The Glory smells like Burnt

di Donixmadness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Salvezza ***
Capitolo 3: *** Ti voglio bene ***
Capitolo 4: *** Cronologia ***
Capitolo 5: *** Denaro ***
Capitolo 6: *** Vuoto ***
Capitolo 7: *** Abbandono ***
Capitolo 8: *** Gli ingranaggi del destino ***
Capitolo 9: *** L'eroe dei videogames (parte 1) ***
Capitolo 10: *** L'eroe dei videogames (parte 2) ***
Capitolo 11: *** L'eroe dei videogames (parte 3) ***
Capitolo 12: *** Risveglio ***
Capitolo 13: *** Incontro ***
Capitolo 14: *** Riemerso dalla luce ***
Capitolo 15: *** Genio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The Glory smells like Burnt

 


Prologo

 


Un fischio acuto ti perfora i timpani. Stordisce assillante come se ci fosse qualcuno accecato da sadismo e follia, che con un ago appuntito ti stuzzica le orecchie per provare la tua resistenza. Quel fastidioso ronzio persiste ad assordarti l’udito, tanto ti pare possa sanguinare. Vorresti scacciare con una manata quello sciame fastidioso, invece non ci riesci. Sei come pietrificato, il tuo corpo non risponde più ai comandi. Che situazione di merda!                                                                                         
Con estremo sforzo stringi le falangi di una mano, la quale constati è ancora attaccata al tuo corpo.
Una brezza calda investe le tue palpebre: quella vampa improvvisa ti costringe ad aprire gli occhi, o perlomeno ci provi.                 
Le orecchie ti fischiano ancora maledettamente forti. Ti accorgi in una frazione di secondo che la parte sinistra del tuo corpo è completamente paralizzata: la sola intenzione di muovere il braccio sinistro provoca un dolore lancinante. Pelle che si stira innaturale e sangue che affiora copioso sul tessuto muscolare. Il tuo inconscio ti suggerisce che stavolta non si tratta di un graffio, perciò è quasi tentato di lasciarti lì morente pur di non renderti partecipe della tua condizione.

“Stavolta stai peggio di una merda … E’ meglio se rimani lì e non ti muovi. Non rialzarti che è meglio!”.                                              

E’ questo che ti dice. Non ti ha detto che ti è capitato, ma ha lasciato intendere che dopo sarà dura affrontare la realtà. Di una cosa sia Tu che Lui siete sicuri: non sei inerme.                                                                                                            
Le palpebre alla fine si arrendo a quel vento arido ed impertinente, così si sollevano timorose di bruciarsi come velina.  All’inizio è tutto appannato, una nebbia di vapore ti impedisce la vista.                                               
Metti a fuoco, almeno quello dovresti riuscire a farlo. Si delinea la terra su cui sei disteso. Improvvisamente anche l’olfatto comincia a destarsi, risvegliandosi da un lungo letargo. Percepisci odore di bagnato e bruciato. Assurdo, eppure quel connubio nauseante ti richiama dal torpore di poco fa. Boccheggi, hai un nodo alla gola . Le corde vocali paiono aggrovigliate a tal punto, che ti concedono a malapena un singulto strozzato.
Fai forza sul braccio destro, quello sinistro ti ha mandato a quel paese già da tempo ormai. Con estrema forza di volontà sollevi il viso, ma subito un’altra ondata di dolore ti investe spietata. Ancora una volta quel tirare repellente inizia a torturarti: è come se ti scuoiassero vivo. La cute è tesa sino a raggiungere la sua massima estensione, percepisci a tatto che stai sanguinando copioso  e solo ora apprendi consapevolezza di te. E’ dal viso che proviene quel continuo pulsare frenetico, come se qualcosa volesse aprirsi un varco ed uscire fuori squarciando la tua pelle.
E’ orribile, disgustoso, ributtante.                                                      
Merda!pensi.                                                                                                                                     
Rantolando e strisciando al suolo come un verme, alla fine sollevi le ginocchia nella speranza di muoverti almeno gattonando. Ma bastano poche falcate che già cadi a terra. Non ti resta che appellarti al braccio destro, l’unico a rimanerti fedele.  Scorgi la figura di un vecchio albero, l’appiglio più opportuno in quel momento. La testa è completamente svuotata, non un ricordo, non un segno, neanche la reminescenza di un pensiero.
Tutto accatastato, distrutto, bruciato. Rantoli gemendo dolore sino a giungere alle radici. Lì riprendi un attimo fiato, cercando di placare ansimi sempre più forti, desiderosi di consumare alla svelta tutto l’ossigeno a disposizione. Arpioni la corteccia con le dita e in un gesto disperato ti aggrappi completamente a quell’albero. Il movimento brusco duole: la pelle continua ancora a pulsare e a infuocare in maniera lancinante.
Sei senza fiato, senza forze ed è un miracolo che tu sia riuscito a muoverti. Un bagliore attira la tua attenzione. Il rilucere di un riflesso, una luce gialla sulla superficie di quella che rassomigliava ad una pozzanghera. Sei attirato in qualche modo da quello scintillio e ti azzardi ad avvicinarti, anche se tutto dentro di te ti dice l’esatto contrario tu lo fai comunque. Il dolore ti trafela ancora e stavolta cadi proprio davanti all’oggetto della tua attenzione. Lo sapevi che era solo un riflesso, perciò non ti sei stupito più di tanto quando non ci hai trovato nulla in quella pozza sporca.
Ma perché l’hai fatto? Non vorrai mica controllare le tue condizioni, mi auguro! Ciò che fai dopo conferma i miei timori.
Persino il tuo inconscio ti intima di non farlo: gli hai già disobbedito una volta perché vuoi farlo ancora? Maiale testardo!!                          
Troppo tardi ti sei sporto sulla superficie stagnante e ti sei visto  …                                                                                              
Sei un coglione Mello!!







 

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Capitolo 2
*** Salvezza ***


The Glory smells like Burnt

 



-Capitolo 1-

 



Gocce ingrossano una pozzanghera lattescente. Giace lì indisturbata a crogiolarsi nella sua stessa acqua. Un tiepido bagliore giallo delinea a malapena l’interno di quel tunnel. Non c’è altra fonte di luce se non quella, ma occhi stanchi e disperati cercano di mettere a fuoco il più possibile.
Un respiro affannato si avvicina, echeggia tra quelle pareti fatiscenti pregne di umidità. Una mano imprime sul muro una scia scura e densa.
Passi cadenzati, ma provati tentano di accelerare.
Ogni respiro è prezioso e non può permettersi di fermarsi in quel buco nauseabondo. Con sforzo la mano destra va a posarsi sulla spalla sinistra, con la speranza di riuscire a camminare anche senza l’appoggio del muro. Velocizza il cammino, suo malgrado: fiato e arti non sono coordinati come dovrebbero.
Ginocchia cozzano il suolo, su quella stessa pozzanghera e il corpo si accascia alla parete lurida. Respira a fondo nel tentativo di recuperare le energie, la fronte poggia sulla superficie fredda: è intrisa di sangue e sudore. Contrae troppo il viso, infatti è subito costretto a coprirlo con il palmo inguantato.
Ma quanto può essere mai lontana quell’uscita?? Un singulto strozzato gli scuote il diaframma: in realtà è solo l’incipit di una tosse soffocante.
Si sente improvvisamente la gola arida, quasi avesse in bocca la sabbia al posto della saliva. E’ difficile fare mente locale in una simile situazione: la ferita pulsa frenetica e la pelle non cessa di stirarsi innaturale al più piccolo movimento. Ad un tratto non ricorda neanche perché è lì. Già perché è lì?
Cercava una via d’uscita, ma da cosa? E perché? Alla fine non ricorda nemmeno più chi è. Un lontano recettore nel suo cervello gli comunica debolmente che deve solo venir fuori di lì e nient’altro.
Così ancora una volta cerca l’aiuto della parete, come se fosse in grado di allungargli una mano. Bene!
Adesso ha pure le allucinazioni!
Però lui è troppo esausto e occupato a respirare per imprecare anche a denti stretti. Imprecare. Lui impreca ? Ancora una volta è il cervello a rispondere al quesito: suggerisce tacitamente che è un aspetto della sua personalità.                
Beh, almeno è riuscito a cavare qualcosa da questa amnesia, è un progresso!                                            
Tenta di rialzarsi ma inutilmente. Le gambe non lo sorreggono più e sente improvvisamente le braccia addormentate. Spilli di freddo cominciano a pizzicare la cute fastidiosamente.                                                                                                                                
“Che situazione di merda!!” ecco adesso ha imprecato, e pare che abbia riacquistato un barlume di lucidità. Si rialza malamente con la mano che striscia sul muro. Un altro piccolo sforzo ed è quasi in piedi, gli mancano solo pochi metri e potrà uscire da quel tubo puzzolente. Zoppica un passo, poi un altro e un altro ancora.
Fa male dappertutto, ma l’avrebbe sopportato. Se c’è una cosa che ha imparato nella vita è ad accumulare, accumulare, accumulare, fino a quando non giunge al limite. Lì la sua forza è incontenibile.
Le falangi inguantate graffiano l’intonaco che si sgretola. Ci siamo quasi! Ancora un piccolo sforzo.
Gli stivali schizzano il fango, nei paraggi si sentono squittire i topi, o le pantegane? Chi può dirlo in quella specie di fognatura. Ecco è arrivato.
Il respiro irregolare indica che non c’è più tempo, altrimenti si muore soffocati lì dentro. La sua salvezza è un muro con delle scalette di ferro arrugginite, le quali collegano all’apertura di una botola.
Fa improvvisamente il passo più lungo della gamba, sta per perdere l’equilibrio ma riesce ad aggrapparsi subito a quelle inferriate incrostate. Non è proprio il caso di preoccuparsi per il tetano! Ora lo sforzo è il più grande di tutti : salire. Più di preciso, salire nelle sue condizioni.
Ma lui ha una volontà disumana, lui non si arrende, lui dall’inferno può anche aggrapparsi al filo di una ragnatela pur di salire. Pur di salvarsi.
La spalla sinistra non obbedisce in alcun modo, può solo far affidamento al braccio destro. E con un braccio solo sale. Ansimante sale. Stremato sale. Morente sale. Giunto in cima non spende molte energie per soverchiare il disco di metallo. Un ultima spinta e è fuori, dove non lo sa. Ma è fuori. Respira a pieni polmoni aria più pura e si accascia su un manto d’erba. E’ umida, appiccicosa, punge.
Va bene così. Questo narratore ora ti dice che puoi riposare. Non vuole che ti rialzi, perché è giusto così. Te lo meriti di non rialzarti, te lo meriti di arrenderti, te lo meriti di mollare tutto  e dire :
Sì sono un perdente, ma non me ne frega niente!!”.  
Quei cinque minuti tra la vita e la morte  te li sei guadagnati Mihael! Gli unici e forse gli ultimi cinque minuti più sereni della tua vita. Ci hai provato hai dato il meglio di te, tuttavia la situazione si è ritorta contro. Ma adesso basta! È giunto il momento di morire, insoddisfatto ma stranamente tranquillo su quelle  spine sottili. E’ una tortura lieve, però mentre sei lì immobile pensi che sia uno zuccherino in confronto a quello che hai passato, quindi finirla lì sarebbe l’ideale. Finalmente solo, niente pressioni, niente aspettative, niente modelli utopistici da emulare. Nulla! Assolutamente nulla di tutto ciò. Se il tuo volto te lo permettesse, sorrideresti al pensiero che per tutto quel tempo l’unica cosa che hai cercato è la morte. Beh, tanto di capello: alla fine sei riuscito ad ottenere ciò che desideravi nell’angolo più intimo del tuo essere. Finalmente pace, niente più classifiche. In pochi istanti, però,  si delinea davanti ai tuoi occhi una figura eburnea.
Subito la scacci: non merita tutta questa importanza una persona che fa finta di esistere! Basta competizione, basta fantasmi, basta inseguire un’ombra che ti sfugge continuamente. Perché dovresti dare ascolto al tuo orgoglio? È colpa sua se sei in questa situazione, è lui che ti ha imprigionato con catene fatte di spine, è lui il responsabile della tua sofferenza!

Sì, è solo Lui!

Sarebbe ingiusto accusare altri. Sarebbe solo un modo per giustificare le tue azioni. Sarebbe solo un modo per attizzare il tuo ego.                                                                                    

Il mio ego … i miei obiettivi. Nel cesso …          

Ma stai pensando di nuovo a quella figura pallida, adesso è più nitida nella tua mente. E’ particolarmente dura per te l’immagine di due opali scuri che ti scrutano. Sono occhi dalla pietra infrangibile, ghiaccio insondabile, iridi vitree così vacue eppure così dannatamente consapevoli. Uno sguardo, anzi, lo sguardo che non sei mai riuscito a sostenere, in tutti questi anni. Gli occhi che ti fanno sentire inferiori come il più viscido dei vermi, cioè indegno di attenzioni ma solo da calpestare. Gli occhi imprescindibili e apatici che ti hanno fatto logorare per i ripetuti insuccessi. Gli occhi dell’onnipotenza.                                                                   
Ti sei sempre chiesto come fosse possibile che al mondo esistesse un umano tanto perfetto? Se nessuno è perfetto allora perché esiste? E’sempre stato questo il tuo più grande dilemma, ovvero accettare che al mondo esista qualcuno più in gamba di te! Sei disposto ad inseguire questo qualcuno invece che le persone che ti amano.                                                                                                                           
Le tue labbra si increspano debolmente. Ho colto nel segno vero?                                                

Non esattamente …                                                                                                                        

Che vuoi dire? Spiegati meglio.                                                                                                                                       

Il mio animo non accetta che esista qualcuno in grado di gestire l’onnipotenza di un’intelligenza superiore meglio di me.
Non accetta di rinnegare la propria umanità per raggiungere la grandezza.                              
Non tollero questo sacrificio, per cui mi ero fissato di raggiungere la vetta più alta senza cambiare la sostanza. Io non ho mai voluto essere come Lui.
Ed è proprio in questo campo che io volevo sconfiggerlo, per dimostragli di essere superiore …


E invece sei finito peggio di una merda. Frustrato da una perfezione maniacale, la quale ti ha schiacciato senza pietà. Come se fossi il più frigido pattume. Spazzatura. Ti senti così, nonostante tu abbia dato il meglio di te stesso in tutto non sei riuscito a salire quel piccolo gradino verso il podio. Verso la gloria, la soddisfazione di innumerevoli fatiche. Più volte ti sei chiesto incessantemente dove avessi sbagliato, quale fosse stato l’errore che ti impediva di vincere.
Dove? Come?                                                                                                                                        
Ma ora basta, hai sofferto fin troppo. Ora che sei lì sull’erba sei combattuto: da una parte vorresti reagire in qualche modo, continuare a seguire quel bagliore così lontano che ti sei sempre ostinato di raggiungere; dall’altra parte vorresti solo abbandonarti al tuo destino. Stranamente questa volta sei più propenso per la seconda opzione. In questi cinque minuti ti senti improvvisamente libero di scegliere nella tua vita,  e non obbligato a camminare in un percorso già tracciato.                                                                                                 

Cosa dovrei scegliere?...                                                                                                                                           

Sei davvero stremato: le palpebre si alzano e abbassano lentamente, la vista comincia ad offuscarsi, non ti senti più le braccia né il corpo. Però ora lascia che questo narratore ti dica un’altra cosa: sei davvero sicuro di aver investito negli obbiettivi giusti? Non farmi credere che sei così cieco da non aver visto un’alternativa davanti a te , che potevi benissimo inseguire perché non era poca cosa. Sei davvero certo di essere stato solo per tutto il tempo?                                            

No, c’è stato qualcuno … che ho deluso molto …                                                                        
Non ho voluto seguire quella strada poiché credevo che non mi avrebbe mai arrecato la soddisfazione che cercavo … L’ho scartata.  Non merito che mi stia accanto …

 
Gli occhi cerulei sono troppo stanchi e brucianti di lacrime ingoiate, per rendersi conto di ciò che avviene. Le orecchie ricominciano a fischiare impertinenti, tuttavia riescono a percepire un lieve calpestio sull’erba. Non è il vento, ma proprio il rumore di suola di scarpe. Debolmente solleva il capo per guardare ma non riesce a distinguere nulla.
Tutto è buio, debolmente schiarito dalla luce lunare. Boccheggia: il respiro è stimolato solo dalla volontà adesso. L’ultima cosa che vede prima di chiudere gli occhi sono un paio di stivali che si avvicinano.
Se solo avesse le forze si solleverebbe, ma tanto che importanza ha?

Sto solo per morire … Perdonami …

Gli occhi non videro più gli stivali.












 

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Capitolo 3
*** Ti voglio bene ***


The Glory smells like Burnt

 



- Capitolo 2 -

 





Il suono ridondante delle campane indica l’inizio della funzione pomeridiana. Fiocchi immacolati non cessano di piovere copiosi dal cielo, ricoprendo di gelo tetti e comignoli.
Non è esattamente il tempo migliore per uscire, ma la messa delle quattro non può essere saltata, per cui vecchiette intrepide si apprestano ad uscire di casa.
Tutte imbacuccate dagli scialle e i calzettoni lunghi, queste figure procedono in silenzio lungo la viuzza che porta alla chiesetta di periferia. Sono già armate con i grani del rosario che fanno scorrere tra le dita raggrinzite. Avanzano a gruppetti, silenti già prima di entrare in chiesa: possono permettersi solo il lusso di qualche vocio, nulla più.
A ben vederle con la loro andatura ondeggiante, sembrano un gruppo di pinguini pronti per scivolare sul ghiaccio e tuffarsi in mare. Intanto passi affrettati sprofondano nella neve, nonostante l’ostacolo di quel tappeto bianco le esili gambe riescono a balzare con facilità evitando i cumuli più grossi. Nuvolette di vapore si condensano alitate dalla bocca infantile, mentre sottili ciuffi di grano disordinati sono sparsi dal vento gelido, che scompiglia la frangetta. Il collo sottile, così bianco da sembrare di cristallo, è avvolto da uno sciarpone rosso, vecchio e consunto che svolazza in aria come una frustra. Le mani irrigidite e arrossate stringono convulsamente  il sacchetto stracolmo di cibo. Quella sera finalmente avrebbe mangiato un pasto decente e ne avrebbe conservato un po’ per i giorni successivi. Almeno per questa settimana niente digiuno forzato con il solo pane. Infine, dopo una lunga corsa fatta per tre isolati, svolta il vicolo stretto e buio. Le pareti sono umide, sui mattoni sono intrappolate gocce d’acqua mentre le grondaie gocciolano per via delle stalagmiti.  Svolta di nuovo  verso destra dopo il bidone, e il gatto grigio accovacciato lì sopra  apre l’iride gialla al suo passaggio.
–Ciao, Spike il dormiglione … - si affretta a salutare il bambino, senza nemmeno guardarlo in realtà, né tanto meno si aspetta una risposta da parte del felino. Sa che sta sempre lì sopra quel bidone a sonnecchiare sotto cumuli di cartone sudicio. Il piccolo corre fino a una grata che gli taglia la strada, ma non è un problema: infatti non ha bisogno di scavalcarla, poiché c’è un buco che si apre tra le maglie di ferro. Gli basta fare attenzione allo strato di ghiaccio sottostante per passare, non si perdonerebbe mai e poi mai se scivolasse versando tutto il contenuto del sacchetto per terra, non dopo tutta la fatica che ha fatto per quelle cibarie. Un attimo e sguscia via in un movimento fluido. Poi il suo passo si fa più cadenzato, comincia  a correre : la fretta di arrivare a casa è troppa. Suo padre appena tornato sarebbe  fiero di lui, ne è assolutamente certo.  Svolta a destra in un vicolo più stretto e buio, ma anche più lurido e puzzolente rispetto agli altri, non mancano infatti sacchi di immondizia sparsi qua e là  e con la neve non erano uno dei migliori spettacoli. In fondo c’è una minuscola porta che quasi si confondeva con il grigio del muro.
E’ di ferro, semplicemente freddo , neutro, spoglio.
La piccola chioma dorata balza qua e là sulle pozze ghiacciate, rabbrividendo quando qualche schizzo finiva sui pantaloni fin troppo sottili per essere invernali.
Ma il bambino è forte, vivace, pieno di ebbrezza e ciò è evidente semplicemente osservando i suoi occhi. Sono lo specchio del cielo più limpido attraversato dalle nuvole estive, quelle bianche soffici e innocenti. Anche di notte quei cieli tersi e brillanti spiccano più che mai nell’oscurità. Scattante come una lepre raggiunge la porticina, l’ingresso di casa. Con appena in po’ di fatica tira il chiavistello di ferro verso destra, e con tutto il corpo si addossa al ferro bagnato per aprire. Alla fine si infila senza attrito nell’ingresso prima che la porta si richiuda con un feroce scatto. È la più scomoda che fosse mai esistita. All’interno è buio pesto , ma il piccolo preme subito l’interruttore e dopo qualche lampo di riscaldamento, la lampada incandescente sul soffitto abbaglia con una luce gialla intensa.
La “casa” si presenta come un monolocale spoglio con due camere e uno sgabuzzino : non appena si entra la prima cosa che si scorge è il tavolo quadrato in legno al centro della stanza. Dietro questo, accostati al muro, ci sono due brande a castello che sembrano uscite dallo scarto di qualche reparto ospedaliero. Quelli sono i letti.
A sinistra, invece, c’è la vecchia stufa a cherosene che attende solo di essere accesa, mentre vicino stanzia il ripiano di una cucina. In fondo, quasi in corrispondenza alla porta d’ingresso, c’è quella che racchiude il bagno. Troppo modesto, troppo povero, troppo umile. Accanto in una rientranza vi è la porta dello stanzino.  Per ultimo, a destra dell’ambiente unico c’è qualcosa come un divano vecchio e logoro, tutto rattoppato e polveroso: dimora perfetta per termiti e cimici.  Il bambino subito poggia il sacchetto sul tavolo e immediatamente si libera della grossa sciarpa rossa  gettandola a caso sul divano. La stanza è fredda per cui il piccolo si adopera subito per accendere la stufa, unica fonte di riscaldamento. Dal ripiano della cucina, infatti, prende un fiammifero dallo scatolo e dopo ripetuti tentativi si accende la fiammella. L’aria è così pesante che pare occupare un volume consistente, quasi soffocante.  Subito si mette all’opera per preparare tutto per il ritorno di suo padre.
Sarà fiero di lui e soprattutto contento dopo un’estenuante giornata di lavoro. Mette l’acqua a bollire sulla stessa stufa di ferro (alcune volte il gas non c’è), per preparare la zuppa. Una ricetta che gli ha insegnato suo padre, perché vuole che sia autonomo nel caso in cui torni troppo tardi dal lavoro. Nonostante abbia appena sette anni, desidera che il figlio sia in grado di cavarsi dalle situazioni più difficili, augurandogli comunque il meglio per il futuro. Ma quell’angelo saltellante farebbe di tutto per il suo papà: è la sua guida, la sua bussola, il vento che gonfia le vele della sua nave.
Intanto la zuppa sta terminando la cottura e la chioma dorata ha già apparecchiato tutto, quindi non gli resta che attendere il suo arrivo. Il piccolo resta immobile seduto sulla sedia traballante, i pugni stretti sulle ginocchia per scaricare la tensione: la sua è muta aspettativa. Infine uno scricchiolio metallico lo risveglia dalla sua trance. Immediatamente scatta in piedi e sgrana gli occhi mentre la porta si apre: fa sempre così quando rientra suo padre. Corre subito ad aiutarlo ad aprire la porta ed ecco che rientra.
Un uomo alto dalla corporatura all’apparenza esile ma muscolosa per via del duro lavoro. I pantaloni verde petrolio consunti si aggrappano alle caviglie, segno che sono molto larghi.
Il torace è coperto da una giacca marrone scamosciata che l’uomo si appresta a togliere assieme alla lunga sciarpa grigia di lana pesante. Il maglione gli pare più che sufficiente per sostenere il freddo, infatti ora l’ambiente è più riscaldato. Il volto è affaticato, ma gli occhi sono azzurrini e scintillanti, come se solo quella parte del corpo non sortisse la fatica di tutti i giorni. I capelli invece sono di un castano tenue, sciupato.
–Bentornato papà! – tuona allegro il bimbo, trattenendo i saltelli.
–Ciao Mihael! Com’è andata oggi?- domanda il giovane uomo accarezzando la chioma liscia , sorprendendosi sempre di quanto siano morbidi quei fili lucenti.
–Bene, oggi pesca grossa!! Ho preparato la zuppa!- annuncia mostrando uno splendido sorriso. Occhi del suo stesso colore lo guardano amorevoli, ma poi assumono una nota di disappunto.
–Ti riferisci per caso a quella brodaglia che sta bollendo?
Un istante e Mihael volta di scatto la testa e con orrore apprende che la sua zuppa sta bollendo. Corre subito a togliere la pentola dal fuoco, però due mani più grandi lo precedono riponendo il tegame sul piano della cucina. Alcune operazioni è giusto lasciarle agli adulti. L’uomo comincia ad impiattare  il loro pranzo attendendo che si raffreddi, intanto il piccolo tira  fuori il pane. Si siedono l’uno di fronte all’altro consumando il loro pasto. Gli occhi cerulei dell’uomo corrono verso il sacchetto della spesa.
–Oggi  la spesa è più del solito, dove hai preso tutta questa roba? – chiede interrogativo e con un certo sospetto che ronza in testa. Mihael solleva lo sguardo su suo padre con il cucchiaio di zuppa davanti alla bocca. Può sostenere quegli occhi inquisitori per circa cinque secondi, poi impotente abbassa lo sguardo colpevole immergendo nuovamente il cucchiaio nel brodo.
–Beh … hai detto tu di fare una spesa abbondante oggi, che c’è di strano? – temporeggia ma è inutile, sente quel nodo allo stomaco che gli impedisce dire bugie. La verità per lui è un’anguilla elettrica fastidiosa che al minimo segno di falsa testimonianza scatta con una bella scossa.
–Questo lo so bene … ti ho dato il denaro per farla. Ma non mi hai ancora risposto: Mihael dimmi dove l’hai presa e non mentirmi perché me ne accorgo.
Il biondino comincia sfregarsi i palmi nervoso, da una parte vuole liberarsi di un peso sulla coscienza, mentre dall’altra vorrebbe evitare la ramanzina.
–Al  negozio davanti alla piazza non c’erano le carote per fare la zuppa … quindi … 
-Quindi ?
-Quindi sono andato al mercato del centro!- tira tutto d’un fiato strizzando subito gli occhi in attesa della batosta, che di lì a poco sarebbe giunta.
Il giovane uomo di fronte a lui lo scruta per attimi interminabili, finché non sospira. Quante volte glielo ha detto? Ma pare proprio che non voglia sentirlo.
– Mihael – tuona quasi solenne – quante volte ti ho detto che lì è pericoloso!! Ti rendi conto che hai solo sette anni? Sei ancora piccolo per avventurarti in centro e pensa se ti vedessero dei poliziotti, o peggio quei fetenti degli assistenti sociali!! Ti porterebbero via! Lo capisci o no?- è stato inevitabile alzare la voce, ma se il messaggio non gli entra in testa poi non si potrà evitare il peggio.
Dal canto suo il bimbo china la testa dorata profondamente amareggiato: - Sì … - sussurra.
Il padre sospira seccato. Riconosce le buone intenzioni del piccolo e non ritiene di avere il diritto di rimproverarlo. In verità il fondamento delle sue paure più cupe deriva dalla disagiata condizione sociale.
Sebastian Keehl lavora come operario alle ferrovie cittadine, fa parte dunque  di quell’equipe di uomini che si occupano della manutenzione dei binari. Ultimamente a causa del maltempo è stato costretto a fare gli straordinari per alcune riparazioni e sostituzioni. Il suo è un lavoro molto duro e faticoso soprattutto in inverno, quando neve e tempeste si abbattono sulla città.
Ciononostante non è sempre stato un onesto lavoratore. Ha avuto un passato travagliato e in seguito contatti con la criminalità.
Dopo che suo padre morì in un incidente nella miniera in cui anche lui lavorava, fu immediatamente licenziato. Cadde in una sorta di depressione e sconforto, poiché non solo aveva perso il suo caro padre nel posto più inagibile del mondo, ma era stato anche beffato aspramente. Dopo un po’ anche la madre morì e Sebastian a circa venticinque anni rimase solo, completamente. Visse di rendita per un po’, ma poi finì nel giro della droga e lì iniziarono i suoi guai.
Guadagnava bene come spacciatore tanto che lo chiamavano “il cobra di Berlino-Est”, si era fatto davvero un nome tra “ venditori” e “consumatori”. A quei tempi non avrebbe mai creduto di fare tanta fortuna. Si facevano tutti, ma proprio tutti. Fece la sua bella vita per ben cinque anni tra donne e soldi. Tra queste giovani concubine spiccava una bionda in particolare, la quale lo aveva stregato.
Tuttavia le cose belle prima o poi finiscono: i suoi luridi seguaci che lo veneravano dal basso come un dio, lo tradirono collaborando con la polizia per ridursi la pena. Con un bliz ben studiato irruppero nella sua casa lussuosa e lo arrestarono. Dire che non aveva alcuna voglia di stare in prigione era poco. Con i soldi accumulati e la vendita dei suo beni riuscì a pagare la cauzione, tuttavia non poté fare a meno di vendicarsi su quei bastardi strafatti fino ai capelli, così in cambio di dieci mesi di lavori socialmente utili smascherò alla polizia i suoi ex- compari. Oramai era provato e stanco dalle delusioni, per cui accettò dignitosamente il lavoro impostogli in quanto riteneva fosse l’unica via per redimersi dalle sue colpe. Così finì col vivere in quel monolocale alla periferia cittadina, non di certo uno dei migliori quartieri ma era tutto ciò che poteva permettersi con il suo lavoro. Non avrebbe mai immaginato che una volta scontata la sua pena sarebbe riapparsa una vecchia fiamma sulla sua strada.
Con il senno di poi aveva compreso che una relazione con quella bionda conosciuta per caso non sarebbe durata, né sarebbe potuta diventare qualcosa di serio e di stabile.
Il 3 gennaio 1990, una data per lui indimenticabile. Quella stessa donna che non aveva più rivisto per dieci mesi, bussò alla sua porta con un fagotto in mano.
Sebastian non poteva credere a quella storia né ci voleva credere: lui e quella puttana avevano avuto un figlio.
La donna si dimostrò da subito indisposta ad avere cura del bambino: “O lo tieni tu oppure lo butto nell’immondizia”.
Mai parole più disgustose e inumane furono pronunciate, soprattutto da lei che nervosa si accendeva una sigaretta. Aveva le pupille estremamente dilatate: era strafatta. Sebastian che stringeva a sé quella creatura fragile quanto il cristallo, si sentì montare dentro un’ira che mai aveva provato nella sua vita, nemmeno quando fu arrestato.
La prese per un braccio e la strattonò fuori dalla porta insultandola e sbattendole la porta in faccia. Dall’altro lato la pazza rideva nervosa biascicando qualcosa come: 
Sei un fallito!”  oppure “Te lo sei fatto mettere nel culo!”, alludendo al tradimento subito dagli spacciatori. Poi fu silenzio e rimase solo lui e il piccolo che con il suo torpore gli riscaldava dolcemente il torace.
Da quel momento decise di dedicare la sua vita a Mihael, solo a lui e a nessun altro. Mihael, un nome dal suono dolce il quale aveva il potere di scaldargli il cuore.
Sì , lui era la sua ragione di vita, la sua speranza.
Ora quella stessa creatura è seduta davanti a lui, la frangetta mestamente copre gli occhi. Sebastian si alza e va ad inginocchiarsi davanti a lui in modo da incrociare il suo sguardo.
Piano comincia ad accarezzargli la testa e Mihael allora si decide a guardarlo.
–Ascoltami Mihael, l’ultima cosa che voglio è perderti. Tu sai meglio di chiunque altro che se ti prendessero poi ci separerebbero e penso che neanche tu lo voglia.- a questa affermazione il piccolo scosse la testa in segno di diniego.
–E’ già molto per me farti uscire di casa, poiché temo costantemente che possa capitarti qualcosa. Tuttavia se lo permetto non è solo perché è giusto che tu esca fuori, ma anche perché io mi fido di te. Per cui sarei ancora più tranquillo se tu rispettassi qualche mio divieto, capisci?
Miheal conferma energico con il capo suscitando il sorriso di Sebastian.
–D’accordo papà te lo prometto – ricambia raggiante l’angioletto mentre il papà lo abbraccia.
Ich liebe dich Mihael
*  
-Anch’io papà.     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
* Ti voglio bene Mihael

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Capitolo 4
*** Cronologia ***


The Glory smells like Burnt

 




-Capitolo 3-

 
 



Vicino agli otto anni il temperamento vivace di Mihael si è fatto sentire di più. Ha cominciato a uscire più spesso il pomeriggio, soprattutto in estate e a giocare con i ragazzini del quartiere, anche se il più delle volte è immischiato in qualche rissa. Spesso i suoi avversari sono più grandi di lui ma nonostante ciò anche il biondino dà il ben servito a tutti: la loro è sempre una vittoria di Pirro. Inoltre si stupiscono ogni volta che il ragazzino si rialza subito, come se i loro colpi non sortissero effetto su di lui.
Ma Mihael , checché ne pensino gli altri, è un bambino giudizioso e responsabile per la sua età. Di certo non si può affermare che sia un campione in pazienza, ma lui non fa mai nulla per nulla.
Sovente i ragazzini lo prendono in giro per via dei suoi tratti femminei  e la reazione del biondino può variare dall’indifferenza, alla reazione verbale e in extremis a quella fisica. Alla fine si è convinto che l’indifferenza è l’arma giusta, infatti nulla è più appagante per lui che stracciarli e umiliarli in una partita a calcio. Si può dire che per farlo infuriare davvero è necessario raggiungere un certo climax, ma stavolta le cose sono differenti.                                                                                                                                         
Gli occhi inquisitori di Sebastian lo fissano duri davanti all’ingresso che Mihael ha appena varcato. Rispetto a quando era più piccolo, adesso riesce in un certo senso a sostenere meglio lo sguardo austero del padre, fino ad un certo punto . Però questa volta non vuole mollare, né nascondersi dietro a futili scuse. Infatti affronterà le conseguenze a testa alta poiché sostiene fermamente le sue ragioni, anche se non si aspetta che il padre le capisca.                                                            
Dal canto suo Sebastian non sa che pesci prendere: ultimamente queste zuffe sono diventate più frequenti e deve assolutamente intervenire prima che la situazione degeneri ulteriormente. A guardare il volto di suo figlio si sente iracondo e frustrato al contempo.                                                                            
“Ma perché ti cacci sempre nei guai Mihael?” pensa snervato l’uomo.                                                    
Sono lì in silenzio, padre e figlio. Una sfida di sguardi decisi pronti a fare di tutto per primeggiare sull’altro. Del resto la situazione è abbastanza chiara ad entrambi poiché Mihael si è macchiato di due crimini assolutamente inammissibili. Per prima cosa  il ragazzino non ha rispettato il coprifuoco delle sette, infatti è tornato alle otto facendo impensierire Sebastian  il quale stava paventando l’idea di andare fuori a cercarlo.
Come seconda e non meno grave cosa, è ritornato a casa mal ridotto: con il labbro spaccato incrostato dal sangue, oltre che un graffio sulla guancia e un livido sul braccio, che Sebastian scorge benissimo dal momento che la manica è strappata.                                                                                                 
–Dove sei stato? – l’uomo rompe il ghiaccio con una voce tremendamente atona e cupa.                                                                                                                                          
–Fuori. A giocare.- risponde telegrafico l’altro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.                                                                                                                                        
–Ah  sì? A me non sembra che hai solo giocato! Quanto avanti ancora andrai così, eh Mihael? Ti diverti ad azzuffarti con gli altri?! -  la voce di Sebastian rimbomba  tra pareti della stanza producendo una forte acustica, la quale fa quasi sobbalzare Mihael.                                                                                                                                     
–No, non mi diverto affatto. – risponde con convinzione, nonostante tema un po’ la reazione del padre.                                                                                                                                             
–E allora mi spieghi perché un giorno sì e l’altro pure, torni a casa conciato in questo modo?!                                                                                                                                                                 
-Loro mi hanno provocato! – scatta all’improvviso il piccolo.                                                           
–E non potevi ignorarli come ti ho raccomandato? Se dovessimo dare ascolto a tutte le sciocchezze che dicono gli altri, saremmo più rovinati di quanto lo siamo già!                                                                                                                                                                                                                  
-Stavolta non potevo ignorarli come ho fatto sempre!! – urla Mihael con tutte le sue forze, infine abbassa il capo sconsolato.                                                                                                        
–Perché? – stavolta Sebastian domanda senza alcuna minaccia nel voce.                                                         
–Perché … - all’inizio è titubante, ma poi solleva lo sguardo per incontrare gli quello di suo padre – Perché non era me che stavano picchiando!                                             
A quell’affermazione Sebastian boccheggia  stupito: proprio non se lo aspettava.                                                                                                                                                                                                                                   
–Stavo ritornando a casa e loro erano all’angolo della strada ad aspettarmi. Sapevo che se li avessi affrontati avrei fatto tardi, così avevo deciso di fare il giro grande però di lì è passato un ragazzino. Quelli hanno cominciato a spintonarlo e a pestarlo senza motivo. Io … - a questo punto china il capo stringendo i pugni – Io non sono un codardo!                                                                                                              
Dopo quest’ultima frase silenzio domina nella stanza: Mihael con il capo chino ostenta un’espressione colpevole, mentre gli occhi cerulei del padre lo squadrano dalla testa ai piedi. Alla fine la tensione viene spezzata da un sospiro di Sebastian, il quale va a sedersi e inizia a picchiettare le dita sul tavolo. È nervoso e indeciso allo stesso tempo: che cosa deve fare adesso?                                                            
-Quindi è per questo motivo che hai fatto tardi? – domanda l’uomo senza smettere di fissarlo con intensità. Il ragazzino si limita ad un mesto cenno del capo e si azzarda a sollevare leggermente i suoi cieli per scorgerlo di nascosto. –In realtà, quando i bulli sono scappati via ho riaccompagnato il ragazzino a casa. – con questo Mihael ha segnato definitivamente la sua fine, però si ostinava a guardarlo di scorcio poiché era curioso di verificare la reazione del padre.                                                                                                                                   
Sebastian fissa assente un punto imprecisato del pavimento continuando a picchiettare sulla superficie linea, ma infine si alza a prendere uno straccio pulito e ne intinge un’estremità con l’acqua.                                                                                                                              
–Che ci fai ancora lì impalato, su vieni.- esorta suo figlio il quale si avvicina con passi misurati. Sebastian gli tampona il labbro senza proferire nulla, però questo silenzio distrugge Mihael dall’interno. Sente il bisogno impellente di dire qualcosa :- Sei arrabbiato? – il suo è più di un sussurro. Sebastian passa a disinfettare il taglio sulla guancia.                                                                                        
–Arrabbiato dici? Forse . Ti ricordo che hai disobbedito. – risponde risoluto l’uomo, poggiando sul tavolo lo straccio insanguinato.                                                  
–Scusami … -  mormora afflitto il biondo non avendo più frecce nella faretra.                      
– Mihael - Sebastian poggia le mani sulle esili spalle del bambino – La cosa che mi fa infuriare di più e che ti cacci sempre nei guai.
Non posso stare tranquillo un attimo che tu me ne combini una. Però … - all’improvviso si accende una flebile speranza negli occhi del biondino, così solleva lo sguardo speranzoso. Il padre non regge più e lo abbraccia di impulso. Per un attimo Mihael si sente sobbalzare: ne è rimasto letteralmente sorpreso. Sebastian avido accarezza la chioma liscia.                                                                                                                                         
–Sono fiero di te figliolo.- non aggiunge altro se non questo. Le labbra del figlio si distendono in un sorriso, e dopo un attimo Sebastian si stacca subito da lui poiché teme di mostrare troppo al suo ragazzo.                                                                                             
–Non mi guardare così. Sei in punizione lo stesso- annuncia per darsi il contegno del padre severo, tanto che quella peste si imbroncia e gli mette il muso.
 




L’inverno oramai è giunto a Berlino e Sebastian è più occupato che mai. Infatti durante una tempesta di neve il vagone di un treno merci si è rovesciato, fortunatamente non provocando feriti. Per cui è stato necessario richiedere l’intervento di numerosi operai, i quali sono stati costretti a lavorare anche nei giorni più tempestosi. Keehl dà tutto se stesso nel suo impiego, nonostante siano ridotti peggio degli schiavi lui non demorde. Non può permettersi di perdere il posto, non proprio ora che sta prendendo in considerazione l’idea di mandare Mihael a scuola.
Il bambino ha già slittato di un anno e ciò non è bene, anche se in realtà la scuola non è ancora del tutto obbligatoria. Vuole assicurare, per quanto gli sia possibile, una migliore istruzione per suo figlio del quale non gli è sfuggita una particolare perspicacia.
Mihael è intelligente, questo l’ha capito da tempo. Ad esempio ha iniziato a camminare correttamente a un anno: i suoi passi non erano tremolanti come ci si aspetterebbe da qualsiasi infante a quell’età, ma teneva già i piedi ben ancorati al suolo e questo denotava un perfetto equilibrio. Già nella tenera età il biondino ha dimostrato di essere fuori dal comune, non a caso a quattro anni aveva letto davanti ad un sbalordito Sebastian un intero articolo di giornale senza sbagliare una virgola.
Sebastian ha sempre saputo che Mihael è speciale, fin da quando era un bimbo in fasce percepiva questa sensazione.                                                                                                                                                  
Il biondino si annoia a morte a restare a casa da solo. Fuori c’è una violenta bufera e in quella sottospecie di scatoletta  chiamata televisione non c’è nulla di interessante, per non parlare dei canali disturbati. Non ha nulla da fare se non osservare il fuoco scoppiettare nella stufa.
Ha delle macchinine ma si è già stufato, del resto non possiede molti giochi quindi non gli resta che attendere il ritorno di suo padre.
Butta un occhio all’orologio affisso al muro : sono le dieci ed è una noia mortale.                                                                                                                
<< Poi rimprovera me quando faccio tardi >> pensa irritato, dandosi immediatamente dello stupido poiché sa perfettamente che lui lavora e non gioca. Sebastian gli ha raccomandato di non aspettarlo troppo, infatti ha già mangiato ma non riesce a dormire.                                                                                                 
–Vedo tante stelle lassùù!! Nel cielo più bluuuuuu!!!! – una voce sgraziata e terribilmente nota lo ridesta dal suo torpore piatto.
Ode le parole di una canzone straziata al di là della porta d’ingresso. I suoni sono ovattati dalla barriera di ferro, ma quella voce stonata non può che appartenere a lui. Curioso si alza dalla sedia e si avvicina all’ingresso per udire più chiaramente.                   
–Cazzo! Hai bevuto come una spugna … Attento al bidone! – riconosce la voce di suo padre seguita poi da un sordo fragore. A quanto pare stasera hanno delle visite! Mihael immediatamente si allontana dalla porta che si sta aprendo: non vuole di certo che quel quarto di bue gli cada addosso!!                               
Ed ecco che fa il suo ingresso un trafelato ed infreddolito Sebastian , il quale sorregge un omaccione ubriaco fino al midollo.
I piedi strascicano sul pavimento in cerca di equilibrio, mentre le ginocchia hanno perso completamente la sensibilità.
In quel momento Mihael lo ha associato a un burattino inerme. L’uomo dondola il capo chino continuando a canticchiare strenuamente, con la mano sinistra stringe un collo di bottiglia.                                                        
–Coraggio Mike … un piccolo sforzo … - il ragazzino interviene in soccorso al padre che è in evidente difficoltà. Allaccia un braccio dell’uomo dietro le sue spalle e cercano insieme di farlo stendere sul divano. Il tizio in stato confusionario si accorge della presenza al suo fianco.                                                              
– Mihael !! Ragazzo mio!!! Sei qui!! – gli urla praticamente nell’orecchio, mentre il suo alito bruciante gli investe il viso. Disgustato il biondino volta il capo e strizza gli occhi lacrimanti.                                                                                                             
–Che hai bevuto? Benzina?! – scatta contrariato il piccolo. E come dargli torto?? Quel connubio nauseante di fumo e alcol è più infiammabile del kerosene che usano per la stufa. Alla fine riescono a buttare il sacco di patate sul divano logoro che cigola al nuovo peso.                                                                                                
–Dove l’hai trovato? – chiede curioso Mihael.                                                                                             
–Meglio che non te lo dica- sospira il padre. Sebastian si toglie la giacca. Il loro indesiderato ospite si chiama Mike Shiller detto  “scola tutto Mike” un riferimento puramente ironico al suo vizio di bere.                                                            
Il quarantenne stravaccato sul divano si porta la bottiglia alla bocca  ma Sebastian gliela sfila prontamente.                                                                                                               
–Ehi!                                                                                                                                                                    
-Scordatelo di bere ancora pezzo di idiota!! Ma ci tieni tanto a morire assiderato sotto i fumi dell’alcol?!                                                                                                                                                                 
- Nah!! Scocciatore! – si lamenta quello e mette il broncio come un bimbo a cui hanno tolto il giocattolo preferito. A quella scenetta così buffa Mihael non riesce a trattenersi e ride sommessamente, catturando l’attenzione dell’ippopotamo sul divano.                                                                                                               
–E tu che ridi, eh? Ma guarda un po’ quanto sei cresciuto … ahah e pensare che l’ultima volta eri alto così! – indica con il palmo. Sebastian dal canto suo alza gli occhi al cielo in segno di impotenza:                                                                                                
-Cioè ? Una settimana fa?                                                                                                                                                           
-E vuoi dire che non è cresciuto! – ribatte l’altro, tanto non ci si parla con quello lì  che Sebastian alza le mani in segno di resa.                                                                  
–Ma dove l’ho messo accidenti … - il quarantenne cominciò a frugare nelle tasche del cappotto , le quali erano piene di cenere, pacchetti di sigarette vuoti e cicche consumate all’osso. Mike è noto, inoltre, per le tasche “incendiarie” propriamente dette: infatti in aggiunta la vizio del fumo e dell’alcol, Mike ha l’abitudine di spegnere i mozziconi delle sigarette direttamente nelle tasche della giacca, le quali prendono “misteriosamente” fuoco.                                                                 
–Ah eccoti qui!! – dopo una lunga ricerca tirò fuori un cubo. Lo sguardo ceruleo di Mihael non si fece sfuggire quell’ oggetto così strano.                                                                           –Veni qui ragazzino.                                                                                                                            
– Cos’è?- ora che si è avvicinato può notare numerosi colori sulle facce di quel cubo.                                                                                                                                                                                                     
–In realtà non so di preciso … me l’hanno dato al tabaccaio. Dicono che è rubus o come si chiama …                                                                                                                                             
-Un rebus- interviene piccato il trentenne.                                                                                                                   
–Devi fare in modo che le ogni faccia del cubo sia dello stesso colore. – spiega in un istante di lucidità, ma sta sicuramente per crollare tuttavia vuole vedere se il ragazzino è capace di risolvere il famigerato cubo di Rubik.                                                    
Mihael lo prende in mano e comincia a manovrarlo da tutte le direzioni. Tanto è catturato da ciò che fa che non si rende conto dello sguardo attento dei due uomini.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Note:
A questo punto mi sembra logico far sentire la mia voce.
Salve a tutti cari lettori visibili e invisibili, questa è la mia nuova fan fiction che mi auguro che apprezziate. Ho deciso di raccontare il passato di Mello poiché volevo mostrarlo sotto una luce diversa, e non solo quella di complessato mangiatore di cioccolata ma anche di un bambino che ha vissuto una determinata esperienza di vita. In questo senso spero di non sembrare troppo scontata!
Però vi prego buone anime : RECENSITE!!! Ho bisogno assoluto del vostro sostegno!!!
                                                       

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Capitolo 5
*** Denaro ***


The Glory smells like Burnt

 


-Capitolo 4-

 
 



Il rombo del motore echeggia nel  buio. Due luci gialle camminano dritte sulla strada  sterrata. Le ruote corrono e il guidatore ha già aumentato di marcia. Adesso il veicolo imbocca una strada provinciale, piccola scorciatoia che porta alla città. Un’altra boccata di fumo nervosa prima di regolare di nuovo il cambio manuale. La strada è deserta e può accelerare a tavoletta quanto vuole. Solo dei lampioni solitari si ergono alternati ai margini del fiume nero.
 
Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!
 
E’ il pensiero che continua a martellare ostinatamente nella sua testa.                                      
Perché poi? Farà in tempo? Non può portare un morto al suo appartamento …                         
No! Non ci vuole nemmeno pensare! Quell’idiota come si è ridotto e come farà a curarlo? Andrà all’ospedale? Pff! Così ti possono chiedere delle belle referenze e inoltre i documenti falsi potrebbero garantirgli solo l’acquisto di medicinali. Non ha un soldo, dove cazzo li va a prendere??                                                                                                                      
Tutte queste elucubrazioni gli stanno squagliando il cervello! Intanto ha già consumato la sigaretta, ne restano altre due nel pacchetto.
Spegne il mozzicone sul cruscotto e ne accende un’altra.                                                                                      
 
Cazzo! Nemmeno il fumo funziona!
 
Quando l’ha trovato lì gemente e coperto di sangue quasi non l’aveva riconosciuto. Strappandosi le maniche della maglia l’ha fasciato come meglio poteva, inoltre ha usato la cintura come tubo emostatico attorno al capo. Mello è vivo. Ne percepisce il respiro roco ed irregolare , seppure sia svenuto un sacco di volte ha tentato sempre di farlo rinvenire in qualche modo. Le luci esterne si riflettono sui google arancioni.                                                            
Alcune rilucono qualche ciuffo ramato. Scorge le prime abitazioni di Los Angeles finalmente. Stringe spasmodico il filtro tra la labbra. Acceleratore al massimo.
Dannato idiota!!

 

*****

 
 
-Spiegami perché siamo qui!                                                                                                                     
-Eh … ragazzo mio! Mi sembra ovvio!- occhi cerulei lo fissano stralunati.                                       
–SOLDI!! – l’ennesima esclamazione accompagnata dalla solita boccata di fumo in faccia. Mihael tossisce scostandosi di poco, non sopporta quando Mike gli fuma praticamente in faccia, lo trova disgustoso.                                                   
“ Ma io che ci faccio con questo mentecatto?? ” , pensa confuso cercando di appurare il vero motivo per cui è lì in compagnia di quella ciminiera alcolizzata di Mike. Stava giocando a calcio con gli altri bambini sullo spiazzale contiguo al cantiere, quando l’ha visto passare come al solito.                
Non è stata una coincidenza lui lo sa benissimo, anche perché ha fatto il giro del campo tre volte quindi le possibilità erano due:
o era ubriaco, oppure stava cercando qualcuno. Solo che sfortunatamente per il biondino questo qualcuno era proprio lui.
Ora sono lì davanti ad un pugno di persone accerchiate intorno a qualcosa, che Mihael stesso non sa bene definire.
Dal gruppo si ode una voce squillate che annuncia:
- Mi dispiace ma ha perso ancora!                                                                                                                                           
Seguita da un’imprecazione abbastanza esplicita di un uomo, il quale sguscia dalla folla e si allontana palesemente stizzito.                                                                                       
–Avanti signori!! Chi vuole tentare la fortuna!?                                                                     
Dopo queste parole, Mihael si volta stizzito verso l’ubriacone:                                                                                                                                     
-Ma si può sapere in che posto mi hai portato??!                                                                                                         

-Sshh!! E non urlare tanto! – lo ammonisce quello – Questa è la nostra grande occasione!                                                                                                                                                        
-Occasione? – fa eco il ragazzino, aveva già capito in che razza di gioco perverso lo voleva immischiare.                                                                                               
–Sì! Per fare un po’ di grana! – Mihael inarca un sopracciglio – Andiamo! Non venirmi a dire che non ne hai bisogno, perché non me la bevo.                                             
Nonostante vada contro gli insegnamenti ferrei di suo padre, deve ammettere  con riluttanza la triste verità. Più volte si è domandato perché suo padre gli impedisca di racimolare denaro, anche lavorando. Lui dice che  è un bambino e non deve preoccuparsi di questo e che deve pensare a giocare e a studiare, però … ultimamente suo padre non sta affatto bene. Tossisce in continuazione e in modo assi forte.
Il fatto e che non pare una tosse dovuta al raffreddore, ma sembra una per soffocamento. Spesso gli capita di andare in bagno e di sputare  qualcosa che sembra muco, ma Mihael avverte qualcosa di strano, di anomalo. Stringe i pugni in una stretta convulsa:
Sebastian gli ha assicurato di essere andato dal dottore, ma a suo figlio non la dà a bere. Sospira, per riscuotersi da simili pensieri.                                                                                                    
“ Arrivati a questo punto … vale la pena tentare” pensa.                                                             
–E va bene … che devo fare? – domanda rassegnato. Mike gli rivolge un sorriso vittorioso, ma che poteva risparmiarsi di sfoggiare data la fila di denti gialli e anneriti. Tutta colpa della vecchiaia dice lui.                                                         
–Bene … sapevo che avresti accettato. Vieni.                                                                                
Così segue l’uomo penetrando nuovamente nella folla. L’oggetto che tanto attirava l’attenzione della gente non è altro che un banchetto allestito all’angolo di un vicolo. Dietro a questo c’è un tizio con un berretto e un sorriso furbo stampato sulla faccia, il quale mescola velocemente tre carte.  Il famoso gioco delle tre carte, Mihael l’ha compreso subito.                                                                            
–Allora signori chi vuole scommettere?? – grida euforico quello. Ecco i soldi facili. Prima che Mike possa dire qualcosa Mihael lo spinge fuori dalla folla.                               
–Ehi! Credevo che volessi partecipare ! Ti tiri indietro per caso?                                           
-No nulla del genere. – risponde telegrafico il biondino con uno sguardo determinato.                                                                                                                                                             
–E allor -                                                                                                                                                          
-Chi fa le scommesse?- lo interrompe senza altri preamboli.                                                                  
–Io naturalmente .- risponde con ovvietà l’uomo, ma Mihael non ha intenzione di indagare sulla fonte di tanto denaro.                                                                 
–E tu ragazzino … - si abbassa leggermente per arrivare alla sua altezza                    
–Sarai l’asso nella manica di questa operazione! – conclude trionfate indicando il ragazzino con l’indice.                                                                                                                
–Devo scegliere io la carta? – domanda interdetto e non poco confuso. Anche suo padre gli ripete sempre che lui ha qualcosa di speciale, ed ora ci si mette anche “scola tutto Mike”. Sarà davvero così promettente?                                                                                                            
–Hai afferrato piccoletto! – ed ecco che si porta nuovamente la sigaretta , ormai quasi al limite, alle labbra.                                                                                                                         
–Aspetta … se dovessi fallire tu perderesti i soldi. Chi mi garantisce che non tenterai di estorcere qualcosa da mio padre in futuro.- l’acutezza di questo ragionamento lascia Mike più che stuccato. Non aveva davanti un bambino di otto anni ma un adulto consapevole, forse fin troppo consapevole.                                                 
–Sta tranquillo piccoletto! Non farei mai nulla del genere, anche perché in questo caso sarei io il debitore. Tuo padre mi ha raccolto in strada così tante volte che ho perso il conto!                                                                                                                            
-Mmh … beh, in questo caso – con mano lesta sfila dalla tasca delle giacca dell’uomo una fiaschetta, precisamente “la” fiaschetta  di “scola tutto Mike”.                             
–Ehi! Che cosa vuoi fare?- domanda stizzito per il giocattolo mancato
– Non sei un po’ troppo giovane per bere?                                                                                            
A Mihael viene quasi da ridere: quell’ubriacone di Mike che gli dà consigli sulla responsabilità! Davvero il colmo.                                                                            
–No , nulla del genere è solo una piccola garanzia.                                                         
L’uomo inarca un sopracciglio indispettito, e il biondino continua:                                      
-Vedi, nel caso in cui tu dovessi perdere il denaro non voglio avere ripercussioni, per cui mi prendo la tua adorata fiaschetta. L’idea è stata tua e quindi è tua la responsabilità e inoltre io quanto ci guadagno?                                                     
-Sei furbo eh? Allora … diciamo che io mi prendo i due terzi e a te lascio solo un terzo della vincita ti va bene?                                                                                                              
- Non se ne parla , voglio la metà- ribatte l’impertinente.                                                                     
– Di’ un po’ , ma sei diventato matto? Hai appena detto che la responsabilità è mia , giusto? Allora mi spieghi perché dovresti tenere anche la mia fiaschetta?? In fondo sono io quello che ci rimetterebbe!                                                                     
-Invece no, perché se papà lo scopre  mi ammazza. E se ammazza me farà fuori te. Quindi stiamo nella stessa barca, io rischio quanto te.                                         
Fatta questa premessa anche lo zoticone ha cominciato a rifletterci un po’ su e comunque Mihael vuole principalmente essere sicuro che gli dia la metà esatta , per questo motivo vuole tenersi la fiaschetta.                                                                      
-E va bene … andiamo dai!- si rassegna l’uomo. Quindi entrano ancora nel gruppetto rimasto incantato dall’abile gioco di mani del tizio.                                         
–Signore!  Vuole mettersi alla prova?                                                                                        
-Esatto! Ecco 50 tondi tondi.                                                                                             
Il “mazziere” , chiamiamolo così, dopo aver mostrato l’asso comincia a invertire le posizioni delle carte velocemente. Il biondo non stacca gli occhi da quella carta, le sue iridi cerulee spaziano da una parte all’altra senza perdere quella carta mai di vista.                                                                                                         
–Ok! – il tizio stoppa le movenze illusorie delle sue mani – Allora dov’è l’asso signore?                                                                                                                                                               
Mike non ha fatto in tempo a rispondere che subito il ragazzino ha puntato l’indice sul banchetto.                                                                                                                                   
–E’ questa! – la sua voce risulta squillante ed inflessibile, tanto da stupire sia il tizio che la cerchia delle persone. Con un’aria indispettita l’abile mazziere rovescia la carta. E’ chiaro no? Asso.                                                                                                    
–Sì! Sei un grande ragazzino! –esulta il vecchio Mike, mentre sul volto angelico di quel diavoletto si dipinge un sorriso di scherno.
E’ la prima volta che si sente così potente ed maledettamente soddisfatto di sé. Tutta l’euforia provata da lui in questo momento vale più di mille partite di calcio vinte contro i bambini del quartiere. Per la prima volta Mihael prova orgoglio per se stesso, ma non esulta poi così tanto come sembrerebbe dopotutto è solo il primo tentativo, anche se deve ammettere che quell’uomo e davvero veloce a mescolare le carte. Però la faccia incredula che ha fatto quello gli è bastata per motivarsi.                                                                                                                                             
–E’ stata solo fortuna – sentenzia quello.                                                                                                           
Mihael accenna ad un sorrisetto divertito: - Vedremo.
 
 
 



Intanto alla periferia cittadina, in quel sobborgo dimenticato da Dio qualcuno non se la passa affatto bene.                                                                                                      
La mano di Sebastian apre con uno scatto urgente l’armadietto del bagno. La sua mano tremante scansa boccette vuote e una scatola di cerotti. Possibile che in quella casa non ci fosse qualcosa per fermare la tosse??                                         
Ancora. Un altro singulto gli spezza il respiro e quindi è costretto a portarsi una mano alla bocca, cercando di sedare il dolore acuto che prova al torace.             
Il petto si alza ed abbassa irregolarmente, la bocca è spalancata per aumentare l’ingresso di ossigeno. La sua figura sofferente è chinata leggermente davanti al lavandino, con una mano si sorregge al bordo mentre l’altra è ancora davanti alla bocca. Continua a tossire e il cuore furioso batte furioso contro lo sterno. Dopo qualche minuto la crisi pare essersi placata: adesso Sebastian riesce a respirare con il naso senza andare in apnea. Però, quando allontana la mano dalle labbra, scopre con terrore cosa gli ha riservato il destino. Sangue. Una chiazza scarlatta tinge la sua mano ed è venata da qualche traccia mucosa.                                                                                                                                       
“No … Non può essere!!” . Il terrore si impossessa di lui, volge il capo in direzione dello specchio. Occhi sgrananti: la tonalità delle iridi si è spenta come una flebile fiammella.
Volto pallido e smunto , pare cadaverico. Per non parlare delle occhiaie profonde, testimonianza di insonnia accompagnate da qualche ruga provocata da stress e tensione. Sebastian si rende conto che la vitalità della gioventù è destinata a scomparire con il tempo, ma nel suo caso una vistosa macchia di sangue sul palmo è da considerarsi normale?                 
Niente affatto. Sebastian lo sa bene.                                                                                
Apre il rubinetto e lava via la traccia del suo malessere. Poi esce dal bagno e, come un automa, indossa giacca e sciarpa per poi uscire di casa.                                                 
Il freddo lo investe all’istante, aghi di gelo si conficcano nella cute causando fastidio soprattutto alla faccia. Gli anfibi logori schiacciano il nevischio ed orme ben definite emergono. Il tempo di svoltare solo l’angolo che conduce alla via principale e … una voce ....                                                                                                                                                   
-Mi scusi
 
 




-Ahahah!! Bella prova ragazzo!! – Mike gioisce giulivo alla vista di tutti quei bigliettoni. Anche Mihael si stupisce di quanto hanno guadagnato in così poco tempo. Vedere la faccia delusa di truffatore poi è stata una vera soddisfazione per il ragazzo. Ha provato l’ebbrezza della vittoria intellettuale, ha percepito infantile eccitazione e un improvviso senso di onnipotenza. Non si è trattato di una partita a calcio ma di una vera e propria sfida a chi frega primo l’altro, del resto Mihael stesso è rimasto sorpreso dal suo talento nascosto. Beh! Ha fiuto per il gioco d’azzardo, non si direbbe una cosa di cui andare fieri però in questo momento se si presenta l’occasione di racimolare qualcosa la coglie senz’altro al volo. Tra tutti i possibili “lavoretti” che potrebbe svolgere questo è senza dubbio il più pulito.                                                                                                                                   
Dopo che ha ricevuto la sua meritata parte, ha tornato la fiaschetta a Mike che ha scoperto che era pure vuota. Alla fine sono rimasti d’accordo di non dire nulla a nessuno (ammesso che quell’ubriacone non spifferi qualcosa quando ha l’alcol che scorre nelle vene).                                                                                                                                               
Per quanto riguarda Sebastian, Mihael è indeciso sul da farsi. Da una parte vorrebbe ammettere tutto dall’altra però sa bene che gli impedirebbe di scommettere ancora, e chiaramente allontanerebbe Mike da lui. Sarebbe un bel problema, infatti le regole sono sempre state tre : niente spaccio, furto e gioco d’azzardo. Sebastian è severissimo su questi punti, d’altronde si è sempre ripromesso di mettere in guardia suo figlio. Non vuole che segua le sue orribili orme. Quando Mihael rientra in casa si aspettava di vedere suo padre ad attenderlo a tavola, invece è coricato sul letto mostrandogli le spalle.                            
–Ciao papà. - lo saluta un po’ incerto il ragazzino. Sebastian mugugna per rispondere al suo cenno, ma poi lo informa che la cena e pronta e deve soltanto scaldarla un po’.                                                                                                                                                       
–Papà , ma ti senti bene? – domanda apprensivo, era raro che suo padre si rivolgesse in quel modo.                                                                                                                    
–Tranquillo Mihael … sono solo un po’ stanco … tutto qui. – il trentenne volta appena il capo per rispondere.                                                                                                                    
–Ok …                                                                                                                                                                               
Dopo aver passato una notte insonne a causa della tosse forte di suo padre, riesce a prendere sonno solo al mattino presto quando l’uomo è andato via.    In seguito, quando si sveglia, trova un involucro argentato sotto il cuscino: è la sua adorata tavoletta di cioccolato fondente. Solitamente vi si avventa vorace per gustare subito il dolce sapore di quell’oro nero, adesso invece carezza la superficie argentata turbato.
Non è difficile comprendere che quest’ultimo periodo è travagliato da problemi i quali vanno a sommarsi alla loro condizione di povertà.
Mihael si chiede in continuazione se un giorno lui e suo padre possano vivere davvero bene, senza pressioni e stenti.
La negazione ferrea di Sebastian a qualsiasi forma di illegalità è senza dubbio ammirevole, ma nella loro situazione non si può campare così :
era sempre stato palese per Mihael, sin dall’inizio. Per cui il biondo ha deciso di dare un aiuto “invisibile” al suo vecchio , avrebbe guadagnato denaro come ha fatto con Mike oramai non aveva altra scelta se non questa. Tuttavia il peso che percepisce nel cuore non gli dà la minima pace: la salute di suo padre non lo convince affatto  con tutta quella tosse e le corse continue in bagno, in cui continua a manifestare tutto il suo malessere.                                                                                      
“La stanchezza non c’entra … lui sta male” rimugina a gambe incrociate sul letto, mentre addenta la tavoletta . Lo sguardo assente perso in un’angoscia profonda.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 



Note dell’autrice:    
Allora miei cari lettori ecco un altro capitolo della storia!
Mi scuso per il ritardo ma stavolta è stata dura poiché non appena cominciavo a scrivere perdevo il filo, oppure mi distraevo con qualche video … -.-
Comunque avrei voluto scrivere di più ma mi sono accorta che era troppo lungo, per cui ho deciso di dividere in due parti. Quindi il prossimo capitolo sarà “l’ultimo” sui ricordi dell’infanzia (Spolier!). Fortunatamente per voi la serie dei flashback per il momento termina con il prossimo capitolo, quindi per un po’ non vi scoccerete più a leggere le solite barbose digressioni.
Però vi prego, almeno per stavolta : RECENSITEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!
Mi va bene una lista di insulti, ma fatelo! E’ importante per un’atrice sfiduciata quale la sottoscritta!!

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Capitolo 6
*** Vuoto ***


The Glory smells like Burnt

 
 




-Capitolo 5-

 
 
 




Il grumo di cenere cade con lentezza estenuate nel posacenere, oramai mezzo pieno. Un altro mozzicone va ad aggiungersi alla massa di corpi spenti in quella ciotola di plastica. Mike è seduto sulla sedia di legno comodamente spaparanzato, con una maniacale tranquillità nei gesti. Infatti, subito dopo aver consumato l’ennesima sigaretta, ne estrae un’altra dal pacchetto.               
Una scia di fumo si diffonde nell’aria, investendo il volto afflitto di Sebastian. Il trentenne siede di fronte a lui, i gomiti sul tavolo e le mani sulla fronte a reggere la testa china.                                                                                                                            

–Che cosa intendi fare? –domanda l’uomo  portandosi il filtro alle labbra.                         
Sebastian non accenna a voler rispondere. Non sapeva davvero che dire, e poi perché? Perché tutto così in fretta??                                                                                                                 
Il trentenne fa scivolare i palmi sfregandosi il volto. Cosa deve fare? E soprattutto che ne sarà di Mihael?                                                                                                                                                     
-A questo punto non ho altra scelta-  sentenzia l’uomo mentre si alza per prendere il cappotto e la sciarpa.                                                                                                                           
–Quindi hai deciso? – domanda Mike, stranamente laconico. E’ insolito vederlo così serio, visto che ha fama di grande ubriacone. Sebastian si sistema la sciarpa al collo prima di rispondere: - Sì . E poi scompare dietro la porta di ferro. Intanto la sigaretta di Mike si consuma pigra nel posacenere.         
 




Gli scarponi di Mihael affondano nella neve in tonfi sordi. La sciarpa legata alla gola si fa sfuggire qualche nuvola di condensa emessa dalla bocca. La punta del naso è rossa per il gelo e gli occhi un po’ lucidi per la brezza sferzante. Ha appena finito di nevicare e il ragazzino sta correndo verso casa, con le mani inguantate  regge la tracolla. Ebbene sì, alla fine Sebastian è riuscito a mandarlo a scuola  anche se il nostro biondino non si impegna poi tanto. Non che non voglia ma si aspettava che la scuola fosse più stimolante , invece la trova terribilmente noiosa. Inoltre non concepisce come i suoi compagni di classe abbiano difficoltà a scrivere, quando invece è semplicissimo. I suoi insegnati sono rimasti alquanto sorpresi dalla sua velocità di apprendimento e tentano di coinvolgerlo in ogni modo, ma lui non ha questo grande entusiasmo. Anzi, la sua mente è affollata da ben altri pensieri: come guadagnare soldi. Dopo scuola non si reca subito a casa ma vaga per la città alla ricerca del tizio delle scommesse. In seguito a due vittorie di fila, l’uomo pare essere scomparso dalla circolazione, per cui oggi è andato a zonzo per le vie di Berlino pur di stanarlo. Alla fine l’ha trovato in un vicolo vicino alla fontana . Inutile descrivere la faccia attonita dell’uomo non appena ha scorto la chioma bionda: disperata ed incredula. Senza altri preamboli Mihael ha sbattuto una banconota da cento sul banchetto al suon di:                                  
-Buonasera!                                                                                                                                       
Mentre al tizio con il berretto non restò altro che sospirare  e accettare l’ennesima sfida. Ora marcia baldanzoso verso casa con un bel bottino nella borsa e, facendo il conto con il mucchietto che ha già guadagnato, lo ritiene più che sufficiente . Il suo problema rimane sempre come dirlo a suo padre: ogni volta che ha provato a confessare è bastato incrociare il suo sguardo perché le parole gli morissero in gola. Ma allo stesso tempo si rende conto che procrastinare peggiora solo la situazione, allora che fare? Ridursi all’osso così  ché sia costretto ad accettare quei soldi per forza? Anche in questa eventualità dubita fortemente che suo padre li prenderebbe. Questa è una delle cose che non sopporta del suo vecchio, cioè che sia ostinato sino all’inverosimile.  I pensieri l’hanno catturato in un mondo di supposizioni e non si è reso conto di essere già davanti casa. Però non appena apre l’uscio rimane sbigottito.                                                                                                                                                                                                  
–Ciao! – un uomo il quale non è suo padre lo saluta energicamente, mentre è comodamente seduto sulla sedia di casa sua.                                                                                                            
“Questa poi …” si ritrova a pensare Mihael, interdetto non poco.                                                             
–E tu che cazzo ci fai qui?- alla fine gli è scappata una parolaccia, ma del resto come dargli torto? Si ritrova quell’uomo praticamente dappertutto!                                           
-Ehi, ehi che modi sono? E pensare che ti attendevo con ansia … ingrato.                                                                          
Il biondino inarca un sopracciglio evidentemente scettico e richiude la porta alle spalle.                                                                                                                                                
–E va bene … che vuoi? –domanda il piccolo senza girarci attorno; è seccato da quella messa in scena. Intanto Mike si accende una sigaretta con nonchalance, come se quella in realtà fosse casa sua.                                                                              
–Te l’ho detto: ti aspettavo. – risponde con decisione l’uomo, al che Mihael sospira esasperato. La situazione difficile in cui si trova non basta, deve anche fare da balia a quell'ubriacone.                                                                                                                                                   
–Come è andata a scuola? – chiede tanto per fare conversazione.                                                   
–Bene … - risponde titubante il biondino, per poi dirigersi verso il letto a “castello” e poggiare la sacca.                                                                                                                  
–E tutto questo tempo dove sei stato? – insiste ancora quel beduino, emettendo l’ennesima boccata di fumo. Il ragazzino gli lancia un’occhiata truce : lo trova più insopportabile del solito.                                                                              
–Sono andato a giocare. –risponde  secco.                                                                        
–Giocare, eh?                                                                                                                                                  
-Sì.                                                                                                                                                                                                                       
–E immagino cha tu abbia vinto un bel malloppo .- con lo sguardo Mike accenna alla borsa. A questa affermazione Mihael sussulta e gira lentamente il capo per incontrare gli occhietti maligni dell’uomo.                                                                    
–Pensi che non me ne sia accorto? Guarda che al bancone di un bar si sentono eccome i pettegolezzi .. eheh – ride come un ebete, soddisfatto di aver sorpreso il ragazzino con le mani nel sacco.                                                                           
–E allora? Se speri di ottenere qualche mazzetta da me ti sbagli di grosso, perché non ti darò l’ombra di un centesimo!! – si difende prontamente il ragazzino da qualsivoglia forma di estorsione.
-Non mi interessano i tuoi soldi.- tranquillizza l’altro uccidendo l’ultimo mozzicone di sigaretta. Mihael inarca un sopracciglio scettico : non se la beve, però per una volta gli sembra sincero. Intanto quello zoticone ha già estratto l’altra e il biondino ha potuto scorgere una smorfia capricciosa sul suo volto, probabilmente il pacchetto si sta estinguendo. Quell'uomo non ha alcuna concezione della salute, ne fuma una dopo l’altra quasi fossero delle caramelle. Intanto il ragazzino si è accorto che casa sua è ormai intrisa da una nube nociva, infatti tossisce e intima stizzito all'uomo di fumare fuori.                                      
–Quando hai intenzione di dirglielo?- interrompe senza neppure aver udito la sua protesta. Il piccolo sobbalza e gli occhi azzurri volgono al pavimento. Stranamente da una scena che all'inizio pareva al limite del comico , si passa ad un inaspettato silenzio religioso. L’unico suono che si percepisce è il tabacco che brucia in lenta agonia al limite della stecca.                                                                     
– Cos’è? Vuoi fare la spia? –il suo è più che un sussurro, tuttavia risulta amplificata tra quelle pareti costrette.                                                                                         
–No, sarai tu a dirglielo … non me la sento di toglierti questo onore. – e detto questo si alzò dalla sedia per poi dirigersi verso la porta.                                                                       
–Ci vediamo! – tuona allegro come se la conversazione di poco fa non fosse mai avvenuta. Così Mihael rimane solo, con quel tanfo insopportabile nell'aria  a fissare perso la porta di ferro. Solo dentro di lui vi è un mare in tempesta, mentre funi intrecciate da spine stritolano la consapevolezza di un peccato.
 
 
 
Il giorno successivo, dopo che Mihael è uscito per recarsi a scuola, Sebastian ha un altro attacco di tosse. Stavolta è più brutale del solito, infatti annaspa verso il bagno emettendo ansimi rochi. Si appoggia allo stipite con tutto il corpo mentre è colpito da un'insana tosse : il torace brucia in maniera insopportabile, e pare che ogni suo respiro alimenti quel fuoco distruttore. Immediatamente avverte sulla lingua scie di sangue, le quali si rimestano impietose con la saliva. Subito è costretto ad aggrapparsi al lavandino e rigettare tutta la fiele accumulata in bocca. Le sue condizioni peggiorano a vista d’occhio e anche lui stesso si accorge che non potrà nascondere a lungo questa situazione.
Mihael non è stupido lo scoprirà di sicuro, anche se, dallo sguardo preoccupato di suo figlio, si può benissimo evincere che probabilmente se ne sia già accorto. Piano piano i singulti si stanno placando e quello stato di apnea via via sta scemando. Per quanto gli risulta possibile, l’uomo respira lentamente in soffi quasi rarefatti : sta recuperando le forze, tuttavia ciò che comunica il suo volto è tutt'altro. Gli occhi più che azzurri sono di un grigio tenue, come i cieli plumbei d’inverno. Il viso è pallido, smunto e l’ovale pare essersi svuotato, accentuando gli zigomi ossei.                                              
Solo la vista orribile del suo corpo offerto in pasto alla malattia lo fa sentire impotente. Non può continuare a trascinarsi, pur sapendo che le cose si aggraveranno ancora di più. Non  vuole che Mihael gli faccia da badante una volta diventato moribondo. No! Suo figlio non merita una simile vita, non potrebbe mai sopportarlo. L’unica cosa che lo rende un po’ più sollevato è sapere che, con il passare del tempo, le sue condizioni lo rendono ancora più convinto della sua scelta. Deve solo comunicarlo a Mihael, anche se l’idea di sostenere il suo sguardo lo spaventa non poco. 
Sebastian si sciacqua la bocca sotto il getto gelido e poi piano esce dal bagno. Si siede spossato sul letto in modo da recuperare un po’ di equilibrio e solo dopo qualche minuto esce gli scarponi da sotto il letto, intenzionato ad affrontare un altro giorno di duro lavoro. Nel momento in cui tira fuori la scarpa sinistra, sente un rumore insolito. L’uomo , con un po’ di fatica, si china per guardare l’oggetto in questione: un’asse del pavimento si è spostata, ma nota qualcos'altro. Così si accuccia e allunga la mano sino all'apertura. Quando la infila dentro avverte qualcosa di cartaceo sotto le dita, quindi incuriosito ritira la mano. A quella vista può solo boccheggiare.
 



Mihael cammina sovrappensiero. Gli occhi cerulei fissano le orme sul nevischio lasciate dalle scarpe. Per tutto il giorno non ha fatto altro che chiedersi cosa dovesse fare.
Ha vagato senza meta con questa domanda che gli bombardava la testa, infine giunge nei pressi di casa. Il cielo sta già imbrunendo e tra poco si stenderà il velo oscuro delle notti invernali. Non appena svolta il solito vicolo si blocca improvvisamente. I suoi occhi hanno visto qualcosa di insolito al momento, ma che probabilmente non avrebbe voluto vedere. Immediatamente indietreggia verso il muro per non farsi notare. Davanti alla porta di casa sua ci sono suo padre e uno sconosciuto, il quale indossa un cappotto di panno nero e regge un cappello in mano. Mihael lo squadra da capo a piedi: e no, può giurare di non averlo mai visto in vita sua. Un minuto dopo l’uomo stringe la mano di suo padre e si salutano. Le iridi cerulee del biondino fissano quella figura allontanarsi  con sospetto, ma soprattutto con una strana angoscia nel cuore. Sbuca fuori dal suo nascondiglio e corre verso casa. Quando entra sua padre è placidamente seduto sulla sedia, i gomiti sul tavolo come se lo stesse aspettando.                                               
–Ciao papà … - saluta il piccolo in un soffio. Sebastian lo scruta insistente come se volesse perquisirlo. Un brivido percorre la schiena del biondo, il quale ha la netta impressione che il padre sappia qualcosa.
-Ciao … Mihael. - solo in seguito l’uomo ricambia, tuttavia il suo timbro è atono, quasi austero.                                                                                                                                             
–Come è andata a scuola?- è la solita domanda, ma pronunciata in quel modo non è la stessa cosa. Il ragazzino deglutisce a vuoto: il peso delle verità celate sta emergendo inesorabilmente ed è palese che Sebastian  sappia. Peggio vuole che confessi tutto.
-Bene … - risponde meccanicamente, mentre la tracolla ricade sul divano.
-Hai comprato quello che ti ho chiesto?                                                                                                   
-Sì … è qui nella borsa.
-Quindi ti sono bastati i soldi immagino. Meglio così. Comunque  in ogni evenienza la prossima volta portati anche  questi! – e con un tonfo sonoro sbatte la mazzetta dei soldi sul tavolo. Mihael non ha il coraggio di guardarlo negli occhi.                                                                                                                                                                     
–Esigo una spiegazione Mihael!- voce di suo padre alza ancora di tono e il piccolo sobbalza nell'udirla. Mai l’aveva visto così adirato.                                                                 
–Io … ecco … io … - farfuglia. Non sa da dove deve cominciare.
-Credi che io sia cieco figlio??! Rispondimi!! – sbatte entrambe le mani sul tavolo alzandosi dalla sedia. E’ furente.                                                       
-No! No! Io … - si affretta a negare mentre Sebastian si avvicina a passo marziale. Le iridi ridotte a fessure, come se stesse incanalando la rabbia e la trattenesse  strenuamente.  All'esitazione del figlio non ci vede più, lo afferra per un braccio strattonandolo rudemente:
-Stai spacciando?!! – urla furioso, praticamente in faccia al biondo. A queste parole Mihael sbarra gli occhi sconcertato e si decide a guardare suo padre.                
Il suo sguardo è tagliente, veleno puro per lui che scorge solo una rabbia cieca nelle iridi dell’uomo. Per la prima volta trema. Per la prima volta … ha paura di suo padre.
-Te lo ripeto! – la presa sul braccio si fa più salda. Il ragazzino se lo sente stritolare, ma nonostante ciò non fiata al riguardo.
-E guardami quando ti parlo!! Sei finito nel giro della droga, Mihael?!!
-No! – urla il ragazzino in preda alla disperazione. Percepisce gli occhi pizzicare, mentre il volto suo padre si vela di una strana nebbia che prima non c’era.
-E allora da dove vengono tutti questi soldi?! –la voce dell’uomo pare attenuarsi, tuttavia mantiene un tono autoritario.   
-Da delle scommesse … - risponde nel tentativo di riacquistare un minimo di credibilità.
-Che genere di scommesse?
- Il gioco delle tre carte.
Dopo questa affermazione passano abbondanti minuti di silenzio. Per Mihael sembrano un’eternità. Sebastian lo scruta nel profondo, come a ricercare un cenno di menzogna, il quale ovviamente non trova. Rilascia lentamente il braccio del figlio e fa mezzo passo indietro.                                                                                                                           
-Ti rendi conto di quanto sei irresponsabile?! E se la polizia ti avesse beccato, eh? O peggio, se qualcuno ti avesse fatto del male per derubarti?!! A questo non hai pensato, vero?! E non oso immaginare sarebbe successo, se qualche delinquente ti avesse rapito e immischiato tra i tossici!!  Allora?! Ci hai riflettuto su questo Mihael?!- mano a mano che si sussegue la raffica di quesiti, l’uomo aumenta di grado la sua voce. Tant'è che la consapevolezza di tutti i rischi che aveva corso irruppe violentemente nella testa del piccolo.
Non si è minimamente soffermato su tali eventualità, le quali si sarebbero potute verificare con alte probabilità, e Mihael non sapeva quale fosse la peggiore tra queste.            
Abbassa lo sguardo sconfitto dal peso della coscienza: -Scusami … - mormora.
-Non me ne faccio nulla delle tue scuse! – la risposta di Sebastian è rude e cruenta, una sfilettata al cuore – Mi ritieni abbastanza incapace da provvedere a noi?
Stranamente, a quest’ultima risposta, il biondino si risveglia dal senso di colpa e fronteggia gli occhi di suo padre. A vederlo è inquietante : il viso pallido è rigato da alcune gocce di sudore freddo, le quali scorrono stentoree sulla pelle; le iridi di un grigio cupo sono sbarrate e quasi sanguigne per la rabbia repressa.  
-Sì . Lo penso. – risponde telegrafico, ma spazientito. Se l’ha fatto è stato solo per lui e nessun altro, suo padre lo sa benissimo.
-E tu allora?!! Quando ti saresti deciso a dirmi la verità?! Nemmeno io sono cieco papà!! Si vede benissimo che non stai bene, e tu continui a far finta di niente!! Come se nulla fosse!! Sei un bugiardo!! – vorrebbe fermarsi ma non ci riesce. Il suo corpo freme, trema convulsamente  e sente l’adrenalina scorrergli nelle vene. Sta rigettando tutta la frustrazione provata, tutta l’impotenza che lo attanaglia da sempre e che gli impedisce di trarre in salvo l’unico membro della sua famiglia.
Dal canto suo Sebastian non emette un suono.
-Sì! Proprio così!! Sei un bugiardo … mi hai sempre mentito!! Ti ho visto sai? Con quell'uomo. Di che parlavate? Vuoi scaricarmi a lui, non è così? Allora perché adesso non rispondi tu?!
Sebastian tace ancora. Il capo è chino. Mihael invece ha gli occhi sbarrati e ansima pesantemente. Le emozioni forti lo hanno travolto inesorabilmente, lasciandolo quasi privo di forze.
-Lo sapevo. Era un’assistente sociale. –le lacrime tentano prepotenti di oltrepassare le ciglia – Non ti importa nulla di me!!
Mihael grida queste parole con tutto il fiato che ha nei polmoni. Rimbombano tra le pareti fatiscenti impietose, crudeli. Sondano nelle orecchie di Sebastian in maniera assordante, tanto da controllare pienamente i suoi movimenti.
Due passi. Un braccio si alza in aria . Subito echeggia uno schiocco sonoro. Una mano si abbatte con violenza su una giovane guancia.
La frangia bionda ricopre gli occhi, intanto un rivolo salato scivola sulla pelle arrossata.
-Ti odio!!
Mihael fugge via piangente. Sebastian non fa in tempo ad afferrarlo che la chioma bionda già scompare dietro la porta ferrea, la quale sbatte violentemente.
Disperato l’uomo scatta verso l’uscio, tuttavia non avrebbe dovuto farlo. Un dolore lancinante al petto lo prende alla sprovvista e una tosse violenta comincia a corrodere i bronchi.
Annaspa fuori chiamando invano il nome del figlio. L’attacco è fortissimo: le ginocchia affondano sul manto di neve, mentre gocce scarlatte intingono quel candore.
La vista gli si offusca inesorabilmente. Tende una mano nel vuoto.
-Mi ..ha … el … 
Il corpo si accascia al suolo in un tonfo sordo. Una chiazza di sangue si spande sul tappeto freddo. Un innocente fiocco di neve si posa sul volto.
 
 
 

La lancetta dei secondi ticchetta a ritmo estenuante. Il ronzio dell’orologio appeso al muro assorda le orecchie di Mihael. Lo sguardo perso nel vuoto a fissare la punta delle scarpe. Le mani ,arrossate dal gelo invernale, si tendono sulle ginocchia in una stretta convulsa. E’ lì seduto nel corridoio dell’ospedale, in attesa. Non è solo, perché accanto a lui c’è l’uomo che ha visto la sera prima. Infatti è notte fonda, sarà passata la mezzanotte ma il sonno non lo assale. E’ troppo preoccupato, troppo preso dai rimorsi per poter dormire.
In cuor suo però ringrazia il tizio accanto a lui, perché se non fosse venuto a cercarlo non avrebbe mai saputo di suo padre.
Sono lì in silenzio, l’uno seduto di fianco all’altro. Ad un certo punto un’infermiera si affaccia nel corridoio richiamandoli ed immediatamente scattano in piedi.
Il piccolo corre verso la stanza sbattendo con forza dirompente la porta.
-Papà!!
È costretto ad ingoiare il suo richiamo, poiché a quella vista perde un battito.
Sebastian è adagiato sulla barella, la sua figura longilinea ora pare ancora più esile e smagrita. Probabilmente i maglioni larghi coprivano le membra deteriorate dalla malattia.
La sua è una forma di polmonite molto grave. Le falangi ossee dell’uomo impigliano le pieghe del lenzuolo. L’intero corpo appare scheletrico, come se al suo interno si fossero annidati tanti parassiti che hanno divorato la carne centimetro per centimetro.
-Mihael …- Sebastian volta debolmente il capo per guardare suo figlio. Gli occhi spenti si velano di lacrime di gratitudine: per fortuna il suo amato bambino sta bene.
Il biondino intreccia le dita della mano con quelle del padre, mentre di accosta al giaciglio tirando su col naso.
-Papà …
-Figliolo … per fortuna … stai bene – la sua voce è roca e deve trarre profondi respiri per parlare. Anche se questo gli brucia i polmoni non importa, perché è felice , davvero felice di poter vedere il suo angelo.
-Mi … Mi di spiace papà. Perdonami … -china il capo mortificato, vinto dalle lacrime prepotenti che gli rigano il volto.
-Non piangere. La colpa è mia … avrei dovuto dirtelo … mi dispiace. Tu sei un bravo bambino Mihael … non hai fatto nulla di male. Sono orgoglioso di te
Stringe appena la mano del figlio, il quale vuole tenere la presa ben salda. Non vuole lasciarlo cadere.
Non ci ha fatto caso ma dall’altro lato c’è anche Mike, il quale guarda la scena in silenzio. Un silenzio compassionevole. Un silenzio consapevole.
-Tieni … questo … - con fatica Sebastian solleva l’altra mano, la quale è intrecciata dai grani di un rosario. Il piccolo si allunga e l’afferra.
La croce di sottile ottone appare lucida e levigata, invece i coralli scintillano come le perle del mare. Per un attimo Mihael rimane ipnotizzato dalla croce oscillante.
-Grazie papà … - l’uomo accenna ad un flebile sorriso
-Sei speciale Mihael … un giorno diventerai qualcuno … ne son-
Non ha tempo di finire la frase che un altro violento attacco colpisce il diaframma.
-Papà che  ti succede?!!
- Io … t … Mi …
Gli infermieri accorrono subito a prelevare la barella. Sebastian non riesce a respirare e Mihael non vuole interrompere il contatto con lui.
-Resisti !! Non lasciarmi ti prego!!!
Urla inutili e disperate le sue. Non può più stringere la mano fredda e fragile di suo padre. La barella viene trasportata in fretta fuori dalla stanza, mentre Mihael afferra solo l’aria. Calde lacrime inondano il volto.
Poi vuoto. Solo vuoto.
 
 
 
 
 

Papà!!

 
 
 
                                                                                                                                             
 
                                                                                                           
 
 
 



Rieccomi miei amati lettori.
Perdonate il mostruoso ritardo, ma purtroppo quest’ultimo mese è stato strapieno di cose da fare. Adesso siamo in vacanza quindi non dovrete più preoccuparvi!! ^-^
Mi auguro che non vi siate dimenticati di questa storia e in ogni caso spero di aver reso al meglio questo tristissimo capitolo!
Stavolta mi aspetto come minimo 2 recensioni!! Chiaro??! XD

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Capitolo 7
*** Abbandono ***


The Glory smells like Burnt

 


-Capitolo 6-

 
 
 

Con un calcio poderoso Matt spalanca la porta della camera da letto. 
Non ha modo di accendere la luce, poiché ha entrambe le braccia occupate a sostenere il corpo di Mello. Tuttavia, i timidi raggi della luna e il bagliore esterno di un lampione sono sufficienti per distinguere gli oggetti nella stanza. 
Si carica ancora il ragazzo sul petto, mentre con le gambe si fionda verso il materasso. 
E’ stata davvero dura trasportare di peso Mello sin lì, ma non ha avuto scelta considerando che non c’è un ascensore e né aveva il tempo di attenderlo. Per cui l’unica soluzione possibile erano le scale e più volte ha temuto di perdere l’equilibrio cadendo all’indietro. Ma adesso che è giunto a destinazione non può permettersi di perdere altri preziosi secondi. Con delicatezza poggia il corpo dell’amico sulle coltri bianche e un po’ impolverate. Lo posiziona su un fianco in modo che la parte lesa non tocchi le fibre del lenzuolo. A contatto con la nuova superficie Mello geme sommessamente, suscitando il sollievo di Matt che ha creduto non respirasse più. 
Il rosso corre ad accendere la luce gialla ed improvvisamente constata le condizioni gravi in cui si trova il biondo. Stringe i denti alla vista di quel corpo sanguinate: infatti la parte sinistra del corpo è completamente rossa sia per il sangue raggrumato, sia per l’ustione in sé. Ode distintamente il respiro irregolare e roco, il quale indica tutta la sua atroce dolenza. 
“Che coglione che sei Mello!!” si ritrova ad imprecare mentalmente, prima di correre in bagno a cercare l’occorrente per una prima medicazione.
La consapevolezza di quanto sia sprovvisto di bende e disinfettante lo manda in bestia. Possiede solo del normale disinfettante il quale pare insufficiente per le proporzioni della ferita. Insomma non ha né un unguento, né garze sterili, può soltanto limitarsi a fare impacchi con l’acqua fredda e sperare che il disinfettante non sia troppo aggressivo. Impotente Matt si passa stizzito una mano fra i capelli, stringendo con fervore alcune ciocche ramate. 
“In questo momento non serve a nulla incazzarsi … Piuttosto devo concentrare tutte le mie energie per medicare Mello”, si impone la calma e con lo sguardo va alla ricerca di qualcosa che possa fargli da bende. 
Subito gli viene in mente che nell’armadio c’è , strano ma vero, un lenzuolo pulito che ha provveduto a portare in lavanderia dopo averlo sporcato di cenere. Colto da questo lampo di genio, agguanta la stoffa candida in preda ad un incontrollabile frenesia e comincia a strapparla. Anzi, per produrre delle fasce regolari , utilizza il coltellino svizzero riposto in tasca. Le fibre si squarciano come niente e il rosso comincia a prendere la mano, infatti riesce a tagliare strisce di notevole lunghezza e regolarità. 
Non appena sente un’altro gemito strozzato, si accorge subito che non c’è più tempo e che deve medicarlo in fretta. Scatta nuovamente in bagno e con un pezzo di lenzuolo più grande fa un impacco di acqua fredda. Purtroppo non ha a disposizione una bacinella pulita, quindi è costretto a fare più di un viaggio. 
Quando si accosta alla figura sofferente di Mello, prende atto di non aver ancora rimosso i vestiti. I gilet di pelle è quasi completamente lacerato in corrispondenza dell’ustione, la quale dal  viso si propaga sino alla spalla. Invece il rosario appeso al collo appare illeso, se non per traccia di cenere imbrigliata tra i grani. Ormai l’indumento non è più integro come prima, pertanto non è necessario sfilarglielo dalle braccia, infatti  basterà tagliarlo con il coltellino per rimuoverlo facilmente.  Matt comincia a tagliare un lembo di pelle sintetica delicatamente, prestando attenzione all’epidermide di Mello, la quale non deve entrare a contatto con nulla se non gli impacchi di acqua fredda. Per fortuna riesce a togliere con successo il gilet consunto, quindi lo scaraventa in un angolo della stanza. 
Lo stesso discorso vale per le grezze fasciature fatte con la sua maglia a righe e la cintura, la quale aveva utilizzato per fermare il sangue alla testa. Così libera Mello da tutti quei rudi e impacciati tentativi di soccorso.
 Inoltre, il rosso si accorge anche della presenza di bolle di flittene e plasma che trasudano dalla ferita: è più grave di quanto pensasse. Senza altri indugi comincia ad effettuare gli impacchi con l’acqua fredda, nella speranza di alleviare un po’ il dolore. Tampona la parte lesa del volto e lì lo sente languire di più. 
“Pazienza Mail … devi avere solo pazienza …” si ripete mentalmente, tentando di mantenere il sangue freddo. 
-Tranquillo Mello … adesso starai meglio. Solo cerca di pazientare ancora un po’ … 
Non sa se la sua voce è giunta alle orecchie dell’amico o meno, tuttavia scorge il biondo nell’intento di boccheggiare. Sembra un neonato che vuole da mangiare, ma pare che Mello voglia dire qualcosa:
-P … pa …
Il nerd si sporge leggermente per udirlo meglio. 
- Pa … pa-pà … 
“Ho capito male oppure ha detto ‘papà’?” si domanda Matt stupito e rattristato allo stesso tempo. Solleva i google arancioni sulla fronte e osserva meglio il suo amico. Appare così fragile, così indifeso in questo momento. Anche la sua figura è rannicchiata, come a schermarsi da qualcosa che minaccia di schiacciarlo. Per la prima volta Matt si rende conto di non sapere assolutamente nulla di Mello, né lui ha mai voluto parlare di sé. Non conosce il suo passato, neanche un frammento di esso. Tuttavia deve aver sofferto tanto, di questo ne è sicuro. 
- … papà … - continua a chiamare debolmente il biondo. La sua espressione è indefinibile. Non si comprende appieno se sia contrita per la ferita oppure per un altro tipo di dolore. Con la mano libera Matt carezza la chioma dorata, le cui punte sono imbrattate da fango e cenere. Sta tentando di dargli un qualche tipo di conforto, ma la reazione del biondo lo lascia spiazzato non poco. Un secondo, è bastato davvero un secondo per vedere l’immaginabile. Una goccia cristallina sfugge alle ciglia dorate. Scivola sulla punta del naso e muore sulle labbra secche, tracciando un percorso irregolare. 
Con un gesto amorevole, Matt tampona la zona arrossata del suo viso, più per asciugare la lacrima che per la ferita in sé.
-Pa-pà … n-non … mi la-lasciare … - mormora ancora, mentre l’amico trattiene un singulto strozzato. Poi il rosso sospira, facendo uscire fuori tutta la tensione accumulata fino a quel momento. Si accosta piano al suo orecchio sussurrando parole di conforto:
-Non ti preoccupare . Non ti abbandonerò.
Matt promette solennemente a se stesso che quell’attimo di debolezza di Mello non uscirà da quelle quattro mura. Decide di farsi carico del dolore del biondo: l’avrebbe affiancato fino alla fine, per quanto il suo orgoglio possa risultare nocivo. Forse è giunto davvero il momento di sdebitarsi con lui. Custodirà gelosamente quel momento di profonda tristezza e solitudine. Sarà un segreto. Non ne farà menzione nemmeno con lo stesso biondo, si tratta di  una cosa che terrà per sé. “Tranquillo Mello … nessuno lo saprà mai”.
 
 
I primi raggi del sole filtrano deboli attraverso la piccola finestra della stanza. L’alba è giunta. Matt resta in piedi, a pochi passi dal letto in cui giace Mello, a contemplare il risultato del suo duro lavoro. Infatti ha trascorso tutta la notte ad occuparsi delle ferite dell’amico. Non si è dato pace, ma alla fine la sua perseveranza l’ha ripagato di buoni frutti. Con perizia ormai acquisita ha tamponato ogni minimo frammento di pelle lesa, inoltre si è occupato anche delle bolle di flittene e plasma comparse in superficie. Sapeva benissimo che dovevano essere rimosse, altrimenti il siero si sarebbe potuto depositare sull’ustione. Così con l’accendino è riuscito a sterilizzare un ago e, con calma degna di un esperto orologiere, ha rimosso le bolle facendole scoppiare.
Adesso Mello è  bendato da metà volto sino alla spalla, mentre rimane ancora adagiato su un fianco. Il suo respiro è ritornato regolare, anche se un po’ fiacco a dire il vero, ma è già un inizio. Ci vorrà comunque del tempo prima che si rimetta del tutto. 
Il rosso osserva l’amico per qualche breve istante, prima di emettere un profondo sospiro liberatorio. China il capo visibilmente stanco.
“Accidenti Mello! In un modo o nell’altro mi fai sempre faticare!”, nonostante questo lamentoso pensiero, non può che essere sollevato per le condizioni del biondo. D’ora in poi sarà più facile medicarlo, visto che ha la possibilità di procurarsi l’occorrente e la fase di shock è passata.
Solo in un secondo momento si accorge delle sue di condizioni. La maglia è strappata rudemente dalla vita in su lasciando scoperta una porzione di addome, sulla quale svetta l’ombelico. Le maniche sono arrotolate sino ai gomiti, e il ragazzo può constatare come braccia e mani siano ricoperte da macchie viscose di sangue. Per non parlare della matassa di cenci insanguinati  adagiati sulla parte libera del letto, di cui più tardi avrà modo di sbarazzarsi.
-Beh! Sarà meglio darsi una pulita.- commenta ad alta voce, mentre si dirige in bagno. Dopo andrà a comprare delle bende nuove per Mello.
 
 

***

 

Il sole è alto nel cielo terso di primavera. Suoni, solo suoni si odono. 
Fastidiosi schiamazzi di bambini che, da lontano, giocano allegri e spensierati.
Ingenui dell’atrocità del mondo o forse dimentichi di esso. 
Poco importa, sono comunque stupidi.
Il bagliore solare è così abbacinate, che gli occhi si feriscono soltanto a sbirciare l’esterno. Per cui il capo si infossa in quel piccolo pozzo di oscurità. Non vuole vedere cosa c’è fuori. Non gli interessa guardare.
Una piccola figura è rannicchiata all’esterno di un edificio dalle pareti immacolate. Si trova in un cortile ricoperto dal prato verde, il quale si è appena ripreso dal rigido gelo invernale. I fili d’erba fanno timidamente capolino, beandosi dei raggi solari e della calura primaverile che ormai ha sciolto il manto nevoso. 
Le gambe premono contro al petto, formando un guscio protettivo. Le braccia sono incrociate sulle ginocchia, mentre la testa bionda sprofonda in quell’incavo creato dagli arti.
Nessun pensiero affolla la sua mente: in realtà, non ha più forza per pensare. Resta lì immobile, solo. 
Non ha voglia di parlare con nessuno, né tanto meno di stringere amicizia con qualcuno. A che servirebbe? I legami non sono imperituri, mai. Sono solo frammenti di felicità momentanea che durano il battito di una farfalla, mentre la solitudine è certezza. Quella dura per sempre. 
Preferisce aggrapparsi alle  certezze piuttosto che alle illusioni. Finora ha vissuto solo nell’illusione, questa è la dura realtà.
È trascorso un mese esatto dal suo arrivo in quell’orfanotrofio a Zehlendorf,  città poco distante da Berlino. 
Lo ha portato lì quel famoso assistente sociale al quale si era rivolto suo padre. L’uomo ha semplicemente mantenuto la promessa riguardo al trasferimento del figlio: era questa la sua intenzione. Oramai il suo corpo era praticamente consumato dalla malattia, così ,con le sue ultime forze, ha tentato di garantire a Mihael un futuro migliore di quello che poteva offrirgli lui. 
Stringe convulsamente la stoffa dei pantaloni, mentre si accuccia ancora di più. Non vuole piangere, non deve piangere. Lui non tornerà indietro per te, non ci sarà più per te. Una consapevolezza dura e dolorosa quella di essere abbandonati. 
All’improvviso, proprio nel vivo di questi pensieri, qualcosa lo riporta bruscamente alla realtà. Un pallone da calcio colpisce forte la chioma bionda di Mihael, per poi rotolare più in là. Solo in quel momento il bambino solleva debolmente il capo mettendo a fuoco ciò che lo circonda. Occhi vuoti, tristi, spenti, privi di qualsiasi vitalità. Le iridi cielo, che lo caratterizzavano sempre, adesso sono vacue, di un azzurro scuro inquinato da una disperazione corrosiva. Vuole lasciarsi vivere, non riesce a reagire. Il vento, il quale gonfiava le vele del suo vascello, ora non c’è più e va alla deriva in un mare a lui sconosciuto. 
Dei ragazzini da lontano urlano qualcosa del tipo : “Palla!”, ma lui non ha intenzione di smuoversi di lì, anzi affonda di nuovo la testa nel suo guscio. E’ stato accolto in quell'edificio come un ragazzino asociale e non comunicativo. Infatti non parla mai con nessuno, preferisce isolarsi piuttosto che stare con gli altri. Quando qualcuno gli rivolge la parola, di solito si limita a qualche cenno del capo ma, se proprio costretto a comunicare, pronuncia giusto monosillabi di asserzione o diniego. 
In mezzo a quello sciame di schiamazzi che si sentono in lontananza, uno scalpitio di scarpe si fa più prossimo. Tre ragazzini si sono avvicinati per recuperare il pallone e ora lo fissano interdetti. Mihael li ha sentiti, però non solleva nemmeno lo sguardo per prestare attenzione. Quelli si avvicinano a lui di qualche passo: davvero non capiscono cosa abbia quel ragazzino.
-Ehi tu, perché noi hai passato la palla? – fa uno, chinandosi  un po’ in avanti. Immobile, nessuna risposta dal biondo. Il secondo bambino si gratta leggermente il capo interdetto, ma poi è colto da improvvisa illuminazione.
-Ah! Ho capito! Tu devi essere quello nuovo.
Solo a queste parole Mihael solleva il capo ed osserva i tre: non hanno l’aria molto intelligente. Quegli occhi così inespressivi fanno sobbalzare i ragazzini, i quali indietreggiano di un passo. Mihael immerge di nuovo il capo tra le braccia, senza rispondere. “Che scocciatori!” pensa tra sé.
-Quello  nuovo ? Perché è un bambino? – il compagno asserisce con un breve cenno del capo. 
-Beh! – comincia il terzo, quello con l’aria più idiota –Dovrebbe tagliarsi i capelli! Così sembra proprio una femminuccia! 
-Già hai ragione!! – incalzò un’altro ridacchiando, ignari che la pioggia di insulti avrebbe fatto scattare il piccolo di fronte a loro. 
Dapprima il biondino allenta la presa delle dita sulla stoffa dei pantaloni, come se qualcosa l’avesse improvvisamente risvegliato dal suo torpore. Ode le risate di scherno di quei bambini e lì solleva appena lo sguardo. Gli occhi torvi si fissano su di loro: non è la prima volta che lo prendono in giro a quel modo, ma stavolta pare che non riesca più a tollerarlo. Il suo cuore comincia a pulsare frenetico, le braccia tremano, le mani si chiudono a pugni. Le voci degli  sciocchi si ammutoliscono di colpo quando vedono la figura di Mihael alzarsi in piedi. Lo sguardo che rivolge loro li fa rabbrividire fin dentro alle ossa. Le iridi rilucono sotto il sole battente, una scintilla misteriosa e terribile le anima. Quello è uno sguardo cattivo.Dopo di che, trascorsi tre secondi, Mihael  si avventa sul ragazzino che lo ha denominato, tempestandolo di pugni allo stomaco. 
Anche agli altri due viene dato il ben servito, tanto che alla fine i tre scappano a gambe levate. 
Mihael rimane un attimo in piedi, ansimante, ma ancora con i pugni stretti. Ha il volto sporco di terra e qualche graffio qua e là, mentre percepisce ancora un forte dolore alle nocche per i colpi inferti. 
L’ha capito finalmente. Sotto quel sole abbagliante, l’ha capito.  
Nessuno starà più al suo fianco. Nessuno gli accarezzerà più il capo dicendogli “Ich liebe dich”*. 
Nessun vento soffierà per il suo vascello, perché in stallo. 
Ha compreso che se non c’è vento deve remare da solo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Ich liebe dich = Ti voglio bene (cfr  3° capitolo)
 
 
 
Ehilà, lettori! Stavolta spero di non aver fatto tanto tardi!
Comunque mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se di “transizione” diciamo. 
Spero di aggiornare presto la prossima volta, perché partecipo ad un contest e quindi devo occuparmi di un’altra storia. L’ultima volta avete recensito in tre, quindi mi auguro di leggere lo stesso numero. 
Baci, baci <3

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Capitolo 8
*** Gli ingranaggi del destino ***


The Glory smells like Burnt

 
 



-Capitolo 7-

 
 
 





È più di un’ora che sta seduto su quella scomoda sedia di legno. È più di un’ora che i loro occhi si fissano, in particolare quelli dell’uomo che ha davanti sono lievemente più spenti e stanchi dei suoi. 
Quello sguardo rassegnato e grave è così pesante che Mihael vorrebbe urlargli in faccia e prenderlo a schiaffi se è possibile.Il direttore Gerard sospira nuovamente, esalando l’ennesimo sbuffo di insoddisfazione: “No, proprio non ci siamo” pensa sconfitto e amareggiato.
Dopo vent’anni di onorata carriera all’interno di quell’istituto che ha raccolto delinquenti, neospacciatori e piccoli zingari, non si è mai imbattuto in un soggetto più complicato di quello.
Non appena dalla porta della direzione gli comunicano un problema, lui sa già chi è il colpevole: Mihael Keehl.
Ed ora è dinnanzi a lui, in tutta la sua malizia puerile. Sono quasi due mesi che è lì e in così poco tempo ha creato scompiglio in tutto l’istituto. Dall’inizio appariva timido, confuso e triste, ma ben presto ha dimostrato a tutti il cipiglio fiero di un giovane leone.
Quel ragazzo è davvero un leone sia per la sua forza fisica, la quale numerosi bambini hanno avuto modo di sperimentare, sia per lo sguardo minaccioso rivolto a tutti coloro che sfortunatamente gli sono di intralcio.
Tuttavia, non è come gli altri. No, in lui c’è qualcosa di diverso: ad esempio, non è circondato dalla schiera di schiavetti che è solita accompagnare “i bulli” o meglio, per usare un eufemismo del direttore, gli “irruenti”.
Sta solo quando mangia a mensa, in fondo all’aula, durante la pausa in cortile, sempre … Persino nella sua camera vive in solitudine.
In verità, per quanto riguarda quest’ultima constatazione, bisogna dire che è collegata ad un fatto alquanto spiacevole al quale si sono susseguiti tutti gli altri ad effetto domino. E, come si può ben immaginare, a causa di questi è finito più volte in direzione.
Quell’episodio della camera gli ha assegnato definitivamente l’etichetta di “bulletto” e “violento” dell’orfanotrofio; neanche fosse stato una mucca da marchiare a fuoco e tutto ciò lo trova irritante.
Comunque, un giorno gli presentarono quello che sarebbe stato il suo nuovo compagno di stanza. Mihael non ne fu subito entusiasta, anzi già considerava una rottura condividere quella camera fin troppo stretta.
Era steso sul letto e osservava assorto la croce del rosario oscillargli davanti al volto. Poco dopo bussarono alla porta e fece il suo ingresso il direttore Gerard assieme al nuovo compagno. A quella visita inattesa, il biondo si alzò di impeto occultando il rosario dietro la schiena.
-Mi raccomando Mihael, cerca di farlo sentire a suo agio. – disse l’uomo con uno sguardo più che eloquente. 
Per tutta risposta il bambino sbuffò scocciato, mentre il nuovo arrivato fece qualche timido passo in avanti. Ancora non si conoscevano e già quello temeva la sua presenza: probabilmente gli avevano riempito la testa di voci sul suo conto. Mihael non sopportava tutto ciò, era ingiusto: non riteneva che fosse colpa sua se gli altri lo infastidivano. Per cui se finiva per fare a botte con loro, allora significava che se l’erano cercata. Sostanzialmente è questa la sua filosofia e, per quanto gli riguarda, non ha alcuna intenzione di cambiarla solo per compiacere uno stupido direttore. Non la darà mai vinta a nessuno, nemmeno a chi si spaccia per il più debole, e quella volta non fu di certo un’eccezione.
Dato che non riusciva a sopportare gli occhi intimoriti di quel ragazzino, il quale si muoveva impacciato e indietreggiava ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, decise di levare le tende per primo.
-Senti – cominciò il biondino –io vado fuori a fare un giro, ma non toccare le mie cose. Chiaro?
Un messaggio conciso il quale non voleva ammettere inflessioni, così Mihael nascose furtivamente il rosario sotto al cuscino ed uscì fuori. Al suo ritorno, purtroppo, trovò il ragazzino accanto al suo letto e con i grani rossi fra le dita: quella sola vista bastò a farlo diventare rosso di rabbia.
L’altro, che non si era minimamente accorto della sua presenza, sobbalzò quando lo vide. La presa sull’oggetto tanto caro non fu così salda, poiché scivolò dalle mani di quel bambino cadendo sul pavimento. 
Fu troppo per Mihael, infatti non ci pensò due volte prima di fiondarsi su di lui tempestandolo di pugni. 
Ecco perché da allora non gli fu più assegnato un compagno di stanza. Ma se non altro questo avrebbe impedito a qualsiasi ficcanaso di toccare la sua roba, specialmente quel rosario che custodiva gelosamente.
Adesso sta solo rivivendo la stessa scena: lui seduto di fronte al direttore, il quale rigira nervosamente la penna tra le dita.
-Allora? Ha deciso quale punizione darmi?! – domanda spazientito Mihael, tamburellando nervoso le dita sul braccio. Dopo un altro sospiro che esala monotonia, l’uomo si decide a rispondergli:
-Sicuro, che non hai nulla da dire per discolparti?- scaglia l’ultima freccia.
- No. - risponde secco –Mi dia questa punizione e facciamola finita. Anche se spiegassi come stanno le cose nessuno mi crederebbe, quindi è inutile sprecare altro fiato … Che cosa devo fare?
-E sia! Ti darò questa punizione: per i prossimi due giorni pulirai il corridoio principale durante la pausa. Mi occuperò io di avvisare Kristina.
Ormai il verdetto è stato emesso, quindi si alza ed esce da quel luogo opprimente a passo di marcia. Non gli importa se quello che sta dentro è il direttore, sbatte la porta dietro sé senza curarsi di salutarlo.
- Tze! Vecchio bacucco buono a nulla!!- mormora a denti stretti, ripensando alla punizione che dovrà scontare oltre all’umiliazione che presto giungerà. Nonostante durante la pausa la maggior parte degli orfani è fuori in cortile, il corridoio principale, cioè quello collegato all’ingresso, è comunque molto frequentato. Già si immagina le risatine di scherno dei suoi compagni e questo lo fa semplicemente imbestialire.
“E poi si chiedono perché li picchio!” pensa stizzito. Se non altro si consola sapendo di aver conciato per le feste quegli idioti di Zack, Carl e Lyod.
Cammina per l’edificio senza una meta precisa, scansando come un automa i ragazzini che gli vengono incontro. Quell’orfanotrofio è sull’orlo del sovraffollamento ed è già un miracolo che fino ad adesso non abbia dovuto condividere la stanza, però sa che prima o poi accadrà.
“Ma io … cosa ci faccio qui dentro?” si ritrova a pensare assorto, mentre quasi giunge nei pressi delle scale. Sta per scendere quando una mano gli blocca la spalla: una presa che non ha nulla di affettuoso. Gli occhi azzurri di Mihael incrociano un volto per niente amichevole.
Le labbra  sottilissime, quasi due linee, si piegano in una smorfia di repulsione e disgusto. Il naso adunco accompagna arricciandosi indispettito, mentre la fronte si corruga in un’espressione accigliata.
-Sei tu quello che deve scontare la punizione? – a giudicare dalla voce acida e roca, Mihael apprende di essere appena stato fermato da Kristina. La donna sulla quarantina è una delle inservienti dell’orfanotrofio, custode delle chiavi dell’edificio e addetta alle pulizie.
“Dannata! Mi ha fatto prendere un colpo! Stupida vecchia zitella” impreca mentalmente trattenendosi a stento.
- Sì – è questa, invece, la risposta telegrafica che rivolge alla donna. Quella lo afferra saldamente per il braccio trascinandoselo dietro. Non è mai stata il tipo di persona che bada alla delicatezza, soprattutto da ciò che si dice in giro di lei. In quell’orfanotrofio, in cui sparlano di tutto e su tutti, si mormora che fosse una poco di buono prima di lavorare lì. Tuttavia, la prima volta che Mihael la vide gli diede l’impressione di essere la classica “zitella acida e fumatrice”, infatti più volte l’aveva scorta nel retro dell’edificio con una sigaretta fra le labbra.
Del resto non si può neanche dire che sia una bellezza: ha un neo, o forse sarebbe meglio dire porro, sul mento. I capelli sono legati in uno chignon e porta anche una fascia elastica, la quale fa trasparire qualche ciocca grigia dell’età. La cosa che infastidisce di più il bambino sono quegli occhi porcini velenosi, grazie ai quali la donna riesce ad intimidire i temperamenti più vivaci. Per non parlare dei grugniti poco aggraziati che accompagnano quasi sempre le sue occhiatacce.
Kristina conduce il piccolo, quasi tirandolo per la maglia, sino allo stanzino delle scope. Al ché, un indignato Mihael, scaccia la mano della donna che stava sformando la stoffa. Quella non ci bada molto: apre subito il ripostiglio tirando fuori un secchio, un flacone mezzo vuoto e una spazzola.
Il biondino rimane interdetto prendendo gli utensili in mano, mentre Kristina chiude la porta con tutta tranquillità.
- Dov’è?
- Dov’è cosa?
-Il manico della spazzola! Non vorrai mica dirmi che devo lavare così!-protesta indignato.
-Non c’è. – risponde secca.
-Come non c’è?!! Non avete un fottuto spazzolone per lavare il pavimento??!
-Senti ragazzino, io ho da fare! Questo è sufficiente, quindi arrangiati! – dopo questa presa di posizione si volta impugnando un manico di scopa.
Mihael è davvero furente: “E’ ufficiale! Io odio quella donna!!”.
D’altronde come dargli torto? Fino ad ora tutte le donne che ha avuto modo di conoscere si sono rivelate meschine ed egoiste fino al midollo. Sua madre è la prima della lista e, per quanto fosse ancora piccolo, Sebastian l’ha tenuto al corrente della sua empietà. Certo non scese nei dettagli, ma aveva fatto capire a suo figlio quanto fosse inaffidabile.
È più che evidente come il ripudio della persona che gli ha dato alla luce, abbia piantato il seme della misoginia nella terra giovane e tenera del suo cuore. Per lui c’è sempre stato il papà e mai la mamma.
Sfortunato e sconsolato, Mihael si appresta a svolgere i suoi doveri: si reca prima in bagno per riempire il secchio e poi si avvia verso dell’ingresso.Il corridoio, cosiddetto “principale”, comprende l’atrio e due lunghe navate di cui una porta alla mensa e l’altra alle aule del pian terreno. Decide di cominciare a pulire dalla mensa, visto che non c’è nessuno e perché di lì il tragitto gli sembra più breve.
Osserva il corridoio stagliarsi lungo e profondo ai suoi occhi, per un momento gli viene in mente la sua vecchia casa. Era più o meno la sua attuale stanza: piccola, costretta, emarginata dal resto della città eppure sempre famigliare. Trascorreva molte ore in solitudine e quindi toccava a lui mettere in ordine e pulire, dato che suo padre non poteva.
Ricorda che svolgeva tutto con molta allegria, probabilmente perché al ritorno avrebbe mostrato con orgoglio a Sebastian il frutto del suo operato. In cambio, lui veniva ricompensato con una carezza affettuosa sul capo.
Mihael si china cominciando a strofinare le mattonelle con la vecchia spazzola. Non vuole caderci di nuovo … Non ci vuole pensare, anche se è successo da poco. Ormai non si può più tornare indietro …
Devi vivere senza di lui. Devi andare avanti senza di lui.
“Tu sei speciale”, gli diceva. Stringe i denti sfregando più forte le setole contro la superficie.
-In che cosa sarei speciale?- mormora con gli occhi che pizzicano.
 
 
 
 

Francis Gerard fissa il foglio con occhio critico, rileggendo tra le righe perfettamente pulite e prive di correzioni. Si tratta dell’ennesimo rapporto degli insegnati su uno dei loro allievi, precisamente colui che ha appena castigato: Mihael Keehl.
Ha soltanto otto anni eppure il suo rendimento è eccellente. Tuttavia un compito di matematica di livello superiore non è sufficiente a stabilire il suo QI, ci vuole qualcosa di più tosto. Qualcosa come un esame accademico vero e proprio.
Chi avrebbe mai immaginato che il biondino fosse già inserito tra gli ingranaggi del “sistema”?!
“Non ho altra scelta …” conclude il cinquantenne dopo un’attenta riflessione. La mano si tende verso la cornetta, ma uno squillo improvviso la interrompe.
-Pronto? – risponde il direttore, con uno strano presentimento.
-Buongiorno Francis. E da un po’ che non ci si sente!- esordisce un uomo dall’altro capo del telefono.
-Oh! Ma che piacere risentirti!! – quasi si trattiene dall’esclamare di gioia, poiché è proprio la persona che stava cercando. “Parli del diavolo …”
-Come mai questa telefonata?
-In realtà, mi trovo in Germania per alcuni affari così ho pensato di salutarti. Dato che mi sto dirigendo a Berlino, volevo avvisarti che passerò per Zehlendorf.
-Oh, ma è fantastico!! Sappi che sei il benvenuto!!
-Ti ringrazio. E poi mi piacerebbe fare due chiacchiere con il mio vecchio compare!
-Già! Sai … - comincia Gerard, grattandosi il capo e osservando il foglio – la tua telefonata capita a proposito. Anzi, stavo proprio per chiamarti in questo preciso istante.
- Come mai? Novità?
-Sì, e per questo vorrei la tua opinione in merito …
 
 
 


Il braccio, esile e scoperto dalle maniche rimboccate, appoggia con lieve sforzo il secchio a terra. 
Mihael sbuffa di nuovo alla vista del lungo corridoio, ma può consolarsi sapendo che è l’ultimo giorno di fatica.
Alla fine ha scoperto che quella megera di Kristina gli aveva mentito: ce l’aveva lei lo spazzolone!Per vendetta voleva rubarglielo di soppiatto, ma fu subito beccato e gelato all’istante dal suo sguardo. 
La donna gli strappò di mano l’utensile sbottando: -Questo è mio! – non mancando di calcare sull’ultima parola con un insolito accento polacco.
Così, rassegnato, Mihael si mise a lavoro. Ieri fu particolarmente faticoso, infatti ritornò in camera distrutto e con le mani doloranti.
Oggi, stranamente, possiede più carico: forse perché da domani non subirà più quell’estenuante umiliazione? La risposta è sicuramente affermativa, però si sente ancora deluso per non essere riuscito ad ottenere l’oggetto che gli avrebbe facilitato il compito.
“Quella strega l’ha sicuramente nascosto da qualche parte!” pensa mentre immerge la spazzola nell’acqua. Per sua gioia l’atrio è completamente deserto, l’unica cosa che ode è il continuo sfrigolio della spazzola.
Questa sì che è pace! Mihael adora il silenzio per questo motivo.
Tuttavia, l’attimo di placida calma non dura a lungo: il cigolio del portone echeggia nel vuoto. Il piccolo solleva il capo interrompendo la sua attività, giusto in tempo per notare una scarpa nera e lucida oltrepassare l’ingresso.
Il suo sguardo ceruleo cammina lungo tutto il profilo di quella figura sconosciuta. È nera, elegante e soprattutto non sembra del luogo: lo si capisce dal portamento fin troppo raffinato. L’uomo con una bombetta in testa richiude la porta alle sue spalle, poi si volta osservando l’ambiente circostante con vivo interesse. Mihael intanto si è rialzato e, senza accorgersene, ha mosso qualche passo verso di lui.
Sobbalza sorpreso quando i loro sguardi si incrociano. Non sa proprio spiegarsi la sua reazione: in fondo non si è mai fatto intimorire da nessuno prima d’ora, nonostante la sua giovane età.
Adesso può scorgere appieno l’espressione bonaria di quell’anziano con folti baffi bianchi. Il biondino segue incantato ogni sua mossa, scrutando con i suoi occhioni azzurri. Lo sconosciuto si toglie il cappello accostandolo al petto.
- Guten tag* – esordisce con un impeccabile tedesco, il quale alle orecchie del bambino appare limpido, pulito e … strano. Di solito è abituato ad udire rozzi stravolgimenti della lingua, i quali spesso assomigliano più a grugniti che a delle parole. Dopo qualche secondo scuote la chioma dorata, risvegliandosi dalla trance: 
- G…Guten …tag – balbetta inspiegabilmente. Prova un senso di imbarazzo di fronte a quell’uomo, che potrebbe essere tranquillamente uno di quei ricconi sfondati e viscidi. Eppure, a guardarlo non si direbbe proprio.  
-Sto cercando il direttore Gerard, sapresti dirmi cortesemente da che parte si trova la direzione?
-Di là – indica con il dito. Allora l’uomo gli sorride attraverso i folti baffi facendo, in qualche modo, imporporare le guance di Mihael il quale non è abituato a simili riguardi.
-Dank** - ringrazia chinandosi leggermente. Il biondino, preso alla sprovvista, ricambia facendo un mezzo inchino con il capo.
Ma si ferma bruscamente accorgendosi delle sue azioni: “Ma … che sto facendo?” si riscuote, intanto quell’uomo si allontana.
Mihael lo può giurare: ha appena incontrato un alieno.
 
 
 
 
Quando ha visto Gerard affacciarsi nel corridoio con un sorriso affabile stampato in faccia, Mihael ha creduto che il direttore fosse impazzito.Quando, invece, gli ha comunicato gentilmente che una persona voleva parlare con lui, è cascato totalmente dalle nuvole.
A giudicare dal comportamento equivoco che ha assunto nei suoi confronti, pareva che ci fosse il presidente in persona ad attenderlo.
Invece, con somma sorpresa del piccolo, si trattava dell’uomo di poco fa.
Non appena quello scorge la sua figura, distende nuovamente i baffi in un sorriso, il quale non ha nulla a che vedere con la smorfia di circostanza del direttore. In realtà, il biondo non ce l’ha con il vecchio Gerard, ma è solo abituato ad udire la sua voce seccata e spossata.
-Bene, ora vi lascio soli – e detto questo lascia il suo ufficio.
-Prego, siediti – comincia l’uomo prendendo posto sulla poltrona della direzione, mentre lui si sistema incerto sulla sedia davanti alla scrivania.
-Innanzitutto permettimi di presentarmi: mi chiamo Qullish Wammy . Mentre tu devi essere Mihael, giusto?
-Sì e non ho fatto niente! – scatta sulla difensiva il biondino, suscitando la tenerezza dell’uomo.
-Non sei nei guai Mihael, tutt’altro! Sei qui perché alcuni insegnati pensano che tu … come posso dire … sia speciale.
Ancora, ancora quella parola. Il ragazzino rimane esterrefatto: è la seconda persona che glielo dice, ma ancora non comprende il motivo. Ritiene di non avere proprio nulla di così grandioso, in fondo è solo un bambino solo.
-Ci deve essere un errore. – ribatte convinto –Io non ho niente di “speciale”.
-Perché questo non lo lasciamo stabilire ai test?
-Test? – inarca un sopracciglio.
-Non ti spaventare, in realtà sono dei giochi.
-Ma … come …
-Proprio così: è sufficiente giocare per stabilire le tue qualità.
Mihael è a dir poco basito. Non ha la più pallida idea di che cosa stia parlando, ma ha uno strano presentimento.
-Lei, per caso, è … uno strizzacervelli? – domanda scettico. A quella parola l’uomo ride di cuore, pur mantenend la sua compostezza.
-Uno psicologo dici? No, assolutamente. Non ho una laurea per questo.
- Umh …
-Allora? Vuoi scoprire se sei speciale?
I successivi sessanta minuti sono trascorsi all’insegna di puzzle, immagini da osservare, figure da riconoscere e blocchi da assemblare.
Tra i “giochi” di quello strano signore, Mihael ha riconosciuto il cubo dai mille colori che Mike gli aveva regalato tempo fa.
Alla fine, quell’inaspettata visita è riuscita anche a farlo divertire.
-Allora come è andata? – chiede Gerard ansioso.
-Benissimo direi. – risponde l’inglese più che soddisfatto. Ha trovato una mente assolutamente brillante, una stella luminosa.
-Ma è grandioso! –esclama con insolita enfasi il cinquantenne.
-Ora posso andare? – fa capolino Mihael in mezzo a loro. Ancora una volta Qullish gli sorride amorevolmente: - Certo. Sei stato bravissimo.
-Solo perché ho fatto quei giochi? – domanda un po’ imbarazzato.
L’uomo si china alla sua altezza accarezzandogli dolcemente la chioma dorata. Mihael si sente improvvisamente rapito da quel tocco così premuroso, il quale gli ricorda quello del suo papà.
Le palpebre si abbassano lentamente a schermare il velo lucido, il quale annebbia lievemente le iridi cielo. Gli pungono di nuovo gli occhi!
Ma questi si sgranano all’istante quando apprende le intenzioni del vecchio inglese.
-Tieni – dice, mentre gli porge quella che sembra una tavoletta di cioccolata.
Il biondino è stupefatto: da quanto tempo non mangia una tavoletta di cioccolata? Colto dall’istinto l’afferra subito scartandola dall’involucro.
Ne assaggia un pezzettino. La sua dolcezza si scioglie in bocca mentre uno strano calore gli pervade il cuore, da tempo infreddolito.
- Dank! – ringrazia dal profondo il ragazzino, rivolgendo all’uomo un sorriso radioso.
 
 
 
 
Il pesante cancello di ferro si sta aprendo lentamente, producendo un forte stridio metallico. 
Mihael non ci bada molto, poiché è tutto concentrato sull’edificio che si staglia davanti ai suoi occhi.
Completamente catturato dall’aura onirica che emana.
“Ci siamo.” pensa “E’ qui che ... diventerò qualcuno …”












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Capitolo 9
*** L'eroe dei videogames (parte 1) ***


The Glory smells like Burnt

 


-Capitolo 8-

 
 
 



Una nuvola di fumo si spande leggiadra nell’aria a formare volute vaporose, le quali svaniscono invisibili. La scia di carbonio sale dalla piccola finestra di un palazzo all’estrema periferia cittadina, uno di quelli che si trovano in quartieri malfamati e criminali.
Matt è seduto sul davanzale, un ginocchio disteso e l’altra gamba ciondolante sul pavimento. Cerca di emettere boccate di nicotina fuori dalla stanza, attraverso l’unico spiraglio di luce presente. Mello già odia il fumo di per sé, figuriamoci se si mette a fumare proprio lì mentre è inerme sul letto.
Sono passati tre giorni dall'incidente e l’amico non ha ancora  ripreso del tutto conoscenza, tuttavia la scorsa notte pareva che si fosse svegliato. Non aveva aperto gli occhi , ma biascicava parole incomprensibili in un sonno agitato. Tormentato dai demoni del suo passato, Mello fece un movimento brusco che lo fece stendere supino. La nuova posizione non era di certo la più confortevole, infatti, a contatto con un’altra superficie, il dolore alla spalla si ridestò di colpo. Subito il biondo emise un gemito strozzato, mentre con molta fatica Matt cercava di riportarlo su un fianco. Inutile dire come il rosso si fosse impressionato, se non addirittura spaventato, di fronte a quella scena: non aveva mai visto Mello in condizioni così pietose. Quando finalmente riuscì nel suo intento, il biondo si calmò e dopo alcuni mugolii svenne. Per un attimo il rosso temette che fosse entrato in coma, ma si tranquillizzò dopo aver controllato la reazione della sua pupilla.
Con un sospiro stanco espira fumo: vuole staccare la spina per almeno cinque minuti e nulla può rilassarlo meglio di una sigaretta. Gli occhi smeraldini, schermati dalle lenti dei googles, guardano assorti fuori dalla finestra. Non che sia un magnifico panorama, riesce a distinguere a malapena i grattaceli di Los Angeles svettare in lontananza. È quasi comico pensare che da quella posizione appaiono come delle piccole guglie, mentre da vicino sono a dir poco maestosi e sembrano voler perforare il cielo per raggiungere Dio.
La visione della grande metropoli, tuttavia, è tagliata esattamente a metà da una vecchia palazzina abbandonata, la quale dista dalla finestra un paio di metri. La stecca della sigaretta è ormai al limite, così Matt  a malincuore la spegne sul davanzale per poi gettarla giù nel vicolo. Già si immagina le proteste di Mello quando si sveglierà e constaterà numerose tracce di cenere.
Sorride debolmente ripensando a ciò che gli diceva sempre il biondo da quando prese il vizio: “Tu continua così e i tuoi polmoni se ne andranno prima di te!”  
Era buffo che un duro come lui gli propinasse raccomandazioni che solo una madre avrebbe fatto e puntualmente si contraddiceva. Matt, infatti, lo scherniva dicendogli che si trattava di un commento da “donnicciola”  e che non accettava consigli da un “cioccolatomane schizzato” come lui.
Il rosso si ritrova ad ammettere che un po’ gli mancano i bisticci che aveva sempre con Mello. Litigare con lui, anche per futili sciocchezze, equivale a dire: “Va tutto bene. Io sto bene, non preoccuparti”.
Invece ora va male?
Matt sposta lo sguardo dai palazzi di Los Angeles al corpo bendato del suo amico: “No. Non va proprio bene. Per niente …” questa è la risposta che fornisce la mente del ragazzo.
Ha sempre mantenuto una calma proverbiale prendendo la vita con tranquillità, come se stesse pigiando i tasti della sua consolle. Non è un calcolatore come Near, tuttavia può vantare una quiete invidiabile che spesse volte faceva infuriare il biondo.
Per quanto si sforzasse di trasmettergli un briciolo di serenità, tutti i tentativi risultavano vani: l’orgoglio di Mello e la sua impetuosità erano più devastanti di uno tsunami. Tanto che faceva fatica a non farsi coinvolgere dalla sua potenza, eppure questo aspetto seppur incosciente del biondo ha sempre avuto il potere di attrarlo.
Ora che ci pensa, non ricorda nemmeno il momento in cui è diventato così amico di lui. Anzi, la prima volta che le loro presenze si erano incrociate, non aveva fatto caso al biondo perché troppo occupato a vincere la partita con la sua DS. E poi da piccolo lui era un completo menefreghista: non si curava di ciò che gli stava intorno, la gente, le situazioni … Le considerava cose barbose, prive di interesse, nelle quali se fosse intervenuto nulla sarebbe cambiato.
Lui si limitava semplicemente ad osservarle passivo e consapevole, poi il capo si chinava nuovamente sul gioco tra le sue mani. Nessun cenno vitale, nessuno spirito di curiosità, niente di niente.
Rimembra ancora la prima volta in cui vide Mello. Erano entrambi alla Wammy’s e da subito gli è parso un ragazzino esuberante, testardo, irascibile, a volte manesco: insomma il classico egocentrico il quale, in un modo o nell’altro, riesce ad attirare l’attenzione su di sé. Ma la sua prima occhiata al biondo si rivelò superficiale, con il tempo, infatti,  si dovette ricredere perché dietro la corazza di lega impenetrabile si nascondeva qualcosa, o meglio qualcuno.
Matt quel giorno vide chi era veramente Mello. Non il narcisista, non l’autoritario, non il numero due e nemmeno il complessato.
Matt vide, strano ma vero, un eroe. Sicuramente questa definizione può risultare alquanto iperbolica in un certo senso, ma agli occhi fantasiosi di un bambino di otto anni che, fino ad allora, aveva visto in azione solo gli omini in pixel sullo schermo della consolle … Beh! Risulta un attributo più che azzeccato.
Mello ha sempre lottato con tutte le sue forze per raggiungere i suoi obiettivi, per quanto fosse stremato e abbattuto dalla schiacciante evidenza, si è sempre rialzato a testa alta e pronto a ricominciare.
Quando l’aveva conosciuto il suo grande complesso di inferiorità non era ancora nato, infatti Near non era ancora giunto all’orfanotrofio e quindi lui era il primo della graduatoria. Forse a prima vista chiunque, compreso lo stesso rosso, avrebbe potuto dire che quella posizione lo faceva sentire privilegiato e per questo spesso faceva lo spaccone. Però, Matt dovette ingoiare tutte queste pesanti accuse quando lo scorse a notte fonda con la testa china sui libri. Se occupava il primo posto a quei tempi era di certo più che meritato.
Nei suoi occhi azzurri come il mare si scorgeva sempre la scintilla dell’ambizione, ma ora che ha subito questo grave incidente Matt teme che quel bagliore perirà nei suoi occhi.
“Che cosa farai quando ti riprenderai? Che cosa farai quando ti guarderai allo specchio?” le domande angosciose del nerd sfociano in un'unica risposta: “Impazzirai!”.
Infondo, Mello ha sempre posseduto di per sé una punta di vanesia. Senza contare che è sempre stato un ragazzo molto bello fin da bambino: rispetto ad altri ragazzini ancora immaturi, il suo viso aveva attirato il cuore delle poche fanciulle che vivano alla Wammy’s. Inoltre si capiva che con il tempo non avrebbe fatto altro che imbellirsi, tuttavia non è mai stato interessato alle ragazze: il suo carattere spigoloso e acido non si sposava bene con il gentil sesso. In particolare, le ragazzine dell’orfanotrofio erano –a detta del biondo- delle “oche insopportabili”.
Comunque anche così andava bene perché ,dopo “una brutta caduta” e dei “ringhi minacciosi”, erano diventati amici. Fu da quel momento che Matt mise da parte la sua consolle per entrare nel mondo reale.
Sì, Mello gli aveva allungato la mano e l’ha aiutato a rialzarsi, attraversando così lo specchio dal quale si limitava ad osservare la realtà. La sua tendenza ad estraniarsi e a vivere solo nella sfera dei videogames era stata causata dal comportamento sconsiderato dei suoi genitori. Litigavano sempre e il più delle volte passavano alle mani, non si preoccupavano per il loro bambino il quale li osservava impotente attraverso lo spiraglio della porta del ripostiglio. Quello era l’unico buco dove poteva rifugiarsi dalle loro grida: non appena cominciavano a discutere, lui si alzava e correva a nascondersi nello stanzino. Si raggomitolava nell’angolo più buio e stretto, premendo con forza i palmi contro le orecchie e canticchiando nella mente le musichette dei suoi game preferiti. Con il tempo si era assuefatto alle improvvise sfuriate dei suoi, anzi non era più interessato a ciò che facevano. Così quando cominciavano a discutere come loro solito si alzava placidamente e andava nel suo rifugio, in cui giocava con la DS.
Ancora oggi si sente scosso per la sensazione che provò quando i suoi genitori morirono. Normalmente avrebbe dovuto piangere per la loro scomparsa, invece rimase in silenzio tombale quando i loro corpi furono portati all’esterno dai pompieri. Una fuga di gas in un palazzo popolare, privo di adeguata manutenzione e norme di sicurezza.
Se ci pensa è quasi comico: sua madre si è sempre preoccupata di ciò che diceva o faceva suo padre, mentre proprio quel giorno lo cacciò a malo modo fuori di casa, con la scusa di dover stare sola.
-Non starmi attorno! – gli disse con una mano sulla fronte – Vattene fuori non voglio che tu mi veda così!!
Così, senza dire una parola, Matt uscì di casa con la sua inseparabile consolle in tasca, quando tornò vide i frutti letali di quella tragedia. Senza rendersene conto sua madre e, in parte, suo padre gli avevano salvato la vita: ironicamente, si sono ritrovati a fare i genitori esemplari per la prima volta nella loro vita.
Non esultò di fronte ai lenzuoli a terra e nemmeno pianse, ma quella che provò nel cuore fu la tristezza. Profonda, cupa, abissale. Per la prima volta provò pietà per i suoi genitori.
Mello è miracolosamente sopravvissuto ad una grande esplosione, la quale ha distrutto un intero edificio. Non ha riportato fratture, emorragie o commozioni celebrali, quindi gli è andata più che bene con quell’ustione. Tuttavia, Matt sa che il suo amico dovrà ancora soffrire, dovrà ancora affrontare l’ennesima delusione. E di certo, vedere il proprio volto deturpato in quel modo spaventerebbe e angoscerebbe chiunque. Conosce già la reazione dell’amico, che sarà più forte e catastrofica delle precedenti.
Ancora una volta Mello ha perso la battaglia e il rosso si chiede come sia possibile.
Lui si impegna duramente, lui ce la mette tutta, lui è arrivato persino ad unirsi ad una cosca mafiosa arrivando ai vertici della criminalità, eppure non è sufficiente. Near a quest’ora si sarà avvicinato di più al suo obiettivo e questo grazie all’azione di Mello. Grazie alle sue doti di hacker non gli è stato difficile sbirciare nel database di CIA ed FBI.
“Mello, davvero è così importante per te essere il numero uno?” si domanda mestamente il nerd, mentre estrae dal pacchetto un’altra sigaretta. L’accende e scuote energicamente il capo, spostando alcune ciocche ramate sulla fronte.
“No. Non spetta a me porgere questa domanda … è una cosa che solo tu puoi sapere …”. Volge lo sguardo fuori dalla finestra mentre emette la prima boccata di fumo, la quale è sempre gradita al suo olfatto. L’odore del tabacco bruciato è quanto di più rilassante ci sia per lui, nemmeno gli anestetici avrebbero lo stesso effetto. Matt adora il lieve sfrigolio del tabacco quando viene bruciato dalla fiamma dell’accendino, non a caso proprio questa banalità l’ha indotto a prendere il vizio.
Toglie il filtro dalle labbra e ne segue un vento grigio che si confonde nell’aria. Anche a quella distanza di grattaceli di L.A. appaiono annebbiati. Il rosso si sfila gli occhiali da aviatore in modo da tenerli appesi al collo. Fissa , fissa l’orizzonte senza più lenti arancio a schermargli gli occhi.
E così assorto che non si accorge dei deboli movimenti del biondo sul letto, solo quando i mugugni si fanno più pronunciati gira il capo di scatto.
-Mello! – a quel richiamo l’iride cerulea si apre di scatto. 
 
 

***

 
 
Il rumore dei tasti di gomma che vengono pigiati con rapidità non cessa di echeggiare in quella stanza. Il bambino dai capelli ramati continua a giocare alla sua consolle senza rivolgere lo sguardo al direttore, il quale lo guarda alquanto stizzito dalle piccole lenti tonde.
-Posso andare adesso? – chiede laconico e con il capo chino sul piccolo schermo. Il vecchio di fronte a lui emette un soffio stanco di fronte all’ennesimo e intelligentissimo ragazzino, privo qualsivoglia accenno di educazione. Matt, così è stato appena denominato, si alza dalla sedia di scatto e si dirige meccanicamente verso la porta, senza mai staccare gli occhi dal gioco. Conosce il tragitto a memoria e non sbaglia nemmeno la collocazione della maniglia, quasi avesse  calcolato tutto.
Il colloquio con Roger Ruvie è stato molto noioso e soprattutto ha dovuto mettere in pausa la consolle, dopo le instancabili esortazioni del vecchio che tentava di richiamare la sua attenzione in tutti i modi.
Dalle grandi finestre del corridoio filtra la luce pomeridiana in tutte le sue sfumature vermiglie, le quali accendono le ciocche castane di un acceso rosso fuoco. I capelli di Mail sono sempre stati indefinibili, alla luce appaiono rossastri mentre al buio castani. 
A passi misurati cammina per i corridoi semideserti di quel posto che, a quanto pare, sarà la sua nuova casa. Non ha avuto modo di studiare l’edifico, ma cammina senza meta alla ricerca di un posto tranquillo in cui finire la partita. Dalla finestra intravede dei ragazzini che corrono sul campo da calcio. I solo schiamazzi arrivano ovattati alle sue orecchie, mentre se guarda il lungo corridoio stagliarsi dinnanzi a sé ci è solo silenzio. Ma non si tratta di un silenzio a lui amico, no … Stavolta è opprimente e gli trasmette un senso di angoscia. All’improvviso vuole uscire fuori per respirare aria pura, tuttavia non sa spiegarsi il motivo di quell’improvvisa claustrofobia.
Ha distolto lo sguardo solo  un attimo dalla consolle per guardare fuori dalla finestre. In quel momento probabilmente si è reso conto di essere ripiombato nella realtà. Si è accorto di esistere e di essere … solo. Con foga sconosciuta mette in pausa il gioco, infilandolo velocemente nella tasca.
Corre. Corre a perdifiato sino all’uscita raggiungendo così il cortile. Ormai lontano da quel corridoio opprimente, poggia una mano sul muro riprendendo il fiato perso durante la corsa. E’ la prima volta che gli capita una cosa del genere e si sente alquanto scosso, tuttavia sa che può riprendersi solo in un modo: estrae la consolle dalla tasca stringendola nel palmo. L’unica sua salvezza, l’unica sua sicurezza è quell’oggetto che più volte l’ha aiutato a superare momenti difficili.
Adesso che è fuori ode distintamente le voci di quei ragazzini intenti a giocare a calcio, infatti il campo è proprio davanti a lui. Non gli sono mai piaciuti gli sport e anche in passato giocava fuori molto di rado, se vi si recava era soltanto per proseguire le partite dei games lontano dal chiasso dei suoi genitori. Così farà questa volta, scivola sulla parete fino a sedersi sull’erba e accende la consolle.
Intanto, dei vivaci bambini giocano a calcio e , in particolare, uno di loro è estremamente scattante.
-Mello! Passa, passa!! – grida un ragazzino facendo segno con le mani, ma l’altro non lo ascolta. Una chioma bionda splende di mille riflessi d’oro alla luce pomeridiana, mentre frusta l’aria ad ogni movimento. Il ragazzino si libera degli avversari con uno scatto fulmineo. Perle di sudore fuggono nell’aria in una pioggia brillante e il piccolo, sicuro della sua forza, tira un calcio al pallone il quale finisce in rete. Gli esulti si elevano all’istante assieme a quelli del biondo che sorride soddisfatto. Non mancano però alcune lamentele da parte dei suoi compagni:
-Uffa, Mello! Non è giusto! Avresti potuto almeno passare la palla!! – si lamenta il ragazzino che lo aveva richiamato poco prima.
- Ohh! Ma quante storie! – mette il broncio l’altro – E’ goal, no? Questo è l’importante!
L’altro sospira di fronte a tale cocciutaggine, ma nel farlo si accorge di una nuova presenza. Anche gli altri ragazzini lo notano e fissano in silenzio l’altra parte del campo.
-E adesso che vi prende? – chiede Mello, dirigendo lo sguardo azzurrino verso la fonte di tale curiosità. C’è un bambino rannicchiato a terra, ha il capo chino e maneggia tra le mani qualcosa che sembra un giocattolo. A quella vista anche il biondino si incuriosisce un po’, del resto da quando è in quell’orfanotrofio ne ha viste di cose strane. Ci sono bambini con delle manie assurde tanto che la prima volta che li vide pensò che fossero degli alieni.
-Chi è quello? Lo conoscete?
-No, io non l’ho mai visto prima!
-Forse è uno nuovo?
Le prime domande cominciano a sorgere e ad assordare le orecchie del biondo, il quale ci tiene particolarmente a vincere quella partita: non tollera che per colpa di un moccioso debbano interromperla, non adesso che la sua squadra è appena passata in vantaggio.
-Forza! Cosa sono tutte queste chiacchiere? Riprendiamo a giocare!
Nessuno protesta di fronte a quel bambino: è così cocciuto che quando prende una decisione non cambia idea per nulla al mondo!!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ehilà!! Sono resuscitata finalmente!! ^.^
Perdonate il mostruoso ritardo ma tra il caldo asfissiante, l’ispirazione e distrazioni ho procrastinato troppo. Ho postato ad agosto!! Vi rendete conto??
Sono imperdonabile!! Lo so!
Spero che mi lascerete le solite recensioni!! Siate buoni!! ç.ç

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Capitolo 10
*** L'eroe dei videogames (parte 2) ***


 
The Glory smells like Burnt
 

 


-Capitolo 9-

 
 
 
 


La luce del piccolo schermo proietta una sagoma rettangolare sulle lenti di plastica. Il contatto visivo sul percorso ad ostacoli in pixel non si interrompe nemmeno per un istante, sebbene la sclera risulti percorsa da rigagnoli sanguinei. Matt non riesce a prendere sonno, così si è accovacciato sul letto ed ha acceso una nuova partita alla DS.
Quell’ oggetto che muove tra le mani con foga è stato il primo regalo dei suoi genitori, quando era più piccolo e loro si volevano ancora bene.
La rottura tra i suoi e la degenerazione della situazione famigliare è avvenuta dopo che suo padre ha iniziato ad avere problemi sul lavoro, e questo il rosso lo sa bene. Prima i suoi genitori si amavano molto ed erano una famiglia davvero felice. A volte gli capita di avere qualche flash del passato, come questa notte ad esempio e per tanto non riesce a chiudere occhio.
Si è ricordato improvvisamente del giorno in cui mamma e papà gli regalarono la consolle portatile, allora poteva avere circa quattro o cinque anni. Passeggiava allegramente con i suoi mano nella mano quando, all’improvviso, i suoi occhi smeraldini furono catturati dalla vetrina di un negozio. Subito si staccò da loro per accorrere a vedere meglio. Non appena posò lo sguardo sulla consolle portatile con tanto di custodia, fu amore a prima vista. I suoi occhi rilucevano e gli conferivano un’aria ancora più dolce ed infantile, mentre teneva premuti i palmi contro il vetro. Suo padre allora si accovacciò di fianco a lui rimirando la tenerezza di suo figlio: -Ti piace quella? – gli chiese.
Matt distolse lo sguardo dapprima imbarazzato, poi annuì lievemente incrociando occhi del suo stesso colore. Suo padre gli accarezzò il capo rossiccio e sua madre sorrideva divertita, così i tre entrarono nel negozio e il piccolo ricevette il primo giocattolo al quale si fosse mai affezionato.
Sono passati tanti anni da quel giorno, forse non molti, però a Mail sembrano secoli. La consolle a cui è tanto legato non è rimasta illesa nel tempo, infatti ha numerosi graffi e gli angoli consunti. Nonostante se ne fosse preso cura assiduamente, non ha potuto evitare che la sua adorata DS subisse vari incidenti. Come quella volta in cui sua madre, in preda ad una crisi isterica, gli strappò di mano il giocattolo scaraventandolo sul pavimento.
-Smettila di giocare con quel coso! Non lo sopporto più!! – strillò mentre il piccolo Mail raccoglieva i minuscoli frammenti di plastica, i quali si erano staccati da un angolo.
Sembra quasi che il giocattolo abbia subito un numero di traumi direttamente proporzionale alle crisi dei suoi genitori. In ogni caso, loro non ci sono più e ormai Matt è rimasto solo in quell’orfanotrofio per bambini prodigio. Sono davvero tutti strani lì dentro, ma forse il più strano è proprio lui che chiuso nel suo modo continua a giocare allo stesso videogame.
Riesce a passare senza problemi al livello successivo, infatti conosce a memoria quel maledetto game perciò riesce a prevedere tutti gli ostacoli. Sospira laconico, terribilmente annoiato dalla solita solfa. Anche mentre pigia rapido i tasti della consolle, l’immagine di lui che passeggia allegramente con mamma e papà non lo abbandona. Gli occhi cominciano a pizzicare dietro le lenti dei suoi occhiali, tuttavia si convince che probabilmente la vista offuscata è dovuta alla stanchezza più che alla tristezza.
In realtà, per quanto possa essere nocivo per un bambino della sua età, è sempre stato abituato all’insonnia quindi pare essersi assuefatto alle numerose notti trascorse a giocare con i videogame. 
Però, in cuor suo sa che quel conforto che tanto cerca non lo troverà mai nei videogiochi. Mai.
Una stilla più prepotente oltrepassa le sue ciglia colando al limite degli occhiali da aviatore.
“Il mondo non fa per me. Il mondo è noioso e ordinario … Il mondo non mi vuole!”
Ma non sei forse tu che devi accettare il mondo Mail Jeevase?
 
 
Un altro giorno sta trascorrendo serenamente alla Wammy’s House, è pomeriggio e ormai il sole è prossimo a calarsi all’orizzonte. La maggior parte dei bambini sfrutta questo ritaglio di tempo libero per giocare nella sala comune. Si tratta di una stanza molto ampia, in cui gli orfani stanno insieme e si divertono con i balocchi che ogni mese vengono portati da Roger. In realtà, si tratta di una donazione che fa abitualmente Quillsh Wammy, il fondatore dell’istituto, il quale trova sempre nuovi giochi stimolanti per i piccoli geni. 
Un paio di piedi nudi marcano passi concitati sulle assi di legno. Sulle caviglie ricadono mollemente i lembi larghi e scuri dei pantaloni, i quali a volte si impigliano sotto i talloni. Il marciare di quel piccolo orfano si arresta dinnanzi alla porta della sala comune, dalla quale proviene il classico vocio di sottofondo. Un caschetto biondo fa capolino nella stanza, mentre gli occhi cerulei e vispi saettano da un angolo all’altro in cerca di qualcosa.
-Ciao Mello … - si avvicinano dei ragazzini, ma purtroppo questi non vengono ricambiati . Al secondo richiamo il ragazzino si limita ad un cenno del capo, mentre cammina per la stanza alla ricerca di qualcosa.
“Ma dove sarà? “ pensa ansioso ed esasperato. È da circa stamani che si comporta in maniera così insolita e i suoi compagni si chiedono che cosa abbia. Intanto, dall’altra parte della stanza, un ragazzino dai capelli fulvi è accovacciato su una delle morbide poltrone della sale comune. Con i suoi inseparabili googles e la consolle tra le mani, tenta di uccidere l’orco malvagio nell’ultimo livello del game. Non si cura minimamente del gruppetto di ragazzini dietro di lui, i quali guardano incuriositi la partita. Hanno più volte cercato di prendere la parola con lui, ma senza successo: Matt non ha dato minimo cenno di averli uditi, troppo concentrato a vincere per potersi distrarre con loro. Alla fine quelli, messi K.O. dal mutismo del rosso, hanno deciso di restare in silenzio e di guardarlo giocare. Non sa il povero rosso che tra qualche istante sarà in guai seri.
Mello intanto cerca sotto il divano, tra i cuscini , scacciando a malo modo quelli che vi sono seduti sopra.
“Possibile che sia sparita?? Eppure l’ultima volta che l’ho vista è stato qui nella sala comune … Porca miseria!” impreca mentalmente, tentando di ricordare l’ultimo luogo in cui ha visto l’involucro argentato. Gira su se stesso per visualizzare l’intera camerata e verificare di non aver tralasciato alcun punto. In un istante i suoi occhi si fermano su una poltrona su cui vi è seduto un ragazzino, mentre è attorniato da sguardi incuriositi.
A passo marziale si dirige verso il rosso, il quale avendo la testa china non lo nota, oppure fa finta di non notarlo. In ogni caso, Mello si ferma dinnanzi a lui lasciando una  manciata di centimetri a separarli. Gli altri ragazzini si accorgono della sua presenza e, quasi istintivamente , fanno un passo indietro alla vista dello sguardo accigliato del biondo. Matt non batte ciglio alla sua presenza continuando a pigiare frenetico i tasti, Mello , invece, prima di prendere la parola si sofferma su di lui in un attimo di contemplazione.
“Ecco che abbiamo aggiunto un nerd represso alla collezione!” considerando che tipi del genere chinano il capo per un non nulla, crede che non sarà così difficile farlo alzare dalla poltrona.
-Ehi tu! – esordisce il biondo mettendo le mani sui fianchi – Ti alzi dalla poltrona? Devo cercare una cosa.
Non si può dire che sia una frase provvista di formule di educazione, si è risparmiato perfino il classico “condizionale di cortesia”, il quale per un genio che si rispetti è fondamentale ma per un tipo spazientito come lui serve a ben poco. Il rosso non ha dato cenno di averlo sentito, infatti continua la sua interminabile partita mentre il biondo alza un sopracciglio al suo mutismo.
-Ehi, sto parlando con te!- richiama ancora, però il bambino non si smuove. L’unica cosa che invece ha dato prova di dinamismo sono quei ragazzini di prima, i quali quatti quatti si allontanano dalla poltrona fregandosene della partita. Già da lontano avevano  intravisto il cipiglio fiero del biondo che, a detta di tutti, è particolarmente suscettibile: o almeno basta osservare il portamento, il suo linguaggio del corpo, lo sguardo per intuirlo.
Tuttavia, come già accennato nei precedenti capitoli, per far infuriare veramente Mello bisogna raggiungere un certo climax. Ma chiunque avrebbe potuto scommettere che, continuando con quell’atteggiamento, il rosso sarebbe stato il primo a raggiungere un simile traguardo.
-Sei sordo? Sto parlando con te!! – continua il biondo, agguantando una spalla dell’altro con la mano. Solo allora, molto lentamente, Matt alza il capo e incontra per la prima volta Mello. Le iridi vacue ed annoiate del ragazzino si scontrano con quelle cerulee e furenti del biondo. Solo allora può scorgere davvero chi ha di fronte, ciononostante si limita a rivolgergli giusto un’occhiata superficiale: insomma non è il momento di perdere tempo con uno sconosciuto quando c’è in ballo il regno di Alkazar!!
Dedica non più di trenta secondi prima di riabbassare il capo e riprendere a giocare. Mello dal canto suo contrae il viso in un’espressione stizzita, mentre la smorfia delle labbra si fa più pronunciata. Intanto nell’intera sala comune è calato un silenzio tombale, dopo aver visto l’atteggiamento di Matt si sono ammutoliti di colpo e ora guardano la scena con trepidazione. Alcuni si chiedono come faccia ad ignorare le azioni di Mello, le quali sono quasi sempre catastrofiche.
-Se non ti alzi, ti butterò giù io!! – alza ancora di più la voce, ormai quasi al limite tra la conversazione civile e una scarica di pugni. Sta richiamando tutto il suo auto controllo per mantenersi sulla prima fascia e non oltrepassare la seconda.
Il rosso continua ostinatamente ad ignorarlo, anzi, quasi per ripicca, si sistema meglio sul cuscino della poltrona incrociando le gambe. Nel farlo però qualcosa si rompe: Mello con il suo udito ultra fino riesce a captare un singolare scricchiolio provenire dalla poltrona, più di preciso da sotto il sedere di Matt. Non si tratta del cigolio di molle, ma di qualcosa di vagamente duro che si spezza. Il biondo non ci mette molto a capire che la sua adorata barretta di cioccolato si è frantumata sotto il “dolce” peso di quel rosso.
Ogni filo che collega il corpo alla ragione si spezza, senza attendere oltre Mello afferra il ragazzino per il colletto della maglia e lo scaraventa di lato, giù dalla poltrona. Matt cade rovinosamente a terra, tuttavia alla sua DS capita di peggio. La presa sulla consolle non era ben salda, perché, nel momento in cui il biondo l’ha spintonato, è sfuggita dalle mani del rosso. Questo segue la scena a rallentatore, mentre il giocattolo urta violentemente prima il bordo del davanzale di marmo e poi fa un volo di venti metri fuori dalla finestra, la quale era aperta e si trova a poca distanza dalla poltrona. Quello che è accaduto in un attimo a Matt è parso eterno. Il suo cuore ha sussultato quando lo schermo della consolle si oscura a causa dell’urto contro il davanzale.
I bambini hanno seguito la scena attoniti, il povero Matt più di tutti, il quale ancora riverso a terra fissa con occhi sbarrati il punto da cui è caduta la consolle. Il biondo non si è curato minimamente dell’accaduto, troppo impegnato a recuperare la sua preziosa cioccolata per potersi accorgere di ciò che ha causato. Ma d’altronde non gli importa nulla di ciò che è prezioso per gli altri e questo tratto egoistico è accresciuto ancora di più da quando è giunto alla Wammy’s . Sarà che si è montato la testa perché è il primo in classifica, sarà che ha sempre avuto un atteggiamento scorbutico verso il prossimo, ma sin da piccolo è stato messo davanti a scelte terribilmente difficili e dolorose. 
Per uno come lui, che ha vissuto di stenti gran parte della sua infanzia, quel posto in cui ti danno tutto ciò che desideri ha del paradisiaco, ovviamente in cambio di uno studio impegnativo. Stare alla Wammy’s ed avere l’opportunità di approfondire tante nuove conoscenze è sempre stato il futuro che Sebastian avrebbe voluto per il figlio. Ha lavorato sino allo stremo per aprire un varco a Mihael e ha dato tutto se stesso per riuscirci, perfino la sua vita. Suo padre, a conti fatti, si è sacrificato in tutti i sensi e ora Mihael, o forse sarebbe meglio dire Mello, non vuole deludere quelle aspettative, né tanto meno ritornare alla vita misera che conduceva.
“Sei vuoi qualcosa –si dice spesso – devi lottare con le unghie e con i denti pur di averla. La vita è spietata, la gente meschina e tu devi essere più forte di loro per poter sopravvivere”.
Con le dita muove l’involucro argentato che racchiude i pezzi del suo dolce preferito. La cosa che lo fa imbestialire di più è che si sia spezzata sotto il fetido sedere di quel moccioso! Chiaramente lui non spreca nulla, ma il solo pensiero che non sarebbe stata più commestibile gli fa ribollire il sangue.
Intanto Matt si è rialzato con innaturale calma, sotto gli occhi di tutti.
Il silenzio diviene agghiacciante e l’aria vibra di rissa. Il rosso stringe con fervore i pugni tendendo il più possibile le braccia lungo il corpo: trema ma non di pianto, di rabbia. Mai una volta gli è capitato di provare una collera così forte, nemmeno quando i suoi litigavano riusciva ad infervorarsi.
Stavolta, invece, è diverso.
-Tsk! La prossima volta guarda bene dove ti siedi, idiota! – stranamente il biondo non ha alcuna intenzione di avventarsi sull’altro in alcun modo possibile, ha altro da fare che picchiare uno stupido ragazzino che, a detta sua, scoppierà a piangere tra qualche istante.
Grave errore Mello! Mai voltare le spalle all’avversario!
Matt infatti si gira di scatto e salta addosso al biondo, buttandolo a terra. Mihael rimane stupefatto dalla reazione del rosso, il quale non perde tempo ad assestagli un pugno allo stomaco mozzando il fiato del biondo.
Mello non perde tempo e, non appena prende consapevolezza della situazione, risponde con altrettanta veemenza. Gli tira con forza alcune ciocche rosse, in modo da scansarlo via ed invertire le posizioni. Non è mai stato male nelle risse, ma deve constatare quanto il rosso sia difficile da spostare. Inoltre, non può fare a meno di guardare i suoi occhi sgranati e colmi di rancore: se non fosse per le lenti arancioni, avrebbe giurato che potesse fulminalo con lo sguardo.
Nonostante i movimenti di Matt si goffi, Mihael riesce a fatica ad invertire le posizioni colpendolo in viso. Una linea vermiglia fuoriesce dalla narice del rosso, mentre questo si dimena con tutte le forze bloccando i polsi del biondo.
Mello tenta in tutti i modi di tirargli l’elastico dei googles per distrarlo, ma quello non demorde. Il biondo può constatare come resista spaventosamente ai suoi pugni: “Ma quanto è forte?” si chiede esasperato, Mello, che comincia ad avere il fiatone. Non si sarebbe mai aspettato una reazione così tenace da parte dell’altro, del resto non sembra nemmeno così abituato a picchiare. Eppure ha una notevole resistenza. Tutti gli altri orfani sono rimasti pietrificati ai loro posti: nessuno fiata, né ha il coraggio di intervenire per separare quei due. La cosa che lascia di stucco è che un ragazzino dall’apparenza pacifica sia in grado di tenere testa a Mello.
Ovviamente la zuffa non dura a lungo poiché le istitutrici intervengono tempestivamente. Due donne, vicine alla mezza età, tengono per le braccia quei due diavoletti, i quali adesso ansimano affaticati e si scrutano  in cagnesco.
Il biondo ha riportato una serie di graffi, segni sulla faccia e sui polsi, per non parlare della maglia nera tutta stropicciata. Matt, invece, ha i capelli scompigliati, i googles appesi al collo e un rivolo di sangue che cola dal naso.
Subito le due donne decidono di allontanarli l’uno dall’altro, prima che possano nuovamente inveire. Gli hanno minacciati di spedirli in direzione non appena Roger fosse tornato. Nel frattempo, il biondo viene spedito in camera sua e Beatrice gli confisca le due barrette di cioccolata che tiene nel cassetto. La donna è stata irremovibile al riguardo: -Queste le tengo io finché il signor Roger non ritornerà in istituto!
Inutili le proteste di Mihael, che sa già che la sua amata cioccolata non la vedrà comunque: dopo quattro mesi che è lì, ha scoperto la passione segreta della donna per i dolci e, per quanto lei si ostini a negarlo, il più delle volte se la prende con lui solo per il gusto di sequestrargli le barrette.
Nessuno finora ha mai capito dove sia ubicato il “posto segreto” in cui  Beatrice ripone gli oggetti che sequestra ai bambini quando si comportano male. I giochi li restituisce a fine punizione o ramanzina, ma i dolci e le cose zuccherose non le rivedrai mai più.
Matt è stato condotto in infermeria da Angeline, l’altra istitutrice, la quale lo ha affidato alle cure della dottoressa Roberson. Questa dopo avergli tamponato il naso, messo qualche cerotto e controllato che non avesse sbattuto in alcun modo la testa, l’ha lasciato andare ammonendogli di non cacciarsi in altri guai. Chiaramente il rosso non è a conoscenza della lunga scia di ragazzini in lacrime davanti alla porta dell’infermeria, perché sconfitti dalla furia del biondo. Ma per lui non ha importanza, infatti, ciò che più conta è recuperare la sua amata e malcapitata consolle.
Non appena esce da quella stanza che puzza di alcol e pianto di bambino, corre come un forsennato in direzione del cortile.
 
 
E’ quasi il tramonto, il sole sta calando lentamente all’orizzonte. Gli orfani sono usciti fuori a giocare all’aperto, altri rimasti nella sala comune, altri ancora studiano. Matt percorre ansioso il perimetro dell’edificio in cerca della finestra della sala comune, così gli risulterà più semplice trovare il punto in cui è precipitata la DS.
“Eccola lì.” constata nel pensiero, volgendo lo sguardo verso l’alto. Lo abbassa e gli occhi smeraldo come quel prato scrutano ogni possibile filo d’erba. Cammina chino seguendo un percorso immaginario, quando si accorge di un folto cespuglio di fronte a lui. Si avventa sui rami sottili nella speranza di trovarla: niente da fare non c’è. Matt comincia ad avere paura, eppure non dovrebbe essere così lontana.
Con le braccia cerca di aprire un varco nella folta vegetazione: i rami appuntiti si infilzano costantemente nella maglia larga, creandogli non poca difficoltà.
Alla fine riesce a superare quel tratto insidioso e può constatare di ritrovarsi davanti ad una grata di ferro.
In realtà, i cancelli della Wammy’sracchiudono l’area di proprietà dopo un piccolo terreno. Matt non l’aveva mai notato prima poiché gli alberi lo nascondono, tuttavia quella zona fa sempre parte dell’istituto.
Appare quasi abbandonata, lo si comprende dai cespugli selvatici non potati e dall’erba alta sino alle ginocchia del bambino.
In seguito ad un attimo di smarrimento, il rosso riesce a insinuarsi in una frattura della grata, che sembra sia stata staccata a morsi. Entra nel terreno: lì l’erba giallognola appare rinsecchita dalla forte calura.
All’improvviso lo sguardo di Matt si illumina quando scorge un luccichio. Subito si precipita in quel punto e ritrova finalmente la sua consolle. Tuttavia si rabbuia alla vista dello schermo nero che, dopo parecchi disperati tentativi, non dà cenni di vita.
Sospira triste: l’ha persa per sempre. Gli occhi cominciano a pizzicargli violentemente, così alza i googles sulla testa per strofinarsi le palpebre con la manica larga e sporca della maglia.
Mentre tasta la superficie della DS, avverte qualcosa di vagamente viscoso sulla plastica. Però non ci bada molto, triste addolorato com’è per aver perso la sua unica amica.
Tra gli steli secchi proviene un fruscio sinistro: l’erba tesa si piega sino a spezzarsi sotto il peso di un corpo.
Si avvicina. È sempre più vicino.
Un fiato roco giunge alle spalle del bambino. Matt si volta di scatto: sgrana gli occhi.
 
 
A poco è servito chiudere il biondo nella sua stanza: è già sgattaiolato via.
Beatrice gli avrà pure confiscato la cioccolata, ma nulla può impedirgli di uscire fuori in cortile. Lì almeno potrà sfogare la sua rabbia in una bella partita di calcio, anziché rimanere in camera dove stava letteralmente impazzando.
-Ehi ragazzi! Posso giocare con voi!
-Sì vieni che ce ne manca uno!
Dopo qualche minuto dall’inizio della partita, la palla finisce lontano fuori dal campo.
-Vado io! – si offre lui, che non vuole perdere altro tempo.
Il pallone rotola per un bel po’ di metri prima di bloccarsi tra i rami di un cespuglio. Mello lo raggiunge e solo allora si rende conto di essersi allontanato parecchio dal campo. Non aveva mai notato quanto fosse fitto il piccolo boschetto alberi, il quale crea una macchia ombrosa e cupa in mezzo al prato luminoso e ben curato dell’istituto.
Inoltre, gli occhi cerulei non possono fare a meno di notare un frammento di stoffa impigliato tra i rami aguzzi. Lo prende : è a righe.
Immediatamente la sua memoria fotografica lo collega alla maglia del rosso.
Che sia lì? E poi perché?
Normalmente non se ne interesserebbe, ma poggia il pallone al suolo e si inoltra tra i cespugli.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ehi gente scusate il ritardo, ma questo capitolo è stato davvero impegnativo. Inoltre pensavo di riuscire a scrivere il resto tutto in un documento, ma mi sono resa conto di quanto sia lungo.
Quindi miei cari dovrete aspettare per il seguito, nel frattempo leggetevi questo capitolo per il quale ci ho messo tutto l’impegno possibile.
Spero vi piaccia! ^.^
In cambio voglio le canoniche 3 recensioni!!
Ciauu <3  

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Capitolo 11
*** L'eroe dei videogames (parte 3) ***


PICCOLO RIEPILOGO:
Matt è appena giunto alla Wammy's House. Il suo carattere si dimostra da subito schivo e introverso, infatti non fa amicizia con nessuno, continua a giocare solo ed esclusivamente con la sua consolle. 
A seguito di un piccolo litigio, Mello scaglia, involontariamente, il giocattolo del rosso fuori dalla finestra, rompendolo. Quando Matt si reca in cortile per recuperarlo non lo trova subito: scorge un piccolo boschetto mai visto. Si adentra lì e finisce in un terreno abbandonato acconato all'orfanotrofio.
Fortunatamente trova la sua consolle, ma guai seri lo attendono
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The Glory smells like Burnt
 
 



-Capitolo 10-
 
 




Due pozzi bui riflettono la sua esile figura. Lo sguardo terrorizzato di Matt si rispecchia perfettamente in quegli opali oscuri e minacciosi.
Se non fosse per i ringhi animaleschi, avrebbe giurato che quegli occhi, da soli, risulterebbero quasi dolci. Ma non c’è nulla di mellifluo in quell’espressione contrita dalla collera, né nei denti aguzzi i quali non cessano di serrarsi in una stretta agghiacciante.  Il povero rosso è costretto a fare mezzo passo indietro, tentando di sfuggire, ma senza successo, alla presenza di quel bestione.
Un rottweiler di considerevoli dimensioni ( se si mettesse sulle zampe posteriori arriverebbe all’altezza del piccolo) continua ad osservare incollerito Matt, il quale ha gli occhi fissi e spalancati su di lui.
Quando l’animale fa sentire la sua voce, il cuore di Matt sobbalza fino in gola dalla paura. Il battito comincia ad accelerare mentre le iridi verdi pulsano alla vista della bocca grondante di bava.
Il terrore, unito alla consapevolezza di poter morire, gli annebbiano il cervello impedendogli di ragionare con lucidità. E’ bloccato sul posto e non riesce nemmeno a sbattere le palpebre. L’unica cosa che il suo sistema nervoso gli permette di fare è graffiare con le unghie la consolle tra le mani. In tal modo, avverte ancora la presenza di una sostanza vischiosa sulla plastica. Osservando il cane e, in particolare, i fili di bava che ricadono sul terreno, si accorge di come quel muco sul suo giocattolo sia in realtà saliva. La sua saliva.
Il cervello, che all’inizio pareva in tilt, elabora velocemente la soluzione di quel caso: è stato il cane a portare via la DS dal giardino della Wammy’s House. Questa conclusione lampante viene interrotta dall’ennesimo ringhio feroce della bestia.
Ancora un passo indietro per Matt, il quale percepisce gli arti formicolare dal terrore. Sente la paura scorrere nelle vene e il sistema nervoso che manda impulsi a raffica senza precise istruzioni sul da farsi.
Con gli occhi guizza in cerca di una via di uscita: nulla.
In qualsiasi direzione immagina di poter scappare, si vede sempre quel cane inferocito staccagli una gamba a morsi. 
La presa sulla consolle si fa sempre più salda, ormai deve averlo capito che vuole la sua adorata DS, un tesoro che ha impunemente trafuganto.
Se da una parte ragione e istinto, per la prima volta insieme, gli suggeriscono di lanciarla via e scappare dalla parte opposta , dall’altra una sorta di sentimento gli vieta di farlo.
Quel gioco elettronico è sempre stato una bolla in cui Matt poteva rifugiarsi nei momenti di sconforto, per questo non si è mai stancato di fare sempre lo stesso gioco. Mentre pigiava i tasti poteva entrare in un altro mondo, uno divertente, uno dove si viveva felici, uno in cui lui può essere finalmente felice. Tuttavia, non ha mai contemplato la possibilità di raggiungere la serenità nel concreto e questa rimane la sua più grande pecca.
Alla fine ha prevalso il sentimentalismo, infatti stringe convulsamente la scatolina in un gesto protettivo. Quasi gli scendono le lacrime dagli occhi al pensiero che la sua esistenza potrebbe annullarsi come quella dei suoi genitori.
-No … Calmo bello … sta … sta buono … - intima con voce tremante, come se potesse ragionarci a tavolino con quell’animale. Per tutta risposta il cane alza la voce, la quale rimbomba nell’aria come il suono di un grande tamburo. 
Il cuore di Matt non può che sobbalzare fino in gola.
Poi un passo indietro, troppo brusco. Un ramo inopportuno dietro i talloni. Matt cade a terra.
Dopo le ultime parole famose ecco che giunge praticamente la fine.
Il rottweiler si avvicina a lui ringhiando: appare più imponente e rabbioso di cinque minuti fa. Ora che il capo enorme della bestia gli è più prossimo, può constatare come siano affilati i suoi denti. È forse così che finirà la sua vita? Una vita che ancora deve vivere pienamente: che spreco!
Prima che le lacrime scendano, vede già il cane inveire. Istintivamente porta l’avambraccio davanti agli occhi : non vuole guardare pezzi di pelle schizzare in alto come l’acqua di una fontana.
Resta così con le palpebre serrate e le lacrime impigliate tra le ciglia, ma nulla di quello che immaginava accade.
Ode un tonfo come di una pietra scagliata e il guaire del cane. Abbassa le sue difese in tempo per vedere quel bestione nero dargli le spalle, come distratto da qualcosa. Intanto pietre vengono scagliate in direzione della bestia che tra le sterpaglie alte non riesce a distinguere perfettamente il suo aggressore, anche se si trova chiaramente di fronte a lui. Matt si alza velocemente in tempo per notare un ragazzo al limite degli alberi.
Vestiti neri, capelli biondi. Il rosso è incredulo quando lo riconosce, tuttavia dall’altro lato si sente:
-Scappa!!! – suggerimento che Matt coglie al volo. Le sue gambe paiono essersi sboccate, anzi la paura le ha rese più scattanti. Come una scheggia ritorna verso il boschetto, ma intanto il cane lo ha individuato e gli corre dietro. Tuttavia, è sempre ostacolato dall’intervento del ragazzino che gli scaglia le pietre contro: così, con due prede da acciuffare, punta al fastidioso biondino.  Intanto Matt con il fiatone raggiunge la grata di ferro, arrestando la sua corsa impetuosa e aggrappandosi ad essa.
Si concede qualche secondo per regolare il suo battito galoppante. Abbassa il capo, mentre le dita sono intrecciate nella rete di ferro.
Gocce di sudore ricadono sul terreno. Sta per infilarsi nuovamente in quel buco e venire via da quell’incubo quando, guardandosi intorno, non nota la presenza di Mello.
In lontananza, si odono fruscii di foglie e l’abbaiare furioso di quel cane.
Ora si trova tra due scelte possibili: passare dal buco e salvarsi la pelle, oppure tornare indietro. Volge lo sguardo alla consolle nella mano, per la quale ha combattuto strenuamente.
Dopo pochi istanti le dita lasciano la grata.
 
 
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe trovato in un simile guaio? Com’è possibile che, proprio lui, abbia deciso di intervenire? Lui, che si era ripromesso di pensare solo a se stesso e a nessun altro, ora sta correndo a perdifiato inseguito da una specie di segugio.
Eppure, quando ha visto lo sguardo terrorizzato di quel bambino che poco prima aveva maltrattato, il suo corpo si è mosso da solo. Si è accorto di ciò che aveva appena fatto non appena la pietra ha colpito il cagnaccio. 
Corre a perdifiato, scansando con le braccia i rami pungenti dei cespugli e provando a mimetizzarsi velocemente tra i tronchi alti. Sente sempre quella presenza minacciosa alle spalle guadagnare terreno, quasi gli possa agguantare l’anima con le sue zampe.
Come se, raggiungendo la sua ombra, lui non avesse più scampo!!
Ogni tanto indirizza occhiate dietro di sé: è lontano, trova difficoltà a muoversi tra gli alberi, ma non appena il cagnaccio li aggira scatta veloce verso la preda. Anche la bestia ha il fiatone, ma non accenna a fermarsi, anzi sembra sempre più motivato a raggiungerlo.
Impotente, Mello non può fare altro che scappare, convincendosi che deve assolutamente raggiungere la grata di ferro per passare dall’altra parte. Tuttavia, mentre è immerso in queste congetture, va a sbattere contro qualcosa e cade malamente sull’erba.
Strizza gli occhi, massaggiando la zona dell’osso sacro, ma quando gli riapre le iridi cerulee si sgranano per la  sorpresa. Di fronte a lui sta a terra una zazzera di capelli rossi, anche lui dolorante. Mello scatta immediatamente in piedi  con uno sguardo accigliato.
-Ma si può sapere che diavolo ci fai tu qui?! Ti avevo di detto di scappare!!
Matt dapprima lo guarda confuso, poi si ricompone e si rialza.
-Beh … ecco io … - aveva agito di impulso senza pensarci lo aveva seguito, anche se non sa esattamente cosa l’abbia spinto a farlo: non si è mai comportato così. Tuttavia, non ha comunque la possibilità di parlare, perché da lontano si odono rami spezzati e ringhi soffocati.
Matt entra immediatamente nel panico, rivolgendo i suoi smeraldi terrorizzati a Mello che si volta di scatto:
-Accidenti! – sibila a denti stretti – Coraggio scappiamo!!
-Non dovremmo andare dall’altro lato …
-Non c’è tempo per scavalcare la recinzione! Corri!!- gli intima il biondo cominciando a correre. Il rosso non se lo fa ripetere due volte e fugge anche lui. Fuggono via facendosi strada tra i rami di quella fitta boscaglia così innaturale per il territorio, da sembrare apparsa dal nulla come la strada per un inferno insidioso.
Corrono, corrono e corrono fino a non sentire più le gambe. Alla fine riescono ad uscire fuori dal boschetto ritrovandosi però di nuovo in mezzo al campo di sterpaglie, ma stavolta dall’altra parte. I ragazzini si fermano a riprendere fiato: le mani sulle ginocchia tremanti mentre prendono ampie boccate.
Di fronte a loro c’è un capanno abbandonato, un piccolo rifugio, quasi un dono del cielo per la loro situazioni. Non appena odono le zampate dell’animale subito si chiudono dentro a chiave.
Mello ha impressi i palmi sul legno polveroso, come a creare un’ulteriore barriera dinnanzi a loro. Entrambi respirano ancora affannosamente, ma stavolta con un punta di sollievo sapendo di essere – per il momento- al sicuro.
Quella specie di sgabuzzino diroccato è un capanno per gli attrezzi: c’è una sala di ferro arrugginita poggiata a una parete; poi vi sono enormi scatoloni vuoti accatastati gli uni sugli altri; in un angolo è riposto un compressore affiancato da un estintore. Per non parlare di forbici, cesoie da giardino e sacchi di terra sparsi qua e là. Un piccolo spiraglio fa trapassare la luce pomeridiana nell’angusto abitacolo, delineando i contorni degli oggetti con sfumature aranciate.
Per rendere la porta ancora più sicura, Mello mette un’asse di legno in modo trasversale rispetto alla porta, per bloccare lo stipite.
Matt lo osserva quasi incantato dalla sicurezza di quel ragazzino, il quale si è dimostrato impavido sotto ogni aspetto. Quando il biondino si volta, lo squadra con un’espressione accigliata mentre assottiglia gli occhi cerulei: quasi volesse incolparlo di qualcosa. Che ha mai fatto lui? Nessuno gli ha chiesto di intervenire!
Ma questi pensieri vengono spezzati dalle parole dell’altro:
-Credo che ci convenga stare qui per un po’. Quel cagnaccio non mi sembra il tipo che demorde facilmente. Sicuramente starà girando attorno alla ricerca dei nostri odori.
-A-Allora non sarebbe meglio fu-fuggire? – chiede il rosso balbettante. Mello sospira seccato dalla stupidità dell’altro: possibile che non ci arrivi da solo?
-No. – ribatte secco – Non c’è via d’uscita da qui, te lo sei scordato? Dovremmo tornare indietro per scavalcare di nuovo la recinzione, ma non possiamo finché c’è il cagnaccio. Ti è chiaro adesso? – sbotta ironico puntellando le mani sui fianchi. Matt annuisce debolmente: non ha il coraggio di fronteggiare quello sguardo così tagliente da far bruciare le sue già sanguinati ferite.  Si accuccia sul pavimento in silenzio, le gambe strette al petto mentre il biondo controlla la presenza dell’animale da un minuscolo foro nel legno della porta.
-Oh cazzo! – impreca nel momento in cui la bestia nera entra nel suo campo visivo. Con la lingua a penzoloni e i denti affilati ben in mostra, il rottweiler  nero giunge al capanno annusando le erbacce, tuttavia, non appena trova la traccia,  si avventa selvaggiamente contro la porta. La graffia con le sue grandi zampe anteriori e abbaia forte digrignando tutto il suo rancore.
Al verso della bestia, Matt scatta in piedi in preda alle palpitazioni e Mello, invece, indietreggia d’istinto.
La porta continua a battere violentemente: talmente è vecchia e marcia che il legno potrebbe sbriciolarsi a suon di zampate e testate da parte dell’animale.
I chiavistello trema al ritmo delle botte, mentre i cardini sembrano poter cedere da un momento all’altro.
-Accidenti! – sibila nervoso il biondo – Siamo bloccati!
-Che … che facciamo?- domanda tremante Matt. Il biondo serra gli occhi a due fessure, in un atto di calma e lucidità autoimposta.
Il rosso dietro di lui stringe la tasca con la consolle: mai in quel momento si è sentito così avvilito e smidollato. Che gli costava lasciare quel vecchio e, ormai, inutilizzabile giocattolo al cane rognoso? In fondo non ha alcun significato per lui. Si tratta semplicemente di un involucro di plastica e circuiti nulla di più, eppure nonostante questo … per quanto a quell’oggetto siano legati ricordi dolorosi non  dimenticherà mai il sorriso dei suoi genitori il giorno in cui gli donarono la consolle.
Calde lacrime percorrono le sue guance, il capo chinato e le mani che stringono il game al petto, come fosse il tesoro più prezioso che ha.
Tutto ciò che ha. 
Non ha famiglia, non ha amici. È sempre stato chiuso nel suo mondo, ma in verità lui voleva uscire nell’altro mondo, solo aveva troppa paura: lui ci era vissuto nella realtà e aveva conosciuto solo l’aspetto più turpe di essa.
Le labbra serrate tentano invano di trattenere i singulti, tuttavia questi vengono uditi da Mello che si gira a guardarlo.
Lo squadra con un’espressione indefinibile, sondando con occhi di ghiaccio il patetismo e il compatimento di quel ragazzino.
-Grandioso! Come se non bastasse sono chiuso dentro a uno sgabuzzino con un moccioso piagnucolone!
-Cosa?! Come ti permetti! – scatta all’improvviso Matt, colto da un lampo di collera.
-Sappi solo una cosa : io non ho alcuna intenzione di morire qui!
A queste parole, il rosso viene colpito nel profondo: gli occhi verdi, fissi in quelli del bambino che ha di fronte, tremano sconcertati.
È un pensiero comune, tuttavia quello sguardo, quella determinazione …
Matt ha smesso di piangere.
Intanto da fuori il cane ha finito di inveire, facendo così calare un silenzio snervante e angoscioso come la più fitta delle nebbie.
-Se … se n’è andato? – chiede il rosso in un sussurro.
-No … probabilmente si è stancato. – gli risponde il biondo, mentre controlla dallo spioncino. Infatti, poco distante dalla porta il cane è accovacciato al suolo a riprendere fiato.
-Che facciamo? – domanda Matt, ancora tremante . Mello non gli risponde: con lo sguardo sonda il capanno degli attrezzi alla ricerca di un oggetto utile.
Nel random si accorge di una piccolo finestrella rettangolare, la quale però è troppo stretta per far passare un bambino. Ma viene colto da un lampo di genio quando scorge un martello pesante.
Subito si precipita ad afferrarlo e lo tiene con due mani.
-E-Ehi! Che vuoi fare con quello?
-Mi è venuta un’idea …
 
Un tonfo sonoro ridesta le orecchie del cane, il quale subito scatta sulle quattro zampe. Si sussegue un altro e un altro ancora. Un vetro si sta incrinando sempre più. Poi crash! Frammenti trasparenti ricadono come pioggia sul suolo. La bestia si precipita verso il retro del capanno: la finestra del lucernario si è rotta.
-Ora, è il momento!
Due ragazzini escono dalla porta correndo a più non posso, il rottweiler se ne accorge e comincia a inseguirli ostinatamente.
A un certo punto, il biondo si volta di scatto impugnando un martello. Il rosso, invece, scivola goffamente. I suoi occhi inchiodati sulla schiena dell’altro.
-Vattene, o ti spacco la testa!!- minaccia con il martello a mezz’aria, mentre il cagnaccio abbaia ancora incollerito.
-Vai via!! Non ha sentito??!! Te la spacco!! – il ferro pesante fende l’aria e per reazione il cane indietreggia: stavolta è più intimorito rispetto a prima.
Per Matt è come se in quell’istante il tempo si fosse fermato. Si chiede nel pensiero se quel ragazzino con il caschetto non sia pazzo a rischiare così.
Poi gli vennero in mente le sue parole: “io non ho alcuna intenzione di morire qui!”
Morire? La morte è la fine di una vita, ma il rosso può dire davvero di aver vissuto finora?
Non sa ancora quale forza sconosciuta lo sta pervadendo, ma si alza in piedi piazzandosi quasi davanti a Mello.
-Ecco qui!! Stupido cagnaccio!!- urla con tutto il fiato che ha nei polmoni – Era questo che volevi, no?! – continua impugnando la consolle.
-Allora prenditelo!!! – il bambino la scaglia lontano e subito il cane, riconosciuto il suo tesoro, scatta a prenderlo.
Mello per un attimo è rimasto basito dal gesto di quel ragazzino, il quale sta ansimando pesantemente come se avesse appena vomitato via l’anima.
In effetti, quella del rosso è stata un’esperienza molto simile.
Alla fine, senza aggiungere altro, i bambini corrono per l’ultima volta verso l’inferriata, ritornando finalmente alla Wammy’s.
-Anf, anf … l’abbiamo scampata bella! – esordisce Matt, ansante. Anche il biondo non è da meno: entrambi hanno passato un brutto momento.
-Già … - asserisce. Vorrebbe chiedergli, in realtà, perché non abbia lasciato da subito la consolle al cane per poter fuggire, ma qualcosa dentro lui glielo impedisce.
Il crepuscolo è quasi passato e il cielo si vela di blu. Senza dire una parola si avvia verso l’edificio.
-G-Grazie … - balbetta il rosso, ma il biondo non si ferma né gli dà cenno di ricambiare.
È inutile dire che stavolta Mello e Matt non l’hanno passata liscia: quando sono rientrati le inservienti li hanno beccati e spediti in direzione.
Alla vista dei ragazzini, Roger ha cacciato uno sguardo stupito per il modo in cui si sono conciati: pieni di graffi e sporchi di terra.
-Che c’è vi siete azzuffati?- chiede il vecchio con un sospiro stanco. Il biondino svia lo sguardo mentre il rosso si china il capo.
-Siete davvero impossibili, vi conoscete appena è già combinate guai! Siete irresponsabili…
-Come è irresponsabile la sicurezza di questo istituto!- futa acido Mello, fulminando con occhi di ghiaccio il preside.
Intanto Matt, non si sa come, sta soffocando dei mormorii. I presenti non se ne accorgono finché il rosso non gli trasforma in una grassa risata.
Comincia a ridere sotto lo sguardo sconvolto di Roger e il biondo.
Lui continua non la smette, ma non conosce nemmeno il motivo per cui stia ridendo. Forse è una risata liberatoria, o forse trova buffa la situazione oppure è semplicemente impazzito. Non importa lui sta ridendo fino alle lacrime, come non ha mai fatto in vita sua.
-Ehi tu, sei impazzito per caso?! – sbotta Mello, indispettito. Matt lo guarda però non riesce a contenersi, quasi stesse ridendo di lui.
Il ragazzino allora lo prende per il bavaglio soffiando: - Che cosa ridi, idiota!!
In seguito ai moniti di Roger, si calma e lascia stare Matt:
-Io me ne vado! Certa gente mi irrita! – e con questo ultimo commento acido sbatte la porta.  Il direttore abbassa il capo tra le mani, esasperato da tutta questa ineducazione.
Il rosso, intanto, sta ancora smaltendo le risa e va via dall’ufficio incurante della presenza di Roger.
Da lontano, scorge ancora quella figura dalle oscure vesti ma dai capelli d’oro.
Gli occhi verdi sono più limpidi adesso, vedono la realtà. Vogliono affrontarla.
Così tutto pimpante corre a raggiungere quel ragazzino, anche se non ne conosce il motivo lo fa.
 
 
 
Non pensavo che gli eroi esistessero anche nella realtà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Perdonate il mastodontico ritardo!!!!
Sono davvero la feccia della feccia, lo so!!! T.T
Purtroppo non pensavo che l’inizio della scuola mi assorbisse tutto questo tempo, senza contare un improvviso innamoramento per un nuovo fandom.
Vi prego in ginocchio di perdonarmi e spero che apprezziate questo capitolo!!
A presto ( il più possibile). CIAOOOOOOOOO!!

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Capitolo 12
*** Risveglio ***


The Glory smells like Burnt
 



-Capitolo 11-
 
 




La palpebra si apre di scatto. Un bagliore accecante investe la pupilla, restringendola,  mentre la sclera si inietta di sangue.
Immediatamente l’occhio destro si scherma dietro le ciglia, finché, a poco a poco, esso non si abitua gradualmente ai raggi filtranti. Il respiro si fa improvvisamente più ansante, roco, strascicato. E quelle faticose boccate d’aria si articolano in un gemito strozzato.
-Mello! –il suo nome viene fuori spontaneo.
Matt rimane per un istante incredulo di fronte a quella scena, tuttavia si libera immediatamente della sigaretta gettandola fuori dalla finestra.
Accorre subito da lui e avvicina l’orecchio al suo volto, per udire più chiaramente il respiro: è cambiato, lo percepisce distintamente. Poi, allontanandosi, nota l’occhio destro semiaperto e non ha più dubbi: è sveglio.
O almeno si sta svegliando.
-Mello. Mi senti? – lo chiama, con la speranza che non svenga un’altra volta. Il biondo è in stato confusionario e a fatica riesce a mettere a fuoco. Distingue a malapena un’ombra muoversi davanti a lui su uno sfondo bianco abbacinante. Sente le orecchie fischiare insopportabili e un suono rimbombare in continuazione: sono i richiami del rosso, i quali si sono fatti più concitati.
Nonostante la situazione spinosa, Jeevas non ha alcuna intenzione di mollare. Per cui, con delicatezza estrema, solleva leggermente il capo dell’amico e intanto l’altro braccio gli trattiene le gambe per non farlo girare supino.   
-Mello! Mello!! – lo richiama ancora, scuotendolo appena –Dannazione idiota, svegliati!!
Le labbra secche e screpolate di Mihael si schiudono a fatica, come se vi fosse appiccicata sabbia di un arido deserto. Mail deve attendere qualche minuto prima che l’occhio, quello non bendato, si riapra completamente.
Lentamente il biondo mette a fuoco e la prima cosa che riesce a scorgere sono delle ciocche dai riflessi vermigli, mentre alle narici giunge un lieve, ma pungente, odore di fumo: forse è proprio quello a ridestarlo del tutto.
Infatti, il movimento dei sassolini nelle orecchie si attenua e può distinguere meglio la voce, una voce famigliare.
-Finalmente! Era ora che ti riprendessi!! – esclama il rosso scostandosi dal letto, intimamente sollevato. Mello allora prende consapevolezza di chi ha di fronte: -M…Matt? – sussurra, sbattendo le ciglia.
Jeevas gli sorride come suo solito, tuttavia l’amico è ancora troppo stordito e debilitato: il rosso si accorge subito di come gli risulti difficile parlare, considerando la voce molto roca. Scatta subito fuori a prendergli un bicchiere d’acqua e Mello riesce a malapena a sollevarsi.
-Ecco, bevi ... Piano eh! – gli intima quando il biondo prende sorsi più copiosi: dopo tre giorni di incoscienza, senza nemmeno idratarsi, ne aveva un disperato bisogno. 
Ora che si è dissetato, risulta più sveglio e lucido che mai:  -Che è successo? Dove mi trovo? – sono i primi quesiti che espone al rosso, il quale trascina una sedia per piazzarsi accanto al letto.
-Che è successo? Questo lo dovrei chiedere a te, brutto coglione. Ti ho trovato fuori dal distretto di Los Angeles, tra cumuli di lamiere e macerie. Se permetti dovrei fartela io questa domanda. – risponde Matt, in tutta tranquillità, ed estrae dalla tasca la sua adorata PSP. Mello si acciglia un momento e il suo cervello comincia a vibrare di informazioni, ricollegando velocemente i ricordi degli eventi precedentemente accaduti.
Kira. I suoi scagnozzi morti d’infarto. L’irruzione della polizia nel covo. Il quaderno. Yagami. E infine l’esplosione.
Ritornano anche nitidi gli istanti in cui, con le sue ultime poche forze, si è trascinato fuori dai sotterranei dell’edificio passando per la fognatura. Infatti, aveva scelto quel luogo apposta perché c’era quella scappatoia: alla fine, la sua lungimiranza gli ha salvato la vita.
Non avrebbe mai creduto di sopravvivere, ma, a quanto pare, la sorte vuole giocare ancora un po’ con lui. Il biondo non ha mai creduto a cose come il destino, piuttosto era incline a pensare che "Faber est suae quisque fortune" *, come dicevano i Romani. Tuttavia, adesso prova la sgradevole ed inquietante sensazione di essere un burattino, il quale cerca inutilmente di rompere i fili che lo legano al suo trascendente padrone.
Scuote impercettibilmente il capo: “La partita non è ancora finita …” pensa e, colto da un’improvvisa consapevolezza, si volta di scatto verso l’amico.
-Quanto tempo è passato?! – domanda alterato. Matt solleva lo sguardo dal gioco a lui, che ha ancora il capo sul cuscino. Lo scruta attraverso le lenti dei googles : conosce perfettamente quell’espressione. Ai tempi dell’orfanotrofio era quasi sempre dipinta sul suo viso. La causa? Ovviamente la sua acerrima némesi : Near.
“Apprezzerai mai i tuoi sforzi, Mello?” si chiede il rosso, esasperato. Ma probabilmente, uno come lui che non si è mai interessato a scalare la vetta non potrà mai capire.
-Tre giorni. – soffia pacato, prevedendo già la reazione dell’altro.
Immediatamente il biondo scatta a sedere, tuttavia il movimento brusco gli causa una fitta allucinante al braccio sinistro. Keehl emette un gemito strozzato e si porta una mano al braccio.
-Merda!- impreca a denti stretti. Intanto il rosso, costretto per forza di cose a interrompere il videogioco, si alza dalla sedia:
-Accidenti Mel! Non sei ancora in grado di rialzarti! – lo rimprovera, nel tentativo di dissuaderlo. Dal canto suo, Mihael gli scocca un’occhiata raggelante: l’iride azzurra sempre acuminata e tagliente quanto la lama più letale.
Però, Matt non si scompone affatto dinnanzi a quello sguardo minaccioso che intimidiva sempre i loro compagni della Wammy’s House. Tutti si guardavano bene dallo stargli vicino, quasi temessero di essere trafitti a morte se per un caso sfortunato finivano nel suo raggio visivo.
In realtà, osservandolo, al rosso pare quasi udire il passo di marcia di Mello quando, dopo aver visto la graduatoria, si dirigeva nella loro camera trangugiando cioccolata con morsi feroci.
-La tua è un’ustione molto grave, Mello. Non ti conviene fare il duro.- stavolta Mail è serio, anzi, mai stato così serio. Punta, da dietro le lenti, gli occhi color del prato sul ragazzo con fissità spaventosa: è senza dubbio una delle pochissime persone che riesce a sostenere lo sguardo omicida del biondo.
Rimangono in  silenzio, scrutandosi a vicenda. Poi il mafioso prende parola:
-Non ho tempo di stare a letto a riposarmi. Ne è già passato troppo e io non posso permettermi ulteriori distrazioni … - afferma, irremovibile.
Allora il rosso emette un sospiro stanco: possibile che dopo tutti questi anni non abbia imparato proprio nulla? Non importa quello che può dirgli, quella biondina isterica farà sempre come cazzo gli pare. Sarebbe persino capace di strapparsi le garze con i denti!
Lo guarda negli occhi un ultima volta, per poi arrendersi:
-E va bene … Ti aiuto a togliere le bende.- dice, alzandosi. Il biondo non aggiunge altro, limitandosi a mettersi seduto sul letto. Non un ‘grazie’ muove le sue labbra, ma –a  giudicare dal capo chino e l’occhio basso– Matt capisce perfettamente. Un implicita quanto insolita riconoscenza a non discutere con lui, perché ha già l’orgoglio trafitto dalla sconfitta.
Sì, l’esplosione della baracca –seppur strategica– e il fatto che ora il quartier generale giapponese conosca il suo vero nome sono sinonimo di sconfitta.
Tra le peggiori oltretutto: si sta giocando nella vita reale, dove le pedine non sono fatte di plastica o legno, ma di carne.
Con qualche faticosa manovra, Mello riesce a risollevarsi e a rimanere seduto al bordo del materasso. Il braccio sinistro è come paralizzato, il ragazzo avverte la pelle stirasi in maniera insopportabile, quasi fosse un pezzo di stoffa teso fino allo strappo. Si morde il labbro inferiore screpolato e arpiona le lenzuola con le dita: più devastante del fuoco è la consapevolezza di essere un fottuto perdente.

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-Mello?- il richiamo dell’amico gli fa sollevare il capo e una strana sensazione di deja-vu gli attraversa la mente: di certo non è la prima volta che Matt lo aiuta a risollevarsi e ai tempi della Wammy’s House accadeva spesso,  fin troppo spesso.
Quante sfuriate seguivano dopo all’affissione di una nuova graduatoria: accanto al suo nome sempre quello stramaledettissimo numero 2.
Quante volte ha convogliato le sue frustrazioni nel rosso e quello sopportava con sacrosanta pazienza.
Quante altre volte, invece, Matt, scocciato di sentirlo brontolare nella sua oscura depressione, lo mandava a’ fanculo e gli diceva che era solo una fottuta biondina mestruata e che gli stava bene essere il secondo.
E quante volte lui, Mihael, scattava all’improvviso e si avventava sul giovane per vendetta. Ma, anche incassando un pugno, quel coglione rideva dicendogli: -Sei proprio un cioccolatomane schizzato!
Allora Mello capiva il motivo del suo gesto e, indeciso se gonfiarlo oppure scusarsi, sviava lo sguardo borbottando un:
- Vaffanculo stronzo!
Ed era così, un ciclo continuo e senza fine. Però, nonostante il caratteraccio, il biondo si rendeva perfettamente conto di quanto i suoi gesti pesassero, tanto che non mancò mai di pensare che avrebbero dovuto beatificarlo quel nerd di merda! Ancora oggi non riesce a capire come si possano definire “amici”, visto il loro rapporto fatto di scazzottate e commenti poco eleganti. Eppure ci sono stati anche momenti spassosi, sempre però provocati da Matt che da piccolo era un disastro ambulante: e pensare che quando lo incrociò per la prima volta, lo reputò un patologico allo stato vegetativo.
Per quanto non rientri nella sua indole, deve ammettere che il rosso è l’unica persona per cui prova un sincero rispetto e –anche– affetto. La persona migliore che abbia mai conosciuto da quando è rimasto solo al mondo.
Si perde a fissarlo con sguardo vacuo, pensando:
“Devi essere proprio fumato per seguire ancora un miserabile come me …”
Lo riscuote dalle sue riflessioni il braccio di Matt che passa sotto l’ascella destra, sollevandolo. Il biondo fa forza sulle gambe e con il sostegno dell’altro riesce ad alzarsi in piedi. Un capogiro lo coglie di sorpresa, ma subito il rosso si porta il suo braccio sano dietro al collo, così da mantenere l’equilibrio.
Le spalle larghe del nerd riescono a sorreggerlo e a Mello pare quasi di essere entrato in qualche distorsione temporale: in fondo, l’ultima volta che si erano visti erano ancora due ragazzini abbastanza gracili e non proprio altissimi.
Piano piano, raggiungono il bagno: un misero rettangolo ricavato da quel putrido appartamento che, anche con quelle poche finestre spalancate, puzza irrimediabilmente di muffa. Matt accende la luce e subito si delineano il profilo di un lavabo con uno specchio sudicio e dagli angoli scheggiati. A seguire in un angolo c’è una doccia coperta da una tenda di plastica, la quale presenta  l’ombra di una fantasia che doveva essere floreale, ma la stampa è consunta e quasi illeggibile e, infine, dalla parte opposta ci sta il wc.
Il rosso schiocca la lingua guardandosi attorno in cerca di una sedia o una qualsiasi altra cosa, su cui Mello si possa sedere. Ne individua una in fondo al corridoio, ma a questo punto non sa come fare con il biondo.
-Ce la faresti a reggerti un attimo? – domanda accostandolo allo stipite, a cui subito il ferito si sostiene.
-Tsk, ma che mi pigli per il culo? Ce la faccio eccome! –sbotta il biondo, infastidito oltre ogni umano limite per la sua condizione: detesta essere un peso. Sul volto di Matt compare un ghigno sardonico:
-Se, come no. – e detto questo si affretta a prendere la sedia e la posiziona davanti al lavandino, il quale non è molto alto. Lo specchio, invece, è grande.
Mello si siede e per la prima volta scorge il suo riflesso: si stupisce nel notare le bende coprirgli metà del volto, mentre alcune ciocche dorate fanno capolino da sotto le garze, mentre dal lato destro ricadono lisci e scomposti.
La sua testa sembra, tutto a un tratto, quella di un bambolotto di plastica a cui una bambina vivace ha appena strappato i capelli.
Si rabbuia: le immagini di quel giorno non sono tutte presenti nella sua memoria. Ricorda, infatti, di essersi trascinato fuori dall’edificio quasi strisciando e poi … Poi c'è stato un momento in cui si è sporto verso una pozzanghera e lì si è visto ***, ma non ricorda come fosse.
-Per fortuna l’ustione non ti ha danneggiato l’occhio sinistro.- lo informa Matt disinfettando la lama di un coltellino a serramanico. Il biondo lo scruta un momento con la coda l’occhio, ma non dice niente.
Con un taglietto secco, il rosso rompe una fascia bianca all’altezza del torace per poi cominciare a rimuovere le bende. A poco a poco, gli intrecci di stoffa
 –con alcune tracce di sangue– si  allentano scoprendo la pelle nuda. Ricadono sulle piastrelle oscillando come un serpente al suono di un flauto.
La ferita si riesce a scorgere non appena viene scoperta la spalla: la cute è arrossata, ruvida e martoriata. Appare lacerata da fauci spietate. Quelle del fuoco. Sulla zona lesa si è anche formata una sottile pellicina bianca, la quale presto il nerd provvederà a rimuovere.
Matt ha rimosso la fasciatura sino al limite del collo, dopodiché si fermato un attimo per concedere a Mello tempo fermentare tale sgradevole condizione.
Lo sguardo ceruleo è rimasto attonito di primo acchito, tuttavia il giovane non ha fiatato, nemmeno quando il rosso lo ha voltato di tre quarti per mostrargli le reali proporzioni della ferita. Una macchia scura ed irregolare, la quale si spande da un punto vicino alla scapola e prende tutta la clavicola fin quasi al limite del braccio. Inoltre, l’ustione presenta delle zone concentriche, partendo dall’interno verso l’esterno la lesione diminuisce di intensità.
Stringe i denti, Mihael.
Infine, Matt passa a togliere la fasciatura sul volto. Quando anche l’ultima copertura viene rimossa, a fatica riesce ad aprire l’occhio sinistro e sente le palpebre come sigillate. Ha chiuso istintivamente la sua visuale, poiché una fitta di bruciore gli ha attraversato il volto.
-Cazzo! – digrigna, chinandosi appena e poggiando una mano sulla parte lesa. Ma Jeevas gli afferra subito il polso e ribadisce di non toccarsi la ferita.
Lentamente Mello riprende possesso di alcuni muscoli facciali, così riesce finalmente a riaprire l’occhio sinistro. L’iride azzurra spicca prepotente in quel mare rossastro che è ormai parte del suo viso.
Boccheggia inorridito dinnanzi a quel macabro spettacolo: il volto è una maschera di cera esposta al sole. La pelle sciolta, ricade in pieghe irregolari su se stessa.
Disgustoso … 
In seguito allo sgomento iniziale, il biondo serra le labbra. Il sangue infetto da rancore comincia ben presto a ribollire.
Il rosso lo osserva non poco preoccupato: stiamo parlando sempre di Mello, potrebbe esplodere da un momento all’altro.
-Ehi, Mel … - lo richiama, cauto.
-Matt … - mormora atono, quasi senz’anima – esci fuori.
Jeevas abbassa lo sguardo: “Ecco … ci siamo”.
-Esci. – ordina algido, senza la minima inflessione. L’amico non può far altro che acconsentire. Va via dal bagno, richiudendo la porta.
Dopo ciò, un urlo abominevole squarcia il silenzio.
Mihael si alza di scatto e scaraventa con forza inaudita la sedia contro lo specchio. La lastra di vetro va in frantumi, i quali ricadono a pioggia nel lavabo e sul pavimento. La sedia ricade in un tonfo sordo e Mello si accascia accanto ad essa.
È nauseato, disgustato e, soprattutto, disperato.
Da fuori Matt ha udito. Vorrebbe rientrare e aiutarlo a rialzarsi, ma sa che non può fare nulla: lui, troppo orgoglioso, non accetterebbe mai.
Ed è costretto a lasciarlo lì, tra le dolorose schegge della sconfitta.
- Mi dispiace tanto … Mello …
 
 
 
 
 
 
 
 
 








 
“Faber est suae quisque fortunae” = Detto romano che significa: "Ognuno è fabbro del proprio destino"

**  << Se non riesci a vincere il gioco. Se non riesci a completare il puzzle. Sei solo un perdente. >> = famosa frase di Near nell'episodio 27.

*** 
Poi c’è stato un momento in cui si è sporto verso una pozzanghera e lì si è visto = tratto dal Prologo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tadaaaaaaa!!!
Rieccomi finalmente con il 12° capitolo, che mi auguro vi faccia contenti. Imputo il ritardo alla “mancanza di ispirazione”,  metteteci pure le verifiche, ecco che mi ritrovo a postare l’anno successivo!!
Non ho scuse, lo so. 
Mi auguro lo stesso che vi sia piaciuto e che abbia reso al meglio la scena, il resto lo lascio giudicare a voi.
Baci baci <3 

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Capitolo 13
*** Incontro ***



The Glory smells like Burnt
 

-Capitolo 12-
 
 
 


Uomo: Mammifero caratterizzato dalla stazione eretta, dallo sviluppo straordinario del cervello, delle facoltà psichiche e dell'intelligenza, dall'uso esclusivo del linguaggio simbolico articolato e dalla conseguente capacità di fondare, trasmettere e modificare una cultura; in senso collettivo, la specie umana nelle caratteristiche che la contraddistinguono …
 
 

Luce. Una luce accecante. Poi bianco, solo questo.
Il bagliore ha distrutto ogni cosa, ogni frammento di memoria.
La luce ha sterminato la mente …
Ma dal punto di vista fisico e scientifico, questa asserzione non ha alcun fondamento logico. Si tratta soltanto dell’insieme di corpuscoli, detti fotoni, e onde elettromagnetiche, fra le quali alcune sono percepite dall’occhio umano in determinate frequenze.
Tutte le supposizioni –che non sono frutto del ragionamento– sono mere congetture, fantasie. Per gli esseri umani, ogni esperienza arricchisce la conoscenza di informazioni che entrano nei complessi meccanismi racchiusi nella psiche, la quale spesse volte agisce secondo uno schema di primordiale sopravvivenza.
Per anni gli scienziati hanno tentato di carpire i segreti di tali procedure, di scoprire come funziona il cervello della specie dominate sulla Terra.
Ma ancora si brancola ancora nel buio, da questo punto di vista, e ciò rappresenta il più fitto dei misteri …  
I sentimenti umani, ad esempio, sono articolazioni così complesse che non possono essere semplificate nemmeno dal soggetto che li prova.
Ciononostante, se tali meccanismi sono intrinseci dell’uomo, possono essere cancellati? Può un evento di una certa rilevanza spazzare via il ricordo di questi?
È possibile per l’essere diventare non-essere pur esistendo materialmente? 
 
 
-Brumm!- la macchinina blu si muove nell’aria, seguendo un percorso immaginario. A mantenerla contro gravità sono delle piccole dita diafane, le quali spuntano appena dalla manica della camicia.
-Near. Non ti sembra che sia arrivato il momento di farci conoscere la tua opinione su questo caso?- la voce matura del comandante Lester esordisce alle sue spalle. Accovacciata sul pavimento, c’è la figura di un ragazzo dall’apparenza infantile che gioca con un’automobilina di plastica. Attorno a lui c’è una costruzione interamente gialla, una pista fatta di lego.
Near posa il giocattolo a terra.
-Il fatto che Kira abbia fatto tante concessioni durante lo scambio con Quartier Generale Giapponese, mi porta a pensare … che ci sia un legame di complicità tra loro e Kira.- risponde con assoluta pacatezza, mentre prende due pupazzi e li posiziona davanti a sé: uno ha una veste scura e impugna una falce, l’altro sembra un’astronauta con il classico elmo trasparente e la scritta “POLICE” sul torace.
-Complicità?- ripete l’agente, sottintendendo una delucidazione.
-Se le cose stanno così … - continua soffermandosi sull’astronauta -Allora Kira è il secondo L.- risponde secco, staccando il casco e rivelando la testa un teschio demoniaco, al posto di una dalle fattezze umane.
-Non è possibile! Stai dicendo sul serio?- esclama l’uomo, sorpreso.
-Ciononostante … -prosegue armeggiando con la testa del pupazzo -Do a questa possibilità solo il 7% di probabilità.
-Ma … - tenta di ribattere l’altro, però l’albino lo interrompe freddo e risoluto.
-Comandante Lester. Quando si indaga ci si fissa sempre su qualcuno. E se poi si sbaglia, basta chiedere scusa.- conclude, come se fosse una cosa di poco conto scusarsi per un errore in un’indagine così delicata. Tuttavia l’ex-agente dell’FBI non se la sente di ribattere ulteriormente il suo superiore.
-D’accordo.- gli risponde semplicemente, tornando alla sua postazione mentre quel ragazzino, invece, continua a giocare in un mondo tutto suo.
Riprende in mano l’automobilina e ricomincia farla correre sulla pista che ha edificato attorno a lui, come se fosse una fortezza.
Quando è andato via dall’orfanotrofio, le sue valige erano povere di vestiti e stracolme di giocattoli di ogni genere. Non ha lasciato nulla alla Wammy’s House, nemmeno un tassello del domino e attualmente ha dato disposizione a Ridner di comprare –almeno una volta al mese– i balocchi che lui desidera.
All’inizio gli uomini del suo comando erano un po’ scettici al riguardo: infatti, quando appresero che l’ erede di L era soltanto un adolescente, faticarono a credere ai loro occhi. Solo nel momento in cui udirono il timbro di voce neutro e, allo stesso tempo, imperioso, non ebbero più dubbi su chi fosse il capo dell’SPK.
Gli opali abissali e oscuri dell’albino si fissano sui contorni di quell’oggetto. La luce dei monitor lo fa risultare quasi inconsistente, sebbene lo stringa tra le dita. È un po’ come lui: così bianco da sembrare evanescente, ma è solo apparenza. Il peso schiacciante della consapevolezza lo tiene ancorato al suolo fin dalla nascita e così sarà per il resto dei suoi giorni.
-Near.- la voce di Gevanni giunge alle sue spalle e lui accenna un breve movimento del capo, segno che gli sta prestando attenzione. Con la coda dell’occhio ben nascosta tra la chioma candida, nota anche la presenza di Ridner.
-Tra poco trasmetteranno in diretta un annuncio del Presidente.
-Ok. Sintonizzate sul canale.- fissando il grande schermo dinnanzi a sé. Il comandate effettua un rapido movimento sulla tastiera di un pc e subito si visualizza la sala conferenze.   
Accompagnato dalla scorta, l’uomo che fa le veci degli USA si avvicina al microfono. Il volto è scuro e negli occhi vi è il bagliore di terrore represso.
I giornalisti davanti a lui cominciano a tempestarlo di domande e Near può constatare bene che, se fosse per lui, fuggirebbe a gambe levate pur di non rispondere. Esala stanchezza e oppressione, dopo di ché parla.
-Dichiaro che gli Stati Uniti d’America … Asseconderanno Kira e non faranno più nulla per contrastarlo.
I membri dell’SPK boccheggiano basiti e lo sguardo dell’albino si fa truce.
-Cosa!? Ma non è possibile?!- esclama il suo disappunto, Gevanni.
La calca dei giornalisti si affolla sotto il palco e le due guardie si avvicinano al Presidente.
-Quindi ritiene Kira dalla parte della giustizia?- chiede uno di essi.
-Giustizia? Io non ho affatto detto questo. Ma grazie all’operato di Kira sono cessate le guerre e anche le organizzazioni criminali nel nostro,  come in molti altri paesi, sono state debellate. È ormai assodato che chi affronta apertamente Kira viene ucciso! Perciò non sto dicendo che approvo l’operato di Kira, ma che come nazione non prenderemo nessun provvedimento nei suoi confronti.
Gli inviati tentano invano di replicare, ma l’uomo più potente al mondo si defila, lasciando i suoi elettori ad un palmo di naso.
-E ora che ne sarà di noi?- domanda Lester.
-Temo che sarà la fine per l’SPK, per colpa di quel coniglio di un Presidente. Anzi, chiamarlo coniglio è un complimento. Quello vale meno di un verme.- nelle parole atone trasuda disprezzo e indignazione. Il teschio verde rotola giù dallo scivolo rosso, gli occhi malefici e sanguigni rivolti all’insù.
 
“Ma cos’è uno scherzo? Non ci sono scusanti per dar ragione a Kira”.
 
 
-Near!
Il richiamo di Lester giunge forte e chiaro, ma lui ha già appreso la situazione.
Sullo schermo si vede Ridner con una pistola dietro la testa, impugnata da un figura incappucciata che l’albino conosce fin troppo bene.
Sapeva che sarebbe venuto.
-Cosa facciamo?
-Lasciamoli entrare.- ordina con la solita flemma, senza scomporsi.
La porta automatica si apre e i due entrano fermandosi a pochi passi da lui, che si presenta attorniato da un altro giocattolo: una pista spiroidale su cui si scorrono i trenini.
-Mello. Benvenuto.- accoglie l’ospite con il suo solito modo di fare, guardando di sbieco e mai faccia a faccia.
-Getta la pistola!- ordina Lester puntando, come Gevanni, l’arma contro il nemico. Il biondo stringe i denti, stizzito.
-Anche voi signori … Abbassate le armi. Sarebbe inutile far scorrere altro sangue.- esorta con assoluta pacatezza.
-Ma Near! Lui ha ucciso senza pietà tutti i nostri compagni!- ribatte Stephen e la tensione sul grilletto aumenta.
-Non fatemelo ripetere.- continua implacabile e risoluto. -Il nostro obiettivo è assicurare Kira alla giustizia. Se ora uccidessimo Mello non ne ricaveremmo assolutamente nulla.
-Mmh … Come vuoi.- dice Lester ed entrambi abbassano le armi.
Il mafioso fa lo stesso e sfila il cappuccio, rivelando i suoi lineamenti duri e la l’orripilante cicatrice che gli deturpa il volto. Nonostante sia ancora un ragazzo, l’odio e la frustrazione, la mente deviata da delusioni e complessi lo fanno apparire spietato e privo di qualunque frammento di umanità. Mello è furore puro, per questo è in grado di uccidere.
Ma l’aura nefasta e bestiale emanata dal giovane con le vesti oscure non scalfisce minimamente l’albino. Racchiuso in un guscio robustissimo, Near è protetto. Tutto gli scivola di dosso come l’acqua e, dall’alto del suo scranno, persino un ruggito feroce si trasforma nel guaito di un cucciolo ferito.
Le iridi glaciali di Mihael si impuntano su quel corpo immobile: rivederlo dopo tanto tempo gli fa bollire il sangue nelle vene, chiunque può constatarlo dagli occhi pulsanti e infuocati. Quando Halle l’ha visto sbucare nel suo appartamento, le è davvero parso che, oltre il viso, le fiamme avessero sfregiato anche quegli opali cerulei.
-Finora è andato tutto come ti aspettavi, vero Near?- domanda distaccato, cercando di mantenere il controllo, eppure sfugge una punta di ironia.
-Sì. Immagino che Ridner ti abbia già parlato del secondo L. Devo confessarti che è grazie a tutto quello che hai fatto che mi sono avvicinato a Kira.- vorrebbe essere un ringraziamento questo?
-NEAR!!- ovviamente non è ben accetto. Nuovamente viene a calcarsi la differenza di livello che separa i due: da piccoli era una linea dritta che divideva il primo e il secondo posto sulla bacheca, adesso la cosa è tutta giocare.
Con uno scatto fulmineo estrae la pistola e i collaboratori fanno altrettanto:
-Ti avverto che io non sono uno strumento per completare il tuo puzzle!!
L’indice inguainato di pelle fa pressione sul grilletto, mentre una furia mista al veleno più letale comincia a scorrergli in corpo, tramutandosi in una sorta di frenesia.
-Mello. Se vuoi sparare qui, ora, sei libero di farlo.- le parole scorrono fluide come un fiume dalle labbra esangui, senza il minimo tremore. Lo sguardo fisso davanti a sé è insondabile: si tratta solo di una patetica dimostrazione di infantilismo. Una delle tante.
Eppure, per un secondo, il biondo ha davvero pensato che la soluzione a tutte le sue sofferenze e umiliazioni fosse servito su un piatto d’argento.
Il grilletto scricchiola lentamente, lancette di un orologio che decreta la morte del bersaglio.
-Mello!- l’ex-agente della CIA si para davanti al mafioso, per sventare la tragedia -Se ora uccidessi Near, ti assicuro che non usciresti vivo da qui! E che cosa ne ricaveresti? Dimmelo … Faresti solo felice Kira.
L’espressione di Mello è cruda. Squadra la donna con sufficienza: in realtà, non ha nemmeno soppesato le sue parole, poiché il suo smisurato orgoglio gli avrebbe comunque impedito di far fuori il rivale. Una mossa avventata come quella, gli avrebbe di sicuro costato la vita date le due canne di pistola a qualche centimetro da lui. Inoltre –cosa più importante– sarebbe la peggiore delle umiliazioni uccidere quel nano per vincere: desidera battere Near sul terreno intellettuale e strategico. Vuole sbattergli finalmente in faccia la sua schiacciante superiorità, catturando Kira prima di lui.
-Mmh.- fa una leggera smorfia abbassando l’arma, seguito anche dal comandante e Gevanni -Non preoccupatevi. In realtà, sono solo venuto a riprendermi la mia fotografia.
-Ok.- il diciannovenne la estrae dalla camicia e la mostra al diretto interessato -La foto è questa. Non esistono altre copie. Inoltre sappi che ho già parlato con tutti coloro che in passato ti hanno visto in volto alla Wammy’s House … - informa lanciando il pezzo di carta al biondo, il quale afferra al volo con due dita -Non posso assicurartelo al  100%, ma ora non dovrebbe essere più possibile ucciderti con il quaderno della morte …
Mihael controlla subito il retro per verificarne l’autenticità. Ci trova una scritta: “Dear Mello”.
-Abbiamo altro da dirci, Mello?- domanda ancora l’albino.
L’altro posa lo sguardo su di lui. L’eco lontano di campane risuona nell’aria, tuttavia lo possono udire soltanto loro.
-Near … In realtà, non ho nessuna voglia di allearmi con te.
-Questo lo so.
-Però ti confesso che mi secca prendere questa fotografia e andarmene così …
Tali parole catturano l’attenzione di Near. L’iride ossidiana focalizza la figura del ragazzo, il quale prende parola:
-Il quaderno assassino appartiene ad uno Shinigami che può essere visto solo da chi possiede il quaderno.
Shingami?!” echeggia nella mente geniale dall’albino il quale sgrana impercettibilmente gli occhi, quasi incredulo.
-Che sciocchezza!- sputa Lester.
-Chi crederebbe mai ad una cosa del genere?- sentenzia il moro.
-Io ci credo.- la voce di Near lo smentisce subito -Che cosa ne ricaverebbe Mello da dire una bugia tanto assurda, se proprio avesse voluto mentire avrebbe cercato una menzogna più plausibile. Ne deduco quindi che gli Shingami esistono.
-Il quaderno che avevo per le mani era già stato di qualcun altro, oltre che dello Shinigami stesso. Inoltre, non tutte le regole scritte lì erano vere. Questo è tutto ciò che posso dirti.- conclude e gira i tacchi verso l’uscita.
Così possono partire dallo stesso piano e, Mello ne è certo, riuscirà a superarlo. I pesanti stivali si fermano qualche passo oltre la soglia.
-Near?
-Mello?
Il guanto di pelle nera afferra dalla tasca una tavoletta di cioccolata. L’involucro argentato viene rimosso. I denti staccano un morso deciso.
Le dita afferrano una ciocca candida.
-Vogliamo vedere chi sarà il primo a trovare Kira?
La sfida.
-Vuoi fare una gara?- si disegna l’ombra di un sorriso sul volto di porcellana.
-Tanto la nostra meta è la stessa, ti aspetterò al traguardo.
-D’accordo.
Il ferro blindato li separa. Un bivio e due strade differenti da scegliere. È solo da capire quale sia quella più giusta.
 
 
 
-MAYDAY! MAYDAY!! MAYDAY! Mi ricevete?? Volo KT-500! Rispondete!!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E rieccomi che aggiorno!!
In verità non sono soddisfatta di questo capitolo, perché mi sembra una scopiazzatura degli episodi originali!
Non so, voi che dite?
Comunque sono stata costretta a scriverlo per riallacciarmi alla storia originale.
Sperò che non me ne vogliate per questo, ma dal prossimo capitolo –se non avete capito– ci saranno parecchie cose interessanti! ;) E con questo mi defilo.
Bye, bye!

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Capitolo 14
*** Riemerso dalla luce ***



The Glory smells like Burnt
 

-Capitolo 13-
 
 
 



Agosto 1997. Il pesante cielo plumbeo romba di tuoni. Gli animali dimoranti in quello scorcio di foresta pluviale si mettono a riparo in attesa dell’eminente pioggia. I pescatori si apprestano a raggiungere le sponde del fiume Chi* per ritornare nelle loro case.
Le reti non sono state molto redditizie, poiché già a metà giornata piccole stille si sono infrante sulla superficie del grande corso d’acqua. È la stagione delle piogge, trasportate dai monsoni sud-occidentali, i quali spirano sino a giungere nel sud-est asiatico.
Quegli uomini dall’incarnato olivastro attraccano le sottili barche al terreno e raccolgono le lance di legno, utilizzate per infilzare i pesci nelle zone più paludose. Uno del gruppo si ferma a contemplare gli alberi giganti stagliarsi davanti a sé, mentre l’ultimo stormo di uccelli tropicali plana e si immerge nella fitta vegetazione. Lo sguardo si sofferma un attimo su quella lastra grigia che è il cielo: tra poco si scatenerà una forte precipitazione torrenziale, tipica del periodo.
Tutto sembra come al solito, fin quando gli occhi a mandorla non vedono una grossa cosa fumante provenire proprio da quel triste cumulo nebuloso. Gli altri pescatori alzano le teste cinte dai nón lá**, attirati da un fragore peggiore delle nubi. Rimangono immobili come statue a guardare quell’oggetto, a loro sconosciuto, precipitare nel cuore della foresta scatenando un fracasso assordante che spaventa gli animali. Degli uccelli di elevano stridendo nei loro versi, dopo di ché cala un silenzio tombale. Si ode solo lo sgocciolio della pioggia che comincia a infittirsi.
Curioso e sgomentato da quell’evento sconvolgente e mai visto prima, il pescatore si inoltra nella insidiosa vegetazione tropicale per verificare la situazione. Gli altri tentano di richiamarlo –parlano la lingua locale–,  ma infine si trovano costretti a seguirlo. Il luogo dell’atterraggio non è così lontano dalla riva del fiume e dopo qualche minuto giungono a destinazione.
Il pescatore di Chiyaphum*** scosta circospetto un ramo di foglie e uno spettacolo allucinante si presenta davanti a tutti loro. Gli alberi giganti, alti più di quaranta metri, sono letteralmente piegati in due, anzi, alcuni completamenti sradicati. Le radici emerse dal sottosuolo sembrano braccia di scheletri alla ricerca del perdono.
Nel mezzo di tutto quel caos, sotto la pioggia battente, c’è un aereo quasi totalmente distrutto. Gli ignari autoctoni non possono saperlo, ma si tratta di un Vickers VC10. Solo l’ala sinistra è sopravvissuta al terribile schianto, mentre la coda, a partire dalla fusoliera, e l’altra ala sono andate a pezzi. Probabilmente si sono staccate a causa del duro scontro con i fusti secolari. La turbina destra esala fumo nero, ma pare non essere pericolosa. Il dorso del velivolo è praticamente lacerato, strappato e vi rimane solo un intreccio di metalli e altri pezzi ormai inutili.
I sedili dei passeggeri sono praticamente a cielo aperto e corpi senza vita giacciono in quell’inferno di lamiere. Scie di sangue si confondono sui volti delle vittime come lacrime di morte.
Moltissimi malcapitati non sono presenti in quel sepolcro di leghe e saldature: nella peggiore delle ipotesi, sono stati sbalzati via quando si è staccata la parte posteriore. Forse con l’esplosione del motore, durante il volo.
I cinque thailandesi si avvicinano di soppiatto al relitto e lo osservano da vicino. Sbarrano gli occhi scioccati e inorriditi di fronte alle carni mutilate e sanguinolente, per non parlare dei vestiti fradici e sporchi di scarlatto che aderiscono su quelli come un pietoso sudario.
Tre di loro, i più coraggiosi, si arrampicano sul mezzo alla ricerca di qualche sopravvissuto, mentre gli altri due restano a terra sotto la pioggia.
Distolgono lo sguardo quando intravedono una donna con una sbarra di metallo conficcato nel petto, il capo reclinato all’insù, gli occhi spenti e la bocca aperta in un urlo spezzato. Uno dei tre si spinge sino alla cabina di pilotaggio, in cui trova due uomini accasciati sui comandi dell’aereo. Il pilota ha ancora stretto in mano il microfono della radio, da cui proviene un suono disturbato. Sta per prenderlo in mano, ma un suo compagno lo richiama, così torna indietro.
Il primo testimone della tragedia, il pescatore che per primo ha notato l’aereo precipitare, scosta un cumulo di macerie. Lì sotto ci sono un giovane uomo ed una giovane donna che stringono un bambino tra le loro braccia.
Il candido pargolo, di circa sei o sette anni, è placidamente adagiato sul petto della donna e protetto dalle spalle larghe dell’altro.
I lunghi capelli bianchi di quella ricadono in parte sulle gote perlacee dell’infante. Il thailandese li scosta leggermente per osservarlo meglio: neanche una goccia di sangue imbratta il viso pallido e marmoreo. Gli uomini lo guardano sorpresi, poiché non avevano mai visto qualcuno così bianco. I riccioli nivei sono leggermente sporchi di caligine, ma per il resto non sembra ferito in qualche modo. È miracolosamente illeso.
Gli occhi –probabilmente– del padre e della madre del bimbo sono semichiusi, come se avessero voluto assicurarsi che il piccolo stesse bene fino all’ultimo.
Le iridi di lei sono due rubini oscuri coronati da ciglia chiarissime, mentre quelle di lui appaiono nere e profonde come gli abissi più remoti, senza nessuna scintilla di vita ad animarli.
È ovvio che siano entrambi deceduti, tuttavia resta da capire se il bambino sia ancora vivo. Lo scuote delicatamente e il giovane viso si contrae in una lieve smorfia. Subito il pescatore si volta verso i suoi compagni, cercando assenso. Allora i tre si fanno più vicini.
Dopo un po’ apre lentamente gli occhi, rivelando i suoi pozzi di ossidiana al mondo. I tre sorridono sollevati e il thailandese gli poggia una mano sulla spalla. Il piccolo sbatte lentamente le palpebre, confuso. Al momento non riesce mettere bene a fuoco. È abbagliato da una luce insopportabile e non riesce a vedere nulla. Scorge l’ombra sfocata di una mano che si tende verso di lui. Ma poi tutto si fa buio. Vuoto.
 
 
Il giorno successivo, militari e volontari giungono sul luogo della tragedia. Ben tre elicotteri sono stati mobilitati per la ricerca dei dispersi e, perlustrando l’intera area, le squadre hanno ritrovato i pezzi staccatisi violentemente dall’aeroplano. Nelle vicinanze, come era d’altronde prevedibile, sono stati rinvenuti solo quattro delle vittime, con le ossa totalmente fracassate e i colli spezzati a causa di una caduta da oltre trecento metri dal suolo, o anche più. Considerato che la parte anteriore del velivolo –quella precipitata– conta solo 62 passeggeri (piloti compresi) è pochissimo per un aereo che può ospitare un massimo di 135 persone. Gli investigatori thailandesi  si domandano quale forza distruttrice abbia mai potuto dividere a metà un mezzo di quella stazza.
Si presume un attacco terroristico ben studiato, ma è chiaro che bisognerebbe prima esaminare la scatola nera per accertarsene. In ogni caso, la parte posteriore ha tutta l’aria di aver preso fuoco e i poverini che si sono accomodati nelle retrovie sono finiti carbonizzati.
Tutti morti … tranne uno.
Non appena fu ritrovato, il piccolo albino fu portato a Chiyaphum avvolto in un telo, per proteggerlo dalla pioggia scrosciante. La famiglia di quel pescatore lo accolse nella loro modesta dimora, tuttavia era ancora privo di conoscenza quando giunse lì. E il giorno dopo le forze armate e le squadre di soccorso arrivarono nella città.
Quando l’albino apre gli occhi, però, non trova il volto olivastro e l’espressione gentile di quell’uomo –di cui ha solo un pallido ricordo–, ma solo stoffa verde scuro a fare da soffitto. L’unico superstite, infatti, fu trasferito nell’accampamento dei soccorritori per verificare le sue condizioni di salute.
Focalizza meglio il tetto e lo osserva, confuso. Immediatamente tutte le sue percezioni sensoriali si destano: infatti, al tatto avverte di essere steso su qualcosa di morbido, come una brandina; mentre le narici vengono punte da un fastidioso odore di bruciato. Volta il capo a sinistra, come a distogliersi da quella puzza, e nota inevitabilmente alcuni particolari: ad esempio, che c’è un tavolo pieghevole in un angolo con delle boccette e delle carte. Poi più niente, è completamente solo in quel posto sconosciuto. Debolmente, gira la testa anche dall’altra parte e viene abbagliato da un raggio di luce che filtra dall’apertura di quella tenda. Gli opali oscuri fanno un po’ di fatica prima di abituarsi, ma dura poco poiché nota qualcosa lì fuori. Non riesce a distinguerli perfettamente, ma sembrano delle gambe che calzano lunghi stivali neri. Qualcuno sta camminando là fuori e solo adesso riesce a sentire il brusio della gente. Non capisce cosa dicono, è una lingua strana che non conosce, eppure questo non sembra angosciarlo affatto. Si sente sospeso in una realtà a cui non si sente di appartenere, è come se fosse un passivo spettatore.
Continua a fissare attraverso quell’apertura il mondo esterno, senza capire effettivamente come sia fatto. Non ricorda nulla di ciò che gli è successo, il vuoto più assoluto c’è nella sua testa. Non si rammenta di nessuno in particolare. Un grande manto bianco ha coperto i colori delle sue memorie, celandole per sempre.
A un certo punto, qualcuno entra nella tenda e non appena lo vede caccia un’espressione stupita. Lo sguardo del bambino si posa sullo sconosciuto senza timore alcuno. Quando si avvicina alla brandina può notare un lieve sorriso increspargli le labbra.
-Finalmente ti sei svegliato! Meno male.- esordisce sollevato, come se gli importasse davvero della salute del superstite, cosa che di primo acchito l’albino ha trovato piuttosto inusuale. Perché mai una persona estranea dovrebbe preoccuparsi di come sta lui?
Il tizio prende uno sgabello –il piccolo non ha fatto caso all’oggetto– e si siede accanto a lui. Allora l’infante si sofferma sul camice indossato dall’uomo: “E’ un dottore” pensa, perfettamente conscio di che cosa sia un “dottore”. Quindi questo spiega anche l’interessamento nei suoi confronti.
Intanto, l’uomo lo scruta con minuzia per esaminare le sue reazioni.
-Come ti senti?- domanda il medico, cauto.
Lo comprende, rispetto alle voci che aveva udito prima da fuori, riesce a capirlo alla perfezione perché parla la sua stessa lingua. Eppure non gli sembra inglese.
Non risponde, non sa nemmeno lui come si sente poiché non avverte dolore da nessuna parte. Non sente nulla, ecco.
-Allora? Ti ricordi almeno qualcosa?- cerca di spronarlo.
Il bimbo nega con un lieve cenno del capo e l’uomo aggrotta la fronte.
-Non ti ricordi dell’incidente, Nate?
L’albino schiude le sottili labbra in un attimo di incertezza a quella parola.
-Nate?- mormora in un filo di voce.
-E’ il tuo nome, non te lo ricordi?- prosegue il dottore e l’albino fa scena muta.
La situazione è più grave del previsto.
-Che cosa è successo?- chiede poi, Nate, cercando di mettere insieme i pezzi.
Stavolta è l’altro ad esitare: non sa da dove cominciare e soprattutto teme di scioccare il fragile equilibrio mentale del sopravvissuto.
-C’è stato un grave incidente … Un aereo è esploso e parte di esso è atterrato nella foresta.- fa una pausa. Si sente nervoso, teme di aver parlato in modo troppo diretto per un bambino così piccolo.
Nate sposta lentamente gli occhi ossidiana verso l’ingresso della tenda: ora riesce a vedere perfettamente dei soldati trasportare una brandina coperta da un lucido telo azzurro.
-Io ero in quell’aereo.- sembra più un’affermazione che una domanda. Il medico annuisce.
Nate non distoglie lo sguardo dall’esterno, anzi insiste con ostinata fissità.
Là fuori c’è una vera e propria processione, la quale pare non finire mai: i soldati vanno avanti e indietro per trasportare i sacchi celesti.
-Purtroppo non ci sono superstiti oltre te … vedi anche i tuoi genitori … - serra le labbra improvvisamente, ma sobbalza quando si accorge che la sua attenzione è altrove. Si gira seguendo la direzione del suo sguardo.
-Genitori. Si chiamano così le persone che contribuiscono alla nascita di un individuo.- afferma in maniera telegrafica, come se qualcuno gli avesse chiesto la definizione.
Il dottore lo guarda stupito per la precisione con cui ha esposto a parole qualcosa che normalmente un bambino della sua età non saprebbe spiegare.
-Sono morti.- dice Nate mentre un’altra brandina gli passa davanti.
L’uomo socchiude le palpebre e pronuncia un: -Sì.
Ha capito, semplicemente osservando. Il thailandese è sorpreso e, allo stesso tempo, inquieto per la fredda consapevolezza dell’infante. Pensava che ci avrebbe messo più tempo per spiegare con cautela come stanno le cose, non si aspettava di dover affrontare il discorso in maniera così cruda. Forse è scioccato e ha bisogno del tempo per riprendersi.
-Non mi ricordo di loro.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Chi: fiume che scorre a nord-est della Thailandia.
** nón lá: tipico cappello a cono, fatto di bambù. Usato dai vietnamiti è comunque abbastanza diffuso (es: in Giappone, Cina e Taiwan), ma chiamato con nomi diversi.
***Chiyaphum: città thailandese nord-orientale, vicina al fiume Chi.

 
 
 
 
 
Ed eccomi con un altro capitolo, che stavolta spero vi piaccia di più del precedente. Mi auguro con tutto il cuore di essere riuscita a rendere al meglio Near e la dinamica degli eventi.
Ringrazio comunque i recensori e coloro che continuano a seguire questa storia! Senza di voi la fic non sarebbe niente!!
A presto!! <3<3

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Capitolo 15
*** Genio ***



The Glory smells like Burnt
 


-Capitolo 14-
 
 


Il bagliore del mattino penetra appena dal piccolo abbaino di quella camera blindata. Figure in camice bianco osservano con attenzione ogni minimo movimento del paziente 116.
Pare che nell’orfanotrofio non si trovasse molto bene, inoltre l’albinismo non gli permette di stare troppo a contatto con l’esterno, soprattutto durante il giorno. Numerose, infatti, sono le abrasioni e le scottature presenti sul corpo a causa di un’esposizione troppo prolungata, che per i medici è sempre stata vista come una forma di suicidio. In realtà era soltanto frutto dell’ignoranza di inservienti, i quali cacciavano fuori i “mocciosi” per occuparsi delle pulizie.
La cosa sorprendente è il serrato mutismo di quella creatura che sembra vivere in un mondo totalmente estraneo al nostro.
Mangia poco –non apprezza particolarmente ciò che gli viene messo nel piatto–, dorme giusto l’indispensabile –cioè quando le palpebre ricadono pesantemente per istinto fisiologico. Sta sempre accovacciato in una stessa posizione per interminabili ore –spesso anche durante il sonno–, non comunica con nessuno, nemmeno quando gli si fa una domanda. Evita come la peste il contatto fisico e ignora palesemente quello verbale concentrandosi su degli oggetti: possiede una spiccata manualità, pertanto gli psicologi cercano di attirare la sua attenzione con dei giocattoli, ma senza risultato. Nulla di quel che dicono interessa e anche i balocchi proposti dopo un po’ lo stancano.
Quel bambino sembra avvolto nel mistero: da quando è stato portato nell’ospedale psichiatrico di Northapton i dottori non sono riusciti a cavare un ragno dal buco. Eppure sembra apparentemente tranquillo rispetto agli altri pazienti: non assume atteggiamenti che facciano pensare a un qualche disturbo psichico, tuttavia lo sguardo vacuo e quell’assurda posa lo rendono inquietante. Nonostante non dica o non faccia nulla di “anormale”, perfino le infermiere più esperte sul campo temono di entrare nella sua stanza, anche solo per esaudire le più primitive esigenze.
L’uomo dalla folta barba castana appunta qualcosa sulla cartella: lì vi sono scritti tutti i dati raccolti in seguito al grande disastro aereo.
Il nome del paziente, arrivato il 01/10/1997 nell’Istituto Psichiatrico St. Patrick*,  è Nate River. Data di nascita: 24/08/1991. Figlio di Jonah River e Margaret Greenway, deceduti nell’incidente aereo in Thailandia. Non ha nessun altro legame parentale. Le sue origini sono indiscutibilmente inglesi e lo sono anche quelle del padre e della madre. Da quanto stilato nei rapporti, il superstite non ricorda assolutamente nulla dell’accaduto e dei fatti precendenti ad esso. Moltissime domande sono state fatte anche dai soccorritori, ma le risposte erano vaghe e poco certe.
Nate River è stato rimpatriato il 5 settembre in una struttura che offre assistenza psicologica, ma data la natura reticente del bambino il direttore ha deciso di trasferirlo in un istituto più specializzato. Secondo le informazioni fornite dal responsabile di quell’orfanotrofio, il soggetto non partecipava attivamente al sostegno degli analisti, i quali hanno concluso che il forte trauma ha cancellato definitivamente ogni risposta emotiva da parte del bambino. Pertanto è stato deciso di trasferirlo al St. Patrick per checkup medici più approfonditi e assistenza medica a’doc.
A parte l’amnesia, non si trova spiegazione al calo di empatia dell’infante: nessun altra parte del cervello sembra aver subito danni tranne quella dei ricordi.  
Il dottor Freeman puntella la sommità della penna contro la guancia destra, osservando da dietro le spesse lenti la macchiolina bianca sul pavimento. Una grande camicia fascia il piccolo corpicino, mentre le gambe indossano dei larghi jeans chiari. In questo momento, è accoccolato in un angolo della stanza, ben lontano dal  quadrato luminoso sul pavimento. Non vi sono altri oggetti all’infuori di un letto e un comodino di legno spoglio, tra l’altro mai aperto. I servizi igienici sono nella porta adiacente e preferisce utilizzarli nella più completa privacy, senza l’aiuto di infermieri di ambo i sessi: la sua è una discriminazione universale, non fa distinzioni.
-Dottor Freeman, è l’ora della seduta. Preparo le iniezioni?- chiede il caporeparto Kirk. Le iridi fumo dell’uomo si serrano, rimangono immobili sulla piccola sagoma oltre quella porta, dotata di una finestrella attraverso cui monitorare i pazienti. Nate sta a terra e gioca placidamente con una macchinina. Nella parete accanto a lui stanno accatastati altri giocattoli.
-No. Non servirebbe a niente.- tronca quel silenzio alienante, il dottore. Kirk rimane un po’ perplesso, ma ovviamente non obbietta. Ricorda perfettamente tutte le volte in cui, con sacrosanta pazienza, ha cercato di afferrargli il braccio ma quello lo scacciava raggomitolandosi nell’angolo della camera. Sempre in quel minuscolo diedro formato dalle pareti.
-Stavolta voglio pensarci di persona.- continua il primario, così con un cenno del capo l’assistente lo lascia solo.
“Perché … perché non riesco a carpire la sua vera natura? A parte l’amnesia non sembra essere affetto da qualche turba mentale … Nemmeno diagnosticargli l’autismo mi convince come soluzione. E’ la perdita della memoria ad influenzare a tal punto la sua sfera emotiva?” si tormenta continuando a guardarlo ostinatamente. Ad un tratto è come se si fosse avvicinato materialmente a lui senza aprire la porta o aver attraversato la parete, mentre il piccolo pare essere del tutto indifferente alla sua presenza. La manina pallida ferma la macchinina, all’improvviso, e Freeman sobbalza. La frangia candida e riccioluta nasconde i suoi occhi in una penombra quasi sinistra. Lentamente, con pacatezza innaturale, alza il volto cereo proprio in direzione della porta e quindi del dottore.
I pozzi d’ossidiana si scontrano inevitabilmente contro la foschia negli occhi dell’uomo di fronte a lui. Lo scalfiscono in maniera devastante, come le spade di due guerrieri cozzano nell’impatto metallico.
In vent’anni di gloriosa e onorata carriera in questo campo, in cui è reputato uno dei migliori, non si è mai imbattuto in un simile soggetto.
Quegli occhi –adesso– sono puntati su di lui, appena illuminati dai raggi delle dieci e trentasei del mattino. Solo ora nota quanto la loro superficie non lasci trapassare in alcun modo la luce naturale, tanto che sembrano due tondi opachi. Inespressivi, privi di alcuna scintilla, nemmeno di follia. Sono spenti.
Quel bambino è spento … in tutti i sensi.
Tuttavia, sebbene si tratti di una sconvolgente visione che farebbe raggelare il sangue perfino ai più consumati psichiatri, non è quello a pietrificare l’uomo in camice.
Prima, quando era impegnato a giocare, era come se vi fosse un muro invalicabile tra loro. Invece, non appena ha alzato lo sguardo esso è stato distrutto, sbriciolato dall’immensa profondità celata in quegli opali ossidiana.
Freeman si sente subito esposto dinnanzi alla sua figura che assume improvvisamente consistenza.
Deglutisce a vuoto: solo adesso nota di star sudando freddo e che gli è caduta la cartella di mano. La raccoglie frettoloso e quando ritorna a guardarlo, Nate si è già immerso nel suo mondo, riprendendo la sua precedente attività.
Il dottore resta un attimo imbambolato, in un certo senso, dispiaciuto da quell’interruzione. Che si fosse mosso solo perché aveva sentito il tonfo della cartella contro il pavimento? No, è stato dopo che ha alzato lo sguardo o almeno crede, perché non si è accordo che gli fosse scivolata di mano.
Tra tutte le possibili sindromi, quella che al momento calza di più con le attitudini del paziente è la Sindrome di Aspenger**, tuttavia ci sono alcuni punti fondamentali da chiarire.
“C’è qualcosa che mi sfugge …” e con questa certezza –forse proprio l’unica al momento– ritorna nel suo studio per fare delle ricerche.
 
 
La scrivania in mogano è posizionata quasi al centro della stanza, mentre le pareti sono tappezzate da centinaia di volumi  riposti ordinatamente negli scaffali. Sullo stesso ripiano di legno vi sono un computer fisso e la stilografica abbandonata accanto ad una cartellina azzurra.
Si dirige a passo svelto verso la sedia girevole e si abbandona su essa, fiacco ed esausto. Sospira appoggiando la cartella clinica di Nate River e si toglie gli occhiali per massaggiare il setto nasale segnato. Deve riordinare le idee.
“Innanzitutto … bisogna stabilire quali siano i sintomi. Dunque …” comincia a fare mente locale, ma un lampo acceca il suo pensiero. L’incommensurabile profondità di quegli occhi pece appare di nuovo, ancora più vivido giurerebbe.
Il tarlo del dubbio si annida nei suoi ragionamenti, come un topo che rosica un filo elettrico interrompendone la corrente. Più cerca di inghiottire quella sensazione, più si ripresenta prepotente nel suo animo.
Considerato il lavoro che svolge, è chiaro che ad ogni paziente giunto al St. Patrick sia stato diagnosticato un disturbo mentale e lui, efficiente e meticoloso nella sua professione, ha sempre verificato che le diagnosi fossero corrette. Tuttavia, il caso di questo paziente  si presenta davvero complesso poiché non riesce a capire da cosa sia affetto. A suo parere, gli psicologi di quell’istituto hanno chiuso la faccenda troppo in fretta e si sono rivelati davvero poco professionali (per non dire mediocri).
Dato che non sapevano nemmeno cosa pensare, l’hanno scaricato lì diagnosticando –nero su bianco– amnesia retrograda ed empatia.
-Malica di incompetenti!- borbotta a denti stretti, maledicendo uno ad uno i suoi “colleghi”. Poi, come a verificare se gli fosse sfuggito qualcosa, apre il cassetto in basso a destra e ne estrae il fascicolo 116, quello dell’albino. La cartella viene aggiornata quotidianamente e, per sicurezza, le informazioni su cartaceo vengono registrate dallo stesso dottore ed una fidata segretaria nel computer. Tira fuori dall’allegato il rapporto degli psicologi dell’orfanotrofio e scorre attentamente fra le righe. Sono riportati tutti i test e gli esami effettuati su Nate River e, di conseguenza, i risultati e le conclusioni dei medici.
Guarda più attentamente l’elenco dei test e si rende conto che manca quello del quoziente intellettivo. Freeman si porta una mano davanti alla bocca sfiorando la barba incolta: non è possibile che una cosa così importate, se non fondamentale, sia stata trascurata!
-Incompetenti … - sibila a denti stretti, trattenendo pesanti imprecazioni. Sbatte appena il fascicolo sul tavolo, seccato, e abbandona la schiena sulla spagliera in pelle.
 A questo punto dovrebbe spettare a lui verificare le sue capacità intellettive, però come? Forse anche nel precedente istituto hanno tentato di verificare il QI, ma invano data la natura scostante e indifferente del bambino.
“In ogni caso avrebbero dovuto perlomeno farne cenno nel rapporto! Ammesso che le cose stiano realmente così …”.
Sbuffa scocciato per via di tutte quelle complicazioni, mentre da una parte raccoglie tutte le sue energie per pensare.
“Nate River è dotato di spiccata manualità. Manipola oggetti di ogni sorta in maniera quasi morbosa, e in particolare è attratto dai giocattoli …”.
Un illuminazione lo coglie all’improvviso, come se qualcuno alle sue spalle avesse sussurrato “Bu!”, spaventandolo.
-Ma perché non ci ho pensato prima?!- esclama esasperandosi per la sua stupidità -Potrebbe funzionare, infondo...- e preme subito l’indice sul tasto dell’interfono.
-Valery. - chiama la sua segretaria.
-Mi dica.- risponde dall’altro capo una donna, con un tono che vuole ostentare professionalità.
-Mi deve procurare dei giochi.
-Giochi?- la richiesta la lascia alquanto perplessa -Di che genere?
-Non di quelli comuni. Sto parlando di rompicapi, puzzle, domino, tutto ciò che ha a che fare con l’intelligenza e l’astuzia.- specifica tutto d’un fiato.
-Capisco. Ne vuole un numero specifico?- domanda puntualmente precisa, suscitando il sospiro di Freeman.
-No. Prendine quanti più ne puoi, non badare a spese. Ma mi raccomando: che siano i più stimolanti e anche i più difficili che ci siano … - segue una breve pausa in cui l’uomo immagina la mano della dipendente prendere appunti.
-D’accordo.- risponde in seguito, Valery -Quando vuole che glieli porti?
-Ce la fai entro la fine della giornata?
-Certo. Sarà fatto.
-Bene.- e dopo le telegrafiche conferme, Freeman toglie l’indice dal pulsante del telefono interrompendo la comunicazione.
Si abbandona allo schienale della girevole con un buon presentimento, tuttavia esso scaturisce da un’idea di fondo.
Ovvero che Nate River non è un pazzo.
Quegli occhi per lui non possono mentire, c’è qualcosa e lui intende scoprirlo.
 
Come promesso, entro la fine della giornata la monovolume di Valery parcheggiò nel cortile portando buste piene di giocattoli, se così si potevano chiamare secondo la donna.
Quando Freeman li visionò gli parvero perfetti.
-Bene. Ottimo lavoro!- si complimentò con la dipendente che lo osservava vagamente confusa.
-Se mi permette una domanda, dottore … Posso sapere a cosa le servono questi “giochi di intelligenza”?
L’uomo si alzò gli occhiali sul naso prima di risponderle.
-Mi servono per scoprire il livello intellettivo del paziente 116.
Al pronunciare il nome dell’albino la segretaria si irrigidì appena, ma non aggiunse commenti intuendo che si trattasse di una strategia del dottor Freeman. Si augurò che riuscisse nel suo intento. Ne fece presente al suo principale prima di congedarsi.
Così il giorno dopo, alle 9:16, si reca nella camera del paziente pervaso da un’insolita euforia rispetto al contesto. Si dirige a quell’ora poiché conosce perfettamente le abitudini del bambino, il quale si sveglia più o meno alle prime luci dell’alba rimanendo ore a fissare il vuoto, finché verso le otto o le nove decide di giocare con quello che c’è in stanza.
E’ un soggetto troppo singolare. Chi non vorrebbe capire che cosa gli passi per la testa?
Il dottore non vuole turbare la sua routine quotidiana, così con le buste stracolme di balocchi in mano si dirige in gran carriera verso la 116, diventata quasi un tabù anche per chi ci passa solo davanti.
Controlla dal finestrino della porta la figura china al suolo la quale sta costruendo una torre. Freeman bussa un paio di volte, ma ovviamente dal bambino non giunge nessuna risposta. Apre la porta lentamente entrando così in quel regno sconosciuto. L’albino non accenna a prestargli attenzione.
-Buongiorno Nate!- saluta affabile e nel modo più naturale possibile, mentre l’altro persiste nel suo ferreo mutismo.
Il dottore accenna ad un sorriso mesto e si abbassa per sedersi sul pavimento.
-Posso?- chiede come se si trovasse a casa di qualcuno. Non si aspetta che lo assecondi, però vuole mostrarsi conciliante per non invadere “i suoi spazi”. Dunque, si siede ugualmente a terra incrociando le gambe.
-Guarda un po’ Nate!- esclama -Ho portato dei giocattoli nuovi!- così dicendo rovescia il contenuto delle buste sulle piastrelle immacolate del pavimento.
 Vi sono scatole di puzzle da 200 pezzi, puzzle tridimensionali, cubi dai mille colori, anelli da disincastrare e ben tre confezioni giganti di tessere del domino. Mentre smista i giochi, per poco non si accorge che due opali oscuri si sono girati ad osservalo. Quando l’uomo alza lo sguardo verso il piccolo, questo non svia lo sguardo e perciò ne rimane piacevolmente sorpreso.
Il dito pallido di Nate si attorciglia attorno ad una ciocca albina, come se stesse riflettendo sul da farsi: andare a vedere oppure ignorare?
Eppure la forma insolita di quegli oggetti pare in qualche modo attirare la sua curiosità. Intanto il dottore smista fa un po’ di spazio in quella camera improvvisamente a soqquadro. Dopo di ché, apre una scatola di puzzle e rovescia tutti i pezzi sul pavimento.
Lo scroscio di quella cascata di tasselli risveglia i suoi sensi, come se qualcosa fosse scattato e, per la prima volta nella sua giovane vita, una bruciante curiosità si impossessa di lui. Gli occhi abissali fissi su quel mucchietto di frammenti di cartone sottile.
Freeman sente il suo sguardo penetrante su di lui e sorride sotto i folti baffi con la consapevolezza di aver catturato la sua attenzione. Per tanto cerca di rivolgersi a lui il meno possibile e di estraniarsi nel suo mondo, aspettando che faccia Nate la prima mossa. Riesce ad individuare i primi pezzi da incastrare consultando la figura sulla confezione, un paesaggio di montagna.
Il tonfo dei piccoli piedi dell’albino non si ode nemmeno, anzi Freeman si accorge della sua presenza quando un ombra lo sovrasta; solo allora alza lo alza il capo verso il piccolo che fissa insistentemente il puzzle.
L’uomo sorride: -Vorresti provare a farlo tu?-  chiede con dolcezza e il pallido infante fa solo un cenno del capo.
Sorride impercettibilmente compiaciuto mentre lo sguardo profondo sembra quasi bucare la confezione di cartone.
-Sai cos’è un puzzle?- esordisce il dottore, ma l’albino rimane muto. Lui prosegue comunque: -Si tratta di una figura o immagine divisa in tantissimi pezzettini che si uniscono tra di loro per formare quella figura.- Parole più semplici non trova per spiegare il concetto, ma il piccolo osserva soltanto senza fiatare. In verità, non l’ha mai sentito parlare da quando è entrato nella clinica, ma non si può dire che sia muto dato che l’unico verso che è riuscito a strappargli è stato un gemito di disprezzo quando lo costringevano a fare l’iniezione.
Silenzioso come un gatto selvatico, Nate si accovaccia al pavimento come suo solito e comincia ad analizzare quei minuscoli pezzi di cartone.
A un certo punto, la porta bussa e il caporeparto Kirk, tutto trafelato, gli comunica un improvvisa emergenza:
-Vieni! Il paziente della 96 sta avendo un’altra delle sue crisi!
Freeman si morde il labbro irritato: dovrà abbandonare per un attimo le sue ricerche su Nate.
-Ehm … io mi allontano un momento. Tu continua pure a fare il puzzle, torno subito.- annuncia uscendo dalla stanza, nella quale lascia un bambino immacolato tra balocchi colorati.
L’imprevisto trattiene il medico per circa dieci minuti e non appena si libera, ciò che trova lo lascia completamente di stucco. Il puzzle che avevano appena iniziato e del quale lui era riuscito a malapena ad incastrare due pezzi, giace completo sul pavimento della stanza ritraendo il suggestivo paesaggio montuoso. Non c’è che rimanerne sbalorditi, poiché una persona normale non riuscirebbe a completare un puzzle di duecento pezzi, in meno di dieci minuti e soprattutto visionando per la prima volta la figura. Anche se avesse già fatto in passato giochi simili, tutto l’allenamento di questo mondo non ti fa terminare in così poco tempo ciò la maggior parte potrebbe terminare il giorno successivo.
-L’hai già finito vedo … - esordisce, cercando il più possibile di nascondere il tremore nella voce.
Intanto l’albino ne stava già completando un altro.
-Non era tanto interessante, comunque.- la voce sottile, ma atona, rimbomba nelle orecchie di Freeman. Allora comprende che su quel ragazzino non si era sbagliato.
 
Una settimana dopo, il dottore bussa nuovamente a quella porta ed entra dopo il secondo tocco. Stavolta però è in compagnia di un uomo.
-Buongiorno Nate.- saluta cordialmente. Il piccolo si limita ad un meccanico e lieve cenno del capo. Lo sconosciuto al fianco di Freeman, invece, rimane alquanto sorpreso a quella vista. Una piccola macchiolina bianca immersa in una enorme spirale di Fibonacci, che ricopre quasi l’intera stanza, fatta interamente di tessere del domino.
-C’è una persona che vorre conoscerti, Nate.- annuncia infine il direttore dell’istituto, mentre il bambino continua imperterrito la sua opera.
Freeman fa un cenno del capo all’uomo al suo fianco il quale si riscuote da quel momento di trance. Quando rivolge lo sguardo all’albino si accorge che gli occhi di quest’ultimo sono puntati su di lui. Si sfila il cappello.
-Piacere, sono Roger Ruvie.  

 
 
   
       
 
*Istituto Psichiatrico St. Patrick = si tratta di un nome da me inventato.
 
**Sindrome di Aspenger = è considerata un disturbo pervasivo dello sviluppo imparentata con l'autismo. Gli individui portatori di questa sindrome presentano una persistente compromissione delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi molto ristretti. Diversamente dall'autismo classico, non si verificano significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o nello sviluppo cognitivo.

 
 
 
 
 
 
 
 
Ebbene! Gente del mondo, sono tornata!!! Ehhhehe ….Ok basta. Sicuramente molti di voi (tutti alla fine) mi vorranno come minimo linciare per aver fatto così tardi a postare.
Oltre al traumatico e tragico inizio scolastico ho avuto il peggiore degli incubi ovvero IL BLOCCO DELLO SCRITTORE, quindi sebbene il capitolo fosse a metà ho sospeso per un bel po’ di tempo!
Adesso sono tornata e spero davvero di riuscire a postare il prossimo capitolo fino a Natale (credetemi: non sarei capace nemmeno di rispettare una scadenza così lunga …). Comunque spero che almeno il capitolo sia piaciuto e soprattutto che non abbia sforato nell’OOC. Near per me è sempre il personaggio più difficile da rendere, figuriamoci un Near bambino!!
Mi scuso ancora con i miei carissimi lettori e recensori che magari attendevano con ansia l’aggiornamento. Cercherò di fare il possibile ma non assicuro nulla: ormai sono al 5° anno di liceo ed è straziante credetemi.
Dopo questa luuuuunghiissima nota vi saluto con un grande bacio. <3<3

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