Saotooooooooooooooooome, perché il Tetto dell'Ospizio è Sfondato?

di Subutai Khan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solitudine, ti presento finestra. Accomodati (Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji) ***
Capitolo 2: *** Solo scopamici dopo tutto questo tempo? (Ukyo Kuonji, Ryoga Hibiki, Ranma Saotome, Akane Tendo) ***
Capitolo 3: *** Non avrei mai immaginato di incontrarti proprio qui (Akira Hibiki, Ranma Saotome) ***
Capitolo 4: *** Se mi rovini la mia copia di Yadokari ti ammazzo (Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji, Ranma Saotome) ***
Capitolo 5: *** Ci siamo affezionate a quel letto, eh Akane? (Ranma Saotome, Akane Tendo, Misaki Saotome) ***
Capitolo 6: *** Cattivo sangue non mente (Misaki Saotome, Akira Hibiki) ***
Capitolo 7: *** Niente Mendelssohn, per il mio matrimonio voglio la Divina (Akira Hibiki, Ukyo Kuonji, Ryoga Hibiki) ***
Capitolo 8: *** Deficiente, lascia stare i comandi della mia sedia (Ukyo Kuonji, Ranma Saotome) ***
Capitolo 9: *** La Regina delle Bocce fa il suo trionfale ingresso in scena (Ukyo Kuonji, Akane Tendo) ***
Capitolo 10: *** Non sono capace di giocare a canasta da solo (Ranma Saotome) ***



Capitolo 1
*** Solitudine, ti presento finestra. Accomodati (Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji) ***


30 aprile 2009.
Solitudine.

Era da tanto che non mi trovavo a pensare a questa parola, lo ammetto.
Un tempo la solitudine era la mia migliore, unica compagna di vita. Mi stava sempre a braccetto. Che mi trovassi nel Kantō, nel Kansai o nel Kyushu lei c’era, senza mollarmi un solo istante.
Potrei quasi dire che non ero solo. Ma mi prenderei in giro e sono abbastanza intelligente, nonostante tutto, per non farlo.
Perché questo rigurgito nostalgico, Hibiki? Quei tempi sono finiti. Sepolti. Passati.
Non sei più solo.
Mi giro verso destra, facendo attenzione a non muovere troppo le lenzuola. Non vorrei svegliarla.
Sta pian piano albeggiando, quindi anche se le tende sono chiuse filtra un po’ di luce. E così posso bearmi del suo splendido viso.
Devo dire che, per una volta, non mi spiace aver avuto difficoltà a dormire.
Guardala, santo cielo. Guardala.
È... è... è...
Incredibile. Dopo tutti questi anni mi ritrovo ancora a bocca asciutta nel descriverla. Va oltre ogni mia più rosea aspettativa.
La vedo muoversi e aprire piano gli occhi. No cavolo, non volevo disturbarla.
“Nnnnnnh...”.
“Buonina Ukyo, buonina” le dico accarezzandole piano i capelli “Torna a dormire, è ancora presto”.
Si gira in maniera scomposta, quasi rischiando di cadere.
“Che ci fai sveglio, matto?” sussurra. La voce è inevitabilmente impastata dal sonno.
“Ssssssh. Dormi, piccola Kuonji”.
A quanto pare decide di ignorare il mio saggio consiglio. Prende a fissarmi, lo sguardo molto confuso ma un sorriso a renderlo fin troppo dolce.
“Hai ancora avuto problemi nell’addormentarti?”.
“Purtroppo sì. Notte in bianco, cara mia”.
“Guarda che cominci ad avere una certa età e stare sveglio troppo a lungo ti fa male”.
“Quanto sei spiritosa. Potrebbe scoppiarmi la pancia dal ridere”.
“Sai che ho ragione. Ci avviamo verso gli anta, se te lo fossi dimenticato”.
“Sarà per quello che ti trovo più bella ogni giorno che passa”.
“Ruffiano” ridacchia mentre, ormai completamente sveglia, si alza. Emana grazia da ogni minimo movimento.
So cosa stai per dire: “Chi primo arriva meglio alloggia”.
“Chi primo arriva meglio alloggia”.
Come volevasi dimostrare. Vai vai, oggi niente beghe per il bagno. Mi sento troppo in vena di ricordi e ho voglia di starmene sdraiato nel bel mezzo del letto disfatto a rivivere la gioventù.
E che gioventù, signori.

24 settembre 1993.
“Ma dico, ti ha dato di volta il cervello? Perché non hai fatto nulla?”.
“Cosa dovevo fare, Ukyo? Cominciare a sparare Shishi Hoko Dan a destra e a manca? Avrei raso al suolo il dojo dei Tendo”.
“E a ‘fanculo il dojo dei Tendo, maledizione! Non pensavo ti saresti rassegnato così...”.
Per un attimo il veleno contenuto nelle sue parole mi blocca.
Com’era facile da prevedere sta soffrendo come un cane. È in buona compagnia, capiamoci.
Vedere Ranma e Akane... sposati.
Fa male come neanche i pugni di quello sgherro di Herb. Ancora adesso, a distanza di ore, sento il petto bruciarmi.
Poi però mi ricordo dei motivi che mi hanno spinto a starmene buono durante la cerimonia: rispetto nei loro confronti, innanzitutto. E forse una piccola dose di maturità, quel tanto che bastava per farmi davvero realizzare che con Akane non avrei mai ottenuto nulla di quel che sognavo.
Lo stesso vale per te, Ukyo. Lascialo andare. Attaccartici tipo zecca ti incancrenisce e basta.
I due novelli sposi si amano. Solo un paio di cocciuti sognatori senza sale in zucca non potrebbero rendersene conto. Non dopo tutto quello che è successo e tutte le dimostrazioni di affetto sconfinato che c’è fra di loro.
Feh. Ne ho la controprova definitiva: tutto quello che lui ha fatto per Akane sul monte Hooh l’avrei fatto anch’io. Tutto, per filo e per segno. E solo un innamorato sfida una divinità fenice per salvare la vita della sua bella.
So che, ci fosse stato Ranma al posto di Akane, tu avresti fatto lo stesso. Quando la vita di chi ami più di te stesso è in pericolo sei disposto a gettarti via.
Non ti basta come esempio?
“Ukyo” trovo la forza di rispondere “a volte rassegnarsi è la cosa più adulta che si possa fare. Continuare a rincorrere i mulini a vento non porta da nessuna parte, se non girare in tondo senza un reale scopo. Quindi...”.
SCIAFF.
Uno schiaffo. Non me lo aspettavo.
“Taci, imbecille! Taci! Non ti permetto di fare la tirata filosofica su come sia giusto così. Non m’interessa un fico secco di quel che è giusto! L’ho perso, te ne rendi conto o no? L’ho perso per sempre”.
“Sì che me ne rendo conto. L’hai perso come io l’ho persa. Siamo sulla stessa barca”.
“Macché stessa barca! Tu sei caduto fuori bordo e ti sono affogati tutti i pochi neuroni che avevi! Vattene và, vattene. Non so neanche perché ti ho chiesto di venire qui all’Ucchan”.
Vorrei potermi tenere la guancia offesa dalla sua furia, ma sarebbe una bugia. E io ho chiuso con le bugie, specialmente quelle verso me stesso. Mi limito a guardarla mentre dà il peggio di sé, totalmente travolta dall’onda emotiva che la porta a sproloquiare di vendetta, agguati e altri eventi poco piacevoli. Mi sarei potuto aspettare tutto questo da Kodachi e Shan-Pu, ma non di certo da te.
Devo dire che mi stai deludendo, Ukyo Kuonji.
Ma ti getterò lo stesso un’ancora di salvataggio, se mi è concesso lanciarmi in metafore azzardate.
“Sai bene perché mi hai chiamato qui, invece” la provoco, ben conscio del rischio di prendere un sacco di legnate dato il suo stato mentale attuale “Non volevi restare sola. Non dopo che hai visto i tuoi sogni romantici andare in frantumi come un cristallo di Boemia”.
Il suo sguardo è fuoco puro. Ho colpito nel segno.
Trattiene a fatica le lacrime, e non so dire se sono di dolore o di rabbia o di entrambe le cose.
Il silenzio che offre mi consente di prendermi ulteriore spazio: “Inutile che mi squadri con quell’aria omicida. Sappiamo entrambi che è così. E, se devo essere sincero, avere una spalla amica che capisce non può che far bene a tutti e due”.
Sei sbruffone, Hibiki. Pericolosamente sbruffone. Se la situazione precipita potrebbe anche metterti le mani addosso, e il tuo codice d’onore ti impedisce di picchiare una ragazza. Anche se ne sarei giustificato.
“Dimmi che non ho ragione”. Piazzo con finta noncuranza la stilettata finale.
O raccoglie e mi gonfia come una zampogna, o accetta e mi scoppia a piangere addosso. A quel punto la seguirei. Per quanto mi piaccia atteggiarmi a saggio della congrega non sono immune a questo avvenimento. Tutt’altro.
Abbassa la testa, apparentemente sconfitta.
Ma quando apre bocca non è per darmi la conferma che mi aspettavo: “Sparisci. Meglio la solitudine che averti qui”.
Un tono glaciale che non ho mai sentito uscire prima d’ora da quelle labbra.
Incasso con grazia. Me la sono cercata, non lo nego.
“Va bene, Ukyo” dico alzando le mani “me ne vado. Te lo chiederò un’unica volta: lo vuoi davvero? Perché mi conosci, sai che se mai dovessi cambiare idea sarò disperso da qualche parte in giro per il Giappone e sarà troppo tardi”.
“Vai via”.
Inutile insistere.
“Ok, hai vinto. Arrivederci”.
Mi volto e mi avvio, preparandomi psicologicamente a un lungo peregrinare con la mia solita compagna invisibile.
Cammino lento. Se non sapessi che non è la mia intenzione cosciente mi verrebbe da dire che sto rallentando di proposito per darle secondi utili, coi quali può pensare di rimangiarsi tutto questo astio nei miei confronti.
Sono ormai alla porta.
Faccio per aprirla.
Mi sento cingere la vita dalle spalle.
“Non andare! Non lasciarmi sola anche tu!”.
Non sono riuscito a sentirla avvicinarsi. Forse neanche volevo.
La mia maglia gialla si bagna sulla schiena. Tutto come avevo previsto, e non ci voleva di certo una laurea in astrologia per arrivarci.
Ecco, arrivano anche le mie.
Per lunghi minuti lasciamo che la nostra frustrazione, la nostra impotenza, la nostra sofferenza sgorghino fuori. Tenersi tutto dentro ci avrebbe uccisi lentamente.
“Rimani...” bisbiglia fra i singulti.
“Tutto il tempo che vuoi” rispondo senza pensarci.
Spero non avrò di che pentirmene.

Pentirsi? Eri proprio un ragazzino scemo, Ryoga.
Sei rimasto, più di quanto potessi credere.
Hai messo radici in questo ristorante.
E dentro di lei. E lei dentro di te.
Dalla porta chiusa del bagno giunge un'allegra canzone enka.
Guarda te se quella lì non è riuscita a togliersi ‘sto vizio. Sono quasi vent’anni che ogni santa mattina mi trapana le orecchie con Kumi Iwamoto, Jero e Yolanda Tasico. Non c’è proprio più rispetto per i fidanzati zerbini.
“Ah, sai che ieri ho visto Misaki? Quella bambina cresce a vista d’occhio” dice distrattamente.
“Tiene ancora i boccoli?”.
“Sì, ma quando le ho fatto notare per la miliardesima volta quanto le stanno bene mi ha risposto grugnendo. Credo stia entrando nella fase adolescenziale”.
“Mi sembra anche normale. Ha ormai... quanto, quattordici anni?”.
“Li fa il mese prossimo, smemorato che non sei altro. A proposito, dobbiamo farle il regalo”.
“Niente di più facile: un karategi. Ha preso dai suoi genitori”.
“Ma povera ragazza, le usciranno dalle orecchie. Conta che ha riciclato anche quelli di sua madre”.
“E allora pensaci tu. Sai che sono negato per queste cose”.
“Va bene, va bene. Dai, ora riposati un po’. Fra un paio d’ore devi essere al cantiere”.
“Sigh. Lo so. Ma dormire poco non serve a nulla, per tanto così mi basta chiudere gli occhi e rilassarmi”.
“Il solito tragico. Guarda che prima scherzavo con la storia dell’età. Sei ancora vispo e prestante. Ne so qualcosa”.
“Anch’io ne so qualcosa, grazie tante. Tendo a esserci in quei momenti. A meno che tu non abbia un amante”.
“Non dire assurdità già di prima mattina”.
Ridiamo.
“Ukyo?”.
“Sì?”.
“Sai, ero in vena di ricordi prima...”.
“E cosa ricordavi di bello?” chiede uscendo dal bagno, vestita solo di uno striminzito asciugamano.
Non la stavo adulando quando ho detto che più il tempo passa e più fiorisce come un bocciolo di rosa. È uno schianto. I capelli sempre lunghi e fluenti e il viso identico alla prima volta in cui l’ho vista.
Comincia a trafficare nell’armadio alla ricerca di abiti. Pffff, tanto finirà col mettersi la solita divisa da cuoca.
“Nulla di che. Ripensavo solo al momento più fausto e intelligente della mia vita”.
“Cioè quando ti sei trovato un lavoro?”.
“No, scemetta. Quando ho deciso di darti retta, quel giorno di tanti anni fa, e sono rimasto”.
“Sì, non posso dire che tu abbia fatto male”.
“E tu che volevi cacciarmi. Tsk”.
“Ero giovane e scapestrata, tesoro. Spero che mi fossero concessi dei colpi di testa”.
“Nessuno vuole toglierti le follie lecite a quell’età”.
“Oh Ryoga, ne approfitto per fare un annuncio” dice improvvisamente voltandosi verso di me, raggiante. Quando sorride in quella maniera mi sciolgo come un budino.
Mi pizzica la base del collo. Succede sempre quando sta per accadere qualcosa di grosso.
“Prego”.
Non dice niente e si accarezza lievemente la pancia.
Uh.
Altro che solitudine. Qua fra un po’ si rischia di non starci più.



Note dell'autore
Dunque. Di solito non lascio commenti in fondo. Ma questa volta voglio fare un'eccezione per questa immagine. Uno perché merita tantissimo. Due perché è decisamente appropriata per questa storia. Diciamo che la sera, prima di addormentarsi (o nel caso di Ryoga fissare il soffitto senza pace), probabilmente si sono dati alla pazza gioia. E niente. Tutto qui.

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Capitolo 2
*** Solo scopamici dopo tutto questo tempo? (Ukyo Kuonji, Ryoga Hibiki, Ranma Saotome, Akane Tendo) ***


10 maggio 2025.
“Da quant’è che non c’era una domenica così bella, qui a Nerima?”.
La domanda di Ryoga mi coglie impreparata. Non me la aspettavo, di solito non si sofferma sul tempo atmosferico. Con tutto quello che deve aver visto nella sua vita, nei viaggi di gioventù, lo facevo meno avvezzo a preoccuparsene.
“Parecchio, sì. Gli ultimi mesi sono stati piovosi. E ti hanno creato non pochi problemi, anche in campo lavorativo” ridacchio, ripensando a tutti i giorni in cui ha bellamente saltato il lavoro per evitare che i suoi colleghi lo vedessero trasformarsi in un porcellino nero mentre stava trasportando delle travi o mettendo la calce su dei mattoni.
“Ukyo, non sei divertente”.
“Divertente? Sono mai stata divertente negli ultimi quarant’anni?”.
“Non così poche volte come ti piace pensare. Ma questa non è una delle eccezioni”.
Il discorso è piacevole, abbastanza da farci andare addosso ad altre persone perché troppo distratti. A quanto pare non siamo gli unici che hanno deciso di approfittare del sole e del tepore, di questi giorni una rarità.
Uff. Questo è un bel problema: gestire una conversazione e nel contempo guidare quel cataclisma d’orientamento di Ryoga Hibiki assicurandosi che non si perda è impresa titanica. Ma per fortuna dovremmo essere quasi arrivati.
La prossima volta farò pressione a Ranma perché scelga un posto più vicino al ristorante. A meno che, conoscendolo, non l’abbia fatto apposta per mettermi in difficoltà con questa anti-bussola umana.
“Svoltiamo a destra, qui. A destra Ryoga, a destra”.
“Oh? Scusa, ero sovrappensiero”.
“Sì, certo. Sovrappensiero”.
Ora sei cattiva, Kuonji. È pur vero che, negli ultimi anni, ha perlomeno smesso di smarrirsi nel bagno. La sua maledizione di famiglia non se n’è andata, d’accordo, ma è almeno leggermente regredita. Quella di Jusenkyo non lo abbandonerà mai, temo, ma se non altro non è ereditaria.
Proseguiamo ancora un po’, il passo tranquillo. Non vedo perché non godersi la passeggiata senza fretta.
Eccoci. Caffè Nyan Nyan. Che nome insulso.
Fammi dare un’occhiata all’orologio. Uhm, le quattro e venti. Siamo un pochino in ritardo.
Entrando veniamo sommersi da una gazzarra indescrivibile: gente che urla, musica sin troppo alta e un viavai di cameriere vestite in un modo che te lo raccomando. Che razza di postaccio è questo? Cosa gli è saltato in testa a quel vecchio rimbambito?
Ci guardiamo attorno per individuarli... eccoli là in fondo, un po’ in disparte da tutto il trambusto.
Stringo più forte la mano di Ryoga, che impedito com’è saprebbe farsi risucchiare da quel delirio, e lo trascino verso il nostro obiettivo.
“Toh Akane, guarda chi è venuto a trovarci. Immagino che non siate in orario per colpa del maiale”. Oh Ranma, ti conosco da ormai cinquant’anni e sei sempre il solito buzzurro col cervello scollegato dalla bocca.
“E non trattar male P-chan” risponde lei, scocciata. Qualche lustro fa gli sarebbe arrivata una gomitata sul fianco.
Sono questi i momenti in cui realmente apprezzo come tutti i segreti, le bugie e i compromessi del passato sono stati portati alla luce e fatti a pezzi a colpi di accetta.
Akane ha scoperto tutto. Un giorno di ormai... uhm, venticinque? Trenta? Boh, la memoria è proprio una brutta bestia. Vabbè, dicevo... un giorno di taaaaaaanti anni fa ho convinto il mio riottoso compagno ad alzare le chiappe, a presentarsi al dojo Tendo-Saotome e a rivelare tutto alla sua vecchia fiamma.
Apriti cielo.
Quel giorno Akane Tendo ha quasi tolto la pelle a suo marito e ha giurato, di fronte a tutti i kami, che non avrebbe mai più rivolto la parola a Ryoga Hibiki.
A rivederla ora, con lo sguardo solcato da una miriade di rughe che fanno coppia con le mie, non le avrei dato un soldo bucato. Pensavo che fosse la fine di ogni possibile rapporto civile. Poi invece ti accorgi che bastano una decina d’anni di mutismo per farle sgonfiare l’incazzatura. Non sei più l’arpia di un tempo, tesoro.
“Ma quanto la fai lunga, carampana”.
“Ha parlato la pin-up con i mutandoni della nonna”.
“Guarda che non vado più in giro per casa in lingerie da non so quanto”.
“E ci mancherebbe pure. A Misaki sarebbe venuto un infarto a vederti mezzo nudo quando sei donna”.
Sentendoci ignorati io e Ryoga ci guardiamo in faccia e sorridiamo perché è bello vedere i tuoi migliori amici che sono sempre uguali a se stessi. Ci sediamo al loro tavolo.
“A proposito di Misaki, è ancora al dojo con Akira?” chiedo.
“Che io sappia sì, non ha telefonato per avvisare. Anche se devo ammettere che non ho mai capito fino in fondo il funzionamento di queste trappole” risponde lui esasperato mentre tira fuori dalla tasca il suo cellulare.
Vecchio mio, rimani sempre uguale a te stesso che così vai benissimo.
“Sono un po’ preoccupata” dice Akane “Quella ragazza ultimamente ci stava andando giù pesante con vostro figlio...”.
“Oh, non temere” gli risponde la mia dolce metà “a quel giovanotto fa solo bene prendere un po’ di legnate ogni tanto. Lo fortifica”.
“Sembri la buonanima di mio padre, Ryoga. Mi fai rabbrividire. E poi Akane ha ragione, ho visto Misaki essere piuttosto manesca con lui da un po’ di tempo a questa parte. Ha solo sedici anni e lei trenta, non vorrei esagerasse” pontifica Ranma passandosi una mano sulla fronte. La stempiatura galoppa forsennata ma il codino non l’ha mai abbandonato.
“Suvvia, quanto melodramma” mi inserisco di soppiatto nella conversazione “Non siete stati voi a insistere perché fosse vostra figlia ad addestrarlo, quando sarebbe stato il momento? Abbiate fiducia in lei. Ha imparato dai migliori, alla fine”.
A Ranma si accendono le guance di orgoglio nel sentirsi definire il migliore, mentre Akane si limita a un cenno di assenso un po’ timido. Dovresti accogliere i miei complimenti con un po’ più di entusiasmo, sono merce rara.
“Ma basta parlare dei marmocchi, mummie. Dedichiamoci alle nostre vecchie ossa. Cameriera!”. E così dicendo Akane comincia a sbracciarsi verso una di quelle giovani scosciate che corrono come delle indemoniate per tutto il locale.
E figurati se non doveva essere proprio lei a rispondere per venire a servirci.
“Ni-hao, gentili clienti. Cosa vi posso portare?”.
Lian-Fu. Guarda che caso.
Capelli lunghi e fluenti, violetti. Una miopia mortale curata da quella meraviglia tecnologica che sono le lenti a contatto. Corpo slanciato. Una divisa da lavoro costituita da una veste bianca con delle larghe maniche.
“Ciao cinesina. Qual buon vento?”.
“Non le hanno proprio mai insegnato l’educazione, vero signor Saotome?”.
“Cos’è tutta ‘sta formalità con l’ex-promesso sposo di tua madre? Ci vuole schiettezza nella vita”.
“La pregherei di non rivolgersi a me con tutta questa confidenza, grazie. E ora, se voleste darmi le vostre ordinazioni...”.
Come riesce Ranma a mal disporre la gente nessuno.
“Per me e per il mio compagno due caffè, grazie”.
“Caffè anche per noi”.
“Quattro caffè. Arrivano in un attimo”. La guardo allontanarsi mentre se ne va.
Uh? Percepisco qualcosa di strano.
“Ukyo...”. È la voce di Akane. Mi giro nella sua direzione.
Ehi. Cos’è quella faccia costernata?
“Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?”.
“Non sbagliato. Hai solo detto una cosa che... ecco... mi ha fatto male...”.
“Oddio Akane, scusa! Qualunque cosa fosse non volevo!”.
“Non agitarti. È un mio piccolo cruccio e nulla di più”.
“Non credo di seguirti...”.
“Quando hai definito Ryoga il mio compagno...”.
“E come dovevo definirlo? Amico di letto?”.
“Ma quanto sei cretina. Intendevo dire questo: perché non vi siete sposati?”.
Ooooooh. Questo intendeva.
Sento su di me gli sguardi di tutti e tre. Cos’è, siete diventati dei cannibali tutto ad un tratto e mi trovate appetitosa?
Mi chiedo come mai se ne sia saltata fuori solo adesso. Sono tantissimi anni, incidente di P-chan a parte, che ci frequentiamo e non ha mai sollevato la questione prima d’ora.
Non che siano fatti suoi, a ben guardare.
Ma sono troppo sentimentale e troppo affezionata a lei per negarle almeno una risposta cordiale.
“Sai, credo di aver rifiutato inconsciamente di sposarmi con qualcuno che non fosse Ranma. Stai tranquilla, e tu pure Ryoga. Non voglio dire di essere ancora innamorata di lui. Figurati, sarei davvero un’illusa di proporzioni epocali per non essere riuscita a distaccarmi pur avendo al fianco questo splendido esemplare”. E mi avvinghio al suo braccio per rinforzare il concetto con i fatti.
“Ho come la sensazione” riprendo “di aver voluto evitare perché... boh, non so il perché. Devo essere onesta, non mi sono mai realmente posta la domanda. Ho sempre dato per scontato che saremmo andati avanti così”.
Una mano sulla mia spalla.
“Ukyo... io non ho mai avuto il coraggio di chiedertelo, forse perché sono stato codardo e avevo paura che, avendoti sempre vista restia in proposito, non volessi affrontare l’argomento. Ma se non ho capito male hai appena ammesso, più o meno, che non avresti nulla in contrario all’idea”.
L’ho fatto? L’ho davvero fatto?
In effetti sì, si può anche interpretare così.
Ed è vero? Sarei davvero disposta a...
“Io... io...”.
Al che succede una cosa inaspettata: Ryoga mi afferra entrambe le mani con le sue e mi costringe a voltarmi nella sua direzione.
“Ukyo, sposami”.
Arrivano alle mie orecchie dei leggeri applausi. Voi due me la pagate, ve lo assicuro.
“Ryoga...”.
“Faresti di me il vecchio più felice del mondo. Non che non lo sia già, perché starti vicino è il balsamo di tutti i mali. Ma avere un riconoscimento ufficiale, qualcosa che sancisca senza errore il nostro legame... io scoppierei dalla gioia”.
E nei suoi occhi rivedo lo sguardo che, quand’eravamo adolescenti, aveva nei suoi voli pindarici dedicati ad Akane. La stessa adorazione, lo stesso trasporto.
Lo stesso amore.
Chi sono io per negare a quest’uomo il suo sogno più grande?
“E... e va bene. Accetto. Ti ho fatto aspettare fin troppo, Hibiki”.
“Eccome se l’hai fatto. Qualcuno di meno paziente sarebbe fuggito a gambe levate già da tempo”.
“Ma dove vuoi andare tu, che ti perderesti immediatamente col tuo senso dell’orientamento?”.
Ranma, stai rovinando uno dei momenti più belli della mia vita. Taci o ti ammazzo.

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Capitolo 3
*** Non avrei mai immaginato di incontrarti proprio qui (Akira Hibiki, Ranma Saotome) ***


11 ottobre 2049.
Entro al cimitero.
Seguo il solito vialetto. Evito la solita buca per terra. Prendo la solita svolta verso destra.
Venire in questo posto lugubre tutti i giorni non è poi granché come passatempo, ma non riesco a impedirmelo neanche volendo. Avevo un legame speciale con quella persona, anche se forse lei non lo sapeva nemmeno, e mi sento quasi costretto a portarle almeno dei saluti ogni santa mattina.
Ecco, ci sono quasi.
L’aria è frizzante. L’inverno si sta avvicinando. Da domani cappotto, altrimenti rischio di buscarmi un raffreddore quadruplo.
Il vedere la sua sagoma in lontananza non mi meraviglia neanche un po’, devo dire. Ha molto più senso la sua presenza che non la mia.
È proprio invecchiato. Sono ormai dodici anni e se già quand’ero ragazzo lui aveva una certa quantità di rughe, figurati ora.
Gli arrivo alle spalle. Non servono parole per farsi sentire, so che lui sa che sono qui. Il rituale è sempre lo stesso.
Anzi, per rispettare il succitato rituale mi scosto di tre passi indietro.
È giusto che si prenda i suoi spazi.
Alzo svagato lo sguardo al cielo aspettando che finisca.
“... ed ecco, questo è tutto per ieri. A domani, cara”. La sua voce è corrosa dall’età e dalla stanchezza. Ho come la sensazione che, più presto che tardi, andrà a farle compagnia. Ho sentito parlare di coppie in cui, morto uno dei due, l’altro lo segue a breve distanza. Non poi così breve, visto che io ho fatto in tempo a uscire dal liceo, a farmi bocciare quattro anni di fila all’esame di ammissione alla Toho e a perdere un sacco di tempo bighellonando in giro, però...
Forse sto sottovalutando la scorza dell’uomo di fronte a me, che proprio in questo momento si sta alzando lentamente dalla sua posizione semi-accovacciata. Come ogni giorno gli chiedo se vuole una mano e come ogni giorno rifiuta, anche se con sempre meno forza della volta prima. Dove una volta c’era il codino ora ci sono mazzetti sparsi di capelli ingrigiti, che gentilmente si muovono al ritmo della testa mentre mi lascia strada in silenzio.
Mi imbarazza sempre prendere il suo posto di fronte a quella tomba. Mi fa sentire fuori posto. Eppure mi limito a ringraziarlo con un cenno della testa e a farmi sotto.
Quando ci sono davanti congiungo le mani e, come in ogni visita, non posso evitarmi di leggere la lapide.

Akane Tendo in Saotome
あかね早乙女傾向
1973-2037
Aspettami, maschiaccio dalla vita larga


“Tutto bene a casa?”.
Uh? Non mi aspettavo questa domanda. Mi giro nella sua direzione.
“Sì zio Ranma, tutto bene. I miei genitori ti salutano, come al solito”.
“Feh. Di’ a quell’invertebrato di tuo padre che gli devo una batosta a poker e che ha avuto solo fortuna giovedì scorso”.
“Dice di riferirti che la tua faccia da gioco d’azzardo fa schifo fin da quando eravate ragazzi”.
“Rispondigli che è vero, ma che questo non gli eviterà una bastonata in testa”.
“Tu neanche lo usi, il bastone”.
“Non alzare la cresta con me, ragazzotto troppo cresciuto. Hai quarant'anni e ti comporti come un discolo di dodici. Devi sempre portarmi rispetto. Tale Ryoga, tale Akira”.
“Già, gli assomiglio sin troppo. E Misaki?”.
“Vai a saperlo. Da quando si è sposata e ha preso definitivamente le redini del dojo non la vedo quasi mai. L’appartamento in cui mi ha sbattuto è piccolo e non passa nessuno”.
“Ma cavolo, potevi dirmelo prima. Sai che ho un sacco di tempo libero, mi farebbe piacere venire a trovarti ogni tanto”.
“Dovresti cercarti un lavoro, disgraziato. Non pensare ai catorci come me”.
“Sul fatto del lavoro hai ragione, ma questo non toglie che intendo sopperire ai difetti di vostra figlia. Vi sono affezionato e non voglio che tu passi gli ultimi anni immerso nella solitudine. Sai, ogni tanto papà si perde in lunghi racconti di come lui e mamma si sono avvicinati proprio grazie al fatto di sentirsi soli, ma credo che siano stati fortunati e che alla lunga il restare senza nessuno porti solo brutte cose”.
“Mi sa che i tuoi vecchi sono molto più saggi di quanto vogliono apparire. Me ne sto rendendo conto da me, da quando Akane è morta. Praticamente sono rimasto solo al mondo, tu e i tuoi esclusi”.
“Non temere zio Ranma, i reumatismi di mamma e la pelata di papà saranno felici di fare compagnia al tuo Alzheimer”.
“Il sangue Hibiki non si smentisce proprio mai. Ma ormai ho l’età per riderci sopra invece di incazzarmi come una iena e darti la lezione che ti meriteresti”.
“Ridere fa bene”. E, per non smentirmi, lascio che un sogghigno mi sfugga dalle labbra.
In men che non si dica riecheggia una seconda, lieve risatina. Accompagnata da un paio di colpi di tosse.
Ok, per oggi mi scuserai zia Akane ma i vivi hanno la priorità. Devo badare a quella carcassa di tuo marito e cercare di tenerlo in salute. So che vi mancate, ma più tardi arriva da te e meglio è.
Lo afferro per la vita e lo aiuto ad uscire di qui. È davvero un fuscello rispetto a come me lo ricordavo quand’ero piccolo ed ero abituato a guardare lui e papà dal basso, meravigliato dai loro fisici ancora molto tonici nonostante il tempo che cominciava a farsi sentire. Quale bamboccio di sedici anni, all’epoca interessato alle arti marziali, non sarebbe andato in estasi di fronte a due cinquantenni ancora in grado di rompere macigni a mani nude e provocare voragini nel terreno? E ora, invece, è avvizzito al punto che un mio braccio lo avvolge completamente.
Mi fa un pochino pena, ma è anche vero che è solo lo scorrere della vita che ti riduce così.
E a proposito di arti marziali, posso dire di essere quasi contento di non aver seguito le loro orme. Se i risultati sono quelli ottenuti con Misaki, anzi, il quasi lo si può tranquillamente eliminare.
Vabbè, basta rimuginare. Gli dico che ho intenzione di riaccompagnarlo a casa, così mi posso far mostrare dove sta e sapere dove recuperarlo nel caso abbia bisogno di una spalla amica.
Butto un veloce occhio verso il luogo di riposo di Akane, salutandola col pensiero.
Tranquilla su, è in buone mani. Mi conosci.

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Capitolo 4
*** Se mi rovini la mia copia di Yadokari ti ammazzo (Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji, Ranma Saotome) ***


5 gennaio 1997.
“E allora, porcellino? Com’è andata ieri al concerto?”.
Ranma mi guarda sorridendo come un deficiente. Potresti prestare più attenzione a quel batuffolo di tua figlia invece di cercare di sfottermi.
Attento cretino, ti sta per cadere. Lo aiuto a tenerla meglio, che se aspettiamo le sue mirabolanti capacità paterne abbiamo un fagotto rosa spiattellato per terra.
“Perché non ti interessi più a Misaki che alle mie disavventure?”.
“Perché Misaki non sa farmi ridere di gusto. Cioè, quando fa le smorfie rido anche, ma non è la stessa cosa. D’altronde lei non è incastrata con una ragazza che ama l’enka e trascina il suo povero compagno a destra e a manca, ammorbandolo con quella musica orribile”.
Sei proprio un bastardo, Saotome. Qualcuno mi ricordi perché ho messo da parte la voglia di ammazzarti.
“Su Ryoga, non farti pregare. Raccontami”.
Brutto stronzo. Ci tieni così tanto ad avere il resoconto delle mie sofferenze, eh?
Ringrazia l’adorabile esserino che stringi fra le braccia in questo momento, altrimenti mi sarei alzato, sarei andato nel retro per recuperare una delle spatole di riserva di Ukyo e te l’avrei sfasciata sulla testa.
Uff. Rassegnati, P-chan. Conoscendolo non ti mollerà finché non avrà ottenuto ciò che vuole, quindi tanto vale togliersi subito il dente.
“Com’è andata, eh. È andata. Il Tokyo Dome era inaspettatamente pieno come un uovo. Non l’avrei mai detto”.
“Per Yolanda Tasico?”.
“Non guardarmi con quella faccia, ne sono meravigliato tanto quanto te”.
“Vabbè, non perderti via”.
“Sadico. Che ti devo dire? Era un concerto di questa... cantante? Mi sento in imbarazzo solo a definirla così. Una cosa... dio santo Ranma, non sai quanto è stato traumatizzante”.
Scoppia a ridere, quella sua bella risata sguaiata da essere unicellulare.
Attenzione, porca eva! Stavi di nuovo per perdere tua figlia.
Guarda te se devo badare pure alla prole del mio aguzzino.
“E Ukyo? Cos’ha detto?”.
Lo guardo storto. Che razza di domanda è?
“Cosa doveva dire, scusa? Ha apprezzato l’immenso sforzo da me profuso nel sopportare quella cantilena orripilante. Anche perché, nel suo magico mondo fatato, a me è persin piaciuto”.
“Eh? Non le hai detto che avresti preferito fare harakiri piuttosto che assistere a quell’abominio?”.
“Certo che no! Sai che ci teneva e che mi tartassava da mesi con ‘sta storia. Sarebbe stato maleducato da parte mia tirarmi indietro o mostrare disinteresse. Ho dovuto fingere di apprezzare. E poi l’harakiri era tua esclusiva con la signora Nodoka, non mi permetterei mai di portartelo via”.
“Condoglianze, amico mio. Lo dico sinceramente”.
“Del tuo sarcasmo non me ne faccio nulla”.
“Non sono sarcastico, sul serio. È stata una gran prova d’amore da parte tua”.
“Mi prendi in giro, vero?”.
“No Ryoga, proprio no”.
Lo osservo per qualche istante e, mi caschi un fulmine in testa, pare intendere quanto ha appena detto. Si vede che in questo momento mi compatisce per l’immane test da cui sono uscito intero per il rotto della cuffia.
Poi, improvvisamente, perde interesse nelle mie pene e comincia a fare il padre. Ma non perché si ricorda che un bambino va sostenuto correttamente quando lo si tiene in braccio.
Tsk. È di Ranma che sto parlando. Sarebbe chiedergli troppo.
No, intendo dire che si mette a fare il cretino con la piccola, sollevandola e facendole facce sceme.
“Blublublublublublublublu, chi è la cocca di papà? Eh? Chi è?”.
...
Che qualcuno lo abbatta, vi prego. Quella bambina crescerà con dei grossi problemi.
Anzi, meglio ancora: se c’è una giustizia karmica lo ignorerà quando sarà vecchio e decrepito. Quando succederà mi piacerà pensare che sarà per vendicarsi di queste buffonate.
Bah. Lui fa il demente e io sono reduce da un evento che mi ha spossato fin dentro l’anima. La vita è proprio ingiusta a volte.
“Ma siete qui voi tre. E come sta la mia nipotina preferita?” chiede Ukyo scendendo le scale del ristorante.
“Ciao Ucchan” la saluta tutto gaio, stampandosi in volto un’espressione da eterno bamboccio.
Misaki, sei proprio l’ancora di salvezza di tuo padre. È che non mi piace seminare orfani in giro.
“Ciao Ukyo. Stavamo parlando di ieri sera e di quanto... è stato bello”.
“Oh, tempismo eccezionale caro Ryoga. Ho appena prenotato i biglietti per il concerto di Jero. Domani sera bissiamo”.
Voglio morire.

22 giugno 2017.
“Uff. Non abbiamo più l’età per queste cose”.
“Che esagerato che sei, Ryoga. Neanche quarantaquattro anni e sei lì a lamentarti come un settantenne”.
“E fai piano, diavolo. Meno male che qualcuno, e cioè io, ha avuto l’accortezza di chiedere ai Saotome di tenerci Akira. Altrimenti con tutto ‘sto casino l’avresti sicuramente svegliato”.
“Guarda che è colpa della porta poco oliata, mica mia”.
“Dite tutte così, voi cuoche monelle”.
“Ha parlato lui, ha parlato. E poi non ero io quella che saltellava come un’indemoniata mentre Meiko Kaji cantava con la sua voce da usignolo”.
“Scusami se, con l’età, ho imparato a non disprezzare del tutto quel brutto genere musicale”.
“Ti ricordi la prima volta? Yolanda Tasico, Tokyo Dome, 1997”.
“Non potrei dimenticarla neanche se ci provassi per il resto della mia vita. Mai avuta un’esperienza così agghiacciante”.
“Ma sei stato splendido e, per amor mio, hai detto che ti era piaciuto”.
“Non eri di questo avviso quando hai cercato di cambiarmi i connotati a spatolate, una volta che l’hai scoperto”.
“Gioventù e testardaggine, tesoro. Ci tenevo a condividere queste cose con te, ci avvicinava come coppia”.
“Devo essere sincero?”.
“E sii sincero”.
“Ancora un po’ fingo. A me in realtà piacciono i Cure”.
“Lo so caro mio, lo so. Ma non credere di poterci sfuggire”.
“Sei crudele con me”.
“Certo che lo sono. È così divertente”.

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Capitolo 5
*** Ci siamo affezionate a quel letto, eh Akane? (Ranma Saotome, Akane Tendo, Misaki Saotome) ***


23 maggio 1995.
“Ranma, Ranma! Vieni, c’è qualcuno che vuole conoscerti”.
Ti ascolto moglie, non hai bisogno di assordare l’intero corridoio. Poi le infermiere, per qualche motivo non ben precisato, guardano male me.
Spalanco per bene la porta, visto che di passare per la minuscola fessura che mi consentiva di sentire non se ne parla. Sarò anche un maestro di arti marziali di eccellente livello, ma diventare elastico ancora mi manca.
Ed entro.
La mia Akane mi sorride radiosa.
Eccola, la stringe fra le braccia.
Mia figlia. Nostra figlia.
Ben arrivata, Misaki.
Mi avvicino al letto. Do una carezza sulla testolina della piccola e una sulla guancia della sua prode mamma.
Sono orgoglioso di lei. È stato un parto difficile, con un travaglio durato un’intera giornata. Stamattina ha cominciato ad accusare le contrazioni e l’abbiamo subito portata qui, all’ospedale. Ma la bimba non si decideva ad uscire. Spingeva, spingeva come una forsennata ma non usciva.
Ad allungare l’orecchio da una stanza vicina si poteva pensare che stessero squartando Akane con una sega elettrica da tanto che urlava.
Ma è andato tutto bene, alla fine. Non è stato facile, ma il mio maschiaccio è in grado di fare questo ed altro.
“I nonni dove sono?”.
“Sono rimasti in sala d’aspetto. Fremono dalla voglia di vederla ma mi hanno concesso l’onore di essere il primo. E mi sembra anche il minimo”.
“Guardala, non è un tesoro anche se sta dormendo?”.
“Ha preso tutti i lati migliori di sua madre. Spero solo quelli, che di tornado in casa me ne basta uno”.
Sorride nonostante la frecciata. Si vede benissimo che scoppia d’amore per quel fagottino rosa. Vedi di non rubarmi la mia porzione, ci ho messo del mio.
Faccio per prenderla in braccio ma Akane la scosta. Con gentilezza mi dice che vorrebbe tenerla ancora un po’. Acconsento senza proteste, non ho nessuna voglia di rompere questo idilliaco quadretto con i putti e i rami d’edera.
Chi l’avrebbe mai detto che Akane Tendo sarebbe stata una mamma così affettuosa? Io no di certo, ma si sa che sono l’ultimo scemo del villaggio per queste cose e quindi faccio poco testo.
Mi siedo sulla sedia posta a lato del letto, ovviamente mettendo lo schienale davanti, e mi accuccio nell’osservarle. Sono un tale concentrato di bellezza e poesia che farebbero venire la carie anche ad un oni.
“Ciao, Misaki. Io sono mamma Akane e quest’omone brutto e cattivo vicino a noi è papà Ranma. Adesso puoi solo ciucciarti il dito e piangere, ma fra qualche anno scoprirai quant’è bello e vasto il mondo. Conoscerai un sacco di gente meravigliosa, stringerai amicizia, ti innamorerai e sarai felice. Io e papà ti saremo sempre accanto e ti accompagneremo passo passo in questo splendido viaggio. E nessuno si permetterà di dirti cosa devi fare, come devi essere, chi devi amare. Se vorrai farci il piacere di continuare la tradizione di famiglia e di studiare l’Arte noi ti sosterremo. Se vorrai diventare un pescecane della finanza come quella sagoma di tua zia Nabiki noi ti sosterremo. Se deciderai che vuoi giocare a baseball o a calcio per il resto della tua vita noi ti sosterremo. Non ci saranno limiti, non ci saranno imposizioni. Io e Ranma, in tanti campi, siamo cresciuti con un laccio attorno al collo e non permetteremo che nostra figlia subisca lo stesso peso. Sarai libera. Potrai fare quello che vorrai, quando vorrai. Bada solo a non tornare a casa troppo tardi, e non perché sia inappropriato per una signorina ma perché ci faresti morire di crepacuore dalla preoccupazione. E se la persona per cui perderai la testa si chiamerà Ai invece di Yusuke... beh, non sarà un problema. Quel che conta è che tu sia sempre te stessa, in qualunque situazione e di fronte a qualunque altra persona. Ti voglio bene, mia pietra preziosa”.
...
Io... io sono commosso. Questo discorso ha svegliato in me sensazioni che non mi credevo capace di provare.
Amore paterno e orgoglio per il sangue del mio sangue.
Voglio tenerla. Devo avere un contatto fisico con lei o rischio di esplodere.
“Akane, per favore... dammela”.
Si volta verso di me, stupita dalla forza che pare abbia messo in quelle parole. Devo essere particolarmente buffo perché trattiene a stento una risata.
“Ranma, diventare genitore ti ha reso strano”.
Sarebbe un buon inizio per un bel battibecco dei nostri. Però è meglio evitare, innanzitutto perché non voglio che il primo ricordo di Misaki sia questo, e poi perché gliene devo una per la storia del tornado.
“Forse. Ora, gentilmente, posso prendere in braccio mia figlia?” fingo di suonare scocciato. Non riuscirei ad arrabbiarmi neanche di fronte alla peggiore delle onte. Non adesso.
“Certo. Per metà questo gioiello è merito tuo”.
Quando la stringo...
No, non sto piangendo. È che mi è entrata una bruschetta nell’occhio.

8 luglio 2037.
E così alla fine sei giunto, maledetto.
Il momento dell’abbandono. Il momento dell’addio. Il momento in cui tutto finisce.
Lo so che non volevi e che, avessi potuto scegliere, saresti rimasta ancora qui con me. Quaranta e passa anni di matrimonio lo hanno testimoniato a pieni polmoni.
Purtroppo qualcosa ha deciso diversamente.
“Sua moglie ha subito un ictus ischemico causato da una cardioembolia. Abbiamo effettuato, come da regolare iter terapico, una trombolisi ma purtroppo non sembra sufficiente, all’attuale stato clinico. Naturalmente proseguiremo con le cure e...”.
“Del suo tecnicese non m’interessa nulla. Mi dica solo due cose: se è grave e se si salverà”.
“Perché hanno mandato me invece di quella faccia di bronzo di Kasawa? Io non sono capace di mentire ai parenti. Sono costernato nel doverle comunicare questa notizia ma sì, è grave e difficilmente si salverà. Anche dovesse succedere ne porterà su di sé le conseguenze”.
“Quali... quali conseguenze?”.
“Al momento è presto per stabilirlo con precisione, ma potrebbe... oh santi kami, odio dover dare queste notizie. Potrebbe... perdere totalmente la sensibilità in metà corpo, o peggio rimanere paralizzata...”.
Avrebbero potuto schiacciarmi con la torre di Tokyo che sarebbe stato meno doloroso.
Quest’annuncio mi è stato dato una settimana fa. Da quel momento non hai più aperto gli occhi.
È solo questione di tempo, oramai. I dottori si sono fatti cupi duranti gli esami e non li sento mai parlare di guarigione, solo di situazione stazionaria nel migliore dei casi.
Da una parte, sarò onesto, la cosa non mi meraviglia poi troppo. Siamo anziani ormai e queste disgrazie, alla nostra età, succedono. Dall’altra mi sento morire ogni volta che metto la testa dentro la tua stanza.
Come adesso.
Mi avvicino al letto e con lentezza sistemo una sedia per accomodarmici. Da decenni ho perso quella brutta abitudine di mettermi in posizioni strane e ho imparato a stare composto come una persona normale.
Non posso fare a meno di accarezzarti e, tipo flash, rivedo questa stessa mano che compie lo stesso gesto il giorno in cui è nata Misaki. Con solo più vene varicose.
Stesso ospedale. Stesso paziente.
Destino, sei crudele.
A proposito di Misaki, dove...
“Papà”.
Oh, eccola finalmente. Non ho la forza di girarmi verso di lei, non ho la forza di fare niente. Pertanto non muovo un muscolo mentre arriva ai bordi del letto e afferra la mano di sua madre.
È evidente che stringe alla ricerca di una risposta che, puntualmente, si fa attendere. Io ho smesso di avere speranze già da un po’ e penso che, per quanto atroce, dovresti fare lo stesso. Sarà più facile lasciarla andare.
Sei bravo a fare il baldanzoso nella tua testa, Ranma. Ne vogliamo riparlare di fronte al fatto compiuto?
Tsk. Eccola, quella fiamma all’altezza del petto che prende a bruciarti ogni volta che pensi all’idea del distacco dalla donna della tua vita.
“Mamma, io... io... perché? Non voglio che tu te ne vada e sono sicura che neppure tu lo vuoi. Guarda papà. Lo stai distruggendo. Ha passato gli ultimi sette giorni vivendo fra queste mura asettiche e... no no, cancella tutto. Sono ingiusta nei tuoi confronti, scusa. Non posso rinfacciarti niente. Sei stata la madre più generosa, altruista e amorevole del mondo. E per ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me risponderò, a distanza di quarantadue anni, al discorso che mi hai fatto quando sono venuta alla luce. Ovviamente non lo ricordo coscientemente ma me l’hai riferito tante di quelle volte che potrei recitarlo quasi a memoria. Ebbene, devo bacchettarti perché sei stata bugiarda. Avevi dipinto la strada che mi attendeva come un immenso parco giochi fatto solo di allegria e facce amiche. So che hai mentito per il mio bene, ma col senno di poi l’ho trovato scorretto. Non mi hai preparata ad eventi come la morte dei nonni o le delusioni sentimentali. Ok, ora con Haga-kun va tutto bene ma c’eri quando ho passato intere nottate a piangere perché mi avevano respinta. Sì, c’eri. Accanto a me, ad accarezzarmi questi capelli rossi e a buttarti anima e corpo nell’opera consolatoria. Ogni singola volta. Anche in età avanzata non mi hai mai fatto mancare il tuo supporto e la tua presenza, nonostante gli acciacchi e la tosse cronica. Finora ho camminato con una stampella insostituibile che sta prendendo la via dello Yomi e lascerà due crateri incolmabili in me e in suo marito. Spero di essere stata quello che ti aspettavi, anche se non ti eri fatta particolari attese. Almeno sono sicura di averti resa felice quando ho preso in mano il dojo, portando avanti il lavoro vostro e di nonno Soun. Ti risplendevano gli occhi quando praticavo e saperti soddisfatta di quanto vedevi mi riempiva di gioia. Sapere che eri orgogliosa di me e di cosa avevo scelto per la mia vita... non hai idea di quanto mi facesse sentire realizzata. E anche se non ho mai smesso di farti penare e preoccupare e disperare so, so per certo che mi hai voluto bene fino all’ultimo. Mancherai alla tua pietra preziosa, che senza di te sarà un po’ meno lucida”.
...
La piantate, voi donne, di rendermi un ammasso di lacrime?

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Capitolo 6
*** Cattivo sangue non mente (Misaki Saotome, Akira Hibiki) ***


8 luglio 2051.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.
“Hiroki, puoi andare ad aprire tu per favore? Sono impegnata”.
...
...
...
...
...
...
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.
“Grazie tante, marito”.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.
Ehi, ho capito. Non serve insistere così tanto.
Mi avvio svogliata verso la porta.
Spalanco. E mi casca la mandibola.
Era da un po’ che non ti facevi vedere da queste parti, Hibiki. E proprio oggi hai deciso di tralasciare l’intelligenza e di venire a cercar rogna?
“Ciao Misaki”.
“Ciao Akira”.
Il calore di un cubo di ghiaccio.
“Posso entrare?”.
“No. Anzi, aspetta che esco io. Non voglio che Hiroki ci ascolti”.
BRAAAM. Ops, ho leggermente chiuso.
“Che cosa vuoi?”.
“Non posso venire a trovare ogni tanto la mia ex-maestra?”.
“Non prendermi per il culo, Akira. Oggi non è un giorno casuale, lo sappiamo entrambi”.
“Ufff. Hai ragione, non è un giorno casuale. Allora non hai bisogno che ti spieghi perché sono qui”.
“A dire il vero sì, ne ho bisogno. Occasione funesta a parte non mi viene in mente un solo motivo valido”.
Mi guarda sconvolto. Ho detto qualcosa che non va, per caso? Poi mi indica di sfuggita con una mano.
“Esattamente per questo che sono qui”.
“Non credo di seguirti. Potresti evitare di esprimerti ad indovinelli, per favore? Ho da fare”.
“Devi andare a trovare tua madre?”.
“... non nominare mia madre”.
“Ehi, non sono un ictus. Mica te la devi prendere con me”.
“Non hai comunque nessun diritto di tirarla in ballo”.
“Oh sì invece, ce l’ho. Anzi, sai cosa? Potrei persino chiamarla mamma con più diritto di quanto possa fare tu”.
“E cosa ti mette in testa idee balzane come questa?”.
“Il fatto che mi interesso più a suo marito della sua stessa figlia”.
“Non mi devo giustificare con te, Hibiki. Le mie scelte sulla mia famiglia non ti riguardano neanche di striscio. E ora puoi anche andartene”.
SCIAFF.
Uno... uno schiaffo. Mi ha dato uno schiaffo.
“Come ti permetti?!”.
“Ti senti parlare, Misaki? È vero che non ti devi giustificare con me, ma non puoi essere in pace con te stessa dopo che per qualche assurdo motivo che mi sfugge hai deciso di cancellare quell’uomo dalla tua vita. È solo ed anziano, ha bisogno di te. Io posso essere un palliativo, un sostituto. Ma non sta a me stargli vicino come dovrebbe fare il sangue del suo sangue. Non è compito mio, bensì tuo. Te ne rendi conto?”.
“Akira, stammi bene a sentire: non sono cazzi tuoi. Mio padre si è macchiato di una colpa incancellabile nei miei confronti e non lo perdonerò mai finché non smetterò di respirare, forse neanche lì. Quindi, per quanto mi riguarda, può morire soffocato nel suo stesso vomito. Non mi interessa”.
I suoi occhi, che fino a questo momento mi hanno fissata con uno strano misto di rabbia e pietà, cacciano la prima delle due cose e si addolciscono: “Misaki, io... non sapevo di questa cosa. Qualunque essa sia. Non devi spiegarmela, sono questioni vostre. Ma quel che ho detto resta valido. Non puoi, per ciò che lo legava a tua madre, mettere da parte il tuo rancore? Almeno per oggi. È l’anniversario...”.
“Non mi serve che tu funga da promemoria, so che giorno è. È mancata quattordici anni fa”.
“E quindi...”.
“No. Né oggi, né mai. Quella ferita non si rimarginerà e non posso fargliela passare liscia. Deve soffrire, esattamente come ho sofferto io”.
“Misaki...”.
“Akira, so che hai ottime intenzioni e non ce l’ho con te, credimi. È che mi conosci, sono una testa calda e vado su di giri per un nonnulla. Sei stato avventato a venire qui, nella tana del lupo, a sfidarmi. Ma per oggi, in omaggio a mamma che ti voleva molto bene, non ci saranno conseguenze di sorta. Ora però, per favore, vattene. Hai appena riaperto uno squarcio che speravo si potesse chiudere in tempi brevi, ma che mi rendo conto non mi farà questo piacere. Hai detto quel che avevi da dire. In ricordo dei vecchi tempi, te lo chiedo con gentilezza: vai via”.
“Va bene, va bene. Prima che tolga il disturbo, però, lasciami dire un’ultima cosa: la solitudine uccide. Mia madre e mio padre, quand’erano ragazzi, hanno seriamente corso il rischio di crepare emarginati come cani dopo che i tuoi si erano finalmente messi assieme. È stato solo un caso fortuito che li ha salvati e mi ha permesso di essere qui oggi, invece di restare dove stanno i bambini mai nati. Ribadisco, non so cos’è successo fra voi due ma, qualunque cosa sia, non può valere il trattamento che gli stai riservando. Qualunque sia stato il suo crimine non può giustificare quanto gli stai facendo. E, se dovessi comunque rimanere della tua idea, spero tu sia pronta a tirare avanti avendo la morte di tuo padre sulla coscienza. Anzi, è un mezzo miracolo che abbia retto così tanto senza di lei... e di te”.
Parole non dette con rabbia, né con cattiveria. Parole sentite, preoccupate.
Ragazzo mio, tu non sai proprio nulla per parlare così.
Lo vedo allontanarsi e non sento il bisogno di aggiungere alcunché. Mi sono spiegata esaurientemente.

Qualcosa non mi torna.
Vedo zio Ranma tutti i giorni al cimitero e non mi dà proprio l’impressione di una persona che deve farsi perdonare qualcosa.
Anzi, quando parla di Misaki lo fa sempre con un tono molto triste. È dispiaciuto dell’allontanamento.
Rifletti, tonto di un Akira. Rifletti.
C’è un particolare che stona.
... vai a saperlo...
Oh. Oh.
Vuoi vedere... che quel simpatico vecchietto... non sa nulla di tutto questo e si è convinto che sua figlia lo abbia escluso dalla sua vita senza motivo?
Kami, sarebbe troppo crudele. E, conoscendo i soggetti in questione, fin troppo plausibile.
Va bene Akira, al momento sei l’unico che può farli riavvicinare. Datti da fare.
Hai un sacco di tempo libero. Vedi di usarlo in maniera intelligente, per una volta.

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Capitolo 7
*** Niente Mendelssohn, per il mio matrimonio voglio la Divina (Akira Hibiki, Ukyo Kuonji, Ryoga Hibiki) ***


10 luglio 2025.
Accidenti, due mesi. Sono stati rapidissimi.
Me lo ricordo come se fosse stato ieri: sono rientrato dal dojo, al solito sudato come un maiale perché Misaki mica ci va piano con me, e li ho visti in cima alle scale a... ugh, baciarsi.
Onestamente devo dire che erano molto carini, ma fa sempre uno strano effetto vedere i propri genitori affettuosi fra di loro. Normalmente uno pensa di essere nato come i batteri, per gemmazione cellulare o pirlosi... ocmosi... come si chiama.
“Mamma? Papà? Potreste evitare di fronte a me, almeno” li presi in giro ridacchiando. Non è che mi desse realmente fastidio, e anzi ero contento di vederli felici. Però fa sempre bene sfottere i vecchi.
“Uh? Akira? Già di ritorno?” mi chiese mamma dopo essersi separata dal focoso contatto labbra contro labbra. E, ahimè per il mio stomaco, non solo quello.
“Sapete com’è, è quasi sera...”.
“Figliolo, io e tua madre abbiamo una notizia strepitosa da darti”.
“Mi raddoppiate la paghetta? Cazzofigata”.
“Innanzitutto sai che non ci piace quando dici le parolacce. E poi no, non sei così fortunato ragazzo. In compenso presto farai da paggetto a un matrimonio”.
Sul momento non capii. E mi sento ridicolo a non averlo afferrato subito, era così evidente.
“Matrimonio?”.
“Ci sposiamo!” trillò mamma come un’oca giuliva. Giuro, ho perso l’udito per i successivi quindici minuti.
Tenendomi le mani sulle orecchie li ho liquidati con un velocissimo “Congratulazioni” e mi sono diretto verso il bagno. Puzzavo come una carogna e avevo assoluto bisogno di una doccia totale globale.
Poi, sotto l’acqua non troppo calda che lavava via sporco e residui vari, mi sono concesso un sorriso.
Non che a me importasse o meno se erano sposati o no, la mia vita di certo non sarebbe cambiata. Così come erano dei genitori amorevoli e dedicati prima, così lo sarebbero stati dopo.
Era per loro.
Mentre me lo comunicavano avevano le facce di due bambini dell’asilo nido a cui metti in mano il giocattolo più luccicante del box. Si vedeva lontano un miglio che erano al settimo cielo dopo averlo deciso e io ero soddisfatto di riflesso nel vederli così entusiasti.
Ho sempre voluto loro molto bene, se lo meritano.
Certo, volendo rifletterci sopra è un po’ strano. Stanno insieme ormai da... uhm, non so con precisione visto che io sono nato solo più tardi, ma credo siano almeno una ventina d’anni abbondanti. E di matrimonio, per quel poco che ricordo, non si era mai parlato qui in casa. Chissà a cos’è dovuto il cambio d’idea.
Oh beh, la cosa non mi riguarda. Non mi è di nessuna utilità star qui a pormi domande inutili a cui probabilmente non troverò mai risposta, a meno che non mi incaponisca nel cercarle. E, come ho detto, non mi riguarda e non mi interessa poi neanche così tanto.
L’importante è che siano felici. Lo erano, lo sono. Discorso chiuso.
Naturalmente la cerimonia è stata organizzata nel dojo dei Tendo-Saotome. “È la tradizione” mi ha risposto ridendo papà quando gli ho chiesto il perché. Ha detto che in quella casa si sono svolti gli avvenimenti più importanti di tutte le loro vite e che la loro unione non avrebbe dovuto fare eccezione. Zio Ranma e zia Akane non hanno sollevato una protesta che fosse una e hanno accettato di buon grado, complimentandosi con i novelli sposini.
E così eccoci qui.
La cerimonia è per pochi intimi: sull’unica fila di sedie stiamo seduti io, Misaki con i suoi genitori e i due nonni ancora in vita.
Povero zio Ranma. So che suo padre gli manca molto, nonostante tutto quello che gli ha combinato. Mi ha raccontato delle cose su di lui che, ci fossi stato io al posto suo, lo avrei ammazzato di botte.
Lian-Fu e i suoi non si vedono. Strano. Eppure so per certo che erano stati invitati e che non avevano declinato. Boh.
Mamma, per sa il piffero quale motivo strano, ha insistito per una cerimonia all’occidentale. Quindi, in questo preciso momento, guardo papà vestito con uno smoking piuttosto elegante (“Se quel cretino di tuo padre si presenta al nostro matrimonio vestito kitsch gli stacco le corde vocali a morsi”) mentre attende l’arrivo della sposa e osserva il prete con sguardo da beota. Mi hanno detto che al di là dell’oceano la procedura nuziale funziona così. A me sembra una stronzata, ma vabbè. Non mi importa.
Tsk, è rosso in faccia come uno scolaretto alla prima cotta.
Appunto mentale, Akira: se ami davvero qualcuno puoi starci assieme uno, dieci, trent’anni ma nei momenti topici l’imbarazzo si farà sentire.
“Guarda Ryoga, Ranma! Non è delizioso?”.
“Akane, non farmi essere geloso nel giorno del matrimonio dei nostri migliori amici”.
“Burbero che non sei altro. Stavo solo dicendo ciò che vedo”.
Potreste smetterla con i vostri commentini del cavolo, voi due. Vi si sente.
E quando meno te lo aspetti ecco spuntare la cricca cinese, tutti e tre. Con il padre di Lian-Fu che non ha gli occhiali e quindi, da buona tradizione familiare, prende ad andare addosso a ogni cosa. Conto uno spigolo dell’altare, una ginocchiata ad una sedia e un mezzo capitombolo perché ha inciampato chissà dove. Il tutto sotto lo sguardo divertito della moglie e quello costernato della figlia, che poverella si starà vergognando come una ladra. Per fortuna Misaki prende in mano la situazione, si alza e li aiuta come meglio può. Non mancando di scambiarsi un saluto fin troppo affettuoso con l’altra ragazza. Gatta ci cova...
“Mousse, azzardati a rovinarmi il matrimonio e al banchetto di stasera ci sarà anatra allo spiedo” ringhia papà, comprensibilmente preoccupato. Ma per fortuna il tutto si risolve lì.
Poi eccola, finalmente.
E... Akira, santi kami. Tienilo a bada. È tua madre.
Ma, in tutta onestà, posso capire perché sono qui adesso. Se a cinquantadue anni è una tale... brrrrrrrr, ti prego.
Basta. Con. ‘Sti. Pensieri.
Questo posso dirlo con calma, però: il vestito bianco con lo strascico le sta d’incanto.
Papà si commuove e lo capisco. Chissà se anch’io sarò così fortunato, prima o poi.
Quando sono finalmente fianco a fianco...
“Vedi che ho fatto bene?” le chiede.
“A far cosa?”.
“A non radere al suolo questa casa, quel famoso giorno. Ci è tornato utile”.
“Sei veramente un cialtrone, Ryoga. Dev’essere per questo che ti amo”.
“Ci troviamo qui oggi” comincia poi il prete “per unire Ryoga Hibiki e Ukyo Kuonji nel sacro vincolo del matrimonio. Se qualcuno ha dei motivi per volerlo impedire parli ora o taccia per sempre”.
Silenzio di tomba. Avevo già pronta la spranga sotto la giacca.
Bravi signori.
Chi rovina il giorno supremo dei miei genitori dovrà vedersela con me. E con loro, che comunque si sanno difendere da soli.
“Chi tace acconsente. Gli sposi hanno chiesto di recitare delle promesse personalizzate. Prima la sposa”.
“Ryoga Hibiki, mi devo scusare con te. Ti ho fatto aspettare anni per questo ed è stato ingiusto nei tuoi confronti. Ero solo spaventata all’idea ma non ho mai pensato davvero di non volerlo fare. Come avrei potuto? Sei il compagno migliore che una donna possa avere accanto a sé”. Poi si interrompe e fulmina zio Ranma con uno sguardo letale. Cosa mi sono perso?
Riprende alla svelta: “Solo non immaginavo quanto tu tenessi ad ufficializzare il nostro legame. Quando finalmente me ne sono resa conto è stato uno degli attimi più belli della mia vita, se non il più bello in assoluto. E sono fuori di me dalla gioia nel poter santificare il nostro amore di fronte a Dio e al nostro adorato Akira”.
“Ukyo Kuonji, io... io... diavolo, non posso dimenticarmi il discorso che mi ero preparato con tanta cura. Sono veramente un caso umano senza rimedio. Bene, mi sono scordato tutto quello che avevo intenzione di dirti. Ma per mia fortuna è riassumibile in sole tre parole: ti amo pazzamente”.
Mi copro gli occhi con una mano. Mio padre è veramente assurdo. E, sempre con la mano lì, sorrido. Perché è così che lo conosco ed è così che gli voglio bene, a ‘sto vecchietto bizzarro.
“Possiamo procedere con lo scambio delle fedi, allora?”.
“Sì sì, procediamo. Akira?”.
Ok, tocca a me. Mi avvicino a loro e tiro fuori la custodia con gli anelli. Dopo averla aperta la reggo mentre li sfilano e se li mettono alle dita.
“Di fronte a Dio onnipotente io vi dichiaro marito e moglie. Può...”.
Questi due esaltati neanche gli lasciano finire la frase che si avventano l’uno sull’altra. Da questa distanza posso vedere le lingue.
Bleargh. Stanotte non dormirò.
“Evviva gli sposi! Evviva gli sposi!”. Santo cielo, zio Ranma è veramente un buzzurro.

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Capitolo 8
*** Deficiente, lascia stare i comandi della mia sedia (Ukyo Kuonji, Ranma Saotome) ***


24 dicembre 2060.
“Ukyo...”.
“Ranma...”.
“Avvicina la sedia, su. Sennò non riesco a sentirti. Ti si è abbassata la voce ultimamente”.
“Credo sia perché ho pianto troppo...”.
“Ok, brava. Così va meglio. Questi trabiccoli tecnologici sono una meraviglia, non trovi?”.
“... non fare sarcasmo sul fatto che sto su una sedia a rotelle”.
“Scusa. In tutto questo tempo non sono migliorato di una virgola”.
“Per niente”.
“Non volevo...”.
“Sì, lo so. Sei sempre lo stesso idiota, a venti come a novant’anni”.
“...”.
“...”.
“...”.
“...”.
“Ukyo, come... come stai?”.
“Come devo stare? Sarà il mio primo Natale senza di lui... siamo stati assieme per così tanto tempo che non riesco più a ricordare cosa vuol dire...”.
“Il primo è il peggiore, poi va un po’ migliorando col passare degli anni. Ma basta un minimo dettaglio per rigettarti nello sconforto più nero”.
“Non ti ho chiesto i particolari. E lo so da me che sarà tremendo, grazie tante. Come... come hai fatto a sopportare...”.
“... tutto questo tempo senza di lei? Non lo so. Non sono neanche sicuro di poter dire che l’ho sopportato. Probabilmente sto morendo pian piano senza avercela vicino”.
“Quindi... toccherà anche a me?”.
“Abbracciami, Ucchan. I nostri partner non saranno gelosi”.
“Ci staranno guardando con odio da lassù, temo”.
“No, non credo. Secondo me, invece, saranno felici di saperci vicini per poterci consolare a vicenda. Dubito vogliano vederci marcire nella disperazione”.
“Ottimista”.
“Devo essere ottimista. E lo devi essere anche tu, se non vuoi raggiungere subito il tuo adorato maiale. Sono sicuro che non vorrebbe una riunione troppo presto”.
“Ranma *sniff*... non posso... vivere *sniff*...”.
“Senza di lui? Forse. Ma lascia che ti dica questo: almeno provaci. Parlo per esperienza, lo sai, e ti posso assicurare che non è giusto lasciarsi andare. È irrispettoso nei loro confronti”.
“Io... da ragazza avrei ucciso... per poterti stringere così...”.
“Un paio di volte l’hai quasi fatto. Le cose sono cambiate, noi siamo cambiati, tutto è cambiato. Adesso è giusto così. Non pensarci troppo. È l’unico balsamo per dei cuori infranti come i nostri”.
“Sei gentile *sniff* ad accarezzarmi i capelli, anche se ormai sono pochi e grigi...”.
“Mi è sempre piaciuto il capello grigio. Anche se sospetto sia questione di abitudine con i miei. E Akira mi ha detto che Misaki ha ereditato la calvizie”.
“Uh, ecco cosa dovevo *sniff* fare. Devo chiamare Akira. Sarà preoccupato”.
“Il tuo ragazzo è una persona eccezionale, Ukyo. Al contrario di quella degenerata di mia figlia, per la quale ho smesso di esistere per chissà quale motivo”.
“Non ti ricorda un po’ Ryoga? Ha gli stessi suoi canini...”.
“Certo che me lo ricorda. Ma un consiglio: non rivederlo nel suo viso. Ti farebbe solo più male. Parlo per esperienza. Lui è tuo figlio, non una copia di suo padre”.
“Dai, adesso vado a telefonargli...”.
“Allora perché non ti stacchi?”.
“Mi sto staccando”.
“Non mi sembra. Guarda che non mi dà fastidio se vuoi stare ancora un po’ accoccolata qui. Tanto non ho niente da fare”.
“Scusa. È che sei così caldo...”.
“Non mi sarai diventata infedele con l’età, spero”.
“Cretino che non sei altro!”.
“Oh, finalmente hai ricordato come si sorride. È bello vederti di nuovo così”.
“... sei un truffatore, Ranma”.
“Per un scopo nobile sono disposto a scendere a livelli infimi. E poi non può che farti bene. Parlo per...”.
“Sì, parli per esperienza. La vecchiaia ti ha reso ripetitivo”.
“Perdona se non sono un pozzo d’arguzia come te, Ukyo Hibiki”.
“...”.
“... scusa. Lingua troppo lunga, come mio solito”.
“No, fa nulla. Non hai mica detto nulla di sbagliato, quello è il mio cognome”.
“Sì, ma magari preferisci...”.
“... che venga usato il mio cognome da nubile? Sono vedova Ranma, non divorziata. Fosse dipeso da me gli sarei andata dietro”.
“Non dirlo. Mai più”.
“Cos’è quella faccia da omicida? Mi stai spaventando”.
“Non devi mai e poi mai pensare una cosa del genere. La disgrazia che ti è appena caduta addosso la conosco troppo bene. È solo la parte più oscura di te che ti spinge a dire simili assurdità. Non cercare la morte, Ukyo. Non ne vale la pena. E spezzeresti il cuore a Ryoga”.
“Ryoga non ha più un cuore, Ranma. È sotto tre metri di terra”.
“E lo stesso vale per Akane. Ma fidati di me, so che è così”.
“Cosa stai cercando di dirmi? Che... le hai parlato dopo che...”.
“No, no. Però è una mia certezza incrollabile. Mi aiuta ad andare avanti giorno dopo giorno, e lo farà anche con te se glielo permetterai. Devi solo cancellare pensieri stupidi come quello”.
“Eccolo qui, il Socrate dei vedovi”.
“Non so di chi tu stia parlando. Però ti prego, credimi quanto ti dico questo. È importante”.
“Va bene, va bene. Ora posso telefonare, finalmente?”.
“Non ti trattengo”.
...
...
...
“Ranma?”.
“Sì?”.
“Vediamoci più spesso, io e te”.
“Allora è vero! Sei diventata una traditrice seriale! A quella persona staranno spuntando un chilo di corna!”.
“... ritiro tutto. Non ti voglio vedere mai più”.
“La tua faccia allegra dice altro”.
“Solo perché poi non avrei nessuno di cui ridere”.
“Se ti serve un pagliaccio per scordarti quelle cose orribili eccolo, l’hai trovato”.
“Grazie”.

"Ryoga?".
"Dimmi, Akane".
"Spostati, non vedo".
"Come fai a non vedere? È tutto trasparente. Basta che abbassi la testa. E meno male che sei qui da più tempo di me".
"Non ci si abitua mai a 'ste robe strane. Lo capirai presto, novellino".
"Ma per favore".
"Te ne accorgerai e vedrai se dicevo balle".
"Voglio andarmene da qui. Voglio tornare giù".
"Non fare il bambino. Non si può, lo sai. Ora è questo il nostro posto, che ci piaccia o no. Datti qualche decennio e ci farai l'abitudine".
"Ma guardali! Mia moglie e tuo marito sono due catorci senza di noi! Non possiamo...".
"Ryoga, straparli. Siediti e respira. Ti rendi conto che noi siamo morti, vero? Ti rendi conto che non possiamo muoverci da qui, vero?".
"Uff. Sì, certo che me ne rendo conto. Ma è difficile capacitarsene sul serio".
"Lo so, lo so. Ho fatto più fatica di quanto mi piace ammettere. È dura rimanere su queste nuvolette a vedere le miserie e le pene di chi sta sotto di noi senza poter intervenire".
"Akane, ti vedo... posata. Quasi zen. È merito di questo posto?".
"Ci puoi giurare. Restare immobilizzato in sette metri quadri ti sa donare una tranquillità e una capacità di riflessione notevoli".
"Spero che faccia lo stesso effetto a me. Adesso come adesso sparerei uno Shishi Hoko Dan imperfetto grande abbastanza da far affondare l'Africa intera".
"Quanta esagerazione. Perché invece non raggiungiamo i miei genitori, naturali e acquisiti, per una bella partita a Risiko?".
"Bof. Se proprio non posso fare di meglio...".
"Ci farai il callo, maialino. Ci farai il callo".
"Aspetta. Prima di andare... vorrei farti una domanda".
"Sono tutta orecchi".
"Anzi no, due. La prima è stupida: perché ci vediamo come sedicenni?".
"Non ne ho la minima idea. È così e basta. La seconda?".
"Quello che ha detto Ranma... vale per te?".
"Sul fatto che deve rimanere in quel mondo infetto, sporco e pieno di dolore? Assolutamente sì. Qua ci deve arrivare il più tardi possibile".
"Ma...".
"Non c'è un
ma, Ryoga. Non lo voglio qui. E, più presto che tardi, ti accorgerai che neanche tu vuoi Ukyo qui. Loro stanno bene dove stanno, per ora. Anche se devono solo provare a strusciarsi ancora così e il modo per mandare un meteorite su Nerima lo trovo".
"Pffffff. Riesci ad essere gelosa anche da spirito. Lasciali fare, non dobbiamo temere nulla. Sai che ci sono affezionati e fedeli".
"Eccheccavolo, era uno scherzo".

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Capitolo 9
*** La Regina delle Bocce fa il suo trionfale ingresso in scena (Ukyo Kuonji, Akane Tendo) ***


16 aprile 2034.
Questo è un incubo.
Kuonji, imprimitelo bene a fuoco nella testa: mai, mai fidarsi di Akane Tendo quando fa la smargiassa.
Mai.
Al telefono suonava giuliva come un'ochetta: “Ukyo, oggi ti porto in un bel posto. Saremo due befane felici, entro la fine della serata”.
Perché non mi si è accesa la lampadina di pericolo? Maledizione, se solo avessi subodorato cosa mi aspettava.
Dove siamo? Bocciofila di Nerima, ovviamente. Quale luogo è più appropriato per due sessantunenni ambiziose, annoiate e con un sacco di tempo libero?
E di fronte a me, proprio in questo momento, sta passando il mio nuovo diavolo personale.
Un po' più vecchia di noi, lo sguardo di una iena che si avvicina alla carogna per mangiarla dopo giorni di digiuno, le bocce rosa. E i capelli dello stesso colore.
Quando, all'inizio di questo tunnel di raccapriccio, mi hanno sussurrato all'orecchio “Sei nuova e stai giocando contro Boccino Kaname? Complimenti per il fegato”... mettiamola così, ho pensato che 'ste altre carampane stessero esagerando.
Poi ha cominciato la sua opera di demolizione della mia autostima, del mio pomeriggio e più in generale della mia intera vita. Un tiro alla volta.
Se solo riuscissi a coglierla di sorpresa potrei darle una spatolata in testa e consegnare il suo corpo alla CIA per farla studiare, perché... non so, dev'essere un cyborg o forse le hanno installato un sistema di puntamento laser negli occhi. Quanto riesce a fare è allucinante, non sbaglia un tiro neanche a lanciare col naso.
E meno male che la sua compagna non è altrettanto chirurgica, pur non risultando affatto scarsa. Di avversari capaci di prestazioni sovrumane ce ne basta e ce ne avanza uno. Anche se pure quella mi infastidisce, ma per motivi completamente diversi: ha un modo di scostarsi le ciocche di capelli dal viso che trovo francamente insopportabile, si atteggia terribilmente, parla poco e quando lo fa è sempre sibillina e minacciosa. Almeno la rosa non si nasconde dietro un dito.
Giusto per aggiungere il danno alla beffa, quella dissennata di Akane si è fatta incastrare in una lunga serie di partite a causa del bizzarro sistema di punteggio che usano da queste parti. Non ho neanche la consolazione di perdere malissimo una sola volta, mi tocca concedere bis su bis.
Alla mia cara amica la prossima okonomiyaki la faccio pagare come se gli ingredienti venissero direttamente da Plutone.
Per fortuna siamo quasi alla fine del supplizio. Un ultimo tiro della parte avversa e, finalmente, potrò tornarmene dal mio caro maritino e dal mio adorato figlioletto.
TOC. Toh, tanto per cambiare è stata a dir poco perfetta. Sono altri dieci miliardi di punti, temo.
“Abbiamo delle vincitrici, siore e siori! Come al solito, da ormai quindici anni consecutivi, trionfano a mani basse Madoka Kaname e Homura Akemi” strilla il proprietario, che ha creato da non so dove un microfono e si premura di assordare chiunque nel raggio di chilometri.
Ok, era anche ora. Possiamo levarci dalle balle e...
“Ohi, Madoka! Sei la noia fatta giocatrice. Non perdi mai, cazzo” arriva un'irritantissima voce alle nostre spalle.
Mi volto e decido che sì, questo posto lo odio profondamente. Si sta avvicinando un altro soggettone: più o meno nostra coetanea, capelli lunghi fin sotto le spalle e orribilmente tinti di rosso come se di anni ne avesse venti, la camminata da teppista, qualcosa di lungo e sottile che le pende dalla bocca e... sogno o son desta? Mi sembra che dalle maniche della sua maglia si intravedano dei tatuaggi.
Perché ho un vago ricordo di qualcosa accadutomi in gioventù e che aveva come protagonista un elemento del genere? Sono abbastanza sicura di vederla ora per la prima volta in vita mia.
“Kyōko, santi kami. Puoi evitarti di essere così scurrile ogni volta” la rimprovera la campionessa interplanetaria di bocce, guardandola con un sorriso divertito.
Il nome accende un ulteriore segnale nella mia testa. Ho la sensazione di conoscerla, in qualche modo.
Ti stai rimbambendo con l'età, non è così Ukyo?
“Vedo che non molli mai il tuo pocky elettronico” commenta caustica la sua socia, che a giudicare da tono e parole non condivide la simpatia per la nuova arrivata.
“Carina come sempre, tu. Sai, non riesco più a masticare come un tempo e la dentiera è un grosso ostacolo ma non intendo rinunciare ai veri piaceri”.
“Homura-chan, puoi anche non aggredirla ogni volta. Sono decenni che fai la scortese con lei per il puro gusto di farlo”.
“Mpf”.
Homura-chan? Quanti anni hai, sei?
“Su Madoka, tranquilla. Ormai ci sono abituata e la cosa non mi tocca”.
“Se lo dici tu. Ma parliamo di cose più liete. Tendo-san, Kuonji-san, è mia tradizione consumare un the una volta conclusa la partita. Volete partecipare? Mi farebbe piacere avervi come ospiti. E se state per obiettare: pago io”.
Beh beh beh. Fino a un minuto fa volevo sparire alla velocità della luce, ma devo ammettere che al di fuori del campo di gioco sembrerebbe una persona tutto sommato gradevole.
Butto un'occhiata verso Akane per cercare di cogliere una sua possibile reazione. Pare entusiasta all'idea, visto che acconsente con un vigoroso cenno della testa.
Dai, non può essere tutta 'sta tragedia. Il peggio dovrebbe essere passato.
“Ci sto. Che male può fare un the, dopotutto?” rispondo.
Il suo sorriso si allarga ancora di più e sembra genuinamente contenta alla prospettiva. Sì, sta proprio cominciando a piacermi.
Ci avviamo tutte e cinque.
Mentre camminiamo mi sovviene una cosa importante.
“Kaname-san...” azzardo.
“Sì?”.
“Verrò con voi a una sola condizione”.
“Ohibò. E quale?”.
“Non si offenda, ma non voglio mai più giocare a bocce contro di lei”.
“Ukyo! Maleducata che non sei altro!” mi apostrofa Akane con una leggera gomitata sul fianco. Guarda che puoi anche evitare la violenza, maschiaccio che non sei altro.
“Ahia”.
Temevo di aver detto una parola di troppo. Invece la vedo scoppiare a ridere di gusto.
“Guardi, non c'è problema. Di solito le mie avversarie se ne vanno imbufalite per non farsi vedere mai più, minacciando e sbraitando. Sono anzi davvero contenta di vedere che voi due sapete accettare una sconfitta con sportività”.
“Oh, sapesse. È una qualità che ho fatto mia tanto, tanto tempo fa”.
“Dice sul serio? Se posso permettermi di chiederle il perché...”.
“Semplice: ho lasciato il ragazzo che amavo alla qui presente mia rozza amica”.
“Sportività? Tu?” si intromette Akane “Ma se avevi chiesto a Ryoga di raderci al suolo il dojo il giorno in cui ci siamo sposati! Sei veramente un bel tipo”.
“Ahahahahahahahahahah. Se vi andrà potrete spiegarvi meglio di fronte a una bella tazza di Earl Grey. Sembra una storia davvero interessante”.
Ok, è ufficiale: odio la bocciofila ma questa Madoka Kaname è una bella persona.

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Capitolo 10
*** Non sono capace di giocare a canasta da solo (Ranma Saotome) ***


8 luglio 2063.
Guardo fuori dalla finestra. Sta arrivando la sera, oramai. Ukyo e Akira se ne sono appena andati. Mi hanno fatto compagnia tutto il giorno, cari che sono.
Sono passati ventisei anni dal peggior giorno della mia vita. Ventisei anni da quando ho perso la persona per me più importante.
E ancora persisto. Mi sento molto sequoia millenaria, anche se novant’anni sono nulla paragonati agli alberi più vecchi del mondo. Ma mi so accontentare.
Specie considerato che sono solo da sanno solo i kami quanto, considerando la morte della mia cara moglie e la brusca uscita dalla mia vita della mia unica figlia. Akira mi ha parlato più di una volta, in passato, di lei e del presunto sgarbo che le avrei fatto ma io, in tutta onestà, non sono mai riuscito a capire a cosa quella caprona di Misaki possa riferirsi. Davvero, non me ne capacito. Non so quale crimine possa aver commesso nei suoi confronti, lei non ha nessuna intenzione di venire a dirmelo e il pur gentilissimo giovane Hibiki non è in grado di aiutarmi. Abbiamo provato, in più di un’occasione, a venire a capo del mistero ripercorrendo a ritroso le tappe. Tempo perso.
Quel ragazzo è veramente fatto d’oro, comunque. Si dedica anima e corpo alla madre, rimasta vedova da qualche anno e ridotta su una sedia a rotelle dalla degenerazione fisica che, per non so quale miracolo, ha ben pensato di dedicarsi solo a lei ignorandomi quasi del tutto. Perché, acciacchi dell’età a parte, io sto tutto sommato bene. Se mi sforzo riesco persino a fare dei saltelli.
E non solo è diventato la balia di Ukyo. Trova anche il tempo di venire a trovarmi per farmi compagnia. Non ci crederà nessuno, me ne rendo conto, ma con la vecchiaia ho clamorosamente imparato a giocare a poker e ogni tanto riesco addirittura a vincere. O forse lui mi dà il contentino per non farmi sentire un fallito completo. Glielo dovrò chiedere, prima o poi.
Oh Akane, se tu fossi ancora qui con me. Saresti sicuramente in grado di aiutarmi a capire cosa c’è che non va nella testa della nostra figliola, e probabilmente mi picchieresti in testa col bastone rimproverandomi di essere un testardo insensibile buzzicone. Naturalmente faresti solo bene. Facevi sempre bene a insultarmi.
Sei un catorcio ormai, Saotome. Ma alla fine cosa pretendi? Hai la tua età, le rughe, l’arteriosclerosi e tutta quella simpatica serie di problemi dovuti al tempo che passa impietoso. Non è neanche giusto lamentarsi più di tanto. E poi sei stato sposato per più di quarant’anni con la migliore donna del mondo, non tutti possono vantarsi di questo.
No vecchio, non cadere nel patetismo. Sai che poi ti vengono le crisi di pianto e…
CRAAAAAAAAAAAAAAAASH.
Oddio. Che succede? Cos’è stato quel botto?
Spalanco la finestra.
No.
No.
No.
Dio santo. No.
Cerco di precipitarmi fuori. Chiaramente quel cerco è dovuto al fatto che sembro una lumaca zoppa.
Non posso aver visto quel che ho visto. Dev’essere colpa del buio, della mia pessima vista, di... di qualcosa.
Finalmente, dopo un’eternità di passetti minuscoli, giungo in strada.
E ho la conferma che, purtroppo, ci vedo molto meglio di quanto sperassi.
La Daihatsu blu di Akira è accartocciata contro un palo della luce. Un’altra macchina è messa di traverso lungo la corsia, ferma e fumante. Comincia a sentirsi un rumore, forse l’allarme di qualche altra vettura.
Un incidente. Un dannato incidente.
“Ukyo! Akira!”.
Le mie gambette cominciano a mulinare freneticamente per farmi avvicinare più in fretta che posso. Ci impiego quindi quei sette, otto, nove, dieci, undici minuti.
Troppo vecchio. Troppo lento.
Altra gente si affaccia dalle finestre, attirati come me dal casino infernale. Qualcuno urla di telefonare al 911.
Non riesco a salvarli. Non posso salvarli.
A metà percorso mi fermo, esausto. Era veramente tanto, tantissimo tempo che non sottoponevo il mio corpo a uno sforzo.
Anf anf anf anf anf.
Ditemelo che mi prendete in giro, lassù. Ditemelo. Non c’è altra spiegazione per questa sfilza di colpi al cuore.
Mi pietrifico dove sono, incapace di muovere un solo altro passo.
La cognizione del tempo va a farsi uno spuntino da qualche parte lontana da qui.
Poi, dopo chissà quanto, delle mani mi afferrano le spalle da dietro e fanno per spostarmi: “Si tolga, per favore. Ci ostacola”. Voce maschile sconosciuta.
“No”. Scusa, infermiere o poliziotto o quel diavolo che sei. Ma da qui io non mi muovo.
“Si levi, le ho detto. Rischia di prendere fuoco”.
“Non m’importa. Sai chi c’era là dentro?”.
Non risponde, non subito almeno. In compenso sento rumore di passi e me lo ritrovo davanti. È un bel ragazzo giovane, non più di trentacinque anni, piuttosto prestante e con la faccia preoccupata. Mi dà l’idea di non saper trattare con un anziano testardo e orgoglioso.
“Signore, per favore. È pericoloso restare qui”.
“Ti ho detto che non m’interessa. Dentro quella macchina... là dentro...”.
“Chi c’era? Lei lo sa, per caso?”.
“Oh, ci puoi giurare che lo so”.
“I miei colleghi stanno per estrarli. Non si preoccupi, faremo del nostro meglio e...”.
“Di’ pure loro di non affannarsi, non c’è nulla da fare”.
“Non dica così signore, le assicuro che...”.
“Fidati di novant’anni di sfiga quando dico che non c’è nulla da fare”.
Mi prende per le spalle e mi trascina via. Non oppongo resistenza, morirei seduta stante se li vedessi mentre li tirano fuori da quella carcassa.
Finita. È finita.

“No maledizione, no. Non così presto”.
“Senti Ryoga, non è colpa mia. Prenditela con quello scapestrato di nostro figlio, tutt’al più”.
“Mamma? Scusa? Stai scaricando su di me?”.
“Beh, non stavo di certo guidando io”.
“Ok, ma non ti pare di esagerare? O l’età ti ha rincoglionita del tutto e hai già dimenticato cos’è successo?”.
“No, certo che non l’ho dimenticato. Dai su, ti prendevo solo un po’ in giro. Ma bada alla lingua, giovincello”.
"Tsk. Ha parlato Miss Cuoca Bagnata. Da ragazza eri veramente uno schianto, lasciatelo dire. Capisco perché a lui si sono bruciate tutte le cellule cerebrali".
"AKIRA!".
“E comunque, anche fosse, non l’ho di certo fatto volontariamente. Papà mi mancava, ma non ci tenevo a raggiungerlo così presto”.
“Ukyo, Akira. Finitela”.
“Sì, hai ragione. Litigare fra di noi non risolve nulla. Come se ci fosse qualcosa da risolvere, peraltro”.
“Sante parole. È andata ormai. Mi addolora vedervi qui a farmi compagnia così presto, ma bisogna saper giocare con la mano che ci è stata servita. In vita e in morte”.
“Papà, ma zia Akane? È qui con te?”.
“Sì. Appena vi siete schiantati ha ritenuto opportuno lasciarci un po’ di privacy, per una bella riunione familiare in piena regola”.
“Tsk. Che dolce. Aspetta che ce l’abbia sottomano e...”.
“... e cosa, Kuonji?”.
“Oh, Akane. Ciao. Quanto tempo”.
“Non abbastanza, purtroppo. Ma dimmi, cosa vorresti fare? Il tuo tono suonava così belligerante da incuriosirmi”.
“Nulla, nulla. Scherzavo”.
“Sì, scherzavi. E domani nevicano rane violette”.
“Perché, non succede mai qui?”.
“Non essere assurda, su. Siamo morti, non dentro un film di fantascienza”.
“Ma che delusione. E io che pensavo...”.
“Va bene gente, basta così”.
“Akira?”.
“Due minuti che siamo qui e dovete già battibeccare? Non potete fare le vecchie carampane, come quando stavamo giù, e raccontarvi le ultime come due matusalemmi che non si vedono da anni? Che è poi la realtà, vorrei farvi presente”.
“Tuo figlio ha ragione, Ukyo. Tieni a freno il ritrovato vigore da sedicenne, metti la museruola alla spatola e seguici. Io e tuo marito vogliamo presentarti qualcuno”.

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