On a stormy sea of moving emotion.

di Alchbel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Klaine Break-up + Cooper ***
Capitolo 2: *** Day 2: Disney!Anderbros ***
Capitolo 3: *** Day 3: Scambio di corpi ***
Capitolo 4: *** Day 4: Cooper professional cockblocker ***
Capitolo 5: *** Day 5: Coming out ***
Capitolo 6: *** Day 6 - Hogwarts!Anderbros ***
Capitolo 7: *** Day 7 - Children!Anderbros ***



Capitolo 1
*** Day 1: Klaine Break-up + Cooper ***


On a stormy sea of moving emotion.

 

 

Day 1: Klaine Break up + Cooper 

 

Di chiacchiere dietro la porta.

 

 

 

Blaine si chiuse la porta alle spalle senza neanche accendere la luce di casa, lasciando cadere la borsa da qualche parte per terra  e sospirando, pesante. Ringraziò il cielo di essere solo in casa quella sera e aiutandosi con la poca luce del proprio cellulare si fece strada fino alle scale: non aveva voglia di vedere nulla, di fare nulla – quello che voleva era gettarsi sul letto e sprofondare in un sonno profondo per chissà quanto tempo, forse per sempre.

 

Non chiedeva altro e mentre stava per salire le scale non poteva che pensare a quello che aveva fatto. Avrebbe voluto smetterla, perché era stata la sua unica occupazione per tutto il pomeriggio, passato fuori a vagare per strade che neanche ricordava pur di non vedere nessuno, ma la mente tornava sempre allo stesso punto, sempre a quegli occhi, a quelle lacrime, a tutto il male che aveva fatto. E non riusciva a darsi pace.

 

La luce improvvisa lo stordì, costringendolo a serrare quasi del tutto gli occhi, mentre si chiedeva chi diavolo l’avesse accesa, considerato che era certo di essere da solo in casa.

 

«Sorpresa, schizzo!».

 

Quella voce spense ogni successiva domanda e Blaine in breve si trovò praticamente stretto tra le braccia del fratello maggiore con così tanta forza da non essere quasi in grado di respirare. Dal canto suo non fece praticamente nulla, dato che quella era di sicuro l’ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento.

 

«Che diavolo ci fai qui?», ebbe la forza di chiedere, mentre cercava di liberarsi dalla presa.

 

«Quale lettera della parola “sorpresa” non ti è chiara, Blainey?», lo prese in giro il maggiore, senza avere alcuna intenzione di lasciarlo andare. Il riccio resistette qualche altro secondo prima di esplodere completamente.

 

«Stammi a sentire, Cooper: tu non puoi semplicemente piombarmi in casa, farmi un agguato e abbracciarmi come se niente fosse. Lasciami andare ora!», gridò facendo forza per liberarsi dall’abbraccio e riuscendoci quasi subito. Cooper lo stava guardando sconvolto da una reazione così violenta, soprattutto considerata la compostezza che aveva sempre avuto Blaine.

 

«Schizzo, ma cosa-».

 

«Smettila! Smettila di chiamarmi schizzo e smettila di guardarmi in quel modo. Lasciami in pace e vattene!», gridò ancora il più piccolo, salendo velocemente le scale e chiudendosi in camera prima che il fratello potesse anche solo reagire alle sue parole.

 

Cooper restò per qualche istante semplicemente interdetto, le braccia tenute ancora a mezz’aria, chiedendosi che cosa fosse successo. L’ultima volta che lo aveva sentito le cose tra loro gli erano sembrate andare bene ed era convinto che avessero risolto la maggior parte delle loro faccende in sospeso quando si erano visti. Che cosa aveva sbagliato stavolta?

 

Sospirò, rattristato dalla reazione di Blaine, da come aveva spento il suo entusiasmo, ma per nulla intenzionato a darsi per vinto sulla cosa. Se suo fratello aveva dei problemi con lui, correre in camera non sarebbe stata la soluzione: ne avrebbero parlato come due persone adulte quali erano e avrebbero risolto.

 

In più, la sensazione di avergli fatto involontariamente qualche torto – e anche abbastanza grave a giudicare dalla scenata che gli aveva appena fatto – era orribile e non aveva alcuna intenzione di sentirsi in quel modo senza neanche sapere perché.

 

Fece anche lui velocemente le scale e bussò con forza alla porta di Blaine, chiusa ovviamente a chiave.

 

«Possiamo quanto meno parlarne?», insistette «Insomma, non mi pare di aver fatto nulla di grave facendoti una visita! E credevo che le cose fra noi fossero sistemate!».

 

Dall’interno della camera non venne un fiato e Cooper sospirò, poggiando la fronte ed i pugni alla porta senza sapere che cosa fare. Non era davvero questa la serata che aveva programmato per loro due: pensava che sarebbero potuti andare a mangiare un boccone e parlare tutto il tempo di quello che era loro successo negli ultimi giorni, da fratello a fratello, divertendosi come avevano così faticosamente imparato a fare.

 

«Blaine… potrei almeno sapere che cosa ho sbagliato stavolta?», sussurrò contro il legno, senza sapere più che cosa fare.

 

«Nulla», sentì contro ogni previsione e a giudicare dal suono, suo fratello doveva essere praticamente dietro la porta.

 

«E allora perché ce l’hai con me?».

 

«Io… non ce l’ho con te, Coop. Per una volta non sei al centro della questione».

 

Per quanto questa rivelazione lo risollevasse, il maggiore degli Anderson non poté non chiedersi immediatamente quale fosse, allora, il problema: perché se fosse stato lui, sarebbe stata una cosa da poter in un modo o nell’altro risolvere, mentre ora non sapeva proprio che cosa fare. Quanto sarebbe stato appropriato chiedergli quale fosse il problema? Magari non voleva parlarne e lui non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione…

 

«Allora qual è il problema?».

 

Come previsto, la domanda scappò al suo controllo prima che la testa potesse quanto meno suggerirgli di porla in modo più appropriato ed il silenzio di Blaine diede la conferma di aver fatto un’immane stupidata.

 

Complimenti, Anderson.

 

«Ho fatto una cosa orribile…», sussurrò flebile Blaine e Cooper sussultò: aveva sentito qualcosa in quella voce, qualcosa che lo aveva inconsciamente spaventato, senza che ne sapesse il particolare motivo.

 

«Ti… va di… umh… parlarne?».

 

Così va meglio, Anderson. Discreto e disponibile. Senza insistere, ma mostrandogli che ci sei. Ottima mossa.

 

Uno scoppio improvviso di pianto dall’altro lato della porta smentì immediatamente l’ultima constatazione di Cooper. Il maggiore  fece un passo indietro, spalancando gli occhi. Che diavolo aveva fatto ora?

 

Dannazione Anderson, sei stato più delicato di un elefante in una cristalleria!

 

«Blaine… hey, fratellino, su, non piangere così adesso… Che cosa- che cosa posso fare?».

 

Cooper sapeva che avrebbe dato di matto in pochi istanti se avesse continuato a sentire suo fratello piangere, restando separato da lui per mezzo di una stupida porta di legno, senza poter fare nulla e senza sapere che cosa fosse successo. Fortunatamente, anche Blaine non resistette a lungo da solo e in breve la porta si spalancò e il più piccolo volò tra le braccia dell’altro, soffocando i singhiozzi nella sua polo scura.

 

Cooper lo strinse forte a sé, quasi a volerlo proteggere da tutto quel dolore e gli accarezzò la schiena lentamente, sperando di poterlo calmare, ma quello continuava a piangere con una disperazione che in breve gli fece salire l’ansia. Qualunque cosa avesse fatto, doveva essere abbastanza grave da giustificare un simile pianto: non lo aveva mai visto tanto sconvolto, forse solo all’epoca dell’incidente alla scuola pubblica…

 

Quel pensiero lo allarmò tremendamente, tanto che staccò con violenza suo fratello da sé, prendendolo per le spalle con risoluzione e guardandolo negli occhi arrossati e pieni di lacrime.

 

«Blaine, dimmi  la verità: qualcuno ha fatto del male a te e Kurt?!», chiese quasi con rabbia, perché se fosse davvero successo, stavolta non se lo sarebbe perdonato.

 

Lo scuotere della testa di suo fratello fu una delle cose migliori del mondo in quel momento. Stava bene, nonostante fosse davanti a lui in lacrime, in quel momento Cooper sentì che suo fratello stava bene, che tutto il resto si sarebbe potuto risolvere in un modo o nell’altro.

 

«Io ho fatto del male a Kurt… io…».

 

«Schizzo, tu non potresti mai fare del male a Kurt!», lo contraddisse immediatamente: per quel che aveva visto, era una cosa davvero impossibile.

 

«Ma l’ho fatto! Io… ero così solo… e Kurt, credevo di averlo perso, ero certo che sarebbe andato via, lasciandomi indietro… e quel ragazzo… io neanche lo conoscevo, ma era simpatico e allora… è successo tutto troppo velocemente… e ho capito di aver sbagliato solo quando era troppo tardi. Ho capito che sarebbe stato sempre e solo Kurt quando ormai lo avevo perso… Ho perso tutto, Cooper, tutto».

 

Al maggiore degli Anderson non servì molto altro per capire che cosa fosse successo e la cosa peggiore era che non sapeva che cosa dire. Non se l’aspettava. Certo, Blaine era un adolescente come tutti gli altri, ma davvero si sarebbe aspettato di tutto fuorché un tradimento… e la cosa peggiore era che Blaine si stava già punendo in modo tremendo.

 

Lo strinse di nuovo a sé con più dolcezza, sussurrandogli di stare calmo e che sarebbe andato tutto per il meglio. Sentiva Blaine scuotere la testa contro il suo petto, ma ad ogni negazione lui continuava a ripetere che invece sarebbe finita bene. E ci credeva. Credeva in suo fratello e credeva in Kurt. Nonostante tutto ci credeva ancora.

 

 

***

 

 

«Personalmente, se ti interessa, ho le prossime due settimane libere: sono stato previdente e conoscendoti almeno un po’, sapevo che ci avrei messo del tempo, quindi possiamo stare qui quanto vuoi… non me ne andrò fino a che non parleremo».

 

Cooper Anderson era abituato a parlare da solo: tutte le prove che aveva fatto per le sue audizioni lo avevano reso avvezzo anche a ore ed ore davanti allo specchio, a provare dialoghi e monologhi, presentazioni e battute ad effetto. Quindi per lui non era affatto un problema essere davanti alla porta dell’appartamento che Kurt Hummel divideva con Rachel Berry a New York a parlare praticamente da ore da solo. Soprattutto perché era certo che Kurt, da dentro, lo stesse ascoltando.

 

«Kurt… davvero non sono qui per tormentarti, per quanto sarai convinto del contrario… Voglio solo che mi ascolti. Non rispondi ai messaggi né alle chiamate, questo è il solo modo che ho per parlarti…».

 

Sospirò. Parlare da solo davanti alle porte si stava trasformando in un’abitudine ricorrente – almeno stavolta era seduto. Un attimo dopo era finito con la schiena a terra e gli occhi di un furioso Kurt lo guardavano dall’alto. L’attore si massaggiò la testa – che aveva sbattuto con una certa sorpresa quando il ragazzo aveva aperto la porta togliendo il sostegno su cui poggiava – e stette ad osservare il proprietario dell’appartamento che sembrava sul punto di esplodere.

 

«Se non ho risposto alle tue chiamate o a quelle di Blaine, avrò avuto un valido motivo! Non è che mi andasse semplicemente di sentire la vibrazione del cellulare! Non ho nulla da dirvi!».

 

«Lo so, Kurt. Lo so!», scattò subito Cooper, timoroso di perdere la sua occasione di parlare «Ti chiedo solo di ascoltarmi… solo qualche minuto…».

 

«E cosa mi dirai? Che è stato solo un errore? Che non voleva farlo, che non voleva ferirmi? Che sta malissimo e non chiede altro che il mio perdono? Che è ancora innamorato di me e che anche io in realtà sono ancora innamorato di lui? Che è solo rancore e che passerà presto, che ho solo bisogno di tempo?», sputò con risentimento e rabbia il ragazzo, mentre il più grande si metteva di nuovo in piedi «Cavolate! Tutte cavolate! Nessuno di voi sa cosa si prova… e per quanto io sappia che Blaine sta soffrendo, sto soffrendo anche io e tu non hai alcun diritto di venire qui a dirmi che devo perdonare Blaine solo per-».

 

«Non avrei mai osato chiederti una cosa del genere!», lo interruppe Cooper, prendendogli un braccio e cercando di fermare il fiume in piena delle sue parole.

 

Kurt rimase un attimo sorpreso dalla cosa. Non aveva intenzione di difendere Blaine? Perché era qui se non voleva difendere suo fratello?

 

«So che cosa ha fatto Blaine. So che stai soffrendo e non ti chiederei mai di perdonarlo. Ha sbagliato e tu hai tutto il diritto di essere furioso con lui… ma non fare in modo che il dolore si trasformi in odio, Kurt. Perché quello è difficile da superare e nessuno lo merita. Datti del tempo… io… non so come si supera una cosa del genere… ti chiedo solo di non avercela con lui per sempre, di dargli una possibilità, prima o poi».

 

«Non è così semplice».

 

«Lo so, Kurt… ma so anche che se non lo farai lo rimpiangerai. E non sono presuntuoso o sciocco nel dire una cosa del genere. Semplicemente, conosco mio fratello e ho imparato a conoscere te. Tu hai fatto tanto per lui e lui per te… e quando tutto questo sarà passato, quando la rabbia si sarà alleggerita, chiamalo. Provaci».

 

Kurt avrebbe voluto dirgli qualcosa, controbattere che non sarebbe mai successo, che non sarebbe mai riuscito a perdonarlo, ma in fondo non riusciva a crederci del tutto. C’era stato qualcosa in quelle parole, negli occhi che lo avevano guardato mentre le pronunciava che lo avevano smosso. Ora faceva male, ma Cooper sembrava dirgli che forse un giorno non avrebbe fatto così male, che un giorno sarebbe riuscito a chiamarlo davvero, nonostante ora la cosa sembrasse impossibile.

 

«Ora vado… ti ho scocciato anche abbastanza e ho la sensazione che se restassi qui per qualche altro istante potrebbe andarne della mia incolumità».

 

Cooper sorrise e fece per andarsene, ma stavolta fu Kurt a prendergli il braccio, fermandolo.

 

«Grazie», disse semplicemente e poi lo lasciò andare.

 

Il più grande lo guardò ancora un istante, fece un cenno col capo e gli voltò le spalle. Sperava, anzi era certo di aver capito entrambi ed era certo che in un modo o nell’altro le cose si sarebbero sistemate.

 

Insomma, era intervenuto lui! Ed era o no Cooper Anderson? Non c’era nulla che non potesse fare!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_______________________________

 

 

Ma salve a tutti! Vi siamo mancate? Qua è Alch che vi parla per dirvi che ci siamo imbarcate in una nuova Week – questa volta per gli Anderbros – che abbiamo organizzato con KikiSinger e a cui speriamo partecipino in tanti.

 

Questo prima giorno il tema era “Klaine Break-up + Cooper” come avete potuto constatare e so di essere stata alquanto banale, ma spero che vi sia comunque piaciuta :D

A domani con il Day 2: Disney!Anderbros.

 

Baci, Alch

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Capitolo 2
*** Day 2: Disney!Anderbros ***


Day 2: Disney!Anderbros 

La vera storia di Cenerentola… forse?

 

 

Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, abitava in un vecchio castello ormai in malora un grazioso fanciullo di nome Cenerentolo. Cenerentolo era molto triste, perché la sua mamma era morta dandolo alla luce e il suo papà era morto poco dopo. Tuttavia, poco prima di morire, il suo papà aveva sposato una donna che aveva due figli e –

 

 

 

«Cooper?» chiese il ragazzino più piccolo, sdraiato sul divano sotto una pesante coperta di lana.

 

«Dimmi Blaine, che cosa c’è?» sbuffò il più grande, seduto al suo fianco.

 

«Non credo che la vera storia di Cenerentola sia così, sai? Sono quasi certo che Cenerentola sia una femmina.»

 

«Stai sempre a lamentarti!» gli rispose male Cooper, scatenando nel bambino uno sguardo da cucciolo bastonato. Intenerito, aggiunse, «Me la sto inventando, d’accordo? Cambiamola un po’, ci stai?»

 

Blaine sembrò pensarci su per un attimo, poi un sorriso luminoso gli comparve sul volto. «Solo se possiamo esserci anche noi nella storia!»

 

Un sorrisetto sbarazzino illuminò il viso del fratello più grande. «Era esattamente la mia intenzione…»

 

 

 

La matrigna di Cenerentolo aveva due figli: Cooperstasia e Blaineoveffa. I due fratelli si volevano molto bene anche se non se lo dimostravano spesso; infatti litigavano quasi ogni giorno, per qualsiasi sciocchezza; la loro madre non faceva nulla per porre fine alle loro liti, perciò Cooperstasia, che era molto più furbo e intelligente di Blaineoveffa –

 

 

 

«Questo lo dici tu!» Blaine incrociò le braccia, guardando male il fratello, che però fece finta di non averlo sentito.

 

 

 

  oltre a essere il più grande, riusciva sempre a vincere. Ma non è questo il punto. Non appena il padre di Cenerentolo morì, la matrigna cattiva costrinse Cenerentolo a diventare il loro servo; gli faceva lavare i pavimenti, pulire l’argenteria, annaffiare i fiori del giardino e insomma, tutti i lavori che competono alla servitù e di certo non al vero padrone del castello.

 

Cenerentolo, tuttavia, non si lamentava mai. Faceva ciò che gli veniva ordinato e, nonostante le cattiverie che era costretto a subire, era sempre gentile e buono con tutti. Inoltre, gli piaceva cantare quando puliva, e fu proprio questo che –

 

 

 

«Che fece diventare amici Cenerentolo e Blaineoveffa!» urlò Blaine alzandosi in piedi dal divano, le mani strette a pugno e uno sguardo fiero sul viso.

 

Cooper lo guardò stranito, ma decise di far proseguire il fratellino. Chissà che storia si sarebbe tirato fuori.

 

 

 

Blaineoveffa un giorno stava girando per il castello, fischiettando una melodia di sua invenzione, quando sentì qualcuno cantare; il suono veniva da oltre la finestra, così Blaineoveffa si avvicinò per vedere di chi fosse quella splendida voce. Si stupì molto quando, oltre la finestra, giù in cortile intento a raccogliere le foglie per terra, vide Cenerentolo. Blaineoveffa non sapeva che l’altro ragazzo sapesse cantare!

 

«Ehi!» lo chiamò, spinto da chissà cosa. Cenerentolo sussultò, colto alla sprovvista, e alzò la testa verso la finestra, dove era appoggiato Blaineoveffo. «Scusa, non volevo spaventarti… solo… non sapevo che sapessi cantare…» sussurrò il ragazzo, un po’ imbarazzato.

 

«Ci sono molte cose che non sai di me…» rispose il giovane, ma la sua non sembrava un’accusa. Il suo tono di voce era triste.

 

Blaineoveffo sorrise. «Direi che è ora di rimediare.»

 

 

 

Blaine si fermò, lo sguardo fisso a terra; si stava mordendo il labbro inferiore, la fronte aggrottata dalla concentrazione. Cooper sorrise dolcemente nell’osservarlo.

 

«Dai, da qui vado avanti io,» disse, togliendo dall’impaccio il fratellino.

 

 

 

Da quel giorno, Cenerentolo e Blaineoveffo diventarono amici. Si raccontavano storie, giocavano insieme, ma soprattutto cantavano l’uno per l’altro – ovviamente senza che la matrigna di Cenerentolo lo venisse a scoprire.

 

Gli anni passarono. I due ragazzi crebbero. E con loro crebbe anche la loro amicizia e il profondo affetto che avevano l’uno per l’altro. Finché un giorno, Cooperstasia scoprì che il fratello era amico di Cenerentolo e decise di spifferare tutto alla loro madre.

 

 

 

«Ma no, Coop! Perché vuoi fare il cattivo?» si lamentò Blaine.

 

«Perché i cattivi sono sempre dei personaggi interessanti.» Cooper zittì il fratello, continuando a raccontare la storia.

 

 

 

Ovviamente la matrigna non ne fu affatto felice: non voleva certo che il suo bambino si mescolasse con certa gentaglia! Così, chiuse Cenerentolo in camera sua, nascondendo la chiave della stanza nella tasca del vestito, e sgridò Blaineoveffa, proibendogli di vedere Cenerentolo e di parlargli.

 

Blaineoveffo rimase tutto il giorno chiuso nella sua stanza a piangere, litigando con il fratello più volte e chiedendogli come mai avesse dovuto fare la spia. Ma Cooperstasia non rispondeva mai, limitandosi a rivolgergli un sorrisetto cattivo. La verità era che era geloso dell’amicizia tra Blaineoveffa e Cenerentolo. Non voleva che il fratellino avesse un altro migliore amico; era lui il suo migliore amico, nonostante i dispetti che si erano sempre fatti.

 

Blaineoveffa iniziò a raccontare di quanto Cenerentolo fosse un bravo ragazzo, di quanto si impegnasse e di quanto non portasse rancore a nessuno di loro, convincendo pian piano il fratello più grande della bontà di Cenerentolo.

 

Così Cooperstasia, vedendo Blainevoeffa molto triste e sentendosi in colpa, decise di chiedergli scusa e di aiutare il fratello a liberare Cenerentolo per farlo scappare. Così, mentre la madre era addormentata, riuscirono a toglierle di tasca la chiave della stanza di Cenerentolo e corsero a liberarlo.

 

Stavano quasi per raggiungere il portone del castello quando la matrigna si fece avanti, bloccando la loro avanzata verso la porta.

 

«Cooperstasia, Blaineoveffa! Che cosa credete di fare?»

 

«Madre, non puoi continuare a trattare Cenerentolo così! Ha diritto quanto noi di vivere una vita agiata, e non puoi impedire a lui e Blaineoveffo di essere amici,» iniziò a dire Cooperstasia.

 

«È vero madre! Io tengo molto a lui,» aggiunse Blaineoveffa.

 

«E come mai, sentiamo?» chiese la matrigna.

 

 

 

«Perché lui è bellissimo, la persona più bella che conosca e voglio che stia sempre con me!» urlò Blaine balzando in piedi, gli occhi che brillavano dall’emozione della scoperta di come concludere la sua storia.

 

Cooper fissò il fratello per un tempo indefinito. «Ma Cenerentolo e Blaineoveffa sono due uomini. Nelle favole non dovrebbe sempre esserci una principessa?»

 

Blaine ci pensò un po’ su, lo sguardo concentrato. «No,» disse infine, «non è detto. Possono anche esserci due principi.» Improvvisamente, i suoi occhi si riempirono di lacrime e Blaine strinse le mani a pugno. «Avevi promesso che avremmo potuto raccontare la storia come la volevamo noi! Io la voglio così!»

 

Cooper riuscì a tirar fuori un piccolo sorriso e fece cenno al fratellino di continuare a raccontare.

 

 

 

«Perché lui è bellissimo, la persona più bella che conosca e voglio che stia sempre con me!» urlò Blaineoveffa, mentre Cenerentolo al suo fianco lo guardava con occhi lucidi e gli rivolgeva un bellissimo sorriso.

 

Tuttavia la matrigna non sembrava intenzionata a lasciarli andare, ma all’improvviso, comparve una fata. Era la fata madrina di Cenerentolo, giunta per difendere il suo protetto e i due fratelli. La fata fece un incantesimo alla matrigna cattiva, trasformandola in una statua di pietra, permettendo così a Cenerentolo, Blaineoveffa e Cooperstasia di scappare.

 

Da quel giorno, i tre rimasero sempre insieme; erano inseparabili. E vissero per sempre felici e contenti.

 

 

 

Cooper guardava il fratellino, ora steso sul divano con gli occhi persi nel vuoto e un largo sorriso sul volto. Sembrava davvero fiero del finale della sua storia.

 

«Allora Coop, ti è piaciuta?»

 

Era così entusiasta, i suoi occhi brillavano così tanto che Cooper non poté non deluderlo – e dopotutto, la storia gli era piaciuta davvero, anche se gli aveva dato da riflettere.

 

«Sì Schizzo, mi è piaciuta…» gli rispose, facendogli una carezza sulla testa.

 

 

 

Qualche anno dopo…

 

Kurt uscì dalla stanza, gli occhi ancora lucidi per aver appena perso il suo uccellino; gli altri Warblers lo seguirono, lasciando Blaine seduto su uno dei divani della sala comune della Dalton, lo sguardo perso nel vuoto. Ora gli era tutto chiaro.

 

Estrasse velocemente dalla tasca il cellulare e digitò velocemente un messaggio, per poi alzarsi e correre fuori dalla sala comune. Aveva un ragazzo da conquistare!

 

Pochi minuti più tardi, un ragazzo stava leggendo un messaggio sul suo cellulare.

 

Credo di aver appena trovato il mio Cenerentolo – B.

 

Cooper sorrise guardando il cellulare. «Lo spero, Schizzo…» sussurrò.

 

 

 

 

NdA:

Ciao! Spero che questa seconda giornata della Anderbros Week vi sia piaciuta! Fin da quando ho avuto il prompt, l’idea di Cooperstasia e Blaineoveffa mi ha perseguitato come non mai, perciò dovevo metterla per iscritto! All’inizio mi ero immaginata una storia molto più divertente, ma la verità è che non ne sono capace, perciò mi è venuta fuori questa… cosa… xD

 

La Alch ieri non ve lo ha detto, perciò ve lo dico io – anche perché ci tengo a queste piccolezze! Il titolo della raccolta, On a stormy sea of moving emotion, è il verso della canzone Carry on my wayward son dei Kansas. Questa canzone sarebbe in realtà “la” canzone di Supernatural, e perciò molto riferita a Dean e Sam Winchester, ma l’abbiamo trovata adatta anche ai nostri Anderson – il loro rapporto, nonostante tutto, è abbastanza tormentato.

 

Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito e messo la storia tra ricordate e/o preferite. Questa settimana è un bel po’ incasinata a causa degli esami universitari, perciò cercherò di stare al passo e postare in tempo i giorni che mi competono (aggiornerò per lo più la sera, sorry!) ma prometto di recuperare tutto non appena questa settimana infernale finirà.

 

A domani con il day 3: Scambio di corpi.

 

Bel

 

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Capitolo 3
*** Day 3: Scambio di corpi ***


Day 3: Scambio di corpi

 

Why is this happening to me?

 

 

Quella mattina Blaine si svegliò con la solita sveglia che gli trillava nelle orecchie. Come tutte le altre mattine, schiaffò una mano sul comodino vicino al letto e spense quell’aggeggio infernale, per poi nascondere il viso sotto le coperte e grugnire il suo disappunto. Come al solito poi, scivolò fuori dal letto per dirigersi in bagno, fermandosi infine davanti allo specchio e passandosi una mano in quel nido che erano in realtà i suoi capelli.

 

Quella mattina però, a differenza delle altre mattine, i suoi capelli non erano  come sempre. Affatto. Erano troppo lisci, troppo ordinati. Sconvolto, Blaine si fissò per la prima volta allo specchio. E un grido gli scappò dalle labbra.

 

 

***

 

 

Qualche ora prima…

 

«Andiamo Schizzo, non puoi non essere felice di rivedermi!» Cooper lo stava inseguendo su per le scale, petulante come al solito.

 

Blaine alzò gli occhi al cielo.

 

«Andiamo, dovresti essere felice! Soprattutto dal momento che l’ultima volta abbiamo finalmente chiarito e ora ci vogliamo più bene che mai… giusto Schizzo?»

 

Esasperato, Blaine si fermò davanti alla porta della sua stanza. «Ovvio che mi fa piacere vederti, Cooper! Ma avrei di gran lunga preferito che tu ti facessi vedere una o due ore dopo…»

 

«Già…» sul volto di Cooper spuntò un sorrisetto diabolico, che portò subito Blaine a preoccuparsi.

 

«Oh no, non dirlo neanche, non osare-»

 

Ma ovviamente non venne ascoltato.

 

«Non pensavo che tu e Kurt ci deste dentro in questo modo!»

 

Blaine grugnì, arrossendo di colpo e nascondendosi il viso tra le mani. Cooper era entrato nella sua stanza senza nemmeno avere la decenza di bussare, sorprendendo lui e Kurt in atteggiamenti un bel po’ equivoci – ed era tutta colpa di Kurt; non poteva andarsene in giro con quei pantaloni così stretti e che gli fasciavano il sedere come una seconda pelle e pensare che Blaine non gli sarebbe saltato addosso nel primo momento in cui fossero stati soli -  e imbarazzandoli da morire. Cooper non aveva avuto nemmeno la decenza di uscire dalla stanza; era stato Blaine a spingerlo fuori senza troppe cerimonie mentre Kurt si rivestiva e andava via da casa Anderson con le guance più rosse che mai e la coda tra le gambe.

 

Chiariamoci, Blaine era ovviamente felice di rivedere il fratello – soprattutto ora che le divergenze tra loro erano state chiarite e quasi risolte – ma Cooper aveva la strana e inquietante abilità di far arrabbiare le persone con niente.

 

E infatti, di lì a qualche ora, Blaine e Cooper si ritrovarono a urlare l’uno contro l’altro da un lato all’altro del corridoio, mentre i loro genitori al piano di sotto si chiedevano come mai più passassero gli anni, più i loro figli sembravano regredire all’età di due anni ciascuno.

 

«Non ti sopporto più! Sei un disastro!» urlò Blaine.

 

«Ha parlato Mr. Perfettino!» rispose Cooper.

 

«Beh, io per lo meno lo sono!»

 

«Perché, credi che io non lo sia?!»

 

«Assolutamente no! Preferisco essere me, grazie!»

 

«Idem! Non vorrei mai ritrovarmi pelato a trent’anni per il troppo uso del gel!»

 

«Ahhh basta!» gridò Blaine alla fine, sbattendo la porta in faccia al fratello e fiondandosi a letto.

 

 

***

 

 

Blaine fissò sconvolto il riflesso nello specchio. Quello non era lui: niente altezza media (bassa), niente capelli neri e ricci, niente occhi dorati. L’uomo che rifletteva lo specchio non era più Blaine Anderson: era Cooper Anderson.

 

Blaine si tirò un pizzicotto; doveva per forza star sognando. Ma quando la parte di pelle che aveva appena stretto tra le dita gli urlò il suo dolore, Blaine gemette e uscì dal bagno correndo. Non era affatto un sogno.

 

In corridoio, si schiantò contro una figura bassa ma abbastanza compatta, ed entrambi si trovarono per terra in un colpo. I due ragazzi si fissarono l’un l’altro.

 

«Blaine?» chiese quello che in realtà era Cooper.

 

«Cooper?» chiese di rimando quello che in realtà era Blaine.

 

«Oddio sono te!» gemette Cooper nel corpo di Blaine. «Che cos’è sta massa informe che ho in testa?!»

 

«Benvenuto nel mio mondo,» rispose Blaine nel corpo di Cooper, sbuffando mentre si rialzava e aiutava il fratello a mettersi in piedi.

 

«Che cosa diamine ci è successo?» chiese Cooper. «Pensavo che queste cose accadessero solo nei film!»

 

«Già… Oddio, è un disastro!»

 

«A chi lo dici! Oggi avevo un provino!» Cooper squadrò Blaine (se stesso, in realtà) da capo a piedi. «Dovrai andare tu… Vedi di non fare casini!»

 

«Cosa?! Ma io non posso andare al provino al posto tuo…» Blaine strabuzzò i suoi nuovi occhi azzurri.

 

«Certo che puoi. Anzi, devi! È un ordine, fratellino!»

 

«Non darmi del fratellino, che sono più alto di te! A proposito…» Blaine si guardò in giro. «Wow, che bella sensazione guardare da così in alto…» disse più a se stesso che all’altro.

 

«Sì, sì, lo so… Ora però aiutami a sistemarmi sto nido che ho in testa, ti prego!»

 

Blaine si passò una mano nei capelli – wow, niente gel, e soprattutto, sembravano praticamente perfetti così – e spinse il fratello nella sua stanza. Non lo avrebbe fatto andare in giro senza gel!

 

Cooper, seguendo il fratello, diede un’occhiata al corpo che si trovava davanti. «Certo che ho proprio un bel sedere!»

 

 

***

 

 

Blaine si guardò attorno un po’ sperso. C’erano un sacco di persone che giravano per quegli studi, e sembravano tutti così indaffarati e professionali. Blaine deglutì, preoccupato; un conto era fare un provino per entrare nel coro del Glee Club della scuola, un altro era farlo per la televisione locale. Tra l’altro, non ci andava di mezzo il suo futuro, bensì quello di suo fratello. E, per quanto fosse ancora arrabbiato con lui – era sicuramente colpa sua se il karma aveva deciso di punirli in quel modo – ci teneva a che il fratello superasse quel provino.

 

Perciò, spinto da quel pensiero, iniziò a seguire la direzione che indicavano dei cartelli appesi ai muri con la scritta ‘CASTING’. Doveva essere nella direzione giusta.

 

 

***

 

 

«Ehi, Kurt!»

 

Il ragazzo appena interpellato si girò di scatto, salutando la sua migliore amica con un sorriso. «Ciao Mercedes! Come stai?»

 

«Io bene ma… sei sicuro che anche Blaine stia bene?» chiese la ragazza di colore con uno strano sguardo.

 

Kurt sbiancò di colpo, spaventato. «Oddio gli è successo qualcosa?»

 

«Rilassati, zucchero, Blaine sta bene. Fisicamente. Ma riguardo al resto, non ne sarei così sicura…» detto questo, si voltò e fece cenno a Kurt di seguirla. Il ragazzo non esitò neanche un attimo, per niente rassicurato dalla risposta di Mercedes.

 

E se qualcuno avesse fatto del male a Blaine? E se lo avessero insultato? Dannazione, Kurt sapeva che prima o poi sarebbe successo! Blaine era fragile e ancora spaventato da quello che gli era successo due anni prima al ballo della sua scuola, e Kurt non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male.

 

Tuttavia, ciò che si trovò davanti agli occhi non era affatto la scena apocalittica che si era figurato in testa. Blaine era in mezzo al corridoio, e stava intrattenendo un gruppetto di persone – tra cui alcuni giocatori di football e cheerleader – raccontando delle barzellette.

 

Kurt lo osservò da lontano, stranito. Quello non era Blaine. Il suo Blaine non era così spigliato, era molto più tranquillo e composto – solo quando cantava si trasformava nel pazzo che saltava sui mobili – e soprattutto non andava vestito in quella maniera: jeans stretti, maglietta e giacca di pelle.

 

«Blaine?» Kurt lo chiamò; ma il ragazzo non si girò, così Kurt riprovò di nuovo. Finalmente, Blaine si girò e Kurt incrociò gli occhi dorati del suo ragazzo, che gli sorrise come suo solito. Okay, non c’era assolutamente nulla di diverso nel suo ragazzo.

 

«Ciao Kurt!» lo salutò. «Ciao… ehm…»

 

Mercedes lo fissò stralunata e scambiò un’occhiata con Kurt, che alzò le spalle.

 

Kurt si avvicinò a Blaine mentre gli altri ragazzi intorno a loro si allontanavano. Non appena gli fu vicino, Kurt si sporse in avanti e lasciò un piccolo bacio sulle labbra del moro, la cui reazione lo sorprese parecchio: Blaine si era irrigidito di colpo, sembrava quasi sorpreso. Kurt si allontanò da lui con sguardo interrogativo.

 

«Tutto bene? Che ci facevi qui con quelle persone?»

 

Blaine gli rivolse un sorriso smagliante. «Tutto ok, stavo solo raccontando loro la bellissima barzelletta che mi ha detto Coop ieri sera!»

 

Kurt strinse gli occhi, sospettoso, ma non disse nulla. Blaine fece un passo avanti e lo prese per mano. «Avanti, andiamo a lezione.»

 

 

***

 

 

«I nomi delle persone che sto per chiamare dovranno presentarsi oggi pomeriggio agli ultimi provini,» disse l’uomo dallo sguardo serio davanti a una ventina di giovani uomini – tutti avvenenti e tutti sulla trentina.

 

Blaine fece un respiro profondo, in attesa del verdetto. Si era attenuto a ciò che Cooper gli aveva detto di fare, anche se lui avrebbe di gran lunga scelto di cantare un’altra canzone e avrebbe montato una coreografia completamente diversa. Era rimasto stranito quando Cooper gli aveva spiegato tutto quanto velocemente mentre si vestivano quella mattina – fortunatamente la prima lezione a scuola cominciava alle nove – perché a Blaine era sembrato quasi come se Cooper si fosse trattenuto.

 

«Cooper Anderson!”»

 

Blaine era così concentrato sui suoi pensieri che quasi non sentì pronunciare il suo nome – quello del fratello in realtà.

 

Sorrise all’uomo, ringraziò e si alzò per andarsene. Aveva un appuntamento a casa con il fratello, che doveva spiegargli quale canzone e quale coreografia avrebbe dovuto portare nel pomeriggio.

 

 

***

 

 

Cooper entrò in casa, seguito a ruota da Kurt; il ragazzo aveva cercato di convincere il fidanzato del fratello a salutarsi a scuola, ma Kurt era stato irremovibile: voleva seguirlo fino a casa. Cooper non sapeva cosa fare, ma se pensava che la situazione fosse difficile in quel momento, non sapeva che cosa lo avrebbe aspettato di lì a qualche minuto.

 

«Ehi Blaine, c’è qualcun altro in casa?» chiese il controtenore con malizia, che tuttavia non fu colta da Cooper.

 

«Sì, perché me lo chie-

 

Ma non fece in tempo a finire la frase che Kurt gli si gettò addosso, coprendogli le labbra con le proprie. Cooper fece un verso sorpreso; di certo non si aspettava tutto quell’impeto da quel ragazzino con l’aria così pudica. E invece ben presto sentì la mano del ragazzo scendere fino al suo inguine.

 

Perché mi sta succedendo questo?

 

Con un salto all’indietro, Cooper si allontanò da Kurt, che gli rivolse un’occhiata stranita.

 

«C’è qualcosa che non va?»

 

«No, niente…» Cooper deglutì, guardando Kurt avvicinarsi ancora a lui.

 

Di nuovo, Kurt gli si era appiccicato addosso, questa volta ancora più convinto di prima. Cooper non sapeva che cosa fare, era praticamente schiacciato contro il divano. Stava di nuovo per spingere Kurt lontano da sé quando la porta di casa si aprì e subito dopo qualcuno entrò in salotto.

 

«Ehi!» gridò Blaine.

 

Kurt si voltò verso Cooper e rimase sorpreso nel vedere quanto il maggiore degli Anderson sembrasse… arrabbiato? Il controtenore arrossì di nuovo, allontanandosi dal corpo di Blaine; era la seconda volta in due giorni che Cooper li sorprendeva insieme.

 

Cooper si rivolse a Blaine. «Che cosa stavi facendo?»

 

Blaine abbassò lo sguardo. «Scusa Bl-Cooper…”»

 

Cooper fissò Kurt con sguardo severo. «Kurt, io e Blaine avremmo bisogno di parlare. Ti dispiace lasciarci soli?»

 

Kurt annuì, salutando gli Anderson e rivolgendo un’occhiata stranita al fidanzato – che però non ricambiò dal momento che aveva ancora lo sguardo basso – e uscì di casa.

 

Rimasti soli, Blaine guardò male la versione di se stesso a testa bassa; non poteva credere a quello che aveva appena visto. Ma soprattutto, era sorpreso di esserci rimasto così male. Kurt non stava facendo niente di male, dopotutto pensava che quello lì fosse il suo fidanzato, e non Cooper nel corpo del suo fidanzato. Tuttavia gli aveva fatto male… in quel momento, capì che non avrebbe sopportato vedere Kurt con qualcun altro che non fosse lui. Non che prima non lo pensasse, ma non avrebbe mai pensato di stare così male.

 

Perché mi sta succedendo questo?

 

Blaine, prima che tu dica qualcosa, voglio solo dirti che ho provato a scansarmi… te lo giuro!” disse Cooper a bassa voce.

 

E Blaine non resistette. Non quando Cooper lo guardava con gli occhioni che in realtà erano i suoi – ora capiva cosa voleva dire Kurt quando lo pregava di non scatenargli contro il potere dei suoi occhi da cucciolo.

 

«Ok… ok, va bene, ti credo,” sospirò. “Hai passato la prima parte del provino, comunque, perciò dovresti spiegarmi che cosa dovrei fare la seconda volta.»

 

 

***

 

 

Blaine non era affatto contento della scelta del fratello; quella canzone che aveva scelto di cantare era troppo semplice, Cooper poteva puntare molto più in alto. Era la seconda volta in un giorno che si trovava a pensare quanto Cooper in realtà si sottovalutasse, e la cosa era totalmente assurda.

 

Cooper era conosciuto da tutti come la persona fiera e sicura di sé, sempre attiva ed energica, con le proprie idee fisse, divertente e spensierato. Ma forse non era davvero così.

 

A questo pensava Blaine mentre frugava nel borsone che gli aveva dato Cooper, alla ricerca dei vestiti che il fratello aveva scelto da indossare. In quel momento, colpì con una mano il bordo di quella che aveva tutta l’aria di essere un’agenda. Sorpreso, la prese in mano e la aprì.

 

Oh cavolo! Quella non era affatto un’agenda qualsiasi; sembrava più una sottospecie di diario di Cooper. Blaine sapeva che non era suo diritto leggere ciò che c’era scritto; quelle cose erano private e sapeva che Coop volesse rimanessero tali. Però…

 

Blaine sfogliò velocemente le pagine, fino ad arrivare all’ultima; la data scritta sopra nella calligrafia disordinata di Coop lo informava che quella pagina era stata scritta soltanto il giorno prima. Incapace di trattenersi, Blaine si ritrovò a leggere.

 

Oggi è un’altra giornata un po’ piatta, seguito di una settimana altrettanto piatta. Domani ho il provino e, nonostante mi sia preparato tantissimo, temo di non passarlo. La verità è che non sono abbastanza bravo – in famiglia è sempre stato Blaine quello talentuoso. Posso continuare con la mia recita, far credere a chiunque di quanto forte e in gamba io sia, ma non so quanto a lungo potrà durare dal momento che io stesso non ci credo. Non fino in fondo. L’unica cosa che mi ha fatto superare quest’ultima, noiosa settimana è stato il pensiero che fra qualche ora rivedrò il mio fratellino. Non vedo l’ora…

 

Blaine chiuse di colpo il diario, colpito da tutto ciò che aveva letto. Non pensava che il fratello si sottovalutasse così tanto, né che sotto quella facciata spavalda si nascondesse un giovane uomo insicuro e pieno di debolezze. Nonostante tutto, forse, loro due non erano così diversi.

 

Cooper non meritava di sentirsi così. Era in gamba, era talentuoso esattamente quanto Blaine, e glielo avrebbe dimostrato.

 

 

***

 

 

Cooper sospirò, la testa sotto l’acqua che gli lavava via tutto quel gel che era stato costretto a sopportare per tutto il giorno.

 

Quella giornata era stata folle. Blaine era davvero un ragazzo impegnato, e sembrava fare tutto con estrema serietà; sembrava che tutti lo adorassero. I professori gli rivolgevano sorrisi e lodi, molte persone che lo incrociavano in corridoio gli rivolgevano piccoli sorrisi o cenni di saluto, gli amici del Glee sembravano disposti a fare qualsiasi cosa per lui, pronti a seguirlo, ascoltarlo e sostenerlo – e Cooper pensava che per Blaine valesse lo stesso.

 

E poi c’era Kurt. Quel ragazzino era così innamorato di suo fratello che quasi non era riuscito a sostenere quello sguardo pieno d’amore, affetto e complicità. E Cooper sapeva bene quanto anche il fratello amasse Kurt. Non si sarebbe stupito di trovarsi, di lì a qualche anno, a partecipare al matrimonio di quei due.

 

Quella giornata però, nonostante la sua stranezza e follia, aveva dimostrato a Cooper di essersi fatto un’idea giusta sul suo fratellino. Blaine era davvero un ragazzo in gamba, che meritava tutto il bene di questo mondo e anche di più.

 

 

***

 

 

«Cooper! Cooper!»

 

«Ehm… Cooper, perché stai dicendo il tuo nome urlando?» chiese la madre guardando stranita il suo figlio maggiore.

 

Dio, che scemo…

 

«Uh, volevo dire Blaine… Blaine!!»

 

Salì le scale di corsa, fiondandosi in quella che era la stanza del fratello. Dentro, c’era Cooper, steso sul letto e intento a fare quelli che aveva tutta l’aria di essere i suoi compiti di matematica. Blaine rimase sorpreso ma non disse niente, troppo euforico e impaziente di dare a Cooper la buona notizia.

 

«Ehi, Schizzo, che ti urli!»

 

«Coop, mi hanno preso! Cioè, ti hanno preso!»

 

Il fratello saltò in piedi sul letto, gli occhi che gli si illuminarono di gioia. «Davvero?»

 

«Sì, non posso crederci! Anche perché non mi ero preparato la coreografia e ho cambiato la canzone e quindi-»

 

«Aspetta, frena…» disse Cooper alzando le mani, i ricci ormai liberi dal gel che gli ricadevano sulla fronte. «Hai fatto cosa?»

 

Blaine fece un profondo sospiro. Doveva tirar fuori la verità.

 

«Ho deciso di cantare un’altra canzone… Quella che avevi scelto era troppo semplice, Coop!» fece una pausa, in attesa che il fratello dicesse qualcosa. Ma quando ottenne solo silenzio, decise di continuare. «Ho trovato per caso il tuo diario. Non l’ho letto… cioè, sì, ma solo l’ultima pagina che hai scritto. E Coop, davvero, non dovresti sottovalutarti così tanto.»

 

«Io non mi sottovaluto.» Le parole uscirono flebili dalle labbra di Cooper – sembrava non crederci lui stesso.

 

«Sì invece, e lo sai. E non dovresti…»

 

«E invece sì, Blaine, perché ho passato il provino solo perché sei andato tu a farlo. Non sono abbastanza bravo!»

 

«Ed è qui che ti sbagli! Questa è la tua voce,» urlò quasi Blaine, la voce di Cooper che si levava alta. «Questo è il tuo corpo, sono le tue gambe che hanno ballato, il tuo sorriso che ha convinto la giuria. Io non ho fatto nient’altro che darti il coraggio di osare. In una maniera forse poco convenzionale, ma te l’ho data.»

 

Cooper davanti a lui stava piangendo, una singola lacrima gli rigava il viso. Blaine pensò che vedere se stesso piangere fosse la situazione più assurda della sua vita.

 

«Io non-»

 

«No, Coop. Tu sei bravo. Sei talentuoso esattamente come credi che io lo sia. E ti devo delle scuse; pensavo che tu fossi esattamente ciò che mostravi – sicuro di te, un po’ ruffiano e a volte anche borioso – ma non è affatto vero. Sei una persona con delle insicurezze, ma ciò non toglie quanto tu sia in gamba, Coop, e… ti voglio bene.»

 

Cooper a quel punto si avvicinò e abbracciò Blaine, che per la prima volta provò l’emozione di stringere suo fratello forte tra le braccia e proteggerlo, approfittando dell’altezza per chinarsi su di lui e racchiuderlo in una sottospecie di bolla protettiva.

 

E in quel momento, tutto cambiò. Il corpo di Cooper rimpicciolì, i capelli si arricciarono, gli occhi cambiarono colore, ma rimasero chiusi; non si muoveva, stretto nell’abbraccio del fratello. E quando entrambi aprirono gli occhi, erano di nuovo loro. Cooper nel suo corpo alto e slanciato, Blaine in uno più basso e compatto.

 

Si staccarono, toccandosi entrambi i rispettivi corpi e rilasciando un sospiro beato nel sentirsi di nuovo padroni di se stessi. Quando Cooper alzò il capo, trovò Blaine pensieroso.

 

«Che c’è Schizzo?»

 

«Di solito queste cose finiscono sempre quando entrambi capiscono il bello dell’altra persona… ma a te non è successo niente di particolare oggi, credo. A parte il mio ragazzo che ti si è spalmato addosso,» spiegò Blaine.

 

Cooper sorrise. «Oh, credo che tutto questo fosse per te. Io ho sempre saputo quanto in gamba tu fossi.»

 

Blaine sorrise e fece di nuovo un passo in avanti, stringendo il fratello più grande in una morsa ferrea.

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Buonasera a tutti! Ecco qui la nuova storia della raccolta su questi due pazzi degli Anderson. Lo “scambio di corpi” è un’idea che mi è sempre piaciuta, ma devo ammettere che scriverlo è stato più complicato del previsto. Nei film sembra molto più facile! xD

 

Forse molti di voi si troveranno in disaccordo con l’immagine che ho dato di Cooper, ma secondo me in realtà è proprio così. Per il poco che si è visto, ho captato un bel po’ di insicurezza sotto quell’armatura da ruffiano.

 

Ne approfitto per ringraziare coloro che hanno recensito e letto. Insomma ragazzi, fatevi sentire! Le recensioni, di qualsiasi tipo siano, sono sempre un ottimo stimolo ma soprattutto un aiuto per noi scrittrici a migliorare! =)

 

A domani con Cooper cockblocker!

Bel

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Capitolo 4
*** Day 4: Cooper professional cockblocker ***


Day 4: Cooper professional cockblocker

 

Quando, dopo tre “sparisci!”, arrivò il “grazie al cielo sei qui”.

 

La prima volta che Cooper Anderson osò entrare in una stanza senza bussare, Kurt e Blaine pensarono di morire sul posto a causa dell’imbarazzo; quasi si sentirono in colpa. E il bello fu che tutto era cominciato da una semplice domanda…

 

«Sei sicuro che non ci sia nessuno in casa?» chiese Kurt un po’ preoccupato, ma al tempo stesso inclinando indietro la testa per consentire al suo ragazzo un più facile e maggiore accesso al suo collo.

 

Blaine, continuando a torturargli la pelle sensibile dietro l’orecchio con la lingua e i denti, disse «Sì, non c’è nessuno.» Poi, risalendo fino all’orecchio di Kurt, vi sussurrò dentro: «Non preoccuparti.»

 

Ed ecco, quello fu il momento in cui Kurt perse completamente la ragione.

 

Il problema era che Kurt era stressato, troppo stressato. Di lì a qualche giorno avrebbe dovuto sostenere il provino che avrebbe deciso del suo futuro alla NYADA, e se già era preoccupato di suo, ci si metteva anche Rachel a innervosirlo.

 

A casa non riusciva mai ad avere un attimo di pace – tra Burt che gli chiedeva ogni due per tre come procedessero le cose e Finn che si lamentava di quanto Rachel fosse suscettibile e intrattabile, più del solito si intende.

 

A scuola, poi, lo stavano riempiendo di compiti; sembrava che i professori si fossero appena ricordati che di lì a pochi mesi i loro studenti avrebbero dovuto diplomarsi e li martellavano con verifiche e interrogazioni, mentre avevano trascorso i mesi precedenti a nuotare nell’ozio.

 

Il Glee era un disastro: il professor Schue li stava facendo lavorare duramente, tra lezioni di danza e canto – sembrava davvero intenzionato a vincere, come tutti del resto. Ma era la condizione psicologica del suo insegnante preferito a mettergli ansia; più volte si era ritrovato a sorprenderlo a fissare alcuni di loro con sguardo triste. Ovviamente, erano tutte persone che avrebbero lasciato il McKinley da lì a qualche mese.

 

E infine, c’era Blaine. Per quanto avessero risolto la lite terribile che c’era stata tra loro qualche settimana prima, gli sembrava quasi di procedere sulle uova. Certo, Blaine si era comportato benissimo da quel giorno in avanti: non gli aveva chiesto di Chandler – che ovviamente Kurt aveva smesso di sentire, e il ragazzo, capita l’antifona, aveva lasciato perdere –, si informava di come stesse andando la preparazione per il provino alla NYADA e si comportava in quella stessa maniera galante e dolce che avevano fatto sì che Kurt cadesse ai suoi piedi quasi un anno e mezzo prima.

 

Ovviamente, grazie al cielo, il suo fidanzato non era soltanto dolce e adorabile; soprattutto non quando gli sussurrava qualcosa nell’orecchio – ben sapendo che quello fosse uno dei punti sensibili di Kurt – facendo scendere una cascata di brividi lungo tutta la pelle del fidanzato. Perciò, se Blaine lo aizzava in queste maniere, Kurt non poteva di certo tirarsi indietro.

 

Il controtenore spinse il fidanzato verso il letto in un disordinato incrocio di braccia, gambe e lingue, e ben presto si trovò sopra di lui, intento a slacciargli il farfallino dal collo – quasi strappandoglielo via, in realtà – e a togliergli la maglietta.

 

Dopo aver speso un minuto a guardare la meravigliosa pelle dorata del fidanzato, Kurt iniziò subito a baciargli e laccargli il collo, mordendogli poi la clavicola e spingendosi sempre più giù, fino a far guizzare la lingua nell’ombelico. Nel frattempo Blaine si inarcava sotto di lui, artigliandogli i capelli e respirando pesantemente.

 

Kurt tornò a baciare le labbra del fidanzato, spingendo i fianchi contro quelli di Blaine. Il gemito alto che sfuggì dalle labbra di entrambi non li fece rendere conto della porta che si apriva e di qualcuno che entrava nella stanza.

 

Blaine, inconsapevole della persona che li stava fissando ad occhi sgranati da vicino alla porta, strinse il sedere di Kurt tra le dita, velocizzando i movimenti del fidanzato e venendogli incontro allo stesso tempo.

 

«Dio, ho davvero una fissa per il tuo sedere…» sospirò, facendo scappare un altro gemito a Kurt. «Davvero, non immagini neanche tutte le cose che ci farei e-»

 

«Ahhhh, Blaine, per carità, sta’ zitto!»

 

Kurt e Blaine si immobilizzarono. Il sangue si gelò nelle vene, il cuore smise di battere per quello che parve ben più di un secondo, mentre i due ragazzi si voltavano verso la porta della stanza e si rendevano conto della presenza di un Cooper Anderson sconvolto, con le mani davanti al viso.

 

Blaine ci mise un po’ a riprendersi, ma alla fine urlò: «Sparisci!»

 

Sobbalzando, il fratello maggiore uscì dalla stanza quasi di corsa, chiudendosi la porta alle sue spalle.

 

Quando, poco dopo, fu raggiunto dal fratello – che aveva accompagnato un Kurt rosso come un peperone alla porta – Cooper era ancora sconvolto. Non immaginava che quei due fossero già arrivati a quel punto della loro relazione, né che il fratello potesse essere così… così! Insomma, era il suo fratellino, quello!

 

«Nessuno ti ha insegnato a bussare?» chiese Blaine fissando male Cooper.

 

«Io… scusa, pensavo fossi solo,» rispose l’interpellato.

 

Blaine fece un pesante sospiro, passandosi una mano tra i capelli – tanto, più incasinati di come me li ha conciati Kurt, pensò – e contò fino a dieci prima di parlare di nuovo.

 

«Che ci fai già qui, comunque? Pensavo arrivassi stasera…» chiese al fratello.

 

«Oh, volevo solo farti una sorpresa,» spiegò Cooper. Poi un ghigno malizioso gli spuntò sulle labbra. «E invece la sorpresa me l’hai fatta tu. Non pensavo potessi essere uno da dirty talk»

 

«Cooper!» urlò Blaine sconvolto, arrossendo. «Beh, la prossima volta ricordati di bussare!»

 

 

***

 

 

Kurt guardò il salone dell’appartamento con un sorrisetto soddisfatto, le mani sui fianchi e la fronte leggermente imperlata di sudore. Era stato bravissimo ed aveva fatto tutto in un tempo da record: sarebbe stato perfetto.

 

Blaine non sarebbe tornato prima di una mezz’ora, constatò con un rapido sguardo all’0rologio, e questo gli avrebbe anche dato il tempo per farsi una breve doccia e sistemarsi. Il sorriso sulle sue labbra si allargò mentre immaginava la serata perfetta che aveva organizzato per loro due. Da quando avevano un appartamento tutto loro a New York, non doveva preoccuparsi della presenza – di certo piacevole, ma alle volte controproducente per i piani che prevedevano casa libera e serata romantica – di Rachel, per questo aveva potuto concedersi di preparare la cena e decorare la casa per il compleanno di Blaine. Lo aveva mandato fuori per tutto il pomeriggio, alla ricerca di cose assurde, giusto perché non lo cogliesse mentre organizzava tutto ed ora poteva finalmente rilassarsi sotto il getto di acqua calda.

 

Adorava farlo, preparare feste e sorprese, soprattutto se avevano per soggetto il suo ragazzo. Era un inguaribile romantico, dopotutto e non poteva resistere alla visione di quei meravigliosi occhi ambra che luccicavano dalla sorpresa e dalla felicità. Insomma, avrebbe trovato buona qualsiasi scusa pur di vedere quegli occhi.

 

Uscì rapido dalla doccia e si infilò l’accappatoio, stringendosi nel morbido abbraccio della stoffa calda. Si stava guardando allo specchio quando un rumore proveniente da fuori lo fece sussultare. Che Blaine fosse già tornato? Si era impegnato così tanto per scrivere le cose più assurde su quella lista e tenerlo via quanto più tempo possibile, come diavolo aveva fatto ad essere già a casa con tutto?

 

Sospirò: probabilmente aveva appena rovinato la sua sorpresa, ma la cena a lume di candela era ancora salvabile. Uscì dal bagno in accappatoio, giusto per non perdersi la sua reazione, ma ciò che vide lo congelò.

 

Semplicemente, era davanti all’Anderson sbagliato e un esaltato Cooper stava guardando tutto ciò che lo circondava con uno scintillio puerile negli occhi.

 

«Kurt! Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo per il mio fratellino!», esclamò, non appena lo vide, avvicinandosi per abbracciarlo.

 

Kurt non sapeva se essere più shoccato dalla sua improvvisa apparizione in casa loro o dal fatto che lo stesse abbracciando e l’unica cosa che li separava fosse il suo accappatoio. A quel pensiero avvampò come fuoco e lo staccò da sé velocemente.

 

«Che diavolo ci fai qui tu?!» gridò in modo vagamente isterico, cercando di non farsi prendere sul serio dal panico.

 

«È o no il compleanno di Schizzo? Bisogna festeggiare!», rispose il più grande con ovvietà.

 

«E come hai fatto ad entrare?», continuò Kurt con un po’ di istintiva rassegnazione nella voce.

 

«Chiave nel sottovaso della pianta davanti casa: tradizione di casa Anderson, impossibile che non fosse lì».

 

Il modo in cui Cooper sorrise, alzando le spalle per la semplicità della cosa, fece rabbrividire il più piccolo. Avrebbe dovuto parlare a Blaine di questa cosa e sistemarla, perché per quanto bene volesse a Cooper, l’idea che potesse piombare loro in casa praticamente in qualsiasi momento non lo allettava affatto.

 

«Perfetto… Hai intenzione di fermarti per la cena?».

 

Si pentì della domanda nel momento stesso in cui l’aveva lasciata scappare dalle sue labbra, ma ormai il danno era fatto e quando il sorrisetto di Cooper si allargò felice, Kurt seppe che si era condannato da solo.

 

«Tu sei la persona più gentile della Terra, Kurt! Grazie mille! Non stento a credere che Blaine sia caduto ai tuoi piedi!», esclamò quello entusiasta e il ragazzo semplicemente si arrese, dicendo che andava a vestirsi e sparendo in camera sua. Si chiuse la porta alle spalle e sospirò pesantemente, cercando di non vedere tutto nero in quel momento. La verità era che sarebbe voluto tornare nel salone ed urlare uno “Sparisci!” liberatorio, ma a quel punto il guaio era fatto e doveva cercare quanto meno di salvare il salvabile.

 

Fortunatamente aveva preparato l’outfit perfetto ore prima e fu relativamente veloce a sistemarsi e tornare in stanza con Cooper. Il pensiero che potesse portare altro scompiglio lo assillava e fu sollevato di vedere, rientrando nel salone, che tutto era rimasto come lo aveva preparato e che il maggiore degli Anderson si fosse semplicemente accomodato sul divanetto. Quando lo vide uscire dalla propria camera, lo squadrò dall’alto al basso con sguardo attento prima di sorridere in modo malizioso.

 

«Mio fratello è una persona terribilmente  fortunata!», disse poi e Kurt non poté non arrossire di nuovo, proprio mentre il rumore di una chiave che girava nella toppa interruppe il silenzio.

 

Uno stanco Blaine, accompagnato da un paio di buste per mano fece il suo ingresso e in un attimo fu abbagliato da tutto quello che lo circondava. C’erano dei palloncini ad un lato della stanza, candele profumate un po’ ovunque, alcune delle quali avevano già profumato la stanza di rosa, un paio di mazzi di rose rosse e uno striscione che recitava “Happy Birthday my love”. Il modo in cui i suoi occhi fecero il giro della stanza, illuminandosi in modo incredibile, quasi fece dimenticare a Kurt di tutto il resto e gli corse in contro, baciandolo.

 

«Auguri, Schizzetto!», si fece notare Cooper, abbracciandolo forte.

 

«E tu che cosa ci fai qui?», chiese quello ancora più felice.

 

«Sorpresa, fratellino! È così che succedono queste cose».

 

Blaine scoppiò a ridere mentre il fratello prendeva posto al tavolo da pranzo e Kurt gli si avvicinò di nuovo.

 

«Sorpresa che sarebbe dovuta andare in un altro modo, a dire il vero…», lo corresse, ma il riccio sorrise scuotendo la testa.

 

«È perfetta così», lo rassicurò guardando suo fratello con occhi che continuavano ad illuminarsi. «Non mi aspettavo di vederlo così presto… e dopo tutto, sono davvero felice che sia qui con noi».

 

Kurt annuì, sorridendo anche lui. Era chiaramente visibile la sua gioia.

 

«E dopotutto… non deve mica dormire in camera nostra, stanotte,» sussurrò Blaine con malizia, prima di sedersi accanto a Cooper.

 

 

***

 

 

La terza volta che Cooper Anderson entrò in una stanza senza bussare, fu anche quella che poi tutti ricordarono con un luccichio agli occhi e il sorriso sulle labbra. Perché, nonostante la rabbia  e l’imbarazzo del momento, quella giornata fu troppo bella per essere rovinata da una semplice interruzione.

 

Quella giornata fu perfetta nelle sue imperfezioni; proprio come Blaine aveva detto a Kurt il primo Natale che avevano passato insieme come coppia.

 

Prometto di ricordarti quanto perfettamente imperfetto tu sia.

 

Kurt aveva trascorso tutta la cerimonia e il pranzo dopo a pensare alle parole che Blaine gli aveva rivolto qualche anno prima. Tanto per cominciare, la persona che doveva presenziare la cerimonia era in ritardo, poi le damigelle avevano i vestiti un po’ storti, suo padre aveva indossato una cravatta il cui colore stonava in maniera assurda con le scarpe; e non era solo questo. Anche nella sala che avevano prenotato per l’intera giornata c’erano diverse cose su cui fare ben più di una obiezione, a partire dai fiori posizionati non dove Kurt aveva detto di metterli.

 

Ma a Kurt era bastato guardare negli occhi del suo fidanzato – marito a questo punto – per dimenticarsi di ogni cosa che fosse andata storta. Per lui era stato sufficiente affondare negli occhi dorati di Blaine e pensare che tutto fosse perfetto così. Blaine era perfetto così. Loro erano perfetti così, con le loro imperfezioni.

 

E poi, non è che tutto fosse stato un disastro.

 

La decisione di non ingaggiare nessuna band che suonasse al matrimonio era stata davvero un’ottima idea; non quando avevano potuto usufruire di tutti i vecchi membri del Glee – e anche di alcuni di quelli nuovi.

 

Non appena Rachel aveva saputo che Kurt e Blaine si sarebbero sposati, dapprima aveva chiesto loro se non fossero un po’ troppo giovani – «E insomma ragazzi, avete solo 21 anni!» – ma dopo che entrambi le avevano ricordato che lei si stava per sposare con Finn alla fine del loro ultimo anno di liceo, la ragazza si era ammutolita ma aveva però preteso di dedicarsi lei alla parte dell’intrattenimento. Kurt le aveva concesso carta bianca, cercando di non pensare a quando aveva messo in piedi quella schifezza di video di Run Joey Run.

 

Grazie al cielo, Rachel si era attenuta a cose molto semplici ed eleganti; aveva chiamato Finn – che ormai aveva preso il posto di Schue alla direzione del Glee Club del Liceo McKinley – e gli aveva chiesto di scegliere le coppie che avrebbero duettato o i singoli che avrebbero cantato. E poi, insieme, avevano chiamato tutti i loro vecchi compagni di coro.

 

E così, non era mancato né il duetto di Finn e Rachel, né il trio formato da Santana, Mercedes e Unique; Mike e Brittany avevano organizzato un numero di danza molto bello con la voce di Marley come sottofondo, e Jake si era unito a loro. Tutti si erano prodigati per poter cantare al matrimonio di Kurt e Blaine.

 

Persino Blaine aveva cantato, riducendo in lacrime la maggior parte delle signore e anche alcuni maschietti – e checché ne dicesse Puck, i suoi occhi erano davvero rossi alla fine dell’esibizione di Blaine. Kurt aveva creduto di poter morire, perché non c’era niente che amasse di più che vedere Blaine cantare per lui; aveva pianto e riso mentre Burt al suo fianco gli stringeva la mano.

 

Poi c’era stato il ballo con il padre. Kurt aveva ballato con Burt, ben felice di mantenere le tradizioni, mentre Blaine si era affossato un po’ nella sedia; quello era stato l’unico momento in cui gli occhi dorati di suo marito erano stati offuscati da un velo di tristezza. Ma poi, a sorpresa, si era alzato Cooper e aveva trascinato il fratello sulla pista da ballo. In quel momento, Kurt aveva creduto di poter fare una statua a Cooper Anderson.

 

Ovviamente, dopo neanche due ore, si era ricreduto.

 

Lui e Blaine si erano appartati – sì, al loro stesso matrimonio – ma era stato più che normale. Kurt era andato in bagno e, non appena ne era uscito, aveva trovato Blaine fuori ad aspettarlo con un enorme sorriso sul volto e gli occhi più luminosi che mai – Kurt non glieli aveva mai visti così. Le loro labbra si erano ritrovate in maniera del tutto naturale. E quello che ne era venuto dopo… beh, Kurt e Blaine non ne potevano nulla se erano così felici.

 

Blaine stava trafficando con la cravatta di Kurt, cercando di slacciargliela quanto più velocemente possibile e, dopo un po’ di tentativi andati a vuoto, riuscì a disfare il nodo; le sue labbra andarono subito a succhiare un punto sensibile sul collo di Kurt, che nel frattempo faceva vagare la mani sulla schiena del neo-marito.

 

Kurt ridacchiò, senza fiato. «Certo che noi due ci imbuchiamo sempre ai matrimoni…»

 

«Ormai è tradizione,» sussurrò Blaine senza spostarsi dalla gola di Kurt.

 

«Ma addirittura al nostro?» Le mani di Kurt si infilarono sotto la giacca e la camicia di Blaine, toccando la pelle calda della sua schiena.

 

Un brivido corse lungo la schiena di Blaine. «Soprattutto al nostro,» disse guardando Kurt fisso negli occhi per poi assalire la sua bocca.

 

Kurt aprì subito le labbra, consentendo a suo marito libero accesso e andandogli subito incontro con la lingua. Blaine gemette nel bacio, spingendosi contro Kurt e facendo combaciare i loro bacini; Kurt si strinse ancora più forte alle spalle di Blaine, inclinando la testa per approfondire il bacio.

 

Le mani di Blaine lasciarono i suoi fianchi e si artigliarono al suo sedere; poi, facendo forza, Blaine sollevò Kurt, che incrociò le gambe intorno alla vita del marito. L’aria intorno a loro era ormai calda e Kurt sentiva il sangue invadergli le orecchie.

 

«Blaine, Kurt, gli invitati si stanno chiedendo dove siate fini-»

 

La voce di Cooper si interruppe mentre Blaine faceva appena in tempo a posare Kurt a terra e a voltarsi in cagnesco verso il fratello.

 

«Dovevo immaginarlo. Certo che non avete più diciassette anni, dovreste smetterla di saltarvi addosso come adolescenti arrapati alla prima occasione buona. E insomma, addirittura al vostro matrimonio, cioè –»

 

Kurt e Blaine si scambiarono un’occhiata veloce e complice prima di urlare al maggiore degli Anderson: «Sparisci!»

 

Cooper, scattando come una molla, si voltò e se ne andò, ma a nessuno dei due sfuggì il sorrisetto che gli sporcava le labbra.

 

«Cooper ha ragione, però,» disse Kurt. «Dovremmo andare di là.»

 

«Ma Kurt!» protestò Blaine facendo i soliti occhioni da cucciolo che avevano ancora il potere di far capitolare Kurt. Resistere quella volta fu una vera e propria impresa.

 

Kurt, mettendosi a posto la cravatta e rassettando anche il vestito e i capelli del marito, sorrise e gli sussurrò, «Non essere troppo impaziente, i prossimi giorni saranno tutti per noi.»

 

Blaine sorrise. «Non vedo l’ora.»

 

Più tardi, mentre Kurt ballava con le sue amiche in mezzo alla pista, ridendo come non mai, Cooper si avvicinò a Blaine che stava osservando il marito con un dolce sorriso sul volto.

 

«Ehi, Schizzo!»

 

Blaine sbuffò. «Insomma, sono sposato ora. Quanto ancora andrai avanti con questo nomignolo infantile?»

 

«Finché morte non ci separi, Schizzo!»

 

Blaine guardò il fratello e scoppiò a ridere, incapace di trattenersi.

 

 

***

 

Blaine camminò a passo felpato, chiudendo la porta della stanza alle sue spalle e percorrendo il corridoio fino alle scale. Se fosse stato abbastanza bravo e non avesse fatto il minimo rumore scendendo, forse sarebbe riuscito a salvare quanto meno quella sera, la prima sera dopo mesi da dedicare solo a Kurt.

 

Entrò sempre con fare sospetto e con tutti i sensi tesi al massimo nel soggiorno, dove suo marito lo aspettava, un sorrisetto sul viso e la postazione del divano già per metà occupata, per vedere insieme Moulin Rouge: era da tempo che non passavano semplicemente una serata insieme, senza pensieri, più o meno da quando Graham era entrato nelle loro vite. L’occupazione di papà li aveva rapiti portando loro certamente tante gioie, ma anche tanta fatica.

 

«Sono riuscito a farlo addormentare a tempo di record, stavolta», gli sussurrò baciandogli una guancia mentre si accoccolava accanto a lui.

 

«Il mio eroe», lo ringraziò Kurt lasciandogli un bacio a fior di labbra e tirando anche su di lui la coperta che aveva preparato per l’occasione.

 

Quando furono pronti, il riccio fece partire il DVD per poi fare in modo che Kurt appoggiasse la propria testa sulla sua spalla, tirandolo a sé con un braccio. Per quanto fosse felice, anzi molto più che felice che Graham facesse parte delle loro vite, gli era davvero mancato stare una sera solo con suo marito, senza avere momentaneamente pensieri che non fossero godersi la presenza dell’altro e il modo spaventoso e bellissimo in cui, dopo anni ed anni, riusciva ancora ad avere il battito accelerato se lo sfiorava o a sorridere incondizionatamente se incontrava i suoi occhi.

 

Forse fu per questo che il rumore improvviso del campanello suonò come una condanna per le sue orecchie. Si fece scappare un mugugno di disapprovazione, ma non si mosse, stringendo anzi di più Kurt a sé, come se ignorare la cosa avrebbe fatto in modo che sparisse, come per magia.

 

Il campanello tuttavia suonò una seconda volta e allora Blaine si arrese all’evidenza che nel novantanove percento dei casi la loro seratina romantica stava per andare a farsi benedire e con uno slancio sostenuto solo dalla disperazione lasciò il divano per arrivare all’ingresso. Quando aprì la porta, la disperazione si trasformò in un istante in rabbia.

 

«SCHIZZO!», gridò infatti un Cooper Anderson al settimo cielo, stringendolo tra le braccia «Sono così felice di vederti!».

 

«Cosa ci fai qui a quest’ora, Cooper?!».

 

«Come, che cosa ci faccio qui? Non vedo il mio fratellino e suo marito da più di un mese! E il mio nipotino? Come sta il mio bellissimo nipotino?».

 

Blaine avrebbe voluto trovare un modo rapido e silenzioso per ammazzarlo, perché era sicuro che tutto quel chiasso avrebbe portato ad una sola conclusione. La porta del salone si aprì velocemente, rivelando un agitato Kurt che guardò la scena con disappunto.

 

«Che diavolo avete da gridare voi due?! Sveglierete sicuramente Gra-».

 

Il monito arrivò troppo tardi, perché le strilla alte del piccolo cominciarono a diffondersi in tutta la casa. Kurt e Blaine guardarono con disappunto Cooper, consapevoli del fatto che avrebbero potuto dire addio alla loro serata e che ci sarebbero voluti secoli per far riaddormentare il piccolo. Kurt scattò su per le scale, il riccio rimase a guardare in malo modo il fratello.

 

«Non sapevo dormisse già, Schizzetto», si giustificò quello.

 

«Cosa vuoi che faccia alle 10:30 di sera? Un giro per le discoteche?».

 

«Ah, si vede che non le frequenti tanto, fratellino! A quest’ora è ancora presto per andarci, bisogna quanto meno avvicinarsi alla mezzanotte!».

 

«Che cos- Ma ti pare questo il momento di discutere dell’orario delle discoteche?!». Blaine scosse la testa sconfitto, mentre Kurt portava giù il piccolo e strillante Graham.

 

«Si è innervosito, ci vorrà un po’ per farlo addormentare», disse, mentre lo dondolava per rassicurarlo.

 

«Lasciate provare a me, sono bravissimo con i bambini».

 

Kurt lo guardò scettico e dopo qualche istante di esitazione gli diede il bambino, senza staccargli gli occhi di dosso, pronto ad intervenire non appena le cose avessero preso una piega poco rassicurante. Cooper, invece, lo prese senza esitazione, mettendolo dritto e cominciando ad intonare soavemente i primi versi di Somewhere Over The Raibow fino a che, in pochi istanti, il piccoletto non si fu calmato, guardando lo zio con i suoi occhioni chiari. I genitori rimasero fuorviati da un cambiamento tanto repentino e Kurt gridò al miracolo. Blaine invece sorrise: aveva trovato la soluzione.

 

«Solitamente mi riterrei pazzo nel dire una cosa del genere, Cooper, ma questa volta ci vuole: grazie al cielo sei qui! E dimmi una cosa… ti è mancato il tuo nipotino?».

 

«Da impazzire, Schizzo. Insomma, a chi non mancherebbe questo cuccioletto?», rispose quello, intento a farlo giocare.

 

«Dal modo in cui ride si direbbe che anche a lui sei mancato, quindi ecco che cosa faremo: tu passerai la serata in compagnia di Graham, per recuperare il tempo perso… ed io e Kurt ce ne andremo in discoteca, per passare una serata da soli!».

 

Sia Kurt che Cooper lo guardarono shoccati, fino a che il primo non lo baciò felice, sussurrandogli di nuovo “il mio eroe” e correndo di sopra a prepararsi ed il secondo invece non alzò le spalle con un sorrisetto.

 

«Immagino che mi tocchi anche questo», sospirò.

 

«Soprattutto se, come vedo, non perdi l’abitudine di arrivare nei momenti meno opportuni».

 

«Ti voglio bene, Schizzo», sorrise ancora il maggiore.

 

«Te ne voglio anche io, Cooper».

 

 

 

 

 

NdA:

Qui Alch e Bel! Come ogni volta che partecipiamo a delle Week, un prompt ce lo dividiamo, e questa volta è venuto fuori questo :) Abbiamo deciso di dividere la scena in quattro parti (Alch: "In realtà l'idea è stata mia u.u" Bel: "Hai ragione... L'idea è della Alch... diamo a Cesare quel che è di Cesare…") e ne abbiamo prese due a testa!

 

Alch: usare "Somewhere over the rainbow" come ninnananna non è stata una scelta casuale, ma è tratto da una puntata di E.R.; è stato un momento toccante quello di Mark che canta la ninnananna alla piccola e non ho potuto fare a meno di inserirlo qui ^^

 

Bel: Graham è, canonicamente per noi si intende, il primo figlio di Kurt e Blaine insieme a Iris, che in questa os però non è ancora nata.

 

Detto questo, speriamo che questa os vi sia piaciuta! A domani con il prompt: Coming out!

Alchbel

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Capitolo 5
*** Day 5: Coming out ***


Day 5: Coming Out

 

Like me trying my hard to explain.

 

Quando Cooper tornò a casa quel Natale, capì subito che qualcosa non andava non appena entrò in casa. Come mai il sorriso di sua madre sembrava così spento e quello di suo padre più freddo del solito? Perché l’atmosfera sembrava così fredda, senza tutte le solite decorazioni con cui Blaine abbelliva la casa? Ma soprattutto, dov’era suo fratello?

 

«Vieni tesoro, vorrai sicuramente farti un bagno caldo per riprenderti dal viaggio,» gli disse sua madre aiutandolo a sfilarsi il cappotto e posandolo sull’attaccapanni dell’ingresso.

 

«Uh, sì…»

 

Cooper non la stava del tutto ascoltando, ma si guardava in giro, alla ricerca del fratello. Era strano, di solito Blaine era sempre lì ad attenderlo, con il suo solito sorriso ampio sul viso e gli occhi dorati che brillavano per l’emozione e la gioia nel rivedere il suo fratellone; o per lo meno, era così che lo vedeva Cooper. Quella volta, invece, l’assenza di Blaine lo lasciava stupito e con una strana sensazione addosso.

 

«Dov’è Blaine?» osò chiedere, fissando lo sguardo sul padre.

 

«In camera sua…» rispose George Anderson, per poi aggiungere a bassa voce, «Dove è giusto che stia.»

 

Cooper lo fissò stranito; era certo che qualcosa non andasse, che fosse successo qualcosa di brutto. Una lite, magari? Ma così furiosa da rendere loro padre livido di rabbia?

 

 

***

 

 

Blaine sentì un lieve bussare alla porta della sua stanza. Si girò su un fianco, dando la schiena alla porta della sua stanza, felice di averla chiusa a chiave; non voleva aprire, men che meno a suo fratello.

 

Sapeva che era Cooper fuori dalla porta; lo aveva sentito arrivare e chiedere di lui. Probabilmente si era chiesto come mai non fosse stato accolto dal solito comitato di benvenuto rappresentato dal fratello esultante. Ma no, quella volta non sarebbe successo. Quella volta, Blaine non avrebbe messo da parte il rancore che provava nei confronti del fratello solo per trascorrere un sereno Natale. Non ora che tutto era cambiato.

 

«Ehi, Blaine! Ci sei?» la voce di Cooper dall’altro lato della porta sembrava preoccupata.

 

Blaine strinse più forte il cuscino. È solo la tua immaginazione, Blaine. Tuo fratello non è veramente preoccupato per te. Tu sei una nullità, ricordi?

 

Cooper bussò alla porta ancora una volta, e Blaine desiderò solo che se ne andasse, che lo lasciasse in pace, che tutti quanti lo lasciassero in pace. Fu accontentato.

 

Il ragazzino si rigirò nel letto, senza badare alle lacrime che gli rigavano il volto e bagnavano il cuscino.

 

 

***

 

 

Forza Blaine, devi alzarti.

 

Era quello che si stava ordinando da più di dieci minuti, ma il suo corpo sembrava non reagire. E perché avrebbe dovuto? Perché si sarebbe dovuto alzare, preparare, dipingersi un falso sorriso sul volto e scendere a cena? Con che coraggio lo avrebbe fatto?

 

Ma soprattutto… ce lo aveva il coraggio di affrontare a viso aperto suo padre?

 

Blaine strinse i pugni; se c’era una cosa di cui era certo, era il fatto di non vergognarsi di se stesso. Era suo padre a doversi vergognare, era lui che avrebbe dovuto nascondersi dentro la sua stanza e non uscirne mai più. Ma allora perché faceva così male?

 

Con un enorme sforzo di volontà, Blaine si alzò dal letto e si infilò sotto la doccia, sperando di schiarirsi le idee. Non funzionò: la sua testa era un turbinio di pensieri contrastanti, il magone che gli serrava la gola ormai da giorni sembrava intenzionato a non andarsene, e soprattutto, la sua voglia di abbandonare il rifugio sicuro della sua stanza era pari a zero.

 

Tuttavia, dopo neanche venti minuti, Blaine stava scendendo le scale, i capelli sistemati sotto un quintale di gel e la cravatta legata al collo; sul viso sfoggiava un sorriso ampio, falso e certamente non adatto a un ragazzino di appena quattordici anni.

 

Quando entrò in cucina, neanche notò la tavola imbandita e l’enorme albero di Natale vicino alla finestra addobbato in maniera esemplare; in condizioni normali, ne sarebbe stato entusiasta, ma ora il suo sguardo saettò tra il padre, che non sembrò neanche notarlo, e Cooper, che era seduto a fianco del padre con lo sguardo perso oltre il vetro della finestra.

 

Non appena Cooper lo vide, si alzò in piedi e lo raggiunse, stringendolo in un abbraccio.

 

«Ehi, Schizzo, sei cresciuto!»

 

Blaine ricambiò poco calorosamente l’abbraccio, anche se avrebbe voluto con tutte le sue forze aggrapparsi alle spalle del fratello e lasciarsi proteggere da lui. Ma il non sapere come avrebbe potuto reagire il ragazzo di fronte a lui lo terrorizzava; nel giro di una settimana aveva perso i suoi genitori, ora non voleva perdere anche il fratello – nonostante i rapporti tra loro non fossero dei più rosei.

 

«Prima sono passato in stanza da te, ma non mi hai aperto… Ti eri addormentato, vero?» chiese Cooper con un sorriso, che però non si estendeva agli occhi.

 

Per un attimo, Blaine sperò che Cooper capisse che c’era qualcosa che non andava e gli chiedesse qualcosa; ma cosa avrebbe potuto dire?

 

«Già, mi ero addormentato,» rispose Blaine con un sorriso mesto e prendendo posto a tavola, davanti a suo fratello e tra i suoi due genitori.

 

Nella stanza cadde un silenzio di tomba: George sedeva rigido, lo sguardo fisso davanti a sé, come se fosse da solo nella stanza; Cooper faceva saettare lo sguardo da Blaine al padre, ora ben conscio che ci fosse qualcosa che non andava – Blaine era sempre stato il preferito di papà, così elegante e contenuto; e Blaine infine aveva il capo chino sulle gambe, immaginando solo di trovarsi di nuovo chiuso nella sua stanza, al riparo da suo padre.

 

Fortunatamente, la madre scelse quel momento per entrare nella stanza con in mano il primo piatto. Dopo pochi minuti, stavano tutti mangiando in religioso silenzio, cosa che Cooper non sopportò per molto.

 

«Allora papà, come sta andando il lavoro?»

 

«Molto bene, Cooper,» rispose George. «Le tue lezioni all’università?»

 

Cooper si grattò il capo. «Ehm… ti ricordi che ho lasciato l’università questo settembre, vero?»

 

Il padre spostò per la prima volta lo sguardo su di lui, gelandolo sul posto. «Certo che lo ricordo. È un po’ difficile dimenticarsi che hai abbandonato i tuoi studi di Economia per dedicarti alla recitazione; ma speravo che nel frattempo ti fosse tornato un po’ di buon senso.»

 

Cooper abbassò lo sguardo, ferito. Alice Anderson a quel punto tossì, imbarazzata, e disse: «Su, su, non è il caso di parlare ora di questi argomenti.»

 

«E quando sarebbe il momento, di grazia?» le chiese il marito con voce mortalmente gentile. «Dopotutto, non possiamo pretendere che Blaine venga su in maniera decente se ha come esempio quello scapestrato di suo fratello.»

 

«Io non sono uno scapestrato!»

 

«Non è colpa sua…» pigolò Blaine, aprendo la bocca per la prima volta da quando era iniziata la cena.

 

Alice, immaginando dove quel discorso li avrebbe condotti, cercò di salvare la situazione. «Tesoro, andiamo, mangia. Ora non è il momento di-»

 

«È esattamente questo il momento di parlare, invece!» gridò il marito, per poi riportare la voce a un tono normale. «Cooper, lo sapevi che tuo fratello è un finocchio?»

 

Cooper strabuzzò gli occhi, spostando lo sguardo su Blaine che sembrò farsi piccolo piccolo nella sua sedia. Il fratello stava stringendo forte le posate, deglutendo il piccolo boccone di cibo che gli si era sicuramente incastrato in gola; aveva gli occhi pieni di lacrime. Cooper non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, mentre il padre continuava a insultare Blaine.

 

Ma Cooper non lo sentiva. Era come se avesse messo una specie di filtro tra le sue orecchie e le parole che uscivano di bocca al padre; osservava solo come certe parole facessero rabbrividire Blaine davanti a lui. Un rabbia che non si sarebbe mai aspettato di provare lo colse del tutto inaspettato; poche volte nella sua vita aveva osato discutere con il padre, ma quella volta… oh, quella volta avrebbe davvero voluto fargli male. Non poteva sopportare di vedere il suo fratellino, di solito così pieno di entusiasmo e gioia, ridotto a quel pulcino tremante e spaventato, triste come non mai.

 

«Basta…» si trovò a sussurrare, ma nessuno sembrò sentirlo. «Basta!» urlò quindi più forte, alzandosi dal tavolo e sbattendoci una mano sopra.

 

Il silenzio calò tra di loro, ma durò poco.

 

«Come osi?» sibilò George in direzione del figlio maggiore.

 

«No, come osi tu?! Come osi insultare così tuo figlio?» chiese Cooper con sguardo infuocato. «Insomma, guardalo! È Blaine. È sempre Blaine, lo stesso Blaine che fino a poco fa adoravi per la sua compostezza e gentilezza; niente è cambiato!»

 

«Tutto è cambiato,» decretò suo padre, distogliendo lo sguardo dai suoi due figli e tornando a mangiare.

 

Blaine non ce la faceva più; non poteva stare lì seduto e continuare a mangiare. Sentiva le lacrime premere per uscire, il cuore gli batteva furiosamente nel petto, la confusione gli agitava l’animo e soprattutto le parole del padre lo torturavano, risuonandogli in testa come un monito. Così si alzò dalla tavola e scappò via.

 

«Blaine, torna subito qui!» urlò George, battendo un pugno sul tavolo e facendo per alzarsi. Ma fu bloccato da Cooper.

 

«Non osare…» gli disse soltanto prima di voltarsi e seguire il fratello su per le scale.

 

 

***

 

 

«Dai Blaine, fammi entrare!»

 

Cooper era seduto davanti alla porta della stanza del fratellino da più di dieci minuti ormai. All’inizio si era preoccupato, ma ora lo sentiva piangere attaccato alla porta, come se anche lui si fosse appoggiato contro di essa. Non stentava a credere che fosse davvero così, soprattutto perché riusciva a vedere la sua ombra da sotto alla porta.

 

Sentire il fratello piangere in quel modo gli spezzava il cuore. Blaine poteva sembrare un ragazzo forte, ma la verità era un’altra; quella era una facciata con cui nascondeva la sua fragilità e insicurezza. Cooper lo capiva perché lui faceva lo stesso.

 

«Blainey, ti prego… Aprimi.» Sospirò. «Sono preoccupato per te…»

 

Non ottenne nessuna risposta.

 

«Blaine… perché non me lo hai detto?» si lasciò sfuggire Cooper.

 

Aveva questa domanda che gli martellava in testa sin da quando il padre gli aveva detto dell’omosessualità di Blaine. Quello era di gran lunga il modo peggiore in cui avrebbe potuto venire a saperlo. Sarebbe dovuto essere Blaine; avrebbe dovuto sentirlo dire dal fratello, e non urlato in quel modo volgare dal loro stesso padre.

 

Blaine aveva smesso di piangere dall’altro lato, e Cooper si sgridò mentalmente. Stupido, ti pare il caso di fargli una domanda del genere in questo momento?

 

«Cooper…»

 

L’interpellato sussultò sentendo finalmente il fratellino rispondergli.

 

«Sono qui…»

 

«Avevo paura,» sussurrò Blaine, così piano che Cooper dovette sforzarsi per sentirlo. «Insomma, tu sei sempre lì a correggere tutto quello che faccio e dico e… pensavo che avresti reagito esattamente come ha reagito papà.»

 

Cooper sospirò, passandosi una mano sul volto; fece per rispondergli, ma Blaine riprese subito a parlare.

 

«Sono sbagliato, vero? Sono io a essere sbagliato… è colpa mia? Sono uno… scherzo della natura? Una nullità?» Blaine fece una pausa. «Ti prego, Cooper, dimmi che non sono una nullità…»

 

Cooper si ritrovò con un magone a serrargli la gola, e quello che seguì non fu poi in grado di ricordarselo bene. Ricordava solo di essersi alzato in piedi, di aver dato un pugno alla porta e aver implorato il fratello di aprirgli; e, non sa quanto tempo dopo, si era ritrovato a stringere Blaine a sé, quasi prendendolo in braccio.

 

Blaine serrò gli occhi e affondò il viso nel maglione soffice del fratello, facendosi cullare dalle sue mani che gli accarezzavano la schiena e dalla sua voce che gli ripeteva, «Tu non sei una nullità, tu non sei una nullità, tu non sei una nullità.» Blaine scoppiò a piangere, il primo vero e proprio pianto che si lasciava sfuggire da quando aveva fatto coming out con i suoi genitori, aspettandosi di trovare appoggio e comprensione ma avendo ottenuto invece solo insulti.

 

Cooper lo prese in braccio ed entrò nella stanza di Blaine, chiudendosi la porta alle sue spalle e andandosi a sedere sul letto. Continuava ad accarezzare i capelli e la schiena di Blaine, lasciandolo sfogare.

 

Quando alla fine Blaine si staccò e si sedette al suo fianco sul letto, asciugandosi gli occhi con una mano, Cooper non esitò un istante a prendergli il mento tra le dita e costringerlo a guardarlo.

 

«Tu non sei una nullità,» ripeté con tono deciso. «Non c’è nulla di sbagliato in te, hai capito? Sono loro a essere sbagliati, tu non hai fatto nulla di male.»

 

«Ma io-»

 

«No, niente ma. Sei un ragazzo in gamba, studi molto, di certo non possono lamentarsi di te. Tu sei perfetto così come sei.»

 

Blaine a quel puntò scoppiò di nuovo a piangere e abbracciò di nuovo Cooper, che lo lasciò fare; doveva sfogarsi per quanto possibile, aveva troppe cose dentro di sé che non riusciva più a trattenere.

 

Dopo qualche minuto si ritrovarono sdraiati vicini, Blaine ancorato a Cooper mentre cercava di riportare il suo respiro accelerato a una velocità normale e lasciando che il fratello gli accarezzasse i capelli. Stravolto per tutto quello che era successo, chiuse gli occhi e sprofondò nel sonno. Prima di addormentarsi, però, chiese a Cooper: «Ora sarà tutto più complicato, vero Coop?»

 

Cooper si irrigidì, non sapendo che cosa rispondere al fratellino che si stava addormentando tra le sue braccia, proprio come faceva quando erano bambini.

 

«Sì…» sussurrò alla fine, perché sarebbe stato inutile mentirgli; e Blaine era troppo intelligente per credere in una bugia tanto grossa.

 

Blaine strinse con forza la maglia del fratello, ma non disse niente. Così Cooper cominciò a fischiettare una vecchia canzone degli Athlete, lasciando che la sua voce cullasse Blaine, che si rilassò, riconoscendo la canzone. Non appena si accorse che Blaine si era addormentato con uno sguardo sereno in viso, Cooper strinse più forte a sé il fratello; non avrebbe sempre potuto difenderlo dalla cattiveria della gente, ma avrebbe per lo meno potuto regalargli quella notte serena.

 

 

 

 

NdA:

Ed eccomi qui con quest’altro prompt! Dopo esserci(mi) dedicata a storie dal timbro abbastanza leggero o sul fluff, questa urlava angst da tutte le parti, perciò ne è venuto fuori questo. Il titolo della storia è un verso di una canzone degli Athlete, Chancesche gli amanti di Doctor Who riconosceranno in un batter d’occhi –, che sarebbe poi la stessa canzone che canticchia Cooper a Blaine per farlo addormentare.

 

Con questa, io vi saluto! Era il mio ultimo prompt della Anderbros Week, le ultime due sono della Alch! È stato, come sempre, un piacere scrivere di Blaine, Cooper e Kurt.

Alla prossima!

Bel

 

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Capitolo 6
*** Day 6 - Hogwarts!Anderbros ***


Day 6: Hogwarts!Anderbros

 

Un coraggio da Tassorosso.

 

Alla mia Tassa, Clara.
Perché da Serpeverde – almeno secondo Pottermore –
penso tutto quello che ho scritto dei Tassorosso.

 

Blaine fece scivolare la piuma sulla pergamena con grazia, cominciandola a riempire con la sua calligrafia sottile ed aggraziata, quasi fosse musica e dovesse seguire semplicemente il suo istinto per comporre. Adorava Difesa contro le Arti Oscure, non poteva farci nulla se di qualsiasi argomento si parlasse durante quelle ore di lezione, lui ne restava semplicemente affascinato, come se fosse sempre stata la sua aspirazione nella vita. Gli altri ragazzi della sua Casa lo guardavano chi straniti, chi ammirati: era raro dopotutto che un Tassorosso si distinguesse così tanto, o almeno era quello che tutti quanti avevano imparato a pensare.

Blaine non ci credeva. Non credeva affatto che i Tassorosso fossero di natura mediocre e alle volte lo infastidiva quello sguardo di generale sorpresa quando lui rispondeva per primo ad una domanda o si distingueva dal resto della classe per un buon compito. Solo perché la loro Casa era quella “dove chi alberga è giusto e leale,  la pazienza regna infinita e il duro lavoro non è innaturale”, non significava di certo che non si sarebbero fatti valere, com’era giusto che fosse, in qualunque cosa li riguardasse.

Quindi Blaine scriveva, studiava e si allenava nel Quidditch: era un portiere niente male ed era riuscito a portare alla vittoria la sua squadra per la prima volta dopo anni, facendo sì che la loro porta restasse inviolata per tutto il tempo dell’ultima partita. Faceva tutto con una marcia in più, fosse anche solo per dimostrare che ogni Casa aveva egual valore e che non era di certo un “crimine” essere stato smistato a Tassorosso: il Cappello doveva aver avuto i suoi buoni motivi e dopotutto lui ci si trovava bene, aveva ottimi amici e non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Se fosse stato in grado di farlo capire anche ai suoi genitori, probabilmente sarebbe stato il ragazzo più felice di Hogwarts. Ma ormai ci aveva rinunciato: era Marzo e se dopo sei mesi non avevano cambiato idea a riguardo, di certo non lo avrebbero fatto in seguito. La sua era una famiglia purosangue, una di quelle che poteva ancora vantare un albero genealogico intatto: ce n’erano poche così ormai e andavano preservate. Discendeva da una lunga tradizione di Serpeverde e per primo lui aveva osato interromperne la stirpe scegliendo Tassorosso. Che poi, non si poteva di certo chiamare scelta quella. Era qualcosa di innato e non avrebbe finto di essere qualcosa che effettivamente non era solo per il buon nome della Casata.

Il riccio alzò la piuma dalla pergamena rileggendo le ultime righe appena scritte ed annuendo: per quella sera aveva fatto abbastanza, poteva anche concedersi un po’ di riposo. Diede uno sguardo all’orologio giusto in tempo per rendersi conto che stavano per servire la cena e mise a posto gli appunti, prima di avviarsi alla sala grande.

Era di buon umore quella sera, il fischiettio con cui si accompagnava mentre camminava per i corridoi ne era la prova e quando incontrò Sam, un ragazzo del primo anno smistato come lui in Tassorosso, il suo sorriso si ampliò ancora di più.

«Il compito di Pozioni mi sta mandando in corto il cervello», si lamentò quello dopo averlo salutato.

«Umh, sì, stavolta il professore si è impegnato particolarmente per renderci la vita impossibile. Dopo cena ti do una mano, ti va?».

Sam semplicemente sorrise dandogli una pacca sulla spalla: sapeva di poter contare sempre su Blaine e la gentilezza che lo contraddistingueva era stata la prima cosa che li aveva portati ad essere amici. Voltando l’angolo, però, il sorriso scomparve velocemente dalla faccia del biondo, che trattenne Blaine per la manica della maglietta, provando a fermarlo finché era in tempo.

«Ma guarda un po’ chi c’è! Schizzo!».

Troppo tardi. Il gruppetto di Serpeverde dell’ultimo anno che sostava fuori dalla Sala Grande li aveva appena visti e tra loro, ovviamente, non poteva mancare Cooper Anderson. Il fratello di Blaine.

Il riccio storse il naso al nomignolo con cui Cooper lo aveva chiamato, ma non disse nulla, cercando di entrare nella sala evitando inutili e ripetitive scene in cui sottostava a tutti gli insulti che lui e la sua banda riservavano praticamente a tutti i ragazzi Tassorosso dei primi anni.

«Dico, ora non hai più neanche un “buonasera” per tuo fratello?», lo fermò il più grande, trattenendolo per la spalla

«Buonasera», soffiò, sperando che bastasse, che per una volta tutto quello si potesse evitare.

«Mamma e papà hanno ragione: chissà come diavolo sei uscito tu da una famiglia come la nostra», continuò Cooper.

Blaine ingoiò senza dire nulla: dopotutto la pazienza era uno dei punti forti della sua Casa e di certo non si sarebbe lasciato buttar giù da qualche parola pesante. Ci si stava abituando a quel tipo di attenzioni da parte di suo fratello e per quanto la cosa lo ferisse ancora, aveva quanto meno imparato a far finta che gli scivolasse addosso. Per questo scrollò le spalle con sufficienza, entrando nella stanza e facendo segno a Sam di seguirlo, lasciando i ragazzi con dei mezzi sorrisetti che nascondevano insoddisfazione.

«Il modo in cui riesci a non rispondere alle loro provocazioni e anzi a farli morire dentro ogni volta è ammirevole», si congratulò Sam sedendosi accanto a lui.

«Anderson e quegli stupidi dei suoi amici continuano ad infastidirti?», si interessò Finn Hudson, un ragazzo di qualche anno più grande di loro.

«Solite cose, basta ignorare», minimizzò il ragazzo con un sorriso: si ripeté la stessa cosa nella testa un altro paio di volte, prima di riuscire a ricacciare indietro la rabbia e a tornare di umore quanto meno accettabile.

«Zuccherino, qualcuno stasera sta fissando solo te».

La bella voce di Mercedes, una delle sue migliori amiche, lo distolse dai suoi pensieri, facendolo voltare verso il tavolo dei Serpeverde, dove un ragazzino del primo anno gli sorrise, prima di continuare a parlare con una ragazza seduta al suo fianco. Blaine lo conosceva appena, aveva parlato con lui quelle poche volte in cui, tra una lezione e l’altra, si erano incrociati e gli era parso gentile e disponibile, completamente diverso dalla maggior parte dei suoi compagni di Casa.

«Quando ti deciderai a parlargli?», gli chiese Tina, sedendosi accanto a lui «Insomma, sarebbe anche ora che qualcuno di voi si facesse avanti».

Blaine arrossì. Lui… avrebbe dovuto farsi avanti? I Serpeverde non erano così inclini a stringere amicizie con membri di altre Case, soprattutto con i Tassorosso. Eppure, sapeva che Kurt era diverso, tanto che molte volte si era chiesto perché fosse stato smistato lì e non, ad esempio, in Grifondoro.

«Tranquillo, non ti bandiremo mica se decidi di essergli amico!», lo prese in giro Sam.

«Non potresti permettertelo, Evans: dopo chi ti farebbe i compiti di Pozioni, eh?», stette al gioco il riccio.

La faccia del biondo assunse un’espressione assurda.

«Non è vero… io me la caverei comunque, sai… Insomma, non sono così un disastro…», si difese, prima che tutti, lui compreso, scoppiassero a ridere di gusto.

Blaine si voltò di nuovo verso il tavolo dei Serpeverde, incontrando lo sguardo di Kurt e sorridendogli. Non tutti erano uguali e sentiva che di lui poteva fidarsi.

 

***

 

Essere ansioso, in quel caso, era un’espressione che a stento riusciva a descrivere quello che stava provando. Blaine deglutì nuovamente, mentre insieme alla squadra di Quidditch entrava in campo. Il pubblico si animò non appena li vide entrare, affiancati dalla squadra dei Serpeverde, contro cui avrebbero dovuto giocare, capitanata immancabilmente da Cooper Anderson.

Il riccio alzò la testa verso la tribuna colorata di verde ed argento: lì, minuscolo, da qualche parte tra la gente doveva esserci Kurt. Sapeva che c’era perché qualche sera prima aveva finalmente trovato il coraggio di scambiare qualche parola con lui e lo aveva invitato a vedere quella partita, anche se sapeva che non apprezzava particolarmente quel genere di attività. E lui gli aveva garantito che ci sarebbe stato.

Probabilmente Blaine era più agitato per la sua presenza che per l’intero match. Per questo, quando Cooper Anderson, eccellente cacciatore, segnò il suo primo punto, il Tassorosso non poté fare a meno di irritarsi: era raro che violassero la sua porta e questo non sarebbe dovuto succedere davanti a Kurt e soprattutto non ad opera di suo fratello.

C’era un tempo infernale quella mattina, la pioggia era così fitta che a stento riusciva a riconoscere i giocatori che gli si avvicinavano. Quella prima rete fu solo l’inizio di una valanga di goal che ben presto segnò la sconfitta dei Tassi. Alla fine della partita Blaine era così stanco e demoralizzato che non provò nemmeno ad andare al coperto: semplicemente, si accasciò a terra e aspettò che tutti andassero via, rimanendo in poco tempo da solo.

Ce l’aveva con se stesso per non essere stato abbastanza bravo. Aveva fatto una pessima figura con Kurt ed aveva perso un’occasione d’oro per insegnare qualcosa a suo fratello. Ora sarebbe stato solo peggio, adesso ad ogni insulto non avrebbe davvero potuto replicare nulla, perché Cooper avrebbe avuto ragione, perché lui in fin dei conti era un debole.

«Ehi, Schizzo! Che cosa fai qua? Cerchi di beccarti un malanno?».

La voce lievemente beffarda del fratello lo sorprese come uno schiaffo in pieno viso: insomma, quando si dice “non c’è fine al peggio”… Alzò la testa per incontrare il suo viso, in parte nascosto dal cappuccio del mantello che lo proteggeva dalla pioggia battente.

«Va’ al diavolo, Cooper».

La risposta gli era saltata fuori dalle labbra prima che potesse controllarla e capì che non era affatto da lui quando lesse una nota di sincera sorpresa negli occhi del fratello.

«Uh! Non credevo potesse esistere una simile espressione nel tuo vocabolario», lo canzonò.

«Beh, ora sai che non è così, che solo perché evito di risponderti e di fare il tuo gioco non significa che non conosca le parole per metterti a tacere».

La rabbia stava montando in lui con una facilità che non si sarebbe aspettato, ma sentiva in quel momento di non avere la forza di reprimerla come suo solito.

«Sarebbe carino vedere come tu-»

«Che diavolo vuoi, Cooper? Umiliarmi? Infierire sulla mia sconfitta, su quanto patetico io possa essere al momento? Perché diavolo sei qui, sotto la pioggia, a parlare con me?!», lo interruppe il più piccolo, guardandolo dritto negli occhi e sputando ogni parola come se non avesse potuto farne a meno.

Il Serpeverde per la prima volta non seppe che cosa replicare.

«L’ho capito. Sono una nullità. Una nullità che è finito tra le nullità. Una delusione per generazioni e generazioni di Anderson che si sono vantati della loro fiera appartenenza alla Casa dei Serpeverde. Una macchiolina da cancellare dall’albero genealogico senza pensarci su due volte. L’ho capito. E sono stufo del fatto che tu e tutti gli altri non facciate che ricordarmelo ogni volta che mi incontrate. Vuoi saperla una cosa, però? Sono fiero di far parte dei Tassorosso, sono fiero della mia Casa, dei suoi valori e delle persone che ne fanno parte. Ho stretto con loro un magnifico legame e non li cambierei per nulla al mondo. E solo perché non ti zittisco o ti mando al diavolo ogni volta che fai lo sbruffone con i tuoi stupidi interventi non vuol dire che non ne abbia la forza o le capacità, solo che non voglio. Non voglio perché sono superiore. A te, a quelli come te, ai vostri insulsi modi di confrontarvi con la gente, credendo di essere i migliori, ma senza sapere che alla fine vi troverete con nulla. Perché io, nella mia mediocrità di Tassorosso, posso contare sul fatto che determinate persone non mi lasceranno mai indietro, che quelli che davvero contano nella mia vita al momento non mi abbandoneranno, ma posso scommettere che tu non puoi dire lo stesso di quelli che ti circondano, perché in fondo, in silenzio, tutti vi odiano e neanche tra voi riuscite a sopportarvi. Ti sei nascosto dietro gli altri Serpeverde e che cosa hai fatto per questi sette anni? Nulla, Cooper. Nulla. Sei solo stato in grado di entrare in una Casa in cui tutti, nella nostra famiglia, sono stati smistati. Ma io, io ho avuto la forza di cambiare, di far valere me stesso e non le tradizioni. Io ho avuto il coraggio di essere me stesso».

«Un coraggio da Grifondoro».

«No, Cooper. Un coraggio da Tassorosso».

Il più grande rimase senza parole. Leggeva una forza ed un ardore negli occhi ambra di suo fratello che mai si sarebbe aspettato di trovare nella compostezza e nell’ombra dietro cui molto spesso si proteggeva. Aveva sbagliato tutto, aveva frainteso ogni cosa. Blaine Anderson era una persona dieci volte migliore di quanto lui sarebbe mai potuto essere.

Sorrise. Un sorriso vero, stavolta, senza beffa o malizia. Sorrise e gli porse la mano. Il riccio lo guardo scettico, prima di afferrarla e tirarsi su.

«Mi dispiace, Blaine. Mi dispiace davvero tanto per tutto quello che ho fatto», si scusò con sincerità.

«Vedremo», gli concesse il minore, perché in fondo non aveva mai smesso di sperarci.

«Vedremo, Blaine!», gli confermò Cooper, perché aveva davvero intenzione di smetterla, perché in fondo era andato lì per smetterla; perché non aveva mai creduto davvero agli insulti che ogni volta gli lanciava, perché Blaine aveva avuto ragione: lui si era solo difeso dietro gli altri membri della sua Casa.

«Non siamo tutti uguali, noi Serpeverde», disse poi e il riccio annuì.

«Io l’ho sempre saputo; eri tu quello che doveva capirlo».

Cooper rise. Ecco il suo fratellino. Stavolta lo aveva davvero battuto.

«Umh, a proposito di Serpeverde, c’è un ragazzino del primo anno che ti sta aspettando in corridoio da quando è finita la partita. Quando sono rientrato in campo era ancora lì. Non dovresti farlo attendere oltre».

Gli occhi di Blaine si illuminarono in un istante. Kurt era lì. Kurt lo stava aspettando! Corse verso l’uscita del campo quanto più velocemente possibile, fermandosi solo per qualche attimo e voltandosi indietro verso il fratello. Aveva tolto il cappuccio e rivolto il viso alla pioggia che ora lo stava bagnando con forza.

Non si era mai sbagliato sul conto dei Serpeverde. E in fondo non si era mai sbagliato neanche su Cooper.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________

 

Ok, non so sul serio da dove esca questa shot… fatto sta che è qui, pubblicata, e spero vi  piaccia. Fino a ieri non avevo uno straccio di idea e praticamente l’ho scritta senza sapere dove sarebbe finita. Ha fatto tutto da sola e non aveva una trama… fino a che ce l’ha avuta.

 

Bel mi ha passato il testimone e spetta a me concludere – si spera in bellezza – questa week.

Sembra più che altro un’apologia dei Tassorosso, ma vedevo la cosa troppo appropriata a Blaine per non fare un parallelismo tra le due cose.

 

Umh, come già detto, la dovevo per forza dedicare alla mia Tassa personale, Clara, perché beh, lei è l’avvocato di tutti i Tassi, li difende praticamente a spada tratta!

 

Detto questo… spero davvero che vi sia piaciuta e vi invito a farci sapere che cosa ne pensate a tornare anche domani per l’ultimo giorno: Chirldren!Anderbros!

 

 

Alch

 

 

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Capitolo 7
*** Day 7 - Children!Anderbros ***


Day 7: Children!Anderbros

 

Mai più.

 

Cooper Anderson sentiva che quella giornata sarebbe stata indimenticabile. Uno dei suoi migliori compleanni, anzi forse proprio il migliore. Cosa poteva esserci di meglio, in  fondo, di due giorni in campeggio con i suoi amici, libero da qualsiasi controllo da parte degli adulti? Avrebbero passato tutta la notte a farsi scherzi assurdi e a raccontare storie dell’orrore facendo a gara a chi si spaventava prima. Sarebbe stato perfetto.

 

«Pensi che ci saranno i leoni al campeggio?».

 

La vocina eccitata di suo fratello interruppe Cooper dal fantasticare circa il suo regalo di compleanno. Compiva 16 anni quella mattina e i suoi genitori gli avevano concesso qualcosa di assolutamente diverso dalle solite feste in casa con musica e giochi. Ad una condizione: che Blaine fosse venuto con loro.

 

Improvvisamente tutto quello non sembrava poi essere così perfetto.

 

Si voltò verso i genitori con sguardo implorante, mentre salivano tutti in macchina.

 

«Ripetetemi ancora una volta perché lui deve venire con me e i miei amici», disse imbronciato per l’ennesima volta, portando le braccia al petto e mettendo su una smorfia imbronciata.

 

«Perché io e tuo padre saremo fuori per tutto il fine settimana e di certo Blaine non può restare da solo a casa», fece la mamma seccata dalla petulanza con cui quella conversazione si stava protraendo dalla sera precedente.

 

«Ma è il mio compleanno. Perché Blaine deve rovinarmelo?», continuò il più grande.

 

Il piccolo, dal canto suo, avrebbe davvero voluto essere altrove che con gli amici di Cooper, ma la mamma gli aveva spiegato che doveva andare e che si sarebbe divertito tantissimo e lui le credeva. Si voltò verso Cooper, pronto per dirgli che non avrebbe dato alcun fastidio, ma il fratello gli lanciò una brutta occhiata prima ancora che potesse provare ad aprire bocca.

 

«Vedi di non rovinarmi questa giornata o saranno guai!», gli sussurrò e Blaine ingoiò abbassando la testa con fare mesto.

 

Certo che non gli avrebbe rovinato il compleanno. Lui voleva solo divertirsi con suo fratello… anche se Cooper non sembrava proprio dello stesso avviso. Il piccolo si spinse contro il finestrino, cercando di non pensarci e in breve riuscì a distrarsi, attirato dal paesaggio  diverso dal solito che scorreva lungo la strada. Sembrava essere in un altro continente, quando invece era solo in periferia.

 

Dopo una mezz’ora di macchina, arrivarono allo spiazzale in cui Cooper aveva dato appuntamento ai suoi amici. Sarebbero stati 6 in tutto – 7 con quella spina nel fianco del suo fratellino. Josh e Mark furono i primi ad arrivare, ma entro un quarto d’ora anche Jeremy, George e Tony scesero dalle macchine, accompagnati per l’occasione dai genitori che prima di andare scambiarono qualche parola con gli Anderson. Quando tutto fu sistemato, i ragazzi rimasero da soli, non senza aver ricevuto le solite raccomandazioni dagli adulti sullo stare attenti, non allontanarsi da soli e tenere d’occhio Blaine – cosa che valeva soprattutto per Cooper.

 

Il ragazzo fece una smorfia al pensiero di doversi occupare di suo fratello e mentre quello era intento a distrarsi con chissà cosa, fece cenno ai suoi amici di avvicinarsi e parlottò piano.

 

«Stasera, appena il marmocchio crolla, faremo una maratona di racconti horror ed eleggeremo il re della nottata. Qualunque cosa dica il re è legge e domani ci sarà da divertirsi perché il re può far fare ciò che vuole», decretò con un sorrisetto tra l’approvazione degli altri ragazzi.

 

«Che cosa state facendo?».

 

La vocina di Blaine interruppe il loro confabulare  e tutti si voltarono con falsi sorrisi verso di lui.

 

«Decidevano dove accamparci, Schizzo», rispose subito Cooper.

 

«Smettila di chiamarmi così, sai che non mi piace», si lamentò.

 

«Sì sì, Schizzo, come dici tu. Ora andiamo a montare le tende», minimizzò il più grande, spingendolo tra gli alberi, fino a trovare un punto in cui fossero abbastanza radi da permettere loro di montare le tende ed avere uno spazio al centro per l’immancabile fuocherello da campeggio – praticamente inutile, dato che erano ad Agosto, ma immancabile per dare a tutta la situazione quell’atmosfera di avventurieri impavidi che ci voleva.

 

Quando ebbero deciso il posto, cominciarono velocemente a montare le pratiche tende. Blaine, tutto fiero ed eccitato, cacciò dal sacco la sua e la gettò a terra aspettando che si montasse da sola – in fondo era quello che faceva nella pubblicità. Tuttavia, la tenda rimase un semplice ammasso di roba per terra. Il piccolo inclinò la testa, senza capire dov’è che avesse sbagliato.

 

«Cooper, la mia tenda non si monta!», si lamentò, voltandosi verso suo fratello, indaffarato a fissare bene la sua.

 

«Non ora, sono occupato!», lo liquidò in breve, dandogli le spalle.

 

Blaine sbuffò, avvicinandosi a George, poco distante. Odiava parlare con gli amici di Cooper, perché sembravano non prenderlo mai sul serio, peggio di suo fratello, ma quello era importante, per cui si fece coraggio. E poi, il ragazzo sembrava aver finito con la sua: non avrebbe avuto nulla in contrario a dargli una mano.

 

«George…? La mia tenda… io non so come montarla…», confessò a testa bassa, per quanto detta così suonasse davvero male.

 

Il ragazzo biondo si voltò verso di lui, guardando la tenda alle sue spalle per meno di un istante.

 

«Appena ho finito ti spiego come fare», disse, voltandogli anche lui le spalle e tornando a sistemare la sua.

 

«Ma hai finito», constatò con semplicità.

 

«Io… no, ho ancora da fare all’interno!», e si sbrigò velocemente ad entrare nella tenda, così che Blaine non lo potesse più seccare.

 

Il piccolo abbassò la testa e tornò alla propria tenda – per quanto definirla tale era davvero un affronto alle altre tende.

 

«Stupido ammasso di… roba! Perché non ti monti da sola, eh!?», se la prese, calciando l’ammasso floscio che aveva davanti ai piedi.

 

«Schizzo, sei un disastro! Come diavolo fai a non saper montare una tenda semplice come questa?», lo prese in giro Cooper, avvicinandosi e in breve la mise in piedi con non più di dieci mosse.

 

Blaine stette a guardarlo con un misto di rabbia e delusione, stringendo i pugni ma senza dire nulla. Aveva ragione dopotutto: era stato semplice per Cooper, sarebbe dovuto essere altrettanto semplice anche per lui. Sospirò: era davvero un disastro.

 

 

***

 

 

Il cielo, quella sera, era qualcosa di spettacolare. Le stelle comparivano a centinaia nella volta scura, piccole perle incastonate con grazia nel mantello nero della notte. Blaine avrebbe tanto voluto allungare la mano fino a prenderne qualcuna – solo qualcuna – per poterla portare con sé. Gli avrebbe fatto compagnia in quella serata davvero noiosa, in cui Cooper lo aveva mandato nella tenda a dormire quando non erano ancora le nove.

 

«Se non vuoi rovinarmi il compleanno, vedi di startene qua buono e non fare nulla», gli aveva detto  e lui gli aveva obbedito, perché aveva promesso che non avrebbe fatto nulla per farlo dispiacere il giorno del suo compleanno.

 

In realtà Cooper aveva cominciato con la solfa del “se non vuoi rovinarmi il compleanno” già dalla mattina e lui era davvero stufo di non poter praticamente fare nulla. Era stato a giocare da solo nella sua tenda praticamente tutta la giornata, tranne quando avevano mangiato tutti quanti insieme davanti al fuoco.

 

Uno scoppio di risate attirò la sua attenzione: quanto avrebbe voluto essere lì con loro, a ridere e scherzare, ascoltando le storie che suo fratello e i suoi amici si stavano raccontando. Perché checché ne dicesse Cooper, lui non era più un bambino piccolo, poteva giocare con loro senza dare fastidio se solo lo avessero lasciato provare.

 

Sbuffò, mettendosi a sedere e stringendosi le braccia intorno al petto. Non avrebbe fatto vedere a Cooper che voleva piangere, anche se sarebbe stata davvero la sola cosa da fare in quel momento. Lui neanche ci voleva andare a quel campeggio!  Avrebbe di gran lunga preferito restare nel suo lettino, con Teddy a fargli compagnia. La mamma lo aveva convinto ad unirsi a loro, dicendogli che in realtà a Cooper avrebbe fatto piacere, quando invece era chiaro che per lui fosse solo una palla al piede.

 

Se era così, quindi, lui se ne sarebbe andato. Blaine ponderò l’idea per qualche istante. In fondo non ci avevano poi messo così tanto tempo ad arrivare lì: sarebbe riuscito a tornare a casa in un quarto d’ora massimo! Avrebbe fatto un favore a Cooper e a se stesso, togliendo il disturbo.

 

Il piccolo non ci pensò su neanche un altro istante e si affacciò silenziosamente dalla tenda, per controllare che nessuno lo vedesse. Erano tutti così attenti a quello che suo fratello stava dicendo in quel momento che neanche si sarebbero accorti della sua assenza. Probabilmente ne sarebbero stati felici. Uscì cercando di non fare rumore e con pochi passetti fu lontano dal fuoco e dai ragazzi.  Accese la torcia che si era portato dietro e cercò di ricordare la strada che aveva fatto.

 

 

***

 

 

«Sai, Cooper, credevo che tuo fratello si sarebbe lagnato di più per il modo in cui lo abbiamo liquidato», sussurrò Mark, voltandosi verso la piccola tenda alle sue spalle.

 

«Anche io, ad essere sincero. Non fa altro che piagnucolare per qualsiasi cosa», convenne il festeggiato «E comunque, per te, sono re Cooper», ricordò all’amico come a tutti gli altri, sottolineando che aveva vinto la sfida.

 

Gli altri gli fecero un inchino, stando al gioco e si ritirarono nelle proprie tende. Il maggiore degli Anderson stava per fare lo stesso, quando qualcosa gli suggerì di dare una sbirciata al fratellino, giusto per vedere se avesse bisogno di qualcosa. Sentì mancargli il fiato quando, entrando, si accorse che Blaine non c’era.

 

«Schizzo?!», chiamò «Non essere stupido, dove ti sei nascosto?!».

 

Guardò fuori dalla tenda, intorno alle altre, ma del piccolo non c’era traccia.

 

«Schizzo, giuro che se questo è uno scherzo, non è divertente! Esci subito fuori o saprò io che cosa fare!», lo minacciò, più spaventato che arrabbiato, ma senza ricevere risposta.

 

Gli altri ragazzi, che avevano sentito la sua voce, si affacciarono dalle tende, chiedendo quale fosse il problema.

 

«Mio fratello è sparito!», strepitò Cooper ormai nel panico più totale.

 

« Vedrai che si è solo allontanato per fare pipì», suggerì Josh, ma il ragazzo scosse la testa.

 

«Me lo avrebbe detto. Sa che non deve allontanarsi da solo, me lo avrebbe detto!»,  gridò guardandosi intorno senza trovare soluzione.

 

«Ok, niente panico ragazzi. Cooper, niente panico», prese in mano la situazione Jeremy «Prendiamo le torce e andiamo a cercarlo.  Siamo in sei, faremo tre gruppi da due e perlustreremo la zone. Magari qualcosa avrà attirato la sua attenzione e si sarà mosso senza pensarci: non sarà molto lontano!».

 

Gli altri ragazzi annuirono, decidendo di muoversi subito e di portare con loro i cellulari, così da poter rimanere sempre in contatto.

 

È colpa tua, è colpa tua, è colpa tua, continuava a ripetersi Cooper  mente camminava. Accanto a lui, Mark non emetteva un fiato, ma cercava di illuminare lo spazio davanti a sé con quanta più efficacia possibile per quanto la torcia fosse davvero debole in tutto quel buio. Aveva provato a confortare l’amico per i primi minuti da quando avevano cominciato la missione di soccorso, ma era stato tutto inutile e ci aveva rinunciato dopo pochissimi tentativi.

 

«Se non lo trovo… che cosa succederà se non lo trovo? », sussurrò ad un certo punto Anderson, fermandosi «Il mio fratellino… il mio fratellino… Blaine?! Blaine dove sei finito?!».

 

«Cooper».

 

Fu un sussurro lontano, così sottile che inizialmente il ragazzo pensò di averlo solo immaginato. Al secondo richiamo, però, il cuore batté più forte. Era Blaine, era davvero il suo Blaine?

 

«Schizzo?! Schizzo dove sei?!», gridò con quanto fiato aveva in gola, cominciando a correre nella direzione da cui aveva sentito la voce di suo fratello, senza curarsi del paio di volte in cui cadde e si graffiò le mani e il viso.

 

«Cooper!».

 

Il piccoletto sbucò da dietro un albero quasi spaventando il più grande, che dopo qualche attimo di esitazione, lo prese letteralmente in braccio, stringendolo a sé.

 

«Quante volte ti ho detto di non allontanarti senza il mio permesso?», gridò con voce strozzata dalle lacrime, senza aver intenzione di lasciarlo andare via mai più.

 

Blaine scoppiò a piangere contro il suo petto.

 

«Ehi, Schizzetto, non piangere, sono qui ora!», cercò di rassicurarlo lui «Perché sei andato via?», gli chiese quando entrambi si furono calmati un pochetto.

 

«Tu.. io… pensavo che… Tu non mi volevi lì con voi. Era così chiaro… e allora ho pensato… magari che… sarei potuto andare a casa…».

 

«Blainey! Siamo miglia e miglia distanti da casa! Pur volendo ricordare la strada non saresti stato capace di tornare da solo!».

 

«Perché… perché sono un disastro?»,  sussurrò Blaine, a testa bassa, ancora tra le braccia del fratello.

 

«Ma no! Neanche io ci riuscirei!», lo rassicurò quello, dandogli un buffetto sulla guancia e stringendolo di nuovo a sé.

 

«Scusa per averti rovinato il compleanno…»

 

«Vuoi scherzare? È stata l’avventura migliore del mondo! Non è vero, Mark?», chiese man forte Cooper e il ragazzo, con un sorriso stavolta sincero in viso, annuì.

 

«Quindi posso stare con voi?», volle provare di nuovo a chiedere il piccolo.

 

«Meglio! Non devi lasciarmi mai più, Blaine. Promettimi che non mi farai spaventare mai più così!».

 

Per qualche istante i due si guardarono seriamente, occhi negli occhi, prima che Blaine annuisse.

 

«Mai più», promise, buttandogli le braccia al collo e restando in braccio a Cooper per tutto il tempo che impiegarono a tornare indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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E anche questa week è conclusa! Sia io che la Bel ci siamo davvero divertite tantissimo nel parlare di quei due bellissimi impiastri dei fratelli Anderson! E chissà, potremmo averci preso la mano e decidere poi di pubblicare altre storie con loro come protagonisti!

 

Per questa shot voglio precisare che ho preso spunto da un episodio di un altro telefilm (Numb3rs) dove i due fratelli adulti narravano di una disavventura simile avvenuta quando erano piccoli xD

 

Per il resto… spero che davvero vi sia piaciuta, sia la shot in particolare sia l’intera week!!

A prestissimo

 

 

Alch

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