All things must pass.

di Jude_McCartney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Liverpool, 1958. ***
Capitolo 2: *** First look ***
Capitolo 3: *** And I love him. ***
Capitolo 4: *** Happiness is a warm gun ***
Capitolo 5: *** Don't let me down ***
Capitolo 6: *** All you need is love ***
Capitolo 7: *** A taste of honey ***
Capitolo 8: *** Mother nature's son ***
Capitolo 9: *** I want to hold your hand / River flows in you. ***
Capitolo 10: *** The beginnings ***
Capitolo 11: *** Roll over Beethoven ***
Capitolo 12: *** Baby you can drive my motorbike ***
Capitolo 13: *** Never mind ***
Capitolo 14: *** We can work it out ***



Capitolo 1
*** Liverpool, 1958. ***


E' la prima storia che pubblico su questo sito, spero di riuscire a conquistarvi ed emozionarvi. Incentrerò il racconto su Emma, una ragazza con un passato tormentato. Conoscerà un acerbo Paul McCartney, che cambierà radicalmente la sua vita.
Col succedersi di diversi eventi, leggerete della nascita della leggendaria band dei Beatles, e prima di tutto dell'indimenticabile coppia McLennon, attraverso un nuovo punto di vista. Che dire? Buona lettura!

Liverpool, 1958. Il fumo delle ciminiere delle fabbriche offuscava la luce del sole, rendendo il paesaggio triste e macabro. Emma, seduta sul prato del giardinetto pubblico vicino casa, poggiava la schiena su di una quercia antica, l'unica che riusciva a sostenere il grande peso che gravava sulle sue spalle da anni ormai, l'unico posto in cui si sentiva davvero al sicuro da sguardi indiscreti e dalle sue paure. Leggeva il suo libro di storia dell'arte, materia fondamentale del suo liceo, nella quale sarebbe stata sicuramente interrogata l'indomani. Doveva prepararsi, non poteva permettersi un brutto voto già dai primi giorni del suo primo anno al liceo. Era una ragazza molto intelligente. Aveva capacità straordinarie, che andavano oltre la rapida comprensione delle materie scolastiche e l'incredibile memoria; riusciva a guardare dentro le persone, con uno sguardo capiva che tipo di persona aveva di fronte. Ecco perchè preferiva stare da sola, non le piaceva essere circondata da tanta gente. Perchè comprendeva la falsità e superficialità degli individui che la circondavano. Ma lei non era sempre stata così.
Prima era socievole, una bambina solare e sorridente. Era felice. Poi, arrivò quel maledetto giorno. E da QUEL giorno, cambiò tutto.

Le bastarono pochi minuti per studiare, erano ancora le 16.30. Raccolse il libro e la cartella, e iniziò a camminare per il parco. Emma era bellissima. Aveva dei lunghi capelli rossi, folti e ricci, la facevano sentire protetta. Camminando, qualche ciocca le scivolava davanti ai grandi occhi verdi, incorniciati da lunghissime ciglia nere. Aveva un naso perfetto, di quelli alla francese con la punta in su, spruzzato di lentiggini. La pelle chiarissima era in contrasto con le labbra carnose e rosse. Era magra, di media altezza. Questa così evidente bellezza attirava lo sguardo di molti, ma lei odiava quegli occhi che la scrutavano con attenzione. Si stringeva sempre nel suo cappottino grigio, turbata. Ecco, poco distante da lei un gruppo di ragazzi, sicuramente più grandi, che la squadravano in quel modo. Sentì dei fischi provenire da quella parte. Cercando di dimostrare noncuranza, accelerò il passo. "Ehi, rossa, non hai freddo con quel cappottino?" erano loro. Un forte brivido la scosse. "Cosa fai da sola? Ti facciamo noi compagnia!" decise di correre, ma troppo tardi, perchè i ragazzi l'avevano già accerchiata. "Perchè corri?! Non ti faremo mica paura!!" un ragazzo altissimo con gli occhi neri come la notte, le afferrò un braccio "vieni dai, ti riscaldo io!" iniziò a dimenarsi. Udì una voce dietro di lei. "Lasciatela stare!" il ragazzo la lasciò cadere a terra. Emma si guardò alle spalle. Due ragazzini, probabilmente della sua età, difronte ai sette che la circondavano, la stavano difendendo. "McCartney, cosa vuoi fare?! Mi vuoi pestare?! Oh, ragazzi lo sentite? E tu Harrison? Voi fare da spalla al tuo amichetto? Mi dispiacerebbe solo darti un cazzotto, sembri così magrolino e fragile, non vorrei spezzarti qualcosa!" gli altri attorno risero fragorosamente. "Ho detto di lasciarla stare, non ci senti James?!' risero ancora "E va bene, la lascio stare"- si girò verso Emma- "peccato, ci saremmo divertiti, ma mi è venuta tanta voglia di pestare questi due nanetti, sarà per la prossima, rossa!". SI alzò rapidamente e scappò, corse più veloce che mai, senza guardarsi una volta alle spalle. Arrivata dietro casa sua, si fermò. Respirava affannosamente, le tremavano le gambe. Perchè quei due ragazzi si erano messi contro quel tizio, per difenderla? Non aveva idea di chi fossero, perchè avrebbero dovuto fare una cosa del genere per una sconosciuta? Si sedette per terra, ancora incapace di comprendere la situazione. Nel silenzio, sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

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Capitolo 2
*** First look ***


Emma era impietrita. Le si gelò il sangue nelle vene, quasi le si fermò il cuore. Fece un grosso respiro e si voltò.
 Era il ragazzo del parco, quello che l'aveva difesa. Quello che le aveva probabilmente salvato la vita. Tirò un sospiro di sollievo e rimase immobile a fissarlo. Era abbastanza alto, magro e slanciato. Aveva i capelli neri e lisci, sporchi di terra. I suoi occhi erano bellissimi. Grandi e verdi, come quelli di Emma. L'occhio destro era cerchiato da un livido viola scuro. Il suo naso era perfetto, dritto e piccolo, con la punta all'insù. Aveva gli zigomi alti, velati di rosso, quel rosso tipico dei bambini imbarazzati. Ma lui non era un bambino, anzi. Si soffermò poi sulle labbra. Erano grandi carnose, a forma di cuore, viola per il freddo. Sul labbro inferiore aveva un taglio, una ferita fresca, circondata da sangue vivo. Emma si porto la mano alla bocca, spaventata. Era stata colpa sua, se quel ragazzo era ridotto così. Ed era davvero un peccato violare con quelle stupide ferite un viso così bello, pensò. Aveva un libro e una cartella in mano.
 -Ehm, li hai lasciati al parco..-le porse i due oggetti. Emma li afferrò, le mani le tremavano ancora. Rimase muta. -Non mi guardare così-scherzò Paul, cercando di tranquillizzarla- sembri terrorizzata..! Emma sorrise timidamente, posando il suo sguardo negli occhi di lui. Sentì uno strano tepore riscaldarle il viso e il corpo.
 -Grazie per quello che hai fatto al parco. Davvero.- si stupì di aver vinto la paura. Sorrise, trionfante.
-Sei stata fortunata-sospirò, fiero del suo gesto eroico- se non ci fossimo stati io e George non voglio immaginare che ti avrebbero fatto James e la sua comitiva.
 -Il tuo amico dov'è?oddio, gli è successo qualcosa? sta bene?
 -non sta peggio di me, tranquilla. –rise Paul, immaginando George che, traballante come un ubriaco, comminava intento a rincasare -Sarà arrivato a casa sua a quest'ora, non vive molto lontano da qui.
-Perchè mi avete aiutata?- domandò Emma, seria- Vi siete messi contro quei ragazzi per una sconosciuta!
-Perche?- continuò Paul, sorridendo con amarezza- Perchè conosco James, e so cosa ti avrebbe fatto. Credi sia possibile vivere con il rimorso di non aver aiutato una ragazza in pericolo, sapendo cosa le sarebbe successo? Il cuore di Emma iniziò a battere furiosamente.
-Comunque, mi chiamo Paul. Ho sedici anni e frequento il tuo stesso liceo.
-Come fai a sapere che liceo frequento?
-Quel libro-indicò il volume di storia dell'arte -è inconfondibile mia cara!
Emma scoppiò in un rossore imbarazzante, era evidentemente provata da quel "mia cara". Paul sorrise, divertito dall'effetto suscitato sulla ragazza. L'aria di tensione svanì.
-Il suo nome, signorina..?-sussurrò, mimando uno strano accento Londinese
Ridendo rispose: -Emma.
-Spero di rivederla presto, bellissima signorina.
Sempre più rossa, sorrise ancora.
-Devo andare. Felice di averti conosciuta, non nella situazione migliore, ma felice comunque.- continuò, facendole l’occhiolino-A presto!
Paul si incamminò verso casa, lasciando Emma smarrita tra mille pensieri ed emozioni che scivolavano nel suo cuore al ritmo del suo battito, riscaldando quel gelido autunno con il suo profumo di primavera.

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Capitolo 3
*** And I love him. ***


Emma era in camera sua, il cuore le batteva ancora forte.
Entrata in casa, i suoi genitori non le chiesero nulla. Il padre era in salotto, seduto in poltrona. Leggeva il giornale, non sembrò nemmeno alzare lo sguardo dai suoi articoli sportivi per vedere chi fosse arrivato. La madre era appena tornata dal parrucchiere, l'odore pungente di lacca si sentiva dall'ingresso. Stava aprendo il secondo pacchetto di sigarette della giornata. Nessun saluto, nessun richiamo. Tanto Emma ci era abituata. Era come vivere da sola, in quella casa fatta di ricordi, polvere, lacca e sigarette. Tristi cene passate a mangiare in silenzio escluse, lei ERA sola. Sola, rinchiusa in quelle quattro mura, impregnate di rimorsi e lacrime amare come alcol. Ma non era sempre stato così.
Prima, sua madre le pettinava i capelli ogni sera, le dava il bacio della buonanotte. Suo padre la portava fuori città a fare passeggiate in campagna, e poi a fare colazione insieme. Ma quello era il passato. Quante cose erano successe, quante cose erano cambiate.
Non riusciva a non pensare a Paul. Quel ragazzo misterioso, saltato fuori dal nulla. Così dolce e cortese, così affascinante. Così bello. Non aveva mai provato una cosa del genere. Voleva rivederlo. provava qualcosa di troppo forte, di indescrivibile. Qualcosa di bellissimo, che la rendeva immensamente felice. Non voleva perderlo. Quella sera si addormentò pensando a quel ragazzo dagli occhi verdi e dalle labbra di ciliegia.  
La mattina seguente Emma si svegliò con un grande sorriso stampato sul viso da bimba.
Lo aveva sognato.
Si preparò velocemente per scuola, voleva uscire. Quella casa sembrava soffocare la sua gioia, con quelle carte da parati giallognole e polverose.
Camminava verso il liceo velocemente, aggiustandosi i capelli ogni cento metri, come se lo sentisse vicino. Sentì dei passi dietro di lei. Sorrise, e pregò che fosse lui. Si voltò, e rimase delusa vedendo Victoria, la sua migliore amica.
-Ehi Emms, perchè mi guardi così?- esclamò la ragazza, indispettita.-Buongiorno anche a te, eh!
-Buongiorno!Scusami, pensavo fosse un'altra persona.
-Chi ti raggiunge sempre alle otto meno un quarto dietro l'incrocio della scuola?-domandò Victoria, sorpresa.-Sei strana..!
-Ho conosciuto un ragazzo..
Victoria la fissò, allibita, come se si aspettasse che Emma le pizzicasse un braccio, dicendo “Ma ti pare? Scherzavo” ridendo con gusto.
- NON CI POSSO CREDERE!-continuò, sbattendo furiosamente le palpebre- Emma la madonna ha conosciuto un ragazzo! Ti ha fermata puntandoti una pistola in testa? Perchè quando te ne passa uno accanto tu scappi!
 -Più o meno..
-Cosa?!
-No, lui mi..mi ha salvata.-sussurrò Emma, guardando insistentemente la punta dei suoi stivaletti di pelle nera.
Victoria fermò l’amica, afferrandola per le spalle. -Emma cos'è successo?!
Sospirò, sconfitta.
-Mi sono innamorata.

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Capitolo 4
*** Happiness is a warm gun ***


Buonasera ragazzi! Sono contenta che qualche anima in pena stia seguendo la storia. Spero vi stia piacendo, e che qualcuno si faccia vivo con una recensione magari, avrei piacere di sentire il vostro parere! Mi raccomando, vi aspetto! Buona lettura!

 -Emma, questa storia è incredibile!-strillò Victoria con la sua voce acuta, che quasi fece sussultare l’amica.
-e invece..-sospirò Emma, immersa nei ricordi.
-Forse tu non ti rendi conto!!-esclamò Victoria, esterrefatta- Paul McCartney e George Harrison si sono messi contro Ralph James e la sua combriccola PER TE!
-sei pazza o cosa?-sbottò Emma, furiosa.-Due ragazzi hanno rischiato di finire all'ospedale per colpa mia!Avresti dovuto vedere Paul ieri, era ridotto davvero male..
-Beh, a me non sembra ridotto poi così male!- Victoria indicò l'ingresso della scuola.
Paul era lì, insieme a quattro ragazze della sua età. Parlavano, o meglio quelle oche lo riempivano di moine, cercando di sembrare interessate ai suoi discorsi e non a quello che aveva nei pantaloni. Erano bellissime, alte bionde, con seni abbondanti e fianchi pronunciati, sembravano Amazzoni.
Emma si sentì in netta minoranza con il suo metro e sessantacinque e la sua seconda scarsa. Fece un respiro profondo per trattenere il pianto imminente e strinse la mano dell'amica. Ma cosa si era messa in testa? Stupida stupida stupida e ancora stupida, ripeté. Si sentiva umiliata. Così improvvisamente come nacquero le illusioni su Paul, così improvvisamente tutto crollò, sentì come se tutto attorno a lei tremasse e stesse per precipitare rovinosamente. Aveva la mano della migliore amica nella sua, quella stretta le diede la forza di andare avanti, cercando di non incrociare lo sguardo di Paul. Non ce l'avrebbe fatta. Proprio sulla soglia dell'ingresso dell'istituto, Paul riconobbe i boccoli rossi di Emma. Il suo sguardo si illuminò di gioia. La chiamò.
 -Emma!
La ragazza si voltò, con gli occhi lucidi, mordendosi le labbra per trattenersi. Non rispose, e continuò a camminare dritta. Paul la inseguì, lasciando sole le quattro Amazzoni, sconvolte dalla reazione del ragazzo per quella matricola. Lui la inseguì e la afferrò per un braccio.
-Ehi, signorina, dove credi di andare?- rise Paul, divertito.
Emma tremò. NON PIANGERE STUPIDA, NON PIANGERE.
-Sono in ritardo- scrollò via la sua mano con rabbia- e tu sei occupato, mi sembra. Quindi, con permesso..!
Emma scappò, singhiozzando. Non si vergognò delle sue lacrime davanti all'amica, infondo ne aveva versate tante, sempre con lo stesso retrogusto aspro che sapeva di rimorso.

La mattinata passò lentamente. Emma venne interrogata in storia dell'arte, prese il massimo dei voti. Non le importava. Non esiste stucco che possa riparare un cuore infranto. A ricreazione le due amiche rimasero sole in classe. Emma non aveva intenzione di lasciare l'aula.
-Emma, ma perchè sei così giù?-domandò preoccupata Victoria- Insomma, che ti aspettavi? Posso capire tutto, ma non ti aveva chiesto di sposarlo! Ti ha salvata? Fantastico. Vuol dire che è una brava persona. Stava solo parlando con delle ragazze, sai quante ne conosce..! Non è detto nulla. All'entrata ti ha anche salutata!
-Victoria, vuoi sapere una cosa? Quando l'ho guardato per la prima volta, con la mia cartella e il libro in mano, con i lividi, i graffi e il fiatone, mi sono sentita amata. Quel ragazzo non mi aveva mai vista in vita sua, e ha rischiato grosso per aiutarmi, nonostante fossi una perfetta sconosciuta. Mi ha seguita per restituirmi le cose che avevo lasciato al parco. Nessuno mi da così tante attenzioni da quando.. -una lacrima scivolò sulle sue guance pallide e lentigginose, accarezzandola- e quel calore, quel tepore che mi ha attraversata quando mi ha detto che.. che sono bella, non l'ho mai provato. E non è come quando prendi il sole, è un calore diverso, che ha sciolto il cuore che credevo ormai ibernato. Non ho mai provato nulla del genere. E ho pensato, ripensato a lui. Per ore e ore, Victoria. E poi lo vedo con quattro ragazze che sembrano delle divinità, e mi sento uno schifo. Perchè nonostante tutto, mi rendo conto che non sono alla sua altezza. E non lo sarò mai. Insomma, le hai viste? Io non sono nulla in confronto. Ecco la verità. La verità fa male. Più male di uno schiaffo, di un pugno, di un livido. Ti accarezza e ti ustiona la pelle. E' un fuoco che brucia in eterno, perchè non ci si può nascondere dietro un mondo di illusioni e finzioni. La verità è quella, e non cambia. E nemmeno io cambierò. Rimarrò la solita stupida, anonima ragazza che studia storia dell'arte sotto la quercia del parco pubblico.
Emma scoppiò a piangere, e l'amica la abbracciò, sempre più vicina, sempre più stretta. Non l'avrebbe lasciata mai.
Finite le ore scolastiche, le ragazze si salutarono e Emma si incamminò verso casa. Pochi minuti dopo, sentì una voce alle sue spalle.
-Buongiorno signorina, dove si dirige con così tanta fretta?
Emma, inevitabilmente, rise.
Maledetto ragazzo, pensò, se solo sapesse che cosa aveva passato quella mattina per colpa sua!
-Non ho mete, signore.
-Dimmi un po, che ti è preso sta mattina? Mi sei sembrata parecchio, come dire.. - fece finta di pensare, ridendo-scorbutica.
-E lei mi è sembrato parecchio, come dire.. Preso nella sua caccia alla galline.- stette al gioco, decisa.-Ne aveva ben quattro attorno, non volevo rovinarle la festa.
-Parli di quelle ragazze con cui parlavo?-domandò Paul, stupito.-No, toglitele dalla testa, sono insopportabili. Ma come mai fai caso a questi piccoli particolari insignificanti? Non è che per caso.. sei gelosa?
Emma, scoppiò a ridere fingendo aria di sufficienza.
Quanto aveva ragione.
-Non potrei mai essere gelosa di qualcosa che non mi appartiene.
-Non ancora, mia cara.
E come la prima volta, arrossì.
-Avresti piacere di fare quattro passi con questo gentiluomo?
-Sempre meglio che stare sola in quel mortorio di casa..
-A cosa ti riferisci?
-Ah, nulla nulla. In quale posto mi scorterà, sir?

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Capitolo 5
*** Don't let me down ***


Ecco il quarto capitolo! Continuo a ringraziare i lettori che seguono la storia. Ripeto anche che sarei molto contenta di conoscere il vostro parere, anche una critica, per sapere se il racconto vi sta piacendo o meno, o per conoscere i vostri consigli. Vi ringrazio ancora, e buona lettura!


Emma e Paul camminavano uno al fianco dell'altra, pochi centimetri li dividevano. Ogni tanto le loro mani si sfioravano, una scossa percorreva entrambi.
Attorno a loro, case grigie e tristi. Il verde delle aiuole circostanti era soffocato dal manto di foglie arancioni e rosse che le ricoprivano. Qualche folata di vento rapiva delle foglie, le trasportava chissà dove. Le scuoteva con delicatezza, come faceva con i boccoli rossi di Emma. La loro bellezza sembrava ravvivare quella triste aria autunnale.
 -Perchè hai scelto il liceo artistico?-ruppe il ghiaccio Paul.
-Non lo so, davvero.-sospirò Emma- Forse perchè mia madre ha sempre voluto diventare un artista, dipingeva e mi raccontava degli artisti del passato, dell'impressionismo, del romanticismo.. Mi piaceva ascoltarla, quando ero piccola. E, forse, scegliendo la strada che avrebbe voluto percorrere lei, l'avrei resa felice. Ma figuriamoci, che le importa di quello che faccio? Potrei sparire per giorni, non le premerebbe nulla.
-Perchè avete questo rapporto? Io e mia madre eravamo inseparabili. Non c'è giorno, nessun giorno della mia vita, in cui non l'ho amata.-i suoi occhi si appannarono di lacrime. Si morse le labbra, intento a trattenere il patetico pianto, invano.- e adesso.. adesso tutto è perduto. Chissà se è davvero là su, o se no, chissà dove sarà adesso..
Delle grosse lacrime colarono dai suoi grandi occhi verdi, marcarono le sue guance, rosse come sempre. Emma non riuscì a trattenersi. Inevitabilmente, pianse con lui. Paul le asciugò le lacrime dal viso, la guardò con dolcezza e la strinse a se. Non una parola, non un sospiro. Solo due cuori, che battevano forte, all'unisono.
Emma si accoccolò sul suo petto, udiva l'aria che fluiva dai suoi polmoni, il suo cuore. Si sentiva parte di lui. Paul appoggiò il mento sulla testa di lei, come per tenerla ancora più vicina, per non lasciarla scappare.
Era sua.
Si dice che quando salvi una vita, è come se la si sentisse propria. Per Paul era così. Percepiva la fragilità di Emma, come se avesse visto tutte le sofferenze che lei aveva subito nel passato.
Era sua, era sua.
Rimasero così per minuti, ore forse. Ma chi li avrebbe mai separati? Un abbraccio fatto di lacrime e di affetto è più resistente di ogni metallo, di ogni diamante.

-Ti devo far vedere un posto- disse Paul, sciogliendo l'abbraccio. Emma rispose con un sorriso. Lui si soffermò a guardarla per un istante. Un sorriso dopo un pianto è lo spettacolo più bello che le donne sappiano mettere in scena. Era bellissima. Ricambiò il sorriso.Il più bel sorriso che aveva mai visto, pensò Emma.
Camminarono a lungo, parlando del più e del meno.
-Sai, io ho scelto il liceo Artistico perchè l'arte mi affascina in ogni sua forma. A partire dai disegni, la pittura, i quadri, a finire con la musica-disse Paul.
Emma, intrigata, rispose:-Suoni qualche strumento?
-Si, la chitarra.-annuì Paul, orgoglioso- Mio padre è un musicista, mi ha insegnato tutto lui.
-Io il piano-replicò Emma, estasiata.
-Magari un giorno mi insegni, sei sicuramente bravissima.
 -Volentieri- sorrise.

-Ecco, adesso devi chiudere gli occhi.- Disse Paul, emozionato.
-Cosa dici?!-rise lei.
-Dai, ti guido io. Chiudi gli occhi e dammi la mano.
Emma rise ancora, chiuse gli occhi e si affidò a Paul.
-Ci siamo quasi.-annunciò Paul.
Emma udì lo scrosciare dell'acqua vicino. Le tremarono le mani.
-Qualche passo e siamo arrivati.
 Sempre più forte, sempre più vicino.
Non poteva essere vero, era un incubo. Si sentì debole, le gambe non riuscivano quasi a sostenere il suo peso.
-Ecco, puoi aprire gli occhi adesso.
Terrorizzata, Emma aprì gli occhi. Urlò.
-Oh mio Dio, no, NO! Le mancò l'aria, non riusciva a respirare. Cadde a terra. Cercò di muoversi, ma non ne ebbe la forza. Pianse, disperatamente.
No,no, non poteva essere vero. Perchè? Perchè?
Paul la afferrò, cercò di sollevarla, ma era come se la ragazza si fosse pietrificata, era immobile.
-Emma, Emma? Cos'hai?-sussurrò, incredulo. Quasi gli mancò la voce per il terrore- Emma, ti prego rispondi!
Le si appannò la vista. Vedeva due Paul davanti a se, che la scuotevano. Non capiva più nulla. Si lasciò abbandonare al dolore, alla confusione. Svenne tra le braccia di quel povero ragazzo con le lacrime agli occhi, con il terrore di perderla.

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Capitolo 6
*** All you need is love ***


Buongiorno ragazzi! Vedo che i lettori aumentano, e ne sono molto felice. Sarei sempre contenta di sapere la vostro opinione (si, sto diventando ossessionante), ve lo ripeto solo perché per me è molto importante ascoltare i vostri consigli e pareri.
Giuro che non lo dico più.
Non odiatemi.
Buona lettura!

Erano le 20.30. Paul ed Emma si erano lasciati da circa due ore. Avevano continuato a parlare, uno abbracciato all'altra. Ora erano entrambi nelle loro camere, a pensare.
Paul era stupito da se stesso. Perchè aveva corso così tanto con Emma, quella ragazza dagli occhi di smeraldo? La conosceva da così poco tempo, non era da lui. Aveva avuto molti flirt, ma amava corteggiare le sue ragazze. La domanda che lo tormentava  era perchè aveva avuto quel fortissimo bisogno di aiutarla, quando l'ha vista tra le mani di James? Non ha pensato un secondo a cosa gli sarebbe potuto succedere mettendosi contro di lui, voleva solo proteggerla.
Forse perché, appena l'ha guardata negli occhi, ha percepito la sua fragilità, quella necessità di essere protetta ed amata.
Ha scavato dentro di lei ed ha raggiunto il vuoto profondo che aveva nell'anima, e sentiva di doverlo colmare. Forse perchè quello che provava per lei andava oltre l'attrazione fisica, era qualcosa di diverso, di più profondo.
Pensandoci, rise. Sei diventato grande Paul, disse tra sé e sé. Chiuse gli occhi. Immaginò Emma. Sentiva il suo profumo addosso. Non era la solita fragranza che impregnava le vesti e la pelle delle ragazze, quella da cento pound che rubavano alle madri, talmente forte da far venire il mal di testa.
Il suo odore era naturale, come fosse un filo d'erba, un fiore di campo. Amava quella semplicità, ma più di tutto i suoi occhi, di quel verde smeraldo, da perdercisi dentro. Quello sguardo che lo accarezzava con dolcezza, era per lui la cosa più bella. L'unico suo desiderio era di rivederla, non chiuse occhio tutta la notte pensando a lei.
 
Emma era stesa sul suo letto. Rimuginava sulla giornata passata con Paul. Le sembrava tutto un sogno. Non aveva avuto nessuna esperienza con i ragazzi, non che le mancassero i corteggiatori, ma era sempre diffidente. A dir la verità, non aveva la più pallida idea di cosa fosse l'amore, di cosa si provasse guardando il proprio amato, prima di conoscere Paul. La prima volta che parlò con lui, dopo l'episodio infelice con i ragazzi al parco, capì cosa voleva dire. Finalmente riusciva a capire quei brividi che tutti gli innamorati descrivono, quel calore, quella luce che brilla nei loro occhi.
Lui era quello giusto. Non lo sapeva, lo sentiva dentro. L'aveva sentito quando gli aveva riportato il libro di storia dell'arte, quando aveva pianto per lui, quando lui l'aveva guidata verso il fiume, quando aveva deciso di raccontargli di sua sorella. L'amore non si vede, si sente, concluse Emma. Eccome, se si sente. Non riusciva a smettere di sorridere, si sentiva stupida. Ma sì, che le importava. Era felice, contava solo quello.
 
Al risveglio, Emma si preparò in fretta come la mattinata precedente. Già con lo zaino in spalla, alle 7.30 era sulla porta. Mancavano trenta minuti all'inizio delle lezioni. Decise di andare in cucina, dalla madre.
-Buongiorno, mamma.-disse Emma.
La madre si voltò verso di lei sbalordita, come avesse sentito una voce estranea. La figlia rispose a quello stupore con un sorriso.
-Buongiorno a te.-bisbigliò, senza scomporsi troppo.-Non ti ho mai vista così puntuale.
Che risposta banale, pensò Emma. Non le dava il buongiorno così da anni forse, e la sua risposta era "Non ti ho mai vista così puntuale"? Cercando di non farsi condizionare, disse:
-Forse da quando non andavamo a fare i pick nick la domenica.- disse Emma, semplicemente.-Mi alzavo ore prima, ero troppo impaziente. Mi divertivo moltissimo.
Dana, la madre di Emma, sorrise. Accarezzò i suoi ricci capelli rossi. Chissà come sarebbe diventata Mary, pensò per un istante. Si sentì in colpa per quella riflessione, e istintivamente tese le braccia verso la figlia. Emma vi si buttò, senza esitare per un secondo. Strofinò il viso sul maglione della madre. Le mancavano quelle braccia salde, quella stretta calorosa e forte. Sciolse l'abbraccio, salutò Dana e uscì dalla casa. Alzò gli occhi al cielo, spensierata. Improvvisamente, tutto attorno a lei le sembrò meno grigio. Anche quella carta da parati giallognola, non era poi così male infondo.

-

8.30.
Paul era in classe, dove si stava svolgendo la lezione di matematica. La professoressa ultrasettantenne stava spiegando un'espressione infinita. Il gesso strideva sulla lavagna, non volava una mosca.
L'insegnante era il tipico militare mancato, che per il caso fortuito del destino si è ritrovato nei panni di una donna a spiegare equazioni e potenze a sedicenni distratti e discoli. Era particolarmente irritata, quella mattina. Gli alunni se n'erano accorti, e cercavano in tutti i modi di non attirare l'attenzione della donna, tentando con sforzo di seguire i calcoli e dimostrarsi attenti e silenziosi.
Tutti, tranne Paul.
No, non aveva tempo per pensare a moltiplicazioni e divisioni, nella sua mente non c'era spazio che per Emma. Si stava scervellando su come chiederle un appuntamento, ma non un invito qualsiasi.. Come aveva fatto lei, voleva renderla partecipe del suo passato, e per fare questo doveva mostrarle un posto. Un posto che conosceva solo lui, che non aveva mai mostrato a nessuno. Lei era quella giusta.
Cercava di trovare un modo per rendere il tutto più misterioso e magico. Quella maledetta espressione lo deconcentrava.. 'quattro terzi alla quinta fratto nove ventesimi alla settima chiusa parentesi tonda alla ventunesima..'.
Maledetta matematica e maledetta professoressa. Maledetti numeri.
Che perdita di tempo, pensò. Minuti e minuti sprecati ad ottenere uno stupido risultato. Se non ci fosse stata quella ragazza dagli occhi di smeraldo, lui starebbe sperperando il suo tempo risolvendo il quesito come tutti gli altri.
Invece, lui in quei preziosi minuti si stava innamorando. Di colpo ebbe un'idea grandiosa.
Avrebbe scritto un biglietto ad Emma, lo avrebbe nascosto nella sua cartella e..
-McCartney!- strillò la professoressa, adirata- Perchè non prende appunti?!-
Lui non rispose. Stupido militare da trincea. Cosa poteva capirne lei, che riteneva più importante utilizzare il proprio tempo per fare espressioni invece che per innamorarsi?
-Dato che lei è un genio e non ha bisogno di seguire la lezione,prego, prosegua i calcoli.- annunciò, bagnandosi le labbra con la lingua, come se si stesse preparando a  mangiare vivo il malcapitato.
Muto.
-McCartney, esigo una risposta ALL'ISTANTE!-urlò. Nei suoi occhi si leggeva chiaro il desiderio di mettere un bel quattro sul registro.
La classe attorno vociferava. "Ma è impazzito?!" "Poveretto" "Rispondi,stupido!"
Lui sorrise. Non aveva nulla di meglio da aggiungere.
-McCartney, le è dato di volta il cervello?!-starnazzò il soldato-cannibale-Non trovo nulla di esilarante o divertente nel due che avrà come valutazione orale, fossi in lei ci ripenserei la prossima volta prima di mancare di rispetto ad una persona adulta! E veda di studiare, quest’anno la boccio!
L'avrebbero anche potuto bocciare, lui sapeva che nella vita sarebbe stato sempre promosso. Quei sentimenti e quelle emozioni erano molto più importanti e costruttive di un otto ad una interrogazione.
 
13.00. Il frastuono della campana che annunciava il termine delle ore scolastiche risuonò nell’edificio. Paul tirò un sospiro di sollievo.
Era impaziente di rivederla.
La aspettò all'uscita dell'istituto per dieci minuti, poi la vide. Era bellissima, come sempre. Aveva raccolto i capelli in una lunghissima treccia, che faceva scivolare sulla spalla. Indossava la divisa del liceo, ma addosso a lei era tutta un'altra cosa. Aveva un fisico perfetto, pensò. Amava le sue gambe affusolate e snelle, la sua vita stretta. Le si avvicino di soppiatto, cercando di non farsi sentire. La raggiunse furtivamente e le posò le mani sugli occhi.
-Chi sono?- sussurrò ridendo. Senti la pelle della ragazza riscaldarsi sotto le sue dita.
Emma riconobbe la sua voce. Senza pensarci due volte, si voltò e lo abbracciò.
Paul la strinse. Era il momento giusto per mettere in atto il suo piano. Delicatamente, prese il bigliettino dalla tasca della sua giacca. Poi aprì lentamente la cartella di Emma e ve lo infilò. Sospirò. Ce l'aveva fatta.
Sciolse l'abbraccio.
-Oggi ho avuto un bel due in matematica- rise ingenuamente.
-Dovresti studiare di più, invece che portare ragazze al fiume Mersey.- rise ancora Emma.
-Avevo studiato, non è per quello..
-E allora perchè? Stai antipatico anche alla professoressa?- continuò Emma, divertita.
-Forse si-continuò Paul, prendendo in seria considerazione quella possibilità- semplicemente non la stavo ad ascoltare. Avevo di meglio a cui pensare che alle sue stupide espressioni.
-A cosa pensavi?
-A te.

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Capitolo 7
*** A taste of honey ***


Paul ed Emma si trovavano ai piedi del fiume Mersey. Il vento si era alzato, lo scrosciare dell'acqua era forte e la corrente violenta. Emma era svenuta da circa quindici minuti tra le braccia di Paul, che in preda alla disperazione non sapeva come comportarsi. La cullava, la accarezzava. Ripeteva 'svegliati Emma, ti prego svegliati, non voglio perderti, ti prego svegliati'. Le lacrime del ragazzo scivolavano pesanti dal suo mento alla fronte di Emma, sembrava un quadrifoglio bagnato di rugiada all'alba di un mattino inverale. Proprio quelle lacrime risvegliarono i sensi della ragazza. Si svegliò, molto confusa.
-Dove..dove sono?
Gli occhi di Paul si illuminarono di una gioia indescrivibile. Era salva. Pianse ancora più forte.
-Emma, non farmi mai più una cosa del genere, non sai quanto mi sono spaventato!
Lei, sorpresa dalla reazione di Paul, sorrise ingenuamente, e chiuse gli occhi. Era stanca, non stava capendo nulla, non si ricordava cosa fosse successo. Aveva lui vicino e non desiderava altro.
Paul capì la situazione, la prese in braccio e si allontanò da quel posto che le aveva arrecato così tanta agitazione.
Emma si risvegliò sotto la quercia del parco vicino casa sua, con il viso di Paul a pochi centimetri dal suo. Lei sussultò, e vedendo la reazione perplessa di lui, rise.
Lo sguardo di Paul era di una tenerezza indescrivibile. Era come se si scorgesse nel verde dei suoi iridi la paura di perderla e il sollievo di averla ancora lì accanto a lui.
-Stai bene?- sospirò Paul, sollevato.
-Sisi, sto bene adesso..- si strinse a lui.
-Adesso puoi dirmi cosa ti è preso prima?
Emma ricordò l'accaduto, si irrigidì. Non aveva mai raccontato quella storia a nessuno oltre alla sua migliore amica. Ma sentiva di doversi fidare di Paul. Doveva fidarsi.
-Lì è morta mia sorella.
Paul rimase spiazzato. -Cosa?.. Tua sorella?!
-Si, mia sorella. Avevo una gemella. Eravamo sempre unite, come fossimo una cosa sola. Non ci separavamo mai, amavamo le stesse cose, pensavamo nello stesso modo, ci capivamo con uno sguardo. Era la seconda parte di me, ci completavamo. Si chiamava Mary.

-Cosa le è successo?
-Una domenica, andammo con i nostri genitori al fiume. Io e Mary ci allontanammo di nascosto da mamma e papà, volevamo "esplorare" la zona, magari ci saremmo inventate qualche storia per giocare. Ma ad un certo punto, mia sorella è scivolata. E' caduta nel fiume, ma si teneva stretta ad una roccia davanti a me. Mi urlava di aiutarla, mi tendeva la mano ma io non riuscivo a raggiungerla. La sua presa è diventata sempre più debole, e io non sapevo come fare. Chiamavo i miei genitori ma non mi sentivano. Avevo paura di sporgermi troppo, l'acqua era scura. Mia sorella piangeva, io piangevo con lei. Non riuscivo ad afferrarla, non c'era modo, non sapevo come fare, ero disperata. Poi lei non ha retto, ha mollato la roccia, ed è stata trasportata dalla corrente. E' morta, per colpa mia. Per colpa della mia stupida paura. Se solo mi fossi sporta di più, forse l'avrei salvata. Ma avevo paura di cadere con lei. Non me lo perdonerò mai. E neanche i miei genitori non me l'hanno perdonato. Quando è successo tutto, mi dissero che non avevo colpe. Ma ogni giorno, quando mi guardano, i loro occhi mi rinfacciano quel momento, quel rancore che da genitori non possono esternare, ma che nascondono da otto anni ormai.
Paul non le disse nulla. La strinse ancora più forte.
Passarono ore, così. Lui le accarezzava i capelli. Lei gli stringeva le mani. Non dissero nulla. Si conoscevano da soli due giorni, ma è come se si conoscessero da anni. Uno conosceva il tormento più profondo dell'altro. Forse non ne erano ancora consapevoli, ma si amavano. Era amore puro e semplice, di quello che percepisci da una carezza, da un sorriso. Se l'erano detto, con quelle carezze e quei sorrisi. Nessuno dei due se lo sarebbe mai dimenticato.

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Capitolo 8
*** Mother nature's son ***


Buongiorno ragazzi! Volevo solo avvisarvi che ho pensato di rallentare il ritmo di pubblicazione dei capitoli. Forse li sto postando troppo velocemente, così la suspance viene a mancare, e magari diventa meno interessante. A meno che non mi chiediate voi di continuare con questa velocità, penso di pubblicare un capitolo ogni due giorni. E’ un’idea, magari mi dite cosa ne pensate! 
Buona lettura :)
 
 13.30 Emma sedeva di fronte ai suoi genitori,durante un abbondante pranzo a base di brodo e tacchino. Da anni non si respirava quell'aria di tranquillità in casa loro, le sembra di essere in un altro posto, con altre persone. Era come se stesse parlando con degli amici che aveva perso di vista da tanto tempo e con i quali si era riconciliata. Non le sembrava vero chiacchierare con sua madre, proprio come ai vecchi tempi. 
-Ieri sono stata interrogata in storia dell'arte-annunciò Emma, - ho preso otto.
-Bravissima!-sorrise Dana, deglutendo il brodo caldo- cosa ti ha domandato la professoressa?
-Mi ha fatto delle domande sull'Impressionismo..e poi le ho parlato del Romanticismo, come argomento a piacere..E' la mia corrente preferita.
Dana sorrise. -Anche la mia.
Era bellissima come la figlia. Capelli castani, corti e cotonati. Occhi grandi, a mandorla, neri come l’ebano. Aveva una pelle bellissima, luminosa e chiara, invidiabile per essere una signora di quasi cinquant'anni, solcata magari da qualche ruga, ma forse erano proprio quei segni del tempo a renderla più bella. 
 
14.45. 
-Io gli ho chiesto "allora perchè la professoressa ti ha messo due?" lui "perchè non la seguivo, avevo di meglio a cui pensare" e io "a cosa pensavi?" e lui "a te" !!-urlò Emma alla cornetta, estasia.
-OH MIO DIO, QUANTOE'DOLCE!- rispose Victoria intenerita,distesa sul suo letto- La prossima volta che mi chiami voglio sentire il racconto del bacio!!
Emma storse il naso, come se ancora le fosse difficile immaginare che potesse succedere DAVVERO.
-Ehi, vacci piano, ci conosciamo da pochissimo!
-Perchè aspettare?-si sollevò di scatto Victoria, mettendosi seduta. Starnazzava come una ragazzina di dodici anni- Siete fatti uno per l'altra, è lampante, vi piacete da morire, lui è un tesoro e se continui a rimandare ti chiudo io stessa in un convento e ti faccio suora!
Emma rise -Dai stupida, non scherzare! Io ci tengo davvero, non voglio bruciare le tappe prima del tempo e..
-Va bene, sei una causa persa.- si arrese l’amica, alzando gli occhi al cielo.-Quel poveretto dovrà aspettare ancora un mese, ci siamo capiti. Quando vi vedrete?
-Ancora non lo so..-sospirò Emma, torturando una ciocca di capelli rossi-L'ultima volta mi ha rapita praticamente, è comparso dal nulla. Spero non tardi però, mi manca già!
-Queste parole che escono dalla TUA bocca mi commuovono- disse sarcastica. Sembravano passati anni da quando Emma la malediceva, ogni volta che osava parlare con lei delle sue cotte. Questioni troppo sdolcinate per lei, affermava. -ma adesso sbrigati a darmi i compiti per domani, mia madre minaccia di farmi pagare la bolletta. 
-Va bene, va bene.- rispose Emma, afferrando la cartella ai piedi della scrivania -aspetta in linea, non trovo il diario..
Rovesciò il contenuto della valigetta in terra, reggendo la cornetta stringendola tra spalla e collo. -Astuccio, quaderno di letteratura, libro di matematica.. un biglietto..?!
-Di chi?!-incalzò vittoria, saltando in piedi-Cosa c'è scritto?
-.." ingresso nord Newsham Park,15.30. - lesse, impaziente. Le tremavano le mani.-Ti aspetta una bella sorpresa. Tuo, Paul"...!!- Emma iniziò a saltellare per la stanza, lanciando strilli lancinanti. Sembrava posseduta dal demonio.
-Emma Smith, sei la ragazza più fortunata di questo mondo, MIO DIO!- lo spirito da dodicenne in crisi ormonale si impossessò ancora di lei, facendola starnazzare insieme all'amica. 
-Sono quasi le 15, Victoria devo lasciarti, scusami devo prepararmi!- farfugliò velocemente la ragazza, ancora sotto shock. 
-E i compiti, non me li dai..?!
-Certo che no, la vita è così bella, perchè sprecarla a fare i compiti?-rise furiosamente. La sua mente era già volata verso l’armadio, iniziando ad ipotizzare quale abito sarebbe stato adatto per l’occasione- Ciao, ti voglio bene, ciao ciao ciao!- disse tutto d'un fiato Emma, terminando la conversazione.
Corse a vestirsi. "ingresso nord Newsham Park,15.30" "ingresso nord Newsham Park,15.30" continuava a ripetere, pareva impazzita. "Ingresso nord Newsham Park,15.30. Sarò lì da te, Paul. Sarò lì."
 
15.30. Emma aveva appena varcato la soglia dell'ingresso nord del Newsham Park. Paul non c'era. Si inoltrò nel parco. Non c'era mai stata prima.
C'erano tantissimi alberi e cespugli, solo poche panchine e nessun'altra traccia di civilizzazione. Che posto strano per un appuntamento,pensò. 
Sentì in lontananza degli accordi di chitarra. Sorrise. Si avvicinò al punto dal quale proveniva quel suono. Poi udì la sua voce. Giungeva da un salice piangente, le quali foglie partivano dai rami in cima all'albero e terminavano a meno di un metro da terra, quasi sfioravano l'erba. Pareva un'enorme capanna, uno di quei palazzi delle fatine delle fiabe. Quel ragazzo era pieno di sorprese. Avrebbe mai smesso di innamorarsi di lui?
Paul poggiava la schiena sul tronco dell'albero, aveva la chitarra tra le braccia, strimpellava degli accordi a caso. Emma era sotto le fronde accoglienti del salice, proprio alle sue spalle. Rimase lì in silenzio ad ascoltarlo per minuti. Poi si avvicinò lentamente e gli posò le mani sugli occhi, come aveva fatto lui quella mattina. Rise.
-Chi sono?

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Capitolo 9
*** I want to hold your hand / River flows in you. ***


-Chi sono?- rise Emma.
Paul quasi si spaventò, poi rise con lei. Prese le mani che lei gli aveva posato sul viso, si voltò e la guardò. I suoi occhi splendevano dello stesso verde delle foglie del salice che li cingeva, come in un abbraccio.
-Le do il mio sincero benvenuto nel nascondiglio dell'egregio signor McCartney!
-Nascondiglio..?- domandò Emma.
-Si, da anni.- annuì Paul. Fece un profondo respiro. Stava davvero per dirglielo?
-Ogni volta che ho un problema, sto male per qualcosa, vengo qui, a pensare. Quando mia madre era malata, è stato come perdere il mio punto di riferimento. Era già come se non ci fosse più. Prima del tumore parlavamo molto, le dicevo tutto e lei mi consigliava. Poi è diventata sempre più debole, non aveva quasi la forza di parlare. Non sapevo a chi rivolgermi, se non a lei. Tutte le mie preoccupazioni, quegli sfoghi che dovevano essere esternati, si sono accumulati nel tempo, e ad un certo punto non ce l'ho fatta più. Vedere un genitore in quelle condizioni, è qualcosa di orribile.- strinse i pugni, facendosi forza. Dopo tanti anni, faceva ancora troppo male.-Tutta quella pressione, quella sofferenza non era sopportabile. Così un giorno, stupidamente, scappai di casa. Fu un'azione istintiva, non ci pensai su. Sentii il bisogno pressante di andarmene, e senza dire nulla a nessuno, scappai. Camminai per la città per ore, senza una meta. Calato il sole, non sapevo dove andare. Poi vidi l'entrata nord nel Newsham Park, e ci entrai. Continuai ad andare avanti, e poi trovai questo salice. Era perfetto per nascondercisi, per essere solo, protetto dagli sguardi del mondo, dalle sofferenze e da ogni pensiero negativo. Sotto queste fronde, mi sentì a casa come non succedeva da quando fu diagnosticato il tumore a mia madre. Nel silenzio, mi sentì più ascoltato e compreso che nel trambusto della malattia. Piansi in silenzio, e fu molto più forte di uno sfogo di parole. Mi sentì meglio. Allora decisi di rincasare, non potevo abbandonare i miei genitori. Da quel giorno però tornai spesso. Ed eccoci qui!
-Questo posto è bellissimo- sussurrò Emma, provata da quel racconto così intenso- ma perchè hai voluto incontrarmi proprio qui?
-Perchè questo luogo racchiude tutte le sofferenze del mio passato, è parte di me.- sospirò Paul, mantenendo lo sguardo sul prato, come se fosse impegnato nel contare ogni singolo filo d’erba che li circondava- E, come hai fatto tu raccontandomi di tua sorella, volevo renderti partecipe di tutto questo.
Le prese la mano, e la strinse.
-E' una cosa bellissima, lo apprezzo davvero tanto. Grazie.- ricambiò la stretta affettuosa.
Paul prese la chitarra in braccio, e iniziò a suonare degli accordi a caso.
-Questa chitarra ha un nome.-rise Paul, ed Emma con lui.
-Sentiamo, come si chiama?
-Emma.
La ragazza rimase spiazzata, il suo sguardo era confuso.
-Me l'ha regalata mia madre- annuì, compiaciuto-allora l'ho chiamata come lei.
Emma era sempre più allibita.
-E' un bellissimo nome, non trovi?- sussurrò Paul, con dolcezza.
Lei sorrise, con tutto il cuore. Si avvicinò a lui, e gli si sedette accanto.
-Mi suoni qualcosa?- chiese Emma, curiosa.
-Con piacere. Preferisci una canzone dolce e deprimente oppure allegra e romantica?
-Allegra e romantica-sorrise lei.
Paul pizzicò con le dita veloci le corde della chitarra, e iniziò a cantare.
- Oh yeah, I tell you something, I think you'll understand. When I say that something, I want to hold your hand. I want to hold your hand, I want to hold your hand! -le fece l'occhiolino, e lei arrossì ridendo.
-Oh please say to me "you'll let me be your man" and please say to me "You'll let me hold your hand" !Now let me hold your hand,I want to hold your hand!
And when I touch you I feel happy inside, It's such a feeling that, my love, I can't hide, I can't hide, I can't hide!
Yeah you got that something, I think you'll understand. When I say that something, I want to hold your hand! I want to hold your hand, I want to hold your hand!
Smise di cantare e lasciò la chitarra. La guardò dolcemente, e le prese la mano.

-

16.45. Paul ed Emma camminavano per Liverpool, mano nella mano. Stavano percorrendo Wall Street, da soli. La città era deserta. Il cielo su di loro stava diventando sempre più scuro, spruzzato di nuvole grigie.
-Qual'è il tuo sogno più grande?- chiese Emma, curiosa.
-Diventare una star.-sorrise Paul.
-Si, saresti assolutamente una bellissima soubrette!-sogghignò lei. Scoppiarono a ridere.
-Ti ringrazio-rise con gusto- Ma no, non è questo che intendevo.. Vorrei essere un musicista, cantare le mie canzoni su palchi enormi, di fronte a milioni di persone che urlano il mio nome. Diventare un fenomeno, di quelli conosciuti in tutto il mondo. Magari con un gruppo.
-Sei ambizioso!-annuì Emma, immaginandolo con una chitarra in mano, davanti ad un pubblico sconfinato. Rise fra sé e sé per la situazione buffa che si era figurata -Se iniziassi a fare musica e non andasse nel verso giusto? Se rimarresti nell’anonimato? Non ti cadrebbe il mondo addosso?
-Beh, forse sarebbe una delusione, ma almeno sarei consapevole di aver inseguito il mio sogno, di averci provato, senza nessun rimorso.
-Risposta esatta- sorrise Emma.
Proprio in quell'istante, videro un fulmine squarciare il cielo. Il boato fu fortissimo, ma non come l'esplosione di pioggia che li travolse. Paul si sfilò la giacca, la appoggiò sulla testa di Emma e sulla sua e iniziarono a correre uno stretto all'altra, ridendo come mai. In poco arrivarono sotto casa di lui. Paul la invitò ad entrare, ma lei esitò un istante.
-Paul, non dovrei..- sfiorò il naso a punta con le dita fredde e bagnate, imbarazzata.
-Cosa dici?- insistette-Dai, entra, o ti bagnerai tutta!
Fece un passo indietro, sentendosi terribilmente a disagio.
-Ma, se tuo padre mi vede? Non è inopportuno portare una ragazza che non conosce in casa?
-Ma no, mio padre è a lavoro, siamo soli- sorrise lui, con un pizzico si maliziosità negli occhi, porgendole la mano.
Un brivido la scosse dalla testa ai piedi. Ricambiò il sorriso, e intrecciando le dita alle sue, lo seguì.
Casa McCartney la lasciò a bocca aperta. Era una villetta a due piani, davvero grande e ben arredata. Le sembrava un sacrilegio camminare con gli stivaletti bagnati sui lunghi tappeti persiani che si distendevano per tutto il salotto, ma Paul li pestò senza pensarci. La guidò nel salotto, una stanza enorme, con quadri di famiglia appesi al muro, soprammobili antichi e divani bianchi. Al centro della stanza, vide un pianoforte a coda Steinway nero, un gioiello. Esterrefatta, vi corse in contro.
-Oh mio Dio Paul, questo pianoforte è stupendo!- esclamò Emma.
-E a dire che non lo so suonare..- sospirò lui.
-Non lo suona nessuno in casa tua?
Lui scosse la testa.
-E' un reato lasciare questa meraviglia a prendere polvere, devi assolutamente imparare.
-insegnami tu- sorrise Paul. - me l'avevi promesso, ricordi?
-Va bene, va bene..-gli fece spazio sul sedile di pelle nera-Siediti qui accanto a me.
Si sedettero uno al fianco dell'altra di fronte al pianoforte.
-Vedi? Questo è il Do.-fece Emma, indicando il tasto bianco-Lo riconosci perchè è sempre il tasto vicino ai due neri. E poi vengono il Re, il Mi, il Fa, il Sol ecc..
-Mi suoni qualcosa?- sorrise lui, imitando il tono di Emma quando gli aveva fatto la stessa domanda, poche ore prima.
-Va bene-continuò, imbarazzata- ma non aspettarti nulla di straordinario..
-Sarà comunque bellissimo, qualsiasi cosa sia.- le carezzò i capelli.
 
Emma iniziò a suonare "River flows in you". Le sue dita scivolavano da un tasto all'arto, veloci. Era così aggraziata e delicata, Paul rimase allibito. Era un'armonia angelica. E vederla suonare, concentrata, rendeva tutto più bello. Quando terminò la canzone, si voltò verso di lui, soddisfatta. Paul la guardò dritta negli occhi, quegli occhi da cerbiatto indifeso e spaventato. Quegli occhi, che prima di tutto l'avevano fatto innamorare. Raccolse le ciocche di capelli di Emma arruffate e bagnate dalla pioggia dietro il suo orecchio. Poi le accarezzo il collo. Le sue labbra erano così rosse, carnose. Lentamente, avvicinò il volto al suo. Emma tremava. Stava per succedere, stava succedendo davvero. Lui era vicinissimo, lei lo desiderava. I loro nasi si sfiorarono. Lui rise. Emma sentiva il suo calore vicino, vicinissimo. Gli posò la mano tra i capelli. Chiuse gli occhi.
 
TRRIIIN. Un campanello suonò, infrangendo la magia del momento. Era George, fuori dalla porta di casa. -Paul?! Paul, apri, sono io!
Emma aprì gli occhi. Era così vicino che non riusciva a metterlo a fuoco. -Paul, cazzo apri, mi sto infradiciando tutto!
Insieme, scoppiarono a ridere.

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Capitolo 10
*** The beginnings ***


Sera lettori! Come avrete notato, non resisto a pubblicare i capitoli, è più forte di me! Ringrazio comunque tutti coloro che hanno recensito, sono stati tutti molto dolci, sono davvero contenta J
Un piccolo anticipo. Questo sarà uno dei capitoli più romantici della storia, quindi da qui in poi ce ne saranno di meno,non vorrei che vi venisse il diabete con tutte queste smancerie! (per i sentimentalisti, non disperate. Di scene sdolcinate ce ne saranno a bizzeffe).
 Lasceremo un po’ spazio a “nuovi incontri”, già dalla seconda parte del capitolo, e non vi dico altro.  Buona lettura!


-George, sei più puntuale di un orologio svizzero.- sospirò Paul, strangolandolo con lo sguardo.
-Sisi, ok, adesso fammi entrare!- disse lui spingendo l'amico che gli bloccava il passaggio. Oltrepassò l'ingresso di casa. Aveva tutto il viso bagnato, le gocce d'acqua scivolavano per terra dalla punta del suo naso, le sue lunghe ciglia castane erano imperlate di pioggia.
-Ci voleva tanto ad aprire la porta?!- sbuffò George -oltre che sono diventato una pozzanghera ambulante, si è bagnata tutta la chitarra! E' di legno, se assorbe umidità si spacca!
Paul continuava a guardarlo come se avesse commesso un crimine imperdonabile. Strizzava gli occhi e arricciava il naso, sua tipica espressione di disprezzo.
-Ehi, ma mi stai a sentire?- alzò il tono della voce, evidentemente infastidito da quell’atteggiamento- Perché mi guardi così, che ti ho fatto? Sei stato tu a mollarmi mezz'ora fuori dalla porta a prendere acqua!
-Un ombrello no, eh? Oppure, semplicemente stare a casa tua qualche volta?-incalzò Paul.
-Senti, da un anno vengo ogni sabato alle cinque per provare, non è mica una novità! Mi dici invece che ti prende?
-Guarda lì..!- indicò con un movimento della testa il pianoforte nel mezzo del salotto, dove sedeva Emma.
George vide la testa rossa che spuntava dal piano nero. Immaginò quello che stava succedendo poco prima del suo arrivo, e soprattutto ciò che aveva interrotto. Si sentì in colpa. Paul gli aveva detto dell'appuntamento con la ragazza, ma se n'era completamente dimenticato. Dispiacendosi per l'amico, la buttò sul ridere.
-Ringrazia che sia arrivato, quella poveretta si sarà scocciata di sentirti blaterare per ore. –le fece l’occhiolino-Sono la sua salvezza.
Emma, dietro lo Steinway, rise, colpita dalla simpatia di quel ragazzo. George e Paul la sentirono, allora la tensione sparì. Paul tirò uno scappellotto all'amico, ridendo.
-Vai a prendere una felpa asciutta dal mio armadio, sei fradicio davvero.
George guardò Emma, con aria di complicità -Ah si, se n'è accorto adesso. Ma con chi abbiamo a che fare?- risero ancora.
Mentre saliva al piano di sopra, Paul tornò da Emma. Le si sedette accanto.
-Lui è George, te lo ricordi? Era con me la settimana scorsa, al parco.
-Certo che lo ricordo! E' carino..!- rispose Emma.
Paul la trafisse con lo sguardo.
-Volevo dire che è simpatico, stupido!-gli sorrise, e gli carezzò il volto. La sua pelle era morbida e vellutata come la buccia di una pesca.
Paul chiuse gli occhi,crogiolandosi nel piacere di quel tatto leggero, del calore di quelle dita pallide e sottili.
George era già di ritorno, e ancora interruppe un momento di tenerezza.
-Beh, ragazzi, che facciamo?- disse, allegramente.
Come la prima volta, Emma e Paul si guardarono dritti negli occhi e risero.
 
I ragazzi suonarono insieme tutto il pomeriggio. Paul e George fecero ascoltare ad Emma il loro repertorio, iniziando con Johnny be good di Chuck Berry a finire con Kind of Blue di Miles Davis. Erano davvero bravissimi. Avevano delle voci fantastiche, si mescolavano perfettamente in un soud pazzesco. E poi la loro abilità nel suonare la chitarra era strabiliante. Così passarono due ore, e si fece sera. Sarebbe stato bellissimo ascoltarli ancora, ma era ora di rincasare. Emma e George si salutarono, promettendosi di rivedersi presto. Paul congedò l'amico e decise di accompagnare Emma a casa.
 
Camminavano ancora mano nella mano, in una Liverpool triste, che pareva assopita dal freddo autunnale. Le nuvole sembravano galleggiare nel mare stellato e in un intervallo di pochi secondi lasciavano spazio ad un cielo mozzafiato. La luna piena irradiava la sua luce lieve e candida sui volti dei due ragazzi.
-Come ti è sembrato George?-chiese Paul.
-E' molto simpatico.-sorrise Emma- Sembra un tipo sicuro di se, carismatico, molto alla mano..
-Non ti allargare troppo con le lodi-scherzò Paul- di me non diresti un quarto dei complimenti che hai fatto a lui.
-Assolutamente no-borbottò Emma- di te direi che sei.. dolce, intelligente, divertente, bello- si soffermò molto sull'ultima caratteristica elencata- affascinante, emotivo, ed hai un sorriso bellissimo.
Paul, per la prima volta, arrossì.
-Di te direi, invece, che sei delicata, sensibile, davvero bellissima, misteriosa, fragile, e che amo i tuoi occhi. Mi catturano ogni volta che ti guardo- Paul si fermò e prese tra le mani il viso della ragazza- come adesso. Ti guardo e non riesco a non pensare a quanto siano stupendi i tuoi occhi. A quante volte li ho immaginati, quando sentivo la tua mancanza. A quanto mi sia innamorato di te.
Emma rise, semplicemente. Era pronta. Accarezzò i capelli del ragazzo, e gli si avvicinò, guardandolo dritto negli occhi. Lui fece lo stesso. Le loro labbra si sfiorarono. Emma provò una sensazione bellissima. Era sollevata, quel momento era finalmente arrivato. Desiderava di più. Paul la strinse a se, la baciò con passione. I movimenti delle sue labbra erano consapevoli, decisi. Emma invece era insicura. Seguì i movimenti di lui, abbandonandosi alla magia del momento. Lui era accogliente. Emma percepiva il calore di Paul, e sentiva il suo trasferirsi in lui. Era come uno scambio di energia, come se le loro due anime si stessero fondendo in una sola. Paul percepì il sapore dolce di lei. Più dolce del miele, più dolce del cioccolato.
Sapeva di amore.
Emma era vorace, ne voleva sempre di più. Nulla era comparabile a quella sensazione, era indescrivibile. Era bellissimo. Fu qualcosa di freddo e umido a fermarli. Qualcosa che con leggerezza si posò sul naso di Paul, scongelandosi e trasformandosi in una piccola goccia d'acqua. Lo stesso sul naso di Emma. I due aprirono gli occhi, si guardarono con tenerezza. Poi si voltarono. Tutto attorno a loro era bianco. Bianco più della luna, delle stelle. Bianco, come la purezza dei loro sentimenti, del loro affetto sincero. Bianco, come neve.

-

Domenica 15 ottobre 1958.
Paul si era appena svegliato. Era al caldo sotto le coperte, con i capelli spettinati, come ogni mattina. Si stiracchiò, stendendo le braccia e inarcando la schiena. "Risveglia ogni muscolo, ti alzerai volentieri." gli diceva la madre, quando andava in camera sua per sollecitarlo a prepararsi per la scuola. Faceva "stretching" ogni mattina nel suo letto, anche se in realtà ciò che davvero lo faceva svegliare volentieri era il bacio del buongiorno della sua mamma. Guardò l'orologio sul comodino, accanto a lui. Segnava le sette e mezza. Consapevole che non sarebbe più riuscito a riaddormentarsi, si alzò. Prese la vestaglia dall'armadio, la indossò e vi si strinse. Poi si diresse verso la finestra. Tutto attorno a lui dormiva. Liverpool era ricoperta da un velo bianco. La neve fioccava da ieri sera, sempre più candida, sempre più spessa. Ah, quella sera. Paul sorrise. Un bacio così, non l'aveva mai dato. Non fu come quei baci che sanno di fumo, di alcol. Sentiva ancora il suo sapore dolce sulle labbra. Quella ragazza era speciale. Alitò sul vetro della finestra. Vi scrisse "Emma" con le dita sottili. Si voltò verso l'orologio. 7.45. Era ora di prepararsi.
 
8.30. Paul era diretto verso la St. Peter’s Church. La parrocchia aveva organizzato una festa per raccogliere fondi, ed erano stati invitati dei gruppi locali ad esibirsi. Tremava nel suo cappotto blu. Aveva il naso rosso per il freddo, il vapore che usciva dalla sua bocca ad ogni suo respiro pareva fumo di sigaretta. Girò l'angolo e raggiunse la chiesa. Poi vide un ragazzo correre verso di lui. Era Ivan Vaughan, un compagno di scuola. L'aveva invitato lui alla festa.
-Buongiorno Paul!- disse Ivan, dandogli una pacca sulla spalla- andiamo, devi vedere i ragazzi.
Paul si diresse verso il cortile della parrocchia assieme all'amico. Era curioso di ascoltare il gruppo di cui Ivan gli aveva parlato e parlato, elogiandoli come fossero diretti discendenti di Elvis Presley. Stando ai racconti entusiasti di Vaughan, erano dei gran musicisti, "spaccavano ". Paul non si impressionava con poco. Si aspettava però di rimanere colpito dai Quarrymen. Era il gruppo di John Lennon, il teddy boy della zona. Sapeva chi era, del resto, era conosciuto in tutta Liverpool. L'aveva osservato da lontano, a scuola. Era uno spaccone, un ribelle, un anticonformista. Non moriva dalla voglia di conoscerlo, non ispirava molta simpatia, anzi aveva un'aria strana, come se avesse voglia di spaccare la faccia a chiunque gli si fosse posto davanti. Raggiunsero i palchetti allestiti per la festa. I Quarrymen stavano provando i loro strumenti skiffle. Ivan gli si avvicinò e li salutò
-Ragazzi, siete pronti per lo show?- urlò carico Ivan, suscitando l'interesse di tutti, che lo accompagnarono con delle esclamazioni come 'See!' 'Siamo grandi!'
Sembrava che stessero per varcare la soglia di chissà quale palco scenico, pensò Paul. Che esagerazione.
-John, lui è Paul- si voltarono verso il ragazzo- quel tipo di cui ti ho parlato, il chitarrista. Fidati amico, è pazzesco.
John lo scrutò come fosse un pezzo di fango. Gli lanciò un'occhiataccia. Ecco lo sguardo alla "ti voglio pestare". Paul si pentì di aver dato retta all'amico, sapeva che sarebbe andata a finire così.
-Ah..- borbottò John- ..ti chiami?
-Paul.- rispose, incerto.
-E quanti anni hai? Dodici?- rise il teddy boy, e gli altri con lui. Paul si sentì come se fosse intrappolato nelle sabbie mobili. Avrebbe voluto tirare un pugno a quel galletto, ma era consapevole che se avesse fatto una mossa falsa, sarebbe sprofondato rovinosamente. Fece per voltarsi ed andarsene, ma Ivan lo prese per il braccio, impedendogli di muoversi. L'amico rispose al posto suo.- Sedici, John. Ne ha sedici.
 
L'esibizione iniziò poco dopo. I Quarrymen suonarono e cantarono Be Bop A Lula. Paul fu obbiettivo. Non li trovò niente male. Nonostante fossero pessimi nella tecnica degli strumenti, avevano un certo fascino. Sopratutto Lennon. Sbagliò metà del testo, ma si atteggiò comunque da divo, sembrava dire con quella faccia da schiaffi "Sono Lennon, non ho studiato il testo perchè non mi va, faccio quello che mi pare".
Concluso il pezzo, Ivan e Paul si riunirono al gruppo.
-Che te ne pare, zuccherino?- domandò John a Paul.
-Non male.- disse Paul, con aria di sufficienza- sta a sentire.
Il ragazzo prese in mano la chitarra di Eric, un componente del gruppo, e si mise a suonare twenty flight rock, canzone di per sé difficile, ancor più per un chitarrista mancino. John lo osservò durante l'esecuzione del pezzo, con molta attenzione. Rimase basito. Aveva quel talento limpido, brillava. Quella capacità che non si ottiene solo studiando, ma è qualcosa che viene da dentro, che fluisce dal cuore. Il suo volto da bambino, la voce dal tono acuto ma robusto, lo sguardo di sfida lo resero irresistibile. Quel ragazzo aveva qualcosa di particolare, di raro. Ivan aveva ragione, era davvero pazzesco.
-Non male, ragazzino.- sospirò John. Paul sorrise, sorpreso. Ce l'aveva fatta. Gli aveva dato una bella lezione, e si era guadagnato il suo rispetto.
Poi John sii rivolse a tutti gli altri. -Ragazzi, sta sera tutti al Cavern. Festeggiamo i Quarrymen, offre Lennon.
Si voltò verso Paul. -Anche tu, zuccherino.
Gli strizzò l'occhio, amichevole.

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Capitolo 11
*** Roll over Beethoven ***


-Victoria, non so come descriverlo.. -sorrise spensierata- non ho mai provato nulla del genere, è stato bellissimo.
-Sono contentissima- disse l'amica, commossa, sbattendo furiosamente le ciglia per l’emozione, o forse per lo stupore- FINALMENTE ce l'abbiamo fatta a dare questo santo bacio.
-Ho semplicemente aspettato la persona giusta- rispose Emma, quasi infastidita- e n'è valsa la pena, credimi. Perché tutta questa fretta? Ogni cosa ha il suo tempo. Quel bacio n'è valso cento. E lui è..
-Lui è un figo Emma- starnazzò rumorosamente-non c'è null'altro da aggiungere.
Le due amiche scoppiarono a ridere. Erano le 10.50. Victoria ed Emma facevano colazione assieme al Queen's bar, come ogni domenica. Sedevano davanti ad una tazza fumante di cioccolata calda con panna.
-A che ora dovete vedervi?- domandò Victoria.
-Alle 10, cara.-sorrise Emma.
-Ehm, dove?- incalzò la ragazza.
-Al Newsham park- continuò a sorridere lei.
-Allora mi sa che ti devi dare una mossa.. Sono le dieci meno cinque, il Newsham park non è proprio dietro l’angolo..!
Emma si svegliò dal suo mondo dei sogni e scattò in piedi. –Oh mio Dio, Victoria, devo scappare! Ti chiamo dopo! Ciaociaociao!- disse Emma, fuggendo di corsa dal bar.
-E la cioccolata non la paghi?- disse Victoria, affranta, consapevole che avrebbe dovuto sborsare il doppio dei soldi. L'amica era ormai lontana.
 
10.00. Emma correva da cinque minuti, sembrava impazzita. Sfrecciava come un bolide sotto il naso dei passanti, che la guardavano basiti. Non devo fare ritardo, non devo fare ritardo, ripeteva furiosamente. L’aria gelida di una tipica mattinata autunnale le graffiava il volto, facendole arrossare terribilmente il naso ed appannare gli occhi. Quando con fatica scorse in lontananza l'enorme cancello del Newsham park, iniziò a rallentare. Il cuore trottava nel suo petto, pareva esplodere. Boccheggiava come se stesse respirando per la prima volta. Avvicinandosi, vide Paul. Sedeva sulla panchina appena dentro il parco. Guardava nel vuoto, aveva un'espressione rilassata. Emma scorgeva il suo profilo. Si concentrò sul naso perfetto e sulle labbra. Si sentì fortunata. Quelle labbra erano sue. Paul la vide, le andò in contro e le sorrise. Dio, quel sorriso. La ragazza si gettò tra le braccia del giovane, accomodandosi sul suo petto.
-Buongiono signorina- sussurrò Paul nel suo orecchio- sa per caso di un razzo passato da queste parti? Io ne ho visto uno pochi secondi fa.
Emma alzò il viso, ridendo -Nessun razzo, signore.-Si mise in punta di piedi e lo baciò, delicatamente.- Dove siamo diretti?
-Verso il paese delle meraviglie, mia cara- disse piano.
-Mi chiamo Emma, non Alice, ricordi?- puntualizzò, scherzosamente.
-E chi se lo scorda- rise Paul, prendendola per mano- forza, andiamo.
 
11.05.
-Quella è..mmhh.. un cavallo!- esclamò Emma.
-A me sembra una sirena.- annunciò Paul, trionfante. La ragazza lo guardò perplessa- si, con molta fantasia..
Paul ed Emma erano stesi sulla neve, accanto al salice. Guardavano la forma delle nuvole, come due bambini in un campo di grano.
-E quella a sinistra?- continuò lei.
-Mhh.. una chitarra.- sorrise Paul.
-Sei fissato, le vedi ovunque- sbuffò Emma
-A proposito, devo raccontarti!- si volto sul fianco, per guardarla negli occhi.- Sta mattina ho incontrato i Quarrymen, la band di John Lennon. Me li ha presentati Ivan Vaughan, un mio compagno di classe. Lennon è uno sbruffone, un montato, un arrogante di prima classe.- sorrise sta sé e sé, pensando a quel tipo strambo dal naso aquilino. Gettò gli occhi al cielo. “Zuccherino”. -Mi è simpatico, però.
Emma lo guardò perplessa. -Mi è difficile immaginare una persona simpatica pensando ad un arrogante, montato e sbruffone.
-Secondo me lui non è così..Da a vedere il suo lato da duro, ma sono sicuro che sia solo una corazza. E poi ha talento, Emma. Quando ha cantato con i Quarrymen, ho visto qualcosa di speciale in lui. Mi intriga, come persona. - si soffermò pochi secondi, esaminando l’espressione accigliata di Emma. Aveva arricciato il naso, come se stesse sentendo uno strano odore. Questo era l’effetto Lennon faceva alle persone.-Sta sera mi ha invitato a festeggiare la prima esibizione del gruppo. Lo studierò un po’ , vedremo se è davvero come penso, oppure è solo un cretino con il ciuffo a banana.
I due ragazzi risero, spensieratamente. Emma gli si avvicinò e Paul la strinse a se.
-Non diventare anche tu un cretino montato con il ciuffo a banana.-sussurrò lei. Strofinò il naso sul suo viso.
Paul le sollevò il mento con le dita, e con delicatezza le baciò il collo. Aspirò profondamente il suo profumo. Emma rise, le faceva il solletico. Poi le baciò la fronte, gli occhi, il naso, le guance. La sua pelle era candida e fredda, come la neve che li circondava.
-Sarò tutto ciò che vuoi, piccola.- la guardò con dolcezza.
-Il ragazzo che ho qui accanto a me in questo momento, è ciò che voglio. -sussurrò lei, raccogliendo tra le dita ciocche di capelli neri, inumiditi dalla neve. Con le stesse dita sottili disegnò ghirigori sulle sue guance, parevano danzare sul suo viso. -Per sempre.

-

-Buonasera, zuccherino!- urlò John, vedendo Paul varcare l'ingresso del Cavern. Era seduto con Rod, Len, Colin, Pete e Ivan. Gli altri non sembrarono fare caso a lui. Solo Lennon lo scrutò attentamente, ma non più con quello sguardo da bullo. Era amichevole, sorrideva.
-Sera- salutò Paul, con un cenno della testa. Ricambiò il sorriso.
John indossava un maglia aderente grigia che delineava i muscoli appena accennati del torace e del ventre. Un giaccone di pelle nera avvolgeva le sue spalle larghe.
Si guardò attorno. Il pub era colmo di ragazzi più grandi, sulla ventina. Si sentì a disagio.
-Siediti qui- disse John, indicando il posto libero accanto a lui. Paul obbedì.
-Senti, quando arriva il tizio per prendere gli ordini, dì di avere 18 anni, se no non ti portano la roba.- precisò Lennon, sicuro di aver detto qualcosa di scontato.
-Quale roba scusa?- rispose Paul, stranito.
John si mise le mani tra i capelli. -Alcol, Pauletta, alcol. Non bevi?
-Certo, stavo scherzando stupido!- rise lui, mentendo spudoratamente.
-Ah, volevo ben dire..- sospirò John- cosa prendi?
Paul impallidì. -..Champagne?
L'altro scoppiò a ridere- McCartney, mi prendi per il culo per caso?- gli tirò un pugno sulla spalla.
Lui continuò a ridere, cercando di stare al gioco.
In quel istante arrivò il cameriere per le ordinazioni.
-Due jack daniel's, per favore.- annunciò Lennon. Si voltò verso Paul -E' una bomba, ti esplode in gola. Sicuramente l'hai già bevuto.
Lui annuì. Si chiese seriamente in che guaio si fosse cacciato.
-Ragazzino, quanti anni avete?- domandò il barista.
-Diciotto bello.- rispose secco, Lennon.
L'altro sbuffò, insospettito. Ma chi volevano prendere in giro? Glie ne avrebbe dati massimo diciassette. Ormai, cosa gli importava? Gli interessava solo intascare i soldi di quei fottutissimi drink, come sempre. -E voi altri, cosa volete?
 
*
 
-Sei vergine, McCartney?-domandò John, con un ghigno divertito stampato sul viso, sorseggiando whisky.
Paul ebbe l'impulso di sputare quella schifezza che gli avevano rifilato, ma consapevole dello scandalo che avrebbe suscitato, ingoiò. Bruciava nella trachea, gli sembrò di aver appena ingerito lava. Trattenne la tosse. Poi si concentrò sulla domanda ricevuta e decise di essere sincero. -Si, sono vergine.
John scoppiò nuovamente a ridere. -Non sai che ti perdi, bellezza.- sorrise, sovrappensiero.
-E dimmi, ce l'hai la fidanzatina?-iniziò a sbattere le ciglia, imitando una ragazzina.
Imbecille, pensò Paul. -Si, ce l'ho.
-E non ti ha fatto ancora nessun servizietto?- sogghignò- che aspetti bello? Che te la carichi a fare?
Paul diventò rosso per la rabbia. Dentro di lui cresceva a dismisura il desiderio di buttargli addosso quella roba e di stampargli un cazzotto in testa. Trattieniti Paul, trattieniti.
-Senti, BELLO, non è il mio giochetto! "che te la tieni a fare"?! Vacci piano, ok? Sono davvero innamorato, per una volta nella mia vita, ed è ben diverso da volerla scopare!
-Okok, calmati!- sbuffò Lennon.- sei troppo sentimentale, devi goderti la vita!
Posò lo sguardo su una gruppo di bionde sedute a pochi metri dal loro tavolo. -Guarda e impara, madonnina.
Si avvicinò alle sei Brigitte Bardot. -Buonasera, bellezze!
Le ragazze lo accolsero ben volentieri. Altro che corazza, quello era cretino dentro e fuori, pensò Paul.
-Io faccio il secondo giro ragazzi, sta sera prenderemo certe botte che è meglio essere brilli per sentirle di meno.- annunciò Pete esaltato. Paul non trovava nulla di eccitante in quello che aveva appena detto.
-Rod, prendine un altro anche tu, magari ti vengono i super poteri, ne hai bisogno!- scherzò Colin, tutti risero.
-Ma si può sapere perchè dobbiamo pestarli?- domandò Len.
-Quei bastardi hanno distrutto la macchina di James- annunciò Ivan- lui vuole fargliela pagare e ha chiesto ad alcun amici di unirsi alla scazzottata per appoggiarlo. Ed eccoci qua.
-Ma di chi state parlando?- ruppe il ghiaccio Paul.
-Una rissa a cui parteciperemo tra poche ore contro una gang di Garston.- continuò Ivan- oggi ci rimane secco qualcuno.
Tutti attorno risero, ma Paul rimase basito. Si sentì parte di qualcosa di pericoloso. Era semplicemente andato a passare un pomeriggio e ora pareva ritrovarsi nella terra della mafia.
Poi scorse John uscire dal bagno accanto a una delle biondone che aveva abbordato prima. Ognuno tornò al proprio tavolo.
-Che fine hai fatto?-gli domandò Paul.
-Sei troppo immacolato per sentire certe cose.- rispose John, beffardo. Riprese in mano il bicchiere di Jack daniel's e deglutì le ultime gocce rimaste.
-A te piacerebbe far parte di un gruppo?- domandò, improvvisamente serio.
-Ehm.. si, credo di si.- rispose Paul, incuriosito dalla piega che aveva preso la conversazione.
-E hai.. qualche progetto?- incalzò, guardandolo attentamente, come se volesse esaminare ogni piccolo movimento del ragazzo con quegli occhietti vispi. -Nel senso, vorresti fondarne uno? Oppure ti starebbe bene entrare a far parte di uno già esistente?
-Dipende.- si limitò a dire Paul, consapevole di aver spiazzato John con quella risposta. Sapeva benissimo dove voleva arrivare.
-Chissà, forse mi potrebbe essere utile un chitarrista..- strofinò la mano destra sul viso, pungendosi con la barba appena accennata. Fingeva noncuranza, ma anche un ceco avrebbe visto l’insicurezza lampante di John in quel gesto. -Insomma, non sei proprio male, si potrebbe combinare qualcosa.
-John, non tirarla per le lunghe..-sbuffò Pete.
-Si, insomma.. puoi essere un Quarrymen.. Se ti va.

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Capitolo 12
*** Baby you can drive my motorbike ***


Emma sorseggiava una tazza di te caldo, seduta sul davanzale della finestra che da camera sua si affacciava sul parco pubblico. La neve ormai si era sciolta, la temperatura si era improvvisamente alzata. Il sole sfiorava Liverpool con i suoi raggi deboli e delicati, come se la accarezzasse. Lei si stringeva nella vestaglia morbida, sfregava i piedi nelle pantofole vellutate. Il vapore tiepido del tè le sfiorava il viso. Aveva bisogno di quel calore, per svegliarsi ogni mattina. Chissà se un giorno si sarebbe svegliata al fianco di Paul, pensò. Sarebbe molto meglio accoccolarsi fra le sue braccia che nella vestaglia e nelle pantofole. Sorrise. Desiderava più di qualsiasi altra cosa rivederlo. Ormai le ore passate senza di lui erano tristi, inutili. Tempo perso.
Scivolò dal davanzale, agile come un felino. I suoi occhi splendevano di quella particolare maliziosità di quando si è consapevoli che qualcosa che si brama tanto sta per accadere. L'avrebbe incontrato fuori dai cancelli dell'istituto. Ma quella volta non sarebbe stato con le Amazzoni o con chiunque altro. Starebbe aspettando lei. Si diresse verso il bagno, così spensierata che ogni suo passo sul parquette antico pareva un saltello. Senza accorgersene, si scontrò con sua madre nel corridoio. Scoppiarono a ridere entrambe.
-Come mai così allegra alle sette e venti di mattina? Stiamo andando a scuola o mi sono persa qualcosa?- la punzecchiò.
-Stai insinuando che io non ami andare a scuola? Scherzi, io sono una brava ragazza, amo lo studio matto e disperato. 
Dana pizzicò le guance della figlia, dolcemente. La amava più che mai.

8.55. Emma camminava a passo sostenuto verso la scuola. Era in ritardo. Ogni falcata era accompagnata dallo strano rumore provocato dal contatto dei suoi stivaletti con l'asfalto del marciapiede. Clop, clop, clop. Si concentrò su quel ritmo, cercando di distrarsi dalle fitte alla spalla destra, sulla quale gravava il peso della cartella.Stava per oltrepassare l'incrocio che l'avrebbe incanalata sulla lunga via verso scuola. 
-Dove vai così di fretta? Hai un appuntamento per caso?
Emma sorrise. Si voltò e vide Paul seduto su una moto. Sgranò gli occhi, stupefatta. Era una Harley Davidson 50 rossa fiammante. La sua preferita. 
-E' il mio gioiellino. Ti piace?- sorrise Paul, strizzandole l'occhio.
Emma gli corse in contro e lo abbracciò.
-Questa moto è assurda.- esclamò.
-Che ne diresti di fare un giro?- propose lui, invitante.
Emma ebbe un tuffo al cuore. C'è qualcosa di più emozionante di sfrecciare per Liverpool su una Harley Davidson rossa abbracciata al proprio ragazzo?
-Ma, Paul, abbiamo lezione adesso- tornò sconsolata alla realtà cruda dei fatti. Altro che moto fiammante, la aspettavano cinque "splendide" ore di lezioni infinite.- E a dir il vero, siamo in ritardo!
-potremmo fare un'eccezione, per oggi- sorrise, malizioso. 
-Oh, non sai quanto mi piacerebbe- i suoi occhi brillavano, come se dinnanzi a lei si stessero già  susseguendo le immagini della sua avventura fiabesca-ma davvero non posso.
-Le regole sono state inventate per essere infrante, amore mio.-continuò lui.
"Amore mio". Emma si sciolse udendo l'armonia di quelle due parole pronunciate da lui. Mio amore, amore mio, ripetette tra sé e sé.
Una scappatella ogni tanto, che sarà mai? Non aveva mai fatto nulla di sconveniente, era arrivato il momento di darci un taglio a quella maledetta vita da ragazza modello.
Emma montò in sella, abbracciando il ragazzo. 
-Accellera, biker.

-


Emma e Paul sfrecciavano lungo Coastal Road. Erano ormai fuori Liverpool da tempo. Alla loro desta si susseguivano pini e querce. A sinistra, il mare. La moto rombava, sfiorava l'asfalto nero. Emma si stringeva forte al ragazzo. L'adrenalina scorreva nelle sue vene. Il profumo di Paul, il ruggito della Harley Davidson, il vento che accarezzava i suoi lunghi capelli rossi. Sentiva le vertigini, delle fitte le percorrevano stomaco ad ogni curva. Stranamente, era piacevole. Appoggiò la testa sulle sue spalle. Larghe, solide. Sentiva il suo cuore trottare. Si strinse ancora a lui, circondando il suo bacino sottile con le braccia. Paul rallentò. Le grandi ruote della moto puntavano verso una enorme scogliera bianca. Il ragazzo spense il motore, si voltò verso Emma, sorridendo soddisfatto.
-Dopo di lei, signorina.
Le prese le mani e la aiutò a scendere dal mezzo. Camminarono verso il precipizio, schiacciando il manto di erba verde che ricopriva la pietra bianca. Emma ebbe quasi paura di sporgersi per osservare lo spettacolo che li sottostava. Onde gigantesche si infrangevano sui mastodontici scogli. Paul era alle sue spalle. Sentiva il suo respiro caldo sul collo. 
-Fai altri due passi in avanti.- sussurrò lui. Lei scosse la testa, spaventata.
-Ti fidi di me?- rise lui, cingendole il ventre con le braccia forti. Lei si lasciò guidare, a proseguì. Si bloccò a meno di un metro dal burrone.
-Adesso, chiudi gli occhi.- Emma esitò. 
-Tranquilla, non ti lascio.- sorrise lui, sfiorandole la guancia con le labbra. 
Allora lei socchiuse le palpebre. Il vento le carezzava la pelle, tiepido.
-Adesso, fai un respiro profondo..
Lei obbedì. L'aria umida e salmastra le riempì i polmoni. 
-Prova a metterti in punta di piedi e apri le braccia.
Lui la sorresse, e lei ancora eseguì l'ordine. Provò una sensazione meravigliosa. Le sembrò di volare, sospesa nel nulla. 
-E ora, apri gli occhi.
E così fu. Emma sospirò, estasiata. Era a pochi centimetri dal burrone, tra l'erba e il nulla. Si sentì libera, follemente libera. La fragilità e la debolezza furono raccolte a trasportate via dalla brezza marina. 
Allora lei si voltò e abbracciò il suo amato. Lo baciò, come mai aveva fatto prima. Era sicura, convinta. Era forte, invincibile. Lo guardò negli occhi e rise. Sapeva di sale. Sapeva di vittoria.


ANGOLO DELL'AUTRICE 
Buonasera cari lettori! Sono contenta che la storia stia prendendo un piccolo spazio nei vostri cuori, e che quindi le visualizzazioni siano aumentate, come le recensioni. Infatti, ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito i miei capitoli, per me è molto importante. E' davvero bellissimo sentire la vostra opinione, soprattutto se mi riempite di complimentoni (che non merito assolutamente, siete troppo dolci). 
Discrsi sdolcinati a parte, vorrei dirvi che sono consapevole che l'ultima scena assomiglia terribilmente a titanic, ma l'ho visto la prima volta qualche settimana fa, ve lo giuro ahaha! Sapevo della sciena dove Jack fa sporgere Rose e tutto il resto, ma mi sono resa conto che coincideva parola per parola con la scena del capitolo. Vi chiedo scusa se vi ho annoiati, volevo solo trovare uno scusante per la terribile coincidenza. 
Grazie per avermi ascoltata, spero che il capitolo vi sia piaciuto, almeno! Alla prossima! 
Jude. 

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Capitolo 13
*** Never mind ***


Emma e Paul erano stesi sul manto d'erba che ricopriva la scogliera, a pochi centimetri dal precipizio; tacevano. Quel silenzio valeva più di mille parole. Emma era bellissima. I capelli lunghissimi sfioravano il prato. I suoi occhi avevano preso il colore del cielo, sembravano turchesi. Paul la guardava, felice. Gli pareva di aver di fronte il quadro di un pittore, non la sua ragazza. Era fiero di poter dire "E' mia. Mi appartiene." Si avvicinò a lei, lentamente. I loro nasi si sfioravano. Le solleticò il mento con le dita affusolate, lei rise. Lui si schiarì la voce, e iniziò a cantare.
-Here,making each day of the year, changing my life with wave of her hand, nobody can deny that there's something there.- Paul intrecciò le dita nei suoi boccoli rossi. -There,running my hands through her hair, both of us thinking how good it can be, someone is speaking but she doesn't know he's there.
Emma sorrise. Era possibile amare una persona quanto lei amava Paul?
-I want her everywhere. And if she's beside me i know i need never care, but to love her is to meet her everywhere, knowing that love is to share. Each one believing that love never dies, watching her eyes and hoping i'm always there.
Si fermò per pochi secondi, prendendo fiato. Sentì il cuore trottargli nel petto.
Era davvero sua.
-To be there and everywhere. Here,there,and everywhere.
Paul la guardò dritta negli occhi. Era commossa. Si ritrovò in quello sguardo, riconobbe la luce che splende nell'animo di chi racchiude un amore sincero, come il suo. La strinse a se e la baciò.
Emma piangeva. Le sue lacrime non sapevano più di rimorso, non avevano più quel retrogusto amaro. Erano dolci, come i baci di Paul.
 
13.05
-Siamo arrivati, piccola.
Paul ed Emma erano fermi all'incrocio di Capital street, a duecento metri da casa di Emma, in sella alla Harley Davidson. Paul aiutò la ragazza a scendere.
-Grazie di tutto, davvero.- disse lei, abbracciandolo.
-Grazie a te, dolcezza.- sussurrò piano lui. La strinse e la baciò.
-Devo andare- Emma sciolse l'abbraccio.
-Quando potrò rivederla?- le strizzò l'occhio lui.
-Quando desidera, sir- ricambiò il sorriso, allontanandosi. Sentì il rombo della moto alle sue spalle piano piano scemare.
Non aveva mai marinato la scuola. Né andata a venti chilometri da Liverpool con un ragazzo, su una scogliera, in moto. Sua madre l'avrebbe rinchiusa a casa per tutta la vita se fosse venuta a saperlo. Rise. Era impossibile. Sarebbe rimasto tra lei e Paul, era un loro piccolo segreto. Estrasse le chiavi di casa dalla cartella ed entrò in casa.
-Mamma! Sono tornata!- urlò lei, allegra. Nessuna risposta. Forse non l'aveva sentita, pensò. Sentì un buon profumo provenire dalla cucina. Si diresse lì. Dana era ai fornelli, non badò alla figlia che continuava a salutarla. Poi si voltò. Il suo volto era impassibile.
-Dove sei stata sta mattina, Emma?- domandò. Il suo sguardo era fiammante per la rabbia.
Una fitta le trafisse il cuore.
-A scuola, mamma.
-Ah si?- sibilò. Se avessero avuto un sapore, le sue parole avrebbero avuto lo stesso gusto dell’ammoniaca. -Perchè mi hanno chiamata dall'istituto dicendo che eri assente.
Sentì una goccia di sudore scivolarle sulla schiena sottile. -Mamma, si saranno confusi, io..
-IO, IO.. Io cosa?-tirò un pugno al marmo gelido del piano cucina. Le pentole sui fornelli traballarono violentemente- Vuoi prendermi in giro?
-No, mamma..
-Dove sei stata? Pretendo una risposta ADESSO!
Sospirò, sconfitta. -..Con Paul.
Dana sbarrò gli occhi, incredula.-PAUL? Chi è Paul?!
-Un mio amico..Viene a scuola con me, è un bravo ragazzo!
-Un bravo ragazzo? Dovevi essere a scuola e non con lui!!
-Mamma, scusami.. non succederà più, ti giuro che..
-Emma, sai una cosa? Sei inaffidabile. Lo sei sempre stata.
Gli occhi della ragazza si appannarono di lacrime.
-Vedi? Appena riacquisto fiducia in te, tu mi colpisci alle spalle. E non posso accettarlo. Sei mia figlia, e devo crescere una persona responsabile. Uscirai da questa casa solo per andare a scuola. Non permetterti mai più!- urlò Dana, fredda come il ghiaccio.
Emma fece per andare in camera, ma..
-Non sono mai stata affidabile? Mamma, io non ti ho mai dato delusioni. Ho sempre fatto la cosa giusta. Sono sempre stata un'eccellenza a scuola, non ho mai fatto capricci, sono sempre stata in silenzio, e non hai idea di quanto sia opprimente e doloroso vivere in una casa in cui tua madre ti guarda come se fossi la rovina della sua vita, e tuo padre si comporta come se la tua esistenza gli fosse indifferente!- trattenne con forza i singhiozzi. Basta piangere come una bambina, era finalmente arrivata l’ora di affrontare quei maledetti scheletri  del passato, una volta per tutte. -Ho sempre cercato di darvi delle soddisfazioni, in modo da poter suscitare il vostro interesse, ma maledizione, sarei potuta andare sulla luna e la cosa non vi avrebbe sfiorato minimamente!- la ragazza potrò le mani al viso, disperata. Ormai senza forze, crollò. Singhiozzò, risucchiata dalla paura. Una paura indecifrabile, inspiegabile. Ma talmente densa che impregnò la sua anima, appannando i suoi sensi, spingendo forse la sua mente a liberarsi da quel fardello che gravava sulle sue spalle da troppo, troppo tempo.
-Non ho ucciso io Mary, va bene? E' stato un incidente! Non l'ho buttata io nel fiume, è scivolata e io.. io non sapevo cosa fare! Non è stata colpa mia!- gli occhi di Emma erano gonfi e rossi. Le sue mani tremavano furiosamente, come fosse percossa da una scarica elettrica.
-Emma, nessuno ha mai detto nulla del genere, non abbiamo mai pensato che fosse stata colpa tua..- le lacrime solcavano il suo viso. Mentiva, mentiva spudoratamente.
-E allora mi dici perchè da sei anni mi guardate come fossi un'assassina? PERCHE'? Sono vostra figlia, santo Dio!- strillò. La rabbia la soffocava. Lanciò la cartella a terra, furiosa. Corse in camera, Fottutissima scuola, fottutissimo casa. Fottutissima vita.
Seduta sul suo letto, cercò di tranquillizzarsi. Respirò profondamente, trattenendo i singhiozzi. Cercò di focalizzare la situazione, e realizzò di avercela fatta. Era riuscita a esternare i suoi sentimenti, il suo pensiero, cosa che credeva di non poter essere capace di fare.  Si voltò verso il comodino. Vide la foto di sua madre, in una cornice d'argento. La afferrò. Si diresse verso la finestra, la spalanco e scagliò con rabbia la foto al suolo. Il vetro esplose in mille pezzi.

ANGOLO DELL’AUTRICE
Salve cari lettori! Sono contenta che le visualizzazioni siano aumentate, e sono grata a tutti coloro che hanno recensito! Questo è un passo fondamentale della storia, per questo spero che vi sia piaciuto J Aspetto i vostri consigli e le vostre critiche, cercherò di aggiornare al più presto!
Vostra, Jude. 

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Capitolo 14
*** We can work it out ***


Il rombo della Harley Davidson risuonava per una Liverpool semi deserta. Paul sfrecciava in sella alla moto sotto il solito cielo grigio Britannico. Delle ciocche castane scivolavano sulla sua fronte, scosse dal vento. Si stava dirigendo verso casa, quando vide un ragazzo seduto su il marciapiede alla sua destra. Avvicinandosi, riconobbe il profilo inconfondibile di John. Rallentò e gli si fermò davanti. Lo salutò con un cenno della testa, sorridendo. 
John lo squadrò, confuso. Aguzzò lo sguardo, con la sua solita espressione da spaccone. Poi si arrese, frugò nella tasca destra del cappotto e ne estrasse un paio di occhiali. Li inforcò e finalmente focalizzò Paul.
-Ehi, zuccherino!- ricambiò il sorriso.-che ci fai con quella bestia?
-Ci corro, quattrocchi.- sghignazzò Paul.
John inarcò le sopracciglia, seccato. Odiava quei maledetti occhiali tondi. 
Paul accostò, scese dalla moto e gli si sedette accanto.
-Hai marinato la scuola per caso?- disse John, ridacchiando- Il paparino non ti mette in punizione?
Paul sbuffò. Non si spiegava perchè si divertisse così tanto a punzecchiarlo.
-Sono stato con la mia ragazza.
-Te la sei fatta?- disse lui. Aveva stampato in faccia quello stupido sorrisetto da peste.
-Può darsi.-rispose Paul, tutto d'un fiato. 
John spinse Paul, amichevole. -Ma chi vuoi prendere in giro, madonnina?- rideva con gusto.-non l'hai sfiorata nemmeno. 
-Non sono cazzi tuoi, Lennon.- sbottò Paul- pensa per te, che nemmeno ce l'hai la ragazza. 
-Sei tu lo sfigato qui, non io.- sorrise- io me ne faccio quante voglio, bellezza. Non ho la scocciatura di fare il maggiordomo a una ragazzina capricciosa. Io, me le faccio e basta.
Sospirò John, soddisfatto della sua tesi. 
Paul lo fissò dritto negli occhi, serio. Davvero non lo capiva. 
-Non mi guardare come se avessi bestemmiato in aramaico McCartney. Tu non hai nemmeno idea di cosa sto parlando.-puntualizzò John, con aria di superiorità. -Sei così caruccio, con quel nasino a punta.- gli tirò un pizzicotto sulle guancia.- presto, mi capirai. 
Sorrise, come un bambino. 
-Tu invece? Perchè non sei andato a scuola?- replicò Paul.
-Ho di meglio da fare che passare cinque ore ad ascoltare una vecchia vacca che descrive il David del Michelangelo.
Scoppiarono a ridere entrambi. Si guardarono dritti negli occhi. Risero ancora. 

John si alzò, voltò le spalle a Paul e si diresse verso la moto. Montò in sella e diede gas al motore. 
Paul sbarrò gli occhi. - Lennon, che stai facendo?!
-Ti sbrighi a salire o preferisci rincorrermi a piedi?

-

John correva a 120 all'ora. Paul dietro di lui si teneva saldo al sellino. Lennon, senza occhiali era pressoché cieco. Avevano rischiato di schiantarsi diverse volte, ma John continuava ad accelerare. Urlava come un forsennato.
-Lennon, la pianti di strillare come un'oca?- sbuffava Paul ad ogni curva. 
-Zitta madonnina, lasciami divertire!- esclamava lui. 

Erano nell'aria centrale di Liverpool. Passarono di fronte alla cattedrale del Cristo Re. Gli anziani che stanziavano di fronte all'ingresso della chiesa gli fissarono con disprezzo. John allora si fermò sotto i loro occhi increduli e gridò -Vi piacerebbe guidare questa bestia, eh bellezze? Continuate a pregare, magari il buon Dio ve ne lancia un paio dal paradiso! 
I ragazzi si allontanarono ridendo come mai.

-John, tu hai il patentino vero?- domandò Paul.
-No zuccherino, quella stronza di Mimi non me lo farà prendere mai e poi mai!- rispose John, infastidito dal forte vento che gli irritava gli occhi. 
Paul si irrigidì, temendo il peggio. Ma.. chi era Mimi?
Scorse le strisce pedonali davanti a lui e invitò John a fermarsi. Lui fece finta di non sentirlo.
-John, fermati.
-Cosa c'è, McCartney?- si voltò per guardare in faccia l'amico. Fece solo in tempo a vedere l'espressione terrorizzata di Paul.
-John, FERMATI!
John vide davanti a se una signora che stava attraversando la strada. Istintivamente sterzò. 
Sbandò subito, perse il controllo del mezzo e lasciando il manubrio cadde a terra insieme a Paul. Finirono con la moto in una aiuola, tra dei cespugli. 
Fecero appena in tempo ad evitare la donna. Grazie a Dio, erano tutti interi. John si risollevò, si avvicino al ragazzo, gli porse la mano e disse:
-Però, McCartney, sei figo quando voli!
Paul scoppiò a ridere con lui.

-

7.45.
Emma era seduta sul suo letto, immobile. Aveva appena finito di prepararsi per la scuola. Si era lavata, vestita e pettinata. A quest'ora, sarebbe già dovuta essere al semaforo dietro l'istituto, dove incontrava sempre Victoria. Dove si era separata da Paul, il giorno prima. 
Provava e riprovava ad alzarsi, ma non ce la faceva. Non era la solita stanchezza del primo mattino. 
Il solo pensiero di incrociare lo sguardo di sua madre, uscita dalla sua stanza, le faceva accapponare la pelle. 
Sentì la pancia gorgogliare. La sera precedente non aveva cenato. Infatti, da quando era entrata in camera il giorno prima, non ne era più uscita. Del resto nessuno si era preoccupato di lei. Nessuno aveva cercato di parlarle, di farla ragionare. Nessuno le aveva portato la cena. Nessuno ci aveva nemmeno provato. 
Strinse i denti, agguerrita. Si alzò, raccolse la cartella e si diresse verso la porta. Afferrò con forza la maniglia di ottone. Doveva andarsene da quel posto. 
Scese velocemente le scale, senza guardarsi alle spalle. In pochi secondi raggiunse l'ingresso. Afferrò le chiavi sulla mensola e finalmente uscì da quella casa infernale. 
Fece un respiro profondo, riempendo i polmoni di aria gelida. Il naso le si arrossò per il freddo. 
Portò il dito indice e il medio alla bocca, mimando il gesto di un fumatore che aspira la sua sigaretta. Espirò l'aria, che si tramutò in vapore. Sorrise, divertita dal suo giochetto.

8.05
-Alla buon'ora, eh!- urlò Victoria, seduta sulla scalinata che precedeva l'ingresso dell'istituto.
Emma sorrise, raggiungendola. -Che ci fai qui? 
-Ti ho aspettata, stupida.- sbuffò lei- Ieri non sei venuta a scuola, non ti sei fatta sentire.. Non vorrei che combinassi qualche disastro. 
Emma rimase in silenzio, con lo sguardo basso, fingendo di osservare la punta delle sue ballerine di velluto blu. 
-C'entra qualcosa Paul, PER CASO?-si schiarì la voce Victoria. 
L'amica annuì, con un sorriso amaro sulle labbra. - E' successo un casino.. Non so come ne uscirò viva.
Victoria la prese sottobraccio, affettuosamente. -Ci sono io qui per questo.. Ma ti consiglierei di muovere quelle belle gambine, se non vuoi sorbirti la ramanzina della Marquez, da lì non ci esci viva sicuramente.
Scoppiarono a ridere spensieratamente, come ai vecchi tempi, quando era Emma a consolare ed assistere Victoria e non viceversa.


11.00
Era appena suonata la campanella che annunciava la ricreazione. Emma aveva descritto per filo e per segno la mattinata del giorno precedente all'amica, che per tutta la durata del racconto l'aveva fissata con la bocca spalancata per l'estasi e lo stupore. I suoi occhi brillavano come diamanti. Quando poi Emma le disse della reazione della madre e della conseguente punizione, la gioia svanì completamente dal viso di Victoria, e venne sostituita da un'espressione disperata, come de fosse rimasta delusa dal finale della storia. In effetti, sembrava quasi una soap opera.
-Caspita, questo si che è un problema..-sospirò Victoria- come pensi di fare?
-Devo dirlo a Paul..-sussurrò lei, pensierosa- troveremo una soluzione. 
Prese l'amica per mano e si diresse insieme a lei fuori dalla classe.
-Abbiamo..- guardò l'orologio che aveva al polso- sette minuti per trovarlo. 
-Un ragazzo su cinquecento dell'istituto- sorrise Victoria- sembra una cosa carina da fare negli unici dieci minuti di pace nel mezzo delle cinque ore di scuola.
Emma annuì, soddisfatta.
-Si, ma io veramente vorrei mangiare..- sbuffò lei.
-Devi smetterla di ingozzarti sempre! Incomincerai ad ingrassare di questo passo.- puntualizzò Emma mentre rideva guardando l'amica, decisamente infastidita da quel commento sulla sua linea- anzi, inizia a correre, magari incominci a smaltire qualcosa! 
Victoria le lanciò un'occhiata carica di odio profondo. -Invece di fare la simpaticona, bada più a chi hai intorno.. Precisamente, a quel bel ragazzetto appoggiato al muro che parla con..- aguzzò lo sguardo- ALTRETTANTI bei ragazzetti..!
Emma seguì lo sguardo della compagna e riconobbe Paul e i componenti dei Quarrymen che il suo ragazzo le aveva descritto.
La abbracciò, saltellando -Se non ci fossi tu, come farei?! 
- le stampò un bacio sulla guancia- vieni con me, te li faccio presentare! 
Victoria non ci pensò due volte e la seguì.
Le due ragazze si avvicinarono al gruppetto. Paul, appena la vide, le andò incontro e la accolse tra le braccia. Lei lo strinse forte, presa da un'improvvisa sensazione di tristezza. Pensò a tutti i momenti trascorsi insieme, e si sentì morire dentro quando realizzò che non sarebbe stato più possibile riviverne altri come quelli, per una stupida punizione, che sarebbe durata per chissà quanto tempo.
Lo baciò con delicatezza, e gli sorrise con gli occhi appannati di lacrime. Tutti attorno a loro avevano interrotto ogni attività e discorso per concentrarsi sulla coppietta.
-Ehi, piccola..-le carezzò il viso, amorevolmente- cosa c'è? 
-Non posso più uscire di casa.- sussurrò Emma.
-E perchè mai?- domandò Paul, sorpreso. 
-Mia madre mi ha scoperta.. Sono in punizione. 
Paul scoppiò a ridere. Lei lo guardò, allibita. Sciolse bruscamente l'abbraccio. 
-Io sto male e tu ridi come uno stupido?- alzò il tono della voce. 
-Ma tesoro mio, se il problema è una punizione allora non devi preoccuparti così- la prese per mano.
-Come no? Potrò vederti solo per dieci minuti al giorno, a scuola per altro.. Dovrei essere contenta?!
John, poco distante dai due, fissava Paul ridacchiando, pensando a ciò che gli aveva detto il giorno prima. "io non ho la scocciatura di fare da maggiordomo ad una ragazzina capricciosa". Ecco a cosa si riferiva. 
-Tranquilla Emma, troveremo un modo..- di nuovo la strinse a sé, sussurrandole nell'orecchio.- Io sono con te, sempre. Qualsiasi cosa succeda. 
-Commuovente!- starnazzò John mimando la voce di una ragazza, distruggendo il momento romantico. Tutti, Paul ed Emma compresi, risero insieme a lui. 
Victoria lo fissava, abbagliata. John si voltò verso di lei. 
-Ehi, bellezza.- le strizzò l'occhio.- ti chiami?
Victoria si guardò intorno, sicura che si riferisse a qualcuno dietro di lei. 
-Bionda, dico a te.-le sorrise. 
-Io? Vì..victoria!-balbettò.
-Avvicinati un po, fammi vedere quelle bella collanina che hai!-indicò un ciondolo che le cadeva all'altezza del seno abbondante. 
I ragazzi ripresero a ridere, lei diventò paonazza in viso. 
Paul scosse la testa, disperato. Maledetto Lennon. Non sarebbe cambiato mai. 

ANGOLO AUTRICE 
Buongiorno lettori, e buona domenica delle palme! Perdonate la mia assenza. Per vostra (s)fortuna, eccomi qui! Spero che tornerete a recensire, nonostante il mio lungo periodo di coma!
Bacioni, Jude. 

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