Notturne ispirazioni

di lady hawke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Colombo e Galileo ***
Capitolo 2: *** Nebbia - Lucrezia Borgia ***
Capitolo 3: *** Oscar Wilde e Anna Bolena ***
Capitolo 4: *** Giovanna d'Arco e Caravaggio ***
Capitolo 5: *** Girolamo Savonarola e Enrico V ***
Capitolo 6: *** Giovanna d'Arco e Elisabetta I/Giovanni dalle Bande Nere ***
Capitolo 7: *** Di scrittrici, Grancontesse e cavalieri ***



Capitolo 1
*** Colombo e Galileo ***


Note: in onore del EFPcompleanno dell’adorabile Trick (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=21078), ecco un’adorabile nuova serata drabble a tema Mamma mia. Ogni pacchetto una canzone e un colore con personaggi, citazioni e prompt variabili. Stavolta il conteggio delle parole non è stato pulito, per cui sono semplici flash su vari personaggi, che spero possano essere di vostro gradimento!Pacchetto The name of game + verde. Personaggio: Cristoforo Colombo. Prompt: http://fc08.deviantart.net/fs71/i/2011/265/6/5/the_prison_by_aprillka-d4akuh4.jpg
Parole: 137

Mare

Colombo è un marinaio soprattutto perché sul mare c’è nato. Quella distesa d’acqua, quella riga bluastra che distingue il mondo dal cielo, è un richiamo costante che lo porta a tentare imprese sempre nuove. Per questo non si è scoraggiato, quando gli è stato detto che raggiungere l’India per mare era una sciocchezza. Ha attraversato terre e montagne, continuando a porre la stessa domanda: navi per salpare. Ha visto palazzi, e fiumi e boschi. Tutto gli è parso una prigione. Perché anche se non ci sono sbarre i fili che ti trattengono a terra tarpano le ali, sottili come tele di ragno e forti come l’acciaio. Ha dovuto raggiungere la Spagna per sentirsi libero, ha dovuto insistere e strepitare, ma quel “Sì” così poco convinto, mentre indicava mappe e percorsi, gli è sembrato grande come il mare.





Note: Pacchetto The name of game + verde. Personaggio: Cristoforo Colombo. Prompt: “O fai tutto per vivere, o fai tutto per morire” Le ali della libertà.
Ho ancora vagamente nella memoria vita di Galileo di Brecht, studiato al liceo. Chiaramente, lui è più figo di me.
Parole: 130

Sbagli

Galileo lo sa. Ha sbagliato, ha sbagliato tutto. Ha sputato sulla saggezza, aggredito la prudenza, calpestato l’orgoglio degli amici potenti disposti a proteggerlo. Ha visto l’abisso e ci ha saltato dentro con tutte le scarpe. La sente davvero, la puzza della carne bruciata di Giordano, la immagina ed è come se bruciasse davanti a lui. Galileo non ha la forza di Bruno, che ha fatto di tutto, ma proprio di tutto, per morire.
Galileo sa che arriverà il momento in cui lo faranno cedere con le lusinghe, le suppliche o le minacce. Cederà perché vuole vivere. Ma vuole vivere sapendo di aver ragione, e la soddisfazione di averli avuti tutti attorno a lui come pianetini attorno al sole. Sarà vivo e sconfitto, ma non avranno fatto di lui un martire.

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Capitolo 2
*** Nebbia - Lucrezia Borgia ***


Note: Lucrezia Borgia, 107 parole.

Nebbia

Ferrara è una città corteggiata dalla nebbia. Spesso, in autunno, arriva e si infiltra ovunque: tra le vie, nelle stanze delle case, nei vestiti e nelle ossa.
L’umidità è una sottile e umida compagne, a volte leggera, a volte pesante come una coltre. Toglie voce a tutto, e per questo Lucrezia la ama moltissimo. Così diversa da Roma, così silenziosa, così pacata. Così diversa anche da Cesare.
Nelle giornate uggiose Lucrezia tende a rendersi introvabile, a uscire dal castello come un fantasma, a lasciare che l’umidità la avvolga e quasi la soffoca. Via dall’ombra dei Borgia, dalla cappa dell’avvelenatrice e da tutte le sciocchezze. Nell’invisibilità, Lucrezia vive.

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Capitolo 3
*** Oscar Wilde e Anna Bolena ***


Note: grazie al pacchetto “Gongolo Greyjoy” di Eterea eccovi Oscar Wilde e il prompt: Affronta qualunque cosa stressante come un cane. Se non puoi mangiarla o giocarci, semplicemente facci sopra la pipì e passa oltre (Snoopy). Parole: 146


Parole


- Come affronterai il processo? – gli chiede Robbie Ross con voce vagamente preoccupata.
- Con la giovialità che ci si porta dietro ai funerali di zie mai conosciute e la solennità di un ballo di terz’ordine.
E’ facile, per Oscar, giocare con le parole. Lo diverte perché conosce le regole, può dire tutto e il contrario di tutto, far credere che pensa una cosa ed il suo contrario. Le parole gli sono amiche e per questo pensa che quel processo per diffamazione, con cui i fatti hanno ben poco a che fare, gli scivolerà addosso come acqua fresca. Deve solo sorridere, dare una lezione ad un vecchio trombone, cenare al Savoy e raccontare una favola buffa ai suoi bambini. E scrivere commedie, naturalmente.
Oscar non si cura della morale e dei fatti perché non gli interessano. Li scavalca con grazia, convinto che non lo toccheranno mai.


Note: Drabble pasquali in arrivo! Pacchetto Dotto Lannister! Anna Bolena e la citazione: l’ambizione e la vendetta hanno sempre fame. Parole: 176.


Puttana

I bisbigli che la seguono ad ogni suo passo sono ormai un sottofondo costante, a corte. Escono dagli angoli bui come spiritelli inopportuni, le sussurrano alle orecchie beffardi e crudeli. Puttana. Strega. Arrampicatrice. Anna li ascolta, si sofferma sulle voci, cercando di riconoscerle. Conversa molto a corte, gentile e cortese, così come la sua educazione in Francia le ha insegnato. Per molti sembra che voglia farsi ben volere, ma la realtà è ben diversa. Anna impara a riconoscere le voci melliflue che in faccia la riempiono di cortesie e che giudicano il suo ventre gonfio non appena volta le spalle.
Puttana. Come tale sarà trattata ogni donna che osa insultarla. Strega. Chiederà ad Enrico di mettere al rogo qualche damigella troppo impudente. Arrampicatrice. Non quando avrà la corona sul capo. Sogna quel trono ormai anche di notte, anche quando giace con Enrico, soprattutto ora che è così vicina ad ottenerlo. E sarà allora che farà i conti con chi l’ha disprezzata. Riconoscerà le loro voci, e con la sua, ferma e decisa, pronuncerà le loro condanne.

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Capitolo 4
*** Giovanna d'Arco e Caravaggio ***


Note: Drabble pasquali in arrivo! Pacchetto Eolo Targaryen! Giovanna D’Arco e la citazione: A volte tocchi contemporaneamente il punto dove provo dolore e piacere. Che tu sia per me il coltello. (David Grossman). Parole: 130.


Fendente


Giovanna non dovrebbe amare la battaglia. Non è lì per sete di gloria. Giovanna è lì perché ha una missione, per salvare il suo paese dalla guerra che lo consuma e che gli uomini non sanno fermare. La piccola ragazza ha un cuore di un leone, è guidata dalla fede, è la vergine giusta del signore. Eppure, qualcosa la colpisce nel fragore della battaglia; non il terrore quando disarciona un nemico, non l’umanissima paura di morire quando una spada arriva vicina al suo viso. E’ il dolore di quando la carica di cavalleria che le si avventa addosso, perché lei è un simbolo e i simboli sono pericolosi. È il piacere della battaglia che infuria, la gioia selvaggia dell’abbattere i nemici. È spaventoso e splendido, e Giovanna ne è ebbra.


Note: Drabble pasquali in arrivo! Pacchetto Mammolo Baratheon. Caravaggio. Prompt: sapore. Parole: 214.


Sapore di pittura


C’è una domanda che i ricchi cardinali di Roma non gli hanno mai fatto. Una domanda senza senso, di quelle che solo uno come lui può concepire. Uno che, si dice, viene pagato troppo per il lavoro che fa, che spesso non lo porta a termine, che spesso dimentica le commesse, che implora soldi per buttarli nel gioco e non nel colore.
Nessuno ha mai chiesto a Caravaggio che sapore abbia la pittura. Un quadro non è solo questione di colore, di luce, di occhi. E’ questione di carne, è questione di gusto. Quando Michelangelo cancella dalla mente i suoi istinti, le sue voglie, quando diventa pittore, la sua bocca si riempie di sapore, mentre dipinge. Il sapore morbido del legno del pennello che tiene tra i denti, quello acido della pittura che a volte gli cola sulla faccia. Quello del ferro che sopraggiunge quando la stanchezza lo consuma. Quello del sangue che sente in bocca dopo che si è preso a pugni con qualcuno.
Nessuno chiede mai a Caravaggio quello che interessa a lui, ed è per questo che alla fine, lui finisce per fare quello che vuole. Perché i suoi quadri non sono belle immagini dipinte, sono i suoi figli. E quei figli meritano qualcosa di più del misero appagamento degli occhi.

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Capitolo 5
*** Girolamo Savonarola e Enrico V ***


Pacchetto: martello + elmo. Girolamo Savonarola. Citazione: Tra fede e intelletto ho scelto il suddetto (Caparezza). Parole: 147

Tra fede e intelletto ho scelto il suddetto

Girolamo legge questa frase sul muro e ha un sussulto. Eresia pura. Follia.
Di certo scritta per lui da uno di quei letterati di Lorenzo, quelli che stampavano trattati di quelli che consideravano antichi sapienti, che dipingevano scene turpi insozzando chiese e cappelle. Aveva già provveduto a dar fuoco a parecchie opere del genere, e l’avrebbe fatto ancora, se necessario. Continuando a camminare, avvolto nella sua misera dignità, che lo rendeva amato dagli umili e dai poveri di Firenze, Girolamo pensava a quella frase, sconvolto da tanto coraggio. Senza la fede l’uomo è perduto. Senza la fede c’è morte e inferno, valeva per i fiorentini, per i romani e perfino per il papa.
A differenza di letterati, poeti e pittori, Girolamo Savonarola aveva scelto la fede, la sua fede. L’avrebbe scelta fino in fondo, perché Dio era con lui.


Pacchetto: Arco e frecce + corpetto di cuoio. Personaggi: Enrico V. Prompt: Una spada è un apostrofo nero tra le parole: T’AMMAZZO. (Utente random ElfoLadro) Parole: 245
Ps: sì, questa drabble è fortemente viziata dallo sceneggiato The Hollow Crown. Abbiate pazienza, sono una persona volubile e schiava delle passioni momentanee che vive!

 

Falce

Ci sono cose che non fanno onore ad un re. Soprattutto non fanno onore ad un re che ha appena passato gli ultimi minuti a rianimare i suoi soldati con il discorso migliore che poteva pronunciare. Enrico lo sa; non saprebbe dire se era ispirato dalla fede, da un guizzo del suo intelletto o dalla sorte, ma ha funzionato. I suoi soldati sono con lui e per lui pronti a sgominare francesi.
Da un buon re ci si aspetterebbe ora un comportamento valoroso, degno dei migliori eroi che hanno camminato sulla terra. Enrico, in verità, si sente niente di più di un tagliagole, spietato e senza scrupoli, e non se ne vergogna. Lancia il suo cavallo contro il nemico, sguaina la spada e con questa falcia via qualunque cosa trovi sul suo cammino. Un’arma che cala sottile ed inesorabile, che ferisce corpi, che li dilania. Anche il suo animale è una furia: scalcia, morde e nitrisce minaccioso. Combattono insieme e sono un’unica tremenda entità, degni di un incubo o un bestiario.
Non c’è nulla di nobile, e nulla di quello che vergheranno in futuro i poeti si avvicinerà al vero, probabilmente; niente di elegante, niente di eroico. C’è solo un uomo che usa una spada come uno scrittore userebbe una metafora, una virgola o un apostrofo. Un re che grida che quei francesi moriranno tutti, per mano sua e dei suoi soldati. Li ammazzerà, e cadranno come il grano cade sotto la falce in giugno.

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Capitolo 6
*** Giovanna d'Arco e Elisabetta I/Giovanni dalle Bande Nere ***


Pacchetto: Arco e frecce + corpetto di cuoio. Personaggi: Giovanna d’Arco. Prompt: Bulbi Parole: 279

Occhi

Giovanna non aveva idea di cosa fosse la guerra prima di caderci dentro, rovinando come una pietra giù per una collina. Da giovane ragazza qual era nessuno si sarebbe aspettato mai nulla da lei a parte paura, svenimenti e terrore. Solo Dio aveva creduto in lei, perché Giovanna stessa aveva dubitato. E aveva continuato a farlo camminando sui resti di soldati morti, alla fine di una giornata di combattimenti. Secondo molti, la guerra era un gioco ordinato di valorosi uomini che si affrontavano secondo strategie ben precise.
Giovanna, invece, vedeva a terra uomini con le viscere sparse, braccia quasi mozzate da colpi di spada, uomini che rantolavano in pozze di sangue. Niente ordine, niente precisione. Le botteghe dei macellai, a paragone, sembrano immacolate. La giovane aveva trattenuto spesso i conati del proprio disgusto, indecisa se portare avanti la sua missione o meno. Aveva capito che fare una sera, dopo una marcia forzata con i soldati verso il nuovo fronte di battaglia. Avevano superato una casa data alle fiamme dagli inglesi, e i corpi degli abitanti giacevano a terra, semi-carbonizzati. Aveva dovuto urlare, per convincere la truppa a seppellirli: tre adulti e due bambini. Uno di loro aveva ancora il volto ben riconoscibile, i bulbi oculari quasi fuori dalle orbite, come se avessero tentato di fuggire da quello che avevano visto.
Giovanna da allora aveva sognato quegli occhi verdi tutte le notti; un messaggio mandatole da Dio dal chiaro significato: “Vuoi davvero che la guerra continui e succeda ad altri?”
La domanda aveva rimbombato nelle sue orecchie a lungo, la risposta era nata in un’alba fredda come il metallo.
“Li fermerò, dovessi strappar loro gli occhi ad uno ad uno”.

Pacchetto: Spada + Parabraccio. Personaggi: Elisabetta I e Giovanni dalle Bande Nere. Prompt: Leggenda e “La calma è la virtù dei morti. I forti perdono la pazienza e ti picchiano” Parole: 407. Sappiate che per colpa di Charme e di questo prompt sono in love con Giovanni dalle Bande Nere. Se potete, non compatitemi XD

Letture

La vita è noiosa, al castello di Woodstock. Certo, non si tratta più della Torre di Londra; niente stanze buie, niente letti scomodi, ma Sir Henry Bedingfield è un custode attento, e nulla sfugge ai suoi occhi e alle sue orecchie. In compagnia di poche damigelle, gli svaghi di Elisabetta sono miseri; ha venti anni, ma per quello che ha vissuto sembra ne siano passati settanta. Per fortuna il suo viso non denuncia i suoi travagli: gli occhi castani sono famelici e curiosi, la chioma rossa splende come un’aureola, la pelle è bianchissima e liscia.
Incapace di languire, Elisabetta si rifugia nei suoi testi, quanto meno, quelli che le sono stati lasciati. Molti sono in italiano, una lingua che in pochi parlano a dovere, in Inghilterra, e che per questo può sfuggire meglio ai controlli. La giovane principessa ha studiato quella lingua fluente ed armoniosa da sempre: ama scriverla, parlarla, leggerla.
E’ pomeriggio, il sole filtra dal vetro e le illumina i capelli acconciati con cura, tanto che sembrano quasi prendere fuoco; Elisabetta è seduta composta, la sua espressione trasfigurata dalla lettura. E’ una cronaca, scritta in uno stile un po’ acerbo, per gli elevati standard della giovane, su un condottiero morto poco prima della sua nascita: Giovanni dalle Bande Nere.
La principessa ne segue le vicende, la vita travagliata, le battaglie. Il suo cuore palpita, si infiamma. Lei, prigioniera, si libera cavalcando con Giovanni, assoldando soldati, uccidendo nemici.
Capisce, perché nell’inattività il suo cervello lavora alacremente e disperatamente, che non è stando ferma e calma, che dimostrerà la sua forza. Capisce che, se fosse un uomo, potrebbe prendere spada e soldati e andare a prendersi la sua libertà e il suo trono.
Lo sa, e conosce i suoi limiti. Una fanciulla come lei non ha altro da fare che fingersi paziente, come morta. Solitaria, umile e silenziosa, perché è una donna e questo le donne fanno. Elisabetta legge, e più prosegue con la lettura più si innamora di quell’italiano morto violentemente, che ha vissuto violentemente. Ne ama il valore, ne ama la nobiltà di nascita, ne ama perfino la rudezza. È tutto quello che vorrebbe e non è.
Elisabetta attenderà la sua libertà, e diventerà forte come un leone solo quando le toglieranno il collare che la incatena. Colpirà e sarà libera. Fino ad allora si crogiolerà in sogni alti e in un amore così infantile ed ingenuo che la culla dolcemente, nel pomeriggio che scorre.

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Capitolo 7
*** Di scrittrici, Grancontesse e cavalieri ***


Prompt: “E vissero per sempre infelici e scontenti”. Così, per non ingannare il suo bambino, termina le favole. (E. Flaiano). Parole 242

Jane è stata definita in tanti curiosi modi, nell’arco della sua vita. Del resto, una donna che scrive è un fenomeno che attira la curiosità come il miele le api. Jane l’ha sempre saputo, e non c’è stato un momento, da quando ha iniziato a scrivere, che non si sia preparata a questo.
La sua soddisfazione maggiore, per quanto non degna di una signora per bene, è che le si porgano complimenti per certi suoi passaggi caustici, senza comprenderne il vero significato. O per quando si complimentano per la sua grande capacità di regalare ad ogni suo personaggio un finale lieto e sereno.
Ci sono volte in cui Jane, a dirla tutta, sarebbe tentata di concludere uno dei suoi romanzi con un bel “e vissero per sempre infelici e scontenti”, perché sarebbe più realistico alla fine, e perché gli infelici non mancano mai. Potrebbe, ma non lo fa mai per due ragioni: in parte è egoismo, è lei la prima a necessitare di qualcosa di lieto, che a fine giornata la faccia sentire appagata e felice. In secondo luogo, non c’è mai bisogno di dire tutto: Jane in fondo non scrive finali, scrive inizi e nessuno, a parte lei, saprà mai se, dopotutto, i suoi personaggi sono stati felici o meno. Ad ognuno augura cose diverse, gioendo dell’inganno a cui sottopone i lettori, ma non i suoi bambini, non i suoi personaggi. Loro sanno sempre che fine faranno, almeno nella sua testa.

Note: http://data.whicdn.com/images/71032014/large.jpgParole: 398. Matilde di Canossa

Matilde non ama l’estate. Patisce il caldo, patisce l’afa e la costrizione di stare chiusa in stoffe che, per quanto sembrino fresche, di fresco non hanno mai nulla. Perciò è con sollievo che ha accolto il temporale estivo appena conclusosi, e per questo ora è fuori, a godersi l’aria fresca e il cielo grigio. È quasi il tramonto, non l’orario adatto affinchè una donna si avventuri da sola, ma Canossa è uno sperone di roccia arroccato, il suo castello è ben difeso, nessuno può turbarla. Accomiatarsi dalla madre è facile, e ritrovarsi a camminare per la strada lastricata è un’autentica gioia. Si siede su un muretto, lontana da tutto e da tutti, e osserva il suo castello come lo farebbe un estraneo. È bello, forte, e il simbolo del suo potere. Ma Matilde è una donna e per quelle come lei il potere è poca cosa. Ripensa all’inverno passato, ripensa a Beatrice, la bimba che ha perduto. Cerca di non pensare a Goffredo. Per lui non è importante che Beatrice sia morta: era femmina, del resto, e Matilde avrebbe dovuto partorire un maschio. E’ anche per quello che ha lasciato il Belgio: pur conscia dei propri doveri non avrebbe potuto giacere di nuovo con chi pensava che Beatrice fosse qualcosa di superfluo. Matilde ripensa agli orribili mesi di gravidanza, al parto che l’ha quasi uccisa, e alla bimba tra le sue braccia. Le era piaciuto cullare quella cosina piccola e rosa, ed era stato orribile capire che non avrebbe vissuto a lungo. Dio gliel’aveva strappata troppo presto, forse come punizione. Per cosa, non avrebbe saputo dire. Matilde rimugina, triste e sconsolata, pensando ai suoi peccati, alla sorte avversa, al marito che non la comprende e ai suoi doveri quando scorge un gente di leone, ormai bianco. Lo raccoglie, e ci soffia sopra, per lasciare che i piumini volino via nell’aria della sera, liberi. Beatrice, ora, è come un piccolo piumino di dente di leone, volata via in punta di piedi, leggera come se non fosse mai esistita. Altri sono i piani che attendono Matilde, lì a Canossa. La contessa ne è consapevole. Eppure, quella sera, Matilde vorrebbe essere leggera come un piumino e volare dove le donne contano quanto gli uomini, in un luogo dove Beatrice sarebbe stata pianta anche da suo padre. Vorrebbe guardare Canossa dall’alto come un falco pellegrino e considerare piccole le faccende degli uomini.

Note: http://data.whicdn.com/images/71032014/large.jpgand This is war. Parole: 313. Pier Maria Rossi, personaggio storico piuttosto ignoto, di cui potete trovare la biografia qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Maria_II_de%27_Rossi

Ci sono molte ragioni per cui Piermaria ama salire a Milano. La prima dovrebbe essere un segreto, anche se invece la conoscono tutti: si chiama Bianca, è una delle dame di compagnia della Duchessa è sposata e attende un figlio, e forse in troppi mormorano sul fatto che la paternità di quel figlio non sia del marito, un uomo assai anziano che passa più tempo sui libri che non con la sua giovane moglie.
Anche Antonia, la moglie di Piermaria, sa di Bianca, e se non sa, sospetta. Non gliene fa una colpa, e capisce: si sono sposati per volere dei loro genitori a quindici anni, hanno messo al mondo dieci figli. Hanno compiuto il loro dovere di nobili, sono stati cortesi l’uno con l’altra, e questo basta. Presto lei si ritirerà in convento per darsi ad una vita più tranquilla e riposante, e allora Bianca Pellgrini scenderà a Parma, e prenderà il suo posto. Ma ogni volta che Piermaria sale a Milano, teme di vederlo rientrare con lei, e teme l’umiliazione. Questo perché tutti sanno perché il conte di Berceto ama quella città.
Tutti, però, dimenticano che Piermaria a Milano è cresciuto, che al duca deve il suo potere, e che è un uomo di guerra, soprattutto. Al conte la guerra piace da impazzire: è portato per la battaglia, è amico della vittoria e gli ha permesso di conquistare parecchi castelli. Ogni volta che il duca lo chiama, segno di stima e amicizia, Piermaria sa che imbraccerà le armi per il suo signore, ma soprattutto per se stesso. E’ in quei momenti soprattutto che smette di credere al giusto e sbagliato, che si lancia in battaglia convinto di vincere, perché niente potrà impedirglielo, perché ha combattuto e vinto così tanto che andrà avanti a farlo fino alla fine dei suoi giorni, e che presto il suo premio finale, Bianca, sarà con lui.

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