L'angelo caduto

di Jo Scrive
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'angelo caduto ***
Capitolo 2: *** Incontriamo una ragazza all'apparenza psicopatica ***



Capitolo 1
*** L'angelo caduto ***


LAC

Era fredda, quella notte.
L’uomo era di fronte a me e si avvicinava a grandi falcate. La nube nera che lo circondava emanava cattiveria pura. Il suo respiro si fondeva con il freddo circostante e creava del fumo che fuoriusciva dalla sua bocca e talvolta dal naso. I jeans erano sporchi con un buco che lasciava intravedere il ginocchio nero, mentre la maglietta grigia era perfettamente in ordine.
Quando fu vicino a me mi osservò con i suoi occhi neri come la pece.
La sua risata malefica penetrò nelle mie orecchie come nella mia testa.

« Astrid, così sei venuta! » mi disse con un tono che poteva sembrare entusiasta, ma a me non diceva niente. Mi accarezzò il volto. La sua mano mi fece rabbrividire, così gli diedi uno schiaffo abbastanza potente.

« Non cambi mai, non è vero? » fece un sorriso storto

« Cosa vuoi da me? » ringhiai

« Quanta fretta… » cambiò espressione « troppa, per i miei gusti. » sporse i denti, come un cane « Ma se ci tieni, ti voglio accontentare… » si fissò le unghie, lasciando le parole sospese nell’aria per qualche secondo « siete in ritardo. » concluse.

« Non può essere. I valori sono sempre stati alti, non possono essersi abbassati così in fretta. »

« Forse devo rammentarti che sono Lucifero, cara Astrid. » alzò la voce « Posso rendere l’impossibile possibile! IO SONO INVINCIBILE. »

« Forse devo rammentarti che sei un demone rinchiuso sottoterra, o forse… te l’eri dimenticato? »
La mia affermazione lo irritò alquanto, perché ringhiò. « Non per molto ancora. Presto, presto sarò libero. Siete in ritardo. »

« Io non lo permetterò. NOI non lo permetteremo. »

« Oh, cosa odono le mie orecchie? Voi? Un branco di angioletti carini e puri impediranno l’ascesa del grande Lucifero? Oh, non credo proprio. Qui non siamo in un libro, in una favola, dove il bene vince sempre. Questa volta, nulla impedirà a me e ai miei seguaci di dominare il mondo! »

« Il male non trionferà, finché ci sarò io. »

« Mi tremano le ali. » disse sfacciato Lucifero. Si picchiettò un dito sul mento « Finché ci sarai tu, eh? Allora provvederò immediatamente! »
Mi lanciò addosso una scarica elettrica nera che io evitai con un salto mortale.

« Tutto qui? » dissi, delusa

« No. » confessò, facendo spallucce. Con un’agilità strabiliante si avvicinò a me e mi strinse lo stomaco con una mano ad artiglio.

« Bye bye, Astrid. »

Boccheggiavo indifesa. La sua presa era strettissima e mi impediva ogni movimento corporeo e respiratorio.

« Cosa vedono i miei occhi? L’angelo più potente e splendente tra i cieli e la Terra… caduto. »

Dalla sua mano partì una scarica elettrica come la precedente che mi percorse in tutto il corpo. Non urlai. Svenni, in fin di vita, pochi secondi dopo.

 

 

Mi svegliai battendo la testa contro una campana. Il Capo era di fronte a me, di spalle.

« Capo… »

« Non dire nulla, Astrid. Hai fatto del tuo meglio. » disse, con la sua solita voce rassicurante, calda. « Non noti nulla? »

« Come mai non avete l’aureola? Perché la vostra luce è così spenta? » dissi alzandomi evitando la campana.

« Dovresti guardare le tue vesti. »

Obbedii, e quello che videro i miei occhi fu devastante: le mie vesti, che erano bianche e lucenti erano state sostituite con banali jeans grigi, come la maglietta e come le scarpe. Le punte dei miei capelli biondi stavano diventando nere, poco alla volta, così come le scarpe. Le mie ali erano sparite. Arretrai, guardando terrorizzata il Capo.

« Posso risponderti con una sola parola: Lucifero. Sei rimasta svenuta per quindici anni, Astrid. I suoi demoni sono stati spietati, hanno corrotto gli umani con metodi crudeli. Quelle poche luci che ancora brillano sono nel baratro della disperazione. Il nostro invisibile ritardo si è ingrandito alla velocità della luce. Come sai i demoni torturano e alla fine… »

« Uccidono. » conclusi, con una nota di schifo nella voce. « Ma le mie ali… le mie vesti… »

« Astrid, quella notte Lucifero ha rubato i tuoi poteri, trasformandoti. Il tuo io è cambiato. Non sei più un angelo: in quindici anni ti sei trasformata in umana e il prossimo passo… »

« Un demone? »

Il Capo annuii e si girò. I suoi occhi azzurri penetrarono in me. « Il SUO demone. »

Il suo demone? Di Lucifero? Non vedevo una prospettiva peggiore per passare l’eternità.

 « Cosa possiamo fare, Capo? » chiesi. Il Capo aveva sempre una soluzione. Lui però mi guardò con uno sguardo che non vedeva scelta. Uno sguardo che vedeva una sola soluzione, ed era tragica. Capii.

« Il Riassenia. »

« C-come? I-il R-Riassenia? »

« Non c’è altro modo, Astrid. »

« M-ma… se non mi ricorderò nulla, come potrò impedire che Lucifero mi incontri e mi rubi i poteri? »

« Avrai tempo e poi… avrai comunque i tuoi poteri e sarai l’angelo più potente tra i Cieli e la Terra… »

« Solo che non me lo ricorderò. »

« Astrid, sei intelligente, sono sicuro che appena cadrai qualcuno ti soccorrerà. Dovrai solo impedire che si attacchi troppo a te e viceversa. Sarebbe alquanto pericoloso se tu fossi attaccata ad un umano. »

« E per quale motivo? »

« Se ti affezioni troppo all’umano sarai legata a lui, e se dovrai rinunciare perderai i tuoi poteri. » disse, sospirando. « Sei stata un angelo custode secoli orsono, ti ricordi? »

« Mi ricordo, mi ricordo. Non sbaglierò, Capo. »

« Mi fido di te. »

Si avvicinò a me e mi posò l’indice sinistro al centro della fronte. Chiusi gli occhi e lo sentii mormorare qualche parola in latino.

« Buon viaggio, Astrid, angelo caduto. » prese una pausa « Riassenia. » disse con un filo di voce, come un sussurro.
Una sensazione di freddo e leggerezza mi avvolse. Aprii gli occhi e tutto d’un tratto mi chiesi: « Qual è il mio nome? »

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Capitolo 2
*** Incontriamo una ragazza all'apparenza psicopatica ***


iraps

« Da quanto era che non correvamo così, Finn? »

« Troppo Kade, non mi sento più le gambe! »

« Per di là! In quel vicolo! »

Ci infilammo in un vicolo buio alla nostra sinistra.

« Dove sono andati?! Controllate la zona. » Le voci dei poliziotti erano lontane e nel vicolo eravamo al sicuro. I nostri respiri erano affannati, ma aspettammo di non sentire più nessun suono e scoppiammo in una fragorosa risata.

« È stato troppo divertente! Battimi sto cinque, fratello! »

« Sì, cazzo, è stato troppo forte! »

Come al nostro solito eravamo stanchi morti ma avevamo ancora la forza di ridere e di parlare dell’accaduto come se i poliziotti fossero un branco di foche inferocite. Eravamo sedicenni, dopotutto, il pericolo lo adoravamo entrambi. Per questo che Finn era il mio migliore amico.

« Andiamo a berci qualcosa, Kade? » propose dopo l’ennesima risata.

« Alla salute! » commentai. Ci prendemmo sottobraccio e ritornammo sui nostri passi, fino a che non vidimo il pub di mio cugino. Entrammo. Io non bevevo molto, ma Finn ci dava dentro alla grande. Quando entrò mio cugino ci fissò e sorrise.

« Ancora nella merda, voi? » ci disse, andando dietro al bancone. « Ho visto qualche poliziotto qua fuori, non ho dubbi che cercano voi. »

« Hai punto il centrato! » commentò Finn, già ubriaco fradicio

« È già ubriaco? » mi chiese mio cugino a bassa voce

« Eh, sì. Dovrò avvisare suo padre, come al solito. » sbuffai. Toccava sempre a me avvertire i genitori di Finn che era da me. « Che seccatura. » sbuffai

« Potresti anche evitare di accettare di venire qui una sera sì e una no, Kade » mi fece l’occhiolino. Bevvi un sorso della mia birra.

« Sarà meglio andare, sono le tre e mezza. » dissi, dopo aver guardato l’ora. « C’è molta strada da fare. Finn » gli tirai una pacca sulla spalla « andiamo a casa. »

Il mio amico mugugnò qualcosa, probabilmente doveva suonare come una minaccia, ma non ne aveva molto l’aria, a parte per la bottiglia di birra vuota che mi aveva puntato contro. Lo tirai su di peso, mi misi un suo braccio intorno al mio collo e mi alzai.

« Ci vediamo, cugino. »

« E la birra? »

« Non mi va, finiscila tu. »

Mi allontanai dal locale con passo deciso. Casa mia era molto lontana dal pub di mio cugino e mia sorella si sarebbe incazzata parecchio. Come biasimarla. Una sera sì e una no portavo il mio migliore amico a casa ubriaco che lasciava i rivoli di bava sul divano e lei doveva pulire perché mamma non c’era. Povera sorellina. Camminai per molto tempo, quasi interminabile, finché non vidi una scena alquanto strana.
C’era una ragazza nuda che si guardava intorno confusa. Continuava ad aggrottare la fronte e a biascicare qualcosa. Finn alzò la testa.

« Chi è quella sventola? » fischiò

« Non ne ho… idea. »

« Ce la scopiamo? »

« Finn! Che cazzo di domanda è? »

« Cazzo Kade! È una figa stratosferica, è nuda, e probabilmente è ubriaca fradicia. È un’occasione da non perdere, amico! »

« Qui, l’unica persona ubriaca fradicia sei tu. E poi non penso che scoparsi una sconosciuta sia l’occasione di una vita. »

« Pff… »

« Vado a vedere. » mi avviai, appoggiandolo all’albero « Stai fermo qui. »

« Ehi, se cambi idea chiamami, non divertirti solo tu! » mi urlò quando fui a qualche metro da lui.

« D’ah, ‘fanculo. »

Mi avvicinavo sempre di più alla ragazza e capii che diceva sempre la stessa cosa: « Qual è il mio nome? »

« E-ehi… signorina? »

« Qual è il mio nome? »

« Non lo so qual è il tuo nome. E neanche tu, a quanto vedo. Facciamo che ti do’ la mia giacca, okay? »

Mi tolsi la giacca e allungai una mano con la felpa stretta tra le dita. Quella ragazza era minuta e la mia felpa le avrebbe fatto da vestito. Mi guardò inclinando la testa.

« Mettila. »

Lei obbedii e si infilò la felpa dalla testa. I capelli biondi mossi fluivano al contatto con le sue mani in direzione del vento. Per la prima volta la guardai con attenzione: aveva le labbra rosa sottili, le guance rosate e gli occhi azzurri come non li avevo mai visti in nessun altro. Mi si avvicinò e mi guardò dal basso. Mi posò una mano sulla guancia e la fece scorrere sul mio viso provocandomi un brivido.

« Qual è il tuo nome? » aveva una voce acuta, ma non stridula. Era come il suono di un flauto, una voce angelica.

« M-mi chiamo Kade » sussurrai.

« Dove mi trovo? »

« Sei in Australia, a Sidney. »

« Australia? »

« Sì, Australia. » scandii la parola per farle capire, magari ricordava. Non sembrava funzionare. « Da dove vieni? »

« Io non lo so. »

« C’è qualcuno che conosci qui? »

Tolse la mano dal mio viso e se la posò prima sul cuore, poi lentamente la spostò sul mio. « Kevin Richardson. »

« Come sai il mio nome? »

« Lo so. »

Mi chiesi come poteva non sapere il suo nome ma sapere il mio vero nome se io le avevo solo detto il mio soprannome. Scossi la testa confuso. Lei si girò guardando l’orizzonte e io le misi una mano intorno alle spalle.

 « Ti porto a casa. »

Lei annuii e mi precedette camminando. Arrivammo davanti a Finn che si era addormentato.

« Finn… svegliati. » lo scossi

« Finnegan Sabin Gray, svegliati. » disse la ragazza, con un filo di voce.

Finn si alzò di scatto « Si, mamma, arrivo! »

Iniziai a ridere « Sabin? Che roba è? »

« I-il mio secondo nome. Lo usa mia madre quando mi butta giù dal letto. Come fai a saperlo, tu? »

« Io non l’ho mai saputo! Questa ragazza lo sa! » dissi, tra una risata e l’altra

« C-come fai a saperlo? Non l’ho mai detto a nessuno! »

La ragazza fece spallucce e si inginocchiò. Si mise una mano sul cuore e poi la mise sul suo, come aveva fatto con me. « Finnegan Sabin Gray. È il tuo nome. »

« Puoi smetterla di ripeterlo? Odio il mio nome. »

« Qual è il mio nome? »

« A quanto pare il nome è molto importante da dove vieni tu. » intervenni io « Facciamo che per ora ti chiamerai… Jennifer? Ti piace? »

« Jennifer… elfo luminoso…  » sorrise « potete chiamarmi Jean. » disse radiosa. A quanto pare quel nome le piaceva alquanto. Sorrisi di rimando, ma Finn si fece roteare il dito sulla tempia e mimò con le labbra una frase come “ Questa è tutta matta, avremmo dovuto scoparcela e andarcene.”
Forse solo la seconda. Fatto sta che lo mandai a quel paese con la mente e gli diedi una mano per alzarlo. Era ancora troppo ubriaco per farlo da solo.

« Okay. Jean, Finn, seguitemi. Vi porto a casa. » sorrisi. Finn era abituato a sbavare sul divano del mio salotto, per cui non gli fece né caldo né freddo quell’affermazione, Jean invece mi fece un sorriso luminoso e pieno di gioia.

« Tua sorella mi lascerà dormire a casa tua? » mi chiese, con mia grande sorpresa.

« Come fai a sapere di mia sorella? »

« Daphne Richardson, è il suo nome. »

Si, quella ragazza era un po’ sballata, devo ammetterlo. Il fatto che sapesse i nomi di tutti tranne il suo, e doveva essere una cosa davvero importante per lei, era leggermente… inquietante? Tutta quella faccenda era inquietante, trovarla nuda e tutto il resto. Mi ero cacciato in un gran pasticcio, ma allora era solo un presentimento. La portai a casa, la presentai a mia sorella e le dissi che era un po’ fuori, ovviamente senza farmi sentire da Jean, ma a lei piaceva, non chiedetemi il perché.
Così, quella notte avevo due ospiti a dormire da me.

 

Di solito non sognavo da schifo, ma quella notte successe. Era un sogno assurdo, ma era come una visione, come se io fossi lì ad assistere a tutta la scena, invisibile.
Nel mio sogno faceva un caldo allucinante e c’erano delle persone vestite di nero con delle ali altrettanto nere che emanavano cattiveria pura. Erano tutte intorno ad un grande trono con seduto maestoso un uomo di colore con gli occhi che sembravano due buchi neri. La sua risata malefica poteva far scuotere le fondamenta di quel posto, a mio parere.

« Il Riassenia? Certo che quegli angioletti sono proprio degli stolti! Pensavano che non me ne sarei mai accorto?! » notai una buona dose di incazzatura nella sua voce « Non mi potranno mai sottrarre Astrid, lei sarà mia per sempre! » e fece un’altra risata malvagia.

“Il Ria-che?” pensai, confuso.

A quel punto il sogno cambiò scenario. Ora ero in un luogo troppo lucente per i miei gusti, ma per una ragione a me ignota non mi coprii il volto. Arrivò volando in fianco a me una ragazza con i capelli rossi e ricci con gli occhi verdemare. Aveva delle ali bianche lucentissime e un’aureola c si vedeva appena: capii all’istante che era un angelo.

« Astrid, vieni, il Capo ti attende. »

« Si, ti seguo, Baylee. » dissi io, con una voce che non era assolutamente la mia. Era una voce da ragazza e mi ricordava qualcuno, ma non riuscii a ricordarmi chi.
Distesi le ali e volai in alto, attraverso milioni di angeli che avevano una faccia incupita quando volgevano lo sguardo verso di me.
Ad un certo punto entrò nel mio campo visivo un uomo biondo di spalle luminosissimo.

« Astrid, siamo in pericolo. » disse, con una voce grave e calma.

« Cosa succede, Capo? » dissi io. Ormai ogni qualità da maschio era svanita.

« Lucifero ha scoperto del Riassenia troppo presto. Niente gli sfugge ormai. Ha demoni sentinelle ovunque. »

« Cosa dobbiamo fare? »

« Evitare che inizi a diventare umana e alla fine un demone dalle ali nere. Devi affidarti a quell’umano, ma non troppo, Astrid. Lui ti aiuterà, sento che non è un umano qualsiasi. »

« Ma Capo, il mio corpo non ricorda il mio nome, come posso recuperare i miei poteri senza il mio nome? Ora ho i poteri di Jean, ma non reggeranno a lungo. »

« Il ragazzo sa, ora. » e il sogno svanì come una nuvola di ricordi.

Mi svegliai di soprassalto.

« Che sogno assurdo, ragazzi. » mugugnai. La mia voce era tornata quella di sempre, fortunatamente. Mi misi una maglietta e scesi in salotto. Finn era ancora là che sbavava sul mio divano come nemmeno un Bulldog sa fare, ma Jean era al tavolo in silenzio.

« Buongiorno. » dissi, sorridente.

Lei mi guardò con i suoi occhi azzurri e mi sorrise di rimando dopo aver bevuto un sorso di latte dalla tazza.

« Buongiorno. » ricambiò.

Feci colazione in silenzio, ripensando al sogno idiota che avevo fatto quella notte. Il “Riassenia” aveva detto quell’uomo nero e quel’altro “Capo”. Possibile che una birra faceva fare certi sogni? Mi attaccai un post-it nell’anticamera del cervello con scritto “fare esperimenti sogni-birra e birra-sogni”.
Finito di mangiare mi concessi del tempo per guardare Jean. Aveva indosso un paio di pantaloncini corti e una maglietta corta di mia sorella e i capelli biondi mossi raccolti in una coda di cavallo alta con qualche ciuffo ribelle troppo corto per stare in ordine. Le ciglia erano allungate da un filo di mascara che le metteva in risalto gli occhi ed era a piedi scalzi. Io ero in mutande e in confronto a lei mi sentivo un po’ un aborto, ma lasciamo perdere.
Jean era molto pensierosa evidentemente perché non si accorse che la guardavo. Mi schiarii la voce.

« Ehi, J-Jean? »

« Dimmi Kade. » disse lei, pronta, girandosi verso di me.

« Che ne dici se, dopo che mi sono vestito, andiamo a f-fare una passeggiata? » Non mi era mai stato difficile invitare una ragazza ad uscire, ma con lei era… diverso.

« Ci sto, sarà divertente! » esclamò lei, contenta.

« Allora io vado a… ehm… vestirmi. »

« A dopo! »

Mi alzai dalla tavola e salii le scale. Non scelsi qualcosa di particolarmente elegante,  Jean era un’amica e io l’avrei aiutata a ricordare. Ma quel sogno continuava a tormentarmi, non riuscivo a dimenticarmi di quel Riass-e-che-ne-so-io e dei due tizi. Cosa significava quel sogno? Cosa c’entravo io in quella faccenda? Ero davvero io il ragazzo di cui parlava il “Capo”?
Dovevo levarmelo dalla testa ma qualcosa mi impediva di farlo. Era tutto così dannatamente vero. Mi misi i pantaloni sopra al ginocchio e una maglia bianca a maniche corte sopra. Mi tirai un po’ all’insù i capelli e scesi.

« Che cosa mi sono perso? » chiese Finn, appena sveglio.

« Porto Jean a fare un giro della città, tu vai a casa quando il mal di testa se ne va, okay Finn? » lui annuì. Gli battei il pugno e presi Jean per mano.

« Prima le signore. » lei uscii e io la seguii.
E quello fu probabilmente il miglior appuntamento di sempre.

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