iraps
« Da quanto era che non
correvamo così, Finn? »
« Troppo Kade, non mi sento
più le gambe! »
« Per di là! In quel
vicolo! »
Ci infilammo in un vicolo
buio alla nostra sinistra.
« Dove sono andati?!
Controllate la zona. » Le voci dei poliziotti erano lontane e nel vicolo
eravamo al sicuro. I nostri respiri erano affannati, ma aspettammo di non
sentire più nessun suono e scoppiammo in una fragorosa risata.
« È stato troppo
divertente! Battimi sto cinque, fratello! »
« Sì, cazzo, è stato troppo
forte! »
Come al nostro solito
eravamo stanchi morti ma avevamo ancora la forza di ridere e di parlare
dell’accaduto come se i poliziotti fossero un branco di foche inferocite.
Eravamo sedicenni, dopotutto, il pericolo lo adoravamo entrambi. Per questo che
Finn era il mio migliore amico.
« Andiamo a berci qualcosa,
Kade? » propose dopo l’ennesima risata.
« Alla salute! » commentai.
Ci prendemmo sottobraccio e ritornammo sui nostri passi, fino a che non vidimo
il pub di mio cugino. Entrammo. Io non bevevo molto, ma Finn ci dava dentro
alla grande. Quando entrò mio cugino ci fissò e sorrise.
« Ancora nella merda, voi? »
ci disse, andando dietro al bancone. « Ho visto qualche poliziotto qua fuori,
non ho dubbi che cercano voi. »
« Hai punto il centrato! »
commentò Finn, già ubriaco fradicio
« È già ubriaco? » mi
chiese mio cugino a bassa voce
« Eh, sì. Dovrò avvisare
suo padre, come al solito. » sbuffai. Toccava sempre a me avvertire i genitori
di Finn che era da me. « Che seccatura. » sbuffai
« Potresti anche evitare di
accettare di venire qui una sera sì e una no, Kade » mi fece l’occhiolino.
Bevvi un sorso della mia birra.
« Sarà meglio andare, sono
le tre e mezza. » dissi, dopo aver guardato l’ora. « C’è molta strada da fare.
Finn » gli tirai una pacca sulla spalla « andiamo a casa. »
Il mio amico mugugnò
qualcosa, probabilmente doveva suonare come una minaccia, ma non ne aveva molto
l’aria, a parte per la bottiglia di birra vuota che mi aveva puntato contro. Lo
tirai su di peso, mi misi un suo braccio intorno al mio collo e mi alzai.
« Ci vediamo, cugino. »
« E la birra? »
« Non mi va, finiscila tu. »
Mi allontanai dal locale
con passo deciso. Casa mia era molto lontana dal pub di mio cugino e mia
sorella si sarebbe incazzata parecchio. Come biasimarla. Una sera sì e una no
portavo il mio migliore amico a casa ubriaco che lasciava i rivoli di bava sul
divano e lei doveva pulire perché mamma non c’era. Povera sorellina. Camminai
per molto tempo, quasi interminabile, finché non vidi una scena alquanto
strana.
C’era una ragazza nuda che si guardava intorno confusa. Continuava ad
aggrottare la fronte e a biascicare qualcosa. Finn alzò la testa.
« Chi è quella sventola? »
fischiò
« Non ne ho… idea. »
« Ce la scopiamo? »
« Finn! Che cazzo di
domanda è? »
« Cazzo Kade! È una figa
stratosferica, è nuda, e probabilmente è ubriaca fradicia. È un’occasione da
non perdere, amico! »
« Qui, l’unica persona
ubriaca fradicia sei tu. E poi non penso che scoparsi una sconosciuta sia
l’occasione di una vita. »
« Pff… »
« Vado a vedere. » mi
avviai, appoggiandolo all’albero « Stai fermo qui. »
« Ehi, se cambi idea
chiamami, non divertirti solo tu! » mi urlò quando fui a qualche metro da lui.
« D’ah, ‘fanculo. »
Mi avvicinavo sempre di più
alla ragazza e capii che diceva sempre la stessa cosa: « Qual è il mio nome? »
« E-ehi… signorina? »
« Qual è il mio nome? »
« Non lo so qual è il tuo
nome. E neanche tu, a quanto vedo. Facciamo che ti do’ la mia giacca, okay? »
Mi tolsi la giacca e
allungai una mano con la felpa stretta tra le dita. Quella ragazza era minuta e
la mia felpa le avrebbe fatto da vestito. Mi guardò inclinando la testa.
« Mettila. »
Lei obbedii e si infilò la
felpa dalla testa. I capelli biondi mossi fluivano al contatto con le sue mani
in direzione del vento. Per la prima volta la guardai con attenzione: aveva le
labbra rosa sottili, le guance rosate e gli occhi azzurri come non li avevo mai
visti in nessun altro. Mi si avvicinò e mi guardò dal basso. Mi posò una mano
sulla guancia e la fece scorrere sul mio viso provocandomi un brivido.
« Qual è il tuo nome? »
aveva una voce acuta, ma non stridula. Era come il suono di un flauto, una voce
angelica.
« M-mi chiamo Kade »
sussurrai.
« Dove mi trovo? »
« Sei in Australia, a
Sidney. »
« Australia? »
« Sì, Australia. » scandii
la parola per farle capire, magari ricordava. Non sembrava funzionare. « Da
dove vieni? »
« Io non lo so. »
« C’è qualcuno che conosci
qui? »
Tolse la mano dal mio viso
e se la posò prima sul cuore, poi lentamente la spostò sul mio. « Kevin
Richardson. »
« Come sai il mio nome? »
« Lo so. »
Mi chiesi come poteva non
sapere il suo nome ma sapere il mio vero nome se io le avevo solo detto il mio soprannome.
Scossi la testa confuso. Lei si girò guardando l’orizzonte e io le misi una
mano intorno alle spalle.
« Ti porto a casa. »
Lei annuii e mi precedette
camminando. Arrivammo davanti a Finn che si era addormentato.
« Finn… svegliati. » lo
scossi
« Finnegan Sabin Gray,
svegliati. » disse la ragazza, con un filo di voce.
Finn si alzò di scatto «
Si, mamma, arrivo! »
Iniziai a ridere « Sabin?
Che roba è? »
« I-il mio secondo nome. Lo
usa mia madre quando mi butta giù dal letto. Come fai a saperlo, tu? »
« Io non l’ho mai saputo!
Questa ragazza lo sa! » dissi, tra una risata e l’altra
« C-come fai a saperlo? Non
l’ho mai detto a nessuno! »
La ragazza fece spallucce e
si inginocchiò. Si mise una mano sul cuore e poi la mise sul suo, come aveva
fatto con me. « Finnegan Sabin Gray. È il tuo nome. »
« Puoi smetterla di
ripeterlo? Odio il mio nome. »
« Qual è il mio nome? »
« A quanto pare il nome è
molto importante da dove vieni tu. » intervenni io « Facciamo che per ora ti
chiamerai… Jennifer? Ti piace? »
« Jennifer… elfo
luminoso… » sorrise « potete chiamarmi
Jean. » disse radiosa. A quanto pare quel nome le piaceva alquanto. Sorrisi di
rimando, ma Finn si fece roteare il dito sulla tempia e mimò con le labbra una
frase come “ Questa è tutta matta, avremmo dovuto scoparcela e andarcene.”
Forse solo la seconda. Fatto sta che lo mandai a quel paese con la mente e gli
diedi una mano per alzarlo. Era ancora troppo ubriaco per farlo da solo.
« Okay. Jean, Finn,
seguitemi. Vi porto a casa. » sorrisi. Finn era abituato a sbavare sul divano del
mio salotto, per cui non gli fece né caldo né freddo quell’affermazione, Jean
invece mi fece un sorriso luminoso e pieno di gioia.
« Tua sorella mi lascerà
dormire a casa tua? » mi chiese, con mia grande sorpresa.
« Come fai a sapere di mia
sorella? »
« Daphne Richardson, è il
suo nome. »
Si, quella ragazza era un
po’ sballata, devo ammetterlo. Il fatto che sapesse i nomi di tutti tranne il
suo, e doveva essere una cosa davvero importante per lei, era leggermente…
inquietante? Tutta quella faccenda era inquietante, trovarla nuda e tutto il
resto. Mi ero cacciato in un gran pasticcio, ma allora era solo un
presentimento. La portai a casa, la presentai a mia sorella e le dissi che era
un po’ fuori, ovviamente senza farmi sentire da Jean, ma a lei piaceva, non
chiedetemi il perché.
Così, quella notte avevo due ospiti a dormire da me.
Di solito non sognavo da
schifo, ma quella notte successe. Era un sogno assurdo, ma era come una
visione, come se io fossi lì ad assistere a tutta la scena, invisibile.
Nel mio sogno faceva un caldo allucinante e c’erano delle persone vestite di
nero con delle ali altrettanto nere che emanavano cattiveria pura. Erano tutte
intorno ad un grande trono con seduto maestoso un uomo di colore con gli occhi
che sembravano due buchi neri. La sua risata malefica poteva far scuotere le
fondamenta di quel posto, a mio parere.
« Il Riassenia? Certo che
quegli angioletti sono proprio degli stolti! Pensavano che non me ne sarei mai accorto?!
» notai una buona dose di incazzatura nella sua voce « Non mi potranno mai
sottrarre Astrid, lei sarà mia per sempre! » e fece un’altra risata malvagia.
“Il Ria-che?” pensai, confuso.
A quel punto il sogno
cambiò scenario. Ora ero in un luogo troppo lucente per i miei gusti, ma per
una ragione a me ignota non mi coprii il volto. Arrivò volando in fianco a me
una ragazza con i capelli rossi e ricci con gli occhi verdemare. Aveva delle
ali bianche lucentissime e un’aureola c si vedeva appena: capii all’istante che
era un angelo.
« Astrid, vieni, il Capo ti
attende. »
« Si, ti seguo, Baylee. »
dissi io, con una voce che non era assolutamente la mia. Era una voce da
ragazza e mi ricordava qualcuno, ma non riuscii a ricordarmi chi.
Distesi le ali e volai in alto, attraverso milioni di angeli che avevano una
faccia incupita quando volgevano lo sguardo verso di me.
Ad un certo punto entrò nel mio campo visivo un uomo biondo di spalle luminosissimo.
« Astrid, siamo in
pericolo. » disse, con una voce grave e calma.
« Cosa succede, Capo? »
dissi io. Ormai ogni qualità da maschio era svanita.
« Lucifero ha scoperto del
Riassenia troppo presto. Niente gli sfugge ormai. Ha demoni sentinelle ovunque.
»
« Cosa dobbiamo fare? »
« Evitare che inizi a
diventare umana e alla fine un demone dalle ali nere. Devi affidarti a quell’umano,
ma non troppo, Astrid. Lui ti aiuterà, sento che non è un umano qualsiasi. »
« Ma Capo, il mio corpo non
ricorda il mio nome, come posso recuperare i miei poteri senza il mio nome? Ora
ho i poteri di Jean, ma non reggeranno a lungo. »
« Il ragazzo sa, ora. » e
il sogno svanì come una nuvola di ricordi.
Mi svegliai di soprassalto.
« Che sogno assurdo,
ragazzi. » mugugnai. La mia voce era tornata quella di sempre, fortunatamente.
Mi misi una maglietta e scesi in salotto. Finn era ancora là che sbavava sul
mio divano come nemmeno un Bulldog sa fare, ma Jean era al tavolo in silenzio.
« Buongiorno. » dissi,
sorridente.
Lei mi guardò con i suoi
occhi azzurri e mi sorrise di rimando dopo aver bevuto un sorso di latte dalla
tazza.
« Buongiorno. » ricambiò.
Feci colazione in silenzio,
ripensando al sogno idiota che avevo fatto quella notte. Il “Riassenia” aveva
detto quell’uomo nero e quel’altro “Capo”. Possibile che una birra faceva fare
certi sogni? Mi attaccai un post-it nell’anticamera del cervello con scritto “fare
esperimenti sogni-birra e birra-sogni”.
Finito di mangiare mi concessi del tempo per guardare Jean. Aveva indosso un
paio di pantaloncini corti e una maglietta corta di mia sorella e i capelli biondi
mossi raccolti in una coda di cavallo alta con qualche ciuffo ribelle troppo
corto per stare in ordine. Le ciglia erano allungate da un filo di mascara che
le metteva in risalto gli occhi ed era a piedi scalzi. Io ero in mutande e in
confronto a lei mi sentivo un po’ un aborto, ma lasciamo perdere.
Jean era molto pensierosa evidentemente perché non si accorse che la guardavo. Mi
schiarii la voce.
« Ehi, J-Jean? »
« Dimmi Kade. » disse lei,
pronta, girandosi verso di me.
« Che ne dici se, dopo che
mi sono vestito, andiamo a f-fare una passeggiata? » Non mi era mai stato
difficile invitare una ragazza ad uscire, ma con lei era… diverso.
« Ci sto, sarà divertente! »
esclamò lei, contenta.
« Allora io vado a… ehm…
vestirmi. »
« A dopo! »
Mi alzai dalla tavola e
salii le scale. Non scelsi qualcosa di particolarmente elegante, Jean era un’amica e io l’avrei aiutata a
ricordare. Ma quel sogno continuava a tormentarmi, non riuscivo a dimenticarmi
di quel Riass-e-che-ne-so-io e dei due tizi. Cosa significava quel sogno? Cosa
c’entravo io in quella faccenda? Ero davvero io il ragazzo di cui parlava il “Capo”?
Dovevo levarmelo dalla testa ma qualcosa mi impediva di farlo. Era tutto così
dannatamente vero. Mi misi i pantaloni sopra al ginocchio e una maglia bianca a
maniche corte sopra. Mi tirai un po’ all’insù i capelli e scesi.
« Che cosa mi sono perso? »
chiese Finn, appena sveglio.
« Porto Jean a fare un giro
della città, tu vai a casa quando il mal di testa se ne va, okay Finn? » lui
annuì. Gli battei il pugno e presi Jean per mano.
« Prima le signore. » lei
uscii e io la seguii.
E quello fu probabilmente il miglior appuntamento di sempre.
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