Pieces

di anorexic of emotions
(/viewuser.php?uid=315927)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Here ***
Capitolo 3: *** Love me ***
Capitolo 4: *** friends ***
Capitolo 5: *** the truth ***
Capitolo 6: *** forever ***
Capitolo 7: *** what now? ***
Capitolo 8: *** Iron clouds ***
Capitolo 9: *** at the beginning ***
Capitolo 10: *** review ***
Capitolo 11: *** Again ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La prima volta non si scorda mai, quanto è vero.
La prima parola, i tuoi genitori la ricorderanno in eterno, anche quando la memoria andrà consumandosi.. Come ricorderanno i tuoi primi passi, i primi dentini messi, i primi compleanni.
Poi ci sono le cose che anche tu potrai ricordare: il primo giorno di scuola, i primi bei voti e, ancora meglio, i primi brutti voti.
Il primo dentino che cade, la prima volta dal dentista e la prima volta che hai paura che ci sia qualcosa che non va.
I primi sogni e anche i primi incubi.
I primi amici.
I primi amori.
Il primo bacio, le prime carezze, le prime strette allo stomaco e quel nodo alla gola.
E poi, la prima volta per antonomasia. Quella che aspetti da sempre, anche se non lo ammetti. Quella che sogni.
E dopo, in libera caduta.
Le prime delusioni, i primi litigi, le prime ferite, quelle gravi.. Quelle che non si vedono, ma che non andranno mai via.
E le prime pazzie, le prime ribellioni..
Le prime volte sul motorino senza casco, i primi tradimenti, le prime storie in segreto.
I primi rapporti a scuola, le sigarette nascoste nella borsa, gli esami falliti.
I primi vestiti di marca, la prima paura di non essere abbastanza.
E poi tutto quello che sembrava insuperabile, inspiegabilmente, si supera.
Arrivi al punto di non ricordare.. Eppure ora lo ricordi, no?
Ora che te ne sto parlando, stai ripensando a tutto. Magari ci stai ancora passando, oppure ci passerai.
Sei dentro questa storia quanto ci sono io.. Questa è la tua storia, la mia, la storia che ci accomuna un po' tutti.
Ciò che ci rende interi, in fin dei conti, sono pezzi; esattamente come quelli di un puzzle.
Un po' di emozione, un po' di paura, un po' di amore e un po' di delusione.
Ciò che sei dipende da come tutto questo è dosato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Here ***


Ed ora Ellen si trova qui.
Lunga distesa in una deserta, assolata via di campagna.
In una strada sterrata che pare senza limiti, senza confini.
Sarebbe stato il posto ideale, si sarebbe immediatamente innamorata... Se nel suo polmone destro non fosse stata conficcata una pallottola da Magnum 92FS; se il sangue la smettesse di sgorgare; se potesse riavvolgere il tempo come fosse una cassetta, come abbiamo fatto tutti da piccoli quando, per non perdere tempo prima di vedere il nostro cartone animato preferito, giravamo il nastro con una matita.
Se l'avesse saputo non si sarebbe ovviamente mai immischiata in affari che non erano i suoi.. Tutto perché vuole sempre aiutare, vuole sempre essere utile, vuole sempre essere la parte più importante dell'ingranaggio.. Ma avrebbe dovuto sapere che la parte della macchina che lavora di più è anche quella che si rovina per prima, che si consuma.. Che è da buttare.
Ellen, adesso, è solo da buttare.
16 anni passati ad aiutare tutti, tranne che se stessa, e adesso ne paga le conseguenze.
Anzi, non pagherà niente. Non ce ne sarà il tempo. A meno che i soccorsi non arrivino in tempo.
Ma quanto impiegheranno per trovarla? Ora spera solo che il sangue, nel momento in cui la troveranno, starà ancora circolando per il suo corpo, anche se forse avrà perso i sensi.
Perché questo? Questi "superpoteri", come lei li chiamava... Perché non hanno combattuto il crimine? Perché non le hanno salvato la vita in un momento di difficoltà? Perché non le hanno permesso, che so, di volare via? Di ascoltare a kilometri di distanza, o avere la vista a raggi X? Perché Dio chiama a sé una ragazza con ancora tutta la vita davanti e lascia in vita persone che non lo meriterebbero? Se io fossi Dio, e il paradiso esistesse, porterei su tutte le persone che soffrono e farei loro vivere una vita migliore, mentre lascerei giù quelli che se la sanno cavare e ancora più giù quelli che non meritano nemmeno di cavarsela. È per questo che non credo che esista. Se porta su Ellen, allora non ha capito nulla. Lei non soffriva, era solo un po' triste, alle volte. Ma chi non lo è? La vita è fatta di alti e bassi, o sbaglio? A te non è mai successo di essere un po' giù per un periodo e poi ti passa tutto? A me succede. E anche ad Ellen. Ma questo non vuol dire che meritava di morire.
Perché le cose brutte succedono a chi non lo merita? Lei aveva soltanto bisogno di essere amata, solo questo.
Ed ora, in attesa che i soccorsi arrivino, incrociando le dita per lei, vi racconterò la sua storia.. Da quando è cominciata a quando si è cacciata in questo pasticcio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Love me ***


Al ritorno da scuola, quel freddo pomeriggio di gennaio, Ellen si rifugiò a casa di Bill, che abitava lì vicino.
  Erano compagni di classe da ormai due anni, durante i quali le avevano passate tutte. I progetti di coppia, le liti, i discorsi profondi e gli abbracci che sono il rimedio migliore contro le delusioni. E, qualche volta, si erano anche amati, se così possiamo dire. Di nascosto da tutti, nel buio della cameretta di lui.. Quella camera dove erano successe così tante cose. Eppure erano ancora lì, quel pomeriggio, a giocare alla play station come due bambini.
  Si divertivano molto insieme perché, in fin dei conti, erano simili.. Eppure così diversi.
Lui era alto e di bella presenza e sapeva di esserlo. Era popolare e le ragazze gli morivano dietro, ma per lui non esistevano nemmeno.
Lei era bella e non si amava. Metteva gli altri prima e ci andava sempre a perdere, in ogni situazione. E quando amava, lo faceva con tutta se stessa.
  Appena smise di piovere, Ellen decise di tornare a casa per arrivare in tempo per cena.
Così, circa cinque minuti dopo erano entrambi ai piedi del palazzo, nascosti sotto una tettoia dagli occhi curiosi degli amici che abitavano nei palazzi intorno e quelli della famiglia di Bill.
Si abbracciarono, lei si perse tra le sue braccia e desiderò di non tornare mai più indietro. Poi lui la sciolse e si sentì vuota, come tutte le volte che succedeva.
  Stava per andare via e gli rivolse un'ultimo sguardo, lui la salutò con la mano e le mandò un bacio. Lei fece lo stesso e attraversò il vialetto.
  Camminando, s'infilò l'ipod nelle orecchie e proseguì, allegra.
Vide una ragazza in lontananza che piangeva.. Nei momenti in cui era felice non riusciva nemmeno ad immaginare la tristezza.
Chissà qual era il motivo! Era così curiosa.. Avrebbe voluto tanto chiederglielo, anche se sapeva che non sarebbe stato molto carino.
Eppure, a lei sarebbe piaciuto sentirsi chiedere "come va?" quando tutto andava male. Nessuno lo faceva mai. Era vista soltanto come un oggetto dagli altri, qualcosa da sfruttare e poi buttare via. Sempre la ruota di scorta, sempre la secchiona disponibile, sempre la tipa pronta ad uscire e divertirsi a "comando", anche quando proprio non aveva voglia.
Sembrava ne avesse sempre voglia, non aveva mai detto di no. Una "party girl", possiamo dire.
  Nessuno sapeva cos'aveva dentro, nessuno sapeva dell'amore segreto che nutriva per un compagno di classe carino, nessuno sapeva dell'odio verso sua madre e delle nottate passate a piangere. Segreti che tutti hanno, c'è chi li racconta e chi no.. E lei non li raccontava. Le sarebbe piaciuto, però, essere riempita di domande proprio su questo; avrebbe voluto dire tutto, ma il coraggio le mancava.
Poi, arrivò un ragazzo, Jake. Un comune ragazzo che scavò a fondo, allo stesso modo in cui lei faceva. Divenne il suo migliore amico e da allora si rivolse a lui per ogni problema. La loro amicizia era invidiata da tutti perché sembrava perfetta: erano quello che tutti si immaginano quando pensano alla parola "amicizia".
  Decise, allora, di chiedere a quella ragazza cosa succedeva... Proprio come Jake aveva fatto con lei, proprio come si raccolgono i cagnolini abbandonati e si portano a casa per dar loro cibo, acqua, un tetto e tanto amore.
  Si sedette, allora, al suo fianco e le chiese "come va? perché piangi?"

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** friends ***


"Chi sei?" fu l'immediata ed ovvia risposta. La ragazza teneva gli occhi bassi perché, in alcune situazioni, proprio come quella, ci si vergogna. Di cosa, esattamente? Probabilmente di noi stessi perché non vogliamo mai mostrare agli altri le nostre debolezze.
"Che maleducata, scusami! Io sono Ellen, piacere" Le porse la mano.
Un po' diffidente, l'altra, porse la propria, tirando su col naso. "Io sono Meredith"
"Bene, ora non siamo più estranee.. Puoi raccontarmi tutto"
"Perché dovrei? Ci siamo appena conosciute! Io non so niente di te!"
Era difficile spiegare il perché di quella preoccupazione, soprattutto per una ragazza timida come Ellen; era difficile dire di voler condividere la felicità con tutti perché era proprio di questo che secondo lei la felicità era fatta. Ed era difficile soprattutto dire che le sue lacrime le avevano spezzato il cuore, in un momento di gioia. Nonostante questo trovò le parole: "Proprio perché non sai niente di me, e io non so niente di te. Non so da quali esperienze vieni, e nemmeno tu sai da quali esperienze vengo io. Questo fa di noi due perfette estranee, e chi può aiutarti meglio di un estraneo? In fin dei conti, i nostri giudizi sono sempre influenzati dal parere che abbiamo di una persona, se ci piace o no. Ma tu mi sei indifferente, perché non ti conosco. Anch'io mi sono fermata alcune volte in mezzo alla strada nel primo posto al riparo che trovavo per poter piangere in pace, perché a casa di pace non ne ho. Quindi appena ti ho vista, ho visto me stessa di qualche mese fa, quando tutto quello che avrei voluto era soltanto una persona che mi aiutasse senza giudicarmi, una persona che non conoscesse la mia vita, ma potesse aiutarmi perché sapeva immergersi in quello che dicevo, e io lo so fare. Per questo voglio aiutarti. Voglio darti quello che io non ho mai potuto avere."
La ragazza alzò gli occhi, stupita. "D'accordo" Balbettò, leggermente incredula "credo di poterti raccontare.."
"Cosa ne dici se prima ci andiamo a prendere un caffè, così ti calmi un po'? Non credo di riuscire a capire molto se mentre parli singhiozzi"
Meredith arrossì leggermente e tirò di nuovo su col naso. Ellen le offrì un fazzoletto e le chiese cosa c'era che non andasse.
"Non ho soldi con me.." rispose in un sussurro.
"Non preoccuparti, oggi offro io" rise "per ridarmeli ci sarà il tempo.
Entrarono nel bar più vicino e ordinarono due cappuccini e due cornetti a cioccolata. Quando Meredith si calmò Ellen propose di fare una visita al bagno, dove le prestò un po' di correttore e fondotinta per nascondere i segni del pianto. "So cosa significa tornare a casa ed essere riempiti di domande tipo "hai pianto?" e dover inventare una scusa... Per questo pensavo che volessi evitarlo" si giustificò.
La nuova amica concordò, finito di truccarsi uscirono dal bagno per pagare.
"Sono cinque euro e sessanta, ragazze"
"Cazzo, mi mancano sessanta centesimi! -disse Ellen, rivolta a Meredith. Poi si rivolse al cameriere -Non è che ci potrebbe fare uno sconto, per questa volta?"
"Signorina, noi qui le paghiamo le cose, sa. Non so come funzioni a casa sua, ma nessuno ci regala niente."
"Lei ha ragione, ma vede.. In che altro modo potremmo fare adesso?"
"Avrebbe dovuto pensarci prima."
"Non ci ho pensato, credevo che con cinque euro ce l'avrei fatta."
"E invece no" iniziava a stizzirsi.
"Bene, come posso fare? La mia amica, qui, non ha nemmeno un soldo e io non ne ho più! Cosa propone lei?" strano come una lite stupida potesse rovinare l'umore anche alla più felice delle persone.
"Me li portate la prossima volta"
"Perfetto, non mancheremo.- si rivolse poi a Meredith - usciamo di qui"
"Agli ordini, capo!"
Appena uscite risero per un quarto d'ora intero, senza fermarsi. Arrivarono al punto da avere le lacrime, ma non lacrime amare, non taglienti, non cattive. Lacrime buone, queste. Lacrime che fa piacere lasciar uscire.
Fu una risata isterica e insieme divertente, come quando vedi una persona correre sui binari del treno e cadere... Hai paura per lei, perché il treno potrebbe arrivare e quindi arriva il momento di isteria, di nervosismo.. Però allo stesso momento una caduta è sempre divertente.
In questo caso, vedere il divertimento l'una negli occhi dell'altra rese il tutto ancora più ridicolo e appena l'accesso di risa passò, Ellen tornò alla prima domanda: "Bene, ora vuoi raccontarmi cosa è successo?"
"Oddio, me n'ero dimenticata! Certo, sediamoci qui e ti dico tutto."

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** the truth ***


Gli occhi blu, proprio del colore del mare, di Meredith per qualche secondo scrutarono il pavimento; probabilmente era indecisa se parlare o no, o non sapeva da dove cominciare... O magari pensava a quanto stupido potesse sembrare il suo motivo, ma ormai c'era: sarebbe stata ascoltata e giudicata su qualcosa che la toccava nel profondo da una persona che a stento conosceva. Una persona, quella, però, che aveva segretamente soprannominato "Il mio Angelo" e avrebbe continuato a chiamarla così per tutta la vita, senza che lei lo sapesse. Una persona che l'aveva raccolta da terra quando era caduta e l'aveva fatta sentire subito meglio, era riuscita a farla ridere e quasi anche a dimenticare la tristezza. Una persona che meritava di essere conosciuta nel profondo, con cui valeva la pena essere amici.
  Sentì un attacco di fiducia nei suoi confronti, di quelli che quando proprio non sai a chi rivolgerti ti spingono verso la persona che inconsciamente sai che ha le braccia aperte e ti aspetta, ma non riesci ad arrivarci razionalmente; allora cominciò: "Qualche mese fa c'era un ragazzo che mi corteggiava, si chiamava Bill. Era molto carino, mi piaceva da almeno due anni... Sembrava proprio che si fosse innamorato di me. Ogni giorno mi faceva un regalo diverso, mi veniva a prendere a scuola e mi chiamava tutti i pomeriggi. - Si passò una mano tra i ricci castani, tinti solo alle punte di un castano più chiaro tendente al rosso - L'anno scorso, il giorno del suo compleanno, lui era in punizione perché stava andando male a scuola e io decisi di andare a casa sua per fargli una sorpresa, abitava proprio da queste parti: comprai un peluche enorme a forma di ranocchio che mi aveva indicato qualche giorno prima girando per i negozi, aveva detto che gli piaceva tanto. - iniziò di nuovo a tirare su col naso, poi proseguì - Bussai al suo palazzo e lui mi rispose "scendo!". Ci incontrammo e gli diedi il regalo, lui mi ringraziò e ci sedemmo proprio su questo muretto a parlare... - la parola le si bloccò in gola a causa delle lacrime che ricominciavano a scendere - Poi mi baciò e mi disse che non mi avrebbe mai più lasciata, per nessun motivo" Ora le lacrime scorrevano violente e singhiozzava.
  Il sangue si gelà nel corpo di Ellen: aveva capito. Non sapeva cosa fare, quindi la lasciò sfogare, poi decise di fare qualcosa, ma non sapeva stabilire se fosse giusto o no. Si schiarì la voce e disse "È molto bello, ma non capisco... Dov'è il problema?"
Allora l'amica per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare alzò lo sguardo e proseguì, specchiandosi nel verde degli occhi del suo Angelo: "ricordare quando tutto era così felice, così perfetto.. In un momento come questo mi fa sentire piccola, incapace, stupida. E mi fa stare male. Perché prima sono riuscita a raggiungere il mio obiettivo più bello, e adesso nemmeno riesco a muovermi? Come se fossi caduta in un burrone giocando a mosca cieca, che da piccola era il mio gioco preferito, giocarci mi rendeva sempre felice. Come se non riuscissi ad arrampicarmi su per quella scarpata, a ritornare in carreggiata perché tutto questo mi ha distrutta. Come avere le ossa rotte, come quando sogni di voler correre perché c'è qualcuno che ti insegue... Ma non ci riesci. Mi sento con le mani legate e tutto questo mi uccide." Aveva tirato fuori una forza incredibile, avrebbe potuto spostare un masso ed Ellen ne era sicura. Non capiva come aveva fatto a ricacciare in dentro le lacrime, parlare con tutta calma e poi ritornare a compiangersi, probabilmente non se n'era nemmeno accorta. Allora si decise a chiedere: "puoi dirmi cosa succede in questo periodo, esattamente?"
  Vide il viso di Meredith sbiancare, poi le labbra morbide e calde iniziarono a muoversi in un sussurro: "Qualche giorno dopo mi ha lasciata. Mi ha detto che si era innamorato di un'altra e mi preferiva "come amica"... Come se lo fossimo mai stati. Io accettai la cosa, dovevo per forza: non volevo che uscisse dalla mia vita. Io lo amavo, io lo AMO. In quel momento non sapevo come avrei potuto andare avanti, senza di lui. Così, i giorni passarono. Lui continuava a chiamarmi, a farmi regali, a dirmi "ti amo"... Diceva che era un segno d'affetto e che lo faceva con tutte le amiche. Mi ero sempre e soltanto illusa. Ma ogni volta che gli ero vicina o che lo sentivo, il cuore iniziava a battermi in gola e non riuscivo a respirare. Non avevo mai provato niente di così forte, così oggi avevo deciso di andare a casa sua, parlarci... E vedere se in qualche modo era ancora attratto da me e avremmo potuto tornare insieme". Riprese fiato, dopo aver parlato, le lacrime continuavano a sgorgare, ma senza sforzo. Incontrollate.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** forever ***


L'Angelo dagli occhi verdi appariva perplesso, ma non parlava.
  A quel punto Meredith se ne accorse e continuò a parlare "sono arrivata circa cinque minuti fa. L'ho visto con una ragazza, nascosti sotto la tettoia del palazzo probabilmente a baciarsi. Mi si è spezzato il cuore nel petto. Non mi ha mai amata e non mi amerà mai... Come avrei potuto crederlo?"
  Un barlume di senso di colpa s'illuminò negli occhi di Ellen, ma si limitò ad abbassarli e a dire "continua..." con voce anche abbastanza incerta.
"Non ho più niente da dire. Mi sono illusa anche dopo che lui mi ha dimostrato di non tenerci e mi sono fatta del male da sola convincendomi che anche lui volesse riprovarci. Come ho potuto permettermi di farmi così del male da sola?"
"Tutti ci facciamo del male, a volte. È nella nostra natura"
"Perché?" scoppiò in un pianto isterico e l'amica l'abbracciò. Anche i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma le ricacciò dentro. Non avrebbe dovuto saperlo.
"Perché quando ci perdiamo abbiamo bisogno di tornare all'origine. E se l'origine è il dolore, è a quello che torniamo. Oppure, perché vogliamo stare meglio. Abbiamo creato la speranza, per stare meglio nei momenti in cui vediamo tutto nero, ma paradossalmente è la prima a farci stare male."
"Hai ragione.. Devo smettere di sperare in cose che non accadranno mai"
"Ma se poi, per un caso, dovessero accadere?"
"Cose come questa, come me e Bill insieme.. Non accadranno mai. Lui ama davvero quella ragazza con cui era oggi, ne sono sicura. Ho letto nei suoi occhi qualcosa che non ci ho mai letto quando era con me. Ci ho letto l'amore, il desiderio. La ama, la vuole. Come non ha mai voluto me. Devo arrendermi e andare avanti e adesso che ho esorcizzato la mia speranza sono pronta a farlo."
"Sei davvero sicura di volerlo?" Ellen era perplessa, e triste. E il senso di colpa la consumava dall'interno, ma allo stesso tempo era felice che qualcuno le avesse detto che il ragazzo di cui è follemente innamorata la ricambia. Ma non poteva dire nulla di tutto ciò.
"No, non lo voglio. Ma non ho altra scelta.- Si asciugò le lacrime col dorso della mano e prese il cellulare con l'altra -devo tornare a casa, dammi il tuo numero così domani ti chiamo!"
Si scambiarono i numeri di cellulare e s'incamminarono ognuna per il tragitto verso casa sua.
Meredith si fermò poco lontano, si girò e chiamò "Ellen!"
"Sì?" si girò anche lei.
"Mi prometti solo una cosa?"
"Certo, dimmi!"
"Saremo amiche per sempre?"
"Sempre."
Appena si girò, le lacrime di Ellen iniziarono a sgorgare veloci e incontrollate, perché la sua felicità aveva reso triste qualcun altro, qualcuno che forse meritava di più e non sapeva niente.
Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi e questo la faceva stare ancora peggio.
La sua vita era diventata da un sogno a un incubo, e non vedeva modo di uscirne.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** what now? ***


Nel buio della sua stanzetta i dubbi prendevano una forma quasi umana, percettibile.
Le aleggiavano intorno come angeli neri, come quando sei tra veglia e sonno e vedi ombre di cose che in realtà non ci sono.
Stava piangendo.
Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto dirglielo? Avrebbe dovuto mantenere il segreto?
Non sapeva più cosa fare e quella strana proiezione della sua mente continuava a volteggiare sulla sua testa.
Iniziò a pregare, non sapeva chi, non essendo cattolica.
Guardò il telefono con il numero di Meredith segnato su, indecisa se chiamarla o no.
Poi guardò l'ora. Le undici e cinquantasei.
Era ancora sveglia?
E se le avesse dato il numero sbagliato?
Se non ci tenesse davvero a lei?
Per un attimo ci sperò, e si sentì davvero cattiva.
Ci sperò perché così uno dei suoi problemi si sarebbe risolto da solo.
Ma cosa stava pensando?
Gli amici non sono problemi, al massimo i ragazzi lo sono.
A chi avrebbe dovuto rinunciare?
Decise di chiamarla.
Compose il numero.
Sentì squillare.
Aspettò.
Sentì dall'altro capo del telefono una voce assonnata, ma familiare.
-Pronto? Ellen? Cosa succede?

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Iron clouds ***


Nella gola di Ellen si formò un nodo. Sembrò non riuscire a respirare per un attimo.
-Ellen? Ho sonno, per favore... Mi fai preoccupare, è tardi. È importante?
-Sì. -Riuscì finalmente a dire, tra le lacrime. -è molto importante. E so che è tardi...
-Oh mio dio, Ellen! Che succede!
-Sono io.
-Lo so che sei tu.. "Che succede?" ho detto!
-Meredith, non succede nulla.
In quel momento la ragazza si accorse che l'amica non l'aveva mai chiamata per nome, quasi si commosse. -E allora, perché mi hai chiamata?
-Ora non succede nulla, ma ho fatto una cosa bruttissima e ho bisogno di parlarne con te.
-Possiamo parlarne domani?
-Per favore.. Non riesco a dormire.
-Stiamo alla stessa scuola (ti ho stalkerato un po' su facebook prima), possiamo parlarne lì... Ti prego, ho un compito in classe domani. Ho bisogno di riposare.
Ellen scoppiò a piangere -Scusa! Scusami! Non volevo!
E riattaccò.
  Si accovacciò sul letto, distrutta.
Sentiva come se sulle sue spalle si fosse posata una nuvola d'acciaio, invisibile e pesantissima...
Non riusciva a muoversi.
  Il telefono iniziò a squillare, lo ignorò.
Insistette, continuò ad ignorarlo.
Mise il silenzioso.
E mentre l'amica, dall'altra parte, insisteva per chiamarla lei pianse, pianse tutte le lacrime che aveva in corpo.
  Il telefono smise di squillare.
  Poi, senza accorgersene, Ellen scivolò lenta tra le braccia di Morfeo.
  Come dirlo a Meredith?
Come farle capire che il suo bene, alla fine di tutto, era sincero?
Come fare per non farla arrabbiare?
Per non ferirla?
  La sua felicità, ora, le stava a cuore più di tutto. Eppure, era lei stessa la causa della sua tristezza.
  I pensieri continuavano ad assillarla, a girarle intorno come ombre, nuvole d'acciaio.
Ma quando sprofondò nel sonno, e sognò i colori. Sognò la felicità.
L'avrebbe mai raggiunta?

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** at the beginning ***


La mattina dopo, Ellen si vestì in fretta e uscì di casa. Non vedeva l'ora d'incontrare la sua amica, per poterle dire tutto.
  Si mise sotto la fermata ad aspettare il bus che arrivò dopo pochi minuti. Il suo volto appariva triste e in quel momento si chiese perché non esistevano altre persone come lei, perché nessuno si fermava a chiederle "come va?", nessuno le offriva un cornetto e un cappuccino caldo, e un po' di ascolto, un po' d'amore.
  Si mise a sedere nel primo posto libero che trovò e si lasciò trasportare, fisicamente dal bus, psicologicamente dai pensieri.
  Pensava a cosa avrebbe dovuto dire, si preoccupava. Come esordire? "Ehi, Meredith! Come va? Sai che sono io quella che ti ha spezzato il cuore?" No, non funziona. Qualcosa che non la faccia soffrire. Pensa, pensa.
  E qualcosa come "Meredith, stanotte ti ho chiamata per dirti che sono io, la ragazza che hai visto con Bill quando piangevi".. No! Diamine.. Perché tutto quello che pensi la notte, la mattina dopo suona così stupido?
  Ad un certo punto, Ellen notò un vecchietto sul sedile proprio di fronte al suo. Aveva gli occhi bassi, la testa bassa, illuminata dal sole laddove non c'erano più capelli probabilmente da qualche anno. Aveva un viso triste, le rughe tendenti al basso facevano pensare ad una vita priva di gioia, felicità sincera.
  Si chiese per quale motivo un uomo che un tempo doveva essere tanto bello, fosse stato infelice durante la maggior parte della sua esistenza. Iniziò a porsi domande, a cui credeva non sarebbe mai riuscita a trovare risposta. Era a causa di un lutto grave? Aveva perso i genitori? Forse qualche amico, dato che probabilmente aveva prestato servizio militare. A causa di un amore non corrisposto? No, gli uomini non soffrono per queste cose, così pensava Ellen. Loro sono forti, li ammirava per questo.
  Si accorse che era quasi arrivata e si alzò a prenotare la fermata. Per sbaglio toccò il braccio dell'anziano seduto e successe.
  Per la prima volta, successe.
  Quello che lei iniziò a chiamare "superpotere", che poi la spinse nei guai.
  Quello che le procurò tanta gioia, ed una ferita d'arma da fuoco.
  Ecco com'è cominciata.
  Dentro un bus, con un vecchietto addormentato e dallo sguardo triste.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** review ***


Chi era intorno in quel momento vide una ragazza come tante, come tutte, alzarsi e premere il pulsante per prenotare la fermata, camminare fino alla porta e scendere dal pullman per sedersi sulla prima panchina, scuotere la testa e rimanere ferma per qualche minuto a contemplare il nulla, come sconvolta.
  Quello che successe fu molto più strabiliante.
  Inizialmente, Ellen non vide nulla. Il mondo si oscurò intorno a lei ed ebbe solo una sensazione di profonda tristezza, che credette le avesse inumidito gli occhi. Seguì un dolore lancinante, come un pugnale fisso nella coscia destra...
E tutto si schiarì.
Un'esplosione di luce che le accecò gli occhi che credette di coprirsi con la mano, e solo allora iniziò a volare.
  Vide gli anni riavvolgersi, uno dopo l'altro.
  Il processo si arrestò ed Ellen si guardò intorno. Solo che non era più Ellen. Il suo corpo era cambiato: aveva corti capelli castani, un po' ricci, tenuti fermi da gelatina, un fisico muscoloso, occhi verdi, labbra carnose, naso lungo e importante e un'uniforme dell'esercito americano dell'epoca. Davanti a lei c'era la ragazza più bella che avesse mai visto, i suoi capelli erano morbidi e profumavano di buono e i suoi occhi erano i più belli che avesse mai visto... Anche se da questi sgorgavano fiumi e fiumi di lacrime.
  "Tornerò" si accorse di aver detto, con la voce rotta "te lo prometto, Sarah"
  "Sono sicura che non lo farai..." sussurrò lei "E se dovessi sopravvivere, sposeresti una di quelle ragazze di buona famiglia..."
  "Non sposerò mai una di loro. Io ti amo"
  "Non importa, ormai, Edward..."
Ellen versione uomo ricacciò in dentro le lacrime e abbracciò la ragazza, poi le loro labbra sigillarono tutto con un bacio.
  "Vattene" disse lei "e, ti prego, non farti più vedere."
  "Ho intenzione di chiederti in sposa"
  "Sai bene che sono promessa ad un altro"
  A questo punto Ellen/Edward non riuscì a trattenersi di nuovo, e scoppiò in un pianto. Sarah l'abbracciò, sentì la pressione dei suoi seni fasciati nel vestito sul suo petto ed avvertì un leggero calore all'altezza dell'inguine. La respinse.
  "Devo andare, ora" disse.
  La donna iniziò ad indietreggiare fino a che non sparì alla sua vista, ed Ellen/Edward si sentì morire dentro.
  Mentre rifletteva, volò su un campo di guerra, indossava la stessa uniforme ed i capelli erano ancora incollati con la gelatina, ma la pettinatura non era più così composta per via del sudore e del terriccio che vi si era attaccato. Aveva in mano una granata e stava per attivarla.
Affianco a lei, c'era un altro ragazzo sui diciotto di bellissim'aspetto e con una voce profonda. Ellen si accorse che Edward provava un'attrazione fisica molto forte nei confronti di quel bel soldato.
  Di fronte a loro, un accampamento nemico. Se avessero lanciato la bomba avrebbero distrutto tutto, compresi gli infiltrati del loro gruppo.
  Scese una lacrima sulla guancia di Ellen/Edward, che si affrettò ad asciugare, per non farsi vedere. Il bel ragazzo, il cui nome era Friedrich, disse "che aspetti, soldato?" accarezzandogli la spalla "so che puoi farlo"
  "Non ci riesco... C'è il mio migliore amico lì in mezzo! Se dovessi scegliere tra l'uccidere lui e farmi uccidere mi farei uccidere anche due volte!"
  "Se lo fai, sarà morto con onore. Sarà morto per salvare la sua patria! I sentimenti sono roba da donne. Ho visto morire molti amici. Si supera. Sopravvivere da eroe, o morire da checca? Devi scegliere."
  Allora, Ellen/Edward tolse il tappo alla granata.
  E la lanciò.
  Piangendo.
  Nella direzione opposta a quella in cui avrebbe dovuto lanciarla.
  "Ma cosa fai, imbecille?!"
  "Ho scelto"
  Immediatamente, tutto il plotone avversario si riversò contro Ellen/Edward e Friedrich. Lei si beccò una pallottola dritta nella coscia destra, lui riuscì a fuggire.
  Ellen/Edward vide arrivare verso di lei/lui il suo migliore amico e, piangendo, disse "L'ho fatto per te..."
  "Mi hanno scoperto, idiota!" Disse lui, arrabbiato "Ora ci uccideranno tutti!"
  "Non volevo che morissi così... Per mano mia..."
  "Morirò lo stesso, adesso! E da perdente! Scappiamo, adesso!"
E sentì di nuovo quella sensazione di vuoto allo stomaco, come essere sollevati. Si ritrovò in una stanza squallida e piccola, dove alloggiava il suo squadrone.
  Tutti ce l'avevano con lei.
  Si rinchiuse in bagno, a piangere.
  Sentì bussare alla porta e chiese "chi è?"
  "Sono io, Friedrich. Apri la porta"
  "No"
  "Dai, ho qualcosa di importante da dirti..."
  "Non voglio saperlo"
  "Ti ho detto di aprire, oppure faccio rapporto al generale"
  Ellen fece scattare la serratura. "Cosa c'è?"
  "Fammi almeno entrare, e ti spiego"
  Parlarono per ore, poi Edward fissò i suoi occhi in quelli dell'altro ragazzo e disse "posso fare una cosa? Se me lo permetti, giuro che obbedirò a qualsiasi cosa mi chiederai."
  "D'accordo..." disse l'altro, un po' dubbioso.
  Così si sporse in avanti e lo baciò. L'altro chiuse gli occhi e ricambiò il bacio, poi lo spinse via. "Ehi, cos'hai intenzione di fare? Mica sono finocchio!"
  "Era solo per vedere com'era... Mi sento molto attratto da te. Eppure sono innamorato di una donna, non so"
  "Non parliamone più, ok?"
  "D'accordo. Però manterrò fede alla mia promessa."
  "Ci conto"
  Ed Ellen fu sollevata di nuovo, arrivò alla fine della guerra, Edward era appena sbarcato nella sua città d'origine e si trovava davanti alla finestra della casa di Sarah. La vide, bella più che mai anche con qualche ruga in più e il volto triste. Stava preparando la cena, per una famiglia intera, si direbbe. Entrò in cucina una testolina bionda e riccia, un bambino di circa due anni. Baciò la sua guancia e disse "chiama il papà, è pronto a tavola". Sistemò i piatti ed entrò di nuovo il piccolo, seguito da un uomo adulto, capelli biondi e ricci, occhi chiari.
  Iniziarono a mangiare, e l'uomo disse "Sarah, hai visto? Oggi Edward sta mangiando da solo!"
  Il sangue di Ellen si gelò nelle vene e fu sollevata di nuovo... Fino ad una casa bella ed accogliente.
  Si trovava tra lenzuola di velluto rosso, al suo fianco un corpo di donna nudo, liscio, di bella presenza.
  Guardò il suo dito e vide la fede, pianse.
  "Angelica!" chiamò.
  La donna aprì gli occhi per un nanosecondo, si girò dall'altra parte e disse "buongiorno amore... Chiama la cameriera se vuoi la colazione..." e si assopì di nuovo.
  In quel momento la sensazione non fu di volare, ma di cadere.
  Ellen cadde nel suo corpo, si ritrovò seduta su una panchina, shockata. Si guardò intorno, contemplò il vuoto, guardò l'orologio e pensò "Ho vissuto una vita intera, com'è possibile che siano passati solo due minuti? Devo raccontare tutto a Meredith!"
  E si lasciò tutto il resto alle spalle. Adesso, la cosa importante era questa. Cosa le era successo? Un sogno? O qualcos'altro? Non lo sapeva, e aveva bisogno del sostegno di un'amica vera.
  La incontrò sotto scuola, e ringraziò Dio nel caso fosse esistito.
  "Meredith!" chiamò.
  "Ellen! Ti aspettavo, dimmi tutto"

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Again ***


"Siediti" disse Ellen all'amica, con aria seria.
  Trovarono una panchina e si accomodarono; negli occhi di Meredith si leggeva la preoccupazione. "Fa' che non sia niente di grave", diceva il suo sguardo.
  Ellen prese un respiro profondo e dimenticò tutto quello che aveva da dire. L'unica cosa che aveva in testa era quella appena successa. Allora cercò di farsi coraggio, guardò l'amica negli occhi e distolse immediatamente lo sguardo.
  Respirò di nuovo.
  Finalmente non ebbe nemmeno bisogno di pensare, perché le parole uscirono dalla sua bocca come un fiume, così velocemente che Meredith non aveva nemmeno il tempo di dare un silenzioso giudizio per poterle ascoltare.
  Suonavano così incredibili, ma allo stesso tempo così vere. -Ho appena visto la vita di un uomo. Tutta la vita, con i suoi occhi. Non so com'è successo, com'è possibile... Ero nel bus e stavo venendo qui e pensavo a... Alla verifica di matematica di oggi... E c'era un vecchietto che dormiva, era triste e io mi chiedevo che avesse, poi mi sono alzata per prenotare la fermata e l'ho toccato e allora è successo tutto così velocemente. Non lo so, mi sono sentita come in un tunnel, come spinta verso il nero, anzi no... Come scaraventata. E vedevo tante scene, che svanivano dopo poco, come un caleidoscopio. Ed ogni volta era come se fossi io a viverle ed ero un uomo, mi chiamavo Edward. Ero innamorato di una donna e poi ero innamorato anche di un uomo... Ero triste, ero felice, ero confuso, ero arrabbiato, avevo dei rimorsi, dei rimpianti, avevo il peso di una coscienza, avevo delle lacrime da piangere e dei sorrisi da sfoggiare... Ho provato tante di quelle emozioni che non so nemmeno descriverle, alcune che non sapevo nemmeno esistessero e adesso sto raccontando tutto a te che mi prenderai per pazza, ma ti giuro... GIURO, che non me lo sono immaginata. Non so cosa darei per farlo vedere anche a te.
  Riprese fiato. Sembrava che i polmoni le stessero per scoppiare. L'amica che l'aveva ascoltata in silenzio, impassibile fino a quel momento, iniziò lentamente ad assimilare, a realizzare cosa le era appena stato detto.
  Nei suoi occhi, ecco apparire la paura. Inevitabile. L'espressione sul volto delle due era la medesima: Ellen stava iniziando a capire cosa aveva appena detto. "Mi prenderà per pazza!" erano le parole che le giravano per la testa come un vortice.
  -Okay- Iniziò Meredith -ammetto che è assurdo. Però so che non sei pazza e quindi un fondo di verità ci dev'essere. Ti è mai successo con me?
  -No...- Rispose Ellen, incerta, e toccò l'amica. Non accadde nulla. Meredith tirò un sospiro e l'amica non seppe interpretare il suo sguardo... Oppure aveva solo paura di farlo. -Devo trovare quell'uomo
  -Tu cosa?
  -Certo, non mi sarà difficile. Sono stata lui, lo conosco come lui conosce se stesso, quindi trovarlo non mi sarà difficile. Voglio vedere se dipende da me, oppure da lui.
  -E come vuoi chiederglielo? "Ehi, amico, sono stata te e ho visto tutta la tua vita, volevo sapere soltanto se ho un dono speciale oppure tu sei uno strano tipo di mostro che fa vedere i suoi pensieri a chiunque lo tocca"?
  -Qualcosa del genere. Se gli racconto quello che ho visto mi crederà, come farei a sapere certe cose, altimenti?
  Il cellulare di Ellen vibrò, perché lei non metteva mai la suoneria, la infastidiva. Avvertì subito che era un messaggio e guardò il display. -Oddio! Sono le 8! Dobbiamo correre, ho il compito alla prima ora!
  Entrarono giusto in tempo. Il compito di Ellen andò molto male, eppure era brava in matematica. Non le riuscì nemmeno un'operazione.
  Alla terza ora si arrese al fatto che non riusciva a concentrarsi e prese un foglio. Ci scrisse su tutte le informazioni su quell'uomo, per poterlo trovare più facilmente e per ricordarle, anche se avesse avuto qualche vuoto di memoria.
  La sua compagna di banco, Claire, la guardò curiosa -Che fai, Ellie?
  -Niente.
  -Ti vedo strana, stamattina
  -Sono sempre strana e te ne accorgi soltanto ora?
  Bill la guardava, dall'altra parte della classe, come faceva sempre, ma lei per la prima volta non restituì lo sguardo, talmente era concentrata su Edward. Meritava tutto l'amore del mondo e non ne aveva mai ricevuto davvero.
  Claire rise e si corresse -sei più strana del solito, allora.
  -Così va meglio... Ma devi farti gli affari tuoi.
  La ragazza dolce che le stava affianco mise il broncio e prese una manciata di patatine dalla bustina che teneva, come sempre, nella tasca destra del giubbotto che non toglieva mai. Non esisteva, probabilmente, persona più freddolosa. I suoi occhi brillavano di curiosità e più volte cercò di sbirciare su quel foglio che l'amica scriveva, senza successo.
  -Okay, se non mi dici cosa scrivi non ti parlo per tutta la giornata.
  -Fa' come vuoi.
  Allora Claire la guardò sbigottita. Da quando l'aveva conosciuta non era mai stata così scortese. -Vuoi una patatina? Non le offro mai a nessuno, ma per una volta potrei fare un'eccezione...
  -No.
  Ci rimase ancora più male, soprattutto per il tono brusco che aveva avuto quella risposta -Senti, ora tu mi dici qual è il tuo problema!
  Nel dirlo la scosse per il braccio ed ecco che Ellen spalancò gli occhi. Stava succedendo di nuovo.
 
---
 
Ciao a tutti, chiedo scusa se sono stata assente per così tanto tempo... Ho scritto tantissimo, e appena riesco a trovare tutti i fogli pubblico il resto! Ho avuto dei problemi a scuola (rimandata con tre materie..) e ora devo studiare per gli esami, quindi fino al 15 luglio continuerò a non essere molto presente.. Chiedo scusa a tutti di nuovo.
In ogni caso, grazie per le recensioni e per avermi letta... Non ci speravo nemmeno che sareste stati così tanti! Un bacio a tutti!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1577925