Il Rumore del Vento

di Elenis9
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** A Piccoli Passi ***
Capitolo 3: *** Proteggerti... ***
Capitolo 4: *** Litigi e... ***
Capitolo 5: *** Non ti lascerò. ***
Capitolo 6: *** Cuore ***
Capitolo 7: *** Tutto al contrario ***
Capitolo 8: *** Pavimento azzurro ***
Capitolo 9: *** Silence ***
Capitolo 10: *** Notturno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




“Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.[…]
Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano...”

Il Piccolo Principe


 
Guardai la donna riflessa nello specchio con una certa sorpresa: era bella, con i capelli scuri che scendevano inanellandosi in morbidi riccioli fino alla vita, con il viso dolce di una bambola e con indosso un candido vestito da sposa. Nell’osservarla cercai di individuare quel lato selvaggio che di solito era così evidente, ma non lo vidi finché non mi decisi a osservarla negl’occhi. E lì, in quei grandi pozzi di smeraldo, finalmente trovai qualcosa che mi ricordò che quella donna ero io. Tutto ciò che non traspariva dal mio contegno si poteva leggere nella vivace brillantezza che illuminava il mio sguardo e che, a dire di tutti, avevo preso da mia madre.
Presa com’ero a scrutarmi nello specchio nel tentativo di riconoscere qualcosa di me in quel riflesso, non mi accorsi dell’arrivo di mio fratello finché non mi fu accanto.
Sorrise guardando negli occhi la mia immagine riflessa, e scostandomi gentilmente i capelli mi mise al collo un piccolo medaglione che riconobbi immediatamente come quello che lui portava sempre. “Sei meravigliosa, Morgana” mi sussurrò, aveva la voce roca per l’emozione, quasi che fosse lui a doversi sposare.
Sorrisi anch’io e mi voltai per abbracciarlo, mi fidavo ciecamente di lui e sapevo che non mi avrebbe ceduta ad un uomo che riteneva indegno o che mi avrebbe fatto del male.
Mio padre avrebbe voluto mandarmi in convento, come aveva fatto con le mie tre sorelle maggiori, ma era morto ancor prima che imparassi a camminare e tutta la famiglia era passata nelle mani di Federico, mio fratello. Era stato lui a crescermi, ad insegnarmi a suonare il piano, a leggere e a scrivere. Aveva assunto per me i migliori educatori del paese e infine aveva deciso che al posto dei voti avrei preso marito.
“Sono abbastanza bella per piacergli?” domandai, timorosa di far subito una brutta impressione.
“Non avrà occhi che per te, piccola” mi assicurò, baciandomi la fronte come faceva ogni sera quando mi congedavo per andare a dormire. “Alessandro è un uomo particolare, Morgana, ma sono certo che non ti farai ingannare dalle apparenze” forse mi avrebbe detto qualcos’altro se non fosse che le prime note della marcia nuziale ci annunciarono che non c’era più tempo per le chiacchiere.
La navata era meravigliosa e i piccoli fiori bianchi, rosa e azzurri che erano stati usati per addobbarla incantavano per la semplicità e delicatezza con cui si facevano ammirare.
I volti delle persone che mi guardavano mentre camminavo scortata da mio fratello erano quasi tutti familiari ed esibivano delle maschere di cortese emozione. Rivolsi loro i miei migliori sorrisi falsi, disgustata dalla facilità con cui nascondevano la loro altezzosa arroganza.
Infine non ci fu altro cui rivolgere lo sguardo se non l’uomo che ormai distava pochi metri da me.
Era alto e robusto, tanto che la sua schiena imponente ostruiva la vista a gran parte dell’altare; più mi avvicinavo più mi sentivo minuscola e fragile, nonostante non fossi certamente la più esile delle donne. Non si voltò a guardarmi mentre percorrevo la distanza che ci separava, così che io potei vedere solo i suoi capelli che si arricciavano intorno al colletto della sua divisa. Lanciai uno sguardo ansioso a mio fratello, e lui mi sorrise con l’espressione divertita e dolce che usava ogni volta che facevo qualcosa che era sciocco e tenero allo stesso tempo.
Lo sposo non alzò il viso ad incrociare il mio sguardo nemmeno quando Federico mi consegnò a lui, unendo le nostre mani come voleva la tradizione. Neanch’io osai guardarlo, intimidita sia dalla sua imponenza sia dall’aura di glaciale severità che sembrava emanare.
Quando mi strinse la mano, mi accorsi che la sua era grande e calda, più ruvida di quella di tutti i nobili che mi era capitato di toccare fino a quel momento, aveva il palmo un po’ sudato e immaginai che fosse un po’ agitato anche lui per il passo che stavamo facendo.
Fu quello a spingermi ad alzare gli occhi verso il suo profilo. Aveva un viso molto mascolino, troppo duro per essere bello da togliere il fiato, ma abbastanza perfetto da sembrare scolpito; ad addolcire tutta quella potenza virile c’erano delle labbra sensuali e ben disegnate.
Sembrava totalmente impassibile, perciò mi convinsi di aver soltanto immaginato la sua presunta agitazione. Smisi di fissarlo non appena il sacerdote diede inizio alla cerimonia, ma per tutto il tempo rimasi dolorosamente consapevole di una cosa.
Lui non mi aveva rivolto lo sguardo nemmeno una volta.
 
 

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Capitolo 2
*** A Piccoli Passi ***




“Ho sempre amato il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende in silenzio...”
 Il Piccolo Principe

 
A svegliarmi, come tutte le mattine verso le otto, furono i raggi di sole che entravano dalla finestra della camera e mi illuminavano il viso.
Mi guardai intorno e trovai lo stesso letto vuoto che mi faceva compagnia da una settimana, ovvero da quando vivevo in quella casa.
Mi ero sposata con il Principe Alessandro –Principe, sì, perché sul trono sedeva suo fratello- esattamente sette giorni prima e, sebbene mi avesse fatta sistemare nella sua camera da letto, dubitavo che lui la notte approfittasse di quel giaciglio.
Mi sistemai e mi vestii senza chiamare le dame a me assegnate, non sopportavo di dover sempre pesare sulle dame che avevano certamente di meglio da fare.
Indossai un abito comodo, perché quel giorno ero intenzionata a dedicarmi all’esplorazione del giardino.
Uscii di casa salutando con un sorriso la tiepida aria mattutina, godendomi l’aria profumata della campagna.
Passeggiai fra i cespugli di rose, incantata dalla bellezza dei boccioli, corsi nei campi fioriti che si estendevano intorno alla tenuta in ogni direzione, mi rotolai nell’erba e mi beai del dolce tepore del sole sul viso.
Probabilmente mi addormentai, cullata dal dolce fruscio del vento e dal profumo dei fiori di campo, perché quando riaprii gli occhi davanti a me c’era un ragazzino e io non mi ero accorta del suo arrivo.
A giudicare dal suo aspetto non aveva più di sei o sette anni, portava con orgoglio una zazzera di capelli d’oro e sfoggiava un sorrisetto divertito.
“Lady Morgana, vero?” annuii e non potei trattenere un sorriso di fronte alla luce birichina di cui brillava il suo viso.
“Sono io. E tu, sei...?” domandai, alzandomi a sedere e raccogliendomi i capelli su una spalla, per togliere i pezzettini d’erba che vi erano rimasti incastrati.
“Marco, il figlio della cuoca” il suo orgoglio al nominare della madre fu evidente e per un secondo fui indecisa su chi dei due invidiare.
Mia madre era morta quando avevo pochi anni e non ricordavo quasi niente di lei, per questo potevo invidiare Marco: lui aveva una mamma e poteva stare con lei per tutto il tempo che voleva.
Invece, come donna, invidiavo di più la signora Rosmerta, la cuoca appunto, perché se mai avessi avuto un figlio, avrei voluto che parlasse di me come lui parlava di lei: con lo stesso orgoglio, con la stessa luce negli occhi.
“Piacere di conoscerti Marco” sorrisi e mi alzai, cercando di scrollarmi l’erba di dosso.
“Il padrone mi ha chiesto di comunicarvi che vorrebbe vedervi, in biblioteca” mi disse, seguendomi mentre m’incamminavo verso la villa.
Mi prese un po’ il panico perché era la prima volta da quando ero lì che Alessandro richiedeva la mia presenza da qualche parte. Di solito ci incontravamo solo ai pasti e lui si limitava a lanciarmi un’occhiata di sfuggita ogni tanto, e scambiava con me poche parole quando io tentavo di avviare una conversazione.
Avrei voluto cambiarmi d’abito: il mio vestitino giallo, lungo fino alle caviglie era fin troppo semplice e poi si era un po’ sporcato di erba e di terra quando mi ero rotolata fra i fiori. Ovviamente però non avevo tempo per cambiarmi... mi vergognavo come una ladra a presentarmi così scombinata davanti ad un uomo, mio fratello mi aveva ripetuto fino alla nausea che ero una contessa, e le contesse non andavano certo in giro così.
Marco mi accompagnò fino alla porta della biblioteca, aveva chiacchierato allegramente per tutto il tempo, senza lasciarmi nemmeno un momento per commentare o fare domande.
Era un bambino vivace e allegro e apprezzai la sua compagnia più di quanto avevo apprezzato quella di chiunque altro in quella settimana, tranne forse Dama Rosmerta, che però avevo potuto incontrare solo un paio di volte e di sfuggita, perché era sempre molto occupata.
“Oggi pomeriggio, se non sarò impegnata, farò un giro nelle scuderie, ti va di accompagnarmi?” chiesi a Marco prendendo tempo prima di entrare in biblioteca.
Forse era stupido, ma ero agitata e non riuscivo a immaginare il motivo per cui Alessandro aveva richiesto la mia presenza. Aveva forse deciso che era venuto il momento di esplorare il mio corpo?
Mi chiedevo fin dalla prima notte se il problema era la mia avvenenza: magari non gli piacevo e per questo mi evitava con tanto impegno. Magari voleva rimandarmi da Federico, distruggendo per sempre la mia dignità e la mia immagine agli occhi di mio fratello.
“Certo, verrò!” mi disse Marco e mentre lo diceva saltellava via, lasciandomi da sola a cercare il coraggio di aprire quella maledetta porta.
Va beh, porta si fa per dire, era una specie di portone a due ante, alto almeno il doppio di me e largo il triplo.
Sospirai, mi sistemai alla meglio il vestito e i capelli, e spinsi un lato dell’uscio.
La biblioteca era un’enorme sala circolare e conteneva una quantità indescrivibile di volumi dal valore inestimabile.
La prima volta che ero entrata nella stanza, dopo essermi ripresa dalla meraviglia e dalla sorpresa di trovarmi in un posto tanto bello, mi ero precipitata a prendere un libro da uno scaffale e l’avevo annusato.
Sì, proprio annusato.
Mi piaceva l’odore della carta stampata: sapeva di polvere e di sogni.
Avevo sempre pensato che se qualcosa profumava così non poteva che essere prezioso, voleva dire che qualcuno aveva riversato su quelle pagine tempo, speranze, fantasie.
Quel giorno però non ero lì per bearmi della compagnia dei libri, perciò esitai solo un secondo prima di cercare con lo sguardo il Principe.
Era impeccabile sia nel modo di vestire sia nel portamento, teneva dritte le sue spalle poderose e sembrava profondamente immerso nella lettura di un grosso volume. 
“Volevate vedermi?” domandai con gentilezza, cercando di mantenere neutro e gentile il tono della mia voce.
Alessandro alzò appena lo sguardo, probabilmente deciso a lanciarmi una delle solite mezze occhiate, ma invece di abbassare subito gli occhi come faceva sempre li alzò di scatto verso i miei, come sorpreso da qualcosa.
Arrossii violentemente, abbassando la testa. Sapevo cos’era ad averlo sorpreso: il mio vestito imperdonabilmente sciatto e macchiato di terra.
“Perdonatemi per il modo assolutamente inadeguato in cui mi presento, Conte, giuro che non si ripeterà mai più” tenevo la testa abbassata e mi aspettavo che mi buttasse fuori dalla stanza da un momento all’altro, urlandomi di cambiarmi e di non farmi mai più vedere messa così.
Visto che non successe niente del genere per diversi secondi mi arrischiai ad alzare lo sguardo su di lui e lo trovai che mi fissava.
Mi fissava, per la primissima volta in assoluto.
Aveva un angolo della bocca piegato in una smorfietta che doveva essere il suo massimo concetto di sorriso e per la prima volta mi sembrò un po’ meno perfetto, ma più umano.  Mi arrischiai ad accennare un sorriso a mia volta, timida e poco convinta, e lui mi fece segno di sedermi sulla sedia al suo fianco.
Feci come mi era stato detto, volevo dimostrargli che ero obbediente e composta, perché Federico mi aveva insegnato che era questo il modo in cui dovevo comportarmi con mio marito, dovevo cercare di compiacerlo in ogni modo possibile.
Il silenzio si prolungò mentre chiudeva il libro e lo appoggiava sul tavolo davanti a sé prima di girarsi verso di me, con calma.
I suoi occhi erano del colore azzurro chiarissimo che hanno quelli di certi lupi, più mi scrutavano più perdevo la convinzione che quello fosse un miglioramento: erano occhi taglienti e freddi e sembravano soppesarmi e valutarmi.
Ed io non mi sentivo in grado di reggere il confronto.
“Morgana” disse. Non pronunciò altro che il mio nome e mi resi conto che era la prima volta che usciva dalle sue labbra.
Fui deliziata dal modo particolare in cui la r gli si arrotolava fra i denti, diede a quel semplice suono una sfumatura esotica e quasi sensuale che non credevo possibile.
“Sì mio signore” era snervante per me attendere che si decidesse a dire altro, perciò avevo tentato di spronarlo con quella frase.
Lui non si fece mettere fretta, si prese tutto il tempo che voleva per mettere insieme il discorso, o forse semplicemente per portare avanti un suo personalissimo studio basato sul numero massimo di ore che poteva trascorrere in silenzio prima che io cominciassi a dare di matto.
Mi rimproverai per aver pensato una cosa tanto meschina: non credevo assolutamente che il suo essere schivo fosse un modo per farmi dispetto, piuttosto ero propensa a credere che ci fosse qualcosa in me che lui non trovava adatto.
Federico mi aveva chiarito bene anche quel concetto: persino l’uomo più timido si mette in mostra davanti ad una donna che accende il suo interesse.
“Vi piace la lettura, Lady Morgana?” aveva usato un tono neutro, che non diceva nulla, ma già il fatto che stesse cercando di conversare era un enorme passo avanti per me.
“Oh, sì, molto” avrei potuto annoiarlo per ore con le mie teorie sull’ingiustizia che aveva fatto la natura dando parole tanto poetiche ad un uomo che sembrava tanto egocentrico come Petrarca.
O magari avrei tirato in ballo la Commedia di Dante, avrei potuto persino citare antichi poemi cavallereschi, ma alla fine decisi di non annegarlo nel fiume in piena delle mie parole e attendere che fosse lui a pormi qualche domanda.
“Potremmo fare attività di lettura, la sera, se non sarete troppo stanca, certo” oltre ad essere rimasta stordita dalla quantità di erre presente nella frase più lunga che mi avesse mai rivolto, ero assolutamente meravigliata da quella proposta. Stava cercando di organizzare qualcosa che poteva coinvolgerci entrambi. Probabilmente mi sarei messa a saltellare sul posto se non fossi stata così timorosa di mandare all’aria tutti quei progressi con la mia irruenza.
Perciò mi limitai ad abbagliarlo con uno dei più luminosi fra i miei sorrisi “Ma certo! Sarò felicissima di partecipare”.
Una tensione che fino a quel momento non avevo notato sembrò abbandonarlo e lui mi rivolse ancora quella sua versione di un sorriso, tirando appena un angolo delle labbra.
“Bene. Io... credo che andrò a prepararmi per il pranzo” decisi di congedarmi perché non sapevo più cosa dire e non volevo trovarmi imprigionata in un altro silenzio imbarazzante.
Quando ero già alla porta, mi fermò: “non preoccupatevi troppo per le vostre vesti quando siete sola con me”. Detto questo tornò al suo libro, con una tranquillità che mi disarmò.
Uscii dalla biblioteca con un milione di domande che mi frullavano in testa.
Federico si arrabbiava sempre quando mi presentavo a lui vestita in modo meno che perfetto, come se avesse paura che qualcuno potesse giudicarmi in ogni istante della mia vita; la maggior parte delle volte che trascorrevo il mio tempo con i nostri cavalli, o ad occuparmi del giardino, lui fingeva di non vedermi e in seguito riusciva a giudicarmi e a farmi capire che non è così che si comporta una signora, pur senza mai sgridarmi apertamente. Giocava sul senso di colpa, di solito.
Alessandro mi aveva appena fatto capire che non gli importava se mi ero presentata ai suoi occhi con indosso il mio vestito più semplice e che le macchioline d’erba e di fango non lo avevano infastidito.
Però restava il fatto che non mi aveva ancora presa nel suo letto e, per quanto mi spaventasse l’idea di doverlo accogliere nel mio corpo, pensavo che il suo rifiuto dipendesse in qualche modo da un mio difetto fisico.
Mentre facevo il bagno, le mie dame mi comunicarono che il conte aveva ricevuto una missiva urgente e non sarebbe tornato in tempo per il pranzo. La cosa mi lasciò con l’amaro in bocca perché speravo di poter parlare con lui ancora un po’, magari avremmo iniziato a conoscerci e quello poteva essere un modo per far scivolare via la sua algida impenetrabilità.
Ovviamente essere una ragazzina poco più che diciannovenne mi aiutava molto ad illudermi così.
Le ragazze che mi avevano aiutata a lavarmi mi aiutarono anche a raccogliere i miei capelli in una treccia, perché così non si sarebbero sporcati durante la visita alle scuderie.
Pranzare da sola fu triste, perciò mi affrettai a buttare giù qualcosa, così che sarei potuta essere libera il prima possibile.
Nemmeno mezz’ora dopo stavo correndo verso le stalle, Marco mi aspettava già davanti all’ingresso e appena mi vide mi si lanciò fra le braccia, dandomi un caloroso benvenuto che non mi aspettavo di certo.
 
“Tu sai cavalcare, Morgana?” mi chiese più tardi, mentre mi aiutava a strigliare un bellissimo stallone baio.
La sua vocina infantile e il suo modo di fare allegro mi avevano subito stregata, e gli avevo permesso di prendersi qualche libertà come quella di chiamarmi per nome e darmi del tu.
Accennai di sì e lui fece un sbuffo un po’ triste.
“Io no. Mamma non ha mai voluto insegnarmi. Dice che sono piccolo”; sorrisi di quel tono mesto e sconsolato e gli passai una mano sulla testa, scompigliando ancora di più i capelli.
“Tua madre non ha torto, le tue gambe devono allungarsi ancora un po’ prima che tu possa riuscire a cavalcare come si deve” spiegai con gentilezza.
“Però potremmo andare a cavallo insieme, e tu potresti tenere le redini, che ne dici?” proposi subito dopo, perché volevo farlo contento.
E seppi che ero riuscita ne mio intento perché era tanto entusiasta che saltellò per tutta la stalla mentre io preparavo il cavallo e lo guidavo fuori. Non avevo mai avuto un fratellino minore, ma mi sarebbe piaciuto tantissimo averne uno. Ed era probabile che stessi riversando quel desiderio su Marco.
Lo aiutai a salire in sella e subito dopo m’issai anch’io, poi lasciai le redini al bambino, spiegandogli le semplici regole che doveva seguire. Un lieve calcio e lo stallone iniziò a camminare al passo, Marco era eccitatissimo e si divertiva a guidarlo a zigzag nel prato.
Lo lasciai fare quello che voleva per un po’, poi presi il comando, spingendo il cavallo al trotto e facendo ridere ancora di più il bambino che si teneva stretto al collo del grosso stallone. Mi piaceva sentire quel suono così pieno di gioia e sapere che era anche un po’ grazie a me se rideva così, e non potevo impedirmi di sorridere anch’io, trascinata da lui.
Rallentai il cavallo e baciai Marco sulla testolina, prima di cedergli ancora le redini e dirgli di riportarci verso la stalla.
Non so di preciso cosa fu a farmi girare la testa alla nostra sinistra, ma quando lo feci mi accorsi immediatamente dell’uomo che ci osservava appoggiato al muro della villa.
Era vestito tutto di nero, e la cosa lo faceva sembrare ancora più minaccioso e imponente del solito, i suoi occhi di lupo mi osservavano attentamente, come avevano fatto quella mattina in biblioteca e di nuovo mi fece sentire piccola come la più ingenua delle bambine, il suo sguardo mi trapassò ed ebbi l’orribile sensazione che fosse infuriato; ma non ne ero sicura perché il suo volto continuava a non rivelare nulla.
Lo salutai con la mano e accennai una specie di sorriso, ma avevo paura di averlo fatto arrabbiare, e non era mia intenzione.
Però a pensarci bene, oltre ad aver preso uno dei cavalli senza permesso, l’avevo cavalcato e avevo portato con me anche Marco, lasciandoglielo guidare.
Portai il cavallo fino al suo box, e mentre gli toglievo redini e sella, con Marco che mi orbitava intorno, tutto carico di aspettative e di entusiasmo, sentii di nuovo il suo sguardo che mi trapassava la schiena.
Oh, santo cielo, sapevo che mi avrebbe punita. Cavolo, potevo essere così sciocca? Dovevo aspettarmelo che non gli sarebbe piaciuto il mio comportamento.
“Lui è Tornado” disse e la sua voce non lasciava trasparire niente, nemmeno la rabbia che avevo pensato di vedere nel suo sguardo.
Accennai un’occhiata nella sua direzione e accarezzai il muso del cavallo. “Tornado è un bellissimo nome” dissi rivolta all’animale, questo sbuffò e mi tirò una musatina quasi avesse capito il complimento.
Marco nel frattempo era ammutolito e se ne stava in un angolino, cercando di passare inosservato.
“Avete fatto colpo, Morgana” commentò Alessandro, e  questa volta la sua voce mi sembrò stanca, tanto che mi girai a guardarlo.
“Qualcosa non va, mio signore?” sembrò sorpreso dalla mia domanda e per un istante mi guardò negli occhi, poi però distolse lo sguardo bruscamente quasi avesse paura che potessi leggere cosa c’era dietro la sua imperscrutabilità.
“Niente di cui tu debba preoccuparti” borbottò.
Fece per andarsene, poi si girò a guardare Marco “posso contare su di te per la protezione della Principessa?” domandò, seriamente.
“Ma certo. Io farò del mio meglio” rispose Marco come un bravo soldatino, il sorriso però gli era tornato sulle labbra ed era arrossito, pieno d’orgoglio per quel compito così importante.
Alessandro annuì e ci lasciò di nuovo da soli. Sorrisi guardando la sua schiena che si allontanava e mi resi conto di una cosa: si era appena guadagnato un po’ del mio rispetto.
 
Quella sera a cena Alessandro non spiccicò parola e io lo imitai, pensando che se non aveva voglia di parlare non sarebbe stato carino da parte mia costringerlo. Il clima era ancora un po’ imbarazzato ma riuscii a sopportarlo un po’ meglio del solito, consolandomi col fatto che per quel giorno avevamo comunque condiviso un paio di conversazioni. Magari non erano state lunghissime, ma chi ero io per lamentarmi?
“Andate a scegliere un libro, io sistemo il camino” mi disse quando Sara portò via gli ultimi piatti.
“Avete qualche preferenza?” Domandai, e al suo cenno di diniego mi affrettai ad andare a scegliere un libro.
Scelsi il milione di Marco Polo.
Lesse lui per primo e io fui felice di potermi godere tutte quelle erre arrotolate, la sua voce che di solito era scura e impenetrabile era intonata e partecipe. Ogni tanto lo coglievo mentre mi lanciava uno sguardo da sopra il libro e mi parve la cosa più intima del mondo.
Dopo un po’ gli chiesi se potevamo scambiare i ruoli e lui mi passò il libro, mostrandomi dov’era arrivato, nel farlo il suo braccio destro era entrato in contatto col mio sinistro ed era la prima volta che ci toccavamo in qualsiasi modo. Lui tuttavia non sembrò notarlo.
Mentre leggevo io lui guardava il fuoco che giocava nel camino, la sua espressione era come sempre illeggibile e trovavo che la cosa iniziasse a diventare frustrante: era come guardare un quadro e non capire che cosa raffigurava.
Lanciandogli un’occhiata ogni tanto mi accorsi che faticava a tenere gli occhi aperti, sembrava un bambino testardo che si ostinava a lottare contro il sonno. Il paragone mi fece sorridere e alzai di nuovo lo sguardo, ultimamente non doveva aver dormito molto visto che nel suo letto non era mai venuto; avevo pensato che avesse usato un’altra camera ma in quel momento mi veniva il dubbio che fosse rimasto in biblioteca fino a collassare sulla poltrona.
“Forse dovremmo andare a dormire” proposi, posandomi il libro in grembo.
Lui sobbalzò, come se non si fosse aspettato un cambiamento così brusco nel mio tono.
“Uh, sì, vai pure. Io devo finire delle cose” con quella frase distrusse tutte le speranze che mi ero fatta quel giorno: mi stava  escludendo sia dalla sua vita che dal suo letto. Inoltre era probabile che non si fosse accorto di avermi dato del tu, chiaro segno che era mezzo addormentato. E allora cosa gli impediva di riposare accanto a me?
Sospirai e chiusi il libro, alzandomi.
“Perfetto. Buona notte, mio signore” non riuscii a trattenermi e la mia voce suonò irritata come mi sentivo. Sputai le ultime due parole come il peggiore degli insulti e uscii dalla stanza a passo di marcia.
Che stupida che ero. Mi ero fatta illusioni su quello che potevano significare tutte le attenzioni che avevo ricevuto quel giorno, e avevo dedotto che lui era finalmente pronto a dividere un po’ di se stesso con me.
Non pretendevo che diventasse dolce o loquace in meno di un giorno, ma speravo che mi lasciasse intravedere qualcosa. Invece niente, dannazione! Si era avvicinato a me, ma allo stesso tempo mi aveva allontanata ancora di più.
Quando mi coricai nel letto –quel grande letto freddo- capii che non avrei mai ricevuto altro che questo. Forse Alessandro avrebbe parlato più spesso con me, forse avrebbe ascoltato la mia voce mentre leggevo, o mi avrebbe permesso di ascoltare la sua. Magari avrebbe condiviso i piaceri del talamo alla fine, ma non avrei mai avuto la possibilità di dare neanche un’occhiata né al suo cuore né alla sua mente.
Il nostro rapporto sarebbe rimasto vuoto, sempre.

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Capitolo 3
*** Proteggerti... ***




Che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile.
Cit. Il piccolo Principe

 
Il giorno seguente feci di tutto per evitare di incrociarlo perciò seppi che non ce n’era affatto bisogno soltanto a pranzo: Alessandro era uscito presto quella mattina e non si sapeva quando sarebbe tornato.
Fui immediatamente pervasa da un moto di tristezza e delusione che non aveva alcun senso: ero stata io la prima ad evitarlo!
Mi sentii una bambina capricciosa e soprattutto, una stupida, perché in un millesimo di secondo mi erano già passate nella mente un centinaio di immagini in cui vedevo il mio algido sposo divertirsi fra le braccia di altre donne.
Per fortuna non rimasi praticamente mai da sola, Marco aveva tante cose da farmi vedere. Cose che, a detta sua, non potevo non conoscere! Ad esempio l’entrata secondaria alla villa, oppure tutti gli angoli migliori dell’alloggio della servitù.
La cosa da cui fui più deliziata fu il frutteto, le mele iniziavano a maturare e quelle che potevamo raccogliere erano dolci e succose. 
Quella sera riuscii a convincere Rosmerta a farmi cenare con loro, perché odiavo mangiare da sola. Lei protestò, una signorina del tuo rango bla…bla…bla, ma come Federico anche lei capì immediatamente che non c’era modo di discutere con me.
Mentre mangiavamo e ascoltando le deliziosissime storie di Giorgio, il giardiniere, e Francesco –non sapevo ancora dire quale fosse la sua mansione, forse era una specie di tuttofare…- iniziò a piovere.
Il mio primo pensiero fu che Alessandro non era ancora tornato e forse lasciai trapelare qualcosa, perché Giorgio si affrettò a rassicurarmi che quando pioveva troppo forte il principe restava a dormire fuori.
Ovviamente, più che rassicurarmi questo mi fece tornare alla mente la scena che mi tormentava da quella mattina e sperai che, se davvero era con una donna, si strozzassero entrambi con la cena. Così non avrebbero passato la notte insieme.
Vedendo che mi ero rabbuiata Rosmerta si affrettò a cambiare discorso, e la cena continuò in modo molto piacevole.
Ad un certo punto della serata Marco aveva voluto sedermi in grembo sostenendo che doveva raccontarmi delle cose, in realtà si accoccolò fra le mie braccia, addormentandosi quasi immediatamente.
Lo tenni stretto al petto, accarezzandogli di tanto in tanto la schiena o posandogli un bacio fra i capelli; non sapevo perché mi rendesse tanto felice osservare il visino rilassato del bambino che dormiva appoggiato alla mia spalla, ma il mio cuore era pieno di calore e commozione.
Alzai gli occhi su Rosmerta appena in tempo per vedere che mi stava osservando con un’espressione molto assorta e, appena le sorrisi, lei ricambiò.
“Si è fatto molto tardi, credo che andrò a riposare” dissi dopo un po’, desideravo mettere Marco in un letto più comodo e soprattutto speravo di poter rimanere da sola e crogiolarmi per un po’ davanti al camino.
“Ti accompagno cara” disse Rosmerta.
Cercando di essere delicata il più possibile mi alzai e la seguii attraverso i corridoi della dependance finché non arrivammo in una piccola stanza con due lettini. Deposi Marco su quello che sapevo essere il suo, gli tolsi le scarpe e gli rimboccai le coperte, presa da un istinto materno che non sapevo di avere.
Mi ero quasi dimenticata della presenza di Rosmerta quando lei mi affiancò. Aveva la stessa espressione di poco prima, seria e dolce.
“Lui ti vuole molto bene” mi disse, ed io non sapevo bene se prendere quella frase per quello che era o cercare qualche sottinteso…
“Anch’io gliene voglio” risposi quindi, decidendo di essere cauta.
“Lo so, piccola” chiuse così il discorso, offrendosi poi di accompagnarmi fino alla porta di casa.
“Oh, non c’è bisogno, posso arrivarci da sola…”.
Durante il piccolo pezzo che dovevo fare all’aperto per arrivare alla villa la pioggia m’inzuppò da capo a piedi, cavolo che tempo orribile! Faceva pure un gran freddo!
Entrando mi scrociai con Francesco che usciva.
“Vi ho sistemato il camino, Principessa” mi disse, fece un breve inchinò e sparì oltre la porta.
Non attesi nemmeno un secondo prima di andare a rifugiarmi davanti al fuoco, beandomi di quel dolce calore. Mi accoccolai sul tappeto che stava davanti al camino cercando con lo sguardo un difetto visibile nel tessuto (avevo sentito dire che solitamente veniva fatto un errore di proposito, perché la perfezione è solo divina… o almeno questo mi aveva detto Federico una volta, guardando uno di quei meravigliosi tappeti provenienti da Oriente).
 
Mi ero certamente addormentata, perché quando mi svegliai c’era qualcuno che mi stava sollevando da terra. Non so per quale istinto, decisi di continuare a fingermi assopita e lasciai che due braccia forti mi prendessero senza opporre nessuna resistenza. La mia guancia andò ad appoggiarsi sul petto dell’uomo, sentivo i battiti forti e regolari del suo cuore e il suo odore che era speziato e inebriante.
“Hai le braccia congelate,  accidenti! Non avresti dovuto addormentarti sul tappeto” borbottò quella voce scura e profonda che ormai mi era familiare. Per un secondo pensai che avesse capito che ero sveglia ma poi, quando riprese a borbottare fra se, ebbi la conferma che non se n’era accorto.
Con una delicatezza che mi sorprese mi adagiò nel letto e si assicurò che fossi comoda e ben coperta prima di uscire. Mi sembrò addirittura che mi avesse sfiorato la fronte con le labbra, ma probabilmente quella fu soltanto una produzione della mia mente che già precipitava di nuovo nel sonno.
Quando mi svegliai per la seconda volta, fu perché il peso di un corpo fece inclinare il materasso accanto a me.
Non potei fare a meno di girarmi a guardare Alessandro che, per la prima volta, si coricava vicino a me, lui ricambiò il mio sguardo con la stessa espressione sfinita che gli avevo intravisto sul viso il giorno prima. Sembrava anche un po’… triste?
“Ti stavo aspettando” la mia voce era poco più di un mormorio, arrochita dal sonno.
“C’è stato un altro attentato ai danni del Re, per questo sono stato via così a lungo” spiegò, portandosi le coperte fin sotto il mento e fissando il soffitto come a volerne scoprire i segreti.
“Santo cielo! È ferito?” mi preoccupai, allungando una mano a cercare una delle sue, sperando di dargli un po’ di conforto.
“No, no. Le sue guardie sono molto abili, anche questa volta sono riuscite a proteggerlo” mi strinse la mano e anche se non mi stava guardando capii che non eravamo mai stati tanto vicini, e non dico fisicamente quanto emotivamente.
“Adesso dormiamo. Dopo una dormita la tua mente lavorerà certamente molto meglio” sussurrai, cercando di non turbare il fragile equilibrio che sembrava essersi creato fra noi, lui annuì e chiuse gli occhi, girando la testa verso di me. Io lo imitai, felice di sentire ancora le nostre mani intrecciate sotto le coperte.
Mi stavo già addormentando di nuovo quando parlò: “mi piace, sai?” disse, così di punto in bianco.
“Che cosa, mio signore?” borbottai, più addormentata che sveglia.
“Il fatto che mi dai del tu” mi diede una piccola stretta alla mano e poi si girò a darmi la schiena, chiarendo che non voleva che commentassi.
Sorrisi del suo imbarazzo e finalmente fui libera di dormire.
 
La mattina dopo ero di nuovo sola nel grande letto matrimoniale ma, non appena spostai le gambe verso il lato di Alessandro e lo trovai caldo capii che non si era alzato da molto e ne fui felice.
Meditai di dormire ancora un po’, ma ero troppo contenta per riuscire a riprendere sonno, perciò decisi di alzarmi e chiedere a Sara di prepararmi un bagno caldo.
Passai tutto il tempo possibile nell’acqua, coccolando il mio corpo con saponi profumati e oli costosi, poi tornai in camera avvolta in un panno, cercando qualcosa di comodo e carino da mettere.
Posai distrattamente la spazzola sul comò, andando verso l’armadio. Una strisciata rossa faceva bella mostra di se sul legno di ciliegio di cui era fatto il grosso mobile. 
Mi accigliai, era… sangue…?
Ma no, non era possibile… mi girai per vedere il resto della camera e il respiro mi rimase soffocato in gola. Con cautela mi avvicinai al letto, attenta a non pestare coi piedi nudi le gocce di sangue che erano sparse sul pavimento.
Le lenzuola bianche che Sara non aveva avuto il tempo di sistemare, erano un groviglio indistinto e le macchie rosse spiccavano come punti esclamativi. Un corpicino peloso giaceva inerte e smembrato da una parte. Sembrava che dopo essersi premurato di spargere bene il prezioso liquido vitale per la stanza, chi aveva compiuto quello scempio avesse gettato il corpo della bestiola sul letto, quasi non avesse più alcuna importanza dove andava a finire.
O forse l’aveva, forse il fatto che il cadaverino fosse proprio sul mio cuscino era una minaccia a me, anche se sembrava improbabile vista la mia scarsissima importanza nel mondo politico.
Mentre mi avvolgevo meglio nel panno che mi copriva, ma che in realtà lasciava vedere molto più di quanto fosse lecito, cercai di riflettere sulla situazione: qualcuno si era introdotto in camera nostra mentre entrambi eravamo in casa ed era riuscito perfino a costruire con cura tutta quella bella scenetta senza che nessuno si accorgesse di niente. E poi era pure riuscito ad andarsene indisturbato. 
Fra l’altro io ero stata per tutto il tempo nel bagno, che era comunicante con la camera, avevo rischiato davvero tanto.
Trovai Alessandro nella grande sala da ballo della casa, stava vibrando dei colpi con la spada ad un manichino, impegnandosi tanto che la sua fronte e la schiena erano imperlate di sudore.
La sua espressione concentrata era così bella che mi venne voglia di ritrarlo, di cercare di svelare il suo spirito attraverso i colori e i tratti di un pennello.
Oh, sarebbe stato così bello! Avrei certamente usato colori intensi, cupi come la notte, forti e saldi  come lui si mostrava; e poi li avrei intrecciati con toni più timidi, colori brillanti e caldi che giocavano un po’, nascondendosi più spesso di quanto non si mostrassero.
Mi riscossi da quella fantasia inappropriata non appena notai che le mie mani erano sporche di sangue.
Mi sfuggì dalle labbra un suono soffocato che sembrava a metà fra un gemito d’orrore e il verso di un uccellino agonizzante.
Alessandro si girò verso di me, sorpreso. La sua espressione però cambiò immediatamente non appena vide le mie dita macchiate di rosso.
“Sei ferita?” Lasciò cadere la spada e mi si avvicinò in un lampo, prendendomi i polsi per esaminare bene le mie mani.
“No, mio signore. Hanno… qualcuno ha sacrificato un piccolo animale sul nostro letto” deglutii, distogliendo lo sguardo. Mi sentivo atterrita e mi tremavano un po’ le gambe.
L’animaletto era un avvertimento: qualcuno voleva che il Re scomparisse, e Alessandro era il suo alleato più potente -nonché l’erede al trono, visto che Emanuele non aveva ancora avuto figli- sarebbe stato molto comodo togliere di mezzo anche lui.
“Santo cielo… L’hai visto? Ti prego, dimmi che non eri lì quando è successo!” Mi lasciò i polsi solo per prendermi il viso fra le mani e costringermi a guardarlo negl’occhi. Aveva le labbra strette in una linea sottile e gli occhi si agitavano inquieti su di me, cercando chissà cosa. Sebbene il suo volto non rivelasse troppo della sua agitazione, le sue parole erano state così piene di sincera preoccupazione che quasi mi commossero.
“Stavo facendo un bagno, non mi sono accorta di niente” cercai di rassicurarlo accennando anche un sorriso ma lui mi sembrò ancora più sconvolto da quella notizia. Inaspettatamente mi attirò fra le sue braccia, stringendomi forte contro di se e ripetendo “così vicina…”. Eravamo entrambi meno vestiti di quanto fosse condono in un luogo tanto esposto ma in quel momento non sembrava importante, mi bastava sentire il suo cuore pulsare sotto la mia guancia per farmi andare in tilt tutti i pensieri, e il suo profumo speziato mi stordiva come quello di un succulento pranzetto avrebbe fatto con un uomo affamato.
“Lasciami assaggiare le tue labbra, Morgana” la sua voce si era fatta improvvisamente calda, accesa da qualcosa che ancora non conoscevo ma che avrei voluto vedergli sul viso. Alzai gli occhi ad incontrare i suoi e come sempre mi scontrai con la solita espressione indecifrabile che diceva tutto eppure non diceva nulla. E come sempre solo i suoi occhi mi rivelarono il fuoco ardente che in realtà si portava dentro, quel fuoco che avrebbe potuto illuminarlo e farlo risplendere come il più bello degli astri, se solo lui gli avesse permesso di liberarsi, di riempirlo.
Gli offrii le mie labbra perché non potevo rifiutargli niente. E non era una questione di educazione, non era qualcosa che aveva a che fare coi doveri di una moglie.
Lui non mi aveva imposto un bacio con la forza. Non aveva cercato di costringermi a soddisfarlo, non mi stava forzando. Mi aveva chiesto un bacio, ma solo dopo avermi donato un po’ di se stesso.
E cosa potevo volere di più da un uomo come lui? Non avrebbe potuto regalarmi niente di più prezioso, perché sapevo che mi aveva mostrato qualcosa che non lasciava vedere a nessun altro.
Non stava cercando di costringermi e per questo non mi ribellai, per questo quando si abbassò su di me non sentii altro che il desiderio di ricevere quel primo tocco intimo che non c’era ancora stato fra noi.
Si piegò su di me con lentezza, dandomi il tempo di ripensarci, di scansarmi, ma io non ne avevo intenzione, fremevo per un misto di aspettativa e timore e desideravo che il tempo si fermasse e accelerasse insieme.
Mi sfiorò prima la fronte con un lieve tocco di quelle labbra caldissime, poi si spostò verso l’orecchio, solleticandomi col respiro e con un piccolo morso sul lobo, strappandomi brividi che mi corsero lungo tutta la schiena.
Se la prese comoda, riempiendomi di piccoli baci, di piccole attenzioni, si avvicinò pian piano alla mia bocca, come piano si era avvicinato a me negli ultimi giorni.
Quando finalmente si decise a baciarmi sul serio fu delicato, fece con calma, giocando con le mie labbra prima di approfondire. La sua lingua era liscia e molto diversa da come l’avevo immaginata, mi esplorò attentamente prima di attirare la mia in una danza sensuale e nella mia testa ben presto non ci fu posto che per la sensazione delle sue labbra.
“Oh, santa vergine!” ops… qualcuno doveva essere entrato senza che ce ne rendessimo conto.
Alessandro si staccò da me con lentezza, senza però sciogliere il nostro abbraccio. Aveva un’espressione stranissima sul viso, sembrava uno di quei gatti che, dopo aver ricevuto cibo e coccole in abbondanza, ti si acciambellano in grembo e hanno quel musetto che sembra dire: ecco, sono sazio.
Curandosi di nascondere col suo corpo il mio corpo troppo scoperto, si girò a fronteggiare Giorgio, che sembrava sinceramente imbarazzato.
“Mi dispiace… perdonatemi per- si schiarì la voce, cercando di riprendere il contegno- sì, insomma non volevo interrompere” accennò perfino un inchino.
Sorrisi nel notare che le sue guance incartapecorite erano tinteggiate di un rosa pallido e i suoi occhi vispi continuavano ad andare alla maglia di Alessandro lanciata in un angolo sul pavimento.
Beh, povero Giorgio, lui certo non poteva sapere che non ero stata io a toglierla al proprietario.
“Mio signore è arrivato un messaggio da vostro fratello che vi ricorda che stasera dovete presenziare al ballo” comunicò in fretta, forse decidendo che era il caso di andarsene al più presto.
“Ti ringrazio. Chiama Rosmerta e dille di portare qui il pacco che…” si bloccò, perché in quel momento un urlo agghiacciante ci raggiunse dal piano superiore.
“Sara!” Il mio primo pensiero fu: è stata aggredita! Pensandoci a mente più lucida forse avrei capito subito che era semplicemente entrata in camera, trovandosi davanti quel mostruoso scempio.
In quel momento però non mi passò per la mente niente del genere e semplicemente mi misi a correre verso le camere, seguita dai due uomini.
Una cosa davvero stupida in effetti: se fosse stata davvero aggredita da qualcuno avremmo rischiato di trovarci tutti quanti sulla linea di tiro e gli avremmo fornito esattamente quello che voleva.
La trovammo davanti alla porta della nostra stanza, pallida come un morto ed evidentemente sotto shock. Da una parte tirai immediatamente un sospiro di sollievo, capendo che non c’era stato un attentato, ma l’espressione con cui fissava la scena mi rimase impressa nella mente per giorni.
“Sara…” la chiamai con dolcezza, avvicinandomi con cautela. Gli uomini dovevano aver intuito che la situazione era delicata, perché rimasero un po’ indietro, lasciandoci spazio. Lei si girò a guardarmi, sembrava stralunata, incapace di formulare un pensiero coerente.
“Mia signora…” gli occhi le si riempirono di lacrime e si lanciò su di me, stringendomi forte contro il suo corpo esile.
“Oh, quando ho visto il sangue, per un istante io…” stava singhiozzando talmente forte che capivo a stento quello che diceva.
“Non preoccuparti, sto bene…” la staccai da me per guardarla negli occhi, anche se dovevo tenere la testa reclinata all’indietro perché mi superava di quasi una spanna in altezza. “Ti porto da Rosmerta, ok? Saranno Giorgio e Francesco ad occuparsi della camera”.
Giorgio si mise immediatamente all’opera, assicurandoci che poteva fare benissimo da solo, però quando per strada passammo accanto a Francesco, che stava bruciando delle foglie secche, gli dissi comunque di andare a dargli una mano.
Alessandro ci aveva accompagnato da Rosmerta e per tutto il tempo mi era sembrato alternativamente infuriato e divertito. Era evidente che, nonostante tutti gli sforzi che facevo, non riuscivo proprio a capirlo.
Sara ci mise quasi un’ora a riprendersi dallo shock e io non ebbi cuore di lasciarla lì da sola, perciò occupammo la cucina per un sacco di tempo, accompagnati dalle lamentele della cuoca.
“Signore, per quanto riguarda il vestito che mi avete ordinato…?” chiese Rosmerta ad un certo punto, indicando un bel pacchetto conservato su una sedia in un angolo.
“Mostraglielo” ordinò mio marito e la sua espressione mi sembrava di nuovo divertita. 
La donna aprì la scatola e ne fece uscire un vestito a dir poco meraviglioso. Era di colore rosso ma il corpetto aveva ricamati dei tralci fioriti con un filo argenteo e brillante. La gonna non era troppo ampia anche se la parte posteriore si allargava in un piccolo strascico. Quel vestito era un sogno! Era un misto fra i vestitini leggeri e comodi che amavo portare per potermi muovere in libertà e quelli pomposi e fin troppo addobbati che avrei dovuto mostrare in pubblico.
Guardai Alessandro con le lacrime agli occhi: potevo essergli più grata di così?
La sua soddisfazione sembrava trapelare da tutti i pori e per un istante le sue labbra disegnarono un sorriso –uno vero!- solo per me.
“Che fai Morgana? Ti mostri coraggiosa davanti al sangue e poi piangi per un semplice vestito?”… mi stava prendendo in giro?!
Evidentemente sì, e la cosa non mi dispiaceva per niente.
Ignorando tutti gli insegnamenti sulla buona educazione che avevo ricevuto, tanto più che se Federico mi avesse vista fare una cosa simile mi avrebbe strozzata seduta stante, gli gettai le braccia al collo.
“Non ho mai visto un abito tanto bello! Grazie, grazie, grazie!!!” ero così contenta che non riuscii a trattenermi dall’abbracciare anche Rosmerta, saltellando come una scema.
“Dovrai indossarlo al ballo di questa sera” Alessandro si rabbuiò tutto d’un colpo, come se la prospettiva non fosse delle migliori.
In realtà io sapevo ben poco, mi era giunta solo la voce che il Re dava un ballo e che avremmo presenziato anche noi. Bah.
 
Alessandro mi aspettava già davanti alla porta, eravamo entrambi pronti per andare. I suoi capelli castani erano raccolti in una morbida coda alla base della testa e gli lasciavano scoperto il viso. La sua espressione era più che mai illeggibile quando si girò a guardarmi e per un attimo mi trovai a pensare che era la stessa che mi aveva rivolto nella prima settimana di matrimonio.
Sorrisi e lo salutai con un piccolo inchino, cercando di dimostrargli che avevo ricevuto una buona educazione: non ero del tutto una selvaggia.
“Andiamo” si limitò a dire senza mostrarmi nemmeno quella specie di sorriso che era solito dedicarmi.
Arrivammo a destinazione in silenzio, dopo che io avevo cercato di intavolare qualche conversazione di poca importanza e lui aveva bocciato tutti i miei tentativi con risposte monosillabiche e grugniti intellegibili.
Inutile dire che la cosa aveva ucciso tutto il mio entusiasmo, mi risparmiai di mettere il broncio mentre entravamo nell’enorme villa del Re soltanto per conservare un po’ di dignità di fronte agli altri nobili.
La nostra entrata nella sala da ballo fu accolta per lo più da bisbigli e occhiatine di sottecchi, eravamo evidentemente l’attrazione della serata.
Inutile dire che la cosa mi peggiorò ulteriormente l’umore: mi sentivo come minimo presa in giro. Come mi era stato insegnato mantenni un contegno impeccabile e un sorriso gentile ma non eccessivo sulle labbra… rivolgendo uno sguardo ad Alessandro mi accorsi che la sua espressione era invece completamente vacua. Il suo viso liscio e perfetto era privo di qualsiasi cosa, più freddo di una statua.
“C’è anche Federico questa sera, mio signore?” domandai con tutta la delicatezza e sottomissione di cui ero capace, la cosa uccideva il mio orgoglio ma eravamo in pubblico e dovevamo comportarci in un certo modo.
Lui mi rivolse appena uno sguardo. “Sì” disse atono.
Un paio di signore che avevo già conosciuto ad uno dei ricevimenti cui ero stata con Federico mi si avvicinarono con fare civettuolo e Alessandro prese al volo l’occasione per defilarsi, borbottando appena un “vogliate scusarmi” appena accennato.
“Lady Morgana! Vi trovo bene!” disse Carlotta, una donna alta e magrissima, avvolta in un abito color crema che male s’intonava ai suoi capelli biondi.
“Eravamo al vostro matrimonio, che vestito splendido avevate!” disse subito Loredana, la più antipatica delle due, scostandosi dalla fronte un ciuffetto liscio che era sfuggito alla pettinatura.
“Vi ringrazio, anche voi sembrate in forma” risposi con educazione, facendo un cenno cortese ad entrambe.
“Allora, Morgana, com’è essere la moglie del principe? Vi tratta bene?” s’informò Carlotta, e io non capii bene se la sua richiesta era dettata dalla pura curiosità o se in qualche strano modo voleva essere gentile.
“Sembra così freddo, così severo! Ah, quante arie che si da! Non è che siccome è bello ed è un principe può permettersi di girare con quell’aria di superiorità…”
Ero rimasta a guardare Loredana parlare, sbigottita dalla sua audacia nel dire una cosa del genere e, soprattutto, incapace di reprimere un moto di fastidio e rabbia.
Alessandro poteva sembrare austero, superbo, glaciale… io stessa gli rimproveravo segretamente questi lati del suo carattere (non molto tempo prima ero arrabbiata con lui proprio per questo!), ma era mio marito ed io ero l’unica che poteva permettersi una libertà del genere!
“Voi siete…!” mi trattenni a stento dal mostrare tutto il mio fastidio, feci un bel sospiro e mostrai la mia maschera più educata. “Immagino che le vostre supposizioni siano basate su fondamenta molto solide. Si è mostrato superbo molto spesso nei vostri confronti?” domandai, sapendo bene che non poteva essere: Alessandro era un tipo molto schivo ma ero certa che, se mai c’era stata una conversazione fra lui e Loredana, si fosse comportato con la massima educazione.
“No… lui non…” lei fece per ribattere qualcosa ma la bloccai con un sorrisetto un po’ perfido che non riuscii a trattenere.
“Molto bene! Sapete come si dice? Quando non si sanno le cose è meglio tacere, si evita di fare una figura misera” scrollai le spalle e sorrisi, quasi quel discorso non mi avesse fatto prudere le mani dalla rabbia. Meditai di andare a prendermi qualcosa da bere e spostai lo sguardo per la sala, alla ricerca del buffet e solo in quel momento mi accorsi che dietro le due donne, ad ascoltarci, c’erano Federico e Alessandro.
Ci avevano sentite discutere? Piantai il mio sguardo in quello di mio marito, cercando qualcosa che mi facesse capire il suo stato d’animo: era arrabbiato? Triste? Felice?
Non trovai niente di più dell’ennesimo muro di ghiaccio, ma la sua impenetrabilità aveva qualcosa di tetro, quella sera.
Che le parole di quella donna lo avessero ferito? Se mai fossi riuscita a scoprire che era così, giurai a me stessa, l’avrei fatta pagare molto cara a Loredana.
Santo Dio, solo il pensiero che lui avesse sentito quel discorso sciocco e cattivo mi faceva venire voglia di prenderla a sberle fino a fracassarle tutti i denti, così che si sarebbe vergognata anche solo al pensiero di parlare.
“Avete ragione, Morgana, ma dovete ammettere che vostro marito è inquietante… ho sentito dire che le sue mani…” Carlotta abbassò la voce con fare cospiratorio, evidentemente non si erano accorte degli uomini che stavano a pochi passi da loro, intenti ad ascoltarle. “le sue mani sono ruvide. Callose” La guardai senza nascondere il mio disappunto: non capivo perché avesse tirato in ballo le sue mani.
In effetti mi ero accorta che non erano lisce e morbide come quelle di tutti gli altri nobili che mi era capitato di toccare, ma non per questo le trovavo sgradevoli… soprattutto non dopo la delicatezza che avevano dimostrato quella mattina nello sfiorarmi il viso.
“Le mani di un nobile sono prive di imperfezioni perché non può abbassarsi ad usarle per qualcosa di più difficile che impugnare l’argenteria o aizzare il fuoco. Capisci, bambina?” la voce di Alessandro non era mai stata tanto tagliente, era cupa e densa come miele, ma non altrettanto dolce, almeno in quel momento.
Bambina, era la prima volta che mi chiamava così e non capivo se fosse un modo per farmi dispetto o meno.
Gli presi una mano e lui sussultò, sorpreso. Alzai gli occhi, sorridendo, e gli baciai piano il palmo. “Ma le vostre mani testimoniano la vostra abilità con la spada, cosa c’è di più nobile?” replicai, continuando a tenere la sua mano fra le mie.
Lui distolse lo sguardo, probabilmente turbato dalla mia risposta, e io mi concessi di rivolgere la mia attenzione alle due dame che si erano fatte pallide più della neve e sembravano voler sprofondare nel nulla.
“Immagino che la nostra conversazione possa dirsi conclusa, signore. Sono molto lieta di avervi riviste.” Sorrisi e feci ciao-ciao con la mano, facendo loro capire chiaramente che dovevano togliersi da tre passi. Anche perché la mia furia avrebbe potuto esplodere da un secondo all’altro, e non era il luogo adatto per una rissa fra signore.
“Ah, mia dolce sorellina, non ricordavo così affilate le vostre parole” si fece avanti Federico, sorridendo con una certa soddisfazione.
“Non si meritavano tutta l’educazione che ho mostrato loro” borbottai, mostrando ai due uomini una scintilla della mai vera personalità.
Federico mi rimproverò subito con un’occhiataccia, ma Alessandro mi attirò a se, lasciandomi un casto bacio sulla fronte. 
“Oh, ma che teneri!” la voce che ruppe quel momento tanto dolce era quella di una donna, una donna minutissima ed esile come un fuscello. Aveva i capelli del colore del fuoco e gli occhi castani e penetranti, era fasciata da un vestito bianco, preziosissimo e perfetto per il suo corpicino da fata.
Ci inchinammo tutti e tre, salutandola cortesemente.
“Siete incantevole, mia regina” Federico le baciò la mano, indugiando qualche secondo in più di quanto avrebbe dovuto. Eppure lei parve contenta di quel gesto un po’ malizioso, perché gli sorrise, raggiante.
“Voi dovete essere Morgana, ho sentito spesso parlare di te” disse la regina, scrutandomi con quei suoi occhi scuri e indagatori, sembrava che il suo corpo sprigionasse malizia da ogni poro.
“Ne sono lusingata, Mia regina. Anch’io ho ascoltato spesso lodi su di voi e sulla vostra bellezza” risposi, con una pacatezza che mi era insolita. Eppure sapevo come trattare la regina: Federico mi aveva parlato della sua vanità e della sua arroganza, perciò dovevo essere molto cauta nel lasciar trasparire i miei veri pensieri davanti a  lei.
“Quando Alessandro ha annunciato che avrebbe preso moglie mi aspettavo… beh, una moglie più giovane. Voi avete già vent’anni, non è vero?” il tono della regina era cambiato, si era fatto più maligno e capii che non vedeva l’ora di suscitare la mia rabbia.
“Sì mia signora, ho vent’anni” mi esibii nel più falso e zuccheroso dei miei sorrisi, seppellendo il mio orgoglio sotto una montagna di falsa sottomissione.
“Dovrai sbrigarti ad avere un figlio, mia cara, o rischierai di lasciare il nostro principe senza eredi” con un colpetto della testa fece scivolare quei perfetti capelli rossi dietro le spalle, e si rivolse ad Alessandro.
“Siete così bello principe… è un vero peccato che siate tanto algido… oh, sono fortunata che vostro fratello non vi somiglia nel carattere” mi chiesi come diavolo faceva ad essere tanto avvelenata e, soprattutto, se fosse uno sport quello di umiliare Alessandro per il suo modo di fare.
“Oh, credetemi mia signora, è caldo quanto basta” intervenni senza riuscire a trattenere la lingua. Ero stufa di sentire tante cattiverie sul suo conto. D’accordo, non era la persona più loquace ed estroversa del mondo, ma a nessuno veniva in mente che poteva avere dei sentimenti anche lui?
Calò un silenzio imbarazzante e la regina sembrò fumare di rabbia, tanto era indispettita.
“Oh, e immagino che voi siate un esperta, giusto? Ho sentito dire che avete perso la purezza ancor prima di salire all’altare” sibilò, era una bufala bella e buona, ma non volevo farle capire quanto mi avesse irritata.
“In tal caso dovreste cambiare le vostre fonti” risposi con tranquillità, sistemandomi una ciocca di capelli che era scivolata giù dall’elaborata acconciatura che mi aveva fatto Selena.
“D’accordo. Mi dispiace interrompere questa deliziosa discussione, mia Regina, ma dovrei proprio parlare con il Re di una questione importante e gradirei la vostra presenza” Federico decise di intervenire e con una grazia e delicatezza innate si allontanò con l’odiosissima rossa.
Alessandro e io restammo in silenzio per un po’, a scrutarci.
“Torniamo a casa?” mi chiese alla fine, notando l’aria tesa che si era formata intorno a noi.
Annuii, vergognandomi profondamente per gli sguardi che tutti nella sala mi stavano lanciando. Mentre passavo sentii qualcuno bisbigliare parole come “poco di buono” o “sciacquetta”. Non ero mai stata umiliata così. Mai. Che vergogna.
Anche Alessandro sembrava essere arrabbiato, il suo sguardo bruciava come e più del fuoco e continuava ad imprecare contro la pioggia che ci bagnava.
Il viaggio in carrozza mi sembrò mille volte più lungo di quello all’andata e sospirai di sollievo quando vidi l’ingresso della villa.
Entrammo in silenzio e io mi fiondai subito a cambiarmi d’abito, anche perché ero bagnata fradicia.
Non feci nemmeno in tempo ad aprire l’armadio, però, che la porta della camera si aprì.
“Morgana…” la sua voce era un ringhio e il modo in cui la r gli si arrotolava tra i denti non creava il solito alone malizioso e affascinante, anzi sembrava solo rendere il mio nome più minaccioso.
Mi girai verso di lui, brillava di rabbia come non l’avevo mai visto, il suo viso aveva perso tutta la sua solita imperscrutabilità.
No… Che avesse creduto anche lui alla cattiveria della Regina? 




Grazie a chi ha recensito e anche a chi ha soltanto letto!!! =)

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Capitolo 4
*** Litigi e... ***




Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.
Il piccolo principe

 
“La tua rabbia non è giustificata, Alessandro” borbottai, scuotendo appena la testa.
“Come ti è saltato in mente di rispondere in quel modo alla regina, Morgana? Come?” ringhiò lui senza nemmeno ascoltarmi e facendo un passo verso di me. Era bellissimo così, tutto colmo di una rabbia che lo faceva splendere e, paradossalmente, pensare una cosa del genere durante il principio di un litigio mi fece arrabbiare ancora di più.
“Che c’è? Ho offeso la tua amata regina? Lei ti stava umiliando! L’ho fatto per difendere te, santo Dio! La tua gratitudine fa schifo!” mi avvicinai anch’io di un passo, tanto per fargli capire che non mi faceva paura. In realtà il mio istinto di sopravvivenza stava urlando che non era il caso di mettersi a litigare con lui: era così grosso che se avesse voluto avrebbe potuto spiaccicarmi con una sola mano.
“Non ho bisogno di protezione! Me la sono cavata da solo prima di te, e posso continuare a farlo, sai?” con un braccio diede una botta all’armadio che rimbombò forte, sussultai, ma non mi persi d’animo.
“Bugiardo! Qual è il vero motivo di questa scenata, eh? Vuoi sapere se sono stata violata? Eh? Vuoi vedere se qualcuno prima di te mi ha toccata? Dì la verità, tu credi alle parole della regina, ci credi, non è vero?” Gli urlai addosso tutta la mia vergogna e tutta la mia umiliazione, agitandomi freneticamente nel tentativo di slacciare il corpetto del vestito.
“Stai zitta, maledizione! Non è questo che ho detto!” si girò, iniziando a camminare per la stanza come un’anima in pena.
“Oh, no, non l’hai detto, ma è per questo che sei furioso, no? Vuoi sapere la verità, giusto? Allora bene, guarda pure il mio corpo, spero sarai soddisfatto!”
Finalmente ero riuscita a sganciare il vestito e lo avevo fatto scivolare giù insieme alla biancheria, rimanendo nuda davanti a lui.
Per un secondo calò il silenzio, i suoi occhi continuavano a vagare dal mio viso al mio corpo, evidentemente l’avevo colto di sorpresa. Poi però la sua rabbia si riaccese, se possibile, più forte di prima. Afferrò uno dei panni puliti che ci aveva lasciato Sara e mi venne di fronte, porgendomelo.
“Mettilo” ordinò.
Tutto ciò che feci fu sostenere il suo sguardo e la cosa richiese comunque parecchia della mia concentrazione perché il suo viso così trasfigurato dalle emozioni era la cosa più bella che avessi mai visto. Se non fossi stata anch’io furiosa con lui l’avrei baciato seduta stante, ma il mio orgoglio m’impediva categoricamente una resa del genere.
“Ti ho detto di metterlo, donna testarda!” mi ci avvolse di prepotenza, imprigionandomi le braccia e impedendomi di ribellarmi.
“Lasciami!” urlai, dimenandomi, ma lui non mi diede ascolto, anzi mi strinse più forte, costringendomi a mugolare per il dolore.
“Perché fai sempre di testa tua, eh? Avresti dovuto lasciare le cose come stavano! Volevi risparmiarmi le umiliazioni? Non pensi che così sia cento volte peggio?!?” gridò, la sua voce cupa e profonda riempì la stanza, rombando come un tuono. Mi faceva paura, mentre ero stretta fra il telo e le sue mani, e allo stesso tempo l’istinto che mi diceva di baciarlo era più prepotente che mai… era eccitante vederlo così selvaggio, così emotivo. Lui, che di solito era tutto freddezza e controllo.
“Quindi è questo… a farti arrabbiare è il fatto che ho dato alla corte un altro motivo per sparlare alle nostre spalle, ti vergogni di me”, la mia rabbia si era velocemente trasformata in amarezza e la vergogna aveva ripreso a bruciarmi dentro come e più di prima; distolsi lo sguardo da lui, era diventato improvvisamente difficile sostenere la vista del suo viso.  
“Dannazione!” mi scrollò forte, costringendomi a guardarlo “Perché devi distorcere tutto ciò che dico?!” mi piantò addosso i suoi occhi da lupo,  inchiodandomi con un sguardo di fuoco. La sua bocca calò sulla mia, attirandomi in un bacio passionale e rabbioso che non aveva niente a che vedere con quello delicato che ci eravamo scambiati prima. Mi esplorò a fondo, con forza, e si staccò da me solo quando gli morsi il labbro inferiore.
Prima che potessi parlare, però, mi posò una mano sulle labbra, con gentilezza, e mi precedette: “Non è di te che mi vergogno, Morgana”.
Capii che con quella frase riteneva di avermi spiegato tutto. Inutile dire che invece non mi aveva detto proprio un bel niente!
Feci per protestare, parlando contro la sua mano, ma mi bloccò ancora: “sì. Ho capito. Volevo dire che non ero arrabbiato perché mi vergogno di te, o perché credo alle parole della regina, ma perché avrei preferito che tu non dovessi sopportare il peso dei pettegolezzi” la mia mascella non resse il colpo, ero sicura che entro breve si sarebbe ritrovata ad osservare da vicino il pavimento, ma fortunatamente, con uno sforzo di volontà enorme, riuscii a trattenerla nella sua posizione.
“…” la mia risposta tardava ad arrivare, sepolta sotto tutto il  mio stupore, grazie al cielo lui sembrava essere perfettamente padrone della situazione….
“Benissimo. Vado a fare il bagno…”  forse dopotutto neanche lui era preparato a quel discorso. Fece per andarsene ma glielo impedii abbracciandolo da dietro, posando la guancia al centro della sua schiena forte e muscolosa che avevo adorato sin dal primo istante.
Si girò verso di me e per una volta decisi di prendere io l’iniziativa… per baciarlo fui costretta a spalmarmi completamente su di lui, tendendomi allo stremo fino a raggiungere le sue labbra con le mie.
“Lo farai domani il bagno. Adesso è tardi” sussurrai ad un millimetro dal suo viso, sfiorandogli una guancia col naso. Il telo da bagno che era rimasto fra noi durante tutta l’operazione era scivolato via, lasciandomi di nuovo esposta al suo sguardo.
Mi divorò con un’espressione totalmente simile a quella che gli avevo visto poco prima, solo che non era più la furia a farlo ardere, bensì qualcosa di molto più piacevole. In un secondo mi tirò su di peso, portandomi di nuovo all’altezza della sua bocca e divorandomi un bacio dopo l’altro. Finimmo sul letto mentre io lottavo per liberare i suoi capelli dal nastro con cui li aveva legati e lui mi riempiva il viso e il collo di baci bollenti. Le sue labbra erano soffici e delicate come seta e lavoravano sul mio corpo con dolcezza ed esperienza, ma anche con una certa urgenza. Poi, all’improvviso il ritmo rallentò, e la discesa lungo la mia giugulare fu una lenta e bellissima tortura.
“Oh, Morgana” soffiò con le labbra ad un millimetro dalla mia clavicola, “sei bellissima” lo disse pianissimo, un secondo prima di ricominciare il suo lavoro di baci e piccoli morsi, ma ero sicura di averlo sentito e non riuscii a fare a meno di sentirmi allo stesso  tempo lusingata e orgogliosa per quel complimento inaspettato, ero sicuramente arrossita, ma per fortuna lui era troppo impegnato per accorgersene.
Con le dita che mi tremavano per l’emozione, presi a sbottonare la giacca della sua divisa, lo aiutai a toglierla e subito le mie mani andarono a cercare ogni dettaglio di quella fantastica pelle bianca.
Aveva una piccola cicatrice appena sotto il pettorale destro e una dietro, fra le scapole. Esplorai tutto: il collo, le spalle, il petto e la schiena, indugiai persino sulla sottile striscia di peli che scendeva verso i pantaloni. Alessandro aspettò con pazienza che prendessi confidenza col suo corpo, lasciandosi sfuggire qualche sospiro di tanto in tanto e ricambiando le mie occhiatine maliziose con un  sogghigno che preannunciava dolcissime torture.
Ad un certo punto, quando ormai ero decisa a scoprire com’era fatto il suo corpo anche nella sua parte più intima, lui riprese il controllo della situazione.
Mi sfiorò i seni con le mani e con le labbra, gentile eppure deciso, lavorando con la lingua e con i denti, strappandomi sospiri e piccoli ansiti, suoni che mi fecero arrossire di vergogna. Lui parve accorgersi del mio disagio perché smise immediatamente, tornando sulle mie labbra e dedicando loro tantissime dolci attenzioni. Il suo modo di toccarmi era meticoloso: non c’era un centimetro di pelle cui non si dedicasse con adorazione e gentilezza, senza fretta.
Lentamente, dandomi tutto il tempo di rifiutarlo, tornò a giocare col mio petto, strappandomi di nuovo dei piccoli gemiti. Mi sembravano così strani quei suoni che mi uscivano dalle labbra, mi vergognavo a morte e non avevo idea di come fare a trattenerli. Mi pigiai una mano sulla bocca, mortificata.
“Morgana…” lui sembrava sinceramente preoccupato mentre mi guardava dall’alto, con quei capelli meravigliosi che scendevano a contornargli il viso.
“Scusami… io non…” balbettai, girando la testa per nascondermi ai suoi occhi.
“No, tesoro, guardami” gli gettai appena un’0cchiatina, ma la sua espressione mi convinse in qualche modo a concedergli la mia attenzione visiva.
“Non devi vergognarti per questo. È normale, te lo assicuro” tentò di spiegarmi, incespicando un po’ nelle parole. Evidentemente per un lupo solitario come lui era difficile rassicurare una persona in un momento tanto delicato. Vederlo così impacciato fu la cura migliore alla mia vergona: le mie labbra si aprirono da sole in un sorrisetto canzonatorio.
“Ah, io mi impegno per te e tu mi prendi in giro?! Adesso ti faccio vedere io, piccola impertinente!” borbottò con un sorrisetto diabolico, iniziando a solleticarmi i fianchi e facendomi contorcere dalle risate.
“No! Ti prego Ale…” ridevo e cercavo un modo di vendicarmi, ma lui non soffriva il solletico e l’unica cosa che riuscii a fare fu afferrare un cuscino e tirarglielo contro.
Quello fu il momento esatto in cui iniziò una vera e propria guerra senza esclusione di colpi.
Giocammo come due bambini, rotolandoci nel letto e tirandoci i cuscini, ad un certo punto eravamo così aggrovigliati nelle coperte che, per riuscire a recuperare l’arma (il suo bel guanciale soffice), Alessandro cadde dal letto.
Mi affacciai immediatamente, preoccupata che si fosse fatto male, e ovviamente mi ritrovai col cuscino in pieno viso.
“Ah, sì?” mi lanciai su di lui con la folle pretesa di bloccarlo col mio corpo e presi a colpirlo, confidando nel fatto che le sue gambe fossero ancora imprigionate nelle lenzuola.
Evidentemente avevo sbagliato qualche calcolo perché mi colpì a tradimento con un attacco a base di solletico e in qualche modo riuscì a farmi rotolare lontano dal cuscino che avevo usato come arma.
Ci trovammo abbracciati sul tappeto caldo, io completamente nuda e lui quasi, a punzecchiarci a vicenda. E, per un caso puramente fortuito trovai il suo punto debole: soffriva il solletico solo in un punto preciso, appena sotto le costole. Ovviamente mi ci accanii, e se anche lui cercava di restare impassibile e di distrarmi facendomi a sua volta il solletico i suoi occhi erano accesi da una risata repressa. Era stupendo vedere il suo viso animato da un’emozione così bella, in quel momento mi sembrò felice, e io non potevo fare a meno di esserlo con lui. Smettendo di torturarlo col solletico gli feci un sorriso, scappando dalla sua presa e lanciandomi verso la porta.
“Prendimi!” lo incitai, correndo via prima che avesse il tempo di reagire.
“Morgana!” Mi chiamò con un ringhio giocoso subito seguito dal rumore dei suoi passi dietro di me. “Sei una bambina davvero cattiva, lo sai sì?”.
Mi raggiunse in un secondo mentre scendevo le scale, senza darmi nemmeno il tempo di reagire mi prese per la vita, sollevandomi e stringendomi contro il suo petto. “Presa” disse, aiutandomi a girarmi verso di lui. Io risi, ancora un po’ affannata per il tentativo di scappare e lui rise con me.
La sua risata fu il rombo di un tono, potente e bellissima, e riempì tutta la casa illuminandola di una gioia del tutto nuova.
Aggrappata a lui come una scimmietta, mi beai di quel suono tanto raro, i miei occhi bevvero ogni istante in cui il riso indugiò sul suo volto, anche quando non restò che una scintilla nello sguardo.
“Adesso basta. Le brave bambine devono dormire.” Asserì, tornando in camera e lanciandomi sul letto. Risistemammo alla meglio le coperte e, mentre io me ne stavo già sotto le coperte, lui si preparò per la notte, restando con la sola biancheria. Spense le candele e venne ad accoccolarsi al mio fianco, passando timidamente un braccio intorno ai miei fianchi nudi, sfiorandomi il ventre con le dita.
“Alessandro…” lo chiamai, nel buio della stanza, guardando dritta nell’oscurità di fronte a me.
“Mh…” fu la sua loquace risposta, unita ad un altro lieve tocco delle dita.
“Sono felice che Federico abbia scelto te” dissi, senza girarmi per vedere la sua reazione e senza aspettarmi una risposta.
Invece lui mi baciò piano una spalla e rinsaldò la presa su di me, attirandomi più vicina al suo corpo.
“Buona notte, principessa” sussurrò con una traccia di sorriso nella voce.
“’Notte Ale” risposi, già pronta a lasciarmi andare fra le braccia di Morfeo.
 
L’autunno avanzava velocemente: dai prati erano già spariti tutti i fiori, alle rose erano rimasti solo pichi, coraggiosi, boccioli e l’aria, con il passare dei giorni, si faceva sempre più gelida.
Dalla sera del ballo non erano passate più di tre settimane durante le quali non c’erano stati eventi rilevanti in società: aveva piovuto così tanto che le strade erano state inagibili per giorni, e quasi tutti erano rimasti saggiamente chiusi in casa.
Mi girai lentamente, cercando di non sciogliere l’abbraccio in cui mi costringeva il braccio che avevo intorno alla vita e mi trovai a guardare il viso addormentato di Alessandro.
Rimasi per un po’ a contemplarlo: era talmente strano vederlo così rilassato e indifeso che mi sembrava quasi irreale, un mero scherzo della mia immaginazione deciso a tormentarmi con la dolcezza di quelle labbra dischiuse e delle ciglia scure sul candore della sua pelle.
Sfiorai delicatamente le mie labbra con le sue, lasciando che il suo respiro solleticasse il mio prima di districarmi dalla sua presa. Visto che per una volta mi ero svegliata io per prima, evento unico e quasi irripetibile, volevo fargli una sorpresa. Mentre scivolavo via dalla coperte Alessandro mugolò di protesta ma non si svegliò, limitandosi ad afferrare e stringere il mio cuscino al posto del mio corpo. Sorrisi e m’infilai una veste da camera sopra alla quasi inesistente biancheria che indossavo per dormire, ma prima di uscire gettai un’altra occhiata all’uomo che giaceva addormentato in quel letto enorme e mi sentii bene, euforica.
Andai in cucina e il mio umore era alle stelle. Sotto lo sguardo attonito di Rosmerta misi insieme una bella colazione, canticchiando e riempiendo un vassoio delle prelibatezze che ci aveva preparato la cuoca.
“Stai bene, Morgana?” mi chiese la donna guardandomi volteggiare per la cucina con indosso solo la vestaglia.
“Benissimo! Bene, ho finito. Dai un bacio al piccolo da parte mia quando si sveglia. E anche la torta. Sì. Un bel pezzo di torta, avete il mio permesso di mangiarla, sembra deliziosa” detto questo sgattaiolai via, desiderosa di assistere al risveglio del mio uomo.
Nelle ultime settimane si era preso la briga di insegnarmi tutto ciò che pensava potesse essermi utile sulla gestione del patrimonioe sulle figure di corte che io non avevo avuto l’occasione di conoscere e aveva persino tentato di introdurmi l’uso della spada. Quest’ultima cosa era stata molto divertente (e anche un po’ umiliante a dirla tutta, ero talmente goffa!), Federico mi aveva tenuta con decisione lontana da qualsiasi cosa gli fosse sembrata poco femminile, anche se su certe cose aveva dovuto rassegnarsi, imparare a maneggiare un arma non mi era mai stato permesso.
Ovviamente ero talmente lontana dal riuscire a impugnare una spada senza ferire anche me stessa che Alessandro pensava fossi un caso perso, ma si divertiva troppo a prendersi gioco di me per desistere.
Eh, sì, avevo scoperto tantissime cose sul carattere di mio marito che prima non avrei nemmeno potuto immaginare.
Per esempio che amava i gatti.
Una mattina si era presentata nel nostro giardino una gatta evidentemente incinta e tutta bagnata per via della pioggia che insisteva da giorni; l’avevo fatta entrare e l’avevo portata in salotto, la zona più calda della casa, facendo saltare i nervi a Sara che avrebbe voluto buttarla fuori immediatamente.
Alessandro stava leggendo sul divano e alzando appena lo sguardo aveva incontrato lo sguardo verde della micia, l’aveva guardata per un po’ e poi mi aveva rivolto un sorrisetto dicendo: “ha i tuoi stessi occhi, principessa” e si era rimesso a leggere, dandomi con quelle poche parole il suo benestare.
All’inizio avevo pensato che l’avesse fatto solo per me, perché aveva capito quanto ci tenessi, ma poi avevo notato che anche a lui sembrava piacere la compagnia della gatta e spesso durante le nostre letture serali lei gli si accoccolava in grembo, sonnecchiando e godendosi le attenzioni che le dedicava.
Addirittura mi aveva aiutato a costruirle un rifugio perfetto da usare come cuccia per i piccoli che sarebbero nati a breve!
 
Quando, una volta entrata in camera cercando di mantenere il silenzio mi accorsi he lui era già sveglio e mi fissava dal letto con stampato in faccia un sorrisino compiaciuto, mi indispettii un pochino.
“Cavolo, Alessandro, non riesco mai a farti una sorpresa” mi lamentai, appoggiando il vassoio con il cibo sul comodino e accucciandomi accanto a lui sul letto.
“Non essere permalosa, principessa, sono felice di essermi svegliato con un bacio” mi pese in giro, scompigliandomi i capelli con una mano.
“Hai fame, almeno?” domandai mettendo su una specie di broncio offeso che però non era molto convincente: un sorriso stava già affiorando a tradire il mio vero stato d’animo.
“Ma certo!” Mi fece segno di accomodarmi al suo fianco e mangiammo insieme.
Dopo che aveva cercato d’imboccarmi un paio di volte, finendo per farmi colare il succo della mela giù per il mento, decisi di ribellarmi.
“Ma allora dillo che il tuo obiettivo è sporcarmi tutta!” lo presi in giro, cercando di  impedire al succo di raggiungermi il collo.
Per la verità fu la sua lingua a salvarmi. Con un movimento esperto mi ripulì da tutto il nettare, lasciando che la morbidezza delle sue labbra mi sfiorasse la gola per poi salire sempre più su verso le mie labbra e, arrivato ad un passo da quelle, sfoderò un sorrisetto beffardo.
“Per la verità era questo il mio intento, moglie” borbottò, lanciandosi a divorarmi le labbra con le sue come aveva già fatto la sera prima.
 
 
 
Caro Federico,
non è passato molto tempo da quando sono qui, ma sono successe talmente tante cose da sembrarmi anni.
Ti scrivo questa lettera perché non ci sono state molte occasioni per conversare con te in modo tranquillo, e soprattutto, perché voglio farti delle confidenze che sarebbe troppo imbarazzante fare davanti ad altre persone.
Ti ricordi il giorno del matrimonio? Mi hai detto che avrei dovuto saper guardare oltre la superficie per comprendere il principe.
Ebbene, caro fratello, non sono mai stata più felice di averti dato ascolto una volta tanto. All’inizio ero terrorizzata all’idea che il Principe tenesse fede alla reputazione che gli hanno affibbiato a corte, ma poi ho capito che è un uomo meraviglioso e non credo ti potrò mai ringraziare abbastanza per questo matrimonio.
 
“Che fai, ragazzina?” la voce scura e di Alessandro, mi giunse da dietro, facendomi sobbalzare.
“Scrivo a mio fratello, sei stato a controllare la giumenta che stava male?” domandai, girandomi verso di lui e sperando di deviare la sua attenzione dalla lettera.
Sarebbe stato davvero troppo imbarazzante se l’avesse letta! E poi l’avrebbe potuta giudicare come il vaneggiamento di una bambina, e questo l’avrebbe mortificata.
“Sì, e ho un’altra notizia. Credo che Principessa stia per partorire” avevo insistito io per chiamare così la nostra micetta, sostenendo che le si addiceva. Alessandro aveva provato a ribattere che era troppo scontato, ma non avevo voluto sentire storie.
“Oh, che meraviglia!” il mio entusiasmo si smorzò immediatamente quando vidi la sua espressione corrucciata. “Che c’è che no va?”
“Niente, davvero. Solo devo uscire per qualche ora, vieni con me?” sembrava essergli costato un certo sforzo formulare quella domanda, probabilmente era un residuo d’imbarazzo. O forse era perché sapeva che non ero tipo da prendere alla leggera una dimostrazione di fiducia come quella.
Mi preparai in fretta, dovevamo andare a trovare il Duca, che stava male già da diversi mesi.
Ero a dir poco emozionata mentre montavo sulla carrozza, aiutata dalle mani gentili di Alessandro.
Un sorriso, un cenno al cocchiere e la carrozza partì. 

Chiedo perdono per questi aggiornamenti a luuuuunga scadenza ma fra la scuola e tutto il resto mi rimane poco tempo e ci tengo a non fare capitoli tirati via. 
Ringrazio immensamente chi legge e commenta e anche chi legge soltanto! ^^ Alla prossima.

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Capitolo 5
*** Non ti lascerò. ***




ATTENZIONE!
Questo è il secondo capitolo che pubblico a distanza di pochi giorni, 
controllate di aver già letto il precedente =)
Buona lettura! 


“Questa notte.. sai, non venire”.
“Non ti lascerò”.
“Sembrerà che io mi senta male… sembrerà un po’ che io muoia. È così. Non venire a vedere, non vale la pena…”
“Non ti lascerò”.

Il piccolo principe

 
Stavamo viaggiando da circa un quarto d’ora quando la carrozza si fermò all’improvviso.
All’inizio pensammo ad un intoppo lungo la strada, ma c’era uno strano silenzio che fece immediatamente rizzare le antenne ad Alessandro, che aprì la porta della carrozza per scendere a dare un’occhiata.
Stavamo attraversando il tratto boscoso che separava la nostra tenuta dalla piccola cittadina, intorno a noi il bosco era fin troppo fitto: non eravamo più sul sentiero.
“Che succede, Riccardo? Hai sbagliato strada?” Domandò Alessandro, trovandosi davanti il faccione rubicondo dell’uomo. Era venuto lui a prenderci con la carrozza perché Francesco, che di solito ci accompagnava, era rimasto ad occuparsi del frutteto: la pioggia implacabile degli ultimi giorni non era stata clemente con gli alberi, evidentemente.
“Perdono, mio signore!” Esclamò questi con una vocetta squillante che mal si addiceva alla sua corporatura robusta. Con un movimento solo, rapido, pugnalò Alessandro; il pugnale lo teneva in mano, nascosto tra le pieghe del mantello.
“Perché?” il principe sembrava del tutto incredulo mentre guardava il sangue che macchiava la sua mano destra, corsa istintivamente a tamponare la ferita. Nel frattempo la mano sinistra aveva già estratto la spada, muovendosi quasi indipendentemente dalla sua volontà. “Per quanto mi hai venduto, eh? Per quanto?” Ringhiò, puntandogli l’arma alla gola. La mano non tremava, non c’erano esitazioni: una volta le aveva raccontato che era stato addestrato a tenere salda la spada sempre, in qualsiasi condizione fisica o emotiva.
Riccardo biascicò qualcosa di poco sensato sulla sua famiglia, i suoi bambini o forse sua moglie, qualcosa su dei soldi… poi chiese ancora perdono e tentò la fuga, lasciando cadere il pugnale.
“Vigliacco” la voce di Alessandro si spense in un borbottio mentre rinfoderava la spada, lasciandolo scappare, e si girava verso di me.
Io mi sentivo più o meno una statua di ghiaccio: rigida e incapace sia di muovermi che di formulare un pensiero che non fosse: sta sanguinando, sta sanguinando!
“Morgana…” stava per aggiungere qualcos’altro ma barcollò pericolosamente e fu costretto a sedersi per non cadere. Questo mi diede una specie di scossa: dovevo far qualcosa.
“Risparmia il fiato, mio signore. Fra poco dovrai salire a cavallo” la mia voce sembrava quasi normale mentre scendevo dalla carrozza e liberavo uno dei cavalli. Era un maschio, notai distrattamente, un maschio nero. Tornado?
Ringraziai il cielo che fosse lui: era il cavallo migliore che avevamo, e il più intelligente, anche.
“Fai il bravo, piccolo… ti prego” mi tremavano così tanto le mani che faticai a sciogliere tutti i lacci che lo imprigionavano. Non c’era una sella ma potevamo farne a meno: l’importante era raggiungere un qualunque posto prima che fossero i lupi a raggiungere noi.
Alessandro riuscì a mala pena ad issarsi sul cavallo, dalla ferita perdeva abbastanza sangue da aver già formato una grossa chiazza sui vestiti e sul sedile della carrozza.
Liberai velocemente anche il secondo cavallo, ero talmente sconvolta che l’animale reagiva innervosendosi a sua volta e di certo non potevo permettermelo.
“Scusami, scusami. Va tutto bene” Mormorai salendogli in groppa, cercando di rassicurarlo con la voce. Per fortuna, essendo uno dei nostri cavalli, mi conosceva e si lasciò tranquillizzare, obbedendo docilmente ai miei ordini.
“Abbiamo deviato parecchio dal sentiero... com’è possibile che non ce ne siamo accorti?!” L’agitazione che stavo provando a reprimere trovò che parlare sarebbe stata un’eccellente valvola di sfogo, perciò le mie labbra iniziarono a formulare parole su parole, velocemente, senza quasi farle passare prima dalla mia testa.
Intanto avevamo spronato i cavalli a partire e ci stavamo dirigendo verso la città: avevo deciso che sarebbe stato molto più veloce portare Alessandro a casa di Federico e andare di persona a prendere il medico che abitava poco distante, piuttosto che tornare indietro verso casa nostra e mandare qualcuno a prendere il dottore da lì. Troppo lontano, troppo tempo. Non potevamo permetterci di perdere neanche un secondo.
Alessandro si premeva una mano sulla ferita, cercando di fermare il sangue come poteva, e teneva l’altra sul collo di Tornado. Si sforzava palesemente di restare dritto, ma aveva il viso così pallido che per poco non risplendeva nel buio del bosco.
Procedevamo abbastanza spediti, ma mi sembrava sempre che fosse troppo piano, quasi che quel bosco fosse infinito.
“Alessandro” lo chiamavo ogni tanto, giusto per sentirlo grugnire un “sto bene piccola, non preoccuparti”.
Sapevo che non era vero, la sua voce era sempre più roca e faceva sempre più fatica a star dritto sulla schiena del cavallo.
Ad un certo punto, mentre uscivamo dal bosco, rischiò di scivolare giù dall’animale. Si riprese per un pelo, stringendo il crine di Tornado e accucciandosi di più sul suo collo, stremato.
“Siamo quasi arrivati, ancora poco, te lo prometto” dissi, portandomi accanto a lui. Con una mano gli scostai i capelli che si erano appiccicati alla fronte, sudata nonostante il freddo pungente; teneva gli occhi aperti ma sembrava che anche questo gli costasse fatica.
“Non preoccuparti, Principessa, non fa neanche più male” mi rassicurò con un soffio di voce, allungandomi la mano. Il sangue impregnava il giaccone fino alla manica.
Cercai di rivolgergli un sorriso, abbassandomi a baciarlo sulla fronte e il cuore sembrò sprofondarmi nel petto: la sua pelle era fredda! Mi tolsi il mantello che avevo sulle spalle e glielo sistemai addosso come meglio potevo, sperando di tenerlo al caldo il più possibile.
“No, Morgana...” cercò di protestare, ma lo bloccai prima ancora che finisse la frase.
“Non ho freddo. E poi manca pochissimo, davvero”. Un ultimo bacio leggero, a for di labbra, e spronai il cavallo a ripartire.
Tornado mi stava dietro, seguiva fedelmente tutti i miei movimenti quasi avesse capito la situazione e stesse facendo del suo meglio per aiutarmi. Beh, gli promisi mentalmente una valanga di mele e zuccherini, ovviamente.
La casa di mio fratello non distava più di cinque minuti. Pochissimo, eppure abbastanza perché Alessandro perdesse completamente conoscenza, accasciandosi contro il collo di Tornado e costringendomi a rallentare perché non scivolasse dalla sella.
Quando arrivai di fronte al cancelletto di ferro battuto che conoscevo tanto bene mi sentii sollevata come non mi accadeva da tantissimo tempo.
Smontare da cavallo, aprire il cancello e bussare alla porta furono azioni così automatiche che le feci senza quasi rendermene conto.
Quando sulla porta si presentò Diana, la nostra vecchia governante, per poco non le scoppiai a piangere in faccia. Per poco, perché mi diedi un contegno e le ordinai di far uscire mio fratello immediatamente, di prenderlo per un orecchio e portarmelo, se necessario, non m’importava cosa stava facendo.
Lei non disse nulla ma si dileguò nel labirinto di corridoi, pronta a fare come le avevo chiesto. Santissima donna.
“Siamo arrivati, mio signore” mormorai, carezzandogli una guancia. A quell’altezza il suo viso era quasi al pari del mio e, se prima mi era sembrato semplicemente pallido, adesso era così bianco da poter far concorrenza al latte.
Aprì appena gli occhi fissandoli più nel vuoto che sul mio viso e accennò un sorriso stanco.
“Sei bellissima, Morgana” biascicò, prima di ripiombare nell’incoscienza.
Mio fratello arrivò sulla porta spinto, o quasi, da Diana, che continuava a ripetergli che non le importava se indossava soltanto una veste da camera, che ero stata io a precisare che doveva uscire prima di subito.
Vi ho già detto quanto adoro quella donna? Per la maggior parte della mia infanzia era stata una balia, una mamma e un’amica, per me, ed io le ero grata dal più profondo del cuore.
“Federico, devi…” pausa, perché non avevo alcuna intenzione di lasciarmi andare ad una crisi isterica, né in quel momento né mai. “… portarlo in braccio. È privo di sensi” conclusi, guardando mio fratello con la mia migliore espressione supplichevole.
Lui ricambiò il mio sguardo con un’espressione strana, non era sconvolto come mi aspettavo, ma era sorpreso e anche… indeciso? No, non era possibile che avesse un conflitto interiore sulla possibilità di aiutarci. Lui era mio fratello, santo cielo!
L’avrebbe fatto che gli piacesse o meno, altrimenti sarei stata capacissima di raccogliere la sedia da giardino che era lì a pochi passi e dargliela in testa finché non fosse rinsavito.
Fortunatamente non fui costretta a perdere tempo in quel modo. Fede si fece avanti cercando di sollevare Alessandro con le sue sole forze.
Con uno sforzo non da poco e qualche gemito di protesta da parte dell’altro, ce la fece, nonostante mio marito fosse di almeno una spanna più alto di mio fratello e certamente più robusto.
Barcollando paurosamente e col viso tutto rosso e teso per lo sforzo, Federico trasportò il ferito in casa. Io rimasi sulla porta a guardarlo finché non sparì dietro l’angolo, a quel punto cercai Diana con lo sguardo.
Lei annuì: “mi prendo cura del cavallo, bambina. Vai pure”.
La ringraziai mentre correvo verso Tornado e mi issavo sulla sua groppa, spronandolo al galoppo.
La casa del dottore, Luca, era vicinissima, bastava aggirare la piazzetta di fronte la casa di mio fratello e prendere una delle stradine subito a sinistra.
Per un caso fortuito che non osavo definire, fu lo stesso Luca ad aprirmi la porta.
Ero talmente agitata che parlai a raffica, rigettando sul povero dottore una valanga di parole incomprensibili tra cui, probabilmente, spiccavano “ferito”, “sangue” e “deve seguirmi” che furono quelle che quasi gli urlai in faccia. Lui fu bravissimo ad arginare la mia crisi di nervi nel modo migliore: fu velocissimo nel procurarsi i suoi attrezzi e nel seguirmi senza fare domande.
Montai a cavallo e praticamente lo obbligai a fare lo stesso senza aspettare che qualcuno preparasse il suo o qualsiasi altra cosa avesse in mente.
Dovevamo far presto. Presto.
Perché per tutti sembrava tanto difficile da capire?
Alla fine, giustificandosi con una cosa del tipo: va bene, ho capito. Si arrese al mio volere e finalmente riuscii a portarlo a casa.
 
Era quasi un’ora che aspettavo, passeggiando davanti alla porta di una delle stanze degli ospiti. Federico mi aveva chiusa fuori, sostenendo che fosse una cosa cui una donna non doveva assistere: troppo sangue, stai scherzando?
Dannazione!
C’era mio marito, era il suo sangue! E non m’importava nulla se a mio fratello sembrava una cosa troppo impressionante, io volevo stargli accanto in quel momento, volevo vedere l’espressione del dottore e rallegrarmi del fatto che non era niente di grave.
Perché non poteva essere grave. Non poteva.
Nonostante cercassi di convincermene, in parallelo c’era una vocina che continuava a sussurrarmi nel cervello: “se per colpa di Federico muore senza che io sia lì a tenerlo per mano, giuro che… che…” ma non riuscivo mai a trovare qualcosa che fosse abbastanza terribile da compensarmi di una perdita del genere.
Non c’era niente di ciò che avrei potuto fare che mi avrebbe fatto tornare indietro al momento giusto, niente che mi avrebbe fatta sentire meglio, meno in colpa. Niente che avrebbe permesso a mio fratello di liberarsi del mio odio.
Ogni tanto si sentivano dei rumori da dietro quella porta spessa ma non riuscivo a distinguere le voci o le parole. Potevo soltanto sperare che fossero buone notizie.
Diana continuava a cercare di consolarmi in qualche modo. Prima aveva provato col the, poi vedendo che non aveva sortito l’effetto desiderato era partita con gli abbracci e le coccole, poi accorgendosi che non riuscivo a star ferma in un punto, si era limitata a sedersi nello stesso corridoio in cui io stavo facendo il solco, solo per farmi sentire la sua presenza.
Ogni tanto le concedevo un sorriso o una parola, giusto per farle capire che apprezzavo, che le ero grata e che non volevo se ne andasse; poi tornavo a chiudermi nella mia testa in cui c’era in corso la lotta fra le due parti del mio cervello che sostenevano che Alessandro si sarebbe sicuramente ripreso velocemente e l’altra che insultava Federico per avermi chiuso fuori.
“Morgana!” distinsi chiaramente il mio nome pronunciato nella stanza. Doveva essere stato gridato o non sarei riuscita a sentirlo così bene, perciò sarei stata pronta a scommettere che la voce che avevo sentito non apparteneva a Luca e nemmeno a Federico. Tanto meno a Fede.
A quel punto, non potevo starmene lì con le mani in mano, giusto?
“Maledizione, Fratello! Fammi entrare o ti giuro che troverò il modo di sfondare questa dannatissima porta!” La finezza mi aveva abbandonata: non avevo mai usato tante parolacce in una sola frase e, certamente, neanche un tono tanto maleducato.
La porta si aprì di scatto. Federico aveva l’aria di essere sul punto di esplodere con una di quelle ramanzine eterne sull’educazione e sul linguaggio, nonché sulla mia posizione sociale e bla, bla, bla. Tutte cose che sapevo a memoria e di cui in quel momento non poteva importarmi di meno.
“Morgana…” la voce che pronunciò il mio nome non era quella di mio fratello. Era scura e profonda sebbene fosse solo un sussurro fioco e arrotolava la r in quel modo tutto particolare che mi faceva sempre sorridere.
In realtà più che sorridere tirai una specie di sospiro di sollievo e dissi qualcosa come: “grazie al cielo”, prima di cercare di oltrepassare la “barriera Federico” che ancora si ostinava ad ostruirmi il passaggio.
“Dove sei?” soffiò ancora, non potevo vederlo ma sentivo che qualcosa si muoveva nella stanza “dove sei?”.
Altri movimenti, un gemito e un’imprecazione di quello che doveva essere il dottore.
“Falla entrare, per l’amor di Dio! Se continua così non riuscirò mai a ricucirlo!” Esplose Luca, evidentemente esasperato.
Federico si girò per ribattere qualcosa e mi lasciò un piccolo spiraglio di cui approfittai immediatamente.
La stanza era illuminata per permettere al dottore di vedere bene cosa stava facendo, aveva in mano un bel paio di pinze con cui teneva ago e filo.
Alessandro era sdraiato sul letto quasi completamente nudo e il lenzuolo sotto di lui era pieno di sangue. Il suo viso era pallido come lo ricordavo ed era girato verso di me. Una bottiglia semi-vuota di un qualche alcolico era sdraiata al suo fianco e lui  mi fissava con occhi febbricitanti.
“Non faceva che entrare e uscire dallo stato cosciente” spiegò Luca, accennando un sorriso “perciò gli abbiamo dato l’alcol, ma è troppo agitato, non riesco a farlo star fermo” concluse.
 
Annuii, ignorando i continui sbuffi di Federico che continuava a sostenere che non avrei dovuto assistere e tante altre belle cose che non mi presi nemmeno la briga di ascoltare.
“Che fai, principe? Non è da te essere capriccioso” dissi, allungandomi sul letto per sfiorargli un braccio. I suoi occhi, che non mi avevano lasciata un secondo da quando ero riuscita ad entrare, sembrarono riacquistare lucidità per qualche secondo.
“Resta” fu l’unica cosa che disse, allungando una mano verso di me, cercando la mia.
“Ma certo che resto. Cosa credi? Non è facile liberarsi di me” ostentai un’aria di superiorità che proprio non mi sentivo e risposi al suo sorriso accennato con un altro sorriso.
“Non c’eri, prima” mi rispose, stringendomi spasmodicamente le dita fra le sue e facendomi anche un po’ di male, sebbene la stretta non fosse poi così forte.
“Adesso ci sono e non ti lascerò.” gli accarezzai il braccio teso con la mano libera, sentendo il suo corpo rilassarsi sotto le mie dita. Stava di nuovo soccombendo all’incoscienza.
Luca sembrò essermi grato per questo e riprese a manovrare ago e filo con movimenti esperti e sicuri di quelle dita agili.
“Sei bravissimo” sussurrai ad Alessandro quando si svegliò dopo non più di tre minuti, riprendendo conoscenza e cercandomi subito con lo sguardo. Una stretta alla mano, un sospiro e di nuovo perse i sensi.
Continuò così fino alla fine dell’operazione, anche mentre i dottore disinfettava e puliva di nuovo la sutura, coprendola con delle face e delle garze che gli avvolse attorno all’ampio torace.
Ogni tanto si svegliava e mi guardava, quasi ad assicurarsi che fossi ancora lì con lui, sistemava meglio le nostre mani intrecciate e poi di nuovo scivolava via da me, verso l’incoscienza.
Persino quando Luca e Federico lo trasportarono in un’altra stanza non mi lasciò la mano. Sembrava trovare confortante quel contatto e io, forse, lo trovavo più confortante di lui.
Fu proprio mentre lo adagiavano sul letto che si svegliò per l’ennesima volta. I suoi occhi si aprirono di scatto e rimasero fissi sul soffitto della camera per un paio di secondi, poi la mano di Alessandro si rilassò, lasciandosi scivolare le mie dita e, nello stesso istante, anche i suoi occhi si chiusero.
“Alessandro?” Un presentimento orribile mi chiuse le viscere mentre riprendevo la sua mano con la mia.
“Maledizione!” Luca, che si era chinato a controllare i parametri vitali di mio marito, cominciò a pompare sul suo petto con le mani. “Se ne sta andando!” ringhiò, continuando a premere il torace di Alessandro con un certo ritmo.
No che non se ne sta andando!


So di meritare la morte per il finale di questo capitolo ma se lo postavo tutto mi veniva davvero troppo lungo e allora... beh ho dovuto spezzare...
Grazie a tutte le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo ^^ Spero che vi piaccia anche questo, nonostante l'evidente piega drastica che hanno preso gli eventi... 
Beh, nel prossimo capitolo si inizia a svelare il mistero degli attentati!
A presto!

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Capitolo 6
*** Cuore ***




E capii che non potevo sopportare di non sentire più quel riso. Era per me come una fontana nel deserto.
Il piccolo principe

 
Luca continuò a pompare e contare per un paio di minuti, concentrato, e a ogni pausa controllava se era cambiato qualcosa, se aveva avuto successo.
Ad un certo punto alzò la testa verso Federico, guardandolo con un’espressione mesta e scuotendo appena la testa.
“No!” Il suono che mi uscì dalle labbra non era più di un debole gemito ma nel silenzio della stanza sembrò quasi un urlo.
“Non puoi fermarti, mi hai capito Dottore? Prova a fermarti e giuro  che renderò la tua vita un inferno!” Minacciai, allungandomi verso di lui e tirandolo per una manica in modo che mi guardasse.
Lui sospirò, puntando su di me i suoi occhi compassionevoli prima di tentare ancora, sapevo che era solo un modo per farmi contenta, perché provava pena per me, ma non m’importava. Non m’importava nemmeno che mi guardasse con tutta quella pietà. Non m’importava di niente, tranne che della vita dell’uomo che stava steso in quel letto.
Sentivo una rabbia immensa che mi stava avvinghiata allo stomaco e alla gola, chiudendoli in una morsa quasi insopportabile.
“Non provarti a morire, Alessandro” la mia voce era bassa e roca, ma di nuovo il silenzio la amplificò. “Non pensarci neanche, a lasciarmi”.
“Morgana...” La voce di Federico era dolce, era tornata la voce del fratello che amavo, molto diversa da quella dell’uomo severo che mi aveva educata. Le sue braccia mi strinsero da dietro, forse cercando di trattenermi, forse di darmi conforto. “Basta, Morgana. È andato...” mormorò piano vicino al mio orecchio.
“No, invece!” La mia voce era acuta, quasi uno strillo. “No! Mi senti Alessandro? Non ti perdonerò mai se muori! Mai!” Mi agitai nella presa di mio fratello inutilmente, mi sentivo soffocare e faceva caldissimo, tanto che desiderai con tutta me stessa poter slacciare il corpetto del vestito.
L’unica cosa di cui mi rendevo conto era la mia mano che stritolava quella di Alessandro, inerte.
“Farò l’ultimo tentativo, mia signora. Più di così non posso” la voce di Luca mi sembrava lontanissima e il mio campo visivo iniziò a riempirsi di macchie nere.
“No, ti prego...” alle mie orecchie la mia stessa voce giunse come un bisbiglio appena udibile. Non ebbi nemmeno il tempo di avere paura mentre mi sentivo cedere le gambe, perché il buio fu lesto ad inghiottirmi.
 
Mi risvegliai avvolta da una familiare sensazione di torpore, tipica del momento in cui non si è ancora del tutto fuori dal mondo dei sogni.
Sapevo per certo di non volermi svegliare, non sapevo il perché ma doveva certamente esserci un ottimo motivo, perciò non tentai neanche di aprire gli occhi ed alzarmi.
“Morgana” mi chiamò Federico, la sua voce era proprio accanto a me. Doveva essersi accorto che mi ero svegliata.
“Mmhh” mugolai, intenta a tenere lontano dalla mia mente qualsiasi pensiero legato alla realtà.
“Come ti senti?” Era premuroso, dolce. Quasi come quando, da piccola, prendevo il raffreddore. Lui si preoccupava sempre talmente tanto da vegliarmi per tutto il tempo, finché non stavo meglio.
Stavo per rispondergli bene, come avrebbe suggerito il pilota automatico che inserivo quando non ero ancora del tutto sveglia, ma tutti i ricordi che avevo cercato di tenere lontani trovarono il modo di impossessarsi della mia testa.
Spalancai gli occhi di fronte alla verità di ciò che era successo. Mi sembrava che qualcuno mi avesse aperto il petto e strappato via il cuore senza un briciolo di pietà, per poi mettere al suo posto qualcosa di pesante e pieno di spine.
Mi sfuggì una specie di lamento dalle labbra e Federico la prese come una risposta. Mi tirò su dalle coperte e mi strinse forte contro di sé quasi avesse paura che potessi andare in pezzi da un secondo all’altro e volesse tenermi insieme.
Probabilmente non aveva tutti i torti.
“Morgana…” tentò di dire qualcosa, ma io non volevo ascoltare. Niente di ciò che aveva da dirmi poteva avere importanza, ne ero certa.
“Non dire niente. Lasciami stare così. Non dirlo.” Lo pregai, nascondendo la testa nell’incavo del suo collo.
Quando ero bambina mi addormentavo spesso così e anche se il suo corpo era molto cambiato da quello del ragazzino di un tempo, il mio gli si adattava ancora perfettamente.
A cambiare però non era stato solo il suo corpo ma anche la sua personalità, tanto che ripensando al passato non sembrava nemmeno più la stessa persona. Certo, aveva sempre avuto un lato severo, rigido, dovuto all’educazione ferrea che aveva ricevuto, ma non riuscivo a ricordare quando aveva iniziato a prevalere sulla dolcezza naturale del suo carattere.
Lui prese ad accarezzarmi i capelli, cullandomi leggermente. Mi sussurrava qualche parola dolce e senza senso cercando di calmarmi perché smettessi di tremare. In effetti, non mi ero nemmeno accorta di star tremando finché non avevo cercato di spostarmi un ciuffetto ribelle di capelli dietro l’orecchio. Le mie dita sembravano le ali di un uccellino spaventato.
“Ascoltami, bambina” mormorò dopo un po’, quando il tremito si attenuò abbastanza da farmi smettere di battere i denti.
“No, no. Ti prego Federico.” Non volevo che lo dicesse!
Ero convinta che finché nessuno mi avesse detto che Alessandro non c’era più sarei stata libera di non crederci.
Perché se non potevo più godere di quei rari sorrisi che gli illuminavano il viso o ascoltare quella voce calda e così densa da sembrare quasi tangibile o sorridere per ogni r che arrotolavaoannusare il suo odore di nascosto mentre si addormentava accanto a me o guardarlo da sopra le pagine di un libro o assaggiare le sue labbra o sognare un figlio con i suoi occhi; beh, allora non volevo saperlo.
Volevo continuare a illudermi che non era successo niente, che in realtà mi ero semplicemente addormentata su quella maledetta carrozza che doveva portarci dal Duca e, semplicemente, stavo facendo un incubo.
“Morgana, guardami!” ordinò Federico, scostandomi abbastanza da costringermi a fissarlo negli occhi.
Aveva gli occhi verdi come i miei, ma i suoi capelli erano molto più chiari, tanto da tendere quasi al biondo. Mi aveva detto che somigliavano a quelli di nostra madre. Non l’avevo mai neppure vista perché nostro padre aveva fatto sparire tutto, quando lei era morta: tutto ciò che la ritraeva o che poteva anche solo ricordarla. Avesse potuto, si sarebbe strappato il cuore, per rimuoverla anche da lì. Avevo sempre pensato che l’avesse fatto quasi per cattiveria nei nostri confronti, nei miei soprattutto che in questo modo non avevo neppure un’idea del viso della donna che mi aveva messo al mondo, ma in quel momento lo capivo: sarebbe stato troppo doloroso ricordare continuamente la sua assenza.
Non è bastato eliminare tutto, vero padre? Non si può dimenticare.
Federico non aveva detto niente, anche se mi stava guardando. Le sue labbra erano piegate in una specie di sorriso dolce, indulgente, e il suo viso esprimeva soltanto amore e comprensione.
Era così che si preparava a darmi la notizia?
“Non è morto” disse, allargando il sorriso.
“Certo. Sorridi pure mentre mi dici che…” mi bloccai di colpo mentre realizzavo che non aveva detto ciò che mi ero aspettata di sentire. “Cosa?” domandai con l’espressione più ebete del mio repertorio. Dovevo sembrare proprio stupida in quel momento!
Federico si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e scosse il capo. “Hai capito e, se non avessi temuto che stessi di nuovo per svenirmi fra le braccia da un secondo all’altro, te l’avrei detto prima” chiarì.
Se aveva avuto paura che svenissi prima faceva bene a tenermi stretta, perché non ero certa di essere del tutto fuori pericolo.
Non era morto?
“Dici davvero?” la mia voce uscì strozzata e stridula, non credevo alle mie orecchie.
“Potrei scherzare su questo? È stato mentre perdevi i sensi. Luca lo sta ancora controllando, dovevi vedere la sua faccia, non ci credeva neanche lui” l’ultima parte la raccontò col sorriso sulle labbra ed io non riuscii a fare a meno di sorridere con lui mentre il mio petto tornava integro e il cuore batteva leggero al posto del piombo chiodato che c’era stato fino ad un attimo prima.
“Posso vederlo?” domandai, emozionata ed euforica allo stesso tempo.
Federico non mi rispose, si limitò a sollevarmi in braccio e uscire dalla camera. Era bello che fosse così affettuoso con me, era tanto che non mi trattava più così ed io ero felice di quel cambiamento. Anche se forse in quel momento sarei stata felicissima persino se mi avessero detto che c’erano broccoli per cena. Li avrei addirittura mangiati.
Federico entrò in camera con delicatezza, attento a non far rumore. Le uniche luci erano quelle delle candele e in quell’oscurità s’intravedevano appena sia il viso pallido di Alessandro, adagiato sui cuscini, sia la presenza di Luca, seduto su una poltrona appoggiata alla parete più lontana.
“Eccoci, bambina” Federico mi appoggiò un leggerissimo bacio sulla testa prima di mettermi giù. Toccai il tappeto con i piedi scalzi e mi resi conto che era molto strano che mio fratello mi permettesse una cosa del genere. Solitamente era molto intransigente sull’ordine personale e se non ero come minimo impeccabile mi mandava a cambiarmi, era stato così da sempre. Mi guardai meglio: il vestito che indossavo era un po’ vecchiotto e l’avevo lasciato a casa di Federico perché non lo mettevo più, ormai.
“I tuoi vestiti erano sporchi di sangue. Diana li sta già lavando” chiarì a quel punto il padrone di casa, notando il mio sguardo sospettoso.
Un’altra scompigliata di capelli e lui e Luca mi lasciarono da sola nella stanza. Il medico non mi disse niente, si limitò a sorridermi un po’ assonnato e seguire mio fratello, probabilmente era così stanco che non aveva neanche voglia di parlare.
Quante ore erano passate? Abbastanza, probabilmente. Fuori era già buio.
Mi avvicinai al letto pian piano, timorosa che Federico mi avesse mentito o chissà cosa.
Alessandro era ancora pallidissimo, ma dalle sue labbra dischiuse usciva un filo di fiato che mi fece tirare un sospiro di sollievo.
Mi abbassai a poggiare la testa sul suo petto, perché volevo sentirlo. Non era ancora abbastanza reale per me.
 
Tu-tum tu-tum tu-tum.
Il suo cuore batteva, regolare.
Tu-tum tu-tum tu-tum.
Chiusi gli occhi e lo rividi mentre rideva, con i capelli tutti scompigliati dalla lotta coi cuscini, gli occhi brillanti di emozione e le braccia strette intorno al mio corpo.
Tu-tum tu-tum tu-tum.
Quanto mi era sembrato grande, mentre mi avvicinavo all’altare? Enorme e distante con quel suo modo di fare che teneva tutti lontani dal suo cuore. Eppure la sua mano aveva tremato leggermente nella mia.
Tu-tum tu-tum tu-tum.
Quante volte mi aveva guardato dalla finestra della biblioteca mentre giocavo con Marco?
L’avevo sorpreso solo di recente a fissarmi da lì, sorridendo con un misto di divertimento e tenerezza.
Tu-tum tu-tum tu-tum.
 
Mi alzai per non rischiare di bagnarlo con le lacrime che premevano per uscirmi dagli occhi, insistenti come non erano mai state.
Con una mano gli scostai i capelli dalla fronte in un gesto che adoravo e che mi veniva ormai spontaneo.
E pensare che ero stata ad un passo dal perdere tutto. Un maledetto pugnale stava per portarmi via qualcosa di tanto prezioso che, solo il pensiero, mi faceva rabbrividire.
“Mi hai spaventato a morte, lo sai? Dovrai proprio farti perdonare, quando starai meglio!” gli sussurrai all’orecchio, sorridendo e cercando di rimandare ancora il momento crisi di pianto.
“Promesso”, mi rispose con un filo di voce, girando appena la testa verso di me. Le sue labbra erano piegate in un sorriso stanco, dolcissimo.
Il mio tentativo di non mettermi a piangere fallì miseramente mentre lo guardavo e pensavo a qualcosa d’intelligente da dire.
“Scusa se ti ho svegliato” ricerca fallita. La mia mente era quasi completamente vuota e la mia voce si spezzò almeno tre volte mentre cercavo di pronunciare quella frase che diventò incomprensibile.
“Morgana…?” Aprire gli occhi sembrò essere uno sforzo enorme, le palpebre non volevano proprio saperne di restare sollevate, pesanti com’erano. “Oh, principessa… vieni qua…” la sua voce era debolissima ma lui riuscì comunque a spostarsi un po’ per farmi spazio sul letto.
Incapace di resistere all’invito e con la paura costante di fargli male mi infilai sotto le coperte accanto a lui, attenta a stare immobile e toccarlo il meno possibile. In pratica però tutto il mio corpo era a contatto col suo, visto il poco spazio a disposizione.
La sua mano cercò la mia e, quando riuscì a stringerla, sospirò quasi di sollievo.
“Sono qui.” mormorò, cercando di rassicurarmi “perdonami…” non aveva niente di cui scusarsi, perciò lo fermai prima che potesse finire la frase, appoggiandogli un dito sulle labbra.
“Shh, va tutto bene, adesso. Riposati ancora un po’…” tentai di arginare il flusso di lacrime asciugandole con la manica del vestito, ottenendo solo di sentirle scendere più copiose di prima.
“Non… piangere” sospirò lui, ostinato, nonostante stesse già scivolando verso il sonno di cui aveva tanto bisogno.
“Ora mi passa, non preoccuparti…” lui sembrò credermi perché mi regalò un altro sorriso stanco e poi si lasciò andare fra le braccia di morfeo.
 
Nei due giorni successivi non lasciai mai il suo fianco. Ogni tanto Luca passava a controllarlo ma non sembrava preoccupato, perciò immaginavo che le cose andassero bene.
Nella notte fra il secondo e il terzo giorno gli entrò un po’ di febbre ma il dottore mi rassicurò dicendomi che la ferita non sembrava essersi infettata e che stava guarendo normalmente.
Fu solo il giorno successivo che lasciai il capezzale di mio marito per prendere una bacinella d’acqua ed una pezza con cui inumidirgli la fronte.
Nel passare davanti al salotto fui attirata da una voce femminile che aveva un che di familiare, ma non sapevo bene dove potevo averla già sentita.
In ogni caso, curiosa com’ero, non tardai ad avvicinarmi alla porta per sbirciare dalla fessura e ascoltare meglio.
Mio fratello era inginocchiato ai piedi di una delle poltrone e teneva fra le mani il piede della donna che vi sedeva e la cui visuale mi era preclusa, da quell’angolazione.
“…stai sbagliando ad affidarlo a dei tali incapaci, la situazione ci sta sfuggendo di mano. Capisci mia signora?” Il suo doveva essere evidentemente una specie di rimprovero, ma lo disse con un tono talmente gentile da suonare come una dichiarazione d’amore.
Non avevo mai visto Federico con un’espressione tanto dolce e tormentata al tempo stesso, sembrava quasi stregato dalla donna che gli stava davanti. Abbassò lo sguardo e nel farlo mi lanciò un’occhiata strana, facendomi capire che aveva colto il momento esatto in cui avevo iniziato ad ascoltare la conversazione.
“Lo so, lo so! Cosa credi? Eppure tanto incapace non poteva essere se quei due sono qui adesso” protestò la voce femminile con un tono altezzoso e superiore che mi diede immediatamente ai nervi. Una piccola mano si staccò dal bracciolo per andare ad intrecciarsi ai capelli biondo-scuro dell’uomo, costringendolo ad alzare la testa verso di lei.
“Proprio perché sono qui non ha fatto bene il suo lavoro!” rispose lui a quel punto, sempre con quel modo di fare che non gli apparteneva per niente.
Intanto, il senso della conversazione iniziava ad essere ben chiaro nella mia testa: la donna misteriosa e Federico erano i mandanti degli attentati diretti ad Alessandro!
Mio fratello riteneva Riccardo un incapace perché non era riuscito a finire il lavoro: ero riuscita a portare mio marito fin lì e lui era sopravvissuto.
Allo stesso tempo la donna dalle mani di fata riteneva che invece non fosse andata poi così male: era andato davvero vicinissimo all’obiettivo.
“Mmhh, le tue mani sono favolose, mio caro” fu il commento di quella voce squillante quando Federico riprese a massaggiarle i piedi, abbassando la testa e tornando ad umiliarsi.
Continuai a guardarli ancora un po’ mentre cercavo di convincermi che non era possibile che mio fratello, mio fratello, mi avesse tradita in quel modo.
Come aveva potuto cercare di uccidere l’uomo cui mi aveva data in sposa?
Aveva sprecato un sacco di belle parole per convincermi che sposarlo non era una punizione, per farmi credere che fosse un uomo che valeva la pena imparare a conoscere e apprezzare; l’aveva fatto solo per farmi credere che anche lui lo stimasse in qualche modo, mentre in realtà programmava già di farlo ammazzare, oppure a quello ci aveva pensato solo in seguito?
E adesso che io avevo davvero imparato ad amare l’uomo che giaceva addormentato nell’altra stanza, Federico cos’avrebbe fatto? Pensava forse che sapendolo colpevole degli attentati me ne sarei rimasta ferma, aspettando che qualcuno riuscisse a togliere di mezzo Alessandro?
L’avrei denunciato alla corte quel giorno stesso.
No. No che non l’avrei fatto: non potevo essere io a dare il via alla sua sentenza di morte.
Era pur sempre l’uomo che mi aveva cresciuta e amata, o almeno così credevo, fino a quel momento.
Forse avrei dovuto spettare di essere più lucida per prendere una decisione in merito, in quel momento non sarei stata in grado di scegliere neanche cosa mangiare per cena.
Mi allontanai dal salotto lasciando Federico inginocchiato a massaggiare i piedi della sconosciuta e mi diressi immediatamente verso la stanza di Alessandro.
Dovevamo andarcene da quella casa, quella notte stessa.
Preparai ogni cosa per bene, prendendo persino un paio di coperte di lana, oltre ai vestiti e i mantelli. Federico dopo che la donna se n’era andata si era chiuso in camera e non era più uscito per tutto il giorno, perciò fare le cose a sua insaputa non fu difficile.
Chiesi a Luca, che venne a visitare Alessandro nel tardo pomeriggio, se poteva prestarmi la sua carrozza, facendogli promettere di mantenere tutto nel massimo segreto.
Al tramonto la nostra fuga era già preparata nei minimi dettagli: saremmo partiti a mezzanotte. 

Okaay, se prima odiavate Federico adesso che volete fargli? Si accettano tutte le proposte, sono curiosa! 
Comunque, visto che alla fine Alessandro si è salvato? Sono salva, Just_love_me? Avevo già i bagagli pronti ma spero che non mi serviranno xD.
Ringrazio tutte voi che recensite, sappiate che anche se ci metto un po' a rispondere leggo sempre tutto! (T.T perdonami Hayley_Gin91)
A presto care! ^.^ 

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Capitolo 7
*** Tutto al contrario ***




“È la sua fedeltà ad un fiore, e l’immagine di una rosa che risplende in lui come una fiamma, anche quando dorme.”
Il piccolo principe

 
Un paio d’ore dopo il tramonto Diana bussò alla porta, annunciandomi che Francesco era arrivato con la carrozza e che i cavalli erano pronti a partire.
Francesco?Ma io avevo chiesto a Luca di passare a prenderci, e mancavano ancora delle ore alla mezzanotte!
Incuriosita uscii per chiedere spiegazioni al nostro cocchiere improvvisato.
“Vostro fratello mi ha mandato un messo, questo pomeriggio. Non desiderate tornare a casa?” domandò il giovane, servizievole e ben educato come al solito, pronto a obbedire ad ogni mio minimo desiderio.
“No, certo che voglio andare a casa!” Mi affrettai a dire, forse con un po’ troppa enfasi. “Abbi la cortesia di aspettare per qualche minuto” continuai poi, con più calma.
Lui mi sorrise e annuì, avendo anche la premura di offrirsi volontario per portare qualsiasi cosa mi servisse.
Lo ringraziai, ma non dovevo portare niente: dovevo parlare con Federico.
Non feci in tempo a tornare in casa che lo vidi comparire. Stava sorreggendo un Alessandro infagottato e barcollante, cercando di sostenere la maggior parte del suo peso e dicendogli qualcosa a proposito del mangiare di meno.
“Non illuderti, mezzacalzetta, sono tutti muscoli” rispose mio marito, sembrava star facendo fatica ma sorrideva divertito per lo scambio di battute.
Per un secondo anch’io sorrisi, intenerita davanti alla scena. Poi però incrociai lo sguardo di Federico e la magia scomparve, sostituita dai brutti pensieri che mi tormentavano.
Non dissi niente mentre mio fratello aiutava Alessandro a sistemarsi in carrozza, continuando a scherzare con lui come se nulla fosse.
Quando tutto fu pronto annunciai che avevo bisogno di un secondo per salutare Federico.
Lo tirai in un angolo, e rimasi a fissarlo, delusa e amareggiata, senza saper bene cosa dire. Da dove iniziare?
“Sicura di volerlo portare via adesso? Potrebbe essere pericoloso, è ancora così debole…” ci pensò Federico a intavolare una conversazione, aggiungendo anche un bel tocco di finta preoccupazione alla farsa.
“Pensi che potrei vivere in casa tua, dopo ciò che ho scoperto su di te?” domandai quasi ringhiando di rabbia.
“Lo so che ci hai visti, e so che quello che sto facendo è sbagliato ma devi capire…” s’interruppe e distolse lo sguardo, a disagio e con la tristezza negli occhi.
“Cosa, dovrei capire?” sbottai, sussurrando perché gli altri non si accorgessero del nostro litigio.
“Che vi terrei al sicuro. Te lo giuro” i suoi occhi erano sinceri e di un verde così intenso da stordire, esattamente come erano sempre stati.
Sarebbe stato facile cedere alla tentazione di credergli. Di gettarmi fra le sue braccia e dimenticare che lui aveva tradito la mia fiducia nel modo più orribile di tutti.
“Come pensi che possa crederci?! Tu sei responsabile degli attentati! Non ho intenzione di stare ad ascoltarti un secondo di più” la mia rabbia doveva essere tangibile, perché mi sentivo ardere come un fuoco. In più avevo una maledettissima voglia di scoppiare a piangere e prenderlo a schiaffi contemporaneamente.
“Che cosa…?” lui sembrava totalmente sconcertato. Che non si fosse reso conto di quanto della loro conversazione avevo origliato?
La sua espressione sconvolta e il viso pallido sembravano essere autentici: la conferma che non aveva nemmeno immaginato fino a che punto avevo capito.
“Non ti denuncerò, ma non voglio mai più sentire la tua voce o vedere il tuo volto. Per me non esisti.” sussurrai, la mia voce era tutto ad un tratto diventata fredda e dura. Un sibilo letale.
“Morgana, aspetta, lascia che ti spieghi…” la sua voce era incrinata, usciva a fatica dalla gola, quasi il passaggio fosse ostruito da qualcosa. Mi attirò in un abbraccio che non riuscii a respingere immediatamente, tanto che ebbe il tempo di sussurrarmi: “qualunque cosa io abbia fatto, ho agito per il tuo bene. Tu sei più di una sorella, per me. Ti amo come se fossi mia figlia”.
Avrebbe continuato a parlare, se non mi fossi liberata dal suo abbraccio piantandogli il piccolo tacco della scarpa in un piede e scappando verso la carrozza che mi aspettava, già pronta a partire.
Erano solo bugie, ricordai a me stessa, cercando di far chiarezza nei pensieri che avevo per la testa.
Non crederci, non crederci, non crederci; continuavo a ripetermi come un mantra mentre la carrozza iniziava a muoversi. Il viso di Federico era contratto in un’espressione di puro dolore, non l’avevo mai visto così triste in tutta la mia vita e il pensiero che fosse colpa mia mi stringeva il cuore.
Non crederci, lui ti ha ingannata fino ad ora. Non credergli. Dicevo a me stessa, per essere sicura che non avrei fermato la carrozza per rimangiarmi tutto e abbracciarlo.
Ero talmente nervosa che ogni rumore mi faceva sobbalzare e non riuscivo a fare a meno di lanciare continue occhiate ad Alessandro. Lui, dal canto suo, sembrava lottare contro la stanchezza che gli faceva ciondolare la testa ad ogni piccolo scossone della carrozza, se possibile mi sembrava ancora più pallido di quando eravamo partiti.
“Hai preso le medicine?” Gli domandai, allungando una mano per stringere la sua.
Immediatamente mi preoccupai di sistemare meglio le coperte che lo coprivano: era congelato!
“Appena prima di partire” rispose, accoccolandosi meglio contro il sedile in pelle.
“Hai freddo?”
“No, sto bene” mentì spudoratamente, senza riuscire a convincermi nemmeno un po’. La sua fronte cominciava ad imperlarsi di piccole goccioline di sudore, segno evidente che il suo corpo non pensava affatto di star così bene.
“Vieni qui” ordinai aprendo le braccia e il mantello, facendogli segno di appoggiarsi a me in modo che potessi coprire entrambi col mio mantello. Speravo di riuscire a trasmettergli un po’ di calore, in questo modo.
Lui mi guardò, incerto, quasi pensasse che appena si fosse deciso a obbedire l’avrei rifiutato e deriso.
Si mosse lentamente, appoggiandosi a me con estrema riluttanza e rilasciando un breve sospiro quando chiusi le braccia intorno alle sue spalle larghe, coprendoci. Non dissi niente, mi limitai a tenerlo stretto contro di me.
“Nessuno mi ha mai abbracciato così” mi confessò, sfiorandomi dolcemente il collo col naso. “Mia madre diceva che era una cosa che solo i deboli potevano permettersi e che io, essendo nato per proteggere i miei fratelli, dovevo dimostrare di essere forte”. La sua voce monocorde non riusciva a nascondere del tutto l’amarezza che gli provocavano quei ricordi. Per un attimo pensai che si sarebbe scostato da me, volendo continuare a credere a quelle parole così poco materne.
Davvero una donna poteva essere così crudele nei confronti di un figlio? Davvero poteva negargli persino un abbraccio?
Forse allentai la presa o feci qualche piccolo movimento inconsapevole perché Alessandro si staccò quel tanto che bastava per guardarmi negli occhi: la sua espressione era piena di una tristezza talmente profonda che mi atterrì.
“Non allontanarmi da te. Ti prego” appoggiò di nuovo la testa nell’incavo del mio collo, sfiorandomi appena con il naso. “Desidero solo che ti mi stringa ancora per un po’. Solo un po’ ”
Non gli avrei mai rifiutato una richiesta del genere, mai. Non l’avrei fatto nemmeno se mi avesse ordinato di abbracciarlo con i soliti modi scorbutici, figuriamoci dopo una preghiera del genere.
Sospettavo che quel suo essere improvvisamente tanto dolce e arrendevole fosse una conseguenza della febbre. Se fosse aumentata ancora avrebbe probabilmente iniziato a delirare e la cosa mi preoccupava: aveva preso le medicine, perché non funzionavano?
Santi Dei, il mondo quel giorno mi sembrava capovolto. Niente era come mi aspettavo che fosse. A partire da mio fratello.
Com’era successo? Quando? Ma soprattutto: come facevo a farlo tornare come prima?
All’improvviso Alessandro mugolò di dolore e si staccò da me con forza, tenendosi una mano sulla bocca e l’altra sullo stomaco.
Dio del cielo, il suo colorito era passato dal bianco al verdolino!
“Francesco, ferma la carrozza!” Urlai.
Il cocchiere mi prese in parola, fermando i cavalli immediatamente, fregandosene del fatto che stavamo occupando per intero un piccolo sentiero di campagna. Fortunatamente non c’era nessuno dietro di noi in quel momento.
Aiutai Alessandro a scendere, sostenendolo mentre barcollava fino al cespuglio più vicino.
“Vai in carrozza, io…” qualsiasi cosa volesse dire, fu interrotto dal primo conato che gli svuotò completamente lo stomaco dal poco che ero riuscita a fargli mangiare quella sera.
“Dannazione...!” imprecò lui quando i conati non accennarono a smettere, nonostante ormai non ci fosse più niente da rimettere.
Appena riusciva a tirare il fiato non faceva che scusarsi, chiedendomi di aspettare in carrozza.
“Non è necessario  che tu stia a guardarmi mentre…”
Ovviamente non gli lasciai finire la frase nemmeno una volta, assicurandogli che non avevo alcuna intenzione di andarmene mentre lui stava male, fingendo di non vedere e non sentire.
Quella mattina e anche la sera prima era successa più o meno la stessa cosa. Appena metteva in bocca qualcosa lo rigettava.
Preoccupata lo sostenni fino alla carrozza, aiutandolo a sciacquarsi con un po’ d’acqua che ci aveva procurato Francesco.
Sembrava stare già meglio: il suo viso aveva ripreso colore e pareva aver recuperato un po’ di forze. Sperò con tutta sé stessa che Federico non gli avesse fatto mettere qualcosa di strano nel cibo.
Lo accolsi di nuovo fra le mie braccia e lui non protestò, lasciando che lo stringessi a me come poco prima.
Fu molto diverso, però, perché lui passò la maggior parte del tempo cercando di farmi venire la pelle d’oca, sfiorandomi il collo con le labbra e sogghignando per ogni tentativo riuscito.
“Federico mi è sembrato triste” se ne uscì all’improvviso, giocando distrattamente coi lacci del mio corpetto.
“Ah, davvero?” non era decisamente un argomento che avrei voluto affrontare. Proprio no.
“Già. Credo che non gli piaccia litigare con te” buttò lì, senza fingere neanche per un secondo di non aver visto il nostro teatrino.
“Forse avrebbe dovuto pensarci prima” borbottai, irritata. Il discorso si chiuse così perché proprio in quel momento Francesco ci annunciò che eravamo arrivati.
La carrozza si fermò proprio davanti alla porta della nostra casa e io mi lasciai scappare un sospiro di sollievo: avevo davvero temuto di aver fatto uno sbaglio enorme a costringerlo così presto ad un viaggio, ma allo stesso tempo continuavo a pensare che restare da mio fratello sarebbe stato un suicidio bello e buono.
 
La mattina dopo mi svegliai con la testa appoggiata al petto di Alessandro, con le gambe allungate a prendere quasi tutto il letto.
Ah, ma quanto era bella la mia casa?
Mi stiracchiai un po’, decisa a crogiolarmi ancora un po’ sotto le coperte prima di rimettermi a dormire ma Alessandro non sembrava pensarla al mio stesso modo perché appena si accorse che avevo il fianco scoperto la sua mano scattò a farmi il solletico, quasi non stesse aspettando di meglio.
“Buongiorno dormigliona” disse, divertito dall’urletto sorpreso che mi aveva strappato.
Mi girai per fulminarlo con lo sguardo e trovandomi a valutarlo: aveva il colorito ancora un po’ pallido, gli occhi erano vispi e divertiti e anche il sorrisetto impertinente che gli distendeva le labbra era un segno positivo.
Il sollievo che sentii fu tale che, senza neanche pensare che potevo fargli male, mi lanciai su di lui, catturando le sue labbra con le mie in un bacio quasi primordiale.
Lui non si lamentò, afferrandomi per i fianchi e rispondendo al bacio con la stessa passione. Solo quando fece per alzarsi a sedere sotto di me sibilò di dolore, ricadendo sdraiato sul letto. La ferita era proprio nella zona addominale e alzarsi in quel modo non doveva giovarle più di tanto.
Non volle fare colazione e anche a pranzo si limitò a bere il brodo caldo, dicendo che non voleva affatto trovarsi di nuovo con lo stomaco sotto sopra. Visto che non sembrava aver la febbre, non gli diedi nemmeno le medicine, fidandomi del mio istinto.
Lessi per lui per quasi tutto il pomeriggio, finché non crollò, addormentandosi con la testa appoggiata alle mie gambe. Stava disteso con la coperta che lo copriva solo a metà e una mano adagiata vicino al viso, con i capelli che gli circondavano la testa come un’aureola scura, in netto contrasto con la mia veste bianca.
Sembrava un bambino.
Lo svegliai per la cena e dovetti quasi costringerlo a mangiare qualcosa di solido, anche se capivo che avesse paura di star di nuovo male non poteva stare a digiuno, perciò mi impuntai e alla fine mi accontentò.
“Fai aaaaahhh…” lo presi in giro, impugnando una forchetta.
Alessandro mi guardò scettico, metà divertito e metà infastidito.
“Guarda che sono capace di mangiare da solo” grugnì, rifiutandosi di farsi imboccare.
“Oh, ti prego, lo trovo divertente!” cercai di convincerlo con il mio migliore sguardo da cucciola ferita, ma lui non demorse. Mi prese la stoviglia di mano e si portò alle labbra il boccone di carne, ostentando bene ogni movimento.
“Cattivo” mi lamentai, alzandomi e uscendo dalla stanza come se mi fossi offesa. In realtà volevo soltanto andare a prendere in bagno delle bende nuove e dei panni per lavare la ferita.
Dopo neanche due secondi che armeggiavo col cassettoncino di legno del bagno sentii il rumore orribile di qualcosa che va in frantumi venire dalla camera da letto.
“Alessandro?” lo chiamai, preoccupata.
Non mi rispose.
“Mio signore?” aspettai un altro secondo e niente.
A quel punto mi precipitai in camera, già pronta ad immaginare gli scenari più terribili che la mia fantasia riusciva a produrre.
Qualcuno poteva essere riuscito ad entrare in casa e fargli del male? Il suo cuore si era di nuovo fermato?
Non era successo niente del genere.
“Non provarti a scendere dal letto, Principessa! Non vogliamo che ti tagli, vero?” alzai un sopracciglio, continuando a guardarlo mentre, seduto per terra, raccoglieva tutti i minuscoli frammenti in cui si era rotta la sua abatjour perché altrimenti la gatta rischiava di tagliarsi con i cocci.
“Sei un disastro” brontolai, lasciandolo a raccogliere i pezzi e tornando a fare ciò che stavo facendo.
Quando tornai di nuovo in camera con le bende lo trovai che dormiva con la micia accoccolata fra il braccio e il petto.
Erano così carini che non ebbi il cuore di svegliarlo, perciò scesi per andare a salutare Rosmerta e Marco.
Erano giorni che non passavo un po’ ti tempo con loro, ormai.
“Oh, cara, è arrivato poco fa il messo del dottore. Non volevo disturbarti, perciò ho preso il biglietto per te…”
Mi porse una lettera scribacchiata con una calligrafia quasi illeggibile
 
Principessa Morgana,
mi scuso per non essere potuto passare questa mattina per controllare la salute del principe, spero comunque non ci siano stati problemi.
Passerò domani in mattinata.
 
“Povero dottore, dev’essere stato difficile trovare una cura alla febbre del principe, visto che il suo stomaco non tollera gli infusi di salice” se ne uscì Sara ad un certo punto, alzando appena gli occhi dai piatti che stava rigovernando.
Rimasi per un secondo sconvolta quando capii: ecco perché Alessandro era stato tanto male di stomaco!
Infuso di salice.
Molto astuto, non me ne sarei mai accorta se non fosse stato per quel commento della dolce Sara. Il fatto che fosse cresciuta al servizio della casa reale si era proprio rivelata una manna dal cielo.
“Oh, sì. Ma l’importante è che la situazione si sia risolta” risposi, ostentando un sorriso falsissimo.
Avevo notato che si era creata una strana tensione nell’aria in seguito alle parole di Sara, ma si era subito stemperata col mio commento.
Quella sera andai a dormire con una sola idea in testa: scoprire se l’idea di avvelenare il principe con una medicina apparentemente innocua era stata del dottore o di mio fratello.
Stavo iniziando a pensare di non potermi più fidare neanche di me stessa, dannazione!
 
Dormii pochissimo e male, perseguitata da incubi su incubi in cui rivedevo il viso addolorato di Federico, risentivo la sua voce che mi sussurrava di volermi bene come ad una figlia. Poi lo rivedevo inginocchiato, a meditare piani di assassinio.
Mi svegliai con un umore talmente nero da spaventare anche me stessa.
Sgridai addirittura Rosmerta per aver messo troppo limone nel the della colazione.
Insomma, ero intrattabile.
“Calmati bambina” fu il commento di Alessandro quando, spazzolandomi i capelli, mi si ruppe la spazzola e me ne uscii con una esclamazione non proprio femminile.
“Non chiamarmi così” ringhiai, girandomi di scatto verso di lui.
Mi stava guardando dal letto ed era incredibilmente bello con le coperte che coprivano solo per metà il suo petto nudo. Gli avevo appena cambiato le bende e spiccavano per il loro biancore sull’azzurro vivo delle lenzuola.
La sua pelle stava tornando velocemente di un bel colorito e anche la ferita sembrava in via di guarigione.
Sospirai e gli sorrisi.
“Scusami, sono un po’ tesa oggi” mi giustificai, avvicinandomi per baciarlo sulla fronte. Lui catturò le mie labbra con le sue, il suo sguardo mi disse che voleva farmi rilassare in un modo molto poco casto.
Oh, beh, non mi sarei lamentata di certo.
Proprio in quel momento Sara mi annunciò che il dottore era arrivato e  stava salendo.
“Ricordati di fingerti addormentato” mi raccomandai, sfiorandolo con un altro bacio e andando ad accogliere il nostro ospite.
“Come andiamo, principessa?” mi domandò il dottore sorridendomi bonariamente e passandosi una mano fra i capelli biondi.
“Oh, non molto bene. Vomita ogni volta che mangia, eppure mi assicuro che prenda regolarmente l’infuso!” la mia recita sembrò convincerlo perché mi regalò la sua migliore occhiata comprensiva, dicendomi che lo avrebbe visitato per accertarsi che non ci fossero problemi di infezione.
Ma quale infezione, lurido figlio di nessuno!
Appena mi diede le spalle e si chinò verso Alessandro presi la spada che avevo appoggiato all’armadio in previsione di quel momento e la puntai alla schiena di Luca che s’immobilizzò immediatamente.
“Salice, dottore?” ringhiai, astenendomi dal piantargli la lama nella schiena solo grazie alla forza di volontà.
“Oh, mia cara, non credo che tu sia in grado di maneggiarla quella” rise lui, per niente turbato.
“Per la verità è discretamente brava. Me ne sono accertato personalmente” Alessandro rispose per me, tranquillo e beato come se non fosse successo niente.
Beh, beato lui perché io ero sul punto di sclerare del tutto.
Per l’ennesima volta.
“Chi ti paga per questo?” domandai, spingendo leggermente la lama contro di lui senza però arrivare a fargli davvero male.
“Oh, no bellezza. Questo non si dice” si girò verso di me per sorridermi con una strana espressione sul viso.
“Dannazione, no!” Alessandro si lanciò in avanti un secondo troppo tardi. Il dottore spinse indietro con tutta la sua forza, trafiggendosi con la lama che gli tenevo premuta alla schiena.
“Non pensavo fosse così doloroso” biascicò, sbilanciandosi in avanti fra le braccia di Alessandro, che corsero a sostenerlo.
Lasciai andare la spada, incredula. L’espressione di Alessandro era esattamente lo specchio di come mi sentivo: atterrita e sconvolta.
“Che cosa…” non sapeva cosa dire e cosa fare, continuava a fissare l’espressione dolorante del medico.
“Non mi pento di averti tradito” disse, poi chiuse gli occhi e si afflosciò del tutto contro mio marito. 

Già, incredibile vero? Ci ho messo un mese ma alla fine ce l'ho fatta. 
Perdonatemi per i tempi biblici, lo so che aggiorno molto alla cazzo ma alcune cose riesco ad apire word e buttarle giù senza problemi, mentre altre proprio non riesco a scriverle decentemente.
Fra l'altro, l'ultimo pezzo di questo capitolo non l'ho riletto, perciò se trovate molti errori, perdonatemi: appena ho un secondo lo modifico ^^
Che dire... grazie a tutte coloro che commentano *.* adoro leggere le vostre recensioni!
Alla prossima, Ale ^^

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Capitolo 8
*** Pavimento azzurro ***




 

“Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua…”
Il piccolo principe

 
 
L’unica cosa che riuscivo a vedere era il sangue: imbrattava le lenzuola azzurre del nostro letto, il petto di Alessandro e buona parte del corsetto del mio vestito. L’elsa della spada sporgeva dalla schiena del medico, conficcata in profondità dentro di lui. Automaticamente la presi, estraendola dal suo corpo e passandomela sul vestito pensando, più o meno consciamente, che se avessi lasciato che il sangue s’incrostasse la lama si sarebbe rovinata.
Dovevo essermi incantata a fissare l’arma, perché mi accorsi che Alessandro si stava muovendo soltanto quando me lo trovai davanti. Aveva adagiato il corpo di Luca sul tappeto e il rosso del prezioso fluido vitale iniziò a impregnare anche quel tessuto, accentuando l’approssimarsi di un mio probabile crollo nervoso.
“Morgana…” Alessandro mi chiamò, prendendomi per il mento e costringendomi a spostare lo sguardo sul suo viso, la dura mascolinità dei suoi lineamenti e la gelida risolutezza dei suoi occhi furono l’appiglio che m’impedì di lasciarmi andare all’isteria: la sua espressione era familiare, rassicurante persino.
“Rovinerà il tappeto” borbottai, accorgendomi che la mia voce suonava vuota, lontana, terribilmente strana.
“Non preoccupartene, va bene? Lascia che ci pensi io” il suo tono gentile m’indusse a chiedermi che razza di aspetto dovevo avere: raramente la sua voce aveva espresso quel tipo di cortesia, potevo soltanto immaginare che la mia espressione rivelasse più di quanto avrei voluto.
“Credo che andrò a lavare via…” non finii la frase, ma lui capì comunque e annuì, regalandomi anche un leggerissimo sorriso.
“Vai e aspettami, ti raggiungo immediatamente”.
Il fatto che non rimasi stupita di quelle parole, che non reagii in alcun modo se non con un cenno del capo, la diceva lunga sulla mia scarsa lucidità.
Per abitudine mi girai verso l’armadio per prendere dei vestiti puliti da indossare, ma Alessandro mi bloccò dicendomi che me li avrebbe portati lui.
Solo quando arrivai in bagno mi resi conto che avrei dovuto chiedere a Sara di riempire la vasca, se volevo lavarmi. Guardai la porta per un secondo ma non riuscii a decidermi ad uscire, scivolai lentamente fino a sedermi sul pavimento freddo, mi sentivo priva di forze, svuotata.
Com’ero arrivata a quel punto? Quand’era che la mia vita aveva cambiato rotta, lasciando la strada tranquilla e sicura per un sentiero pericoloso? Per un attimo il viso di Federico mi si affacciò alla mente, non l’espressione sofferente che aveva quando me n’ero andata da casa sua, ma il sorriso rassicurante di quando ero piccola e mi rifugiavo fra le braccia, al sicuro dalle paure che m’impedivano di dormire.
Avrei voluto andare da lui e gettarmi ancora fra le sue braccia in cerca di conforto, ma sapevo che non potevo aspettarmelo da mio fratello, non quando era da lui che dovevo proteggermi.
Come fai quando una delle due persone più importanti per te cerca di uccidere l’altra?
Non avendo risposta a quella domanda facevo del mio meglio per tenere in vita entrambi.
Alessandro entrò in bagno con l’acqua calda per la vasca e con il vestito pulito. Dalla mia posizione mi sembrava immenso, un gigante mandato a salvarmi dal fiume in piena che mi stava travolgendo. Salvo poi rendermi conto che era lui il fiume, era per la sua vicinanza che mi trovavo trascinata in tutto quel casino.
Non me ne lamentavo, no, ero felice di essere vicino a lui, una piccola parte di me si compiaceva persino nel pensare che senza di me sarebbe stato completamente solo in balia dei suoi assassini.
“A star seduta sul pavimento prenderai freddo” mi disse, abbassandosi accanto a me.
Alzai lo sguardo sul suo viso, i tratti decisi e quasi duri dei lineamenti mi erano talmente familiari che avrei potuto tracciarli ad occhi chiusi.
Con un dito tracciai il profilo di quelle labbra piene e sensuali che s’incresparono in un sorriso sotto il mio tocco, fu qualcosa di molto intimo, solo per me.
“Cosa ti tormenta, Morgana? Il tuo viso è triste” il sorriso svanì com’era arrivato e i suoi occhi si fissarono su di me, penetranti come se potessero arrivare a guardarmi fin dentro l’anima.
Scossi il capo cercando di negargli i miei pensieri, certa che se avessi parlato sarei scoppiata in lacrime. Non volevo mostrarmi sempre tanto debole di fronte a lui, ero certa che essere costretto a subirsi il mio piagnisteo una volta fosse stato più che sufficiente.
“Non mentirmi principessa. È per il dottore? O per la lite con Federico?”
Non riuscii a impedire che le mie labbra s’increspassero in una smorfia al solo sentire il nome di mio fratello. Dei, potevo amarlo tanto quanto lo odiavo? Ero distrutta al pensiero dell’espressione penosa che gli avevo lasciato sul viso, ma allo stesso tempo speravo che stesse soffrendo il più possibile sotto il peso dei suoi sotterfugi e dei suoi inganni.
“Sono così arrabbiata e delusa!” All’improvviso la mia voce suonò un po’ più stridula del normale, alzai lo sguardo per fissare Alessandro negli occhi, solo vagamente consapevole del miscuglio di emozioni che lasciavo trasparire. “Non riesco più a guardare nessuno senza chiedermi se sta per tentare di ammazzarti, come faccio a fidarmi dopo che persino Federico…” il fiato mi si mozzò in gola all’improvviso mentre mi rendevo conto di ciò che gli avevo appena rivelato.
“Federico?” il suo viso si era congelato in una espressione  di totale sbalordimento.
Dannazione, ero una stupida, una stupida! Adesso lui avrebbe avuto tutti i diritti di ripudiarmi come moglie e di volere la testa di mio fratello servita su un piatto d’argento.
“L’ho sentito parlare con qualcuno, si lamentava di aver affidato il lavoro a degli incapaci che non erano riusciti ad ucciderti” mi affrettai a spiegare, buttando fuori quel peso che avevo sullo stomaco da giorni interi. “Perdonami, mio signore, non sapevo cosa fare. Non voglio che muoia.”, lo supplicai con lo sguardo di capire il mio punto di vista, Federico era mio fratello, mi aveva cresciuta e aveva cercato di far sì che sentissi il meno possibile la mancanza dei nostri genitori. Non potevo condannarlo a morte, non avrei mai potuto farlo, ne ero certa. Potevo odiarlo e maledirlo, potevo essere talmente arrabbiata da augurargli tutta la sofferenza possibile, ma nessun ragionamento lucido mi avrebbe mai portato a cercare di togliergli la vita.
“Sei sicura che abbia detto questo? Testuali parole?” Alessandro mi guardò serio in viso, non sembrava arrabbiato, sconvolto, triste... niente, il suo viso esprimeva il più assoluto vuoto, come sempre.
“No, non ha detto esattamente questo, ma... non ha importanza, perché era ciò che intendeva! Alessandro...” volevo supplicarlo ancora di risparmiargli la vita, ma lui mi interruppe prima che potessi finire la frase.
“Ascolta, principessa,è possibile che tu abbia interpretato male le sue parole. Non credo che Federico cercherebbe di uccidermi” un sorrisetto gli incurvò leggermente le labbra mentre mi guardava dritta negli occhi, lui era davvero convinto, non sembrava neanche prendere in considerazione che potessi aver ragione. “Rifletti, Morgana. Non mi avrebbe concesso la tua mano per poi coinvolgerti in una serie di attentati, non credi?” Sembrava ragionevole, no? Il discorso filava e io volevo disperatamente credergli, ma, se il mio cuore si era già aggrappato alla speranza, abbracciandola con gioia, il mio cervello continuava a mandarmi segnali di allarme sempre più evidenti. Non potevo fidarmi di nuovo di Federico, se l’avessi fatto e poi Alessandro fosse morto per mano sua non me lo sarei mai perdonato. Mai.
Mi gettai di slancio fra le braccia di mio marito, appoggiandomi al suo petto e aspirando forte il suo odore mischiato a quello del sangue che ancora ci impregnava entrambi. Lui mi strinse forte per un po’, rassicurandomi e cullandomi con una dolcezza davvero insolita.
“Ti aiuto a lavarti, va bene?” Mi domandò, la sua voce roca fu solo un sussurro nel mio orecchio e non potei fare a meno di rabbrividire. La mia risposta fu un bacio a fior di labbra mentre lasciavo che sciogliesse il nostro abbraccio per preparare la vasca, lamentandosi che avevamo perso troppo tempo a parlare e l’acqua si era un po’ raffreddata.
Decretai che non m’importava: a meno che non fosse del tutto congelata l’avrei trovata sicuramente gradevole.
Mi aiutò ad alzarmi e si mise alle mie spalle, sciogliendomi i capelli dai pochi fermagli che avevo usato per far sì che non mi ricadessero davanti al viso. Le sue mani erano grandi e delicatissime mentre sfilavano e lasciavano cadere le piccole mollette finché non ne rimase nessuna.
Accarezzò le onde d’ebano dei miei capelli per tutta la loro lunghezza, saggiandone la consistenza e portandoseli vicino al viso per annusarne l’odore.
Li spostò con delicatezza dalla mia schiena e io li trattenni sulla spalla per lasciargli libero accesso alla chiusura del vestito.
Lui però se la prese con calma, mi sfiorò il collo e la nuca con le dita, era bello sentire quella leggera ruvidezza che mi stuzzicava, sostituita poi dalla morbidezza delle sue labbra che mi fecero venire i brividi in tutto il corpo.
Sospirai e, docile come non ero mai stata prima, lasciai che facesse del mio corpo ciò che più gli piaceva.
Prese a slacciarmi il corpetto, baciando ogni lembo di pelle che scopriva via via che allentava le stringhe.
“Profumi di pesca” sussurrò soffiandomi il suo fiato caldo sulla nuca mentre finiva di togliermi l’abito, facendolo scivolare via dal mio corpo che rimase così esposto completamente ai suoi occhi di lupo.
“Fai il bagno con me” lo pregai non sapendo dove avevo trovato lo sfacciato coraggio di chiedergli una cosa del genere.
Non sentendolo rispondere mi girai a guardarlo, trovandolo intento ad eliminare anche i suoi indumenti. Non lo aiutai come lui aveva fatto con me, lasciai che i miei occhi godessero di ogni millimetro di quella pelle chiara che si scopriva per me.
Era bello, nonostante il suo torace fosse parzialmente nascosto dalla grossa benda bianca che nascondeva la ferita. Per una volta non volevo badare a non fargli male, non volevo analizzare ogni cosa che mi passava per la testa chiedendomi se era appropriata da dire.
Ero nuda davanti a lui e lui era nudo davanti a me, tutto il resto era superfluo in quel momento.
Non volevo toccarlo con le braccia tutte sporche di sangue, così entrai nella vasca, sapendo che i suoi occhi non si perdevano neanche il mio più piccolo gesto. Mi accoccolai e raccolsi dell’acqua fra le mani, facendomela scivolare lungo il corpo, lasciando che si portasse via il rosso del sangue. Alessandro si unì a me, prima di tutto occupandosi di lavare il mio corpo e i miei capelli, passando le dita sul mio cuoio capelluto in un massaggio erotico e rilassante che mi fece sciogliere fra le sue braccia.
Solo una volta finito mi prese il viso fra le mani per baciarmi, finalmente, le labbra. Non aveva fretta qual giorno, voleva offrirmi tutta la dolcezza di cui era capace e il suo bacio fu lento, estenuante, meraviglioso come le carezze gentili che lasciava sul mio corpo.
In qualche modo mi trovai distesa sotto di lui sul pavimento del bagno, l’idea che potesse essere scomodo o freddo mi sfiorò solo un istante prima che le sue labbra iniziassero a vagare sul mio corpo.
Stuzzicò tutti i miei punti più sensibili con la lingua e con le dita, donandomi un piacere che non avevo mai immaginato possibile. Era intenso, totalizzante, ad ogni nuova ondata mi portava sempre più in alto, costringendomi a gridare e contorcermi sotto le sue carezze.
Lasciò per qualche secondo che mi riprendessi da quella sensazione meravigliosa, tornando a baciarmi le labbra e capovolgendo le nostre posizioni. Lo guardai dritto negli occhi, sembravano ancora più azzurri del solito ed erano roventi, carichi di un orgoglio tutto maschile e della più viva delle fiamme; mi baciò ancora e incurvò le labbra in un sorriso, dicendomi con lo sguardo che lasciava a me il comando. Potevo giocare col suo corpo come lui aveva fatto col mio.
Il mio imbarazzo scomparve ad un tratto, mentre mi posizionavo sopra di lui, decisa a donargli tutto ciò che avevo. Lui avrebbe potuto pretenderlo molto prima, invece aveva aspettato che fossi io a decidere ed era arrivato il momento. Mi era quasi morto fra le braccia e, mentre stritolavo quella mano inerte, avevo capito che non volevo perdermi neanche la più piccola cosa di quello che potevamo avere insieme.
Alessandro spalancò gli occhi, bloccandomi per i fianchi. Non si aspettava che arrivassi a quel punto. Magari che lo toccassi, che lo baciassi, non certo che decidessi che la nostra unione doveva avvenire in quel grande bagno dal pavimento azzurro.
“Avevo progettato rose e un bel caminetto acceso, per questo” mormorò donandomi un bellissimo sorriso, lasciandomi però di nuovo libera di muovermi come preferivo, aiutandomi con le mani ad eseguire i movimenti giusti senza però forzarmi.
“Ci sarà tempo per quello.” Assicurai, baciandogli il naso e poi le labbra. Non sapevo da dove veniva tutta quella audacia, ma dentro di me sapevo che era quello il momento giusto. Era perfetto anche senza rose e senza caminetti, senza tappeti e letti morbidi. Soltanto io, lui e il pavimento azzurro.
Mi guidò con le mani senza accennare a cambiare posizione per poter assumere il comando, voleva che fossi io a decidere quello che sarebbe successo, mi lasciava libera di spostarmi in un modo o nell’altro, di essere brusca o delicata.
I nostri occhi rimasero incatenati per tutto il tempo, potevo sentire i muscoli del suo petto tendersi e guizzare sotto le mie dita e le sue mani caldissime sui miei fianchi.
Fu doloroso, ma il mio corpo era pronto e non tardò ad aprirsi per lui, nonostante qualche piccola fitta di dolore mi impedisse di raggiungere il piacere per la seconda volta, fui immensamente soddisfatta nel guardare il suo viso perdersi nel momento di più assoluta liberazione e nel sentirlo dentro di me in tutto il suo calore.
“Oddio, ti amo, Morgana.” Per poco non piansi nell’ascoltarlo soffiare quelle parole poggiandomi un bacio sulla fronte, mentre stavo rannicchiata sul suo petto ad ascoltare i battiti del suo cuore.
“Anch’io, mio signore”.
Non credevo che mi avrebbe mai detto che mi amava. Anzi, in un primo momento non credevo affatto che mi avrebbe mai amata e neppure che io avrei potuto ricambiarlo.
Ero felice, dannatamente felice. Restammo diversi minuti ad ascoltare il silenzio, distesi sul pavimento azzurro che da quel giorno sarebbe stato uno dei miei preferiti, insieme al tappeto della sala, quello su cui mi ero addormentata la prima notte in cui abbiamo diviso il letto.
“Dobbiamo alzarci o ci prenderemo un raffreddore” commentai , alzando la testa per guardare il suo viso: aveva l’espressione più vivida e rilassata che gli avessi mai visto.
“Ai vostri ordini!” esclamò tirandosi a sedere all’improvviso e prendendomi praticamente di peso mentre si rimetteva in piedi.
Inutile dire che si bloccò a metà movimento, portandosi la mano con cui non mi teneva alla ferita.
“Maledizione! Che idiota, me n’ero quasi dimenticato...” continuò ad insultarsi prendendo dei respiri profondi per calmare il dolore.
“Fammi vedere, non ti sarà saltato un punto?” Mi affrettai a preoccuparmi immediatamente, togliendo in fretta la fasciatura bagnata e scoprendo la ferita. I punti erano tutti al loro posto, nonostante qualche goccia di sangue fosse  sfuggita, macchiando la garza.
Mentre il dolore per lo sforzo a cui l’aveva sottoposta si attenuava e lui riprendeva un po’ di colorito, lo medicai, fasciandolo di nuovo con attenzione.
“Va meglio?” gli passai una mano fra i capelli scuri, e lui mi sorrise, prendendola e baciandomi il palmo.
“Mi dispiace, sono un rottame” scherzò, avvicinandosi di nuovo alla vasca.
Ci ripulimmo con calma per poi rivestirci a vicenda. Non avevamo voglia di abbandonare quella stanza, era come se fosse una bolla tutta nostra, fuori da ciò che succedeva nella realtà.
Sapevo che appena fossi uscita da quella porta il mondo reale sarebbe tornato a farmi visita.
Nel momento esatto in cui ci decidemmo ad uscire trovammo Sara davanti alla porta, indecisa se bussare o meno.
“Oh, ecco...” L’imbarazzo colorò le sue gote quando si rese conto che l’avevamo trovata in attesa davanti alla porta del bagno. “Ero venuta ad annunciarvi che sua Maestà sarà qui entro un’ora.”
 
Esattamente un’ora dopo ero seduta di fronte a sua maestà il Re Giulio, al mio fianco Alessandro mi teneva una mano e giocherellava con le mie dita, totalmente a suo agio.
E perché non avrebbe dovuto? Giulio era suo fratello! Ero io quella che si sentiva sotto esame, scrutata dagli occhi azzurri del Re.
Dopo ciò che aveva detto la regina mi aspettavo di avere a che fare con un uomo solare e allegro, invece dopo lo scambio di saluti convenzionale era piombato un silenzio imbarazzante, se non avessi imparato a controllarmi nei miei primi tempi con Alessandro avrei già iniziato ad agitarmi sul divano, invece ero perfettamente immobile e apparentemente tranquilla.
Rosmerta arrivò, portò il the e se ne andò, il tutto senza che nessuno rompesse il silenzio, Alessandro la ringraziò con un cenno.
“Finalmente mi fai conoscere la tua mogliettina, fratello. Cosa stavi aspettando?” Giulio si decise, finalmente, a parlare mentre teneva in mano la sua tazza di the.
“Volevo tenerla tutta per me” mio marito non si scompose, rispondendo in quel modo con tutta l’innocenza del mondo, come se fosse la cosa più ovvia da dire.
“Ho sentito parlare di lei. Dicono che la sua lingua sia più avvelenata del dente di un serpente” commentò il Re. Stava parlando di me come se non fossi presente e la cosa mi dava sui nervi, ma non potevo certo intromettermi, dovevo avere pazienza e fingere di non essere irritata.
Alessandro mi guardò con un sorrisetto sulle labbra, “ha il suo modo di vedere le cose, giusto principessa?”
“Dico solo ciò che penso” sempre, e senza quasi avere filtri fra cervello e parole, ma quello forse era meglio se me lo tenevo per me.
Giulio tornò a guardarmi, odiavo il modo in cui i suoi occhi mi scrutavano, quasi pensasse che concentrandosi a sufficienza avrebbe potuto vedermi nuda.
“Oh, non ho dubbi. Lucrezia è rimasta davvero impressionata” per un attimo non capii a chi si stava riferendo, non avevo sentito spesso chiamare la regina con il suo nome, di solito era appunto Regina  o sua maestà, insomma, non la chiamavano Lucrezia quasi mai.
Nessuno rispose a quell’affermazione, sia io che Alessandro avevamo ben chiaro il mio primo ed ultimo faccia a faccia con la regina e nessuno dei due ci teneva a ripeterlo.
“Tornando alle cose importanti, mio caro fratello, ho saputo che qualcuno ha cercato di toglierti la vita” Giulio lo guardò intensamente, sembrava sinceramente preoccupato per la salute del fratello e questo gli fece guadagnare qualche punto ai miei occhi.
Dopotutto, però, capivo perché Alessandro si sentiva in dovere di proteggere il Re, oltre che per lealtà nei suoi confronti: anche se era il fratello minore, mio marito era decisamente più alto e robusto dell’altro, la cui corporatura era molto più esile, quasi femminea. Era bello, certo, ma di una bellezza molto poco virile, a differenza di Alessandro i cui lineamenti erano un trofeo alla mascolinità.
“Qualcuno c’è quasi riuscito” non riuscii a trattenermi dal dirlo, fu proprio più forte di me.
“Ci sono andati fin troppo vicini”, ammise Alessandro, “non ero preparato, di solito mirano alla tua vita, non alla mia”.
“Ci ho pensato, infatti. L’unica soluzione che mi è venuta in mente è che stiano cercando di sbarazzarsi di te per infliggere un danno alla mia protezione. Lo sanno tutti che sei tu ad organizzare la mia guardia...” il re si portò le mani al mento, assorto nei suoi pensieri. La mia teoria era leggermente diversa, però.
“Chi erediterebbe il trono se entrambi moriste?” domandai, folgorata da un’intuizione terribile.
“La Regina, se venisse a mancare anche lei, tu, mia cara. Ovviamente nel caso non ci siano figli di nessuno dei due” mi rispose il Re, non aveva capito dove stavo andando a parare.
“No, intendo a parte noi due, non saremmo difficili da far fuori una volta tolti di mezzo voi due, Vostra Maestà.” Chiarii, lui sembrò riflettere seriamente, scambiandosi uno sguardo con Alessandro, che aveva lo sguardo altrettanto pensieroso.
“Federico” il tono di mio marito era tetro come non lo era mai stato prima nel pronunciare il nome di mio fratello.
Il re annuì “probabilmente, sì. Il Granduca è ormai alla fine dei suoi giorni, e così anche il Duca Glenn. Federico sarebbe il candidato più ovvio da mettere sul trono...”.
Ed ecco che anche quella piccolissima luce di speranza scomparve dal mio cuore. Federico. Dannazione, voleva arrivare al titolo di Re? Era quello il motivo di tutto?
“Già, ma è uno dei miei collaboratori più stretti e mi fido molto di lui” Giulio sorrise, scuotendo la testa.
Alessandro concordò, guardandomi: “non si è mai mostrato tanto ambizioso, ma, anche se lo fosse, non è così codardo da organizzare un colpo di mano e poi lasciare che siano dei sicari a portarlo a compimento.
Rosmerta entrò tutta trafelata, accompagnava la regina e, parlando del diavolo, Federico.
“Oh, che sbadato! Ho dimenticato di avvisarvi del loro arrivo. Non è un problema, vero?”


Incredibilmente sono riuscita ad aggiornare questa storia! Lo so, ci ho messo quasi un anno e adesso volete uccidermi, avete ragione. 
Non tenterò neanche di giustificarmi tirando in ballo esami di maturità e test di ammissione vari, la verità è che avevo perso totalmente l'ispirazione e la voglia di aprire una pagina di word. Spero che qualcuna di voi abbia comunque voglia di continuare a seguire questa storia.
Grazie a tutte voi che avete recensito il capitolo precedente, adoro leggere le recensioni, mi danno uno stimolo in più quando cerco di buttare giù il capitolo.
E grazie a te che nemmeno sai che questa storia esiste, eppure mi hai dato la spinta giusta per finire il capitolo.

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Capitolo 9
*** Silence ***



 

 

Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle.
Il Piccolo Principe

Dannazione, sì che lo è! Avrei voluto urlare al Re prima di buttare fuori a calci quella serpe altezzosa della regina insieme al traditore di mio fratello.
Oh, ero talmente delusa da lui, talmente arrabbiata che... che non riuscii a fare a meno di guardarlo entrare con la solita disinvoltura, salutando cortesemente e col sorriso sulle labbra.
Era lo stesso di sempre, si comportava esattamente come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione, eppure mancava qualcosa. I suoi occhi, cerchiati da profonde occhiaie scure, erano spenti e vuoti, privi della luce vivace e maliziosa che aveva sempre fatto cadere le donne ai suoi piedi.
Imposi a me stessa un bel sorriso mentre salutavo educatamente la strega, dimostrando, con un po’ di autocompiacimento, che potevo controllare la mia bocca il tempo necessario a convivere con quella donna per un pomeriggio.
D’accordo, ero ben lungi dall’aver provato di riuscire a reggere per l’intera durata della visita senza dire niente di sarcastico o sconveniente, ma almeno avevo iniziato nel migliore dei modi.
Salutare Federico fu molto più difficile, invece. Ci trovammo l’uno davanti all’altra a guardarci e io sapevo di dovermi mostrare quantomeno naturale, altrimenti i reali avrebbero capito che qualcosa fra noi non andava e io non volevo che indagassero per paura che scoprissero il suo tradimento. Mi davo della stupida ogni giorno per l’ostinazione con cui mi impegnavo a proteggerlo, ma dannazione, era mio fratello!
“Lieta di vedervi, caro fratello” mormorai, accennando un sorriso tremante. Cosa avevo appena accennato sulla naturalezza del mio comportamento? Beh, ovviamente il mio carattere era troppo impetuoso per poter celare così bene il tumulto emotivo che scuoteva la mia povera anima.
“Anche per me è un piacere, Morgana” senza che potessi far niente per evitarlo mi trovai imprigionata in un abbraccio che mi sorprese, soprattutto visto che Federico non si limitò ad una stretta leggera, le sue braccia mi tennero contro il suo petto per un tempo che mi sembrò fin troppo lungo.
“Federico” il mio sussurro risultò indignato e arrabbiato, esattamente come avevo deciso di dovermi sentire, sapendo che stava approfittando del fatto che non potevo ribellarmi a quella eccessiva dimostrazione d’affetto davanti agli occhi attenti degli altri ospiti.
“Ti prego, perdonami” il suo di tono era invece più mesto e triste di quanto fosse l’ultima volta che gli avevo parlato, la sua voce roca e spezzata mi fece temere che una volta sciolto il nostro abbraccio avrei visto i suoi occhi bagnati di lacrime e non credevo che sarei stata in grado di sopportarlo.
Fortunatamente, quando un secondo dopo le sue braccia mi resero la mia libertà, i suoi occhi erano verdi e asciutti, benché conservassero una traccia di profondo dolore.
Scelsi di ignorarlo e tornai a sedermi accanto ad Alessandro, sperando che il sorriso che mi ero dipinta sulle labbra non fosse troppo palesemente falso, la facciata che avevo costruito con tanto impegno mi sembrava pesare una tonnellata, dovevo apparire calma e serena quando invece avevo dentro un fuoco che ruggiva per esplodere.
Ero arrabbiata perché quando finalmente ero riuscita a raggiungere un momento di pace con Alessandro erano arrivati loro a distruggerlo, furiosa perché Federico aveva deciso di usare le mie debolezze contro di me, presentandosi nell’unico modo in cui non avrei potuto cacciarlo. Ero triste, perché vedere mio fratello soffrire mi faceva male, nonostante tutto ciò che lui aveva fatto per meritarselo, ed infine ero maledettamente felice perché, dopotutto, quel giorno ero diventata una donna, avevo donato il mio corpo all’uomo che amavo ed avevo scoperto che mi ricambiava e, dannazione, ci meritavamo tutta la felicità di cui potevamo godere.
La stanza era immersa nel silenzio più totale e gli unici a sembrare immuni all’imbarazzo sembravano il re ed Alessandro, quest’ultimo poi aveva ripreso il contegno glaciale e inquietante che usava tenere all’inizio della nostra conoscenza, dunque in quel momento capire se stava provando una qualsivoglia emozione era quasi impossibile.
Dopo un paio di minuti anch’io iniziavo a trovare spiacevole il silenzio e la Regina decise, probabilmente, di averne abbastanza.
“Morgana, cara, ho sentito parlare dello splendido giardino che può vantare questa casa e ho proprio voglia di godermi questa splendida giornata” la guardai per un attimo con un’espressione a metà fra l’incredulo e il divertito: la finestra mostrava uno scorcio di cielo coperto da nuvoloni grigi che non facevano altro che promettere pioggia. “Lasciamo gli uomini ai loro discorsi e ai loro sigari, ti va mia cara?”
Mi ero già alzata dal mio posto, pronta ad accettare l’invito di Lucrezia pur di liberarmi di quel clima impassibilmente ostile, quando mi resi conto di ciò cui aveva accennato la regina.
“Oh, no, che nessuno provi ad accendere in questa stanza uno di quei disgustosi e maleodoranti sigari!” mi accorsi del mio tono ringhiante solo quando mi trovai tutti gli occhi puntati addosso. Federico era quasi scioccato: probabilmente ero stata talmente scortese che non riusciva nemmeno a metabolizzare le mie parole per arrabbiarsi, Alessandro mi guardava ma i suoi occhi non dicevano niente di niente, erano congelati come il resto del suo viso ed io non riuscivo a decifrarlo quando indossava quella maschera di ghiaccio. Conscia di aver esagerato, mi affrettai a cercare di rimediare, mi abbassai per guardare negli occhi mio marito con la più mesta delle espressioni che ero capace di tirare fuori, “vi prego, mio signore, la puzza non andrà via per settimane dalla tappezzeria!”.
Alessandro non fece una piega e non seppi mai cosa avrebbe risposto, perché fu preceduto da Giulio.
“Oh, che naso sensibile mia cara! Alessandro, avresti dovuto dirmi che ti eri già dato da fare abbastanza da piantarle il tuo erede nel ventre” le sue parole mi gelarono ma prima che potessi ribattere qualsiasi cosa, prima che potessi anche solo girarmi a guardare il re (e magari anche complicare ulteriormente la situazione con un commento acido sul suo modo di definire una gravidanza), mio marito con un solo, minimo, gesto della testa mi fece capire che era il momento che io mi togliessi di mezzo, andando a fare quella benedetta passeggiata con Lucrezia.
Con la sensazione di aver combinato un disastro di dimensioni colossali mi apprestai a seguire Lucrezia fuori dalla stanza, senza neppure il coraggio di sbirciare il viso di Alessandro per cercare di capire quanto avevo esagerato con la mia stupida incapacità di tenere la bocca chiusa.
Condussi in silenzio la regina fino al gazebo, il mio umore era diventato cupo come il cielo sopra di noi e di certo non avevo voglia di intrattenermi con una donna che aveva già distrutto senza pietà la mia immagine pubblica.
Lei però sembrava pensarla diversamente perché attese che fossi io ad iniziare un discorso solo per qualche secondo prima di farlo lei stessa.
“Non aspettate un bambino, non è vero mia cara?” per la prima volta i suo viso si addolcì in un sorriso che non era malizioso o di scherno.
“Se anche fosse, ancora non potrei certo saperlo...” mormorai distratta, ripensavo al viso assolutamente privo di espressione di Alessandro.
Era talmente tanto tempo che non mi guardava più con quell’immobilità glaciale che ero terrorizzata a’idea di sapere cosa nascondeva sotto quella maschera. Doveva essere furioso e questa volta io non avevo rabbia da opporre alla sua per poter sostenere il litigio. Iniziavo a pensare che la coppia reale portasse solo guai.
“Mio marito è ossessionato dall’idea che Alessandro possa avere un figlio prima di lui” mi confessò la regina, sistemando l’ampia gonna del vestito mentre si sedeva sotto il gazebo. Lo sguardo mi cadde sui minuscoli piedini che facevano capolino, chiusi in un paio di scarpette perfettamente ricamate; piedini di fata, pensai, prima di rendermi conto del motivo per cui il tono della sua voce mi sembrava tanto familiare!
La regina era complice di Federico nel complotto ai danni di mio marito. Chissà perché la cosa non mi sconvolse, non mi ero mai fidata di lei e, forse, in qualche recesso della mia mente l’avevo sempre saputo. O, più probabilmente, non c’era più niente che potesse sconvolgermi. 
“Non...” non cosa? Che stavo per dire? A salvarmi dal mio momentaneo vuoto fu il passaggio di Rosmerta, portava un grosso cesto verso la cucina, probabilmente si apprestava a cucinare per la cena.
“Rosmerta!” La chiamai facendola sobbalzare, spaventata.
“Sì, mia signora?” Si riprese in fretta, inchinandosi leggermente.
“Gli ospiti si trattengono per la cena”, non avrei avuto alcun bisogno di avvisarla: avrebbe dovuto essere pronta a quell’evenienza, ma era l’unica cosa che mi era venuta in mente per distogliere l’attenzione dalla regina.
“Sì, mia signora”, si piegò di nuovo sulle ginocchia e scappò via con il grosso cesto stretto fra le dita. Probabilmente l’aumento di lavoro le aveva messo fretta.
Tornando a prestare la mia attenzione a Lucrezia, mi sembrò di scorgerle sul viso un’espressione cupa e quasi triste, molto diversa dall’arroganza che era solita mostrare.
“Non ti capisco, Morgana” esordì ad un certo punto, alzandosi per fronteggiarmi.
La guardai senza capire, ma nel suo volto non c’era niente che potesse darmi un indizio sul perché di quella improvvisa ostilità. “Perché dite questo?” domandai, assolutamente spaesata.
“Tu vuoi bene a tuo fratello” constatò, spiazzandomi ancora di più. Certo che gli volevo bene, avrei fatto qualsiasi cosa per lui,  la profonda ferita che mi aveva lasciato dentro il suo tradimento era il segno più evidente del mio amore, per non menzionare la mia incapacità di denunciarlo. Non capendo dove voleva andare a parare restai in silenzio: non mi aveva posto una domanda.
“Se gli vuoi bene, come hai potuto farlo cacciare da un servo? Lo trovi tanto indegno da non potergli nemmeno concedere di essere tu stessa a sbattergli la porta in faccia?” la sua voce era accusatoria, la solita alterigia accantonata in favore di una rabbia malcelata.
“Ma di che diavolo stai parlando?” e tanti saluti all’educazione. Quella donna vaneggiava, Federico non si era mai presentato a casa mia, e figuriamoci se mi sarei mai sognata di farlo mandare via da qualcun altro! Se dovevo punirlo, volevo che vedesse il mio viso mentre lo facevo, non certo quello di uno qualsiasi dei miei domestici!
“Non fare la finta tonta con me, Morgana! O la tua memoria è così breve da non riuscire a ricordare qualcosa che è successo a malapena ieri?” Se il viso di Lucrezia non fosse stato tanto serio avrei pensato che mi stesse prendendo in giro.
“Ieri?” ripassai mentalmente l’intera giornata, cercando il presunto momento in cui avevo ordinato a qualcuno di mandare via qualsiasi ospite si fosse presentato alla porta: ovviamente non c’era stato un evento simile. Avevo passato tutta la giornata con Alessandro, uscendo dalla nostra stanza solo per andare a prendere i pasti e per il bagno. Solo a sera mi ero concessa una gita nelle cucine. “Non è possibile, mi è stato detto che l’unico ad essere passato da casa era il messo del dottore!” decisamente qualcosa non tornava, o la regina stava vaneggiando o il giorno precedente mi ero persa qualcosa.
Per quanto mi sarebbe piaciuto propendere per la prima, non vedevo quale vantaggio avrebbero potuto trarne Lucrezia e Federico: di certo non era facendomi sapere di essere passato a trovarmi che avrebbe riconquistato la mia fiducia.
Finalmente l’espressione della regina cambiò e la rabbia lasciò il posto alla sorpresa.
“Che cosa? Ha aspettato per ore fuori dalla porta della tua casa e tu non eri nemmeno stata avvertita della sua presenza?” era il suo turno di essere confusa e il suo viso sarebbe stato maledettamente comico se il mio cervello non fosse stato troppo impegnato ad elaborare la situazione. Federico aveva aspettato per ore di essere ricevuto prima che qualcuno lo buttasse fuori a calci senza che io ne avessi la minima idea.
“Mia signora...” Francesco comparve con un tempismo incredibile. Ero talmente furiosa che lo fulminai con uno sguardo di fuoco.
“Sei un idiota!” Lo aggredii senza aspettare che parlasse.
Lui rimase sconvolto dal mio scatto d’ira, fu evidente dalla sua espressione mentre si inginocchiava ai miei piedi in un atteggiamento di completa sottomissione.
“Perdonatemi, mia signora,  anche se temo di non sapere per cosa vi devo delle scuse” era davvero dispiaciuto e sembrava non costargli niente starsene inginocchiato in quel modo davanti a me.
“Sei stato tu a parlare con Federico ieri?” Domandai, più ragionevole di fronte a tutta quella mestizia.
“Ieri era il mio giorno libero, mia signora. Aiutavo mia sorella.” Potevo sentirmi più sciocca? Ne dubitavo. Mi sentii immediatamente in colpa per essermi arrabbiata con lui in quel modo irragionevole, senza nemmeno essermi assicurata che ci fosse anche solo una remota possibilità che potesse essere lui il responsabile. Se lui non era presente, restava un unico uomo fra i domestici.
“Alzati, Francesco. Sono stata ingiusta a prendermela con te. Dì a Giorgio che non voglio vederlo oggi, se ci tiene a restare in vita. E ora riferisci ciò per cui eri venuto” sospirai, rendendomi conto che la mia rabbia era scomparsa, lasciandomi sola con me stessa. Una compagnia davvero poco gradita in quel momento.
“Il Principe ordina di tornare in casa, sembra stia per arrivare la pioggia” riferì, affrettandosi poi ad andarsene al mio congedo. L’avevo spaventato. Grandioso! Accennai uno sguardo al cielo, era grigio e tetro esattamente come quando avevamo lasciato il salotto, perciò non capivo perché ci aveva richiamate: se era per la pioggia non avrebbe proprio dovuto lasciarci uscire, erano ore che era imminente.
“Ha paura a lasciarti sola con me” Lucrezia sembrava divertita dalla sua stessa affermazione mentre si alzava dal gazebo e mi precedeva lungo il viale che ci avrebbe riportate in casa.
“Oppure ha paura a lasciare voi sola con me. Sembra che la mia lingua avvelenata sia fuori controllo ultimamente” accennai, amareggiata dalla prospettiva di guardare mio marito e sbattere di nuovo contro un muro di ghiaccio.
“Non essere sciocca Morgana...” probabilmente avrebbe detto qualcos’altro ma le voci concitate che venivano dalla sala la bloccarono. Entrambe, quasi per un tacito accordo, ci fermammo ad ascoltare gli uomini che discutevano riguardo ad una questione militare.
“Non è una buona idea. I paesi dell’est sono in guerra da anni, non potrebbero darci alcun aiuto e, anzi, ci troveremmo nell’obbligo di combattere al loro fianco...” la voce di Alessandro era priva di inflessione mentre snocciolava i contro di una alleanza.
“Non abbiamo bisogno di entrare in guerra, maestà. Siamo già ad un passo da una rivolta, la situazione non potrebbe che peggiorare. Siamo riusciti a mantenerci neutrali per anni, questo è il momento peggiore per scegliere uno schieramento” a parlare era stato Federico con quel tono calmo e paziente che mi ricordava le ore passate ad ascoltarlo mentre mi faceva lezione.
Volevo guardarli senza essere vista, perciò feci capolino in silenzio dalla porta, l’unico a darmi le spalle era mio fratello, perciò potevo vedere chiaramente il profilo di Alessandro mentre lui era troppo concentrato sulla replica di Giulio per accorgersi di me.
Fu proprio mentre stava per dire qualcosa che mi notò, ferma com’ero a guardarlo dalla porta, cercando di valutare la sua espressione. Per un istante pensai che stesse per sorridermi, ma fui distratta dal fruscio dell’abito di Lucrezia che apparve accanto a me e quando tornai a rivolgere lo sguardo a mio marito lui era tornato a nascondersi dietro il suo muro.
 
La serata fu lunga e imbarazzante, soprattutto perché cercavo in tutti i modi di stare in silenzio il più possibile, misurando al massimo le parole ogni volta che ero costretta a dire qualcosa. Nonostante il mio impegno l’umore di Alessandro peggiorava di secondo in secondo ed io non riuscivo più a capire in che cosa stavo sbagliando.
Sfoggiai tutta la mia capacità di controllo per essere perfetta in tutto ciò che dicevo e facevo e mi trovai ad essere sfinita quando ci sedemmo intorno al camino per una lettura, prima che gli ospiti si congedassero.
Fu quasi rilassante poter stare ad ascoltare senza dovermi preoccupare di essere coinvolta in un discorso, mi sembrava di dire cose sbagliate ogni volta che aprivo bocca e non era affatto da me preoccuparmene. Federico, infatti, non mi aveva tolto gli occhi di dosso per tutta la sera, irritandomi con uno sguardo preoccupato cui si aggiungeva una buona dose di mestizia quando si rendeva conto che lo guardavo a mia volta; Alessandro invece rimase ancora più silenzioso di me, ma era risaputo che non fosse di molte parole e nessuno sembrò notare la differenza.
La pioggia arrivò a salvarmi perché finalmente la coppia reale si decise ad andarsene prendendosi tutte le guardie che, scoprii, avevano affollato la dependance. Il sollievo non durò molto: una volta chiusa la porta mi trovai sola con Alessandro, senza sapere cosa aspettarmi da lui.
Alzai timidamente lo sguardo verso il suo, incontrando quegli occhi del colore del ghiaccio che tanto mi mettevano in soggezione, improvvisamente il muro era crollato, lasciando al suo posto un abisso di stanchezza.
“Vai pure a letto, Morgana, io devo fare ancora una cosa” la sua voce era incolore, come sempre, e non riuscii a trovare traccia della rabbia che mi aspettavo. Non era furioso con me come avevo pensato, eppure qualcosa che non andava c’era, era evidente.
“Mi raggiungerai presto, mio signore?” Osai domandare, la voce mi uscì incerta dopo una serata passata a ricacciare indietro parole.
“Appena finito, ora vai” più lapidario di così... chinai il capo, sconfitta, andando a rifugiarmi nella nostra stanza.
Mi rigirai nel letto per ore, preoccupata e triste, che cosa avevo fatto? Come rimediare? Se non era in collera con me, perché era tornato a non voler dividere il letto con me?
Non riuscivo a trovare una risposta mentre le idee più terribili mi vagavano per la mente.
Arrabbiata con me stessa per non riuscire a mettere a tacere la mia stessa testa mi alzai, decisa a chiarire una volta per tutte quella situazione. Dopotutto io ero io e il mio carattere non sarebbe cambiato in una sera: non riuscivo più a trattenermi dall’essere me, impulsiva e avventata. 

Salve a tutte! Quasi non ci credo nemmeno io di essere riuscita ad aggiornare in un tempo quasi ragionevole! Sì, beh, sono passate comunque più di due settimane, lo so, ma rispetto alla volta scorsa... ^^''' 
Beh, non so dirvi quanto sono felice di aver ricevuto le vostre recensioni nonostante il mio ritardo e spero che vogliate commentare anche questo capitolo, perché mi fa davvero tanto tanto piacere!
Alla prossima, Alessia.

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Capitolo 10
*** Notturno ***




"Dove sono gli uomini? Si è un po' soli nel deserto...". "Si è soli anche con gli uomini".
Il Piccolo Principe

 
Scesi le scale vestita di una semplice camicia da notte: nella fretta avevo dimenticato di indossare sia la vestaglia che le babbucce, le mie gambe erano un po’ troppo esposte e il freddo invernale mi aveva già congelato i piedi.
Sapevo dove avrei trovato Alessandro, perciò non esitai fin quando non mi trovai davanti la grande porta della biblioteca. Rimasi a fissarla per diversi secondi mentre uno strano deja vu mi faceva tornare al giorno in cui il mio rapporto con Alessandro aveva iniziato a migliorare, anche quella volta avevo esitato davanti a quella stessa stanza, preoccupata per il mio abbigliamento e desiderosa di fare buona impressione.
“Mio signore?” aprii piano la porta, affacciandomi. La tenue luce di una candela rischiarava a mala pena la scrivania in legno pesante che ospitava libri e fogli sparsi a casaccio. Alessandro non c’era.
“Alessandro?!” Già preoccupata, mi precipitai nella stanza, cercandolo fra gli scaffali.
“Principessa, siete voi?” la voce di Giorgio mi fece sobbalzare, non mi aspettavo che uno dei domestici fosse ancora in giro per casa a quell’ora tarda della notte, avrebbero dovuto essere tutti nella dependance a riposare.
“Che ci fai qui?” La mia domanda risultò secca e scortese anche alle mie orecchie, ma dopotutto ero ancora in collera con Giorgio per aver cacciato Federico da casa mia senza il mio permesso. Cosa di cui avremmo proprio dovuto discutere, anche se quello non era il momento più adatto: mi sentivo troppo esposta e decisamente troppo nuda, avvolta dalla veste da notte bianca che aderiva alle mie forme e lasciava scoperte le mie gambe più del dovuto.
“Ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare. State bene?” si avvicinò con la candela in mano, probabilmente cercava di vedermi meglio, essendo io nel corridoio buio fra gli scaffali.
La cosa, comunque, non mi convinse: Alessandro aveva volutamente riservato ai domestici una casa non comunicante con quella in cui viveva lui, così da non avere troppa gente fra i piedi. Sara era l’unica che, svolgendo la maggior parte delle mansioni domestiche ed aiutandomi come mia dama da compagnia, aveva una stanza in quella stessa magione. Era impossibile che dalla dependance Giorgio mi avesse sentita aggirarmi in biblioteca!
“Sto bene, torna a dormire” ero nervosa e, anche se probabilmente non ne avevo alcun motivo, non potevo ignorare il mio cuore che aveva preso a martellare nel petto come il più sinistro dei presagi.
Vedendo che continuava ad avvicinarsi l’unica cosa che riuscii a pensare fu che dovevo procurarmi un’arma, così afferrai il primo oggetto contundente che trovai: un tomo dall’aria pesante posato sullo scaffale alla mia destra.
“Perdono, mia signora…”mormorò le parole esatte che aveva detto Riccardo appena prima di pugnalare Alessandro, le mie viscere si contrassero pericolosamente e non attesi oltre: era a portata di libro. Lo colpii con tutte le mie forze e all’improvviso non eravamo più in biblioteca e lui non era più Giorgio, era Luca e mi guardava col sangue che gli incrostava le labbra.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola mentre mi rendevo conto che la spada che tenevo tra le mani era troppo pesante perché potessi usarla per colpirlo e lui era già talmente vicino che riuscivo a sentire l’odore pungente e ferroso del sangue. Mi guardai intorno per cercare una via d’uscita e notai Alessandro, era riverso fra le coperte con l’elsa di una spada che spuntava da sotto le costole: l’avevano usata per trapassargli il cuore.
“Ora tocca a te” la voce di Federico mi sussurrò all’orecchio quelle parole mentre mi ritrovavo a guardare il panorama che si poteva scorgere dal piano più alto della casa di mio fratello. Una lieve spinta e…
“Vi prego, svegliatevi mia signora!” Qualcuno mi toccava un braccio con una presa delicata e rassicurante, una ragazza.
Mi passai la mano libera sul viso, era bagnato da lacrime che dovevo aver versato durante quell’incubo terrificante.
Mi alzai a sedere, riconoscendo solo in quel momento la persona inginocchiata accanto al letto.
“Sara?” mi sentivo confusa e rallentata, avrei voluto rimettermi a dormire ed allo stesso tempo pensavo che non avrei mai più chiuso occhio in vita mia. “Che ore sono?” fu l’unica domanda che riuscii a formulare con una certa coerenza.
“Presto, mancano pochi minuti all’alba” mi rispose lei gentilmente, sembrava sollevata, probabilmente perché non era stata rimproverata per essere entrata senza permesso nelle stanze padronali.
“Dov’è Alessandro?” la sua parte di letto era intatta e fredda, l’unica cosa che aveva messo in disordine le coltri era stato il mio continuo agitarmi.
“Il signore è già uscito, mi ha chiesto di avvisarvi che entro domani sera sarà di ritorno” all’improvviso mi svegliai del tutto.
“Che cosa?!” il mio tono doveva aver spaventato Sara perché si scostò leggermente dal letto come se avesse paura di essere picchiata.
“Mi ha… mi ha detto di riferirvi questo, mia Signora, non…” balbettò terribilmente a disagio, facendomi sentire un mostro.
Com’era possibile che fossero due giorni che tutti i domestici si terrorizzavano solo perché il mio tono diventava leggermente meno amichevole del solito?
Decisi di sorvolare e le sorrisi, cercando di rassicurarla, “certo, Sara. Non preoccuparti. Puoi prepararmi un bagno?” lei acconsentì, affrettandosi a fare quanto richiesto senza attardarsi oltre.
Passai tutto il tempo possibile nella vasca, uscendo soltanto quando l’acqua diventò troppo fredda per essere rilassante.
Fuori cadeva una leggera pioggia e nessuno dei domestici sembrava essere nei paraggi, ripensando a quanto poco sembravano felici di avermi intorno in quei giorni decisi di non andare a cercarli per passare del tempo con loro: potevo cavarmela da sola per un paio di giorni, diavolo, certo che potevo!
Vidi Rosmerta solo perché mi servì il pranzo, nessuno passò davanti alla finestra della biblioteca in tutte le ore che restai seduta sul divanetto rigirandomi in mano volumi che non avevo molta voglia di leggere ma che speravo mi tenessero compagnia. Neanche Marco si fece vedere e verso sera iniziai a non sopportare più quel senso di oppressione al petto che era la consapevolezza di essere completamente sola.
Senza Alessandro non avevo nessuno, l’unico amico che fossi riuscita a mantenere nei miei vent’anni di vita era mio fratello e adesso che anche lui non era più con me, avevo soltanto mio marito. Mio marito che era chissà dove, chissà con chi, a fare chissà cosa. Potevano ucciderlo mentre io me ne stavo a fissare la finestra della biblioteca, potevano uccidere me, mentre lui non c’era.
Non si era degnato neppure di salutarmi prima di andarsene, avrei dovuto essere furiosa, invece sentivo solo una specie di apatico vuoto all’altezza dello stomaco. Era strano, certamente non in linea col mio carattere, non avevo nessuna voglia di combattere per migliorare il mio matrimonio, non avevo voglia di alzarmi da quella sedia per andare dai domestici e costringerli a dirmi perché diavolo erano due giorni che continuavano a scappare da me. Sarei rimasta a fissare il vuoto fuori dalla finestra fino a perdere i sensi, sì.
L’ora di cena era passata già da un po’ e nessuno si era fatto vivo per avvisarmi che il cibo si stava raffreddando.
Forse mi addormentai, forse invece restai tutta la notte a fissare la luna che si prendeva gioco di me dalla sua posizione privilegiata nel cielo, non lo sapevo per certo, ma sicuramente fu una delle notti più lunghe della mia vita. Non mi mossi nemmeno allo spuntare dell’alba, restai semplicemente lì a guardare finché un piccolo e dolce miagolio non attirò la mia attenzione. Principessa mi saltò sulle gambe, scrutandomi con quei suoi occhioni verdissimi che sembravano volermi entrare nell’anima. Aveva il mantello nero come la notte, e si muoveva goffamente per via della gravidanza che l’appesantiva. Ormai doveva mancare davvero poco, constatai, ricordandomi che pensavamo fosse vicina al parto già una settimana prima.
“Ciao piccola” mormorai, stupendomi di quanto suonava strana la mia voce alle mie stesse orecchie. La gattina miagolò come a volermi rispondere e poi mi si accoccolò in grembo, dandosi da fare per riempire di fusa il silenzio.
La accarezzai per ore, o almeno così mi sembrò quando all’improvviso la porta della biblioteca si spalancò, spaventando Principessa e facendola scappare.
Mi aspettavo di veder comparire Alessandro sulla soglia, Sara forse, non certo Francesco e, sicuramente, non con quell’aria preoccupata che gli stravolgeva i lineamenti.
“Oh, mia signora!” sembrò sollevato e il suo viso si aprì in un bel sorriso nel vedermi. “Non riuscivo a trovarvi e Rosmerta mi ha detto che non vi siete presentata agli ultimi pasti, così ho temuto che vi fosse successo qualcosa…” mi si avvicinò a passo spedito, inginocchiandosi accanto al divanetto per poter essere alla mia altezza, il suo viso si era fatto serio come non l’avevo mai visto. “State bene? Siete molto pallida” i suoi occhi neri mi guardavano con attenzione, cercando in me segni di qualche genere. Non mi ero accorta prima di quanto fossero morbidi i lineamenti di Francesco, aveva il viso delicato di un ragazzino, i capelli ricci e finissimi e delle mani grandi e piene di taglietti e calli, segno del duro lavoro che svolgeva ogni giorno.
Desiderai credere di potermi fidare di lui, perché avevo davvero bisogno di sentirmi al sicuro in presenza di qualcuno che non fosse Alessandro. Detestavo trovarmi a valutare una persona cercando di intuire se avrebbe fatto del male a me o a mio marito, scrutare le vesti del messaggero per scoprire eventuali armi nascoste. Era snervante per me, che ero sempre stata amichevole con la maggior parte delle persone.
“Perché tutti voi mi evitate, Francesco?” La voce mi uscì sfinita più o meno come mi sentivo.
“Io non vi evito affatto, mia signora” mi rispose sicuro, dai suoi occhi neri non traspariva altro che una ferma sincerità.
“Sei scappato ieri” gli ricordai, piccata.
“Eravate in collera. E poi Alessandro ci ha istruiti sui modi della regina, raccomandandoci di non starle troppo intorno perché non lo gradisce” spiegò candidamente, restando semi inginocchiato in una posizione scomodissima che sembrava non pesargli affatto.
“E gli altri?” non ero ancora pronta ad arrendermi alla possibilità che la mia paranoia avesse ingigantito tutto.
“Non saprei, mia…” lo bloccai prima che potesse finire con un gesto spazientito della mano.
“Smettila di ripetere mia signora!” quasi ringhiai, irritabile grazie al mio pessimo carattere con l’aggiunta di tremende paranoie e notti insonni.
“D’accordo. Perdonatemi. Dicevo che non saprei, il principe mi ha affidato una commissione urgente l’altro giorno, prima di spedirmi a chiedere a voi e sua maestà di rientrare, e sono tornato soltanto una o due ore fa. Se lo desiderate vado a chiedere a Rosmerta per voi…” si offrì, regalandomi un sorriso gentile nonostante la mia scortesia nei suoi confronti.
“No, grazie” mi affrettai a dire, bloccandolo prima che si alzasse.
“Posso portarvi qualcosa da mangiare? Da quanto so non toccate cibo dal pranzo di ieri e fra non molto sarà ora di cena…”propose, speranzoso.
Acconsentii solo perché mi sembrava intenzionato ad insistere per tutta la sera e anche perché non volevo costringerlo a restare ancora in quella posizione scomoda.
 
“Che cosa vi succede, Morgana? Dov’è finita la vostra vivacità?”
Dopo avermi portato del cibo mi aveva chiesto il permesso di prendere una sedia per sedere al mio fianco e io glielo avevo concesso di buon grado, se avesse assunto di nuovo quella terribile posa accanto al divano avrei avvertito per lui il mal di schiena, ne ero certa.
“Cos’è tutta questa confidenza? Da quando mi chiami per nome?” mormorai distratta, infilandomi in bocca un pezzo di pane croccante. Non avevo mai avuto il permesso di mangiare in quel modo, lontano dal tavolo della sala da pranzo e dall’argenteria.
“Mi avete proibito di chiamarvi mia signora, dovrete accontentarvi” scherzò, osando forse un po’ troppo ma facendomi ridere. “Non mi avete risposto” tornò serio, smorzando anche il mio sorriso.
“Per Alessandro sono una seccatura, non è vero?” Qualcosa si spezzò dentro di me: pronunciare quelle parole ad alta voce me le faceva sembrare più reali, più vere di quanto fossero un secondo prima, prigioniere della mia mente paranoica.
“Ma no, perché dite questo?” Francesco sembrava sinceramente sorpreso, non si aspettava che il mio tormento fosse quello… E infatti era solo l’ultimo di una lunga lista.
“Si vergogna di me e di quello che potrebbe uscirmi di bocca quando siamo in pubblico, lo so. Era furioso con me, è per questo che se n’è andato per ben due giorni, no?” Infilai in bocca un altro boccone della mia cena nonostante mi si fosse chiuso lo stomaco, fu un gesto quasi automatico.
“Oh, certo che no, Morgana! Non sono autorizzato a parlarvene, ma certamente non è per allontanarsi da voi che è partito prima dell’alba di ieri, posso giurarvelo” la sua voce fu dolcissima e mi sorrise comprensivo, piegandosi un po’ verso di me dalla sua posizione, creando un’atmosfera quasi complice.
“Davvero? Probabilmente sta rimpiangendo di essersi fatto convincere a prendermi come moglie” borbottai, cocciuta come al solito, facendo ridere Francesco di gusto.
“Come vi sbagliate, principessa! Il mio signore ha dovuto insistere molto perché vostro fratello gli concedesse il permesso di chiedere la vostra mano”. Non credevo ad una sola parola, ma i suoi occhi erano talmente sinceri che non potevo davvero dubitare di lui.
“Che cosa? Ma non ci eravamo mai incontrati prima del matrimonio!” Protestai, certa di aver ragione io.
“Voi forse non ve ne siete mai accorta, ma si fermava ad osservarvi giocare in giardino dalla carrozza. Per questo lo so, ero sempre io ad accompagnarlo a far visita a vostro fratello e quasi ogni volta che voi eravate in vista mi chiedeva di attendere qualche minuto prima di ripartire.” Raccontò, poi vedendo che non reagivo sorrise con uno sguardo furbo “Lasciatemelo dire, principessa, siete proprio un maschiaccio. Ah, vi prego, se ci tenete alla mia vita non dite al principe che vi ho raccontato di questi episodi!” scherzò, nonostante probabilmente la richiesta di non parlare con mio marito di quella confessione fosse davvero sentita.
Sorrisi divertita, finendo di mangiare la cena che mi era stata portata e appoggiando il piatto sul tavolino insieme al libro che faceva bella mostra di sé.
Francesco seguì il mio sguardo e prese in mano il tomo, aprendolo alla prima pagina. “Se volete posso leggere per voi” propose, arrossendo leggermente quando vide che lo fissavo sorpresa “che avete da guardare? Ho detto forse qualcosa di male?”, domandò infatti siccome continuavo ad osservarlo senza parlare.
“No, no. Non pensavo sapessi leggere, tutto qui” balbettai, sentendomi quasi in colpa per aver fatto un commento che sembrava tanto un: “Non mi aspettavo che un poveraccio come te avesse accesso alla parola scritta”, quando non avevo alcuna intenzione di fargli pesare la sua classe sociale, né tanto meno di rimarcare le differenze con la mia.
“Oh. Mi è stato insegnato” Francesco arrossì fino alla radice dei capelli, quasi gli avessi chiesto di raccontarmi un episodio imbarazzante, poi si sentì in dovere di aggiungere: “Fortunatamente questo libro è scritto nella nostra lingua, non riesco a leggerne altre, nemmeno quella sacra”.
“Non preoccuparti. Sarò felice di ascoltarti, se ancora vuoi” dissi, imbarazzata per averlo messo in difficoltà senza volerlo.
“Ma certo mia sign... Morgana!” Si rianimò immediatamente, concentrandosi sulle parole del libro: leggeva lentamente, ma aveva una cadenza regolare che ricordava vagamente la risacca delle onde. O almeno quella che ricordavo dall’unica volta che ero stata al mare.
Lasciai che la sua voce mi cullasse verso l’oblio che mi era negato già da due notti e che faticava ad arrivare. Fluttuavo in una specie di dormi-veglia quando Francesco smise di leggere, sentii le sue mani che mi aiutavano a distendermi meglio sul divano e un piacevole formicolio quando le mie gambe si ritrovarono distese dopo essere state a lungo piegate.
Finalmente il sonno mi reclamò e io lasciai che mi prendesse, sperando che mi regalasse una intera notte di oscurità senza incubi.
Quando qualcosa di caldo mi avvolse, mugolai di sollievo: Alessandro era finalmente tornato e mi stava abbracciando, avrei voluto girarmi e salutarlo per bene, ma ero troppo stanca anche solo per formulare il pensiero di aprire gli occhi.
“Che diavolo?” Un ringhio quasi animale mi strappò all’idillio che stavo vivendo. Chi era che disturbava il nostro sonno in quel modo? Avrei potuto giurare che quella fosse la voce di mio marito, ma non era possibile, lui mi stava abbracciando...
“Mio signore...” Francesco? E lui perché era nella nostra stanza da letto?
“Che diavolo ci facevano le tue mani addosso a mia moglie?!” Alessandro sembrava davvero infuriato e io mi svegliai di colpo. Dovevo proprio essermi persa qualcosa!
Aprii gli occhi, ritrovandomi sdraiata sul divanetto della biblioteca con una coperta tutta avvolta intorno... doveva essere stata quella ad abbracciarmi. La luce delle candele era molto fioca e dovevo sforzarmi per distinguere bene i due uomini.
“Ho solo portato una coperta, mio signore. Ho pensato...” Francesco era calmo, nonostante una traccia di paura fosse evidente sul suo viso.
“Hai pensato? Hai pensato di poter approfittare delle mia assenza per sfiorare il suo corpo! Questo hai pensato!” Mi ci volle un po’ per liberarmi dalla coperta: doveva essere stata sistemata con cura per avvolgermi il più possibile, me la ritrovavo incastrata da tutte le parti, mi faceva praticamente da bozzolo!
“Mio signore...” il povero servitore se ne stava in piedi accanto al divano, l’aria costernata di chi non sa come spiegarsi.
“Che sta succedendo?” Domandai, senza che nessuno facesse il benché minimo sforzo per farmi capire di aver notato la mia presenza.
“Cos’è? Non hai mai toccato una donna? O forse ad eccitarti è che è la tua signora e la moglie di un altro?” Alessandro era fuori controllo: non aveva mai parlato tanto e non aveva mai mostrato tanta rabbia, nemmeno quando avevano litigato la sera del ballo.
“Dannazione, mio signore! Io amo gli uomini, capite? Gli uomini! Siete contento adesso?” Francesco era diventato di tutti i colori dell’arcobaleno per poi stabilizzarsi su una specie di verdolino pallido.
Santo Dio, vomiterà sul tappeto!Fu il mio poco coerente pensiero mentre la mia testa non era tutto certa di aver recepito bene il messaggio.
“Tu...?” Anche Alessandro sembrava vagamente stralunato, improvvisamente tutta la sua furia era svanita lasciandolo con un’espressione sgomenta che non era molto familiare sul suo viso.
“Bene. Preparo le mie cose, vi prego solo di non spargere la voce: sarà già molto difficile trovare un altro lavoro” Francesco mosse un passo verso la porta, a disagio, aveva il passaggio bloccato da mio marito che se ne stava impalato a fissarlo come se non l’avesse mai visto prima.
“Oh, no! Non andartene. Non è importante se non...” mi bloccai senza sapere bene come continuare, almeno però avevano smesso di ignorarmi: mi guardavano entrambi come se stessi rivelando uno dei misteri dell’universo. “Se non ti piacciono le donne, insomma. Non sono affari nostri, davvero” conclusi, agitandomi a disagio e arrossendo visibilmente.
Com’eravamo finiti in quel discorso? Era sconveniente che una persona ammettesse di provare attrazione per un’altra in un discorso che non coinvolgesse esclusivamente i due amanti, perciò non sapevo affatto come gestire una dichiarazione come quella di Francesco senza morire di imbarazzo.
Alessandro sembrava pensarla come me e non solo a proposito dell’imbarazzo perché riuscì a borbottare qualcosa a proposito della difficoltà di trovare persone valide da assumere, prima di spostarsi dalla porta e guardare Francesco con una smorfia che doveva essere un sorriso ma che sembrava di più una paresi facciale.
La sua espressione mi fece venire in mente quella di mio fratello, quando, poco prima del giorno del mio matrimonio, aveva tentato di spiegarmi cosa avrei dovuto aspettarmi da mio marito. Nel farlo gli era quasi venuto un infarto e aveva le orecchie tutte rosse, e sì che non era di certo un tipo pudico nei suoi approcci con le donne.
Se avessi avuto delle figlie, promisi a me stessa, alla giusta età le avrei preparate bene a qualsiasi tipo di imbarazzante discorso, così non si sarebbero mai trovate a boccheggiare senza saper che dire, avrebbero avuto abbastanza informazioni per poter gestire qualsiasi situazione, per quanto potesse essere poco consona.
Ai maschi, però, avrebbe dovuto pensarci il papà, poco ma sicuro.
“Davvero desiderate che continui a servirvi?” a risvegliarmi dalle mie fantasie furono le parole di Francesco, i suoi occhi neri erano ancora leggermente diffidenti, ma una luce di pura gioia aveva già cominciato a brillare in quello sguardo sincero.
“Ma certo!” Esclamai, mentre Alessandro annuiva. “A patto ovviamente che mi racconti del tuo uomo! Non ho amiche con cui spettegolare e inizio a sentirmi un po’ isolata!” conclusi, divertita, godendomi l’espressione dei due uomini che mutava via via che si rendevano conto delle mie parole.
“Mia signora!”
“Morgana!”
Mi ripresero entrambi con lo stesso identico tono a metà fra l’imbarazzo e lo stupore.
“Suvvia, dov’è finito il vostro senso dell’umorismo? Scherzavo, Francesco può certamente rimanere anche se non desidera condividere con me certe informazioni private” ghignai ancora, felice di essere riuscita ad alleggerire l’atmosfera. Ovviamente non ero certa di poter reggere uno scambio di quel genere senza morire d’imbarazzo, ma ero davvero disposta a provarci.
Divertito e sgomento, Francesco si congedò per la notte, lasciandomi sola con Alessandro.
Ero ancora seduta sul divanetto che occupavo dalla mattina del giorno prima ed ero stanca, non avevo alcuna intenzione di litigare perciò sorrisi ad Alessandro reprimendo qualsiasi cosa che non fosse il sollievo di sapere che era tornato tutto intero.
Lui non disse niente, limitandosi ad accendere qualche altra candela per potermi guardare senza sforzare troppo la vista. In effetti quella penombra cominciava ad innervosire anche me. E il silenzio teso? Perché poi non aggiungere alla lista la dose di delusione, risentimento e rabbia che provavo vedendolo aggirarsi tanto tranquillamente per la biblioteca, quasi fosse normale che un paio di sere prima avesse deciso di andarsene senza nemmeno un saluto?!
Mi alzai di scatto, dovevo decisamente andarmene un po’ a dormire prima che la situazione degenerasse fino ad un litigio. Non avevo le forze necessarie a sostenere una conversazione da adulta ragionevole in quel momento: avrei finito solo per gridargli contro senza risolvere un bel niente.
Guardai Alessandro, accorgendomi solo in quel momento che mi stava studiando in silenzio, i suoi occhi sembravano volermi sondare anche l’anima e il suo viso era corrucciato, ma come sempre non riuscivo a decifrare le sue emozioni. Avrebbe potuto essere rabbia quella vedevo, preoccupazione o dolore.
Era così strano sentirsi tanto profondamente legati a qualcuno e poi non riuscire a leggere il linguaggio del suo viso.
“Ho sbagliato ancora con te, non è vero?” mormorò, appena prima che decidessi di aprire bocca per congedarmi. Le sue parole mi fecero rimanere impietrita a guardarlo mentre si avvicinava. Si muoveva lentamente, con cautela, forse per non spaventarmi, forse pensava che un gesto troppo brusco mi avrebbe fatta scappare.
“Continuo a deluderti. Per quanto ci provi…” si passò una mano sul viso, fermandosi di fronte a me con l’aria distrutta, l’abisso di stanchezza che avevo intravisto nei suoi occhi stava straripando e se o portava via come un mare in tempesta.
Se prima avevo provato l’impulso di ferirlo, in quel momento era tutto svanito davanti al solito, prepotente, istinto protettivo che nasceva in me ogni volta che mi mostrava quanto era vulnerabile sotto quelle ossa grandi e quei muscoli forti.
“Perché sei andato via senza avvisarmi?” la mia voce risultò gentile, pacata, non avrei mai pensato di riuscire a porgli quella domanda senza sbranarlo.
“Io ho pensato che…” pausa, i suoi occhi non erano più fissi su di me, vagavano per la stanza come alla ricerca di un appiglio. “…che non avresti approvato, ma era necessario e non volevo litigare con te.”. Finalmente mi guardò di nuovo, aveva assunto un’aria da cucciolo bastonato davvero impressionante.
“Non avrei approvato cosa?” domandai, vagamente consapevole che un vago alone di rabbia cominciava a rifiorire in me. Tenermi nascoste le cose non era il modo migliore per non litigare.
“Dovevamo lasciare un messaggio” asserì e, vedendo dalla mia espressione che non mi bastava quella risposta (anche perché non avevo capito esattamente cosa implicasse), prese un bel respiro e spiegò: “Ho esposto il corpo di Luca come monito per chi volesse cimentarsi come assassino” .
Lo guardai sinceramente sbalordita. “Esposto?! Pensavo l’avessi restituito alla famiglia…” beh, non era una bella cosa, ma non capivo perché avrei dovuto arrivare a litigare con lui: se pensava che sarebbe servito allo scopo, ero ben lieta di lasciare che una folla di persone si godesse la vista del cadavere.
“L’ho fatto. Dopo che la carrozza lo aveva trascinato per le strade di tutto il paese.” Mi ci volle qualche secondo prima di realizzare ciò che voleva dire con quelle parole e pensai che proprio non avrei dovuto leggere per lui l’Iliade. Decisamente no.
“Che cosa?” balbettai, incapace di non immaginare la scena.
“Era necessario!” Mi assicurò, inginocchiandosi ai miei piedi e lasciandomi del tutto a bocca aperta. Era talmente alto che anche così mi arrivava quasi con la testa all’altezza delle spalle. “Se tu fossi incinta saresti un bersaglio, e anche così ti hanno già minacciata una volta! Io voglio proteggerti e voglio che a tutti sia ben chiaro che non c’è niente che non sono disposto a fare. Voglio che mi credano crudele, pazzo, privo di umanità, che abbiano paura di me. Magari così ci penseranno bene prima di cercare di farti del male. O almeno si assicureranno che io sia morto stecchito”.
Era talmente puro il suo sguardo che davvero non riuscii ad essere disgustata dalla sorte del medico. Dopotutto non era forse vero che io stessa sarei stata disposta a tutto pur di proteggere il mio uomo?
Gli presi il viso fra le mani e sorrisi, abbassandomi a lasciargli un bacio sulle labbra caldissime. In effetti, anche la pelle sotto le mie dita era calda, molto più del normale.
“Mio signore, ma tu scotti!” mi preoccupai immediatamente, scostandomi dalle sue labbra quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi.
“Non è niente” mi rassicurò sospirando, sfregando la guancia contro la mano che era rimasta sulla sua guancia mentre l’altra si spostava fra i capelli. “Ho abusato un po’ troppo del mio corpo, basterà un po’ di riposo.”
 
Quella notte ero andata a dormire terrorizzata dai possibili incubi che avrei fatto: avrei proprio dovuto convincere Alessandro a passare ad un’altra stanza, ma quella mi piaceva davvero tanto e mi sarebbe dispiaciuto tanto lasciarla. La mattina dopo però, complice probabilmente anche la stanchezza, niente aveva turbato il mio sonno. A svegliarmi furono due labbra morbide e birichine che continuavano a lasciarmi piccoli baci ovunque. Qualcuno era di buonumore. Sorrisi e con gli occhi ancora semichiusi per il sonno gli accarezzai il viso, pregando tutti i santi che conoscevo di potermi svegliare così ogni mattina della mia vita. 

Capitolo un po' più lungo del solito, perché pensavo che la prima tristissima parte sarebbe stata più breve e avevo promesso a _Cannella_ che in questo capitolo avrei spiegato la fine di Luca. Fra l'altro vorrei segnalarvi che per sbaglio avevo invertito i capitoli 5 e 6 (non so nemmeno io bene come, probabilmente nel controllare da cellulare), se li avete letti al contrario, mi dispiace tantissimo! 
Grazie a tutte voi che avete recensito, noin mi stancherò mai di dire quanto adoro leggere le vostre impressioni!
E Grazie a Zonami84 , sto ancora gongolando per quella storia di Sesshomaru, giuro!
Beh, spero che siate pronte perché il prossimo capitolo sarà bollente! 
Alla prossima, baci Ale

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