Ostaggi.

di Aven90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Durante le vacanze di Natale, Alexander si aspettava di dormire un po’ di più. Era un suo diritto, e comunque sua madre non aveva motivo di svegliarlo. Da parte sua, Elisabeth era solita come tutte le mattine ritirare la posta che andava accumulandosi davanti casa.

“Uhm… uh, bolletta! Forse potrei… ALEEEEEX!” urlò da fuori al giovane, di appena quindici anni, il quale dalla sua catalessi sentì a malapena quell’urlo spacca timpani, tuttavia si costrinse ad alzarsi. Pur avendo fatto tardi la sera prima, in quanto aveva insistito nel vedere lo zio esibirsi e addirittura seduto in prima fila. Era normale quindi, dopo il casino ascoltato la sera prima, tutti i rumori al di sopra dei cinque decibel gli martellavano nelle orecchie.

Ricevette un effetto peggiore del consueto, ecco.

“C’accade, màààà? Non vedi che sto dormendo?” protestò il ragazzo.

Elisabeth urlò da sotto la sua finestra, in quanto era una di quelle villette a schiera, quindi non c’era da stupirsi se la madre era messa sotto la finestra e parlavano in quel modo “Certo che lo vedo, tesoro! Però mi piacerebbe che tu pagassi questa bolletta, perché non credo possa pagarsi da sola, a meno che non miracoli e le escano le gambe, pertanto puoi pensarci tu, per favore? Così ti impratichisci!”

Alexander mise la testa fuori, guardando la madre coi suoi occhi azzurri, gli stessi occhi di lei, ghiaccio contro ghiaccio. O mare contro mare. Cielo contro cielo.

Insomma, azzurri.

“Tu dove devi andare?” chiese Alexander in tono polemico.

Elisabeth ridacchiò, era insopportabile quando lo faceva, retaggio di quando era ragazzina.

“Tè con le amiche! Zia Jane torna dalla Svezia per Natale, e siccome l’aereo atterrerà alle dieci di oggi io e zia Maggie abbiamo deciso di farle una sorpresa andandola a prendere!”

Alexander sbuffò: né Jane né Margaret detta Maggie per qualche strano motivo che risale ai tempi dell’adolescenza erano sorelle di sua madre, però il “legame” era, a detta di Elisabeth, lo stesso, anche se Jane era venuta in quindici anni sì e no due volte, entrambe per Natale.

E zia Jane era anche lesbica, pertanto Alexander non aveva cugini in dote da torturare.

“E va bene, mi hai fregato, per oggi. Dammi questa bolletta e i soldi” disse sconfitto il figlio, il quale affondò il volto sul cuscino, tormentato da quei pensieri.

Elisabeth sorrise e passò il tutto dal finestrino. Così al figlio non rimase altro che vestirsi e andare alla posta, che si trovava ad alcuni minuti a piedi di distanza.

Lectala cambiava, per le feste: da paesino noioso alla periferia della grande città di Musgans, a dicembre diventava un paese rosso/verde noioso, alla periferia della grande città.

Cioè non cambiava, ma con un paio di luci in più.

“Spero che anche per le feste le poste siano ap…” rimase a bocca aperta quando vide un nugolo di persone spintonarsi per entrare nel piccolo ingresso.

“Neanche Linda e Theodore si spingono in questo modo…” commentò aspro riferendosi alle spinte leggendarie che si scambiavano i piccoli di casa, i suoi fratellini rispettivamente di tre e cinque anni, nati dopo il matrimonio dei suoi genitori, al quale lui aveva fatto da paggio e si era anche addormentato al momento degli anelli. (vedasi l’ultimo capitolo del Romanzo Rosa, ndr. Vedetelo, è sempre Aven production)

Infatti lui era nato prima, ma su quell’argomento non aveva ancora avuto risposte soddisfacenti, come ad esempio in quale contesto era stato concepito. Nonno Mike e papà David erano d’accordo almeno sul fatto di impedirgli di conoscere i fatti, ad esempio il nonno si rifugiava in bagno, mentre il babbo rispondeva con un laconico “Non emularmi, non ci riusciresti”. Ed era immerso da quei pensieri quando il ragazzo chiese timidamente all’ultimo della fila “M-mi scusi…”

“CHE CAZZO VUOI?” rispose quello, sgranando gli occhi presagendo un imminente raptus omicida.

“Il turno della posta” rispose Alexander, abituato a quel tipo di urla e quindi quasi indifferente all’alito e all’onda d’urto dell’urlo che gli scompigliò i capelli.

“Ti l’affare sulu! Ammutta, accussì tràsinu! (Mi dispiace, devi pensarci da solo. Consiglierei una spinta verso l’interno, affinché i soggetti delle prime file possano entrare. Traduzione simultanea offerta da… me, e chi altri? Ndr)”

Ma Alexander, essendo stato cresciuto all’insegna della correttezza verso il prossimo, rifiutò di farlo e quell’uomo parve accorgersene, perché chiese  “Che minchia fai? Picchì ‘unn ammutti? Viri ca si ‘un ammutti un po fari nìante stainnata!” (cosa diamine fai? Per qual cagione non spingi? Guarda che se non lo fai, potresti non concludere nulla alla posta quest’oggi).

Alexander sgranò gli occhi. “Davvero?”

“Ma certo!” rispose l’omone, ora entrato a proprio agio. “Avi quinnic’anni ca fazzu sto travagghio e i bullìatte l’aju sìampre paato! Pecciò…” (Certamente! Sono quindici anni che eseguo codesta pratica e le bollette sono sempre riuscito a pagarle, ordunque…). E così, Alexander, convintosi, si mise a spingere coloro che erano posizionati all’interno della piccola sala, col risultato che alla fine l’ingorgo riuscì in qualche modo a sbloccarsi e tutti ebbero trovato almeno un metro quadrato di loro proprietà. Alcune persone ebbero anche la grazia di avere la poltroncina per sedersi. Alexander le addocchiò e ed essendo lui un ragazzo abbastanza lagnuso, ovvero pigro, un nullafacente e un mangiapane  a ufo (non è la mia autobiografia, non mi chiamo Alexander), fece per sedersi, ma non appena poggiò il suo didietro in quell’arnese freddo e scomodo ma soprattutto blu scolorito e pieno di graffiti, ebbe gli sguardi di tutti puntati addosso, persino quello degli impiegati.

Sentendosi osservato, Alexander chiese “… Che c’è?” sudando freddo.

Una signora sbraitò (traduzione simultanea già pronta, ndr) “Come sarebbe, che c’è? Ti sei seduto su una delle nostre panchine! Certi giovani non hanno più rispetto per gli anziani!”

“Abbia pazienza, è solo un picciotto…” tentò di difenderlo una signora seduta, magari più giovane, però aveva già diritto a sedersi.

“’Un m’intirìassa! S’ava ’nsignare l’educazzione! (= Non me ne importa! Deve imparare che cos’è l’educazione!)” rispose brusca la signora anziana, che dall’alto della sua saggezza aveva anche sbagliato una doppia. 

“Comunque! Nummaro UNO!” urlò uno degli impiegati. Il che significava che il cliente col numero uno dei ticket era chiamato a fare la propria operazione al banco della posta. Alexander cedette alla fine il posto, scavalcò un mucchio di gente e prese il biglietto della macchinetta, essendone lui sprovvisto. Premette il tasto adiacente alla scritta “Pagamenti bollettini” e qualche secondo dopo apparve il ticket apposito.

Bianco.

Alexander si agitò non poco. “Perché a me è apparso bianco?” chiese ad un ragazzo che si trovava accanto la macchina, uno di quelli che potevi trovare ovunque, con gli occhiali, l’aria spiritata di chi non dorme da molto tempo e immobile come uno stoccafisso, in attesa del proprio turno. Metteva quasi inquietudine, con quell’aria triste di chi non poteva essere contraddetto.

E Alexander si rivolse proprio a lui, che rispose “Beh, si vede che si è rotta”, con quel tono definitivo che suggeriva che quasi ci si aspettasse il guasto.

Un po’ scostante, anche, pensò Alexander, ma non aveva tutti i torti. Così prese una penna e scrisse un numero a caso, sperando di non essersi sovrapposto a nessuno, perché sarebbe stato imbarazzante che due clienti contemporaneamente rispondessero alla chiamata, quindi confidò nel fatto che molte persone avevano preso più di un numero. Perché succedeva, era il classico modo di fare di chi aveva “impegni” e per non perdere il posto prendeva più numeri.

Nel frattempo, studiò chi veniva prima di lui, uno per uno, o meglio, chi era rimasto al tepore dell’ufficio, perché molti decisero di uscire per fumare o per sbrigare le altre faccende che poco avevano a che fare con la posta.

“Mi tieni il numero? Devo andare a lasciare mio figlio a scuola che è in ritardo!” disse uno a un altro, visto che il figlio stava aspettando  che il padre venisse  a prenderlo a casa per essere lasciato a scuola.

“Devo andare a mangiare al cane prima che si sbafi tutto il frigorifero!”, disse invece una signora, che lasciava l’animale domestico in balìa dell’elettrodomestico. 

“Devo andare a cambiare la flebo alla nonna  prima che muoia!” ricordò invece un altro, il quale evidentemente non aspettava altro che l’ascendente crepasse per sbafarsi l’eredità in bollette.

Oggi come oggi non è più tempo di sesso droga rock’n’roll.

Alexander aveva ancora molto da imparare.

“Beh” esordì il ragazzo occhialuto senza peraltro essere interpellato. “come puoi vedere, ci sono i clienti abituali e quelli nuovi, ed è soprattutto di costoro che ti devi spaventare”

“Perché?” chiese Alex.

“Beh, per prima cosa c’è lo straniero (ne indicò uno): puoi vederlo, indossa un poncho e un cappello da cowboy pur sapendo che non c’entrano un cazzo”

“A-ah” Alexander lo notò, e concluse che quel tizio forse voleva prendere per il culo la città che stava visitando.

“Poi c’è la vecchiaccia rampina” continuò implacabile il tizio.

“Rampina?” chiese Alexander sconvolto da quel neologismo.

“Rompiscatole. Pusillanime. Vive solo per far ammattire l’impiegato. Puoi vederla, è già in azione” e in effetti gli occhi azzurri del figlio di Elisabeth balenarono su una minuta anziana che stolitiava (chiedeva fino a far snervare) sommersa dalle carte burocratiche della sua pensione. L’occhialuto continuò la sua lista nera “Poi c’è il sordo, ovvero colui che ha bisogno che gli si vengano ripetute le cose due volte”

“Davvero?”

“Già, di solito… è lì,  che fa finta di ascoltare le cazzate che si scambiano gli altri esseri” e in effetti un uomo era in mezzo ad altri invece immersi in una accesa discussione sul calcio, ma non vi partecipava. Alexander si appassionò. “E poi?”

“Poi c’è la signora che viene col chihuaua” e indicò una signora con appresso quel tipo di cane posizionato nella borsa, bardato di una pelliccia rossa per via del freddo natalizio che imperversava all’esterno.

L’occhialuto non aveva finito “Di solito viene a pagare qui un omosessuale, devi vederlo!”, come se la cosa avesse la minima importanza.

Alexander infatti non era cresciuto con quel pregiudizio e rispose “Davvero? Io ho una zia lesbica, invece” 

“Ma dai!” il ragazzo era sinceramente stupito.

Alexander chiese “E poi? Ci sono altre categorie dalle quali difendermi?”

“Certo" rispose l'altro "le persone che attaccano bottone per poter far pagare la bolletta al cliente prima di lui! A proposito: puoi pagarmi questa bolletta?”


Fine Capitolo! Questo sarebbe il capitolo 1, gradirei un mezzo parere, o se preferite anche uno intero, l'importante è che vi facciate sentire!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Archie Embratson stava scontando giustamente due anni per rapina a mano armata, tuttavia non poteva fare a meno di lamentarsi.

“Mah… e dire che fra poco sarà Natale” commentò lui, con la frangia che copriva i suoi occhi neri. Il suo compagno di cella chiese “È il tuo primo Natale dentro?”

“Già…” rispose laconico Archie.

“Coraggio fratello. Passerà, per me questo è già l’ottavo, e starò tutta la vita chiuso qui” disse lui, con un tono da condannato a morte.

Che non incoraggiava.

“Col cazzo” replicò Archie. “Voglio uscire a Natale. Voglio dire, siamo tutti più buoni, pertanto gli sbirri potrebbero concederci una liberatoria, no?” il suo compagno di cella annuì e rispose annoiato “Hai ragione, fratello… ma cosa vuoi? Non si fidano”

“È vero” sospirò contrariato, appoggiandosi alle sbarre che davano al corridoio. Sempre lo stesso corridoio, per due anni. E l’ergastolano che non aiutava a guarire dal vizio di infrangere la legge. Forse era messo lì apposta.

Quella piccola stanza era addobbata solo con un minuscolo abete. Spoglio.

E invece là fuori sua sorella avrebbe preparato il pandoro più farcito del mondo.

Quel pensiero lo distrasse dal Babbo Natale che stava passando.

“Oh, oh, oh! Buon Natale, Embratson! Buon Natale anche a te, Tefor!”

Tefor, il succitato compagno di cella, sbuffò “Piantala, secondino. Cosa significa questa pagliacciata? Natale è giovedì prossimo!”

“Lo sappiamo, ma per voi brutti ceffi i regali passano solo il lunedì, secondo la pratica postale di questo edificio! Oh, oh, ho!” rispose il secondino, tagliente.

Archie scosse la testa. “Spero almeno ci sia il grimaldello che ho chiesto, Babbo Natale”

Il secondino ridacchiò “No, solo queste caramelle appiccicose, e vi è andata bene, perch…” e cadde svenuto non appena aprì la cella per passargliele, perché Archie non ci aveva pensato due volte: aveva rifilato un pugno in pieno volto al Babbo per trafugare le chiavi di tutte le porte. Dopo alcuni secondi frenetici di tensione col pericolo di essere scorti da un altro secondino, Embratson trovò la chiave e aperta l’altra cella per poter entrare nel corridoio, e corse via. Vedendo però che non era seguito, chiese “Tu non vieni?”

Tefor scrollò le spalle “A che servirebbe? Dopo, mi prenderebbero subito, quindi tanto vale fare il lavoro sporco qui, e poi ho vitto e alloggio gratis!”

“Ah.” A quell’aspetto Embratson non aveva pensato. In ogni caso, corse via per tutto il lungo corridoio, travolgendo un secondino dopo l’altro e fortunatamente trovando tutte le porte aperte, fino ad arrivare al portone principale, dove senza pensarci su due volte trafugò una pistola alla guardia distratta da una provvidenziale chiamata dell’amica russa e uscì, tornando a respirare l’aria gelida che aveva lasciato quando era entrato, il febbraio precedente.

“Sono uscito… adesso mi conviene andare a rubare un po’ di soldi… la posta sarà aperta a quest’ora, giusto? Ebbene, rapinerò l’ufficio postale più vicino e comprerò i vestiti! E lo farò perché odio rubare i negozi di vestiti! A che serve, quando puoi rapinare i contanti?”
Il fatto era che annunciò quel suo piano quando era ancora dentro le mura del carcere, ma non gli ci volle molto per uscire, gli bastava puntare contro una pistola ed era fatta. Continuò il suo peregrinare a piedi, scegliendo apposta un sentiero dove le volanti non avrebbero potuto entrare. Solo che era pieno di cobra e il granoturco cresceva altissimo anche in quella stagione. Così fece molta attenzione a scegliere il rettile più grosso e cingerlo a mò di scalda collo, in modo da spaventare i tocchi di vespe e anche i cani fiutatori che lo seguivano. Percorse molti metri seguendo quel look che sicuramente andrà di moda la prossima stagione, finché non uscì dal campo ed, evitando gli spari degli elicotteri, si rifugiò nella macchia di bosco antecedente alle prime case di Lectala, frazione di Masguns, dove da sedici anni era commissario il signor Svente, uno stakanovista convinto di poter mantenere l’ordine in qualunque situazione.

“È strano che a Natale non succeda nulla, vero?” chiese ad un tratto, comparendo dal nulla dietro la sua vice che invece stava sbrigando una pratica, quindi fu comprensibile il piccolo brivido che ebbe lei non appena sentì alitare nel suo orecchio sinistro. La vice, una giovane sbarbatella di nome Martha, rispose “M-ma, signor Commissario, vuole aprire un caso anche a Natale?”

“Che c’è, ti vuoi vedere col tuo ragazzo?” chiese sospettoso il commissario.

“Beh…”

“Plausibile. Io invece sono solo come un cane, anche perché un commissario guastafeste non lo vuole nessuno”.

E mentre si lamentava a bassa voce di quel problema, un collega che ebbe pietà di Martha, le bisbigliò “Non si lasci fregare. Sta cercando di imbucarsi alla sua festa”

“L’ha già fatto, Gregory?” chiese spaventata.

“Lo fa tutti gli anni, con chi gli sembra più accondiscendente. Io l’ho invitato cinque anni fa. È stato orribile: oltre a fare tappezzeria, se ubriaco al punto giusto si mette a snocciolare i possibili reati che gli altri commensali potrebbero fare, raccontando anche di alcuni casi assurdi in cui lui era coinvolto, e sicuramente si parla di teste mozzate. È orribile”

“E se invece uno ha la fedina pulita?” chiese Martha.

Gregory rispose ”Nelle feste c’è sempre uno con precedente, anche solo per eccesso di velocità” Martha allora rispose, notando che il suo capo non aveva smesso di auto commiserarsi non facendo caso a quel piccolo dialogo avvenuto “… E quindi passerà tutto il giorno di Natale fra queste mura?”

Svente annuì commosso “Già. Sei la prima che incontro in questo posto che ha ascoltato tutto il mio discorso, di solito i tuoi colleghi animali si dileguano. Vero, Gregory? Ce l’ho esattamente con te”

Gregory sbiancò: ricordava perfettamente l’anno precedente, quando rottosi le scatole andò a prendere un caffé, credendo che il suo capo stesse delirando da solo, ma ad interrompere quel momento spiacevole ci pensò un terzo agente, che trafelato entrò al commissariato. “Commissario! È pazzesco!”

Svente lo guardò “Cosa? Il fatto che tu sia in borghese quando ho esplicitamente detto di presentarsi in divisa?”

“No, signore!” rispose lui pronto.

”E allora cosa?” chiese Svente, incuriositosi.

“C’è un evaso a piede libero! Si tratta di Archie Embratson! Criminale,  trentaquattro anni, da scontare ancora otto mesi per rapina a mano armata e poi altri sei di servizi sociali!”

Svente si grattò il mento interessato. “Un pesce piccolo, eh? Mi ricorda di quando pescai quella trota…”

Svente era solito andare a pesca.

Dopo alcune ore ad aspettare i pesci che avrebbero abboccato all’amo e aver cambiato parecchie esche, finalmente una trota abboccò.

Fu una battaglia incredibile di forza: Svente da una parte, la trota che cercava di rifuggire dall’altra, con la conseguenza che il pesce venne clamorosamente sconfitto per colpa di un orso che si stava avvicinando per prenderla, al che il pesce spaventato scelse il minore del male e andò a tuffarsi fra le braccia di Svente, che però stupito mancò la presa lasciando che la trota si tuffasse dall’altra parte della barca.

Svente e l’orso si guardarono allibiti.

“… E fu così che mi scivolò dalle mani”, ma ormai non era rimasto più nessuno a parte Martha ad ascoltare quella storia verosimilmente falsa.

“Uh? Dove sono tutti?” chiese Svente, riassopitosi dopo il suo vaneggiare.

Martha rispose sommessa e sommersa dal senso del dovere di essere la vice “A cercare l’evaso, a quanto pare sta tenendo sotto scacco l’ufficio postale di Lectala!”

“Qui siamo a Lectala!” precisò Svente.

“Giusto. Meglio che andiamo, allora, no?” e, presa la volante, sfrecciarono verso l’ufficio postale. Intanto, qualche minuto prima, un tizio alto vestito a righe bianco e nere, guardò avido l’ufficio davanti la porta d’ingresso, ansimante per la corsa che aveva fatto.

“Uhuhuhu… siete undici più gli impiegati, eh? Bene, preparatevi, perché oggi sarete miei ostaggi! Fermi tutti dunque, perché da mora questo ufficio è sotto il mio controllo!”

Alexander cagò mattoni.

“E adesso? Cosa dirò a mamma?”

L’evaso gli rispose “Nulla, perché sei sotto la mia osservazione, e bada a non fare casino perché ti sfonderò il cranio con questa pistola!”

L’anziana signora che aveva fatto la paternale ad Alexander commentò “Che bruto…”

Un ragazzo identificato come il gay della situazione le diede ragione “Già… non sa nemmeno cosa siano le buone maniere! Per non parlare dello stile!”

Archie non avrebbe avuto vita facile, con loro.

O forse sì?

Sarebbe riuscito a compiere una rapina?

 

 

Fine Capitolo 2! Fatemi sapere le vostre impressioni!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Silenzio tu!” intimò prima di tutto l’evaso, puntandogli contro la pistola. “E tu!” chiamò la ragazza impiegata allo sportello. “porta qui tutti i contanti che hai! E bada che siano tutti! Tutti contanti, odio le monetine!”

“C-certo” annuì e sparì alla vista.

“Ma dov’è il direttore in questi casi?” si lamentò lo straniero. Nessuno gli rispose, in quanto non sapevano a chi si riferisse. In effetti, anche Alexander fece la stessa domanda, rivolgendosi al ragazzo occhialuto che sapeva tutto “Chi è il direttore? E perché non viene?”

Il ragazzo rispose “Beh, si dice che sia una persona umana, ma in realtà nessuno lo ha mai visto in faccia. È sempre assente per motivi vari, pertanto suppongo che nemmeno gli impiegati lo conoscano. È un po’ come dire che forse sono io il direttore e nessuno sa niente”

Alexander convenne “Sarebbe una bella storia”, rimanendone affascinato. Chissà, magari si mimetizzava fra l’arredamento, o si mescolava in mezzo ai clienti per garantire il corretto funzionamento dell’ufficio,  ma in quel caso si sarebbe esposto subito dopo le parole minacciose dell’evaso. Tuttavia, mentre aspettava la signorina col grosso sacco delle banconote, il violento e fastidioso rumore della sirena della polizia arrivò alle orecchie di tutti. “L’ha chiamata il Direttore! Lo sapevo!” esultò Alexander.

Il ragazzo occhialuto precisò “L’ho chiamata io. Perdinci, non voglio affidarmi a una sottospecie di fantasma”

Alex commentò “Beh, mia madre si affida a mio padre, quando lui entra nella stanza da letto vestito da fantasma”

“Uhm…” commentò il ragazzo, ma la polizia fece il suo corso “FERMI TUTTI! TU, ESCI MOLTO LENTAMENTE E CON LE MANI IN ALTO! SEI CIRCONDATO!” ordinò Vacanza, seppur molto vicino ausiliandosi col megafono.

Archie Embratson si girò verso l’esterno e rispose “Provate ad entrare e uno qualsiasi fra questi muore!”

“Oh mio Dio! Spero che non sia io!” si scandalizzò il gay, coprendosi il volto con le unghie. La vecchia, l’unica che gli aveva dato confidenza, disse “E nemmeno io. Insomma, ci voglio arrivare a cento anni!” Archie notò la donna col bambino e il cane, e prese in ostaggio loro “Bene! Prenderò in ostaggio loro!”

“Oh no! Nemmeno mio marito, che peraltro mi tiene rinchiusa!” il commissario Svente ebbe i suoi brividi freddi, ma riprese coscienza di sé e ordinò “Quali le trattative per negoziare?” la sua vice lo avvertì “Guardi che Embratson è famoso per le trattative! Stia molto attento, non è uno che cede!” ma Svente la liquidò “Eh, guarda che si tratta solo di strategia, pensa che una volta…” e si sconnesse per raccontare l’aneddoto, perdendosi la risposta “Beh, perlomeno diecimila dollarozzi!”

“Cazzo! Diecimila! Ma dove ti credi di essere? Chiedi di più, no?” protestò la signora, che non si faceva gli affaracci propri.

Il bambino, che stava sovrastando gli ululati del cane che ululava senza motivo, chiese “Perché ne vuole diecimila?” Archie rispose “Perché sì!”, calandosi perfettamente nel linguaggio infantile. Al che Svente si intromise “Non è una risposta valida! Vorremmo sapere perché diecimila e soprattutto diecimila di cosa!” Embratson non capì “Ho appena detto che esigo diecimila bigliettoni! Cos’è, non ci senti?” Svente replicò “Beh, ciò che faccio è affar mio! O no?”

“No” rispose Archie.

“In ogni caso, diecimila bigliettoni sono troppi”

“Beh, allora ammazzo il cane” minacciò Archie, fra le urla del bambino.

Anche il cane protestò abbaiando in codice morse, che nessuno decifrò perché nessuno lo aveva imparato.

“Questo cane da fastidio!” osservò Svente, rivolto stavolta agli impiegati. “Chi è che l’ha fatto entrare?” la signora rispose “Io! Perché altrimenti mio figlio piange!”

“Cosa?” chiesero all’unisono Svente ed Embratson.

“È vero.” Ammise il bambino, “Piango sempre, quando una cosa non mi conviene” ad Archie venne un’idea “Allora piangi quando te lo dico io”

“Ok.” I bambini si sa che sono accollativi quando i grandi promettono loro.

Svente, ignaro di tutto, rispose “Possiamo venirti incontro, Embratson: lascia stare queste persone e noi ti offriamo uno sconto della pena”

Il bambino pianse.

Archie ritorse la cosa al commissario “Vede? Anche il bambino piange”

Svente non sopportava i rumori molesti, e la vice lo sapeva, quindi s’intromise “Commissario, non si faccia fregare dalla sua mal sopportazione!”

“Lo so” rispose Svente “però non posso fare a meno di sparare al cane e al bambino”

Archie riprese “Allora? Che ne dice? Posso prendere i diecimila?” Svente rispose “No! Piuttosto, perché non consideri l’idea di redimerti?” stavolta fu la signora ad intromettersi “Giammai! Diventerebbe una mammoletta! Mi piace il suo modo… bruto… di sottomettere le donne!” e gli si strusciò addosso. A Svente venne la mezza idea di acciuffare Archie Embratson in quel momento che aveva la guardia abbassata, ma subito dopo il bambino pianse ancora.

“Oh, uffa! Qui ci si struscia e io non ho ancora le mie diecimila caramelle!” Svente si rivolse al bambino “Ragazzo, collabora con noi invece che con un tizio che non è tuo padre!”. In quella, l’impiegata tornò col sacco riempito di verdoni.

“Ecco qui, signor ladro: tutti i contanti di questo ufficio.” Archie sogghignò, dopo aver controllato l’effettivo contenuto “Visto, Svente? Tutti qui collaborano con me, tu sei superato! Non hai il minimo di gentilezza!”, detto da uno con la pistola puntata ovunque.

Il commissario sbiancò “In effetti, tutti lì collaborano col rapitore! Ciò significa che ogni trattativa è inutile!” , e se ne lamentò con la vice, visto che alla fine della frase la guardò sgranando gli occhi. Quest’ultima gli ricordò “Si ricordi che noi siamo tre volanti, lui è solo: possiamo liberare gli ostaggi e rimpossessarci del maltolto quando vogliamo”

Svente la guardò negli occhi grigi tinti di mascara: aveva ragione, e aveva anche un po’ di congiuntivite. “D’accordo” riprese a parlare al megafono “Hai avuto i tuoi soldi, però rilascia la donna, il bambino e il cane”

“No!” protestarono i tre.

“Perché no?” chiese Svente.

“Perché è come uno di famiglia con queste doti di leader!” s’inorgoglì la signora ostaggio, come se l’avesse cresciuto lei.

“No, signora, la prego di non farsi venire la sindrome di Stoccolma proprio ora!” avvertì il commissario.

“E perché? È geloso?” chiese provocatoria lei.

“Macché geloso! Sto cercando di salvarla!”

“Salvarmi? Ma mica l’ho chiesto espressamente!”

“Beh, immagino che lo chiederà non appena saprà che intende trucidarvi a trattativa finita!”

Bingo.

Svente centrò la frase giusta, anche se nemmeno lui avrebbe mai immaginato di ottenere quell’effetto: il bambino prese a calci il cane, che morse la gamba destra di Archie, e la signora lo prese anche a borsettate, come un vero criminale, dicendo “Come tutti, eh? Mi seduci e poi mi abbandoni, eh? Solo perché ho un marito brutto!”

“Ma non è come pensi… AAAAH!” si lamentò dolorante Archie, ma dovette lasciarli andare. L’impiegata chiese ”Embè? Li consegno lo stesso i soldi?”

“NO!” ordinò Svente “Voglio vedere quale sarà la sua prossima mossa”

“È vero, Svente: ho ancora molte frecce al mio arco”

Alexander s’intromise “E ci sono anche i miei soldi della bolletta, nel bottino”

Archie guardò Alexander.

Alexander guardò Archie.

Quest’ultimo sibilò “Non interessa a nessuno, se proprio devi parlare,  allo sbirro quanto sono bravo, buono, generoso, lindo e onesto”

Alexander scosse la testa “Per me, sei solo un brutto ceffo che non mi fa pagare la bolletta, impedendomi di dormire”

Archie Embratson ebbe uno strano senso di colpa, per quello evitò di ucciderlo.

 

 

Fine Capitolo! Fine anche del primo round fra Embratson e Svente, due grandi personalità! Chi la spunterà? 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Senso di colpa che però si dileguò in men che non si diceva, in quanto aveva perso una battaglia, non certo la guerra: il bottino era ancora lì, e vi erano ancora diversi ostaggi da sfruttare: dal bambino fastidioso col suo cane, il suo sguardo vacuo si posò su un uomo vestito col poncho e il cappello da cowboy in testa. La prima cosa che gli venne in mente di dire fu “ Sei uno straniero, vero?”, lo straniero si spazientì “Ma mi riconoscono tutti, eh? Non si può nemmeno ritirare un pacco che…”

“Che pacco devi ritirare? Ci sono preziosi?” minacciò Archie con la pistola, pur sapendo di averne minimo dieci puntate su di lui.

Lo straniero rispose “No, solo Whisky”. Già il whisky. Archie avrebbe dovuto pensarci subito.

Non ne beveva da molto tempo.

 “Già” rispose poi, “tu hai pure tutte le ragioni per farti mandare alcolici, ma anche quelle bottiglie mi appartengono”

“Cosa?” lo straniero non aveva considerato il particolare di essere sotto ostaggio.

“Certo! E ora, come ostaggio prendo te!” allungò il braccio e lo passò attorno al collo dello straniero, in modo da farlo vedere al commissario e la sua squadra.

“SVENTE!” chiamò, anche se era a un paio di metri di distanza.

“Sì?” rispose l’altro, guadagnandosi un’occhiataccia dalla sua vice, Martha. Non le piaceva il tono confidenziale che dava il suo capo a quell’efferato criminale.

Archie riprese “Voglio anche la partita di whisky che ha ordinato questo straniero!”

Svente non fu d’accordo.

“No, Embratson: ora tu lasci in pace queste persone ed esci dall’ufficio con le mani bene in vista, posando la pistola molto lentamente” ma Archie propose “Allora raggiungiamo un accordo: io lascio perdere questo qui”

Quello lì protestò “Ehi, ho anche un nome, eh”

“E quale sarebbe?” chiesero all’unisono Embratson e Svente.

“Mi chiamo Goffred Hatzumi”

I due risero di gusto.

“Ma che razza di nome inventato è mai questo?”, e il bello era che lo dissero insieme.

Goffred arrossì imbarazzato “Beh, è il mio… posso provarlo” e mostrò ad entrambi la carta d’identità, gialla e scritta a caratteri Comic Sans Ms.

Archie la riconobbe subito “È la carta d’identità della città di Kiano”

“Proprio così” rispose Goffred.

Svente avvertì Archie, un rapitore “Non farti fregare: quelli di Kiano non fanno vacanza a Lectala” Archie si scandalizzò “Ha ragione il vecchio coglione! Che ci fai qui, dunque?”

Goffred protestò “Ho i genitori di questo paesucolo ignorato dal mondo”

Svente non era dello stesso avviso “Secondo me, stai dicendo il falso. Valuterò con la mia assistente se sbatterti o meno in cella per non avere la carta d’identità, o comunque possederne una falsa!”

Martha lo richiamò alla realtà “Noi siamo qui per Embratson, non per gli incensurati, che in realtà dovremmo proteggere!”

Svente si rammaricò “È vero, scusa, anche se quel Goffred ha scritto criminale sulla fronte, chissà quanto ne ha seppelliti vivi nel giardino di casa sua”

Alexander cagò mattoni. “C-come ha detto il commissario?”

Il ragazzo occhialuto lo rassicurò “Ma nooo, chissà cosa voleva dire”

Il commissario proseguì “EMBRATSON! Non cercare di fregare la polizia con dei fantocci di tua invenzione!”

Goffred si offese “Non sono un fantoccio! È così che trattate i turisti qui?”

Svente proseguì come se non avesse sentito “Lascia la tua mano dal pupazzo ventriloquo, orsù, e torniamo in galera”

Archie precisò “E mi lasciate andare, volevi dire”

“No, volevo dirti proprio ciò che volevo dire”

“E che volevi dire?”

“Che sei un criminale, a trattare i fenomeni da baraccone in quel modo spietato!”

“ORA BASTA!” Goffred era abbastanza incazzato, si allontanò pure dal rapitore e fulminò con lo sguardo i due.

“NON! DOVETE! TRATTARMI! MALE! Insomma, lei fa parte delle forze dell’ordine, e tratta i civili come se fossero cani?”

Svente rispose imperturbabile “Non avresti dovuto chiamarti Goffred. Mi ricordi il peluche mio preferito, con il quale dormivo.” : da quel momento, si abbandonò nei ricordi.

“Buona notte, Goffred” Svente guardava il suo peluche a forma di orsacchiotto puccio con uno sguardo omicida, lo baciava e si addormentava, mentre il pupazzo tremava di paura.

 “E quindi…” concluse Svente.

“Nemmeno a me piace” ammise Goffred “ma ciò non giustifica nulla della sua condotta”

Embratson annuì “Già, è ora di cedere e lasciarmi libero con i quattrini”

Ma Svente si oppose “Col cazzo! Adesso sai invece cosa faccio?”

“Cosa?” chiese provocatorio il rapitore.

“Irrompo! Ahahaha! E irromperò con tutta la mia schiera di agenti, in modo che tu non abbia modo alcuno di uscire.” Rispose Svente, un po’ folle.

Ma Martha, la sua comprensiva vice e angelo custode, lo avvertì delle conseguenze di quel gesto “Signore, ci è impossibile irrompere con tutto il nostro spiegamento”

“Spiega perché” la invitò Svente.

“Beh, perché ci sono ancora persone dentro l’ufficio, dunque non potremmo garantirne l’incolumità”

“Ah, non sono ologrammi creati dall’alieno?” Svente se ne stupì, ma Goffred avrebbe voluto urlare come un ossesso per l’ennesimo insulto ricevuto, ma si controllò, dimostrando perlomeno di averci lavorato su, con le crisi isteriche.

“E allora cosa suggerisci di fare, mia cara vice?” chiese Svente,

Martha propose “Non possiamo far altro che negoziare con il criminale”

Svente allora riprese il megafono e comunicò “Cambio di programma, Archie: non ti attaccheremo frontalmente solo perché hai diversi ostaggi fra cui un’anziana che non reagirebbe al nostro urto e un minorenne che ha già espulso abbastanza urina in quel pavimento”

Alexander s’indignò “Eeehi! Ho smesso di far la pipì a letto da tempi immemori! Come si permette, dunque?”

Svente però proseguì “Pertanto, ti preghiamo di fare ciò che diciamo noi, Embratson”.

Purtroppo per lui, Archie non sembrava avere l’intenzione di collaborare “No, commissario; se non sarete voi ad attaccarmi, sarò io a farlo, prendendovi a colpi di sacco di verdoni, così subirete dei… ricchi colpi”

Svente replicò “Non hai fatto ridere nessuno”, anche se una mascella si stava muovendo da sola.

“Non era mia intenzione” rispose Embratson.

“Fatto sta che ancora non hai liberato l’ostaggio, il quale rimarrà traumatizzato a vita”

Goffred protestò “Non ho più cinque anni! Davvero, scriverò al mio avvocato!”

“E reggimi il gioco, làstima che sei!” si lamentò Svente, definendo l’ostaggio una vera e propria piaga sociale.

“Non dopo che mi ha definito un animale!” si lamentò Goffred. Stava soffrendo.

“Perché, vorresti dire che col nome che ti ritrovi e per come sei vestito, sei un umano?” chiese il commissario.

“Esatto, e sono anche in grado di provarlo!”

“Abbiamo già visto l’abbonamento a Topolino, grazie”

“Era la mia carta d’identità!”

“Certo, mio caro” Svente chiuse la comunicazione col suo fare sarcastico. Poi si rivolse ad Archie “Allora! Non abbiamo tempo da perdere! Esci fuori con le mani alzate e forse non faremo fuoco!”

Archie colse la palla al balzo: non voleva spreco gratuito di polvere da sparo. “Che fuoco? Artiglieria? Artificiali? Barbecue?”

Svente rispose secco “Ti riempiremo di piombo in un modo che fino a ieri non avresti potuto crederci! Così la finirai di sparare cazzate!”

“Sono già fatto di piombo, credo” Archie conosceva la composizione umana, ma in modo approssimativo.
“Cazzate!” rispose Svente, però Archie non stava scherzando, e spianò la pistola, puntando in mezzo agli occhi del commissario, giusto per vedere la quantità di sangue che avrebbe potuto buttare via.

Ammesso e non concesso che avrebbe fatto centro.

In quel momento, anche il minimo movimento avrebbe fatto partire i grilletti.

Le due pistole avevano il colpo in canna.

Da un lato Svente, che non voleva perdere la faccia davanti a Martha, la quale aveva rinunciato il posto in capo per prendersi cura dei suoi cani a tempo pieno (cosa che se non avesse ricoperto il ruolo di vice non avrebbe potuto fare) ; e dall’altro Archie l’evaso, il quale aveva bisogno di soldi per cambiare uniforme, perché avere solo la maglia da detenuto con quel clima era poco consigliabile dalla maggioranza dei medici. C’è sempre qualche medico in disaccordo, per cui…

La tensione era altissima: ciascuno dei due contendenti aspettava anche il minimo calo della guardia per colpire.

Che non arrivava.

Goffred era ancora dietro l’evaso, aspettando il momento buono per scappare, quando una mosca, un’innocua mosca, gli passò accanto l’orecchio provocandogli quel tipico ronzìo fastidioso. Goffred si mise ad urlare a causa del riflesso condizionato come un ossesso, provocando la partenza dei colpi, ma il colpo del commissario arrivò solo alla gamba di Embratson, mentre il colpo di quest’ultimo colpì il cofano della macchina, il quale rimbombo metallico ricordo da vicino un “Ahi”.


Fine Capitolo! Cosa succederà nel prossimo? Grazie per tutti i commenti che mi state lasciando, siete tantissimi!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Accadde tutto in pochi secondi: Archie Embratson era sicuro di aver colpito l’odiato commissario, ma una fitta violenta al ginocchio lo fece piegare, constatando coi suoi stessi occhi una copiosa perdita di sangue nel punto colpito, dovette lasciare andare anche il tipo strano, che venne soccorso dall’ambulanza, già pronti con gli anestetici e tranquillanti, come se stessero trattando un animale zoppo e in cancrena particolarmente feroce.

Tuttavia, se davvero vi era qualcuno di particolarmente feroce, quello era Archie Embratson, il quale tolse la pallottola con le mani e la buttò noncurante a terra. Il bossolo insanguinato raggiunse i piedi di Alexander, il quale aveva assistito addirittura ad un’operazione quasi chirurgica, e dire che avrebbe dovuto solo pagare una bolletta, invece stava succedendo di tutto in quell’ufficio postale.

Era il momento per l’evaso di scegliere un terzo ostaggio con cui provare a superare la guardia di Svente, per scappare.

“Tu! vecchia!” la sua scelta ricadde su un’anziana signora sfortunatamente rimasta nell’ufficio.

L’anziana si ritrasse abbracciando i soldi appena intascati della pensione. Era curioso come l’omino dietro il bancone teneva in funzione la posta nonostante l’emergenza.

“Ma non voglio la tua pensione ricevuta con le monetine! (ovviamente le banconote erano sotto la sua custodia) Voglio uscire di qua con te!”

La vecchia ebbe un fremito di gioia “Oh, finalmente sono un’ostaggia! Posso dire, ora, di aver vissuto! Finalmente!”

A parte il neologismo, Svente stava ancora osservando la particolare forma che aveva preso il buco nel parabrezza, poi cominciò ad intavolare un secondo contatto con l’ostaggio “Vecchia.”

“Mi chiamo Georgia” rispose acida l’anziana.

“Signora Georgia, non faccia gesti inconsulti. Va bene che non riceve attenzioni da chissà quanto tempo, ma lui non è Tarzan”

Martha chiese “Perché, secondo lei Tarzan andrebbe con le vecchie?”

Svente rispose “No, non credo…”. Non sapeva neanche lui cosa stava dicendo. Poi si rivolse ad Embratson “Allora, lascia andare questa signora e…”

“No!” Georgia s’intromise.

Svente e Martha pensarono all’unisono “Ci risiamo…”. Sarebbe stata un’altra trattativa difficile.

Nel frattempo, Georgia spiegò le sue ragioni “Ma perché dovrei farmi lasciare andare da quest’uomo? se riuscissimo a scappare da voi, avremo abbastanza soldi da poter vivere in un’isola ed essere riverita, e non mangiare zuppa bagnata dell’ospizio!”

Martha era quasi convinta, ma Svente chiese “E cosa ne sarà allora dei suoi nipoti, non appena giovedì (Natale, ndr) non riceveranno la sostanziosa mancetta annuale che sganciano le nonne, eh? Non ci ha pensato? Avrebbe dovuto pensarci prima, invece è partita per le Indie Orientali con l’inserviente! È… angosciante…NONNAAAA!” e scoppiò in lacrime.

Martha non sapeva che Svente aveva quel trauma, quindi si ritrovò imbarazzata nel constatare che un uomo conviveva ancora con quel ricordo natalizio.

Il ragazzo occhialuto che fece amicizia con Alex  sorrise “Pazzesco, il commissario ha un trauma infantile. Sua nonna è partita per le Indie Orientali (chiamarla solo India sarebbe stato troppo banale, per lo stesso motivo per cui ho nominato la sifilide e non una malattia moderna nel Romanzo Rosa, ndr)proprio il giorno di Natale”

Alex immaginò nonna Linda partire per le Indie Orientali con il badante birmano di suo marito, ma poi scacciò via dalla mente quel pensiero: nonno Mike aveva bisogno anche di lei, per andare in bagno.

Georgia rispose in quel momento all’obiezione sollevata dal commissario piagnucolante come quel giorno di ventisei anni prima “Ormai sono tutti troppo grandi per ricevere la mia mancetta. Mio marito è morto in circostanza poco chiare, ormai mi resta poco dalla vita, a parte Archie, che è comparso così violentemente nella mia strada”

Martha chiese “Le ricorda il figlio che non va mai a trovarla, vero?”

Georgia ne aveva uno di quel genere, quindi capì di essere stata presa in castagna e prese a piagnucolare anche lei.

Uno pari coi traumi, allora.

Archie si accarezzò con due dita l’inizio del naso e sentenziò “Allora. Non m’importa se sono il sosia di chicchessia, tuttavia consiglio ad entrambi di dimenticare i traumi e di continuare le trattative, perché non vorrei che i negozi di vestiti chiudano”

“Che cuore di pietra! Sei cattivissimo!” protestò Svente.

“Lo so, sono un evaso” si giustificò Archie.

“Allora! Io direi, per garantire l’incolumità dei tuoi uomini, di fare spazio con le volanti cosicché io e Georgia andiamo per le Bahamas, evitando di sporcare la carrozzeria delle macchine col sangue”; ma Svente rispose “Non prima di aver ricevuto la mia mancetta! Uffa!”, era ancora rimasto nella modalità infante.

Georgia obiettò “Ma non sono tua nonna! Come posso darti la mancetta, dunque?”

“Non importa, nonna! Se papà è rincoglionito, comunque gli vuoi bene!”

Martha decise di riportare alla realtà il suo capo “Commissario…”

“Eh?”

“Commissario Svente!”

“Vado ancora in quarta elementare, però mi piacerebbe davvero essere un commissario, signorina agente!”. Martha era allibita, ma ecco che spuntava dal nulla Gregory, che conosceva Svente da più tempo, e sapeva come riportarlo alla realtà.

Prese il megafono abbandonato a sé stesso e disse, sicuro di sé “COMMISSARIO! C’è una donna nuda come ostaggio e lei mi fa questa figura?”

Svente si ridestò. Riprendendo anche colore sul viso “Ah, scusate, ragazzi. Bei tempi di una volta! Neanche stavolta vi sono donne nude, vero Greg?”. Martha era scandalizzata.

“No, signore, solo una vecchia rattrappita che è convinta di sopravvivere alle turbolenze del mar dei Sargassi!”

Svente ghignò “Sentito, signora? Il suo cuore reggerà? Ha mai preso un aereo? Dei suoi pericoli? Della gente inaffidabile che ci sale?”

Georgia ebbe dunque le prime titubanze. In effetti, non era mai partita tramite aereo, e le Bahamas non si raggiungevano di certo in treno. Così si rivolse ad Archie e cominciò a scusarsi con lui “Mi dispiace, ma non posso venire con te”

“Cosa? Prima eri tutta contenta!”

“Sì, però sono sopravvenute cose per cui vale la pena non seguirti”

Svente si congratulò tramite megafono “Ha fatto la scelta giusta, mia cara signora! Adesso venga qui e la curiamo!”

“Curiamo da che?” chiese Georgia.

“Dallo shock di essere stata rapita, da tutti i germi del carcere che quell’uomo si porta a spasso da quando è evaso! E non sto cercando di spaventarla! I germi carcerari sono molto pericolosi!”

Archie ebbe l’impressione di avere grossi scarafaggi che gli camminavano invisibili sull’epidermide.

“Oh, cazzo! Mi ha colpito anche stavolta! E va bene; l’hai voluto tu, Svente! Nessuno si muovi da qui o sparo!” ordinò al gruppo di ostaggi sbagliando anche verbo, il quale si era ormai alzato dalla posizione supina che avevano assunto all’inizio e stava godendo il duello Svente/Embratson in piedi e abbastanza tranquilli, con anche commenti tecnici.

Ma il clima rapina tornò in quel momento prepotente all’ufficio postale. Svente rispose “Embratson, l’abbiamo capito che sei uno che si fa rispettare, ma ti prego di non far del male a nessuno di loro, perché potresti aggravare la tua posizione! Gli anni da scontare in galera aumentano di minuto in minuto! Embratson era sicuro che il suo rivale non aveva tenuto il conto, così chiese provocatorio “E quanti minuti sono passati?”

Svente non si aspettava quella domanda, ma ecco Martha accorrere in suo aiuto “Un’ora e un quarto in questo momento, signor commissario”

Svente sorrise “Il che vuol dire settantacinque anni di galera! Sapresti sopravvivere a tanto?”

Embratson aveva trentacinque anni, il che voleva dire uscire a centodieci. Così sorrise e puntò la pistola contro lo sbirro, per ucciderlo “Certo che ci arriverò. Ma voi sbirri non mi farete finire in quella topaia, piuttosto sfondo la barriera!”


Fine Capitolo! Grazie per aver letto fin qui!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il criminale cacciò in malo modo la nonna che aveva prelevato fra i clienti che si era ritrovato come ostaggi e decise di fare da solo. Prese così il sacco coi contanti, sbirciò dentro, sorrise malizioso a quel mucchio invitante e fece per andarsene, ma un colpo di pistola arrivato dal commissario Svente lo bloccò dopo appena un passo, il buco sul pavimento ancora fumava quando lo sbirro giustificò il colpo ordinando “Fermo lì, stronzo, o ti brucio, ignorando bellamente il protocollo che vorrebbe che prima sparassi un colpo in aria. Esci di qui con noi o con un ostaggio, o morto. Voglio proprio vedere come farai a uscire senza farti prendere, altrimenti”

Archie si ritrovò dunque costretto ad utilizzare la riserva ancora nutrita di ostaggi che aveva per scavalcare Svente e la sua squadra.

“… Trovato” il suo sguardo si era posato su un individuo apparentemente innocuo, lo prese con la forza e gli ordinò “Da oggi sei milionario, in quanto mio ostaggio”, tuttavia il tizio rimase impassibile.

“… Credevo che il sogno di tutti gli uomini fosse davvero quello di arricchirsi e di avere tanta figa che gli ronza attorno”, commentò il criminale perplesso, e tuttavia il tizio continuava ad osservarlo un po’ tonto.

“Beh, e allora come posso convincerti?”, ma neanche con questa domanda ottenne risposta, perché il tizio stava continuando  a guardarlo interrogativo.

Al che Archie continuò a spazientirsi “Beh, ma fai qualcosa! Mi sembra di parlare con un muro che mi guarda come se non avesse mai visto un umano! Non ho voglia di sprecare munizioni per te!” il tizio scosse la testa e rispose biascicando, con la stessa cadenza di tono di chi non era abituato a parlare “Mi dispiace, non capisco, sono sordo” Archie sgranò gli occhi “E potevi dirmelo prima, no? Che figura sto facendo con Svente?”, solo che non capiva nulla del linguaggio gesticolare, così passò alle maniere forti; lo prese per un braccio e lo portò davanti al commissario. “Svente!” chiamò.

Svente scrutò il suo rivale, che riprese “Questo sarà il mio lasciapassare! Un solo passo e gli esploderà la testa, con tutti gli organi in bella mostra!”

Cose carine da dire in presenza di minorenni, dunque.

Svente tremò dall’indignazione “Che barbarie… prendersela pure con un sordo” Martha chiese “Dobbiamo intervenire?”

Svente rispose “Starai scherzando? E dovremmo prendercela noi col sordo? Dovremo pensare ad un attacco dalla porta di servizio, invece”

Archie sapeva che le porte di servizio non esistono in un ufficio postale, infatti gli impiegati compaiono dal nulla, così intuì le loro intenzioni rispondendo “Non serve a nulla entrare dal retro! Nessuno a parte gli impiegati sa come si entra! E quelli sono in mano mia!” Gregory confermò “Ha ragione! Non è segnato nemmeno sulla mappa che ci ha fornito questo signore del piano regolatore”; un tizio con la pipa rispose sbuffando da tutti i pori, occhi compresi “Beh, cosa credevate? Le poste sono… infììììde”. Svente e la sua vice Martha annuirono e tornarono a concentrarsi sul malvivente. Archie li esortò “E allora? Non dite niente?”

Svente rispose “Non toccare il sordo, non vogliamo incidenti, vogliamo solo compromessi!”. Detto così, sembra uno slogan.

E non è detto che non lo sia.

Archie ridacchiò “E allora fatemi passare!”

“No, tranne questo!” rispose il commissario, che non voleva perdere.

“Allora queste trattative sono destinate a bloccarsi sempre, a meno che non riesco a trovare un complice? E va bene” si rivolse al sordo “Diglielo tu, a loro, che sono un bravo ragazzo e che userei questi quattrini solo per scopi benefici”, il sordo intuì che qualcosa non andava, così si limitò a dire solamente “In mezzo a questi soldi c’è anche la mia pensione!” Archie gli scrisse quello che aveva appena detto sugli scopi benefici e il suo ostaggio gli rise in faccia dicendo “Non ci credo.”. Svente quotò il tizio “Appunto, è una boiata colossale. A chi sarebbero destinati, poi?”

Archie rispose “A me stesso, ovvio! È pur sempre un’opera caritatevole nei miei confronti!”

Svente puntò di nuovo la pistola “Senti, non abbiamo tempo per stronzate! Esci fuori con le mani in alto!”

“No!”

“Ho appena detto di farlo, grazie ai poteri conferitomi dalla Giustizia!”

“No, non posso”

“Ma perché no? Ormai sei circondato e perdi ostaggi dopo ostaggi, cosa c’è che ti frena dal tornare alla gattabuia che hai avventatamente lasciato?”

Archie puntò la pistola alla tempia del sordo “Costui! Costui mi frena! Non posso separarmene!”

“Eh? Perché mi vuoi ammazzare?”, ora il povero ostaggio era preoccupato.

“Non fare gesti incons…” esortò Svente, ma Martha intervenne “L’ha già detto, commissario. Non si ripeta, che il lettore si sta addormentando”

Svente decise dunque di rivolgersi al sordo, gesticolando in modo che potesse capire cosa voleva dire, e riuscendoci, perché il suo interlocutore sorrise di rimando e spinse col gomito Archie Embratson con tutte le proprie forze, causandone la caduta, rischiando grosso, in quanto aveva una pistola puntata alla tempia, ma siccome l’effetto sorpresa era sempre dietro l’angolo, tutto si risolse. Il tizio, ora libero, percorse la distanza che intercorreva da dove si trovava alle volanti poste davanti l’ingresso/uscita, rivolto verso l’ambulanza che lo avrebbe sicuramente curato, ma non sarebbe tornato ad ascoltare.

“Cazzo! Me l’hai fatta, eh?” Svente fece una smorfia. “Beh, non si diventa commissari da un giorno all’altro”

“Ah, no? Vuoi dirmi che lo sei diventato dopo anni di fatica e sudore?”; è risaputo che i criminali tendano a minimizzare le carriere dei loro nemici.

Svente ne approfittò per raccontare la lunga trafila della sua carriera per filo e per segno, fino al giorno in cui divenne Commissario di Lectala, ormai quindici anni prima.

Approfittando di quel momento Archie ebbe tutto il tempo di alzarsi e di nascosto nascondere un po’ di mazzette sotto i vestiti, in modo da salvaguardarsi.

“Bene, Svente” lo interruppe non appena finì di indossarne un numero sufficiente. “È giunta l’ora di andare!”

Il commissario gli puntò contro la pistola “Tu non ti muovi da dove sei, almeno finché non avrò finito di raccontare come sono diventato agente scelto!”

Embratson a sua volta puntò la pistola rubata “Ricordatevi che ho ancora degli ostaggi per le mani!”, rivide il tizio sordo che inconsciamente stava tornando alla posta perché voleva capire che cosa stava succedendo e lo frappose fra lui e il commissario. Perché un uomo come lui era così conteso?

Non gli era mai successo, a parte quando andava al circolo per anziani, ove tutte le vecchie lo contendevano proprio per la sua capacità di (non) ascoltare e quindi adatto a pazientare verso i loro discorsi lunghi, che variavano dai pettegolezzi di quel periodo a roba capitata durante la loro travagliata infanzia, e pertanto nell’epoca del Medioevo alto ma non troppo.

Ma non divaghiamo, in ogni caso.

 Embratson fece presente “Costui non lo sa, ma sarà il mio lasciapassare definitivo, cosicché io possa uscire a godermi il denaro intascato!”

”Non te lo permetteremo!” Svente aveva la sensazione di aver già fatto questo dialogo.

“Sì, invece!” e fece per andare verso l’uscita.

“NO!”

“Certo che sì!”

“E invece no!”

“Basta, adesso! Lo so che sono bellissimo, ma non mi sembra il caso che due uomini perdano la testa per me!” protestò biascicando il tizio sordo, il quale fu involontario protagonista di un perverso ping pong dove lui era la pallina, venendo respinto tutte le volte che Archie o Svente si contraddicevano. Embratson e Svente lo guardarono storto, decidendo per escluderlo come protagonista ostaggio.

“Beh, a quanto pare nessuno lo vuole, alla fine” osservò il ragazzo occhialuto di cui Alexander non sapeva il nome. Embratson perse la pazienza e usò ilo suo ostaggio come ariete “Bene! Sfondiamo questo muro di sbirri!”, ma non appena fatto un passo, cadde a terra per la seconda volta, in quanto il sordo lo aveva morsicato affondando per bene i denti più affilati del dovuto nella carne. Lui era salvo, ma gli altri?

 

 

Fine Capitolo! Gli altri si salveranno? O questa storia si sta trascinando per inerzia, cosa peraltro da non escludere?

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Archie Embratson.

Il commissario Svente.

Due personalità che più a confronto di quel frangente non sarebbe potuto succedere.

L’evaso e lo sbirro.

Il ladro e la guardia. A ruoli ancora non invertiti, poiché questo non è un romanzo psicologico, bensì la descrizione più o meno esatta di quanto avvenuto quel giorno alla posta, la prima volta del figlio di Elisabeth.

Rimanevano comunque pochi ostaggi.

Archie fece scorrere ancora una volta i suoi occhi e, ignorando l’ennesimo richiamo del commissario “Fai prima a consegnarti fra le nostre forti braccia, te lo dico io” decise di prendere un signore con gli occhiali da sole e il bastone.

“Tu!” ordinò.

“Io?” chiese quegli.

“Certo! Con chi starei parlando altrimenti?” rispose Embratson.

“Non lo so, mi sembra con dei poliziotti, anche se mi sembra difficile” replicò il suo interlocutore.

“Invece sto proprio palando con te, gli sbirri possono aspettare” rispose Archie, che non aveva nemmeno voglia di parlare con Svente.

“No, mio caro, nessuno mi ha mai parlato con la Polizia davanti” rispose quello, il che denotava una vaga assenza di vita sociale.

“Beh, adesso è successo! Vieni qui!” ordinò Archie.

“E come posso farcela?”, rispose l’uomo con gli occhiali da sole, che tanto da sole forse non erano.

 “Beh, non deve essere difficilissimo… sono solo tre metri” Archie non aveva capito il messaggio sibillino e si stava innervosendo.

“Tre metri per me equivalgono a due chilometri, per chi come me cammina nel buio” rispose l’uomo, cercando di essere più chiaro.

 “Non è il momento della poesia!” Archie era davvero duro di testa.

“Non è poesia.” Rispose l’uomo.

“Ah, no? Cammini nel buio…” Archie forse lo faceva apposta.

“Certo, cammino nel buio in una strada senza luci né colori, ad ogni passo il filo tesissimo di una corda di nylon sotto i miei piedi mi ricorda che oltre c’è il nulla, pur tuttavia il mio unico punto di salvezza, se cado, una mandria di serpi avvelenate mi attaccheranno” disse l’uomo, insistendo con le metafore.

Archie rimase stupito, ma il ragazzo occhialuto messo accanto ad Alexander intuì subito di cosa stesse parlando il poeta improvvisato “È cieco! Ecco spiegata la metafora! Non vede un cazzo di nulla al di là del nero che occlude i suoi occhi!”

Alexander si stupì nel sentire quella locuzione tanto amata da nonno Mike, il quale era sempre forbito nel parlare.

Il cieco rispose brusco “Ma che termini sono? Avresti potuto dirlo in modo più garbato, no? “Cieco”, figuriamoci… fa più effetto autodefinirsi “Un camminatore silenzioso in questo mondo buio”e arrivi tu che dici “non vede un cazzo”! È pazzesco!”

Archie tagliò corto “Non m’importa quanto sia pazzesco! Da adesso sei tu il mio ostaggio!”

Il cieco rispose “No, non mi abbasserò ai tuoi giochetti, sappi che ho sentito ogni cosa sin qui detta, e posso dunque dedurne che hai un animo ribelle e per giunta sanguinario, e io non faccio amicizia con gli evasi che non rispettano la legge! Io non mi fermo all’aspetto esteriore, che peraltro mi è precluso vedere, piuttosto punto direttamente a quello che hai nel cuore, che vedo benissimo: la tua anima tormentata mi è testimone, tu stai soffrendo!”

Quella sua dichiarazione ammutolì tutti, ma non Archie, il quale sentendosi nudo davanti a quel singolare individuo, arrossendo si giustificò “Beh, sto soffrendo perché non posso portare avanti il mio piano, visto che c’è sempre qualcuno che mi impedisce!” il cieco chiese “E sai perché?”

“Perché gli ostaggi sono degli idioti?” Archie lo disse sarcasticamente, ma il cieco rispose subito “Uhuhu… idioti. Che idioma, io definirei  i miei compagni di sventura… uhm…” si fermò per cercare la parola giusta “… sventurati.”

Tutti caddero dalla delusione come si fa negli anime.

 “Ma non idioti.” Concluse il concetto il cieco.

Archie insisté “Allora perché trovo difficoltà?”

Il cieco rispose con tono abbastanza professionale“Beh, innanzitutto interrogherei me stesso, se mi trovassi nei tuoi panni. Perché hai deciso di rapinare una posta così vicina alla prigione dove sei scappato?”

Archie rispose “Ma è ovvio, no? Mi servivano soldi!”

“Vero, ma non hai esitato a pensare ad entrare, pur sapendo che le forze dell’ordine ti stavano alle calcagna. Dimmi, perché l’hai fatto proprio qui?” il cieco era incalzante, ponendosi le domande che avrebbe dovuto porsi Svente.

Archie non poteva credere alle proprie orecchie.

“Commissario Svente, Archie Embratson è innamorato dell’impiegata che gli ha consegnato il sacco di denaro, e oserei dire che è ricambiatissimo”. I due distolsero lo sguardo a vicenda, imbarazzatissimi: “Immagino ora siate imbarazzati…”

“Noooo, che dici?” commentò ironico il tizio occhialuto accanto ad Alexander, il quale godeva in questa scena.

“Beh, non vi biasimo. Avevate deciso di fuggire insieme, ma vi è andata male con la clientela. Se almeno uno di noi fosse minimamente spaventato tanto da farsi catturare come ostaggio, a quest’ora avreste preso l’aereo delle 10,50 per Miami”

“Ma come fai a sapere anche questo?” Archie era talmente sbalordito da non aver smentito l’esempio, ma non era l’unico lì dentro. Il cieco rispose “Beh, ho un cugino che fa quella tratta… almeno lui ci vede”

“No, come fai a sapere che saremmo andati a Miami!” chiese Embratson.

“Ah… beh, ho tirato ad indovinare” ammise il tizio.

Archie assunse uno sguardo da “Sticazzi” e cominciò a puntargli la pistola contro “Va bene, veggente: ora…”

Il cieco si stupì “Perché, veggente, di grazia? Il mio nome è solo Olivier Oscar Southampton”

“Va bene , Olivier Oscar Southampton: ora tu verrai con me e sputtanerai Svente, in modo che non faccia brutta figura con la mia donna!”

“Beh, hai già fatto brutta figura, evadendo e non rispettando dunque la legge: io, se fossi in quella ragazza, ti avrei ripudiato immantinente, cosa che forse ha già fatto, a giudicare da com’è stata zitta finora”

La ragazza improvvisamente capì di non aver mai amato veramente Archie, era solo spaventata dalla sua pistola, anche quando andava a trovarlo in prigione.

Martha osservava il signor Olivier in maniera sbalordita “Caspita. Lo tiene in pugno” Svente aveva acceso un sigaro “Il cosiddetto braccio cieco della giustizia”

Gregory, uno degli assistenti che aveva preallarmato Martha all’inizio della storia, punzecchiò “Lei, invece, che cos’è? Il braccio tabaccomane?”, visto che non approvava chi fumava.

Mentre Svente strangolava il povero sottoposto, Archie sbiancava ogni secondo che passava: perché quella sensazione d’impotenza? Eppure, era solo un cieco venuto a prendere la sua pensione, o vie era dell’altro?

No, ma a cosa stava pensando?

Era solo un esaltato che parlava solo per tenere lontana la paura, e solo per coincidenza indovinava le cose su di lui.

“Bene, Oswald” riprese Archie.

“Olivier, di grazia” corresse Olivier.

“Come cazzo ti chiami. Hai finito di fare lo sbruffone! Ora…”

“Perché? Dov’è che ho fatto lo sbruffone? Mi sono solo limitato ad osservare alcuni eventi e apporre le mie supposizioni”

”Osservare un cazzo! Nemmeno ci vedi!” sbraitò senza troppi complimenti l’evaso.

“Ecco, queste sono cose che m’infastidiscono. Sai, è poco carino far notare il mio… difetto fisico” disse Olivier, chiaramente urtato, il tono che aveva usato non aveva lasciato adito a dubbi.

“Però poco fa non ti sei offeso!” osservò Archie.

“Poco fa era solo una constatazione di un ragazzo! Tu mi stai minacciando con una pistola!” rispose Olivier.

“Come fai a sapere che ho una pistola?” chiese Archie, esterrefatto.

“Ne ho riconosciuto il click. Ah, a proposto: hai finito i colpi” constatò Olivier.

“Come sarebbe?”, effettivamente alla pistola che aveva trafugato mancavano del tutto le munizioni, l’unico colpo che aveva lo aveva sprecato poco prima andando a finire sul cofano della volante.

“Grrr… e va bene. Con te non si può vincere. Sei onnisciente!”

“Non sono onnisciente, mio caro” Olivier assunse un tono triste.

“Sì, va bene, ora sparisci!”

Il cieco uscì fra gli applausi del pubblico.


Beh? Se devo essere sincero, questo è uno dei miei migliori capitoli, e infatti fa schifo non è un granché! Fatemi sapere le vostre impressioni! 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Dopo quella esperienza, tutti furono ammirati dal “Braccio cieco della giustizia”, persino l’omosessuale e l’altra ragazza intrappolata nell’ufficio uscirono dal loro cantuccio sotto il riscaldamento e si fecero vedere con la fifa nascosta in un punto imprecisato del loro animo.

Al che Archie Embratson li vide.

Vide quanto entrambi erano ambigui e decise di approfittarne, schiavo delle sue idee maligne, ma anche di un certo sadismo che non guastava certo in quei tipi di personaggio che decidono di evadere “Voi due, sarete miei ostaggi” ordinò loro.

“Lasciate perdere, e convincetelo a consegnarsi!” esortò ancora una volta Svente.

“Cosa? Voi dire che siamo davvero tuoi ostaggi? Io, CJ e lei, Marlene”

“Come la mela?” gli scappò di dire Archie.

“Certo! Come credi che mi chiami, stupido uomo orco?” e d ebbe anche il coraggio di inalberarsi.

Archie in ogni caso la ignorò e si rivolse all’uomo semiuomo “ Tu, CJ”

CJ rispose “Sì, amoruccio? Cosa vuoi farmi, io che sono divenuto tuo ostaggio per amore?”

“No, un momento… che cosa hai capito?” Archie voleva mettere in chiaro alcune cose, ma CJ rispose imperterrito “Tutto, mio caro”

“Tutto che?” incalzò Embratson.

Era irritante sentirlo parlare, si disse l’evaso. E non solo, come se si aspettasse che gli altri lo capissero al volo.

“Ma è ovvio, no? Sciocchino! Tu mi ammanetti, e poi facciamo i giochini che ti piacciono tanto!” gli mandò un bacio con due dita sulle labbra e lo “soffiò”, certo che l’avrebbe preso al volo, ma il malvivente si scansò per paura che il bacio arrivasse davvero. Al che CJ si eccitò tutto “Ooooh Marlene, hai visto? Fa il riottoso! Non mi sto divertendo in questo modo! È tutto troppo facile!”

Marlene rispose “Beh, è il solito uomo orco omofobo… cosa ti aspetti?”

“E sono proprio loro quelli che mi eccitano di più! Più ti fanno soffrire, più ti desiderano!”

Cj non avrebbe potuto dire cosa più giusta. Ma questo solo nel suo modo fatato pieno di coniglietti.

Non rosa.

Il tizio occhialuto incrociò le braccia e si sedette perché gli facevano male i piedi a stare in piedi “Oooh, allora è così che funziona… allora la vedo dura per Embratson”

CJ gli rispose avendolo sentito “Se la vedi dura, è merito del mio Archie! Adesso lo prendo e me lo spupazzo!”

Archie non si sarebbe mai aspettato tutte quelle difficoltà, così provò a ragionare per riportare il momento del rapimento a una dimensione più seria “No, aspetta. Parliamone” CJ si bloccò stupito, trasformando le sue pupille a forma di cuore “Eh? Cosa vuoi dirmi? Mi vuoi dire porcate?”

“No!” rispose Archie “voglio dirti di stare fermo e farti minacciare con la pistola! E anche quell’altra cretina!”

“Ci risiamo” sbuffò in maniera plateale Marlene, la ragazza che stava accanto a CJ, quella lesbica “Il solito uomo prevaricatore” e bla bla bla.

“Oh, che bello!” fece CJ “E poi?”

“E poi si spera che la polizia mi faccia passare!”

“Col cazzo!” lo corresse Svente, sempre pronto a dire parolacce.

“Oooh” si esaltò CJ, evidentemente divertito dalla vena nervosa che stava prendendo l’evaso. “E dove mi porti?” chiese, semplicemente entusiasta, forse ignaro della situazione in cui si trovava.

Ma Marlene non vedeva lato positivo alcuno “Sicuramente, in un luogo rozzo degno di voi maschietti, che vi riconoscete nelle fogne”

Archie rispose ”Ma che dici? Andrò da solo alle Maldive a farmi massaggiare le chiappe dalle donne nude del posto!”

Svente schioccò le dita e fece parlare Raja, la donna di origini maldiviana che aveva in squadra, proprio per coincidenza “Signor Embratson, a parte che anche alle Maldive le donne girano vestite col burqa, ci si spacca il culo di lavoro fin dall’età di cinque anni, soprattutto per chi non è turista ma fuggitivo! Si informi prima di sparare demenzialità su un paese!”

 Archie non si aspettava quelle cose sulle Maldive che i media evidentemente nascondevano , così cambiò destinazione “Ok, allora andrò alle Hawaii a farmi massaggiare le chiappe!”

“Non ti conviene” rispose Svente “mio padre è in pensione proprio lì, e non vede l’ora di tornare la lavoro per testare i suoi nuovi scarponi sulle chiappe di idioti come te! Sai, lui è stato capo reparto all’FBI e ha perso un orecchio per colpa di voi manigoldi!”

Martha osservò “Sta parlando di Charles Svente senior? Ma è stato capo reparto solo per un anno, poi è stato esonerato!”

Charles Svente junior rispose “Dodici mesi terribili”

Archie cambiò ulteriormente destinazione “Allora andrò ad Amsterdam a farmi di canne e vivere nei quartieri a luci rosse!”

“Ooooh, il luogo preferito per noi gay!” esclamò CJ inaspettatamente.

Visto che gli seccava portarselo dietro, Archie ritentò “in Svezia?”

“Lì gli uomini orchi li impalano!” Marlene sorrise nell’immaginarsi Embratson impalato e usato come cuccagna.

“Ma insomma! Non c’è nessun posto dove posso andare?” si lamentò Embratson, colpito dai difetti che anche il luogo più paradisiaco del mondo aveva.

“In galera! Lì è perfetto!” disse Svente. Allora Archie tentò il tutto per tutto: dato che aveva la pistola scarica, andò a vedere nell’ufficio interno se vi era quantomeno un’arma in grado di uccidere. Non c’era nemmeno stato bisogno di addentrarsi più di tanto, in quanto la trovò nella forma di un estintore, posto in un muro dimenticato da tutti.

“Perfetto” commentò Embratson. Spaccò il vetro e tornò sulla scena. La mano sanguinante impregnava anche l’arnese, cadendo a terra sottoforma di goccioline, in uno stillicidio vagamente inquietante, visto anche che nessuno stava parlando, inorriditi verso l’autolesionismo dell’evaso per eccellenza.

CJ si preoccupò “P-posso leccarti le ferite?”

“No!” rispose secco Archie. “Casomai lo farà Marlene…” aggiunse con fare provocante.

Ma lei, che era esteticamente gradevole ma dentro nascondeva un mostro, più precisamente un’orchessa, solo che non aveva bisogno di aspettare la notte per palesarsi, lo era a tempo pieno, anche se al di fuori non si notava.

“Che schifo! Mi farei piuttosto il qui presente CJ!”

CJ inorridì “Che schifo! Piuttosto berrei una birra e mi farei crescere i peli antiestetici che voi chiamate “barba””

Svente tagliò corto “Aventi, il gioco è finito! Embratson, hai una gamba e un braccio sanguinante e ormai le tue funzioni vitali non sono più al cento per cento, fatti catturare e perlomeno ti saranno garantite le cure antitetano!”

“Giammai! Piuttosto muoio dissanguato in questo loco!” esclamò Archie, facendo sfoggio di un nuovo termine.

Marlene lanciò un urlo.

Non sopportava i morti, soprattutto se maschi, perché le ricordava il padre morto di fronte a lei per arresto cardiaco.

Archie parve accorgersene, perché corresse il tiro “V-va bene, allora agonizzerò”

“Aaaaah!” urlò ancora Marlene. Il padre che si contorceva era vivido davanti ai suoi occhi.

“Beh, guarirò da solo!” Archie era seriamente preoccupato.

“Ok”. Marlene tornò sé stessa.

Archie tornò a guardare CJ e Svente “Sapete, mi state creando grattacapi”

CJ sibilò di piacere, Svente ruttò dopo aver bevuto un po’ di quella bevanda nera con l’etichetta rossa contenente ossa di ratto polverizzato. Archie proseguì “E chi mi grattacapa…”

“Eh?” chiese Svente.

“Neologismo” rispose Embratson.

“Ah, ok” Svente era un uomo democratico.

“… chi mi grattacapa di solito muore, per cui…” alzò l’estintore insanguinato, tuttavia l’urlo dell’ex fidanzata e un secondo colpo di pistola del commissario interruppero quel proposito omicida. Archie perse anche l’altra mano come risultato del colpo di pistola, entrando così a far parte della categoria uomo/sangue. Svente ghignò “Non torcerai nemmeno loro un capello!” Archie scosse la testa e prese CJ per i capelli, ponendolo davanti a sé come scudo “Visto? Ne sto torcendo perlomeno mezzo migliaio”

Svente capì la provocazione “Vediamo alla di abbassare il numero”

CJ supplicò “No, vi prego, adoro quando mi tirano per i capelli”

“E se ti evirassimo?” chiese Svente.

CJ inorridì “No, quello no, vi prego”

“Eh?” Svente non si aspettava che CJ ci tenesse così tanto, e anche il ragazzo colse il suo stupore “Mi serve per fare pee pee”

“Cosa?” Svente stava impazzendo.

“Neologismo” precisò CJ.

“Ah, ok” Svente era un uomo democratico.

Marlene non aveva mosso un muscolo “Bah, questi uomini orchi..”

Archie la squadrò “Cos’è, sei invidiosa?”

“Un po’ ” ammise.

“E pertanto spiegami il motivo per cui non ti stai comportando da ostaggio” Archie voleva capire cosa stava andando male.

Marlene rispose ”Perché tu non ti stai comportando da sequestratore”

Svente provocò il suo rivale “Ohohoh… e ora come la mettiamo?”

Archie prese una breve rincorsa e provò col corpo di CJ a farsi scudo per passare oltre le volanti parcheggiate davanti l’ingresso in modo da bloccarlo, il che voleva dire libertà, tuttavia il gay inciampò apposta sulle sue zeppe (volete che non sappia come camminarci? Suvvia) portando con sé anche l’evaso, che finì sopra il culo del suddetto ragazzo scudo. Quest’ultimo urlò di gioia “Sììììì! e ora colpiscimi!”

Ma Archie non lo fece, si rialzò di scatto e, brandendo l’estintore, lo aprì per gettare il contenuto verso gli sbirri “Appena fate fuoco, io vi schizzerò con l’acqua!”

“Questo non impedirà al proiettile di conficcarti nella tua zucca vuota! E poi, dentro l’estintore c’è schiuma, non acqua!” disse Svente.

“Beh, è da vedersi” tagliò corto Archie, ma, poco prima dello scontro, Marlene passò loro davanti, portò su una spalla lo svenuto CJ, e con molta nonchalance uscì fuori dall’edificio, diretta verso l’ambulanza. Archie era di nuovo senza ostaggi e a bocca aperta, sanguinante. Ce la farà a vincere?


Ce la farà? Eh? Grazie mille per i vostri preziosi suggerimenti!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Dentro la posta erano rimasti, oltre gli impiegati e l’evaso, solo il tizio che stava fungendo da commentatore per il sollazzo di Alexander, il figlio di Elisabeth, il quale voleva andare all’ufficio postale tutti i giorni, e una specie di uomo dormiente, del quale la testa spuntava da un pesante plaid preso da chissà dove. 

E dire che dal biglietto cadutogli dalla mano era il numero due della coda, tuttavia il rivolo di bava che gli fuoriusciva dalla bocca spalancata testimoniava che la catalessi durava da prima dell’inizio di questo racconto. Svente decise di mettere alle strette il nemico restìo a volersi arrendere, tuttavia logorato dalle ferite fisiche che aveva subito o che si erta auto indotto.

“Non ti sembra ti siano rimaste molte alternative, Embratson” disse Svente, tramite il fedele megafono.

“No, non sembra nemmeno a me” ammise Archie, guardandosi attorno.

“E allora cosa aspetti a venire da me?” chiese Svente.

“Prima voglio fare un ultimo tentativo” rispose Archie, con tono stanco.

“Davvero? E con chi? Il ragazzo con gli occhiali non si può (perché?), il ragazzino sarebbe troppo anche per te… ti rimane solo l’uomo che sta dormendo sulla destra” elencò Svente.

“Conviene svegliarlo” disse vago Embratson.

“No, conviene arrendenti” rispose secco il commissario, ma Archie fece orecchie da mercante e cercò di svegliare il tizio.

“Ehi” ordinò brusco, togliendogli il plaid.

Svente sibilò preoccupato “Di solito, quando mi svegliano in questo modo, mi metto a urlare come una scimmia, cerco la pistola e mi metto a crivellare di colpi il soffitto, ed è per questo che le tubature sembrano scolapasta”

Martha osservò “Aveva detto che vivevate da solo”

Svente rispose ”Sì, e la domestica che mi pulisce la casa non conta?”

Mentre Svente elencava le persone che passavano da casa sua anche solo per un secondo, come il lattaio, il postino, il lavascale del condominio, il tecnico del gas e l’uomo della Tecnocasa, il tizio strinse gli occhi reagendo ad uno scrollìo più energico, e li aprì mostrandone due paia cisposi e grigi, e disse “Chi sei? Dove sono? Che ore sono?”

Archie sollevò lo sguardo verso l’orologio digitale appeso alla posta, stranamente funzionante “Sono le undici e cinquanta minuti. Ma non è questo è il punto! Ora tu verrai con me per farmi passare indenne!”

“Da dove, scusa?” il tizio stava ancora dormendo mentalmente.

“Da questo posto!” precisò Archie.

“A dove?” chiese ancora il tizio, ora sveglio del tutto.

“Fuori di qui, ovunque non ci siano sbirri!” rispose Archie pazientemente e non specificando la destinazione, onde evitare ulteriori polemiche come era stato fatto nel precedente capitolo.

Dimmi che te lo ricordi.

“Già… e se poi ti rubano la bici, poi che fai?” chiese il tizio.

“Cosa c’entra?” chiese Archie, che non aveva bici.

“Ho una bici parcheggiata” precisò quello, ormai completamente vigile e pronto ad annoiare il suo interlocutore.

“Non potremo portarla con noi” disse Archie.

“Perché?” chiese quello, deluso.

“Ci intralcerebbe” osservò Embratson.

“No, ho provato che andando in bici ci si mette molto meno che andare a piedi” osservò tranquillamente l’altro, che ancora non aveva un nome, ma perlomeno i capelli.

 “Certo, ma noi siamo dei ricercati, e visto che non è un tandem quello che possiedi…” Archie spiegò così la situazione.

“Visto che non è un tandem? Prosegui, non mi piacciono le frasi a metà” incalzò lui.

“Non hai capito? Andremo a piedi” concluse allora Embratson.

“Col sacco di denaro?” chiese il tizio.

“Certo, che rapina sarebbe altrimenti?” il dialogo surreale proseguì, e ad Embratson sembrava quasi gli piacesse.

“E secondo te sembra giusto derubare la gente anziana?” chiese moralista il suo interlocutore.

Archie rispose ”Non lo so, so solo che ho una voglia matta di uscire di qui!”

“Dovresti fare chiarezza però su questo aspetto!” il tizio non capiva che si stava mettendo in guai seri, contro un evaso insanguinato e con in mano un estintore piuttosto pesante.

“Non m’interessa, ora muoviti!” Archie non sopportava più il dolore agli arti che accusava.

Il tizio, per tutta risposta, cominciò a muovere il busto e gli arti sinuosamente, come se fosse uno di quei pupazzi mossi dal vento davanti le concessionarie di auto.

Come se stesse cercando di essere divertente.

Archie chiese sputacchiando “Che cazzo fai?”

“Mi sto muovendo” rispose concentrato quel tizio.

Archie guardò Svente, che stava ridendo a crepapelle assieme a Martha e Gregory (Martha in realtà era sempre guardinga, come se la situazione potesse aggravarsi di punto in bianco), al che colpì con un pugno il tizio spiritoso.

Aveva ragione Martha. Come sempre.

“Vuoi fare dunque la persona seria?” chiese senza traccia di umanità Embratson.

“D’accordo, avresti potuto dirlo subito però, invece di colpirmi a morte come se fossi un punching ball. E che cos’è successo, sembra che avevi davanti il demonio?” recitò il tizio, massaggiandosi la mascella.

Archie si toccò la nocca “Non esagerare… non ti esce nemmeno sangue”

“E chi lo dice?” il tizio era diffidente.

“Lo dico io, che lo vedo” disse Embratson.

“Se mi mentissi? Sento in ogni caso il sangue in bocca, deve essermi caduto un dente”

“Non ti sto mentendo, poiché mi servi vigile e cosciente” rispose Archie.

“A cosa ti servo?” chiese il colpito.

“Per passare indenne davanti al commissario” rispose ancora una volta Embratson.

“Quindi sarei un ostaggio?” se ne rese finalmente conto.

“Esatto” Archie era intimamente felice di essere arrivato al punto.

“E quindi mi scaricheresti uccidendomi non appena avrai raggiunto i tuoi scopi?” di conseguenza, il tizi stava ricomponendo le responsabilità di essere un ostaggio.

“Sì, è esatto anche questo” Archie non aveva motivo di nasconderlo.

“COMMISSARIO! Lo arresti!” ilo tizio si dipinse sul volto un’espressione di paura.

Svente rispose “È quello che stiamo cercando di fare, però non abbiamo la certezza che non farà saltare le cervella a qualcuno, per questo non possiamo attaccare in massa per arrestarlo”

“Qualcuno chi?” chiese il tizio, in maniera sincera.

“Lei, ad esempio” rispose Svente, con una mezza idea di sacrificarlo, nell’eventualità.

“Si spieghi” il tizio non lo faceva apposta.

Svente prese fiato e spiegò per bene “Farà! Saltare! Le! Tue! Cervella!” esclamò infine, esasperato.

Il tizio annuì “Beh, è una situazione spinosa, no?”

Svente sgranò gli occhi e commentò sarcastico “Vagamente!”. Il tizio occhialuto accanto ad Alexander era d’accordo con Svente, fra gli sghignazzi del ragazzo, il quale nel frattempo aveva già pagato la sua bolletta, in quanto un impiegato mosso a pietà aveva ripreso il suo lavoro regolare all’insaputa di tutti.

Nel frattempo, il tizio, resosi conto di quello che aveva in mano Embratson, si sentì minacciato dall’estintore, ma non disse nulla.

“Adesso tu verrai con me, volente o nolente” ordinò Archie, puntandoglielo contro.

“Come?” il tizio non aveva capito.

“Come sarebbe, come? Non è una risposta!” Archie era davvero alterato.

“Volente o nolente?” chiese il tizio.

“Questo lo devi decidere tu, ma non fa differenza, credimi” Archie voleva davvero lanciargli l’estintore sul cranio.

“Invece fa molta differenza, e molta. Ecco un’altra cosa che dovresti rivalutare nel tuo carattere: le decisioni degli altri contano”

Archie si ritrovò di nuovo a libro aperto.

In ogni caso, scosse la testa, anticipando il commento di Svente che sicuramente voluto sbeffeggiando “Accetti dunque di essere mio ostaggio?”

“E perché me lo chiedi così gentilmente, eh? Di solito i rapitori rapiscono e basta, non  è che ora studiano il galateo”

Ad Archie la pressione del sangue stava superando livelli altissimi.

“Ma scusa” sibilò infine, mortifero “se ti minaccio, non ave bene perché non capisci quello che voglio dire, se te lo chiedo per favore non va bene nemmeno perché risulterebbe OOC rispetto al rapitore standard… ma allora che cosa dovrei fare?”

“Costituirti” s’intromise Svente, seccato per non avere la scena anche lui.

”NO! A parte costituirmi!” Archie chiuse gli occhi infastidito, come Svente avesse detto chissà quale parolaccia.

Il tizio rispose “Dovresti capire innanzitutto che cosa vuoi dalla tua vita: essere un criminale ricercato a vita per rapinato da una banca che fa peraltro schifo…”

“Grazie tante” commentarono gli impiegati in coro.

 “… piuttosto che essere un prigioniero, ma quantomeno non sei ricercato da nessuno, a parte forse da un pene vagante dietro di te, quando cogli le saponette che sono sempre a terra”

Archie Embratson non lo ascoltò nemmeno, lo imbavagliò e lo portò di peso verso l’uscita, tuttavia non avrebbe mai immaginato che quell’ostaggio avrebbe avuto la bella idea di vomitare.

Proprio così, vomitò tutto sé stesso sulla spalla del povero evaso, il quale si mise anche a piangere, nel vedere tutto il cibo che era andato perduto, fra i quali ottimi broccoletti. Svente applaudì l’iniziativa dell’ostaggio, ma quest’ultimo precisò “No, commissario, davvero, sto male, soffro il mal di mare. Qualcuno mi porti dei medicinali atti a farmelo passare”

“Mal di mare su una spalla?” chiese Martha.

“Sì, perché il rollìo è lo stesso. Se lo è, lo è ovunque”

“Mi sento rollare” dichiarò Svente.

“Vero? Anche lei ha bisogno della medicina, allora”

“Allora dico che non v’è bisogno di medicine! Andiamo!e se provate a fermarci, farò strage di crani!”

“Crani?” chiese lì’ostaggio.

“Sì, di teste” rispose Archie.

“Quali teste?” chiese ancora quello.

“Quelle della carramba” rispose Archie, che gli piaceva quella parola.

“Cosa sarebbe la carramba?” l’ostaggio viveva sulla Luna.

“La polizia!” Archie era tornato nervoso.

“È ancora troppo vago” l’ostaggio non riusciva a capire niente che non gli fosse detto esplicitamente.

Archie decise di provare a dirlo con testuali parole “Allora dichiaro che spappolerò la testa a tutti gli sbirri che mi stanno davanti”

“Tutti è impossibile” scosse la testa l’ostaggio.

“Perché?” Archie era anche seccato. Non aveva mai pensato, nel momento in cui evase, di incontrare quel tipo di persone.

“Perché è impossibile che nessuno degli agenti ti spari addosso anche dopo avere ucciso un solo agente, poiché la vendetta fa parte dell’uomo”

Archie constatò che aveva ragione, quindi fece prima ad avanzare per dar odorare la puzza di vomito a Svente e la sua squadra, ma sfortunatamente per lui l’allarme antincendio lo bagnò al punto che l’odore sparì, per qualche legge fisica che voleva un bagnoschiuma nell’acqua.  

 

Fine Capitolo! Stiamo per finire questa appassionante (sic!) storia! lasciate un commento!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Una volta bagnato, non gli rimaneva granché da fare, in  quanto anche le banconote, una volta assunta la forma di poltiglia, nessuno al mondo le avrebbe più volute.

“Ci siamo spesi molto con questo caso” constatò Gregory, uno dei bracci destri di Svente.

Quest’ultimo rispose amaro “… È il prezzo della giustizia”; ma Embratson dichiarò “Non avete ancora vinto! Mi rimangono ancora quei due ragazzi là in fondo, accanto la macchina dispensatrice di biglietti!”

“Sai anche tu che sono vicini all’uscita e ti fregherebbero in velocità! Avere vestiti bagnati non ti conferisce vantaggio alcuno, in velocità!” provocò il commissario, ormai assaggiando il gusto della vittoria.

Embratson sogghignò “Certo, ma se non provo…” e si lanciò senza troppi complimenti verso di loro per farne degli ennesimi ostaggi, ma Alexander, dimostrando un coraggio insospettato, urlò “Ehi, hai una scarpa bagnata!”

“Dove?” chiese l’evaso per controllare, ma nel farlo cadde (era lanciato in corsa) e quindi permise ai due di guadagnare la salvezza.

Il commissario Svente sorrise ancora più soddisfatto “Bene, adesso tutti i tuoi ostaggi li ho io. Come la mettiamo? Arrenditi, su, non sono nemmeno arrabbiato al punto giusto da darti la pena di morte”, che peraltro non aveva il potere di comminarla. A parte che anche quando non era in vigore.

Archie allargò le braccia e dichiarò ancora, ormai in preda alla follia “ADESSO SIETE TUTTI MIEI OSTAGGI!CHIAMATE UNA FORZA PIÙ GRANDE! IO NON USCIRÒ DI QUA SE NON LIBERO!”

Svente non credeva alle proprie orecchie, non avendo mai incontrato nessuno così tanto attaccato alla libertà come lui, e dire che erano ormai sedici anni che faceva il Commissario in quel quartiere anonimo alla periferia di Masguns.

Sedici lunghi anni a fare il logorroico e importunare le sottoposte bone, questo di sicuro, ma anche era sicuro di essere affidabile, quando ci voleva. E fu pure quello che gli disse Martha quando Svente le si presentò indeciso ai suoi occhi, perso nei suoi pensieri “Ce la può fare, io ho fiducia in lei”

Anche Gregory si fece avanti “Anche io ho fiducia in lei, nonostante tutto”

Svente lo guardò male, però decise di sorvolare rispondendo solo “E fate bene, perché mi seguirete nella Supermega Fantastica Indicibile Irruzione che metteremo in atto!” guardandoli con un brillìo inquietante.

Svente mise il colpo in canna nella sua pistola gustando il sonoro tipico e gridò “CARICAAAA!”, in modo che una dozzina di agenti si avventassero su Embratson, il quel però ruppe con l’estintore un vetro dello sportello che di solito riparava l’impiegato dagli sputi degli anziani che si rivolgevano a lui come uno dei servi della gleba, e si addentrò nei meandri dell’ufficio postale.

“Mi sono sempre chiesto cosa ci sia all’interno degli uffici” disse ad un tratto il ragazzo amico di Alexander, che fino a quel momento non aveva ancora un nome preciso, limitandosi solo a commentare da esterno quanto era accaduto. “Pare che sia un luogo che noi non possiamo nemmeno immaginare, noi ci limitiamo solo ad osservare da esterni quando gli impiegati si allontanano per prendere i vari documenti che non hanno a portata di mano, non arrivando a comprendere appieno il motivo per cui perdono così tanto tempo. In realtà, in mezzo agli scaffali degli archivi si nasconde un mondo pulsante, pieno di vita e colorato, ma soprattutto col potere di obliare le persone, in modo da farli trovare in uno stato semi catatonico, ecco, un po’ come lo siamo adesso io e te, con tutta questa spiegazione senza capo né coda”

“Io non la trovo senza capo né coda” precisò Alexander.

“Sei molto gentile” rispose lui. “Adesso che ho creato il clima giusto, osserviamo”

Osserviamo che Embratson non era più visibile ai loro occhi, in quanto, addentratosi, si ritrovò a metà fra finzione e realtà tra immanenza e trascendenza, tra sole e luna, e tutto quanto; non riusciva a credere di poter vedere tutti quegli strani effetti giocosi e colorati, era anche una sensazione di benessere, per nulla tendente alla sbornia “È bello qui” commentò con occhi vacui, dello stesso colore etereo del mondo che lo circondava.

“Già. Potremmo davvero smetterla di giocare a guardie e ladri. Voglio dire, a chi giova? Non a questo mondo, il quale piangerebbe se sapesse cosa ci siamo detti in questi dieci capitoli. Pace?” chiese Svente, allargando le braccia.

“… E va bene.”. Archie e Svente si abbracciarono, ma un secondo dopo il commissario scattò verso il basso urlando “ORA!” e subito dopo Martha uscì dal nulla facendo scattare le manette al povero evaso che ancora nella posizione di abbraccio.

“Sei di nuovo in arresto, Embratson!” Gregory Capitan Ovvio doveva pur dire qualcosa .

“C-come?” Embratson non aveva ancora capito alcunché.

“Sei caduto nella trappola degli Archivi Postali!” proseguì Gregory.

“Come?” stavolta l’evaso assunse un tono disperato.

“Può capitare a tutti” lo consolò ancora Gregory.

“Come?” Archie stava provando a dire come in tutti i toni.

“ Beh, non ti biasimo, è un luogo davvero ipnotizzante, non si può uscire a meno che in te non scorra il sangue giallo della Posta, e anche così è davvero difficile” Gregory parlava a ragion veduta: suo padre era postino.

“Ma allora…” Archie si svegliò improvvisamente.

“Sì. Noi non saremo mai amici, Archie” Svente intervenne e mise la parola fine al caso.

E così il povero evaso, illuso e abbandonato, venne catturato e rispedito in carcere, trasferito però all’ultimo piano e in una cella contenente un serial killer che stava scontando l’ergastolo.

“Ciao, io mi chiamo Robert. Mi conoscevano come il killer delle pillole. Non ho mai ricevuto arance” esordì il nuovo compagno, con una luce negli occhi tetra.

Aveva evitato la pena di morte solo perché poi la giudice era una ninfomane, sfruttando i cosiddetti “Falli della legge”.

In ogni caso, Archie Embratson riprese piena conoscenza di sé dopo natale.

“D-dove mi trovo?” chiese incerto a Robert, che non aveva mai smesso di guardarlo in quei giorni. Era evidente che quei quindici anni di galera lo avevano cambiato nel profondo, e adesso era assetato di sangue.

“Ah, adesso sei cosciente. Bene, adesso sei mio ostaggio.” E si leccò le labbra.

“AAAAH! NON VOGLIO!” Archie era spaventato da quell’assassino, ma non poteva ormai farci nulla.

“… E così ho pagato la bolletta.” Concluse il suo racconto Alexander, raccontando alla madre tutto quello che aveva passato quella mattina.

David commentò “Assurdo. Secondo me ti sei solo addormentato e hai rubato i nostri soldi per rispenderli in pizza, patatine e laser game”

Elisabeth invece gli credette “Invece può essere, sai? Tutto è possibile dietro i banconi delle poste”

Al annuì “Non è poi così tanto male pagare le bollette”, prendetelo pure come un messaggio politically correct.

“David annuì “Esatto. È uscire i soldi che fa male, ma se dovessimo visitare le poste solo per cortesia come camperebbero?”

“E poi, com’è andata a finire col cieco?” chiese Elisabeth, rimasta affascinata da quel personaggio.

“Non lo so” ammise Alexander, scuotendo la testa “A dire il vero, non l’ho visto nemmeno alla’ambulanza quando ci hanno soccorso. È scomparso”

“E il sordo?” chiese Ancora la madre.

“nemmeno” Alexander non era un osservatore.

“E il resto che ci spettava?” chiese David, ossessionato dai quattrini come ,lo era il suocero.

“L’ho speso per comprare questo pandoro” e mostrò loro il dolce in questione.

“Oh, che dolce!” Elisabeth era deliziata da quel gesto, ma il ragazzo, che ormai aveva visto la malavita coi suoi occhi, imitò la voce di Archie “D a adesso siete i miei ostaggi! Se volete questo pandoro, aumentatemi la paghetta o vi trucido!”

Elisabeth si scandalizzò “Ehi! il mio bambino!”, ma David non distolse gli occhi dal giornale che stava leggendo “tranquilla, Eli, stava scherzando! Veeeero?”

Al rispose “No, non stavo scherzando! Nessuno esce di casa se non…”.

 Alexander rimase chiuso in camera sua per il resto delle vacanze natalizie, riflettendo sulla sofferenza interiore che dovevano provare i carcerati per arrivare a pensare a rinunciare vitto e alloggio gratis ed evadere.

Gli mancava persino il tizio con gli occhiali, che sparì come il cieco, ma probabilmente saranno entrambi ostaggi, uno della vista che gli mancava, l’altro della voglia di commentare ciò che gli succedeva attorno.

E così, tutto si ridistribuì nell’ordine delle cose; persino Svente, fino a quel momento ostaggio dei suoi traumi e della voglia di disturbare il prossimo col suo eloquio, si diede una calmata e sposò la colf che gli puliva la casa, lasciando Martha ostaggio di Gregory.

In fondo, tutti siamo ostaggi, ma chi ci pagherà il riscatto?



THE END

Fine Storia! ringrazio tutti quelli che hanno avuto il coraggio di seguirmi fino a qui! 

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