, e si era sbrigata ad indirizzarne subito una anche a Ron prima che anche questo si mettesse a fare qualcosa di stupido. “Complimenti per l’esposizione, signorina Spinnet,” s’era limitato a commentare un tantino ironico il professore “le dispiacerebbe spiegarsi meglio?”. La ragazza aveva sbuffato. “C’è qualcosa che non va, signorina Spinnet?” gli aveva chiesto allora un po’ irritato il professore. “Oh, non c’è nulla che non va, singore,” gli aveva risposto ironica lei “è solo che sono appena uscita dalla bellezza di tre ore piene di allenamento, per non contare il fatto che prima ne ho avute cinque di lezione fra cui una di compito in classe e una d’interrogazione, e quest’ultima proprio non me l’aspettavo, e quindi sono andata male. Inoltre mi hanno fatto sapere soltanto a mezzogiorno degli allenamenti extra, e così ho anche dovuto saltare il pranzo per andarmi ad allenare, quindi mi scusi se non le faccio un monologo di tre quarti d’ora quando lei mi rivolge la domanda più stupida del mondo!”. “CHE COSA?!??!” le aveva sbraitato contro Severus Piton, alzandosi in piedi, rosso come un peperone, mentre Harry e Ron si scambiavano occhiate loquaci e alquanto divertite fra loro ed Hermione controllava, preoccupate, l’intera faccenda. “Perché sono qui?” l’aveva fronteggiato la Spinnet “Avanti, non ha saputo trovare nulla di meglio, professore? C’è gente che muore là fuori, c’è gente che è già morta e c’è gente che morirà ancora. La storia si ripete: c’è stata una guerra e sta ricominciando. Lui è tornato, la morte di Diggory ne è una prova, per l’amore del cielo, chi altro lo avrebbe ucciso sennò, la Sfinge?? Ed il Ministero fa finta di niente, anzi, anzi, peggio, perché se facesse finta di niente allora non si curerebbe semplicemente della faccenda, lasciando noi cittadini liberi di pensare ed invece no, cercano di inculcarci la loro finta fiducia, quei bastardi, ed il problema è che ci riescono! Guardi il caso della Umbridge, ad esempio! Questo è il primo anno in cui siamo tutti in vera difficoltà, e lei è l’insegnante che meno si preoccupa che noi sappiamo difenderci, ed è stata mandata dal Ministero! Ci sono il Signore Oscuro ed i suoi seguaci là fuori, e sono pronti ad attaccare, e a noi viene fatta lezione senza uso della bacchetta, diamine! La guerra avanza, le autorità si rifiutano di proteggerci per convincerci che non v’è nulla che non va e la cosa più utile che fin ora è stato come girare una pagina! E lei mi convoca qui per chiedermi perché mai dovrei voler intraprendere delle lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure che possano davvero ritenersi tali? Mi scusi se la reputo una cosa un po’ cretina, e mi dispiace della scenata. Arrivederci.” E ciò detto s’era alzata dalla sedia e s’era avviata alla porta. Severus era ancora in piedi. Rosso in viso. “Signorina Spinnet!” le aveva gridato prima che questa raggiungesse l’uscio, e lei s’era girata a guardarlo. “Prima di andarsene” aveva continuato il professore “firmi la carta: è presa”.
- Terry Steeval? – chiamò ancora Piton.
- Presente, professore – rispose lui, ed il professore ritenne opportuno dedicare anche al suo colloquio qualche attimo.
Il ragazzo si era presentato in orario al suo terzo colloquio, e dico terzo colloquio perché le prime due volte l’audizione era saltata per cause contro le quali il professore non aveva potuto obbiettare. Il ragazzo, infatti, era riuscito a totalizzare un numero incredibile di punizioni della Umbridge, ben otto in sole due settimane. La prima perché era uscito dalla stanza sbattendo il libro sul banco quando la Umbridge aveva cominciato il suo monologo sul va tutto bene, la seconda era stato averle risposto male durante la terza lezione, la terza per aver tenuto impudentemente la bacchetta sul banco durante tutta la lezione sebbene la professoressa gli avesse ripetuto ripetutamente di levarla, la quarta perché scoperto ad aver commesso una marachella insieme ad Anthony, per coprire l’amico s’era preso tutta la colpa, la quinta… ok, basta, mi sono stufata. Comunque, causa punizioni, il ragazzo non si era potuto presentare ai due colloqui stabiliti in precedenza. Come ho già detto, quella era la terza volta che programmavano l’incontro.
Comunque, come dicevo per l’appunto, il ragazzo gli aveva almeno fatto la grazia di presentarsi in orario quel giorno.
Nel momento il cui il ragazzo era arrivato, il professore non aveva potuto fare a meno di guardare le sue braccia.
Nemmeno sul braccio di Harry Potter il professore aveva mai visto così tante cicatrici, pensò che molto probabilmente avrebbe dovuto somministrargli una dose extra di pozione curativa. Di certo avrebbe potuto benissimo evitarsi di chiedergli che cosa ci facesse lì. Anzi, visto perché si era cacciato nei guai la seconda volta forse anche la domanda sulla lealtà poteva risparmiarsela. A pensarci bene, non c’erano molte domande che gli venisse in mente di fargli.
“Signor Steeval” s’era risolto in fine “vuole lei sa come arrivare al terzo piano senza farsi beccare?” “Sì,” gli aveva risposto il ragazzo “Perfetto, aveva commentato il professore, in questo caso è preso”. “Preso?” aveva chiesto lui Hermione “Senza nessuna domanda? Senza niente?” “Ho già tutte le informazioni che mi servono, signorina Granger,” si era limitato a risponderle il prof “ora firmi, Steeval, e poi può andare”.
- Dean Thomas?
- Presente, professore.
- Fred Weasley?
- Presente.
- George Weasley?
- Ci siamo entrambi, professore.
- Ginevra Weasley?
- Presente. – commentò la ragazza, fortunatamente senza ridere, stavolta.
- Ronald Weasley? – chiamò infine il professore.
- Presente – rispose anche questo, ed il professore ritenne adeguato, per non far torto a nessun membro della numerosa famiglia, di ricordare anche il colloquio di lui.
Innanzi tutto, la prima impressione che il ragazzo gli aveva fatto era quella che avrebbe probabilmente preferito di gran lunga essere in punizione con la Umbridge piuttosto che in ufficio con lui. Aveva le braccia conserte, le gambe accavallate, l’espressione di chi si smaterializzerebbe seduta stante in un altro luogo se solo ne fosse capace e non fosse troppo pigro per farlo. I due erano rimasti zitti a guardarsi senza far nulla per quasi un minuto buono, e poi finalmente il più giovane dei maschi Weasley se ne era uscito con un neutrale “Salve”, il professore aveva annuito in risposta ed target del resto del colloquio era stato su per giù così per circa venti minuti buoni. “Sa, signor Weasley,” era intervenuto poi il professore, ad un passo dallo scoppiare a ridere “francamente devo dire che stavo attendendo il suo colloquio con ansia” “Oh, beh, lei ha bisogno di un hobby” aveva commentato Ron roteando gli occhi. “Il motivo per cui lo stavo aspettando,” aveva ripreso il professore, fingendo d’ignorare totalmente la battuta dell’alunno “perché c’è una cosa del giorno in cui lei e i suoi amici siete venuti a chiedermi di allestire questa classe, che mi ha colpito particolarmente, e riguarda proprio lei”. “Sicuro che non si stia confondendo con Hermione, professore?” aveva chiesto lui Ronald “No, sa, perché è stata lei a metter su tutto il discorso” gli aveva ricordato ancora “ed è stata anche lei ad avere l’idea” aveva risposto abbassando un po’ il tono di voce, come se quella fosse la cosa meno piacevole di tutta quella vicenda. “No, signor Weasley, direi che sono piucchè sicuro che si trattasse di lei,” aveva risposto lui il professore “a meno che la signorina Granger non indossasse parrucca rossa e lei una minigonna il giorno che siete venuti a parlarmi”. “Oh, beh, allora probabilmente ero io.” s’era limitato a commentare Ron. E poi era calato di nuovo il silenzio. Il silenzio più totale. “Non le interessa sapere quale sia la cosa che mi ha colpito così tanto?” gli aveva chiesto poi il professore. “Francamente?” aveva risposto/domandato il ragazzo, ed il professore aveva accennato a un sorriso. “Perfetto,” aveva commentato poi Severus Piton “temo però, signor Weasley, che la mia spiegazione dovrà sortirsela lo stesso.” “Faccia come le pare” aveva commentato il ragazzo “io ho tutto il tempo del mondo.” “Perfetto,” s’era limitato a dire il professore, “cominciamo, dunque.” e qui il giovane Ronald Weasley aveva fatto roteare gli occhi con fare di chi di quel che sta accadendo gliene frega poco e niente, ma aveva evitato di obiettare, permettendo al suo insegnante di continuare. “Innanzi tutto,” aveva cominciato il professore “mettendo totalmente da parte le orazioni convinte e determinate della signorina Granger, devo dire che mi stavo davvero divertendo quella sera nello studiare, fra lei e il signor Potter, chi di voi due fosse più desideroso di andarsene.” “Oh, credo di aver vinto io, professore” aveva commentato il ragazzo. “Sì, esatto, signor Weasley, ha vinto lei” gli aveva risposto il professore “ed in parte è proprio questo il punto, insomma, il fatto che stare lì dentro fosse la cosa che desiderasse di meno al mondo, eh, sa, è lo stesso sentimento che mi sembra di percepire quest’oggi.” “Oh, professore, lei è così perspicace!” aveva commentato sarcastico Ronald. “Già,” aveva tagliato corto il suo insegnante “trovo che lei sia molto coerente, infatti. Ma, andiamo avanti. Sembrava che tutto il discorso di Potter e Granger le fregasse poco e nulla, ma poi, quando mi sono apprestato a rifiutare, lei è esploso come un vulcano, e quello che mi chiedo è il perché, dato che lei sembra tutt’altro che entusiasta di sapermi come suo insegnante, può rispondermi, signor Weasley?”. Il ragazzo aveva sonoramente sbuffato, poi aveva scavalcato le gambe, aveva appoggiato i gomiti sulla scrivania e poi vi ci aveva appoggiato sopra la testa. “Allora,” aveva cominciato il ragazzo “lei è cattivo, intrattabile, spocchioso, snob, arrogante, inquietante, severo, puntiglioso, macabro, ed indiscutibilmente antipatico.” “Grazie davvero, signor Weasley,” gli aveva risposto ironico Severus “uno lo capisce quando è un complimento!” “Mi faccia finire, per piacere.” aveva ripreso il ragazzo “Allora, come ho già detto lei è un gran brutto tipo, e questo non lo penso solo io, ed è giusto che lei lo sappia. Però Harry ha rischiato di brutto l’ultima volta che s’è trovato a Lei Sa Chi, e lo sappiamo tutti che Lui tornerà, ed io ci tengo ad Harry, è il mio migliore amico, ed anche Hermione ci tiene a lui, quindi se lei si mostra piucchè convinta che il modo migliore per garantire la sicurezza di Harry sia quello di prendere lezioni da lei, beh, posso farci qualche battuta su, posso sbuffare sonoramente, posso ripeterle un milione di volte te lo avevo detto e dare la colpa a lei per ogni cosa vada storto, ma non posso non starla a sentire. È che mi fido di lei, non sono d’accordo, ma mi fido di lei, è indubbiamente quella più geniale fra di noi. Il motivo per cui mi sono arrabbiata quando lei ha parlato di pericoli, è che io ho solo 15 anni, eppure ho vissuto più esperienze pericolose io che diversi auror del ministero, per non parlare di Harry poi! Ma il punto inoltre era sentire quel discorso pronunciato da lei, insomma, lei è stato un mangiamorte ed ora è un membro dell’Ordine della Fenice, lei sa che cosa sia il pericolo più di ogni altra persona al mondo, ed è troppo intelligente per non capire che lei è la sua unica speranza! E un’altra cosa che Hermione dice è che lei tiene ad Harry, o almeno che tiene a lui molto più di quanto lasci vedere, perché dice che se non tenesse a lui probabilmente non si sarebbe messo ad ostacolare il professor Raptor, al primo anno, e poi ci ha insegnato più incantesimi lei che Allock al secondo anno, e la cosa ci è tornata molto utile nella Camera dei Segreti, insomma, lei gli ha insegnato l’Expelliarmus, Harry vive di Expelliarmus! E poi al terzo, insomma, lei ci si è parato davanti quando il professor Lupin – non in uno dei suoi momenti migliori, per inciso – ha tentato di attaccarci, e aveva anche già cercato di metterci in guardia sul fatto che fosse un lupo – anche questa deduzione l’ha fatta Hermione, naturalmente, mica io – e poi al quarto, beh al quarto non so di preciso che cosa lei abbia fatto, ma scommetto che sia qualcosa di buono, e contro il falso Moody, quasi sicuramente – non le stanno molto simpatici i nostri insegnanti di Difesa Contro le Arti Oscure, vero? E poi, e poi io l’ho vista la sua espressione durante i colloqui degli altri, lei cercava di nasconderlo ma era, oddio lei era così felice! Vedere quegli studenti che si mettevano in lista per pregarla di farsi insegnare da lei, si stava crogiolando nella gioia, anche se sono sicura che non la sentirò mai ammetterlo. Ma perché tutte queste simulazioni, perché tutte queste maschere, non fa prima a dire, ok, sono dei vostri, mi fate insegnare la materia che mi piace, che figo! che a tenerci il muso fingendo che tutta questa situazione la disgusti? È proprio questo quello che più mi infastidisce di lei, che diavolo! Lei deve fingere su tutto, non la conosce nessuno per quello che è, ma mi può dire come fa a sopportarlo?? E poi, ah, già, un’altra cosa…” “Può andare, signor Weasley,” lo aveva interrotto il professor Piton, sorridendo un po’ “lei è indiscutibilmente preso.” “Davvero?!??” gli aveva chiesto Ronald sbalordito “Già,” aveva risposto lui Severus “forse questa è una delle tante cose che non lascio trapelare di me, ma apprezzo molto l’onesta, quindi può andare, è preso.” “Oh,” s’era limitato ad esclamare il ragazzo “va bene, se lo dice lei…” e ciò detto s’era alzato dalla sedia ed aveva raggiunto la porta, prima di girarsi nuovamente verso il professore, non appena arrivato all’uscio. “E’ sicuro sicuro?” gli aveva chiesto in tono sospetto “Perché se lei non vuole io non partecipo” “Oh, no, signor Weasley,” aveva risposto lui Severus accennando ad una risata “lei partecipa eccome, dopo tutto, non le devo alcun favore io!”.
- Allora, - riprese il professore richiudendo fra le proprie mani la pergamena dell’appello – se ora volete seguirmi, – ed sottolineò la frase con un tono di voce che lasciava perfettamente intendere un mancato ma del tutto captabile proseguimento della frase alla e voi volete seguirmi – la stanza che ci attende è un poco diversa da quella della scorsa volta, poiché anche la nostra lezione lo sarà.
E ciò detto aveva accennato con un colpo della testa alla direzione della porta, e poi si era messo in testa alla fila di studenti, e li aveva condotti nella sala dello specchio, ed i ragazzi, appena giunti, erano corsi ad accomodarsi sulle scale, mentre il professore continuava la sua marcia verso il centro dell’enorme stanza. Quando l’ebbe raggiunto, si voltò tranquillo verso i suoi alunni, e, guardandoli con un’espressione che diventata d’improvviso adirata, disse:
- Che cosa diamine state facendo?
I ragazzi si guardarono interrogativi fra loro: loro non stavano facendo assolutamente niente! Ma il professore sembrava non pensarla affatto così, e continuava a puntarli irato. Probabilmente, pensò Harry guardandolo guardarli in quel modo, se lui e i suoi compagni non avessero smesso di fare quello che a suo parere stavano facendo, nel giro di pochi minuti Severus Piton avrebbe cominciato a sputare fuoco. Hum, sarebbe potuta essere una scena divertente…
- Voi tre, - aveva esclamato il professore riferendosi ad Harry, Ron ed Hermione, visto che la classe non accennava ad afferrare il messaggio – alzatevi subito in piedi, e che il resto della classe faccia lo stesso!
La classe si drizzò all’istante, e tutti i suoi componendi raggiunsero la posizione eretta in meno di una decina di secondi. Il professore s’avvicinò torvo a loro.
- Come vi è venuto in mente – scandì marciandogli dinnanzi, guardandoli in faccia uno per uno, sillabando ogni parola come se si trattasse di una nozione di fondamentale importanza – di sedervi?
I ragazzi lo guardato con aria alquanto accigliata. Probabilmente avevano ragione quelli dell’opzione tre, pensò la maggior parte di loro: Severus Piton era sicuramente matto!
- Dice davvero? – s’azzardò a chiedergli Hermione – Era tutto qui? Solo perché ci siamo seduti?
- Sì, signorina Granger, - le si scatenò contro il professore – esattamente perché vi siete seduti.
- Ma ci ha detto lei di sederci, la scorsa lezione nella scorsa stanza, - disse Ginny appoggiando l’amica – quindi abbiamo pensato…
- L’altra stanza era differente! – le rispose Severus – La lezione, era differente! Comunicazione di servizio, signore e signori, non siete tenuti soltanto a guardare sta volta, nella scorsa lezione vi abbiamo mostrato la tecnica, quest’oggi la pratica spetterà a voi. Signor Weasley, - fece poi indirizzando il suo sguardo verso Ronald – prenda il signor Paciock e vada nello sgabuzzino. Lì troverà una sacca a rete verde, dovrebbe portare qui il suo contenuto. Veloce.
Ron sbuffò un poco, poi lanciò un’occhiata loquace a Neville ed entrambi sparirono presso la porta.
- Innanzi tutto, - continuò il professore – voglio ben augurarmi che tutti voi abbiate portato la vostra bacchetta con voi, perché se c’è qualcuno che non l’ha fatto è bene che sappia che è ufficialmente escluso dalla mia classe, chiaro?
I ragazzi rimasero zitti. Zitti sì, ma fermi no, infatti, in quel momento, ognuno di loro corse a controllare di aver preso con se la sua bacchetta. Insomma, tutti erano più che sicuri di averla portata, ma il professore gli aveva appena messo un poco d’ansia, e così era meglio accertare che fosse ancora là in tasca dove l’avevano lasciata, non trovate? Comunque, fortunatamente, nessuno di loro ebbe brutte sorprese.
Di ritorno, intanto, Ron e Neville issarono un mucchio di panni dai colori viola prugna sgargiante e rosso scarlatto nelle braccia del loro, insegnante.
- Questo è tutto quello che c’era nella sacca a rete, professore. – gli comunicò Ronald – Francamente, - aggiunse poi indietreggiando di un passo – devo dire che mi aspettavo di meglio.
Il professore finse di non aver sentito, e lo ignorò completamente per rivolgersi alla sua intera classe.
- Innanzi tutto, – disse cominciando a marciare davanti ai suoi studenti, e distribuendo loro un drappo per uno, ora viola ora rosso, come capitava, come se il colore non fosse importante – suppongo che sia bene che voi sappiate che per questo primo allenamento sarete divisi in due squadre. Quelle che avete in mano sono le vostre uniformi, le viola contro le rosse, mi sembra un concetto alquanto elementare.
- Uniformi?!? – domandò lui Ron rigirandosi il suo panno viola fra le mani – questi sono semplicemente brandelli di tenda con un buco per la testa!
- Esattamente, signor Weasley, – si limitò a rispondergli Piton – e voi mi farete il sacrosanto piacere di chiamarle uniformi, d’accordo?
Il silenzio unanime che invase la sala fu carpito dal professore come un tacito cenno d’assenso. Continuò la sua marcia a consegnare uniformi.
- Mi scusi, professore, - intervenne Padma Patil con in mano sia la sua uniforme prugna sia quella purpurea della sorella - stavo solo notando che i colori delle uniformi sono molto simili, non sarebbe meglio tingerne uno di un colore molto differente, potrei farlo io stessa con un semplice incantesimo, se vuole, in modo da rendere fra loro i membri di entrambe le squadre più facilmente riconoscibili?
- Assolutamente no, signorina Patil, - le rispose il professore – ma vorrei davvero ringraziarla per avermi posto la domanda. La scelta di due colori alquanto simili è tutto fuorché casuale, poiché, ed è giusto che voi lo sappiate, nel momento in cui vi troverete in battaglia non vi sarà affatto facile distinguere fra nemici e amici, ve lo assicuro. Siete circondati da gente, gente che lancia incantesimi a destra e a manca, e, vi dirò di più, non avete neppure il tempo di accertarvi di chi sia la persona che avete dinnanzi, che questa quasi certamente vi sbatterà a terra con un incantesimo, che sia dei vostri o no. È per questo motivo – continuò l’uomo – che avevo pensato, in principio, di evitare del tutto la presenza di maschere, ma poi mi sono ritrovato a cambiare idea. Insomma, per quanto la battaglia sia un che di confuso, devo anche dire che si ha una certa conoscenza di quelli che sono i vostri alleati, una conoscenza che non sarebbe stata resa adeguatamente da un mio semplice mio dirvi “oh, guardate, tu stai in gruppo con lui, lui e lui”, insomma, mi tengo ben lungi dallo sfidare la memoria di ragazzini che riescono a mala pena a ricordarsi gli ingredienti principali di una pozione di base su quali siano e non siano i loro compagni di squadra assegnategli in meno di trenta secondi. E questo è il motivo che ci riporta alle uniformi simili, grazie a loro, nel duello sarete almeno e solo parzialmente in grado di capire chi sono e chi non sono i membri della vostra squadra. Tutto chiaro?
Gli sguardi dei ragazzi, che annuivano compiaciuti fra di loro dimostrò agli occhi del loro insegnante come una risposta alquanto soddisfacente.
- E quindi ora ci mettiamo in coppie per fare la cosa del disarmo, giusto? – chiese lui Ernie.
- Grandissimo errore, signor Mcmillan. – rispose lui Severus – Si da il caso, infatti, che sarà davvero molto difficile che voi vi troviate faccia a faccia con un solo mangiamorte o mago oscuro, insomma, all’utopia di un nemico per ogni combattente, di un duello nel vero senso della parola si può ambire solo se si è dei maghi di ordine avanzato ed i vostri avversari altrettanto, e devono essere anche leali inoltre, ed io, personalmente, non mi aspetterei molto da una banda di mangiamorte, soprattutto se partecipi di un gruppo non appena riformato, chiaro? Quindi io mi atterrei a prepararvi ai pericoli contro i quali probabilmente vi troverete dinnanzi, e quindi a uno scontro misto, incantesimi da una parte e dall’altra, ecco. Ovviamente, per quanto in un duello misto le maledizioni saranno le più varie e disparate, in questa sede farete uso, per il momento, del solo Expelliarmus, vorrei limitare le ossa rotte, almeno per il momento, ecco. A proposito, i viola sono i buoni, i rossi sono i buoni.
- I cattivi. – lo corresse Micheal Corner.
- Che cosa? – chiese lui il professore.
- Ha detto ad entrambi i gruppi di essere i buoni, professore, – riprese Anthony – suppongo che si sia sbagliato.
- Oh, non mi sono sbagliato affatto, signori, - si limitò a rispondere Severus – perché, sa, tutti siamo i buoni, in questa faccenda. Sapete, - disse poi guardando ai suoi studenti con aria stranamente paterna, come se la cosa lo divertisse un poco – uno dei punti cruciali non solo in questa, ma nella guerra in se, è proprio il fatto che entrambe le fazioni sono fermamente convinte che di essere dalla parte del giusto, di essere loro i buoni. Io posso assicurarvi che Lord Voldemort, che ha già sterminato decine e decine di uomini, ed i cui mangiamorte hanno già compiuto una pressoché totale strage, reca in se la ferma convinzione di essere proprio lui il buono, insomma, vuole liberare il mondo magico da quelli che per lui non dovrebbero farne parte, non dico che questo sia giusto, ma dico che per lui lo è, è il suo scopo, il suo piano, il suo buon proposito, e, per vostra informazione, siete voi i cattivi, voi, e Albus, ed il qui presente signor Potter, ed anche io, insomma, noi che tentiamo di impedirglielo. Dal canto nostro, noi ovviamente pensiamo che lui sia un mostro, una persona orribile, da eliminare, ecco, è questa la nostra convinzione, e, vi dirò, per quanto apparentemente sconvolgente ed impressionante questo possa essere, le vostre ragioni non sono affatto inferiori alle sue. Tutti siamo i buoni, – concluse guardando i visi confusi dei suoi allievi – tutti siamo i buoni perché siamo tutti convinti di esserlo, quindi non vi sarà nessuna distinzione fra voi, entrambi sarete i buoni, o almeno sarete convinti di esserlo. Nessuno lotta sapendo di stare dalla parte sbagliata, signori, ed è bene che voi lo sappiate. Che altro dire? – disse poi dopo aver fatto una lieve pausa, quasi a dare un cenno dissacrante a tutto il discorso - Sparpagliatevi!
I ragazzi rimasero un attimo fissi a guardarsi.
- Che cosa fate lì in palati? – li esortò ancora il professore – Ho detto sparpagliatevi, ora!
Gli studenti si mossero veloci, qualcuno di loro andò a posizionarsi dalla parte sinistra della sala, qualcuno in quella destra, qualcuno restò semi impalato vicino al centro. Le file non erano una cosa ordinata, non lo erano affatto, nella parte destra v’erano cinque rossi e sette viola, in quella sinistra sette viola e nove rossi. Il professore non proferì parole, e così qualcuno di loro lo catalogò come un segno positivo. Sfoderarono le bacchette, e poi si voltarono di nuovo alla volta di Severus Piton, aspettando il segnale di lui.
Peccato, però, che questo non venne.
Il professor Severus Piton si limitò ad adagiarsi addosso al muro, con le braccia conserte sulle ginocchia, l’espressione alquanto interessata, ma allo stesso tempo maledettamente passiva. Non sembrava avesse la minima intenzione di pronunciare dittongo.
Si limitava, a dire il vero, a guardarli con aria affascinata, dondolandosi un po’ fra il piede destro e quello sinistro, ecco.
Passarono trenta secondi buoni, senza che lui dicesse nulla.
- Hum, professore? – fece lui Hermione Granger.
- Sì? – le chiese lui.
- Beh, non ha intenzione di dirci quel che dobbiamo fare? – chiese lui la ragazza.
- Oh sì, ovviamente, signorina Granger – rispose lei Severus – d’altro canto sarà esattamente questo che succederà quando vi troverete là fuori a lottare, giusto? Insomma, voi con le bacchette puntate ed io lì vicino a dirvi come fare a utilizzarle. Ho detto che vi stavo allenando per la guerra, signorina Granger, ed ebbene che voi sappiate che io non potrei esserci quando questa verrà, e comunque, non perderò certo il mio tempo con voi! Quindi è bene che voi sappiate che non ci sarà qualcuno a darvi il via lì, per l’amor del cielo! Nessuno vi dirà d’iniziare a combattere! Quindi non avete il minimo bisogno del mio fottutissimo segnale, andate più svelto possibile!
- Expelliarmus! – pronunciò Harry Potter puntando la bacchetta contro Zacharias Smith, disposto poco distante da lui.
Ron lo imitò subito, disarmando con il suo incantesimo il Corvonero Micheal Corner (ok, forse quella non fu una scelta del tutto casuale), e si scatenarono gli altri. Hermione Granger puntò ad Anthony Goldstein, Angelina Jonson sopraffece Marietta Edgecombe, mentre Ginny Weasley disarmava Cho Chang (hum, forse un’altra scelta non del tutto casuale) e Alicia Spinnet faceva lo stesso con Fred Weasley. Intanto George disarmava Calì Patil, Dean Thomas puntava a Katie Bell e Padma Patil a Neville. Hannah disarmò Ernie, che, ripresa la bacchetta, disarmò Lee Jordan. Intanto, ripresa la bacchetta, Fred disarmò Hermione, mentre Justin Finch faceva lo stesso con Susan Bones e Terry Steeval faceva ruotare in aria la bacchetta di Lavanda Brown. Per inciso, Ginny Weasley si occupò anche di disarmare Colin Canon, mentre suo fratello Dennis disarmava invece lei. Harry disarmò anche Ron, ma poi fu disarmato da Hermione, e poi Anthony disarmò Susan, e Lee Angelina (le chiese subito scusa dopo però), poi Dean Katie, e Justin Marietta, mentre Cho disarmava Ginny. Poi Padma George, Micheal Neville, Luna Dean, Fred Lee, Lee George, Hermione Lavanda, Colin Anthony, Dean Katie, Anthony Luna, Katie Terry, Susan Dennis, George Ron, Fred Ron, George Ron, Fred Ron, George Ron, Fred Ron, Anglina George, Fred Ron, Hermione Fred. Poi Harry Hermione, Justin Ernie, Lee Padma, Calì Dennis, Ron Ginny, Ginny Ron, Ginny Harry, Fred Ginny, Lavanda Neville, Anthony Zach, Padma Luna, Colin Calì… ok, basta, avete capito.
Comunque, la cosa andava su per giù avanti così: qualcuno disarmava qualcun altro, quell qualcun altro riprendeva la bacchetta, poi il qualcuno iniziale o veniva disarmato a sua volta da un secondo qualcun altro, mentre il qualcun altro iniziale veniva disarmato da qualcun altro altro altro ancora, oppure era lui a disarmarlo. Insomma, era una scena un tantino ingarbugliata da capire. Di certo ne volavano di bacchette, e molte pure, ed era così divertente vederli correre da una parte e dall’altra per riprenderle! Ed andavano avanti da dieci minuti buoni, o almeno lo schiocco del decimo minuto pervase la classe nel momento in cui Padma Patil disarmò Micheal Corner, per inciso, e il primo incantesimo del decimo minuto punto uno toccò alla bacchetta di Alicia Spinnet, che fronteggiò battendola quella di Hannah Abbott. Il professore non pareva neppur voler accennare a farli smettere. Li guardava con sguardo interessato, come se si fosse trattato di un programma non male alla tv, nulla di più, nulla di meno, senza pronunciar parola. Hermione Granger si voltò un attimo a guardarlo, come a domandargli che cosa dovessero fare, se cambiare tattica, se fermarsi, se continuare così, ma visto che lui non s’accennava minimamente a risponderle, la ragazza preferì andare avanti, disarmando con un colpo di bacchetta il suo avversario Dean. La cosa andò avanti per altri venti minuti buoni. Non era male, a dire il vero, neppure troppo faticoso. Si doveva solo pronunciare un incantesimo, o correre a recuperare la bacchetta, magari, tutto qui. Era anche alquanto divertente inoltre, fronteggiarsi in quel modo, di sicuro uno degli allenamenti più gustosi che un insegnante avesse mai concesso loro durante l’ora di Difesa Contro le Arti Oscure. Furono proprio questi pensieri che persuasero Harry della convinzione che, probabilmente, stavano sbagliando. E fu per questo che si allontanò dal mucchio, scansandosi di tre passi per evitare l’incantesimo di Luna Lovegood, e raggiunse in poco tempo l’angolo di muro a cui stava comodamente appoggiato il suo insegnante.
- Stiamo sbagliando qualcosa, non è vero? – chiese lui quando l’ebbe raggiunto.
- Oh no, Potter, che cosa glielo fa pensare? – domandò lui Severus Piton, in un tono di voce che sembrava però essere alquanto ironico.
- Beh, il fatto che è quasi mezz’ora che andiamo avanti così e lei non accenna a dire proprio niente, ad esempio – rispose lui il ragazzo.
- In guerra non avrete i miei suggerimenti, signor Potter, – rispose il professore – e sono davvero contento che i miei allenamenti non vi dispiacciano.
Harry indugiò qualche momento.
- Ok, è chiaro che c’è qualcosa che non va, - riprese poi il ragazzo – ma cosa?
- Che lo capisca da solo, signor Potter, – rispose lui il suo insegnante – come ho già detto in guerra non ci sarò io a suggerirle.
La voglia abnorme, quasi incontrollabile, di piazzargli un pugno in faccia costrinse Harry da membro e membro. Era così che il suo professore si lavava le mani di praticamente ogni cosa, era insopportabile! Scusi, professore, possiamo…? Oh, no signor Potter, non ci sarò io in guerra, faccia da solo. Scusi, professore, abbiamo un dubbio, secondo lei va bene se…? Non posso mica aiutarvi io, la guerra mica funziona così. Scusi, professore, questa cosa non l’ho capita, potrebbe rispiegarmela, per favore? Ma certo che no, non ci sarà nessuno a rispiegarvi nulla in guerra. Scusi, professore, posso andare in bagno? Non posso certo risponderle, signor Paciock, nessuno potrà darle o no il permesso di andare in bagno durante la guerra! Tanto vale che si fosse rifiutato fin da subito di far loro lezione, in fin dei conti nessuno li avrebbe istruiti in guerra! Uff, che persona odiosa! E di sicuro c’era qualcosa che non andava, ma lui non poteva certo avvertirli, sarebbe stato fin troppo facile per lui dire semplicemente Oh no, ragazzi, avete appena fatto un errore, non si fa così, dovete fare così, doveva farli allenare a lungo per mezz’ora buona prima che si decidesse a dirgli che cosa c’era di sbagliato. Che persona! Insomma, si aspettava davvero che lui potesse arrivarci da solo, se solo ne fosse stato in grado non sarebbe certo andato da lui per istituire quella sottospecie di tortura mascherata sottoforma di classe, sapeva a mala pena allacciarsi le scarpe da solo lui!
Il professore non lo degnava di uno sguardo, aveva ripreso tranquillamente a guardare la fiction dei suoi studenti. Secondo i suoi piani, pensava Harry, quando il ragazzo avesse capito quale fosse l’errore sarebbe bastato che si schiarisse la voce, e poi esponesse lui le sue teorie. Peccato solo che lui non avesse alcuna teoria. Insomma, stavano agendo in modo disordinato tutti contro tutti, come lui aveva detto, stavano usando solo l’Expelliarmus, come lui gli aveva detto, stavano agendo alla massima velocità, come lui gli aveva detto, ed allora quale diamine era il problema? No, non sarebbe mai potuto arrivarci da solo, ed era abbastanza ovvio il nome dell’unica persona a cui avrebbe potuto rivolgersi per risolvere la situazione.
- Hermione! – chiamò a gran voce in direzione della compagna.
Questa si voltò all’istante verso di lui, e Padma Patil approfittò del suo momento di distrazione per disarmarla. Il professore commentò il tutto con un cenno di diniego, mentre la ragazza correva a riprendersi la bacchetta e raggiungeva il suo compagno Harry.
- Che succede? Perché mi hai chiamata? – chiese lui.
- Stiamo sbagliando qualcosa, sono quasi sicuro che stiamo sbagliando qualcosa, - si limitò a spiegarle Harry – ma il professore non vuole dirmi cosa perché in guerra non ci sarà nessuno ad aiutarci eccetera eccetera eccetera, tu hai qualche idea?
La ragazza indugiò un momento a pensare.
- Hum… - fece poi – non mi viene in mente proprio nulla, forse c’è qualcosa di sbagliato nella tecnica?
- Acqua – le rispose il professore.
- Allora forse è la velocità? – ipotizzò Hermione.
- Acqua.
- La pronuncia? L’impugnatura? La scelta degli avversari?
- Acqua acqua acqua.
- La grinta?
- Acqua ancora, signorina Granger.
- Ok, - fece la ragazza rivolgendosi ad Harry – non mi viene proprio in mente altro. Ron! Ginny! Venite a darci una mano!
E ascoltato ciò i due fratelli mollarono a loro volta il combattimento per raggiungerla.
- Stiamo sbagliando qualcosa ma il professore non vuol dirci cosa – riassunse loro Hermione – voi avete qualche idea?
- No, non credo – rispose lei Ginny, - mi pareva che stessimo tutti facendo quello che il professore c’aveva richiesto, siete proprio sicuri che ci sia un errore?
- Sicurissimo – rispose lei Harry, e Ginny lo iconò con un’occhiataccia.
- Luna! George! Fred! Voi che avete la mentalità più aperta, venite ad aiutarci! – chiamò poi la rossa.
- In pratica stiamo sbagliando qualcosa ma non sappiamo cosa, - spiegò loro Ronald quando i tre li ebbero raggiunti – avete qualche idea a riguardo?
- Voi pretendete che noi riusciamo a capire qualcosa che neppure Hermione è riuscita ad individuare, che pretese! – commentò George.
- Sono, d’accordo – affermò Fred – Lee! Alicia! Katie! Anglina! Venite qui ad aiutarci!
I quattro Grifondoro li raggiunsero in fretta.
- Che succede? – chiese loro la Jonson.
- Stiamo commettendo un errore, qualcuno di voi sa quale? – chiese loro George.
- Un errore? Pensavo che stessimo procedendo bene – commentò Alicia.
- No, no, stiamo sbagliando – le disse Fred, - qualche idea a riguardo?
- Perché non chiedete ai Corvonero? – chiese loro Lee – Sono loro le grandi menti qui.
- Grande idea. – commentò Hermione – Padma! Marietta! Cho! Anthony! Micheal! Ci serve una mano, venite ad aiutarci!
- Harry, che succede? – chiese Cho quando i cinque si furono avvicinati.
- Non riusciamo a capire dove stiamo sbagliando – spiegò lei Katie – voi vi siete accorti di qualcosa?
- Io personalmente no. – rispose Micheal, - Anthony?
- No, da parte mia nessun errore – rispose il ragazzo.
- Forse non c’è semplicemente nessun errore – commentò Luna
- No, no, un errore c’è di sicuro – le rispose Harry
- Mancano solo i Tassorosso – commentò Ginny – magari loro hanno captato qualcosa.
- Hannah! Ernie! Justin! Susan! Zach! – chiamò a gran voce Hermione
- Calì, vieni un momento! – fece Padma.
- Qualcuno ha notato un errore? – chiese loro Angelina quando i sei furono arrivati.
- Un errore? No davvero – rispose lei Hannah.
- Volete dirci che stiamo sbagliando? – chiese Zach.
- Sì, probabilmente, - rispose lui Ginny.
- Neville, Colin, Dennis, Dean, Lavanda, venite anche voi, avanti! – chiamò Harry – qualcuno sa dirci dov’è che sbagliamo?
- Sbagliamo?
- Sbagliamo? – chiesero prima l’uno e poi l’altro i fratelli Canon.
- Se mi fossi accorto di un errore mi sarei fermato – rispose lui Dean.
- Spremetevi le meningi
- Non mi viene nulla
- Ma siete sicuri?
- Nessunissimo errore
- Io no di certo
- Nessuno lo scova?
- Forse era la tecnica
- No, gliel’ho già chiesto
- Nessunissima idea
- Nulla di nulla
- Ma chi è stato a sbagliare?
- A me sembra strano
- Basta, professore, - esordì Harry alla fine, bloccando con la sua tutte le altre voci – mi arrendo, ci arrendiamo, qual è l’errore?
Il professore piegò la testa in suo direzione, ed incatenò lo sguardo con quello dei suoi ragazzi.
- Davvero non ci arriva, signor Potter? – chiese lui.
- No, no che non ci arrivo! – rispose Harry.
- Nessuno di noi riesce a capire di cosa si tratta, professore, - lo appoggiò Hermione – quindi se lei volesse gentilmente dirci di che cosa si tratta…
- Si tratta del fatto che siete tutti qui riuniti intorno a me a spremervi le meningi su cosa e perché potreste aver sbagliato invece di essere al centro dell’aula ed eseguire l’esercizio come io vi avevo ordinato, signorina Granger! – rispose in un sol fiato Severus Piton.
I suoi studenti si guardarono perplessi fra di loro.
- E’ tutto qui? Questo sarebbe il grande errore? – chiese lui Ernie.
- Quindi non c’era nessun errore prima che Harry ci chiamasse, giusto? – chiese ancora Micheal.
- Esatto, signor Corner, - rispose lui Severus Piton – l’errore, per inciso, è quello di credere così poco in voi stessi da temere il mio giudizio al punto che siete arrivati a pensare che ci fosse un errore senza che io vi dicessi nulla.
- Ma la cosa andava avanti per le lunghe, - rispose lui Harry – e lei se ne stava solo lì a guardare, era come se qualcosa non andasse e così ho pensato…
- Il fatto che io non le dicessi niente, - lo interruppe Severus Piton – le ha fatto erroneamente pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato, e che io stessi aspettando che voi capiste che ci fosse qualcosa che non va per rimproverarvi. Beh, in parte non posso darvi torto, è una cosa che probabilmente farei, anche quella di dirvi da soli di capire l’errore, eppure questo non vi giustifica. Stavate andando bene, certo, c’era qualche impugnatura sbagliata magari, o qualcuno si è dimostrato fin troppo lento qualche volta, ma non v’avrei mostrato grandi critiche, se voi non mi aveste mostrato adesso quando insicuri foste di voi stessi. Insomma, dovete essere convinti quando fate qualcosa, perché se il vostro avversario capisce che è così facile influenzarvi ha il coltello dalla parte del manico, e questo non deve accadere. Vedete, ragazzi, se concentrandovi in ventotto non riuscite a trovare l’errore, probabilmente è perché non c’è l’errore, tutto qui. Era la scelta più ovvia, la più scontata, e voi l’avete scartata a priori. E se non vi foste trovati in aula, se vi foste trovati là fuori a far fronte ad una vera battaglia? Il dubbio di sbagliare non deve toccarvi neppure un momento, e se lo fa dovete almeno non darvi a vedere, invece voi con me avete fatto l’errore maggiore, voi vi siete esposti. Nessuno in battaglia vi dirà che state andando bene o che state andando male, lo capite benissimo da soli, dato che sopravvivete solo nel primo caso. Tutto chiaro?
I ragazzi si guardarono fra di loro. Avrebbero voluto ribattere, ribattere che avrebbero potuto pure continuare a lottare, ma a lui di sicuro non sarebbe andato bene, che aveva sempre e comunque qualcosa di cattivo da dire lui, e che sembrava tutto così facile visto dall’altezza del suo penoso naso adunco. Avrebbero voluto dirgli che se magari si fosse calmato un poco e si fosse deciso di far loro una lezione che potesse definirsi tale forse non ci sarebbero stati così tanti problemi, e che avrebbe anche potuto mettersi nei loro panni magari, ed essere un tantino indulgente, invece di pretendere che loro sapessero già tutto fin dalla prima lezione. Avrebbero voluto dirgli anche tante, tante altre cose, eppure rimasero zitti. Annuirono.
- Ah, un’altra cosa, - aggiunse allora Severus Piton – lei, signor Potter, lei ha commesso un altro piccolo errore. Ecco, in realtà è un errore piuttosto grande, e quindi vorrei spiegarlo ora alla classe in modo che nessuno lo ripeta più, mi sono spiegato? Perfetto, - continuò – allora, si ricorda quando lei ha chiamato la signorina Granger affinché lei accorresse in aiuto?
- Sì, signore – rispose lui Harry.
- Benissimo, e che cosa ha fatto la signorina Granger allora? – chiese ancora lui Sev.
- È venuta da me – rispose il ragazzo come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Errore, signor Potter, errore. – rispose lui il professore – Vuol dircelo lei, signorina Granger?
- Beh, io, – rispose incerta la ragazza – io mi sono girata a guardare Harry, nel momento in cui mi ha chiamata, e poi, poi Padma mi ha disarmata, quindi sono corsa a prendere la bacchetta e poi…
- Stop stop stop stop stop! – la interruppe Severus Piton, - Basta così, signorina Granger, è sufficiente. Come lei ha ben detto la signorina Padma l’ha disarmata, e questo è avvenuto perchè lei si è distratta girandosi a guardare il signor Potter quando questo l’ha chiamata. Allora, ragazzi, questo è il punto. Durante un combattimento non dovete
chiamare uno dei vostri compagni, per nessuna ragione al mondo, chiaro? Il risultato sarebbe solo e soltanto quello di farlo distrarre, e dare un’enorme possibilità al suo avversario di fargli del male. Il disarmo della signorina Granger ne è un piucchè valido esempio. V’è una ed una sola circostanza in cui il chiamare un compagno è consentito, seppure io non gradisca particolarmente neppure questo uso, ed è quando vi accorgete che la persona in questione sta per essere attaccata alle spalle, in questo caso facendola girare verso di voi probabilmente le salvereste la vita, ma in linea di massima questa rimane una tecnica sbagliata, sono stato chiaro? Detto questo potete andare, in gruppi da tre o da quattro, come la scorsa volta, il signor Potter, la signorina Granger, ed il signor Weasley, che saranno anche gli ultimi ad uscire, comunicheranno a tutti e voi data e orario della prossima lezione. Buona giornata.

Quando ad Harry, Ron ed Hermione fu finalmente concesso di uscire dall’aula, questi raggiunsero la porta alquanto velocemente, e si sbrigarono immediatamente a lasciare il terzo piano imboccando la prima rampa di scale a destra. Avevano appena sceso tre gradini che si resero conto della presenza del rosso George Weasley, appostato alla fine della rampa ad attenderli. Si s’affrettarono a raggiungerlo.
- Ne abbiamo già discusso con gli altri, ci vediamo fra mezz’ora nel bagno di Mirtilla Malcontenta. – sussurrò loro il gemello quando gli passarono affianco – Noi dobbiamo parlare.


NOTE D'AUTRICE:
Salve, ragazzi. Innanzi tutto, vi sarei davvero grata se sceglieste di leggere anche questa mia piccola annotazione, dato che in questa vorrei spiegarvi un bel pò di cose su quello che ho scritto fin ora. In realtà avrei voluto inserire una nota alla fine di ogni capitolo, ma in quelli precedenti ho finito troppo tardi, ero troppo stanza e volevo aggiornare e basta, quindi mi prendo il tempo di parlare qui. Innanzi tutto vorrei dirvi che un pò mi dispiace per aver accantonato la Stanza delle Necessità, non è stata una cosa intenzionale, è che mentre facevo fare a Piton delle ipotesi da scartare mi sono resa conto che il terzo piano sarebbe stato una scelta buona, e così ho deciso di cambiare un pò. Sempre sulla stanza, devo dire che Harry Potter e La Pietra Filosofale è l'unico libro della saga che non ho mai letto, e che quindi non ero a conoscenza della presenza della Stanza delle Pozioni e del Mostro, ma mi sono proposta di trovare anche a queste un uso quando mi è stata fatta notare la loro esistenza da Eleonora2307. Quanto alla prima sono ancora indecisa, mi farò venire qualcosa in mente, mentre la seconda apparirà fra due o tre capitoli. Ed ora andiamo ai colloqui. Innanzi tutto, devo dirvi che sono iper felice di averli finalmente finiti, non ne potevo più! Immagino che da ora aggiungerò molto più velocemente, dato che non ho più quell'intoppo! Inoltre, suppongo che ora nascerà qualche critica sulla mia descrizione di Tassorosso e Corvonero, ma non posso farci nulla, io me li immagino così! Ma vorrei passare un momentino a dirvi la mia su tutti loro, se la cosa vi può interessare.
Allora, il primo colloquio è quello di Anglina. So che non mi è riuscito un granchè e questo mi dispiace perchè il personaggio invece mi piace un sacco, è solo che era il mio primo colloquio! Poi c'è stato Ernie, di lui mi ha ispirato il fatto che fosse arrivato in ritardo, ma il suo colloquio mi ha divertito un sacco! Quanto alle Patil, chiedo umilmente scusa per quell'obribio che è stato il loro colloquio, ma mi stavano antipatiche, quindi non mi veniva in mente proprio nulla da scrivere! Quello di Hermione l'ho odiato solo e soltanto perchè è stato immenso, il più lungo che avessi scritto fino ad allora, e mi ha preso davvero tanto, tanto tempo, ma a parte questo era uno dei pochi per cui avevo già una mezza idea in mente. Zacharias Smith non mi ispirava, ed infatti, come avete visto, ho liquidato in breve il suo colloquio. Per Dean Thomas mi ha ispirato il fatto che il ragazzo fosse un sanguesporco, ma sono molto fiera di come mi sia riuscito il suo colloquio! Quello dei gemelli è andato un pò diversamente di come avevo pensato all'inizio, ma penso infatti che al professore non stiano troppo simpatici i nostri adorati Fred e George, in quanto gli ricordino un pò troppo i malandrini, ecco. Quanto a Ginny, beh, come personaggio non mi è mai piaciuto più di tanto, eppure il suo colloquio mi è venuto in modo molto istintivo dopo aver scritto la parola GINEVRA. A dire il vero mi aspettavo che qualcuno recensisse il capitolo con una frase del tipo "io mi chiamo Ginevra, hai qualcosa contro il mio nome??", ebbene no, adoro quel nome, era solo che mi è suonato così strano! Mi è piaciuto molto anche il suo colloquio comunque, soprattutto la parte iniziale. Quello della Bones me l'ha ispirato la zia, e devo dire che mi è piaciuto. Non male neppure quello di Micheal, sebbene non mi avesse stuzzicato più di tanto. Ah, già quello di Cho mi ha fatto cagare. Poi poi poi. Quello di Hannah Abbott mi ha lasciato davvero soddisfatta, è la sua foto trovata da un film che mi ha ispirato il colloquio. Per quello di Katie, invece, sono stata ispirata dal fatto che la ragazza viene descritta come maledettamente sfortunata, e mi sono divertita a usare questa sua sfortuna anche all'interno del mio colloquio. Poi ho scritto il capitolo di Terry Steeval, perchè avevo preso in considerazione il cognome inglese Boot, così, quando mi sono accorta dell'errore, ho portato il mause in alto e ho preso a scrivere il resto per poi inserire il suo colloquio alla fine. Quanto a lui, sono tremendamente contenta di essere riuscita a tirarmene fuori con poco. Il colloquio di Lavanda non mi piace troppo, comunque mi sono ispirata alla litigata avuta con Hermione, ecco. Quello dei Canon fa schifo, ne sono consapevole, ma non sapevo proprio che scrivere. Quello di Marietta, invece, devo dire che è stato tipo il primo a cui ho pensato, quindi mi è riuscito piuttosto facile. In quanto a Justin, è stato il fatto che venisse descritto come un tipo dalla vivace parlantina ad indurmi a rendere il suo colloquio un monologo, e ringrazio inoltre FRC Coazze, senza la quale avrei finito per renderlo mezzosangue invece che natobabbano. Anthony Goldstain mi stava antipatico dal nome, il suo colloquio ne segue, ed inoltre devo dire che avevo finito di scrivere il suo ed iniziato quello di Lee quando il mio pc si è spento non salvando nulla, e così ho dovuto riscriverli da capo, e la mancata voglia di farlo mi ha bloccata per un pò. Quello di Lee mi piace un sacco, per lui, dato che mi sta un casino simpatico, ho voluto sfruttare il gioco delle domande che mi era già venuto in mente durante il colloquio di Ernie, e tenevo in serbo per una grande occasione. Dedico il suo colloquio a FRC Coazze, per aiuto e pazienza dimostrati nei miei confronti. Nessun commento sul colloquio di Luna, non la reggo troppo come personaggio ed ero ben poco ispirata. Wow, Neville Paciock. Allora, devo dire che neppure lui è uno fra i miei personaggi preferiti, ma mi ha ispirato un fact che diceva che Piton lo odia così tanto perchè se Voldemort avesse scelto lui invece che Harry Lily sarebbe rimasta in vita, e così ho voluto giocare un pò su questo. La vocina nella mente di Piton è una piaga classica nel mio percorso da scrittrice, inserisco vocine maligne praticamente in tutto, mi stanno troppo simpatiche! Il colloquio di Alicia Spinnet ha rischiato di non nascere proprio, dato che ero sicura di averlo già scritto, meno male che mi sono accorta dell'errore commesso. La mia Alicia rivoluzionaria troppo stanca per tenere un colloquio nasce dal fatto che io stessa ero fin troppo stanca per scriverlo! Il suo e quello di Ron sono appunto ispirati dal fatto che io, come loro, volessi farla finita! Comunque mi è piaciuta molto. Anche Ron è uno dei pochi su cui sapessi già cosa scrivere, il suo colloquio non mi è dispiaciuto affatto, ho voluto renderlo spontaneo e diretto come il ragazzo stesso sarebbe stato. E così li ho finiti, sono ventotto, non ne ho dimenticato nessuno, vero?
Ok, ora vado, e prometto di aggiornare prima la prossima volta, dato che i due capitoli che ne seguiranno ce li ho già in mente da un pò e mi piacciono davvero tanto! Baci. Giulia.

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Capitolo 5
*** La Presa della Bastiglia ***


La Presa della Bastiglia


Se Lei, Harry, Ron non si fossero recati nel bagno di Mirtilla Malcontenta come detto loro da George Weasley all’orario prestabilito, probabilmente le cose sarebbero andate meglio. L’idea iniziale, a dire il vero, era stata proprio quella. Insomma, mentre Harry e Ron si scervellavano nel chiedersi che cosa diamine volesse dire il gemello con quella strana informazione, Hermione aveva già capito tutto. Probabilmente, se già la prima lezione del professor Piton aveva irritato i ragazzi, la secondo doveva averli esauriti completamente, e quindi stavolta le sarebbe servito molto più di manipolare un discorso se voleva farli tornare tutti in classe. Quindi, aveva in principio optato per un più codardo e neutrale non presentarsi all’appuntamento, in modo da poter rimandare un poco la sfuriata che le avrebbero sicuramente fatto i suoi compagni, far raffreddare un po’ gli animi, e riuscire, magari, anche a prepararsi un discorso con qualcosa di buono da dire. Certo, anche questo sarebbe stato un bel problema: insomma, cosa si poteva dire di buono circa le lezioni del professor Piton fin ora? Nulla. Maledettamente nulla. Eppure c’è da dire che lei ce la metteva proprio tutta: esaminava tutto quello che il professore diceva cercando di inquadrarlo sotto un differente punto di vista, cercava di giustificarlo quando faceva cose che potevano sembrare molto stupide, si sforzava di vedere sempre il meglio in tutto quello che il professore li costringeva a fare, eppure, non ci riusciva. Quindi, seppure avesse avuto più tempo da sfruttare, le sarebbe stato davvero difficile persuadere gli altri su qualcosa che non convinceva neppure lei, ma almeno c’avrebbe potuto provare, ma così… no, non sarebbe mai stata in grado di studiare un discorso nei soli trenta minuti di tempo che i suoi compagni le concedevano. No, non poteva andare. Se l’avessero presa alla sprovvista, se non l’avessero trovata pronta a difendere la parte del professore, se i suoi compagni avessero vinto quell’agone, allora la situazione si sarebbe messa davvero, davvero male. Innanzi tutto si sarebbero fatti più forti, e, stretti in minoranza, lei, Ron ed Harry, e cioè solo lei, sarebbero stati costretti a fare tutto ciò che il popolo richiedeva, poiché maggioranza docet, anche andare contro a quel mostro di Piton, o peggio liquidarlo. Faceva tanto rivoluzione francese…
Ma l’opzione assenteista era andata ad eclissarsi piuttosto velocemente, avendo considerato infatti la ragazza che se lei e i suoi due amici non si fossero presentati alla convocazione probabilmente questo avrebbe fatto infuriare ancora di più i suoi già adirati compagni, e poi avrebbe dovuto affrontarli tutti divisi, uno a uno, ancora più arrabbiati di prima. A questo punto, meglio togliersi il dente subito, non farli ulteriormente infuriare, e affrontarli tutti insieme invece che divisi. Sì, probabilmente sarebbe stato meglio.
Così era corsa su per le rampe fino alla torre grifondoro, per darsi una lavata e cambiarsi d’abito, sistemandosi in modo da sembrare il più autoritaria possibile: in guerra anche l’immagine voleva la sua parte!
Intanto, i suoi due collaboratore s’erano comodamente sdraiati sui divani della sala comune giocando a tirarsi un cuscino neanche fosse un palla, attività che li aveva tenuti più che impegnati per il loro breve soggiorno, fino a che Hermione non era stata pronta, e così li aveva praticamente obbligati a scendere immediatamente giù per le scale per recarsi a quel diamine di incontro, sebbene i due le avessero detto, in tutta risposta ancora cinque minuti.
Quindi, s’erano presentati in orario all’appuntamento, o meglio, erano arrivati per primi. C’era qualche ragazzina in bagno, qualcuna del primo o due secondo anno, probabilmente, ed Hermione serrò velocemente i ragazzi dentro uno dei bagni aspettando che le altre se ne andassero. Poi erano arrivati i gemelli, e con loro Lee, Angelina, Katie e Alicia.
- C’è gente. - aveva comunicato Hermione, ed allora Alicia aveva cominciato a fare degli strani versi, come dovesse dare di stomaco, sentenziando poi di dover vomitare, e le ragazzine erano uscite di corsa dal bagno sgattaiolando giù per il corridoio. La ragazza s’era ricomposta, aveva accennato a un sorriso, poi aveva battuto il pugno contro quello dei gemelli, che s’erano complimentati per la riuscita della sua interpretazione.
Poi, poco alla volta, erano arrivati anche gli altri.
I Corvonero erano stati i più puntuali, l’ultima ad arrivare fra loro era stata Luna, e dopo loro erano giunti, in ordine sparso, i restanti Grifondoro e Tassorosso.
- Sai, Mirtilla, - aveva poi fatto Padma Patil chiamando a se il fantasma con aria di superiorità – ho sentito dire dal ritratto della Ballerina Scarlatta, nell’ala nord, al terzo piano, che quando eri ancora in vita eri la ragazza più assillante, petulante e lagnosa di tuuutta la scuola, ecco. Ha anche detto che verso il tuo primo anno avevi un serio, serissimo, problema di acne.
- Non è assolutamentissimamente vero! – le era inveita contro Mirtilla passandole attraverso.
- Oh, io lo so, - aveva risposto lei Padma, voltandosi dalla parte opposta per guardarla – e l’ho detto anche alla Scarlatta che per me non era vero, ma lei continuava, e continuava, e continuava… Sai, penso proprio che dovresti andare a parlarle, prima che metta in giro in tutta la scuola la buona novella dei tuoi brufoli…
Ciò detto, il fantasma aveva commentato il tutto con un irritatissimo lo farò sicuramente e ciò detto era evaporata via, lasciando libero il bagno, mentre la Corvonero si girava soddisfatta verso i suoi compagni di casa con un ghigno soddisfatto a colorarle il volto.
I giovani membri del piccolo esercito s’erano quindi disposto nel modo che più gli pareva all’interno del bagno. Qualcuno s’era alzato a issato a sedere sul marmo bianco dei lavandini. Qualcun altro s’era appoggiato al muro, o ai termosifoni. Qualcun altro s’era alzato a sedere sul muretto della finestra chiusa. Qualcun altro ne aveva approfittato per una capatina alla toilette. E poi la riunione era iniziata.
- Ok, chi pensa che Piton non possa continuare ad insegnarci la materia in queste condizioni dica io – aveva cominciato George Weasley, e in meno di un secondo tutti gli studenti presenti nel bagno avevano alzato la mano, precedendo Hermione, che se magari non lo avessero fatto avrebbe anche potuto provare a ribattere.
Ed invece no, mentre un moto veloce portava i tutti i suoi compagni, Harry e Ron compresi, ad alzare la mano, la ragazza deglutì, insieme a un po’ di saliva, anche quel poco di parole che si era già riproposta di dire. Rimase in silenzio.
Quella, per inciso, fu una pessima mossa.
- Perfetto, - aveva decretato Fred Weasley, abbassando il braccio per primo – e dopo questo penso che potremmo iniziare.
- Oh, beh… - aveva cominciato Hermione, tentando a salvare il salvabile.
- Severus Piton è un idiota. – aveva esordito Anthony interrompendola.
- Ottimo inizio! – si era complimentato George, - Quanti di noi sono d’accordo su questo punto?
Nuovamente, inevitabilmente e senza che Hermione potesse dir nulla per frenarli, tutti gli studenti presenti nel braccia avevano nuovamente alzato la mano. Tutti tranne lei, ovviamente.
- Questo non mi pare un buon argomento! – aveva provato ad obiettare Hermione.
- Oh, a me sì, - aveva risposto lei Zacharias Smith – e poi come vedi ci mette tutti d’accordo!
- Sì, la pensiamo così anche noi – avevano ripetuto le gemelle Patil.
- Penso che lo pensiamo tutti qui dentro – aveva commentato Hannah Abbott.
- Oh, sì, lo siamo – l’aveva appoggiata il più giovane dei fratelli Weasley.
- Ronald! – lo aveva rimproverato Hermione.
- Ma è vero! – aveva ribattuto lui.
- Avanti, ragazzi, non mi sembra il caso di attaccare così il professore solo dopo due misere lezioni, dategli tempo – aveva tentato la ragazza.
- Se queste sono le prime due lezioni – aveva detto Micheal – pensate come saranno le altre…
- Ottimo argomento! – s’era congratulato Fred.
- Io dico di farlo fuori prima che si inventi qualche altra strambezza tipo “oh sì, ragazzi, esercitiamoci a schivare gli Avada Kedavra, tanto ne pioveranno a fiocchi durante la guerra! – aveva fatto Lee Jordan.
- Innanzi tutto si dice stramberia e non strambezza, Lee – lo aveva rimproverato Hermione – e comunque…
- Non provare a difenderlo, - la aveva attaccata Harry – Lee ha ragione: quell’uomo è perverso.
- Definisci perverso – aveva suggerito lui George.
- Sì, amico, perverso può avere diverse applicazioni. – lo aveva appoggiato Fred – Insomma, intendi perverso nel senso di maligno, crudele, malvagio, o magari nel senso di mentalmente disturbato, perché a mio parere…
- Piton non è perverso! – l’aveva interrotti Hermione – E se tutti voi la smetteste di fare gli scemi forse capireste…
- E poi che dire dei suoi modi burberi e costantemente severi? – aveva interrotto lei Katie.
- E del suo modo di trattarci come cretini? – aveva aggiunto Ernie – Insomma, sempre con quell’aria da sufficienza di chi ci sta facendo il grande favore della sua presenza…
- Ed è proprio quello che sta facendo! – aveva riprovato a ribattere Hermione – Noi gli abbiamo chiesto un favore e lui ce lo sta facendo. È stato molto gentile da parte sua scegliere di aiutarci viste tutte le ripercussioni che questa cosa potrebbe significare, il minimo sarebbe evitare di lamentarci.
- Oh, certo, Hermione, questo ragionamento non fa proprio una piega – le aveva risposto acida Cho – così se noi avessimo chiesto (che so?), a un cecchino di sparare a vista alla Umbridge e questo in risposta si fosse messo a ballare la Ula immagino che lo dovremmo sentitamente ringraziare senza fargli neppure un rimprovero, dato che si era offerto di aiutarci nonostante i pericoli, giusto?
- Questo esempio non ha senso, Cho, e lo sai pure tu. – aveva commentato Hermione - Se solo voi mi lasciaste parlare io potrei…
- Fare che cosa? – aveva chiesto lei Padma – Difenderlo? Mi dispiace, cara, ma il tuo caro professore risulta indifendibile al momento.
- Sì, siamo d’accordo. – avevano confermato Lavanda e Calì.
- Siamo tutti d’accordo. – aveva detto Fred.
- Lasciatemi spiegare – aveva insistito ancora Hermione – lasciatemi almeno provare a difenderlo.
- Avanti, Hermione, - le aveva risposto Harry – sarebbe come provare a dichiarare innocente Hitler.
- Chi è Hitler? – era esordito Ron.
- Un dittatore sterminatore babbano, Ronald, fatti una cultura! – gli aveva risposto Hermione – E tu, Harry, beh tu stai esagerando parecchio!
- Ma è un mostro, Hermione, ammettilo! – aveva protestato Harry – Si sta comportando in maniera terribile con noi, con tutti, tutti noi, e tu sei l’unica a non rendertene conto, o meglio non vuoi rendertene conto, perché sarebbe una tua sconfitta personale se solo tu dovessi ammettere che sì, proprio così, Hermione Granger si sbagliava, aveva torto, la sua brillante, brillante idea di chiamare a rapporto il caro professor Severus Piton si è rivelata un grande, grandissimo errore!
- Dieci punti a Harry, - aveva gridato esultante George – qualcun altro ha argomenti altrettanto buoni di cui parlare?
- O meglio con i quali mettere a tacere Hermione? – lo aveva appoggiato Fred.
- Fred! George! Ma volete smetterla? – gli era inveita contro lei.
- Ha dei brutti capelli – aveva detto Marietta.
- Ed è lunatico – aveva aggiunto Colin.
- Ed esagerato – aveva commentato Angelina.
- E melodrammatico – era intervenuto Lee.
- Ed egocentrico – aveva aggiunto Calì.
- Ed eccentrico – aveva detto Lavanda.
- Ma per favore! – aveva fatto Hermione – Non sai neppure che significa la parola eccentrico!
- E terrificante – aveva asserito Neville, senza darle troppa attenzione.
- Avete dimenticato psicolabile – aveva ricordato loro la femmina Weasley.
- Ginny! – l’aveva richiamata Hermione.
- Scusa – aveva fatto questa – però è vero!
- E poi è così serio! – aveva fatto Denis.
- E ostile – aveva aggiunto Katie.
- E vogliamo parlare della sua pressoché inquietante somiglianza ad un pipistrello? – aveva chiesto Justin.
- Tutti ottimi, ottimi argomenti, ragazzi – aveva riso Fred.
- Vedi, Hermione, - aveva spiegato lei George – puoi ribattere ad uno, due, tre forse, quattro al massimo, ma non puoi replicare a tutti i nostri argomenti.
- Mi dispiace, cara – aveva detto lei Padma, passandole rassicurante una mano sulla spalla – ma hai perso.
- Smettetela di fare gli scemi, per favore. – aveva chiesto loro Hermione – E poi non dimenticate che Severus Piton è l’ultima chance che ci rimane; l’unica alternativa che abbiamo alla Umbridge!
- Beh, sai, se la Umbridge è l’alternativa a quel mostro di Piton io credo proprio di preferirla – le aveva risposto Antony.
- Ma è un’assurdità! – aveva replicato Hermione.
- Ma è quello che pensiamo tutti! – le aveva detto Harry.
- Ma…
- Basta obiezioni, Hermione – l’aveva fermata George – il popolo ha deciso.
- Se solo “il popolo” mi lasciasse parlare… - aveva obiettato lei lei.
- Nulla di quel che dirai ci farà cambiare idea! – aveva esclamato Zach.
- Ma io…
- Facciamo così, Hermione: – aveva detto lei Fred – ti concedo cento parole, se in cento parole riesci a convincerci che stiamo esagerando con tutta questa storia e che Severus Piton merita di restare ok, resterà, ma se non ci riuscirai ed avremo ragione noi (e, credimi, avremo ragione noi), tu ti dovrai arrendere, e, in quanto suoi assistenti nonché portavoce del popolo, tu, mio fratello ed Harry andrete da Piton e comunicherete che gli daremo all’istante il ben servito se lui non scenderà a compromessi ristrutturando il suo metodo. Cento parole, Hermione, solo cento parole.
- Ma…
- Ti sei già giocata la prima. – le aveva comunicato Lee – Te ne mancano novantanove.
- Voi siete impossibili! – aveva protestato Hermione – Come potete pretendere che io…
- Novantuno, Hermione. - le aveva ricordato Padma – Francamente, cara, non so proprio quanto ti convenga sprecare così le poche parole che ti abbiamo gentilmente concesso.
- Questa poi! – aveva commentato la Granger – Io credo proprio che voi…
- Ottantaquattro – le aveva comunicato Potter.
- HARRY! – lo aveva ripreso lei.
- Ottantatre. – aveva replicato Harry mentre lei strabuzzava gli occhi accigliata – Scusami, Herm, - aveva aggiunto poi – la tua idea sembrava buona, dico davvero, ma Piton è una tortura, ed io sto con loro.
- Questo è il colmo! – aveva esclamato lei – E’ proprio per aiutare te che abbiamo ingaggiato Piton, non puoi essere favorevole a volertene sbarazzare!
- E siamo a quota sessantatre. – aveva commentato George
- Sai, Hermione, - le aveva detto - pensavo che quelle cento parole le avresti usate meglio.
- Ma…
- Sessantadue – le avevano comunicato in coro i gemelli Weasley.
La ragazza aveva piucchè sonoramente sbuffato, e poi s’era portata stizzita una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi aveva squadrato, adirata, l’esercito che aveva dinnanzi. Sessantadue parole, le restavano solo sessantadue parole per convincere ventisette persone su una persona che non convinceva neppure lei. Era davvero un’impresa impossibile. Eppure, lo sguardo di sfida dei suoi compagni le comunicava che quello sarebbe stato il suo ultimo, ultimo modo per difendere la sua causa. Prese un bel respiro.
- Bene, se è questo che volete… - aveva cominciato.
- Cinquantasei – le aveva ricordato Cho.
- Personalmente, - aveva ripreso Hermione ignorandola – penso che sarei un’ipocrita se vi dicessi di aver trovato appaganti le lezioni del professor Piton, i suoi metodi hanno infastidito pure me. Ma, a differenza di voi, io non vedo ancora in questo un buon motivo per mandarlo via. Quel che voglio dire, - aveva continuato – è che dobbiamo dare al professore il tempo adatto per…
- Cento parole raggiunte. – le aveva comunicato Fred voltandosi verso la porta – Qualcuno di voi è convinto?
- No, no per favore non andate. – li aveva supplicati Hermione – Ancora dieci parole, dieci parole e basta.
- Il patto era di cento, cento te ne abbiamo concesse, - s’era limitata a risponderle Alicia – ed ora si metta ai voti: quanti son stati convinti?
In quel momento, a parte qualche io no, io no che s’era levato da vari studenti, la maggior parte di questi se l’era semplicemente cavata saltando giù dal lavandino o dal muretto, o staccandosi dal termosifone e recandosi alla porta. Nessuno di loro s’era detto convinto.
- Aspettate, vi prego. – aveva tentato ancora Hermione – Dieci parole, dieci ancora…
- Avevamo un patto, Hermione, – le aveva ricordato Fred – e tu lo hai perso. Durante il prossimo incontro comunicherai a Piton le nostre condizioni. Noi qui abbiamo finito.
E ciò detto, alquanto velocemente e mentre lei si sforzava ancora a pregarli di restare, erano usciti tutti.
E così lei era ancora nel bagno adesso, sola e adirata che masticava parole di odio che non le era stato concesso di aggiungere alle cento parole già consumate, mentre si sciacquava la faccia. Lei, proprio lei che l’aveva pregato, supplicato di istruirli avrebbe dovuto dargli ora il ben servito, che nervi!
Chiuse il rubinetto e alzò il viso a contemplare la propria immagine nel vetro offuscato dello specchio. Che cosa poteva dirgli? E come poteva dirglielo poi? E c’era forse un ultimo, disperato, estremo tentativo che lei poteva ancora fare per convincere i suoi compagni?
- Incredibile quella Ballerina Scarlatta! – commentò stizzita Mirtilla rientrando fluttuando nel bagno – Ha avuto il coraggio di negare tutto anche, quella vipera! Ah, ma gliela farò vedere io, sì che lo farò, so di certe voci anche io su di lei che le farebbero sbiancare anche il vestito, e non son più tanto certa di volermele tenere per me! Sai, il quadro della Signora col cappello piumato, al quarto piano, mi ha raccontato che ai tempi di Dylis Derwert…
Sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé, Hermione era uscita furiosa dal bagno, che stare a sentire anche le lamentele di Mirtilla sarebbe stata solo un’ulteriore tortura che la ragazza vide bene di risparmiarsi.
S’avviò nel corridoio, a passo veloce, intenzionata di arrivare alla torre Grifondoro quanto prima, se non altro per chiudersi un po’ nella sua stanza e godersi un po’ di pace.
Percorse le rampe, mettendoci il triplo del tempo che normalmente avrebbe impiegato se solo le scale fossero rimaste immobili, e, visto che queste sembravano del tutto intenzionate a non portarla al suo piano, scese al primo che le capitava sottopiede, e stava appunto camminando nel corridoio del secondo piano, chiedendosi che cosa mai avrebbe dovuto fare quando la sua testa china sul pavimento andò a cozzare contro qualcosa di inaspettato, duro e nero. Per inciso, la tunica del suo insegnante di pozioni.
- Guardi dove va, signorina Granger! – esclamò il professore.
- Mi, mi scusi, professor Piton – balbettò lei in risposta.
- Cinque punti in meno a Grifondoro. – disse lui – E veda di stare un po’ più attenta la prossima volta.
Ciò detto, il professore l’aveva scansata ed aveva continuato la propria marcia.
Sì, pensò Hermione, se lei, Harry, Ron non si fossero recati nel bagno di Mirtilla Malcontenta come detto loro da George Weasley all’orario prestabilito, le cose sarebbero andate sicuramente meglio.

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Capitolo 6
*** La reazione del principe ***


La reazione del principe

Era una pessima idea.
Quella di informare gentilmente il loro preziosissimo insegnante che, a meno che non cambiasse il suo indiscutibile metodo, i suoi puntuali servizi non erano più richiesti, quel giorno, parve ad Hermione una pessima, pessima idea.
Era stata una pessima idea fin da quando i suoi compagni d’armata l’avevano proposta, era una pessima idea al momento e lo sarebbe stata anche in futuro, la ragazza ne era sicura.
Aveva provato a protestare contro i suoi compagni di scuola e di Casa per tutti i santi giorni quella settimana, li aveva assillati in tutti i modi che aveva ritenuto possibile, li aveva seguiti ovunque andassero per ribadire, per l’ottantesima volta, che quella era una pessima, pessima idea, ma nessuno le aveva dato ascolto.
Aveva anche tentato di tenere il broncio a tutti, rifiutandosi di correggere i compiti di Harry e Ron, ed anche evitando di alzare la mano durante le varie lezioni per non far prendere punti ai suoi compagni di Casa che per nulla l’avevano spalleggiata. Tristemente, anche questo suo tentativo aveva fallito, in quanto ciò che aveva fatto montare in rabbia ai suoi compagni di Casa, aveva comunque giovato ai componenti Corvonero e Tassorosso dell’esercito.
Infine, la sua idea brillante era stata quella di mentire spudoratamente, comunicando ai suoi compagni di aver già parlato lei con l’insegnante, e dicendo che lui aveva completamente accettato le loro pretese. Ovviamente, l’informazione era un falso, la ragazza non aveva certo fatto nulla di simile, confidava solo che nell’incontro seguente il professore si fosse rivelato un tantino meno scontroso e pazzoide, anche solo poco poco, quel tanto a sufficienza a far in modo che i suoi compagni credessero alla sua messa in scena. Mi sembra del tutto inutile e scontato, dover dire che il suo piano era fallito miseramente. I suoi compagni l’avevano sgamata all’istante, in primo luogo perché nessuno credeva che Hermione Granger avesse davvero deciso infine di obbedire a ciò che loro gli avevano richiesto, e di recarsi dal suo professore tutta da sola. E poi, a dirla tutta, pareva più che impossibile che il professore avesse in qualche modo accettato.
Quindi, anche quell’ultimo, misero prototipo di piano era inevitabilmente fallito.
Complimenti, Hermione Granger.
La ragazza aveva perciò pensato, visti gli scarsi risultati che la sua resistente protesta aveva suscitato, di non presentarsi a lezione quella mattina. Insomma, avrebbe potuto fingere un malessere, tipo la febbre, o magari un’influenza intestinale, o una varicella… Lo so, quel suo sciocco tentativo non aveva affatto il sapore del coraggio di una vera Grifondoro, e questo la cara Hermione Granger lo sapeva, eppure, bisogna dire che c’erano un paio di punti che vertevano in suo favore. Il problema principale che la giovane strega avvertiva, in realtà, era una sorta di timore, timore non tanto per quella che temeva sarebbe stata la reazione del suo insegnante, ma per quello che il suo insegnante avrebbe provato. È vero, Severus Piton non aveva un cuore, né tanto meno dei sentimenti, eppure Hermione Granger cominciava a sospettare, in cuor suo, che quella rivolta, quella presa di posizione contro di lui dei suoi alunni, avrebbe finito per ferirlo. Certo, lui non l’aveva mai ammesso, eppure la ragazza aveva sempre saputo, e ne era convinta anche allora, che il professor provasse, nel profondo, una quanto mai vasta soddisfazione all’idea di condurre quella classe. Insomma, il fatto che loro gli stessero l’opportunità di insegnare a una classe quasi regolamentare la materia che Silente non gli aveva mai concesso, e per la prima volta i ragazzi dimostravano di fidarsi di lui riponendo nelle sue mani tutte le sue speranze, invece di additarlo come il cattivo, come facevano tutte le volte.
Forse sì, forse era un po’ troppo audace provare pena per lui, sintomo di un eccesso di precauzione, di un eccesso di premuro, eppure era proprio quella strana, insolita preoccupazione di ferirlo il sentimento prevalente nel cuore e nella testa della giovane Hermione Granger.
Con il seguente stato d’animo, la ragazza si introdusse chiudendo la fine della fila dei suoi compagni dentro l’aula per le lezioni. Il professore li stava aspettando dentro.
Lievemente appoggiato contro il muro, con la sua solita pergamena fra le mani, Severus Piton, alzando impercettibilmente gli occhi sui ragazzi, fece velocemente due calcoli assicurandosi che ci fossero tutti. Non appena Hermione Granger ebbe chiuso la porta, ed ebbe raggiunto gli altri suoi compagni al centro della stanza, il professore si scansò con una piccola spinta dal muro, e mosse qualche passo in direzione dei suoi alunni.
- Hannah Abbott? – cominciò l’appello brandendo la sua pergamena.
- È presente. – gli comunicò in tono secco la voce di Anthony Goldstein.
- Come, scusi? – chiese lui Severus alzando gli occhi dai foglio.
- Ho detto che è presente, – rimarcò semplicemente il Corvonero – e questo lo sa anche lei, dato che ha alzato gli occhi su di noi nel momento in cui siamo entrati.
- Penso che se la signorina è presente possa rispondere da sola, - sentenziò Severus Piton - a meno che un incantesimo particolare non le abbia polverizzato la lingua, - e qui si rivolse ad Hannah – è andata così, signorina Abbott?
La ragazza non rispose, si limitò a tirar fuori la lingua e a mostrargliela fra i denti.
- Hannah Abbott? – ripeté il professore in tono più severo.
- Lo sa che c’è. – gli sbottò contro Ernie – Lei sa che ci siamo tutti.
Mentre il volto del professore s’incupiva, Fred e George accerchiarono Hermione Granger.
- Sai, Hermione, - fece Fred – credo proprio che questo per te sia il momento di agire.
- Vi prego, vi prego, - li supplicò Hermione – non credo assolutamente che ci sai bisogno di…
- Hermione, ora. – le intimò George.
Dopo di ciò i due le diedero una lieve spinta, e la ragazza avanzò di un mezzo passo.
- Allora, signori, forse non sono stato abbastanza chiaro con voi, mi spiegherò meglio… – cominciò il professore, avanzando adirato ma con passo calmo verso il branco in quasi rivolta dei suoi alunni. Hermione mosse lo sguardo sulla sua figura nera ed il suo lento ondeggiare.
- Ora. ORA! – le ripeterono ancora i Weasley, e sta volta la spinta che le inflissero fu abbastanza forte da costringere la ragazza a fare ben due passi in avanti per non cadere.
- Hey, stop! – intimò loro la ragazza con voce troppo alta, ed il tono sonante dell’esclamazione fece voltare il professore verso di lei.
Severus Piton si fermò all’istante. Indugiò qualche secondo a guardare la ragazza che s’irrigidiva sotto il suo sguardo, e poi cambiò, lentamente, traiettoria, camminando a passo lento verso di lei.
- C’è qualcosa che non va, signorina Granger? – chiese lei guardandola dall’alto il basso non appena l’ebbe raggiunta.
- Io… no, no, assolutamente no – balbettò in risposta Hermione, portando gli occhi alle sue scarpe per sottrarsi allo sguardo inquisitorio di lui.
- Hermione ha qualcosa da dirle, professore. – suonò tonante la voce di Fred Weasley dietro di lei – E’ qualcosa a nome di tutti.
La ragazza si morse le labbra, piegando il volto in una mezza smorfia, e, senza alzare ancora gli occhi dalle scarpe, immaginò in un secondo solo la reazione del suo insegnante. Quasi sicuramente, immaginò la ragazza, quasi sicuramente Severus Piton aveva puntato immediatamente lo sguardo su Fred, e, colta la spinta rivoluzionaria di quella sua esclamazione, i suoi occhi s’erano ridotti in un momento a fessura. Probabilmente, aveva tenuto per qualche istante il suo sguardo e poi, colta la sfida, aveva portato gli occhi nuovamente su di lei. Nel suo tentativo di immaginazione, Hermione Granger era in quel momento davvero, davvero convinta che Severus Piton la stesse fissando nel peggiore dei modi. E non aveva davvero voglia di alzare lo sguardo per rendersi conto che aveva ragione.
Severus Piton, in quei momenti, per inciso, si era comportato più o meno esattamente come Hermione aveva previsto. Nel momento in cui Fred aveva presentato lui la proposta di Hermione, il professore aveva soppesato un momento la sua affermazione, e, una volta compreso il fatto che quasi sicuramente questa non portava nulla di buono, pur rimanendo impassibile, aveva portato gli occhi sulla ragazza, che teneva ancora la testa china come ad aspettarsi una sua imminente decapitazione. La cosa non lo tranquillizzò affatto. Doveva esserci qualcosa che non andava se la stessa Hermione Granger chinava la testa pur di evitare il suo sguardo, questo voleva quasi sicuramente dire che pessime notizie erano in arrivo. Concentrò per un quanto mai lungo arco di tempo la sua attenzione su di lei, aspettando la sua prossima mossa. Questa, per inciso, non avvenne. La ragazza se ne stava lì, davanti a lui, ferma immobile, con la testa china, le mani che si torturavano i lembi della camicia, le scarpe che si portavano ripetutamente l’una sull’altra, i denti che si mordevano le labbra. Pessimo, pessimo segno.
- Ah sì? – disse muovendo nuovamente gli occhi sui gemelli, per poi ritornare a lei – E che cos’aveva di così importante da dirmi, signorina Granger?
La ragazza alzò finalmente gli occhi su di lui.
Lo sguardo inquisitorio del professore verteva ancora immutato su di lei.
- Io volevo… - provò a cominciare la ragazza – io volevo… cioè, la classe, intendeva… i miei compagni volevano… per bocca i miei, per bocca mia volevano farle sapere… loro volevano… Ecco, hanno pensato… la loro idea era… Insomma, quello che volevo dire è che…
- Il suo comportamento ci ha stufato professore. – tagliò corto Fred Weasley.
- Come, scusi?! – chiese lui Severus Piton portando gli occhi a saettare su di lui.
- Fred! – lo rimproverò Hermione – No, no non è così – tentò di riprendersi poi, dando una legera scossa alla veste del suo professore affinché dimenticasse quel che il ragazzo aveva appena detto e tornasse a concentrarsi su di lei. Tutto in utile, lo sguardo duro del suo professore era ancora puntato su di lui – quel che stavo dicendo, quel che volevo dire è che…
- Le spiacerebbe ripetere, signor Weasley? – continuò Severus senza degnarla della benché minima attenzione.
- Quel che Fred vuole dire – riprovò Hermione -…
- Lo so che voglio dire! – l’interruppe il ragazzo. – Non mi serve che tu mi faccia da interprete, Hermione, e non serve neppure a lui – fece alludendo al suo insegnante – è grande, grosso e vaccinato, non ha bisogno che tu gli spalmi il miele sulla coppa per mandar giù la medicina. Quel che volevo dire, professore, – fece poi assumendo un tono di voce più calmo – è che i suoi modi ci hanno stufato.
- Fin dalla prima lezione ci siamo resi conto dell’errore commesso nell’affidare a lei quest’incarico, – continuò George – ed avevamo pianificato di andarcene, ma Hermione ci aveva fatto un bel discorsetto, una cosa sul coraggio in battaglia, e sulla lealtà, e su quanto stupidi saremmo stati se non ce ne fossimo andati, insomma, abbiamo deciso di darle una seconda possibilità. Indovini un po’? Lei l’ha sprecata.
- C’eravamo rivolti ad un insegnante, professore, – prese parola Anthony – ci serviva qualcuno che ci istruisse, che prendesse quel posto che la Umbridge s’era dimostrata tanto indegna di occupare. Non avremmo mai potuto immaginare che lei, professore, che lei potesse essere addirittura peggio di lei.
- Ok, ovviamente stanno un po’ esagerando… - l’interruppe Hermione tentando ancora di salvare quel poco che di salvabile c’era rimasto.
- Non stiamo esagerando, Hermione. – la zittì Zach. – Le abbiamo permesso di insegnarci ciò che più le premeva insegnare, abbiamo accettato i suoi colloqui assurdi, i suoi orari stressanti, i suoi inutili appelli, le sue lezioni assurde per fin troppo tempo. Ora ne abbiamo abbastanza.
- Immagino che lo sbaglio sia stato nostro fin dall’inizio – commentò Harry alludendo a sé stesso, Ron ed Hermione, mentre la ragazza dilatava le pupille al limite dell’immaginabile non trovando alcun argomento utile per indurlo a tacere – e me ne assumo la responsabilità: non avremmo mai dovuto confidare in lei, professore. Sperare che lei avesse potuto portarci qualcosa di buono…
- Ergo, - aveva concluso Padma – noi ragazzi ci siamo riuniti ed abbiamo deciso: o lei cambia i suoi metodi, professore…
- E per “cambia” – aveva specificato Calì – intendiamo dire che li rende più vicini a delle lezioni e meno all’apice di un manicomio.
- Oppure può anche cercarsi un’altra classe. – aveva ripreso la Corvonero. – Con noi ha chiuso.
Eclissatesi le parole dei suoi alunni, Severus Piton rimase muto per qualche istante, limitandosi soltanto a guardarli. Il suo sguardo nero come la più buia delle notti andò a soffermarsi, tranquillo, su uno studente alla volta, come ad abbracciarli, ad analizzarli, a studiarli per qualche frazione di secondo. Mosse pian pianino qualche passo, incrociando la gamba destra dinnanzi alla sinistra, e poi la sinistra davanti alla destra per tre volte, di lato, non per andare in qualche posto di specifico, solo per muovere le gambe. Nei suoi pensieri, Severus Piton analizzò ben bene tutte le parole dette dai suoi studenti, soppesandole come se si trattasse di mettere il voto a degli interrogandi, e dopo tutti quegli istanti, che ad Hermione parvero interminabili e a tutti gli altri eterni, il professore si decise a parlare.
- Mi sento davvero, davvero offeso, – cominciò il professore, - da lei, signorina Granger.
- Da me? – fece sbalordita Hermione – Ma io… io sono stata l’unica… io l’ho difesa io…
- Lei doveva, – l’interruppe il professor Piton in tono tranquillo ma severo – lei doveva lasciare che i suoi compagni lasciassero la mia classe nel momento in cui questi hanno deciso di farlo. Il suo tentativo di tenerli qui è stato terribilmente patetico. Grazie comunque.
La ragazza chinò il capo accettando la finta critica e il ringraziamento, e poi il professor Piton cominciò la sua invettiva.
- Allora, - cominciò l’uomo – da dove cominciare…? Io, beh io modestamente penso che qui si stia partendo da premesse sbagliate. Tanto per chiarire meglio: io non ho chiesto aiuto a voi. - Ma lei… - aveva provato a dire Harry.
- No, no, no, mi scusi signor Potter, - l’aveva interrotto Severus – voi avete detto la vostra senza che io vi interrompessi, ora lasciate parlare me. Come stavo dicendo, io non ho chiesto aiuto a nessuno. Ecco io penso, e forse sarà un’opinione errata la mia, ma credo davvero che qui stiamo partendo da premesse sbagliate. Secondo il dipinto che voi avete tracciato della situazione, qui io dovrei forse inchinarmi alla vostra prorompente cortesia e scusarmi se sono stato un po’ burbero e se non vi ho accontentati. Voi mi avete concesso di insegnare la materia dei miei sogni, voi avete accettato i miei colloqui, i miei orari, i miei appelli, le mie lezioni. Ma penso che voi abbiate tralasciato solo un piccolo, piccolissimo particolare: sono io che ho accettato di aiutarvi. Forse avete perso la memoria, di recente, forse la rabbia vi ha un po’ confuso, ma sarà meglio ridefinire la situazione. Siete voi, voi, voi che siete venuti da me, per chiedermi aiuto. Vi pregherei di non interrompermi per favore, perché credo davvero che questo sia il nocciolo della questione. Non sono stato io a chiedere il vostro aiuto.
- Sì ma…
- Non sono stato io, ed ho chiesto di non interrompermi, signorina Chang, a supplicarvi di aiutarmi, è quelli siete stati voi. Siete venuti in camera mia nel pieno della notte, a parlare di come la Umbridge fosse terribile e su come vi servisse una mano, non vi ho chiesto io di iscrivervi ai colloqui, siete stati voi a presentarvi chiedendomi di ammettervi alla mia classe, voi a chiedermi di istruirvi, voi a pregarmi, scongiurarmi, supplicarmi di…
- Quello che le avevamo chiesto era di dimostrarsi un insegnante migliore della Umbridge, e lei non lo è stato! – protestò Harry.
- Io sto facendo esattamente quello che voi mi avete chiesto, signor Potter, ed ora faccia silenzio! – lo zittì Severus Piton alzando la voce - Come stavo dicendo, - riprese poi il professore in tono calmo – Siete voi ad avere bisogno di me, non il contrario. Se ho sempre voluto insegnare Difesa Contro Le Arti Oscure? Sì, è vero, è risaputo, ma se pensate che questo gioco mi diverta vi sbagliate di grosso. Io sto faticando, rischiando, lottando più di voi tutti messi insieme. La signora Dolores Umbridge lavora direttamente per il Ministero, questo vuol dire che se qualcuno di voi viene beccato si becca un biglietto di sola andata per il ritorno a casa, ma se becca a me io finisco ad Azkaban fino a nuovo ordine! Posso vivere senza questa cattedra io, senza questa classe, insegno una materia che mi piace, ho un lavoro salariato, un ufficio comodo, io, e lo avevo già prima che questa classe nascesse e lo avrò anche se deciderete di sbattermi fuori. La Umbridge non ha potere su di me. Sì, può prendere i suoi appunti, può guardarmi male e meditare di buttarmi fuori, ma sono l’unico qui dentro che non le si è ancora ribellato contro, quello i cui insegnamenti le sembrano più consoni al suo progetto di decoro, ed anche il più pericoloso, date le informazioni sul mio passato che a quanto pare già tutti conoscete. Il mio stipendio qui è assicurato anche con lei, la mia vita non cambia affatto. In caso succedesse qualcosa, e per qualcosa intendo, che Lord Voldemort, l’uomo che ha ucciso il vostro amico Cedric Diggory – e qui alzò la voce – dovesse essere davvero tornato come il signor Potter profetizza e dice, allora io me ne starò qui, al sicuro, preparato abbastanza per poterlo affrontare e sopravvivere. Quindi, se vi aiuto, come sto facendo, le mie aspettative sono fatica e, in caso vada male anche un bel soggiorno all inclusive ad Azkaban, se non lo faccio la mia vita va avanti tranquilla. Ma ora parliamo di voi. Voi vivete qui, nella vostra scuola, oppressi dal regime bigotto che la Umbridge sta cercando di istaurare qui. Le sue punizioni sono pene corporali, i suoi metodi vi impediscono di vivere. E non è tutto. I suoi insegnamenti vuoti fanno in modo che voi siate impreparati proprio nel momento in cui più avreste bisogno di sapere come difendervi. In caso ci dovesse essere una guerra, cosa che francamente mi astengo dall’escludere, sareste deboli, impreparati. In poche parole, non avreste altro scampo o speranza di salvarvi che chiudendovi in casa e pregando che Lui non venga a trovarvi. Questa classe è l’unica chance che avete di sopravvivere. Quindi, facciamoci due calcoli: senza queste lezioni io ho un lavoro che mi paga da vivere, ben pochi problemi, ed in caso Qualcuno dovesse attaccarmi ne so abbastanza per rispedire i suoi incantesimi al mittente almeno il tempo necessario per fuggire; se partecipo mi rischio Azkaban insieme a un grande sforzo e impiego di tempo ed energie. Se voi non partecipate, vi private dell’insegnamento che al momento vi sarebbe più utile limitandovi a studiare (chessò?) le proprietà di un buon incantesimo sopra un libro di carta, e siete totalmente insignificanti, per non dire già morti, in caso di guerra; se partecipate potreste imparare quantomeno lo stretto indispensabile per sopravvivere a Lord Voldemort più di quindici secondi (senza contare il qui presente Harry Potter, questo record appartiene a Dorcas Meadowes, la donna che è riuscita a sopravvivere all’Oscuro Signore più a lungo). Ora, ricapitolando, credete ancora di essere voi a star facendo un favore a me?
La classe rimase in silenzio.
- L’unico motivo per cui ho accettato di lavorare in questa classe – riprese Piton – fregandomene dello sforzo e dei rischi che tutto ciò comportava, era quello di darvi anche una sola possibilità di rimanere in vita, in caso di battaglia. Il mio errore, immagino, è stato quello di considerarvi persone coscienti e responsabili, persone in grado di capire di chi e di cosa avessero bisogno, persone abbastanza umili da comprendere di non potercela fare da sole, e di riporre la loro fiducia nelle mani di una persona un po’ più esperta di loro. Errore mio, appunto, considerarvi come persone tali, invece dei bambini che ovviamente siete.
- Ma lei… - provò a protestare Harry.
- Io cosa, signor Potter? – chiese lui Piton, evidentemente alterato, - Io cosa?
- I suoi insegnamenti, – rispose lui il ragazzo – non assomigliano affatto… non si avvicinano nemmeno… Insomma, il professor Raptor, ed anche Allock, e Remus…
- Raptor e Remus dovevano istruirvi per gli esami io vi sto preparando per la guerra! – tuonò il professor Piton – E non sono disposto a sentirmi dire che i miei metodi non vi piacciono. Potevate tornare da Allock, se tanto vi piacevano i suoi metodi, credo che sia ricoverato al San Mungo in seguito a… che cos’è stato? Ah, già, la perdita della memoria causata da un incantesimo provato ad applicare su due suoi studenti! Non prenderò le veci di qualcun altro solo perché la cosa vi fa piacere, signori, non balbetterò nel vedervi arrivare, non testerò dal vivo incantesimi senza perdono sopra i ragni, non istruirò sui mollicci elargendo cioccolata e non vi farò studiare sui miei libri firmando autografi e conquistandomi con un colpo di chioma fluente o con un sorriso!
- Anche perché non se lo potrebbe permettere… - commentò Marietta all’orecchio della sua amica Cho.
- Silenzio! – gridò il professore – Io mi sono messo al vostro servizio, sto lavorando per voi, e ce la sto mettendo tutta, ed il modo in cui voi mi ringraziate è…
- Ma i suoi metodi assurdi… - provò a ribattere Harry.
- Dei miei metodi lasci discutere qualcuno in grado competere in materia, signor Potter! – lo rimproverò Severus – Quanti anni aveva lei, signor Potter, quando ha visto per la prima volta il signore oscuro? Lei aveva un anno, e si è salvato per fortuna, così come ha fatto per il suo primo anno di scuola quando ha scoperto accidentalmente che il tocco delle sue mani bruciava la carne di Raptor, è stata Fanny a salvarla tre anni fa, e l’hanno scorso probabilmente sarebbe morto se il cerchio di anime non le avesse fatto prendere tempo. E tutta questa fortuna per, e mi lasci fare il calcolo, ah, già, un totale di quattro fortuiti incontri in tutto. Beh, io ho vissuto con lui per due anni, signor Potter, due anni, e non sono sopravvissuto per fortuna. E questo lei, signor Potter, come tutti i presenti, immagino, già lo sa. Ed allora non crede, signor Potter, che dopo due anni di servizio, io sia in grado ora di conoscere i suoi metodi, il suo modo di agire, il suo stile, che non sia forse per questo che l’Ordine, nella veneranda persona di Albus Silente, ha richiesto la mia presenza, e non crede forse che, in vista di queste mie conoscenze, il mio insegnamento con voi sia venuto di conseguenza. Tutti voi conoscevate il mio passato, me lo avete fatto ampiamente capire durante i vostri colloqui, ma a quanto pare questo vi è parso incredibilmente utile nel momento di puntarmi il dito contro, ma neppure uno di voi è arrivato a pensare che forse era proprio questo mio passato che più poteva aiutarvi.
Qui fece una breve pausa. Nessuno osò dire parola, ed anche Harry, che fin ora era stato colui che aveva tenuto più viva la resistenza, aveva adesso indietreggiato di un passo. Il professore riprese.
- Il professor Remus Lupin è stato senza dubbio il professore migliore che voi abbiate mai avuto, – disse Piton – per quanto la sua lentezza nell’eseguire il programma ed i suoi metodi troppo confidenziali non rientrino nella top ten dei miei modi ideali, possiamo dire che non avere il parassita di Lord Voldemort conficcato dietro la testa o di non aver cercato di uccidervi lo renda il professore ideale ai vostri occhi, e questo è ok. Ora, qualcuno di voi sa quante volte Remus Lupin si è trovato di fronte a lord Voldemort? Tre volte. Meno di lei, signor Potter. Ora, non voglio assolutamente screditare il vostro insegnante dinnanzi a voi, ma vorrei che voi teneste a mente quantomeno che il tipo d’insegnamento che era a lui richiesto di fornirvi è molto differente da ciò che son costretto a fare io.
- Mi avete chiesto di istruirvi per la guerra, affinché foste preparati – continuò il professore – e forse ho sbagliato io nel non spiegarvi fin da subito che, cosa che davo per scontata, una preparazione di guerra è una cosa ben diversa da una lezione ordinaria. Non vi sono duelli onesti, in battaglia, signori. È un tutti contro tutti, è il caos più totale, gli incantesimi volano da ogni parte e non vi capiterà poco spesso di venir colpiti da un fuoco nemico. Credetemi, la guerra è molto peggiore di un molliccio.
- A che cosa pensate che potrebbe tornarvi utile, in caso di guerra, imparare l’anatomia dei marciotti? Volete combattere contro una creatura invece che contro un uomo? Beh, Voldemort preferisce i dissennatori. Non credete forse che sarebbe più facile anche per me eseguire lezioni ordinarie? Mettermi comodamente seduto e guardarvi mentre eseguite incantesimi regolari senza muovere protesta, invece di dovermi esporre in prima persona con la speranza di darvi una preparazione maggiore?
- Ora, alla luce di tutto ciò, io vengo qui a lezione come tutte le altre volte quest’oggi, e quello che mi trovo dinnanzi è una gruppo di ragazzini stupidi e immaturi che non fanno che lamentarsi di come siano severi i miei metodi. Ma penso che tutti voi mi conosceste abbastanza prima di questa classe, sapevate già com’ero fatto, e nessuno vi ha costretti a venire qui, potevate rivolgervi a qualcun altro. I miei metodi, i miei modi, sono, per inciso, l’unica speranza che credo abbiate per sopravvivere. E se non sono carino con voi, e se non sono gentile, sappiate che là fuori nessuno sarà gentile, e nessuno si asterrà dall’uccidervi se solo gliene capiterà l’occasione. Ed in più non credo che sia compito mio rendervi piacevoli queste lezioni. Mi pare di aver ribadito in ogni sacrosanto colloquio che questo non era un passatempo, che non andava preso come tale, dovrebbe essere la vostra voglia di imparare, la vostra conoscenza di ciò che vi sta accadendo intorno a far sì che vi presentiate puntuali alle mie lezioni tutti i giorni, non i miei moti garbati. Scegliete voi se volete un insegnante od un migliore amico, per non sono disposto a fare il secondo! Non sono la vostra balia, siete grandi abbastanza per non averne una, sono un vostro insegnante, per l’amor del cielo, e per inciso l’unica persona che vi sta dando una mano in questo, mi meriterei un minimo di rispetto.
- E non vorrei più ritornare sull’argomento, se non vi dispiace. – concluse Severus dopo una breve pausa – Come ho già detto, nessuno vi obbliga o vi costringe a stare qui, potete andarvene quando più vi pare, se i miei metodi vi lasciano così scontenti. Quindi, se c’è qualcuno che vuole andarsene è pregato di spostarsi un momento nella parte destra dell’aula. La vostra destra.
Nessuno degli studenti si mosse di un passo. Si guardarono fra di loro, non trovandosi con gli sguardi, e poi rivolsero nuovamente lo gli occhi al loro professore, rimanendo fermi ai loro posti. Neville Paciock, che stava più vicino degli altri alla parte destra dell’aula, mosse un passo nella zona opposta, come a scansarsi dal luogo del delitto.
Il professore non proferì parola.
- Perfetto. – decretò dopo una manciata di secondi – In caso qualcuno di voi cambiasse idea nel corso delle prossime settimane è pregato semplicemente di non presentarsi in aula. Io stesso non so se lo farò: mi avete molto, molto deluso.
- Per oggi la lezione è finita, - concluse muovendo qualche passo verso l’uscio – Spero che abbiate imparato qualcosa.
Ciò detto sparì dall’aula chiudendo la porta dietro di se.
Nella stanza continuava a prevalere un marmoreo silenzio.
I ragazzi si guardavano pietrificati fra di loro, muti, uno sguardo colpevole stampato sopra le facce.
- Ok, - decretò Ginny Weasley prendendo per prima la parola – siamo tutti d’accordo nel dire che quell’uomo non è mai stato più eccitante di così, o è solo un’impressione mia?
- Oh, no, ti appoggio totalmente – commentò Hannah Abbott .
- Sì, appieno – asserì Alicia.
- Totalmente – le appoggiarono anche la Bones, la Jonson e le Patil.
- Oh, nessuna obiezione – commentarono Fred e George – siamo pienamente d’accordo che Severus Piton non sia mai stato più sexy.
- Il suo modo di risponderci, di spiegarci come stavano le cose… – enfatizzò Justin – e poi tutto il discorso! È stato grande, dieci volte meglio di Allock!
- Davvero affascinante – fece Cho Chang.
- Un po’ spaventoso – commentà Neville – ma affascinante.
- Diamine, - fece Harry – dovrò chiedergli scusa circa un milione di volte per quello che ho fatto, e come non bastasse devo ammettere che, anche se fino ad ora non me ne ero reso conto, lui aveva ragione su tutto.
- Dovremmo chiedergli scusa. – concluse Ron – E pregare che abbia il cuore di perdonarci e tornare a lezione la prossima volta.
- Per ora c’è qualcuno che ha intenzione di non presentarsi, a parte lui? – chiese Harry alla classe.
- Ma vuoi scherzare? – chiese lui Lee Jordan – Ringrazia solo che io non decanti un suo coro alla prossima partita di quidditch!
- Già, è stato fantastico, sensazionale – commentò qualcun altro.
- Il miglio discorso nella storia di Hogwarts, senza dubbio.
- La sua energia, la sua rabbia, ma anche la sua eloquenza era tutto così… wow!
- È stato emozionante, mi ha toccata nel profondo, ragazzi, dico davvero.
- Mi sono sentito uno schifo, e in contemporanea l’ho amato con tutto me stesso…
- Quell’uomo è una forza, Hermione! – decretarono Fred e George – Non capiamo davvero perché mai tu abbia tentato di mandarlo via…

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Capitolo 8
*** Le scuse ***


Le scuse (sia di Potter, sia dell'autrice!)

La seconda delle Riunioni Speciali dell’E.S. era stata molto più breve e semplice della prima. Dopo l’invettiva di Severus Piton e la sua grande uscita di scena, i ragazzi s’erano guardati sconvolti fra loro, applaudendo il discorso del loro insegnante, ed era solo grazie a Harry, Ron ed Hermione che erano riusciti a tornare non visti fino ai loro dormitori, in quanto, presi dall’euforia, sarebbero usciti di lì tutti insieme chiacchierando animatamente su quanto travolgente fosse stato il monologo.
Così, presi come non mai dall’idea di quelle lezioni, avevano aspettato con ansia, il successivo incontro, interrogandosi fra loro su quale sarebbe stato il prossimo argomento, e su come il professor Severus Piton avrebbe scelto di trattarlo.
Quell’impeto, quell’ansia, quell’enorme coinvolgimento, era andato però molto presto ad eclissarsi. Erano passate infatti ben due settimane, due settimane dalla fine della precedente lezione, e Severus Piton non s’era ancora deciso a convocarne un’altra. In un primo momento, Harry e Ron avevano pensato – nonché sperato – che questo ritardo derivasse solo dal fatto che il professore non fosse riuscito a mettersi in contatto con loro, e così avevano preso a fingere di dimenticare qualcosa nell’aula di Pozioni, per tornarvi quando c’era solo lui, a camminargli casualmente accanto se lo avvistavano nei corridoi, a passare più tempo possibile nei sotterranei, di dargli, insomma, l’opportunità di parlargli, ma, a quanto pare, Severus Piton non s’era sprecato a coglierla. Se qualcuno s’attardava in aula per parlargli lui s’affrettava a uscirne, se lo si raggiungeva nei corridoi accelerava il passo, e se sentiva le voci dei suoi studenti provenire dai sotterranei vedeva bene di non uscire dal suo ufficio. Sembrava come non mai tentasse di evitarli…
Quindi, dopo che le due settimane s’erano trasformate in tre, i ragazzi avevano visto bene di riunirsi per discutere della situazione.
Il convegno era stato tenuto dagli stessi ragazzi che avevano tenuto il primo, nello stesso identico bagno, l’unica grande differenza era rappresentata dalla persona di Hermione Granger, che se ne stava comodamente seduta su un lavandino, zitta, a guardarli divertita, intervallando le loro invettive con delle risate non trattenute che facevano montare i nervi a tutti. Dopo aver ripetuto per la quarantatreesima volta la soddisfacente formula “Ve l’avevo detto” declinata e proposta sotto tutte le sue possibili sfaccettature, s’era stufata anche lei di quella ripetizione, e così ora si limitava a restare in silenzio a godersi l’avverarsi di tutte le sue tesi. Parte ancora migliore del tutto era il fatto che nessuno potesse obbiettarle quelle risate, o arrabbiarsi apertamente quando le faceva, in quanto, e questo nessuno poteva più ammettere non fosse vero (sebbene Zacharias Smith c’avesse provato incredibilmente a lungo) che lei aveva avuto ragione su tutto.
Così, da brava Prefetto la quale era, Hermione Granger si era rimboccata le maniche ed era andata a presentare al caro professor Piton le sue più sincere scuse a nome di tutti.
“Non credo proprio che sia il caso di tenere questo discorso, signorina Granger.” Aveva commentato Severus Piton mentre lei lo aiutava a rimetter in ordine l’aula appena finita la lezione “Anzi, devo dire di sentirmi anche piuttosto irritato dalle sue scuse, a dire il vero.” “Addirittura??” aveva chiesto lui Hermione “Ok, i ragazzi si son comportati male, questo lo so quanto lei, ma ora non le sembra di esagerare?” “No, io non esagero affatto.” le aveva risposto Severus “Non ho mai esagerato in vita mia, pensa un po’ se comincio a farlo adesso…”
Non che Hermione avesse condiviso a pieno l’idea che il suo professore fosse un idolo d’equilibrio e moderazione, a dire il vero al sol sentirselo dire aveva fatto ruotare le orbite con espressione seccata (tanto da provocare un richiamo), diciamo solo che aveva avuto il buon gusto di non commentare, ed aspettare che il suo insegnante parlasse, concludesse il suo discorso, sfogasse pure tutta la sua rabbia, senza fargli la minima obiezione.
Ciò che ne era uscito di importante dal discorso, suonava più o meno così:
“Se permette, signorina Granger,” aveva detto Severus Piton “pensavo che dotata com’è di un ingegno largamente superiore alla media, lei non avrebbe avuto il minimo problema nel capire che la mia invettiva della lezione scorsa era rivolta a tutti fuorché a lei.” “Sì,” aveva risposto lui Hermione annuendo “lo avevo capito”. “Perfetto, ed allora perchè è proprio lei ad essere qui, signorina Granger? Proprio lei, l’unica, la sola, che non mi si è opposta e che ha provato piuttosto, stando a quel che mi è stato dato capire, di difendere i miei metodi, proprio lei viene a scusarsi? Mentre tutto il resto della classe, quella stessa classe che mi si è rivoltata contro se ne sta comoda comoda ad aspettare il suo ritorno. Beh, mi dispiace, signorina Granger, mi dispiace davvero, ma non ritengo opportuno, da parte mia, accettare e sue scuse; perché lei non me le deve”.
Detto ciò, il professore aveva visto bene di non proferir più parola, ed era tranquillamente uscito dall’aula lasciando Hermione da sola.
Per quanto la ragazza non avesse sperato affatto che con quel breve dialogo la situazione potesse definirsi conclusa, nell’accezione positiva del termine almeno, era stata davvero molto seccata dal constatare che il professor Piton sembrava del tutto intenzionato a persistere nell’ignorarli. Tutti i ragazzi avevano per poco sperato che quel gioco stancasse prima lui che loro, ma, dopo ben altre due settimane di silenzio assoluto, avevano finalmente accettato l’idea che il professore non li avrebbe perdonati per nulla.
Così, accettata questa nozione come consapevolezza, era stato Harry a farsi avanti, comunicando ai suoi sempre più disperati compagni che sarebbe andato lui a parlare al professore. Hermione, pur avendo soppesato questa sua proposta un po’ più accuratamente di lui, aveva preferito comunque non frenarlo né dir nulla, contando comunque sul fatto che probabilmente il ragazzo non avrebbe poi saputo tenere testa alla propria promessa. E, se davvero l’avesse fatto… in quel caso sarebbe stato saggio sbrigarsi a metter su un rifugio antibomba, per se e per tutti gli elfi domestici!
Neanche lo stesso Harry, a dire il vero, era assai convinto della sua impresa. Il suo piano era molto semplice: avrebbe cercato di fermare il professore per parlargli e quando lui l’avrebbe ignorato – ed Harry era piucchè sicuro che il professore l’avrebbe ignorato – sarebbe tornato dai suoi compagni raccontando la propria sconfitta, così che nessuno potesse dire che non ci aveva provato. Sì, s’erano visti piani migliori.
Tristemente però, per Harry e per tutti, l’occasione per parlare con il suo professore si era presentata eccome. Venerdì sera, per precisione, dalle sette e dieci – perché era arrivato in ritardo – fino alle otto, ora della sua punizione. Ah, sì, ci sarà da spiegare anche questa…
Quella era stata una lezione come le altre con il professor Piton, resa ancora più insopportabile dal fatto che dopo il monologo dell’ultima lezione il caro Severus era peggio sempre. Tendeva a evitare tutti i membri dell’esercito, a trattarli peggio di sempre, se possibile, e così un giorno Harry non ce l’aveva fatta più, ed era esploso. Non era stato poi un gran monologo, più che altro si era alzato in piedi, aveva detto “Basta!” e fatto cadere, nell’alzarsi, il suo calderone, nonché quello di Ron, situato accanto al suo, rovesciando il contenuto di entrambi a terra. La cosa gli era costata non solo la pessima figura fatta davanti a Piton, che invece di ammonirlo si era limitato ad un’occhiata pungente, ma anche una punizione. Tutti i suoi compagni dell’esercito, comunque, gli avevano strizzato l’occhio, usciti dalla stanza, convinti come non mai che quella punizione facesse parte niente popò di meno che del suo brillante piano per parlare con Piton. Harry s’era comportato come se così fosse, sorridendo e ammiccando a sua volta ai suoi compagni, ma in realtà s’era maledetto per mille e mille volte, essendo com’era ora costretto per davvero a parlar al professore.
È qui che siamo rimasti.
Il professor Severus Piton se ne stava, per inciso, comodamente seduto presso la sua scrivania, a contemplare dei fogli che aveva dinnanzi (i compiti dei suoi alunni, probabilmente), senza degnare Harry, in ginocchio sul pavimento, neppure di uno sguardo. Il ragazzo non stava sul pavimento per caso. Tanto per farvela breve, il professore aveva appioppato lui un noioso, noiosissimo incarico, il quale consisteva, a conti fatti, nel riordinare per ordine alfabetico uno schedario di quasi un centinaio di fascicoli.
Aveva già cominciato da venti minuti buoni il suo lavoro, il ragazzo, senza pur proferir parola al suo insegnante, ed era arrivato alla lettera N.
La situazione era imbarazzante. Sapeva di dover parlare con il suo professore, lo sapeva eccome, e sapeva anche che probabilmente il caro Severus Piton s’aspettasse a sua volta che lui parlasse, eppure non sapeva come cominciare. Il silenzio in quella stanza era così totale che gli sarebbe davvero sembrato un delitto squarciarlo così, e poi temeva, soprattutto, che le sue parole potessero, se possibile, peggiorare addirittura la situazione.  Quella che gli ci voleva per cominciare era, di preciso, una frase ad effetto. Qualcosa di spiccato, di brillante, una frase alla Hermione, che catturasse l’attenzione del suo insegnante, qualcosa che lo scioccasse, che lo lasciasse senza fiato, che l’ammaliasse. Qualcosa di geniale, un discorso bello quanto quello che il suo insegnante aveva fatto loro cinque settimane prima. Sì, ci voleva qualcosa di ingegnoso…
- Chi era Deliverance Nolahan? – chiese Harry, indirizzando al suo insegnante uno dei fascicoli che aveva in mano.
Ok, non era proprio il discorso brillante in cui aveva sperato, ma era pur sempre un inizio…
- Come, scusa? – domandò lui il professore alzando gli occhi dalle verifiche.
- Deliverance Nolahan, - ripeté Harry – c’è il suo nome nel fascicolo che stavo sistemando, ed ho visto che l’ha promossa con il massimo dei voti in Pozioni, doveva essere brava…
- No, Potter, - rispose lui Severus – non era brava affatto, la peggiore studentessa che io abbia mai avuto, le mettevo buoni voti perché il suo gatto mi stava simpatico… certo che era brava!
- Ok, ok, - fece Harry – non si scaldi tanto, era solo così per dire…
- Già, Potter, a volte dimentico che parli solo perché hai la bocca – commentò Severus.
- Molto divertente, quanto un chiodo in fronte, all’incirca, - rispose lui Harry – comunque aveva ragione, doveva essere proprio brava, è anche Corvonero.
- Il fatto che sia Corvonero non significa per forza che debba eccellere nella mia materia, sai? – rispose lui stizzito il professor Piton – Nel corso della mia carriera scolastica ho bocciato molti Corvonero, circa otto all’anno che sono un gran bel numero, certo, mai quanto i Grifondoro…
- Sì, già, noi Grifondoro siamo negati, ed immagino che lei si sentirà soffocare se non mi fa l’immenso piacere di ripeterlo ogni tre minuti, giusto? – fece lui Harry.
- Lei ha forse dimenticato, signor Potter, di trovarsi in punizione? – chiese lui Severus in tono severo.
- E lei ha forse dimenticato che mi ci sono fatto mettere apposta, professore? – gli fece eco Harry.
Quella era una balla, una balla bella e buona, ed Harry questo lo sapeva benissimo, eppure, pensò il ragazzo sostenendo fieramente lo sguardo del suo insegnante, se tutti c’avevano creduto, forse anche Piton non sarebbe stato da meno…
- Risparmiatela per i tuoi compagni, Potter, – rispose lui Severus, - se sono così stupidi da crederci, ma non pensare di ingannare me, sono troppo furbo per i tuoi standard, e tu sei troppo ottuso per i miei.
- Non è una bugia! – protestò Harry – Lei non si decideva a convocare l’Esercito e si ostinava di evitarci, così ho pensato che avrei potuto parlarle solo se lei mi avesse punito.
- Già, suppongo che sia questa la versione che hai dato ai tuoi compagnucci per farti bello dinnanzi a loro, non è così? – chiese lui il professore – Un’altra storia inventata a bella posta per far vantare al ragazzo-che-è-sopravvissuto un’altra grande vittoria, immagino. No, no, non credo che tu sia abbastanza intelligente neppure per questo… - continuò Severus – già, mascherare un errore pazzesco in una trovata geniale, ci vorrebbe una soglia d’ingegno come minimo superiore allo zero, e tu hai ripreso da tuo padre… hum… direi che è stata la signorina Granger a suggerire la trovata, se solo non sapessi che lei è troppo intelligente per poter pensare che un eventuale colloquio fra noi due potesse risolversi in qualcosa di buono, ed anche il signor Weasley è da escludersi per ragioni che rasentano l’ovvietà, quindi immagino che dev’esserci stato un malinteso. Sì, scommetto, che aveva promesso ai suoi compagni di parlare con me dopo che avevo rifiutato le scuse della Granger, sì, doveva fare l’eroe, come al solito del resto, e poi non ha avuto il coraggio di farlo, e così, quando ha fatto l’errore di farsi mettere in punizione, ed i suoi compagni l’hanno scambiata per una trovata geniale, così lei si è semplicemente limitato a confermare la loro versione. Hum… sì, le cose devono essere andate più o meno in questo modo…
- Wow, - commentò Harry staccando un momento lo sguardo dai suoi fascicoli – deve essere proprio un bravo legilimens lei.
- Non serve essere un legilimens per dire quello che ho appena detto, Potter, – rispose lui il professore – tu sei così prevedibile!
- Beh, lei è antipatico…
- E lei è in punizione. Devo forse ricordarle ogni due minuti, Potter, chi dei due sia in punizione qui?
- Io sarei molto più educato se lei non fosse così scontroso…
- Io sarei molto meno scontroso se lei non fosse così seccante
- Io non sono così seccante!
- Credimi, lo sei…
- Questo lo pensa solo lei. E’ naturale, lei mi odia!
- Io non ti odio, Potter. Io ti disprezzo, è differente. Sei tale e quale a tuo padre, due palloni gonfiati, elogiati ed acclamati da tutti, pur senza aver mai fatto nulla di speciale.
- Io non so se lei l’ha mai notato, professore, magari i fumi delle sue pozioni le hanno annebbiato un po’ la vista, ma è un po’ di anni che mi trovo a lottare contro Lei-sa-chi, al primo anno come testa rampicante sulla nuca del professor Raptor, e poi nella camera dei segreti contro quel che rimaneva nel suo diario, e l’altr’anno contro di lui stesso, e tutto il suo bel girotondo di mangiamorte e allora… Beh, insomma penso che questo possa essere etichettato come QUALCOSA DI SPECIALE, lei non crede?
- L’elenco dei tuoi successi non diverte nessuno, signor Potter, tanto meno il sottoscritto, ed in più vorrei ricordarle che la sua fama era già a vertici incridibili ancor prima che lei smettesse di usare il pannolino. Suppongo che sia stato questo a montarla così tanto…
- Io non sono montato!
- Sì, Potter, lo sei.
- No, non è vero. È lei il montato, il pallone gonfiato, che fa tanto il sofisticato con i suoi metodi alternativi che non si degna neppure di spiegarci e poi va su tutte le furie appena qualcuno prova a farle notare che sta facendo la cosa in modo strano.
- Io non le permetto…
- Sa che le dico? Noi non siamo le sue cavie da laboratorio, non può provare le sue pratiche alternative come le pare e pretendere che noi stiamo zitti. Non ha provato a spiegarcelo, a dircelo, pretendeva che noi ci sottomettessimo ai suoi metodi di merda senza alcuna spiegazione!
- POTTER!
- Beh, io dico che lei non ha mai voluto davvero tenerla quella classe, no, una parte di lei si ribellava all’idea di prepararci, altrimenti non sarebbe stato così duro con noi, così assurdo, e non avrebbe continuato ad ignorarci, a tenerci il muso anche dopo le nostre scuse…
- Ma è questo il punto, Potter, io non ho mai ricevuto neppure l’ombra delle vostre scuse.
- È una bugia, non le abbiamo…
- No, Potter, non voi, la signorina Granger mi ha chiesto scusa, e lei era l’unica che avrebbe potuto astenersi dal farlo.
- Anche io le ho chiesto scusa!
- No, Potter, non l’hai fatto! Quello che ho visto da parte tue è stato un pedinamento, e poi silenzi imbarazzati, sguardi, non sono una ragazza che devi rimorchiare, Potter, sono un insegnante che hai oltraggiato! Dovresti essere come minimo spiacente!
- E lo sono, è chiaro che lo sono, lo siamo tutti e lei è sicuramente troppo intelligente per non averlo capito, è piucchè evidente che siamo mortificati e la rivogliamo con noi, quindi qual è il suo problema?
- Il mio problema è che così è troppo facile, voi mi avete cacciato e…
- No, tecnicamente non l’abbiamo fatto perché con il suo monologo ci ha anticipati, ha intenzione di fare un processo alle intenzioni?
- Io processo quel che mi pare, Potter! Volevate cacciarmi dopo solo due lezioni per il semplice fatto che il mio modo di insegnare non era quello che vi sareste aspettati, non era quello di Lupin…
- Né quello di qualsiasi altro insegnante normale (e parlo per sentito dire dato che non ne abbiamo avuto granché da quando sono arrivato)…
- Non vi siete fermati neppure un attimo a cercare di comprendere i miei metodi: mi avevate chiesto di prepararvi per una guerra, avreste dovuto capire…
- Andiamo, professore, nessuno avrebbe mai potuto capirlo!
- La signorina Granger l’ha fatto! Lei non mi è andata contro!
- Già, ed ha intenzione di mettere su una fondazione per la liberazione degli elfi domestici, la cosa non le dice niente? È più sensibile del normale, crede che ci sia del buono in tutti, tranne che nello studio della Divinazione, quindi…
- Bene, così gli alunni dalla mia parte scendono a 0. Complimenti, Potter, per aver scavato una buca là dove credevo di aver toccato il fondo.
- Gli alunni non scendono a zero, professore, gli alunni dalla sua parte sono vent’otto, non ce n’è uno fra tutti quanti che non la rivorrebbe indietro professore. Ok, avevamo frainteso i suoi metodi (non che lei si fosse disturbato a spiegarceli comunque) e siamo saltati a conclusioni affrettate e sbagliate. Non capivamo il suo metodo perché non capiamo cosa ci sia là fuori, ma non è proprio questo che la dovrebbe spingere a non abbandonarci? Ora come non mai può vedere quanto siamo incasinati, quante poche possibilità abbiamo di sopravvivere, aveva accettato di aiutarci proprio per questo, giusto? Per darci una possibilità di sopravvivere. Ed ora vuole lasciarci, adesso che ha potuto vedere con i suoi stessi occhi quanto davvero ci occorra il suo aiuto, se non riusciamo neppure a riconoscerlo. Ha ragione, professor Piton, con Voldemort io ho sempre avuto fortuna. Non so come ho fatto a cavarmela contro di lui da bambino, ho messo per puro caso le mani sul volto di Raptor, e Fanny mi ha aiutato nella camera dei segreti, e poi l’hanno scorso se non avessi sentito le voci dei miei e di Cedric nel cimitero… no, probabilmente non ce l’avrei fatta. Credo che la mia fortuna sia finita professore, che io l’abbia consumata tutta nel chiedere il suo aiuto, ma non avrei mai potuto farne un uso migliore. Lei mi ha salvato la vita troppe volte perché possa permettermi di implorarle aiuto ancora una volta, lo so, soprattutto ora che ho denigrato tutti i suoi sforzi. Ma ho davvero bisogno che lei mi dia una mano, ne abbiamo bisogno tutti, perché lei aveva ragione: non abbiamo neppure una possibilità di cavarcela là fuori. Pensavo che non ci potesse essere nulla di peggio delle sue lezioni, ma credo di preferirle di gran lunga alla morte. La mia vita è nelle sue mani, professore, io ce l’ho tolta ed io ce la rimetto. La imploro ci aiuti per un’ultima volta, ci dia un’ultima possibilità, e le giuro sul cadavere di mia madre che non ci azzarderemo a sprecarla. La prego.
Harry vide il professor Piton alzare lentamente lo sguardo su di lui. Qualcosa nell’ultima parte del suo discorso doveva averlo colpito particolarmente, perché sembrava alquanto turbato.
- Mercoledì prossimo, Potter, alle diciotto e trentacinque, - si limitò a dire poi mentre sul viso del ragazzo si accendeva un enorme sorriso – se solo qualcuno di voi prova anche solo a immaginare di venire in ritardo io…
- Non la deluderemo, lo giuro, - rispose entusiasta Harry - saremo tutti in aula mezz’ora prima, mi occuperò personalmente che tutti siano piucchè…
- La tua punizione è finita, Potter, - lo interruppe Piton, fingendo disgusto dinnanzi a tanta euforia – ed ora vola ad avvertire quegli altri scellerati dei tuoi compagni.
- Lo farò, professore, lo farò subito – rispose il ragazzo lanciandosi alla porta – li avvertirò uno ad uno, e gli farò tutto il discorsetto che lei ha fatto a me, gli ricorderò come lei sia stato gentile ad accettare, e che se proviamo a deluderla ancora lei…
- Va, Potter, hai parlato abbastanza – lo liquidò Piton.
Il ragazzo uscì, sorridente, dall’ufficio.
- Ah, Potter! – lo richiamò il suo insegnante.
- Sì, professore? – chiese il ragazzo tornando indietro.
- Il tuo è stato davvero un bel monologo, ma sarebbe bastato che dicessi anche solo scusa.




IMPLORO PIETA'.
Già, vorrei scusarmi per l'immenso ritardo nell'aggiornamento non solo di questfa, ma di tutte le mie storie, adducendo comunque a riguardo tre giustificazioni quantomeno valide.
Punto uno, il mio Word funziona davvero, davvero male, nel senso che ci mette venti minuti buoni per aprirsi, venti minuti buoni per richiudersi e s'impalla continuamente, così come il mio computer, che sta ormai in uno stato comatoso/vegetativo.

Punto due, mi mancava l'ispirazione, o anche la voglia, ossia ogni volta che mettevo le mani sul pc mi perdevo fra facebook o youtube o la nuova puntata di Pretty Little Liars in streaming e facevo tutto fuorchè aggiornare. Mi pesava anche solo il pensiero di aprire il documento (ragione spiegata nel punto 1), e se lo facevo e cominciavo a scrivere un paio di righe accadeva qualcosa che mi faceva smettere, mi ripromettevo di continuare il giorno dopo e tutto si concludeva in un nulla di fatto.

Punto tre, in questo periodo sono successe cose non gravi ma alquanto spiacevoli nella mia vita, diciamo che sto passando un pessimo periodo nella mia vita e queste cose brutte, fra l'altro, mi hanno anche fatto mettere in discussione il mio modo di scrivere. Non sono più affatto convinta di quello che ritanevo essere il mio unico talento, la mia vocazione.
Non prometto nulla, non ne sono in grando. Ma appena chiuso qui apro il documento su Dall'ultima sera in poi e vedo un po' che posso fare. Avevo intenzione di apporre al titolo la formula "- storia di alcune seconde possibilità", col tempo capirete. Baci. Giulia.

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