Raindrops.

di Writer96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un po' di fumo in faccia e il vento addosso. ***
Capitolo 2: *** L'arte di cambiare idea. ***
Capitolo 3: *** E State Insieme ***



Capitolo 1
*** Un po' di fumo in faccia e il vento addosso. ***


Dedicata alla Giò.  Perchè, su, tesoro. Styles è tuo.




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-Fermati! Dove stiamo correndo?-
-In giro...-
-C’è una qualche ragione?-
-Ti ricordi un paio di notti fa, June?-

 
 
 Un sassolino rotolò lungo la strada, rompendo il silenzio e facendo udire perfettamente i suoi piccoli rimbalzi causati dall’impervietà del terreno. June lo seguì con gli occhi fino a quando non lo perse nel buio e si strinse ancora un po’ nel cappotto pesante che si era messa addosso qualche minuto prima. Benché le avessero detto che era pericoloso, che non doveva farlo se teneva alla propria incolumità, lei si ostinava a girare da sola la sera nel cortile interno, una cuffietta infilata dentro all’orecchio e l’altra che le pendeva molle davanti, posata pigramente sul petto. Del resto era metà Dicembre e la gente preferiva rimanere dentro ai dormitori piuttosto che stare fuori al freddo, vittima del vento gelido. Gli unici che stavano fuori erano quelli con un valido motivo per starci, ma June sapeva chi erano e dove si trovavano e così li evitava.
Diede un calcio ad un sasso più grande del precedente e risistemò la cuffia, che in quel momento stava minacciando di cadere, con un gesto secco della mano. Per qualche secondo le note di American Idiot si erano allontanate da lei, ma erano tornate subito ad essere chiare e forti nel suo orecchio, con sua grande soddisfazione. Un refolo freddo le si insinuò nella manica che lasciava scoperto il polso e lei si affrettò a tirarla giù, rabbrividendo e strofinandosi le braccia con le mani.

-Non risolverai niente così.- disse qualcuno e lei sobbalzò così tanto da far definitivamente cadere la cuffia dall’orecchio. Si girò e vide un punto rosso, incandescente, in mezzo ad una delle vecchie nicchiette ancora presenti nel chiostro dell’ex monastero. Rimase immobile e scrutò quel punto con forza, riuscendo solamente a vedere un sottile filo di fumo che si levava da quella che doveva essere una sigaretta accesa da poco.
-Intendo dire, non smetterai di bubbolare né strofinandoti le mani addosso né fissandomi come se fossi uno strano mostro.- ripetè il qualcuno sconosciuto, la voce bassa e calda, resa roca probabilmente dal fumo.
-Non lo sto facendo.- ribattè June, muovendo un po’ le gambe per indietreggiare, incerta se scappare via o restare. Le avevano spiegato come comportarsi in quei casi, aveva fatto corsi su corsi e partecipato a più di una lezione di autodifesa, perciò era abbastanza tranquilla, certa di trovarsi in un ambiente che le apparteneva almeno quanto quella nicchietta nera apparteneva alla figura misteriosa.
-Facendo cosa?- chiese lui, beffardo. Un’altra nube di fumo si levò davanti a quello che doveva essere il suo viso e June, impercettibilmente, si avvicinò.
-Fissarti come se fossi un mostro. Non ti vedo neanche, non posso farlo.- spiegò lei paziente, lo stesso tono che aveva quando a mensa due ragazzi cercavano di picchiarsi perché uno aveva una fetta di pane più grande di quella dell’altro.
-Però non hai negato che io sia un mostro.- replicò e June fece un altro passo, questa volta di lato. Un’altra voluta di fumo si levò dalla sigaretta ed arrivò fino a lei, che sentì gli occhi lacrimare per l’odore di tabacco. Scosse la testa e sentì un tonfo poco avanti a lei, segno che quel qualcuno con la sigaretta era appena sceso dalla nicchia dove si era seduto e che ora si stava avvicinando.
-Andiamo. Vivi qui. Vorresti davvero farmi credere che sei una persona normale?- domandò lei, beffarda, stringendo le mani a pugno dentro alla tasca. Un sospiro e poi i passi dell’altro si fermarono, due metri ancora che li distanziavano, il fumo che ogni tanto usciva dalla sigaretta.
-E tu, allora? Anche tu vivi qui.- la voce di lui era ancora più roca ora che era vicina e June sentì un brivido che non aveva niente a che fare con il freddo correrle lungo la schiena. Si mise una ciocca di capelli dietro alle orecchie, forzandoli per farli entrare sotto la cuffia di lana che avrebbe dovuto, teoricamente, tenerle caldo alle orecchie.

-Io sono qui perché studiare come vivono quelli come te è il mio lavoro, più o meno.- disse, la voce che era all’improvviso alta e sicura. Lui sbuffò e fece un ultimo tiro di sigaretta, facendo uscire dalle labbra degli anelli di fumo che a June ricordavano terribilmente Alice in Wonderland. Rimase immobile e aspettò che lui, nel silenzio e nel buio parlasse.
-E ripeto, vorresti farmi credere che sei normale, tu? Che scegli di venire qui, di avere a che fare con i disperati che non si salveranno?- disse, la voce amareggiata, qualcosa –forse la mano- che saettava verso l’alto, verso quella che doveva essere la testa. June rimase in silenzio e fece un passo avanti, la mano nella tasca che giocherellava con le forcine rotte dopo l’ultima lezione di ginnastica.
Rimasero in silenzio fino a quando June non si avvicinò ancora, arrivando fino al muretto accanto alla nicchia e sedendosi lì, la luna che le illuminava solo un occhio e metà viso. L’altro si avvicinò e si sedette di nuovo, ma questa volta accanto a lei.
Tirò fuori un accendino e un’altra sigaretta e l’accese, senza preoccuparsi di farle schermo dal vento.
Nella fioca luce che brillò in quell’attimo, June vide un paio di occhi chiari, dalle ciglia lunghe, contornati da qualche riccio ribelle che gli cadeva sulle sopracciglia. Nell’avvicinare la sigaretta alle labbra, vide come esse fossero perfette e disegnate, quasi levigate apposta. La luce durò solo un attimo in più, ma a lei parve di scorgere delle fossette sulle sue guance quando lui iniziò a parlare.

-Vuoi?- le offrì lui, passandole la sigaretta con una mano. Lei scosse la testa e poi, rendendosi conto che forse lui non la poteva vedere, disse semplicemente “No, grazie. Non fumo.”
Il ragazzo fece uno sbuffo e la sigaretta tornò tra le sue labbra, arpionata fra due dita lunghe –June le aveva intraviste quando le aveva illuminate la luna- e sottili.
Prese una boccata e poi soffiò il fumo, mandandolo volutamente in faccia a June, che si scostò con un movimento irritato.
-E comunque sia, non ho mai detto di essere normale.- disse lei poi, le mani che erano tornate in tasca e i capelli che le erano usciti ancora una volta dal cappello, lasciandole un buco proprio sopra il collo del cappotto attraverso cui passava un refolo freddo ogni due istanti.
-Però hai parlato di me e degli altri come se fossimo diversi da te...- commentò lui, quasi spuntandole il fumo in faccia. Lei si mosse e lui ridacchiò, mettendosi poi di nuovo la sigaretta tra l labbra e aspirando per qualche istante in silenzio.
-Perché lo siete. Io ho scelto di venire qui. Voi no. E se l’avete fatto e non studiate psicologia come me, allora è preoccupante.- rispose, pentendosi subito delle sue parole istintive. Il ragazzo non se la prese, anzi, iniziò a ridere e si piegò di lato, così da portare la sua spalla a sfiorare quella della ragazza, che si irrigidì un secondo dopo.
-Mai sentita tanta schiettezza nei miei confronti. Hai ragione. E così, studi psicologia?- le chiese, rizzandosi e prendendo ancora una boccata dalla sigaretta, che era ormai quasi finita. Quando soffiò il fumo in faccia a Jane, lei riuscì a non scansarsi e ad accettarlo quasi con passività, come un vecchio amico.
-Faccio una sorta di scuola superiore che prepara agli studi di psicologia, sì. Per prepararmi a fare l’educatrice... Una cosa strana...- spiegò, muovendo i piedi e facendoli toccare l’un l’altro.
-Capisco. Quindi noi siamo parte del tuo progetto formativo?- chiese il ragazzo, scosso da una risatina che alle orecchie di June arrivò attutita a causa della mano che il ragazzo si era portato alla bocca per buttare via il mozzicone di sigaretta. Entrambi lo guardarono bruciare a terra per qualche istante e poi si voltarono.
-Più o meno. Ho scelto io di fare un semestre qui, volevo conoscere ciò che studiavo.- disse e il ragazzo annuì senza che lei lo vedesse.

-E l’hai conosciuto?-
-Perché rubavi?- domandarono, nello stesso istante. Il ragazzo andò indietro con la schiena e si voltò a guardarla, il naso che si scorgeva appena grazie a qualche raggio di luce.

-Come lo sai?- chiese, senza rispondere davvero. June notò che la voce gli si era incrinata e capì di averci visto giusto ancora una volta, anche se forse vedere non era esattamente il termine più indicato.
-Le tue mani con la sigaretta. Me l’hai offerta con la destra, ma l’hai messa in bocca con la sinistra. E prima sapevi benissimo dove stavo guardando anche se non ero perfettamente visibile.-spiegò lei, piegando la bocca in una smorfia. Il ragazzo annuì e la guardò di nuovo, intercettando un paio di occhi scuri che sparivano dentro all’ombra, mescolandosi con essa.
-Però. Sei brava...- commentò, mettendo una mano in tasca e prendendo l’accendino. Lo accese e una fiammella illuminò i loro volti, distorcendoli maldestramente.
-Grazie. Ora rispondimi, però...- ordinò lei, addolcendo la voce alla fine e sistemando ancora i capelli nel cappello. Dovevano essere poco più che le dieci, ma era buio e freddo e a lei sembrava di trovarsi nel bel mezzo della notte in una landa desolata e fredda. In compagnia di un affascinante sconosciuto ex-ladro.
-Avevamo pochi soldi in famiglia, andavo in una scuola da ricchi, popolata da ricchi che guardavano con disgusto quelli con le borse di studio. Storia nota, eh?- commentò acido, valutando se finire l’ultima sigaretta nel pacchetto o farsi un drum alla cieca. Optò per la prima opzione e tirò fuori la sigaretta, riprendendo l’accendino e riaccendendolo. Vide l’espressione di June in quell’istante, le labbra strette e la fronte aggrottata.

-Non ti facevo uno da borsa di studio...- commentò poi lei.
-Perché fumo, perché rubavo, o perché sembro uno sciatto scansafatiche?- chiese lui, beffardo, la cima della sigaretta di nuovo incandescente.
-Perché ti facevo più da ricco ragazzino viziato che ha avuto tutto dalla vita.- spiegò lei, voltandosi a guardarlo e notando come, con gli occhi abituati al buio, la sua figura si scorgesse decisamente meglio. Sembrava alto, magro, riccio, uno di quei ragazzi che vedresti bene in un film e non in un riformatorio o, meglio, in un Istituto Recupero Ragazzi Difficili della periferia di Londra.
-Beh, no. Dalla vita ho preso schiaffi, manette, una denuncia per furto, un sacco di calci in pancia e una dipendenza dalla nicotina.- esclamò, mettendosi a ridere da solo.
-Sembri piuttosto sicuro di te per essere uno che si descrive come uno sfigato senza possibilità di scampo o redenzione.- commentò e sorrise da sola, nonostante il vento freddo che le si era insinuato dentro ad una manica, stabilendocisi stabilmente.
-Sembro sicuro di me solo perché ho iniziato a parlare con l’unica persona che se mi sembrava starsene qui fuori senza il pretesto di assumere droghe o di andare a prostituirsi per avere i soldi per la droga e in più neanche ti vedevo in faccia completamente.- mormorò e fu June a sussultare, colpita da quelle parole dure e allo stesso tempo.
-Ah.- fu l’unico commento che le uscì dalla bocca, mentre il ragazzo prendeva un’altra boccata dalla sigaretta e fissava pensieroso il fumo che gli usciva dalle labbra, una sottilissima scia grigia che spezzava il buio compatto della notte.
-Già. Lo sai benissimo anche tu che gente gira qui fuori di notte. A dire la verità ammiro moltissimo il tuo coraggio.- commentò lui, girandosi per riservarle un po’ di fumo che ancora non aveva sputato fuori.
-E tu non sei coraggioso? Sei fuori anche tu.- disse lei, alzando la testa e scrutando le stelle che ammiccavano dall’alto. Amava quelle notti limpide e con solo un minuscolo spicchio di luna, le ricordavano l’esistenza di tanta gente, apparentemente invisibile e poi realmente fonte dell’unica luce.
-Io sono un ragazzo, ho una sigaretta in mano e mi mimetizzo nelle nicchiette buie. Posso sopravvivere meglio di quanto tu pensi.- spiegò, allontanando la sigaretta dal volto e portandola davanti a sé, intento a fissarla mentre si consumava e lasciava intravedere la cenere grigio-nera mischiata al rosso incandescente della fiammella.

-Ce l’hai un nome?- gli chiese lei dal nulla, nell’esatto momento in cui lui riportava la sigaretta alle labbra. Non le era chiaro perché l’avesse lasciata consumare di proposito, ma effettivamente, in tutta quella conversazione e in tutta quella situazione il senso generale era davvero poco.
-Elizabeth...- mormorò lui e lei si voltò a guardarlo sorpresa. Lui dovette capire che gesto avesse fatto perché scoppiò a ridere, così forte da doversi interrompere un paio di volte per tossire.
-Scherzavo, ti pare? Mi chiamo Harry...- disse subito dopo e anche June scoppiò a ridere, bloccandosi subito perché mesi di frequentazione di quel posto le avevano insegnato che fare troppo rumore era altamente sconsigliato.
-Mi era preso un colpo, ti giuro. Il mio primo pensiero è stato “E’ meglio che io non inizi mai a fumare!”- esclamò lei, abbassando un po’ la voce e chinando, inconsapevolmente, la testa. Si accorse di essere atterrata su di lui quando avvertì una vibrazione in tutto il corpo dovuta alla risatina di Harry.
-Sempre il pensiero più logico, insomma...- disse poi, senza scansarsi dal contatto. June avvertì le guance andarle a fuoco quando si accorse che lui aveva poggiato la testa sulla sua e iniziò a pensare ad un modo poco brusco per allontanarsi. Non che non le facesse piacere: da quello che aveva visto, Harry era bello come pochi altri ragazzi e aveva una capacità di affascinarla, con quella sua voce roca, non indifferente. Ma era pur sempre uno dei detenuti, come si chiamavano tra loro gli studenti e June era consapevole dei rischi.
-Penso spesso ai rischi che le situazioni comportano...- disse infatti, ricollegando il proprio pensiero al commento di Harry. Scivolò fuori dall’incastro spalla-testa di Harry e si voltò a guardando, gli occhi che ormai si erano abituati e che riuscivano a cogliere anche alcuni dettagli, come la forma particolare del naso e la pienezza delle labbra.

-Mmh. Quindi devo chiamarti ragazza dei rischi o hai anche un altro nome?- chiese poi e lei si strinse nelle spalle, ricordandosi solo più tardi che lui non poteva vederla così bene.
-June. Se ti va puoi chiamarmi June, basta che tu non faccia nessuna battutina sull’estate e cose varie. O citi canzoni dei Beatles modificandone il testo, come hanno fatto altri...-  ordinò lei, ridacchiando da sola. Hey June era stato uno dei tormentoni che più spesso l’avevano accompagnata nella sua vecchia scuola. Poco divertente.
-Spero solo che tu non ti chiami così perché sei nata d’estate. Sarebbe terribile...- esclamò poi, impedendosi di ridere perché in effetti ad Hey June ci aveva pensato subito anche lui.
-Veramente sono nata a dicembre, sono solo i miei genitori che hanno una strana ironia e siccome dicevano che quando sono nata io si congelava, volevano che per lo meno portassi calore e speranza. Abbastanza sdolcinata come cosa. Non so neanche perché te la racconto.- si rimproverò poi da sola. Harry non rispose e lei si voltò a guardarlo, le sopracciglia aggrottate e le labbra socchiuse. Non c’era più nessuna lucina rossa, segno che probabilmente si era spenta la sigaretta, oppure Harry l’aveva finita e lei non se n’era accorta. Spostò lo sguardo su di lui e lo vide voltato nella sua direzione.
-Non è una cosa stupida, hai fatto bene a raccontarmelo. Nel senso, non che dovessi, però è stato interessante.- si impappinò lui e lei sorrise, certa che almeno quello potesse vederlo. Una vibrazione le arrivò dalla tasca e lei si chinò a prendere il cellulare, dove un messaggio di sua madre le ricordava –con una tempistica perfetta- di non stare fuori la sera. June scosse la testa e si alzò, seguita dallo sguardo di Harry.
-Devo andare. E’ abbastanza tardi e il mio coraggio ha un certo limite, anche se sono sicura che avere come difensore un povero ex-ladro dipendente dalla nicotina mi potrebbe proteggere da tutto e da tutti.- commentò, le dita delle mani già agganciate alle cuffiette, che avevano continuato a trasmettere musica a basso volume per tutto il tempo.
Anche Harry si alzò e le si avvicinò, posandole una mano sul braccio.
-D’accordo. Buona notte. Pensi che sarebbe sgarbato chiederti se potrò salutarti se mai ti vedrò nei corridoi?- le chiese, la voce ancora più arrochita dalla vicinanza, dato che ora le sue labbra si trovavano a pochi centimetri dall’orecchio di June. Lei scosse la testa e si ritrasse leggermente, per non essere costretta a parlare al bavero del cappotto di Harry, che era davvero troppo alto in quel momento.
-Sarebbe sgarbato non farlo, in realtà.- sorrise e aspettò un paio di secondi, giusto il tempo di sentire le labbra di Harry che le sfioravano la tempia destra. Si allontanò di corsa, ascoltando i propri passi che rimbombavano per il cortile vuoto.

Una volta in camera ascoltò le pulsazioni del proprio cuore premendo le dita contro la vena del collo: erano accelerate come non lo erano mai state e lei era sicura che non fosse tutta colpa della corsa.
Sfilandosi i vestiti, sentì l’odore di fumo che li impregnava e pensò che avrebbe dovuto farsi una doccia, e invece si infilò nel letto, una brandina abbastanza scomoda ma pulita.
I capelli, sparsi sul cuscino, sapevano di fumo, ma a lei sembrava che quell’odore la cullasse familiarmente.
 
 

-Ovviamente, Harry.-
-Hai detto che ti avevano chiamata June anche se eri nata a dicembre.-
-E quindi?-
-Quindi siamo a dicembre e io ho deciso che il tuo compleanno è oggi.-
-L’hai deciso tu o l’hai letto sulla mia bacheca di Facebook?-
-L’ho sentito questa mattina svegliandomi. E poi beh, anche gli auguri che ti hanno fatto un paio di ragazze hanno influito.-
-Quanta dolcezza, Styles, c’è in te.-
-Tantissima, vero?-
-Non capisco cosa ci faccia ancora io con te.-
-Ti ho rubato il cuore, ammettilo.-
-Questa era pessima, lo sai, sì?-
-Penso che tu mi piaccia, comunque.-
-Mmh. Lo penso anche io. Intendo, che tu mi piaccia.-
-Non sono così pessimo, allora.-
-No. Direi di no.-




 

Writ's Corner

Per chi non mi conosce, buonasera. Mi chiamo Writ e scrivo storie in maniera maniacale, compulsiva ed ossessiva.
Per chi mi conosce, buonasera anche a te, che ci fai qui di bello?
#comeperderenuovilettori

Partiamo da una mia lamentela: perchè non mi sono impedita di pubblicare questa raccolta? Perchè?
Volevo fare qualcosa di diverso dal solito, a dire il vero. Una raccolta di OS sugli One Direction, che in realtà sono originali con il loro viso, chi mi conosce lo sa bene. Pubblicherò in maniera sporadica, non sensata, a seconda dell'ispirazione. Ma sono OS, più o meno Originali, quindi dovrei essere brava e non troppo lenta. Diffidate comunque.

Parlando della storia, questa volta ho raccontato di Harry. Un Harry assolutamente OOC (fuma. E già questo dovrebbe avermi condannata a morte, ma pazienza) in un Istituto per ragazzi con problemi di comportamento. Non chiedetemi da dove esce questa, sinceramente non ne ho idea. June è la tipica brava ragazza, studentessa sveglia, curiosa. Spericolata in maniera tutta sua. La raccolta sarà romantica, immagino l'aveste capito, sennò ecco, ve l'ho detto io adesso.
Sperando che vi sia piaciuta.

Writ

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Capitolo 2
*** L'arte di cambiare idea. ***


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-Allora?-
-Cosa?-
-Cos’hai disegnato?-
-E’ un segreto.-
-Voglio saperlo.-
-Sempre la solita petulante viziata?-
-Sempre il solito arrogante?-
-Lo vuoi davvero sapere?-
-Sì.-
-Di solito però non ti piacciono i miei pensieri.-
-Di solito ci insultiamo in mezzo ai corridoi.-


Lunedì.
 
Quando Zayn Malik uscì dall’aula poteva dirsi più che soddisfatto. Aveva ancora in mente il volto felice della sua professoressa di Arte, che elogiava il suo ultimo disegno davanti a tutta la classe e gli diceva che era una soddisfazione vera e propria l’avere studenti come lui. Due ragazze della sua classe l’avevano guardato con un’ammirazione tale da fargli credere che ben presto sarebbero cadute a terra e gli sarebbero strisciate fino ai piedi e in quel momento Zayn si era sentito completo. Assolutamente fiero di sé.
Fece un paio di passi ancora, cercando di dirsi che non sarebbe dovuto essere così tanto arrogante nel credersi un genio del disegno, ma alla fine la soddisfazione e l’orgoglio ebbero la meglio e lui si ritrovò a sorridere come un idiota, i libri sotto al braccio che non pesavano più niente e l’aria soffocante e puzzolente del corridoio che non sembrava neanche più essere così fastidiosa.

-Potresti, per esempio, anche stare a guardare dove vai invece che spogliare con gli occhi il tuo gigantesco ego, cosa ne pensi?- una voce aspra lo colpì all’improvviso e Zayn si trovò davanti agli occhi una ragazza il cui viso, purtroppo, gli era più che noto.
Con i suoi capelli biondo scuro e i suoi occhi verde bottiglia, Angelica Power sarebbe potuta benissimo essere ritenuta una delle ragazze più belle della scuola, se solo non avesse avuto l’irritante vizio di correggere tutti e tutto e di voler sembrare (e spesso anche essere) la più brava della classe.
-Ti ho fatto male?- chiese Zayn, cercando di apparire distaccato mentre si chiedeva cosa ci fosse che non andava, visto che lei era a più di cinquanta centimetri di distanza da lui e non gli sembrava di averla urtata né niente.
-Per tua fortuna no, ma sono sicura che me ne avresti fatto se non ti avessi fermato, visto che stavi camminando senza neanche guardare dove andavi.- lo rimbeccò lei, la voce petulante simile a quella delle bambine piccole che vogliono per forza avere ragione.
-Non penso. Sai, il mio ego sarebbe andato addosso al tuo e penso sarebbe scappato intimorito dall’antipatia che il tuo emana, quindi sì, mi sarei accorto di te in tempo.- E ti avrei evitata come ho sempre fatto, aggiunse interiormente, sapendo che era meglio non irritarla troppo se non si voleva scatenare una fastidiosa bomba ad orologeria. La verità era che Zayn non la capiva proprio: era bella e, a detta di quelli che erano i suoi amici, anche abbastanza simpatica, quindi perché sforzarsi di costruire una maschera di antipatia e superiorità che faceva inevitabilmente allontanare tutti?
Notando che non aveva più detto niente, la guardò e la vide stringere le labbra per poi sospirare.

-D’accordo. Sappi che non si ripeterà mai più una cosa del genere, ma... scusami. Oggi sono abbastanza isterica.- sospirò lei e Zayn sgranò gli occhi, chiedendosi perché proprio quel giorno Angelica avesse deciso di diventare... quasi umana. Aveva la testa abbassata e stava zitta, forse in attesa che lui se ne andasse e non sembrava una saputella infantile, ma piuttosto una normale ragazza che aveva avuto una giornataccia.
-Oh, beh. Fa niente.- Zayn non era esattamente sicuro di cosa dovesse dire, visto che non si era mai trovato in una situazione del genere. Temeva che quella ragazza reagisse di nuovo in maniera incontrollata ed isterica e lo attaccasse, dimostrandogli ancora una volta quanto poco vero e realistico fosse il suo atteggiamento nei confronti dei non-amici. Si sentiva un po’ in soggezione, perché in quel momento avrebbe semplicemente voluto andarsene e piantarla lì, tornando nel suo mondo dove la professoressa lo elogiava e le sue compagne cadevano subito ai suoi piedi adoranti.
-No, davvero. Spesso sono antipatica, lo so. E’ che.. è un periodaccio.- se Zayn non lo avesse già saputo, in quel momento gli sarebbe stato decisamente chiaro che quella ragazza aveva manie di protagonismo non indifferenti. Sapeva a cosa servivano le frasi come quella: a farti capire che ti saresti dovuto interessare al discorso e quindi, di conseguenza, ad obbligarti a continuarlo. Sospirò a sua volta e decise che quel giorno, oltre ad essere stato ricordato come quello del capolavoro artistico, sarebbe stato ricordato anche come il buon samaritano della situazione.
-Come mai?- chiese e lei alzò la testa, le sopracciglia inarcate. Chissà perché se l’era immaginata già piagnucolante o lamentosa e invece lei era lì, abbattuta, certo, ma anche abbastanza presente e in sé, quasi fosse riuscita a recuperare immediatamente la propria maschera, benchè questa fosse sgualcita e rovinata.
-Dalla tua risposta precedente, non mi aspetto che tu mi consoli nel sentirmi dire che a volte mi sembra che la gente veda in me solo un’egocentrica e spocchiosa secchiona.- ammise e Zayn abbassò gli occhi istintivamente, mentre qualcosa, alla bocca dello stomaco, iniziava a dargli dei pizzicotti. Era incredibile che si stesse sentendo in colpa nei confronti di Angelica Power, quella stessa Angelica Power che più gli stava lontana e meglio era.
-Si, beh, ecco...- si mise una mano dietro alla nuca e la vide scuotere la testa sorridente, quasi tranquilla e serena. Effettivamente, Zayn pensò che avrebbe dovuto provare a consolarla, visto che lei aveva deposto momentaneamente le armi, ma essere sincero gli era sempre sembrata la migliore risposta a tutti i problemi.
-D’accordo, smetto di scocciarti e me ne vado...- mormorò alla fine lei, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio sinistro e continuando a sorridere mestamente. Zayn la fissò e annuì e aspettò che fosse lei a voltarsi, prima di andarsene. Era davvero incredibile come quella ragazza fosse riuscita a smontare tutta la sua felicità nel giro di un niente e neanche il pensiero delle ultime parole che la professoressa gli aveva rivolto – “Malik, ricordati della competizione di venerdì, voglio vedere il tuo dipinto svettare su quello degli altri in cima alla classifica”- lo riuscì a rincuorare del tutto.

-Ehi, aspetta un secondo!- la voce affannosa di Angelica gli arrivò prepotentemente alle orecchie e lui si voltò, chiedendosi come mai tutto quel giorno stesse pian piano andando degradandosi.
-Dimmi.- cercò di sembrare paziente, benchè in realtà morisse dalla voglia di lasciarsi alle spalle quella ragazza che faceva solo danni. Sentiva su di sé lo sguardo di Liam e immaginava già di sentire gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano per capire come mai Angelica Power, quella ragazza che tante volte Zayn aveva denigrato in sua presenza, gli stesse correndo incontro. A dire il vero se lo stava chiedendo lui stesso e per questo fu tentato di lasciar cadere definitivamente i libri a terra quando lei gli disse il motivo per cui l’aveva rincorso.
-Ci sarai anche tu alla competizione artistica di venerdì, vero? La professoressa Loran mi ha detto che dovremo cercare di piazzarci il più in alto possibile e che quindi dovremmo collaborare...- spiegò lei, le mani che battevano sui fianchi su cui erano posate.
-Che vuol dire che dovremmo collaborare?- chiese, cercando di balbettare. Il fatto che Angelica avesse posto anche se stessa come soggetto della frase lo inquietava e indispettiva allo stesso tempo: sognava da una vita di essere ammesso a quella gara e se l’era sempre immaginata come una prerogativa solo sua.
-Che... ah, non lo so. Probabilmente qualcosa di spiacevole, immagino.- commentò e per la prima volta dopo un sacco di tempo (da quando si conoscevano, praticamente) lo guardò senza cercare di schernirlo. Zayn in quel momento comprese che il disagio non era solamente suo, anzi. Probabilmente quella ragazza doveva essere addirittura più competitiva di lui e doveva tenere a quella competizione se non quanto lui almeno in una maniera molto simile.
-Ti avrà detto qualcosa, no?- la incitò, sentendo un improvviso calore in tutto il corpo. Quella gara era sua. La sentiva dentro, così come sentiva quell’inspiegabile calore che lo riempiva ogni volta che prendeva in mano la matita o il pennello per creare qualcosa.
-Che... dovremmo, che ne so, incontrarci in questi due giorni per riuscire a creare dei disegni... lei li ha chiamati complementari. Ovvero, il mio senza il tuo è bello, ma ha meno senso e così lo stesso vale per te. E’ un modo per costringere i giudici a valutarci nella stessa ottica. Cioè, in una sorta di insieme comune. Senza separarci.- le parole le uscivano disordinate dalla bocca e Zayn apprezzò il fatto che per una volta non avesse fatto la perfettina che sapeva tutto. Iniziò a sentire dentro di sé una sorta di calore che non aveva niente a che vedere con il piacere di dipingere o di disegnare e che probabilmente sarebbe stato più facilmente definibile come rabbia. Ma non era rabbia da sola, rabbia pura e incontrollata: era quella rabbia mista a delusione che poi portava allo sconforto: davvero la professoressa, che tanto l’aveva elogiato, pensava che non fosse in grado di vincere da solo, con solo il proprio disegno?
-Io... ah. Quindi...- le parole non gli uscirono di bocca e lui fu relativamente grato al fatto che ci fosse solo una persona che potesse contestargli quelle capacità oratorie che lo avevano sempre portato ad avere voti alti in tutte le materie orali.

-Senti, non l’ho chiesto io. So che ti scoccia stare con me, perciò possiamo anche farne a meno e dire che non importa e non siamo interessati, va bene? Se vuoi, posso anche non venirci a quella competizione... Per me non è importante quanto per te, penso.- concluse Angelica, guardandolo negli occhi e colpendolo con quello sguardo maturo che ancora portava le tracce delle ferite di prima. A Zayn si bloccò per un secondo ogni pensiero, mentre analizzava le sue parole e le capiva. Si aspettò che la felicità e la soddisfazione salissero di botto, ma questo non avvenne mentre di nuovo quel dannato senso di colpa lo graffiava all’interno.
-Me ne pentirò, ma.. no, penso che tu debba venire. Se ti ha scelta, un motivo dovrà pur esserci, no?- chiese, titubante, gli occhi di Anglica che sbattevano veloci davanti al suo viso e la bocca che si socchiudeva. Poi lei si riprese e si passò velocemente la lingua sulle labbra, continuando a tenere lo sguardo puntato su Zayn.
-Quindi accetti?- chiese, la voce di nuovo aspra.
-Accettiamo.- precisò lui e lei annuì, prima di tirare fuori da un quaderno un pezzo di carta.
-Ti scrivo il mio numero, va bene? Così ci accordiamo.- commentò poi, semplicemente, chinandosi per prendere una penna da dentro la borsa a tracolla che le pendeva molle su un fianco. Scrisse qualche cifra prima di correre via e dileguarsi, a momenti senza neanche salutare. Zayn rimase lì, impalato in mezzo al corridoio, gli occhi spalancati e il foglietto in mano.

-Allora, che voleva?- gli chiese Liam, sopraggiungendo da dietro. Zayn sobbalzò e piegò la testa di lato, prima di infilare il foglio in tasca e scrollare la testa.
-Oh, niente. Direi solo che è venuta a scombussolarmi l’esistenza e basta.- borbottò, con fare ironico, prima di andarsene.

   ****

Venerdì.

-Allora, ripetiamo con calma. Qualunque sia il soggetto, tu lo fai secondo una visione negativa. E io positiva.- disse Zayn, indicando prima Angelica e poi se stesso. Lei rise, sbuffando e singhiozzando leggermente come faceva quando era sotto pressione.
-No, non hai capito niente come al solito. Io positivo, tu negativo.- ripetè, abbassando la testa e picchiando il mento contro il petto. Zayn alzò gli occhi al cielo, poi si portò le mani sui fianchi, chiuse a pugno, e iniziò a saltellare sul posto.
-Io uomo-negativo, uh, uh. Tu donna-positiva, uh, ah.- le fece il verso, imitando un uomo delle caverne. Si sentiva abbastanza un idiota a fare così con lei –Angelica Power, accidenti!- ma gli veniva naturale. La verità era che, a passarci tutti i pomeriggi insieme per una settimana, si scopriva che lei non era neanche lontanamente antipatica come sembrava.

Zayn se n’era accorto fin dal secondo giorno, quando lei gli aveva mostrato uno dei suoi disegni confusionari e al tempo stesso perfettamente precisi.
-Non è che mi piaccia, ma penso che come genere vada bene, così. Intendo dire, se devo esprimere la positività, che so, della vita, devo essere anche oggettiva nel far capire che spesso la positività stessa si basa su una confusione nel cervello che, come dire, fa sì che le idee non siano perfettamente chiare e dunque facciano risultare la realtà diversamente.- aveva detto, pensierosa, battendosi la penna contro il mento. Zayn l’aveva guardata e, trattenendo una risata, aveva afferrato il disegno verso di sé.
-Detto a parole tue?- le aveva chiesto e l’aveva vista trattenere a sua volta una risata mentre si riprendeva il disegno.
-Che quando uno giunge a questi livelli di positività dovrebbe cambiare spacciatore.- aveva spiegato, scoppiando poi a ridere sotto lo sguardo divertito di Zayn.
-Quindi mi vorresti dire che trovi che essere positivi nella vita sia un reato?- aveva domandato lui, un sorriso che gli aleggiava ancora sulle labbra.
-Oh assolutamente no. Ma un conto sono ottimismo e positività, un conto sono la deficienza e la moda di adesso di essere quelli sempre spensierati e felici.- gli aveva detto lei, prendendogli poi una guancia e tirandogliela verso il basso, modificando l’espressione del ragazzo così che sembrasse triste e imbronciato.
Da quel momento le cose erano cambiate, nell’istante in cui lei si aveva espresso la propria opinione imponendogliela solo giocosamente e ponendo se stessa su un piano che non aveva nulla a che fare con quella fiera altezzosità che l’aveva sempre contraddistinta.

Persino in quell’istante, in cui lo stava prendendo in giro e scimmiottando con quella luce isterica negli occhi, Angelica sembrava diversa da come Zayn se l’era immaginata ed era quasi un piacere stare con lei, a patto che non le prendesse la mania di dargli deboli ma fastidiose sberle sulle spalle come stava facendo in quel momento.
-Angie? Potrebbe bastare di darmi botte, per caso?- le chiese lui, bloccandole le braccia e guardandola intensamente. Lei arrossì e scosse la testa, sospirando e bloccandosi immediatamente.
-Scusa. E’ che quando sono sotto pressione divento facilmente irritabile...- gli disse, allontanandosi un po’ senza dare il minimo segno di voler allontanare le proprie mani da quelle intrappolate nella presa di Zayn.
-Credi che non lo sappia?- le chiese beffardo lui, allungando il viso per buttarle le parole direttamente sul volto.
-Idiota.- gli disse lei, ottenendo come risposta uno sbuffo che le scompigliò i capelli.
-Veramente mi chiamo Zayn...- mormorò lui, facendole digrignare i denti e lanciare uno sgrilletto acuto in risposta.
-D’accordo, la smetto. Ascolta, so che sei agitata e lo sono anche io, però non facciamoci prendere dal panico, va bene?- le chiese, allentando leggermente la presa sui suoi polsi e limitandosi a stringerne uno solo.

-Io faccio così perché sono una tonta, ma lo so che devo stare calma. Sono sicura che vincerai e dico sul serio, Zayn. Sei bravissimo e io ho visto pochi disegni così... sinceri come i tuoi.- ammise, la pelle che le scottava sopra il polso sinistro. Se l’avessero vista le sue amiche in quel momento non ci avrebbero mai creduto, pensò. Stava lì, ad incoraggiare e a fare complimenti a quell’arrogante di Zayn Malik e sorrideva come una deficiente mentre lui riprendeva la sua imitazione dell’uomo scimmia. Sapeva che definirlo arrogante era ingiusto, ma se avesse dovuto descriverlo come quello che veramente era –un bravissimo e dolcissimo ragazzo perfettamente conscio di esserlo- si sarebbe vergognata troppo e questo per lei era impensabile.
-Vedo il tuo cervello che si muove e si sforza come quando si tratta di fare storia...- la prese in giro lui, notando con piacere come l’espressione assente fosse sparita, sostituita da quella saccente e irriverente che aveva imparato ad associarle.
-Si è trattato di un episodio che non si verificherà più, va bene? Quel giorno non avevo voglia di fare quegli esercizi, non c’è niente di strano.- si difese lei, il mento che scattava verso l’alto ad ogni parola. Zayn rise, sentendo l’ansia crescere anche dentro di sé nel vedere i giudici avvicinarsi con le buste e gli inservienti che iniziavano a controllare che le tele fossero regolari, bianche e senza schizzi preparatori sopra.

Zayn la voleva quella vittoria. Aveva voluto tutto quello fin dal primo istante in cui aveva scoperto di essere bravo a disegnare ed in quel momento, alla prima competizione seria –ai primi tre spettava un posto alle provinciali e poi alle nazionali- della sua vita, si rendeva conto di quanto fosse realmente importante per lui essere lì. Poteva anche fare quello sempre bravo in tutto, certo, ma non sarebbe mai riuscito a nascondere che l’unica cosa che gli importasse di più fosse, appunto, l’arte, quell’arte che gli aveva sempre insegnato a guardare oltre e a rendersi conto che niente è come sembra e che nasconde sempre una propria personalità, che emerge soprattutto quando non si riesce a renderla con precisione nel cercare di rappresentarla.
Abbracciò Angelica, sentendosi sotto le dita i suoi capelli leggermente crespi. Lei rimase impietrita per qualche istante prima di abbracciarlo di nuovo, il mento poggiato contro la sua clavicola e le mani che gli sfioravano il bordo della maglietta.

-Ehm.- mormorò lei poi, senza staccarsi.
-Sì?- chiese Zayn, premendole il naso contro la testa. Sarebbe stato melenso da raccontare in giro, perciò ringraziò per l’ennesima volta di poter tenere per sé i suoi pensieri quando si rese conto che solo in quell’istante aveva capito quanto realmente si fosse sbagliato su Angelica e quanto, in realtà, lei fosse fantastica a modo suo. L’aveva sempre considerata carina ma insopportabile nel guardarla con gli occhi di un ragazzo, mentre in realtà era bella e così piena di personalità se guardata con gli occhi di un artista che si malediceva per non essersi mai soffermato prima su un pensiero del genere.
-Buona fortuna.- disse lei, schiarendosi la gola e allontanandosi quel tanto che bastava a premergli le labbra su una guancia.

Zayn rimase interdetto e lasciò che si allontanasse mentre l’assurdità di tutta quella situazione si faceva largo nella sua testa, cancellando ogni pensiero che riguardasse la gara o la concentrazione.
Quando i giudici aprirono la busta che riguardava il tema da rappresentare, quasi scoppiò a ridere in faccia a loro e a quel titolo –La nascita dell’amore­- che sembravano prendersi gioco di lui e del suo dover fare la sua opera in chiave negativa.
Angelica, da due tele più in là, gli sorrise e poi si abbassò a prendere la matita per iniziare a disegnare, il collo che si piegava in una curva quasi perfetta.
Zayn sorrise a sua volta, prendendo un foglio e iniziando a schizzare il proprio disegno.
Per l’ennesima volta, l’arte sembrava avergli letto dentro come non mai.


-Perché hai sempre ragione tu, Power?-
-Perché voglio sapere cosa diavolo hai disegnato, Malik.-
-Se te lo dico ti arrabbi?-
-No.-
-Ho disegnato te.-
-Io sarei La nascita dell’amore in chiave negativa?-
-Dovresti prenderlo come un complimento!-
-Io non...-
-Oh, andiamo. Ci stavi troppo bene.-
-Cos’hai disegnato, esattamente?-
-Te che parlavi, parlavi, parlavi da sopra una barchetta in mezzo ad un oceano di parole.-
-E quindi?-
-E io stavo lì ad ascoltarti, nonostante avessi in mano un paio di paraorecchie.-
-Certo che sono proprio dei geni, se l’hanno capito.-
-Mi pare che allora possiamo qualificarli come tali.-
-Ah sì?-
-Sì.-
-E cosa te lo fa dire?-
-Il fatto che attualmente siamo ad una gara provinciale e che io possa sperare in un bacio porta-fortuna un po’ migliore di quello dell’altra volta.-




 


Writ's Corner
Ma buonasera! Allora. Sono qui in un tempo relativamente breve. E con un banner che mi piace un sacco.
Il fatto è che per questa raccolta ho praticamente già tutte le storie in mente (va bene, una ce l'ho in mente a metà, ma qualcosa mi inventerò)

Qui ho cercato di essere meno OOC dell'altra volta: Zayn è un artista, bravissimo a scuola, arrogante ma innamorato di ciò che fa.
Angelica... è un personaggio che sento vicino. E' un po' (un bel po') me, a parte che io sono mora, liscia, con i capelli corti e gli occhi scuri. Ma tutto il resto c'è. L'ansia, le battute squallide, la voglia di vincere. Poi che c'entra, a me storia piace tantissimo e beh, non avrei mai il coraggio di fare ciò che fa lei, ma è lo stesso.
Il capitolo mi convince a metà. Nel senso, i personaggi sono quelli che volevo raccontare: un po' esagerati, ma, credetemi, non stereotipati. Per niente, semplicemente perchè ispirati a persone vere. Capisco che innamorarsi di qualcuno in una settimana sembra poco realistico, ma, ribadisco: questa raccolta nasce perchè quelle che descrivo sono scene che ho in testa, scene che sanno MOLTO di film. I dialoghi sono filmeschi, le scene e le storie anche. Dovrebbero essere una pausa, a metà tra le mie storie depresse e deprimenti e le demenzialità che scrivo di solito.
Ecco, questo è quanto.
Un'ultima cosa: siccome voglio rifare la mia presentazione Efp, accetto suggerimenti sullo stile e le cose da metterci.
E l'ultimissima cosa: Se volete contattarmi, sono anche su Twitter, come Writ96

Un bacione
Writ

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Capitolo 3
*** E State Insieme ***


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La serata si prospetta afosa e noiosa, terribilmente uguale ad ognuna delle altre giornate che si susseguono confusamente a luglio.
Michelle ha le braccia incrociate sul petto e si guarda intorno sbuffando e cercando di ignorare la straordinaria penuria di persone che ci sono sul lungomare. Lei e gli altri sono da circa mezzoretta davanti all’ingresso dell’unico locale della zona, un’ex discoteca malmessa che ha come unica attrattiva il fatto di non contenere bambini di cinque o sei anni determinati a cospargere chiunque di sabbia e cose simili.
Fannie sbadiglia sonoramente, nonostante siano appena le dieci di sera e batte un piede a terra, schizzando un po’ di ghiaia addosso a Luke, concentratissimo nello sbirciare oltre la porta per vedere se qualche ragazza carina abbia avuto la sua stessa idea, quella di andare in un locale caldo e piccolo per sfuggire all’opprimente afa mischiata a noia che si respira sulla strada lì fuori.

-Mi annoio, perché non entriamo?- chiede Ben, con marcato accento francese. Michelle sbuffa di più e più sonoramente e guarda l’orologio sul polso di Eddie, fermo impalato che cerca di evitare di sudare ancora di più.
-Stiamo aspettando quel deficiente di Louis.- esclama Luke, stiracchiandosi e ammiccando in direzione di qualcosa, forse una ragazza o più probabilmente un attaccapanni messo in posizione strategica. Fannie guarda Michelle ed entrambe scuotono la testa: conoscono Louis da tutta la vita, e da tutta la vita lo definiscono un deficiente, supportate da Luke che addirittura ci va a scuola insieme, a Doncaster.
-Perché è sempre in ritardo, mi chiedo…- dice Eddie, passandosi una mano tra i capelli e rivelando un alone di sudore sulla maglietta grigia che indossa. Altro sbuffo collettivo, mentre il caldo costringe Michelle a chiedersi perché abbia messo la gonna nera invece che quella beige, seguendo il consiglio di Fannie, che, a detta sua, visto che è di Londra di moda dovrebbe capirne parecchio.
-Secondo lui, finire di cenare alle nove e mezzo e arrivare qui alle nove e mezzo è possibile- commenta depresso Luke, che ha deciso di rispondere ai lanci di ghiaia di Fannie con maggiore violenza. Il commento scatena le risate generali, perché è ben noto a tutti che la puntualità non è certo il forte di Louis. Michelle lo sa benissimo, visto che sono ormai quindici anni che vanno al mare insieme, da quando avevano tre anni, e non c’è mai stata una volta che lui fosse puntuale o addirittura in anticipo. Un sorriso le increspa le labbra, mentre il ricordo della prima volta che si sono conosciuti le affiora alla mente.

-Non puoi prendere quella paletta, è mia.- esclama un bambino con i capelli castani sparati per aria e un’espressione contrariata sulla faccia. La bambina davanti a lui spalanca gli occhi, sorpresa, e si affretta a scuotere la testa.
-No, è mia.- dice, risoluta. Lui si avvicina e le strappa la paletta di mano, urlandole un
“bugiona!”che risuona in buona parte della prima fila. Lei scoppia a piangere e subito una bambina dai capelli rossi corre da lei, guardando il nuovo arrivato con tanta cattiveria quanta ne può contenere lo sguardo di una peste di tre anni.
-L’hai fatta piangere. Sei un maleducato!- dice, mettendosi le manine sui fianchi e arricciando le labbra. Lui le fa una linguaccia e si volta, ma la prima bambina, dopo aver smesso di piangere, si alza in piedi e lo rincorre.
-Aspetta, forse è questa la tua paletta. Vedi, è uguale alla mia, ma la mia ha l’adesivo delle
Pollysopra-esclama e lui guarda stupito lei e le due palette.
-Ah. Ok. Scusa.- pronuncia a stento, prendendo il suo attrezzo e riprendendo a camminare.
-Come ti chiami?- urla la bambina dai capelli rossi, spostandosi gli occhialetti rotondi sul naso con un gesto secco della manina.
-Mi chiamo Louis.- dice, fermandosi in mezzo alla passerella e guardando le due bambine.
-Io mi chiamo Fannie. Lei è Micchelle.- annuncia soddisfatta, spostando di nuovo gli occhialetti, mentre l’amica le sussurra un timido “
Michelle con una sola c”
-Domani giochiamo insieme?- chiede Fannie, mentre Michelle le tira la mano. Louis è ancora perplesso, ma alla fine annuisce e sorride, prima di allontanarsi.



Fannie e Louis erano diventati davvero amici, nel corso dei primi anni. Poi avevano avuto una brutta litigata a circa tredici anni e Michelle, che fino ad allora aveva sempre guardato il rapporto istauratosi tra i due con una certa invidia e timidezza, si era per la prima volta fatta avanti, cominciando a rafforzare quel legame che fino ad allora le era sempre parso così labile e impossibile con Louis.
Da qualche anno si è stufata di guardare l’amico sotto la solita luce di quasi fratello/amico d’infanzia e ha iniziato a studiare i suoi capelli castani, che continuano a starsene sparati per aria, corredati da due grandi occhi azzurri e da un fisico determinato da anni e anni di basket, giungendo alla conclusione che l’eccessiva vicinanza del ragazzo le procura un stretta abbastanza fastidiosa allo stomaco.
Fannie se n’è accorta subito e non ha perso neanche un’occasione per rinfacciare all’amica il fatto, cercando, sotto sotto, di scoprire qualcosa anche da parte di Louis, ma il fatto che Michelle sia arrivata solo da poche ore non ha potuto ancora confermare la sua tesi.
-Ragazzi, ho appena ricevuto un messaggio da messer Louis. Il signorino si è degnato di contattarci. Dice: Sono in cima alla salita, con la bici. Mi godo la scena di voi che morite di caldo e anche il sedere della tizia con la maglia bianca. Ma cosa..?- esclama Luke, guardando il telefono e le persone intorno a lui con un’aria a dir poco sconvolta. Fannie si volta verso Michelle con un ghigno sul volto e la guarda mentre la sua pelle assume una serie di tonalità di rosso veramente sconvolgenti.
-Voi non penserete che io, davvero.. No!- farfuglia, mentre Luke risponde all’amico, battendo velocissimo i tasti del vecchio cellulare.

Stai scherzando, vero? La tizia con la maglia bianca?


All’improvviso sembra che l’aria si sia rarefatta ancor di più e c’è un generale trattenere il respiro, mentre ogni mente lavora frenetica o ridacchia o si pone domande esistenziali sul gusto di gelato da prendere.
-Ha risposto!- esclama Luke e subito Fannie corre vicino a lui, trascinandosi dietro Michelle, che guarda a propria camicetta bianca come se volesse scomparirci dentro e non riemergere mai più.

Quella mora che parla con Fannie. No, sono serissimo. Com’è che non ci stai provando tu?


-E’ impazzito.- decreta Fannie, sbattendo gli occhi e ridendo con Luke, mentre Michelle avvampa di nuovo e corre ad abbracciare Ben, riparandosi dietro di lui come dietro ad un nemico invisibile.
-Lou li porta gli occhiali, di solito?- domanda, sentendosi molto stupida mentre Luke continua a ghignare, in maniera anche abbastanza preoccupante e mostra il messaggio appena inviato a Fannie, che annuisce vigorosamente.
-Luk? Fammi vedere che gli hai scritto…- chiede Michelle e Fannie le passa il cellulare con un sorriso gongolante stampato in faccia.

Perché dovrei provarci?


-Sei crudele!- continua il suo monologo la ragazza, mentre tutti sono ormai concentrati nel cercare la maniera migliore per distruggere la dignità e la reputazione di Louis una volta arrivato.
-Lui è uno stupido, Mich. Ti prego, tesoro, digli di mettere degli occhiali. Non che tu abbia un brutto sedere, è solo che.. beh, sai com’è. Sei tu, dovrebbe riconoscerti.- ride Fannie, posando una mano sul braccio dell’amica e scuotendo platealmente la testa.
-Zitte, ha risposto!-

Perché è carina. La vedo da in cima a una salita, ma difficilmente mi sbaglio ed è abbastanza da urlo.


-Qualcuno ha fatto colpo!- urla Ben, strappando il telefono di mano a Luke, che sta iniziando a chiedersi se l’amico si sia fumato qualcosa. Non che Michelle sia brutta: di media statura, magra e con una cascata di riccioli castani, sembra una fata, con l’unica differenza che non ha le ali e ancora non ha imparato a trillare per bene invece di ridere, ma da qui a confonderla con una sconosciuta estremamente figa… ce ne vuole.
-Non ti ci mettere anche tu, Ben, non posso sopportare una cosa del genere ancora per molto.- piagnucola lei, alzando lo sguardo verso la salita dove si distingue una bici violetta. Fa per scansare i capelli, ma poi si ricorda di averli legati in uno chignon alto e stretto e si rende conto del perché il ragazzo non l’abbia riconosciuta. Decisamente, non è lei che gli piace, ma i suoi vestiti e la sua pettinatura.

Mich?


-Questo messaggio è ambiguo al punto giusto… vediamo se ci conferma quant’è stupido…- sussurra Luke, porgendo il telefono a Fannie, che continua ad annuire sotto lo sguardo sconvolto di Michelle.
La ragazza deglutisce, sconfortata, mentre tutti guardano il telefono di Luke come se contenesse le risposte ai dubbi esistenziali dell’intero universo.
-Eccolo, eccolo!- urla Ben, mentre il telefono fa partire la suoneria dei messaggi.

Mich arriva domani, non è con me. E comunque vi vedo che vi passate il telefono. Dille che non sono un pazzo maniaco.


Stavolta è Michelle a scoppiare a ridere come una pazza, mentre sussurra un “Non ci credo” tra una risata e l’altra. Louis deve essere partito di testa o di occhi visto quello che scrive, decisamente.
Fannie inizia a ridere senza fermarsi neanche un secondo, gli occhi che lacrimano e la matita sbavata da sudore e lacrime.
-Io dico che vi sposate.- dice Eddie, pronunciandosi per la prima volta sulla faccenda. Luke si infila il telefono in tasca non appena vede Louis che parte e scende, i capelli scompigliati e un sorriso idiota in faccia.
-Qua ci vuole la sorpresa con i controfiocchi.- dice e Michelle borbotta qualche insulto lanciato al vento quando Fannie la nasconde dietro le spalle di Ben, giusto trenta secondi prima che arrivi un Louis trafelato e ridanciano.
-Luke, sei un gran bastardo. Adesso penserà che sono un pazzo maniaco arrapato.- dice, credendo di sussurrare, mentre tutti lo fissano allibiti. Louis spalanca gli occhi, davanti alla reazione degli amici, confuso e curioso.

-Veramente, penso solo che tu abbia bisogno di un paio di occhiali…- sussurra Michelle, apparendogli davanti con un sorriso che da timido che era si fa enorme e simile ad un ghigno over-size.
Una volta era successo che Luke, tuffandosi, avesse dato una capocciata bestiale al fondo sabbioso del mare. Era riemerso con le lacrime agli occhi e aveva tossito per una buona mezzora, dicendo con voce strozzata che tutti i suoi neuroni erano ormai morti.
Louis sente di capirlo mentre guarda Michelle in piedi davanti a lui, con un sopracciglio aggrottato e una mano sul fianco.

Il primo pensiero razionale che non sia un ‘imprecazione o peggio è che non ha bisogno di occhiali per notare come la sua amica d’infanzia sia decisamente cresciuta bene.
Il secondo è che probabilmente lei non gli parlerà più e lo eviterà per sempre, mandando all’aria tutti i suoi piani per conquistarla quest’estate. Sospira, mentre le immagini di lui e Michelle –che da un po’ di tempo gli ronzano in testa senza dargli tregua- svaniscono senza aver neanche provato a trovare un compimento.
-Mich, non pensavo ti piacessero le gonne…- dice e si sente così stupido che piuttosto che stare lì si butterebbe anche un centinaio di volte di testa dalla barca. Anche lei sembra pensarla così, mentre si morde un labbro e finge di non vedere Fannie che si spalma una mano in faccia, uccidendo la poca matita rimasta.
-A quanto pare, i gusti cambiano. Ciao, Lou, sono contenta di vederti anche io!- esclama e lui vorrebbe sprofondare di nuovo, facendosi inghiottire dall’asfalto in men che non si dica.
 Luke. E’ colpa di Luke. Poi pensa che in fondo lui ha poche colpe, visto e considerato che non è stato di certo suo il suggerimento di iniziare a parlare della tizia con il bel sedere.
-Entriamo?- domanda finalmente Ben, interrompendo i tentativi di suicidarsi senza farsi notare di Louis. Luke annuisce e dà una pacca sulla spalla dell’amico, ancora un accenno di ghigno sul volto, e Fannie lo segue, trascinando Eddie per la maglietta, stringendo il tessuto in modo da non toccare la parte sudata.
Louis si guarda i piedi e li strascica per terra, continuando a sollevare ghiaia e polvere fino a quando Michelle non dice un esasperato “Basta così!”, indicandosi le scarpe piene di pulviscolo bianco.
-Ehm…- Louis si sente degno di un premio Nobel mentre pronuncia quella parola.

Premio Nobel per la deficienza umana.

-Scusa, è che ero lontano e non ho visto bene che eri tu…- continua, sperando che Michelle faccia valere i suoi neuroni e che capisca quello che lui vuole dire.
-Mmh, perché se avessi saputo che ero io non l’avresti detto, giusto?- ribatte, leggermente piccata, con l’indice sinistro che picchietta sul gomito destro con insistenza. Si sente molto stupida, molto idiota, molto illusa nel portare avanti quella conversazione che finirà male, ne è sicura.
-Esattamente…- dice Louis e in quell’istante vede i suoi neuroni che si suicidano collettivamente, davanti a un ghigno trionfale di Michelle, che ha in mano un’accetta ed è pronta a fare a pezzi anche lui.

Conferito ad Louis Tomlinson per l’incredibile deficienza dimostrata in presenza di Michelle Forest dopo aver dato l’ennesima risposta sbagliata.

-Bene. Sono contenta di saperlo. – esclama risoluta lei, ricacciando indietro un velo di lacrime e marciando all’interno del locale, una serie di insulti che le girano per la testa, indirizzati più o meno a tutto il mondo. Seduta su uno sgabello davanti allo squallido bancone dove lo squallido barman flirta –squallidamente- con un paio di ragazze vestite in modo squallido si dice che è lei stessa ad essere squallida e lo è anche il suo sogno di passare l’estate più indimenticabile della sua vita. Beve un drink leggero, ignorando il sapore che ha e concentrandosi sulle persone che la circondano- davvero poche, se paragonate a quelle che girano nelle discoteche di Cambridge il sabato sera. Ci sono ragazze e ragazzi di tutti i tipi e nessuno di quelli ha una faccia tale da indurla a scendere dallo sgabello e provare a fare un po’ di conversazione o azzardarsi a ballare. Si sente come uno di quegli ubriaconi americani che roteano la birra nel loro bicchiere sentendosi le persone peggiori sulla faccia del pianeta ed in effetti è così, solo che lei non è sbronza e non indossa una camicia non lavata. Sospira e si mette a guardare Fannie che balla con Luke e con Ben, mentre Eddie sta trafficando con il cellulare seduto da qualche parte. E poi vede Louis, Louis che è davvero bello quella sera e che le sta venendo incontro, trafelato e con un’aria mortificata in volto.

-Ho appena riletto tutti i messaggi. Sai qual è stata la cosa più stupida?- fa, dopo essersi seduto su uno sgabello e aver guardato Michelle bere l’ultimo sorso del drink.
-Essere arrivato in ritardo? Non avermi chiamato? Aver detto che una sconosciuta vista da lontano aveva un bel sedere?- pondera le ipotesi Michelle e a lui scappa un sorriso, mentre cerca negli occhi dell’amica qualche segnale che la rabbia di prima è più o meno passata. Ne trova uno solo, minuscolo, quando lei solleva un angolo della bocca e poi si porta il bicchiere vuoto alle labbra, forse per nascondersi.
-Aver detto quelle cose in maniera sbagliata e non direttamente a te.- ammette e a lei sembra di essere appena finita in un romanzo Harmony o cose simili. Lo guarda, mentre giocherella con le venature del legno dipinto del bancone e ha le guance leggermente imporporate.
-Oh.- stavolta è lei a boccheggiare, mentre lui alza lo sguardo e fissa i suoi occhi nei suoi.
-Scusa se dico così poche cose, ma ho la sensazione di essere appena finita in un film e non sono sicura di sapere cosa fare, ora.- continua lei e lui si avvicina leggermente, gli occhi curiosi e una sorta di morsa nello stomaco.
-Come mai? Che succede nei film, adesso?- chiede, notando come lei si stia torturando un labbro con i denti.
-Adesso ci baciamo e il nostro amore vive per sempre.- commenta, con amarezza nella voce e gli occhi che subito salgono in direzione del soffitto. Sono anni che ha smesso di credere alle favolette che propina la televisione sull’amore di una vita trovato ad appena quindici anni e non ha intenzione di ricominciare adesso.
-Cosa c’è di male?- domanda Louis e si avvicina un po’, il cuore che batte di nuovo all’impazzata. Sarà che lui ci ha sempre creduto, in fondo, e che l’unica differenza che c’è tra lui e il bambino di cinque anni che giocava a fare castelli di sabbia è l’altezza, ma si sente ottimista.
-C’è di male che tu vivi a Doncaster o giù di lì, io a Cambridge, che questa vacanza durerà per dieci giorni e poi chi s’è visto s’è visto, che l’anno prossimo andiamo al college e che l’amore non è per sempre e tutte queste cose qui…- sussurra lei, dimenticandosi delle numerose ragioni che le sono venute in mente mano a mano che Louis si avvicina, uno sguardo determinato e un sorriso sulle labbra.
-Questa mi sembra la frase da dire in un film, altrochè. Perdona la mia ignoranza, dovrei dirti che il nostro amore supererà tutto?- chiede, beffardo e lei sorride di nuovo, brontolando un “idiota” che le scivola dalle labbra senza fare rumore.
-Non voglio rimpiangere il non averti fatto capire quanto fossi importante per me. Non mi interessa se dopo questi dieci giorni.. beh, finirà tutto. Siamo amici, ti voglio bene, mi piaci anche… fisicamente e sento qualcosa che va oltre a tutto questo. Non mi interessa se sono dieci giorni e basta, saranno stati dieci giorni di felicità e basta.- conclude lui e Michelle continua a fissarlo, gli occhi che volteggiano indecisi tra le persone nel locale. Ha paura di ferirsi, di stare male e di ricordare, in futuro, questa noiosa e afosa serata semplicemente come un’afosa e noiosa giornata.
-Non mi piace avere rimpianti. Ne ho avuti così tanti, che ormai dovrei averci fatto il callo, ma non è così. Non farmi rimpiangere di non averne avuti.- dice alla fine Michelle, fissando lo sguardo su di lui, le labbra che cercano di formare un sorriso e allo stesso tempo che lottano per rimanere immobili. E’ Louis che si muove e insieme a lui le sue labbra, che sfiorano quelle della ragazza mentre semplicemente mormora un delicato “Ti stanno bene questi vestiti, ma i capelli sono più belli sciolti.”
Michelle si avvicina ancora e lui le accarezza la nuca, sfiorandole il bordo della camicetta. La sente sorridere contro le sue labbra e spera di ricevere un sorriso ancora migliore quando le dirà che università ha scelto.
Perché sarà pure un bambino, Louis Tomlinson. Ma è anche un bambino consapevole del fatto che una volta che ti metti a giocare, devi farlo con tutte le armi che hai. E’ per questo che da una parte non vede l’ora che questo bacio finisca per poter dire a Michelle che se non altro, è riuscito a strappare dei voti abbastanza decenti per poter essere ammesso a Cambridge l’anno dopo.







Writ's Corner
Maledetto sia il ritardo. Non pensate male. 
Il fatto è che ho avuto un milione di cose da fare (non esagero. Davvero. Trovatemi voi ad organizzare la vita di altre sette persone o giù di lì. O a deprimervi. O ad uscire dall'occhio di un ciclone) e che quindi pubblicare è stato davvero difficile.
Non sto qui a tediarvi con quello che mi è successo (se volete saperlo, contattatemi, uno sfogo in più non guasta e saprete perchè non dovreste insultarmi con troppa forza), ma passo a parlare del capitolo.
Questa storia è nata come una OS ORIGINALE, scritta più o meno a Luglio. La verità è che qui ci erano contenute molte delle mie speranze per l'estate, che non solo non si sono avverate, ma sono anche state calpestate con forza (anche qui, altra storia. Molto dolorosa, per me). Per questo ho iniziato ad odiare l'OS e non ho più voluto pubblicarla, perchè la odiavo sul serio. Tuttavia, ho deciso di regalarvela lo stesso, perchè alla fine mi sono ritrovata a superare il mio blocco, in un modo o nell'altro.
Personaggi semplici, amici al mare, speranze alle quali ho voluto dare un lietofine. Non odiatemi.
Love You


Writ

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