And I want you to know, I loved you so ·

di PJ_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Do you recognize me? ***
Capitolo 2: *** Hello, I love you! ***
Capitolo 3: *** C'mon baby dry your eyes · ***
Capitolo 4: *** Buonanotte tra il telefono ed il cielo · ***
Capitolo 5: *** Sweet emotions.. ***
Capitolo 6: *** My only friend, the end.. ***
Capitolo 7: *** F.I.R.E I.N. N.E.W. O.R.L.E.A.N.S. ***
Capitolo 8: *** Fightin with love! ***
Capitolo 9: *** Under pressure! ***
Capitolo 10: *** Punch me babe, can't you see that I am not afraid? ***
Capitolo 11: *** Make me smile ***
Capitolo 12: *** I suoi occhi, e non solo quelli! ***
Capitolo 13: *** Non mollare. Non mollare mai. ***
Capitolo 14: *** Se muori, ti ammazzo. ***
Capitolo 15: *** E se quei due ci lasciassero le penne maestre?! ***
Capitolo 16: *** E' la fine · O forse no. ***



Capitolo 1
*** Do you recognize me? ***


Image and video hosting by TinyPic Si accese una sigaretta e si sdraiò sul divanetto di pelle scolorita.
Stese le gambe e sbottonò i pantaloni di pelle, stiracchiando le braccia muscolose dietro la testa.
Nel piccolo camerino l’aria pesa creava una cappa maleodorante, scivolando subdola lungo le schiene dei cinque musicisti appena rientrati dopo lo show.
“Ti sei già sistemato, Hudson?” una voce graffiante ed affaticata lanciò una frecciatina all’uragano di ricci neri semi addormentato, che annuì stancamente.
L’uomo che aveva appena parlato raccolse la cascata di capelli rossi in una coda e sfilò la maglietta zuppa di sudore, gettando Charles Manson sul pavimento. Diede un colpo di chiave alla porta del bagno facendo pervenire nel già affollato guardaroba una nuvola di vapore caldo.
 
La notte di Seattle aveva un clima decisamente diverso da quello a cui erano abituati. La brina dicembrina copriva le auto parcheggiate fuori dal piccolo e squallido Motel.
Sorrise ironico da sotto il cilindro, Axl aveva assicurato loro un posto da favola ed invece, come in ogni tappa del loro tour del resto, erano capitati in una catapecchia squallida e con la carta da parati verdolina.
Sfilò le sneakers e si sedette sul letto matrimoniale cigolante di cui disponeva. Lentamente la stanchezza si impossessò di tutto il suo corpo, nonostante questo si alzò dal letto per chiudersi in bagno e farsi. Ne aveva bisogno, aveva bisogno dell’ero.
Sentì Axl bussare alla porta, aveva sicuramente una folle idea da proporgli, lo ignorò, continuando a sciogliere la sua amata polvere.
“Slash?” si sentì chiamare. Continuò a girare il suo cucchiaino da caffè.
“Slash?” la voce insisté. Slash alzò il capo, interrompendo la sua meticolosa operazione: era Axl, ne era sicuro.
Curvò le spalle e ricominciò.
“Slash, cazzo, ci sei?”, la voce era lontana, ma poteva giurarci, Axl Rose era poggiato alla porta della sua camera.
Scrollò la chioma ribelle, posò la sua amata bambina a terra e si strascicò ad aprire: “Che vuoi Rose?”, chiese posando la spalla allo stipite.
“Una qui fuori, ti vuole” Rose alzò un sopracciglio rossastro, sogghignando, “Una?”, Slash sembrava perplesso.
Sam si scostò dall’ombra, dove aveva atteso, “Ciao Saul..”

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Capitolo 2
*** Hello, I love you! ***


slash1 |sla sh |
verb [ trans. ]
cut (something) with a violent sweeping movement, typically using a knife or sword : a tire was slashed on my car | they cut and slashed their way to the river | [ intrans. ] the man slashed at him with a sword.
 
La giovane donna aveva lungi capelli biondi, occhi di ghiaccio e pelle diafana. Le esili spalle erano avvolte in un maglione di lana grigia, le unghie laccate di smalto nero, i jeans scoloriti. Era entrata nel piccolo albergo alla ricerca del suo passato. Alla reception un giovane magro, dai capelli rossi e lunghi, un’espressione arrogante dipinta in volto le aveva posato un braccio esile e muscoloso sulle spalle, con voce fin troppo nota le aveva chiesto: “Cerchi qualcuno piccola?”, lei non aveva risposto subito, torcendosi le mani arrossate dal freddo.
“Credo di avere io ciò di cui hai bisogno..” ma, mentre tentava di avvicinarsi più del dovuto lei si era riscossa, chiedendo lui: “Sei Axl Rose, sei tu vero?”.
L’uomo aveva sorriso, affabile, tentando di conquistare lo sguardo stranito e le iridi glaciali. “Slash è qui? Saul è nel motel?” lo aveva spiazzato questa, ferendolo nell’orgoglio.
Il lato acido e da primadonna dell’uomo prevalse, sprezzante,
“Tu chi saresti? La sua nuova puttanella?”, come poteva qualcuno preferire il chitarrista al leader, al carismatico comandante?
“Aiutami, devo vederlo” la sua voce era flebile. Poggiò i gomiti al bancone nella hall: “Devo vedere Saul” disse ferma, lo sguardo torvo che inchiodava il cantante imbronciato al suo fianco. “Seguimi..”
Lei lo seguì, dal colletto del maglione spuntava il suo tatuaggio, timido e seducente allo stesso tempo, allo stesso modo. L’inchiostro nero le tingeva il collo e tutta la schiena, era ingombrante, importante, un tatuaggio di cui –sussurrava la gente- lei si sarebbe pentita presto.
Entrò nell’ascensore ed esaminò l’uomo premere il tasto numero 6, era davvero bello William, peccato –pensò- non si ricordasse di lei.
Davanti alla camera 613 attesero un po’ di tempo, sapeva benissimo che Slash non avrebbe risposto alle chiamate del compagno, sapeva dov’era. Anche quello l’aveva frenata alcuni anni prima, l’eroina, la dipendenza, sapeva che, entrando, avrebbe trovato Slash in bagno, un cucchiaino in mano, silenzioso. Lo sapeva. Quindi attese. Quando lui aprì, alla fine, lei si scostò dall’ombra, dietro Axl e semplicemente disse: “Ciao Saul..”

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Capitolo 3
*** C'mon baby dry your eyes · ***


I ricci precipitarono lungo la gola dell’uomo, le cui labbra pendevano morbidamente aperte davanti alla scena: la giovane donna lo guardava, i grandi occhi celesti spalancati, Axl, alle sue spalle, ghignava.
“Sam?!” la voce del chitarrista uscì roca, quasi debole.
“Sam, sei tu?” ripeté, quasi in uno stato di incoscienza.
La giovane alzò un sopracciglio biondo, annuendo piano: “Sorpreso di vedermi ancora Saul?” era risultata quasi arrogante, alle sue spalle sentiva il rosso cantante ridacchiare divertito, si voltò, incenerendolo con lo sguardo, arrestando la risata di quelle iridi tanto simili alle sue, vedendo morire il sorriso beffardo sulle labbra del ragazzo, che si zittì.
Slash si torse le mani, confuso, “No, certo che no piccola, entra, se vuoi..”. Una strana espressione delineò i dolci tratti del volto della giovane, i ricordi del passato la spingevano ad entrare, per cosa era giunta fin lì altrimenti? D’altro canto non voleva scottarsi, giocare col fuoco era pericoloso, lo sapeva bene!
Il chitarrista aprì le braccia, in segno di timida pace, lei rispose lui con un’amichevole pacca su un braccio; avevano di cui parlare, eccome se ne avevano.
“Termina pure quello che stavi facendo, Saul, starò qui buona buona a.. leggere? Hai un libro?”
L’uomo sbiancò, o forse arrossì, difficile dirlo sotto la folta chioma ribelle “Come fai a sapere cosa stavo facendo?! Che mi stavo facendo?!”
“Hai o no un libro Saul? Sai come la penso sulla merda che ti spari in vena, ma è ok, avremo tempo per parlarne quando sarai nuovamente cosciente, se mai ti capita di esserlo!” la giovane donna scoppiò a ridere, compiacendosi per la frecciatina. Slash le riservò un’occhiata quasi rancorosa, poi sorrise: “Mi sei mancata sai?”
“Va in bagno!” rispose lei, tradendosi con gli occhi, malinconici e pensierosi.
 
*
 
Qualche ora dopo, Sam si ritrovò a mangiare con foga un panino al latte, erano giorni che non metteva nulla sotto i denti. Vide arrivare un barcollante Slash all’orizzonte, un bicchiere di soda stretto in mano.
“Ciao donna”, “Hey..”
Posò la tazza di caffelatte, intercettando gli occhi curiosi del musicista:
“Bevi caffè alle tre di notte?” la giovane fece spallucce in risposta, “Tu bevi whiskey a colazione..”
Calò un silenzio durante il quale si sentirono solamente le voci di Duff e Shane, vecchio compagno di avventure della sua città natale.
Il riccio sedette a cavalcioni dello sgabello, la sala ristorante era deserta, fatta eccezione dei due giovani intenti a squadrarsi.
“Allora, che ci fai qui Sam?”, bruscamente Slash infranse il silenzio forzato. “So che la tua vita è cambiata Saul, - proruppe lei abbassando lo sguardo- volevo solo dirti che non ti abbiamo scordato..”
l’uomo inarcò un sopracciglio, interrogativo “Hai ragione, non è sempre positivo che le persone ti ricordino, soprattutto nel tuo caso”.
“Che dicono?” la mano callosa e possessiva che l’aveva accarezzata per qualche tempo si posò sulle sue dita pallide e tremanti.
“Che sei un pezzo di merda Saul, cos’altro dovrebbero dire?”
“Si ricordano di Will?”
Sam deglutì, le faceva male la testa, era frastornata.
“Sì, ci ricordiamo tutti di voi. Siete voi che avete rimosso dalla testa ogni cosa, adesso siete famosi, non è vero? Non vi ricordate della merda in cui ci avete lasciati” terminò il panino e il caldo liquido bruno.
“No, sbagli Sam. Anche Axl ricorda.. è mortificato, ne sono sicuro.”
“Axl?! Axl?! Chi è Axl Rose? E chi diavolo è Slash? Io conosco William e Saul, non due rockstar gonfiate, da quel poco che ho visto stasera vivete come se niente fosse successo, non vi importa.
“Samantha non…” l’uomo boccheggiò, posò la soda sul tavolino e squadrò la giovane e tentò di sorridere.
“E’ tardi Saul, nessuno di voi si è più fatto sentire, non…”
“Farsi sentire a quale scopo, Sam? Ci avreste linciati, se aveste potuto!”
“Ci biasimi, Slash?” Entrambi scrollarono la testa, era stato un incontro dannoso al morale di tutti e due, lo sapevano.
Una voce acuta e civettuola interruppe le loro riflessioni, “Slash, tesoro!” una giovane prorompete ragazza, capelli biondo platino e fianchi snelli lanciava sguardi languidi al chitarrista.
Sam si alzò, ruotò i tacchi e disse lui, mogia mogia, “Ho preso una camera per stanotte Saul, domani ci rivedremo, per l’ultima volta”
 

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Capitolo 4
*** Buonanotte tra il telefono ed il cielo · ***


La porta della camera 512 era accostata, Slash entrò, senza bussare.
L’uomo era seduto a gambe incrociate sul letto, i capelli sparsi come una cascata di scintille rosse sulla maglietta blu china. Un foglio a righe bagnato di pioggia e birra, una biro. Aveva la testa reclinata e gli occhi chiusi. Pensava, componeva.
“Hey man, ciao” borbottò vedendo entrare il chitarrista nella stanza.
“Ciao Will”, sentendosi chiamare per nome il cantante alzò lo sguardo ed inarcò un sopracciglio.
“Scusa, Axl. Vado dritto al punto amico: tu sai, vero, chi è la donna con cui parlavo poco fa?” il riccio si sedette sulla moquette bruciacchiata davanti al letto dell’amico. “Dovrei? E’ carina. Sam, giusto..?” il rosso aveva sguardo vacuo, anche troppo rilassato.
“Dovresti. Quante Sam conosci?”,  Axl scoppiò in una risata più che fragorosa: “Slasher l’America è grande!”
“E la tua coscienza è morta, come cazzo fai a non ricordartela? E’ Sam!”
“Spiacente, non conosco nessuna Sam, nessuna che –in ogni caso- sia durata più di una notte..” gli occhi verdi si tradivano in maniera vergognosa, erano pieni di lacrime quando indicarono la porta: Slash non era più il benvenuto.
Axl Rose piangeva solo.
 
 

*

 
 
L’esile corpo di Sam era avvolto in una coperta di pile, le spalle curve e le braccia piegate sotto la testa. La camera del Motel era piccola e affumicata, odorava di nafta e lavanda. Sul comodino una stropicciata cartina di Seattle, un volantino del concerto dei Guns.
Un bicchiere sbeccato colmo d’acqua di rubinetto, un mazzo di chiavi ed una collanina d’argento. La porta si aprì cigolante, qualcuno bussò e Sam alzò il capo scorgendo un’alta e magra figura scivolare nell’oscurità.
“Ciao, sono Duff, disturbo?” la voce risuonò fra le pareti cristallina, la ragazza si stropicciò gli occhi e si sedette sul bordo del materasso, “Se ti dicessi che stavo dormendo mentirei. Entra pure”. Allungarono entrambi la mano e se la strinsero a vicenda, accompagnando il saluto con un cenno del capo ed un sorriso, Duff s’inginocchiò e disse: “Sei la donna di Slash?”, Sam sorrise ed alzò un sopracciglio, “Ci stai provando Duff? In ogni caso no, non sono la donna di Saul”.
Il ragazzo s’agitò dalla sua improbabile seduta sulla piccola valigia della giovane, “Non ci stavo provando, Slash mi ha detto che sei la sua donna!”, i grandi occhi blu della ragazza si spalancarono e le sue labbra pendettero inerti, poi si riscosse, “Lui cosa?! Saul cosa?!” esclamò atterrita.
Passarono alcuni secondi duranti i quali il bassista dei Guns n Roses si pentì dell’uscita notturna e fece per andarsene ma una flebile voce lo bloccò sull’uscio: “Ti ha parlato di me?”, gli occhi felini del giovane intercettarono quelli bagnati di lacrime di lei e, preso alla sprovvista, questo annuì vigorosamente.
“Qualche mese fa’ stavamo provando ed Axl ha dato di matto…”
“Tipico di Will!” lo interruppe lei ridacchiando, “Oh, scusa, prosegui..”
“Così siamo usciti per bere qualcosa, fumare, cose così…
E ci siamo messi, sai, a parlare di donne. Io ne ho una, ma ci molliamo periodicamente, siamo fatti strani! E, beh.. Slash mi ha parlato di una ragazza a cui aveva rovinato la vita, bellissima, forte e coraggiosa. Mi ha detto il tuo nome, cara Sam. Quindi, posso chiederti cosa sia successo per far desistere un tipo come Slash?”
Con una mano Sam si riavviò i capelli lunghi e biondi, tirando a sé le ginocchia. Deglutì forte ed invitò con una mano il ragazzo a sedersi sul materasso, “Non so’ cosa penserai di me alla fine, sappi che sono venuta a vedere se ancora Saul e Will si ricordassero di me, se ancora pensassero a ciò che avevano fatto delle nostre vite, e mi sento distrutta in questo momento. Per me è più difficile di quel che sembra.”


Tadaaaaa, stiamo per sciogliere i nodi, manca davvero poco. Il prossimo capitolo arriverà presto e -altrettanto presto- sapremo che caspita hanno combinato i giuuuovani Guns. Avverto anche che il caro Duff sarà una sorta di comparsa, 'protagonista' come uditore solo di questo capitolo e del seguente. Un bacio.
Grazie a tutte le pulzelle che hanno recensito e a Nik, sei un Aiutante con la A maiuscola. PJ_

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Capitolo 5
*** Sweet emotions.. ***


“Sono sicura di poter ricordare ogni cosa, ogni dettaglio di quella sera.
Se l’accento non mi avesse già tradito ti specificherei che sono di New Orleans. Sedevo sulla spiaggia, ero sola, o almeno credevo così. Sentii chiacchiere concitate alle mie spalle e scorsi un furgoncino parcheggiato sul ciglio della strada, circondato da alcune mie coetanee molto eccitate. Erano arrivati, caro Duff: William e Saul, allora li conoscevamo così, con il loro vero nome.” La ragazza s’interruppe per riprendere fiato ed intercettò lo sguardo confuso del suo interlocutore. “Ti turba qualcosa? O, più semplicemente, ti chiedi cosa ci facessero a New Orleans se ancora non erano musicisti?”, il ragazzo annuì con vigore “Erano così belli da attirare ragazzine seminude proprio come facciamo oggi?” sghignazzò, sdraiandosi sul materasso.
“Puoi ben dirlo! Erano bellissimi, entrambi. Saul avrebbe partecipato ad una gara con la sua BMX, Axl era lì come supporter, più per le ciucche che per la competizione, su questo potrei giurarci!”
L’alto bassista rise concordando, “Ti credo, conoscendoli..”
Sam si agitò da sopra il letto, afferrando una coperta per ripararsi le gambe, “Molte ragazze tentarono di passare la notte con loro quella volta, tante altre li seguirono nei giorni seguenti, loro erano schivi e molto strani. La stranezza per dei giovani semplici come noi risiedeva in ogni cosa che, seppur leggermente, discostava dalla nostra realtà quotidiana: Saul e Bill fumavano e bevevano ma non avevano nulla di ciò che oggi li dipinge come rockstar strafatte. Erano solitari e misteriosi e questo attraeva le ragazze come il miele.
 
Posso dire di aver realmente conosciuto quei due psicopatici una sera al pub, era freddo, quasi tutta la compagnia si trovava lì.
Nonostante parli spesso dei miei amici di New Orleans, non avevo con loro un vero legame, non mi capivano ed io –immagino- non capivo loro.
Nelle sere di Novembre il locale si riempiva, io ero solita berci una birra e leggere un romanzo. L’aria diveniva pesante nel giro di una mezz’ora, il fumo impestava gli abiti e in poco tempo ci ritrovavamo tutti con gli occhi umidi. Quando entrarono Saul e William molte si girarono a guardarli, io li ignorai.”
“Non hai sete?” la interruppe premuroso il giovane biondo.
Le porse un picchiere d’acqua prima che lei rispondesse e la invitò a continuare, chiedendole: “Come hai iniziato a parlare con loro?”
“Non saprei –rispose Sam, torcendosi le mani- credo che William mi abbia rovesciato una birra sulla maglietta..”
Duff rise con aria consapevole, “Tipico di quella testa calda, farsi notare con un gesto tanto scemo!”
“In ogni caso –riprese la ragazza- quei due scapestrati si sedettero di fianco a me ed iniziammo a parlare. Avevamo molto in comune, lo capimmo subito. Mi fidai di loro, nei loro casini erano puri.
Sinceri, quantomeno. Questo cercavo in dei compagni, in degli amici.
Stringere amicizia con loro non fu come immaginavo, erano semplici.
In una serata mi avevano rivelato molto di loro ed io mi ero aperta a mia volta. Anche altri miei amici, ragazzi alla mano, non molto ricchi, erano entrati nella conversazione: sebbene fossi l’unica ragazza, nacque una sorta di gruppo, stringemmo un legame forte, approfondito nella settimana che seguì.
Saul ci invitò alla gara, vinse. La sera, dopo i festeggiamenti mi baciò.”
Duff sorrise con dolcezza, sfiorandole la mano: “Prosegui”, bisbigliò.
“Passammo un periodo bellissimo. Ho amato Saul, con tutta me stessa.
Lo amo ancora certo, ma non ho dimenticato cosa successe poi. Se pazienterai un attimo, te lo racconterò.”




Ok, scusatemi, non ho svelato il mistero, lo so. Avevo solo paura di fare un capitolo kilometrico e disprezzato dalle lettrici.. :(
Il prossimo è già work in progress, arriverà a brevissimo! Un abbraccio care. PJ_

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Capitolo 6
*** My only friend, the end.. ***


 
La giovane terminò l’acqua del bicchiere, riposò brevemente gli occhi e sorrise, “Immagino tu voglia sapere la ragione del mio risentimento verso Saul e Will, ti capisco. Prima vorrei però, per renderti maggiormente partecipe del mio stato d’animo, tu capissi cosa provavo per quei due ragazzi. Forse, me lo auguro, tu non conosci la solitudine. Io non ho mai avuto amiche. Sì, quelle amiche che nei telefilm si confidano segreti, mangiano popcorn, si fanno le unghie: non le ho mai conosciute. Will era un tornado, un tornado che –nel bene e nel male- mi ha sconvolto la vita. Le notti per noi non avevano mai fine, sedevamo in spiaggia e cantavamo. Ho mangiato tanti di quelli hot dog con lui che adesso starei male al solo pensiero! Sono stati momenti che non dimenticherò, momenti dolcissimi, momenti in cui ci abbracciavamo e rimanevamo stretti interi pomeriggi, momenti in cui nuotavamo per ore semplicemente per ridere della nostra pelle raggrinzita, momenti totalmente spesi nei pub con una pinta fra le mani a parlare.
Con Saul era diverso. Lo amavo. Totalmente, incondizionatamente, come fra poco capirai. Con Saul ho fatto l’amore la prima volta.
Lo so –disse ridendo- penserai che sono tarda! Probabilmente.
Pensavo avrei aspettato il principe azzurro, quello sul cavallo bianco.
Mi sono innamorata di un ribelle mulatto in groppa alla sua bicicletta.
Con Saul le notti erano fatte di baci. Di birra, di sigarette, di bagni di mezzanotte, delle poesie di Jim Morrison dette a mezza voce e..
Credimi quando ti dico che era speciale.
Lo ammetto, tenere saldo l’amore che provavo per lui e l’amicizia che mi legava a Bil non fu facile, lottai e vinsi. So per esperienza che si fa così. Si lotta, si soffre e si vince. Quei due scapestrati si amavano.
Si difendevano a vicenda, se uno dei due era preso di mira l’altro di fracassava le nocche pur di difenderlo.” Inspirò, riprendendo fiato.
“Che ore sono?” chiese dubbiosa al ragazzo steso al suo fianco.
“Notte fonda o mattino presto, scegli tu!” rispose questo gioviale.
“Voglio pensare che sia presto, la storia è ancora lunga..”
“Prego, ti ascolto.”
Gli occhi azzurri e profondi della giovane indugiarono sul volto di Duff, poi riprese: “Era tutto stupendo. Non ci fu un solo istante in cui rimpiangessi il loro arrivo. Come ti ho detto alcuni giovani del posto si univano saltuariamente al nostro trio, non erano benestanti, erano ragazzi a posto, tranquilli ma condividevano con noi una grande passione: la musica. Così, quando a Saul e William venne in mente di organizzare un concerto per salutare i nuovi amici causa il loro rientro a LA, nessuno si tirò indietro. Che grande errore, che sbaglio madornale. Ma chi poteva saperlo? Non noi, sicuramente.”
“Che successe?” domandò il giovane uomo prendendole la mano.
“Ci mettemmo di impegno per aiutarli, trovammo un posto, un vecchio stabile vicino alla spiaggia. Reclutammo persone, catturavamo vittime come cacciatori. Mio padre si occupava di traslochi e riuscì a procurare un bellissimo piano a Bil, abbandonato causa inutilizzo in una villa dove aveva lavorato nell’ultimo periodo. Non vi sarebbe stata parte vocale, solamente sinfonie classiche riadattate in chiave rock: Saul alla chitarra, Will al piano, io al basso. Condividiamo qualcosa io e te, Duff..” si interruppe per asciugarsi una lacrima solitaria e sorridere dolcemente a quel favoloso bassista che la ascoltava con premura.
“La sera prescelta arrivò volando, non ci credevamo. Nessuno di noi.
Il gruppo si era allargato notevolmente, William ed io eravamo inseparabili e –nonostante il tuo amico riccioluto fosse un pochino geloso- ero diventata ufficialmente la ragazza di Saul. Lo so! Che ingenua, starai pensando. Lo so. Ero giovanissima e lui pure.
Ci amavamo. Io lo amavo, lui no. Mi ha dimenticata. Ha dimenticato tutto. Avevo programmato le mie vacanze a Los Angeles, il mio primo viaggio in California. Ma quella sera avrebbe condannato la mia vita, per sempre.
Scoccò l’ora x. Suonammo a lungo, demmo il meglio di noi, tutti.
I nostri amici ci avevano aiutato moltissimo, il vecchio stabile abbandonato era diventato magnifico. I nostri sforzi erano stati ricompensati, il loro sarebbe stato un addio coi fiocchi.
Sia Saul che Will furono formidabili, moltissimi dei nostri conoscenti erano sotto il palco a bearsi delle note che si diffondevano nell’aria tersa. Potrai immaginare, caro Duff, che l’effetto sorpresa avrebbe dovuto coglierci tutti impreparati, e così fu.
Saul e Bil ci proposero dei fuochi d’artificio, degli scoppi di loro fattura, provenienti direttamente da Los Angeles. Ci preoccupammo e rifiutammo l’offerta. Lo spettacolo era stato perfetto in quel modo, nessuno lo avrebbe scordato con facilità. Loro insistettero, ci fu una sorta di lite ma nulla che mi avrebbe dato da preoccuparmi. Acconsentirono a lasciare le cose così com’erano.
Devo dirtelo? Appena io e gli altri ragazzi ci allontanammo spararono fuochi d’artificio sul cielo scuro di New Orleans. Erano una meraviglia.
Mi pentii di averli trattati bruscamente, tornai indietro per scusarmi.
Successe. L’inferno. La mia condanna. Spararono il loro colpo finale mentre li stavo raggiungendo. Era difettoso, enorme e difettoso.”
Scoppiò in lacrime ed ignorò la voce del biondo: “Scoppiò un incendio, in breve tempo divorò ogni cosa. Morirono sette persone sul colpo, delle trentaquattro rimaste gravemente ferite riuscirono ad uscire dalla tragedia solamente in ventitré e sei si salvarono con qualche graffio.” Era ormai scossa dai singhiozzi, piegata su sé stessa, gli occhi gonfi e rossi. “Il giorno dopo di Saul e William nessuna traccia, svaniti.
Io ed altri ragazzi dell’organizzazione finimmo in carcere, cinque anni.
Durante questi cinque anni mio padre è morto, a causa dei problemi riscontrati dopo l’incendio. Io non c’ero.”
Si gettò sotto le coperte e pianse.


Vi prego non fustigatemi, so che non piacerà, neanche a me piace più di tanto.. PERDONO! >.<

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Capitolo 7
*** F.I.R.E I.N. N.E.W. O.R.L.E.A.N.S. ***


Con un semplice click, l’uomo accese la luce nella propria stanza e in silenzio tirò alle sue spalle la porta. Era rimasto turbato, sconvolto ma aveva accettato di buon grado di lasciarla sola. Anche lei era provata.
Si stupì dei suoi amici, ma si lasciò cullare dal sonno risolutore.
 
Si guardò allo specchio, era bello, lo sapeva.
Fissò i propri occhi verde smeraldo, come poteva?
Lei era stata sua. Non come lo era stata di Slash, sua in modo diverso.
Una lacrima zigzagò lungo il suo zigomo e si accorse di non volerla asciugare. Ipocrita. Afferrò l’abat jour dal comodino e la scagliò con violenza verso lo specchio, mandandolo in mille pezzi.
“Cazzo!” urlò con rabbia repressa. Si gettò sul letto e chinò il capo,
Aveva confidato a lei, ancor prima che agli altri, delle violenze che aveva subito negli anni della sua disastrosa infanzia.
Era a lei che aveva mostrato la cicatrice che gli sfregiava il fianco, ricordo di un’antica cinghiata.
Iniziò a tremare, frustrato. Ringhiò, mordendosi una mano.
Si alzò, stanco di sé stesso. Aprì di malavoglia la porta, era ormai l’alba.
Scese le cinque rampe di scale ed arrivò al piano terra, dove trovò il bar appena aperto.
La giovane cameriera aveva i boccoli castani raccolti in una coda alta e delle occhiaie pesanti sotto gli occhi. “Una birra” ordinò Axl stizzito, sedendosi su uno sgabello di pelle bucato. La giovane non si stranì delle richieste assurde del musicista e servì lui una pinta di birra chiara. Le mani dell’uomo la strinsero febbrili per lanciarla a terra fracassando il boccale: “Bevo solo birra scura, la mattina..” si giustificò con un mezzo sorriso. Uscì dal locale insoddisfatto e con le palle girate.
Nel lungo corridoio punteggiato da camere singole, si scontrò con Izzy, la testa voltata dalla parte opposta. I due si scambiarono uno sguardo veloce, il moro capì che per Axl non era aria e si fiondò giù per la rampa di scale.
Il cantante rientrò in ascensore e tornò in camera, confuso, amareggiato e senza alcool nel sangue.
 
Passò una grande mano ruvida sul volto, sconsolato.
Le era mancata da far schifo. Vide Duff zampettare in punta di piede verso di lui e tirò sul col naso, imbarazzato.
“Già sveglio? O dovrei dire ancora sveglio?” chiese il biondo sedendosi sullo sgabello del bar vicino a quello appena occupato dal riccio.
Il chitarrista scosse il capo, raccogliendo i folti capelli in una coda di cavallo, “Non ho chiuso occhio stanotte, tu? Fatto conquiste?”
Il bassista sorrise sornione, “Una certa Sam, una tipa spettacolare!”.
Senza freno scoppiò a ridere all’espressione di panico dell’amico.
“Dimmi che non avete scopato. Dimmelo Michael, dimmelo ora”, le labbra morbide si erano mosse rapide, tremanti.
La mascella di Duff era serrata, rigida.  “È una donna magnifica. Ma no, stronzo, non me la sono portata a letto” sorrise ed aggiunse, pietrificando l’altro, “Mi ha detto tutto.”
La pelle ambrata di Slash si tese, gli occhi si velarono di amarezza, era ferito.
Il bassista non si fermò, determinato: “Come avete potuto, Saul? Che cazzo avevate in testa?”, il moro deglutì forte rispondendo solo dopo molti minuti. “Eravamo giovani, avevamo paura…”, “Fottute scuse” lo interruppe l’altro, “L’hai ferita”.
Il silenziò gelò l’aria, sentivano distintamente Izzy canticchiare, - And burn like fire, Burn like fire in Cairo, Burn like fire, Burn like fire in Cairo… - *
A Slash scappò un mezzo sorriso obliquo, intercettò lo sguardo del compagno d’avventure, “Sapevi che suo padre è morto mentre lei era in carcere?” la voce era velata d’indignazione e risentimento.
“No, io.. no. Te lo ha detto lei? Che altro ti ha detto?” era eccitato, mortificato e curioso. “Sì, per colpa dell’incendio. L’incendio che tu e l’altra testa di cazzo avete provocato.”
Un pungo d’acciaio aveva colpito le viscere del giovane mulatto.
“Jack Daniel’s” ordinò secco alla giovane cameriera del bar.
“Mi dispiace..” borbottò, più a sé stesso che altro.
Duff sorrise, “Lei.. credo che lei lo sappia. Ma non sa crederci.
E, beh, Axl le ha spezzato il cuore ieri sera.”
Bevve il whiskey dell’amico prima di lui e gli diede una pacca sonora sulla spalla, “A più tardi, man.”
 
La stanza di William era polverosa, un disco girava senza sosta
- … who’s gonna bring home the loot? Make up your mind about hope and doubt, that I can’t give you anything.. – **
Prese il viso fra le mani, il cuore che bruciava.
Non riusciva a calmarsi, imprecò. Slash le aveva parlato. Lui le aveva parlato. L’aveva riconosciuta subito, immediatamente.
Gli occhi grandi, celesti. Ingenua, dolce e sensibile. Lui l’aveva ferita.
Nella mente contorta del cantante l’amore può anche ridurti l’anima a brandelli ma l’amicizia dovrebbe essere sempre pronta a ricucire il tutto. Lui dov’era stato per lei? Aveva saputo che le era morto il padre nei cinque anni di carcere. Aveva pianto.
Celò i preziosi occhi smeraldini, calando le palpebre. La mente tornò vorticosamente al loro rientro a Losa Angeles, in aereo aveva regnato il silenzio, sia lui che Saul chiusi in un muro di silenzio ostile.
A casa, mesi dopo, coi Guns in fase di febbrile produzione, era capitato un quotidiano. Aveva preso in mano il giornale per gettarlo via, sicuramente arrabbiato per qualcosa, ma la copertina gli aveva fermato il cuore per qualche istante.
Il volto mutato dal dolore e dalla delusione di Sam era in prima pagina, un titolo campeggiava: Condannati a cinque anni i ragazzi dell’incendio di New Orleans – e sotto- I giovani responsabili dell’organizzazione del concerto sono risultati i colpevoli dell’incendio che quattro mesi fa costò la vita a ventinove persone.
 
Si riscosse, una nausea lo tormentava. Corse in bagno giusto in tempo.
Sbatté la porta della camera, era giunto il momento.
 
Slash si alzò, uscì dal bar e prese l’ascensore, era giunto il momento.




*Fire in Cairo - The Cure (Ma quant'è bella?!)
**I can't give you anything - The Ramones
Ringrazio tantissimo Nik (sei speciale *-*). Grazie mille anche a Chara e Filthy Neon Angel che recensiscono ogni capitolo, grazie donne!! u.u

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Capitolo 8
*** Fightin with love! ***


Si alzò dal letto contro voglia, era stanca dentro. Si stiracchiò e sganciò i jeans che portava dalla sera prima facendoli scivolare sulle forme sinuosamente tristi. Sfilò il maglione e lasciò scoperta la pelle incisa con l’inchiostro. Entrò nel piccolo bagno e terminò di spogliarsi.
L’acqua calda le sciolse temporaneamente i muscoli, lasciò che i capelli biondi di spiaccicassero sul suo collo, coprendo l’ingombrante tatuaggio.
Senza volerlo davvero tornò a quella sera, a casa sua.
William e Saul erano sdraiati sul suo letto a contemplarsi le braccia muscolose e commentare i tatuaggi delle più famose star della musica metal. Sam stava fumando un sigaretta, ammirando le due persone a lei più care.
Non ricordava come fosse successo. Loro glielo avevano proposto e lei, presa dalla foga aveva accetto.
Glielo avevano fatto loro, non aveva sentito molto dolore. Avevano deciso assieme il soggetto, Saul l’aveva disegnato su un grande foglio di carta e l’aveva poi riportato sulla pelle con perfezione esemplare. Quella perfezione Sam non l’avrebbe raggiunta nemmeno in cinque anni d’esercizio. Un enorme teschio rockeggiante campeggiava sulla sua pallida schiena, alcune frasi nell’inconfondibile grafia di William al lato. Something changed in this heart of mine, You know that I’m so glad you showed me, Funny now you’re my best friend and I wanna stay together to the very end.. 
Le mancavano da pazzi, di carezzò il cuoricino d’inchiostro che si era fatta durante il suo secondo anno di reclusione, piangendo.
Nella vita non si era mai lamentata. Quando la sorella le aveva urlato in faccia tutto il suo risentimento lei aveva sorriso bonaria, abbracciandola. Quando i suoi amici erano spariti lasciandola nella merda lei aveva alzato gli occhi al cielo perché, dopotutto, ci credeva ancora. Adesso in quella squallida doccia a Seattle, era affranta.
Sulle spalle aveva quarantatré ore di viaggio in auto, era semplicemente stanca. La notte era stata devastante, le occhiaie si erano attenuate con l’acqua gelida, ma  la cera era ancora pessima.
Si avvolse nell’accappatoio di spugna, allacciando la cintura.
Guardò con tristezza l’orologio da uomo che aveva poggiato sul lavandino, fra poco sarebbe ripartita.
Si aggiustò gli abiti puliti addosso ed uscì, nonostante tutto il suo stomaco reclamava cibo.
 
“Che ci fai qui?” chiese afferrandogli il braccio tatuato.
“Che vuoi Slash? Anche io ho diritto alla colazione” sorrise acido il rosso. “Voglio parlarle, vattene, adesso.” Slash si parò davanti al ragazzo, ostacolando il suo passaggio.
Entrò nella sala adibita alla colazione, prese un bicchiere di succo d’arancia rossa e quello che trovò da piazzare sotto i denti e, senza pensarci più di tanto, le si sedette di fronte.
Axl li raggiunse presto, una tazza di caffè stretta fra le mani.
Gli occhi blu della giovane saltarono rapidi dall’uno all’altro, alzò un sopracciglio e tornò al suo tè.
Sam spilluzzicò un panino al latte mentre la rabbia le montava nel petto. Piegò il volto a destra, un’espressione di falsa sorpresa: “Scusi, c’è un motivo per cui una rockstar affermata come lei, signor Rose, siede a questo tavolo durante la sua prima colazione?”
Un lampo divertito accese lo sguardo di Slash, mentre un’espressione ferita dipingeva i lineamenti dolci del cantante.
Sam si alzò stizzita, riavviandosi i capelli ancora bagnati.
“Sam, io..” le parole del giovane la bloccarono, si voltò piano.
“Tu cosa?” era agitata, un mare in tempesta. Era arrabbiata, ferita, delusa. Si sentiva in qualche modo usata, gettata a terra e rifiutata.
Dal varco nel muro che dava l’accesso all’aria pasti entrò Izzy, fischiettando un motivetto Beatlesiano. Uno sguardo buffo guizzò nei suoi occhi scuri, con una piroetta uscì da dov’era appena arrivato.
“Come puoi essere arrabbiata con me?” l’ingenuità in quella voce, solitamente roca ed arrogante era strabiliante. “Come potrebbe non esserlo?” intervenne ridendo amaramente Slash.
“Tu sta’ zitto!” sbottò con rabbia il rosso.
“Che vuoi, Will?” le lacrime spingevano violente per uscire, lei le trattenne, dondolando piano il capo.
“Voglio te, piccola. Mi sei mancata e.. mi dispiace.” Aprì le braccia in segno di resa, avvicinandosi a lei.
“Eri il mio migliore amico. E mi hai lasciata lì, fingendo che non fosse successo nulla, siete spariti. Non voglio le vostre scuse ipocrite.”
Slash spostò la sedia indietro producendo un rumore infernale, si alzò e si diresse da lei: “Io non ho finto di non riconoscerti Sam! Cosa dovrei fare? Non posso tornare indietro ma, te lo giuro, se avessi un’altra possibilità non la sprecherei.” Il fiato corto lo rendeva sexy, non poté non notarlo, “Non c’è un seconda possibilità Saul.”
William interruppe il suo silenzio forzato, “Se fossi tu a tornare a quel periodo, torneresti ad essere nostra amica?” la sua voce tremava, lo avvertivano tutti e tre. Lei scosse il capo, amareggiata.
“Non lo so Will. Pensare con i ‘se’ e con in ‘ma’ non ha senso. Ho fatto i miei casini nella vita, ma ho pagato anche per i vostri. Quello che mi uccide, che mi fa più male è il vostro totale disinteresse. Mai una lettera, mai un biglietto, mai una visita. E poi… i grandi Guns n Roses, e addio speranze di rivedervi. Neanche adesso mi chiedete scusa. L’amicizia non è supportarsi a vicenda? Aiutarsi? –Voltò il capo- Saul.. ti amavo.”



Capitolo inutile, lo so, ma spero comunque vi possa piacere. Finalmente un po' di scontro! A presto, aggiornerò nuovamente a breve! GRAZIE alle ragazze che recensiscono! GRAZIE! Grazie anche a Nik, ti amo ;) PJ_

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Capitolo 9
*** Under pressure! ***


Chiuse la valigia e la zip fece un rumore sibilante.
Indossò il cappotto e si calò un berretto grigio in testa, la brina aveva ricoperto le strade e le auto.
Con un rumore sordo sbarrò la porta della stanza e trainò il piccolo trolley lungo la moquette del corridoio. L’ascensore era minuscolo e odorava di stantio, poggiò la schiena al muro e imprecò a mezza voce.
“Qualcosa non va?” Non si era accorta che le porte si erano appena aperte e Duff era entrato. “Ci fosse qualcosa che va!” rispose Sam scuotendo il capo controvoglia, l’amico rise, guardandola interrogativo, “Non essere così malinconica. Perché non provate a parlare? Se sei qui, probabilmente è perché ti mancano, no? O vuoi farmi credere che il tuo hobby è tracciare le diagonali del paese in auto?!” entrambi risero ma lei sembrava ancora ferita quando parlò con voce tremante: “Loro mi hanno delusa adesso. Abbiamo parlato poco fa, ma Will più di Saul sembra non capire dove ha sbagliato. E’ così fottutamente coglione.”
Le porte si aprirono cigolanti e si trovarono al piano terra, la reception desolata e triste proprio come il tempo fuori dalle finestre.
Un ometto stempiato arrivò dal primo piano scendendo trafelato le scale, “’Giorno” borbottò asciugandosi il sudore dalla fronte.
“Salve” rispose la giovane donna poggiando a terra la sua valigia.
“Desidera…?”
Sam fece un respiro profondo, “Vorrei fare il check out, avevo preso una camera solo per questa notte.” Prima che l’anziano potesse chiederglielo, lei aggiunse: “Brooks, mi chiamo Brooks.”
L’uomo parve accigliato, titubante: “Lei ha una prenotazione per tutta la settimana signora.”
La bionda allibì, ma lo corresse: “Signorina”
Ancora uno sguardo strabiliato la inchiodò: “No, signora. Qui mi risulta che lei si chiama Samantha Brooks Hudson. Sbaglio?!”
Lei impallidì, “Ho prenotato per una sola notte a nome Samantha Brooks”, annuì decisa.
“A me non risulta, se vuole però annulliamo la prenotazione..”
“Chi ha pagato per il mio soggiorno?” incuriosita si sporse verso il libro delle prenotazioni.
“William Rose e Saul Hudson, suo marito presumo.” La scena se non fosse stata fonte di panico per Sam, sarebbe stata decisamente comica.
Duff sorrise sornione e tornò al piano superiore per mangiare.
“Oh, beh.. Allora, ok. Non disdico. Ma sono signorina. Signorina, ok?”
Senza aspettare la risposta afferrò le chiavi della sua stanza, appena poggiate sul bancone, e tornò sui suoi passi.
 
Un braccio mulatto le sbarrò la strada, poggiandosi fra il muro ed ostaconlandole il passaggio. “Pensavi di lasciarci così?”
Un sorriso le spuntò sul volto, ma lo represse subito.
Sentiva gli occhi farsi pesanti, le notti in bianco erano ormai troppe. “Sorpreso di vedermi così simile a voi? Di vedermi andarmene? Ma, ops!, io ve l’avevo detto!” gettò i boccoli dietro le spalle, sfilandosi il berretto ed infilandolo nella tasca del cappotto.
“Sei registrata come Hudson…” sembrava timido, dietro tutti quei capelli.
“Molto dolce da parte tua.” Era sincera, era sincera mentre lo ammirava davanti a sé, mentre lo sorpassava e andava via.
“Non puoi evitarmi per sempre, Sam. Non andare via, resta, piccola.”
Un muro di cristallo si infranse dentro l’esile corpo della donna, tagliandola e ferendola ovunque.
“Io… Ho bisogno di voi. Lo sapete, l’avete sempre saputo. Ma voi avete gettato tutto alle spalle, non è vero? Mi avete distrutta, come se niente fosse.” Lui le prese la mano, trascinandola verso il suo torace, “Lasciaci spiegare..”
Sam si ritrasse, scontrosa, “Cosa? Che altre balle dovrei sentirmi dire, Saul? Se posso, se ancora significa qualcosa per voi vedermi, vi chiedo di lasciarmi in pace. Oggi non me ne sono andata solo per il terrore di affrontare tutto il tragitto verso casa, lo farò domani.”
L’uomo sbiancò, scuotendo la testa tanto forte da non riuscire più a pensare, “Resta, Sam, resta. Resta e… Le cose cambieranno.”
Un lacrimone rotolò lungo la pelle candida della ragazza, “Saul, come puoi pensare che accetterò?”
“Tu mi ami ancora. Lo so. E so come guardi Will, quanto ti manca, quanto vorresti saltargli in braccio come facevate ai vecchi tempi.”
“Chi mai potrà nasconderti qualcosa, Hudson?” rise. Per la prima volta rise specchiandosi in quelle pozze nere ed annuì.
“E..” le labbra del giovane si erano mosse rapide, senza pensare.
“E?” lo incalzò Sam. “E se resterai faremo quello che avremmo voluto fare in questi cinque anni, ci apriremo con te. Di nuovo.”
I due si avvicinarono ancor di più, lui la baciò. Il contatto scaturito dalle loro labbra fu fuoco, e divampò presto. Si baciarono dolcemente, con passione crescente. Lei si staccò dopo quella che le era sembrata un’eternità ed intercettò i due grandi occhi profondi dell’uomo.
“Non è un sì. E’ un forse.”
Slash sorrise, “Che bella parola, forse. Significa speranza, non è vero?”



Ok, è solo un mezzo chiarimento, ma ci stava. Non posso tenerli separari per sempre, e la storia nonn ho ancora capito se si concluderà nel giro di poco o avrà altri risvolti. Chi lo sa!
Ancora ringrazio le ragazze che recensiscono ed i lettori silenziosi, grazie anche a Niiiik. A presto, PJ_

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Capitolo 10
*** Punch me babe, can't you see that I am not afraid? ***


Quando Sam uscì dalla sua camera, dove aveva dormito per delle ore abbondanti, il cielo si tingeva di arancio e l’aria era frizzante.
La neve stava fioccando allegramente, i vocii dei ragazzini in strada animavano le vie di periferia.
La giovane aveva indossato un cardigan verde scuro e dei jeans aderenti e scoloriti. Non aveva portato altri vestiti con sé, la scelta non sarebbe potuta essere molto diversa.
Riavviò i capelli con un gesto distratto, distratto dalla saetta rossa che precipitava lungo le scale del motel vedendola.
Non riuscì a sbattere le palpebre per mettere a fuoco Axl, che questo già la teneva stretta, spalle al muro.
“Pensi sia stato facile?” sibilò l’uomo. Alcune gocce di saliva colpirono la pelle di Sam.
Non si fece sorprendere dagli scatti dell’amico, lo conosceva troppo bene. Fissò i suoi occhi con sguardo duro, vedendo, in fondo al pozzo di rabbia, la tristezza che non lo abbandonava mai.
“Pensi che per me sia stato facile lasciarti lì? Pensi che non abbia mai pianto, mai odiato quello che facevo, la vita che vivevo? Pensi che ti abbia mai dimenticata? Tu non sai nulla.”
Le magre braccia di Axl strinsero ancora di più la presa sulla giovane, i suoi occhi erano ridotti a fessure smeraldine, il volto deformato dall’odio e dalla paura.
“Sinceramente, Will?” la rabbia montava nuovamente nel petto di Sam.
Axl annuì, la mascella serrata. “Sì. Penso che tu abbia sofferto. Ma non sei stato abbandonato dai tuoi amici. Per te sarei morta. Lo sai bene.”
L’uomo tentennò, tremando appena per la tensione. “O, forse, non ti ricordi della gita al fiume..” la voce della ragazza era provocatoria, voleva che rompesse il cristallo che si era posto attorno per volontà forzata.
“Puttana”, le braccia si sciolsero dal nodo in cui avevano imprigionato l’esile corpo, il ragazzo si voltò ed andò via.
Sam inspirò forte, il cuore che le martellava nel petto. Scese al bar, chiedendo un gin tonic per schiarire le idee.
“Non sai che con l’acool annebbia i pensieri?” sembrò leggerle nella mente il giovane. Posò le grandi mani sulle sue spalle, carezzandole poi i ricci biondi.
“Credo, di aver compromesso del tutto le cose con Will.” La sua voce era atona, lo sguardo perso negli occhi neri che la fissavano con dolcezza.
“Che vi siete detti?”
“Beh, gli ho ricordato della gita sul fiume. Mi ha chiamata ‘puttanta’ ed è andato via. Maturo, come lo ricordavo”, rise divertita dalle sue stesse parole, cercando appiglio in quello che non sapeva più cosa rappresentasse per lei. Cos’erano lei e Slash, adesso? Amici, no.
Fidanzati, neanche un po’. Scrollò la testa, pensierosa e finì il drink.
“Odia ricordare quel giorno, piccola.”
“Odia tante cose. C’è troppo odio per una persona sola dentro William!”
Slash sorrise, prendendole la mano: “Usciamo?”
“Nevica! E poi, tu stasera non hai un concerto?” lei non si ritrasse, ancora domandandosi cosa avrebbe dovuto aspettarsi da lui.
“Annullato. Cantante instabile.” Il giovane colse la malinconia negli occhi blu che aveva davanti, “Triste per Will? Lo recupererai. Lo sai.”
“Non pensavo a Will, ma a te. Cosa sei tu per me, adesso?” le guance le si tinsero di rosso, presa dall’ansia ordinò un secondo gin tonic.
“Senza gin!” aggiunse subito dopo, pentita. La cameriera la guardò sarcastica: “Soda, ghiaccio e limone?”
Slash annuì per Sam e riprese a guardarla, ammirato.
“Ti amo. Non credo di sapere altro. So di averti bruciato la giovinezza, di aver incendiato tutto ciò che toccavo. So di aver scottato te…”
Sam chiuse dolcemente gli occhi, “Diciamo pure che mi hai ustionata!”
“Scusami. So che avevi bisogno di me Sam. Scusami. So che sono un coglione. Sono consapevole di tutto.” Posò la mano libera sul fianco della giovane, attirandola a sé. Si abbracciarono per un lungo momento, “Rimarrai?” la domanda fatidica la sorprese.
Ne avevano parlato la mattina, lei aveva accennato lui un ‘forse’ speranzoso. Adesso doveva decidere se buttarsi nelle fiamme o sedersi al sicuro a guardare la sua vita appassire.
“NO.” La voce alle loro spalle fece sobbalzare entrambi.
“Non può restare, no. Di donne ne hai avute tante altre, durante questi anni, Slash” la voce sadica di Axl irradiava il piccolo bar del motel, come un faro nella notte. Sembrava divertirsi, ridacchiava.
Lo sgabello strusciò sul pavimento, velocità e potenza avevano sempre caratterizzato il giovane riccio. Il tempo di alzare il pugno e colpire.
Un fiotto di sangue schizzò fuori, tingendo la pelle candida di rosso.
Sam era stata più veloce di Saul, ponendosi fra lui e il rosso.
Prendendo il pugno a lui destinato.
Sbatté le palpebre con forza, appoggiando la manica del golf sulla narice. Prima di uscire dal locale guardò i due: “Se me lo avete rotto, vi ammazzo.”
Mentre saliva in auto, diretta al pronto soccorso sotto la neve sentì distintamente: “Io?! Ma se è stata tutta colpa sua!”
La voce di Will era acuta e pigolante alle sue spalle.

 

Avete ragione, faccio sempre un botto di casini, non so quando le cose torneranno limpide. Grazie alle giovani pulzelle che recensiscono, grazie come sempre a Nik, anche se è indietro di due o tre capitoli ;) Un abbraccio, PJ_
P.S. Lettrici, fatemi sapere -un parere puramente personale- se preferireste veder concludere a brevanza o se devo continuare con qualche casino.
Un bacio :3

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Capitolo 11
*** Make me smile ***


Da quel gran casino erano passate ormai cinque ore.
Sam era stesa sul letto, un fil comico in tv, pop-corn in una ciotola e tampone nel naso. Naso non rotto, grazie a Dio.
Bussarono alla sua porta più di una volta, lei ignorò tutto, pacata.
Quando la porta fu aperta con una spallata scattò in piedi, sorpresa.
Slash le su sopra in un lampo. Le mani ruvide le bloccarono le spalle, i ricci neri caddero sul viso angelico di lei, le labbra scintillarono in un attimo. Slash scoprì i denti, ringhiando, quando altri passi irruppero nella stanza. “E’ tutto ok” sussurrò Sam al suo orecchio, carezzandogli i capelli placidamente.
“William”, sorrise poi guardando le lacrime solcare le guance del rosso.
“Perché lui sì ed io no?” borbottò roco.
La giovane si inginocchiò sul letto, protendendo una mano verso l’amico. “Siediti”, ordinò con dolcezza.
Axl eseguì, stordito. “Scusami” gemette, perdendosi dentro il blu dei suoi occhi. “Sono un coglione. Sono uno stronzo.”
Allacciò le braccia tatuate dietro le sue spalle, ignorando il fulmine che Slash lanciò lui con lo sguardo. Gettò mollemente il viso nell’incavo delle sue spalle, singhiozzando.
“Tu eri sola, avevi paura”
Sam passò una mano sulla schiena tremante, cullando l’amico con lentezza estenuante, dondolandosi sulle ginocchia.
Un rumore distolse le loro attenzioni, Slash stava uscendo.
“Saul, non fare il coglione…” Axl alzò lo sguardo sul riccio, severo.
“Resta, piccolo.” L’ammonizione della donna non ammetteva repliche, era piccata e voleva chiarire quella situazione prima di perdere quel precario equilibrio a cui sembravano essere arrivati.
“Per vedervi pomiciare, magari?!” sbottò il chitarrista, risentito.
“Per chiarire. Il fatto che non provi rancore per voi non vuol dire che non abbia i sentimenti di un qualsiasi essere umano! –Rise- Non tutti sono bestie come voi due!”
Slash crollò a terra, devastato.
Sam sciolse l’abbraccio di Axl, e si piegò verso l’innamorato.
“Sali sul letto, sali dai” disse lui con un mezzo sorriso.
In quel momento un silenzio carico di tensione aleggiava sulla camera.
Lo sguardo interrogativo verso i due era chiaro, la giovane attendeva spiegazioni, scuse quantomeno.
“Ti amo”, le pozze nere la inchiodarono ancora una volta.
Si avvicinò piano alla rockstar inginocchiata davanti a lei, assaporando le sue labbra morbide al sapore di nicotina. Pose una mano nei suoi capelli ricci e lo strattonò a sé.
Axl rise, interrompendoli. “I chiarimenti li rimandiamo?” propose timido. “Scordatelo pel di carota” fu la risposta arrogante che ricevette.
“Tu la tieni io la uccido?” propose il rosso al compare. Slash annuì.
In pochi secondi la giovane era K.O. sul letto, Saul le teneva i polsi, Axl la riempiva di solletico e pernacchie. Arrivò troppo oltre, forse.
Lasciandole un morso sulla pelle candida del ventre, beccandosi un pugno di tutto rispetto dal riccio.
“Sei geloso?” ridacchiò Sam, prendendogli la mano.
L’uomo annuì, burbero.
“Mi siete mancati. Davvero.”


Per ora la storia no termina qui. Un abbraccio, PJ_

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Capitolo 12
*** I suoi occhi, e non solo quelli! ***


 
“Usciamo a cena?”
“Ma voi non avete mai un cazzo di concerto?!”
“Sono instabile, piccola”
“Questo lo so. Penso che se fossi una vostra fan vi odierei.”
 
Sederono sulle scomode ma eleganti sedie del locale.
Era raffinato, forse. Era elegante, probabilmente.
Gli arredi erano squadrati, dai colori freddi. L’odore ricordava l’alcool.
Sam ordinò poco, lo stomaco sottosopra, come la mente.
Aveva insistito per portare anche Duff ed il resto del gruppo: una visione comica per il proprietario del locale.
Partirono ordinando del vino –probabilmente il più caro sulla carta- e patate bollite con salmone affumicato.
“Sono felice abbiate chiarito” sussurrò con voce roca il bassista all’orecchio di Sam.
Lei gli strizzò l’occhio, alzando il bicchiere di pregiato cristallo:
“A Duff!”, sottolineò ridendo.
“A Duff!” le fecero eco gli altri.
Izzy giocherellò con la mollica del pane, “Viene dal Nord Europa, Sam?”
“Chi?” rispose la giovane accennando un sorriso timido. Con Izzy i rapporti erano stati rari e di cortesia. “Questo pane. Vedi la mollica è morbida ma compatta, nei freddi paesi del Nord Europa necessitano di carboidrati per resistere al freddo.”
Scoppiarono a ridere tutti quanti, Duff ribatté pronto: “Anche a Seattle non scherziamo in quanto a ghiaccio, ci vorrebbe pane da 10 dollari il filone ogni giorno!”
Altre risate riscaldarono l’aria, gioia pura che si irradiava.
 
Rientrarono in albergo a tarda notte. Lo sguardo dolce si Slash la invitò a passare la notte da lui.
Si sedettero sul letto e parlarono per qualche ora.
Sembravano doversi dire tutto in quel momento, le labbra di lui si muovevano insistentemente, attraendola.
Sam si gettò sul letto, le braccia spalancate.
Il giovane chitarrista si gettò sopra di lei, fulmineo. Posò le grandi labbra morbide su quelle di lei, cercando impaziente un contatto.
Lei schiuse la bocca, lasciando che il bacio venisse approfondito.
La passione fra due innamorati in astinenza da sei anni era alta, crebbe ancor di più quando Sam arpionò i folti ricci.
Slash ruggì, frustrato. “Non mi dirai che sei in astinenza, vero?”
“Non proprio, qualche nostra foto la avevo…” grugnì lui.
Una risata cristallina proruppe dalla gola di Sam, “Scemo!”
Il giovane spostò le mani sulla spalliera del letto, sfilandosi la maglietta poco dopo. La giovane lo imitò, proseguendo nello spogliarlo, privandolo dei pantaloni. Con sua sorpresa la ragazza ammirò il corpo dell’amato completamente nudo: “Ma quella dell’intimo non era un leggenda metropolitana limitata al live?!” ridacchiò lei, ribaltando le posizioni e baciandolo con foga.
Le mani esperte del chitarrista suonarono i suoi fianchi, risalendo fino alla schiena, percorrendo i tratti d’inchiostro a lui tanto noti.
Sganciò il reggiseno, lasciando scivolare con morbidezza l’ampio decolleté. Le lasciò una bollente scia di baci sul collo, abbracciandola e carezzandole le braccia. “Non scherzi a tatuaggi eh..” ansimò, mentre lei si sganciava lentamente i bottoni di jeans.
“Mi annoiavo, io tue foto non ne avevo…” rispose questa, facendo scivolare la stoffa ruvida sulle forme sinuose.
In poco tempo rimasero completamente nudi, le labbra di lei percorsero gli addominali delineati sulla pelle ambrata, lasciando morsi decisamente accentuati nel suo interno coscia.
“Eri così anche sei anni fa?” gemette l’uomo, mentre la labbra di lei lo stuzzicavano sui fianchi. La ragazza scosse il capo, compiaciuta.
I ricci neri coprivano gli occhi chiusi di Slash, le mani indirizzavano dolcemente il capo della giovane, le dita, rapide sulle sei corde, erano terribilmente lente nell’aggrovigliarle i capelli biondi.
Si aggrappò alle esili spalle, trascinandola petto contro petto e poggiò la sua fronte alla propria. La baciò voglioso, storcendo il naso nel riconoscere il proprio sapore. La gettò schiena a terra sul materasso e la salì a cavalcioni, ansimante.
La porta si spalancò, Izzy entrò fischiando un motivetto infantile, strizzò l’occhio a Sam e sorrise: “Sbagliato camera, chiudo, man?”
Senza attendere risposta, tirò l’uscio a sé e sparì nel corridoio.
 
La notte proseguì in maniera piacevole, gli ansiti dell’uomo furono uditi dalle camere vicine.



Spero vi sia piaciuto, non sono abile nel scrivere un certo genere si scene, non avverto neanche all'inizio, so da sola che non sono convincenti. 
In più mi sono fermata "all'inizio", vedrò se nei prossimi capitoli approfondiremo la questione... PJ_

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Capitolo 13
*** Non mollare. Non mollare mai. ***


L’alba rosea tinse i cieli di bianchi d’America.
Al suo risveglio Sam scorse Slash infilarsi i pantaloni in silenzio, dall’altra parte del letto. Si alzò sui gomiti, ammirandolo.
“Buongiorno” disse lui, sorridendole e baciandola con foga sulle labbra morbide. Lei rispose al bacio con passione, intrecciando le dita dietro i suoi ricci scontrosi. Si alzò dal letto felice per la prima volta dopo tanto tempo, entrando nella doccia con un pizzico di gioia folle nella voce, canticchiando l’inno nazionale.
 
Quando si avvolse l’accappatoio ruvido del motel sulla pelle delicata, rabbrividì. Le braccia muscolose di Slash la cinsero da dietro e le sue labbra morbide la colsero alla sprovvista baciandole il collo con dolcezza: “Ciao piccola” sussurrò roco alle sue orecchie.
Lei sbatté le ciglia, lusingata. Ricambiò il bacio, accarezzando le natiche dell’uomo da sopra la stoffa dei jeans. Uscì dal bagno e si vestì.
Le unghie laccate di nero percorsero frementi la stoffa del cardigan, era inzaccherato di sangue come ben ricordava. Storse il naso.
Il rumore del bussare sul legno la riscosse, facendola sorridere.
Era ancora una buona giornata. Strinse la cinta in vita e, ancora bagnata, aprì. Un tornado di capelli rossi le saltò al collo, abbracciandola. “Fatto follie stanotte?”
Sam ridacchiò, scompigliando coi polpastrelli i folti ciuffi dell’amico.
“Diciamo così.. Hai qualcosa da darmi da indossare, Will?”
Il rosso annuì, fingendo sgomento e tappandosi gli occhi quando vide Slash a torso nudo uscire dal bagno.
La giovane seguì Axl nella sua camera, chiudendo la porta alle spalle.
Si gettò sul letto, ammirando il bellissimo amico che le cercava degli abiti: “Maglietta kill you idols?”
Sam storse le labbra, “E’ offensiva, Will… Tu credevi in Dio!”
“No. Axl non crede in Dio, Sam. Lo sai.” Il broncio si dipinse sulle labbra del ragazzo e lei, rapida, saltò al suo collo, stringendolo a sé.
“Ne dobbiamo riparlare pel di carota, adesso allungami qualcosa!”
Le mani tremule di William afferrarono una camicia a scacchi scozzese e la lanciarono sul letto.
Sam schioccò un bacio sulla guancia morbida del giovane.
“Fatti la barba, Bill!” esclamò radiosa prima di chiudere la porta e tornare da Slash.
 
Le sedie strusciarono sul pavimento liso della sala per le colazioni.
Duff si alzò, accompagnato da Izzy e Steve.
Il bassista le tese la mano, “Che ne dici di andare a fare colazione fuori? Slash e Axl devono sistemare un paio di pezzi, stasera suoniamo di nuovo, finalmente. Che ne dici?”
Le spalle di Sam si strinsero involontariamente, “Non saprei, chiedo a Saul e arrivo..”
Sparì prima che qualcuno potesse controbattere e fu davanti alla porta accostata della stanza in pochi minuti.
Scivolò dentro silenziosa, ammirando il riccioluto chitarrista alle prese con un riff sull’acustica.
“Duff mi ha proposto la colazione fuori con Izzy e Steve, sei dei nostri, o devi lavorare con Will?”
Gli si inginocchiò davanti posando le mani leggere sulle sue ginocchia.
“Devo correggere dei pezzi con Axl. Va pure Sam.”
Le lasciò un bacio poco casto dalle labbra fin giù verso il collo, le strizzò l’occhio e riprese a baciarla, posando con delicatezza la chitarra sul pavimento. “Sei già nella posizione giusta, piccola…” sorrise lui nel vederla inginocchiata all’altezza quasi (e quel quasi rovinò i programmi del riccio) giusta.
Sam scoppiò a ridere, issandosi sulle sue cosce per rimettersi in piedi.
Afferrò il cappotto e raggiunse i tre musicisti nella hall.
 
La tavola calda dove Duff guidò l’improbabile ciurma era vuota, una musica country risuonava dal giradischi.
La donna al bancone sembrò riconoscere il bassista perché gli fece un cenno col capo, sorridendo.
“Che prendete?” domandò gioviale alla combriccola.
“Un caffè e del pane tostato, grazie”, Sam chiuse il menù con rumore secco.
“Per noi, tre caffè, tre succhi di mela, una decina di fette di pane tostato, una spremuta per me, e.. voi ragazzi?! Direi uova con pancetta ben salata per tutti!” Izzy parlava raramente, ma quando lo faceva riusciva a far spalancare la bocca ai suoi ascoltatori.
La donna appuntò tutto, tornando poco dopo col vassoio carico.
“Alla faccia, ragazzi, ne buttate di roba in corpo, eh?!” sorrise Sam, indicando la fetta di toast imburrata che lesta lesta scivolava nella bocca di Steve.
Il biondo strizzò l’occhio a Sam, del pane che ancora penzolava dalle sue labbra. “Sei un porco Stevy, Sam qui è una signora, abituata ai modi eleganti e raffinati di Slash!”, Izzy schioccò le dita, imitando una pistola con la mano e puntandola contro il batterista, “Roba seria, non so se mi spiego…”
Una risata si propagò lungo il tavolo. “Non sono stata trattata da principessina, questo è certo!” esclamò concitata Sam, “Soprattutto non da Saul e William, non ci sono dubbi…”
Le riflessioni dei giovani furono interrotte dalla massiccia presenza della cameriera di ritorno al loro tavolo: “Il conto? Siete apposto così?”
I tre musicisti pensarono bene di ordinare alcune pinte di birra per digerire, Sam si fece portare un bicchiere di Soda, per lei le bibite gassate al mattino erano quanto di più trasgressivo potesse sopportare.
 
 
“Come fai a scopartela? Non ti brucia dentro qualcosa quando la tocchi? Per me è così…”
La neve fioccava serena sulle strade di Seattle, i due musicisti erano rintanati in una stanza del motel, quella di Axl, dove avevano passato un’oretta buona a comporre e cancellare, modificare e dedicare, distruggere i pezzi e provare ancora ed ancora a rifarli.
Slash scollò il capo, risentito. “Non lo so, lei mi, ci ha perdonati..”
Inspirò e riprese, le mani sul volto come a schiarirsi le idee.
“Ogni volta che mi bacia sento che qualcosa arde dentro di me e non è solo desiderio. So di averle strappato qualcosa, e mi chiedo solo perché?
William annuì rabbioso, “Se Sam mi abbraccia, mi confida qualcosa o si stende sul mio letto… vorrei solo piangere Saul. Oggi mi ha chiesto di parlare del mio odio per Dio ed io.. Mi manca la forza di affidarle di nuovo un mio fardello, una mia condanna. Lei è già stata condannata.
Ed è colpa mia. La notte il sonno cede il passo ai sensi di colpa, mi fotto di paura e il cuore accelera come un treno in corsa. Mi schiaccia.”
Slash si alzò, aprì una bottiglia di Jack e ne scolò buona parte con un sol sorso, “Vuoi?” disse lanciando sul cantante il liquore, che sciabordò rumorosamente. L’altro annuì, tirandone giù boccate generose.
Posata la bottiglia vuota sul proprio comodino Axl riprese, sconsolato:
“Se solo potessi morire, morire per lei e mostrarle che non sono stronzo come sembro, che ci tengo alla nostra amicizia, che prima del vostro bacio quella sera speravo scegliesse me, lo speravo con tutto me stesso, e anche questo, cazzo, ha contribuito a farmi diffidare di Dio. Se potessi solo aprirle il mio cuore, farla entrare in silenzio nei miei ricordi.”
Slash si alzò dal letto il volto rigato dal pianto, afferrò una scatola e estrasse una bustina sigillata. “Ti sei già fatto prima Axl?”
Lui scosse il capo ma poi si riprese, “Sì, non di questa però.”
Il chitarrista si mise meticolosamente a girare la droga col suo cucchiaino. “Come si fa?”, che domanda stupida.
“La metti nella siringa e te la spari in vena.”
“Sam sa che ti fai?”
Il riccio annuì, “Sì, lo sa. Ma avevo smesso da un po’.”
William iniziò a tremare da capo a piedi. “Perché me la offri, Slash?”
Io ne ho bisogno. Per lei. Le ho distrutto la vita, Will. Mi amava.
Ed io la amo troppo per farla soffrire ancora. Se hai paura, esci.”
William deglutì forte, le lacrime calde che scendevano a fiotti, il ricordo delle cinghiate del patrigno vivide in mente.
Premettero lo stantuffo a turno.

 


*Scappa le gambe in spalle ed il viso sotto l'ascella pezzata* Scusatemi miei lettrici (Volevo scrivere lettrici arrapate, ma poi ho virato) il capitolo non è erotico ma drammatico abbestia. Perdono nel giro di poco tutti faranno pace con tutti, amore sesso e pace e lieto fine :) Un bacio enorme, grazie a chi recensisce e a Niiiik che mi odierà per aver fatto quasi morire i suoi idoli. PJ_

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Capitolo 14
*** Se muori, ti ammazzo. ***


L’aria frizzante le scompigliò ancora una volta i riccioli biondi.
Una ciocca le si parò davanti agli occhi, obbligandola a sbattere le palpebre con forza.
Chiacchierava concitata con Duff, “Oggi pomeriggio i ragazzi scriveranno ancora, almeno a quanto ha detto Axl ieri sera. Se vuoi possiamo andare a fare un giro. Conosco un’ottima panetteria, farciscono brioches salate con prosciutto e formaggio, hanno sandwiches francesi, inglesi, salumi italiani… Se ti va, certo.”
“Ovvio che mi va! –esclamò Sam con energia- Come si chiama il posto?”
Duff fece scivolare le mani nelle tasche, la neve che si depositava sui suoi capelli decorava i ciuffi biondi come una ragnatela: “Bakery Nouveau! Ti consiglio il cornetto al salmone!”
 
Arrivarono all’hotel con le note di Stairway to Heaven nelle orecchie, fra le labbra e nel cervello. Sam spinse la porte del motel, salutando il gentile proprietario che ormai, alla loro presenza scapestrata e disperata, si era abituato perfettamente.
Premette il tasto dell’ascensore, iniziando a sbottonarsi il cappotto, ansiosa di ritornare a parlare con i due amici. Ok, no. Adesso lo sapeva.
Lei e Slash non erano solo amici. Ne era certa. Lo vedeva nei suoi occhi neri.
Entrò silenziosa e pensierosa, premette il tasto numero 6, attendendo con calma di arrivare alla camera di Slash.
Bussò più volte, picchiettando le unghie sulla porta di compensato, il numero in lettere laccate di blu che penzolava sghembo.
Tornò a picchiare sul legno e, all’eco vuoto che le tornò indietro, si diresse al piano inferiore, da William. Trovò la porta aperta, Izzy e Duff all’interno, intenti ad esaminare dei testi appallottolati in un angolo. “Will è da Slash, Sammy..” sorrise Izzy, rilassato come sempre.
“No, ho bussato e non mi hanno aperto”, borbottò la giovane di rimando.
“Izzy –iniziò Duff, un’espressione corrucciata sul bel volto- Slash non aveva altra ero, vero? L’hai presa tu, no?”
Izzy scosse il capo e fece spallucce, “Io e Steve non la prendiamo dove la prende lui. Lui ne ha parecchia, però. Mi ha detto che ne aveva abbastanza per il divertirsi in tour.” Accese una cicca ed aprì le finestre, lasciando che i cristalli di ghiaccio si depositassero sul davanzale.
Il bassista si passò una mano sul volto, salendo al piano superiore, Sam alle calcagna, il cuore che batteva forte nel petto.
Con un paio di spallate aprì la porta, un mezzo sorriso di soddisfazione subito spento dalla scena a cui assistette.
 
Sam scivolò a terra, muta.
Lasciò che le lacrime scivolassero lungo le sue guance come torrenti in piena, iniziò ad urlare, e sentì la testa pulsare dolorosamente per molto, molto tempo. Cadde lunga distesa accanto ai corpi inermi dei due giovani, singhiozzando velocemente.
 
Quella visione avrebbe chiuso lo stomaco a chiunque.
Duff, prima di dirigersi a chiamare soccorsi, si ritrovò piegato nel corridoio, vomitando anche l’anima.
Slash e Axl erano stesi sul letto matrimoniale, ancora sfatto.
L’ago penzolava moscio dalla vena di Axl, il braccio pieno di grandi lividi viola, marchio di fabbrica di chiunque non fosse abituato a farsi.
Un rivolo di sangue sporco gocciolava dall’avambraccio del cantante, la pelle diafana schizzata e straziata. Un cucchiaio rugginoso era steso vicino ai muscoli contratti di Slash, la siringa completamente svuotata nel suo sangue, il laccio emostatico stretto in maniera impressionante, la pelle scura a dimostrarne la forza.
La bottiglia di whiskey era frantumata a terra, la paura tormentava i lineamenti di entrambi, ma tutti, lì dentro, sapevano quanto Axl si fosse fottuto prima di premere lo stantuffo.
Sam aveva sentito distintamente le imprecazioni di Steve ed il vocio di Izzy e Duff al telefono, aveva visto che il sangue aveva macchiato le lenzuola, le lenzuola dove lei aveva dormito fino a poche ore prima.
I testi erano appoggiati sul pavimento, scritti, cancellati e rivisti centinaia di volte. Su di uno, piccolo e mal celato alla vista, era stato appuntato in basso a sinistra: “Per te Sam, ogni cosa è per te.”
Era in quel momento che era caduta a terra urlando, stringendo in maniera febbrile le mani di Slash, invocando pietà e bestemmiando in un sol tempo.
“Will…” aveva sussurrato piano poi, coprendosi il viso con le dita del rosso, “Non lasciatemi di nuovo Will!” Le lacrime salate avevano sfiorato i polpastrelli del giovane, ma non vi era stata reazione.
La sirena era vicina, l’ambulanza sarebbe arrivata a breve.
Baciò le labbra amare e immobili di Slash, il cuore del chitarrista batteva piano e ovattato sotto il peso di tanta bellezza e tanto amore.
 
Poi in silenzio si era inginocchiata. “Dio, io ancora credo in te.”



Al momento la mia perla di saggia saggezza è: Credere in qualcuno/qualcosa (che sia pure -come diceva la mia prof di Storia al biennio- la pianta del basilico se non siete religiosi) è sempre utile. Io, personalmente, avrei da farlo un discorsino con Dio, ma Sam è buona e gentile e gli errori passati non li rinfaccia a nemmeno a Lui.
Un abbraccio lettrici parlanti, un salutone lettori silenziosi ;) PJ

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Capitolo 15
*** E se quei due ci lasciassero le penne maestre?! ***


Sam aprì gli occhi, risvegliandosi su un divano sporco e vecchio.
Vi era un forte odore di nicotina e frittelle di mele con sciroppo d’acero. Scostò dal viso le quattro diverse coperte che aveva addosso, alzando il voltò alla ricerca di una fonte di luce.
Un rumore di coccio che s’infrange le arrivò alle orecchie, qualcosa di molto simile ad una bestemmia ed infine una voce mimò il riff di Rocket Queen. Sam si stiracchiò e si alzò, il pavimento gelato sotto le piante dei piedi. Storse il naso per il freddo, afferrò il maglione poggiato ai piedi del divano e lo indossò, dirigendosi in cucina.
Passando davanti ad una specchiera rigata si accorse delle tremende occhiaie che la facevano sembrare un giovane panda spaurito.
Quella notte aveva dormito solo poche ore, addormentandosi solo dopo moltissime lacrime versate.
“Hey bambina!” la chiamò una voce ormai familiare.
Duff l’abbracciò con trasporto, stringendola a sé.
“Come stai?” le sussurrò, porgendole una tazza di caffè.
“Sono stata meglio, ma… Grazie piccolo”, gli posò i polpastrelli leggeri sulla guancia sbarbata.
“Ti ho sentita piangere stanotte.”
Sam annuì lentamente, bevendo il caffè che stringeva fra le mani.
“Cucini?” chiese retorica, indicando le sfrigolanti frittelline nell’olio bollente.
Il giovane sorrise radioso, servendo le frittelle su un piatto, tanto zucchero a velo e sciroppo d’acero per decoro e contorno.
La ragazza spilluzzicò una frittella, provocando occhiate nervose del bassista. “Non ti piacciono, Sammy?”
“Duff, non ho fame. Devo tornare all’ospedale. Da loro.” Non avrebbe voluto ferirlo, probabilmente lo fece.
“Scusami” borbottò poi, abbracciandolo alle spalle.
“Se ne mangi un’altra, poi ti ci porto. Giuro.”
“Duff?” chiese lei poi, chiamandolo a mezza voce.
Il biondo alzò un sopracciglio, timido. “Perché mi hai potato a casa tua? Perché non siamo andati in hotel?”
“L’hotel è troppo pieno di Slash e Axl piccola. Solo qui avresti riposato almeno un po’. Mangia, adesso.”
 
 
Poche ore dopo le narici dei due amici erano colme dell’odore del disinfettante e dell’alcool, quello puro.
Una stana mescolanza di brodini, latte e biscotti veniva servita nel reparto che stavano attraversando.
“Bimba, ci siamo persi!” sentenziò ridendo il bassista.
Sam scosse il capo, caparbia. “No, Duff. Dobbiamo solo trovare qualcuno…”
Si avvicinarono ad un’infermiera che tentava di convincere un anziano signore a far colazione.
“Scusi –prese fiato la Sam- dove possiamo chiedere informazioni per trovare alcuni nostri amici?”
La donna si grattò il capo, pensierosa. “Tu –indicò Duff-, eri qui ieri con altri ragazzi, vero? Vi ho accolti io.”
Duff annuì, illuminato. “Tenendo conto che, per il momento, non potreste entrare, essendo semplici amici, posso fare un’eccezione. Terzo pano.”
 
Il tragitto in ascensore sembrò eterno, il cuore di Sam esplodeva dentro di lei, un tamburo impazzito.
Spinse la porta della stanza dove Saul e William dormivano, paciosi.
Izzy si alzò. Era seduto su una sedia difronte ad Axl, leggeva una rivista di cucina araba. “Ciao, ragazzi” bisbigliò vedendoli entrare.
Sam lo abbracciò forte, sorridendogli, gli occhi già colmi di lacrime.
“Faccio due passi, ok? A dopo…” detto ciò il chitarrista batté una pacca sul chiodo di Duff ed uscì, silenzioso.
Sam si sedette, prendendo la sedia prima occupata da Izzy e portandola fra i due letti. Si accovacciò, estraendo dalla borsa un romanzo noir che aveva da poco incominciato.
Duff nel frattempo controllò che i due amici avessero tutto ciò di cui avrebbero potuto necessitare durante la loro permanenza.
Al momento le loro condizioni erano critiche, stabili ma critiche.
Un giovane medico entrò una mezz’ora dopo circa, una cartella in mano ed un gran sorriso sul volto.
“Salve!” esclamò, “Voi non siete i parenti di… Saul Hudson e William Rose, vero?”
Sam scosse la testa riccia, “Siamo le uniche persone che hanno, in ogni caso.”
L’uomo picchiettò il dito sul sacchetto della flebo, “Bene, dovremmo parlare allora.”
Duff annuì, cingendo il fianco di Sam con un braccio poderoso.
Il medico riprese a parlare, lentamente: “Voi siete a conoscenza, immagino, della legge che vieta –in questo stato- l’uso di sostanze stupefacenti?”
I due giovani deglutirono rumorosamente, annuendo.
“Io non sono un prete, non vi farò la predica – né una spia. Fingerò di non aver notato i buchi anche nelle sue braccia”, ammiccò verso Duff, uno sguardo severo ed eloquente.
“Sappiamo bene, sia io che i miei collaboratori, cosa ho portato qui i vostri due amici.” Posò una mano sulla spalliera del letto di Slash, storcendo il naso pensieroso.
Picchiettò nuovamente le unghie sulla flebo di Axl, sospirando.
“Le loro condizioni sono precarie. Avranno bisogno di qualcuno che potrà star loro vicino. E una pausa dai concerti.”
All’occhiata strabiliata di Duff sorrise, “Sì, siete davvero forti come band, complimenti.”
Uscì dalla porta, misterioso e allusivo.
“Ci denuncerà?” chiese Duff, allarmato.
Sam scosse il capo, sollevata. “Credo sia il momento di una disintossicazione di gruppo, care rockstar.”
“Prima vediamo se questi due ci lasciano le penne o no!” sogghignò Duff, ricevendo un bel pugno fra le costole dalla giovane.



Un abbraccio al mio bimbo rasta, a tutte le ragazze che leggono e alle pulzelle che recensiscono. GRAZIE! PJ_

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Capitolo 16
*** E' la fine · O forse no. ***


Giorno numero 43.
Li aveva contati tutti, facendo spunte sul calendario appeso nella cucina di Duff. Seduti entrambi difronte ai due letti, alla ricerca di un movimento invisibile, avevano visto appassire già 1032 ore della loro vita.
Quello lì era il giorno numero quarantatré. Il giorno in cui la porta della camera si era aperta ed Izzy e Steven erano entrati con aria lugubre. Per la prima volta non avevano sorriso. Non avevano fatto battute sul fatto che, nell’evenienza in cui Slash ci avesse rimesso l’anima, Sam sarebbe stata proprio appetibile. Nessun accenno ai concerti saltati, ai fan infuriati, nemmeno un ghigno ironico.
Niente. Duff teneva Sam stretta al petto, la ragazza aveva un walkman sulle cosce, Pretty Vacant sparata nelle orecchie.
Il giovane medico che li aveva accolti ormai faceva loro visita ogni giorno. Si chiamava Mark, era di New York, si era trasferito a Seattle per Linda, l’amore della sua vita. Anche quel giorno entrò alle 9.00 a.m spaccate, un gran sorriso sulle labbra ed un carello con la colazione per quattro persone, “Buongiorno ragazzi, ciao Sam!” esclamò vivace.
“Mangiate, i vostri amici si stanno riprendendo, la situazione non è così nera.” Batté una mano sulla spalla di Izzy ed uscì, intimidito dagli occhi felini di Duff che lo braccavano.
 
“Dite che si riprenderanno?” se ne uscì Steve, dopo la nona ora della giornata passata chiusa nella stanza d’ospedale.
“Ma certo…” esclamò mogia mogia la giovane ragazza, afferrandosi le ginocchia.
“Non so, credo di aver paura.” Affermò Izzy, torturandosi le labbra sottili con gli incisivi.
Steve sorrise, “Se Axl muore prendo la sua giacca con la bandiera!”
“Ti giuro che se Axl muore sarai fottuto da altri problemi, cazzone!”
La voce roca e flebile era giunta nitida alle orecchie di tutti. Il viso pallido ed emaciato del cantante si era scostato dal cuscino, gli occhi verdi cercavano febbrili le pozze di ghiaccio di Sam.
“Will!” Sam urlò il suo nome, abbracciandolo con foga, stringendolo a sé fino a far aumentare i suoi battiti a dismisura.
“Bambina se continui così sarò costretto a lasciare a quel fattone laggiù la mia giacca preferita!”
Una risata generale si irradiò nella stanza, mancava solo una voce nel coro.
“Dobbiamo parlare, Will. Lo sai” sussurrò Sam all’orecchio dell’amico.
“Probabilmente dovreste aspettarmi.”
Un tuffo al cuore, una scarica di adrenalina, il viso della ragazza si rigò di lacrime. “Saul!” strinse con forza la mano del chitarrista steso nel letto, “Sammy io non sono Axl, non ho paura di morire per un po’ di baci!”
 
Tornarono a casa, quella vera, a Los Angeles solo dieci giorni dopo.
Sam prese l’aereo con loro, dimenticandosi l’auto sotto la neve gelida di Seattle. Dimenticandosi dei cinque anni e quarantatré giorni appassiti, ricordandosi solo appena atterrata di aver dimenticato le chiavi di casa ed il porta spiccioli nel salotto di Duff, ricordandosi appena in tempo dove aveva messo il passaporto, il walkman ed il rossetto nuovo. Ricordandosi cosa vuol dire avere una famiglia, una vera, che ti ama, e anche tanto.
Forse la loro storia non è finita, i Guns si scioglieranno, si scioglieranno i ghiacciai del Polo, l’eroina non è stata debellata dal mondo e neanche l’ADS, ma il loro amore, l’amore in generale nel mondo, c’è ancora. Sam, Slash ed Axl non hanno rotto le catene che li univano, non ci riusciranno mai.






Ciao a tutte *-* E' finita. A me dispiace moltissimo, in quanto 'mamma', ma vabé. Non dico nulla, non ho molto da dire tranne GRAZIE a chi ha recensito, seguito, ricordato e letto. Grazie a Nik, rastaman dal cuore d'oro. Forese continuerà in un futuro lontano, ma per ora torno alle mie OS e all'henné (siamo alla prima ora su 8, ma chissene!) Un abbraccio, PJ_

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