Un Pugno di Ferro, in un Guanto di Velluto

di RossaPrimavera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rivelami, o rivelati ***
Capitolo 2: *** The Rule of Rose ***
Capitolo 3: *** La Fiera delle Vanità ***
Capitolo 4: *** Al Calare delle Tenebre ***
Capitolo 5: *** Uccidere un Usignolo ***
Capitolo 6: *** Il Giorno in cui Nacque il Demonio ***



Capitolo 1
*** Rivelami, o rivelati ***


“Sbalordito il diavolo rimase quando comprese quanto osceno fosse il bene,
e vide la virtù nello splendore delle sue forme sinuose”
[Il Paradiso Perduto, John Milton]



Un Pugno di Ferro, in un Guanto di Velluto
di Elle H.


INTRODUZIONE
“La lettera di Corte”

“Carissimo Armando,
Sono più che certo resterai sorpreso nel riconoscere la mia calligrafia; dopotutto, quanto tempo è trascorso dalla nostra ultima missiva?
Sai bene quanto sono orgoglioso, e mi duole ammettere che la colpa della fine della nostra corrispondenza è mia, e mia soltanto.
Però so che non me ne vorrai, suppongo tu abbia già compreso quanto questo lutto sia stato doloroso per me e i miei figli, e con rammarico riconosco che ne riportiamo ancora tutti i segni.
Ma non sono qui a scriverti per indugiare nuovamente su opprimenti ricordi…
Ti comunico, non senza un certo sollievo, di aver abbandonato l’Irlanda ed aver finalmente fatto ritorno nel Derbyshire, e ciò assolutamente esige un nostro incontro.
Desidero preannunciarti una piccola richiesta, che sono più che sicuro attendi già da molto tempo.
Forse un po’ in ritardo, è giunto il momento che anche i miei figli entrino a far parte della grande famiglia di Hogwarts, e ti assicuro che lo faranno a testa alta, poiché in questi anni non gli è mancata un’esemplare educazione.
Sono certo che il loro comportamento non desterà alcun allarme, ma vorrei che in ogni caso appuntassi gli occhi sulla mia figlia maggiore, Pearl.
Come sua madre è estremamente abile, anzi forse lo è perfino di più, un dato che non può non allarmarmi se considero il suo carattere; la morte di Deh l’ha profondamente provata, e ogni giorno la osservo divenire sempre più fredda e scostante, tentando di sondare un tipo di magia che dovrebbe esserle invece preclusa.
Mi auguro che lei, come i suoi fratelli, possa ritrovare i giorni migliori tra le rassicuranti mura della tua scuola.
Noto che questa lettera sta diventando più simile ad una confessione, ma perché indugiare sulla pergamena, quando possiamo incontrarci dal vivo?
Se accetterai, sarai più che il benvenuto a cena, una di queste sere o quando preferisci.
Attendo con ansia la tua risposta.
Con tutta la mia stima, il tuo vecchio amico

Damocles Ballantyne”


*******


“It is the end of all hope
To lose the child, the faith
To end all the innocence, to be someone like me
This is the birth of all hope, to have what I once had
This life unforgiven… It will end with a birth
To see another black rose born

Questa è la fine di ogni speranza
Perdere l’infanzia, perdere la fede
Porre fine ad ogni innocenza, e divenire qualcuno come me
Questa è la nascita di ogni speranza di riavere ciò che un tempo avevo
Questa vita non perdonata… Finirà con una nascita
Veder nascere un’altra rosa nera”
[End of all hope, Nightwish]



CAPITOLO 1
“Rivelami, o rivelati”

Settembre 1942


Noia.
Sola, ineluttabile, fatale noia.
Noia e ricordi, noia e pensieri: le uniche due vie di fuga che riuscivano a salvarlo da quella grande nemica che finiva sempre per rubargli tempo prezioso, tempo che avrebbe largamente preferito spendere altrove.
Ricordava con precisione il primo, ed unico, smistamento a cui aveva assistito con attenzione: il proprio.
Riusciva a rievocare perfettamente quel magico, estatico momento in cui il suo capo aveva appena sfiorato il Cappello Parlante, e già si era già sentito declamare la sua appartenenza alla casa di Serpeverde.
L’unico istante della sua esistenza in cui aveva sentito di appartenere veramente a un qualcosa di più grande, ad una sorta di vera e propria “famiglia”…
Ma erano passati cinque lunghi anni da quel giorno, inaspettatamente volati come in un soffio, e il suo interesse per quel tradizionale rito di passaggio era ormai pressoché del tutto inesistente.
Il suo sguardo attento e calcolatore aveva scelto di non perdere tempo ad indagare in quella moltitudine di piccoli volti, disinteressandosi a ricercare una qualche scintilla di particolarità.
Avevano undici anni, erano solo dei bambini dopotutto; per loro c’era tempo.
Trovava in ogni caso più interessante il magico soffitto stellato della Sala Grande, gli occhi che l’ammiravano con sincero affetto, come d’altronde considerava l’intero castello.
Hogwarts: la sua unica casa, anzi, il suo unico mondo.
Fu così che non li vide neanche; non subito almeno.
Proprio lui, che poteva segretamente vantare di conoscere tutto di tutti, e di poter utilizzare qualsiasi informazione di un individuo a suo piacimento e favore, giunse con una manciata di ritardo nel campo della novità.
“Che state dicendo?” chiese all’improvviso, captando dei mormorii più eccitati del solito.
La sua domanda era come sempre decisa, autoritaria; il viso, rivolto verso i ragazzi al suo fianco, sfoggiava un sorrisetto arrogante e sicuro di se.
Non che li considerasse davvero amici
Aveva sempre ritenuta l’amicizia una frivolezza bandita dal suo vocabolario, un patetico termine mai pronunciato dalle sue labbra con reale sincerità.
Tuttavia doveva ammettere che talvolta quegli individui sapevano essere utili, persino “gradevoli”.
“Li hai già visti? Stavo indicando a Black quelli là in fondo… Dai, che figura di merda venir smistati con quelli del primo anno!” commentò Aidan Dolohov, indicando l’estremità dell’interminabile fila indiana, proprio al centro tra le quattro tavolate delle case.
“Ci puoi giurare, io li avrei obbligati a farmi smistare in separata sede, poveretti… mi fanno quasi pena” ribadì Orion Black, sottolineando la sua affermazione con uno sguardo sprezzante.
“Però, però… se guardi bene, c’è un lato positivo. Tom, tu che ne pensi?” chiese retoricamente Duncan Rosier, tendendo la testa e aguzzando la vista, accennando un sorriso gonfio di malizia.
Il giovane seguì il suo sguardo, non trattenendo una certa curiosità, e intravide tre ragazzi più grandi, svettanti sulla folla di ragazzini; chiaramente, come aveva subito supposto, una di loro era una ragazza.
“E sembra pure niente male, eh?” disse ancora Dolohov, gli occhi grandi come galeoni.
Tom si limitò a sorridere, ma il suo sguardo continuò a saettare verso quei tre nuovi arrivati.
Certamente Hogwarts era, con tutta le probabilità, la migliore scuola di magia presente in tutto il continente, ma era risaputo che fosse estremamente difficile riuscire a mettersi in pari con le materie e il programma eseguito.
Era quindi ovvio che dei nuovi studenti fossero un evento più che raro.
Così raro che ben presto molti sguardi si concentrarono sulle loro figure, bersagliandoli di commenti e considerazioni più o meno lusinghiere, generando una nuova ventata di pettegolezzi decisamente insolita per il solo primo giorno dell’anno scolastico.
“Così raro da meritarsi persino l’accoglienza del preside” pensò poco dopo, quando nella navata centrale rimasero solo quei singolari ragazzi: indossanti già la divisa della scuola, erano allineati con precisione militare l’uno accanto all’altro.
I loro visi erano privi di espressione, gli occhi fissi e immobili dinnanzi a se.
“Ragazzi e ragazze, prima che apra l’anno scolastico con il consueto annuncio, è con un caloroso benvenuto che desidero accogliere qui, alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, tre giovani fratelli appena rientrati da un lungo soggiorno all’estero.
Frequenteranno rispettivamente il sesto, il quinto e il terzo anno, e sono certo che ognuno di voi farà il possibile per farli sentire a casa. Prego!”
Gli annunci del professor Dippet non erano mai stati particolarmente roboanti, eppure Tom vi trovò lo stesso un qualcosa di illuminante; riuscì a cogliervi una sottile vena paterna, persino affettuosa, quel tono di voce che riservava sempre anche a lui.
Il professor Silente, vicepreside ed insegnante di trasfigurazione, si fece avanti con un sorriso gioviale, offrendo con garbo il Cappello Parlante, più consunto e rabberciato che mai.
Il più grande dei tre ragazzi si fece avanti con tono autoritario, afferrando il cappello senza il minimo cenno di esitazione.
“Schneizel Ballantyne” disse ad alta voce il professore, improvvisando una sorta di presentazione.
Era un giovane alto e ben piantato, la tipica stazza dei giocatori di Quidditch, con lisci capelli di un castano dorato; quando con fare disinvolto indossò il cappello, udì il bisbigliare delle ragazze farsi più eccitato e i loro occhi adoranti concentrarsi sul suo bel volto.
“Grifondoro!” declamò il cappello poco dopo, infiammando gli animi della tavolata rossa e oro, strappando un sorriso di vittoria al giovane, che con un ultimo cenno ai fratelli, si accinse a raggiungere il proprio nuovo posto.
Un attimo dopo fu il turno del fratello più piccolo, che in confronto al maggiore, pareva infinitamente più timido ed inesperto.
“Barron Ballantyne”
I suoi gesti erano titubanti, le mani esitarono un attimo prima di porre il cappello sulla propria testa, scostando i capelli scuri e rivelando per un attimo occhi straordinariamente chiari, in contrasto con un volto dai lineamenti ancora vagamente infantili.
“Corvonero!”
Applausi educati, sorrisi gentili e sinceri lo accolsero a quella che Tom considerava, e non senza ragione, la casa più superba e presuntuosa di tutta Hogwarts.
Mentre il ragazzino prendeva posto, si trovò a considerare i loro nomi e cognomi; anni prima aveva compreso che analizzando questi due elementi, era facile capire se uno studente fosse di una famiglia più o meno antica, e soprattutto, purosangue o mezzosangue.
Una differenza a suo parere strettamente fondamentale.
Tornò a rivolgere lo sguardo sull’unica rimasta, l’esile ragazza che avrebbe dovuto quindi frequentare il suo stesso anno.
Udì non pochi ragazzi mormorare al suo indirizzo, valutandone le grazie del corpo, chiedendosi quale casa avrebbe accolto tale nuovo esemplare femminile.
“Pearl Nicholai Ballantyne”
I mormorii cessarono di colpo, lasciando calare un pesante silenzio imbarazzato, quando il passaggio di cappello fallì con la caduta dello stesso a terra.
La giovane però non si scusò per essersi lasciata sfuggire dalle mani quel cimelio millenario.
Per tutta risposta, si limitò a chinarsi per sollevarlo, battendolo poi leggermente con la mano per eliminare la polvere, ponendoselo infine sul capo con somma noncuranza.
Lo fece voltandosi verso la sala, lanciando uno sguardo così diretto ed autorevole che non pochi ne rimasero colpiti, scatenando un’altra corrente di giudizi.
Tom non si unì agli altri, gli occhi che rimanevano incollati su di lei, ipnotizzato dal cappello che aveva appena indossato. Non fu così immediato come nel suo caso, cinque anni prima;erano sicuramente passati una manciata di secondi in più, un lasso di tempo in realtà infinitamente breve e incalcolabile.
“Serpeverde!” declamò il cappello, un istante dopo che era stato posato.
Il tavolo delle serpi esplose, impegnandosi a battere le mani con forza per superare tutte le precedenti accoglienze.
Questa volta anche lui batté le mani sinceramente, seguendola con lo sguardo; riuscì a incontrare i suoi occhi, che gli parvero così scuri da sembrare pozzi, e con un accenno di irritazione capì che lei neppure l’aveva calcolato.
Si sedette poco distante da lui, nell’area abitualmente occupata dal quinto anno.
Da come diversi sguardi tornavano a cercarla furtivi, o da come molte mani si protendevano per fare la sua conoscenza, dedusse che non era l’unico ad esserne rimasto impressionato.
Occhieggiandole i lunghi capelli scuri, calcolò che a catturare la sua attenzione non era tanto la sua bellezza, quanto il suo atteggiamento.
Perché Hogwarts traboccava di belle ragazze: per quanto fosse del tutto disinteressato alle faccende amorose, negli anni il suo corpo, in pieno possesso di ormoni e desideri, si era ampiamente degnato di farglielo notare, e gli aveva più volte intimato di assecondarlo.
Ma in lei pareva esserci un qualcosa in più, qualcosa che andava ben oltre il mero aspetto fisico, quasi possedesse la sfacciata dignità e il contegno di un’imperatrice
Pensieroso si versò del succo di zucca, per poi sentirsi battere gentilmente sulla spalla poco dopo.
“Tom, ragazzo mio! Il preside ti propone gentilmente di fare da guida, in qualità di nuovo prefetto, alla nostra nuova new entry. Sempre se per te non è un disturbo, ovviamente” lo avvertì il professor Lumacorno, protendendosi verso di lui con affabilità.
“Ma certo professore, l’avrei fatto in ogni caso” rispose Tom, mostrandogli un sorriso amabile.
“Ah, lo immaginavo! Sempre buono, sempre disponibile e sensibile verso gli altri…” commentò l’uomo soddisfatto, distaccandosi e ritornando a tutta velocità alla tavola dei professori, luogo da cui normalmente non soleva allontanarsi fino alla fine del pasto.
Tom si voltò, tornando a rivolgere lo sguardo sulla ragazza.
Questa volta, quando incontrò il suo sguardo, lo vide presente a se, concentrato su di lui.
“Sarà un vero piacere” concluse, certo che lei l’avesse sentito.
Si portò il calice alle labbra, nascondendo un sorriso che altro non era un ghigno compiaciuto ed opportunista.
Perché quando qualcuno o qualcosa entrava nell’attenzione di Tom Orvoloson Riddle, si ritrovava inevitabilmente intrappolato come in una ragnatela, priva della benché minima via di fuga.
Non ne usciva più.
Mai più.



*******



Pearl appoggiò i palmi sulle grandi vetrate della sala comune di serpeverde, quella che da quel giorno sarebbe stata la sua nuova casa.
Era straordinariamente affascinante: posta sotto i sotterranei del castello, le grandi finestre rivelavano il paesaggio misterioso delle profondità del lago, donando una curiosa luce verde agli ambienti.
Eleganti divani e poltrone di pelle, poste strategicamente vicino ai camini, offrivano conforto agli studenti, e sapeva già che nel dormitorio l’attendeva un caldo letto a baldacchino ricoperto di seta verde.
Tuttavia, nonostante il lungo viaggio, non desiderava andare a letto o fare nuove conoscenze: sebbene una parte di lei si rammaricasse di essere divenuta così schiva, era l’altra parte a prevalere in quel momento, quella che desiderava semplicemente restarsene in un angolo, accoccolata nella solitudine, lontano da qualsiasi cosa che interrompesse il fluire dei suoi pensieri.
Perché aveva un perenne bisogno di pensare: perché pensare significa capire, capire significa elaborare, ed elaborare voleva dire accettare. Un lungo ed inevitabile ciclo che le era necessario per finire di leccarsi le ferite, e tornare finalmente a vivere.
E perché no, magari proprio lì, in una nuova scuola, con dei nuovi amici…
“Ti disturbo?” chiese una voce alle sue spalle, cogliendola di sorpresa.
Prima ancora di voltarsi, intuì di chi si trattasse: il ragazzo che si era offerto di farle da guida, il possessore di quello sguardo indiscreto che l’aveva esaminata durante l’intera cena.
Pearl si girò appena, cercando accuratamente di dimostrargli la minor attenzione possibile.
“Sì, mi disturbi”
Il ragazzo rise, una risata ironica e sottile, che per un qualche assurdo motivo le diede un fremito innaturale.
“Era solo una domanda di cortesia, è chiaro che…”
“L’unica cosa chiara qui, è che non hai considerato ciò che ho detto. Mi stai disturbando”
Tom tacque, stupito ed irritato.
Lo stesso identico tono imperioso, la stessa identica fermezza: per un attimo restò colpito dalla quella voce vellutata, che si esprimeva con il tipico modo di chi è abituato a comandare.
Il suo stesso tipico modo, in definitiva.
“Sai che potrei punirti per essere ancora in piedi a quest’ora, vero?”
Fu il turno della ragazza di ridere.
“E con quale autorità, di grazia?”
“La mia, sono un prefetto. Credo tu sappia cosa significhi…”
Finalmente Pearl si voltò, decidendo di affrontarlo apertamente.
“Ma tu non vuoi punirmi” gli fece notare con semplicità , rivolgendogli uno sguardo tagliente.
“Ah no? E cosa te lo fa credere?” ribatté lui, inclinando la testa con fare derisorio.
“Perché tu vuoi qualcosa da me”
Il sorriso arrogante si dissolse come vapore dal volto del ragazzo.
Con una calma attentamente calcolata, le tese la mano senza azzardarsi a distogliere lo sguardo;
ma più che un tentativo di socializzazione, pareva una minaccia neppure troppo velata.
“Tom Riddle”
Pearl lo valutò attentamente prima di stringerla, e dovette ammettere suo malgrado che ciò che vide non le dispiacque affatto.
Tom Riddle possedeva quei tratti caratteristici che sin da piccola aveva trovato attraenti.
Era certamente bello quanto Scheizel, anzi forse di più; ma in modo diverso naturalmente, concluse con un barlume di senso di colpa nei confronti del fratello maggiore.
Solo gli occhi la confondevano: erano scuri, occhi di tenebra ed inchiostro.
Occhi fin troppo simili ai suoi.
“Pearl Ballantyne, ma questo dovresti già saperlo, vero?”
Per un attimo nessuno dei due proferì ulteriore parola, osservandosi guardinghi, come due predatori intenti a valutare vicendevolmente la prestanza dell’altro, cercando di definire in anticipo chi potrebbe essere il vincitore di un ipotetico scontro.
“Ammettiamo pure che tu abbia un qualcosa che mi interessi… Il fatto che io mi sia incaricato di accompagnarti in questi primi giorni non denota le mie buone intenzioni?” chiese infine Tom, rompendo il silenzio con incredibile garbo.
Le labbra gli si piegarono in un sorriso venato di scaltrezza, e solo allora Pearl si rese conto di quanto effetto dovesse probabilmente suscitare sulla stragrande maggioranza della persone; a sua volta non poté fare a meno di sentirsi colpita, persino lusingata, dalla sua attenzione.
“Se stai cercando di incantarmi, sei fuori strada”
“Strano tu me lo faccia notare, non ho toccato bacchetta”
“Dubito tu abbia bisogno di usare la bacchetta per incantare le persone” ribatté la giovane con amarezza.
Fece per andarsene, come seguendo un intuito che le ordinava di allontanarsi, di lasciar attuare un automatico meccanismo di difesa, ma lui la trattenne a se.
Non lo fece con le mani, gli bastarono le parole.
“Ho visto che non sei rimasta molto turbata della separazione con i tuoi fratelli” commentò con l’aria di chi la sa lunga.
“Avrei dovuto?” replicò lei con freddezza.
“Normalmente… Sai, ho visto scoppiare drammi famigliari per una separazione tra cugini, figurarsi tra fratelli. E poi, come possono un grifondoro e una serpeverde convivere nella stessa famiglia?”
Pearl alzò le spalle, scuotendo appena la testa.
“Evidentemente è possibile, non vi trovo niente di strano. Siamo fratelli, è ovvio che siamo diversi l’uno dall’altra, non mi sembra così difficile da capire” aggiunse sbrigativamente, cercando una via per svicolare.
All’improvviso tutto il sonno le si fece addosso con pressante richiesta, facendole ardentemente desiderare di correre a rintanarsi nel suo nuovo letto e ricercare un briciolo di forze per l’indomani.
Inoltre vi era qualcosa in quel ragazzo che stava ottenendo il graduale potere di turbarla.
Ma Tom Riddle pareva di tutt’altro avviso.
“I tuoi genitori a quale casa appartenevano?” domandò nuovamente, seguendola ancora non appena lei provò ad allontanarsi.
“Senti, dacci un taglio. Non mi piacciono le persone invadenti. Ora ho sonno e voglio andare a dormire, ho viaggiato tanto quanto te oggi” l’avvertì, il tono che da calmo mutò sgradevolmente in stizzito.
“Tu dammi una risposta e non ti tratterrò oltre” obiettò il ragazzo, incrociando le braccia in un cenno di sfida.
Pearl si fermò, in attesa, limitandosi a guardarlo con un’improvvisa, straordinaria quiete.
“Potrei fartela io una semplice domanda: perché dovrei risponderti?”
Tom si avvicinò, ponendosi ad un’esigua distanza da lei, osservandola dall’alto in basso.
“La domanda non è perché tu debba rispondermi, ma perché tu non debba farlo” affermò con sagacia.
“Allora credo proprio che dovrai aspettare l’indomani per una risposta. Buonanotte” concluse la ragazza, voltandogli definitivamente le spalle e avviandosi verso una rampa di scale che pareva condurre nel ventre della terra stesso.
Salvo fermarsi di botto un attimo dopo, quasi si fosse dimenticata qualcosa.
“Riponi la bacchetta: non credo dovresti scherzare con certe cose” scandì lentamente, con un distacco tale che la mano del ragazzo si arrestò sull’apertura della tasca.
Osservandola imboccare la scalinata, si chiese come avesse fatto a capire che stava per lanciarle un incantesimo.
E con un inusuale senso di frustrazione, Tom realizzò di quanto lo standard di quella breve conversazione fosse stato basso, del tutto anomalo.
Non aveva ottenuto niente: la sua curiosità non era stata saziata, anzi, era stata semplicemente incrementata.
Che cosa bizzarra… Se prima non era stato del tutto sicuro della peculiarità di quella novellina, ora gli era tutto fin troppo chiaro.
Era semplicemente, e sorprendentemente, simile a lui: pressoché identica.
Con un verso di stizza il ragazzo si diresse a grandi passi all’uscita dalla sala comune, diretto all’unico posto dove sapeva avrebbe potuto calmarsi.
Erano anni che nessuno osava più rispondergli a quel modo.



“Se il diavolo non esiste, ma l'ha creato l'uomo,
credi che egli l'abbia creato a propria immagine e somiglianza?”
[Fëdor Dostoevskij]




Scese le scale con svogliatezza, districandosi tra la moltitudine di porte e corridoi che occupavano le viscere della sala comune; si allentò la cravatta verde e argento, colori riflessi ovunque in quel gelido panorama, che ad un tratto le parve persino spettrale, in contrasto con la miriade di bisbigli e risate che si avvertivano da dietro le porte.
Una volta, quando era piccola, amava favoleggiare ad occhi aperti su Hogwarts: frequentarla era il suo desiderio più grande.
Ora non sapeva quanto gliene importasse, e soprattutto, se gliene importasse ancora.
Quando scostò un largo arazzo verde e varcò la soglia della camera che le era toccata in sorte, si arrestò per un attimo sul pianerottolo, mentre altre quattro paia di occhi le rivolgevano lo sguardo.
“Scusatemi, non volevo interrompervi” disse Pearl, distogliendo immediatamente lo sguardo e avviandosi verso il suo letto, contrassegnato dalla presenza del suo baule.
“Tranquilla, ti stavamo aspettando” si sentì replicare.
Nonostante la tarda ora, tutte e quattro le sue compagne di stanza erano sveglie e dallo sguardo attivo, acceso di curiosità; quando si voltò, vide che non stavano scherzando.
Non le staccavano gli occhi di dosso: stavano seriamente aspettando lei.
“Ma davvero?” rispose Pearl, suo malgrado stupita, spogliandosi la divisa ed indossando il pigiama senza alcuna vergogna.
“Davvero. Dovremmo presentarci, non trovi?” aggiunse ancora la stessa ragazza.
Pareva bella quanto feroce; i decisi tratti del viso non facevano altro che accentuare un evidente carattere altero e superbo, rivelato dalla freddezza degli occhi grigio ferro.
Un carattere che, tuttavia, non le stava riservando in quel momento.
Pearl le sorrise, scoprendo stupita che le veniva quasi spontaneo.
“Credo tu abbia ragione. Io sono Pearl Ballantyne”
La giovane sorrise di rimando, appoggiandosi meglio ai cuscini con soddisfazione.
“E io sono Walburga Black”
Il resto delle presentazioni venne da se.
Erano anni che Pearl non trascorreva del tempo con dei suoi coetanei, ma le fu facile capire quanto quel piccolo gruppo dovesse essere molto legato e decisamente affiatato.
La ragazza di nome Walburga ricopriva indubbiamente il ruolo del leader, ma nessuna delle altre ragazze ne pareva intimorita, semmai rassicurata, persino protetta.
Pearl era sempre stata dell’idea che in un gruppo di persone, ognuna ricopra un preciso ruolo, senza il quale il gruppo non ha la forza di esistere, poiché non perfettamente bilanciato.
Teoria più che confermata in quel momento.
Druella Rosier era la dolcezza in persona, colei che mitigava il temperamento di Walburga.
La sua aria placida e soave completavano un quadro angelico, di chi nella propria vita non ha mai incontrato la benché minima traccia di difficoltà
Isobel Gamp era la cosiddetta “mente”, un soggetto che le parve infinitamente simile a suo fratello Barron: non era bella, ma trasudava eleganza e contegno, un fascino che sembrava legato a doppio filo ad un’illustre aria di superiorità
E infine vi era Lysandra Crouch: civettuola, disordinata, eccentrica, magari persino superficiale; carina quanto bastava per sentirsi in diritto di fare qualsiasi cosa.
Occupavano stereotipi quasi esagerati, che uniti l’uno all’altro, esercitavano un mix irresistibile di orgoglio e vanità, un effetto decisamente contagioso.
Pearl ricambiava le loro parole con naturalezza: improvvisamente la voglia di sentirsi a suo agio si acuì, donandole uno slancio di ottimismo.
“Sei purosangue, vero?” chiese inaspettatamente Lysandra poco dopo, mentre si rimirava in uno specchio, tentando di arricciarsi con la bacchetta i lunghi capelli biondo scuro; i suoi occhi cerulei, stretti ed allungati come quelli di un gatto siamese, erano diventati improvvisamente dubbiosi.
Pearl liquidò la sua domanda con uno sbuffo.
“Ti prego, così mi offendi. Ovviamente lo sono”
La risposta parve essere apprezzata dalle compagne.
“Non che abbia niente contro i mezzosangue, ma sai… qui non hanno vita facile” aggiunse la ragazza, tornando a concentrare lo sguardo su se stessa senza terminare la frase.
“Di pure che metà della casa non gli rende vita facile, Lyz.
E poi parla per te: personalmente mi sarei rifiutata di condividere la stanza con una mezzosangue, anche a costo di correre da Dippet in piena notte e buttargli giù la porta” ribatté Walburga sdegnosa, accolta dalle risate delle compagne.
“Scusaci comunque, avevamo formulato prima quest’ipotesi quando abbiamo visto che non venivi a letto. Sai, il tuo cognome non è molto conosciuto” continuò la giovane, osservandola incuriosita.
“Perché è irlandese. Entrambi i miei genitori sono mezzi irlandesi, è lì che ho vissuto negli ultimi anni” spiegò Pearl, per la prima volta senza sentirsi a disagio nel parlare di se stessa e della propria famiglia.
“Ma dai! E ora dove ti sei trasferita?” chiese Isobel, abbassando lievemente il libro che teneva aperto sulle ginocchia.
“La mia famiglia ha sempre avuto una magione nel Derbyshire, non lontano da Hadfield” concluse la ragazza, accolta da un lungo fischio.
“Dimmi che ti piacciono le feste e credo potrei autoinvitarmi a casa tua durante l’inverno. Adoro il Derbyshire, ci sono stata con mia nonna quando ero piccola e…”
“E non ci interessa. Le vere feste a cui dobbiamo pensare, ragazze, sono quelle di Lumacorno” dichiarò Walburga bloccando il racconto di Lysandra sul nascere, che tuttavia non ne parve affatto offesa, limitandosi a mostrargli irriverentemente il dito medio.
“Chi è Lumacorno?” domandò Pearl, mentre le altre scoppiavano in una nuova risata.
“Il capo della casa, nonché professore di pozioni. Raccoglie intorno a se tutti coloro che hanno uno straccio di qualità, o in mancanza di quella, qualche parentela importante. Sai, è quello che cerca: i legami importanti” spiegò Isobel, piegandosi verso di lei con fare cospiratorio.
“Noi siamo invitate tutti gli anni, ma vedrai che appena ti avrà inquadrato, sarai invitata anche te” disse placidamente Druella, che fino ad allora si era limitata ad ascoltare.
Si sorrisero: sembrava tutto così semplice, era decisamente un sollievo.
Continuarono a parlare sino a notte fonda, mentre le sue nuove compagne si divertivano ad irreggimentarla, scherzando sul suo status di matricola.
Era divertente, era una liberazione.
Il nodo alla gola che l’aveva tormentata per tutto il giorno lentamente si sciolse, lasciandola divagare in un tranquillo antro di leggerezza.
Nessuno dei suoi angosciosi pensieri tornò a disturbarla.
Nemmeno l’invadenza di quel ragazzo che per un attimo aveva avuto il potere di spaventarla.
Quasi faticava a ricordarsene il nome in quel momento…
Tom Riddle.

*******



Ma Pearl e le sue compagne non erano le uniche ragazze rimaste sveglie sino quell’ora; un altro ragazzo, sempre di serpeverde e sempre del quinto anno, aveva deciso di sacrificare il sonno per un’altra causa.
Tuttavia il suo umore era tutt’altro che ottimista, allegro ed euforico; anzi, si poteva dire tutto il contrario, meritava ogni qualsiasi nero aggettivo per definirlo.
Tom Riddle, nuovamente deluso, allontanò da sé un altro registro dei prefetti.
Era l’ennesimo, ormai aveva quasi perso il conto, eppure non aveva ancora tratto uno straccio di indizio tra quelle pagine, fitte di grafie differenti e date di tutte le epoche.
Era partito da molto addietro, sin da metà dal 1800, eppure a nulla era servito: pareva quasi che nessun Riddle avesse mai messo piede ad Hogwarts.
Si passò le mani sul viso, massaggiandosi gli occhi stanchi.
Hogwarts immersa nell’oscurità era un turbinio di fruscii, scricchiolii, rumori misteriosi, tutti elementi che invitavano a rannicchiarsi nel letto, o ad avventurarsi nei suoi millenari corridoi.
Per lui scegliere era stato facile, erano ormai anni che girovagava nel castello di notte, sfidando e vincendo la sorveglianza.
Non temeva il buio: nell’orfanotrofio in cui era cresciuto, era spesso stato obbligato a conviverci durante le punizioni, rinchiuso per ore intere, e una volta quasi per un giorno, con la sola compagnia dell’oscurità.
Poi avevano scoperto che quelle sanzioni non erano servite a nulla, e allora…
Ma questi erano pensieri oziosi ed inutili, pensieri che sottraevano tempo alla sua ricerca.
E lui detestava sprecare tempo, quasi quanto non riuscire a delineare la propria stirpe e discendenza.
Quasi quanto odiava quel misterioso secondo nome, quell’ “Orvoloson”.
Il nome del padre di sua madre, il nome di suo nonno.
Quelle due persone che si rifiutava di cercare, così deboli e prive di magia da averlo abbandonato in quel letamaio babbano.
Con uno scatto di rinnovata rabbia, afferrò un altro registro, iniziando a scartabellare freneticamente le pagine alla luce della bacchetta.
Erano le tre passate; avrebbe probabilmente continuato fino alle cinque, per poi trascinarsi fino al letto per riposare quelle poche ore rimastegli.
Nella sua testa i pensieri vorticavano come neve: non c’era spazio per nient’altro.



* * *

COMMENTO AL CAPITOLO:
Giuro e rigiuro solennemente che cercherò di attenermi alla trama il più fedelmente possibile, parola di lupetta!
Or dunque, per realizzare questa storia ho intenzione di attenermi “rigidamente” alla Cronologia stilata dalla Row, e direi anche abbastanza ai nomi e alle discendenze; casomai dovessi, per questioni di forza maggiore (LOL), cambiare qualcosa, ne farò parola qui.
Pertanto, con i personaggi inventati mi sono presa una buona libertà: essendo la famiglia di Pearl purosangue (ma non tanto quanto quelle inglesi) ho deciso di prendere il cognome e i nomi più nobili (e assurdi) che mi venissero in mente.
Per gli altri personaggi, ho utilizzato i nomi delle famiglie proposti nella trama, salvo cambiare le identità: ho considerato che nella prima guerra magica il nostro amico Lord dovrebbe avere all’incirca 40 anni, e quindi la bellezza di 71 nella seconda.
Ora: lui può, fantastico. Ma i suoi amichetti mangiamorte, no.
Ho preferito immaginare che a seguirlo nel corso del tempo fossero più generazioni della stessa famiglia, come padre e figlio, ipotesi non irrilevante. *autrice speranzosa di averci azzeccato*
So di aver nominato molto la figura di Pearl in questo capitolo, ma don’t worry: desideravo solo presentare il personaggio, il protagonista number 1 resta comunque Tom.
C’è altro da dire? Forse, ma scendo sotto, dai.

COMMENTO DELL’AUTRICE (SULLA STORIA, MA ANCHE NO):
Non perdonerò mai, e al contempo non ringrazierò mai abbastanza, la Rowling per non essere scesa nel dettaglio su certi personaggi. Vorrei che nella mia libreria figurasse un libro intero sulla vita di Lord Voldemort, ma d’altra parte sono più che entusiasta di scrivere una storia su di lui. Scherzi a parte, non mi sto paragonando a quel pezzo d’autrice, voglio solo dare il mio personale contributo alla storia, seguendo il vecchio adagio “Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna” [cit. evidentemente non mia]
So che sto straparlando, ma voglio solo chiarire altre due cose: delineerò il carattere di Tom il più fedelmente possibile, per quanto permesso, quindi mi spiace, ma non lo vedremo mai rotolarsi con gli amici in un campo di margherite; al massimo con un harem, toh!
Ma soprattutto, sopra ogni altra cosa, prima che a qualcuno possa anche solo venire in mente: Pearl Nicholai Ballantyne NON è una Mary Sue. Può essere quel che volete, potete anche andare a cercarvi un termine per definirla che vada da Femme Fatale a Eroina Nera, può essere purosangue, intelligente e con un bel culo (ok, questo l’ho detto ora, ma fa lo stesso), ma NON è una Mary Sue.
E se qualcuno vuole comunque esprimere tale arguto pensiero, lo stronco di insulti per poi prenderlo per la manina e riaccompagnarlo a leggersi un’altra saga.
Dear, va bene che Dio fa no mistakes, ma l'ho creata come Pearl, non Bella Swan o Wonder Woman.
Su quest’ultima affermazione potrei tenerci un comizio, ma andiamo avanti…

A parte un po’ di ironia finale, spero seriamente che questa storia non sia un altro buco nell’acqua; per ora su HP ho scritto solo altre due fic, una andata in porto perché è molto pop porno (Lucius *ç*) e l’altra che ha fatto la fine della Costa Concordia, non so se mi spiego.
Vi prego comunque di lasciare una recensione: purché sia costruttiva, mi farebbe un immenso piacere.

Grazie e alla prossima (se Dio vuole, LOL)

Elle H.

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Capitolo 2
*** The Rule of Rose ***


Un Pugno di Ferro, in un Guanto di Velluto

di Elle H.





CAPITOLO SECONDO
The Rule of Rose
 

“Look like the innocent flower, but be the serpent under it!”
[Lady Macbeth, William Shakespeare]

 
 

“E sono altri cinque punti a serpeverde! I miei più sentiti compliementi, signorina Ballantyne, se continua così non le sarà affatto difficile mettersi in pari per il programma G.U.F.O.”
L’ennesimo elogio del professor Hitchens fu la goccia che fece traboccare il vaso anche in quella mattinata.
Quando suonò la campana che annunciava il pranzo, Tom Riddle si avviò all’uscita con insolita ferocia, subito seguito a ruota dai suoi zelanti amici.
“Ecco, ci risiamo Pearl. Hai fatto di nuovo arrabbiare Riddle” commentò Lysandra, sussurrando per non farsi chiaramente sentire dal diretto interessato.
“Se continui così finirai per diventare la migliore del nostro corso, e allora credo proprio che il nostro bel prefetto vorrà fare una certa chiacchierata con te” disse Walburga con fare malizioso, osservando l’espressione dell’amica, che le rimandò un’occhiata del tutto neutra.
Non era il suo scopo diventare la migliore in tutti i corsi, non le interessava; semplicemente le riusciva.
Eppure non poteva fare a meno di provare un sottile, provocatorio piacere nel trovarsi a tener testa a Tom Riddle, che come aveva scoperto in fretta, era considerato uno degli studenti più dotati di tutta Hogwarts.
Perché non succedeva solo in Incantesimi…
La competizione tra Pearl e Tom era ormai affare quotidiano, uno spettacolo che spesso e volentieri lasciava i compagni pressoché allibiti, immersi in una sorta di timore riverenziale.
Era un perenne confronto anche durante Trasfigurazione, Pozioni, Difesa delle Arti Oscure, persino in Astronomia e Storia della Magia; stranamente, l’unica materia in cui le capacità di Pearl sembravano esser messe a dura prova era Erbologia.
“A me le piante fanno schifo” aveva ribadito più volte la ragazza, mentre osservava con diffidenza un Cavolo Carnivoro Cinese, di fronte agli occhi sconcertati dei compagni di corso, e al cospetto del sorrisetto soddisfatto di Tom.
Salvo poi ritrovarsi nuovamente a contendergli il podio anche durante le lezioni supplementari di Aritmanzia e Antiche Rune.
Ormai Tom era perfettamente al corrente di cosa si diceva, poteva benissimo anche leggere il pensiero degli studenti, a volte persino dei professori: non pensavano che Pearl fosse migliore di lui, semplicemente la consideravano quasi una sua pari.
E lui odiava, detestava visceralmente dover condividere gli stessi meriti con qualcuno, quasi quanto odiava veder la propria immagine di sfolgorante bravura ottenebrata da un’altra persona.
Da una ragazza poi… da una novellina.
Un altro dato che lo spronava a chiedersi dove Pearl avesse imparato… tutto.
Ma era inutile: le poche risposte che aveva ricercato gli erano giunte da altre bocche, e mai dalla sua, che pareva perennemente cucita a doppio filo.
A riconfermare la loro somiglianza, entrambi parevano tenere spasmodicamente a mantenere un alto e superbo profilo, misterioso e di conseguenza inattaccabile.
Quando quel giorno di inizio ottobre Pearl e le amiche si presentarono a pranzo, il morale dei ragazzi del quinto anno era incredibilmente basso.
“No, ma ditemi se caricarci così è normale!” urlò quasi Dolohov, brandendo un foglio fitto di appunti ed annotazioni.
“Silente ci ha dato trenta centimetri di pergamena sugli incantesimi evanescenti, altri trenta per Storia della Magia, gli incantesimi di appello per Hitchens e… cazzo, un intero tema sulle contro fatture per la Gaiamens!” si lamentò per l’ennesima volta, osservando con orrore la borsa dei libri ai suoi piedi.
“E se non te lo stessi dimenticando, oggi pomeriggio abbiamo ancora pozioni” gli fece notare Isobel, una forchetta a mezzaria e“Trasfigurazione Oggi” aperta sulle ginocchia.
“Visto che non dicevo cazzate quando ho scommesso con Yaxley che quest’anno sareste impazziti?
Belli miei, ora tocca a voi!” li prese in giro Rosier, l’espressione serena di chi non ha altre preoccupazioni al mondo oltre agli allenamenti di Quidditch.
Pearl aveva imparato giorno dopo giorno ad apprezzare quel folto gruppo di personaggi, abituali compagni di ognuna delle sue giornate.
Costituivano un insieme a parte, un elite che in qualche modo suscitava fascino ed invidia sull’intero corpo studentesco, a prescindere da quale fosse la casa di appartenenza, e persino su un certo numero di professori.
Era un’ unione eterogenea, composta da differenti elementi di età diversa, che spiccavano sopra gli altri per titolo, capacità o ambizioni.
Tra di loro erano spesso legati a doppio filo: Duncan Rosier, al sesto anno, era il fratello di Druella, la quale era già promessa sin dalla culla a Cygnus Black, il fratello maggiore di Walburga; a sua volta, Walburga stessa era promessa a suo cugino Orion sin da quando non erano altro che bambini, ancora intenti a giocare a rincorrersi nei corridoi delle rispettive case.
Se la prima coppia dimostrava di approvare la loro unione obbligata, la seconda pareva essere giunta ad un piacevole compromesso, basato su una solida amicizia e una giusta dose di disinteresse amoroso.
A loro si aggiungevano le chiassose presenze delle gemelle Selwyn, di Mulciber, Nott, Yaxley, Malfoy, Macnair e così tante altre persone che spesso Pearl faticava persino a ricordarsi i loro nomi.
Ben inseritasi in quell’incredibile gruppo, Pearl non aveva affatto faticato a cominciare a sentirsi davvero a suo agio, i pensieri negativi che si riducevano pian piano ad occupare ormai solo pochi ritagli del suo tempo.
Eppure anche questa nuova, piacevole vita poteva vantare il suo lato oscuro.
Pearl voltò la testa verso il gruppo dei ragazzi: lui non c’era, il suo posto era vuoto.
Ancora una volta aveva saltato il pranzo, rifugiandosi in biblioteca.
Ben presto Pearl aveva iniziato a provare, non senza un certo fastidio, un’immancabile curiosità nei confronti di Tom, e le sue quattro nuove amiche non avevano mancato di erudirla in tal proposito, delineandolo un quadro generale del ragazzo, per quanto indubbiamente farcito di chissà quali pettegolezzi.
Tom Orvoloson Riddle era ormai da anni argomento quotidiano e chiacchieratissimo nella vita del castello.
Orfano di bell’aspetto e dai comportamenti educati, seppur alteri e raffinati, appariva estremamente intelligente e avido di apprendere, e sin dal primo anno era stato eletto come modello di persona da gran parte dei ragazzi, e come sospirato desiderio dalla maggior parte delle ragazze.
Eppure in lui c’era qualcosa di oscuro, qualcosa di sempre velatamente celato che riusciva ad incutere un profondo timore, che rasentava spesso il terrore, in chiunque lo incontrasse.
“Alla fine a nessuno sembra interessare che sia o meno un purosangue… Hai visto Orion e gli altri: impazziscono per lui, letteralmente pendono dalle sue labbra” aveva dichiarato una volta Walburga, sempre la prima a saziare ogni interesse di Pearl.
La giovane ricordava perfettamente quella conversazione, durante un intervallo mattutino diverse settimane prima; strette le une vicino alle altre per ripararsi da un vento gelido che preannunciava l’inverno, e per nascondere la presenza di un’illecita sigaretta, bandita da Hogwarts come qualsiasi effetto babbano.
“A Walburga non piacciono i ragazzi che non ci stanno con lei” aveva commentato Isobel divertita.
“Cazzate. A me non piacciono i ragazzi come lui: da come si atteggia, sembra che debba diventare Ministro della Magia da qui a domani” ribatté la mora, scoccandole uno sguardo acido.
“In ogni caso non avrebbe rifiutato solo te… Ho sentito parlare tante ragazze su di lui, di quello che gli farebbero e compagnia bella, ma mai nessuna che abbia ammesso realmente di essere stata con lui” aveva continuato Druella, quasi giustificando la futura cognata.
“E non l’ho mai sentito vantare le proprie conquiste con gli altri. Mai, neanche una volta” aveva ribadito Lysandra, che insieme a Walburga formava una perfetta e commovente rete di conoscenze.
Da queste ultime parole, Pearl aveva iniziato a porsi una serie di interrogativi a riguardo, giungendo ad una strana conclusione, irreale quanto allarmante.
Perché vi era qualcosa di tetro nella faccenda, un qualcosa  che faceva sentire a disagio Pearl quando gli capitava di trovarsi a guardare il bel profilo del ragazzo.
E una parte di lei desiderava ardentemente scoprire cosa fosse.
Quando quel pomeriggio, alla prima ora, entrò nell’aura antica dell’aula di Rune Antiche, scoprì stupita che l’unico posto libero era accanto a Riddle; quando si sedette, lui non le rivolse neppure uno sguardo, nemmeno una sola parola, fosse anche un saluto.
Trascorsero l’ora nel più religioso silenzio, dedicandosi a copiare attentamente ogni simbolo e trascrizione scritta alla lavagna dalla professoressa Oldridge.
Salvo gli ultimi minuti, quando metà della classe stava già riponendo nelle borse i propri averi.
“Ti sono mancato oggi a pranzo?” le sussurrò improvvisamente.
“Perché, credi forse che io registri le tue assenze?” ribatté la ragazza laconicamente, ancora intenta a sfogliare il libro con fare annoiato.
“Stai mentendo. Dimmi la verità
Lo disse come un ordine, una stilettata di potere e comando che la costrinse a sollevare il capo quasi fosse frutto di un incantesimo.
Gli occhi di Riddle erano straordinariamente vicini ai suoi: li sentì conficcarsi dentro le proprie pupille, analizzare con brutale efficacia il suo io più interiore quasi le stesse scavando dentro.
“Hai pensato a me tutto il tempo” concluse il ragazzo, il viso contorto da un ghigno soddisfatto, una piega sottilmente bestiale che quasi deformava il suo aitante volto.
Il suono della campana giunse a salvarla, donandole quel briciolo di forza necessaria per distogliere lo sguardo; ripose i propri oggetti alla rinfusa, gettandoli senza garbo l’uno addosso all’altro.
Sul suo esile viso era dipinta un’espressione di sdegno profondo, un tale nero risentimento che pareva traboccare dai suoi stessi occhi, confermando le sue più orripilanti fantasie.
“Non credere di poter usare un’altra volta la legilimanzia su di me” disse in un sibilo, molto più simile al soffiare di un gatto, non appena i loro compagni uscirono dall’aula.
Quasi si gettò fuori dalla porta, unendosi alla consueta fiumana di alunni, ma lui la raggiunse in fretta, riuscendo a trattenerla afferrandola per un polso.
“Come hai fatto a capire che la stavo usando su di te?” domandò, senza riuscire a trattenere l’irritazione.
“Ma credi  forse che tutte le persone che cerchi di incantare siano idiote?
Qualsiasi cosa tu abbia fatto con le altre ragazze, non azzardarti minimamente a pensare di poter fare la stessa cosa con me. Stammi alla larga, Riddle” concluse con disprezzo, liberandosi dalla sua presa con un deciso strattone.
Si separarono in fretta, prima che qualcuno potesse vederli assieme, nonostante entrambi si stessero dirigendo nei sotterranei per l’ultima lezione di Pozioni.
Per un attimo Tom si sentì quasi tradito dalle sue stesse capacità, chiedendosi come quell’ambigua ragazza fosse riuscita a capire che le stava violando la mente; e soprattutto a intuire che quel gioco era più che abituale con un insospettabile numero di persone.
Si sentì tuttavia compiaciuto di esser riuscito a  carpirle un certo numero di pensieri, rammaricandosi di non aver potuto scender più in profondità; poco o male, l’avrebbe sicuramente fatto in un’altra occasione.
Che nonostante le decise parole della ragazza, ci sarebbe stata senz’altro.
Perché in quella manciata di fragili pensieri, il nome “Tom Riddle” sfavillava, come impresso a chiare lettere infuocate.

 
 

“You wake up where's the tomb?
Will Easter come, enter my room?
The Lord weeps with me… But my tears fall for you
 
Ti desterai dalla tomba?
Giungerà la Pasqua, entrerà nella mia stanza?
Il Signore piange per me… Ma le mie lacrime cadono per te”
[Gethsemane, Nightwish]

 

“Signorina Ballantyne, posso gentilmente chiederle di fermarsi un attimo alla fine della lezione?
Le vorrei porre una piccola richiesta, che sono più che certo le farà un gran piacere” le aveva proposto Lumacorno a metà lezione, indicandole cordialmente la cattedra in fondo all’aula.
In un’altra occasione Pearl si sarebbe sentita lusingata dalla richiesta di unirsi al suo piccolo “fan club” esclusivo, ma in quel momento il suo umore era reduce da quella che considerava a tutti gli effetti una brutale sconfitta in campo mentale, ragion per cui si limitò a sorridere brevemente.
Pur trovandosi agli opposti del sotterraneo, era più che certa che lui avesse sentito, e per un attimo le sembrò quasi di avvertire i suoi intollerabili occhi incollati sulla schiena.
Si sentiva violata, umiliata, persino sporca, e continuava a porsi una miriade di quesiti.
Come aveva fatto quel maledetto ragazzo, poco più che un quindicenne, ad impiegare solo pochi secondi per penetrarle la mente, per crearvi uno spiraglio da cui sottrarle una manciata di segreti?
Su quante ignare persone doveva già averlo fatto?
Ma soprattutto: quante volte l’aveva fatto con lei? E quanto aveva scoperto?
Tutto ciò le dava la nausea; eppure al contempo, una microscopica e segreta parte di lei pigolava una certa malata approvazione, completamente irretita ed affascinata da una tale oscura capacità.
“Penso che i suoi amici gliel’avranno già accennato signorina…
Ogni tanto mi piace organizzare delle cenette informali o delle piccole festicciole per far incontrare gli alunni che ritengo più dotati. Non si immagini chissà cosa ovviamente, ma adoro anche presentare ospiti illustri, che ho conosciuto e guidato nel corso della mia carriera.
Come ben sa metà degli alunni del suo corso sono presenti, oltre naturalmente a tanti altri che…”
Lumacorno spesso straparlava, e quando lo faceva, riusciva ad essere estremamente tedioso.
Nella lista dei suoi professori lo riteneva sicuramente il più pomposo, per quanto molte volte sapesse essere amichevole e divertente.
In fondo voleva essere solo gentile…
E magari, se gliel'avesse chiesto, avrebbe anche potuto estendere la medesima richiesta anche ai suoi fratelli.
Lo sperava: da quando si trovavano ad Hogwarts i momenti in cui poteva parlare tranquillamente con Schneizel e Barron si erano gradualmente ridotti, riducendosi a improvvisi incontri nei corridoi o a ritagli delle rispettive serate.
“…Allora signorina, che gliene pare? Accetta la mia proposta?” chiese infine il professore, osservandola con occhi speranzosi.
Pearl si riscosse dal divagare dei suoi pensieri, ricomponendo in fretta un sorriso smagliante.
“Ma certo signore, mi farebbe immenso piacere. Anzi, non posso che sentirmi lusingata” rispose con eccessivo entusiasmo, quasi a volersi scusare per essersi persa una buona metà del discorso.
L’uomo ne parve infinitamente contento, accarezzandosi estatico gli enormi baffi che gli coprivano la parte inferiore del volto.
“Suvvia suvvia, una sciocchezzuola. D’altronde conoscendo tuo padre, come non aspettarsi un simile talento come figlia?” commentò, annuendo vigorosamente.
“Lei conosce mio padre?” chiese, sinceramente stupita.
“Eccome! Io e Damocles eravamo nello stesso Club dei Pozionanti qui a Hogwarts, anche se lui era di due anni più grande di me. Solo in seguito venni a sapere che lui è una sorta di figlioccio per il Preside, mi corregga se sbaglio”
“Nessuno sbaglio signore, il professor Dippet è sempre stato un amico di famiglia, e fu il padrino di mio padre” spiegò Pearl, la cautela che prendeva possesso del suo tono di voce.
Sperò ardentemente che la conversazione si chiudesse lì, che il professore non le ponesse alcun altra domanda sulla sua famiglia.
E che soprattutto non si azzardasse a sfiorare quell’unico, proibito argomento.
Ovviamente, contro ogni sua più rosea speranza, lo fece; non si limitò a sfiorarlo, bensì lo sfondò, lanciandovisi contro con la grazia di un Erumpent infuriato.
E inevitabilmente pronunciò quel nome, un nome che Pearl si era augurata di non dover mai più udire.

 

*******

 

Sapeva esattamente cosa lo avesse spinto a ripercorrere a ritroso il gelo dei sotterranei, a liberarsi degli onnipresenti compagni, e a dedicarsi ad inseguire l’idea che l’aveva continuamente stuzzicato durante l’intera lezione di Pozioni.
In fondo, la sua era semplice curiosità, un’emozione che era sempre stato solito soddisfare con immediatezza.
E quale momento migliore per prendere il toro per le corna, e approfittarne?
Aveva saggiato poco prima la fragilità di quella mente, con le condizioni giuste avrebbe potuto benissimo farlo un’altra volta.
E inoltre, dettaglio più che rilevante, sarebbe stata sola, completamente inerme e in suo potere.
Quando Tom giunse all’uscio del laboratorio, il professore stava ancora parlando con la ragazza.
Sembrava si stessero raccontando una qualche storia famigliare, ma ascoltando il giovane udì un nome in particolare, che istintivamente classificò subito come un dettaglio rilevante. Aveva come la sensazione di averlo già udito, o forse letto, da qualche parte, e che avesse un significato decisamente importante.
Quando Pearl uscì dalla porta, prima che Lumacorno potesse vederli assieme, Tom attirò la sua attenzione con un bisbiglio, facendole cenno di seguirlo in un’aula adiacente, fortunatamente deserta.
Si augurò di non dover dar battaglia nel bel mezzo del sotterraneo, una piccolezza che avrebbe inevitabilmente attirato l’attenzione su di loro, ma la giovane lo seguì senza fiatare, del tutto inespressiva.
Dopo essersi premurato di aver chiuso accuratamente la porta, voltandosi si ritrovò senza troppo stupore una bacchetta puntata al livello esatto del cuore.
“Ti avverto, Riddle: non sono dell’umore adatto ai tuoi giochetti” sibilò incollerita, il pallore nobiliare del viso leggermente imporporato di rabbia.
“Trovi? Io invece sono dell’umore adatto a ricevere delle risposte” esordì, prima di sentire la punta della bacchetta conficcarsi nei suoi abiti, producendovi una bruciatura e scottandogli lievemente la pelle.
“Non farmi incazzare! Non ho intenzione di star qua a sentire nessun’altra delle tue domande, mi rifiuto di…”
“Chi è Desdemona Vasquez?” proruppe il giovane, certo dell’effetto che avrebbe ottenuto da lì a poco.
Come previsto, l’espressione sul viso della giovane cambiò drasticamente nella frazione di un secondo.
Per un attimo Tom sospettò che stesse per sfiorare lo svenimento: la vide barcollare impercettibilmente, abbassare la bacchetta ed indietreggiare per sostenersi ad un banco.
Anche senza legilimanzia, il suo viso era chiaramente un libro aperto, che riportava le pagine di un orripilante realtà.
“Ebbene?” la incoraggiò Tom spazientito, nuovamente incitato alla scoperta dal semplice effetto che aveva prodotto quel nome.
Pearl parve dover raccogliere un grande coraggio prima di riuscire a parlare, ma quando lo fece la sua voce era ferma, senza traccia di tremiti, e nuovamente dotata di una grande freddezza.
“Se hai davvero ascoltato ciò che io e Lumacorno ci stavamo dicendo, dovresti già saperlo”
“Purtroppo per me sono riuscito a sentire poco o niente. Avanti, rispondimi!” le ordinò con fare imperioso, pronto a minacciarla in caso contrario, la mano già stretta attorno alla propria bacchetta.
Ma Pearl lo anticipò, lanciandogli contro parole che all’improvviso assunsero il peso di pietre, tanto parevano cariche di emozioni di spaventosa durezza.
“Deh Vasquez era una bellissima ed eccezionale strega, immensamente dotata, ma che ha sempre nutrito un profondo interesse per la magia oscura, che le fu fatale”
Pronunciò queste ultime parole con inverosimile distacco, ma all’ultimo momento la voce le morì in gola, facendola esitare prima di completare la frase; i suoi grandi occhi scuri erano contornati da tracce di lacrime, un anticipo dell’oceano di dolore che essi contenevano.
“Ed era mia madre” concluse amaramente.
Quando Tom si sedette al suo fianco, evocandole e porgendole un fazzoletto con un unico tocco della bacchetta, si rese conto di star compiendo probabilmente il gesto più impensabile dell’intera giornata.
“Come è morta?” domandò semplicemente, senza particolare enfasi.
“Con un incantesimo, amava sperimentare”
“Che genere di esperimenti?” chiese nuovamente il ragazzo, senza riuscire a nascondere nel tono di voce un certo interesse per la materia, di cui la ragazza si accorse immediatamente.
“Fatti i cazzi tuoi” lo rimbeccò, sorprendendolo; gli occhi arrossati di Pearl erano ancora colmi di rabbia repressa, questa volta decisamente pronti a non farsi cogliere alla sprovvista.
Si rese conto di aver sbagliato, anche solo per un attimo,  ad averla considerata l’ennesima ragazzina da consolare.
“Che cosa speravi di fare attirandomi in una classe vuota, eh? Frugarmi un’altra volta nella testa?” disse irritata, alzandosi precipitosamente ed asciugandosi gli occhi infastidita, striando le guance di trucco nero.
Fece per puntargli nuovamente contro la bacchetta, ma con un abile gesto il ragazzo la precedette; si ritrovarono a fronteggiarsi, gli occhi come pezzi di carbone che contenevano ogni possibile ed immaginabile capo d’accusa.
Questa volta il suo sguardo era altero e vigile: Tom fu consapevole che con tutta probabilità non sarebbe riuscito a violarlo.
“Non ci pensare neanche. Non sono stupida, Riddle: non ti fornirò mai più un’altra possibilità per poter giocare con la mia mente”
“Nei sei così sicura? C’è forse qualcosa che ti fa credere che non me la sappia prendere da solo?”
Pearl sentì la bacchetta avversaria scorrerle sul petto, indugiarle sul collo, giungerle sul viso a sfiorarle lentamente le guance.
“Cosa ti fa pensare che per me non sarebbe facile, qui e adesso, stregarti, soggiogarti a me completamente?”
Quante volte aveva usato quel tono, poco prima di attaccare e prendersi ciò che riteneva suo; sorrise intensamente, mostrandole in un ghigno maligno tutta la sua arte persuasiva.
Per un lungo istante Pearl non  disse nulla, gli occhi che cercavano di ignorare quella bacchetta dal tocco sempre più intimidatorio.
Sì sentiva debole, intorpidita: ma non per questo disposta ad arrendersi.
“Perché io te lo impedirò. Ormai dovresti averlo capito: io e te siamo piuttosto simili. Ragion per cui puoi star certo che farò il possibile per difendermi ed attaccare, prima di soccomberti”
Fu con profonda risolutezza che la mano della ragazza afferrò la bacchetta, spingendola con decisione verso il basso.
“Non osar mio più sottovalutarmi Riddle, te ne pentiresti amaramente” concluse quando ebbe raggiunto la porta, la borsa dei libri stretta al petto quasi fosse uno scudo.
“E tu d’ora in poi dovresti stare molto attenta, Ballantyne. Io ottengo sempre ciò che voglio” ribadì il bel serpeverde, calcando accuratamente sulla parola “sempre”.
Solo quando si furono separati, con un buon numero di piani a distanziarli, entrambi si permisero di considerare l’accaduto e analizzare le proprie emozioni.
Tom Orvoloson Riddle: consapevole di essersi lasciato sfuggire l’ennesima possibilità di occuparsi della giovane, e più che mai cosciente del profondo interesse che nutriva nei suoi confronti.
Pearl Nicholai Ballantyne: cosciente del profondo interesse che sapeva di nutrire da quando l'aveva conosciuto, e soprattutto, consapevole di aver rischiato, per un lungo attimo, di vacillare e cadere tra le braccia del suo nuovo nemico.

 
 

“For my dreams I hold my life, for wishes I behold my night….
The truth at the end of time, losing faith makes a crime

 
Grazie ai miei sogni tengo in mano la mia vita, grazie ai desideri scorgo la mia notte
La verità alla fine del tempo, perdere la fiducia è commettere un delitto”

[Sleeping Sun, Nightwish]
 

 
 

Anche quella notte, fu con un gesto teatralmente adirato che Tom Riddle accantonò, per l’ennesima volta, un registro dei prefetti; vi era però una differenza fondamentale con tutte le altre sere trascorse in quel luogo: quello era l’ultimo registro da controllare, il più antico che era riuscito a trovare.
Aveva esaminato tutto ciò che aveva a disposizione, dai registri dei prefetti, a quello dei capiscuola, e persino ogni singolo premio e annotazione contenuta nella Sala dei Trofei.
Ma a nulla era valso.
Una parte di lui, stanca e infiacchita dalla delusione, gli intimava a gran voce di arrendersi, ma l’altra, quella più ambiziosa e ragionevole, non osava davvero crederci: come poteva lui, proprio lui, essere un… mezzosangue?
Improvvisamente provò per se stesso uno smisurato sentimento d’odio intimamente mischiato a disgusto, un moto d’ira così violento che si sentì persino scuotere le membra.
Per un attimo sentì che, se avesse ceduto, probabilmente si sarebbe ritrovato a piangere; così si prese la testa tra le mani in un gesto istintivo, rifiutandosi di lasciarsi sfuggire anche una sola lacrime dagli occhi.
Ma in tutta quell’inquieta disperazione, un unico qualcosa riuscì a farvi breccia e ad attirare la sua attenzione: un rumore più che impercettibile, ma diverso da ogni altro.
Il fruscio di pagine che vengono sfogliate, accompagnata da movimenti leggeri.
“Nox” sussurrò, la luce della bacchetta che si affievolì sino a scomparire.
Con un secco gesto fece evanascere i registri, cancellando ogni prova del suo passaggio.
Abbandonando quell’angolo remoto della biblioteca, avanzò con estrema cautela verso il centro stesso di quella sala millenaria.
La Sezione Proibita: baluardo della Magia Oscura, luogo che conosceva quasi come le proprie tasche già ben prima che riuscisse ad ottenere un permesso autentificato, come quello che ora aveva in tasca.
Quando fu abbastanza vicino, individuò subito una sottile riga di luce filtrare tra alcuni volumi, rivelando chiaramente la presenza di un altro esploratore notturno.
In nessuno di quei cinque anni gli era mai capitato di dover condividere, di notte, la biblioteca con qualcun altro; nei corridoi incontrava saltuariamente altri studenti, ma lì…
D’altronde, chi altri oltre a lui desiderava aumentare le proprie ore di studio?
Nemmeno quella “so-tutto-io” di Isobel Gamp esagerava a tal punto.
Era esclusivamente una sua prerogativa.
Se non altro, affatturando il povero malcapitato, avrebbe senz’altro potuto placare la propria ira, e magari divertirsi anche un po’.
Per lui era questo il vero, autentico divertimento: assoggettare qualcuno ai suoi desideri, osservare gli occhi altrui riempirsi di terrore nei suoi confronti, essere certo di avere in pugno una volontà, con la consapevolezza di possedere il potere di distruggerla con una semplice decisione.
Ma quando fu abbastanza vicino e riuscì a scorgerne il profilo, delineandone immediatamente l’identità, non poté fare a meno di chiedersi quanto il destino influissi sugli eventi della sua vita.
“Buonasera, Pearl”
La ragazza alzò gli occhi di scatto, puntando la bacchetta verso la provenienza della voce.
Scostandosi una ciocca di capelli scuri da davanti gli occhi, scorse Tom Riddle appoggiato a una libreria molto vicina, con la divisa negligentemente sbottonata e gli occhi fissi su di lei.
“Che cosa ci fai qua?” si limitò a chiedere allibita.
Lentamente richiuse il tomo che teneva aperto tra le mani, prendendolo cautamente con se senza osar staccare gli occhi e la bacchetta dalla quella figura.
“Potrei farti la stessa domanda, non credi? Cosa stai leggendo di così interessante?” continuò il ragazzo avvicinandosi, ma Pearl alzò nuovamente la bacchetta.
“Non osare avvicinarti” sussurrò, cercando di ritirarsi piano piano, scoprendo che però il ragazzo non aveva la benché minima intenzione di mollare la presa.
“Temi qualcosa, forse? Oh, dimenticavo… Ci troviamo nella Sezione Proibita, devo quindi dedurre che stai facendo qualcosa che non dovresti” disse deridendola, un ghigno di delizioso sadismo che dalle labbra si propagava al resto del volto.
Un vivido accenno di timore riuscì a rompere la sicurezza della ragazza: il serpeverde notò subito come ella stringeva la presa sul libro, indietreggiando esitante tastando alla cieca le scaffalature, cercando di raffigurarsi un’eventuale via di fuga.
“Avanti Pearl, non commettere sciocchezze… Porgimi quel libro, o temo proprio che dovrò far valere la mia autorità di prefett…”
Stupeficium!” urlò Pearl interrompendo le sue parole, sorprendendolo a tal punto che per schivare l’incantesimo Tom fu costretto a lanciarsi oltre la libreria, mentre l’incantesimo colpiva altre mensole, facendone cadere rumorosamente a terra il contenuto.
Notò subito la ragazza intraprendere la corsa, veloce e frenetica a tal punto che sembrava che volasse, e non senza fatica si mise ad inseguirla; non era mai stato un tipo atletico, ma dalla sua aveva ben altre risorse.
“Impediminta!” gridò, riuscendo a colpirla nonostante l’elevata distanza.
Pearl non ebbe la sua stessa prontezza di riflessi: la forza dell’incantesimo fu tale da farla cozzare violentemente contro uno degli scaffali, coprendola dolorosamente con una montagna di libri.
A fatica tentò di rialzarsi, il proprio tesoro ancora stretto nella mano, ma scoprì con un accenno di panico di avere la gamba del tutto paralizzata.
Expelliarmus!
La bacchetta le venne violentemente strappata dalla mano, e in un attimo ricomparire in quella del ragazzo; ormai pochi passi di distanza li separavano: non poteva più nulla.
“Dammelo” ordinò Tom seccamente, non appena le fu vicino.
“Questi non sono fatti tuoi Riddle, lasciami in pace, per fav…”
“Stai zitta. Non costringermi a farti del male per così poco”
Pearl non dubitò neanche per un istante della veridicità delle sue parole: il suo compagno di casa aveva sul viso un’espressione di spietata perversione che non ammetteva nessun tipo di replica.
Eppure decise ugualmente di ostentare il proprio rifiuto di consegnargli quel vecchio tomo consunto, perché arrendersi sarebbe stato un vero e proprio affronto, un tradimento alla Sua memoria.
Tom la vide alzare il capo fieramente, la fronte corrugata dalla sfida e dallo sforzo, mentre cercava di mantenersi eretta nonostante la gamba immobilizzata.
“Come sei stupida, Pearl…” si limitò a commentare affascinato, pronto a strapparle quel volume con la forza.
Tuttavia non ebbe neppure il tempo di protendersi su di lei.
Solo un unico suono avrebbe potuto interrompere quel momento, o meglio, una sola voce.
“Demoni, ragazzi malefici… Tutto questo rumore… Ma questa volta mi sentirete, vi troverò e  vi staccherò a morsi la pelle…”
I due ragazzi si guardarono con occhi sbarrati.
“Apollon Pringle!” sussurrarono contemporaneamente, riconoscendo la rauca voce del vecchio custode.
Calvo, sdentato e pressoché ripugnante, l’uomo peggiorava ulteriormente il pessimo aspetto estetico con un sanguinario, profondo debole per le punizioni corporali, le frustate in particolare.
Tom fece per andarsene, aggirando cautamente la catasta di libri, ma sentì una mano serrarsi in una morsa attorno alla sua caviglia.
“Se mi lasci qui da sola, giuro che ti trascino all’inferno con me!” lo minacciò Pearl.
Il ragazzo parve calcolare per un istante quella possibilità, ma quando l’aguzzo profilo del custode si stagliò contro il muro più vicino, si arrese a sollevarla da terra senza troppi complimenti.
“Disillio” sussurrò appena, disilludendo entrambi, stupendosi di quanto fosse leggero ed inerme quel fragile corpo tra le sue braccia.
Piano, con estrema e calcolata lentezza, i due ragazzi si accinsero ad uscire, evitando per un soffio la figura del guardiano che si avvicinava sempre più, la frusta in una mano e la bacchetta nell’altra, sguainata come fosse un pugnale.
Ripercorsero i corridoi a ritroso, sempre attenti a non fare il benché minimo rumore, fosse anche solo un passo di troppo; Pearl si sosteneva al ragazzo, aggrappandosi al suo collo senza remore finché non avvertì l’incantesimo d’Ostacolo scemare.
Solo allora si staccò da lui, e solo allora osarono rivolgersi uno sguardo, consapevoli di quanto avevano appena rischiato.
E Pearl aveva ancora, stretto in una mano, il libro ancora integro.

 
 

 *******
 

“Sei un idiota, Tom Riddle! Guarda cosa hai fatto al mio viso!”
La voce di Pearl era un lamento basso e lacrimoso mentre si rimirava in uno specchio, tastandosi lo zigomo sinistro su cui stava velocemente comparendo un grosso livido scuro.
“Se non riesco a cancellarlo, giuro che dirò a tutti che tu mi hai stuprata!” ribadì seccamente, cercando di scongiurare la macchia con dei leggeri, concentrici tocchi di bacchetta.
Ma Tom non le prestava attenzione, gli occhi che scorrevano velocemente alcune pagine del volume che tanto Pearl aveva cercato di proteggere.
Trattato dell’Eterna Gioventù della Rosa di Ponce de León?” domandò retoricamente, sfiorando il titolo riportato in elaborati caratteri dorati.
Pearl annuì appena.
“Non avevo il permesso per entrare nella Sezione Proibita” si limitò a borbottare.
“Avresti potuto chiederlo a chiunque, a Lumacorno per esempio… quando sei uno degli alunni migliori, nessuno ti rifiuta nulla” le fece  notare, inarcando le sopracciglia.
“Ma avrei dovuto dire il perché... e in tutta sincerità, non ne avevo voglia” ammise laconicamente la giovane, riponendo poi lo specchio e mostrando il volto tornato sano.
Si trovavano seduti in un angolo appartato della sala comune, in ogni caso deserta e appena rischiarata dalle braci del camino.
Evidentemente era notte di  luna piena: la sua luce argentata giungeva fin lì sotto, illuminando fiocamente le profondità del lago.
“Che cerchi tra queste pagine, Pearl?”
Il tono di entrambi era imbarazzato e al contempo confidenziale, come se l’essersi trovati a combattere in una biblioteca millenaria, e aver sfiorato la perdita del loro status dorato di studenti modelli, li avesse inevitabilmente messi sullo stesso piano.
“E’ una lunga storia… Un po’ complicata”
“Allora vedi di sintetizzarmela” ribatté il ragazzo, adagiandosi morbidamente allo schienale del divano.
Pearl lo guardò a lungo, come se stesse scegliendo con cura le parole, ma alla fine con un cenno di assenso decise di parlare.
“Mia madre è morta due anni fa. Oggi pomeriggio ti ho detto che la causa è stato un incantesimo sperimentale, ed è la verità. Lei cercava… l’eterna giovinezza” spiegò lentamente e con tono asciutto.
“Non le interessavano le pozioni: voleva solo un incantesimo che di giorno in giorno la facesse ringiovanire fisicamente, arrestandosi sino al momento da lei considerato perfetto.
Desiderava la bellezza, non l’immortalità. Cercava di creare un qualcosa che nulla aveva a che vedere con la trasfigurazione, un qualcosa di resistente e permanente nel tempo, da comandare a suo piacimento” disse piano, precedendo eventuali domande del ragazzo.
“Purtroppo, nonostante fosse una strega fuori dal comune, fallì. L’incantesimo ottenne l’effetto contrario, divorandole gli anni in pochi giorni. E così, l’ho vista spirare davanti ai miei occhi”
Il ragazzo l’osservò rapito, notando come ad un tratto della spiegazione l’ambizione e il desiderio avevano conquistato una parte del racconto della giovane.
“E’ stata lei ad insegnarti tutto ciò che sai?”
Pearl annuì ancora.
“Sì, lei e mio padre, seguendo un’antica tradizione irlandese. Sai chi era la Regina Maeve?”
“Era una Regina d’Irlanda nel Medioevo, una strega… giusto?”
“Giusto, non finisci di stupirmi. Durante il suo regno si occupò di chiamare a se giovani maghi e streghe per istruirli nel suo castello, prima della nascita di Hogwarts; da lì si è tramandato l’uso di istruire privatamente, per un certo periodo, i propri figli” spiegò ancora, riferendosi a se stessa con un largo gesto della mano.
“E quindi ora che cosa vuoi?”
“Non lo so che cosa voglio… Voglio solo approfondire l’argomento, per ora” sbottò la ragazza, nonostante tutto ancora infastidita dall’interesse del compagno di casa per l’argomento.
Come la sera di solo un mese prima, i due ragazzi rimasero per un certo periodo in religioso silenzio, ma questa volta ad infrangerlo fu Pearl.
“Ho sentito dire che anche tu sei orfano, e che…”
“…vivo in un orfanotrofio babbano, già”
Il volto di Tom, solitamente così inespressivo quando si rivolgeva a chiunque, riportava un’immagine di rabbioso dolore.
“Ciò ti disgusta?” le chiese, la voce tagliente ed affilata come la lama di un rasoio.
“No, ma mi sconcerta. Tu non puoi essere figlio di babbani” rispose Pearl semplicemente.
“E perché mai?”
“Perché sei troppo… troppo perfetto” confessò, esitando prima di rispondere.
Tom sorrise amaramente.
“Sono così perfetto da non esser riuscito a trovare neppure uno straccio di traccia sulla mia genealogia; ufficialmente da questa notte, la mia ricerca pare esser finita”
Fu quasi come un ordine, un comando dettato dall’istinto: la voce aspra di Tom accese con violenza la fiamma della sua curiosità, mai sopita sin da quando settimane prima ne aveva parlato con le amiche.
“Cosa hai cercato finora?”
“Il nome di mio padre, uno dei pochi dettagli di me stesso di cui sono certo: Tom Riddle”
“Perché escludi a priori tua madre?”
“Mi hanno detto che è morta di parto nel darmi alla luce. Come può a una strega succedere qualcosa di simile?” decretò duramente, ma Pearl liquidò la sua affermazione con un gesto di diniego.
“Che sciocchezza. Non puoi giudicarla senza sapere cosa ha vissuto prima di darti la vita.
In ogni caso una ricerca sulla propria stirpe dovrebbe partire sempre dalla donna, dalla madre:
è lei l’unica cosa certa, la vera forza motrice”
“Sei una sognatrice, vero?” le domandò il ragazzo con un cenno beffardo, segretamente colpito da quel ragionamento.
“Al contrario, sono estremamente realista. Che cosa sai di lei?”
“Nulla, solo il nome di suo padre, di mio nonno: Orvoloson
“Beh, è già un punto di partenza. E’ un nome antico, oscuro: puoi ben sperare, forse.
Ma le genealogie magiche sono infinite, credo tu lo sappia”
Ancora una volta rimase per un attimo incerta prima di parlare.
“Se tu me lo consenti… io ti aiuterò” disse infine, guardandolo negli occhi, così simili ai propri.
Tom inclinò appena la testa, valutandola.
“Cosa ti spinge a propormelo?”
“Perché ora tu sei a parte di un mio segreto, ed è giusto che io venga a parte del tuo.
Occhio per occhio, dente per dente, Tom Riddle” disse alzandosi, trattenendo uno sbadiglio.
Prima di allontanarsi si voltò, tornando indietro per afferrare la bacchetta che lui le aveva sottratto poco prima.
“E all’infuori di ogni dubbio: Riddle non è assolutamente un cognome magico; pensaci bene, buonanotte” sussurrò, prima di seguire le scale e dirigersi verso il proprio dormitorio.
Era l’esatta copia di quella sera, quasi del tutto identica, eppure al contempo totalmente diversa.
Solo dopo poco Tom si concesse un sorriso rilassato, optando a sua volta per andare a dormire.
In quella frenetica giornata, densa di avvenimenti, Pearl Ballantyne era stata per lunghi momenti il centro dei suoi pensieri, conquistandosi di pieno diritto un posto che non avrebbe mai concesso a nessun altra.
Quando quella notte chiuse gli occhi, fu certo di aver preso una delle decisioni migliori della sua vita.



COMMENTO AL CAPITOLO
Amo il fatto che i protagonisti si contrappongano: sul serio, è forse uno dei particolari che tengo ad evidenziare particolarmente. Mi piace far capire come tra loro si sviluppi gradualmente una forte tensione. Dopotutto Tom e Pearl sono entrambi due leader: era inevitabile lo scontro (eccome!)
Piccoli particolari che potrebbero meritare chiarimenti:
-La Legilimanzia: ho dato per scontato che, nonostante l'età, Tom sia più che in grado di attuarla con il semplice sguardo, senza sprecarsi in incantesimi. 
-La sigaretta (nel corso del primo paragrafo): una domanda intelligente da fare alla Row sarebbe "Ma i maghi fumano? Pipe a parte..". Io dico: sì! Ma do per scontato che la sigaretta sia un oggetto di stampo babbano, di conseguenza considerato "illecito" a Hogwarts. Ma mi piace pensare al contrabbando.
-Il custode, tale Apollon Pringle: nominato da Molly Weasley nel quarto libro, ho scelto di considerarlo anche per il periodo di Tom e Pearl. Dopotutto, anche Gazza è un povero vecchio v.v
-Ponce de Léon, l'autore del libro che cerca Pearl: chiaramente non un mago, è un personaggio veramente esistito, che si occupò della ricerca della leggendaria "Fonte della Giovinezza".

COMMENTO DELL'AUTRICE
Vi avverto, sono lenta ad aggiornare. Anzi, peggio: lentissima.
Mi metto in testa di finire tutte le storie che ho in ballo, che ho pubblicato o meno, e inevitabilmente per un motivo o per l'altro finisco per non combinare nulla.
Però ci tengo a precisare: non abbandono mai nulla, specialmente una storia come questa!
Merita giustizia, eccome se la merita ;)

Al prossimo aggiornamento, che avviso, con la fine della scuola sarà decisamente in là.
Adieu

Elle H.


 

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Capitolo 3
*** La Fiera delle Vanità ***



Un Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto
di Elle H.





CAPITOLO TERZO
La Fiera delle Vanità
 

Era sicura di stare per impazzire.
Mancava poco, ne era più che certa. D’altronde non poteva che essere inevitabile.
Sentiva le sue mani percorrerle incessantemente il corpo...
Avide, bramose, dimostravano la chiara intenzione di voler saggiare ogni singolo centimetro della sua pelle.
Indugiavano sull’incavo del suo seno, lamentando la presenza dell’elaborato corpetto dell’abito in cui era stato stretto poco prima.
Le avvertiva poi scendere sui propri esili fianchi, carpendoli con fare possessivo.
Le loro labbra non osavano separarsi neppure per ricercare ossigeno, quasi avessero accettato di loro spontanea volontà di affogare in quell’oceano di desiderio.
Ogni riserva ed ogni contegno erano stati accantonati, l’istinto aveva ormai preso il sopravvento.
Fu con un sincero bisogno  che si ritrovò a protendere il collo all’indietro, arrendevolmente consapevole e non senza ragione, che le labbra del giovane vi sarebbero presto piovute sopra.
Avvertì infatti i suoi denti inciderle la pelle e strapparle un flebile gemito di dolore, prima che quella bocca tornasse prontamente a rubarle la parola.
Si distaccò da lei solo per un istante, sfiorandole appena il volto e valutando attentamente il suo sguardo.
“Silenzio Pearl, non vorremo certo farci scoprire, vero? La serata è ancora molto lunga…” sussurrò Tom lascivamente, prima di tornare a baciarla con passione.
Era riuscito ancora una volta a toglierle ogni possibilità di replica.
Come se avesse potuto averne, e volerne, una.

 
 
 

“Il corpo pecca, ma una volta che ha peccato ha superato la sua colpa.
E’ certo che l’azione è una forma di purificazione:
nulla più rimane se non il ricordo di un piacere o la voluttà di un rimpianto.
Perché la Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana”
[Oscar Wilde]

 

7 giorni prima
 
 
Il libro era fermo ed immobile tra le sue mani, le pagine rimaste intaccate sin quando era stato aperto.
Riparati da occhi indiscreti e curiosi, fogli fitti di nomi e date, riportati in eleganti ed antichi caratteri, riposavano tra il volume e il suo petto aggiudicandosi tutta l’attenzione.
Li scorreva velocemente con gli occhi, seguendo con il dito le linee che li collegavano gli uni agli altri a simboleggiare indissolubili legami di sangue e unione, e ritrovandosi a muovere le labbra nel ripetere nomi arcaici e dal suono aggraziato e musicale.
Ma c’era un qualcosa che interrompeva il fluire del suo lavoro, qualcosa che disturbava la sua concentrazione, qualcuno che richiedeva incessantemente il suo interesse …
“Pearl, ma mi stai ascoltando?” domandò Schneizel seccato, facendole finalmente scattare il capo all’insù e cogliendola di sorpresa.
“Certo! Mi sono solo persa via un attimo…  Ma tanto stavamo parlando di Quidditch, sai che non ci capisco praticamente niente” si giustificò, mentre il fratello le lanciava un’occhiata dubbiosa.
“In realtà abbiamo smesso di parlare di Quidditch secoli fa”
“Oh, scusatemi allora…” si limitò a dire, senza mostrarsi troppo addolorata.
La necessità di scoprire e delineare l’ascendenza di Tom era diventata il suo principale chiodo fisso.
Ormai era più di un mese che vi si dedicava senza sosta, consultando quotidianamente la biblioteca e sottraendo tempo prezioso al sonno e alle lezioni.
Oltre ad una fondamentale questione di interesse personale, non avrebbe saputo dire con esattezza cosa la spingesse a dedicarvisi con così tanto impegno e costanza; sapeva solo che vi era un piccolo riconoscimento che desiderava ardentemente, qualcosa che faticava persino ad ammettere a se stessa: vedere i begli occhi scuri di Tom illuminarsi di gratitudine nei suoi confronti.
Nonostante ciò, la ricerca procedeva a rilento e i loro rapporti erano rimasti pressoché invariati, salvo per aver deciso di seppellire lievemente l’ascia della competizione nel corso delle lezioni.
“Cosa staresti studiando di così importante?”
Pearl chiuse di scatto il libro, anticipando la curiosità del fratello.
“Antiche Rune”
“Che palle” commentò lui, alzando gli occhi al cielo.
“Fa bene invece, è una materia molto interessante” lo rimbeccò l’amica, sorridendo cordialmente a Pearl.
Si trovavano nella Sala Grande, che durante i pomeriggi diveniva  luogo dedicato ad uno studio meno opprimente di quello in biblioteca, sepolto in religioso silenzio.
Schneizel e la sua compagna di squadra l’avevano appena raggiunta, infreddoliti e sporchi di fango, appena reduci da un allenamento di Quidditch particolarmente impegnativo.
“Allora, qualcuno si è già azzardato ad invitarti alla festa di Lumacorno?” le chiese ancora, torcendosi le mani nel tentativo di scaldarle, i guanti da portiere ancora zuppi di pioggia.
“Non proprio…”
“Non proprio vuol dire che hai rifiutato tutti quelli che hanno provato a chiedertelo, vero?”
“Esattamente”
Schneizel scoppiò in una risata compiaciuta.
“Sei sempre la solita stronza, Pearl. Se non altro però mi risparmi il dovere di fare il culo a qualcuno, metaforicamente parlando si intende... Sai, casomai provassero ad allungare le mani” ragionò il ragazzo, scrocchiando le dita e fingendosi estremamente turbato.
“E guarda il lato positivo, Minerva: non sei l’unica che non ha ancora trovato un compagno per la festa!”
L’amica gli tirò una gomitata, colpendolo con successo al fianco.
“Stupido. Io non ho ancora rifiutato nessuno, li ho solo lasciati in forse…” ribatté lei, mostrandogli un sorriso pieno di sfida.
Pearl nutriva una gran simpatia per Minerva McGranitt, nonostante ella fosse grifondoro sino al midollo; la giovane aveva la stessa età di Schneizel, e più volte Pearl l’aveva ammirata volare divinamente durante le partite di Quidditch, nel ruolo di cacciatrice.
La ragazza era però soprattutto famosa per essere una delle migliori alunne del sesto anno, con voti assolutamente al di sopra della media; e per possedere in fin dei conti una certa, severa bellezza, classica e d’altri tempi.
“Piuttosto, tu chi hai intenzione di invitare?” replicò la grifondoro con tono pungente.
“Oh non saprei! Manca ancora una settimana, potrei cambiare la mia decisione ancora un altro milione di volte…” rispose il ragazzo con totale nonchalance.
Quasi per assicurarsi della veridicità della sua affermazione si voltò brevemente verso il tavolo alle sue spalle, al quale sedevano alcune ragazze di Tassorosso, che esplosero in risatine imbarazzate quando furono sorprese a guardarlo.
Soddisfatto torno a rivolgersi alle sue compagne: “Dicevamo?”
Le ragazze si limitarono a scambiarsi uno sguardo pieno di complice scetticismo.
“Piuttosto Pearl, è un periodo che ti vedo gironzolare con un ragazzo, come si chiama… Ah sì, Tom Riddle.
Non avrai forse intenzione di andarci con lui?” la interruppe Schneizel, ridiventando serio di un colpo.

Pearl gli rivolse uno sguardo diffidente, nascondendo con perfetta abilità il sentirsi punta sul vivo.
“Te l’ho già detto Schneizel, io e Tom siamo solo amici” mentì utilizzando un termine che, lo sapeva bene, il serpeverde non avrebbe affatto condiviso.
“E ci mancherebbe altro, meriti molto di meglio! Mi sembra un poco di buono”
“A te tutti i serpeverde sembrano poco di buono, eccetto me ” ribatté la sorella contrariata.
“E a ben ragione! Basta guardare i tuoi amici e quelli del mio corso… un branco di vanitosi ignoranti, imbevuti da secoli e secoli di ideologia anti babbani” giudicò sprezzante.
“Schneizel, cerca di non esagerare. Però Pearl, tuo fratello non ha tutti i torti.
Magari ancora non ne sei venuta a conoscenza, ma Riddle potrà anche essere uno studente eccezionale, eppure la sua fama e quella dei suoi amici non è esattamente delle migliori..." spiegò Minerva, procedendo con irritante cautela.

“Perché, che genere di fama ha?!”
Ma Pearl li interruppe, alzandosi così d’improvviso che alcuni ragazzini seduti alle sue spalle si voltarono sorpresi.
Se c’era una cosa che aveva sempre mal sopportato era l’invadente senso protettivo di suo fratello, presente sin dall'infanzia e che con la crescita non aveva fatto altro che acuirsi, diventando sempre più inopportuno ed ingombrante.
“Sai Schneizel, a volte sembri dimenticare che non sono più una bambina.
Credi che non sappia sufficientemente giudicare da sola con chi trascorrere il mio tempo?”

Il fratello tacque spiazzato, guardando Minerva incerto, aspettandosi un qualche sostegno.
“Mah, veramente non intendeva dire questo…”
“Ma certo che intendeva dire questo.  Se non ti fosse chiaro, io sono diventata Serpeverde per un motivo, non per uno sbaglio. Ragion per cui non devi azzardarti mai più a criticare le mie amicizie” ribadì con freddezza, voltando le spalle ad entrambi.
“Aspetta Pearl, dove stai andando?” si sentì gridare dietro, ma con caparbia ostinazione decise di ignorarli, relegando entrambi in un silenzio attonito e pervaso da un vago senso di colpa.
Pearl detestava quel genere di conversazioni, dovute a quella ridicola e millenaria competizione tra Grifondoro e Serpeverde,  che raggiungeva spesso dimensioni tragicomiche, finendo per rendere la mentalità di ognuno degli studenti infinitamente limitata.
E lei odiava visceralmente le mentalità chiuse.
In ogni caso, anche quel pomeriggio aveva avuto il tempo di appurare la mancanza di un qualsiasi dato che potesse riguardare Tom e il nome di suo nonno, “Orvoloson”.

Indubbiamente avrebbe continuato a cercare nei rimanenti alberi genealogici, ma con un improvviso colpo di testa decise che forse non sarebbe stato poi così male chiedere un piccolo, discreto aiuto.
Sapeva che sarebbe stato meglio consultarsi con il compagno di casa prima, ma dopotutto conosceva chi era molto più esperta di lei in quel campo, qualcuno che era anche piuttosto facile da interrogare…
E dopotutto era per una giusta causa.
Finalmente trovare la famiglia di Tom, solo ed esclusivamente
per desiderio di Tom.

 

*******

 

Il giorno prima
 

Il trascorrere dei giorni rendeva l’attesa per la serata di Halloween sempre più fremente d’eccitazione.
Per i fortunati ragazzi facenti parte della stretta cerchia di Lumacorno, buffamente denominata “Luma Club”, oltre all’annuale banchetto vi era ben altro: si vociferava che quell’anno la festa organizzata dal professore di Pozioni avrebbe superato tutte le aspettative.
Per gli eletti, quei giorni erano un continuo scambiarsi di pareri, idee, consigli, ognuno deciso a rompere la solita routine per portare una gradevole aria di leggerezza e divertimento.
Tutte le discussioni tra i partecipanti parevano in gran parte vertere su cosa avrebbero indossato, ma soprattutto, a chi avrebbero offerto, da tradizione, il braccio; e per una volta, l’ultimo argomento non era il prediletto solo dal punto di vista femminile.
“Allora cugino, hai già deciso con chi andrai alla festa?” domandò Cygnus Black, intento a svolgere una partita a scacchi con Orion.
Ragazze a parte, il loro consueto gruppo usava raccogliersi nell’angolo prediletto della Sala Comune, quello che dava maggiormente sulle profondità del lago e da cui, in quel momento, si intravedeva l’acqua vorticare inquieta per via delle continue piogge ottobrine.
“Credo che in via ufficiale dovrei andarci con tua sorella, però non so ancora…
Non che non abbia voglia, sia chiaro, ma sai ieri ho visto una Corvonero veramente niente male…” spiegò con cautela e aggiungendovi frettolosamente una scusa, sperando di scansare l’ira fraterna del cugino, l’esatta versione maschile e più grande di Walburga.
“Ma lascia perdere le altre case, idiota! Se aprissi un po’ gli occhi noteresti come la nostra trabocchi di bellezze” lo redarguì Rosier con entusiasmo, lanciandogli un’occhiata divertita da dietro un libro; la copertina dimostrava essere un tributo alla sua squadra di Quidditch preferita, gli scozzesi Montrose Magpies.
“Tu con chi ci vai?” chiese immediatamente l’amico, piuttosto scettico.
“Nulla di certo ancora, ma ho una mezza idea di invitare la Crouch, se è ancora libera”
Un silenzio perplesso seguì la sua affermazione, e quasi tutti i presenti si voltarono a guardarlo dubbiosi.
“Beh, che ho detto di male? E’ molto carina” ribatté il ragazzo, abbassando il libro.
“Sì, ma magari è quel tantino… stupida?” gli fece notare Ivan Mulciber, suo compagno di corso nonché migliore amico.
“Beh, vedetela un po’ come volete, io la trovo divertente. Andrò a chiederglielo dopo” concluse con un’alzata di spalle, per nulla toccato dai commenti degli amici.
Per quanto una buona metà di Hogwarts ritenesse Serpeverde una casa di aspiranti maghi oscuri dalla dubbia integrità morale, presosoché incapace di buoni sentimenti, l’amicizia tra quei ragazzi era più che sincera, e vigorosa come edera.
Era certamente fondata su una precedente conoscenza, essendo la maggior parte delle loro famiglie purosangue e legate da generazioni, ma ciò non impediva a nuovi membri di unirvisi.
Semplicemente erano soliti applicare una rigida valutazione delle capacità di ognuno.
“Il suo gruppetto merita però. Sono un po’ delle stronze,  ma quelle del quinto anno sono veramente le ragazze più belle della casa” aggiunse allegramente Baltàzar Yaxley , intento ad ultimare la copiatura di un lungo tema per Pozioni, che gli avrebbe senz’altro aggiudicato il rientro nelle grazie di Lumacorno.
“Puoi dirlo forte, su questo non ci piove. Qualcuno sa con chi va la Gamp?” chiese Dolohov, improvvisamente interessato.
“Con un tale Belby di Corvonero, li ho sentiti parlare oggi pomeriggio” rispose qualcuno, deludendo le sue aspettative.
“E ti pareva… L’avevo già chiesto anche alla Ballantyne, ma ha rifiutato” continuò, fingendosi estremamente sconsolato.
“Pearl ti ha rifiutato?” chiese improvvisamente una voce, che finora aveva preferito evitare di unirsi al discorso.
Perché raramente Tom Riddle partecipava a quel genere di scambi di vedute: considerava futili le feste, ritenendole piuttosto un obbligo o solo un’altra opportunità per meglio ammanicarsi i professori.
Ma soprattutto, a Tom Riddle non interessavano le donne, e questo era fatto risaputo dagli amici: apparentemente non le calcolava, anzi non le vedeva proprio.
In gran segreto, ovviamente, aveva già avuto occasione di relazionarvisi: completamente irretite da lui e dal suo aspetto, spesso era capitato che diverse ragazze lo avvicinassero con una scusa qualsiasi, dal chiedere un aiuto in una qualche materia a qualcosa di ben più esplicito.
Ed era capitato che, in quei casi, lui avesse accetato; così, per il semplice gusto di vedere fin dove il desiderio le avrebbe spinte. Salvo poi privarle magicamente di ogni loro ricordo, cancellando la traccia dell’attenzione che aveva  loro magnanimamente elargito.
Ragion per cui Aidan si spaventò quasi, nel sentire la voce del compagno che ammirava di più in assoluto concentrarsi su quel punto della conversazione, e incredulo si limitò ad annuire.
“Per quale motivo? Cosa ti ha detto con esattezza?” lo interpellò Tom nuovamente, alzandosi dal divano su cui era  rimasto comodamente sdraiato.
La sua voce era fredda e tagliente, denotava una curiosità che richiedeva di essere subito  saziata, prima che la rabbia  ne prendesse il sopravvento.
“E’ stata gentile… Mi ha detto che le dispiaceva, ma che pensava di andarci già con qualcun altro”
“Chi, chi altro?” chiese allora Tom, le mani che istintivamente artigliavano un bracciolo in pelle.
Gli amici si lanciarono uno sguardo allibito, cogliendo il tono del ragazzo cambiare radicalmente.
“Non lo so, non me l’ha detto”
“E tu non gliel’hai domandato?”
“Beh… no”
Tom tacque pensieroso, accorgendosi di star tradendo un’eccessiva irritazione di fronte ai suoi compagni.
Intimamente, non era neppure fin troppo sorpreso di essere interessato a tal punto all'accaduto: lui e Pearl avevano un patto, e dopotutto sapeva di nutrire una certa gelosia nei confronti della ragazza...
Certo, non quel genere di sciocca, amorosa gelosia.
Ma dal momento che Pearl era a conoscenza di alcuni dei suoi più intimi segreti, e aveva deciso di collaborare con lui nella sua particolare ricerca, sentiva di provare per lei quel tipo di esclusiva possessività che aveva nutrito, sin da piccolo, per ognuno dei propri averi.
D’altronde, il suo interesse era sempre stato di stampo monopolistico: ciò che balzava alla sua attenzione, era suo e suo soltanto. E così era stato anche con Pearl, né più né meno di un inestimabile e prezioso oggetto.
Improvvisamente scattò a sedere, chiudendo con un gesto secco il libro di incantesimi; accantonò la lettura e, senza proferire ulteriore parola, si diresse a grandi passi meditativi verso le scale che conducevano ai dormitori.
Il suo carattere si rivelava ancora una volta per quello che era, forte ed orgoglioso, intimandogli di rimanere saldo e presente a se stesso.
Non si sarebbe ridicolizzato ulteriormente, commettendo un qualche gesto impulsivo nei confronti della ragazza; non in quel momento, perlomeno. Avrebbe se non altro atteso l’indomani.
Agli amici però non sfuggì la mano del ragazzo infilarsi in tasca, avvolgendosi istintivamente attorno alla bacchetta.
“Riddle  non va con nessuna alla festa, vero?” chiese Aidan preoccupato non appena l’amico fu scomparso.
“No, ha rifiutato anche le poche ragazze che hanno avuto il coraggio di chiederglielo”
“Beh, mi pare che non ci voglia un genio per capire che la Ballantyne sia appena diventata un dominio privato… cerca di ricordartelo bene, Dolohov” concluse con un ghigno Cygnus, decretando scacco matto al cugino.
Non ebbe bisogno di guardare il volto dell’amico per sapere quanto fosse improvvisamente impallidito.
 

 
*******

Poche ore prima
 

“Raso o velluto?”
“Lasciala perdere e guardami: meglio quello bianco o quello nero?”
“Pensi siano meglio le perle? O credi che forse dovrei osare i brillanti?”
Pearl si fermò impietrita sull’uscio del proprio dormitorio, osservando con stupore come la stanza fosse improvvisamente divenuta un unico, grande e caotico fermento, traboccante di agitazione e femminilità.
“Senz’altro i brillanti…” balbettò appena, riempiendo di soddisfazione Druella, già vestita di tutto punto.
Perché in vita sua Pearl non era mai stata ad una festa.
Certo, sin da piccola era stata abituata a lunghi pranzi, cene, balli e ad ogni sorta di estenuante evento mondano con l’alta società magica inglese ed irlandese, ma anche questi erano da anni ricordi accantonati e dimenticati.
Sua madre non si era mai mostrata come una donna eccessivamente dedita al pettegolezzo e agli svaghi, e nonostante fosse disperatamente innamorata del proprio aspetto, nell’ultimo periodo della sua vita aveva drasticamente preferito rifuggire la società.
Tuttavia Pearl ricordava perfettamente la sensazione di  sentirsi, pur essendo solo una bambina, al centro esatto del mondo, circondata dalla dorata attenzione altrui.
“Cosa aspetti ad andare a prendere il tuo abito? La festa è tra meno di due ore” disse Walburga impaziente.
La Black sedeva davanti alla specchiera con l’alterigia di una regina, intenta a rifinire il proprio trucco con attenzione maniacale; una ragazzina del secondo anno, che riconobbe subito come Clodia Lestrange, era intenta a crearle perfette onde tra i lunghi capelli scuri seguendo le sue precise istruzioni.
“Sono stata in biblioteca fino a poco fa…” disse a mo di scusa, aiutando Isobel ad allacciare il proprio abito, di un semplice blu scuro ma che pareva adattarsi alla sua figura longilinea come se le fosse stato dipinto addosso.
“Non capisco perché tu ci vada con quel Belby, un Corvonero… avresti potuto andarci con Yaxley” criticò nuovamente Walburga, rimbrottando Isobel e mostrando un inspiegabile cattivo umore.
“Senti, te l’ho già detto che io e Damocles siamo amici di infanzia. E poi perché sei così acida oggi?”
Tutte le ragazze si voltarono a guardarla, ma Walburga evitò accuratamente di incrociare il loro sguardo.
“Non ho voglia di andarci con Orion, tutto qua” disse con una nota contrariata nella voce, ma riscuotendosi poco  dopo, tornando a rivolgersi a Pearl.
“In ogni caso, potrai anche aver deciso di venire senza cavaliere, ma a meno che tu non voglia dare spettacolo, e credimi sono certa che i ragazzi gradirebbero, farai bene ad andare a metterti qualcosa addosso!” la rimproverò nuovamente, strappandole un verso annoiato.
Fu con estrema svogliatezza che un attimo dopo si decise ad avviarsi dalle uniche persone che avrebbero potuto, secondo la concezione di necessità delle amiche, “salvarla” dalla mancanza di buon senso per non essersi portata un capo d’abbigliamento adatto.
Mentre attraversava i lunghi corridoi verso i dormitori femminili del settimo anno, zona dei sotterranei pressoché vuota a causa del banchetto ancora in corso, Pearl considerò che tra tutte le ragazze più grandi che aveva conosciuto, le gemelle erano certamente le uniche ad essere riuscite a catturare la sua simpatia.
Audovera e Diodata Selwyn erano identiche come gocce d’acqua: irriverenti e spesso sfacciate,  con una grande passione per i divertimenti, dimostravano con il loro portamento altero ed elegante di sembrare perennemente sicure di quale fosse il loro posto al mondo, un luogo decisamente lussuoso e pieno di sfarzo.
Anche perché, non per nulla, rappresentavano il futuro di due delle più rinomate famiglie purosangue inglesi: se Audovera era fidanzata con Abraxas Malfoy, Diodata lo era con Byron Lestrange.
Due ragazzi infinitamente ammirati, che Pearl trovava  sorprendentemente somiglianti a Tom: irritanti e sottilmente sfuggenti.
Quando la giovane bussò nervosamente alla porta, ad aprirgli non fu nessuna delle due amiche, ma bensì Malfoy in persona, che la guardò dall’alto in basso con apparente stupore.
“Ah ehm, cercavo Audovera… ma se siete occupati passo dopo, non è un problema!” borbottò imbarazzata da quegli occhi grigi e predatori, in abbacinante contrasto coi lisci, lunghi capelli così biondi da parere bianchi.
Ma il ragazzo sorrise divertito, facendosi da parte per farla entrare.
Vera, tesoro, un’altra ragazza è venuta ad elemosinare il tuo aiuto” disse ad alta voce, tornando poi a stravaccarsi sul letto della fidanzata, sfogliando distrattamente la “Gazzetta del Profeta” di quel giorno.
“Oh, sei tu Pearl, Walburga mi aveva accennato che ti serviva un abito…” le disse gentilmente quando l’ebbe riconosciuta, invitandola con un cenno ad avvicinarsi al grande armadio ad angolo.
“Forse potresti inventarti un mestiere Vera, con la smodata passione per la moda tua e di tua sorella, questo dormitorio potrebbe diventare un atelier” commentò Abraxas sardonico, guadagnandosi un’occhiata ammonitrice dalla fidanzata, intenta a pettinarsi i lunghi capelli castani.
“Allora? Con chi hai deciso di andare alla festa?” chiese allegramente Audovera, cercando di mettere Pearl a suo agio e al contempo osservandola con puntigliosa attenzione, come se volesse accertarsi delle sue misure.
“So che sembra assurdo, ma ho preferito andarci da sola” rispose la ragazza con un sorriso incerto, lisciandosi distrattamente un lembo della divisa.
Era sorprendentemente la verità: oltre ad aver gentilmente rifiutato tutti gli inviti che le erano pervenuti, con caparbio orgoglio si era categoricamente rifiutata di scegliere autonomamente il proprio cavaliere.
A nulla erano valse le premure e i consigli delle amiche: seguendo le proprie voglie, o piuttosto, la loro mancanza, aveva deciso di aggrapparsi ad un comportamento volutamente antisociale.
Audovera parve intuire chiaramente le confuse idee dell’amica, perché gli rivolse un sorriso confortante.
“Non è poi così assurdo! Fai bene a non farti influenzare dalle tradizioni, alla fine sono molti quelli che scelgono di andare alla festa senza accompagnatore. Vedrai che ti divertirai di più” la rassicurò, strizzandole l’occhio.
Ma alle sue spalle, senza alzare gli occhi dalla rivista, Abraxas espresse un dubbio di tutt’altro genere.
“Non è che stavi aspettando un invito che non è mai arrivato?”
Pearl si sentì gelare, avvertendo in contrasto le guance imporporarsi livemente.
“E da chi per esempio, di grazia?” gli rispose, quasi con sfida.
Gli occhi di Abraxas scintillarono di furbizia.
“Oh, magari qualcuno dei tanti che sono rimasti a loro volta senza accompagnatrice. Guarda caso c’è anche il tuo degno rivale, Tom Riddle… non so se hai presente” continuò imperterrito, fermandosi solo all’ennesimo sguardo ammonitore della fidanzata.
“Abraxas, per favore ora esci, dovrei far provare questo a Pearl” gli disse impaziente, sfidando il ghigno divertito che ancora portava sul volto e sospingendolo fuori dalla stanza.
“Lascialo perdere, gli piace divertirsi a spese degli altri...” si limitò a dire, sorridendo conciliante.
Pareva tuttavia aver dato molta attenzione alle ultime parole che il fidanzato aveva pronunciato.
“Tu e Tom andate più d’accordo ora, vero?”
Pearl le lanciò uno sguardo allarmato.
“Cosa te lo fa credere?”
“Oh beh, i primi tempi passavate tutto il tempo a battibeccare. Ora sembrate più tranquilli, a volte vi ho anche visto in biblioteca assieme” ragionò con un’alzata di spalle.
Pearl tacque, ma all’amica, intenta a osservare di sottecchi la sottile ruga d’espressione comparsale sulla fronte, non sfuggì l’improvviso nervosismo che pareva averla colta.
“E così a quanto pare anche Tom Riddle è senza accompagnatrice…” sussurrò con strana serietà, attraversata da un cenno malizioso quando dall’armadio estrasse con estrema cautela una scatola.
Quando le mostrò il contenuto, un ammasso di stoffe nere come la pece, Pearl sgranò gli occhi.
“No aspetta, questo non posso…”
“Perché, cos’ha che non va?”
“E’ veramente… troppo
Troppo, esattamente. Non vorrai certo rappresentare una seconda scelta?”
Pearl guardò il sorriso dell’amica, all’improvviso straordinariamente simile a quello del fidanzato, e con uno scatto repentino decise di accettare.
Indossandolo, per un attimo sentì nuovamente la sensazione che provava da bambina quando tutti gli occhi degli amici dei genitori si concentravano su di lei.
Il sentirsi al centro esatto del mondo.
“Io non sono mai una seconda scelta” affermò sovrappensiero poco dopo.
Solo quando fu più che pronta, un lieve bussare di nocche alla porta la distolse dagli ultimi ritocchi;  il viso paffuto di Clodia Lestrange fece capolino da dietro lo stipite, porgendole esitante una lettera.
“Pearl, il tuo gufo ha appena lasciato questa per te”
Solo quando la giovane l’aprì e la lesse con trepidazone, il suo volto si illuminò di incredula felicità.
A completare il suo trucco elaborato fu l’imporporarsi delle guance, dovuto all’improvvisa corsa che intraprese verso la biblioteca.
 

 
 

“Only so many times, I can say I long for you
The lily among the thorns, the prey among the wolves

Barely cold in her grave, barely warm in my bed
Settling for a draw tonight…
Puppet girl, your strings are mine!

 
Solo così tante volte, posso dire che ardentemente ti desidero
Il giglio tra le spine, la preda tra i lupi

Poveramente fredda nella sua tomba, poveramente calda nel mio letto
Anticipando questa notte…
Ragazza burattino, i tuoi fili sono miei!”

[Feel for You, Nightwish]

 

 

Le supposizioni dei precedenti giorni trovarono ampia conferma non appena la festa aprì le sue porte: nulla era come era stato immaginato, ma anzi superava ognuna delle loro aspettative.
La musica invadeva i corridoi, udendosi sin dall’atrio, dove una fiumana di studenti eccitati si era già raccolta in attesa dei propri amici ed accompagnatori.
Chi si era già recato alla festa riferiva che quell’anno l’ufficio di Lumacorno era stato ulteriormente ampliato con l’uso della magia, riempiendosi di un tripudio di luci soffuse, che provvedevano già di per se a scaldare l’atmosfera.
 “Ma quello è Roderick Plumpton dei Tutshill Tornados?” chiese un Rosier incredulo, intento ad osservare un uomo alto e dinoccolato con ispidi capelli biondi avviarsi verso le scale, salutato ed acclamato a gran voce da diversi ragazzi.
“Probabile, non è l’unico pezzo grosso che il vecchio Luma ha invitato” commentò Lestrange, divertito dallo sguardo estatico dell’amico.
“Non potremmo salire, senza aspettare le ragazze? Incomincio ad aver fame” si lamentò a gran voce Dolohov, occhieggiando ansioso la porta dei sotterranei.
“Ma tu non hai l’accompagnatrice Aidan, guarda che puoi già avviarti senza di noi” gli fece notare Diodata, con tono volutamente beffardo.
“E tu Riddle? Strano non vederti accompagnato da qualcuna, l’anno scorso mi sembrava elargissi facilmente la tua mano” commentò Audovera maliziosa.
Quella sera Tom Riddle pareva toccare l’apice della sua gelida bellezza: avvolto in un semplice completo scuro, dimostrava di possedere un’innata eleganza.
Sembrava persino più pallido del solito, un chiarore che contrastava come un pugno con i capelli neri come l’inchiostro. Ma tutto ciò gli donava, evidenziando il sorriso derisorio che rivolse alla compagna.
“Che vuoi che ti dica, Audovera? Quest’anno non ho avuto tempo da dedicare a nessun’altro all'infuori di me”
Poco distanti diverse ragazze sussurravano tra loro concitate, fissandolo imbambolate e cercando vanamente di attirare la sua attenzione; che invece rivolse da tutt’altra parte, quando le porte del sotterraneo finalmente si aprirono per lasciar uscire i restanti elementi della compagnia.
“E fortuna che avevate promesso di essere puntuali, eh?” disse Cygnus esasperato, accogliendo Druella tra le proprie braccia e stampandole un lieve bacio sulle labbra.
Diversi furono i complimenti e le battute, ma ai molti non sfuggì il curioso, strano sguardo che intercorse per un lungo attimo tra Tom e Pearl.
Il bel viso del Prefetto recava un'espressione insolita, sospesa tra il compiaciuto e il meravigliato.
Perché era dalla sera dello smistamento che Tom non si trovava a considerare Pearl in quel modo, unicamente definibile con una sola parola...
Fasciata com’era in un lungo abito nero, che le ricadeva sino ai piedi come una morbida cascata, ogni curva ed ogni ansa del suo giovane ed esile corpo erano state sapientemente evidenziate.
Era inevitabilmente ed innegabilmente attraente.
Tutto di lei, dallo sguardo vibrante d’eccitazione alle sottili labbra tese in un sorriso, gli apparve improvvisamente fragile e al contempo seducente.
E per un attimo fu a sua volta estremamente consapevole di poter esercitare uguale ascendente, se non addirittura maggiore, su di lei.
“Ti vedo stupito, Tom” lo canzonò la ragazza, chiaramente conscia delle lunghe occhiate che si erano rivolti, totalmente diverse dal solito genere, fermo sullo sprezzante.
“Al contrario Pearl, sono piacevolmente sorpreso” ribatté lui, concedendole un sorriso estremamente sincero; contrariamente a tutte le supposizioni, era priva di cavaliere e completamente sola, scoperta che non fece altro che stimolare ulteriormente il suo ego.
Le loro parole furono presto inghiottite dal clima della festa, che nonostante fosse appena iniziata, era già entrata nel vivo.
"Dippet è a conoscenza di questi?" domandò poco dopo una Isobel particolarmente dubbiosa, incerta se soffermarsi sul punch o selezionare qualcosa dalla vasta offerta di alcolici.
"Non lo so, ma Silente sembra non aver nulla da ridire" rispose Pearl indicando alle proprie spalle, dove un professor Silente molto più allegro del solito intratteneva un’allegra discussione con diversi maghi dall’aria veneranda, gesticolando con frenesia.
La stanza continuò a riempirsi ad una velocità impressionante, senza che nessuno facesse più una qualche differenza tra gli autentici invitati e chi era riuscito ad imbucarsi; i professori si mischiavano allegramente agli studenti, intrattenendo conversazioni che in una normale aula certamente non sarebbero mai avvenute.
Il sorriso di Pearl si fece ancor più evidente quando nella folla scorse il fratello maggiore, nientemeno che in compagnia di Minerva stessa.
"Non ci posso credere, alla fine avete deciso di venire insieme!"
"Cosí pare... È lei che ha insistito" ribatté Schneizel laconicamente, portandosi il bicchiere colmo alla bocca.
"Certo, insistito sul salvarlo dall’umiliazione perché nessuna pareva filarselo più” ribatté la ragazza, estremamente divertita.
Ben presto le loro parole concitate attirarono lo sguardo di Lumacorno, intento a veleggiare da un capo all’altro della stanza come fosse senza peso, chiaramente di ottimo umore.
"Allora ragazzi miei, cosa ne pensate? E’, o non è, forse la mia festa meglio riuscita?”
"Fantastica come tutti gli anni professore" convenne Minerva con un gran sorriso.
"Ah Minerva cara, sempre gentile. Sono veramente contento di esser riuscito ad avervi tutti qua, compresi voi due ragazzi... A tempo debito vedrete che anche vostro fratello Barron avrà la sua parte” suggerì il professore, quasi stesse già pregustando quel momento.
Si guardò attorno a lungo, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno nella folla.
“Ma guardiamo piuttosto il vero obiettivo di questo incontro… perché non vi dedicate ad ampliare le vostre conoscenze?”
Un bicchiere in mano ed un’espressione tutt’altro che cordiale, all’esortazione di Lumacorno Tom Riddle si avvicinò lentamente al gruppo.
“Eccoti qua Tom, ragazzo mio!  Certamente conoscerai già la signorina McGranitt, ma permettimi di presentarti anche Schneizel Ballantyne, il fratello della nostra qui presente Pearl” disse il professore gentilmente, aspettandosi un qualche cenno tra i ragazzi.
Ma Schneizel non tese la mano né dimostrò di prendere neanche lontamente in considerazione l’invito del professore: si limitò a guardare Tom con straordinaria durezza, tanto che Minerva dovette premergli la mano sul braccio quasi a volerlo calmare.
Un gesto che, come ogni qualsiasi particolare, non sfuggì all’attenzione del bel serpeverde.
“Veramente incantato” si limitò a commentare lui sarcastico.
Pearl lanciò un occhiata al fratello e al compagno, chiedendosi come Lumacorno riuscisse a non accorgersi di trovarsi di fronte ad un imminente duello; istantaneamente decise di intervenire e raccogliere la palla al balzo, cogliendo l’occasione che attendeva da inizio serata.
“Tom, ti dispiace se parliamo un attimo?” li interruppe Pearl, mostrandosi forse fin troppo garbata, ma rivolgendo uno sguardo più che eloquente al ragazzo.
“Potresti evitare di provocarlo?” lo riprese quando si furono allontanati dallo sguardo adirato di Schneizel, riuscendo per miracolo a farsi strada nella folla senza incontrare particolari intoppi.
“Provocarlo io? Credo che la ramanzina dovresti farla a tuo fratello, sembrava piuttosto nervosetto” ribatté Tom, seguendo la ragazza  verso l’uscita.
“Schneizel crede che tu sia un tipo un tantino come dire… losco” rispose distrattamente, sottraendogli il bicchiere mezzo pieno dalle mani e posandolo assieme al proprio sulla tavola.
Al suo sguardo interrogativo rispose con un gran sorriso.
“Credimi, dovrai essere ben sobrio per ascoltare ciò che sto per dirti”
Cercando di non dare nell’occhio si allontanarono dalla festa, divenuta sempre più soffocante.
Percorsero velocemente diversi corridoi, dapprima traboccanti di invitati e infine solo di sporadiche coppie, appostate nell’intimità concessa dagli angoli più bui; eccezionalmente per una sera, l’onnipresente controllo dei professori pareva essersi allentato.
Si soffermarono solo di fronte ad un'alta finestra ogivale incassata nel muro, che li riparava dalla vista altrui e forniva loro una chiara vista del Lago Nero animato dalla tempesta.
Quando finalmente si trovarono faccia a faccia, entrambi appoggiati ai lati opposti, Tom incrociò le braccia con fare impaziente e Pearl si accinse a prendere un gran respiro, prima di decidersi a parlare.
La voce le vibrò leggermente, tradendo un’emozione che a malapena riusciva a celare.
“Devo avvertirti: questa settimana ho preso in considerazione l’idea di chiedere l’aiuto a qualcuno.
Sai, per l’affare della tua famiglia… No aspetta!” si precipitò a precederlo, dato che Tom aveva appena aperto la bocca con  l’aria di voler dire qualcosa di piuttosto feroce.
“Ho cercato, davvero… ma è un’autentica impresa, lo sai bene. Perché sprecare del tempo prezioso?
La mia nonna paterna è un’esperta di genealogia magica: è così legata al suo stato di sangue da  conoscere a memoria metà degli alberi genealogici della società magica inglese.
Così le ho solo accennato la mia curiosità per quel nome, dopo averlo letto in un qualche libro… e lei ha prontamente esaudito la mia curiosità” spiegò attentamente, procedendo con cautela ed osservando le contrastanti espressioni sul volto del giovane.
Tom pareva estremamente alterato, eppure il suo sguardo rivelava un’impaziente curiosità.
"Continua: dimmi dove vuoi andare a parare, prima che cominci ad arrabbiarmi sul serio”
Fu allora che Pearl, con un gesto teatrale, aprì la pochette che finora si era portata dietro, estraendone un unico foglio di pergamena piegato in quattro parti.
I suoi grandi occhi scuri, finemente truccati, splendevano di esultanza.
"Poco prima che mi avviassi alla festa ho ricevuto la sua risposta.
Ho letto quel poco che bastava per individuare un certo cognome… Un cognome che probabilmente non saremmo mai riusciti a trovare, perché appartiene ad una linea quasi del tutto estinta”
Gli porse infine la pergamena, sorridendo trionfalmente.
“In ogni caso, eccotelo qui… L’ho trovato
"Che cosa?!" urlò quasi Tom non appena recepì quelle parole, arrivando a strapparle il foglio di mano con fulminea necessità.
Per un attimo parve quasi che vi fosse un qualcosa che lo scuotesse da dentro, un’emozione che traboccò gradualmente sul suo viso: era animato da una gioia incredula, quasi bestiale, che deformava i suoi bei tratti in una maschera selvatica e ferina.
Di certo non giovava al suo aspetto, ma Pearl si ritrovò ad osservarlo tremendamente affascinata.
“Ovvio, ho solo copiato gli ultimi elementi, l’albero genealogico completo è di sopra…” continuò con premura, ma lui neppure le prestò attenzione, gli occhi incollati sulla pergamena.
Vi era riportato davvero ben poco, ma conteneva in sostanza tutto ciò che il mondo gli aveva finora taciuto.
Eccolo, posto in cima al foglio e delineato con l’ondeggiante calligrafia di Pearl: Orvoloson Gaunt.
Il nome di suo nonno.
Da lì partiva un’unica riga sottile, collegate a due ultime parole: "Orfin" e poi “Merope”.
Poggiò istintivamente il dito sull’ultimo nome, sfiorando lievemente i caratteri che lo componevano.
"Lei è..."
"Sí, credo di si. Merope... Tua madre"
Tom rimase imbambolato per lunghi attimi ad osservare il foglio, quello strano aggettivo che continuava ad aleggiargli nella mente, prima che si decidesse a ripiegarlo e riporlo con gran cura nella propria tasca.
Contrariamente a quanto Pearl si aspettava il giovane non disse nulla, limitandosi a rivolgerle lo sguardo smorzando lievemente il suo entusiasmo.
"Sappi che puoi anche non dirmi grazie, ma in ogni caso mi devi un favore, Riddle" disse vagamente contrariata, appoggiandosi al muro e tentando di sfoderare un sorriso che stemperò presto in un accenno di broncio.
Ma il ragazzo fu colpito dall'ironia che nascondeva quell’ultima affermazione.
Gli dispiaceva quasi doverlo fare: era stata così utile dopotutto, aveva svolto il lavoro con una tempistica ed una precisione impeccabili, un vero gioiellino.
E a rendere meno facile il compito, quella sera gli risultava straordinariamente affascinante.
Fu quest'ultimo particolare a spingere Tom a chiedersi perché, dopotutto, non concederle un fugace attimo di gioia, soddisfacendo a sua volta un proprio desiderio.
"Hai ragione Pearl... Ti devo proprio un favore" acconsentì in un bisbiglio, prima di sporgersi verso di lei e schiacciarla tra il muro e il proprio corpo.
Per un istante si limitò a godersi la sorpresa nel suo sguardo, le labbra sottili lievemente aperte dalla meraviglia.
E infine si protese a baciarla.
Per un attimo rimasero fermi, immobili di fronte a quel primo, estatico contatto: gli occhi di Pearl erano ancora spalancati, le mani tese in avanti come se fossero tentate di allontanarlo.
Ma non appena quel lieve sfiorarsi di labbra si accentuò, optò per lasciar rovinare tutte le sue difese: le braccia le ricaddero lungo i fianchi con la pesantezza di massi, gli occhi le si chiusero come ante di persiane.
Il desiderio sbocciò tra loro con incredibile naturalezza, trasformando in breve un gesto calcolato in una mossa dettata dall’istinto: era quanto entrambi desideravano da giorni, forse settimane, forse sin da quando si erano intravisti per la prima volta… non aveva importanza.
Le loro bocche si cercavano, si rincorrevano, divise tra il concedersi e il respingersi, sospese in un gioco in cui finivano per colpirsi e ferirsi a vicenda.
Eppure, stranamente, a riuscire ad aggiudicarsi nuovamente il controllo di se stessa fu prima Pearl: la giovane aprì gli occhi improvvisamente, sorprendendo quelli del ragazzo aperti e vigili contro i propri; la loro espressione era indecifrabile, ma intuì che erano intenti ad analizzare la sua con scrupolosa attenzione.
Si ritrasse spontaneamente, quasi si fosse scottata, e come intuendo cosa l’aspettasse notò subito la mano del giovane reggere la bacchetta.
“Non farlo”
L’espressione di Tom subì un repentino cambiamento, tornando a quella di sempre, maligna e glaciale.
Godeva della situazione di potere che si era nuovamente guadagnato: sarebbe bastato un sussurro, un’unica parola già ripetuta decine e decine di volte, e lei neppure si sarebbe ricordata di aver anche solo trascorso qualche minuto tra le sue braccia.
Ogni parola, ogni momento, ogni ricordo di quei due mesi in cui si erano conosciuti sarebbe stato cancellato.
Ma Pearl  tentò subito di opporsi, afferrandogli la mano per il polso e tentando di abbassarla.
"Non farlo Tom, per favore" gemette, gli occhi spalancati e improvvisamente spaventati.
“Lasciami la mano Pearl, sai bene che doveva succedere, non credo tu fossi così stupida da non averlo già intuito”
Ma la presa di quelle esili dita non si allentò.
“Pensavo avresti cambiato idea” suggerì in un sussurrò, lasciando traboccare una forte delusione.
Il ragazzo scoppiò in una  risata incolore, che risuonò cupamente in tutto il corridoio vuoto.
“Ti illudi così facilmente, Pearl? Pensi che io ti consideri come i nostri professori, un esserino speciale da tenere in gran considerazione?” suggerì, chinandosi all’altezza del suo volto.
“O forse pensi addirittura di essere come me… al mio livello, con le mie stesse capacità?” sussurrò al suo orecchio, premurandosi di sfiorarlo lievemente con le labbra.
Il tono tagliente, il sorriso impenetrabile, Tom sentì la propria egoistica soddisfazione raggiungere l’apice nel ferirla definitivamente.
“Non sei nemmeno abbastanza interessante sotto quel punto di vista, se capisci quello che intendo... ” concluse spietato.
Ma quale fu la sua sorpresa nel vedere come l’espressione turbata della giovane venisse presto animata da un sorriso freddo.
“Ti sbagli”
Lo disse a voce alta e con tono di sfida, una contradditoria ed irritante lama di rasoio.
“Io so benissimo da sola quanto valgo, non ho bisogno che qualcuno me lo ricordi.
Ma soprattutto,ne sei consapevole anche tu" esordì, strappandogli con uno scatto la bacchetta dalle mani.
La lasciò cadere a terra, allontanandola con il piede dalla sua portata.
"Io sono la dimostrazione che dopotutto tu non sei capace di bastare a te stesso. Senza il mio aiuto tu saresti ancora al punto di partenza, perso nei tuoi patetici ragionamenti e senza avere in mano neanche uno straccio di legame con la tua famiglia, anzi…”
Tom, i lineamenti induriti dalla rabbia, la guardò impietrito dalla spietata eleganza con cui la ragazza si difendeva, senza tradire il benché minimo cenno di timore nei suoi confronti.
“Anzi… Ti saresti arreso a restare lì in quel posto che tanto detesti, che tanto cerchi di nascondere agli occhi del mondo…
E cosa credi? Qualcuno prima o poi, così come ci sono arrivata io, l’avrebbe capito”
“Capito che cosa?” sibilò Tom, impietrito da come la ragazza, al pari di lui, fosse riuscita a capovolgere la situazione.
“Capito che sei un mezzosangue
La mano del ragazzo le si artigliò violentemente attorno al collo, sospingendole con durezza la testa contro al muro producendo un suono secco e severo; l’altra mano, fremente di rabbia, artiglio vanamente l'aria come in cerca della bacchetta.
“Ritira subito quello che hai appena detto”
Il sorriso pieno di malevolenza della giovane si ridimensionò, mutando in una semplice piega neutra.
“Non posso. E’ la verità, e tu lo sai meglio di me. Così come sai che è grazie a me se ora hai una possibilità di riscattarti e nascondere questa scomoda realtà. Puoi farlo, lo sai” continuò, imperterrita e sicura di se.
Tom per un attimo parve valutare le sue parole, senza tuttavia abbandonare la presa.
“Cosa ti spinge ad essere così sicura di te? Fino ad un attimo fa mi supplicavi di non stregarti.
Potrei ancora farlo, non credi?”
Pearl pose una mano su quella del giovane, riuscendo ad allentarne la stretta.
“No, non credo lo farai. Non sei stupido, non butteresti via l’occasione che ti sto offrendo”
Poi la sua espressione parve tornare sincera e buona.
“Lascia che io ti aiuti Tom, lascia che io ti dia una mano. Lasciami restare sempre qualche passo dietro di te”
Il ragazzo allontanò la mano, guardando distrattamente il temporale scatenarsi al di fuori; nel suo cuore regnava pari tempesta.
 “Così aspiri davvero ad essere la mia ombra?”
“Preferirei definirmi una tua complice”
“Io opterei per una serva”
Pearl sorrise.
“Punti di vista”
Ma anche Tom finalmente ricambiò il sorriso, chinandosi per raccogliere la bacchetta ma riponendola nella tasca.
“Ciò che mi chiedi ha delle condizioni però: manterrai i miei segreti ed eseguirai ogni mio ordine”
Pearl inarcò le sopracciglia.
“Certamente, basandomi però sul mio libero arbitrio”
“Non ti accontenti mai, giusto?”
“Onestamente, perché dovrei? Sappiamo entrambi che non tenterai ancora di stregarmi”
Tom inclinò la testa, sondando la sua espressione sicura, scaltra come non l'aveva mai vista.
“Cosa te lo fa credere?”
“Perché hai desiderato quel bacio quasi quanto me”
Quando Pearl si protese verso di lui, appoggiandosi tiepidamente al suo corpo, il suo primo desiderio era stupire se stessa.
Si alzò in punta di piedi, posando candidamente le mani sul petto del ragazzo.
Lui si limitò a circondarle la schiena,  attirandola a sé ulteriormente per baciarla, quasi stessero siglando una sorta di patto scellerato.
Non di dominio e non di sottomissione, ma di semplice accettazione, qualcosa che per una volta trovò estremamente piacevole.
Sarebbe stata una scena da manuale, un quadro addirittura romantico, se non fosse stato per un unico, quasi invisibile dettaglio.
Nell’angolo più estremo del corridoio una persona valutava la scena con estrema preoccupazione.
Il professor Silente si passò una mano ad accarezzarsi la lunga barba argentata, e con un sospiro silenzioso, si avviò verso il suo ufficio.
Aveva inevitabilmente ascoltato tutto.
 

 

*******

 

Quando i due ragazzi fecero ritorno verso la sala comune era ormai notte inoltrata, e persino anche gli ultimi invitati avevano fatto ritorno nei propri alloggi.
“Tra parentesi, hai intenzione di insegnarmi qualcosa?”
Tom la guardò sospettoso.
“Qualcosa di che genere?”
“Qualcosa come la legilimanzia” propose Pearl con fare innocente.
“Ma sentila, la legilimanzia addirittura… e pensi di esserne in grado?”
“Questo mi pare più che ovvio”
Quando raggiunsero il corridoio che conduceva ai dormitori del quinto anno si accorsero di non essere gli unici ragazzi svegli.
Le stanze erano ancora illuminate, e parecchi studenti in pigiama sbirciavano dalle camere, osservando incuriositi lo svolgersi di quella che pareva essere una litigata in piena regola.
Solo quando si furono avvicinati riuscirono ad accorgersi di quanto realmente ne conoscessero i protagonisti: era un Cygnus Black incredibilmente teso ed infuriato a scagliarsi niente poco di meno che contro il proprio cugino; il volto di Orion, più pallido che mai, pareva indeciso se esibire un’espressione di sfida o un cipiglio agguerrito.
Entrambi si puntavano addosso le bacchette, ed entrambi parevano fare a gara a chi urlava di più, con gli amici che inutilmente cercavano di calmarli come meglio potevano.
“E’ mia sorella, per Salazar, mia sorella! Ma che cazzo ti dice il cervello?”
“Si da anche il caso che siamo fidanzati ufficialmente!”
“Fidanzati ufficialmente?! Ma non farmi ridere, se entro stasera non hai mai provato neppure a prenderle la mano, e ora ti senti in diritto di cercare di portartela a letto?!”
La conversazione stava velocemente degenerando, rivelando quanto entrambi i ragazzi non dovessero essere nel pieno delle loro facoltà.
Pearl individuò Druella poco distante, addossata al muro ed intenta a guardare Cygnus apprensiva.
“Cosa è successo?” le chiese scuotendola leggermente.
“Eccoti! Ma dove eri finita?" chiese allarmata.
"Lascia stare, cosa sta succedendo qua?"
“Walburga ed Orion... Verso la fine della festa sono usciti e si sono fermati in un corridoio. Avevano bevuto entrambi, tanto, ma neanche troppo. E sì insomma, quando siamo passati per tornare ai dormitori e Cygnus li ha visti erano impegnati in un bacio… molto più di un bacio” concluse imbarazzata.
Pearl avrebbe voluto domandarle dove fosse Walburga in quel momento e in quale stato fosse, ma all’improvviso le voci accese della lite si quietarono sino a scomparire.
Quando le due ragazze si voltarono, Tom si era posto al centro esatto della scena: il suo tono di voce tranquillo ma sbrigativo ebbe il potere di sedare immediatamente gli animi.
“…E’ tardi, e sono certo che tutti preferiremmo andare a dormire, e risolvere la questione domani da gentiluomini.
Siete d’accordo?” chiese, risoluto ed autoritario.
La sua non era una domanda, bensì un'affermazione.
Al suo sguardo il capannello di persone parve diradarsi, ed entrambi i cugini Black chinarono la testa senza osare scambiarsi anche solo un altro sguardo.
“Hai ragione, Tom” fu l’unica cosa che disse Cygnus, allontanandosi senza nemmeno salutare Druella.
Orion invece rimase per un attimo titubante a guardare la figura del cugino scomparire, ma poi con un verso contrariato si ritirò nella propria camera.
“Pearl, andiamo…” mormorò Druella tirandola debolmente per un braccio verso la propria camera.
Tom e la giovane si scambiarono un ultimo cenno dubbioso.
Ma quella notte riservava per loro altre sorprese.

 

“Why when do our darkest deeds do we tell? 
They burn in our brains, become a living hell. 
Got a secret, can you keep it? 
Swear this one you'll save!
Better lock it in your pocket, taking this one to the grave. 
Because two can keep a secret if one of them is dead. 

Perchè quando facciamo le azioni più sinistre alla fine le sveliamo?
Perchè bruciano nei nostri cervelli, diventando un inferno vivente. 
Ho un segreto, riesci a mantenerlo? 
Giura che questa volta lo terrai per te!
Faresti meglio a sigillarlo nella tua tasca portandotelo dietro fino alla tomba.
Perchè due persone possono mantenere un segreto solo se una di loro è morta.”

[Secret, The Pierces]

 

I suoi non erano mai stati sonni particolarmente riposanti.
Le sue notti erano perennemente inquiete e nervose, spesso scosse dai sottili tentacoli dell’incubo.
Ma in quel momento sentiva che qualcos’altro disturbava il suo sonno, quasi ci fosse un’ammaliante voce determinata a richiamarla alla coscienza.
Quando aprì gli occhi si scoprì attorcigliata alle lenzuola, le gambe nude pressoché congelate e il viso riposto tra le mani in un gesto protettivo; impiegò una manciata di secondi per scoprire la causa di quel brusco risveglio.
Tom era appollaiato di fronte al suo capezzale, lo sguardo fermo ed immobile sul suo viso.
Rimasero solo per un istante a guardarsi, prima che la giovane con uno scatto si tirasse a sedere, coprendosi sbrigativamente con le coperte.
Per un attimo fu tentata di urlare rabbiosamente contro di lui, ma poi lo vide portarsi il dito alla bocca in un gesto di silenzio.
Nel buio lo sentì sporgersi verso di lei, chinarsi vicino al suo volto, facendole trattenere il respiro.
“Prendi il libro, e seguimi” lo sentì sussurrare debolmente, il fiato caldo che le inondò l’incavo del collo.
Nemmeno per un secondo la sfiorò il pensiero di ribellarsi a quell’ordine velato.
Sotto i suoi occhi vigili, scivolò dalle coperte e aprì nel più religioso silenzio il proprio baule ai piedi del letto, estraendone il libro e stringendolo tra le braccia come fosse un bene prezioso; si guardò attorno per un attimo, notando come il sonno delle compagne fosse terribilmente profondo.
“Le hai addormentate?” chiese in un bisbiglio non appena furono nel corridoio, diretti alla sala comune.
“Solo un piccolo incantesimo di sicurezza, non volevo rischiare”
Pearl gli rivolse uno sguardo denso di cautela: per quanto tempo l’aveva osservata?
Dove si era posato esattamente il suo sguardo? Dopo quella sera, si sentiva in diritto di volerlo sapere.
Si strinse nella vestaglia, coprendosi le gambe nude con un cenno di imbarazzo.
“Hai freddo?”
“Non troppo”
Solo quando si trovarono seduti l’uno di fronte all’altro, il grande libro posato su di un tavolino, riuscirono a scambiarsi il primo sguardo sincero dopo quanto era successo quella notte.
“Come sta Orion?”
“Era arrabbiato, comprensibile. E Walburga?”
“Ubriaca marcia, ma piuttosto scossa”
Rimasero per un attimo in silenzio, prima che Pearl si decidesse ad aprire il libro, sfogliando con cautela pagine incartapecorite che parevano friabili come fogli di riso.
“Ecco, è tutto qui, in queste pagine”
Le sue dita corsero ad indicare la fine di quell’immenso albero genealogico.
Tom sfiorò ancora quel nome oscuro, quel “Merope” vergato in elegante calligrafia.
“Quindi si è fermato qui perché…?”
“Perché tuo padre non era un purosangue, già. A quel che vedo, sembri essere l'unico discendente di questo ramo”
Nuovamente il silenzio si dilatò tra loro, mentre Pearl osservava il viso del compagno indurirsi dalla rabbia.
Piano,con dolcezza, gli prese la mano e la spostò delicatamente dalle pagine del libro.
“Non perdere troppo del tuo tempo sulla fine, pensa piuttosto all’inizio… Nelle tue vene scorre il sangue di una delle famiglie più antiche d'Inghilterra”  suggerì conciliante; la sua mano rimase ferma su quella del ragazzo solo per un attimo, prima di sfogliare con cautela il libro.
“Dovrai leggerlo con attenzione, potresti scoprire cose incredibile su di te semplicemente venendo a conoscenza dei tuoi antenati…” mormorò, leggendo le note sottili.
“Hai ragione”
Pearl alzò gli occhi, colta da un brivido nell’udire quel tono così secco ed autoritario.
“Cosa?”
“Vai all’inizio” si limitò a ripetere.
La giovane sfogliò sbrigativamente le pagine sino all’inizio del tomo, dove una mano di altri tempi aveva delineato le sommarie caratteristiche della famiglia Gaunt.
“Lo sapevo” mormorò Tom, gli occhi immobili su quelli che avevano tutta l’aria di essere i nomi capostipiti della famiglia.
“Che cosa…?”
“Guarda tu stessa!” le ordinò nuovamente, afferrandole la mano e trascinandola dal proprio lato; il suo viso era incredulo, animato da quella sua rara, fredda e selvaggia gioia.
Per un attimo Pearl non capì cosa potesse entusiasmarlo a tal punto.
I suoi occhi dardeggiarono su una serie di grandi ed antichi nomi, da “Burke”, a "Cavendish", persino a “Peverell”.
Ma poi lo vide, e si ritrovò a sbattere gli occhi dallo stupore.
“Non posso crederci...” sussurrò costernata.
Voltò il suo sguardo su di lui
“Salazar Serpeverde in persona…”
Il suo sguardo sbigottito si scontrò con quello vincitore del compagno.
“Lo sospettavi?”
“Lo ammetto, a volte mi sono ritrovato a fantasticarlo. Sin dal primo anno”
“Perché?”
Tom rimase per un attimo in silenzio ad osservarla, le dita che crosero ad attorcigliarle una ciocca di capelli, riavviandola dietro l'orecchio.
Poi le sfiorò il viso, attirandolo delicatamente verso di se. 
“Pearl, ricordi quanto ci siamo detti prima?”
“Sì, certo”
Capì subito quanto stava facendo, ma ugualmente lo lasciò fare, arrendendosi al suo tocco.
Lasciò che la leggesse, che le scavasse dentro sino a perforarle l'animo.
“Hai detto che mi avresti ubbidito”
“Sì”
“Bene, io ora ti chiedo, ti ordino, di mantenere questo segreto” disse, il sorriso che mutava in una piega di sadico piacere.
“Sì” si limitò a rispondere, anche quando Tom la sospinse lunga distesa sul divano, accoccolata in posizione fetale.
Si chinò su di lei, fingendo di desiderare ancora le sue labbra per poi soffermarsi al suo orecchio.
“Io posso parlare con i serpenti” le sussurrò, sfiorandole il lobo con la lingua.
Gli occhi di Pearl si spalancarono dallo stupore, rimanendo incollati su quel viso che non la degnò più di uno sguardo.
Tom dedicò tutta la sua attenzione alvolume, sussurrandone il contenuto a bassa voce; dal modo in cui posò arditamente la mano sulla sua coscia nuda, accarezzondola distrattamente, Pearl capì che in quel momento desiderava solo la sua compagnia, alla stregua di un animale domestico.
Come stregata, cullata dalla sua voce si lasciò ricadere lentamente nei suoi sonni agitati.
Capì che, in ogni caso, quello era il suo particolare modo di ringraziarla. 



COMMENTO DELL'AUTRICE (CON TANTO DI SCUSE!)
Innanzitutto, scusate. Scusate, scusate, scusate. Questo è l'ennesimo dei miei mostruosi e apocalittici ritardi, su cui purtroppo non riesco mai ad averla vinta... Vogliate per l'ispirazione che fa quello che vuole, per un motivo o per l'altro, per l'ultimo frenetico periodo di scuola... Sì insomma, ora ci sono. Ci sono e porto anche un capitolo bello lungo.
Non so se dirmi pienamente soddisfatta: non mi piace scrivere pezzi volutamente superficiali, come è appunto la prima parte, ma c'è anche da dire che questo  è solo un "capitolo di passaggio", il nesso per approfondire il rapporto tra i due protagonisti. E l'hanno fatto pure bene **

COMMENTO AL CAPITOLO
Ho voluto che fosse un capitolo che esprimesse la vita degli alunni come ragazzi, con l'attesa sincera di una festa.
La voglia di svagarsi, di divertirsi, di bere se vogliamo aggiungercelo, in ogni caso di trasgredire.
La zia Row non ha giustamente nominato certi particolari, ma li considero decisamente impliciti, in una scuola di ragazzi nel pieno della crescita.
In quanto a Tom Riddle... Si lascia intendere che, come non è mai stato interessato alle amicizie, non lo è mai stato neppure per le questioni di cuore. Ma ci tengo a precisare che qua il cuore non c'entra ancora nulla.
Se Tom bacia Pearl, è solo per un desiderio prettamente fisico, come lo è stato per qualsiasi altra ragazza.
Per Pearl invece le cose sono leggermente diverse... è sicura di sè quanto scostante, il suo umore e le sue aspettative variano di momento in momento; è un personaggio mutevole, al contrario di Tom.
Dal prossimo capitolo spero di riuscire a far calare la storia nel vivo, concludendo i tempi del "conoscersi".
Sto cercando di procedere spedita con i tempi della trama, perché alla fine è una vita intera quella da raccontare ;)

Sperando che non siate troppo inferociti per questo enorme ritardo, un saluto e un grazie a chi ha inserito la storia nelle seguite e nei preferiti.

A breve risponderò anche alla recensioni, intanto mi limito a ringraziare in anticipo N33ROD84 ed Ellyra.


Alla prossima
Elle H.

 

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Capitolo 4
*** Al Calare delle Tenebre ***


Un Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto
di  Elle H.




CAPITOLO QUARTO
Al Calare delle Tenebre
 

“War between him and the day
Need someone to blame
In the end, little he can do alone
You believe but what you see
You receive but what you give

 
Guerra tra lui e il giorno
Ha bisogno di qualcuno da biasimare
Alla fine, può fare poco da solo
Credi solo a ciò che vedi
Ricevi solo ciò che dai”

[Amaranth, Nightwish]

 

Ventitre dicembre.
Quel giorno il cielo aveva deciso di presentarsi come una coltre di un bianco puro ed accecante, e quasi fosse un regalo per le imminenti vacanze natalizie, aveva scelto di distribuire senza troppi riguardi una nuova ondata nevosa su tutta la Gran Bretagna.
Approfittando dell’ultimo giorno, una buona metà del corpo studentesco si era rigettata nel parco, lasciandosi guidare dalla presenza della neve ad un euforico ritorno nella propria infanzia.
Tuttavia non tutti gli studenti riuscivano a lasciarsi trasportare dall’allegria natalizia: specialmente per coloro che quell’anno avrebbero dovuto affrontare i GUFO e i MAGO, un forte malcontento aleggiava nell’aria.
Gli occhi grigi di Walburga erano fissi sui fiocchi di neve che continuavano a cadere vorticando frenetici, così grandi e morbidi da sembrare piume d’oca, ma il suo sguardo era tutt’altro che incantato.
Con uno scatto annoiato mosse la bacchetta, bloccandone uno a mezz’aria e avvolgendolo in una lingua di fuoco, sciogliendolo miseramente all’istante.
“La neve mi fa schifo” commentò laconica.
Pearl al suo fianco le gettò uno sguardo obliquo, rimirando il bel viso dell’amica sospeso in una smorfia apprensiva.
“Diciamo pure che in questo periodo ci sono parecchie cose che ti fanno schifo, e la neve è l’ultima di queste”
Riparate sotto un pergolato in uno dei tanti cortili interni del castello, lo spazio attorno a loro era incredibilmente deserto, relegandole in un silenzio ovattato.
“Che fine hanno fatto tutti? Druella, Isobel, Lysandra?”
“Sono a godersi la nuova libertà. Che per inciso, è quello che potremmo fare anche noi”
“E allora perché non lo stiamo facendo?”
“Evidentemente siamo troppo annoiate per farlo”
Le due ragazze si lanciarono un sorriso abbattuto, un'espressione che perdurava ormai dalla bellezza di due mesi a quella parte; sin da quella fatidica notte, tra il trentun ottobre e il primo novembre.
“Walburga…  Ci ripensi mai a a quella sera?” chiese Pearl a bassa voce, come se si stesse rivolgendo più a se stessa che all'amica.
La giovane Black rivolse per un attimo lo sguardo al cielo, gli occhi che riflettevano un candore invernale che per nulla si addiceva alla cupezza del suo umore.
“Ma certo; d’altronde, come potrei non pensarci? Me lo sono sempre ritrovata davanti agli occhi ogni santo giorno, sin da quando sono nata… Non ti sembra una cosa assurda?”
“Beh, un po’ assurda di certo lo è” convenne l’amica amareggiata.
Per Pearl quello era un genere di conversazione totalmente nuovo: fino a poco tempo prima era sempre stata del tutto disinteressata alle storie d'amore altrui.
Per quanto nella maggior parte delle occasioni critiche si fosse sforzata di fornire ogni genere di consiglio, raramente era riuscita davvero a calarsi nei panni delle sue amiche; non che ci avesse mai tenuto particolarmente, in ogni caso.
Ma ora, nello scoprirsi all’improvviso straordinariamente partecipe ad ogni sorta di dramma, riusciva a comprendere quanto la sua testa fosse fin troppo imbottigliata da un caos fitto di strani quesiti e domande senza risposta, che vertevano tutti spiacevolmente sullo stesso argomento.
O sulla stessa persona.
“Tu non immagini cosa voglia dire per me… E’ mio cugino cazzo, siamo cresciuti insieme! E nonostante questo volevo che continuasse a baciarmi e beh... tutto il resto” mormorò con un cenno di imbarazzo nella voce.
“Resta il fatto che, in ogni caso, siete e restate promessi sposi” sottolineò accuratamente Pearl, nel tentativo di confortarla.
Questa al contrario non era affatto una novità: Pearl, come qualunque altro membro di una famiglia purosangue, era abituata a vedersi circondata da matrimoni combinati come fossero mere contrattazioni d’affari. 
Era sempre stato questo il modus operandi della società magica per creare e stipulare alleanze.
Il fatto che lei e i suoi fratelli ne fossero esenti era solo una questione di fortuna, o più che altro un capriccio del padre, che desiderava per loro una scelta d’amore, simile a ciò che era stata al suo tempo per lui.
“Ma vedi, non ci avevamo mai pensato… che senso aveva pensarci? Ci sembrava un futuro lontanissimo, mentre ora sembra tutto così vicino” spiegò Walburga, visibilmente contrariata.
“Hai parlato di questo con Orion?” chiese Pearl, nominando per la prima volta il diretto interessato, accorgendosi di come l’amica sussultasse al solo udirne il nome.
“Ci ho provato, ma è inutile: Cygnus ci sorveglia a vista. Forse, chissà durante le vacanze… nonostante i MAGO, mio fratello ha preferito tornare a casa, assieme a Druella” spiegò, con una nuova luce speranzosa negli occhi.
Per un attimo tra loro calò un silenzio pensieroso, rotto solo dalle urla distanti dei compagni nel parco.
“Tu invece hai seriamente intenzione di partire?” chiese improvvisamente Walburga.
“A quanto pare… Mio padre insiste sulla storia di riunire la famiglia nelle grandi occasioni, ora che siamo tornati a vivere in Inghilterra” rispose Pearl, esprimendo chiaramente come si trovasse in totale disaccordo con la scelta del genitore.
Per coloro che frequentavano il quinto e il settimo anno, partire durante le vacanze di Natale rappresentava una rottura di una vecchia tradizione, una sorta di infrazione al lungo e duro percorso di preparazione agli esami decisivi della carriera di un mago.
Ma a quanto pareva non era sul rispetto delle tradizioni che Walburga voleva questionare.
“Pearl, era un po’ che te ne volevo parlare…  Ma sappi che so che la notte di Halloween eri fuori con Riddle. Vi ho visti uscire insieme dallo studio di Lumacorno” disse tutto d’un fiato, senza premurarsi di dosare il tono e le parole, come era solita fare quando qualcosa la preoccupava.
“Oh beh, fantastico! Ora puoi unirti al mio caro fratello maggiore nel ricordarmelo ogni volta che mi vede” le suggerì con falsa allegria.
“E’ successo qualcosa tra voi due?”
Pearl si limitò a una scrollata di spalle: “Nulla degno di nota, suppongo” disse con finta noncuranza.
Ma Walburga non si lasciò ingannare dal tono dell’amica, e fu con una certa urgenza che le afferrò la mano guantata, stringendola con fermezza.
“Devi stare attenta. Lui non è quel tipo di ragazzo… Non sperare di poter mai costruire qualcosa con lui, perché irrimediabilmente la distruggerebbe” disse, in un evidente sforzo di essere convincente.
Era tale la sua serietà che l’amica ne rimase turbata, sfuggendo la sua presa e alzandosi istintivamente in piedi.
"Walburga, non è successo niente tra noi, e non c'è niente di cui ti devi preoccupare" ribatté la giovane, calcando accuratamente su quel "niente", la voce quasi rabbiosa.
Ma l'amica parve non darle nemmeno ascolto.
“Tu non sei il tipo di persona che si lascia manipolare, Pearl. Quindi non permettergli di farlo”
Era la prima volta che sentiva Walburga esprimersi a quel modo, con una voce del tutto inconsueta per lei, ansiosa ed accorata.
Pearl indietreggio a disagio, dandole le spalle.
“Ci vediamo a cena” si limitò a dire, avviandosi verso il castello.
“Aspetta! Dove stai andando?” udì la voce dell’amica inseguirla, ma volutamente accelerò i propri passi.
L’ultima cosa che voleva era ammettere, in contrasto a quanto aveva appena detto, dove fosse realmente diretta.


 

*******

 

Quando poco dopo raggiunse la biblioteca la trovò pressoché deserta; il riecheggiare lontano delle urla dei compagni la raggiungeva sino a lì, ottenendo lo strano potere di inquietarla, suggerendole un soffio di vita che in quella stanza pareva non spirare mai.
L’idea di lasciare Hogwarts e tutto ciò che lo riguardava, dalle aule e i corridoi a tutti i suoi abitanti, la rendeva straordinariamente malinconica, nonostante sapesse bene che sarebbe stata solo una breve pausa temporanea.
Ma senz’ombra di dubbio ad appesantirla ulteriormente vi era il pensiero della separazione da Tom.
Al contrario di quanto Walburga aveva supposto, il loro rapporto non era variato di una sola virgola da quella fatidica sera: non si erano più neanche più sfiorati.
A volte vi erano giorni interi in cui neppure si parlavano, e altri in cui al contrario era invece Tom a trascinarla in estenuanti ore di studio notturno, su questo o quell’argomento per lui sempre di vitale importanza.
Ma davanti al resto del mondo mantenevano una perenne, serafica facciata di pacato disinteresse.
Pearl spesso si domandava se Tom provasse del desiderio per lei; patetico sarebbe stato pretendere di più. 
Talvolta si sorprendeva smarrita nel guardare il suo bel viso, e allora le sembrava di cogliere un bagliore nei suoi occhi, una consapevole scintilla maliziosa che non faceva altro che farla sentire punta nell’orgoglio.
Perché da parte sua, volente o nolente che fosse, quel desiderio acceso tempo prima non era ancora riuscito a sopirsi, e anzi, ogni giorni minacciava di crescere con malcelato vigore.
Quando varcò le porte della biblioteca lo trovò seduto al suo usuale tavolo, il più isolato e nascosto alla vista dell'entrata.
Gli si sedette accanto senza aspettare un invito, accorgendosi di come non le rivolgesse neppure lo sguardo.
“Ti stavo cercando” disse infine con un cenno di irritazione, decisa ad attirare la sua attenzione.
Tuttavia Tom continuò ad ignorarla,  lo sguardo fisso sul vecchio tomo che reggeva tra le mani
“A quale proposito?” chiese infine svogliato, voltando una pagina.
“Beh, pensavo sapessi che domani partirò. Pensavo che volessi almeno parlare…”
Ma Tom improvvisamente alzò lo sguardo su di lei, osservandola con una durezza inusuale persino per lui, e interrompendo con decisione le sue parole.
“Di cosa? Del fatto che te ne vai proprio ora, nel momento in cui  dovresti fare di più per me?”
Per un attimo Pearl rimase interdetta a guardarlo, chiedendosi stupidamente se aveva capito bene, ma poi avvertì una forte dose di malcontento e rabbia prendere il sopravvento sull'autocontrollo.
“Che cosa stai dicendo?!”
“Oh lascia stare, non capiresti” ribatté il ragazzo, distogliendo lo sguardo.
“Tom, non azzardarti a dire che ci sono cose che non posso capire! Sono passati giorni interi in cui a malapena mi rivolgevi la parola, e tu arrivi ora a dirmi che hai bisogno di una mano?” lo attaccò la giovane, senza accorgersi di aver alzato la voce di un’ottava.
“Io non ho bisogno di una mano” sibilò in risposta il ragazzo, guardandosi attorno guardingo nonostante non ci fosse nessuno ad ascoltarli.
“Beh, hai uno strano modo di dimostrarlo” concluse Pearl piccata, abbassando lievemente la voce.
Sbuffò seccata, delusa dalla piega che aveva acquisito la loro conversazione.
“Senti, non sono venuta qui per litigare, ok? Volevo soltanto salutarti prima di partire, casomai non ci vedessimo stasera o domani mattina” spiegò nervosamente.
Ma quando vide che il ragazzo non si degnava nemmeno di risponderle, lo sguardo ancora fisso sul libro, allungò la mano a sorpresa e cercò di trarre a sé la lettura.
Subito Tom la precedette, colpendole lievemente il dorso della mano con uno schiaffo, riappropriandosi del volume
“Questo non ti deve interessare, Pearl” concluse con un ordine secco e perentorio, la bocca contratta come in un ringhio.
“E perché mai? Sono o non sono la tua… aiutante? Ho il diritto di saperlo”
Ma in quel momento Tom si alzò, stringendo il libro al petto e donandole un’occhiata derisoria.
“No, non c’è l’hai. Ora come ora, partendo, tu non mi sei di alcun aiuto… anzi, sei solo un impiccio” disse sorridendo, premurandosi di sottolineare l'ultima parola.
“E poi chi lo sa Pearl, forse durante le vacanze sarà qualcun altra ad avere l'onore di servirmi, qualcuna di migliore
La giovane si alzò in piedi di scatto, avvertendo il proprio viso impallidire senza controllo; si portò dinnanzi a lui, a incrociarne lo sguardo nonostante il grande divario d'altezza.
“Non oseresti” sussurrò gelida.
“E’ una sfida?”
“Tu prendila come una constatazione”
Tom rise, voltandole le spalle e avviandosi verso l’uscita.
“Passa delle buone vacanze, Pearl” disse, regalandole un cenno derisorio.
Pearl seguì con lo sguardo il suo allontanarsi: nulla era andato come desiderava, e anzi, si sentiva più abbattuta di prima.
Mollò un pugno stizzito sul tavolo di legno, più frustrata che mai.
Non sapeva quanto delle parole di Tom sarebbe corrisposta a verità, ma la sola idea che il suo posto potesse venir sostituito da chiunque altro le diede un forte senso di nausea.


 

“Le spine della sua anima racchiudono tra i rovi un cuore che batte all'impazzata, 
confondendo il vero bisogno d'amore con l'odio più totale e vendicativo”
[Victoria Francés]

 
 
 
-Epistolario d’inverno-
 

 

26 dicembre 1942

“Carissima Pearl,
Buon Natale! Non posso che ricambiare gli auguri e ringraziarti infinitamente per il tuo regalo: è stato finora il più bello che abbia mai ricevuto; da un’amica, s’intende.
Spero quindi sia stato con lo stesso sentimento che tu abbia ricevuto il mio, e chissà quanti altri.

Mi fa piacere scoprire che tu sia riuscita a distrarti un po’ trovandoti con la tua famiglia, la sera prima della partenza ti avevo vista fin troppo turbata, e sai bene che posso benissimo immaginarne la causa.
Però ti dichiari impaziente di sapere come procedono le cose qui ad Hogwarts, giusto?
Dipende dai diversi punti di vista. 
Sappi che io ed Orion siamo finalmente riusciti ad affrontare la situazione, quindi ogni dettaglio lo lascio alla tua immaginazione; non fa bene riferire certe cose per lettera, e stranamente provo una certa vergogna all'idea di scriverne.
In ogni caso credo proprio che possiamo ufficialmente dichiararci “insieme”… più di prima, se non altro!

Sono certa che ne sarai felice, ma ora veniamo al punto scottante della questione...
Preferisco essere io a riferirtelo, prima che ci pensino le altre affidandosi ai soliti pettegolezzi e inciampando in una qualche mancanza di tatto.
Non farà piacere a te come non ne fa a me, ma ormai sono in tanti ad aver visto Tom Riddle in una  fin troppo evidente nuova compagnia.
Si chiama Aurelia Fisher, penso tu abbia una vaga idea di chi sia: serpeverde, frequenta il sesto anno.
Sono spesso assieme nei corridoi, e devo dire che il loro atteggiamento sembri piuttosto “intimo”.
Non metto in dubbio che le sue intenzioni siano tutt'altro che nobili; ho provato in ogni caso ad interpellare Orion sulla questione, ma senza risultato.

Davvero, mi dispiace darti questa brutta notizia… e sappi che non ti dirò la frase “te l’avevo detto”.
Ma ti proibisco in alcun modo di buttarti giù… aspetto con ansia la tua risposta, mentre tutte attendiamo il tuo ritorno.
Con affetto, tua

Walburga B.”

 
 
 

31 dicembre 1942

“Non ho idea del perché lo stia facendo. 
Come ben sai le voci corrono velocemente ad Hogwarts, e arrivano sempre a destinazione, non importa quanto ci si trovi distanti.
Lo ripeto, davvero non ho idea di cosa mi spinga a comportarmi in modo tanto sconsiderato, persino per me.
Scriverti, parlarti, anche solo rivolgerti lo sguardo... 

Tu non meriti neppure un istante della mia considerazione.
Se ti avessi qui, davanti a me, penso che impiegherei il mio tempo solo per farti del male nel peggiore dei modi.
Quindi buon compleanno, Tom Riddle.

Pearl N. Ballantyne”

 
 
 

1 gennaio 1943

“Quindi vorresti solo farmi del male, così hai detto...
Sei così piccola ed ingenua Pearl, riesci ad ispirarmi persino tenerezza.
Perché vedi, la sola idea di farmi del male... questo non potrebbe mai succedere.
Finiresti per ferire anche te stessa.

Mi hai scritto perché lo desideravi, perché desideri me: niente di meno, e niente di più.
Attendo il tuo ritorno, ho bisogno di tornare a prendermi certe piccole soddisfazioni.

T.R.”

 


******* 


Pelle diafana, grandi occhi scuri sempre fissi dinnanzi a sé, passo marziale.
Fiera, sfacciata, ribelle.
Da quando aveva fatto ritorno dalle vacanze natalizie, Pearl Nicholai Ballantyne pareva esser diventata una persona completamente diversa.
C’era in lei qualcosa di nuovo, qualcosa di travolgente ed inarrestabile, che la spingeva spesso a mettere da parte ogni gentilezza, e a sfoderare una straordinaria rabbia per qualsiasi cosa le stesse a cuore.
I suoi amici e conoscenti erano rimasti atterriti ed affascinati da questa sua fulminea trasformazione, ma ai più restava ignota quale fosse la causa.
Solo le sue più strette amiche sapevano quanto i suoi occhi sapessero accendersi di collera nel momento che in un qualche corridoio intravedeva Tom Riddle e la sua nuova amica.
L’abituale spettacolo composto da frecciatine e provocazioni tra i due compagni si era esaurito; Pearl relegava Tom nella più totale indifferenza, e il ragazzo reagiva con un'evidente ma sottile vena di cattiveria.
Non appena la figura di Pearl si profilava in un corridoio, immediatamente Tom intendeva mostrare al mondo la sua vicinanza ad Aurelia Fisher, quasi riuscisse a trarla dal nulla e ad immobilizzarla tra le sue braccia.
Per la ragazza in questione Pearl non nutriva alcun sentimento che non fosse biasimo e compassione: conoscendo ormai la natura di Tom e dei suoi progetti, sapeva perfettamente che la stava solo temporaneamente usando, e soprattutto, cosa l’attendeva al termine del suo utilizzo.
Ma di quelle occhiate compassionevoli Aurelia Fisher non sembrava affatt0 esser contenta. 
Consapevole di chi Pearl fosse, malignamente informata da Tom stesso, lei stessa la seguiva con uno sguardo acceso di risentimento, avvalendosi della convinzione di occupare ormai un posto fisso nel cuore del bel serpeverde.
Era chiaro per tutti che fosse del tutto pazza d’amore per Tom Riddle, ma nessuno osava considerare che spesso l'amore porta a compiere diverse sciocchezze.
“Ballantyne!”
Erano i primi giorni di marzo,quelli in cui la primavera faceva i suoi primi, timidi tentativi di scacciare il rigido inverno scozzese.
Come sempre durante gli intervalli, Pearl se ne stava placidamente seduta su una delle panche del corridoio, attorniata dall’allegro cicaleccio delle amiche.
Un coro di voci che tacque istantaneamente quando, dal fondo del corridoio, giunse una voce femminile a distrarle.
Ma fu quella voce femminile a distrarla, giungendo dal fondo del corridoio.
“Ballantyne!”
Pearl si alzò in piedi, scorgendo subito una ragazza venirle incontro, da sola e a passo spedito.
Alta e slanciata, portava un fitto caschetto di capelli neri ad incorniciarle un viso dai tratti vagamente aggressivi, quasi ferini.
Gli stretti occhi verdi erano pieni di sfida: era chiaro a tutti che le si stesse rivolgendo per un solo motivo.
Pearl le rivolse uno sguardo sostenuto.
“Non credo di conoscerti” disse semplicemente.
“E io non credo sia un problema! Il mio nome è Aurelia Fisher, forse dovresti iniziare a ricordartelo”
La giovane le regalò un’occhiata scettica, mentre attorno a lei le compagne iniziavano a mormorare.
“Come credi, ma in tutta franchezza sappi che non mi interessa” le fece notare, scrollando le spalle e voltandosi.
Un istante dopo avvertì un’immaginaria lama di rasoio sfiorarle la guancia con ferocia, causandole un forte bruciore; quando portò la mano al viso e la ritirò, Pearl vide che era macchiata di sangue.
Aurelia Fisher puntava la bacchetta dritta verso di lei, il viso animato da una sorta di furore maniacale.
Immediatamente attorno a loro si costituì una zona vuota: diversi furono gli studenti che accorrevano dalle più svariate parti, soffermandosi ad osservare la scena incuriositi.
Dietro di sé Pearl avvertì la presenza rassicurante di Walburga, ma con un breve cenno le indicò che non aveva alcun bisogno di aiuto.
Non sfoderò neppure la bacchetta; non subito almeno.
Si limitò ad inclinare lievemente la testa, come se volesse valutare la sua avversaria.
“Mi vuoi sfidare?”
“Se non fosse abbastanza chiaro, sì!”
“E per quale motivo?”
“Perché tu sei stata fin troppo vicina a qualcosa che ora mi appartiene!” urlò la ragazza, stringendo i pugni.
“Che ti appartiene, o piuttosto che tu consideri tuo?” ribatté Pearl vagamente divertita, senza farsi impressionare.
Aurelia rimase per un attimo spiazzata, ma poi agitò nuovamente la bacchetta con piglio feroce.
L’ira la portò a sbagliare la mira, e l’incantesimo sfiorò appena Pearl, rimbalzando sulle pareti accolto da una serie di lamentele dal pubblico.
“Avanti, voglio che tu combatta! Mi temi forse?” l’aggredì la ragazza, accolta da una risata di Pearl.
“Io temerti? Al contrario, dovrebbe essere una come te, del tuo stampo, a temere me” ribatté, scegliendo accuratamente le proprie parole.
“Cosa vorresti dire con “una come me”, eh? Non provare a cambiare il discorso, ho deciso che è oggi il giorno giusto per regolare i conti con una puttanella come te se…”
Ma fu lì che Pearl scattò, proibendole persino di finire la frase.
Un lampo di quella sua nuova, straordinaria rabbia le attraversò gli occhi per un attimo; la sua mano estrasse la bacchetta in un gesto fulmineo, facendola saettare nell’aria come una sferza.
Il corpo di Aurelia Fisher balzò all’indietro fendendo la folla, come strattonato da una gigantesca mano invisibile, facendola cozzare malamente contro la parete alle sue spalle.
Quando sollevò lo sguardo spaventata, Pearl si trovava di fronte a lei.
“Chiedimi scusa, adesso” ordinò calma e perentoria, lo sguardo divenuto implacabile.
“Te lo ripeterò: non permetto ad una come te di insultarmi. Chiedimi scusa”
Fu a quel secondo, velato riferimento che Aurelia Fisher spalancò gli occhi in un lampo di spaventata comprensione, che certamente non l’aiutò a trovare le parole.
 “Imperio” sussurrò chiaramente Pearl, accolta immediatamente dallo stupore generale della folla.
Spazientita, non avvertì il benché minimo senso di colpa nell’utilizzare una maledizione senza perdono, la prima in tutta la sua giovane vita.
L’effetto fu immediato: come una marionetta mossa da fili invisibili, la bocca della sua sfidanti si aprì al suo comando.
“Scusami, perdonami… non volevo” mormorò tutto d’un fiato, gli occhi che le si gonfiavano di lacrime.
Pearl abbassò lentamente la bacchetta, senza tuttavia riporla; si gettò uno sguardo attorno: la folla di studenti la fissava silenziosa ed impressionata, persino le sue amicizie parevano intimorite, in attesa di una sua qualsiasi parola.
“Mi auguro che nessuno si azzardi mai più ad insultarmi, o ad osare mettere in discussione la mia posizione”
Si rivolse nuovamente ad Aurelia, sorridendole con freddezza.
“Meno che meno una patetica mezzosangue” concluse ad alta voce, godendosi suo malgrado l’effetto finale di quella rivelazione.
Ma non appena si voltò, facendo il gesto di dirigersi lungo il corridoio, notò con sorpresa che la gente attorno a lei si spostava per lasciarla passare, come in una sorta di timore riverenziale; persino Walburga e le sue amiche si limitarono a guardarla intimorita.
Con la viva sensazione di aver esagerato, Pearl voltò loro le spalle e attraversò diversi corridoi quasi di corsa, fermandosi senza fiato solo quando ebbe raggiunto i bagni dei sotterranei, vicino alla Sala Comune e fortunatamente vuoti.
Solo quando fu davanti allo specchio nei bagni, sciacquandosi il viso e  rimirando la propria espressione stranita nello specchio, comprese la portata di quanto era appena successo.
Non aveva idea di come la sua rabbia avesse potuto scaturire in quel modo repentino e violento, portandola persino a compiere una maledizione senza perdono, un genere di materia oscura che neppure avrebbe dovuto conoscere, che non doveva in alcun modo appartenerle.
Ma la cosa che più la sconvolgeva era la totale mancanza di sensi di colpa per aver punito quella ragazza: perché di quello si trattava, una sorta di “azione punitiva” che era riuscita a ritorcere a danni altrui.
E pur sapendo di essere in errore per l’utilizzo della Maledizione Imperius, si sentiva infinitamente compiaciuta di esser riuscita a gestire la situazione senza bisogno di alcun aiuto.
“Non temi che il tuo spettacolino giunga alle orecchie sbagliate?” disse improvvisamente una voce alle sue spalle, cogliendola di sorpresa.
Quando alzò lo sguardo incrociò quello di Tom Riddle nello specchio: era chiaro che avesse assistito alla scena di poco prima.
“Questo è il bagno delle ragazze, Tom” si limitò a fargli notare con somma noncuranza.
Il ragazzo rise. “Lo so, ma credo proprio che nessuno abbia intenzione di entrare, ora come ora.
Sai, sembrano avere paura di te” le fece notare.
“Come ne hanno di te” concluse Pearl.
Tom parve soddisfatto da quella risposta, oltrepassando senza indugio i lavandini e avvicinandosi a lei.
“E’ stato divertente provocarti in questi mesi, a quanto pare ha avuto i suoi frutti”
“Mi spiace che tu lo creda, evidentemente abbiamo due concetti diversi di divertimento”
“E allora non temi che Dippet possa venire a conoscenza di questa tua piccola sfuriata?” chiese il ragazzo, allungando una mano verso di lei, sfiorandole delicatamente il viso.
“Dubito che quella ragazza oserà ancora fare l’insolente”
“E toglimi una curiosità… Come facevi a sapere che fosse mezzosangue? L’aveva confidato a me soltanto”
Fu il turno di Pearl di ridere compiaciuta “Ti ho detto che ho le mie fonti da consultare, in certi casi. Le vacanze natalizie sono servite a qualcosa, senz’altro” concluse la giovane.
Tom chinò fintamente il capo in un gesto ossequioso, avvicinandosi poi ancor di più fino a far aderire il proprio corpo al suo, cingendola per le spalle, senza incontrare la sua resistenza.
I loro riflessi risultarono straordinariamente simili nello specchio, gli occhi scuri di entrambi che parevano infiammati più che mai di potere ed ambizione.
“Forse ti ho sottovalutato, Pearl…” sussurrò il ragazzo, lasciando scorrere le mani lungo il suo corpo sino ad appoggiarsi sui suoi fianchi.
“Dimmi, hai mai sentito parlare… della Camera dei Segreti?”
 

 
 

“Wishmaster
Crusade for Your will
A child, dreamfinder
The Apprentice becoming...
Master.

Padrone dei Desideri
Crociata per il Tuo volere
Un bambino, cercatore di sogni
L'apprendista che diventa...
Padrone”
[Wishmaster, Nightwish]
 


Maggio 1943
 
“Perché hai scelto proprio questa notte?”
“Cosa c’è Pearl, avevi altri programmi?”
Ma nemmeno Tom sapeva dire esattamente perché avesse scelto quella notte per scoprire, e mostrare a sua volta a Pearl, ciò su cui aveva lavorato per tutti quei mesi. Semplicemente quel mattino, alzandosi, aveva realizzato che il momento che attendeva da così tanto tempo era giunto.
Dopotutto aveva svolto egregiamente le sue ricerche, effettuato un certo numero di esplorazioni, incontrato piccole e piacevoli scoperte che non aveva neanche lontanamente calcolato.
Fu quindi la forza della propria sicurezza a spingerlo ad attraversare con cautela i corridoi bui del castello, conducendo  Pearl con se sino al bagno delle ragazze al secondo piano.
Sapeva perfettamente che la ragazza doveva provare una moltitudine di sentimenti contrastanti.
Non senza un certo divertimento personale, l'aveva tenuta con il fiato sospeso in quei mesi, mostrandole solo una manciata di sporadici dettagli delle proprie scoperte; era stata una scelta dettata tuttavia dal bene di entrambi: per una volta, aveva preferito evitare il pericolo di coinvolgimenti inopportuni non solo per se stesso. 
“Sei sicuro che sia tutto apposto? Aurelia potrebbe non aver svolto bene…”
“…Aurelia ha svolto benissimo il suo compito, dopotutto a comandarla a bacchetta ero io” ribadì il ragazzo divertito, chiudendo e sigillando accuratamente la porta; se i suoi calcoli non erano errati, avrebbero avuto bisogno di gran parte della notte per l'attuarsi del suo piano.
Voltandosi verso di lei le rivolse un'occhiata maliziosa.
“Anche se la tua piccola, commovente sfuriata ha reso un po’ difficoltosi i nostri rapporti, all’inizio”
“Sai che dispiacere! Forse così imparerai ad accorciare il guinzaglio della tua cagnetta, la prossima volta”
Tom rise, chiaramente eccitato e di buon umore per ciò che li attendeva da lì a poco.
“Alla mia cagnetta? Aurelia è stata solo una delle tanti, piacevoli aiutante, nulla di più. Puoi già immaginare come si sia conclusa la cosa, proprio oggi pomeriggio”
Pearl alzò gli occhi al cielo, in un gesto esasperato e sprezzante.
“Tu sai essere veramente rivoltante, mi rifiuto di ascoltarti un altro attimo di più” proruppe infastidita, ma non appena fece per andarsene, si sentì afferrare per le spalle. 
“Tu invece resterai, e ascolterai tutto ciò che ho da dirti”
La voce di Tom era divenuta un sibilo animato da una rabbia orgogliosa; stringendola fermamente tra le braccia la fece voltare con facilità, quasi fosse solo una bambola.
“Non ti domandi a cosa ho lavorato in tutti questi mesi? Per cosa ho utilizzato quella stupida ragazza, arrivando persino ad insegnarle parole in serpentese, pur di non destare alcun sospetto? 
Quanto tempo ho impiegato, quanta pazienza… Io ora voglio che tu veda” concluse esagitato, completamente rapito dalla situazione.
La trascinò con sé sino al complesso di lavandini, prendendole la mano e conducendola verso uno dei rubinetti di rame.
“Aurelia ha detto che questo qui non ha mai funzionato” sussurrò estatico.
Dubbiosa, ma tuttavia intrigata dall'esaltazione misteriosa di Tom, Pearl vi pose sopra la propria mano.
Avvertì curiosamente un leggero rilievo profilarsi sotto le sue dita; illuminandolo, vide che riportava il piccolo e sottile disegno di un serpente. 
“Hai paura, ora?” sussurrò Tom al suo orecchio, ma la giovane scosse la testa in un fermo cenno di diniego.
“No, non ho paura” affermò con un sicurezza che in realtà non le apparteneva.
Solo ora riusciva ad intuire la portata del gesto che stavano per compiere, e sopratutto, del rischio che avrebbero potuto correre se qualcosa non fosse andato per il verso giusto.
Nella sua testa la Camera dei Segreti era sempre stata solo una leggenda, ma ora pareva star per diventare realtà.
Per la prima volta da quando il ragazzo le aveva rivelato la sua capacità, lo udì parlare la lingua dei serpenti. 
Era un sibilo sconosciuto e gutturale, che istintivamente le fece correre un brivido lungo la schiena.
All'improvviso il rubinetto iniziò a brillare di una vivida luce bianca e prese a girare freneticamente in un senso.
Un istante dopo, con un grave rumore che ricordava il rombo di un terremoto, il lavandino cominciò a muoversi e a sprofondare nel pavimento, lasciando intravedere un largo tubo di scarico largo abbastanza da lasciar passare un uomo.
“Aspetta… non dirmi che devo infilarmi lì dentro?” mormorò Pearl scettica, cogliendo la risposta dall'espressione del ragazzo.
“Non costringermi a spingerti, Pearl” disse il ragazzo con uno sbuffo spazientito, incoraggiandola con una spinta verso l’entrata.
Fu come scivolare a rotta di collo lungo una pista viscida e bagnata, senza mai riuscire ad intravederne il fondo; terrorizzata, come unico conforto aveva solo la presenza di Tom alle sue spalle, che sentiva urtare leggermente contro le pareti ad ogni curva o svolta.
Quando, dopo quelle che le parvero ore, iniziò a chiedersi sconcertata cosa sarebbe successo se avessero colpito il fondo, il tubo  tornò in piano, ed entrambi i ragazzi furono in breve catapultati in una grossa pozza di acqua e melma.
“Tutto questo è ripugnante” borbottò Pearl tentando di pulirsi disgustata, ma quando alzò lo sguardo vide Tom in piedi di fronte a sé, noncurante degli abiti sporchi e bagnati: il suo sguardo vagava estasiato sulle pareti nere e viscide di un lungo e buio tunnel di pietra.
“Pearl, ma ti rendi conto...? Ci troviamo ben sotto il livello del lago! Pensa, siamo i primi che mettono piede qui dopo il passaggio del grande Salazar Serpeverde” mormorò incantato, volgendosi verso di lei e afferrandola per un polso, deciso a tutti i costi di renderla partecipe al proprio enturiasmo.
Ma osservando l’oscurità che li circondava, Pearl sentì la propria inquietudine aumentare, e fu più che riconoscente dell'attenzione che Tom aveva, nonostante tutto, deciso di dedicarle.
I loro passi rimbombavano secchi sul pavimento bagnato, le flebili luci delle bacchette consentivano di vedere solo a pochi palmi dal naso, producendo ombre mostruose sulle pareti gocciolanti.
Poi, procedendo pian piano, con sgomento iniziarono a riconoscere una miriade di piccole ossa e scheletri di topi e chissà quali altri animali.
“Tom, là davanti c’è qualcosa!” mormorò Pearl trattenendo a malapena un singulto, alzando la bacchetta terrorizzata; la luce si proiettò su quella che aveva tutta l'aria di essere una gigantesca pelle di serpente di un vivido verde fiele, che giaceva vuota e arrotolata su se stessa in un angolo, come se il suo proprietario se ne fosse dimenticato solo il giorno prima.
La giovane si immobilizzò, fermando il ragazzo che le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Non mi hai ancora detto che cosa è il mostro che giace nella camera” sussurrò la ragazza, la voce che le tremava appena.
Tom scosse la testa impaziente, spingendola a proseguire.
“Non sei stupida Pearl, se conosci un minimo di storia puoi immaginare benissimo di cosa si stratti...
Devo solo chiederti di stare calma, e ubbidire a tutto ciò che ti dirò” spiegò con cautela.
Quando raggiunsero la fine del tunnel, dinnanzi a loro si mostrò una parete su cui erano scolpiti due grandi serpenti attorcigliati tra loro, che al posto degli occhi  recavano smeraldi scintillanti.
Ad una seconda parola di Tom, i due si sciolsero  dal loro groviglio e la parete cominciò a spalancarsi, dividendosi a metà.
“Benvenuta nella Camera dei Segreti, Pearl” disse Tom con un largo sorriso.
L'emozione di entrambi parve traboccare quando, avanzando, si trovavano nell’ingresso di una sala molto lunga e scarsamente illuminata da bassi bracieri sempiterni.
Pilastri di pietra torreggianti, formati da enormi serpenti dalle fauci spalancate, si levavano sino al soffitto gettandosi nel buio.
I loro passi risuonavano come colpi in quel silenzio pesante e vischioso, e più volte Pearl credette di vedere qualcosa muoversi nell’ombra.
“Tom… si tratta di un basilisco, vero?”
“Vedo che l'hai capito”
“Ma se arriva…”
“Arriverà solo se chiamato” disse Tom con una voce improvvisamente diversa, avanzando a larghi passi dinnanzi a lei.
Il suo sguardo era rivolto alla parete di fondo, verso una statua alta sino al soffitto: il volto gigantesco che li sovrastava era quello di un vecchio mago, con una lunga barba rada che arrivava  all’orlo della veste scolpita.
"Salazar Serpeverde" decretò ad alta voce, ancora con quel tono strano, serio ed imperioso.
“Ricordi quando hai colpito Aurelia, Pearl?” chiese ad un tratto, dandole ancora le spalle.
"Sì, perché?" rispose lei con cautela, avvertendo il sentore di un qualche imminente pericolo.
“Quel giorno l’hai insultata in un modo che non mi sarei mai aspettato… L’hai chiamata mezzosangue
“E quindi?” chiese ancora la giovane, intuendo dove il ragazzo voleva andare a parare.
“Quindi saresti capace di fare la stessa cosa a me?”
“Forse te lo meriteresti” la voce di Pearl divenne poco più che un soffio.
Il viso sorridente di Tom mutò istantaneamente in una piega dura e severa.
“Quindi saresti capace di volere me ai tuoi piedi?”
“Te lo meriteresti” ripeté ancora, in un cenno di sfida.
A sorpresa, con uno scatto del polso, Tom estrasse la bacchetta e la puntò contro di lei.
“Imperio!” urlò seccamente.
Pearl spalancò gli occhi dallo stupore, mentre una strana sensazione iniziava ad invaderla con la forza di un'onda anomala: sentì la mente svuotarsi, il suo corpo farsi infinitamente più leggero. 
All'improvviso c’era spazio solo per la voce vellutata di Tom, le cui parole parevano avere il valore di oro colato.
“Inginocchiati” ordinava, sembrava quasi gentile, supplicante.
Perché non avrebbe dovuto ascoltarlo? Se era così importante per lui...
Ma qualcosa dentro di lei glielo impedì, ordinandole seccamente di restare in piedi, di rifiutare di piegarsi al suo volere.
Sentì un dolore crescente propagarsi lungo tutto il suo corpo, strappandole un gemito di dolore; infine si ritrovò a terra,  sconvolta e vibrando ancora come scossa da una mano invisibile.
“Mi spiace deluderti, ma d'ora in poi sarà il mondo intero ad inchinarsi dinnanzi all'ultimo erede di Serpeverde” ribadì il giovane con fare risoluto, scostando la bacchetta e lasciandola riversa a terra, intenta a riprendere fiato come dopo una lunga corsa.
Si chinò accanto a lei, sollevandola tra le proprie braccia con facilità.
L'apertura della Camera sanciva l'inizio di una nuova era, Tom lo sapeva.
Ed eccola lì: la sua prima preda, la prima vittima dei suoi desideri.
“Come sei stupida Pearl… rischiare di spezzarti la spina dorsale, pur di non inchinarti a me” disse con straordinaria dolcezza, cullandola delicatamente tra le proprie braccia.
“Non te lo meriti” sibilò la ragazza, ancora affannata, stupendosi di se stessa nel non trovare nemmeno la forza di ribellarsi.
“Forse hai ragione, Pearl. Ma le cose stanno per cambiare” disse, aiutandola ad alzarsi.
Procedette piano, osservando la statua del suo antenato sormontarli con uno sguardo di fuoco.
Ora tutto gli pareva più chiaro, nitido come se stesse seguendo un percorso già scritto e delineato da un copione.
Osservò la figura minuta di Pearl, che pareva combattuta tra il protestare e il tacere, una buffa smorfia nervosa che gli increspava il bel viso.
“Vuoi ripararti, Pearl?”
“Da cosa?”
“Se vieni qui con me ti mostrerò cose che neanche immagini… Ma non ti lascerò più andare via, in nessun modo”
Le tese la mano, offrendole in un solo gesto la possibilità di cambiare definitivamente il suo futuro; non ci sarebbe stato spazio per ripensamenti o cambi di decisione, ne erano entrambi più che consapevoli.
E Tom sorrideva, certo che lei avrebbe infine accetato: era affascinante e terrorizzante al contempo.
E come da lui previso, piano, un passo all volta, Pearl si avvicinò e l’afferrò.
La ragazza non avvertiva più la testa, come se il fluire dei pensieri si fosse arrestato; sentiva solo il proprio cuore battere all'impazzata, rischiando di schizzarle fuori dal petto.
Tom la prese e la strinse a sé con impeto, premendole il viso contro il proprio petto.
“Chiudi gli occhi, e non aprirli per nessun motivo finché non te lo ordino”
Debole, remissiva: quasi non si riconosceva, ma neppure per un attimo le passò per la testa l'idea di trasgredire ad un ordine del ragazzo.
Non appena lo udì parlare nuovamente in quella sua lingua serpeggiante, serrò gli occhi con tanta forza da farsi persino male.
Perché qualcosa di enorme e pesante aveva appena fatto la sua comparsa, cadendo sul terreno facendolo tremare vertiginosamente.
E la creatura sembrava parlare, o perlomeno comunicare: il suo sibilio era aspro e rauco, risuonava così forte da far vibrare persino le pareti
L'avvertiva strisciare debolmente, mentre Tom gli rispondeva: sembrava quasi una conversazione, come se si stessero accordando su qualcosa.
Rimase abbracciata a Tom, inalando il profumo del suo corpo attraverso la divisa, per un tempo che le parve infinetesimale. 
Solo quando la sentì strisciare alle sue spalle, e avvertì il tocco inaspettatamente gentile di Tom sfiorarle il capo si azzardò  si accorse di aver trattenuto il respiro dalla paura.
“Puoi aprire gli occhi” disse il ragazzo ad alta voce.
Quando lo guardò in pieno viso si stupì nel vederlo ridere.
“Che cosa è successo?” chiese la ragazza impietrita.
“Dimmi Pearl... Tu sai perché siamo qui? Sai cosa voleva Serpeverde, vero?”
Per un attimo la giovane credette di non aver capito bene, perché la sola idea che la sua risposta potesse corrispondere al vero era totalmente fuori questione.
“Voleva che l’istruzione qui ad Hogwarts fosse riservata solo ai maghi purosangue...” mormorò.
“Esattamente. Ed è ciò che voglio io, e da ora, direi anche tu” affermò il ragazzo compiaciuto, regalandole un finto buffetto sulla guancia.
Fu solo in quel momento che Pearl riuscì seriamente a realizzare quanto era appena successo.
Con uno scatto orripilato tentò di districarsi dall'abbraccio del giovane, lottando contro di lui colta da un senso di disgusto e orrore.
"Io non voglio! Che cosa hai fatto?!" urlò cercando di colpirlo, riuscendo solo a farlo ridere quando le strinse le braccia fino ad immobilizzarle.
“Tu vuoi Pearl, o perlomeno, vorrai. Sei ufficialmente mia complice ora”
"Non voglio essere tua complice! Io non sono un mostro" sussurrò smarrita, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
Che Tom si premurò subito di asciugare.
"E chi ha parlato di mostri? Qui c'è un solo mostro, ed è quella bestia. Noi stiamo ricostruendo un mondo... vedrai, quando cominceranno gli omicidi, mi ringrazierai"
Lento ed implacabile, il ragazzo la strinse maggiormente a sé, lambendole lentamente il collo in un bacio vittorioso.
Sul suo viso splendeva un sorriso da vincitore, in pieno contrasto con il volto frastornato di Pearl.
L'avrebbe presto vista forte ed orgogliosa, sicura di sé.
Non importava per ora, c'era tempo per ora: era solo l'inizio.
Su Hogwarts calavano le tenebre.


 

COMMENTO AL CAPITOLO
Ogni capitolo di questa storia vuole contenere qualcosa, un significato in più e particolare rispetto agli altri.
Qui ho voluto sottolineare i rapporti tra i ragazzi, sia nei dialogo e nelle lettere, che nello scontro tra Pearl e il personaggio secondario (che ho odiato particolarmente) di Aurelia Fisher.
In più, questo è un capitolo importante non solo per la storia, dove finalmente si introduce al "vivo", ma anche per delineare meglio il carattere dei protagonisti.
Dove Tom Riddle è fiero e sicuro di sè, dalle idee chiare e indubbiamente "cattivo", Pearl invece si mostra come un personaggio molto mutevole: è debole e forte al contempo, ma solo nell'ultimo paragrafo comprende quanto Tom la possa trascinare verso il male. In quanto al loro rapporto... si vedrà ;)
Per la descrizione della Camera sono rimasta fedelissima al libro, e così ho intenzione di fare per la trema nel corso dell'intera storia.

COMMENTO DELL'AUTRICE
Chi si aspettava mesi e mesi di silenzio rimarrà stupito, e lo spero bene! Sarà l'estate, sarà che mi sto affezionando sempre più a questa storia... Casomai avessi commesso errori di grammatica/sintassi/frasi poco convincenti, vi chiedo scusa, ma come sempre provvederò a correggerli il prima possibile.
Ora come ora mi limito a ringraziare   EllyraCherolain e ArgentoSangue.
Un grosso ringraziamento va anche semplicemente a chi ha letto, e ha inserito la storia tra le seguite e le preferite.
Vi auguro una buona serata, e al prossimo capitolo (si spera, molto presto, lol)

Elle H.

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Capitolo 5
*** Uccidere un Usignolo ***



Un Pugno di Ferro, in un Guanto di Velluto
di Elle H.




CAPITOLO QUINTO
Uccidere un Usignolo

 
 

“Patriotic to the promised land
Of never-waking dream
Nightquest a quest not for the past
But for tomorrow to make it last
Simply the best way to walk this life

 
Patriottico verso la terra promessa
Di un sogno eterno
Notturna ricerca non del passato
Ma del domani perché possa durare
Semplicemente la via migliore
per camminare in questa vita”

[Nightquest, Nightwish]

 

“Pearl mi sembra piuttosto pallida in questi giorni” sentenziò Schneizel, la fronte aggrottata e le labbra mosse da un continuo movimento rimuginante.
Interrogò con uno sguardo il suo interlocutore, ricevendo come risposta soltanto un suono meditativo.
“Tu non ne sei preoccupato?”
“Schneizel, cosa vuoi che ti dica? Metà degli abitanti di questo castello sono fin troppo pallidi in questo periodo, casomai tu non l’avessi notato” replicò il fratello minore.
“Lo so bene, ma lei nasconde di certo qualcosa… Quando le pongo delle domande sugli attacchi, sai così en passant, lei evita sempre di rispondermi!”
“E ti stupisci pure? Andiamo, nessuna delle tue domande è mai en passant. Pearl ha solo paura come chiunque altro” concluse il ragazzino, quasi seccato.
Per i suoi tredici anni e mezzo, Barron Ballantyne dimostrava una maturità e una capacità di giudizio del tutto inusuali.
I suoi limpidi occhi azzurri, ereditati dal padre, erano in perenne movimento, vigili e attenti a  tutto ciò che lo circondava. Intelligente e solerte nello studio com’era, creativo e capace di ricavare il tutto dal nulla, Corvonero era la casa che gli spettava di diritto.
Il suo carattere era sempre stato molto più simile a quello della sorella che al fratello maggiore, ma era ormai un periodo a quella parte che faticava ad intavolare con lei anche un minimo accenno di dialogo.
Un dettaglio che aveva avuto il potere di preoccuparlo, ma che preferiva ampiamente tenere per se stesso: era più che consapevole dell’astio di Schneizel nei confronti della casa cui Pearl apparteneva, e come volevasi dimostrare…
“No mi spiace, qui c’è qualcosa che non mi torna. E’ da quando ha stretto rapporti con quel Riddle che non è più la stessa. Sai che li ho visti uscire insieme alla festa di Halloween, e non promettevano nulla di buono!” esordì nuovamente, il tono di voce che assumeva una sgradevole connotazione petulante.
Barron non poté fare a meno di lasciarsi scappare uno sbuffo profondamente annoiato.
“Ancora con questa storia? Ma lascia perdere, Pearl è abbastanza grande per capire da sola come sono fatte le persone che frequenta” lo consigliò con tono stanco, tentando di tagliare corto.
Schneizel aveva tutta l’aria di voler ribattere qualcosa di feroce, ma un suono decisamente più forte si levò in tutto il castello, coprendo totalmente il vociare degli studenti ancora nei corridoi.
Il cielo al di fuori delle finestre segnalava il tramonto con ampie pennellate rossastre, e l’avvicinarsi della sera poteva voler dire soltanto una cosa.
“A tutti gli studenti, siete pregati di recarvi immediatamente in Sala Grande per la cena. Ripeto, a tutti gli studenti, nessuno escluso. Vi resterete come sempre sino al termine della cena, finché i Direttori delle vostre rispettive case non vi riaccompagneranno in Sala Comune”
L’annuncio si concluse con tono grave e roboante, la voce magicamente amplificata del preside Dippet che trasudava chiaramente preoccupazione.
Gli studenti si mossero tra loro nervosi, accalcandosi gli uni sugli altri colti da una fretta irrefrenabile e finendo per creare notevoli ingorghi sulle scale.
Perché da quando quegli strani attacchi agli studenti avevano iniziato a verificarsi con eccessiva frequenza, Hogwarts sembrava essere piombata in un regime militare.
Gli alunni venivano ormai scortati tra una lezione e l’altra da insegnanti spesso sull’orlo di una crisi nervosa, pronti ad abbaiare ordini non appena qualcuno osava distanziarsi dal gruppo.
I corridoi, la biblioteca e gli altri luoghi d’incontro erano ormai perennemente deserti, e anzi evitati come la peggior epidemia di vaiolo di drago.
Da un mese a quella parte, la vita dentro Hogwarts era divenuta in definitiva molto difficile, riducendo sino a rendere impossibile il dialogo tra gli studenti delle diverse case, proprio come quello tra i fratelli Ballantyne.
Non era raro incontrare visi pallidi, scontenti e dall’espressione spaurita, ma tutto ciò era una conseguenza inevitabile: le aggressioni verificatisi si potevano ormai contare sulle dita di due mani.
Ben nove, tutte nel mese di maggio.
Si trattava per ora di cinque ragazzi, e quattro ragazze: occupavano un’area dell’infermeria esclusivamente riservata a loro.
Giacevano immobili e scomposti, con gli occhi spalancati e gli arti paralizzati in strane posizioni, chiaramente pietrificati da qualcosa di ben più forte di un solo incantesimo.
Si trattava di una magia oscura e potente, antica quanto la paura stessa, e mago o creatura che fosse ad averli resi così, sembrava del tutto intenzionata a perseverare nel suo intento.
Perché da quando erano apparse le scritte sui muri, le voci nella scuola non facevano che rincorrersi, sempre più esagerate e spaventose, e a quanto pare incredibilmente veritiere.
Ormai era noto a tutti che non vi fosse alcun legame tra gli studenti colpiti, eccetto un’unica, inquietante analogia: erano tutti definibili con lo status di mezzosangue.
Le scritte sulle mura del castello, realizzate con uno spiacevole colore sanguigno, sembravano sputare a chiare lettere la loro sentenza: “Temete nemici dell’Erede”
Certo, l’idea che un qualche discendente di Serpeverde fosse deciso a sbarazzarsi di tutti i mezzosangue e i nati babbani presenti ad Hogwarts era ridicola, ma tuttavia gettava attorno a sé un certo scompiglio, poiché richiamava alla mente antiche leggende, ruderi di un antico passato risalente alla nascita del castello stesso.
“Schneizel, tu ci credi alla storia della Camera dei Segreti?” chiese il fratello minore, unendosi a lui nel flusso di studenti intento a raggiungere la Sala Grande.
“Sinceramente non saprei, ma all'infuor di dubbio preferisco tenermi il più lontano possibile dai Serpeverde.
Ma tu piuttosto, Pearl? Credi all’esistenza della Camera?” aggiunse improvvisamente con uno spiccato interesse, non appena riuscì ad individuare la sorella nella folla, poco distante da loro.
Anche quella sera Pearl sembrò ad entrambi incredibilmente pallida, il viso smunto segnato dall’ombra di occhiaie scure; alle sue spalle, fin troppo vicino per i gusti del fratello maggiore, vi era l’onnipresente Tom Riddle.
La ragazza si limitò a scrollare le spalle, liquidando la sua domanda con indifferenza.
“Non saprei, preferisco non avere voce in capitolo”
“Ma come, detto da una Serpeverde suona veramente strano... Dovresti senz’altro essere a conoscenza di qualcosa che a noi sfugge, non trovi?” continuò imperterrito, ma fu bloccato da un’occhiata ferrea e decisa di Barron.
“Ehi, cerca di darci un taglio, d'accordo?” proruppe sbrigativo, osservandolo senza dispiacere allontanarsi irritato.
“Lascialo perdere Pearl, è solo nervoso. Al contrario di te, mi sembri stanca… sei sicura di stare bene?” chiese apprensivo, trovandosi spiacevolmente d’accordo col fratello nell’individuare un aspetto malsano su di lei.
La giovane gli rivolse un sorriso tenue, scompigliandogli i capelli scuri identici ai suoi.
“Ma certo, sono solo un po’ in ansia per gli ultimi GUFO… Sai, svolgerli con questo clima non è esattamente il massimo, dico bene?” disse, rivolgendo uno sguardo divertito allo studente al suo fianco.
A Barron non dispiaceva affatto Tom Riddle: ora che a sua volta faceva parte del piccolo, illuminato circolo di Lumacorno, riusciva ad incontrarlo spesso, ed ogni volta non poteva fare a meno di ammirarlo.
Lo trovava dignitoso e pieno di contegno, bello e affascinante senza tuttavia farne un vanto.
Gli sembrava in tutto e per tutto un modello da imitare, così taciturno e dedito agli studi.
Le sottili e oscure voci che circondavano la sua figura non lo toccavano, preferendo considerarle solo cattiverie.
Solitamente silenzioso, il giovane non poté fare a meno di stupirsi quando Riddle aprì bocca.
“Che cosa ha da correre quella ragazzina?”
La sua voce tradiva una leggera irritazione, i suoi occhi scuri seguivano una figuretta bassa e spettinata che si faceva strada nella folla a suon di gomitate e spintoni.
Barron alzò gli occhi al cielo.
“Oh, è solo Mirtilla, una del secondo anno; diciamo che non è proprio la più amata della nostra casa…
In ogni caso è mezzosangue, e da quando si sono verificati gli attacchi non fa altro che chiudersi in bagno a piangere” spiegò il ragazzo, tornando poi a rivolgersi alla sorella.
Intenti com’erano ad approfittare di quel ritaglio di tempo per scambiarsi qualche parola, nessuno dei due fratelli colse il lampo di compiacimento che passò negli occhi di Tom.
Il suo significato era chiaro quanto crudele: all'improvviso aveva intravisto una nuova opportunità da cogliere.

 

*******

 

“A quanto pare non tutto sta procedendo secondo i tuoi piani”
Iniziava ad avvertire la stanchezza, Pearl: anzi, a dire il vero si sentiva immensamente stanca.
Nonostante la sua effettiva bravura, gli esami appena conclusi non le avevano dato alcuna soddisfazione; in quel momento l'ultima cosa che l'interessava era dedicarsi ad analizzare le proprie aspettative future.
Era quell’opprimente atmosfera di ansia e terrore a sfiancarla, a farle ampiamente desiderare di fuggire il più lontano possibile da un luogo che, sino a pochi mesi prima, amava considerare casa.
Certo, era sicuramente preferibile la consapevolezza di non correre un reale pericolo.
Se non altro, i suoi pensieri erano esenti dalla preoccupazione per se stessa e le persone che le erano care.
Ma era conscia che una parte di lei, quella più corretta e coscienziosa, avrebbe largamente preferito il terrore per un pericolo imminente, piuttosto che quel lacerante senso di colpa che non la smetteva di darle tregua.
Trovava nauseante il proprio sollievo ogni volta che veniva a conoscenza del fallimento di un qualche attacco, e quasi ammirava la freddezza di Tom, la sua gelida capacità di giocare con le vite altrui come fossero pedine.
Un giorno questo qui, un'altro quello là...
E lei rimaneva lì, immobile: inutile complice, ma testimone essenziale, non era niente di più che l'ombra del proprio compagno.
“Taci, Pearl. E’ stata solo una questione di sfortuna”
“O fortuna, dipende dai punti di vista”
Era esasperata da quelle continue riunioni notturne, durante le quali il giovane si ostinava a renderla partecipe di ognuna delle sue macchinazioni; l'unico elemento positivo era la buia intimità della Sala Comune, giacché aveva categoricamente rifiutato di inoltrarsi anche solo un'altra volta nella Camera dei Segreti.
“Sono stati solo dei casi... Quei mezzosangue non hanno mai incontrato direttamente lo sguardo del basilisco, tutto qua!”
La sua voce, sempre così controllata, fremeva ora di collera, e Pearl decise di rincarare la dose.
“Beh, sino a prova contraria quei casi sono stati ben nove. Sei ancora sicuro che il tuo animaletto sia così efficiente?”
Provocarlo era la sua unica, piccola ed insignificante rivincita; ma non era stato così sin dall'inizio, non quando si era ritrovata a scongiurarlo di desistere dai suoi piani.
E questo lui pareva ricordarlo molto bene.
Tuttavia quella sera Tom non parve dare adito alle sue parole, e anzi si lasciò cadere sul divano con un morbido tonfo, gli occhi chiusi rivolti al soffitto.
La giovane quasi preferiva assistere a quei momenti di muta insoddisfazione, piuttosto che veder nuovamente il suo sguardo farsi spietato e sanguinario.
Ma di una cosa era certa: Tom detestava visceralmente la compassione altrui, ragion per cui non le sarebbe mai neppure passata per la testa l'idea di cercare di confortarlo in un qualche modo.
“Forse la situazione ci sta scappando di mano” si limitò a mormore con un filo di voce.
“E questa fantastica deduzione da dove l’hai tratta?” ribatté il ragazzo, con uno sbuffo tra il derisorio e l'annoiato.
“Oggi Lysandra mi ha confessato di aver udito Silente parlare con Lumacorno: se la situazione dovesse proseguire a questo modo, Dippet potrebbe decidere di chiudere la scuola” rivelò con vivida preoccupazione, ma Tom liquidò con un gesto della mano le sue parole.
“Non dire sciocchezze. Sfortunatamente, appena le mandragole saranno mature, quei ragazzi torneranno sani in un batter d'occhio. Certo, una serie di omicidi cambierebbe un po' le cose... Ma non temere: Hogwarts non chiuderà mai" affermò pronto e sicuro di sé, senza tradire il benché minimo accenno di apprensione.
Di fronte al quel sorriso autoritario, Pearl perdeva ogni capacità di ribattere.
Era stato così sin dal principio, sin da quando aveva realizzato che varcare la soglia della Camera rappresentava un punto di non ritorno.
Da quel giorno le cose erano cambiate, lentamente aveva lasciato che lui la trasformasse, la rendesse talvolta persino fiera della posizione che occupava, proprio al suo fianco.
Ma in fin dei conti, ancora una volta non avrebbe saputo spiegare l'esatto motivo per cui eseguiva ognuno dei suoi ordini...
Cosa cercava quando aveva realizzato le scritte minacciose sulle pareti?
Cosa desiderava quando osservava il suo sguardo brillare di cupa soddisfazione?
“Non temere Pearl, ben presto tutto procederà secondo il mio piano. Anzi, dovrei correggermi... secondo i nostri piani” sussurrò socchiudendo nuovamente gli occhi.
Volgendo lo sguardo verso di lui, Pearl capì che il suo gesto non era dettato da alcun accenno di stanchezza: semplicemente, stava già immaginando l'attuarsi del suo prossimo piano.
 

 
 

“Avete mai notato che, nell'universo della vostra percezione,
la morte è qualcosa che succede sempre a qualcun altro?” 

 
 
 
13 Giugno 1943
 

Quel giorno l'inizio della stagione estiva aveva deciso di presentarsi in modo del tutto differente dai giorni precedenti.
Il calore e l'afa erano insolitamente soffocanti, del tutto inusuali per il clima inglese, e sicuramente favoriti da un cielo occluso di nuvole nere e minacciose.
L’atmosfera che si respirava ad Hogwarts era tuttavia insospettabilmente serena, persino allegra: le continue aggressioni che avevano terrorizzato gli studenti tempo prima non si verificavano più da giorni, e con la fine degli esami finalmente si riusciva a scorgere l’arrivo delle vacanze.
Ma quel giorno non sembrava essere destinato alla serenità.
Non nel giorno in cui ogni cosa sarebbe cambiata: il giorno della tragedia.
Lontano dal parco zeppo di studenti, accoccolati sotto agli alberi o in riva al lago, una ragazzina sfrecciava correndo lungo i corridoi del castello, del tutto disinteressata alle istruzioni dei professori.
Aveva un corpo tozzo e sgraziato, tendente alla pinguedine; i capelli scuri, dritti come spinaci, le piovevano su un volto dai tratti larghi e grevi, puntellati da un’evidente acne giovanile e corredati da un paio di enormi occhiali.
La divisa spiegazzata denotava la sua appartenenza alla casa di Corvonero.
Il suo nome era Mirtilla, e aveva 12 anni.
Per lei quello non era un gran bel giorno; anzi, a dire il vero nessuno dei suoi giorni era mai veramente un granché.
In due anni ad Hogwarts non era ancora riuscita a conquistarsi neppure un’amicizia… non che ci avesse mai provato veramente, in ogni caso.
E come poteva, d’altronde? Con quell’aspetto goffo che si ritrovava, con quel suo carattere che la trasformava in un essere petulante e bizzoso…
Erano tutti particolari che avevano sempre autorizzato la sua compagna di classe, la bella Olive Hornby, a perseguitarla con il totale sostegno di tutto il resto della compagnia, proprio come quella mattina.
Colma di rabbia e delusione, Mirtilla percorse i lunghi corridoi sino al bagno delle ragazze al secondo piano: era il suo preferito, poiché molto spesso stranamente deserto.
Fortunatamente lo era anche quel giorno, e come da sua abitudine scelse l’ultimo bagno in fondo, quello che le sembrava fornire maggior solitudine e riparo.
Prima di chiudervisi dentro si guardò accuratamente alle spalle: poco prima, per un fuggevole istante, era stata quasi convinta che qualcuno la stesse seguendo.
Ma solo lì, accoccolata sulla tazza, riuscì a concedersi di piangere liberamente, levandosi quegli occhiali grossolani che sembravano non far altro che attirare lo scherno dei suoi coetanei.
Quelle mura magiche non erano mai state clementi con lei: tutte le sue aspettative erano state distrutte, e non poteva fare a meno di addossarne la colpa agli altri e ad odiarli, persino più di quanto odiava sé stessa.
Persino più di quanto nell'ultimo periodo si era ritrovata ad odiare il suo stato di mezzosangue… 
Fu in quell’esatto momento che, nonostante i suoi forti singhiozzi, udì chiaramente la porta principale del bagno aprirsi.
Per un attimo tacque, in ascolto: qualcuno aveva fatto il suo ingresso a passi pesanti, e con tutta l’aria di star intrattenendo una conversazione con qualcuno.
Due cose la colpirono immediatamente: la sua voce, fredda e maschile, e le sue parole: un rauco sussurrare aspro e sibilante, una lingua che le risultò del tutto estranea.
Non dedicò del tempo a pensare, Mirtilla.
La prima cosa che ipotizzò fu uno scherzo, magari un altro degno compare di Olive deciso a perseguitarla fin lì.
Fu così che colta da un improvviso impeto di rabbia, spalancò la porta del proprio cubicolo pronta a rivolgere insulti e ingiurie a quel ragazzo sfrontato, ordinandogli di tornarsene al proprio bagno.
Ma quando aprì la porta, Mirtilla non urlò.
Anzi, a dire il vero, Mirtilla non aprì proprio bocca: non disse assolutamente niente.
Neanche una parola, neppure una flebile sillaba.
L’unica cosa che poté fare in realtà fu proprio solo vedere.
Perché prima ancora che gli occhiali le sfuggissero dalle mani e toccassero il suo rompendosi, Mirtilla era già morta.

 
 

*******

 
 
Alcune ore dopo, nel pieno pomeriggio, la porta del bagno si aprì per la terza volta.
Era stata per una pura e spiacevole coincidenza che quel bagno non fosse più stato visitato durantel'intero corso della giornata.
Fu Olive Hornby ad aprire la porta esitante: avvertiva già uno spiacevole senso di colpa all’idea di ritrovarsi davanti la compagna ancora in lacrime a causa sua.
“Mirtilla, sei ancora qui dentro a mettere il broncio?” chiese, insolitamente gentile.
Ma non ottenne risposta, e osservò tra il sollievo e lo sconcerto come il luogo fosse inspiegabilmente deserto: sapeva bene che quello era il posto preferito della compagna per i suoi sfoghi.
“Mirtilla? Il professor Dippet mi ha mandato a cercarti, ma…”
La voce le morì in gola nell’esatto momento in cui le sembrò di intravedere qualcosa di totalmente inusuale proprio là, di fronte all’ultimo bagno.
La porta era aperta e spalancata contro al muro, ma dal suo interno sembrava sbucare qualcosa, un qualcosa che assomigliava spiacevolmente ad una piccola mano straordinariamente pallida.
“Mirtilla…?” chiese ancora la ragazza, avanzando lentamente come se i suoi piedi si muovessero da soli, e avvertendo la propria voce fremere di paura.
Quando si trovò di fronte al cubicolo, dovette aggrapparsi allo stipite della porta per non vacillare.
Il corpo di Mirtilla era riverso a terra, compresso in modo innaturale nello spazio esiguo.
I suoi occhiali da vista erano lì poco distanti, le lenti infrante, mentre il viso era rivolto verso la parete; sporgendosi leggermente cercò di guardarlo.
Fu solo quando scorse il sottile rivolo di sangue che le scorreva da un angolo della bocca, che Olive si permise di urlare a squarciagola.

 

 

“A nightingale sings his song of farewell
You better hide for her freezing hell
On cold wings she’s coming
You better keep moving
For warmth, you’ll be longing

 
Un usignolo canta la sua canzone d’addio
Faresti meglio a nasconderti dal suo inferno ghiacciato
Sta arrivando su fredde ali
Faresti meglio a sbrigarti
Per del calore, implorerai”

[Ice Queen, Within Temptation]

 
 
 

Come se avesse voluto prendere le distanze da quel giorno cupo e afoso, la notte appariva ora come un manto nero trapuntato di gelide stelle.
La luna risplendeva alta e senza posa, a illuminare d’argento l’intero parco: uno spettacolo che Pearl trovò terribilmente freddo ed agghiacciante.
Quella notte era stato sorprendentemente facile lasciarsi alle spalle l’intero dedalo di corridoi e uscire all'aria aperta: erano bastate così poche ore a rendere la sorveglianza al minimo.
Pearl si accoccolò meglio sul gradino su cui aveva preso posto, il più alto della scalinata che conduceva alla Guferia nella Torre Nord.
Non aveva potuto tollerare di restare in Sala Comune quella notte, non dal momento in cui era divenuta un fitto brulicare di ipotesi e congetture su quanto successo in quel terribile giorno.
Non le interessava ascoltare le considerazioni di Cygnus o i macabri pettegolezzi di Lysandra; aveva uno stretto bisogno di calma e silenzio, per tentare di districare quella matassa di pensieri che rischiava di soffocarla da un momento all’altro.
La notizia della morte di un studentessa si era diffusa con la medesima velocità e violenza dello scoppio di una bomba; in quel momento lei si trovava nella Sala Comune circondata dalle amiche, ma la notizia non aveva tardato a raggiungerla e a spiazzarla definitivamente.
In men che non si dica ogni singolo abitante del castello, dal primo degli studenti all’ultimo degli elfi domestici, pareva a conoscenza dell’accaduto.
Per lunghi, spaventosi attimi il panico aveva regnato come sovrano incontrastato: urla e grida di terrore erano risuonate in ogni dove, gli studenti e persino alcuni degli insegnanti avevano intrapreso corse cieche e insensate per i corridoi, mentre da ogni finestra sciami di gufi e volatili si levavano carichi di lettere allarmate.
Poi lentamente, con l’ausilio di una massiccia dose di autorità, le cose avevano iniziato a quietarsi, e solo allora un silenzio grave e pesante era crollato sull’intero castello.
Erano stati in molti quelli che si erano accalcati attorno a quel bagno al secondo piano per osservare il feretro della sfortunata ragazza, poco più che una bambina, che veniva trasportato in un luogo più consono.
E solo allora una terribile e minacciosa voce aveva iniziato a circolare per il castello.
Ma Pearl non la temeva, non avvertiva più neppure uno straccio di timore: sapeva di aver svolto il proprio dovere, contribuendo a metterla a tacere.
Come previsto, poco dopo dei passi felpati l’avvertirono dell’avvicinarsi di un’altra persona.
Quando Tom raggiunse le scale, trovò la sua compagna seduta su uno degli scalini, la testa reclinata contro il corrimano.
La luna le illuminava chiaramente il viso: aveva pianto, i suoi occhi apparivano rossi e gonfi.
“Approvo la scelta del posto” esordì il ragazzo con voce incolore, sedendosi al suo fianco.
“Ne sono lieta” mormorò in risposta la giovane.
Per un lungo attimo tacquero, il silenzio interrotto solo dal fischio dei gufi che si destavano per la caccia notturna.
“Raccontami” sospirò infine Pearl, cercando lo sguardo del ragazzo.
Effettivamente Tom non desiderava altro che parlarne, ma il tono ferito e dimesso di Pearl lo infastidiva.
Avrebbe dovuto sentirsi come lui: forte, vittorioso, colma di ammirazione.
Era stato lui a riscrivere la storia di Hogwarts, quel giorno, e a lei era stata offerta la possibilità di parteciparvi.
Tuttavia decise di parlare procedendo per gradi.
“Ho seguito il tuo consiglio, anzi, ti ringrazio per la prontezza; non avrei saputo ricordarmi dell'esistenza di quell' Hagrid.
Come facevi a conoscerlo? Mi aveva chiesto ripetizioni una volta, ma pensavo di averlo dimenticato…”
“Schneizel me ne aveva parlato qualche volta” rispose la ragazza laconica.
“Beh, poco male. L’ho scovato in uno sgabuzzino nei sotterranei, in compagnia di una qualche assurda creatura. Chiaramente gli ho addossato tutta la colpa” continuò, le labbra che svelavano un sorriso impregnato di malevolenza.
“Nessuno ha sospettato nulla: lui è stato cacciato, e io ricoperto di tutti gli onori. Dippet mi ha promesso un Premio Speciale per i Servigi Resi alla Scuola”
C’era qualcosa di disgustoso e riprovevole nella voce vittoriosa e soddisfatta di Tom, ma Pearl si sforzò per un attimo di non darvi adito.
“Quindi ti sei salvato, la scuola non ha più intenzione di chiudere”
“Così pare, l’unica pecca è che non posso ugualmente rimanervi durante le vacanze estive” ribatté il ragazzo, ostentando un’espressione contrariata.
“E nessuno ha la più vaga idea di quanto sia successo in realtà?”
“E come potrebbero? In ogni caso erano tutti così sollevati… avresti dovuto vedere le loro facce! Solo Silente si è dimostrato un po’ troppo insistente con le domande, ma d’altronde non gli sono mai piaciuto" rispose, osservando con improvviso distacco i giardini circostanti.
"In ogni caso ho nuovamente sigillato la Camera, il basilisco tornerà al suo sonno per un prossimo futuro. Gli altri mezzosangue guariranno e... sì, ho dimenticato qualcosa?” chiese con un’espressione fintamente riflessiva.
Pearl sentì che qualcosa, molto simile ad uno sgradevole misto di sentimenti contrastanti, le risaliva la gola: rabbia, disgusto, senso di colpa, odio, disprezzo, dolore; all’improvviso provò il forte desiderio di urlare.
“Tom, hai ucciso una persona” proruppe invece con un fil di voce.
Fu il tono di voce con cui glielo fece candidamente notare che lo fece voltare di scatto, alla ricerca del suo sguardo.
Ma non riuscì ad incontrarlo: gli occhi della giovane erano rivolti verso il basso, il viso semi nascosto dai lunghi capelli scuri; piangeva piano, senza far rumore.
“Ho ucciso, o forse è meglio dire abbiamo?” sussurrò il ragazzo, osservando quella reazione con una punta di disgusto.
“Come preferisci, non ha importanza, non mi interessa! Mi sento ugualmente così…” ribatté Pearl prendendosi il capo fra le mani.
“Così come?”
“Così come un mostro” sibilò infine, rivolgendogli un’occhiata carica di astio.
Tom mosse le braccia in un gesto spazientito, afferrandola poi impulsivamente per un polso.
“Ma perché Pearl? Perché continui a reagire in questo modo, perché non riesci a comprendere che oggi abbiamo fatto il primo passo giusto?”
I loro occhi si osservavano a vicenda, spalancati e spiazzati da quell'attimo di comprensione.
Perché fu guardandolo in quel momento, che Pearl realizzò definitivamente che quella di Tom non era una maschera, una sorta di finzione: quel ragazzo credeva realmente nelle parole che pronunciava, era consapevole e convinto della strada che aveva deciso di intraprendere.
E tutto ciò non faceva che scindere la sua coscienza a metà: una parte di lei se ne sentiva scottata, impaurita, invocava a gran voce la sua fuga lontano da quelle mani che immaginava già lorde di sangue; ma l’altra ne era irrevocabilmente attratta e affascinata, trovandosi ad ammirare quella fermezza che mai aveva incontrato in vita sua.
Ma nonostante ciò, la sensazione più viva dentro di lei al momento, che continuava ad agitarsi e dibattersi come una creatura braccata, era il senso di colpa.
Cercò di frenare le lacrime, scacciandole rabbiosamente con il dorso della mano.
“Ciò che è giusto per te, non necessariamente è giusto per tutti gli altri. Era soltanto una bambina, aveva dodici anni!” si limitò a dire, la voce che le si strozzava in gola.
Tom lasciò andare il polso della giovane, rifuggendo il suo sguardo accusatorio.
“Cosa può importarmene? Io mi curo esclusivamente di me stesso”
Per uno strano caso del destino, a spezzare il loro silenzio giunse distrattamente il melodioso canto di un usignolo, nascosto chissà dove nel folto della Foresta Proibita.
Pearl chiuse gli occhi, in ascolto, lasciandosi sfuggire soltanto un'altra lacrima.
Aveva l’acuta e dolorosa consapevolezza di non meritare d’udire quel suono dolce e carezzevole: nella sua testa, era qausi come se avesse ucciso quell’animale.
“Sai, mio padre una volta mi disse che è peccato uccidere l’usignolo. E’ un uccello piccolo, innocuo…
Non si ciba di granaglie, ma bensì di insetti, vermi e larve, e inoltre il suo canto è meraviglioso.
Uccidere un usignolo è quindi un atto crudele, doppiamente grave. Ed è ciò che abbiamo fatto noi” mormorò la giovane, il tono di voce che perdeva la sua modulazione tremolante e si faceva più deciso e risoluto.
Tom la guardò interrogativo, come se faticasse a capire.
“Puoi anche sostenere di star seguendo un ideale che ritieni corretto, ma ciò non toglie che hai ucciso un’innocente, e che con tutta certezza lo farai ancora. Che spezzerai vite, sogni, storie altrui, senza neppure curarti di conoscerle.
Sei consapevole di questo?”
Il ragazzo la osservò con freddezza, annuendo infine rigidamente.
“Lo sono”
“Bene, perché ti servirà ben più della certezza un giorno. Nessuno è così forte da sostenere in eterno il peso della colpa, nemmeno tu” concluse la giovane alzandosi, stringendosi le braccia nel tentativo di scaldarle da un freddo improvviso, che nulla aveva a che vedere con il clima.
Ma prima che potesse avviarsi,  Tom la richiamò indietro.
“E tu Pearl, che cosa hai intenzione di fare? Non puoi continuare a dibatterti nel senso di colpa per l’eternità, ormai ci sei dentro fino al collo e non puoi tirarti indietro”
Per la prima volta in tutta la serata la vide sorridere: un riso freddo e amaro, che rendeva il suo bel viso come più adulto e consapevole.
“Credimi, lo posso; ma in ogni caso non ho mai dichiarato di volermi tirare indietro”
Tom si alzò a sua volta, avvicinandosi a lei e prendendola delicatamente per le braccia sottili, più sorpreso che mai.
“Mi stai dicendo che dopo tutto ciò che hai appena detto, manterrai i miei propositi?”
Pearl si mosse a disagio, ma tuttavia non si ritrasse dal suo tocco.
“Non fingere di starmi dando una scelta, Tom. Sappiamo entrambi che ho preso una decisione in quella Camera, e ho intenzione di mantenerla.In ogni caso fare retromarcia sarebbe stupido, ormai sono colpevole quanto te" concluse con amarezza, alzando poi la testa e sfidando apertamente il suo sguardo.
"Non è questo quello che volevamo che io divenissi? Un coltello in un fodero”
E fu il turno di Tom di comprendere: la mente di Pearl era identica alla sua, rapita da un perenne fiume di pensieri, un costante movimento di idee, ipotesi e congetture di ogni sorta di genere.
Ma i loro concetti si muovevano in senso contrario: se lui tendeva a soffocare ogni sorta di ansia ed apprensione, lei le sviscerava.
Questa sua sorta di purezza la rendeva ben oltre la concezione di "lama", un mero oggetto da estrarre e utilizzare.
Aveva una doppia faccia, una mutevole personalità, che la classificava come una creatura viva e senziente che avrebbe dovuto imparare a conoscere, muovere e gestire.
E all'improvviso realizzò che questa possibilità di dominarla e assoggettarla a sé aveva il potere di intrigarlo notevolmente.
“No Pearl, sei qualcosa di molto diverso. Sei il mio pugno di ferro in un guanto di velluto” concluse, sfiorandole il volto e raccogliendo un'ultima lacrima sulla punta di un dito.

 
 




COMMENTO AL CAPITOLO

Un capitolo direi piuttosto corto rispetto agli altri, ma ogni cosa ha un suo perché. Non amo "ricopiare" la storia originale o rigirarla per descriverla in altro modo. Sappiamo come si sono svolte le cose dal diario di Tom Riddle, e ho preferito tralasciare per una volta il suo punto di vista.
L'importanza l'ho particolarmente conferita all'atmosfera di paura e terrore, che nel secondo libro trovo appena accennata; ma sopratutto, i punti di vista di Mirtilla e Olive sullo svolgersi della vicenda.
Il rapporto tra Pearl e Tom resta pressoché invariato, e nonostante gli eventi, anche le loro personalità non accennano a cambiare, semmai si cementano e solidificano.
Sarà dal prossimo capitolo, che prevedo anche molto lungo, che ci sarà una vera svolta.
Ma ad ogni cosa il suo tempo.
PS: la frase sull'usignolo è ispirata ad un accenno nello spettacolare libro "Il buio oltre la siepe", citazione necessaria ^^


COMMENTO DELL'AUTRICE

Non so se definirmi pienamente soddisfatta di questo capitolo, ero particolarmente in dubbio se aggiungervi un'ultima parte, e anche mentre procedevo tornavo spesso indietro a vedere che caspita avevo scritto.
La mentalità di Pearl è così confusa che a volte ho il timore di scendere nel noioso e capitare sui soliti cliché, tipo attrazione fatale e compagnia bella...
Spero di non star combinando qualcosa del genere, o se non altro, ci provo ;)
Ho intenzione di aggiornare il più presto possibile, ma definiamolo un tempo ipotetico perché sono decisa a continuare una storia dimenticata da tempo che merita ancoa giustizia u.u
Nel frattempo mi limito a ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite, e naturalmente  
ArgentoSangueEllyraCherolain e EvaAinen per aver recensito.
Un saluto a tutti, al prossimo capitolo ^^

 


Elle H.

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Capitolo 6
*** Il Giorno in cui Nacque il Demonio ***


UN PUGNO DI FERRO CAPITOLO 6

Un Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto

di Elle H.



CAPITOLO SESTO
Il Giorno in cui Nacque il Demonio


All the same take me away, we're dead to the world
Remaining, yet still uninvited
Those words scented my soul
Lonely soul, ocean soul
Heaven queen, cover me
Heaven queen, carry me away from all pain

Portami via lo stesso, siamo addormentati
Resto, anche se ancora non invitato
Quese parole fiutavano la mia anima
Anima sola, anima d'oceano.
Regina del paradiso, avvolgimi
Regina del paradiso, portami via da tutto il dolore"
[Dead to the World, Nightwish]



Uno dei giorni più ardenti patiti finora, forse addirittura il più caldo, il più snervante: non lo sapeva, non osava chiederselo.
I pensieri gli giocavano sempre strani scherzi in quel periodo dell'anno.

Eppure gli sembrava quasi di poter saggiare con la mano il calore di quella giornata, come fosse qualcosa di ben più palpabile dell'aria: insopportabilmente denso, quasi come una sostanza appiccicosa che si applicava inevitabilmente ad ogni centimetro della sua pelle.
La luce del giorno di certo non rendeva più accettabile la situazione. Da che aveva memoria non vi era mai stato neppure un paio di tende a riparare l’unica finestra di quella stanza, e un intenso bagliore illuminava invadente l’ambiente angusto, ferendolo agli occhi e obbligandolo a ripararsi il viso sudato.
Un numero spropositato di crepe sottili attraversava irriverentemente il soffitto da un capo all’altro, denotando tutti i trascorsi di quello che, un tempo, doveva essere stato un’imponente edificio.
Tom negli anni era stato portato dalla noia a conoscere ogni singolo particolare di quel luogo come il contenuto delle proprie tasche, giacché non gli restava nessun altro passatempo che non fosse sfogliare svogliatamente libri di incantesimi e magia, che conosceva in ogni caso perfettamente a memoria.
Ma quel giorno vi era qualcosa di diverso: la temperatura fuori dai limiti, promessa da chi aveva decretato quell’estate di guerra babbana come “una delle più calde del secolo”, lo aveva costretto ad una reclusione forzata in uno stato vegetativo, sdraiato immobile sul letto senza neppure la forza di tenere gli occhi aperti.
Eppure non dormiva, non riusciva a dormire nonostante la maggior parte delle sue notti fossero insonni, trascorse a contare ogni angosciante secondo che lo separava dal primo giorno di settembre, dall'agognata libertà.
Ma era proprio questo a privarlo del sonno e della serenità: la disperazione più totale di trovarsi separato a forza dal suo vero mondo, dai suoi simili, che ora gli apparivano lontani più che mai.
Non riusciva a credere che dopo tutto quello che era successo, dopo tutto ciò che aveva scoperto e realizzato, si trovasse ancora lì, in quel sudicio letamaio babbano.
C’erano momenti in cui non arrivava a far collimare le due immagini che aveva di se stesso: solo un mese prima era ancora lo studente più brillante di tutta Hogwarts, a capo del più perfetto piano di sabotaggio che quella scuola millenaria avesse mai visto. Aveva scoperto le proprie origini, aveva riacquistato una propria identità, aveva esaudito ogni suo desiderio, aveva ucciso secondo il suo criterio...
Ed ora era tornato ad essere un comune, patetico orfano londinese, relegato tra quattro spoglie mura nell’apparente condizione di babbano ordinario.
Era in momenti come quello, in cui si ritrovava a rimuginare sulla propria condizione, che con un segreto barlume di vergogna dedicava il proprio pensiero ad un luogo ancor più lontano, dove sicuramente qualcuno trascorreva i suoi giorni in modo totalmente differente.
Prometto che ti scriverò quest’estate, verrò anche a trovarti se lo desidererai”
“Non sei tenuta a farlo, Pearl. I gufi attirano troppa attenzione, ma in ogni caso non necessito minimamente del tuo conforto”
Idiota ed arrogante, ecco ciò che era stato quel giorno. Non poteva fare a meno di pentirsi amaramente per quella risposta sprezzante.
Anche solo intravedere una parola in quella sua minuta, affascinante scrittura avrebbe potuto fare la differenza, alleviare il suo calvario. E invece...

All’apice di una rabbia più nervosa e mal repressa che mai si alzò con uno scatto, consumando il limitato spazio della stanza in pochi passi nervosi. Lo sguardo gli cadde sullo specchio, annerito e scheggiato dal tempo e dall'usura; occhieggiò  disgustato l’immagine che gli rimandava: un viso pallido ed emaciato, imperlato da un sottile velo di sudore, con i capelli scuri sporchi e troppo lunghi; il tutto corredato da larghi e vecchi vestiti babbani che bastavano a colmarlo di imbarazzo.
Come poteva ogni anno permettere alla sorte di ridurlo a quel modo?
Ma a distrarlo dal proprio riflesso fu uno scalpiccio di passi infantili, seguito da un fievole sfiorar di nocche contro il legno della porta, chiaro sentore di un animo decisamente intimorito.
“Che cosa vuoi?!” chiese ad alta voce, con il tono brusco ed aggressivo che era solito utilizzare con qualsiasi altro abitante di quel luogo infelice.
Sin da piccolo era riuscito, più o meno volutamente, con parole o scoppi di magia, a creare attorno a sé una forte linea di separazione da tutti gli altri bambini, una sorta di alone oscuro che teneva a debita distanza persino la direttrice e i suoi delatori.
Anche dopo tanti anni, in cui a malapena rivolgeva la parola agli altri compagni, era ancora capace di incutere timore e rispetto con la sua sola presenza.

Ma quando la porta si aprì non rivelò uno dei suoi compagni di stanza, ma bensì il viso sporco e dai capelli arruffati di un bambino molto più piccolo, un volto infantile su cui mai si era degnato di posare lo sguardo.
E quale fu la sua sorpresa quando, alzando il capo, intravide dietro di lui una figura che quasi gli fece spalancare gli occhi dallo stupore, portandosi via in ogni caso tutte le sue parole.
“Sei stato molto gentile piccolino, ti ringrazio” disse Pearl dolcemente, chinandosi verso il bambino e lasciandogli cadere nella mano una manciata di monete, prima che scappasse via con improvvisa urgenza.
La ragazza si premurò di chiudere accuratamente la porta dietro di se, prima di voltarsi a rivolgere lo sguardo verso Tom, intuendo che un pensiero piuttosto simile doveva star attraversando entrambi.
Il viso della ragazza era di nuovo pieno e sereno, velato da un sottile accenno di abbronzatura e un lieve sorriso sulle labbra sottili; era pettinata con ricercatezza e vestita con un elegante abito bianco di chiara foggia babbana, un accorgimento inutile quanto apprezzabile: con estremo fastidio si accorse di trovarla più bella che mai.
“Gli abitanti di questo posto sembrano alquanto spaventati da te, Tom. Ho dovuto interpellare tre o quattro ragazzini prima di trovare l’unico disposto a mostrarmi quale fosse la tua camera, dietro compenso naturalmente; tra parentesi, mi devi cinque sterline” esordì Pearl, percorrendo con uno sguardo allarmato lo squallore dell’ambiente.
“Beh, possiamo dire che hai trascorso tempi migliori, non credi?”
Forse fu proprio l'ironia che avvolgeva quell'ultimo commento a far scattare qualcosa in Tom, facendolo riemergere dallo stato di stupore in cui pareva essersi trincerato.
“Come osi presentarti davanti a me, in questo modo, a parlarmi come se niente fosse dopo avermi lasciato a marcire per oltre un mese in questa lurida topaia?!” le domandò in un improvviso eccesso di rabbia, trattenendosi a malapena dallo scagliarsi dall'altra parte della stanza.
Ma Pearl non diede alcun segno di sorpresa, limitandosi a rivolgergli un'occhiata decisamente sprezzante.
“In tutta onestà meriteresti di restare sepolto qui per tutta l’estate, a giudicare dalla grazia con cui  hai rifiutato la mia gentilezza l’ultimo giorno di scuola” rispose, appollaiandosi sul letto dalle coperte sgualcite.
“E in ogni caso vedi di darti una calmata: il Tom che conosco io è abituato controllare i propri sentimenti… Non che ora gli assomigli particolarmente, sia chiaro” commentò pungente.
Solo a quell'affermazione Tom parve accorgersi di quanto il suo comportamento non fosse altro che la ciliegina sulla torta al suo aspetto desolante.
Ostentando un respiro profondo si sedette sul letto poco distante da lei, tentando un'ammirabile esercizio di autocontrollo.

“Avrai notato che non ti ho scritto neppure una volta... come da te richiesto” esordì Pearl.
“Eppure ora hai deciso di presentarti qui, sbucando dal nulla” ribatté Tom.
“Tecnicamente il nulla sarebbe proprio questo posto: sai, non immagini quanti orfanotrofi ci siano a Londra, ma devo dire che tu hai avuto la sfortuna di capitare nel più squallido tra tutti”
“Allora penso tu possa comprendere da te perché volessi così tanto rimanere ad Hogwarts” concluse laconico.
Pearl cercò il suo sguardo, ma lui preferì evitarla; per la prima volta da quando si erano conosciuti, Tom Riddle  assaporava la sensazione di sentirsi inferiore a lei.
Già conosceva la vergogna del suo stato di sangue, ma sperimentare del disagio persino per le sue condizioni fisiche e di vita andava decisamente oltre le sue previsioni.

Tuttavia in risposta udì solamente un sospiro.
“Non sei uscito neanche una volta per fare un giro a Diagon Alley?”
La risata totalmente priva di allegria del giovane fu una risposta più che eloquente.
“E come di grazia, Pearl? Credi abbia davvero voglia di mostrarmi a tutti in questo stato? Ti prego, preferisco non espormi al pubblico ludibrio” ribadì con amarezza.
Per lunghi attimi il silenzio si dilatò tra loro, frammentato dalle grida infantili degli altri abitanti dell'orfanotrofio, intenti a giocare nel cortile.
“Non vuoi chiedermi perché ho deciso di venire qui quest'oggi?” chiese infine Pearl, con un tono infinitamente più dolce.
“Perché tu possa guardarmi e burlarti di me? Per questa volta ti è più che concesso direi”
Ma Pearl scacciò quell’ultima frase con un’occhiata esasperata al soffitto.
“Sull'ultimo punto hai senz'altro ragione: la tua autocommiserazione è così patetica che potrei vomitare.  Ma per il resto ti stai sbagliando, anzi sono qui per l'esatto contrario” disse sfoderando un sorriso più che autentico.
Si alzò in piedi, gettando uno sguardo disgustato tutt’intorno.

“Forza, raccogli le tue cose e fai i bagagli” sentenziò decisa.
“Che stai dicendo?”
“Sto dicendo che la sola idea di te rinchiuso qui mi ripugna profondamente, ragion per cui esigo che tu abbandoni questa lurida topaia e mi segua, adesso. Tutto chiaro?” ordinò perentoria, sollevando con la punta  della scarpa una camicia sdrucita mezza infilata sotto al letto.
Nonostante il suo entusiasmo il ragazzo si limitò a risponderle con un basso sospiro.
“Credi che se avessi potuto andarmene non l’avrei già fatto? Sono obbligato a vivere qui sino al compimento dei diciott'anni, è la stupida legge babbana”
“E io secondo te ho aspettato un mese per fare cosa? Non crederai che non abbia un asso nella manica!” rispose la giovane allusivamente.
Quando poco dopo i due ragazzi scesero le scricchiolanti scale dell’orfanotrofio, con il pesante baule di Tom al seguito, trovarono un signore ad aspettarli all'uscita, il quale appena li vide rivolse loro un largo sorriso.
La prima cosa che Tom pensò del signor Ballantyne fu che certamente una volta doveva essere stato molto attraente, e tuttora conservava una traccia della propria passata bellezza; ma qualcosa, che fossero gli anni o i dolori incontrati nel corso della vita vita, parevano averla logorata.
Alto e dalla figura ancora imponente, il viso era attraversato da una sottile rete di rughe, e gli stretti occhi grigi apparivano quasi opachi e spenti, solcati da sopracciglia che tendevano ormai al grigio ferro, proprio come i capelli.
Ma la sua espressione era luminosa, e li accolse con un ampio gesto della mano quando gli furono accanto.
“Deduco che questo bel giovanotto debba essere Tom! Pearl mi ha parlato a tal punto di te da essere riuscita a coinvolgermi in quest’estremo atto di salvataggio” esordì gioviale, sorprendendo il ragazzo quando estrasse la bacchetta e fece evanascere il suo baule, del tutto incurante del luogo in cui si trovavano.
“Questo ci sarà solo d’impiccio durante il viaggio. Permettimi ora di presentarmi, Damocles Ballantyne”
Il ragazzo parve finalmente riscuotersi, la mano che scattò immediatamente in alto in una stretta che tentò di essere salda e forte.
“E’ un piacere fare la sua conoscenza signore”
“Il piacere è mio ragazzo. Forza, è ora che ti troviamo una sistemazione che ti si addica” lo esortò con un cenno del capo, uscendo in strada.
“Ma signore, Io non posso…”
Ma il padre di Pearl lo interruppe prontamente con un tocco gentile sulla spalla.
“Hai l’aria intelligente Tom, e le parole di Pearl non fanno che confarmelo. Penso tu possa benissimo intuire come la magia faciliti spesso la vita di un mago” concluse sibillino, facendogli nuovamente cenno di uscire in strada. Il suo viso era pieno di quieto calore, sulle labbra il sorriso che aveva donato alla figlia, sottile ed impenetrabile.
Lentamente, con un crescente senso di incredulità, Tom si avviò nel calore londinese, e guardando la grigia prigione della sua infanzia rimpicciolire sino a sparire alla vista, per la prima volta in vita sua si sentì veramente libero.
Rivolse lo sguardo a Pearl, cogliendola nel compiere la stessa azione.
“Cos'hai mangiato stamattina per colazione?”
“Del porridge”
“Dimenticatelo, da oggi potrai assaggiare piatti migliori. Questa sarà l'estate più piacevole della tua vita”
E lo sarebbe stata.


“By the turnstile beckons a damsel fair
The face of Melinda neath blackened hair

Dal cancello fa cenno un dama fiabesca
Il volto di Melinda sotto capelli scuri “





“Scacco matto”
Tom sorrise assaporando l'esito vittorioso di una partita particolarmente impegnativa, mentre  il viso di Barron assumeva una curiosa smorfia contrariata, tanto simile a quella della sorella maggiore.
“Posso concederti la rivincita, se te la senti” suggerì con tono fintamente premuroso, deridendolo.
“Tom ti sarei riconoscente se la smettessi di seviziare mio fratello” lo ammonì Pearl, intenta a leggere morbidamente adagiata su di un divanetto poco distante da loro, abbastanza vicina al confortante calore del caminetto.
“Lascialo fare, esigo la rivincita!” protestò Barron infervorato, costringendo le pedine a rioccupare svogliatamente le proprie postazioni.
“Hai sentito, Pearl? Il ragazzo vuole che io mi faccia gli artigli su di lui” concluse Tom con un un sorriso al suo indirizzo.
Ma nonostante lo scambio di battute scherzose, quella sera, come tante altre d'altronde, lo sguardo del ragazzo usava soffermarsi sulla figura della giovane.
Vivendo a stretto contatto con lei e la sua famiglia, condividendo il suo stile di vita e conoscendo ormai a memoria le sue passioni ed interessi, aveva ormai compreso come quella ragazza possedesse un lato del carattere  inguaribilmente triste.
Non doveva faticare per coglierla spesso e volentieri con lo sguardo sospeso nel vuoto, come distaccatosi dalla realtà, e in quei casi non gli serviva far sfoggio di legilimanzia per capire di che tonalità fossero i suoi pensieri.
“Sai Tom, non passa giorno in cui non pensi almeno una volta a quella ragazza, Mirtilla... A volte è un attimo che dura un secondo, eppure non riesco ad impedire ai sensi di colpa di tormentarmi” gli aveva confidato pochi giorni prima, in una solitaria passeggiata nel parco illuminato dagli ultimi raggi del sole.
Oramai era più di un mese che si trovava ospite della famiglia Ballantyne, e per quanto normalmente trovasse la sua vita ad Hogwarts particolarmente agevole, quell'estate trascorreva come sospesa in un sogno, una dimensione parallela a sé stante.
Per la prima volta in vita sua sperimentava la sensazione di vivere nel lusso più sfrenato, dove ogni comodità era a portata di mano ed ogni sua richiesta prontamente esaudita.

I primi giorni aveva faticato ad abituarsi agli innumerevoli elfi domestici che schizzavano nei corridoi nella fretta di svolgere i propri compiti, pronti a sbucare silenziosi e all'improvviso in qualsiasi stanza si trovasse, ma ben presto iniziò a provare il tipico, inebriante piacere dell'essere serviti e riveriti.
Ciò che ogni giorno riceveva superava ogni sua aspettativa, che fossero le coltri riscaldate in cui si coricava la sera, gli straordinari piatti dal sapore ricercato che gli venivano proposti ad ogni pasto, gli abiti eleganti che gli erano stati donati...  Per non parlare delle giornate sempre piene di eventi: persino una fredda giornata di pioggia, di quelle che all'orfanotrofio lo facevano meditare sul tema del suicidio, in compagnia di Pearl e dei suoi familiari risultava interessante e coinvolgente.

Perché in fondo era quello che Tom, neppure troppo segretamente, ammirava sopra ogni altra cosa: assaporare per la prima volta l'autentico calore di una famiglia, riservata ma infinitamente premurosa.
Nonostante tenesse ad ostentare una patina di cortese disinteresse, non riusciva a nascondere del tutto la sua gratitudine nei confronti di Pearl, ricompensandola con un malcelato buon umore che le strappava fastidiosi sorrisi pieni di malizia.
Tuttavia il fiume dei suoi pensieri venne interrotto dal sordo suono di un libro che si chiude, e riscuotendosi notò subito come fosse passato in netto svantaggio nei confronti del giovane Ballantyne.
“Non hai altro modo per divertirti, Pearl?” le chiese con finta noncuranza, ritrovandosela accanto al tavolo da gioco con un sorriso di crescente compiacimento.
“Sei pensieroso stasera Tom?” gli chiese, prendendolo in giro.
“Beh, potrei dire lo stesso di te, non credi?” ribatté prontamente lui, rivolgendole un'occhiata più che eloquente.
I loro occhi si incrociarono per un lungo attimo, attimo che aveva osato verificarsi piuttosto freqentemente in quelle ultime settimane; Barron si mosse a disagio, simulando un lieve accenno di tosse.
“Perché piuttosto non rivolgi le tue attenzioni alla partita? Io sono stanca, buonanotte ragazzi” concluse la giovane riscuotendosi, improvvisando un sorriso altezzoso prima di scompigliare i capelli al fratello minore e dileguarsi lungo il corridoio.
Non appena Pearl fu scomparsa, al serpeverde bastarono poche mosse per ribaltare la situazione e aggiudicarsi la vittoria.
“Era meglio se Pearl fosse rimasta qua” borbottò irritato l'avversario, mentre riacciuffava le pedine intente a scappare lontano dalla sua presa.
“Pensi forse che tua sorella possa pregiudicare una mia vittoria?” chiese Tom divertito, appoggiandosi meglio allo schienale della poltrona.
“Non lo so, a volte mi sembrate così... intimi” mormorò Barron, osservando la sua reazione.
Il sorriso bendisposto di Tom rimase per un attimo come sospeso sul suo viso.
In quel periodo aveva avuto l'opportunità di conoscere meglio il minore dei fratelli Ballantyne, intuendo sin da subito la presenza di un’intelligenza acuta e minuziosa, con una capacità di analisi molto simile alla sua. Che anche in quel frangente non tardava a mancare.
“Bisognerebbe chiarire il significato di questa parola, non credi?” lo esortò con tono cauto.
Ma Barron preferì abbandonare il discorso, sollevandosi e lasciando chiaramente intendere, con una certa irritazione di Tom, di voler andare a letto.
“Lascia stare Tom, davvero... Magari mi sono solo fatto influenzare da Schneizel, sul serio non è nulla. Buonanotte” concluse il ragazzino frettoloso, percorrendo la biblioteca a passi veloci, come se si sentisse inseguito.
Rimasto solo il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro stanco, lo sguardo concentrato sulle fiamme guizzanti.
Il suo soggiorno sarebbe stato certamente più sereno se non fosse stato costantemente turbato dall'esistenza di Schneizel Ballantyne; nonostante talvolta trovasse divertente ribattere alle sue provocazioni, il grifondoro aveva la spiacevole abitudine di non tacere mai, nemmeno durante i pasti o nei momenti che condividevano con il capofamiglia.
Non riusciva a spiegarsi come in una famiglia composta e riflessiva come quella fosse potuta nascere una tale testa calda.

Papà dice sempre che Schneizel è esattamente come è stato lui in gioventù. Sai, anche mio padre è appartenuto a Grifondoro” gli aveva raccontato un giorno Pearl, mentre percorrevano un corridoio al primo piano, in cui vi erano appesi una serie infinita di ritratti dei suoi antenati.
“E tua madre?” aveva chiesto Tom, osservando il ritratto di una donna dall'aria nobile che sorrideva con aria annoiata e un lieve cenno di sfida.
“Lei non è mai stata ad Hogwarts” si era limitata a rispondere la giovane, osservando il profondo veto di parola riguardo l'affascinante e misteriosa figura di Desdemona Vasquez.
Un altro quadro che la ritraeva era appeso nella biblioteca, e anche ora lo sguardo di Tom corse ad osservarlo: straordinariamente somigliante a Pearl, aveva però qualcosa di inquietante nella freddezza dello sguardo, nella piega delle labbra pietrificate nel tempo, che più che un sorriso talvolta gli ricordava un ghigno.
Ogni tanto la sorprendeva a sbadigliare con aria annoiata, ma neppure una volta l'aveva udita proferire parola.

“E' molto bella vero?”
Colto di sorpresa il ragazzo voltò il capo di scatto, individuando la figura del padrone di casa fermo sulla soglia semichiusa, lo sguardo puntato verso il ritratto.
“Buonasera signore” rispose rigidamente, mentre il signor Ballantyne avanzava appoggiandosi ad un bastone che utilizzava soltanto in casa, quando non si sentiva costretto a mantenere un'aria di ferreo contegno.
“Buonasera a te Tom. Perdonami se ti ho spaventato, non era mia intenzione”
Quando lentamente preso posto nella poltrona di fronte a lui, quel viso illuminato dalle fiamme gli parve più stanco e antico che mai, rivelando una tristezza profonda che raramente era riuscito a scorgervi.
“Signore, se preferisce me ne vado” indugiò per un attimo, incerto su cosa dire.
“Non importa Tom, non importa... Resta qui a far compagnia ad un povero vecchio” rise l'uomo, appoggiandosi allo schienale con una mano premuta sul cuore, come se un improvviso dolore l'avesse colto.
“Non troppo vecchio signore” tentò di sdrammatizzare il ragazzo, osservando uno degli elfi domestici strisciare silenzioso al cospetto del padrone, sospingendo sul tavolino un vassoio corredato di calici e bottiglia.
“Non parlo degli anni ovviamente, certo che no... Ma degli avvenimenti. Sono quelli a farti invecchiare Tom, ci rendono vecchi dentro, se mi intendi” sospirò, riempiendo un bicchiere e passandoglielo, lasciando cadere le parole nel silenzio.
“Mia moglie assomigliava molto a Pearl, non trovi?” chiese dopo un lungo momento, distaccando a fatica gli occhi dalle fiamme, le labbra che ancora non aveva sfiorato il bicchiere.
“Molto signore... Sono davvero identiche” convenne Tom.
“E al contempo così sorprendentemente diverse... L'ambiente in cui nasciamo pregiudica sempre il nostro carattere, Tom”
“Se posso permettermi signore.... Pearl mi ha detto che sua madre non ha mai frequentato Hogwarts...” esordì facendosi trasportare dalla curiosità, ma senza dimenticare la dovuta prudenza, saggiando il terreno con una voluta esitazione nella voce.
Ma forse ciò che davvero l'uomo desiderava era lasciarsi trascinare dai ricordi.
“Ed è la verità. Mia moglie non era una donna come le altre, né tanto meno una strega comune...  Era nata nella brughiera irlandese, cresciuta nelle lande più buie. Da subito mi misero in guardia da lei, mi dissero che discendeva da una famiglia dedita alla magia più oscura, che aveva avuto parentele fin troppo ingombranti... ma nulla poté farmi desistere dal mio piano"
Sospirò, il capo rivolto al ritratto.
"Quando mi accorsi che i miei sentimenti erano ricambiati, fu il giorno più bello della mia vita. Ma con il tempo tutto andò a rotoli... Penso Pearl ti abbia accennato alla sua morte” raccontò con un sospiro profondo, come se ogni parola avesse il potere di ferirlo e logorarlo.

Il giovane si limitò ad annuire, l'espressione rapita.
“Era la creatura più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita, ad Hogwarts non c'erano ragazze come lei, né in tutta l'Inghilterra a dirla tutta... Raramente trovavo la forza anche solo per staccarle gli occhi di dosso. Ma mi resi conto troppo tardi che nutriva per la sua bellezza una devozione esagerata. All'improvviso non vi era giorno in cui non temeva di vedersela strappare dallo scorrere del tempo. E a questo non vi fu rimedio... non potei niente per fermarla”
La voce dell'uomo si affievolì sino a sparire, sprofondando in un silenzio gonfio di angoscia e un dolore di vecchia data, antichi eppure sempre nuovi.
“Mi dispiace signore” sussurrò il ragazzo, realmente costernato di fronte a quell'uomo addolorato, ma ancora pieno di tanta dignità.
“Ti chiederai perché ti sto rivelando le memorie di un povero vecchio... Vedi Tom,  talvolta Pearl mi ricorda eccessivamente sua madre, in una maniera che mi sconcerta e sì, spesso mi spaventa. Mi rifiuto di credere che in un futuro neanche troppo lontano voglio tentare la sua stessa strada” disse l'uomo poco dopo, recuperando l'uso della voce e rivolgendogli un'occhiata limpida e piena di serietà.
“Tu sei suo amico, e avete legato molto in quest'anno. Ti prego, promettimi di vegliare su di lei”
Tom accolse la richiesta dell'uomo con occhi attenti e consapevoli, il viso poggiato su una mano con fare meditativo. Riconosceva la richiesta di un'anima disperata, e su quella non v'era dubbio; si aspettava quasi di udire una supplica imbellettata con una frase gentile... Che non tardò ad arrivare.
“Sappi che ti sarei infinitamente riconoscente Tom... E un uomo d'onore ripaga sempre i suoi debiti” sussurrò Damocles Ballantyne, osservando il viso impassibile del ragazzo aprirsi in un tenue sorriso.
“Signore, non dovreste neppure chiedermelo. Tengo molto a Pearl, non permetterei mai che le accadesse nulla di male” recitò alla perfezione, la voce divenuta una perfetta parodia di preoccupazione e dolcezza. I suoi occhi non rivelarono l'improvvisa bramosia che l'aveva animato al solo udire la parola “debito”, le sue parole non tradirono il desiderio di imporsi su quell'uomo, la necessità di ottenere ciò che andava cercando da tempo.
“Tuttavia signore... no certo, non voglio sembrarvi inopportuno con questa richiesta, che sciocco parlarne ora” esordì, commovente quasi in tutta la sua esitazione.
Il padrone di casa sgranò gli occhi, quasi non credesse di poter ricambiare così presto la gentilezza di quel giovane così compito e beneducato, che trovava una compagnia più che ideale per la sua giovane figlia.
“Tom ti prego sei mio ospite, non farti alcun genere di scrupolo” lo esortò.
La voce del ragazzo tremò impercettibilmente, scossa da una profonda aspettativa.
“Vede signore, lei sa che sono orfano... ma sono alla ricerca del mio passato e della mia famiglia, e desidererei tanto cercarla, o perlomeno localizzare le mie radici. Crede che potrebbe aiutarmi?” chiese, in una fedele imitazione di una voce sull'orlo delle lacrime.
“Ma ragazzo mio, non vedo dove sia il problema! Così come tu ti sei impegnato con me, sarà un piacere aiutarti a ritrovare le tue origini. Sai per caso qualcosa, un riferimento, un nome magari?”
Tom sorrise intensamente, una gioia maligna che si propagava dentro di lui come veleno.
“Gaunt, signore. Il nome della mia famiglia materna è Gaunt”
E mentre il signor Ballantyne gli assicurava tutto il suo aiuto e la partecipazione, Tom si limitò ad annuire e ringraziare, conscio che sarebbe stata solo una questione di pochi giorni prima che la sua sete di notizie venisse saziata.
E in ogni caso, a tempo debito, avrebbe cancellato anche la sua memoria.


“No joy would flicker in her eyes
Brooding sadness came to a rise
Words would falter to atone
Failure had passed the stepping stone
She had sworn her vows to another

Nessuna gioia tremolerebbe nei suoi occhi
Sorge una tristezza covata
Le parole vacillerebbero ad un espiazione
Il fallimento ha passato il limite
Lei ha fatto i suoi voti ad altri”
[Face of Melinda, Opeth]






Nel Derbyshire la stagione estiva non conosce la clemenza. Il gelo dei Pennini e l'umidità delle Midlans giunge sino al cuore della regione, aggiudiandosi la capacità di raggelare persino una serata di metà agosto.
Quando quel giorno Pearl raggiunse Tom nella sua stanza era ormai l’imbrunire, la luce del mondo che si esiliava con lentezza esasperante oltre la linea dell’orizzonte.
Entrambi i ragazzi indossavano di comune accordo capi pratici, scuri e pesanti; i loro occhi celavano una risoluta decisione.
“Ufficialmente siamo appena usciti”
“Hanno fatto domande?”
“No”
Tom annuì soddisfatto, il tono pragmatico di Pearl esaudiva le sue aspettative: tutto stava procedendo secondo i suoi piani.
“Le indicazioni di tuo padre sono state eccellenti: Little Hangleton non dista molto dalla cittadina di Stockton-on-Tees, poco lontano dalla linea ferroviaria; con due orette di volo dovremmo esserci”
Pearl si appoggiò al davanzale, l'ultimo tiepido raggio di sole che gli sfiorava il viso.
“Gli hai già cancellato la memoria, vero?”
“Naturalmente”
Si lasciò andare ad un lungo sospiro, conscia che il suo dissenso non rientrava negli interessi del compagno.
Eppure si trovava lì accanto a lui, pronto a seguirlo anche in capo al mondo se fosse stato necessario.
Il momento in cui era ancora proprietaria della possibilità di tirarsi indietro apparteneva ormai al passato:  si era addentrata fin troppo nella conoscenza di Tom per poter anche solo ipotizzare di abbandonarlo, considerando inoltre che lui non l'avrebbe permesso mai e poi mai.

Fu per questo che, nonostante l'inquietudine e il vago sentore di una tragedia imminente, quando uno dei suoi elfi domestici varcò silenziosamente la stanza per porgerle le scope, l'afferrò senza il benché minimo cenno di esitazione.
“Impaziente di partire vedo” le fece notare il ragazzo quando furono entrambi sul davanzale della finestra, osservando il paesaggio dinnanzi a se, verdi lande ormai sprofondato nel buio.
“Via il dente, via il dolore” ribatté la ragazza impassibile, dandosi la spinta con i piedi.
Ma solo quando furono in volo fu evidente che nessuno dei due era preparato a intraprendere viaggi di estesa lunghezza: ad entrambi pareva di languire nel buio, e smarrire l'orientamento era fin troppo facile, facendo apparire come una massa identica le città sottostanti.
Un freddo infido e sottile si infilava attraverso gli abiti, serpeggiando lungo i loro corpi, stordendoli e costringendoli ad abbassarsi pericolosamente di quota per un numero imprecisato di volte. Svariati furono gli sguardi insicuri, i malcelati tentativi di conforto, le continue soste a mezz’aria per cercare di orientarsi con l’ausilio dell’incantesimo quattro punti.

Ma infine, dopo quelle che parvero diverse ore di crescente tensione,  riuscirono ad atterrare più o meno furtivamente in quello che pareva essere un crocevia tra due strade di terra battuta.
Entrambi restarono per un attimo immobili, intenti a sfregarsi le braccia gelide ed intorpidite, attendendo con placida impazienza che i loro occhi si abituassero alla penombra orlata dalla luce della luna.
Gettandosi uno sguardo tutt'intorno individuarono a pochi metri da loro un alto cartello di legno, semi intrappolato tra i rovi del lato sinistro della strada: indicava a vaghe lettere mal abbozzate “Great Hangleton, 5 miglia” verso le loro spalle, e “Little Hangleton, 1 miglio” dritto davanti a loro.
“Da qui in avanti sarà meglio camminare” suggerì Pearl, quasi a sua volta fosse intimorita di infrangere quell'atmosfera vellutata, sussurrando un “lumos” alla sua bacchetta.
Il silenzio profondo era colmato solamente dai quieti fruscii prodotti dal vento che si infilava tra le ampie siepi, l'unico elemento del paesaggio che fu visibile per lungo tempo.
Solo quando la strada piegò a sinistra, e iniziò a seguire il ripido fianco dell'altura, un’intera valle si parò dinnanzi ai loro occhi: Pearl distinse la moltitudine di fievoli luci di un villaggio, senza alcun dubbio Little Hangleton, annidato tra due erte colline; la chiesa e il cimitero si riuscivano a distinguere chiaramente anche con il buio.
Più in alto, sulla collina che dominava la cittadina, vi era una grande dimora elegante, circondata da un ampio parco alberato.

Ma entrambi sapevano di non doversi dirigere al villaggio, e non si stupirono affatto quando procedendo scorsero uno stretto viottolo scosceso tuffarsi tra le siepi, in quel punto particolarmente alte e selvatiche. Stretto e pieno di sassi e buche, scendeva giù per la collina diretto verso una macchia di alberi scuri, non troppo distante da loro. Solo quando vi si trovarono dinnanzi riuscirono a distinguere, incuneata tra gli alti faggi secolari, una costruzione: chiamarla casa sarebbe stato inverosimile, l'aspetto così decrepito e pericolante da scoraggiare qualsiasi visitatore. I muri erano ricoperti da ampi strati di muschio e il tetto era quasi del tutto privo di tegole, tanto che era possibile intravedere le travi interne.
Per un attimo Pearl si chiese come fosse possibile che quel rudere fosse ancora abitato, e fu tentata di convincere Tom a desistere dall'intento di entrarvi; ma lo sguardo del giovane era fermo e risoluto contro quelle finestre sporche e annerite dal fumo. Vi sarebbe entrato ad ogni costo.
“Seguimi” si limitò a ordinare un attimo dopo.
Avanzarono lentamente, accompagnati dal sordo scricchiolio di strati e strati di foglie secche accumulati nel tempo. Vicino all’ingresso era posato un lume vecchio ed annerito, che Tom considerò più prudente utilizzare, accendendolo con un tocco di bacchetta.
“Stai indietro” le intimò lapidario, senza voltarsi.
“Cosa?”
“Se davvero qui dentro vive ancora qualcuno, stai indietro: non voglio che ascolti”
Pearl azzardò una protesta, ma il ragazzo la ignorò, aprendo la porta con un sonoro cigolio e affacciandosi nel buio di quella dimora sconosciuta.
La ragazza avvertì immediatamente un'ondata di panico travolgerla non appena la porta si chiuse con un tonfo dietro il passaggio di Tom, mentre dall’interno dell'edificio proveniva un chiaro urlo.
“TU!” udì abbaiare una voce rauca e maschile, accompagnata dallo sbatacchiare e dal tintinnio di quelle che parvero diverse bottiglie di vetro picchiate tra loro.
Poi improvvisamente più nulla, solo nuovamente un opprimente silenzio.
Pearl alzò la bacchetta dinnanzi a sé, avvicinandosi a tal punto all'uscio da potervi incollare l'orecchio, tentando di recuperare un minimo di autocontrollo ma risultando così nervosa da essere incapace di trattenere il tremito alle gambe.
Rimase immobile e con il capo teso in ascolto per quelli che le parvero minuti infinitesimali, finché non udì provenire dall’interno un gemito e il rumore sordo di un corpo che cade al suolo.
Immediatamente afferrò la porta e non senza fatica riuscì a spalancarla, infilandosi nella stanza con incredibile prontezza. Ma quello che le si parò davanti le fece spalancare la bocca dallo stupore: al centro di un sordido tugurio sporco e dall’odore nauseabondo, un uomo era riverso a terra di fronte allo sguardo indifferente di Tom.
“Cosa diavolo è successo?” sussurrò la ragazza, osservando quell’ammasso di stracci e lunghi capelli sporchi abbandonato a terra, con ancora un pugnale e una bacchetta stretti tra le mani.
“Pearl, permettimi l'onore di presentarti mio zio, Orfin Gaunt” proferì Tom con tono teatrale pieno di sarcasmo.
Con un calcio improvviso rivoltò il corpo, rivelando un viso quasi del tutto nascosto da una barba scura, annodata e cespugliosa.

“Come vedi la mia famiglia si è un po’ lasciata andare col tempo”
Pearl si avvicinò, osservando il bel volto del giovane che nulla aveva a che vedere con i tratti grevi e volgari dello zio, che parevano seguire linee ,male azzardate, quasi fossero stati disegnati per capriccio.
“Perché l’hai schiantato?” chiese, lo sguardo che cadde incuriosito su una di quelle mani sudice, che recava ad un dito un anello d'oro finemente lavorato, con una grande pietra nera al centro.
“Perché sto per compiere un incantesimo su di lui, e considerando che è tutt'altro che semplice persino per me, ho bisogno che tu ora mi ascolti attentamente ed esegua alla lettera quanto sto per dirti”
Prima che Pearl potesse anche solo voltarsi stupita, il ragazzo l’aveva già presa per le spalle e conficcato gli occhi nei suoi, quasi volesse assicurarsi della sincerità della giovane nel momento in cui avrebbe assentito; risposte negative non erano più ovviamente contemplate.
“Prima, quando stavamo venendo qui, abbiamo intravisto una grande villa sulla collina.  Sono certo tu l’abbia vista, hai occhio per le belle cose” esordì il giovane, più freddo e deciso che mai.
“Sì certo, ma non capisco cosa...”
“Voglio che tu ora prenda la scopa e ti diriga là, il più velocemente possibile. Sono stato chiaro?”
Per un attimo Pearl faticò a sostenere il suo sguardo, tanta era l'intensità del comando che le stava per impartire.
“Che cosa devo fare?” chiese infine.
“E’ semplice: voglio che tu faccia la conoscenza dei miei ultimi parenti in vita, i miei nonni paterni e mio padre in persona” concluse perentorio, sorridendo lievemente come pregustando un imminente piacere.
Pearl spalancò gli occhi in un lampo di comprensione, e non fu necessario che Tom si chinasse al suo orecchio per sussurrare il suo unico chiarimento.
“Scopri come mia madre sia riuscita a sposare quell'uomo. E poi mi sembra corretto permettergli di scambiare due parole con qualcuno, prima che io li uccida”
Pearl indietreggiò lievemente, sfuggendo la sua presa quasi volesse sottrarsi a quel dovere, prima che lui le afferrasse il mento per imporsi nuovamente.
“Tempo fa, se ben ricordi, hai giurato che mi avresti ubbidito... Non costringermi a diventare più persuasivo” ringhiò quasi, stringendo la bacchetta.
“Avevo anche detto che avrei seguito la mia volontà, quello che tu stai facendo è...”
“Un ordine, che tu eseguirai senza fiatare. La tua volontà non esiste Pearl, è solo una tua sciocca idea per convincerti di essere ancora capace di distinguere tra bene e male, tra ciò che tu vuoi e io voglio”
Sciolse la stretta, consapevole che mai e poi mai la ragazza sarebbe fuggita, come infatti accadde: rimase lì dinnanzi a lui, ferita nell'orgoglio ma prevedibilmente piegata al suo volere.
“Ora vai, ti raggiungerò a breve”
Pearl si limitò a voltargli le spalle, afferrando la scopa, ma prima di infilare la porta gli lanciò un ultimo sguardo in tralice.
“Se ciò è quanto desideri, lo farò. Solo vedi di non metterci troppo tempo: se i tuoi parenti sono come te, non sarà un gran piacere rivolgergli la parola” concluse in un eroico tentativo di colpirlo e sfogare il proprio malcontento.
Tom le rivolse un sottile sorriso sardonico.
“Non temere Pearl: presto inizierai ad apprezzare che ogni cosa abbia il suo tempo.”




“Why am I loved only when I'm gone?
Gone back in time to bless the child
Think of me long enough to make a memory
Come bless the child one more time
How can I ever feel again?
Given the chance would I return?

Perché vengo amato solo quando non ci sono più?
Indietro nel tempo per benedire il bambino
Pensami abbastanza a lungo da farne un ricordo
Vieni a benedire il bambino ancora una volta
Come posso ancora provare dei sentimenti?
Tornerei se mi fosse data la possibilità?”
[Bless the Child, Nightwish]





Le piccole mani si torcevano tra loro nervose, gli occhi saettavano da un capo all'altro della sala analizzando l’ambiente circostante in un vano tentativo di distrarsi: mobili di legno massiccio, velluti a profusione, argenteria in bella vista, quadri dalle cornici intarsiate d'oro...
L’unica “casa” babbana che aveva avuto l'occasione di ammirare fino a quel momento era stata l’orfanotrofio londinese di Tom, ma nulla poteva esser più diverso e lontano da quel luogo.
La famiglia paterna di Tom era ricca e senz'ombra di dubbio nobile. E totalmente, indiscutibilmente babbana.
Avvertiva il lieve peso della bacchetta più ingombrante che mai nella propria tasca, quasi dovesse esser lei a determinare vita e morte degli abitanti di quella dimora.
Perché colui che le aveva aperto la porta di casa altri non era altri che Thomas Riddle, il nonno di Tom, con cui spartiva una vaghissima somiglianza.
Ma per il restante appariva come un uomo ordinario e straordinariamente burbero, che non aveva esitato a trattarla sgarbatamente sin da quando le aveva rivolto la parola; in quel momento si limitava a lanciarle continue occhiate sospettose da dietro un giornale, utilizzato quasi con la stessa funzione di uno scudo.
“Signorina, dicevo... eravamo diretti a cena e non ci aspettavamo ospiti. Mi spiace non poterle offrire un rinfresco, ma come vede oggi i domestici hanno deciso di prendersi un giorno di pausa” commentò l'uomo a mezza voce, con aria più che contrariata.
“E non sai quanto dovresti esserlo, non sai quanto” pensò Pearl a malincuore, considerando tuttavia la fortuna di non avere scomodi testimoni.
In quel momento avvertì alle proprie spalle un rumore di passi attutiti, e voltandosi vide comparire sulla soglia del salottino una donna anziana e un uomo sulla mezz'età.
Il signor Riddle si alzò a sedere con uno scatto ansioso, osservando con sollievo i nuovi arrivati.
“Eccovi! Signorina, questi sono mia moglie Marilina e mio figlio Tom” addusse con un gesto nervoso.
Sin da subito Pearl avvertì su di sé lo sguardo rapace della donna: alta e secca, i capelli grigio ferro stretti in una crocchia e gli occhi che la esaminavano con freddezza.
Occhi scuri, occhi di tenebra; gli stessi occhi di Tom.
“Che cosa vuole?” chiese immediatamente, gelida e perentoria con il tono di chi è abituato a comandare.
Prima che il marito potesse anche solo nominarla, Pearl lo precedette.
“Il mio nome è Pearl Ballantyne, signora. Sono qui per parlare con voi di un qualcosa che forse dovrebbe stare maggiormente a cuore a suo figlio” esordì con un'improvvisa baldanza di cui rimase stupita.
“Mio figlio? Che cosa c’entra mio figlio, lei chi è?” domandò ancora, evidentemente oltraggiata da quella mancanza di rispetto.
“Calmatevi madre, vi prego non scaldatevi. Sediamoci e ascoltiamo ciò che ha da dire questa ragazza”
Colui che offriva ancora il braccio alla donna in modo tanto ufficioso era chiaramente il padre di Tom: la loro somiglianza era sconvolgente. Se non fosse stato per gli anni di differenza, le rughe sottili attorno alla fronte e una leggera tendenza alla pinguedine, sarebbero stati pressoché identici.
“Mi perdoni se le domando nuovamente chi è lei, e con quale diritto è entrata in casa mia” disse a sua volta, stupendo la giovane persino con la tonalità della voce, tanto simile a quella del figlio.
Periva però del tono di comando così tipico di Tom, e anzi Pearl provò una sottile soddisfazione nell'accomodarsi meglio sul divano, accavallando le gambe e guardandolo quasi con sfida.
“Vede, con tutto il rispetto chi io sia non ha la benché minima importanza. Ciò che dovrebbe premerle è quanto io so... Sarò diretta, signor Riddle: il nome Merope le ricorda nulla?”
Non riusciva a capacitarsi del suo tono arrogante, dell'insolente capacità di improvvisazione appena acquisita, ma gioì segretamente nell'osservare il viso dell'uomo divenire bianco come un cencio.
Per un attimo aprì e chiuse la bocca senza proferire alcun suono, limitandosi infine a crollare a sedere sul divano, accanto ai genitori egualmente attoniti.
“Vedo che a quanto pare ho riscosso la sua attenzione”
“Lei che diavolo sa di…” chiese l'uomo recuperando l'uso della parola, ma Pearl non esitò ad interromperlo.
“…Di sua moglie? Suppongo non si sarà disturbato ad annullare il matrimonio, quindi fino a prova contraria sarebbe ancora sua moglie. Se solo non fosse morta, ovviamente”
Un incredulo stupore si dipinse sul volto della signora Riddle.
“Quella donna orrenda è morta?”
Pearl le rivolse un'occhiata di profondo disprezzo.
“Merope Gaunt è morta di stenti sedici anni or sono, la notte del 31 dicembre 1926, probabilmente nell’esatto momento in cui voi stappavate una bottiglia di champagne per brindare al nuovo anno”
Improvvisamente si sentì cogliere da una profonda rabbia nei confronti di quelle tre persone, una collera legata a doppio filo a qualcos'altro, un sentimento su cui non riusciva a far chiarezza, faticando persino a trovargli un nome.
“Come si permette di rivolgersi a noi in questo modo? Se ne vada!” proferì la signora Riddle, alzandosi nel tentativo di apparire più imponente.
Ma a riscuotere maggior effetto fu la bacchetta istantaneamente comparsa nella mano di Pearl, puntata contro di loro senza che ci fosse neppure il bisogno di alzarsi dal divano.
Il viso dei due anziani rispecchiò per un attimo lo sconcerto, ma il figlio si schiacciò fulmineo contro lo schienale, quasi desiderasse solo allontanarsi il più possibile da lei.
“Vedo che qualche ricordo di Merope le è rimasto, signor Riddle” disse Pearl, sorridendo per la prima volta.
“Se non vuole che le rinfreschi la memoria, ordini a sua madre di tacere e tornare a sedersi”
“Quale ricordo? Che cosa sta facendo, Tom?” chiese il padre allarmato, prontamente interrotto da un secco gesto del figlio.
“Madre sedetevi, per l'amor di Dio” rispose il signor Riddle terrorizzato, con gli occhi puntati sulla bacchetta, incerto se alzare le mani in segno di resa come di fronte ad un’arma da fuoco.
Nella stanza cadde il silenzio, e per la prima volta Pearl assaporò la sensazione di imporsi a sangue freddo su qualcun altro, utilizzando unicamente il potere ottenuto mediante la minaccia.
“Io vorrei capire signor Riddle come'è possibile che Merope Gaunt sia potuta morire da sola, e per di più in incresciose condizioni, quando era ancora sua moglie” esordì, roteando la bacchetta su di lui.
“E per essere più chiara: esigo una risposta”
Osservò l'uomo deglutire, gli occhi che saettavano attraverso la stanza, ma senza mai staccarsi per più di un secondo dalla bacchetta.
“Io e Merope ci eravamo lasciati” borbottò a disagio.
“E quindi ha trovato giusto abbandonarla a sé stessa?”
“Lei non era stata sincera con me…”
“In che senso? Non la sento signor Riddle, alzi la voce” comandò seccamente, alzando la bacchetta.
Tom Riddle era chiaramente a disagio, le mani che si sfioravano tra loro nervose come se cercasse di trovare, creare, carpire le parole. Era evidente che fosse la prima volta che veniva costretto ad affrontare quell'argomento.
“Lei era pazza di me, ma non mi aveva mai detto... Insomma, io non volevo... Mi aveva fatto qualcosa! Non sarei mai scappato con una donna del genere di mia spontanea volontà, era sgradevole, e per di più povera! Ma non era ciò che sembrava... mi aveva stregato” l'ultima frase la sussurrò con un filo di voce, completamente braccato da ricordi che dovevano risultargli incresciosi.
“Così lei ha abbandonato sua moglie quando ha scoperto che possedeva poteri magici?” chiese Pearl nauseata.
“Poteri magici? Tom per l’amor del cielo, cosa diavolo sta dicendo?” intervenne la madre esasperata, accolta da una gelida occhiata della giovane.
“Mi pare di averle chiesto di stare in silenzio. Signor Riddle, quando lei ha abbandonato Merope, era al corrente che fosse incinta?” domandò infine, raggiungendo il punto saliente della conversazione.
Questa volta fu il padre a tentar di intervenire, ma a  Pearl bastò solamente sollevare la mano in un gesto di comando.
“Devo per caso ripeterle la domanda?”
“Sì...”
Il signor Riddle chinò la testa, passandosi una mano sulla fronte come se stesse sudando freddo.
“Sì cosa?” lo incalzò Pearl.
“Sì, sapevo che aspettava un bambino”
Per un attimo i due coniugi si guardarono come istupiditi, quasi non riuscissero a credere a quelle parole.
Ma infine a infrangere il silenzio fu la rabbia di Pearl, che esplose con una violenza tale che costrinse il signor Riddle a rattrappirsi su sé stesso.
“E ha osato lasciarla ugualmente! Ha abbandonato a sé stessa una donna incinta e senza mezzi!  Che razza di uomo è lei?!”
“Io ero troppo giovane e... avevo delle responsabilità, un nome da difendere!” tentò di giustificarsi vanamente.
“Il suo buon nome l’ha perso nell’esatto momento in cui ha abbandonato sua moglie e suo figlio! Ma si guardi: alla sua età ancora vive ancora con i suoi genitori, nonostante abbia sulle spalle un peso che nessuna loro moina potrà mai cancellare” disse sollevandosi, dominandoli nonostante l'esigua altezza, come se la collera le avesse donato parecchi centimetri in più.
“Mi guardi! Io sono una strega, esattamente come sua moglie, ed esattamente come suo figlio. Perché sì, nonostante i suoi ammirevoli sforzi per condannarlo a morte, lui è sopravvissuto” lo accusò ansimando, scossa da un tremito rabbioso.
“E sono sicura che dopo quanto ho saputo sarà più che felice di scambiare due parole con lei” aggiunse sprezzante.
“Su questo ci puoi giurare”
Le teste dei presenti si voltarono come un corpo solo verso la porta del salotto, e lo spiraglio che l'aveva sino ad ora lasciata socchiusa si spalancò sino a consentire la vista di Tom, intento a rimirare la scena con glaciale freddezza.
“Non è stato difficile trovarvi Pearl, il tuo ardore per la mia causa si udiva sin dall’atrio” si limitò a dirle, rivolgendole appena lo sguardo.
 Pearl indietreggiò istintivamente, lo sguardo di chi presagisce un'imminente catastrofe e prova la curiosa sensazione di voler seguire e nascondersi al contempo.
“Salute, padre” disse Tom avanzando a larghi passi, fronteggiando il proprio genitore.
Era impossibile non rimaner colpiti dalla straordinaria somiglianza: faccia a faccia erano l'uno l’esatta coppia dell’altro, solo con diversi anni di differenza e labbra incurvate da un sorriso di perfidia
Gli occhi neri di Tom, identici a quelli del padre, gridavano vendetta, mentre quel viso tanto simile al suo era animato dallo sgomento.
“Tu sei...”
“Tuo figlio, Tom. Persino il tuo nome ho ereditato, assieme alla sciagura del tuo sangue”
Poi senza indugiare oltre voltò il capo verso i due anziani.
I signori Riddle sembravano entrambi paralizzati dallo stupore, gli occhi che oscillavano dal figlio a quell'inaspettato nipote con un misto di curiosità ed orrore.
Parevano aver perso l'uso della parola e sussultarono quando Tom si rivolse a loro.

“Devo dedurre che voi due siate i miei nonni paterni... Non nutro alcun genere di sentimento nei vostri confronti, ma ritengo che sia più conveniente eliminarvi” disse incolore, gettandogli appena uno sguardo colmo d'indifferenza.
Prima che uno dei due potesse anche solo capire l’entità di quell'ultima frase, Tom mosse la bacchetta in una sferzata, pronunciando per la prima volta un incantesimo che, lo sapeva, sarebbe presto diventato il suo prediletto.
“Avada Kedavra!”
La figura del vecchio signor Riddle scivolò a terra con un tonfo senza emettere alcun lamento.
Due suoni succedettero un istante dopo: dapprima l’urlo della moglie, subito mozzato dal medesimo incantesimo prima ancora che avesse compiuto il suo arco; e l'altro fu il gemito d’orrore scaturito come di sua spontanea volontà dalle labbra di Pearl.
Le mani le erano subito corse alla bocca, quasi volesse riappropriarsi di quel verso e ricacciarlo dentro la propria gola, ma i suoi occhi rimasero ugualmente fissi e stupefatti sulla scena.
“Non scaldarti troppo Pearl, stai per farci l’abitudine”
Lo sguardo di Tom era fisso sul padre, e l'intensità che emanava fece intuire a Pearl che il peggio doveva ancora arrivare.
Il signor Riddle aveva assistito alla scena con l'orrore dell'impotenza, ma in quel momento, osservando quegli occhi identici ai suoi appuntarsi su di lui, parve recuperare un minimo di autocontrollo, che lo spinse ad indietreggiare abbandonando il punto della sala in cui si trovava.
“Stai lontano da me, non osare avvicinarti!” lo avvisò scosso dal terrore, suscitando il riso del figlio.
Perché Tom rideva, una risata totalmente priva di allegria, talmente agghiacciante che Pearl si sentì prendere dal panico quasi fosse lei stessa la vittima.
“Ma come papà, dopo tutto questo tempo non sei felice di rivedermi?” chiese Tom, ostinandosi ad avanzare verso di lui, la bacchetta che volteggiava dolcemente dinnanzi a sé in un balletto di finte e morte.
“Vattene, stai lontano da me, mostro! Tu non sei mio figlio!”
A quell'ultima frase Tom parve arrestarsi, la risata interrotta pronta a disciogliersi.
“Credimi, neanch'io vorrei essere tuo figlio, ma guarda... ora possiamo pareggiare i conti” proseguì con uno scatto d'ira.
Con una smorfia di improvvisa comprensione, l'uomo intuì l'esatta dinamica di quanto stava per succedere, e con un incredibile slancio mosso da disperazione riuscì a raggiungere la porta, cogliendo di sorpresa suo figlio.
Fu solo questione di una manciata di secondi. Pearl vide la figura dell'uomo muoversi, afferrare la porta, infilare il piede oltre la soglia... e sentì le proprie labbra dischiudersi, ancora una volta quasi rispettassero una propria volontà.
“Impedimenta!”
Il signor Riddle cadde a terra come un corpo morto, gli arti paralizzati ad arte da un incantesimo di ostacolo.
Pearl abbassò lentamente la bacchetta, osservando incredula il suo operato.
Tom l'osservò sorpreso, rivolgendole dopo poco un largo sorriso compiaciuto.
“Vedo che stai imparando, Pearl” disse, avvicinandosi alla porta e chiudendola con un calcio.
Ma fu solo per un attimo: lo sguardo tornò sulla sagoma del padre; sulle labbra ancora un'ombra di soddisfazione, gli occhi implacabili.
“Crucio!”
L’uomo iniziò a contorcersi senza controllo, sempre più furiosamente man mano che i secondi passavano, mentre le urla si facevano sempre più strozzate e venate di disperazione.
Pearl rimase attonita di fronte alla scena, gli occhi che saettavano da quel corpo impazzito al bel viso di Tom deformato dalla rabbia, la mano che  muoveva la bacchetta con tale ferocia da parere quasi un pugnale.
“Perché l’hai sedotta e abbandonata?” e la bacchetta vibrò nell'aria con una violenta stoccata.
“Perché con il tuo sangue meschino mi hai condannato al destino di un bastardo mezzosangue?” e fu una seconda stoccata.
“Perché mi hai lasciato a marcire per tutta la vita in quel buco? Perché?!” e fu una terza; e poi un'altra e un'altra ancora, fino a quando Pearl perse il conto, fino a quando credette che l'uomo sarebbe probabilmente morto smembrato dal dolore: gli arti erano piegati in strane angolazioni, degli occhi si intravedeva solo il bianco della cornea.
E finalmente sentì che il senso di orrore superava ormai ogni altra cosa, qualsiasi altro dovere o sentimento, e inorridita si gettò contro il compagno.
“Tom, Tom, basta! Per favore, smettila!” gridò Pearl, afferrandolo per il braccio nel tentativo di fargli abbassare la bacchetta.
Il ragazzo sembrò distrarsi a fatica dal corpo malandato, ancora scosso da brividi e gemiti, che era ora suo padre, e parve persino stupito di trovare lì Pearl, come se in quegli attimi intensi si fosse dimenticato della sua presenza.
“Ti prego Tom... per favore” sussurrò Pearl, gli occhi velati da una cortina di lacrime.
Ancora ansimante, come se avesse compiuto una lunga corsa, rivolse un lungo sguardo al suo operato, sentendosi gonfiare di una sensazione indefinita, un misto di piacere e disprezzo che gli dava un vago senso di nausea.
“Morirà comunque, lo sai”
“Ma c'è un altro modo per ucciderlo...”
Furono solo quei grandi occhi scuri imploranti a spingerlo a valutare la figura accasciata sul pavimento e a darle il colpo di grazia.
Pearl chiuse gli occhi, la luce verde della maledizione senza perdono che le perforava le palpebre, e non indagò oltre mentre il ragazzo faceva lievitare i tre corpi disponendoli in una posizione più composta.
“Beh, deduco che ora possiamo andare” concluse Tom con la medesima calma di prima.
La prese per un braccio con un tocco straordinariamente gentile, premendola contro di sé.
“Torniamo a casa, Pearl”
E la giovane si lasciò finalmente condurre lontano da quella casa degli orrori.



“I wanna love you but I better not touch
I wanna hold you, but my senses tell me to stop
I wanna kiss you but I want it too much
I wanna taste you but your lips are venomous poison
You're poison, running through my veins
You're poison, I don't wanna play these games


Voglio amarti ma é meglio che non tocchi
voglio possederti, ma i miei sensi mi dicono di fermarmi
voglio baciarti ma lo voglio troppo
voglio assaporarti ma le tue labbra sono maligno veleno
sei veleno che scorre nelle mie vene
sei veleno, non voglio giocare a questi giochi
[Poison, Alice Cooper]


 
Il buio della notte che premeva contro i vetri delle  finestre quella notte era di una violenza inopportuna.
Un gelo sottile penetrava attraverso le quattro mura di quella casa, ma Pearl era perfettamente a conoscenza che il freddo, rimastole appiccicato addosso come una seconda pelle, nulla aveva a che vedere con il clima.
Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse accaduto quella notte.
Più camminava avanti e indietro per la sua camera nel tentativo di scaldarsi, più si scopriva incapace di prendere atto di ogni singolo gesto compiuto. Nella sua testa era tutto un vorticare di immagini, riprese di attimi che non facevano altro che confonderla maggiormente, gettandola in uno sconforto tale da renderla persino incapace di piangere e sfogarsi.

E di ciò fu grata, poiché nonostante la tarda ora sentiva la terribile urgenza di affrontare quella notte, di confrontarsi con lui, di capire cosa dannatamente sentiva o avrebbe perlomeno dovuto sentire in quel momento.
Percorse i corridoi della sua dimora in religioso silenzio, raggiungendo la camera di Tom e colpendola in uno sfiorar di nocche; non dubitava fosse ancora sveglio, e quando infatti aprì la porta di uno spiraglio, lo intravide immobile seduto sul letto.
“Sapevo saresti venuta” sussurrò non appena si fu chiusa la porta alle spalle.
“Cosa te l'ha fatto pensare?”
Tom rise appena, lanciandole uno sguardo derisorio.
“Sei un tale libro aperto, Pearl... Il senso di colpa ti di dipinge sul viso in modo delizioso”
La ragazza gli si avvicinò, dondolando le braccia come se fosse stata incerta su quanto dire.
“Questa volta credo sia diverso”
“Ah sì? Non stai quindi piangendo sulle nostre mani lorde di sangue?”
“Non credo di sentirmi come dovrei”
“Tu non ti senti mai come dovresti, Pearl”
Il ragazzo sospirò e Pearl tacque, rimuginando.
“E tu invece come ti senti?”
Tom inclinò la testa, osservandola con sguardo divertito.
“Vuoi davvero sapere come mi sento? Mi sento bene, mi sento esattamente come sapevo che mi sarei sentito: meravigliosamente bene” rispose in un soffio, riconoscendo l'implicita sfida posta nella domanda.
“Quindi deduco che tu sia straordinariamente privo di sensi di colpa”
“Non osare farmi la morale Pearl, tu sei colpevole quanto me!”
La giovane tacque ancora, gli occhi posati sull'anello finemente lavorato che Tom portava al dito, un gioiello che certamente prima non possedeva.
“Lo so. So quello che ho fatto, so che questa volta l'ho voluto io” disse infine, cogliendo un certo stupore nello sguardo del ragazzo.
“Io ho deciso di accompagnarti. Io ho parlato con i tuoi parenti. Io ho bloccato tuo padre. Io, io e sempre io. E' solo che... questa volta penso di non sentirmi così in colpa. Non mi pento di ciò che ho fatto” concluse infine, evitando il suo sguardo.
Ma dopo un lungo momento si accorse che Tom l'osservava quasi ammirato.
“Beh, questo sì che è una sorpresa” commento. “Non ti sarai forse votata alla mia causa?”
“Il modo in cui parlavano, come tuo padre si è comportato con tua madre... Penso solo che in fondo se la sono cercata”
Quella frase strappò un sorriso al giovane, un sorriso che prestò mutò in un riso silenzioso e autentico.
“Non c'è niente di divertente!” lo redarguì lei.
“Ma certo che c'è, Pearl! Ti sei forse eletta a paladina della giustizia?”
Ma pearl non sorrideva, anzi si sentiva animata da un'improvvisa rabbia per la reazione del compagno.
“No mi spiace, quello lo lascio a te. Questo non è l'ultimo omicidio che commetterai, vero?”
La risata svanì così com'era comparsa, e Tom tornò serio di colpo.
“Perché mi domandi un'ovvietà?”
“Non mi sembrava fosse così ovvio”
“Percorrere questa strada significa metterlo in conto, Pearl”
Pearl si avvicinò di un passo appena, l'espressione insicura di chi è consapevole di sa di star compiendo il passo più lungo della gamba.
“E tu desideri ancora che io sia presente su questa strada?”
I loro occhi si incontrarono, calcolandosi a vicenda con la stessa attenzione di due animali che si fronteggiano; Pearl vi scorse decisione, Tom vi intravide arrendevolezza.
Ed entrambi sentirono chiaramente qualcosa accendersi, arpionargli le viscere come in una morsa, ricordando ad entrambi una notte rimasta in sospeso, tanti mesi prima.
“Sì. E tu?”
"Da quando ti interessa la mia opinione?"
Tom si alzò con improvviso impeto dal letto, prendendola per le spalle e attirandola facilmente a sé.
"Da adesso"
Un accenno di sorriso si disegnò sulle labbra sottili di Pearl.
"Sì"
L'afferrò per la vita, stringendola e baciandola con una passione tale che poco differiva dalla violenza, sentendola fremere per un attimo quasi volesse divincolarsi e fuggire.
Ma Pearl non si sarebbe sottratta per nulla al mondo a quella presa, e anzi si ritrovò a rispondere con altrettanta convinzione.
Entrambi sapevano perfettamente che tutto era diverso da quella lontana sera d'ottobre: nessuna costrizione, nessun divieto veniva loro imposto in quel momento; diversi erano i sentimenti, le priorità, i desideri.
Ed accettarono con sorprendente docilità che tra loro, nel corso di quei mesi intensi, fosse maturato qualcosa.

Un qualcosa che spinse le mani di Tom ad inflarsi sotto la stoffa della camicia di Pearl, carezzando a piene mani quel corpo che si ritrovava a desiderare con un'intensità quasi dolorosa.
La spogliò maldestramente come un bambino spoglia una bambola, quasi fosse la prima volta che toccava il corpo di una ragazza, ma la vide sorridere quando la spinse sul letto, schiacciandola con il proprio peso.
“Stai arrossendo” constatò quando la scorse lentamente con gli occhi, avvampando di malizia nel delineare con le dita ogni piega della sua pelle.
“Che altro ti aspettavi da una ragazza purosangue?” chiese lei con un cenno di sfida, attenta a non distogliere lo sguardo neppure quando scostò le coperte e, con voluta lentezza, scivolò sopra di lei affondando il viso nell'incavo del suo collo.
“Non avevo considerato questo tuo lato tradizionalista... Devo quindi dedurre che hai intenzione di rimandare il tutto alla tua prima notte di nozze?” chiese divertito, prendendola in giro, le dita che giocherellavano quasi distrattamente sul suo petto.
Sorrise nell'udirla gemere, gli occhi semichiusi e un sottile tremito che le attraversava impercettibilmente le labbra.
“Mi stai forse dando la possibilità di cambiare idea?” ribatté Pearl, continuando a provocarlo, azzardandosi a cingerlo con le braccia e constatando che finalmente Tom si lasciava prendere, toccare.Ogni distanza tra loro era definitivamente calata.
E per un attimo Tom si chiese se sarebbe stato come tutte le altre volte, quando non si faceva mai scrupolo del dolore altrui e anzi si divertiva a mostrare tutta la sua cattiveria, a svuotare la sua rabbia sulla povera malcapitata.

Ma Pearl ricambiava il suo sguardo con lo stesso ardore che si ha prima di un duello o di una gara, quel tipo di sguardo che cela un'insensata fiducia nella bellezza del confronto che si attende.
Che senso aveva deturpare quell'attimo, dopo quanto era accaduto quella sera? Pearl gli apparteneva già.
“No, non credo proprio” sussurrò in risposta, chinandosi per tornare a baciarla.
Per la prima volta in vita sua si scoprì capace se non di dolcezza, di una sorta di delicatezza, di accorgimento nei confronti di un'altra creatura al mondo che non fosse unicamente se stesso.
Le loro mani si incrociavano, si rincorrevano, si respingevano, e all'improvviso sembrava tutto un gioco, un provocarsi irriverente, un rendersi impazienti oltre ogni limite possibile ed inimmaginabile.
Nemmeno quando Pearl lo sentì premere dentro di lei, causandole una stilettata di dolore che quasi le strappò un lamento di dolore, quell'insolita armonia si ruppe.
La ragazza chiuse gli occhi in uno strenuo tentativo di autocontrollo, Tom la strinse maggiormente a sé.
Erano così di comune accordo che si sarebbe potuto dire che il loro rapporto fosse così da sempre, anziché il contrario.

Non fu istantaneo, graduale: il dolore scemava, si dileguava per lasciare il posto al piacere, che strisciava sotto la loro pelle infilandosi in ogni vena e in ogni arteria; e infine fu solo un groviglio di mani e arti, di coperte sgualcite e labbra che rivelavano solo gemiti e sussurri.
Fino a quando anche quelli si spensero e calò il silenzio più totale.
Pearl aprì gli occhi nel buio e seppe che anche quelli di Tom dovevano essere spalancati, ma non parlò.
Non aveva effettivamente nulla da dire; sapeva solo che da quel giorno gli doveva molto più di quanto aveva potuto anche solo immaginare.



*******


“Voldemort”
Pearl aprì gli occhi di scatto, uscendo a fatica da un viscoso dormiveglia in cui era precipitata non appena lei e Tom si erano separati.
Morbidamente sdraiata accanto a lui, ancora seminuda tra le lenzuola, gli lanciò uno sguardo confuso.
“Che cosa hai detto?” borbottò con voce impastata.
“Voldemort”
La luce dell'alba penetrava dalle tende, illuminandogli fiocamente il volto: sorrideva, estatico.
“Che significa?”
Si voltò a guardarla, allungò una mano per sfiorarle una guancia con una carezza.
“E' il mio nome, Pearl”
La giovane si alzò appena, poggiandosi su un gomito del tutto ignara della propria nudità.
“Perché?”
Il ragazzo afferrò la bacchetta sul comodino: con pochi, semplici svolazzi nell'aria comparvero tre parole scintillanti.
“Tom Orvoloson Riddle”
Pearl osservò il suo sguardo incantato mentre il nome si scomponeva e le lettere vorticanti si disponevano in diverso ordine.
“Son Io Lord Voldemort”
Tornò a guardarla, osservando la tua reazione.
“Non crederai forse che dopo stanotte terrò ancora il nome di mio padre. E' ora di dare un vero nome alla mia identità, non credi?”
Ma Pearl trovava qualcosa di sordido e maligno in quel nome, un qualcosa ch vide dipingersi sul viso del compagno mentre le sorrideva.
“Tom Riddle" diventerà solo una gradevole maschera agli occhi del mondo, ma Lord Voldemort... questo nome è destinato a grandezza” mormorò sovrappensiero, gli occhi di nuovo persi nel vuoto, certamente tesi ad immaginare un futuro forse fin troppo vicino.
Pearl gli voltò le spalle, avvolgendosi più stretta nelle coperte; improvvisamente sentiva freddo.
Non vide Tom rivolgere alla sua schiena nuda, la pelle color del latte, uno sguardo soddisfatto.
Aveva Pearl. Quella notte così piacevole aveva cambiato tutto, lo sapeva. Chi avrebbe mai detto che tra loro si sarebbe creato quel tipo di legame?
Era indissolubile, ne era certo. Con lei sarebbe stato più facile arrivare in altro, trovarsi la strada già spianata.
E dopotutto, quella notte non aveva forse dimostrato di non essere solo un oggetto, ma una compagna fidata?
Sì quel nome era destinato a grandezza, se lo sentiva. Da quel giorno sarebbe andato tutto per il meglio.
“Vedrai Pearl, quest'anno ad Hogwarts sarà ancor meglio del precedente” concluse, chinandosi per sussurrarle quelle poche parole in un orecchio, prima di lambirlo giocosamente con le labbra.
Ma gli occhi di Pearl erano incupiti, sospesi nel vuoto.
Quel giorno era nato il demonio.





COMMENTO AL CAPITOLO
Forse fin troppo lungo, questo capitolo va a raccogliere l'intera estate che Pearl e Tom trascorrono insieme. Mi sono sempre chiesa come avesse fatto Tom, a soli sedici anni,  ad abbandonare Londra per dirigersi da solo a Little Hangleton, eh beh, questa è la mia personale versione della vicenda. Da solo avrebbe potuto fare ben poco.
Ho omesso alcuni particolari ovvi della storia, come l'utilizzo della bacchetta di Orfin Gaunt, considerando che la scena dell'omicidio è vista più dal punto di vista di Pearl; mentre per l'utilizzo della magia fuori da Hogwarts mi sono affidata alla spiegazione di Silente nel Principe Mezzosangue, quando spiega che non si può intercettare da chi è compiuto l'incantesimo, nonostante la minore età, fuori dalle mura della propria casa.
Spero di esser riuscita a rappresentare al meglio il bisogno di vendetta di Tom, la riconoscenza nei confronti di Pearl per averlo "salvato", il bisogno di lei di sentirlo più vicino.
E il finale... volevo che andasse così sin dal primo capitolo, ma spero sia chiaro senz'ombra di dubbio che non sarà MAI (purtroppo) una storia d'amore.
Per il resto spero sia tutto "al suo posto". Per la descrizione di Little Hangleton e il percorso verso casa Gaunt mi sono affidata al Principe Mezzosangue.
PS: è la prima volta che uso Nvu, visto che l'editor non sembra funzionare.... Spero di non aver combinato strani casini e che sia tutto leggibile ^^



COMMENTO DELL'AUTRICE
30 luglio 2012 vs. 6 gennaio 2013. All'inizio avevo pensato a profondermi in scuse su questo abnorme ritardo.... Poi mi sono resa conto che non è stato un ritardo, ma una pausa.
Vorrei poter dire che sono stata molto impegnata e portarvi millemila cause come prova, ma mi limito a dire che non riuscivo a toccare biro, foglio, tastiera.
A volte ci capita tra capo e collo un avvenimento così triste che ci ritroviamo a trascurare persino le attività che più ci stanno a cuore.
Mi auguro solo che questo brutto periodo si concluda al più presto, e considero la lunghezza di questo capitolo e il suo "finale amoroso" già un bel traguardo.
Mi scuso in ogni caso per quest'assenza temporanea.
Un grosso ringraziamento ad EvaAinen, Sylphs, silvia_arena e
ArgentoSangue per aver recensito, e a tutti coloro che hanno letto e inserito tra le seguite/preferite.
Come sempre sono a vostro giudizio, con la speranza che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
Buon anno e buon devastante rientro a tutti!


Elle H.





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