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Le sue lunghe dita affusolate battevano i tasti
della macchina per scrivere, che imprimeva lettere su carta ad una velocità
impressionante. Quel ritmo che conosceva bene, che aveva imparato a conoscere
fin da quando aveva imparato a scrivere, era ciò che gli dava il pane per
vivere. Era con quello che aveva costruito lo studio dove si trovava in quel
momento, il camino acceso accanto a lui che gli regalava calore, il letto in
cui da lì a poco l’avrebbe ospitato. Una piccola reggia, costruita solo e
unicamente sulle parole.
Ma a lui, tutto ciò non importava nulla.
Erano altri, i motivi per cui scriveva.
…Il demone allora
spiegò le ali, rivelando tutta la sua imponente corporatura. – Non dovevi
venire fin qui. Ti ucciderò così lentamente da farti pentire di essere nato –
disse, e allungò gli artigli verso Brandon.
Non sarò certo io quello che farà la fine del topo, pensò il ragazzo. Gli artigli del mostro
fendettero l’aria sopra la sua testa, lui si scansò e andò a finire contro
un’armatura, che si disfece in tutti i suoi pezzi. Con una prontezza di
riflessi degna di un cavaliere, Brandon raccolse l’alabarda e la impugnò
saldamente, correndo incontro al demone.
- Ah ahah! …povero sciocco, credi di
potermi fare fuori? – la sua risata era stridula come un’unghia che gratta su
di una lavagna.
Brandon continuò la
sua corsa, ma non si accorse che il demone gli aveva teso una trappola: con una
mossa repentina, fece saettare i suoi artigli dritti verso il ragazzo, che
inciampò e cadde a faccia in giù.
- Un ultimo
desiderio, prima che io ti uccida? –
- Fottiti – riuscì a
dire Brandon.
Ridendo, il demone
alzò la mano, preparandosi a vibrare il colpo di grazia…
*****
- Tom, vuoi venire a
darmi una mano, per favore? –
L’avvincente romanzo
fu interrotto sul più bello dal richiamo della madre, quella rompiscatole.
Sicuramente voleva aiuto per un’altra delle sue faccende domestiche. Che
diamine! Perché non se le sbrigava da sola?
- Uff… arrivo! –
disse Tom, posando il libro. S’intitolava “Gli occhi dell’oscurità”, di Howard
P. Jackson.
Prima di uscire dalla
porta, a Tom caddero gli occhi sulla copertina del libro. Raffigurava due occhi
felini su sfondo nero, che a Tom parvero brillare. Fu un attimo di
estraniamento per Tom, che restò fermo sulla soglia della porta a guardare nel
vuoto.
- Tom, ti decidi a
venire o devo prenderti per un orecchio? –
Senza rispondere, Tom
si avviò lentamente per le scale.
Come previsto, sua
madre era da basso che aveva appena tirato fuori il bucato dalla lavatrice.
- Ne ho fatto veramente
tanto. Se non mi dai una mano, non riuscirò mai a stenderlo tutto da sola. –
Tom non si accorse di
quello che la madre gli aveva appena detto. Andò al banco della cucina e prese
un utensile da un cassetto…
- Tuo padre si
lamenta sempre che quando arriva non è mai pronta la cena. Bè, adesso che sei a
casa, puoi anche darmi una mano, non cr…………. –
E fu un attimo. La
donna si vide arrivare una coltellata proprio sul collo, che le aprì una ferita
grande abbastanza da far sgorgare un bel po’ di sangue, che schizzò tutto sui
capi appena tirati fuori puliti dalla lavatrice.
- Tom!!! Che
cosa…..?!? –
Ma non ebbe il tempo
di finire, che Tom le fu addosso e la riempì di coltellate, alla gola e
all’addome. Morì quasi subito, mentre la cucina si riempiva del sangue caldo
della poveretta.
Intanto, nella camera
da letto, il libro era sempre lì, fisso. Con quei due occhi gialli che
guardavano il mondo con malocchio.
Lisa Garland non
aveva avuto un buon inizio di giornata. Appena arrivata si era dovuta sorbire
il richiamo della caposala perché non aveva spento le luci del braccio E dopo
il turno di notte. – Il sorvegliante notturno era nuovo – si era giustificata –
gliele ho lasciate accese di proposito perché non si perdesse. –
Nonostante la sua
giustificazione, la caposala l’aveva rimproverata per bene, aggiungendo un
altro granello alla sua clessidra mentale che le diceva di tornare da dov’era
venuta, ovvero l’ospedale Alchemilla.
Essere trasferita al Brookhaven dall’amministrazione era stata una gioia fino ai
primi giorni, salvo poi trasformarsi in una specie di prigione: sorvegliare i
malati mentali e stare loro dietro qualunque cosa facessero/dicessero, era un’impresa
davvero ardua. Soprattutto perché i criminali non avevano tutti la stessa
faccia… No. Per dirla con un’espressione che usavano spesso i colleghi di Lisa,
erano polimorfi.
E quello che stava al
braccio E, era sicuramente il più polimorfo di tutti.
Solitamente qualcuno
immagina gli assassini come delle bestie assetate di sangue, con un aspetto
orribile e modi rozzi e violenti. Invece NiallHoran (così era stato registrato alla reception quando era
arrivato) era tutto il contrario: un ragazzino di origini irlandesi neanche
ventenne, che con quei capelli biondi e quegli occhi azzurrissimi, quei lineamenti
dolci e quel corpicino atletico sembrava un angioletto… Un angioletto della
morte, in quanto autore di una strage a mano armata in una libreria del centro
di New York.
Eppure Lisa non lo
avrebbe mai detto, che avesse commesso un crimine così orrendo. Le era bastato
leggere un articolo sul TheNew York Post, per tenere un terzo
occhio aperto ogni volta che doveva accompagnarlo da qualche parte nell’ospedale.
Tuttavia il ragazzo
non sembrava proprio un pluriomicida aggravato. Era sempre tranquillo, parlava
poco ma bene… quello che osservava spesso Lisa era come se a volte non fosse
parte del mondo reale. Come se Niall fosse un alieno,
o per lo meno appartenente ad un’altra dimensione.
A rendere ancor più
tragica la mattinata iniziata male, ci si metteva anche il cielo plumbeo carico
di pioggia. Lisa guardò per un attimo fuori dalla finestra i neri cumulonembi,
rabbrividendo.
- Lisa – disse Sheila,
una sua collega – Stai bene? –
- Sì… Forse. Se
continua questo tempo, avrò poco da stare bene, credimi… -
- Ti capisco –
rispose la ragazza, mentre compilava un modulo – Anch’io ho seri problemi
quando c’è un tempaccio del genere. –
- Be’ – riprese Lisa,
sfogliando la rivista che teneva sulla scrivania – cerchiamo di rilassarci. Ci passerà.
–
Intanto fuori aveva
iniziato a piovere. Nel vialetto d’accesso dell’ospedale comparve un’auto, una Toyota Prius
nera. L’auto si fece tutto il viale per poi fermarsi ad un parcheggio adiacente
l’entrata coperta del complesso psichiatrico.
Il rumore di passi
nel corridoio distolse Lisa dall’articolo che stava leggendo. Alzò gli occhi e
vide un uomo alto che indossava un soprabito di pelle marrone, che avanzava
verso la guardiola. Lisa mise via la rivista che stava leggendo, e si preparò
ad accogliere l’individuo.
Arrivato di fronte a
lei, l’uomo si tolse il cappello, rivelando una testa piena di capelli neri, un
viso sbarbato e spigoloso tipico della mezza età, e due occhi neri come la
notte.
- Buongiorno – salutò
– sono il dottor Kaufmann, psichiatra. È qui che tenete l’ultima rockstar? –
- Buongiorno –
rispose Lisa – Quale rockstar, mi scusi? –
Il medico anzianotto
rise – Ma come, non lo sa? Quel ragazzino che ha fatto la strage in una
libreria a New York. –
- Ah – disse Lisa, come
cascando dalle nuvole – NiallHoran.
Certo, è un nostro ospite – confermò, prendendo il registro degli accessi.
Anche se era il 2012, al Brookhaven non avevano
ancora informatizzato quella parte burocratica, per cui ogni persona che
entrava doveva essere registrata manualmente.
- Ho bisogno di un
suo documento d’identità e di una firma sul registro. –
*****
Mentre si avviavano
al braccio E, dov’era rinchiuso Horan, il dottor
Kaufmann esaminava la sua cartella clinica, facendo di tanto in tanto qualche
domanda a Lisa.
- Il ragazzo dorme
molto? –
- No, quasi nulla.
Per farlo dormire dobbiamo iniettargli del sedativo, altrimenti è capace di
rimanere sveglio tutta la notte. –
- Hmh
– bofonchiò Kaufmann – Ha avuto episodi di pazzia, crisi epilettiche, o
qualcosa fuori dall’ordinario? –
- Per quel che mi
riguarda, quel ragazzo è totalmente fuori dall’ordinario. A parte ciò… no, non
ha mai fatto il cattivo. L’unico comportamento strano è che dà l’impressione di
essere su un altro pianeta. Come se… come se fosse in comunicazione con entità
ultraterrene. –
- Credo che sia un
classico di tutti i pazienti – minimizzò Kaufmann.
Arrivati alla porta
della sua cella, Lisa infilò la chiave nella serratura e girò, facendola
scattare.
La stanza era immersa
nel buio, quindi Lisa fece per accendere le luci.
- No – disse una voce
dall’interno della cella – Niente luce. –
Lisa ritrasse la
mano, poi guardò il dottor Kaufmann, vergognandosi un po’. Poi prese a parlare
con Niall.
- Niall
– gli disse, dolcemente, come una maestra che deve rimproverare un bambino – c’è
qui una visita per te. Non è carino starsene nell’ombra, senza accendere
nemmeno una luce. –
- La luce mi brucia
gli occhi – rispose Niall, dopo un minuto di
silenzio.
Lisa fece per
ribattere, ma con un gesto della mano molto calmo, Kaufmann la fermò.
- NiallHoran – disse Kaufmann – Ho un regalo per te. Ma te
lo darò solo se prometti di accendere la luce una volta che sarò entrato. Che
dici, ci stai? –
Ci fu un altro minuto
di silenzio, poi Niall parlò di nuovo. – Che genere
di regalo? –
Dalla sua borsa, il
dottor Kaufmann tirò fuori una copia di un libro, e lo infilò nella stanza buia.
- Un libro. Ti piace
leggere, non è vero? –
Mentre tendeva il
libro alla stanza, una mano lo afferrò e glielo portò via. Kaufmann ritirò
istintivamente la mano, avvertendo per un secondo un principio di pelle d’oca. “Cazzo”, pensò.
- Venga avanti, Doc.
Lisa, accendi pure la luce, ma prima socchiudi la porta. –
- Va bene, Niall. –
Kaufmann entrò nella
stanza e Lisa accese le luci. La luce al neon balbettò per un secondo o due,
infine si stabilizzò, illuminando l’ambiente.
Una tipica cella da
ospedale psichiatrico, con un letto, un tavolo con sopra molti libri, e dei
fogli pieni di disegni strani e improbabili. Per lo più scarabocchi. Kaufmann
si guardò intorno, non riuscendo a trovare il ragazzo.
- Cercava me, Doc? –
Kaufmann si girò, e
vide Niall seduto in un angolo a gambe incrociate. Portava
il pigiama clinico di stoffa deperibile, i suoi capelli biondi erano tutti
arruffati e al polso destro portava un braccialetto irremovibile con i suoi
dati identificativi.
Stupito dall’entrata
in scena, Kaufmann ammezzò un sorriso. – Già. Cercavo proprio te, Niall – disse Kaufmann, quindi gli tese la mano – Sono il
dottor Michael Kaufmann. Piacere di conoscerti. –
Niall guardò quella mano grande come se non avesse mai
visto una mano così in vita sua, ma la sua espressione era quella di un alieno
che, appena arrivato sulla terra, si stesse chiedendo che cosa bisogna fare
quando qualcuno ti porge la mano. Improvvisamente se ne ricordò e gliela
strinse debolmente, senza però alzarsi in piedi.
- Che cosa ci fa qui,
dottor Kaufmann? –
- Niente d’interessante.
Ero solo venuto a farti visita. Come tutti gli psichiatri, sono un po’ curioso.
Ed ero curioso di fare due chiacchiere con te. –
Niall ridacchiò – Va bene, dottore, parliamo pure. –
- Chiamami pure
Michael, Niall. Chiudiamo le formalità dietro quella
porta. –
- Come vuoi, Michael.
– improvvisamente, il suo sorriso gli morì sulle labbra.
- Allora – esordì Kaufmann,
prendendo la sedia della scrivania di Niall e
sedendovisi sopra – Cosa ci fa un
giovanotto come te in questo albergo? –
- Aspetto. – disse Niall, guardando un punto imprecisato del pavimento.
Kaufmann intanto
prese il suo pacchetto di Marlboro e se ne ficcò una in bocca – Ti dà fastidio
se fumo? –
- No – rispose Niall, sempre continuando a fissare il pavimento.
- Aspetti, dunque? –
Kaufmann accese la sigaretta e ne prese una bella boccata. – Chi? –
- La chiamata del mio
padrone. –
- Hmh
– annuì Kaufmann – Un padrone… E chi sarebbe, questo tuo padrone? –
Niall alzò gli occhi, e Kaufmann poté vedere le iridi
cristalline del ragazzo. Pensò che qualunque ragazza l’avesse visto se ne
sarebbe potuta innamorare. Poi Niall gli sorrise
sornione, come se la cosa che stava per dire fosse la più ovvia cosa al mondo,
come gli uccellini fanno cip.
- Howard P. Jackson –
rispose, tirando fuori il libro che Kaufmann gli aveva regalato poco prima –
Lui non è solo il mio padrone. È il padrone di tutti. Di tutto e tutti. –
- Interessante –
osservò Kaufmann, cercando un posacenere – Hai un posacenere, per favore? –
Senza rispondere, Niall indicò un bicchiere di carta sul tavolo.
- Grazie – rispose Kaufmann,
spolverando la cenere della sua Marlboro – Stai aspettando il tuo padrone,
Howard P. Jackson, allora? –
- Sì. Tutti noi lo
stiamo aspettando. Tutti noi sappiamo che lui ci condurrà verso un mondo nuovo.
–
- Be’… è un po’ l’obiettivo
di tutti i messia, condurci verso un mondo nuovo. E dimmi, Niall…
tu sai qualcosa, a proposito? –
- Oh, dottore… la
verità è sotto gli occhi di tutti. Chi non conosce, conoscerà. Chi non vede,
vedrà. E chi non crede… crederà. –
- Parlamene un po’, Niall, vuoi? –
Niall alzò lo sguardo verso il soffitto, mentre
Kaufmann lo osservava attentamente. Dopo un minuto riabbassò gli occhi,
riportando il suo sguardo verso Kaufmann.
- D’accordo – rispose
il ragazzo – Venga più vicino, le dirò tutto quello che vuole sapere. -
La Pendragon
Bookstore era la libreria più “in” di New York. Affiliata alla Pendragon Press,
la famosa casa editrice di tutti i romanzi di Howard P. Jackson, ne condivideva
i locali. Praticamente come avere la produzione e la distribuzione nello stesso
posto. Una vera chicca per chi, come tanti, amava i romanzi dello “Scrittore
Maledetto”, come lo aveva soprannominato il Post,
che si beava nel pensiero di ricevere il libro direttamente dalla fonte. Un po’
come quelli che cercavano di prendere la palla lanciata dal battitore in home
run ad una partita di baseball.
Se aveste chiesto a
Ben Ridgewick, il custode dello stabile che qualche giorno prima era stato
interrogato in merito alla vicenda di Thomas Bailey, il diciannovenne matricida
che era passato alla casa editrice poche ore prima di commettere il terribile
delitto, vi avrebbe detto che era come quella storia dove il ragazzo crede di
comprare un cavallo che caga oro, e quando mette il cappello sotto il buco
dell’animale, anziché materia gialla viene fuori materia marrone.
Quell’idiota folle scrive libri di merda che vanno
a comprare come se fosse pane. Ah, questo è uno di quei Re Mida che sanno
trasformare in oro anche la merda, ecco
cosa vi avrebbe detto.
Quel giorno Ben era
come al solito intento a spazzare l’ingresso della libreria, borbottando di
quando nel 1974 era in trincea assieme ai suoi compagni a sparare ai fottuti culi gialli vietnamiti che li caricavano di chicchi roventi sulla testa, quando sollevò lo sguardo e si trovò di fronte un ragazzo biondo.
- Ciao Ben – lo
salutò Niall, sorridendo – Come va oggi? –
- Ehi Niall –
ricambiò il vecchio – Potrebbe andare meglio, se questo dannato negro d’un presidente si decidesse a
prendere delle decisioni sensate. Tutti così, quegli stupidi democratici… Per
lo meno Clinton si limitava a mettere le stagiste sotto la scrivania, questo
sotto la scrivania ci mette tutto e tutti, se continua così! –
Ridacchiando, ben
consapevole delle solite sparate del vecchio Ben, Niall rispose bonario – Non
sta bene chiamare così una persona democraticamente eletta, Ben. Dopotutto, è
anche il tuo presidente. –
- Già – convenne il
vecchio, tirando fuori una banana dalla tasca della tuta marrone da lavoro e
iniziando a sbucciarla – Sei qui per la nuova cazzata del Grande Maestro
Jackson? –
Sempre sorridendo, Niall
rispose – Proprio così. Johnny è dentro? –
Addentando la banana,
rispose – Se non si sta esercitando a far precipitare aerei su noi cittadini
americani, dev’essere sicuramente dentro che muore dalla voglia di far cadere
aerei su tutti voi fan sfegatati di quell’imbecille che crede di essere uno
scrittore – concluse, ridacchiando. Niall rise con lui, dandogli un’amichevole
pacca sulla spalla.
- D’accordo, vado. –
- Ehi Niall! Lo sai
cosa ebbe a dire mio padre, prima di schiattare, nel 1980? –
Niall si fermò e si
voltò verso il vecchio – No, che cosa ti disse? –
- Che prima o poi i
comunisti ci seppelliranno, ingozzandoci di retorica e farcendoci di
letteratura. Stai attento, mi raccomando! Voi giovani siete il futuro, non
lasciatelo in mano alla feccia della società! –
Per dire la verità,
Niall conosceva parola per parola quel monito, e avrebbe tanto voluto
rispondergli Ben, vecchio imbecille
repubblicano e guerrafondaio, siamo nel 2012, la guerra in Vietnam è finita da più di trent'anni
anni, e alla tua età tu sei ancora imprigionato in schemi mentali preistorici,
nonostante tu debba ringraziare anche quel Presidente se stringi ancora quella
scopa nella mano come se fosse un fucile… Ah, Ben, Ben… lasciatelo dire, sei
vecchio e stupido. Invece, rimase sul classico – D’accordo, Ben, farò
tesoro di questa tua perla. Ciao, ci vediamo! – disse, e si avviò verso
l’entrata della libreria.
*****
Anche quel giorno la
libreria era strapiena di ragazzi e ragazze, tutti affezionati lettori di
Howard P. Jackson. Il suo ultimo romanzo, Dark
Blood, aveva venduto più di quindici milioni di copie, ed aveva ricevuto un
ampio ventaglio di opinioni, dalla più generosa alla più amara: Jackson meriterebbe che gli spezzassero
entrambi i polsi per manifesta demenza letteraria. I suoi sono romanzi di
consumo che, passata l’onda dell’innovazione, tutti dimenticheranno. Sarà,
intanto continuava a scrivere e vendere, con buona pace della Pendragon Press e
delle librerie affiliate. Niall si guardò intorno, cercando con gli occhi
Johnny. Lo vide dietro al suo banco di vendita, intento a tenere buona una
folla di ragazzini urlanti.
- Ragazzi, ragazzi!
Vi prego, un attimo di silenzio! Stiamo verificando la disponibilità del libro!
–
Niall si avvicinò un
po’ di più, cercando di non mettersi troppo vicino alla folla, per capire bene
cosa stesse succedendo. Una ragazza con il gilet rosso e il cartellino della
libreria appeso al collo andò vicino a Johnny. La sua faccia era una maschera a
metà tra il triste e il disperato. Disse qualcosa a Johnny, che si toccò la
fronte in un gesto di disperazione nell’apprendere ciò che la sua collega gli
aveva detto.
- Ehm… ragazzi,
purtroppo le copie di Dark Blood sono terminate. Dovrete aspettare che… -
Non l’avesse mai
detto. La folla urlante si scatenò in un coro di proteste.
- Ma com’è possibile!
Io ho prenotato su internet! Ecco qui la ricevuta!!! – disse una ragazza un po’
in sovrappeso, sventolando la stampa di una e-mail.
- E io ho prenotato
tramite Facebook! Non è giusto! –
- Ragazzi, vi prego –
disse Johnny tentando di ristabilire la calma – Purtroppo non possiamo farci
nulla, le copie sono terminate e non abbiamo più disponibilità a negozio! –
- Buffoni! – urlò un
ragazzo – siete attaccati alla casa editrice, fatevi dare un paio di copie di
riserva! –
- Non è così
semplice, Einstein! – sbottò Johnny – Anche le copie di riserva sono state
esaurite! –
- Io da qui non mi
muovo senza il mio libro! –
- Oh, cristo – disse
Johnny, portandosi le mani nei capelli - Janine, per favore, pensaci tu.
Procedura d’emergenza. – Aveva deposto le armi di fronte a tanta ignoranza dei
fan.
- Ehm – esordì Janine
– Dunque, adesso uno alla volta, in fila, mi date i vostri nominativi e vedremo
di riservarvi dei libri, che arriveranno domani. Okay??? –
Nonostante i
borbottii di scontentezza, era l’unica soluzione. Lentamente, i ragazzi
iniziarono a fare una fila ordinata per riservarsi una copia.
*****
Poco dopo Niall era
insieme a Johnny nel suo ufficio, a sorseggiare una tazza di caffè.
- Deduco che la mia
copia non ci sia più, vero? –
- Purtroppo – rispose
Johnny. I suoi lineamenti giapponesi si corrugarono in un’espressione
corrucciata – Si accampano la sera prima, quando c’è una nuova uscita. Ho
dovuto esaurire tutte le copie, altrimenti rischiavo che mi distruggessero il
negozio, e lassù non sono tanto gentili con gli store-managers che non accontentano i clienti. –
Niall rise – Eviterò
di denunciarti alla Pendragon Press solo perché sei mio amico – gli disse.
Johnny gli sorrise di
rimando, quindi sorseggiò un po’ del suo caffè.
- Ci sono novità da
parte della Grande Casa? –
- Hmh. Forse. –
rispose Johnny, accennando un sorriso furbetto mentre posava il bicchiere di
carta sulla scrivania – voci di corridoio parlano di un nuovo libro, il cui
lancio è previsto fra due mesi. –
- Wuao! – esclamò
Niall, facendo quasi un salto sulla sedia – Dimmi tutto! –
- Non ci penso
neanche – rispose Johnny, guardandosi intorno con aria divertita – Top secret.
–
- Daaaaaiiii…. –
- No… -
- Ti prego! – Niall
gli andò vicino, congiungendo le mani. Johnny sorrideva, ben deciso a non dire
nulla.
- Ti prego ti prego?
–
- No, no! –
- Ti prego ti prego
ti prego??? –
- Niall! Se dico
anche solo una parola, mi licenziano! –
- Ah, è così?! Allora
io vado su a spifferare che non hai tenuto la mia copia nonostante te l’avessi
chiesta ben un mese prima del lancio! – lo minacciò bonariamente Niall.
- Uffa! Che piattola!
E accidenti a me che vado ad accennarti cose che non dovrei… vieni qui. –
Come se stesse
assistendo allo spoglio di una scheda segreta, Niall si avvicinò guardandosi
intorno. Anche Johnny si guardò intorno, mentre dalla scrivania prendeva fuori
una scheda prodotto che aveva stampato poco prima.
- Si chiama In the eyes of
darkness. È il romanzo che dovrebbe
chiudere la pentalogia delle tenebre. Le stesse voci di corridoio dicono che
sia una bomba. Una bomba pari all’atomica lanciata su Hiroshima! –
- Oh no, anche tu fai
riferimenti ad una guerra? –
- Lasciami
indovinare, hai incontrato Ben all’entrata, vero? –
- Sì. Oggi è
abbastanza arzillo, il vecchio. Che gli avete fatto? –
- Nulla. Solo
suppongo che sia ora per il vecchio di andare in pensione. Se non altro in un
castello di riposo troverà qualcuno con cui condividere le sue lamentazioni
geremiache. – disse, e Niall si mise a ridere, facendo ridere anche Johnny.
- Se qualcuno non gli
pianta una pallottola in mezzo agli occhi prima, s’intende. – concluse,
provocando un nuovo accesso di risa in Niall.
- Eh già… ehi, ma…! Non
cambiare discorso! Non mi hai detto la cosa più importante! –
- E cosa dovrei dirti
di più? – domandò Johnny, con aria di sufficienza.
- Quando esce la bomba?
–
- E chi lo sa? –
- Come sarebbe a
dire? Dovresti saperlo! –
- Be’, mi dispiace
amico mio, ma non so proprio quando uscirà. So solo che Jackson lo sta ancora
scrivendo, ma a breve dovrebbe finirlo, e quando lo finirà… bang! Sarà pronto per essere
inghiottito, digerito e defecato dalle nostre rotative, nonché venduto nella
grande stanza qui a fianco! –
- Uhm. Dove si ritira
di solito Jackson per scrivere le sue storie? –
Johnny guardò Niall
con gli occhi spalancati.
- Non ne ho la minima
idea, sai? Questo bisognerebbe chiederlo su, all’amministrazione. –
- Bah, lo sapevo. Non
si cava mai un ragno dal buco, a parlare con te. –
Ridacchiando, Johnny
si alzò dalla scrivania, dando una pacca amichevole sulla spalla di Niall. –
Forse. O forse è ora per me di tornare a lavorare, se non voglio perdere il
posto. La nostra amichevole conversazione finisce qui per oggi, e… -
- …e stai
dimenticando ancora una cosa. –
Johnny sbuffò – Cosa
c’è ancora? Ti ho detto tutto quello che sapevo! –
- Cioè niente –
concluse Niall per lui. Prima che Johnny potesse ribattere, gli disse – hai
dimenticato che devi tenermi una copia di Dark
Blood. Mi raccomando! Altrimenti prendo il primo ascensore del palazzo
accanto e spiffero tutto quello che mi hai detto. –
- Umpf – mormorò
Johnny – Lo ammetto, ancora una volta mi hai dato scacco matto. Ma come può un
ragazzo come me avere un amico così perfido come te? –
- Forse perché sono
il tuo miglior cliente? –
- Ah-ha. Spiritoso.
Ringrazia tuo fratello, se mi conosci. –
- Non mancherò. Ciao
Johnny, a domani! –
- Ciao Niall, e
salutami Chris. –
Uscendo, nel
corridoio adibito a magazzino c’erano i promo-stand con le nuove uscite. C’era
uno stand che raffigurava cinque ragazzi con una stella sullo sfondo. Sulla
descrizione, c’era il nome del gruppo: 1D
- Che nome del cazzo,
per una boy band. – commentò Niall, avviandosi verso la porta di servizio e
uscendo in strada.
- Sono a casa! –
annunciò Niall aprendo la porta. Sua madre era in
salotto che guardava la televisione e sferruzzava a maglia sul divano. Quando il
figlio fece capolino dall’ingresso ad arco, gli sorrise e gli tese la mano. Lui
le andò vicino e le baciò la fronte.
- Ciao amore – disse la
donna – com’è andata a scuola? –
- Benone, direi. Che c’è
per cena? –
- Ti ho preparato del
roast-beef e un po’ d’insalata. –
- Va bene, allora
vado. –
- D’accordo figliolo.
–
- Papà, non c’è? –
- No, è ancora a
lavorare, sta rifacendo il tetto ai Phyllis. –
- Non imparerà mai a
stare fermo… - ridacchiò Niall.
- Eh già. – rispose sua
madre, ridacchiando a sua volta.
*****
Dalla cucina, gli
giungeva chiaramente la voce del televisore, che in quel momento stava
trasmettendo il programma che stava guardando sua madre, un gioco a premi.
- Per cinquemila
dollari… io le offro: un rasoio elettrico a motore, un tagliaerba Multiplex e
un paio di forbici per l’aggiustamento del giardino. Accetta lo scambio? –
Conosceva bene quel
tipo di gioco: al concorrente venivano ficcate un paio di cuffie che sparavano
musica a tutto volume, e il conduttore proponeva scambi improbabili. A volte
cianfrusaglie (come quelle che aveva appena sentito), altre volte erano oggetti
di valore. Ad un certo punto il concorrente doveva dare la sua risposta, sì o no,
quando si accendeva una luce rossa sulla tabella posta sotto i suoi occhi.
Gioco abbastanza cretino, ma sapeva di gente che lo seguiva con passione. Sua
madre lo seguiva di sfuggita, per lo più guardava le figure mentre creava
lavori a maglia. Ad un certo punto però cambiò canale, passando ad un
telegiornale.
- …veniamo ora alla
cronaca locale. Si indaga ancora sulla vicenda di Thomas Bailey, il
diciannovenne accusato di omicidio ai danni della madre, Patricia Langdon-Bailey… -
Di solito Niall non guardava con attenzione i telegiornali, ma quella
volta accadde qualcosa. Dopo aver snocciolato tutti i dettagli dell’omicidio,
il telegiornalista appostato di fronte alla casa dov’era avvenuto il delitto,
stava riportando le ultime notizie circa il giovane accusato.
- …interrogato dagli
psichiatri che l’hanno avuto in cura all’Ospedale Psichiatrico dov’è stato
internato in attesa del processo, Thomas Bailey ha dichiarato “Ho accoltellato
mia madre perché non sapevo cosa stavo facendo. Non ero in me. Lei mi aveva chiamato
mentre stavo leggendo un libro… sono sceso… ho visto quel coltello… e…” …il
resto lo sappiamo. La stanza del ragazzo è stata trovata piena di libri di
Howard P. Jackson, il famigerato “Scrittore maledetto”. Ciò farebbe pensare ad
un tentativo di emulazione dettata dalla letteratura troppo violenta a cui era
abituato, ma fonti attendibili dipingono Thomas come un ragazzo qualunque, un
classico studente con la passione per la letteratura e i videogiochi… insomma il
classico ragazzo della porta accanto. Cosa avrà spinto questo mite giovanotto a
trasformarsi in un sanguinario omicida? Le indagini lo chiariranno. –
Thomas Bailey era un fan di Jackson…? Accidenti.
Immagina che pubblicità sarà per la Pendragon Press… Pensò Niall, finendo l’ultimo
boccone del suo roast-beef.
Poco dopo era in
camera sua, davanti al computer. Facebook era una
droga dalla quale stava tentando di disintossicarsi, ma nonostante questo una o
due orette la sera ancora le faceva passare. Be’, poteva considerarsi un
guadagno, considerato che in altri tempi ci tirava mattina, con quel social
network. Annoiandosi un po’, decise di andare a controllare il profilo dell’omicida
Thomas Bailey. Digitò il nome nel motore di ricerca e gli apparve tutta la
sfilza di Thomas Bailey presenti a New York.
Come riconoscerlo?
Semplice.
La sua foto era
apparsa parecchie volte nei giorni passati, ed era la stessa che utilizzava per
Facebook. Così cliccò sulla foto “conosciuta” e
sbirciò nel suo profilo.
Il ragazzo,
nonostante dovesse essere parecchio timido, evidentemente non sapeva come
proteggere il suo profilo. Una volta aperto, si trovò tutta la sua vita davanti
agli occhi. Nato a Detroit nel 1993 (che
simpatico, ha la mia stessa età, pensò Niall),
Thomas era un ragazzo modello, anche se un po’ sfigato con le ragazze. Per lo
più sul suo profilo aveva molti amici, all’apparenza tutti Nerd. I suoi post in
bacheca erano storie scritte da lui, sulla falsariga dello stile di Jackson.
Accidenti, sono lunghissime… e io non ho tempo di
leggerle… pensò Niall, scorrendo fino alla fine quei lunghissimi post. Nonostante
la lunghezza, dovevano essere vere e proprie bombe, in quanto piacevano a
molti. Ogni post incassava un numero di Like
mai inferiore a 6mila.
Uno scrittore mancato… pensò Niall, …ma perché fare fuori tua madre?
In mezzo ai tanti
post dei racconti, Niall ne scorse uno, di un suo
amico. Un certo Harry Styles.
Harry scriveva: Brutto bastardo, devi assolutamente
prestarmi il libro che hai sgraffignato prima che uscisse! XD
Libro-sgraffignato-prima-che-uscisse? La mente di Niall entrò
in fibrillazione. Come faceva quel ragazzino ad avere un libro prima che fosse
uscito?
Thomas gli aveva
risposto: Stà zitto, brutto idiota… ti passo quello che
vuoi, ma smettiamo di parlare qui.
Il mistero s’infittiva.
Come mai tutta questa segretezza? Niall non era un
detective, ma aveva idea che ci fosse sotto qualcosa di grosso, di molto
grosso. Ovviamente i messaggi interessanti finivano lì, ma qualcosa gli diceva
che quella poveretta della madre di Thomas si era trovata al posto sbagliato e
al momento sbagliato, e c’era un libro che c’entrava qualcosa, in una qualche
misura.
*****
Poco dopo Niall era sul suo letto, la testa riversa sul cuscino e gli
occhi chiusi. Dormiva profondamente, e nelle sue mani stringeva The Herald of the Darkness, terzo romanzo della pentalogia Jackson. In copertina
era raffigurato un demone alato che minacciava tre ragazzi con i suoi affilatissimi
denti.
Niall fu svegliato dai rumori di una macchina per
scrivere in funzione. Aprì lentamente gli occhi, mettendosi contemporaneamente
a sedere. La sua mano non affondò nel materasso come al solito, bensì toccò
qualcosa di molto duro. Roccia pura.
Ma dove…?
Si guardò intorno, l’ambiente
non era molto ben illuminato, eccezion fatta per la luce di alcune torce appese
al muro. Intanto il ticchettio della macchina per scrivere proseguiva. Incessante,
ripetuto, intervallato dai ritorni di capoverso, segnalati dall’immancabile campanello.
Ding! E un nuovo capoverso iniziava.
Avanzò lentamente
cercando di capire da dove provenisse quella fonte di rumore, anche se l’eco
non lo aiutava nell’impresa. L’ambiente sembrava una specie di caverna, o le
segrete di un castello, volendo… l’unica cosa certa era che gli ricordavano
molto le ambientazioni di Jackson. Buie, umide e spaventose.
…ogni posto, ogni angolo era carico di oscuri
presagi, un mondo a sé stante dal quale sarebbero potuti fuoriuscire centinaia,
forse migliaia di mostri. Brandon si sentì minacciato da tali presenze,
guardandosi intorno con terrore. In nessun posto sarebbe stato al sicuro,
nessuna forza avrebbe potuto salvarlo…
Come per magia, udì
quelle parole nella sua mente. Qualcuno sembrava stare sussurrandogliele, da
qualche recesso del suo inconscio. Oh mio
dio, pensò, avanzando nel corridoio e pregando che le torce non si
spegnessero. All’improvviso, giunse a un bivio. Due corridoi neri si aprivano,
entrambi senza illuminazione. Niall spalancò gli
occhi, meditando di tornare indietro. Ma dove…? Da dov’era venuto non c’erano
porte, era stato confinato in un antro senza uscita.
Se questo è un incubo, voglio svegliarmi. Pensò di nuovo.
- Questo non è che l’inizio.
– disse una voce, facendolo trasalire.
- C… Chi… ha p…parlato?
– domandò, voltandosi lentamente.
Nessuna risposta.
- Chi… chi c’è? –
domandò ancora.
E di nuovo non vi fu
risposta.
Pensò di essersi
immaginato che qualcuno gli avesse parlato, quando dal muro accanto a lui
spuntarono fuori due mani artigliate che lo ghermirono. Niall
soffocò un “oh” di stupore, sostituendolo con un grido fortissimo di paura.
- Ahhhhh!!!
– urlò, ma una terza mano intervenne a tappargli anche la bocca. Provò a
divincolarsi, ma quelle braccia avevano davvero una forza sovrumana. E con la
stessa forza lo tirarono e lo trascinarono dentro il muro, per portarlo chissà
dove.
*****
- Ahhhh!!!
– Niall aveva urlato una seconda volta, però senza
ragione alcuna. Socchiuse gli occhi, e si accorse di essere in camera sua. A casa.
Si mise a sedere sul letto, ansimando di paura. Il suo cuscino era madido di
sudore, più o meno come lo era lui adesso.
Era solo un incubo. Un fottutissimo, schifoso,
incubo.
Si passò una mano tra
i capelli biondi, scuotendo la testa per scacciare via quanto aveva visto. Poi
prese l’orologio da polso e guardò l’ora. Le tre meno dieci del mattino.
Incubo o no, devo dormire. Non posso stare sveglio
tutta la notte. Domani avrò da fare.
Pensò, e si rimise sotto le coperte. Qui, sentì qualcosa di rettangolare
pungergli la coscia. Era il suo libro di Jackson, The Herald of the Darkness.
- Se trovo chi ha
detto che leggere un libro accompagna il sonno, lo prendo e gli do un calcio
nel culo. – mormorò, poggiando il libro sul comodino e spegnendo la luce.
Se felice vuoi
campare, gli affari tuoi ti devi fare.
Era un precetto molto
interessante, soprattutto per chi si andava a cercare i guai. Dal canto suo, Niall cercava di starci lontano il più possibile, dai guai…
ma probabilmente non sapeva a cosa stava andando incontro quando decise di chiedere
l’amicizia su Facebook a Harry Styles.
Gli si era presentato
come un giornalista di un’edizione universitaria, e voleva intervistarlo in
merito al suo amico Thomas. Siccome non era una cosa proprio ufficiale, Niall si era raccomandato che nulla sarebbe dovuto trapelare,
e che avrebbero dovuto incontrarsi inderogabilmente da soli in caso Harry
avesse accettato di farsi intervistare.
No, non era
impazzito. Semplicemente, l’incubo che aveva avuto la notte in cui aveva
curiosato nel profilo di Thomas Bailey gli aveva aperto un po’ gli occhi (in
tutti i sensi, dato che aveva quasi smesso di dormire). Unito alla convinzione
che ci fosse qualcosa di sospetto in tutta la vicenda, decise di scoprirne un
po’ di più. E la persona che forse avrebbe potuto dirgli qualcosa, era Styles.
Harry Styles era, come diceva un po’ il suo cognome, un po’
fissato con lo stile. Esteriormente sembrava un Nerd, proprio come il Bailey,
ma si comportava come una ragazzina. Non solo: il giorno del loro primo
incontro non erano soli. Styles non l’aveva avvertito
che sarebbe venuto un terzo incomodo.
- Niall,
piacere. – disse Niall, sedendosi al tavolino del caffè
che aveva scelto Harry per l’incontro. Il ragazzo a cui aveva stretto la mano
era un ragazzo bruno, alto e ben piazzato. Tutto il contrario di Harry che era
magrolino. Sembrava la controfigura di Mika, con quei capelli arruffati.
- Lui è il mio
ragazzo – cinguettò Harry, carezzando il braccio del biondo.
- Louis – disse questi
a Niall, guardandolo negli occhi – Piacere mio. –
- Spero non ti sia dispiaciuto, Niall. L’ho portato perché non mi fidavo di andare ad un
incontro totalmente solo. E poi… - guardò Louis – Louis è un po’ geloso di me.
Non è vero, amore? –
- Già. – disse il
biondo, sbrigativo.
Niall guardò prima Harry poi Louis, grattandosi
distrattamente un sopracciglio mentre tirava fuori la sua attrezzatura da
giornalista: un taccuino e una matita.
Louis alzò un
sopracciglio perplesso – Che razza di giornalista va ancora in giro con carta e
penna? Non ce l’hai un i-phone? –
Senza scomporsi, ma
regalando soltanto un sorriso fasullo, Niall rispose –
Sono un tradizionalista. Allora Harry, che cosa puoi dirmi a proposito della
vicenda di Thomas Bailey, che ha trucidato sua madre? –
- Ah, che storia
terribile – esordì teatralmente Harry, portandosi una mano al petto – Conoscevo
Thomas fin da quando eravamo bambini, e credimi, mai e poi mai mi sarei
aspettato che avrebbe fatto fuori Patricia in modo così brutale! Ma ci rendiamo
conto? Con un coltello! Le ha ficcato una lama per dieci centimetri nella
giugulare! E poi non si è fermato! Ha continuato, l’ha letteralmente squartata
viva! E poi… -
- Amore, ti prego… -
disse Louis, toccando il braccio al suo ragazzo – Risparmia i dettagli
impressionanti. –
- Scusate – disse
Harry, chinando un po’ la testa e bevendo un sorso della sua bibita – A volte
mi capita di divagare. Se lo faccio, fermatemi pure. – concluse, con un sorriso
raggiante.
Niall proseguì nella sua pseudo-intervista. Certo era
una cosa ardua scegliere le domande, soprattutto perché non si era preparato
una scaletta da seguire… certo, avrebbe potuto rivederlo quando voleva, ma se
il ragazzo si sarebbe portato di nuovo quel pezzo di marcantonio biondo di nome
Louis, col cavolo che avrebbe fatto delle domande coerenti. Si sentiva confuso,
parecchio. Era solo per la paura di essere preso per un ficcanaso o c’era dell’altro?
- Thomas aveva degli
hobby? –
- Oh, certo che sì! Facebook, videogiochi, giochi di ruolo… e …. La letteratura.
Adorava Howard P. Jackson… per la verità, lo adoro anch’io. –
- Ecco, parliamo di
questo. Thomas aveva letto un suo libro, recentemente? –
- Sì sì! – confermò vigorosamente
Harry – Però… - si morse le labbra, guardandosi intorno, poi invitò Niall ad abbassarsi - …Non è cosa che posso dire così
facilmente, quindi magari questo dettaglio lasciamolo fuori dall’articolo, d’accordo?
–
- Oh, beh… certo. –
- Non staremmo
compiendo un reato di omessa informazione, vero? – gli occhi di Harry erano
grandi come quelli di un cucciolo spaventato. Niall
si chiese quanto di vero ci fosse nella sua persona e quanto di teatrale.
- Ehm … no, certo che
no. Parla pure senza paura, io depongo la matita e smetto di scrivere. –
- Come se avessi
scritto chissà che – osservò Louis, sorseggiando la sua bibita. Niall fu imbarazzato da tale osservazione, dal momento che
il taccuino era completamente bianco.
- Amore, ma che villano!
Si vede che Niall riesce a tenere tutto a mente,
no??? –
- Tsk.
– sbuffò Louis, scuotendo la testa.
- Dov’eravamo rimasti…?
– domandò Harry – Ah sì! …ti stavo dicendo che Thomas era in possesso di un
libro che doveva ancora uscire. In the mouth
of madness, del nostroautorepreferito Jackson… Un libroveramente … veramente…. Oh dio! Non riesco a trovare il termine adatto,
tanto è magnifico!!! –
- Epico? – suggerì Niall lì per lì. Più andavano avanti, più gli sembrava che
Harry fosse un attore che recita di fronte ad una cinepresa. Si aspettò da un
momento all’altro che un regista gridasse Stooop! e un ciacchista che
chiudesse la ripresa.
- Epico, esattamente!
– sottolineò la sua convinzione con un fermo gesto della mano, come se avesse
dato un taglio netto ad un immaginario tronco presente sul tavolino. Gettò un’occhiata
a Louis, che guardava da tutt’altra parte. Se era imbarazzato, il biondo stava
dissimulando benissimo: sembrava un perfetto estraneo rispetto a loro. Niall gli mandò telepaticamente tutto il suo appoggio
morale per essersi scelto un fidanzato del genere.
Prima che Harry
potesse incominciare una nuova divagazione, Niall gli
buttò una nuova domanda.
- Quanto tempo prima,
rispetto all’omicidio, era entrato in possesso di quel libro? –
- Uhm – mormorò Harry,
portandosi un indice sulle labbra e ciucciandoselo per un po’ – direi che è
entrato in possesso del libro tre giorni prima dell’omicidio. Voglio dire, ha
preso il libro un giorno, e tre giorni dopo ha fatto fuori sua madre. Oh, mio
dio! Non posso pensarci! –
Niall alzò gli occhi al cielo, sospirando. – In questi
tre giorni vi siete mai parlati? –
- Cosa? Ma come
facevamo, lui adesso è internato in un ospedale psichiatrico! Come posso averlo
sentito tre giorni fa se è internato da almeno tre settimane? –
A quella esternazione,
fu Louis ad alzare gli occhi al cielo chiedendo pietà, quindi Niall intervenne.
- Ehm no, intendevo…
nei tre giorni intercorsi tra il possesso del libro e l’assassinio della madre.
–
- Ah-haaa! – esclamò Harry, battendosi il palmo della mano sulla
tempia destra – Ma potevi dirlo subito, no? …Certo che ci eravamo parlati, in
quei tre giorni. –
- E cosa vi eravate
detti? – Niall era ansioso di sapere il contenuto
delle loro conversazioni.
- Hmh,
nulla di particolare… sai, lui mi parlava di come le ragazze non lo filassero,
e io gli dicevo Ma no dai Tommy, magari
qualcuna per te la troviamo. Ci penso io, che ho tante amiche! E poi se proprio
non riusciamo a trovarti una ragazza, possiamo sempre trovarti un ragazzo,
e a quel punto lui… -
- Harry, stai di
nuovo divagando…! - disse Louis.
- Oh! Scusa amore.
Scusa Niall. Ehm… sì, insomma, le nostre conversazioni
sono state più o meno queste… -
- Okay, ma… del libro…
che cos’ha detto? – Niall era sull’orlo della
disperazione. Sostenere una conversazione con quel ragazzo era praticamente
impossibile.
- Maaah,
ha detto che era avvincente, appassionante, super!!! Un concentrato di gotico
allo stato puro. Qualcosa di eguagliabile a Lovecraft, non so se mi spiego!
Anzi, forse addirittura meglio di Lovecraft! –
- Qualcosa di più
preciso riguardo i suoi pensieri? Non so, ti ha per caso accennato a degli
strani incubi? –
Harry alzò un
sopracciglio perplesso. – Cosa c’entrano ora i pensieri con gli incubi? Un incubo
lo si fa quando non si pensa, è tutto inconscio! –
- Oh santo cielo –
sbottò Niall, al limite della pazienza – Ti ha
raccontato per caso se aveva avuto degli incubi? –
Come se fosse cascato
da una nuvola, Harry spalancò gli occhi e disse – Sì sì!! Eccome! Mi raccontò
di aver avuto incubi per tutta la notte. Neanche avesse fatto sesso con Martin,
il nostro amico africano. Ti ricordi amore, quello…? –
Intorno a loro, gli
avventori del locale avevano iniziato a guardarli. Tanto parecchio teatrale ed
enfatico era Harry nelle sue spiegazioni, quanto più imbarazzati erano Niall e Louis. Una signora di mezza età con un portatile
sul tavolino si fece una risatina sotto i baffi, mentre un signore anziano
scosse la testa, e la sua espressione diceva chiaramente Questi giovani… dove andremo a finire. Per la prima volta nella sua
vita Niall stava parlando con una persona più gnucca di Ben Ridgewick, il custode della libreria.
- Tesoro, non penso
sia il caso di… - lo fermò Louis, accarezzandogli la guancia.
- No no, invece è il
caso “di”! – si rivolse a Niall, battendo l’indice
sul tavolino talmente forte che le bibite quasi si rovesciarono – Tommy era
sconvolto da quegli incubi… diceva Oh mio
dio, oh mio dio, sono in casa mia, prima o poi verranno a prendermi, che cosa
devo fare??? –
- Ah, davvero? –
disse Niall, al colmo della confusione.
- Oh sì mio caro. E
poi… e poi ha fatto fuori sua madre. Che perdita… A volte mi chiedo se non sia
stato proprio quel libro, a fargli fare quel gesto. –
Detto questo, Harry
si fermò dal parlare, e il locale ricominciò armonicamente a farsi gli affari
propri. La donna di mezza età ricominciò a lavorare al suo portatile, una
ragazza continuò a leggere il suo libro, e l’anziano signore riprese a leggere
il giornale.
- D’accordo… mi pare
che ne abbiamo abbastanza per il pezzo di domani – disse Niall.
Louis lo guardò attentamente, con occhio torvo. Niall
se ne accorse ma non disse nulla, rivolgendosi di nuovo a Harry – Un’ultima
cosa, Harry. –
- Sì? –
- Sai per caso dov’è
finito il libro? –
- Oh, e chi lo sa? Quando
è andata la polizia a fare il sopralluogo, penso che abbiano prelevato dei
reperti… magari c’era anche quel libro, chi lo sa. Non lo so proprio, scusa… -
Louis continuava a
guardare Niall con sguardo sempre più torvo.
Sentendosi pesare addosso quello sguardo, Niall si
alzò con molta nonchalance.
- D’accordo. Beh, ho
raccolto materiale sufficiente, direi – dichiarò, affrettandosi a chiudere il
taccuino (sul quale peraltro non aveva scritto nemmeno una riga) e a rimetterlo
nella sua sacca – ho il tuo indirizzo Facebook,
quindi quando sarà pubblicato l’articolo, ti manderò il link.
- Oh, è un giornale
in rete? –
- Sì sì! Proprio così!
–
- Che bellezza! –
cinguettò Harry – Hai sentito amore? Diventerò famoso! –
- Già, famoso… e
gabbato. – mormorò Louis, scuotendo la testa.
- Come dici, scusa? –
- Niente… Ah guarda,
il tuo amico si è dileguato. –
- Cos…? – Harry si
voltò, e in effetti Niall era scomparso dal locale. –
Ma dov’è andato? Che maleducato. Andato senza neanche salutare. –
Louis lo scorse fuori
dalla vetrina che attraversava la strada, ma si guardò bene dal dirlo a Harry.
Niall non ricordava chi avesse pronunciato quelle
parole, se fosse stato un dittatore cinese o un saggio francese o viceversa.
Una cosa però era emersa dal colloquio con quella gatta sciantosa di Harry Styles: che prima di accoppare sua madre, Thomas Bailey
aveva avuto degli incubi.
Se fossero o meno
stati dettati dai capoversi troppo forti del libro, questo non lo sapeva. Però era
una coincidenza curiosa che il ragazzo li avesse avuti, proprio come lui aveva
avuto il suo incubo qualche notte prima. Dalla sua posizione disteso sul letto,
guardò sulla sua scrivania. In ordine sullo scaffale alto, quello riservato ai
classici, c’erano tutti e quattro i libri di Jackson. Ne mancava soltanto uno a
termine della pentalogia, In the eyes of darkness, quello che
sarebbe dovuto uscire non si sapeva ancora quando.
*****
Li prese tutti e
quattro, compreso l’ultimo che aveva arraffato, Dark Blood, e si era messo ad esaminarli uno per uno. Le immagini
di copertina erano come al solito suggestive, popolate di demoni, creature
malevole e spettri oscuri. L’oscurità. Quella era un filo conduttore di tutti e
quattro i romanzi, finora… Li accostò insieme, mettendoli due sopra e due sotto,
così per caso.
Quel che ne venne
fuori non gli piacque per niente.
Guardandoli da
lontano, le quattro copertine formavano due cavità nere, come due occhi vuoti. Niallsbattè le palpebre più
volte, confuso. La testa incominciò a girargli, e un’immagine attraversò la sua
mente.
Questo non è che l’inizio.
Si accasciò a terra
in ginocchio, tenendosi alla scrivania… la testa gli girava come una trottola. Con
le ultime forze che gli restavano, scaraventò a terra i quattro libri,
scomponendo quell’immagine che aveva creato.
- Oh cristo – mormorò
– è … è pazzesco. –
*****
Il giorno dopo, Niall se ne stava seduto a un tavolino alla caffetteria
dell’università a leggere l’ultimo capolavoro di Jackson, Dark Blood. Anche questo libro era appassionante, ricco di colpi di
scena e intrighi. Leggendolo, per un momento si dimenticò di aver avuto quella
strana visione la sera prima, illudendosi che le pagine di quel libro fossero
come una specie di carezza confortante dopo uno schiaffo ricevuto. Gli occhi
correvano tra le righe, era come ipnotizzato, catturato dalle pagine di quel
libro.
A sottrarlo all’incantesimo,
fu una mano sulla spalla, che oltre a distoglierlo dalla lettura, lo fece
trasalire.
- Paura, eh? – Niall si voltò. Dietro di sé, l’imponente figura di Louis Tomlinson. Il biondo lo guardava con aria di superiorità.
- Louis? –
- Ciao – lo salutò il
ragazzo – Allora, come procede l’articolo sulle dichiarazioni del mio ragazzo? –
Come se non sapesse
di cosa stava parlando, Niall sgranò gli occhi. Poi,
come ricordandosene all’improvviso, esclamò – Ah, ma certo! …procede bene,
grazie. Domani mando i pezzi al caporedattore che li leggerà e… -
Senza nemmeno esser
stato invitato, Louis prese una sedia e si sedette accanto a Niall, ridacchiando furbescamente.
- Be’? Cosa c’è da
ridere? –
- C’è che mi fa
ridere il modo in cui reciti. Da cane. –
- N… non capisco –
disse Niall – Che cosa vuoi dire? –
- Voglio dire, caro
il mio giornalista farlocco, che puoi smetterla di recitare la commedia. So
tutto. –
- Ah. E come … come l’hai
scoperto? –
- Diciamo che qui
intorno ho molti amici. È bastato fare una telefonata al direttore del giornale
di qui e chiedere se ti conosceva. Mi ha risposto picche, e così… -
- E così sei venuto
qui per sbugiardarmi, giusto? – Niall ridacchiò – Oh Louis,
Louis… se ti fa tanto piacere, fai pure. Racconta tutto al tuo boy-friend, se
vuoi… e se ti capisce, ovviamente. –
Anziché arrabbiarsi,
Louis fece spallucce – A dire la verità non avevo intenzione di raccontargli
nulla – ammise – Ma se proprio insisti… -
- Lascia perdere –
tagliò corto Niall – Perché sei venuto da me, dopo
aver fatto questa scoperta? –
- Non lo so, forse
per godermi la faccia che avresti fatto una volta che ti avessi messo di fronte
alle tue responsabilità. O forse… -
- Dai, sputa. Perché
sei venuto? –
- Forse perché penso
che tu stia andando a caccia di qualche strega. O in alternativa, a caccia di
guai. –
- Cosa te lo fa
pensare? –
- Oh, nulla. Solo il
semplice fatto che stai indagando su un ragazzo che ha fatto fuori sua madre, e
magari credi che l’abbia fatto sotto l’influsso di un libro. –
- Anche se fosse, a
te cosa importerebbe? –
Dopo un attimo di
silenzio, in cui i due si guardarono negli occhi, Louis disse – Vorrei capire perché
il mio amico è impazzito. –
Niall sgranò gli occhi, stupito. – Vuoi dire che… -
- Proprio così,
detective – rispose Louis – Thomas Bailey è un mio carissimo amico, oltre che
di Harry. Si potrebbe dire che è stato lui a farci incontrare, anche se io
avevo in progetto di portarmi lui, a letto, e non quella checca isterica di
Harry… E ora voglio capire perché è impazzito. –
- Ehi ehiehi, frena amico, frena. Mi stai
forse rendendo una dichiarazione che a te non piace il tuo ragazzo? –
- A te è piaciuto? –
gli rigirò la domanda Louis.
- Che cosa vuol dire?
Beh francamente non è il mio tipo, ma da qui a dire che… -
- A me non piace
proprio. – disse Louis – E se mi aiuti a capire cos’è successo al mio amico,
forse la smetterò di tormentarmi. –
Niall guardò intensamente Louis per due minuti buoni. Poi
alzò gli occhi al cielo e sospirò – D’accordo – disse – ma mi riservo tutto il
diritto di mollare l’indagine quando voglio. Non sono un detective, né
tantomeno un poliziotto. Per cui, se l’affare diventa troppo pericoloso, io mi
ritiro. Okay? –
Annuendo, Louis
confermò la decisione. – Affermativo – disse, con un mezzo sorriso.
- Bene. Adesso direi
che… -
Le sue parole furono
interrotte quando vide cosa stava succedendo fuori. Poco distante dalla
caffetteria del campus, c’era una libreria. Dalle porte a doppio battente era
fuoriuscito un uomo che impugnava un piccone insanguinato. Correva, e avanzava
ammazzando chiunque gli si parasse davanti. Vibrò un fendente e ficcò il
piccone nel cranio a una ragazza, quindi continuò ad avanzare, diretto verso la
caffetteria. Attonito e spaventato, Niall guardò l’uomo
correre verso la porta d’entrata, sfondarne le vetrate ed entrare. La sua
entrata provocò il panico di alcune persone. Un ragazzo era rimasto seduto ad
ascoltare la musica con le cuffie dal suo Ipad. Il ragazzo
si voltò, vide un uomo alto, vestito con l’impermeabile che portava una camicia
insanguinata e tentò di scappare, ma a nulla gli valse il tentativo. L’uomo
alzò in aria il piccone, quindi vibrò un altro colpo che ferì violentemente il
ragazzo al torace.
- Aaaargh!
– strillò questi, mentre l’uomo si preparava a colpirlo un’altra volta.
- Il padrone ci
ordina di farlo!!! – urlò quello, mentre calava il colpo mortale, sfondando il
cranio del povero ragazzo.
Niall indietreggiò, con Louis accanto. Il biondo
sembrava spaventato, ma faceva di tutto per mantenere il sangue freddo. Le mani
chiuse a pugno, tentò un gesto disperato. Si mise a correre verso l’uomo per
tentare di disarmarlo.
- Louis! No!!!! –
urlò Niall, bianco per il terrore.
- Graaaur!
– ringhiò l’assassino, vibrando un colpo che ferì Louis di striscio, mandandolo
ad inciampare contro un tavolino. Ora l’uomo si diresse verso Niall, impugnando saldamente il piccone. Solo che nei suoi
confronti lo tenne basso, avvicinandosi a lui stringendo in mano una busta di
carta, simile a quelle che si usano per l’invio dei manoscritti alle case
editrici.
- Questo – disse a Niall – Questo è tuo. –
Niall era atterrito, non aveva nemmeno le forze di
prendere in mano qualcosa da quel pazzo.
L’uomo lasciò cadere
la busta sul pavimento, ma visto che Niall se ne
stava lì fermo, alzò di nuovo il piccone. Niall cercò
di divincolarsi, mentre il piccone calava su di lui, distruggendo però un
tavolino.
- Fermo! Polizia! –
gridò un agente entrato nella caffetteria, con la pistola spianata. A quel
richiamo, l’uomo non si girò, continuando a tenere gli occhi fissi su Niall.
- Tu… - disse l’uomo –
Tu sei il prescelto – gli disse. Niall era sconvolto,
non sapeva cosa pensare.
- Getta il piccone! –
ripeté l’agente.
E fu un attimo. L’uomo
si girò e corse verso l’agente, che senza pensarci due volte premette il
grilletto della revolver e fece fuoco. Una, due, tre, quattro, cinque volte. L’uomo
in impermeabile barcollò, prima di lasciare il piccone e cadere a terra di
schiena.
Dalla sua posizione
sotto il tavolo, Niall scorse la busta che aveva
lasciato il pazzo assassino, e velocemente la prese, nascondendola nella sacca.
- Mio dio – disse il
barista della caffetteria – Chi cazzo era quello? –
Sigla di testa. Immagini
in sequenza del sommario.
Cominciava il
telegiornale.
- Buonasera a tutti,
qui è Allie Donovan che vi parla in diretta da New
York. Poche ore fa, presso l’università locale, Samuel Bean, docente di
filologia antica, ha compiuto una strage in una libreria.
- Poco dopo le tre
del pomeriggio, l’uomo è entrato nella libreria con una grossa custodia simile
a quelle che si usano per trasportare le chitarre. Un commesso l’ha notato
dirigersi verso il settore Horror-Fantasy. Come testimoniano le telecamere di
sorveglianza installate nel punto vendita, l’uomo è rimasto fisso a guardare
gli scaffali, vaneggiando parole incomprensibili, poi ha tirato fuori dalla
custodia un grosso piccone ed ha iniziato la sua strage. La prima vittima è
stata un commesso del negozio, poi l’uomo ha puntato una ragazzina che stava
entrando nella libreria nonostante il fuggi-fuggi generale, e quando l’uomo è
uscito ha mietuto altre vittime. La polizia, accorsa immediatamente sul posto,
ha poi posto fine alla pazzia dell’uomo, sparandogli cinque colpi. Sembrava non volesse morire, ha
dichiarato l’agente-eroe che ha fermato l’uomo, uccidendolo. Ulteriori dettagli
nell’edizione delle otto. –
*****
Poco prima di lasciare
Louis di fronte a casa sua, Niall lo guardò
attentamente.
- Mi spieghi perché
hai cercato di fare l’eroe? Cosa pensavi di fare, di disarmarlo da solo? –
Louis bofonchiò una
risposta a metà tra il boh-non-lo-so, mi-è-venuto-d’impulso, alla quale Niall
rispose scuotendo la testa.
- Ci mancava anche il
pazzo furioso che mentre fa una strage, cerca di uccidermi… -
- Mentre ero giù ho
sentito che parlava di un Prescelto. – disse Louis, sedendosi sui gradini di
casa sua – Hai idea di che cosa volesse dire? –
Niall scosse la testa e si portò una mano nei capelli,
ravviandoli un po’. Quella nuvola di capelli biondi attirò particolarmente
Louis, che avvertì una certa sensazione mentre lo guardava. Arrossì, cercando
di dissimulare quella sensazione con un colpo di tosse.
- Non so che cosa
diavolo volesse dire – rispose Niall, guardando l’orizzonte
di fronte a sé. Il sole era ormai al tramonto, e l’atmosfera autunnale era
davvero suggestiva. Per un momento piccolissimo Niall
dimenticò il brutto episodio accadutogli, per concedersi una piccola pausa. Si
sedette sui gradini accanto a Louis.
- Sicuramente si
trattava solo di un delirio mistico – azzardò Louis, mentre Niall
frugava nella sua sacca, finché non ne estrasse la busta che il pazzo gli aveva
donato. – Quella che cos’è? – domandò Louis.
- Non lo so – rispose
Niall – me l’ha data l’uomo, prima di cercare di
farmi fuori. –
Niall guardò attentamente quella busta. Era fatta di
carta marrone e abbastanza ruvida al tatto. La aprì, facendo bene attenzione a
non strapparne il contenuto interno.
Come se stesse
assistendo all’estrazione di un prezioso reperto archeologico, Louis osservò Niall aprire la busta, incuriosito. Una volta che la busta
fu aperta, Niall ne estrasse due fogli.
Il primo era una
specie di strano disegno. Una specie di “pezzo” frastagliato con un puntino al
centro… sotto di esso, una didascalia diceva Dove tutto incomincerà.
- Dove tutto incomincerà…? Ma che cosa…? –
- Non lo so, Louis. Non
chiedermi nulla, ne so meno di te. –
Il secondo foglio era
un dattiloscritto. Niall lo guardò attentamente,
quindi lo lesse.
- …un grido gli morì in gola quando vide le
creature emergere dal buio. “Non è possibile” mormorò Brandon, mentre Warlock lo osservava. “Questo non è che l’inizio” disse
questi, ridendo sguaiatamente. –
Solo queste tre
righe. Non c’era scritto più nulla.
- Che cos’è? –
- Sembrerebbe… un
estratto di un libro di Jackson. Brandon è il protagonista, un ragazzo che s’imbatte
in uno scontro tra demoni, e che compare in tutti i libri della saga. Warlock invece è il cattivo, il signore delle tenebre… Ma questo
passo non l’ho mai letto. Eppure… -
- Eppure…? –
Questo non è che l’inizio.
Le sue elucubrazioni
mentali furono interrotte dall’improvvisa comparsa di una sua nuova conoscenza.
- Niall!
Ma ciao! Come stai? Sei venuto a trovare il mio ragazzo? –
La voce sciantosa di
Harry colse di sorpresa entrambi, che, nonostante non stessero facendo nulla di
male, si sentirono immediatamente imbarazzati di essere lì insieme, uno accanto
all’altro.
- Ehm… c…ciao Harry.
Effettivamente… io mi ero seduto qui e il tuo ragazzo mi ha raggiunto. Ehe. Che combinazione! –
Harry sollevò un
sopracciglio perplesso. - E’ vero, amore? –
- Già, proprio così. –
disse Louis, alzandosi. – Beh, che fai, vieni in casa con me? – propose a
Harry.
- Oh sì! Ero venuto a
passare la serata con te – Fece uno sguardo da cucciolo bisognoso – Non voglio
restare da solo, è successa una cosa terribile. –
- Che cos’è successo?
– domandarono Niall e Louis, quasi all’unisono.
- Oh, mio diiiiiiio!
– esordì Harry con il suo classico incipit di conversazione di tre ottave più
alte rispetto ad una voce maschile – Sembra che il professor Bean abbia voluto
picconare un po’ i suoi studenti. Ma in senso letterale! –
- Che cos’ha fatto? –
- Una cosa terribile,
amore! Ha preso un piccone e ha iniziato a fare strage di innocenti. L’ho
appena sentito da Myra, la nostra amica. Ti ricordi Myra, tesoro? Quella che
era fidanzata con Marcus, che poi lui l’ha lasciata perché aveva trovato un’altra,
e… -
Questa volta, Louis
non fermò Harry dalla sua divagazione, preferendo guardare negli occhi Niall, che stava scuotendo la testa in segno di
comprensione.
- Sarà meglio che
vada, prima che mia madre mi dia per disperso – dichiarò dunque il biondino.
Harry si fermò, e
salutò amichevolmente Niall – Ciao ciao Niall! Fatti sentire su Facebook,
mi raccomando! – disse, senza fare alcun accenno all’articolo che avrebbe
dovuto leggere. Sicuramente se l’era già dimenticato, frivolo com’era.
- Senz’altro. Louis –
disse, tendendo la mano al ragazzo – Ci vediamo. –
Louis guardò per un
secondo la mano di Niall, poi lo guardò negli occhi. Niall gli fece un occhiolino d’intesa, quindi Louis fece un
mezzo sorriso e gli diede un leggero cinque.
- Ci vediamo – gli disse
infine.
Così, Niall si allontanò verso casa, lasciando i due piccioncini
alla loro serata. Nel frattempo, nella sua testa, l’interrogativo di quella
strana frase rimaneva.
La via del ritorno a casa era
diventata buia. L’autunno portava con sé il pregio di far accorciare di
parecchio le giornate, pregio che a Niall piaceva
poco, per non dire che lo odiava. Casa sua era a due passi, ma fece
volontariamente un giro più lungo per schiarirsi le idee.
Anche di sera, New York era affollata
di gente che passeggiava avanti e indietro. Specialmente il centro, teatro di
parecchi negozi aperti, alcuni dei quali anche 24 ore su 24, ospitava un viavai
di gente che se ne fregava del buio e si godeva una serata in anticipo.
Passeggiando, Niall osservava le facce che gli
passavano davanti, pensando e ripensando a Tom Bailey, rinchiuso in un ospedale
psichiatrico per aver fatto fuori sua madre, e a quell’uomo (Professor Bean? Sì,
così aveva detto Harry) che poche ore prima aveva dato di matto, spaccando il
cranio a più di un povero cristo che si era trovato sulla sua strada. Osservando
quelle facce anonime che transitavano sul marciapiede, che chiacchieravano nei
ristoranti, che guidavano le auto, Niall si chiese E se succederà ancora?
Be’. Certo che come domanda era un po’
azzardata. Lui non era nessuno per dire che sarebbe potuto succedere ancora, né
tantomeno era sicuro che qualcuno l’avrebbe ascoltato. E poi sulla base di
cosa?
Ammetterai
anche tu che non è normale. Due individui così diversi, per età e posizione
sociale, che tutto d’un tratto impazziscono dopo aver letto un libro (almeno
riferendoci al buon Tommy) che causa loro allucinazioni notturne (sempre
riferendoci a Tommy) e per liberarsene fanno fuori le prime persone che
capitano loro a tiro. Anche volendo, quale sarebbe il movente?
Continuò a pensare e fare congetture
su tutto ciò che aveva visto, senza accorgersi di essere arrivato nei pressi
della Pendragon Press. Guardò all’interno del punto
vendita. Nonostante fossero appena le sette di sera, c’era poca gente.
- Toh – disse Niall
tra sé e sé – guarda un po’ dove ci hanno portato i piedi. Chissà se il buon
Johnny è ancora dentro a fare gli straordinari. –
*****
Seduto al suo posto nella guardiola
antistante la libreria, c’era Ben. Fischiettava e canticchiava una canzone di Kid Rock, Allsummer long, e armeggiava con qualcosa che Niall non riuscì a vedere bene, troppo nascosto dal banco
alto della reception.
- Salute, Ben – lo salutò Niall.
Il vecchio smise di colpo di
fischiettare e alzò lentamente gli occhi. Sotto la visiera del cappello, i suoi
occhi scuri incontrarono quelli chiari di Niall.
- Perché? Non ho mica starnutito. –
rispose cinico Ben.
- Ah ah ah –
rise Niall – Come vanno le cose qui in trincea, Ben? –
Ben scosse la testa, sospirando –
Vanno male, figliolo. Vanno male. – annunciò grave – la vedi questa? – posò una
specie di lungo spazzolino e rivelò una revolver calibro .44 magnum smontata,
che stava pulendo. Ben sgranò gli occhi stupito.
- Cosa ci vuoi fare con quella? Fare fuori
chi ha votato Obama alle ultime elezioni? – domandò scherzosamente Niall.
- Molto divertente, moccioso – lo apostrofò
Ben – Ma ti giuro che se il prossimo che perde la bussola del cocomero in
questa libreria voterà Obama, allora sarà una pallottola ben spesa, parola di
Ben occhio di volpe Ridgewick. – disse, ghignando sardonicamente e riprendendo
a pulire l’arma.
- Hai saputo di quel tizio che ha
fatto una strage alla libreria dell’università, vero? –
- Precisamente. Qui io devo custodire
una fottuta libreria e una fottutissima casa editrice, e quando non ci sarò
più, non voglio che la gente passando davanti alla mia tomba, mi sputi addosso.
Indi per cui, mi premunisco contro pazzi e maniaci che eleggono questa ridente
valle di lacrime come luogo dove far partire completamente le loro rotelle
fuori posto. – rispose con la solita arroganza che lo contraddistingueva. Niall fece un mezzo sorriso.
- Capisco. Johnny è ancora dentro? –
- Non l’ho visto uscire. Quel
giapponese del cazzo sarà lì che escogita nuovi modi di andare in culo all’America.
Forse lo trovi ancora nel suo ufficio. – rispose Ben, senza smettere di pulire
la sua pistola.
- D’accordo. Io vado. Riguardati, Ben.
–
- Hasta la vista, baby – rispose il custode, alzando il tamburo della
pistola contro la lampada e soffiandovi dentro – Cristo, quant’era sporco
questo. –
*****
- Il vecchio è andato fuori di senno –
disse Johnny, mentre metteva in ordine alcuni raccoglitori verdi che recavano l’etichetta
ordini fornitori – va bene che
siamo negli Stati Uniti e ognuno può avere un’arma, ma se vuoi il mio parere,
non mi sento tranquillo. Prima avevamo un custode razzista, sciovinista e
mentecatto, adesso quello stesso custode è razzista, sciovinista, mentecatto e
anche armato – si sedette pesantemente sulla sua poltrona, sospirando
ampiamente – dimmi un po’ tu. –
- Effettivamente non hai tutti i torti
– convenne Niall – Ben sembra un po’ più avvelenato
del solito, ma bisogna capirlo … non è una cosa di poco conto dover badare ad
una libreria e ad una casa editrice tutto in una volta. Me ne ha parlato
proprio ora. –
- Ha! – esclamò Johnny, alzando il
pollice e indicando con esso dietro di sé, Johnny rispose – Dico, sai cosa gli
ha offerto la casa editrice per andarsene in pensione? Prova un po’ a dire? –
- Non lo so. Quanto? –
- Gli hanno offerto la bellezza di
cento ottantamila dollari. Ci ha sputato sopra, dicendo che lui ama il suo
lavoro e non vuole andarsene prima di pensionarsi effettivamente. Quindi le sue
lamentele sulla sorveglianza può tranquillamente tenerle per sé. –
Niall ridacchiò – buon vecchio Ben. L’America sarebbe
persa, senza di lui. –
- Già, rimarrà sempre nelle nostre
barzellette. A proposito, hai sentito di quel tizio che ha fatto una strage
alla libreria dell’università? –
Niall sospirò – Sentito… e
anche visto. Ero lì quando quel tizio ha dato di matto, e per poco non faceva
fuori me e un mio amico. – Amico? Da quando
in qua Louis era diventato suo amico?
Johnny sgranò i suoi occhi a mandorla,
sorpreso – No! Sul serio? Oh, cazzo. –
- Sì sì. –
confermò Niall - Dico sul serio. –
- Racconta un po’? –
Velocemente, Niall
gli raccontò tutto nei dettagli, da come si fosse accorto dell’uomo che usciva
dalla libreria a come avesse fatto irruzione nella caffetteria e di come per
poco non gli avesse sfondato il cranio con il piccone. Johnny ascoltò tutto nei
dettagli, annuendo e tenendo una mano sulla bocca, spaventato. Niall immaginò che stesse proiettando tutto l’accaduto
nella sua libreria, preoccupandosene di conseguenza.
- E questo è tutto. – dichiarò Niall alla fine. Johnny era sconvolto.
- Cristo – mormorò – Pensa un po’.
Sembra un’epidemia. La gente normale che impazzisce. Ah.. e.. hai sentito?
Sembra che vogliano interrogare Jackson. –
Niall fece una smorfia d’incredulità – Cosa..? ma..
perché? –
Johnny rispose con un’alzata di spalle
– Boh, e chi lo sa. So soltanto che Jackson è scomparso. Non è più reperibile. –
- Cooosa? Davvero? –
- Certo. Stamani ho parlato con WendySilvers, dell’amministrazione.
Era scesa per controllare alcuni ordini che non le tornavano, raccolti in
quegli scaffali verdi – indicò gli scaffali con un cenno della mano – Allora ho
approfittato per chiederle un po’ di Jackson.. -
- E..? –
- Ha risposto che Il signor Jackson ha detto di dover tornare a casa, ma non ha lasciato
recapiti, e noi non sappiamo davvero dove possa essere andato. Suppongo che
però si riferisse a RirmorSadkners,
il paese da dove di solito ci invia la corrispondenza. –
-Rirmor.. Sadkners? – Niall scosse la testa, anche se il nome non gli era del
tutto estraneo. Solo non ricordava dove l’aveva sentito prima. Nel sentirlo, un
debole bagliore di luce aveva illuminato la sua memoria, ma era troppo fioco
perché potesse fare luce sui suoi ricordi.
– Hai da scrivere? – domandò Niall.
- Certo, tieni – Johnny gli porse una
matita BerolBlack Beauty
ed un taccuino, dove Niall segnò il nome del posto. Staccò
il foglio e se lo mise in tasca.
- Perché hai preso nota del posto,
scusa? –
- Oh.. niente. Vorrei solo verificare
una cosa, tutto qui. – buttò lì Niall, vago – A proposito,
si sa nulla del romanzo che doveva scrivere? –
- Ah, per ora è tutto fermo. Cosa
credi, che si metta a scrivere anche quando ha alle costole la polizia che
vuole interrogarlo? Non ne ho saputo più nulla, se vuoi saperlo. –
- Hmh. Senti
ma.. c’è qualcuno che legge i romanzi di Jackson prima che vengano pubblicati? –
- Che domanda. Certo che sì. Ci saranno
almeno tre persone che leggono i suoi romanzi, tra cui la sua editor, il suo correttore di bozze, e DhaliaClaiborne, la segretaria del Gran Capo Harry baciami-il-culo Wesley. –
Harry Wesley era l’amministratore
delegato della Pendragon Press. Nel suo ruolo
dominante, considerava Jackson come la sua gallina dalle uova d’oro, e si
riservava di leggere i suoi romanzi prima della pubblicazione, dopo che fossero
stati passati al vaglio da editor e correttore di
bozze. Johnny non lo sopportava, quel pallone gonfiato. Ogni volta che veniva a
fare visita alla libreria aveva sempre qualcosa da ridire. Una volta erano gli
scaffali troppo nascosti, un’altra i libri che non erano abbastanza bene
ordinati, e via dicendo. E ogni volta Johnny doveva abbassare il capo e dire Certo, signor Wesley, sarà fatto, signor
Wesley, senz’altro, signor Wesley, se gli era caro il suo posto di
responsabile del punto vendita. Ecco, forse sarebbe stato contento se un altro
cliente fosse impazzito mentre c’era lui in visita. Si sarebbe goduto la scena
di quel rompicoglioni di Wesley che veniva ammazzato con particolare gusto.
- Capisco – disse Niall,
annuendo. Gli occhi gli caddero sul suo orologio da polso – Cazzo, si è fatto
tardi. Sarà meglio che vada, o mia madre chiamerà la polizia. –
- D’accordo. Io resto ancora un po’
qui, ho del lavoro da finire. –
- Come vuoi. Ciao Johnny, grazie della
bella chiacchierata. –
- Ciao Niall,
torna a trovarmi presto! – lo salutò, e Niall uscì
velocemente dalla porta. Rimasto solo, Johnny rimase a fissare un punto
indefinito della stanza. Chissà che cos’ha
in mente, quello, pensò, prima di rimettersi al lavoro.
Per raggiungere casa
sua in periferia, Niall avrebbe dovuto prendere un
autobus. Man mano che ci si allontanava dal centro, il volume di gente diminuiva
ad ogni isolato. E un’altra particolarità di New York era che contestualmente
alla diminuzione dei passanti, diminuiva anche la qualità dei negozi e delle
case. Infatti, tanto chic e luminosi erano i negozi del centro, tanto erano più
squallidi e tetri i negozi della periferia. Mentre camminava, Niall si sentiva leggermente intorpidito, come quando ci si
sveglia la mattina e non si sono recuperate bene le forze. Avrebbe voluto
tornarsene a casa e mettersi direttamente a letto, ma prima avrebbe dovuto
farsi il tratto in autobus.
Che palle, essere senza macchina. Se avessi un
padre meno spilorcio, sarebbe meglio…
Nonostante fare
chilometri a piedi fosse salutare, non avere un veicolo era un discreto
problema. Specialmente quando accadeva che l’autobus era già arrivato alla
fermata e stava per partire.
- Oh cazzo! – esclamò
Niall, vedendo l’autobus che accostava al segnale
della fermata, con la freccia lampeggiante. Dall’autobus scesero un po’ di
persone, specialmente afroamericani e asiatici che vivevano nella bassa
periferia. Niall accelerò il passo, ma fu quando vide
che l’autobus aveva azionato la freccia a sinistra che si mise a correre a
perdifiato.
- Ehi aspetti! –
urlò, ma l’autista, una mano sul volante e l’altra sulla leva del cambio, si
calò il berretto sugli occhi per non vedere. Mi dispiace signore, ho una tabella di marcia da rispettare, gli
avrebbe detto se Niall avesse avuto il dono di
leggere nel pensiero. Niallcerc.
Di correre più forte, ma non ci fu nulla da fare. L’autobus partì senza di lui,
sfrecciandogli incontro e girando poi a sinistra.
- Fanculo!!! – urlò Niall, disperato. Era l’ultimo autobus, quindi lo aspettava
una bella passeggiata.
*****
Faceva fresco, per
essere solo Ottobre. Niall era vestito con solo una
maglietta a maniche corte e non aveva nulla addosso oltre alla sua sacca. Cazzo, che freddo, pensò, stringendosi
nelle spalle con le mani calate nelle tasche per cercare di combattere quella
sensazione. Il torpore di poco prima era addirittura aumentato, ora non si
sentiva più solo mezzo rimbecillito: si sentiva completamente fuori di sé.
Forse mi sono ammalato. Si toccò la fronte, ma era fredda. Quindi l’ipotesi
influenzale era da escludere. Accelerò il passo, per arrivare a casa prima che
poteva.
Pochissime volte
nella sua vita aveva perso l’autobus, e quelle pochissime volte non era mai
stato solo. L’ultima volta era stato quando aveva appena sei anni, insieme a
sua madre. Per una visita protrattasi fino a tardi all’ospedale conclusasi con
una bella lavanda gastrica (il piccolo Niall aveva
ingerito del gasolio per motoseghe scambiandolo per coca-cola), lui e sua madre
avevano perso l’ultimo autobus per tornare a casa, e non potendo permettersi di
chiamare un taxi, si erano disposti a tornarsene a piedi.
Il motivo per cui
cercava di stare sempre attento agli orari era molto semplice: per strada
giravano certe facce poco raccomandabili… da allora non era cambiato nulla:
loschi figuri che si acquattavano nell’ombra per consumare droga, puttane e magnaccia
che si assembravano attorno ai bidoni dati alle fiamme per scaldarsi, senza
contare i chicanos
che ti avvicinavano con un coltello chiedendoti se avevi qualche dollaro da
prestare loro.
Sperò che nessuno
avesse a rompergli le scatole, almeno per quella sera. Aveva provato già
abbastanza emozioni.
Solo che il giorno
non era ancora finito.
- Ehi amico – una
voce dietro di sé lo fece trasalire. Si voltò, senza smettere di camminare, ma
non vide nessuno.
- Ehi amico – disse di
nuovo la stessa voce. Questa volta Niall vide di chi
si trattava. Era un ragazzo di etnia messicana dalla faccia butterata e sfatta.
Gli si parò davanti fermandolo con le mani, e al tentativo di Niall di scappare, questi lo fermò bruscamente.
- Non avresti qualche
dollaro per me? –
- N.. No, sono uscito
senza portafoglio – rispose Niall
A quella risposta, il
ragazzo cambiò espressione. Niall lo guardò, e ciò
che vide non gli piacque per niente.
Gli occhi del ragazzo
si erano chiusi fino a diventare due fessure scintillanti di fuoco, e il viso
si era contratto in sé, come se il ragazzo avesse preso un pugno in pieno naso
e la faccia gli fosse rientrata nella testa. La bocca assunse un’espressione
feroce, e i denti gli si erano aguzzati.
- Non sta bene
rifiutare un po’ di denaro a chi te lo chiede – sibilò il ragazzo,
Il mostro
Il demone
mostrando i denti
affilati. Niall indietreggiò senza smettere di
guardarlo, e quello rimase immobile al suo posto, sogghignando maleficamente.
Indietreggiando, Niall urtò contro qualcun altro. Si voltò. Innanzi a lui c’era
un altro ragazzo. Questo aveva i capelli riccioli e sconvolti, vestiva un completo
da pallacanestro. Anch’egli aveva lo sguardo indemoniato e gli stessi denti di
quell’altro.
- Che c’è, moccioso –
domandò questo – ti sei perso? Ahahahah! – la sua
voce era stridula e soffocata, come la sua risata.
- N.. no… No…. Noooo!!! –
Niall raccolse le sue forze e corse via da quei due
mostri, che ridevano sguaiatamente. Nel correre, inciampò sul marciapiede, finendo
in strada, contro un taxi che dovette inchiodare per non investirlo. La luce
dei fari abbagliò gli occhi di Niall, che cercò di
proteggersi con le mani, mentre il tassista abbassava il finestrino e agitava
il pugno contro di lui.
- Pezzo d’idiota! Che
cazzo credi di fare? –
- Mi scusi… - mormorò
Niall – Sono.. inciampato. –
Nonostante la luce
fosse molto forte, riuscì a vedere che anche il tassista aveva un aspetto da
demone. Le mani sul volante erano diventate artigli insanguinati, e i suoi
occhi sembravano quasi non esserci, tanto erano neri.
Niall si allontanò dal veicolo, sempre tenendo gli
occhi fissi sull’uomo, che intanto stava scendendo dalla vettura e protendendo
le mani verso di lui.
- Non… non toccarmi. …Và via. Và via!!!! – urlò, ma il
tassista continuava ad avanzare.
Niall si girò, e mentre lo faceva, qualcuno gli toccò
un braccio. Urlò.
- Ehi ragazzo – era un
agente di polizia biondo – Tutto a posto? Perché urli? –
- Agente – Niall era frastornato, respirava a fatica, il ritmo del suo
cuore era accelerato – Ci sono dei demoni qui in città! –
- Demoni? Che sciocchezze
stai dicendo? Hai visto troppi film dell’orrore, forse? –
- E’ la verità! Li ho
visti! Guardi lei! –
L’agente si guardò
intorno, ma non vide null’altro che il solito teatrino di puttane, papponi, chicanos e asiatici.
- Molto divertente,
ragazzo – rispose l’uomo in divisa – Adesso però vattene a casa, prima che ti
sbatta dentro. –
- Vi giuro che… -
L’agente lo guardò
con malocchio, quindi Niall decise di non aggiungere
nient’altro. Quando si fu allontanato di qualche metro dall’agente, si voltò.
Quello era ancora lì che lo fissava, non si era mosso di un millimetro da che
si era allontanato. Per guardare meglio, Niall
socchiuse gli occhi. La faccia dell’agente si era deformata, le sue dita erano
diventate artigli e lo guardava sogghignando.
- Questo non è che l’inizio
– disse l’agente, ridendo sguaiatamente.
A dispetto di quanto lui dicesse e facesse, il
lavoro di Ben Ridgewick era alquanto noioso. Nel 1976,
quando lui era un trentaseienne in cerca di lavoro dopo aver servito la Patria nella
Guerra del Vietnam, aveva dovuto scontrarsi con la triste e dura realtà di
quegli anni di contestazione. Il boom economico che aveva investito l’America
sembrava esser diventato talmente vecchio e opprimente da fare schifo alle
nuove generazioni, che, mosse da chissà quali istinti pacifisti, andavano in
giro per strada a cantare di amore libero e pace nel mondo, vestendosi come
degli idioti e difendendo strenuamente i loro ideali, anche a costo di venire
presi a botte dalle forze di polizia. In quegli anni, Ben Ridgewick
andava in giro con i suoi abiti più preziosi, ovvero una camicia verde da
soldato, un paio di pantaloni dello stesso colore e la medaglietta con scritto
il suo nome e la sua data di nascita. Quando usciva di casa per trovarsi un
lavoro, i figli dei fiori (così si
facevano chiamare) lo sbeffeggiavano, lo insultavano, lo chiamavano assassino
di donne e bambini, gli facevano credere che avesse combattuto per degli ideali
fatui, che in realtà la patria se ne sbatteva altamente le palle di lui adesso
che la guerra era finita, e gli auguravano di morire schiacciato come uno
scarafaggio.
- Se avessi ancora un
plotone di soldati ed il mio fucile a disposizione – diceva Ben – Vi caricherei
e vi ammazzerei tutti quanti siete, brutti ingrati pezzi di merda! –
Se poi trovava
qualcuno disposto ad offrirgli un lavoro, questo ritirava immediatamente
l’offerta quando sentiva che l’uomo era stato impiegato nelle forze armate per
muovere guerra al Vietnam.
Così, il povero
ex-sergente Benjamin John Ridgewick era costretto a
fare i conti con la schifosa realtà di non riuscire a reinserirsi nella società
civile, finché…
…finché un giorno,
non arrivò l’illuminazione.
Una telefonata.
Al Stiller, un suo
vecchio ufficiale, gli aveva trovato un aggancio per lavorare come custode di
una casa editrice appena nata, la Pendragon Press, di
proprietà di un suo amico, il signor Harry Wesley Senior (padre dell’attuale
proprietario Harry Wesley), che, in virtù della vecchia amicizia che lo legava
a Stiller, dopo dieci minuti di colloquio assunse Ben nel ruolo in cui si trova
ora, come custode della Casa Editrice e Libreria.
E così, era dal 1976
che non succedeva nulla di interessante, fino a quei giorni in cui i clienti
entravano nelle porte a doppio battente delle librerie e facevano fuori un paio
di clienti ed impiegati. E Ben era preparato all’evenienza.
Purtroppo quel giorno
non doveva essere il suo giorno fortunato, quando il telefono del suo posto
alla reception squillò.
Al primo squillo ben
lasciò il suo giornale sulla sua scrivania e sollevò il ricevitore,
portandoselo all’orecchio.
- Ben Ridgewick, chi parla? –
Bastarono poche
parole per far saltare Ben sulla sedia, fargli aprire il cassetto dove teneva
la sua .44 magnum e fargli dire – Arrivo subito! Voi chiamate la polizia! –
Impugnò la sua
pistola e corse verso gli ascensori.
*****
Come tutte le
mattine, ai piani alti della Pendragon Press c’era la
solita tranquillità ovattata, fatta di pettegolezzi sulla segretaria del grande
capo e su come le altre impiegate avevano passato la serata, inventando le
migliori scuse per non dire che erano rimaste a casa a guardare l’ultima
telenovela anziché uscire con qualcuno, inventando vite sociali meglio degli
scrittori che pubblicavano libri presso la casa editrice. Una di queste, Goldie Jenkins, era in ottimi rapporti con la direzione, in
special modo con la segretaria delle segretarie, la prima donna di tutta la Pendragon Press: DhaliaClaiborne.
Quella mattina Goldie Jenkins era andata alla porta dell’ufficio della Claiborne con l’idea di proporle un caffè fatto da lei con
una nuova miscela italiana arrivata direttamente da Napoli. Roba d’importazione, le avrebbe detto, quindi molto pregiata. Arrivata alla
porta, fu come se avesse suonato un campanello. La Claiborne
uscì dal suo ufficio guardando dritta di fronte a sé, ma senza apparentemente
accorgersi di Goldie. Goldie
la guardò sollevando un sopracciglio. C’era qualcosa di strano nella donna, che
non le piaceva per niente. Certo, di solito era abbastanza fredda e malvagia
con la maggior parte delle ragazze, ma solo perché erano giovani e belle,
mentre con le sue coetanee, Dhalia riusciva a tenere
un comportamento anche civile. Con Goldie Jenkins era
addirittura più gentile, visto che la donna era la sua fonte inesauribile
d’informazioni sulle voci che correvano dietro la sua schiena: in poche parole,
era la sua spia personale. Questo fruttava a Goldie
dei benefit fuori busta e l’odio
delle colleghe più giovani. Nonostante di solito si comportasse diversamente
con Goldie, quella mattina Dhalia
era diversa.
Goldie la osservò meglio, e vide che in mano stringeva
qualcosa di metallico. Un tagliacarte.
- Dhalia,
buongiorno! – la salutò con entusiasmo Goldie – Come
va’? –
La donna non gli
rispose immediatamente, quindi girò lo sguardo verso di lei. Sembrava
catatonica.
- Goldie…
- farfugliò – Stanno arrivando… -
- Chi, Dhalia? – Goldie le andò vicino e
le toccò la spalla.
La bocca di Dhalia si contrasse lentamente in un sorriso, che assunse
le fattezze di un vero e proprio ghigno satanico, quando la donna sollevò il
tagliacarte che teneva nella mano destra e lo calò come un pugnale sul collo di
Goldie.
Spaventata, Goldie si ritirò bruscamente, quasi cadendo all’indietro.
Una delle ragazze sollevò gli occhi mentre stava battendo una lettera al
computer, vide la Jenkins scartare una coltellata da parte della Claiborne e si alzò in piedi. Attonita, continuò a seguire
ciò che successe dopo, incerta se urlare oppure stare zitta.
- Dhalia!
Che cosa ti prende, in nome di Dio?!? Fermati! Fermati!!! –
Ma la Claiborne non si fermò. Buttò via il tagliacarte e ruppe
con i gomiti una postazione antincendio, estraendone un’ascia d’emergenza.
Con la nuova arma tra
le mani, prese bene la mira e centrò in pieno il cranio della Jenkins,
spaccandoglielo a metà. A quel punto, una ragazza si mise a urlare.
- Ahhhhh!!!
–
- Aiuto!!! – urlò un’altra,
correndo nel labirinto delle scrivanie. La Claiborne
la intercettò e vibrò un colpo che le fece partire la mano destra tra schizzi
di sangue.
- Aaaaaarrrrrghhhhhhhhhhh!!!
– strillò la ragazza, cadendo in ginocchio con il moncherino insanguinato. Dietro
di lei Dhalia calò un altro colpo all’altezza della
spalla, spaccandole la clavicola sinistra.
Un ragazzo giovane,
appena assunto nell’azienda, sopraggiunse alle spalle della donna, cercò di
disarmarla, ma fallì miseramente: quando la Claiborne
si accorse di lui, menò un colpo d’ascia all’altezza del braccio sinistro,
spaccandoglielo. Il giovane cadde a terra, e lei alzò l’ascia all’altezza del
suo inguine.
- N… no… no… Noooooooooooooo!! – urlò il giovane, ma invano. La lama
dell’ascia calò miseramente sul suo inguine. Il giovane fece un Ooohdi sorpresa, gettò un fiotto di sangue
dalla bocca e rimase lì sulla moquette, agonizzante.
Mentre stava per
dargli il colpo di grazia, dal corridoio adiacente sopraggiunse Harry Wesley, che
vedendo la sua segretaria sporca di sangue brandire un’ascia, sgranò gli occhi
preoccupato.
- Dhalia!
Cosa cazzo sta succedendo qui??? –
- Nulla – rispose la
donna, sollevando l’arma – Succede solo che Jackson sta per arrivare, e lei sta
per morire, Presidente. –
- Che cos….? –
Harry Wesley non ebbe
il tempo di pronunciare le ultime parole, che l’estremità appuntita dell’ascia
gli sfondò il cranio quando la Claiborne gliela calò
pesantemente sulla testa. Quando l’ascia penetrò nel suo cranio, schizzò un
fiotto di sangue sui quadri, delle gigantografie di copertine di libri di
successo venduti dalla Pendragon agli inizi della
carriera. Rimasta sola, la Claiborne avanzò diretta
verso gli ascensori.
Quando le porte si
aprirono, si ritrovò davanti Ben Ridgewick che
brandiva una pistola. Uscito dall’ascensore, l’uomo si guardò intorno, e vide i
cadaveri delle persone che la Claiborne aveva
trucidato.
- Ferma, Claiborne! Butta l’ascia! – le ordinò.
La Claiborne buttò la testa all’indietro e si mise a ridere. La
sua faccia era una maschera di schizzi di sangue.
- Mi hai sentito? Butta
quella cazzo di ascia! – ordinò nuovamente Ridgewick,
avanzando verso di lei con la pistola spianata, nell’intenzione di non spararle
finché non l’avesse aggredito direttamente. Sicuramente alla polizia l’avrebbero
voluta viva, e se lui le sparava in quel momento, rischiava una denuncia per
omicidio volontario. Doveva aspettare che la donna reagisse.
- Ti consiglio di non
farmi incazzare, donna. Ne ho messe a posto di più stronze di te. Quindi vedi
di ascoltarmi e facciamola finita! –
- Tu, omuncolo
patetico e senza speranza – disse DhaliaClaiborne, con una voce che non sembrava nemmeno la sua –
Tu non puoi fermare l’avanzata delle tenebre. Fatti da parte, e forse avrai
salva la vita. –
Per nulla intimorito,
Ben Ridgewick continuò a puntarle contro la calibro
.44. – Forse non hai capito con chi hai a che fare, donna. Adesso conterò fino
a tre, poi voglio vedere quell’ascia a terra e te con le mani in alto, è
chiaro? Uno…! –
La Claiborne restò lì a fissarlo, con quel ghigno sardonico.
- Due…! –
Fuori si sentivano
già le sirene della polizia e dell’ambulanza, sicuramente allertate da Johnny,
giù alla libreria. Ridgewick tirò un sospiro di
sollievo senza farsi vedere dalla megera, che nel frattempo aveva assunto un’espressione
demoniaca. Avanzava verso di lui… dapprima erano passi lenti, che poi
diventarono sempre più veloci.
- Tre!!! –
Non ebbe il tempo di
dirlo, che la Claiborne (o quel che rimaneva della Claiborne) gli fu addosso. Dalla pistola di Ridgewick partì un colpo che mandò in frantumi la vetrata
di accesso agli uffici, ma che non ferì la Claiborne
che intanto si era avventata sull’uomo.
- Cazzo!! Lasciami,
puttana!!! – sbraitò Ridgewick, mentre la donna
spalancava le fauci e gli mordeva il collo.
- Aaaarghhh!!!
– urlò il povero Ben, mentre i denti affilati del demone gli affondavano nella
carne. Lasciò andare la pistola, e il demone la respinse via dietro di sé.Con le ultime forze Ridgewick
cercò di lottare per scrollarsi di dosso quel mostro (era incredibilmente forte, cazzo!!!), ma non ci riuscì, mentre
perdeva lentamente conoscenza.
- Adesso chi è che
comanda, omuncolo? – disse il demone, ridendo sguaiatamente. All’improvviso, un
colpo di pistola lo fermò dalle risate. La Claiborne
si girò di scatto, vedendo Johnny, quel ragazzo giapponese manager della
libreria che brandiva la pesante arma con due mani tremanti, e gli occhi di un
bambino spaventato. Abbandonò il cadavere di Ridgewick
e si avvicinò a Johnny lentamente. Questi non ci pensò due volte e sparò un
secondo colpo, che andò dritto in mezzo ai seni della donna.
La Claiborne si fermò un secondo, poi rialzò la testa e
ricominciò ad avvicinarsi a lui, quindi Johnny sparò un secondo colpo, poi un
quarto e infine l’ultimo.
L’ultimo colpo fece
esplodere la testa della Claiborne in uno schizzo
misto di sangue e materia cerebrale, che macchiò anche la sua faccia.
Il corpo senza testa
di colei che era stata prima segretaria della Pendragon
Press andò giù in ginocchio, cadendo con un tonfo ovattato sulla moquette, come
se fosse stato un pupazzo umano a grandezza naturale. Johnny si sentì mancare
le forze, e cadde seduto sulla moquette, abbandonando la pistola ormai scarica.
Mentre era accasciato
a terra, sentì la polizia risalire per le scale, sfondare il portone d’accesso
al piano presidenziale e irrompere nell’ufficio. Quando i poliziotti lo
trovarono, Johnny era svenuto.
La casa di Johnny era
a pochi isolati di distanza da quella di Niall, con
la differenza che il quartiere di Johnny non era un tranquillo quartiere
residenziale di periferia… era bensì la Chinatown di New York.
Nonostante Johnny non
fosse cinese ma giapponese, Niall sapeva che il
ragazzo si trovava comunque bene in quel tranquillo sobborgo. Ci abitava da
quando aveva deciso di vivere a New York pochi anni prima, e non aveva mai
pensato di abbandonare il suo tranquillo appartamento in affitto. Quando Niall giunse nella sua via, non riuscì a ricordare quale
fosse il portone giusto.
- Uhm … era questo…?
–
Salì le scale e
osservò i cognomi sui campanelli. Nessuno di questi corrispondeva a quello di
Johnny.
- Che palle… - scese
la scalinata e andò verso quella più prossima, ricordandosi improvvisamente che
era quella.
Suonò il campanello,
e dopo qualche istante, il portone si aprì.
*****
- …La Claiborne è impazzita circa alle nove, cioè un’ora dopo la
sua entrata in azienda. Aveva l’abitudine di chiudersi in ufficio ed esaminare
i manoscritti che le arrivavano, dopo la correzione degli editor. Ieri mattina
è uscita dall’ufficio, e dopo aver fatto fuori Goldie
Jenkins, si è accanita sugli altri impiegati… una carneficina inaudita. –
Lo sguardo di Niall era dispiaciuto. – E Ben…? – la domanda era del tutto
retorica: aveva appreso della morte di Ben dal giornale del mattino, ma aveva
voluto saperne di più da Johnny.
Johnny sospirò,
dispiaciuto anch’egli – Ben… era stato avvisato dalle impiegate che erano
riuscite a scendere un piano più in basso e a chiamarlo al telefono interno… Io
l’ho visto che aspettava l’ascensore con la pistola in mano, gli ho chiesto che
cosa stesse succedendo, e lui mi ha liquidato dicendo di chiamare la polizia.
L’ho chiamata, poi sono andato all’ultimo piano e ho trovato la Claiborne che gli stava mordendo il collo. Dopodiché… -
- Dopodichè…
-
- …Aveva perso la
pistola. Senza capire bene come, l’ho presa io e ho mirato alla Claiborne, poi ho premuto il grilletto. Buon vecchio Ben…
ci mancherà. A tutti. Era un rompiscatole e guerrafondaio, ma se non altro era
sincero. – concluse Johnny, poi fece una pausa e scosse la testa. – E’… è
semplicemente assurdo. Pazzesco. –
- Che cosa? –
Johnny si voltò verso
Niall, alzandosi dal divano – Le ho sparato un
confetto di piombo abbastanza potente da farle esplodere il torace, ma lei non
andava giù. Era come se il suo corpo fosse diventato improvvisamente forte. –
Si mise le mani in tasca e andò verso la finestra, guardando la città fuori.
New York sembrava bellissima e poetica vista dall’alto, ma era un altro il
motivo per cui Johnny stava versando una lacrima. Pensava a ciò che aveva
fatto, al fatto che ci fosse qualcosa che veramente non andasse bene… al fatto
che non riuscisse a capire cosa.
Niall lo capiva, e per solidarietà si alzò e gli andò
vicino, abbracciandolo. Sapeva che Johnny aveva avuto una ragazza e ora era
single, per cui non poteva contare sull’affetto di chissà chi. Johnny sospirò,
lasciandosi abbracciare e carezzando dolcemente i capelli biondi di Niall - …Le ho scaricato un caricatore intero in corpo. Poi
quando ho mirato alla testa… ho fatto centro. E gliel’ho fatta esplodere –
mormorò.
- Sì – disse Niall – Ho letto il giornale stamani. –
- E’ quel libro –
disse ad un certo punto Johnny, come colto da un’illuminazione. – C’entra quel
dannato libro di quel dannato Jackson. – Disse, sciogliendosi velocemente dall’abbraccio.
Niall lo guardò con occhi tristi e stanchi – Che prove
hai a conferma di ciò? –
- Quando sono entrati
nel suo ufficio, della Claiborne, non hanno trovato
il manoscritto da nessuna parte. Era come volatilizzato. –
- E’ incredibile – Niall scosse la testa – Anche se fosse, perché un libro
dovrebbe far impazzire la gente? Che movente avrebbe Jackson? –
- Non lo so. E non lo
voglio sapere. Oggi sono rimasto qui a casa, ed ho intenzione di rimanerci il
più a lungo possibile. –
- Cosa…? E alla
libreria come faranno, senza di te? –
Johnny scosse la
testa – Non me ne importa nulla – rispose – Ho preso un mese di ferie,
dopodiché deciderò se presentare o meno le mie dimissioni. Ho già pronta
l’e-mail da mandare all’ufficio personale. –
- Ma… perché? –
Johnny si voltò verso
Niall. I suoi occhi erano uno specchio di paura e
rabbia – Niall – rispose – Se anche tu avessi visto
ciò che ho visto io, forse capiresti. –
- Che cos’hai visto?
–
In quel momento Johnny
dovette rivivere ciò che aveva visto la mattina precedente: il corridoio
insanguinato, una mano tranciata sulla moquette, un ragazzo con l’inguine
spappolato, una donna con il cranio sfondato e il Presidente Harry Wesley con
la stessa lesione… e poi quella donna. Quella donna che lo guardava con
quell’espressione demoniaca. Johnny credeva nell’esistenza di un’entità
superiore, credeva nel paranormale, e per ciò che la sua mente conosceva, aver
visto quello spettacolo di sangue quel giorno era stato davvero troppo. Da
quando era stato portato via dai poliziotti in ospedale per accertamenti
medici, si era convinto che lavorare alla Pendragon
non sarebbe più stato come prima.
- Quella donna… -
mormorò, a bassa voce – …quella donna… era indemoniata. Non aveva più la sua
espressione… era come… alterata. Sembrava un mostro. Non… non puoi capire cosa
ho dovuto vedere, Niall. – concluse, portandosi le
mani agli occhi, come un bambino che si copre il viso per non vedere quello che
più lo spaventa.
A quella dichiarazione,
Niall avrebbe voluto dirgli che lo capiva, avendo
visto altri demoni in una sera in cui aveva perso l’autobus.
- Coraggio – gli
disse Niall, andandogli vicino e cingendogli la vita
– Adesso è passato. –
- No, non è passato –
rispose Johnny – Non è finita. Bisogna scoprire dov’è Jackson. Chiedergli che
cosa sta succedendo, che cos’ha in mente. –
- E come si può fare,
Johnny? – domandò Niall – Non si sa dove sia andato a
finire, l’hai detto tu che è ricercato dalla polizia ma che non riescono a
trovarlo. –
A quel punto Johnny
guardò Niall con uno sguardo triste e pesante. – Ti
devo delle scuse, Niall – disse Johnny, andando verso
la sua stanza.
- Dove stai andando?
–
- Seguimi. –
*****
Lo studio di Johnny
era incorporato nella sua stanza da letto. Su quella scrivania c’era di tutto:
fumetti, libri, carteggi vari, raccoglitori sicuramente razziati dal suo
ufficio, penne, matite e un computer portatile, semi sepolto dalla quantità di
robaccia che Johnny aveva accumulato nel corso del tempo. Quando Niall entrò, trovò Johnny a frugare in mezzo al suo casino,
mettendo da parte fogli e cianfrusaglie, e sbuffando per la quantità di polvere
che c’era.
- Toglimi una
curiosità, Johnny… da quanto tempo è che non dai una pulita, qui? – domandò Niall, passando un dito sul piano della scrivania e
sporcandoselo di polvere.
- Oh, sarà da quando
tu ancora sognavi i calciatori che venivano a farti visita di notte – rispose Johnny,
senza smettere di frugare – Ma dove cavolo l’avrò messa! – esclamò,
spazientito. Si mise le mani sui fianchi, guardandosi intorno nella stanza. Niall non riusciva a capire cosa stesse cercando.
- Ah! Forse ho
trovato! –
- Che cosa? –
Senza rispondergli,
Johnny si mise al computer portatile e lo accese. Sulla schermata principale di
Windows XP (Johnny non era un gran maniaco di informatica, perciò teneva ancora
un vecchio computer che gli bastava giusto per controllare le e-mail e per
provare a scrivere qualche romanzo) comparve l’icona del suo account utente, le
palme tropicali. Cliccò sopra e digitò una password. Una volta aperto, aprì
Microsoft Outlook.
Come la sua
scrivania, anche la sua e-mail era piena di messaggi. Niall
stimò che più della metà fossero inutili, mentre solo una parte erano veramente
significativi. Mentre cercava, Niall si mise a giocare
con la chitarra del ragazzo, strimpellando qualche accordo. Intanto Johnny
cercava tra i messaggi. Cercò per un bel po’ di minuti, poi finalmente esclamò –
Ha! Lo dicevo io che non potevo averlo cestinato! –
- Hai trovato quello
che cercavi? – domandò Niall, saltando giù dal letto
e andandogli vicino. Johnny era a metà tra il trionfante e il felice, ma non
era quello il momento per darsi all’euforia, quindi si limitò ad aprire il
messaggio e lanciarne una stampa alla stampante sullo scaffale alto della
libreria.
- Questa mail… è la
mail di rifiuto di Jackson. L’avevamo invitato a tenere una presentazione del
suo libro alla nostra libreria, ma lui ha cortesemente declinato con questa
mail. Nella sua firma c’è l’indirizzo di dove abita. –
Niall osservò la stampante ruggire delicatamente mentre
stampava il documento, quindi lo prese e lo esaminò.
- Rirmor…
Sadkners… - lesse ad alta voce Niall.
– E’ il nome della città che mi avevi detto tu. Ma dove si trova? –
Johnny guardò la mail
aperta sul suo computer – Maine – dichiarò, con sicurezza – è scritto lì, nell’indirizzo.
C’è la sigla dello stato. –
- Hmh…
non ho mai sentito di una città con quel nome, nel Maine. Dove sarebbe? –
- Questo non lo so –
rispose Johnny – Ma sicuramente provando a fare una ricerca con Google Maps, ci si può arrivare. –
- Ti andrebbe di
provare? –
- Assolutamente. –
Johnny fece una
ricerca su Google Maps digitando “RirmorSadkners”, ma non ottenne nulla, neanche dopo
svariati tentativi.
- Destinazione
sconosciuta? Ah, andiamo! – esclamò, battendo le mani sul piano della scrivania
– Come sarebbe a dire?!? –
- Lascia perdere,
Johnny. Forse è una presa in giro che ti ha fatto quello scrittore… -
Johnny sospirò
ampiamente – Forse. D’accordo, allora come non detto. Sarà meglio buttarsi
tutto questo alle spalle. Forse sarebbe stato meglio se non ti avessi detto
nulla. Puoi anche buttare quel foglio che ho stampato, anzi… te lo consiglio. –
- Non preoccuparti –
rispose Niall – Suppongo che … -
All’improvviso, il
telefono squillò. Johnny si alzò dalla poltrona della scrivania e andò a
rispondere. Lo sentì parlare al telefono forse con qualcuno della libreria, un
suo sottoposto o un suo collega manager… nel frattempo esaminò quella mail. A parte
le gentilissime parole di rifiuto, l’unica cosa che sarebbe potuta essere
interessante era l’indirizzo scritto in firma. Non un numero di telefono, non
un indirizzo e-mail. Niall guardò verso la stanza
principale, vedendo Johnny che camminava con il cordless nella mano. Piegò il
foglio e lo intascò nei jeans.
Andò verso la stanza
principale, Johnny stava discutendo abbastanza animatamente di quanto fosse
rimasto sconvolto da ciò che aveva visto con una ragazza, che Niall capì essere Thelma, una ragazza nuova che lo aveva
preso in simpatia alla libreria. Sicuramente per la ragazza non doveva essere stato
bello apprendere che Johnny era in procinto di rassegnare le sue dimissioni.
Alzò la mano destra e salutò Johnny, che alzò lo sguardo e lo salutò allo
stesso modo, mentre Niall usciva dalla stanza.
Per dire la verità,
tutta la verità, nient’altro che la verità, Louis aveva conosciuto Thomas
Bailey di vista, quando non era ancora rinchiuso per il brutale omicidio di sua
madre. Per quel che ne sapeva di Thomas, poteva essere un figlio di puttana o
un bravissimo ragazzo, ma non certo uno che voleva portarsi a letto. Conoscerlo
gli era valso conoscere quella checca isterica che gli dormiva al fianco in
quel momento, Harry. Si voltò a guardarlo.
Agli occhi di
chiunque Harry sarebbe apparso come un ragazzo carino e molto sexy, come era
apparso a lui alcuni mesi prima, quando Tom gliel’aveva fatto conoscere.
Parlava come una ragazzina in fregola, era vero, però a letto era bravo. Louis
guardò la curva del sedere sotto le coperte. Era perfetta, e lui si beava
sempre ogni volta che Harry gli chiedeva di “fare l’amooooore!” in questo si poteva
dire che era bravo. Sentirlo sotto di sé mentre gemeva era una bella cosa,
forse una delle poche cose per cui Louis si sentiva bene… eppure non si poteva
dire che avesse chiari i sentimenti per quel ragazzo. Abbassò un po’ le
coperte, rivelando il suo corpo chiaro e sinuoso… mentre dormiva Harry era
delizioso, sembrava un angioletto. Osservò i suoi capelli dispersi sul cuscino,
e la sua espressione dipinta sul viso: felicità allo stato puro. Louis fece un
debole sorriso, non capendo come Harry riuscisse ad essere felice nonostante
quello che stva succedendo. Sapeva che Harry era solo
uno spettatore in confronto a Niall, ma ugualmente
c’era poco da stare allegri. Qualcosa non andava a New York, e in qualche modo
c’entrava Jackson, lo scrittore maledetto. E Harry, che era uno dei suoi tanti
fan? Nulla. Restava lì, nel suo mondo ovattato dove Louis era il suo Re, senza
preoccuparsi di nulla. Beato te, Harry…
pensò Louis.
Ricoprì lentamente il
fidanzato per non svegliarlo, mentre questo si rigirava dall’altra parte. A
quella visione, era stato tentato di prenderlo e fargli di nuovo l’amore,
un’altra volta… ma si frenò dai suoi propositi, o meglio, fu il pensiero di un
ragazzo a fermarlo.
Niall.
Chi era, costui?
Non più di un amico, non meno di un pezzo di merda. In termini più gentili, non lo conosceva
abbastanza. Così come non conosceva il ragazzo moro con gli occhiali che aveva
visto quel mattino in metropolitana, o l’istruttore di pallacanestro che
insegnava al campetto vicino casa sua, o il poliziotto giovane che accompagnava
il senior nel suo giro di pattuglia.
Eppure aveva una gran
voglia di vederlo nudo nel suo letto.
Che problema c’era?
Bastava andare a cercarsi un biondino qualunque in uno dei tanti bar che aveva
frequentato in passato, quand’era ancora un sedicenne senza arte né parte,
raccontare una balla a Harry per passare una serata senza problemi (Ehi amore, ho incontrato Tessa in metrò,
sembrava un po’ giù di corda, perché non vai a trovarla? Magari vi fate quattro
chiacchiere e riesci a tirarla un po’ su, che ne dici?) e tenerlo occupato,
in modo da avere tutto il tempo per andare in un bar e trovare un ragazzo,
intortarlo quel tanto che bastava per portarselo a casa, poi spogliarlo e fare un
rapporto completo (soltanto uno?) con
un probabile sostituto di Niall.
Effettivamente un
problema c’era. Un sostituto di Niall non era Niall. Louis non aveva mai vissuto di surrogati, prima
d’ora. Non ne aveva avuto bisogno, dal momento che qualunque ragazzo gay
vedesse in un locale, gli si concedeva da subito. Ma allora perché non chiedere
direttamente a NiallEhi ciao, sei veramente un bel figo, ti andrebbe di venire a letto con
me?
Perché c’era qualcosa
che lo fermava. Dal primo momento che aveva visto Niall,
in Louis era scattato qualcosa. Qualcosa che non aveva mai provato prima…
eccitazione sessuale?
No.
Imbarazzo e farfalle
nello stomaco.
Erano quelli, le due
palle ai piedi che gli impedivano di correre nei confronti di Niall.
Si voltò di nuovo
verso Harry, che ancora se la dormiva beato. Decise che per il momento era ora
di dire basta alle fantasie, e di ritornare alla realtà. S’infilò nuovamente
nel letto, e cinse con le braccia la vita di Harry, che gli si accoccolò
addosso come un gatto, pur continuando a dormire. Louis annusò il profumo della
sua pelle, e il membro gli si indurì di nuovo per quella sera. Non volendo
svegliarlo, si accontentò di metterglielo solo in mezzo alle gambe, strofinando
la punta contro l’apertura di Harry. Incominciò con lenti movimenti pelvici,
affondando il viso nei capelli di Harry e chiudendo gli occhi. Lo strinse
dolcemente mentre il suo membro s’insinuava nell’orifizio del ragazzo, mentre
godeva del suo corpo sfruttando la sua fantasia…
…non c’era Harry
sotto di lui. C’era Niall, con i suoi capelli biondi,
che gli si concedeva senza dire una parola. Che si lasciava baciare e annusare,
che si lasciava usare da quella bestia che Louis era. A questo stava pensando
Louis quando eiaculò nel corpo del suo dormiente fidanzatino.
Il cuore gli batteva
forte nel petto, mentre la notte lo avvolgeva come un nero sudario prima che
potesse cadere in un sonno senza sogni. Niall si
girava e rigirava nel letto, senza riuscire a trovare conforto. Era come quando
aveva avuto l’influenza, tante volte nella sua vita: si sentiva fuori dal
mondo, a metà tra il sogno e la realtà, al limite del baratro…
…tra la vita e la morte.
C’era una macchina
per scrivere che ticchettava da qualche parte in quel luogo indefinito che
avrebbe potuto essere una caverna come le segrete di un castello. Chiunque
stesse lavorando a quello strumento doveva avere un pensiero fluente,
ininterrotto. Niall poteva sentirlo mentre avanzava
nel corridoio, seguendo come unica guida la luce delle torce attaccate al muro.
Che posto è questo? Pensò, mentre sotto i suoi piedi nudi sentiva un
pavimento freddo e umido. Sicuramente stava sognando, ma questa volta il sogno
era molto più nitido. La sola atmosfera gli causava uno sconvolgimento interno,
una sorta di terrore ancestrale, un terrore sotteso, subdolo… che difficilmente
si prova quando si guarda un film dell’orrore. Una sorta di quiete prima della
tempesta.
- Jackson – disse Niall, ad alta voce, ma senza accorgersi di aver
pronunciato alcuna parola. Quando finì di pronunciare l’ultima sillaba, la
macchina per scrivere cessò di ticchettare. Al suo posto, s’intensificò
lentamente la luce delle torce, rivelando un passaggio con delle scale. Niall aguzzò la vista, avvicinandosi a quell’anfratto
abbastanza da scorgere che c’era qualcuno, lì sotto.
Una figura umana,
all’apparenza. Ma Niall aveva imparato a non fidarsi
delle apparenze già da molto tempo. Quella che a chiunque sarebbe potuta
apparire una figura umana, era solo un’ombra. Proiettata dalla luce delle
torce, rifletteva un corpo umano seduto su una poltrona, che lentamente si
alzava, quel tanto che bastava a far capire la sua natura, che non era per
nulla umana.
Quando si alzò, Niall scorse le gambe della figura adornate da delle enormi
pinne. Se non erano pinne, poco ci mancava. Dietro la schiena, l’ombra aveva
delle strane ali da pipistrello, con degli artigli alle estremità. Le braccia
erano lunghe, e le dita erano artigli anch’esse.
Niall si tappò la bocca con entrambe le mani, sgranando
gli occhi per la paura. Indietreggiò, sperando con tutto sé stesso di non
essere stato notato, ma la speranza fu vana. Il mostro si era già accorto di
lui nel momento in cui aveva smesso di scrivere, e ora si era diretto verso le
scale per salire e fargliela pagare cara.
- No… no! Aiuto!!! –
Le parole gli
morirono in gola. Come spesso accade nei sogni, non riuscì a lanciare le sue
invocazioni. Sapeva di essere solo contro il demone, ma umanamente sperava di
potersi svegliare gridando aiuto. Non gli importava nulla se non si vedeva
nulla. Corse via, sperando che il demone non lo vedesse, sperando lui stesso di
non vederlo più, mentre quello dietro rideva sguaiatamente. UahUahUah –
sembrava dire tra le risate – Non puoi
fare niente per fermarmi, questo è solo l’inizio!!! – E non solo sembrava. Aveva proprio detto così, Niall l’aveva sentito benissimo.
Improvvisamente Niall si risvegliò in un altro ambiente. Questa volta era
un parco. Alcune panchine che dovevano aver visto tempi migliori, date le
condizioni di abbandono in cui versavano, così divelte e arrugginite; alberi
scheletrici ai quali l’inverno sembrava aver tolto anche le foglie che la
pianta aveva in procinto di far nascere nelle prossime stagioni, e infine… un
lago oscuro, talmente grande e all’apparenza molto profondo, che si apriva in
tutta la sua maestosità di fronte a Niall.
Spaventato, Niall indietreggiò, come se presagisse ciò che nel lago
oscuro stava accadendo. Quel bacino lo terrorizzava, sembrava un’enorme stella
morta che come un buco nero attraeva tutto intorno a sé. La sensazione di
terrore di Niall si accentuò di più quando l’acqua
iniziò a ribollire e tremare. In lontananza venne fuori una mano artigliata, poi
una testa, poi un’altra mano artigliata, e un’altra testa ancora… erano tutti
demoni, come quelli che aveva visto in città quando aveva perso l’autobus.
Attonito, senza
parole, Niall spalancò gli occhi e la bocca,
scuotendo la testa in un disperato no-non-è-possibile,
mentre in lontananza una risata sguaiata si faceva sentire.
Improvvisamente, una
mano uscita dalle profondità del lago gli ghermì la caviglia. Niall urlò in una muta invocazione, mentre i suoi piedi
affondavano nella gelida acqua nera. Continuò ad urlare e a dibattersi per
cercare di liberarsi, ma nel frattempo un’altra mano aveva agganciato il suo
piede destro, tirandolo giù. L’acqua ora gli arrivava alla cintola, mentre con
le mani teneva ben salda una radice spuntata dal terreno. In suo aiuto accorse
un ragazzo castano con un gilet militare e una maglia rossa.
- Brandon! – esclamò Niall, riconoscendo il personaggio dei romanzi di Jackson –
Aiutami, ti prego! –
Brandon gli disse
qualcosa di incomprensibile, gli tese una mano per cercare di aiutarlo, ma fu
inutile. Non appena Niall lasciò una mano dalla
radice alla quale si era aggrappato, le braccia forti che l’avevano ghermito,
lo tirarono ancora più giù, trascinandolo in quell’abisso di oscurità, nel
quale Niall si disperò definitivamente. Il suo cuore
gli batteva a mille, mentre la riserva d’aria si esauriva man mano che scendeva
giù… era come quando in piscina aveva avuto un malore e stava affondando, solo
che in quel momento non c’erano sua madre e suo padre ad acchiapparlo uno per
braccio e tirarlo su in superficie. Adesso stava affondando per davvero, la
fine era vicina.
Come tante gocce d’argento, risaliranno dai
riflessi di uno specchio nelle tenebre, gli angeli dell’apocalisse, e dalla
loro discesa in campo nascerà un mondo nuovo…
Non sapeva da dove
provenissero quelle parole, sapeva solo che qualcuno le stava leggendo. La voce
gli era troppo familiare, solo che non riusciva a capire di chi fosse. L’aveva
già sentita, eppure…
No, non poteva essere
Brandon quello che leggeva a voce alta. Lui era solo un’ombra, come lo erano
tutti i personaggi dei romanzi di Jackson. Difatti Brandon se ne stava lì, a
balbettare parole incomprensibili a Niall, in quel
posto oscuro dove si trovavano. Brandon si guardava intorno, tenendo la mano di
Niall, forse cercando una via d’uscita da quel posto,
quando in realtà non c’era alcun bisogno di cercare una via d’uscita: erano a
New York, di nuovo a casa, anche se nulla era come prima.
New York appariva
desolata nei suoi grattacieli anneriti dal fumo e con le strutture corrose
dalla ruggine, le strade che un tempo erano grigie, ora erano nere e
semidistrutte, le auto erano sparse qua e là, come se al culmine di una
giornata tipo newyorkese, fossero state sorprese nel traffico dal caos. E la
gente…?
Dov’era la razza
umana, i suoi cittadini che passavano i loro giorni correndo avanti e indietro?
Sono scomparsi. Questo è il mondo nuovo. Non ci
sono più umani.
Niall si voltò, e vide ciò che non avrebbe mai voluto
vedere: una nutrita schiera di demoni facevano capolino dalle auto, dai
palazzi, volando in un cielo fosco e carico di terrore. In un secondo si vide
allontanato mille miglia da Brandon, il quale stava lottando contro uno di questi
demoni alati. A quella vista, Niall scattò ad
aiutarlo, ma si fermò immediatamente quando vide come Brandon veniva fatto a
pezzi dal mostro.
Gli artigli del
demone penetrarono nella faccia di Brandon, squartandogli tutta la pelle del
viso. Gli occhi gli esplosero come due botti, mentre l’altro artiglio affondava
nella schiena del povero ragazzo. Poi il demone addentò la gola di Brandon,
strappandogli la testa dal corpo. Niall si contorse
per degli spasmi di dolore. Anche coprendo gli occhi, non serviva a nulla: il
dolore era troppo forte, e le immagini erano nella sua testa, non all’esterno. Si
premette i palmi talmente forte contro gli occhi. Quando le tolse, nei palmi
stringeva i suoi stessi occhi chiari.
- Aaaargh!!!!!!
–
Non era stato poco
più che un fievole lamento, il suo urlo che lo svegliò dall’incubo che aveva
avuto. Quando vide sul comodino i numeri verdi del display della radiosveglia,
fu grato di essersi svegliato. Si guardò intorno, cercando una cosa ben
precisa. I suoi pantaloni. Li individuò piegati sulla spalliera della sua
poltrona accanto alla scrivania, li afferrò e tirò fuori la mail che aveva
sottratto a Johnny.
La aprì, e riguardò l’indirizzo.
Subito dopo, prese
gli articoli che gli aveva dato il Professor Bean prima di venire ucciso dai
proiettili del poliziotto, in particolare prese fuori il disegno frastagliato e
lo collocò sulla cartina geografica degli Stati Uniti. Lo collocò nella costa
nord-orientale, per la precisione nello stato del Maine.
- Eccoci… - mormorò Niall, cominciando a capire molte cose, che chissà come gli
erano state suggerite da quel sogno spaventoso che aveva fatto. L’immagine
frastagliata corrispondeva perfettamente con la fisionomia del Maine, ora si
trattava soltanto di capire a cosa corrispondeva il punto sulla “mappa”.
Dal suo cassetto
prese le forbici, e tenendo ben fermo il foglio con la mano destra, premette
con una delle due lame il punto sul foglio. Una volta tirato via, vide a cosa
corrispondeva.
*****
Nel frattempo, in un
altro quartiere, Johnny era in camera da letto che preparava le valigie. Sul
suo letto c’erano due trolley e una borsa da viaggio, completamente piene di
indumenti e vestiti. Johnny infilò in uno dei trolley un altro capo, quindi lo
richiuse per bene.
Spero solo che sarà abbastanza lontano. Mio dio… speriamo
che Niall ce la faccia. Pensò Johnny, sconvolto.
In bagno aprì a tutta
manetta il rubinetto dell’acqua calda, che schizzò sullo specchio creando uno
strano disegno di gocce d’acqua e vapore. Diminuì un po’ il getto, lasciando
che il lavandino si riempisse di acqua calda senza troppa fretta.
Mentre preparava il
rasoio e la schiuma da barba, sulla soglia della porta si sentì osservato. Alzò
lo sguardo lentamente, per cercare di cogliere il riflesso dello specchio, e ci
riuscì.
C’era un demone che
lo guardava sogghignando, con i suoi artigli pronti a colpire.
- Ahhh!
– esclamò Johnny, voltandosi di scatto con il rasoio spianato. Quando però si
voltò, non c’era effettivamente nessuno. Si guardò intorno, non vedendo altro
che la vasca da bagno, la tenda della doccia, il water, la lavatrice e il
mobiletto dei medicinali. Nulla. Un semplice bagno all’americana.
- Heheheh.
Credevi che mi sarei spaventato, eh? – rise Johnny – Adesso lui ha capito cosa
deve fare. – Rise ancora più forte – Io non servo più a nulla, posso andarmene
finalmente da questo paese. Tornerò in Giappone, mia madre e mio padre saranno
contenti di rivedermi. E voi non mi
avrete, dannati stronzi!!! –
La sua risata si
trasformò in un raglio isterico, mentre si piegava in due con il rasoio in
mano. Rise e rise forte per altri cinque minuti, poi pensò di che era meglio
non perdere più tempo.
Si voltò verso il
lavandino e lo specchio e lo vide.
Il demone era lì, al
posto del suo riflesso, che lo guardava con quegli occhi giallo ambra e quell’aspetto
minaccioso. Quello che passò per la mente di Johnny in quel momento fu una
sorda e triste sensazione di paura, che lo pervase dalla testa ai piedi,
facendolo gelare. Johnny era congelato, non riusciva a muoversi né ad emettere
un suono. Se ci avesse provato, era sicuro che dalla sua gola non sarebbe
uscito più che un rauco sussurro.
Dal riflesso dello
specchio, venne fuori un artiglio che tracciò una linea orizzontale precisa sul
collo di Johnny, recidendoglielo completamente. Dalla ferita schizzò un fiotto
di sangue che andò a sporcare lo specchio e a colorare di rosso l’acqua calda.
Johnny si accasciò contro il lavandino, mentre la vista gli si annebbiava…
chiuse gli occhi, sentendo il suo corpo che lentamente si irrigidiva man mano
che il cervello abbandonava le sue funzioni vitali. N…Niall… ti prego… Scusami… ti ho … taciuto…
troppe….. cose….
Queste, erano le
parole che avrebbe dovuto dirgli quel pomeriggio quando era venuto a casa sua.
Ma non le aveva dette. Niall doveva aver capito, dato
che si era intascato la mail senza problemi, ma nonostante ciò, Johnny non ne avrebbe
tratto alcun beneficio.
Ad un centinaio di
miglia circa da New York, nello stesso momento in cui Niall
stava ricomponendo gli indizi per stanare Jackson, il signor Clarence Beeks era seduto alla scrivania del suo ufficio, all’autosalone
di veicoli usati Urban Family Cars a Philadelphia.
Tra le mani stringeva un giornaletto porno (uno dei tanti) che gli avrebbe tenuto
compagnia per la mattinata, e che sarebbe finito immediatamente nel cassetto
della scrivania non appena avesse scorto dei clienti avvicinarsi al parco delle
auto. Mentre guardava quelle donne formose e ben carrozzate, ogni tanto si
asciugava il sudore sulla fronte pelata e prendeva un gran respiro cercando di
dominare la voglia di andare in bagno e dare sfogo alla sua eccitazione. Si
tratteneva per almeno tre motivi. Il primo, era perché anche se il suo capo era
un uomo, difficilmente se fosse passato di lì e avesse visto il suo posto vuoto
per troppo tempo, l’avrebbe perdonato; il secondo, era perché la giornata era
ancora lunga, e se smetteva di leggere i giornaletti porno adesso, avrebbe poi
dovuto far passare il tempo in altro modo; il terzo… perché era molto meglio non
lasciare le auto incustodite. Tutti questi limiti, e il furto che sarebbe
avvenuto di lì a poco, non ci sarebbero stati se quel giorno ci fosse stato
anche Ralph, il suo giovane aiutante. Purtroppo quel giorno Ralph era stato costretto
a letto da un’influenza stagionale, e il vecchio Clarence avrebbe dovuto tenere
d’occhio tutte e centodue le auto della concessionaria da solo.
Stare da soli ha anche i suoi lati positivi pensò Clarence, mentre sfogliava un’altra pagina
del giornaletto, sgranando gli occhi di fronte a tante bellezze messe tutte
insieme. Ragazze… che cosa vi farei… pensò
ancora, toccando il sedere di carta di una di queste.
Se anziché guardare
il giornaletto avesse ascoltato la radio, sicuramente non avrebbe abbassato la
guardia come in quel momento. Purtroppo però le azioni degli uomini non sempre
sono dettate dal buonsenso, e nel caso di Clarence, quando accadeva era da
considerarsi un miracolo.
Poco dopo aver finito
il giornaletto, e poco prima di prenderne un altro, Beeks
vide qualcuno entrare dal grande cancello d’accesso del parco macchine. Una
famigliola. Papà, mamma, un bambino e una bambina in braccio alla madre. Il
padre era il classico americano obeso che portava una maglietta bianca, e la madre
una donna magra e slanciata con i capelli cotonati. La donna toccò la maniglia
della portiera di una Chevrolet Caprice, poi rivolse il suo sguardo al marito,
che scosse la testa. Subito dopo questo indicò un fuoristrada e corse a
guardarlo, mentre la moglie lo seguiva sconsolata. Beeks
si leccò le labbra, sogghignando – Bene bene. Cos’abbiamo qui? Una parodia dei
Simpson? – Si fregò le mani – Sì, sì… guardate pure, valutate, vedete voi cosa
può andarvi bene. E poi entro in scena io. –
Beeks tirò fuori un pettine dal taschino della giacca a
quadretti e si pettinò gli ultimi capelli rimastigli in testa, preparandosi ad
entrare in scena.
Uscì dall’ufficio
modulare della concessionaria pochi secondi dopo, ed avvicinò la famigliola,
che era troppo impegnata a valutare una station wagon.
- Ahahah! – rise Clarence – Io… e Mr. Urbans! Chi, se non
noi? Benvenuti nella nostra concessionaria, avete già trovato qualcosa d’interessante?
–
- Uhm … sì – mormorò l’uomo,
mentre il figlio era salito su una Porsche – Danny, scendi da quell’auto! – lo rimproverò.
- Oh, lo lasci pure
giocare, caro amico – disse Clarence, prendendo sottobraccio l’uomo – Anche mio
figlio ha l’abitudine di giocare con quella, sa? Penso proprio che quando farà
sedici anni gliela regalerò! – parlava con quel tono untuoso e falso del
venditore, che la moglie colse immediatamente. Prima che il marito si facesse
intortare oltre, s’intromise tra i due.
- Vorremmo sapere
qualcosa riguardo a quella vettura – disse la donna, indicando una station
wagon della Toyota.
- Caspita, la signora
sì che ha buon occhio! – esclamò – Seguitemi, vi illustrerò tutto. –
- Wroomwroom!!! – il piccolo stava ancora giocando con la
Porsche, immaginando di prendere parte ad un epico inseguimento, quando all’improvviso
vide un ragazzo aggirarsi tra le macchine.
Ai suoi occhi di
bimbo, il ragazzo portava un camice bianco e delle scarpe dello stesso colore. Poteva
avere si e no vent’anni, ma non ne era certo. Nei suoi otto anni, le persone
erano tutte uguali per lui. Lo vide che entrava furtivamente nell’ufficio del
venditore. Pensò un attimo a cosa fare, ma non trovando alcuna risposta
coerente, si rimise a giocare con la sua fantasia.
- …E oltre alle
quattro ruote motrici, l’auto è dotata anche di air-bag, doppio air-bag, e …
sorpresa sorpresa…! – Clarence toccò un pezzo della
plancia e venne fuori un piccolo vassoio adatto a reggere due bicchieri - …Un
portavivande! Datemi retta, se avete in programma di fare lunghi viaggi, quest’auto
è l’ideale! –
- Uhm. E quanto
verrebbe…? – domandò la donna. Il marito la guardò come se avesse detto la cosa
più orribile del mondo. Gli restituì uno sguardo di sufficienza, al quale il
marito rispose con l’indifferenza.
- Il prezzo? Oh, mia
cara signora. Una sciocchezza! Se volete seguirmi nel mio ufficio, vi faccio
vedere il…… -
Clarence interruppe
la sua frase a metà, quando vide una delle auto in vendita, una Honda Insight bianca, uscire dal cancello principale. in un
minuto la sua mente cercò di pensare a qualcosa, ma non riuscendoci, si limitò
a cercare di correre dietro all'auto.
- Ehi ehi!!! Fermati!!! – urlò all’autista che stava rubando il
veicolo – Fermati, o chiamo la polizia!!! – batté i pugni sul cofano, ma non ci
fu nulla da fare. L’auto accelerò e prese il largo verso la strada, bruciando
due semafori rossi.
*****
Poche ore prima…
L’ospedale
psichiatrico di Juniper Hill era situato a pochi
minuti da Philadelphia, su una strada trafficata dove passavano e si fermavano
molti camion. Nascosto tra la boscaglia, Thomas Bailey non sapeva se gli erano
alle calcagna o meno. Bagnato come un biscotto per cercare di far disperdere il
suo odore, adesso si era acquattato in attesa di un camion che si fermasse e lo
portasse a Philadelphia.
La fortuna che già lo
aveva aiutato ad evadere (era riuscito ad uscire dal complesso psichiatrico in
maniera molto naturale, non aveva trovato nessuno ad impedirgli l’uscita),
stava continuando. Un camion della Exxon carburanti si
fermò nella piazzola di sosta. Dal suo cantuccio in mezzo al verde, Thomas vide
l’autista scendere, appostarsi accanto al camion, slacciarsi la patta e orinare
nell’erba fresca. Lentamente Thomas uscì dal suo nascondiglio e s’infrattò
sotto il camion, aggrappandosi con le mani e con le gambe in uno spazio sotto
il rimorchio, abbastanza comodo da starci disteso. Non aveva un’idea precisa di
dove andare, sapeva solo che doveva tornare a New York in un modo o nell’altro,
ma per farlo aveva bisogno di un’auto. Pensava a sua madre, che era perita
sotto la lama di un suo coltello da cucina, ma non riusciva a ricordare bene
perché l’avesse uccisa. Si sentiva il corpo intorpidito dal freddo (non era il
massimo girare all’aperto con solo un pigiama da internato), e i piedi gli
facevano male nelle scarpe del manicomio. Mentre attendeva con pazienza che l’autista
avesse finito di orinare, vide una volante della polizia con i lampeggianti
accesi in lontananza. L’auto si avvicinò piano al rimorchio colmo di
carburante, e Thomas si appiattì ancora di più, evitando di fiatare.
Dalla volante della
polizia scesero due agenti, che girarono intorno al camion e andarono dall’autista.
- Buongiorno, polizia
di Philadelphia. – disse uno degli agenti.
- Buongiorno, agente.
Cosa posso fare per lei? – domandò l’autista. La sua voce era roca e profonda,
Thomas se lo immaginò come una specie di uomo barbuto e pelato, robusto di
corporatura.
- Ci è stato
segnalato che un internato dell’ospedale psichiatrico di Juniper
Hill è evaso questa mattina. – disse un’altra voce. Questa era femminile,
quindi Thomas intuì che uno dei due poliziotti era una donna.
- Ah, davvero? E chi
sarebbe? –
- Thomas Bailey, vent’anni, di New York. Ecco una sua fotografia. – seguì una breve pausa
in cui i poliziotti stavano mostrando una fotografia all’autista. – L’ha visto
da queste parti? –
- Assolutamente no,
agente. Non l’ho visto. –
- Se dovesse vederlo,
chiami immediatamente il 911, okay? – questa era la poliziotta.
- Va bene, agente. Ora
vogliate scusarmi ma devo consegnare questo bestione a Philadelphia. È tutta la
notte che viaggio, e non vorrei rischiare una multa per essere arrivato in
ritardo. Arrivederci. –
- Buon viaggio – lo salutarono
i due agenti, tornandosene all’auto di pattuglia. Dopo una breve pausa, il
motore del camion si accese, e Thomas poté tirare un sospiro di sollievo. Nella
sua mente c’era un nome. Un nome che gli era apparso in sogno.
Il mattino seguente
alla sua “avventura” notturna con il suo fidanzatino Harry, culminata con un
orgasmo ad insaputa di quest’ultimo, Louis si era alzato dal letto, si era
rivestito e senza nemmeno lasciare un biglietto a Harry che dormiva beatamente,
se n’era andato.
Erano state le sei e
un quarto quando aveva varcato la soglia della porta dell’appartamento dove
viveva Harry con la famiglia (che peraltro non conosceva, sapeva solo che i genitori
di Harry erano separati, e che mentre ciascuno dei due faceva la bella vita con
i rispettivi nuovi partner, Harry passava la maggior parte del tempo da solo,
eccettuate alcune sporadiche apparizioni della madre), e per tutta la mattinata
aveva passeggiato per New York.
Per qualche ora non
era stato più un cittadino della sua città, bensì un semplice turista, che
ammirava per la prima volta le meraviglie di una metropoli grandissima, ne
ascoltava i rumori, ne annusava gli odori. E il bello era che non c’era stato
alcun bisogno di un autoconvincimento: Louis si sentiva un turista perché quel
giorno New York gli sembrava tutta nuova. Ricordava di aver già provato una
sensazione del genere, forse quando era bambino e ci si avvicinava al Natale, e
l’attesa dei doni era sempre un qualcosa di bello, quasi più dell’evento
stesso. C’è più gusto nell’attesa di qualcosa che non nella cosa in sé.
Ma in quel momento
della sua vita, lui cos’attendeva? Lo sai
già cosa stai attendendo, gli disse una vocina interiore o meglio chi stai attendendo. Però non vuoi
ammetterlo, non è vero?
- Già, proprio così –
aveva mormorato seduto su una panchina di Central Park, accanto ad una
vecchietta che stava distribuendo amorevolmente del granturco per i suoi amici
pennuti. L’anziana signora si era girata a guardarlo, poi aveva ripreso la sua
attività, allontanandosi un po’ da Louis.
Incurante di ciò,
Louis aveva continuato il suo soliloquio.
Ti ha fatto proprio perdere la testa, eh? Dì la
verità, vecchio sessuomane che non sei altro… quel biondino di NiallHoran ti attira come una
mosca con il miele. Ma perché? Te ne sarai fatti a migliaia di ragazzi come
lui. Che cos’ha in più lui rispetto a qualcun altro?
- Non lo so – si rispose
Louis – Sarà che emana un qualcosa di strano che gli altri non hanno. Ha una
personalità. Irradia. –
Già, e soprattutto non ha aperto la bocca e fatto
rotolare fuori la lingua con tanto di occhi fuori dalle orbite appena ti ha
visto. E questo ti fa dannare, non è vero?
- Anche quello. Già, forse se avesse fatto
srotolare la lingua e gli fossero saltati gli occhi fuori dalle orbite, me lo
sarei preso senza problemi… ma visto che non l’ha fatto… -
…vorresti fare di tutto per farglielo fare, non è
così? Allora fai una bella cosa: intercettalo, portalo in un luogo appartato,
abbassati la cerniera dei pantaloni, eee… faglielo
vedere.
- Oh, vaffanculo. –
mormorò alla vocina interiore di sé stesso – Non questa volta. Non questa volta!
–
Si era alzato dalla
panchina e si era diretto verso un altro posto di New York.
*****
C’è chi dice che i
belli non abbiano un’anima. Beh, Louis era un belloccio, certo, e forse se
aveste chiesto a uno qualunque dei suoi amanti vi avrebbe detto che non solo
non aveva un’anima, ma se aveste beccato il più maligno, vi avrebbe anche detto
che Louis avrebbe venduto sua madre per una scopata decente, e forse era vero,
ma era anche vero che si comportava così perché dell’amore sapeva poco e
niente. Così come sapeva poco e niente di Niall.
Con le mani affondate
nelle tasche dei jeans, era passato davanti alla vetrina di una pasticceria. Lì,
le paste avevano un aspetto molto invitante, così calde, appena sfornate. Fece un
mezzo sorrisetto, mentre nella sua testa si profilava un’idea brillante.
*****
Pochi minuti e un
viaggio in metrò dopo era nei pressi della casa di Niall
(una telefonata all’aggancio giusto all’università gli aveva fornito l’indirizzo),
reggendo un sacchetto rosso con dentro due colazioni coi fiocchi, a base di
cappuccino italiano e dei bomboloni al cioccolato, per i quali aveva dovuto
scomodare ben tre impiegate per farsi consigliare quale fosse il ripieno
migliore fra crema, marmellata e cioccolato. Alla fine aveva preso un po’ di
tutto, per un totale di ben sei (così mi
piaci, vecchio mio! Fagli vedere che c’è un cuore, sotto la dura scorza del
playboy!) bomboloni, con l’intenzione di consumarli insieme a lui. E se Niall avesse accettato, Louis sarebbe stato felice. Nemmeno
quando aveva incominciato a frequentare Harry, gli aveva offerto una colazione
così.
Giunto alla porta di
casa, tenne fermo il dito sul campanello, indeciso se suonare o meno.
Oh, andiamo, cazzo. Non ci starai ripensando,
spero?!? La sua vocina
interiore era tornata alla carica. Questa volta per spronarlo ad andare avanti
di fronte ad un suo probabile ripensamento.
- Forse non sto
facendo la cosa giusta. –
Toh! Da quando in qua l’impietoso Louis Tomlinson si fa scrupoli? Oh dio, oh dio, fermate il mondo,
voglio scendere! Di cos’hai paura? Gli stai solo per proporre di fare colazione
insieme, da buoni amici. Che cosa c’è di male? E magari gli chiedi come stanno
andando le indagini.
- Giusto! – esclamò,
ad un volume che poteva quasi essere udito all’interno della casa – farò così,
gli chiederò se ha scoperto qualcosa di nuovo! – Fece per suonare, quando la
porta gli si aprì davanti, rivelando la figura di Niall
in pigiama che strabuzzava gli occhi dal sonno. Imbarazzato da cotanta entrata
in scena, Louis ammezzò un sorriso, mentre il suo colorito cambiava da pallido
a rosso intenso fino a diventare viola vergogna. Niall
indossava un pigiama blu scuro e un paio di infradito ai piedi, i suoi capelli biondi
erano tutti arruffati e i suoi occhi erano rossi di sonno.
- Louis – lo nominò,
spalancando la bocca in uno sbadiglio, che prontamente coprì con una mano – Ti
pare il luogo e il momento giusto per mettersi a parlare da soli? Sono le sette
del mattino e tu sei sulla porta di casa mia. –
Il mezzo sorriso di
Louis si trasformò in una mal riuscita polemica di serietà sul suo viso.
- Buongiorno – lo salutò,
mascherando l’euforia del vederlo – Passavo di qua e mi stavo chiedendo se per
caso ti andava di fare colazione insieme – gli disse, tirando su il sacchetto
con la colazione.
Niall intanto si era appoggiato al montante della porta
a braccia conserte, e lo guardò sollevando un sopracciglio perplesso – Per quale
arcano motivo sei fuori città? Questo quartiere non è un posto dove “si passa
di qua”. –
- Ehm – si schiarì la
voce Louis, visibilmente colto in fallo – Ok, lo ammetto. Volevo solo sapere
come procedono le indagini, se hai scoperto qualcosa, tutto qui. – non aveva
ammesso un bel niente, aveva solo sparato la seconda cartuccia nella sua
doppietta mentale. E questa volta aveva centrato il bersaglio.
- Qualcosa. Comunque
stavo per chiamarti io. Dai, entra. Fa freddo, qui fuori. –
- Hai già fatto
colazione? – gli domandò, entrando.
Dopo aver rubato
l’auto alla concessionaria di Philadelphia, Thomas era partito alla volta di
New York, andando quanto più piano poteva, per non destare sospetti alla
polizia stradale mentre era in autostrada. Era stato molto bravo a sgattaiolare
nell’ufficio del venditore e arraffare le chiavi della Honda Insight che stava guidando ora senza essere visto da
nessuno. Per la verità non era così sicuro di non essere stato notato:
nonostante avesse preso tutte le precauzioni e si fosse mosso come un serpente
fra gli angoli delle strade, non poteva dire esattamente se e quanti avessero
notato il suo abbigliamento insolito, composto dal pigiama bianco del manicomio
e dalle scarpe da ginnastica dello stesso colore. Una volta entrato nel
cancello della concessionaria, aveva visto una Porsche in lontananza. Era
ferma, a motore spento, e al volante c’era un ragazzino di circa otto anni. I
loro sguardi si erano incrociati per una frazione di secondo. Forse il
ragazzino aveva registrato la sua presenza, forse no. In ogni caso Thomas aveva
continuato per la sua strada, entrando nell’ufficio modulare e arraffando le
prime chiavi che gli erano capitate e rubando l’auto, senza torcere un capello
al piccolo, che a quest’ora sicuramente si era già scordato di lui. Fortuna
aveva voluto che l’auto avesse il serbatoio pieno, quindi in grado di
raggiungere New York in tutta tranquillità. Fermarsi in una stazione di
servizio con quell’abbigliamento sarebbe stato troppo rischioso.
Guardò gli
specchietti retrovisori, per sincerarsi che non ci fossero sbirri alle
calcagna. Non ce n’erano, quindi decise di aumentare di poco la velocità, per
non perdere altro tempo. Aveva una missione da compiere: convincere NiallHoran ad andare dal Padrone
Jackson, con le buone o con le cattive.
Mentre guidava,
avvertiva una strana sensazione. Come se tutto ciò fosse già accaduto. Una
fortissima sensazione di dejà vu, che
si manifestava nel suo corpo sotto forma di uno sfarfallio nello stomaco. Ma
non sarebbe stato corretto definirlo così.
La sensazione che
aveva Thomas era qualcosa di ben più profondo e arcano, simile ad un vuoto
esistenziale: Non sapeva perché era evaso, non capiva che cosa stava andando a
fare, non sapeva nemmeno chi fosse questo NiallHoran. Eppure lo stava andando a cercare.
Nella sua mente
stavano iniziando a formarsi degli interrogativi, destinati a rimanere senza
risposta. Pensò a sua madre, a come l’aveva uccisa, e gli venne quasi da
piangere. Per un attimo sollevò il piede dall’acceleratore, pensando
addirittura di accostare e fare inversione di marcia, trovare una volante della
polizia stradale e andare a costituirsi. Immaginava già la scena nei minimi
dettagli: lui che fermava l’auto sul ciglio della strada, scendeva e andava a
bussare al finestrino dell’auto di pattuglia degli agenti. Dopodiché loro
scendevano e lui diceva: Salve, sono Thomas Bailey, ho ammazzato mia madre e
sono evaso da Juniper Hill. Siccome mi sento non
troppo bene, mi sento come un burattino i cui fili vengono manovrati da
qualcuno parecchio in alto (e parecchio pericoloso anche) che ne direste di
riportarmi nella mia cameretta imbottita e magari chiamare la dottoressa Sandler, per farmi fare una visitina di controllo?
Ma certo signor Bailey, avrebbero risposto i poliziotti, lei metta le mani dietro la schiena e non
faccia scherzi, perché ora che è evaso dal centro di igiene mentale, la sua
posizione nei confronti della giustizia si è ulteriormente aggravata. Ora, se
non vuole farsi trasferire a Shutter Island, non ci
riprovi mai più, questo gli avrebbero risposto, infilandolo nell’auto di
pattuglia e riportandolo a Juniper Hill.
Per quanto fosse
allettante e divertente pensare una scena del genere, ad essere sinceri la
prospettiva di venire rimesso in cella non lo faceva gioire più che tanto, ma
era sempre meglio di quella sensazione che…
- Ah!!! –
Una fitta acuta, come
una picconata nel cranio, lo colpì all’improvviso, facendogli quasi perdere il
controllo della vettura. Chiuse gli occhi, tenendo le mani ben salde sul
volante, e quando li riaprì pochi secondi dopo, un TIR stava sopraggiungendo
incontro a lui strombazzando e segnalando con i fari abbaglianti. Thomas scartò
a destra dando un velocissimo colpo di sterzo che riportò l’auto sulla corsia
giusta. Scampato il pericolo, Thomas tirò un sospiro di sollievo, poi avvertì
una voce dentro di sé.
Se hai cara la vita, ti conviene non pensare più a
niente del genere.
Thomas guardò nello
specchietto retrovisore, e vide che c’era un demone seduto sui sedili
posteriori che lo guardava sogghignando. Le sue mani erano lunghi artigli
sporchi di sangue, così come i denti felini e gli occhi iniettati di sangue.
Thomas girò di scatto la testa verso i sedili posteriori, ma su quell’auto c’era
soltanto lui. Guardò di nuovo lo specchietto retrovisore, ma non c’era proprio
nessuno. Immediatamente diventò bianco di paura, chiedendosi quali misteriose
forze lo stessero controllando. Cercò di non pensarci, continuando a guidare.
A pochi chilometri da
New York, sul ciglio della strada vide un sentiero che conduceva ad un trailer
parcheggiato, probabilmente di qualcuno che non aveva abbastanza soldi per
potersi permettere una casa vera e propria. Guardò meglio, e gli sembrò di
vedere dei fili con degli abiti appesi ad asciugare.
*****
Per non farsi notare,
aveva fermato la Honda Insight ad un centinaio di
metri dall’imbocco del sentiero del trailer, era sceso ed aveva percorso in
diagonale la strada che lo separava dal circondario della casa con le ruote.
Aveva già visto quei
tipi di abitazione, in passato. Una volta a New York stavano girando un film, e
ricordava di aver visto che gli attori si rifugiavano in quei trailer durante
le pause nelle riprese. Si avvicinò ancor di più, guardandosi intorno per
accertarsi che non ci fosse nessuno in giro. Il trailer sembrava essere
disabitato, se la fortuna lo assisteva. Velocemente si avvicinò al filo della
biancheria, arraffando alla svelta un paio di pantaloni, una camicia a
quadrettoni di flanella e un paio di mutande. Su un tavolino lì vicino c’erano
anche un paio di occhiali da sole e un cappellino da baseball sporco di grasso
per motori. Arraffò anche quelli, e se li mise. Una volta servitosi, andò ad
acquattarsi nella boscaglia, appena in tempo per non farsi beccare dal
proprietario, che era uscito in quel momento con una doppietta in mano.
- Dannato pezzo di
merda!!! – esclamò. Era un uomo mediamente corpulento, dai capelli lunghi e
bisunti che gli andavano a finire sugli occhi e che era costretto a ricacciare
dietro alle orecchie e all’apparenza ubriaco. Thomas si acquattò contro un
albero, riducendo al minimo il respiro. Intanto l’uomo continuava a sbraitare.
- Vieni fuori,
schifoso! Lascia stare i vestiti di mio figlio!!! – abbaiò di nuovo, e Thomas
immaginò che stesse girando intorno al trailer. Si allontanò un po’ dal suo
cantuccio, cercando di non fare rumore. Sgattaiolando di albero in albero,
riuscì a raggiungere la sua auto. Aprì velocemente le portiere e s’infilò
dentro con i vestiti, avviò il motore e partì alla svelta.
*****
Dopo il cambio di
vestiti si sentì un altro. Da quando era evaso
da quando l’avevano fatto evadere
non era riuscito a
trovare un momento per andare al gabinetto. In prossimità dell’uscita per New
York, si fermò ad una stazione di servizio Taxaco (la
benzina era quasi finita, però rifornire senza soldi era abbastanza difficile,
da quelle parti), dove andò nei bagni e si mise ad orinare.
La stazione di
servizio era stranamente deserta. Di solito a quell’ora ci sarebbe dovuta
essere non una folla di gente, ma almeno qualcosa di più di quel deserto che
aveva trovato.
Si lavò velocemente
le mani al lavandino, cercando di non perdere altro tempo oltre a quello che
aveva già perso. L’acqua era fredda sulle sue mani bianche, tanto che digrignò
i denti per il dolore. Quando alzò lo sguardo, negli specchi sui lavandini di
fronte a sé, comparvero degli altri demoni. Thomas trasalì per un momento,
restando fermo con le mani gocciolanti e la mascella che gli tremava per la
paura. Era completamente bianco dal terrore, ma nonostante ciò non riusciva a
reagire. I demoni dietro di lui lo osservarono, poi uno di questi chiuse la
porta d’accesso ai bagni con un cenno della mano.
Thomas non osava
muoversi. Nella sua mente cercava di trovare una soluzione possibile a quell’orrore
che stava vedendo, senza tuttavia riuscirci. Che cosa volevano da lui quei
mostri? Che cosa, in nome di Dio???
Come risposta alle
sue elucubrazioni, un altro demone fece scomparire i riflessi dagli specchi e
gli mostrò due ragazzi che facevano colazione nella stanza di una cucina. Senza
che nessuno parlasse, Thomas capì che quello biondo era NiallHoran. Pochi secondi dopo l’immagine fu sostituita da
una che conosceva bene.
- Harry! – esclamò Thomas,
vedendo nello specchio l’immagine del suo amico che, seduto alla scrivania del
computer, stava chiacchierando allegramente con qualcuno, reggendo in mano un
telefono rosa a forma di cuscino che Thomas conosceva molto bene, essendo stato
più volte a casa del suo amico.
- Che… che cosa c’entra
lui? – domandò timidamente Thomas, senza staccare gli occhi da quel “filmato”.
Uno dei demoni ruggì,
e Thomas lo guardò.
- Perché….? – si azzardò
a dire, ma il demone gli puntò un artiglio alla gola con un gesto così fulmineo
che Thomas ritirò immediatamente la domanda. Annuì, visibilmente terrorizzato,
quindi uno dei demoni gli andò vicino e gli prese le guance tra il pollice e l’indice.
Gli occhi rossi del demone e quelli chiari di Thomas s’incontrarono per un
momento, un lunghissimo attimo in cui i due sembravano innamorati che stanno
per darsi l’estremo addio.
Poi il demone alzò un
dito in alto, che Thomas seguì con lo sguardo (non poteva fare altrimenti, neanche
se avesse deciso di affettarlo, poteva soltanto osservare). Tuttavia il demone
non sembrava intenzionato ad ammazzarlo, però fece una cosa che per poco non procurò
un infarto a Thomas: con una mossa repentina, il demone ficcò l’artiglio in
bocca a Thomas, che urlò e cercò di sottrarsi, ma i demoni lo tennero ben
fermo. L’artiglio si allungò nel suo ventre fino allo stomaco, trasformandosi
in uno strano liquido che Thomas sentì bruciargli nelle viscere.
- Aaaaaaarghhhh!!!
– strillò, mentre quella strana sostanza gli entrava in corpo. Il demone
sghignazzava, e così i suoi due compari che tenevano immobile il povero Thomas.
Quando il demone ebbe
finito, Thomas si ritrovò solo nel bagno, con lo stomaco che gli bruciava e la
testa che sembrava una trottola. Si accasciò sul lavandino, aprì la bocca e
cercò di vomitare, ma vomitò solo dell’amara bile. Tossì, sputò, tossì ancora e
cercò nuovamente di vomitare, ma il risultato fu lo stesso. Nient’altro che bile.
Si sciacquò la bocca
più volte per mandare via quel bruciore nello stomaco, e sentì che forse stava
passando. Si tolse gli occhiali e si guardò nello specchio: era sempre lui, non
era cambiato… salvo che…
…per una frazione di
secondo era diventato un demone. Si sentì i muscoli guizzare, gli occhi vedere
oltre il muro, le orecchie sentire ciò che prima non riuscivano a udire.
Spaventato, si
allontanò dallo specchio continuando a fissare la sua immagine, finché non uscì
dal bagno, correndo verso l’auto. Una volta accomodatosi al posto di guida,
infilò la chiave nel quadro e vide che il serbatoio era di nuovo rifornito.
Riaccese il motore, e ripartì velocemente.
Intanto, nel bar, un avventore
fissava il pavimento con occhi vitrei, mentre il suo mento poggiava sul tavolo,
in un bagno di sangue che colava dalla bocca.
Una donna bionda era
accasciata sul pavimento con un grosso squarcio nel petto che le aveva lacerato
i vestiti, e il barista guardava il suo corpo senza testa sul pavimento del
locale, insieme a tanti altri clienti che erano stati barbaramente uccisi senza
nemmeno accorgersene.
La prima impressione
che Niall aveva avuto di Louis, avallata dalla sua
rivelazione che il fidanzato non gli piaceva per nulla, ma che ci si era messo
insieme solo per ronzare attorno a Thomas, era stata quella di avere a che fare
con un incallito playboy che se la faceva alle spalle del fidanzato.
Trovandoselo alla soglia di casa sua quella mattina, intento a parlare da solo
reggendo un pacco per la colazione, aveva fatto pensare a Niall
che ora ci volesse provare con lui.
Niall aveva avuto il suo primo amore a sedici anni. Era
stata una storia molto intensa e travolgente, ma durata appena un anno. Dopo di
ciò, aveva ricevuto molte proposte, ma la paura di venire nuovamente deluso,
unita alla fortuna di aver incontrato la maestria del grande Howard P. Jackson,
lo aveva trattenuto per molto tempo dalla vita sentimentale. Soltanto adesso, a
diciannove anni, pensava che forse gli serviva qualcuno, ma se qualcuno doveva
essere, non c’era proprio speranza che potesse scegliere il ragazzo che ora gli
sedeva di fronte e che sorseggiava il suo cappuccino guardando nel vuoto:
Louis.
Lo fissò
intensamente, mentre consumava il suo bombolone ancora caldo di forno,
inzuppandolo nel cappuccino. Di fronte a lui, Louis fingeva totale
indifferenza, ma gli era veramente difficile non buttare ogni tanto lo sguardo
verso Niall, il ragazzo che l’aveva ammaliato così
tanto da fargli portare la colazione a casa.
- Un pensiero davvero
carino – sentenziò Niall, ridacchiando – A cosa devo
questa lauta colazione? – domandò, avvicinando la bocca al pezzo di bombolone
appena bagnato dal cappuccino.
- Te l’ho detto,
voglio sapere come vanno le indagini. – rispose Louis, lottando per tenere lo
sguardo basso e non incrociare i suoi occhi.
Accontentandosi della
risposta, Niall annuì - Dunque, potrei aver scoperto
dove si nasconde Jackson. –
- Sì? E quindi? –
- Finiamo la
colazione, poi ti farò vedere come ho fatto. –
Dentro di sé Louis
tirò un sospiro di sollievo per non dover essere costretto a stargli seduto di
fronte anche dopo. Cominciava a non farcela più, doveva guardarlo, doveva
guardare il suo corpo, il suo sedere, le sue gambe…
…i suoi occhi… la sua
bocca… senza che lui se ne accorgesse. Ne aveva un bisogno disperato,
spasmodico.
Cercò di finire in
fretta la colazione che lui stesso aveva portato, chiedendosi dove si potesse
nascondere quello scribacchino da strapazzo che tanto piaceva al suo fidanzato
ed al suo amico matricida.
*****
Non c’era nulla che
non andasse in quella stanza, tranne che forse era un po’ troppo piena di libri
per un ragazzo di appena diciannove anni. C’erano autori di tutti i tipi, da
Stephen King a Sophie Kinsella passando per Patricia
Cornwell e Robert Ludlum. Louis, che di libri in vita sua ne aveva letti pochi
e ben circostanziati, ebbe un fremito di pelle d’oca entrando in quella specie
di tempio della parola scritta, dove ogni cosa sembrava essere al suo posto,
nulla lasciato al caso, mentre nella sua stanza tutto era lasciato al caos.
- Benvenuto nel mio
regno – disse Niall una volta entrato. Poi, notando
l’espressione del viso di Louis – Che hai? Sei allergico ai libri? –
- N… no, è solo che …
- tentennò Louis – è solo che non avevo mai visto così tanti libri in una sola
stanza. Sei un lettore appassionato? –
- Sì. Leggo fin da
quando ero bambino, e mi piace collezionare libri – rispose, sedendosi alla
scrivania e preparando una sedia anche per Louis. Velocemente, tirò fuori tutte
le carabattole che gli erano servite per determinare un presunto punto dove si
trovasse Jackson.
*****
Nel frattempo,
altrove, precisamente nel centro di New York, il traffico intasava le vie come
ogni mattina. La normale routine dei pendolari e dei lavoratori della Grande
Mela non si era fermata, nonostante i fatti di sangue dei giorni scorsi, e
nonostante la carneficina appena avvenuta nella stazione di servizio dove
Thomas Bailey era andato per servirsi della toilette.
Ovviamente i
cittadini della Grande Mela non potevano essere a conoscenza di quest’ultimo
fatto di sangue, dal momento che la strage era avvenuta solo poche ore prima, e
affinché le notizie si divulgassero, ci voleva almeno un giorno, ma anche se l’avessero
saputo, a chi sarebbe importato? The show
must go on, come dicevano a Brodway, e i
newyorkesi avevano fatto loro questo motto, bastava pensare al disastro delle
Torri Gemelle, che non era riuscito a fermare la città per più di un certo
tempo.
Zayn Malik, dal canto suo, avrebbe lasciato i suoi
concittadini ad affannarsi nella corsa alla ricchezza, continuando farsi gli
affari suoi nel suo appartamento, tranquillamente spaparanzato sul divano a
poltrire e a fumare un po’ di erba insieme al suo compagno LiamPayne. Avrebbe continuato a farsi gli affari suoi anche
dopo la notizia che Thomas Bailey era evaso, appena passatagli sotto gli occhi
all’interno del notiziario CNNBreaking News, alla quale peraltro non
aveva dato poi tanto peso, non fosse stato altro che cascava proprio a fagiolo
dopo la notizia di una condanna per spaccio di droga ai danni del suo pusher di
fiducia.
- Liam!
– urlò Zayn all’indirizzo del suo ragazzo – Hanno
beccato Doc! –
- Chi? – domandò lui
dal bagno.
- Ma come “Chi”? Doc!
Quel figlio di puttana della zolletta da cento dollari! –
Dopo un attimo di
silenzio, Liam uscì dal bagno con l’asciugamano in
vita – Ahhh, quel figlio di puttana di Doc. – disse,
asciugandosi i capelli. - Cazzo. – imprecò tra i denti – Adesso ci toccherà
trovare un altro pusher. –
Zayn si chinò sul tavolino dove aveva preparato tre
piste bianche in precedenza, infilandosi una banconota da dieci dollari nel
naso e incominciando a sniffare.
- Ehi – protestò Liam – Non te la finire tutta, lasciane un po’ anche a me!
–
- Che palle… To’, pippane un po’ anche tu – gli disse, porgendogli la stessa
banconota arrotolata e tirando su col naso – Hmmm… da
sballo. –
- E’ l’ultima dose
che abbiamo comprato da Doc. Facciamocela durare, almeno finché non troviamo un
nuovo pusher. –
- Ah, ‘Fanculo… -
mormorò Zayn.
- Ben detto… -
rispose Liam.
Erano passate appena
due ore dall’ultima dose, e come ogni volta che si faceva, Zayn
provò un po’ d’appetito. Purtroppo però, non c’era nulla in frigo.
- Cazzo! – esclamò,
tirando un pugno allo sportello del frigo – Ehi Liam!
–
- Che c’è? –
- Dammi un ventone, devo andare a fare la spesa…! –
- Finalmente te ne
ricordi, eh? Tieni… - gli disse, avvicinandosi a lui e porgendogli la
banconota.
- Vado e torno. –
S’infilò il giubbotto
e il cappellino di lana, e salì le scale che conducevano verso la strada.
Fuori, sul marciapiede, la gente camminava in
quella usuale danza cittadina, tipica della metropoli. Zayn
camminava con il giubbotto ben allacciato e il cappellino di lana calcato sulla
zucca. La dose di polvere d’angelo che si era fatto stava cominciando a fare il
suo effetto, ma non c’era da preoccuparsi. Doveva arrivare fino al McBanner’sGroceryStore alla fine della strada, e poi sarebbe tornato
indietro, a casa, al calduccio a guardare la televisione, magari facendosi una
scopata con Liam, sempre se non era già messo K.O.
dalla cocaina.
Una volta arrivato al
negozio, s’inoltrò nelle corsie con un carrello, vedendo cosa di buono aveva da
offrire il buon McBanner. Non l’aveva visto al suo
posto accanto alla cassa, quindi aveva pensato che il vecchio fosse in
magazzino, oppure da qualche altra parte. Di solito il mini-market era
mediamente pieno di gente, ma quel giorno sembrava deserto. D’accordo che non
era uno di quei mega-centri commerciali stracolmi di persone a fare shopping,
però quel giorno era davvero troppo vuoto. Troppo maledettamente vuoto.
Nonostante ciò, Zayn continuò a fare la sua spesa, ficcando nel carrello
degli affettati italiani d’importazione, una bomboletta di crema di formaggio, due
barattoli di burro d’arachidi e del pane per sandwich (di cui Liam era ghiotto), il tutto annaffiato da una bottiglia di
vino novello in cartone e una cassettina d’acqua minerale. Quando ebbe finito,
si avviò alla cassa per pagare il tutto.
Mentre faceva la
spesa, McBanner non era ancora tornato.
- Signor McBanner? – chiamò, ma non vi fu risposta.
Si guardò intorno,
cercando lui o sua moglie, che di solito teneva d’occhio il negozio quando il
marito andava in banca a versare gli incassi della giornata.
- Signora McBanner? C’è nessuno? – chiamò ancora. Restò in ascolto,
ma non sentì nulla.
All’improvviso,
avvertì un rumore che proveniva da una corsia. Un barattolo che cadeva, forse. Lentamente
si avviò verso le corsie. Le passò in rassegna una per una, ma non c’era
nessuno. Arrivato in fondo, c’era il settore ferramenta. Lì, vide una mano per
terra, tranciata di netto.
Zayn si portò una mano alla bocca, riconoscendo la
mano mozzata essere quella della signora McBanner.
Contro la sua
volontà, il suo sguardo si spostò più in là verso la corsia, dove trovò il
corpo della signora McBanner in un lago di sangue, la
testa staccata di netto dal corpo, riversa su un lato con un’espressione di dolore
e sgomento dipinta sul volto. Zayn per poco non
collassò sul pavimento, tenendosi la mano premuta contro la bocca per non
vomitare. Indietreggiò, andando a cadere con il sedere sul congelatore dei
surgelati.
Mentre il suo
cervello cercava una risposta coerente alla domanda “E adesso che cazzo faccio?”Un altro rumore attirò la sua attenzione. Si
avventurò verso la corsia della ferramenta, trovando alla fine il colpevole
dell’omicidio della signora McBanner.
A cavalcioni sopra il
corpo del signor McBanner, che periva sotto le lame
degli artigli del suo assassino, c’era un ragazzo circa della sua età, che si
voltò non appena avvertì la sua presenza.
Pur non avendo visto
bene la notizia al telegiornale, Zayn riconobbe
perfettamente chi era quel ragazzo. Era Thomas Bailey, che con le mani stava
brutalizzando il povero signor McBanner.
- A… i…. u… o… -
mormorò McBanner, agonizzante. Il suo assassino lo
finì artigliandolo alla gola, ponendo fine alle sue sofferenze. Zayn aveva visto tutto, ma non ebbe il coraggio di fare
nulla. Notò che nella tasca del giubbotto, Thomas aveva un martello da
minatore, probabilmente razziato dalla corsia ferramenta. Nella sua mente,
aveva ricostruito tutto l’accaduto: Thomas (o meglio, quello che assomigliava a
Thomas) aveva cercato di rubare quella piccozza, era stato sorpreso dalla
moglie di McBanner, l’aveva decapitata e mutilata
(forse era più probabile che l’avesse prima mutilata e poi decapitata), e poi
si era accanito su McBanner. La fortuna aveva giocato
dalla sua parte, facendo in modo che nel negozio non venisse gente.
Nel frattempo, Thomas
si era alzato dal corpo di McBanner, e si stava
avvicinando a Zayn. Questi, paralizzato dal terrore,
andò a finire con la schiena contro uno scaffale, facendo cadere alcune scatole
di chiodi e dei cuscinetti a sfera che toccarono il pavimento con un musicale
suono metallico: tin-tin-tin!
Mentre si avvicinava,
a Zayn sembrò che l’espressione sul volto di Thomas
cambiasse: i lineamenti si erano deformati talmente tanto da far assomigliare
la sua faccia a quella di un demone. Thomas gli andò talmente vicino,
costringendolo ad indietreggiare ulteriormente, fino a che la strada non gli fu
sbarrata dal muro che chiudeva la corsia. Thomas gli andò vicinissimo,
bloccandolo lì come un topo in trappola. Zayn lo guardò
intensamente negli occhi, tremando come una foglia. Nonostante si fosse fatto
di cocaina, in cuor suo sapeva di non stare sognando. La cocaina non faceva
certi effetti, almeno non su di lui, che di solito vedeva fiori e alieni, non
demoni.
Il demone-Thomas
sogghignò, mettendo l’indice sulla guancia di Zayn.
Zayn chiuse gli occhi, sudando freddo per la paura. Il
dito di Thomas si aguzzò fino a diventare un artiglio, che ferì la guancia di Zayn, facendogliela sanguinare.
- Ringrazia l’inferno
che non ho tempo da perdere – mormorò Thomas, allontanandosi velocemente da Zayn, che quando riaprì gli occhi, non lo vide più.
Rimasto solo, Zayn collassò a terra, guardando nel vuoto.
Poche ore dopo,
avvertiti da Liam, arrivarono gli sbirri, che lo
trovarono seduto nell’angolo dove l’aveva lasciato Thomas, rannicchiato in sé
stesso, che guardava fisso il pavimento, visibilmente sconvolto.
Quando poi in serata Liam l’aveva portato a casa, dopo l’interrogatorio alla
centrale, Zayn era ancora mezzo catatonico, e quando
si era messo a letto con Liam, aveva detto al ragazzo
Ho visto il male. Ho visto il male, e il
male ha visto me. Stanno arrivando, Liam. Stanno
arrivando… e noi siamo tutti morti.
Per tutta risposta, Liam l’aveva stretto dolcemente, cullandolo come un bimbo e
carezzandogli i capelli, evitando persino di proporgli un’altra dose di
cocaina. Non sapeva che altro fare.
Louis non aveva mai
sentito quella città prima d’ora. Anche se si trovava nel Maine, ovvero lo
stato più prossimo a quello dove si trovavano ora, era un nome sconosciuto,
strano. RirmorSadkners. Più
che certo che si trattasse di un gioco di parole.
- Non sei tanto
lontano dal vero – gli disse Niall, puntando il dito
sulla mappa – questo posto non esiste sulle normali cartine, perché è un gioco
di parole, come hai appena detto. –
- Cioè? – Louis alzò
lo sguardo, incontrando quello di Niall – cosa vorresti
dire? –
Sospirando, Niall prese una penna e un foglio, e vi scrisse sopra il
nome della città.
- Se tu provi a
mescolare le lettere che compongono il nome della città, ottieni la parola MirrorDarkness,
cioè lo Specchio delle Tenebre, che è la località fittizia dove ogni romanzo di
Jackson ha inizio – Niall batté il dito sul foglio
che aveva sotto la mano. – E’ lì che si trova Jackson. –
- Come fai ad esserne
così sicuro? –
Come un avvocato
esperto che si prepara a mostrare una prova schiacciante ad un tribunale, prese
i suoi quattro libri della saga delle tenebre di Jackson e li compose in fila
per due davanti agli occhi di Louis.
- Ecco. Componendo le
copertine dei libri, viene fuori quello che sembra un buco nero. Ma se noi
sovrapponiamo la cartina e il disegno del professor Bean, otteniamo questo. –
Sotto gli occhi di
Louis comparve una perfetta cartina del Maine, dove all’estremità
nord-orientale c’era un punto, che Niall era sicuro
essere RirmorSadkners. Si
voltò a guardare Niall. Questi alzò lo sguardo e lo
fissò negli occhi. Per un momento Niall sembrò
mettere da parte per un momento tutta la loro riunione sul luogo dello
scrittore pazzo e Louis ritornò con la mente al motivo vero per cui si trovava
là: per fare colazione con lui. E magari…
…in quel momento di
silenzio, ripensò ai sentimenti che provava per Niall.
Lentamente, senza che Niall se ne accorgesse mentre
si guardavano negli occhi, allungò una mano verso il suo collo, tirandolo
leggermente a sé.
A quel gesto, Niall s’irrigidì e si ritrasse, allontanando Louis con una
mano.
- Che cosa stai
facendo? –
- Quello che vuoi
anche tu. –
- Chi te l’ha detto
che io voglia….? –
- Nessuno. Lo so. –
- No, Louis. Non sai
un bel niente. – si alzò dalla poltrona della scrivania e andò alla porta della
stanza, aprendola.
- Vai a casa, Louis.
–
- C… cosa…? Perché…?
–
- Perché ho capito
che cosa vuoi. E non è ciò che voglio anch’io. Fuori. – disse, perentorio e
tassativo all’indirizzo di Louis che lo guardava come un cucciolo smarrito.
- No, ti… ti sbagli.
Vedi, io… -
- Non c’è giustificazione
che tenga. Coraggio, esci fuori da casa mia. –
Sentendo che era
inutile continuare a ribattere, Louis si alzò dalla poltroncina e andò alla
porta, passando accanto a Niall, che guardava in
basso. Lo accompagnò fino alla porta, e una volta che Louis fu uscito, la
richiuse velocemente.
Sentendosi chiudere
la porta dietro di sé, e presagendo che forse non avrebbe mai più rivisto Niall, Louis si sentì pervadere da un sentimento di
tristezza profonda, come mai aveva provato prima.
Niall… mormorò, alla porta chiusa. Ma non vi fu alcuna
risposta.
Sconsolato, girò i
tacchi e riprese la strada di casa, con un grande peso sul cuore.
*****
…Some boys take a beautiful girl
And hide her away from the rest of the world
I want to be the one to walk in the sun
Oh girls they want to have fun
Oh girls just want to have…
Come diceva Cindy Lauper, anche Louis aveva preso il suo bellissimo ragazzo,
solo che non lo nascondeva agli occhi del mondo. Anzi. Harry era liberissimo di
andare dove voleva, tanto a lui non sarebbe importato nulla.
Mentre ascoltava le
parole della popolare canzone della Lauper, Louis si
rigirava sul grande Pouf di fronte al televisore. Sul ripiano più basso, la sua
XBoX 360 lo guardava con quel suo occhio verde, in un
disperato tentativo di rianimare il suo padrone.
Coraggio, capo… fatti una bella giocata. Due
minuti a sparare a qualche guerriero oppure ad uccidere dei demoni, e ti sarai
dimenticato di quello smorfioso di NiallHoran e dei suoi romanzi. A te la letteratura non
interessa, quindi perché gli vai dietro? Lascialo perdere, accendimi e goditi
la vita.
Ma Louis non riusciva
a cedere alla tentazione. Guardava il soffitto con aria affranta, mentre nella
sua testa due pensieri lo afflliggevano: il primo,
che un ragazzo gli avesse detto di no; il secondo, che quel ragazzo gli avesse detto di no. Louis era innamorato perso di Niall, ed ora se ne stava disteso con la paura di averlo
perso per sempre.
Non può essere vero. Non mi è mai successo. Pensò Louis, passandosi una mano tra i capelli. Mentre
pensava a qualche possibile tentativo per riavvicinarlo, gli venne in mente che
erano ore che non sentiva Harry. A parte i soliti messaggi di ragazzi che
volevano riprovare il brivido della prima volta insieme a Louis (che ovviamente
non si concedeva mai più di una volta, salvo rarissime eccezioni), il suo
cellulare non aveva registrato messaggi di Harry in tutta la giornata.
Conoscendo bene Harry, e sapendo che il ragazzo era abbastanza apprensivo anche
quando andava a fare shopping con le amiche (soprattutto quando andava a fare shopping con le amiche), non
sentendo alcun segnale da parte sua, si preoccupò.
E si preoccupò ancora
di più guardando il telegiornale quella sera.
Di solito Louis non
guardava mai la televisione, ma quella sera, complice anche la figuraccia
rimediata da Niall, per cercare di distrarsi, si mise
sul divano e accese il televisore. I suoi erano già andati a dormire da un bel
pezzo, godendosi qualche commedia americana o un bel film via cavo, incuranti
dei problemi e delle avversità del mondo. Beati loro…
Non aveva un’idea di
cosa guardare. Appena accesa, si mise a fare zapping per i canali: una sit-com,
un talk-show, un incontro di tennis, pallacanestro, la parodia di un film
horror… e un telegiornale.
Il CNN Evening News.
Il faccione truccato
di Theodore Robbins stava annunciando le notizie della Pennsylvania.
- …e chiudiamo il
servizio salutando i nostri inviati a Pittsburgh, augurando a tutta lacittadinanza di passare un felice giorno del
Ringraziamento. Bene… - il giornalista fece scorrere un po’ di fogli che teneva
sottomano - …Non ci sono aggiornamenti per quanto riguarda l’evasione di Thomas
Bailey dal penitenziario psichiatrico di Philadelphia; il ragazzo è tuttora
latitante e la polizia lo sta cercando in lungo e in largo… -
Sentendo quella
notizia, Louis fermò il dito dal premere il tasto del cambio di canale e
ascoltò. Un brivido gli corse lungo la schiena.
- …ricordiamo che il
ragazzo è evaso questa mattina presto dal penitenziario, è arrivato a Philadelphia
e ha rubato un’autovettura bianca da un concessionario. Le telecamere di
sorveglianza dei tratti autostradali hanno rilevato che l’auto in questione ha
viaggiato fino a New York, dove si ritiene che il ragazzo abbia compiuto una
strage in una stazione di servizio… -
Mentre Robbins
parlava, immagini di Thomas Bailey e dei servizi successivi al suo arresto che
lo vedevano protagonista passavano sul video. Louis si portò una mano alla
bocca, tremando. Un brutto presentimento si stava insinuando nella sua testa.
- …Tuttavia, al
momento attuale, il ragazzo non è ancora stato rintracciato. Chiunque lo
avvistasse, è pregato di chiamare immediatamente il 911. –
Anziché chiamare
immediatamente il 911, Louis prese il cellulare e compose velocemente il numero
di Harry. Suonava libero, ma lui non rispondeva. Ad un certo punto, qualcuno
rispose alla chiamata.
- Casa Styles, parla il detective Elsa Beaumont. –
Sentendo quella voce femminile,
Louis si sentì spiazzato per un momento.
- D… detective? – mormorò
Louis, ad un volume di voce appena udibile. Dall’altro capo ci fu un secondo di
silenzio, poi...
- …Pronto? Chi è? –
domandò di nuovo la donna.
- Mi chiamo Louis Tomlinson – disse Louis, meccanicamente – ho bisogno di
parlare con il mio… - Louis ci pensò su un secondo. Stava per dire “ragazzo”,
ma si frenò bruscamente. - …amico. Dov’è? –
- E’ quello che
vorremmo sapere anche noi, signor Tomlinson – rispose
secca la detective.
- Come…? Che vuol
dire? –
- Senta – gli disse
la donna – Mi dispiace doverle dare questa notizia tramite un cellulare, ma
purtroppo… il suo amico è scomparso. –
Quell’aggettivo gli
piombò dal cielo sulla testa come un’incudine di tre quintali. Cosa voleva dire
scomparso? E dove era scomparso? Cercò
di mantenere la calma, ma in quel momento gli riuscì veramente difficile: si
sentiva la stanza girargli attorno e il terreno inghiottirlo.
- C…come, scomparso…?
–
- Mi dispiace –
ripeté la donna – Forse sarà il caso che facciamo quattro chiacchiere appena
possibile, signor Tomlinson. Se vuole lasciarmi il
suo num…. –
Meccanicamente, senza
stare a pensarci troppo su, Louis chiuse la chiamata e si mise le mani in
grembo. Harry era scomparso. Scomparso, chissà dove. Nella sua mente iniziarono
a sfilare tutti gli scenari più foschi, ovvero che fosse stato rapito, che
fosse scappato, che fosse stato ammazzato.
È stato lui a rapirlo. È stato lui. Lui. Thomas.
Come lo sai?
Lo so e basta.
Lo so e basta.
Lo so e basta…
- Aiuto. – disse Louis,
alzandosi dal divano. Guardò l’orologio, erano appena le dieci meno dieci. –
Devo fare qualcosa. –
Velocemente arraffò
le chiavi dell’auto e l’aprì, saltandoci dentro. Infilò la chiave nel quadro d’accensione
e…
- Ahhh!!!
–
Nello specchietto
retrovisore, vide l’ombra di una creatura malvagia. Sembrava un demone alato, o
un diavolo, o qualcosa di simile. Urlò, per la paura tirò su il piede dalla
frizione di scatto mentre la marcia era inserita e provocò il balzo in avanti della
vettura con conseguente spegnimento del motore. L’auto urtò contro il portone
del garage, ammaccandosi leggermente il paraurti. Louis guardò indietro, e vide
che era solo. Non c’era nessun demone lì con lui, ma quel che era certo era che
stava provando paura.
Campare con i soldi
degli altri è difficilissimo, a meno di non essere molto furbi o di non vivere
in Italia, dove chi campa coi soldi degli altri è quasi sempre legalizzato.
Questo lo sapeva benissimo Barbara-Anne Saint-George per tutti conosciuta come
la Maga della Fiamma: una formosa
donna afroamericana che vestiva sempre con lunghi e coloratissimi abiti e
portava al collo collane d’oro con pendenti dai colori sgargianti. A chi
gliel’avesse chiesto, lei avrebbe risposto che erano preziosissimi amuleti
magici, salvo poi scoprire che erano solo volgari pezzi di bigiotteria
acquistabili in un qualunque negozio di chincaglierie nell’estrema periferia
della città (poco lontano da dove abitava Niall).
Ad ogni suo cliente
(per lo più donne che erano state piantate dal marito, o uomini che avevano
perso ogni speranza nella vita) che la visitava per un consulto astrologico,
sfuggiva sempre che la maga, nonostante la pelle scura, viveva in un
appartamento a metà tra il lussuoso ed il borghese nel centro di New York, ad
appena un piano sotto un importante studio legale, tutto il contrario di un
antro magico in cui si prediceva il presente e il futuro delle persone.
Comunque fosse, Barbara-Anne apriva ogni suo consulto con una garanzia: che lei
aveva i poteri. Poteri divinatori ereditati da una sua bisnonna, la quale fin
da piccola le aveva insegnato la magica arte di vedere nelle vite umane, e
capire cosa il futuro riservasse loro. Adesso che era morta, diceva, le
appariva in sogno costantemente, per indicarle sempre la via giusta da seguire.
Ecco, se quel giorno
la cara nonna le fosse apparsa in sogno, le avrebbe sicuramente detto di stare
attenta ai demoni.
*****
Come ogni mattina,
l’ascensore aveva trillato al ventottesimo piano, dove la maga abitava e
dispensava consulti magici. Non potendo contare sull’aiuto di nessuno (meglio soli che male accompagnati),
andava ogni mattina a fare la spesa da sola, e anche quella mattina era uscita
dall’ascensore con i sacchi della spesa, uno per mano, stando bene attenta a
non far cadere le uova posate in alto nelle buste.
Sbuffando, si
apprestò a percorrere il lungo corridoio che separava l’entrata dell’ascensore
dal suo appartamento. Il corridoio era silenzioso come al solito, eccetto quel
solito rompiscatole di Piquels, l’inquilino
dell’appartamento 2857, che aveva la pessima abitudine di tenere troppo alto il
volume del televisore.
- Ti si possano
seccare le palle, Piquels – borbottò la donna,
trascinandosi a fatica nei suoi settant’anni, quando all’improvviso udì il
rumore di qualcosa che cadeva.
Secco come una
fucilata, il rumore di un vaso che s’infrangeva al suolo.
Si voltò di scatto,
cercando di capire da dove provenisse la fonte del rumore. Udì altri rumori di
seguito, compreso un grido di ragazza (o
era un ragazzo?) gli sovvenne che poteva essere stato il figlio degli Styles (nell’archivio mentale della donna erano una brava
famiglia, la signora Styles più di una volta si era
rivolta alla vecchia afroamericana per farsi predire il futuro – Potrebbe dirmi che cosa mi riserva la mia
vita… ehm… amorosa… sentimentale… sessuale? Sa, sono sposata con mio marito da
vent’anni, ma dopo la nascita di nostro figlio Harry, non mi tocca più con un
dito. In quell’occasione Barbara-Anne aveva evitato accuratamente di
rispondere Rebecca, mia splendente sirena
in questa cupa città, forse tuo marito ha paura di metterti incinta e quindi di
generare un ragazzo che sembra una ragazza come il piccolo Harry, e le
aveva predetto il futuro), quel ragazzo diciottenne che si comportava come una
ragazzina. In più di un’occasione aveva visto il suo partner, li aveva
incontrati in ascensore e aveva scambiato quattro chiacchiere, e la prima cosa
che pensò fu che forse i due piccioncini stavano litigando in casa Styles.
- Aiuto! –
l’invocazione giunse alle orecchie della Brown
ovattata, piuttosto confusa. Se Piquels avesse
abbassato un po’ l’audio, forse avrebbe sentito meglio. Pur senza avere la
stoffa dell’eroina, Anna si precipitò in quella direzione, salvo poi pentirsene
quando giunse nel corridoio attiguo, quello dove c’era l’appartamento Styles.
Lì, fuori dalla
porta, vide un ragazzo che teneva il giovane Harry su una spalla. Sembrava
molto forzuto, data la disinvoltura con cui si muoveva con il ragazzo sulle
spalle. Gli sembrò anche di riconoscerlo, ma non riusciva a capire chi…
Nel momento in cui
Barbara-Anne cercava di ricordarsi dove avesse già visto quel ragazzo, questi
aprì la bocca e mostrò due file di denti aguzzi.
- Mi aiuti, signora Saint-George! La prego!!! –
il figlio degli Styles strillava come una ragazzina,
sbattendo le gambe e dimenando le braccia come un pesce catturato. Nonostante
la vecchiaia, la donna non era certo scema, come non lo erano gli altri
inquilini che non avevano aperto nemmeno una porta per vedere che cosa stava
succedendo alle invocazioni d’aiuto, così lasciò cadere le buste della spesa e
fuggì a gambe levate verso il corridoio.
Ruggendo, quell’essere
che sembrava un ragazzo le andò dietro, saltando a grandi passi per il corridoio.
Davanti a lui, la grassa e nera signora camminava a grandi falcate cercando di
sfuggire, urlando in preda al panico. Per grazia ricevuta riuscì a guadagnare
la porta del suo appartamento, ma non avendo le chiavi a portata di mano, girò
la maniglia a vuoto.
- Aiuto! Aiuto!!!! – strillò la donna, e
questa volta una porta si aprì. Era la porta dei suoi vicini, i Bavaresco, una famiglia italiana il cui signor Giovanni era
un dirigente d’azienda. Ignorando la bambina che aveva aperto la porta, la
donna entrò di forza nell’appartamento, richiudendo frettolosamente la porta.
Frattanto, Harry
continuava a strillare, ma purtroppo per lui il demone fu più lesto: spiccò un
balzo e ruppe con la testa la finestra che dava all’esterno, saltando fuori.
Harry urlò di terrore mentre veniva rapito dal demone, che in un attimo balzò
su un’auto lì parcheggiata.
- Thomas…. Che cosa…
che cosa sei diventato?!? – piagnucolò Harry.
Senza degnarlo di uno
sguardo, il demone-Thomas lo tramortì con un colpo alla testa, e per Harry
scese il buio.
Dopo una lunga
giornata passata chiuso in camera, con i suoi genitori preoccupati perché non
voleva venire fuori, Niall decise che sarebbe partito
da solo alla volta di RirmorSadkners.
L’idea lo spaventava, ma era l’unico modo di far luce su quanto stava
succedendo, e non da ultimo per fargli passare quelle strane visioni che stava
avendo, e chiarire quella sua posizione di “Prescelto”. Benché ne fosse
tentato, evitò accuratamente di richiamare Louis. Il ragazzo si era comportato
in maniera troppo impulsiva quel mattino, e Niall non
aveva alcuna intenzione di avere tra i piedi un lussurioso che bramava solo di
portarselo a letto.
A letto… già. Da
quanto tempo era che Niall non aveva un rapporto
decente? Un anno? Forse due? Non se lo ricordava. E dire che le occasioni non
gli mancavano, ma a differenza di molti suoi amici, non voleva bruciarsi prima
dei trent’anni, così aveva scelto la letteratura coadiuvante di un ascetismo
sessuale in attesa di tempi migliori, o in alternativa di un ragazzo che lo
amasse per ciò che era. Tra la cerchia di fan di Jackson di cui faceva parte su
Facebook non ce n’era uno accettabile. Tutti troppo Nerd o troppo ossessionati dalla
letteratura del Maestro per perder tempo a conoscere altra gente. D’accordo, e
allora, chi rimaneva? A quanto pareva, soltanto Louis.
Ma scherziamo? È solo un playboy, uno che usa i
ragazzi e poi li abbandona. Che sta con Harry solo perché non riesce a
lasciarlo.
La voce che gli aveva
parlato mentre preparava una sacca piena di abiti comodi era la sua coscienza
moralista. Mise una felpa nella sacca e si sedette sul letto, guardando un
punto nel vuoto.
D’accordo, questo è ciò che viene in mente appena
apre bocca per parlare. Ma potrebbe non essere la verità. Magari Louis è solo
un ragazzo che non riesce a trovare il suo posto nel mondo, e di conseguenza si
comporta come un playboy e si sfoga in quel modo. Magari non è riuscito a
trovare il ragazzo giusto.
- E dovrei per forza
essere io? – mormorò Niall, nel silenzio della stanza
e della casa dove i genitori stavano già dormendo da ore.
Non se non lo vuoi -rispose
la sua voce interiore – Non lo vuoi?
- Bè… - Niall si morse un labbro. La domanda l’aveva lasciato
spiazzato, e se l’era fatta lui stesso.
All’improvviso udì il
rumore di un motore che si avvicinava, un’auto che frenava in tutta fretta e
poi si spegneva. Andò alla finestra, e dall’alto del primo piano dove la sua
cameretta si trovava, vide Louis, dall’altro lato della strada, che scendeva
dall’auto e correva a grandi passi verso casa sua.
- Ancora lui… - Niall sbuffò, pensando che ora avrebbe voluto suonare il
campanello. Velocemente corse alla porta d’ingresso, solo per scongiurare il
pericolo che potesse svegliare i suoi genitori.
*****
Louis non fece in
tempo nemmeno a sollevare il pugno contro la porta. Niall
gliela aprì prima che potesse mettere in atto i suoi disturbatori propositi.
Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Louis, Niall
cambiò un po’ la sua opinione che aveva del ragazzo: in quel momento non
sembrava il Louis Tomlinson che aveva conosciuto
qualche giorno prima. Sembrava un ragazzo terrorizzato che aveva appena
smarrito una persona a lui cara.
- Che succede? –
domandò Niall, senza nemmeno prendersi la briga di
rimproverarlo per essere lì a quell’ora.
- H… Harry… - disse
Louis, continuando a tenere gli occhi fissi in quelli di Niall
– Thomas lo ha rapito. –
- Che… che cosa…? – Niall era sconvolto, la mascella che quasi toccava terra
dallo stupore. – Come… come lo sai? –
- Lo so e basta. –
replicò secco Louis – Dobbiamo assolutamente andare in quel posto che hai
menzionato stamani. –
- RirmorSadkners. – scandì lentamente Niall,
gli occhi persi nel vuoto. Se aveva avuto l’intenzione di accantonare l’idea di
andare a cercare il folle scrittore Jackson, adesso quell’idea era definitivamente
morta. Doveva andarci per forza, Harry era in pericolo.
- Già. Dobbiamo fare
presto. –
- Con cosa vorresti
andare? –
- Con la mia auto. Prendi
le tue cose, ci arriveremo in un modo o nell’altro. E… -
- Sì…? –
- …I tuoi hanno una
pistola? – domandò Louis. Adesso sembrava un comandante che dava istruzioni ad
un suo soldato. Niall annuì lentamente, pensando alla
Beretta M92FS che suo padre aveva acquistato dopo che un ladro aveva tentato di
entrare in casa loro.
- Bene – disse Louis –
Prendi anche quella. – poi aggiunse – …E speriamo di non doverla usare. –
Visibilmente scosso, Niall non perse altro tempo e andò in casa a prendere le
sue cose.
Data la loro scarsa
cultura di film d’azione e di spionaggio, Louis e Niall
non avrebbero mai immaginato che mentre erano sulla soglia a parlare, ci
potesse essere qualcuno che stava ascoltando tutta la loro conversazione.
Con le mani che
tenevano stretta la corona del volante, e gli occhi che non perdevano di vista
un secondo la Ford grigia di Louis, Elsa Beaumont stava costruendo le migliori
ipotesi di rapimento degne di un film di Alfred Hitchcock. L’errore principale
l’aveva fatto Louis: nel chiamare (naturalmente) Harry, non aveva nascosto il
suo numero di cellulare. Così, quando la detective aveva risposto, era apparso
il numero, e dopo che Louis ebbe riappeso, la detective si era andata a cercare
di chi fosse quel numero. Non le era costato troppa fatica, era bastato fare la
telefonata giusta all’aggancio giusto (come si sarebbe vantato di fare Louis) e
in pochi minuti aveva ottenuto indirizzo e nome del suo interlocutore. Anche se
Louis era uscito subito di casa, non le era stato difficile rintracciare la sua
auto nei pressi dei quartieri di periferia (era l’unica messa un po’ meglio
delle altre), così si era messa a tallonarlo ed aveva avuto la fortuna di
assistere a tutta la conversazione e alla partenza dei due.
La Ford grigia
imboccò l’autostrada. Direzione Nord-Est, Connecticut.
Dove cazzo volete andare, giovanotti? Pensò la Beaumont, mentre guardava il display
sulla strumentazione per vedere se c’era abbastanza benzina. L’ago segnava
serbatoio pieno – Ringrazio dio di avermi
donato la provvidenza per tenere sempre il serbatoio pieno e l’acume di andare
a ficcare il naso dove non dovrei – si complimentò con sé stessa, e si
tastò il fianco destro per vedere se aveva la pistola. L’arma era lì al suo
posto, e lei si sentì più rassicurata. Se c’era da fare casino, era pronta.
E in effetti il
casino ci sarebbe stato. Solo che Elsa non poteva immaginare quanto grande
fosse.
*****
- Va bene da questa
parte? – domando Louis senza rivolgere il suo sguardo a Niall,
troppo impegnato a guardare la strada.
- Vai verso il Maine.
È lì che troveremo RirmorSadkners.
–
Se veramente esiste, pensò Louis, alzando le sopracciglia per evitare
di dirloa Niall.
Mentre guidava, guardava la strada senza parlare. Quanto era accaduto era
troppo assurdo anche per lui. Nemmeno lui sapeva come, ma sapeva che Thomas era
coinvolto. Lo sapeva con quell’intima certezza che si ha quando il tuo ragazzo
ti sta tradendo. Non che fosse necessario né vitale andare a salvarlo, ma Harry
era pur sempre il suo ragazzo, e anche se non provava appieno i sentimenti
canonici di un ragazzo innamorato, Louis non voleva perderlo. Lanciò uno
sguardo a Niall.
- Da quanto tempo
leggi Jackson? – gli domandò.
- Cinque anni. –
- Come l’hai scoperto?
–
Niall si morse un labbro, prima di rispondere. Spesso
le persone trovano una passione naturalmente, così come l’aria che respirano.
Per Louis invece era stato diverso.
- Avevo… - si fermò,
come se volesse riformulare la frase. - …No, forse è meglio che non… -
- Coraggio – lo
incitò Louis, mettendogli delicatamente una mano sulla sua, che stazionava sul
ginocchio. – Raccontami, ti prego. –
Niall sospirò. – A quei tempi avevo problemi di
socializzazione. Sai, i problemi che hanno gli adolescenti a quel punto della
loro vita. Hai presente? –
- Ho presente – mormorò Louis, benché lui di
quel genere di problemi non ne aveva mai sofferto in vita sua, sempre
attorniato da ragazze fin dall’infanzia e poi da ragazzi quando aveva scoperto
il suo vero orientamento sessuale. Casomai aveva problemi opposti, ma non
voleva distruggere un probabile ponte che si sarebbe potuto creare con Niall.
- Be’ – proseguì il
ragazzo seduto sul sedile passeggero – Da ragazzino ero molto solo. Non riuscivo
ad andare d’accordo con nessuno, me ne stavo sempre per conto mio. – Fece una
risatina nervosa – …non che adesso sia diverso, ma sono un po’ migliorato. –
- E allora…? –
- Allora… nei miei
momenti di solitudine, mi rifugiavo nella lettura. Avevo pile alte così di
libri, e li leggevo avidamente. Li leggevo perché nulla mi soddisfaceva. Finché…
-
- Finché…? – Louis continuava
a guardare la strada, ma ascoltava attentamente le parole di Niall.
Guardando la strada
anch’egli, Niall non si accorse che i suoi occhi
erano diventati sognanti.
- …Un giorno non
andai in libreria. Mi incamminavo tra gli scaffali, senza trovare ciò che
cercavo. Ormai avevo letto tutto o quasi, non riuscivo a trovare nulla che mi
soddisfacesse. In più… era appena finita la mia prima storia d’amore con un
ragazzo. Ero distrutto. –
Louis guidava
ascoltando le parole di Niall. Forse era solo un’impressione,
ma sembravano cariche di dolore. L’aria era carica di tensione come un giorno
grigio che minacciava pioggia.
- …In uno dei
corridoi della libreria, mi imbattei nella sezione fantasy. Venite con me nel mondo delle tenebre. Fu
quella la frase che mi attirò di più, nel mio momento di sconforto. Quella
frase era la frase di un banchetto di libri di uno scrittore esordiente, Howard
P. Jackson. Appena presi in mano uno dei suoi libri, mi sentii preso da una
vertigine. Iniziai a leggerlo, e mi prese fin dalle prime parole. Fu come un
amore a prima vista. – girò lo sguardo verso Louis - …Forse mi prenderai per un
matto. –
- Assolutamente no –
rispose Louis, scuotendo la testa. Si fermò ad un semaforo, e offrì a Niall una vista dei suoi occhi chiari – Non penso tu sia
pazzo. Nessuno meglio di me sa che cosa voglia dire la parola “amore a prima
vista”. – disse, e gli fece l’occhiolino.
Niall distolse lo sguardo, troppo impegnato a ricordare
per replicargli – Lessi tutti i suoi libri, mi presero dal primo all’ultimo. E
finché non ne usciva uno nuovo, io leggevo e rileggevo quelli che già avevo.
Desideravo conoscerlo, desideravo incontrarlo. Desideravo essere uno dei suoi
personaggi. –
La mano di Louis era ancora
sulla leva del cambio della Ford quando il ragazzo ebbe un sussulto spaventoso.
Gli si drizzarono i peli sulla testa, e il suo corpo fu scosso da un brivido di
freddo lungo la schiena. La confessione di Niall,
per qualche strana, inspiegabile
ragione, lo agghiacciò. Con il suo sussulto per poco non sollevò il piede
dalla frizione, mandando a spegnere il motore dell’auto, ma ripartì tranquillamente
una volta che il semaforo mostrò la luminosa luce verde.
Intorno a loro, c’era
tanto traffico in uscita da New York, tante auto che si dirigevano in ogni
dove. Louis si sentiva stanco e visibilmente provato, soprattutto in pensiero
per Harry. La confessione di Niall era stata poi il
colpo di grazia per i suoi nervi già scossi. Se Niall
voleva diventare un personaggio dei romanzi di quel folle, che cosa cazzo
significavano lui e Harry in tutta questa storia? Perché proprio lui? Louis non
seppe dare risposta a questi suoi interrogativi, e quasi telepaticamente, con
una voce metallica degna di un delirante, Niall
mormorò – Jackson. Ha mandato lui Thomas a prendere Harry. –
Louis continuò a
restare concentrato sulla guida. Dopo un intervallo di tre minuti, nel quale
pensò a tutte le possibili domande da evitare, rispose semplicemente - Perché?
–
- Per assicurarsi che
io andassi da lui. – rispose meccanicamente Niall,
senza battere ciglio. A Louis sembrò che il ragazzo si fosse improvvisamente
trasformato in un automa, incapace di intendere e di volere, ma solo di fornire
risposte preconfezionate da chi l’aveva programmato.
Senza dare il tempo a
Louis di fare un’altra domanda, Niall annunciò –
Stiamo andando là dove tutto avrà inizio. Dove tutto incomincerà. –
Poi chiuse gli occhi,
appoggiò la testa al poggiatesta del sedile e si addormentò.
Il brusio confuso di
una folla di persone, unito alla musica di un’orchestrina, attirarono Niall verso un corridoio di un posto a lui sconosciuto. A
giudicare dalla volta alta e dai lampadari che pendevano dal soffitto, si
trovava in un castello. Alle pareti erano appesi grossi arazzi e quadri di ogni
genere, per lo più scene raffiguranti battaglie, sacrifici o pestilenze.
Andando più avanti, la luce aumentava sempre di più, e con essa salivano di
volume la musica dell’orchestrina e le voci della folla. Voci educate, un
brusio quasi sommesso. Niall avanzò in quella
direzione, e si trovò di fronte ad una grossa porta a vetri a doppio battente, dietro
la quale la musica era più forte e anche il brusio.
Posò la mano sulla
maniglia del portone, l’abbassò e spinse.
C’era un grande
salone dove si stava svolgendo un ballo di gran classe. Dame e damigelle, accompagnate
dai rispettivi cavalieri, danzavano al ritmo di un valzer suonato
dall’orchestrina in fondo alla sala, un ensemble
di cinque elementi, quattro violini e due violoncelli, che chissà come, a Niall ricordarono la scena finale del film Titanic. Fece per scendere gli scalini
che conducevano alla sala, con una sicurezza che non aveva immaginato di avere.
Nessuno dei presenti badò a lui, tranne un ragazzo, che gli si avvicinò e
s’inchinò riverente.
- B… Brandon? –
- Niall
– disse il ragazzo inchinandosi e sfiorandogli la mano con le labbra – Permetti
questo ballo? –
Sto sognando. È evidente che sto sognando, pensò Niall, guardando
il protagonista dei suoi romanzi preferiti che gli chiedeva di danzare. Tutto
ciò non poteva essere vero, o meglio lo era o lo era stato…
…ricordi confusi si
affacciarono nella mente di Niall, che aveva come
l’impressione che tutto quello che stava accadendo fosse in realtà già
accaduto.
O sarebbe accaduto in
futuro.
- S…sì. – rispose
titubante Niall, mentre Brandon gli prendeva la mano
e lo invitava a ballare – Ma… io non sono una damigella. –
- Veramente, qui non
importa a nessuno – ribatté Brandon con un sorriso ampio. A Niall
quel sorriso ricordò quello di Louis.
A dispetto di come lo
descrivesse Jackson, Brandon ballava divinamente. volteggiarono tra gli altri
ballerini, con una maestria che aveva del soprannaturale. Guidato da Brandon, Niall ebbe l’impressione addirittura di volare. Danzare con
lui era semplicemente bellissimo, e chissà come mai, si sentiva stranamente
bene.
- Lo so che ti senti
bene – disse ad un certo punto Brandon – Qui sei a casa. –
- Cosa…? – la
sensazione di benessere che aveva avuto si dissolse in un secondo nel sentire
quell’affermazione – Che vuoi dire? –
Brandon fece un
sorrisetto sardonico – Quello che ho detto. Che sei a casa. –
Frattanto, gli altri
ballerini si erano fatti da parte per lasciar ballare i due ragazzi. Il salone
era tutto per loro, e mentre volteggiavano, Niall
ebbe l’impressione di non riuscire più a muovere il suo corpo. Si guardò
intorno, e tra gli invitati vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.
Tra gli invitati
c’erano molte delle persone che conosceva. In fondo alla sala vide Johnny, che
seduto su uno sgabello, suonava il violino; Accanto a Thomas Bailey, c’era
Harry Styles. Si tenevano per mano e si baciavano
dolcemente, lanciandosi sguardi sensuali. Poco più in là, vestito come un
generale di chissà quale esercito, c’era Ben Ridgewick
in alta uniforme, uno strano completo nero che esibiva una sciabola appesa al
fianco destro; Insieme ad un uomo, c’era quella donna, la prima segretaria
della Pendragon Press, DhaliaClaiborne, che lo guardava applaudendo e mostrando un
sorriso che in breve si trasformò in quello di un demone. Guardò anche gli
altri che aveva visto prima. Johnny, Ben, tutti gli invitati si erano
trasformati in demoni.
Lentamente si girò
verso Brandon, solo che non era più Brandon.
Era Louis.
Louis, che gli
sorrideva e che lo faceva volteggiare serenamente. In quell’istante Niall lo guardò negli occhi, con uno sguardo da cucciolo
impaurito.
- Sei a casa, Niall. Siamo a
casa. Non avere paura. – il tono della sua voce era dolce, suadente. Niall si perse negli occhi chiari di Louis, fino a che
questi non li chiuse e avvicinò le sue labbra.
Lo baciò dolcemente,
mentre Niall teneva gli occhi aperti, spaventato e
tranquillo allo stesso tempo. Gli invitati avevano iniziato ad applaudire. Con
la coda dell’occhio, Niall vide una persona che
applaudiva, ma che non era un demone come tutti gli altri. Era in leggera
penombra, seminascosto da uno dei pesanti tendaggi rossi.
A Niall
bastò un’occhiata per capire chi era.
Era Jackson.
E sogghignava.
*****
Mentre Niall dormiva beato sul sedile accanto, Louis continuava a
guidare. L’orario canonico del suo sonno era passato da un pezzo, ed il suo
orologio biologico aveva iniziato a dare segnali di squilibrio già da un pezzo:
appena giunto nel Maine, dopo cinque ore di viaggio ininterrotto, i suoi occhi
stavano incominciando a chiudersi. Più d’una volta si sorprese a riaprire gli
occhi di scatto quando li aveva già chiusi sulla strada, e più di una volta
aveva rischiato di finire fuori strada. Non potendo continuare a guidare in
quelle condizioni, decise di fermarsi. Azionò l’indicatore di direzione verso
la prima stazione di servizio aperta, rallentò e imboccò il vialetto d’ingresso.
Al di là del
parabrezza, gli si presentò l’immagine del negozietto con alcune persone all’interno,
un’anziana signora che serviva caffè al bar annesso, qualche cliente che
consumava seduto ai tavoli e… un telefono.
Si fermò di fianco
alla pompa di benzina (senza notare l’auto della detective Elsa Beaumont che si
fermava poco più in là, nel parcheggio), scese e rifornì il serbatoio.
Niall dormiva ancora.
Quando entrò nel bar,
la porta tintinnò. Qualche avventore si girò a guardarlo con occhio torvo, ma
lui non ci badò più che tanto. Si rivolse alla cameriera al di là del banco.
- Buonasera. – disse Louis,
sorridendo.
- Buongiorno. Sono
quasi le quattro del mattino – gli rispose la donna, continuando a strofinare
il banco dai residui dei bicchieri di birra. Un avventore lì vicino ridacchiò
con una grassa risata, e Louis si domandò cos’avesse avuto da ridere tanto.
Puzzava di birra, dunque doveva essere ubriaco marcio.
- Posso usare il
telefono? –
- E’ un telefono
pubblico, bello. Puoi usarlo anche se non fai una consumazione, basta che tu
abbia un quarto di dollaro. – La donna gli sorrise con quel sorriso anziano,
mostrando una fila di denti giallognoli sporcati dal rossetto. Altra grassa risata
da parte dell’ubriacone.
- Okay. La ringrazio.
– rispose Niall, avviandosi verso la pensilina del
telefono pubblico.
Compose il numero di
casa sua. Squillò una… due… tre volte fino a che non partì la segreteria
telefonica.
La voce di suo padre
scandì lentamente: - Segreteria telefonica della famiglia Tomlinson.
Siamo momentaneamente assenti. Lasciate un messaggio con vostro nome e numero
di telefono dopo il segnale acustico e vi richiameremo prima possibile. –
Biiiip.
Raccogliendo le idee
in testa, Louis parlò.
- Papà, Mamma, sono Louis.
Domani non sarò a casa, sono impegnato ad aiutare… - ci pensò su, poi disse - …Un
amico in difficoltà. Non preoccupatevi, tornerò presto. Un bacio a mamma, un
abbraccio a papà. –
Dopodiché riagganciò
sospirando. Nella sala intanto, avevano acceso un televisore. Il mezzobusto
della CNN questa volta era Patrick DeLesseps.
- …Ancora nessuna
notizia dai rapitori del giovane Harry Styles, il diciottenne
rapito a New York. La polizia indaga a 360 gradi, ma per ora sembrano non
esserci sviluppi sul caso. Continueremo a tenervi aggiornati in merito.
Passiamo ora alla politica interna… -
Louis sospirò,
scuotendo la testa. Lui sapeva chi aveva rapito Harry, ma non poteva
assolutamente dire nulla alla polizia. Primo, perché non gli avrebbero creduto.
Secondo, perché non ce l’avrebbero fatta. Terzo, perché il rapimento di Harry
era qualcosa che aveva a che fare con Niall e solo
con lui. In cuor suo sapeva che chiunque avesse tentato di interferire, sarebbe
finito male, molto male. C’erano forze oscure che manipolavano quell’affare, ma
questo ovviamente non poteva saperlo nessuno.
Nemmeno Elsa
Beaumont, che si era nascosta dietro la porta del bagno per origliare la
conversazione.
Prima di rimettersi
in viaggio, dopo la telefonata alla segreteria telefonica di casa sua, Louis
aveva preso una borraccia di caffè al bar, giusto in caso. Niall
dormiva ancora sul sedile passeggero (a Louis sembrava incredibile come il
ragazzo riuscisse a dormire così tanto), mentre Louis continuava a guidare.
Andando avanti sull’autostrada, le auto si diradavano sempre di più. L’ultima
che aveva visto era stata una Hyundai di colore verde con la targa della
California, mentre c’era un’altra auto (una Subaru blu notte targata –
curiosamente- New York) che continuava a ricorrere. Louis la vedeva sorpassare
e scomparire, per poi ritrovarsela di nuovo dietro pochi minuti dopo. Gli
sembrava strano, ma non riusciva a capire. Tuttavia, continuò il suo viaggio.
Fuori, la notte era
scura e densa, quasi infinita. Louis guardò l’orologio della strumentazione e
sgranò gli occhi.
Erano quasi le sette
del mattino.
Ma allora perché il
sole non sorgeva?
*****
Le sette del mattino. Ma perché il sole non sorge?
Lo stesso pensiero lo
ebbe Elsa Beaumont guardando l’orologio sul display del suo BlackBerry.
Più per paura che per
rispettare il protocollo, attivò il viva voce della sua auto per fare una
telefonata alla centrale.
- Polizia di New York, Capo Jack Fielding. –
- Fielding
– disse la donna – Sono io, Elsa. –
- Elsa? – la voce
dell’uomo era più che sorpresa – Dove ti eri cacciata? Qui in centrale ti
davamo per dispersa! –
- Sto seguendo una
pista. – rispose la detective.
- Cosa? –
- Il rapimento del
giovane Styles. Forse ho beccato due che sono
coinvolti. Due suoi amici. Li sto seguendo da ieri sera. –
- Oh cazzo, Elsa. –
mormorò l’uomo, esasperato. Elsa immaginò che stesse tenendo la cornetta con la
mano destra e si stesse tastando l’ampia fronte afroamericana con la sinistra –
Ti avevano detto di non fare sempre di testa tua. Se adesso finisci nei guai,
hai idea che potresti essere licenziata…? –
- Ti sto chiamando
per questo motivo. Appena ti richiamo, mandami dei rinforzi. In questo momento
sto percorrendo l’autostrada… -
Non riuscì a
terminare la frase, in quanto la linea cadde improvvisamente. Insieme con la
linea, sembrarono cadere anche le luci dei fari dell’auto. Impulsivamente, Elsa
mollò l’acceleratore, sentì il motore che scendeva di giri, ma l’auto non si
fermò. Provò a frenare dolcemente, ma niente da fare. Il veicolo continuava ad
andare, spinto da una strana forza. Spaventata, Elsa mise le mani sul volante, continuando
a tenere gli occhi sulla strumentazione, senza capire cosa stesse succedendo.
Quando alzò gli occhi, fuori era calata una coltre impenetrabile di nebbia.
*****
Prima della Beaumont,
che a sua insaputa li stava seguendo, ad essere avvolto dalla nebbia fitta era
stato Louis.
Anche la sua auto si
era comportata analogamente a quella della Beaumont, continuando ad andare
nonostante dovesse essere teoricamente ferma. In quel frangente, Louis fu colto
dal panico. Come una donna impaurita che non sa bene che cosa fare, si mise a
fare di tutto: pigiò il pedale del freno, spense il motore, sterzò bruscamente
prima a destra e poi a sinistra, ingranò la retromarcia, ma nulla. L’auto non
rispondeva ai comandi.
Quando guardò fuori
dal finestrino. Gli sembrò di vedere delle luci. Solo che… c’era qualcosa che
non quadrava.
Le luci erano troppo
in basso e troppo in lontananza. Dunque…
Stiamo volando. Oh cazzo, quest’auto sta volando!
Giunto a questa
brillante deduzione, Louis si lasciò andare, aspettando che succedesse
qualcosa.
Effettivamente,
qualcosa successe. Nella nebbia gli sembrò di vedere delle persone. Persone che
camminavano, come in una grande fiera. Mentre l’auto passava attraverso, lui le
guardò, una ad una. I volti di questi individui nella folla erano emaciati e
spettrali, quasi cadaverici. Come ricordandosi di una cosa importantissima,
Louis chiuse le portiere dall’interno dell’auto, tenendo le mani strette sul
volante e respirando affannosamente. Accanto a lui, Niall
continuava a dormire.
Poco dopo, venne
altra gente. Fuori dal parabrezza sfilarono persone distinte in abiti
settecenteschi, che danzavano come in un grande ballo. Erano tutti mascherati
con delle maschere nere come la notte, facendo apparire le teste senza volto.
Ma che cosa… Che cosa diavolo…?
E di nuovo le visioni
scomparvero. A quel punto, fuori dal parabrezza s’illuminò qualcosa. Una luce.
Piccola piccola in lontananza, che s’ingrandiva man
mano che l’auto procedeva.
L’uscita! Finalmente!
Confortato da questo
pensiero, Louis pigiò l’acceleratore, e l’auto si mosse.
*****
Pochi secondi dopo l’auto
era fuori, che usciva da un ponte coperto. Louis guardò fuori, una bella
giornata di sole con pochissime nuvole, tipicamente autunnale. La strada era un
lungo viale di cipressi ingialliti, che conduceva a quello che sembrava un
piccolo centro abitato.
- Che ore sono…? –
mormorò Niall, svegliandosi. Louis trasalì, lo guardò
e rispose – Le sette. – disse, poi ci pensò su. – Credo – Aggiunse.
- Dove siamo? –
Louis si guardò
intorno. Fermò l’auto, in cerca di un cartello.
Lo trovò.
BENVENUTI A
RIRMOR SADKNERS
(Maine, ME)
-
Siamo Arrivati – disse soltanto Louis. Niall si
stiracchiò, poi guardò Louis negli occhi.
-
Bene. –
-
Sai già cosa fare? – domando Louis.
-
Te lo dico dopo. Intanto andiamo a cercare una stanza. –
Senza
ribattere, Louis ripartì, diretto verso la città.
Delle sue nozioni di
geografia a scuola, Louis non conservava molto nella sua memoria, ma non
ricordava di aver mai sentito una città del genere. Ovvio, perché la città non
esisteva su nessuna cartina. Esisteva solo nella fantasia di quello scrittore
perverso di nome Howard P. Jackson, e forse anche in quella di NiallHoran, che era riuscito a
trovare la chiave per raggiungerla.
Che la città avesse
qualcosa che non andava era chiaro, ma a parte una leggera sensazione di
disagio che Louis provava da quando erano arrivati, c’era veramente da prendersi
dei brividi di freddo.
La città si apriva
con un lungo viale principale, intersecato da stradine ad ogni angolo, quasi
una scacchiera. In fondo al viale, alla sommità di una collina, sorgeva una
costruzione scura, che ricordava molto una struttura istituzionale (forse il municipio, pensò Louis), con
delle scale e un colonnato, a sembrare una specie di tempio. Tutto intorno al
viale c’erano le abitazioni: casette in legno con giardino annesso,
all’apparenza tutte uguali, ma differenziate da dettagli sostanziali. I garage
erano tutti chiusi, e non c’erano altre auto in giro. A ben pensarci, non c’era
proprio nessuno, in giro.
Louis ebbe un brivido
di freddo. Accanto a lui, Niall studiava la città,
con sguardo quasi ammirato. A vederlo così, la sgradevole sensazione di disagio
che Louis ebbe avuto la sera prima, s’intensificò, ma cercò di tenerla a bada.
Almeno fino a che Niall teneva la pistola nella
borsa.
- Vedi un motel, qui
intorno? –
- Dovrebbe essercene
uno più in là, oltre quella casa. –
- Come fai ad esserne
così sicuro? –
Niall si girò e gli lanciò un’occhiata raggelante. Lo so e basta, dicevano quegli occhi
chiari. Meglio non chiedergli da dove avrebbero dovuto incominciare le
ricerche, allora.
- Incominceremo le
ricerche da lì. – disse Niall, come se avesse letto
nel pensiero di Louis, indicando la costruzione istituzionale sulla sommità
della collina.
- Che cos’è quella? –
- La casa di Jackson
– rispose Niall, frugando nella borsa da viaggio. Louis si risparmiò la fatica
di domandargli come facesse a saperlo, ma per la verità nemmeno Niall sapeva di cosa stesse parlando. Aveva solo sentito le
parole uscirgli di bocca, senza troppo pensiero. Contrariamente a Louis, Niall in quel posto si sentiva stranamente a suo agio – Bè,
non proprio a suo agio -, come se ci fosse già stato e come se il passato gli
fosse ritornato alla mente. Era una strana sensazione, ma al tempo stesso
piacevole. Ciononostante, non poteva pensare solo a sé stesso: accanto a lui
c’era Louis, che l’aveva accompagnato fin lì per cercare di ritrovare Harry, il
suo fidanzatino rapito da Thomas Bailey, quindi doveva pensare anche a lui. Ma
se fosse stato da solo... Forse sarebbe andato lì in quella casa senza
compagnia.
Ne avvertiva il
bisogno.
*****
Che razza di posto è questo?
Con gli occhi
sgranati, Elsa Beaumont ammirava la costruzione che si ergeva innanzi a lei, un
maniero diroccato su una collina, che metteva paura solo a guardarlo. Senza
pensarci due volte, e visto che era l’unica strada dov’era approdata dopo esser
stata risucchiata da quella strana nebbia, intuì che i due ragazzi potevano
essere lì dentro. Mise la mano alla revolver che portava alla cintura, ne tolse
la sicura e riprovò ad usare la radio. Niente. Prese il cellulare e provò a
formare il numero del suo ufficio. Niente anche su quel fronte. Sospirò ampiamente,
poi bestemmiò tra i denti perché da sola non poteva fare molto, se fossero
stati armati. E poi era pericoloso condurre un’operazione di liberazione
ostaggi in solitudine.
Ma questi pensieri
non spaventarono minimamente Elsa Beaumont, la quale scese dal veicolo con la
pistola spianata e un solo pensiero nella testa: Al diavolo. Se devo morire, morirò da eroina.
Tenendo la pistola
puntata avanti a sé, Elsa s’incamminò a piedi verso il sentiero che collegava
la strada alla casa. Nei dintorni sembrava non esserci nessuno, ma meglio non
rilassarsi troppo.
Su uno degli alberi
che costeggiava il viale, occhi gialli spiavano la persona che si avvicinava al
maniero, muovendosi ad ogni suo passo…
Un fruscio. Elsa
Beaumont si voltò, ma non vide nulla. Guardò in alto, sugli alberi, ma non vide
nulla. Quel posto gli metteva i brividi, ma non voleva ammetterlo nemmeno con
sé stessa. Strinse con più convinzione il calcio della pistola, sollevandola e
muovendosi con più circospezione, stando ben attenta ad ogni rumore
circostante.
All’improvviso, sentì
il rumore di qualcosa che cadeva. Si voltò in quella direzione e fece fuoco,
una, due, tre volte!
BANG! BANG! BANG!
La deflagrazione
risuonò nei dintorni più forte di un aereo che cadeva, visto il silenzio di tomba
che regnava. Elsa guardò oltre la piccola coltre di fumo che si era formata con
gli spari, ma non vide nessuno. Solo foglie che si muovevano. Digrignò i denti
e contemporaneamente sgranò gli occhi. Una brutta sensazione si era appena
impadronita di lei.
Diamine, Elsa. Non fare certe cazzate, hai
trentotto anni, non sei una ragazzina idiota. Hai attirato troppo l’attenzione
sparando.
Quel pensiero le gelò
il sangue nelle vene, al pensiero che i rapitori del giovane Styles avessero potuto vederla e di conseguenza si fossero
rifatti sull’ostaggio. Cercò di non pensarci, quindi si voltò e ricominciò ad
avanzare verso la casa.
Quando si fu voltata,
per poco non le saltò fuori il cuore dal petto: di fronte a lei, insieme ad un
ragazzo in camice bianco, c’erano ben sei demoni. Li vide in tutta la loro
incredibile e paurosa mole: due demoni alati dai denti affilati e altri quattro
poco più piccoli che avevano tirato fuori gli artigli. Le bestie respiravano
sibilando, il loro respiro formava delle nuvolette di vapore nella fredda
atmosfera autunnale. Prima che la Beaumont cacciasse un urlo straziante,
puntasse la pistola per cercare di ammazzare qualcuna delle creature e
scartasse di lato, il ragazzo aveva pronunciato una sola parola.
- Prendetela. –
E subito le belve si
buttarono sulla povera detective, sopraffacendola. Elsa Beaumont urlò, cercò di
sottrarsi alla cattura, ma i suoi sforzi furono del tutto vani: i demoni l’acchiapparono
e la immobilizzarono, portandola in volo via dal giardino, verso la casa.
Compiaciuto, il ragazzo (Thomas) guardò la scena con un sogghigno, e si
allontanò anche lui, scomparendo dietro uno dei battenti della porta posteriore
del maniero.
Nel silenzio
innaturale della locanda (ma anche di
tutto l’ambiente qui intorno, pensò Louis), quei tre botti in lontananza
suonarono ancor più innaturali. Louis si voltò non appena sentì gli spari, che
dovevano essere stati per forza esplosi da un’arma da fuoco (a meno che in questa ridente cittadina non
festeggino Capodanno in anticipo), cercando di stabilirne la provenienza.
Certo, nell’atrio dell’hotel la vista non gli era certo favorita, con quei
pesanti tendaggi alle finestre e la luce fioca emessa dalle lampade verdi.
- Cos’è stato? –
domandò Louis, più a sé stesso che a Niall, che non
lo stava ascoltando. Il ragazzo era perso nel suo mondo, ad ammirare ogni
dettaglio dell’ambiente con lo sguardo meravigliato di un bambino che vede dal
vivo una cosa che prima aveva visto soltanto in TV. Louis gli toccò la spalla,
preoccupato, ma Niall era del tutto perso.
- Guarda – gli disse
– è tutto come nel romanzo di Jackson… il pavimento in moquette che
scricchiola… le lampade verdi che emettono una luce fioca, talmente fioca da sembrare una camera ardente… -
Già la circostanza
non era delle migliori, con Harry nelle grinfie di un pazzo che credeva di
essere uno scrittore, figurarsi se poi ci si metteva Niall
con i suoi vaneggiamenti e la prospettiva di passare la notte in una camera
ardente.
- Ehm… io capisco che
trovarti nel mondo delle fiabe del tuo amato Jackson ti galvanizzi, ma dobbiamo
pensare anche a Harry – disse Louis, indurendo un po’ il tono della sua voce –
e se non ci muoviamo a cercarlo, potrebbe anche finire male. –
Come se non avesse
detto nulla, Niall andò verso la reception, con lo
sguardo ancora sognante, cosa che irritò leggermente il povero Louis. – E qui…
la reception. E scommetto che fra poco arriverà… -
Rumore di passi nel
corridoio adiacente le scale. Da lì comparve una vecchina minuta che teneva in
mano una torta. Niall sorrise, mentre Louis era
fissato sulla torta. Era guarnita ai frutti rossi, ma quel rosso era troppo
acceso: il pensiero che potesse essere sangue, gli fece drizzare i peli sul
corpo. Fece una smorfia di disgusto prima di raggiungere Niall
alla reception.
- Buongiorno – disse l’anziana
signora – Ben arrivati. Desiderate una stanza? –
La voce della donna
era roca e arcigna, sembrava quasi la strega di Biancaneve. Louis era sempre
più a suo disagio, quindi lasciò che Niall si
occupasse di tutto. Dopotutto, lui era nel suo mondo.
- Esattamente. Una
stanza matrimoniale, per favore. –
- Ah, beati voi
giovanotti. – disse la donna, prendendo un registro e una penna – Una firmetta
qui, prego.
Mentre Niall firmava, con gli occhi chini sul registro, gli occhi
di Louis erano fissi sulla vecchia. Quasi come se si fosse accorta, la donna
alzò lo sguardo e incrociò quello di Louis. Piegò le labbra in un ghigno,
mettendo in mostra due file di denti marci e ingialliti. Poi la sua espressione
cambiò, i suoi canini si allungarono fino a diventare zanne, e gli occhi si
chiusero fino a diventare due fessure. Louis chiuse gli occhi e poi li riaprì,
pensando di aver avuto un’allucinazione. Quando li riaprì, la vecchina stava
porgendo le chiavi a Niall.
- Be’? Che fai lì
impalato? Andiamo, coraggio. –
- Eh? Ehm… io… -
Louis era confuso.
Sempre con un ghigno
sardonico sulle labbra, la vecchina lo apostrofò - Giovanotto, non ti senti
bene? Vuoi forse un pezzo della mia torta ai mirtilli? –
- N… no… grazie. –
disse soltanto Louis – Mi era sembrato di vedere… -
Niall sbuffò, stufo dei vaneggiamenti di Louis, e lo
tirò per un braccio verso le scale. – Andiamo. – disse, perentorio e seccato.
*****
- L’hai vista anche
tu? – Louis era sconvolto. La visione della vecchia locandiera che diventava un
demone era stata troppo, anche per uno come lui. Niall
gli stava ancora tenendo la mano, e lo stava trascinando in camera.
- Dico, mi hai
sentito?!? –
Senza curarsi di lui,
Niall aprì la porta della stanza e lo spinse dentro,
mandandolo a finire seduto sul letto. Dopodiché chiuse la porta a chiave.
- M-ma..ma…
che stai facendo? –
Niall si voltò lentamente, appoggiato alla porta. I
suoi occhi erano fissi in quelli di Louis, che era sempre più confuso. Anche se
la situazione era quella che era, e il suo stato d’animo era già abbastanza
turbato da ciò che aveva visto nelle ultime ore, sentire lo sguardo di Niall su di sé era come una coltellata al cuore. Ti sei dimenticato perché sei qui, dannato
idiota?!? La sua parte razionale stava urlandogli nel cervello proprio
mentre il suo cuore stava sciogliendosi di fronte a quegli occhi azzurri.
Ma che cazzo vuoi? Non può guardarmi? Questo era il diavoletto di Louis, quello che
bramava Niall sotto le coperte a fare
(sesso)
l’amore.
No, no, no! Non c’è nulla di razionale nel suo
sguardo! Guardalo bene, ti sembrano gli occhi di uno che sta bene? Sembra un
pupazzo manipolato da chissà chi!
Finché si muove e articola parole, non è un
pupazzo.
Non farlo, testone!
Mentre la sua mente
era intenta in un dialogo col cuore, il corpo di Niall
stava reagendo a ciò che fino a qualche giorno prima avrebbe solo immaginato: Niall si avvicinò lentamente a lui, posandogli le mani
sulle spalle e inginocchiandoglisi in mezzo alle gambe, sempre guardandolo
negli occhi. Poi il ragazzo avvicinò le labbra a quelle di Louis, posandogli un
bacio appassionato. Louis si sentì interdetto da tanto ardore, tanto che sulle
prime pensò di stare sognando. Il cuore gli batteva forte nel petto mentre la
lingua di Niall gli schiudeva lentamente le labbra,
prima di entrare prepotentemente ed esplorare la sua bocca… Combattuto tra i
sentimenti, Louis lottò strenuamente contro sé stesso per cercare di sottrarsi
al giudizio della sua parte razionale, che gli imponeva di respingere il
ragazzo che lo stava baciando, perché lui non era lì per pomiciare con Niall, lui era lì per salvare Harry e…
- Continua pure,
Harry sta bene. –
Louis si staccò un
momento dal bacio, guardandosi intorno. Niall lo
guardò con impazienza, come se quello che aveva fatto gli fosse piaciuto e
avesse voluto continuare.
- Hai… hai sentito
anche tu? –
Ancora facendo finta
di non sentire, Niall fece un sorrisetto malizioso –
No. Però… sento qualcosa di molto più interessante contro il mio inguine. –
disse, e portò la mano sul pacco di Louis, dove sotto i pantaloni rossi, il suo
pene era duro come un sasso. Quella mano di Niall
sulle sue parti intime gli fece perdere anche quell’ultimo simulacro di ragione
che aveva conservato fino a quel momento. La mano di Niall
che lentamente glielo accarezzava, lo galvanizzò, a tal punto da prenderlo
lentamente e baciarlo ancora, questa volta cambiando le posizioni. Niall sotto e Louis sopra. Sotto di sé, Niall
era ancora più bello, e i suoi occhi ancora più profondi. Senza dire una
parola, Niall incominciò a slacciare i bottoni della
polo di Louis, mentre questi esplorava il corpo del ragazzo sotto la maglietta…
era liscio come marmo levigato, perfetto al tocco e tanto, tanto eccitante. Louis
lo baciò ancora, mentre si dava da fare per togliergli di dosso tutti quegli
indumenti che impedivano il contatto… mentre Niall
faceva lo stesso.
Per tanti anni Louis
si era dedicato a fare il playboy perché era conscio della sua bellezza e delle
sue possibilità, salvo poi annoiarsi e cercare qualcosa di più stabile.
Inizialmente i suoi amplessi erano eccitanti, ma poi avevano perso via via di
significato, portandolo a restare con Harry solo perché non aveva bisogno di
altre storie insignificanti.
Poi era arrivato Niall.
Niall, con quel suo bellissimo corpo e quell’aria da
Nerd, da ragazzo serio, che non si sarebbe dato tanto facilmente.
Niall, che era immerso fino al collo in un guaio più
grosso di lui.
Niall, il ragazzo che stava penetrando da ormai diverso
tempo, e che si beava sotto di lui, gemendo di vivo piacere. Ma il piacere era
tutto di Louis finché Niall era sotto il suo potere,
sotto le sue spinte vigorose, sotto i suoi baci appassionati… Lo rigirò supino,
penetrandolo da dietro, mentre gli baciava i capelli e gli teneva le mani. Niall gemette di piacere nel sentire Louis che aumentava le
spinte dentro il suo corpo, mormorò un Oh,
sì, vengo! prima di lasciarsi andare e bagnare il letto con il suo fluido
corporeo. Con un ultimo gemito roco, anche Louis finalmente venne nel corpo di Niall, chiuse gli occhi e gli si accasciò addosso. Niall aveva chiuso gli occhi e si era addormentato, Louis
era ancora sveglio e lo guardava dormire sotto di sé, ascoltando come musica
ogni suo respiro. Gli baciò una guancia, prima di uscire dal suo corpo e
piazzarsi accanto a lui, continuando ad osservarlo finché non sentì il sonno
impadronirsi di lui.
Ad essere del tutto
sinceri, Louis non era proprio sicuro di quello che aveva fatto. Spesso gli era
capitato di fare delle cose delle quali poi si era pentito, e sì, tra queste
c’erano anche delle sensazionali scopate con ragazzi raccattati in giro per
locali newyorkesi. Il principale elemento di ripensamento era dato dalla
soddisfazione. Se hai sete, bevi quanto ti basta, poi getti via la
bottiglietta. Se hai molta sete te ne fai due, ma la bottiglietta va sempre a
finire nel cestino, non la tieni lì a bella posta, a ricordo dei tempi di
quando avevi sete. Così agiva Louis con i suoi partner improvvisati. Un po’
come molti ragazzi omosessuali carini che avevano il mondo a portata di mano.
Questa volta il
ripensamento non era tanto dato dalla soddisfazione del desiderio (cinque volte in tre ore, woo-hoo!
Signore e signori ecco a voi Louis William Tomlinson,
il Re del Sesso!!!); era più dato dal non avere piena coscienza di ciò che
aveva fatto. Dunque, cos’era successo? Louis l’aveva portato fin lì, un luogo
lontano mille miglia da casa sua, raccontandogli della sua infanzia tormentata
e di scrittori pazzi che evocavano demoni da chissà quali mondi… possibile che
l’avesse fatto solo per una scopata? Non sarebbe stato più semplice dirgli Hey Louis, sei un gran bel pezzo di ragazzo,
perché non ti abbassi i pantaloni e mi fai baciare il drago?
No, per due semplici
ragioni: primo, perché se l’avesse fatto, Louis ci sarebbe stato ma di certo
sarebbe crollata quell’aura di infatuazione che si era preso per il bel Niall, precipitandolo giù fino al minimo storico di un
partner occasionale subito dopo l’eiaculazione; secondo, perché Niall, da quel poco che lo conosceva, non avrebbe mai
proferito certe parole, né l’avrebbe portato fin lì, in un posto dimenticato da
Dio (ammesso che esistesse – il posto, non Dio) solo per soddisfare degli
appetiti. No, c’era qualcos’altro. Ci doveva essere qualcos’altro, ed era forse
la cosa che in quel momento lo stava tenendo sveglio e vigile nel suo letto
alla locanda, mentre Niall dormiva della grossa. Nel
buio della camera, tutti gli oggetti presenti sembravano aver assunto pose
spaventose, tanto che Louis si coprì più volte gli occhi con la coperta (ah-ah-ah. Fa tanto il macho, poi si fa
spaventare da degli oggetti inanimati… avrebbe detto qualche suo
detrattore), meditando spesso di uscire.
Sul comodino c’era
una sveglia. Una dannatissima sveglia a lancette meccaniche che produceva un
fastidiosissimo Tic-Toc. Quel suono
gli stava rompendo i timpani, gli stava entrando nel cervello, lo stava
portando alla pazzia.
Se non esco di qui, finisco al manicomio. Pensò, e scivolò lentamente fuori dal letto,
lasciando Niall a dormire.
*****
Elsa Beaumont aprì
lentamente gli occhi, svegliata da un ticchettio continuo. Era sicura di averlo
sentito nei suoi sogni, ma adesso sapeva da dove veniva: dalla realtà. Il
ticchettio non era quello di un computer, ma bensì di uno strumento che si
usava quando lei ancora non era una detective, ma una semplice poliziotta: una
macchina per scrivere. Si voltò faticosamente su un fianco, accorgendosi di
aver dormito su un pavimento. La gamba destra le si era intorpidita.
- Aah…
- biascicò, e si accorse anche di un’altra cosa. La testa le faceva male. Uno
degli energumeni che l’avevano presa e portata là doveva averle dato una botta
in testa. Cercò di riavvolgere il nastro mentale. Dunque: perché si trovava lì?
- Harry… Styles… dov’è? –
Già. Quella era una
domanda interessante. Un’altra domanda interessante sarebbe potuta essere Che posto è questo?, ma per qualche
strana ragione Elsa non riuscì a formularla correttamente. Mentre gli occhi
correvano in su e in giù per quella stanza, ammirando come fosse così ben
tenuta e al tempo stesso così lugubre (non c’era luce elettrica, solo
tantissime candele) e chiedendosi che razza di mostri avessero rapito il
giovane Styles.
- Mostri? Che esagerazione.
–
Elsa Beaumont si
voltò di scatto cacciando un gridolino di sorpresa. Dietro di lei c’era un
uomo, capelli neri e lisci sulle spalle, un paio di occhialini neri che gli
davano un tocco intellettuale, una giacca di Tweed e sotto un dolcevita nero.
- Mi scusi se l’ho
spaventata – disse l’uomo, avvicinandosi. Si muoveva con una grazia quasi
signorile, ma allo stesso tempo dava l’impressione di essere un uomo che sapeva
tenere sotto controllo le persone. – Ma la informo che è entrata in una
proprietà privata, signora Beaumont. –
La detective guardò l’uomo
con gli occhi sgranati. – Chi è lei? –
- Oh, perdoni la mia
villania – con un gesto aggraziato le prese la mano destra (Elsa pensò che
dovesse essere gelata) e gliela baciò. – Sono Howard P. Jackson. Lieto di
conoscerla, Detective Beaumont. –
Elsa era paralizzata.
Si trovava al cospetto di quello scrittore il cui manoscritto aveva fatto
impazzire un professore universitario e la segretaria della casa editrice,
nonché un ragazzo all’apparenza normale.
- Dunque – disse Jackson,
congiungendo le mani e guardandola negli occhi – esauriti i convenevoli,
veniamo ai fatti. – inarcò le labbra in un ghigno, tornando a sedersi verso la
sua scrivania (Elsa avrebbe giurato su sua sorella, il bene più caro che aveva
avuto, che prima quella scrivania non c’era), e invitò Elsa a fare lo stesso,
con un gesto della mano.
- Se lo può scordare –
disse Elsa – Lei si sieda pure, io rimarrò in piedi. –
Jackson sospirò –
Come vuole, signora Beaumont. Non sarò certo io a costringerla a fare qualcosa
che non vuole. –
- Per prima cosa –
incominciò Elsa, camminando verso di lui, e tenendo bene d’occhio tutte le
entrate della stanza- Mi spieghi che
fine ha fatto Styles. –
Jackson fece un
sorrisetto divertito, come se avesse appena sentito la barzelletta più
divertente del mondo e stesse contenendo le risa – Di cosa sta parlando,
signorina? –
- Lo sa benissimo.
Ieri un ragazzo è stato rapito, da due o forse tre ragazzi. Due di questi mi
hanno portata qui, e uno era… era… - Incespicò, cercando di ricordare in quale
circostanza aveva visto quel ragazzo biondo che l’aveva fatta portare lì dai
suoi amici demoni.
- …Thomas Bailey. –
concluse Jackson per lei – Ho indovinato? –
Elsa spalancò la
bocca in un Oh di sorpresa – S…sì.
Lui. Devo dedurre che oltre al rapimento di Styles e
alla soggiogazione psicologica dei suoi libri, si debba mettere in conto anche
la coadiuvata fuga di un pericoloso criminale? –
Questa volta, anziché
sorridere, Jackson rise. Rise di gusto, ed Elsa lo osservò, sentendo la rabbia
dentro di lei che iniziava a montare.
- Oh, Oh, oh, questa…
questa è veramente la conversazione più divertente che abbia mai avuto, mi
crede, signora Beaumont? –
- Le credo abbastanza
per dirle che se non la smette, con un calcio quel culo glielo faccio diventare
una gobba. – rispose seccata la detective. Jackson rise ancora più forte.
- Splendido,
splendido. – Jackson applaudì alla donna, che stava già serrando i pugni e
stringendo i denti per la rabbia. – Adesso che ha finito, le darò le mie
spiegazioni. –
- Sentiamo, sono
proprio curiosa. –
- Dunque – incominciò
Jackson congiungendo le mani e tenendo i gomiti sopra i braccioli della
poltrona. Davanti a lui, la macchina per scrivere Royal
sembrava quasi uno scudo. - Innanzitutto credo che un detective, per giunta
senza mandato di arresto e disarmato, non possa permettersi il lusso di venire
in casa di un onesto cittadino e accusarlo di tali amenità… In secondo luogo,
non sono per nulla accusabile degli omicidi. Gli assassini uccidono, io scrivo
solo libri. – disse, sorridendo seraficamente. – Ma non devo dimostrare proprio
nulla a lei, neanche se fossi colpevole. Lei è un’intrusa, signorina Beaumont.
Ma siccome è un’intrusa abbastanza simpatica, io voglio proporle un affare. –
Veramente
indispettita, questa volta Elsa batté un pugno sulla scrivania di Jackson – Lei
non è in grado di proporre un bel cazzo
di niente, qui! – quasi strillò la donna – Adesso lei libererà Styles e mi consegnerà Thomas Bailey. Lei è un criminale,
Jackson. La metteremo in cella e getteremo la chiave, lei è pericoloso! –
Jackson rise
nuovamente. Nemmeno nel più infimo film poliziesco aveva mai visto una
poliziotta comportarsi in maniera così comica. Stava lanciando minacce ad un
uomo pericoloso… senza nemmeno un’arma. Non che sarebbe servita a molto. Non
contro di lui.
- Se ci tiene tanto,
può prendersi Thomas Bailey. E gli può chiedere di persona se è disposto a
venire con lei. Quanto a Styles… -
- …Harry non si
tocca. – disse una voce. Elsa si girò di nuovo con il cuore in gola. Dietro di
lei, a un passo, c’era Thomas Bailey. Elsa indietreggiò, andando a finire quasi
col sedere sulla scrivania di Jackson.
- Dov’è finita tutta
la tua spavalderia, donna? – le domandò Thomas – Non hai più tanta voglia di “sbattermi
dentro”? – il suo sguardo era una maschera di rabbia, i suoi denti erano aguzzi
e affilati. Un demone. Elsa stava parlando con un demone. Non rispose alla
provocazione del ragazzo, sentendo le gambe improvvisamente molli e un brivido
di freddo lungo la schiena. Thomas ringhiò, spalancando la bocca e rivelando
una fila di bianchi denti acuminati. Elsa tremò di paura, e si abbandonò ad un
gesto disparato: prese un pesante fermacarte dalla scrivania di Jackson e cercò
di sbatterlo addosso a Thomas. Thomas ringhiò ancora una volta, ma Elsa fu
lesta e glielo sbatté sul viso, facendolo urlare di dolore. Il suo verso era
straziante, nonché pauroso. Dopodiché corse verso la porta. L’aprì e la
richiuse dietro di sé.
Corse via verso il
corridoio, correndo a perdifiato verso le scale. Riuscì a scendere e guadagnare
la porta d’ingresso. Uscì, correndo verso il viale da dove era venuta. Dietro di
lei poteva chiaramente sentire il ruggito di Thomas che cercava di braccarla.
Si voltò per un secondo e lo vide. Thomas era lì che correva dietro di lei.
Sembrava un velociraptor: correva veloce ed agile,
tanto che per un secondo Elsa pensò di essere spacciata. Mentre correva,
inciampò sulla sua stessa pistola (rimasta lì da prima), e cadde con un
ruzzolone. La bestia era dietro di lei, e stava per raggiungerla. Elsa fu lesta
ad acchiappare la sua arma e caricare un colpo in canna, quindi mirò a Thomas e
fece fuoco.
BANG!
Il proiettile colpì
di striscio Thomas ad un polpaccio, ferendolo. Andò giù come un cane ferito,
latrando di conseguenza. Velocemente Elsa si rialzò e corse verso la sua auto,
rimasta lì. Estrasse le chiavi dall’impermeabile e le infilò nel quadro di
accensione. L’auto andò in moto, e lei fuggì in sgommata.
Intanto Thomas era
riverso sul terreno e latrava di dolore. Jackson arrivò lì con le mani in tasca,
guardandolo con divertimento.
- Non scaldarti
tanto, Thomas. Tanto non può andare da nessuna parte… -
*****
In auto, Elsa
percorse la strada da dov’era venuta, che si collegava con la città. Un
cartello diceva State per lasciare RirmorSadkners, e lei tirò
un sospiro di sollievo. Sarebbe tornata a casa, avrebbe fatto delle telefonate
e sicuramente sarebbero arrivati dei rinforzi. Quel che era certo, era che lei
voleva andarsene da lì il più in fretta possibile. La giornata era tersa, con
qualche nuvola in cielo… ma quando Elsa imboccò il ponte che portava fuori
dalla città, si ritrovò avvolta dalla stessa strana nebbia che aveva trovato
all’andata.
- Ma cosa…? –
Accelerò di più,
quindi la nebbia sembrò brillare, e finalmente finì. Solo che c’era qualcosa
che non andava.
Il cartello State per lasciare RirmorSadkners era ricomparso.
- Che cosa??? –
Inchiodò, fece
retromarcia e sterzò bruscamente, facendo un testacoda con l’auto. Ripartì con
gran stridore di pneumatici verso un’altra strada, ma il risultato fu lo
stesso.
Nebbia.
Nebbia che brillava.
Cartello che
annunciava State per lasciare RirmorSadkners.
Continuò a provarci,
sempre più spaventata, sempre più nel panico. Si sentiva in trappola. Era in
trappola. Non c’era modo di lasciare RirmorSadkners.
- Al diavolo!!! –
esclamò, e fece inversione per la settima volta.
Di nuovo imboccò l’uscita
dalla città, di nuovo vi fu la nebbia…
…E poi uscì il sole.
Elsa si ritrovò sull’autostrada
del Maine, in direzione Sud. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro di
sollievo, senza accorgersi di un pericolo imminente.
Di fronte a lei, un
grosso autoarticolato della Exxon Carburanti stava
viaggiando ad alta velocità. Il grosso automezzo lampeggiò e suonò il clacson,
ma Elsa non fece in tempo a scansarsi.
L’impatto fu
violentissimo. L’auto di Elsa si accartocciò su sé stessa, esplodendo al
contatto con il camion. Elsa morì sul colpo, mentre nel camion, una persona
rideva di gusto.
Per buona parte del
tempo in cui era stato rinchiuso, Harry non aveva fatto altro che piangere. Andava
in giro per quella grande stanza con le finestre chiuse e piangeva a dirotto.
Ogni tanto si fermava e si sedeva sul divano, prendeva un cuscino e lo
stringeva forte a sé, in cerca di conforto. Eppure quando aveva aperto la
porta, non aveva creduto ai suoi occhi: sulla soglia c’era Thomas, il suo caro
vecchio amico che era venuto a fargli visita. Gli aveva sorriso, l’aveva
invitato a entrare. Poi Thomas gli aveva detto quella strana frase.
- Devi venire con me.
–
Sgranando gli occhi
sorpreso mentre chattava con una sua amica tramite Facebook,
Harry aveva risposto – Cosa? Dove? –
- Non c’è tempo per
le spiegazioni – aveva tagliato corto Thomas, e l’aveva preso di peso sulla sua
spalla. Harry aveva inizialmente ridacchiato, poi vedendo che il ragazzo faceva
sul serio, aveva alzato la voce e infine aveva urlato. Quando Thomas l’aveva
portato fuori, c’era quella ciarlatana della sua vicina di casa, la signora
Saint-George, la donnona afroamericana che diceva di aver ereditato i poteri da
sua nonna e che prendeva in giro sua madre con delle profezie campate per aria.
Peccato che non avesse previsto quella,
di profezia. Se Harry avesse saputo in anticipo che Thomas l’avrebbe rapito,
sicuramente si sarebbe dato alla fuga. Purtroppo però alla fine l’aveva rapito,
l’aveva caricato su quella bella macchina bianca (dubitava che fosse sua)
mentre era svenuto (Oh no Thomas ti prego
non saltare giù siamo al ventottesimo piano… oh no no no, NOOOO!!!), e
quando si era risvegliato, si era ritrovato solo in quella grande stanza.
- Mamma… mamma…
voglio la mia mamma… - il suo volto era una maschera di lacrime, mentre
stringeva forte quel cuscino… a sottolineare che era stato preso di peso dal
suo appartamento, c’era anche il suo abbigliamento: era vestito con il pigiama
ed era rimasto senza scarpe.
- Louis… amore… dove
sei…? Perché non vieni a salvarmi? – pensò a Louis e pianse nuovamente,
inondando il cuscino di lacrime (Ehi signorino,
vogliamo darci una calmata? Non risolverai nulla facendomi questa doccia d’acqua
salata!!!) e invocando tutte le sue amiche presenti nella lista contatti di
Facebook, promettendo di uscire di nuovo con loro a
fare shopping se mai fosse uscito da quella situazione kafkiana.
Mentre frignava, la
porta alle sue spalle scattò e il battente si aprì verso l’interno. Harry
scattò a sedere al lato opposto del divano, proteggendosi con il cuscino.
Thomas venne avanti, guardandolo con indifferenza.
- Thomas! – squittì Harry
– Ti prego, lasciami andare! Non so cosa abbiate in mente, ma io non ho fatto
nulla! Nulla! – lo guardò per un secondo, ma Thomas non rispose. Continuava a
rimanere impassibile nella sua espressione.
- Hai… hai sentito
quello che ho detto? Lasciami andare, Thomas!! Non sono io la persona che state
cercando, voglio tornarmene a casa, non voglio stare qui! –
Thomas sembrò
ignorare le sue parole, quindi si sedette sul divano e poggiò un piede sul
tavolino di vetro. Harry vide che si era ferito.
- Ti… ti sei fatto
male? – domandò Harry, calmandosi un momento. Dopotutto, era pur sempre stato
suo amico, in tempi passati…
- Già… una stronza.
Mi ha preso a pistolettate. Era venuta per portarti via, ma io l’ho messa in
fuga. –
La faccia di Harry
assunse un’espressione di disperata tristezza. – Oh no, Thomas! Perché…? Perché….?!?
–
Thomas si voltò verso
di lui – E piantala di frignare. Mi sembri una ragazzina, lo sai? –
Anziché replicare,
Harry affondò nuovamente la faccia nel cuscino e si mise a piangere più forte.
Harry aveva
conosciuto Thomas per quello che era, ovvero un ragazzo mite e dai modi
gentili, poco apprezzato dalle ragazze, ma parecchio apprezzato dai ragazzi.
Tra questi c’era anche lo stesso Harry, che in epoca remota aveva voluto un
bene che andava oltre la semplice amicizia verso il suo unico amico
eterosessuale, ma di cui aveva quasi rimosso ogni traccia. Mentre piangeva, in
quel momento rivide il comportamento di Thomas com’era ai bei tempi, o più che
altro come lo vedeva lui: un ragazzo forte e determinato, simile in quasi tutto
al suo adorato Louis.
Nonostante il suo
cuore fosse stato imprigionato dalle magie di Jackson, il Padrone non gli aveva
vietato di parlare con Harry. Difatti non era stata nemmeno un’idea del padrone
di portare Harry in quel posto. L’idea era stata tutta di Thomas.
- Ehi – gli disse,
dolcemente – Scusami. Non volevo essere cattivo con te. –
- Hai… hai
assassinato tua mamma – mormorò Harry, singhiozzando. – E adesso… adesso vuoi
fare fuori anche me… Non è così? –
- Non voglio
ucciderti. – disse semplicemente Thomas. – Ma se non mi medichi questa ferita,
stai sicuro che lo farò. – il suo tono era calmo, senza tracce di rabbia
autentica.
Harry alzò lentamente
la testa dal cuscino, rivelando il suo volto impastato dalle lacrime. Guardò prima
Thomas e poi la ferita al polpaccio.
- In fondo a quella
porta – disse Thomas, indicando una porta dietro Harry – c’è un bagno con un
ripostiglio. Dovrebbe esserci un kit di pronto soccorso. –
*****
Mentre Harry
spruzzava il disinfettante sulla ferita, Thomas stringeva i denti e serrava le
unghie contro l’imbottitura del divano, per il dolore.
- Buono, Thomas. – lo
ammonì Harry – Ho quasi finito. –
- Lo spero… ah… -
brontolò Thomas, facendo un verso gutturale che sembrava quello di una bestia. Harry
disinfettò la ferita e vi applicò sopra della penicillina, tamponando il tutto
con un po’ di cotone idrofilo e infine fasciando il polpaccio con una benda.
Fatto questo, invitò
Thomas a distendersi sul divano.
- Non ho sonno –
protestò Thomas – E poi devo andare dal Padrone. –
- Non penso che in
questo momento abbia bisogno di te. Se non ti ha chiamato… -
Thomas lo squadrò con
uno sguardo torvo. Harry fece un debole sorriso e lo costrinse giù sul divano,
sedendosi accanto a lui. Tuttavia era vero che per il momento il padrone non
voleva nessuno tra i piedi. Era intento alla conclusione del nuovo romanzo, e
non voleva essere disturbato. Harry continuava a guardare Thomas mentre era
giù. Quando questi si accorse di essere osservato, scoprì due file di denti
bianchi e leggermente deformati. – Che c’è? – domandò.
- Niente. Pensavo… -
- A cosa? –
- Pensavo… che forse
mi hai portato qui per farti da crocerossino, ho indovinato? – Harry si mise a
ridere dopo aver pronunciato quella frase. Quello che Louis aveva colto del
ragazzo, forse il suo lato più bello, era senz’altro il suo essere lunatico. C’erano
giorni in cui Harry era triste e sconsolato, mentre altri in cui era felice e
gioioso, ma non c’erano mai giorni in cui trattava male qualcuno. Era sempre
dolcissimo con tutti, e raramente si arrabbiava. Alla rabbia, preferiva il
silenzio. Certo, alcuni lo vedevano stupido come una ragazzina della sua tenera
età, ma Harry portava in sé tanti lati belli, che non nascondeva a nessuno.
- Forse. Quel che è
certo è che con un pigiama del genere, un paziente lo faresti morire dal ridere
prima di poterlo curare. – disse Thomas, ridacchiando. Harry spalancò la bocca
in un Oh di offesa, quindi tirò una
leggera sberla sul volto di Thomas, che ancora rideva.
- Che ha il mio
pigiamino che non va? – disse, tirando i due lembi della giacca.
- Ti pare normale che
un ragazzo di diciotto anni vada a dormire con il pigiama di Winnie The Pooh?
Ma dai, è ridicolo! –
- Mi piace, va bene?
Uffa! – esclamò, distogliendo lo sguardo da Thomas e incrociando le braccia. In
quel momento, per qualche strana ragione, Thomas sentì la testa girare,
vedendolo così imbronciato.
Dì la verità, sembra o no una ragazza?
Come tutti, anche
Thomas aveva una coscienza. E questa coscienza si era risvegliata con la
reazione femminile di Harry.
B…beh…
Da quanto tempo è che non baci una ragazza?
Non… non me lo ricordo.
E allora perché non provi con lui?
Che cosa??? È un maschio!
E allora? Di cos’hai paura?
Thomas si morse le
labbra, distogliendo lo sguardo. Harry se ne accorse e si girò.
- Che c’è? – gli chiese,
pronto ad una nuova cattiveria. Ma Thomas non gli rispose. Vide che si stava
mordendo un labbro, come avevano fatto tanti che aveva conosciuto prima che Louis
entrasse nella sua vita. Quel dettaglio gli fece brillare gli occhi, e pensare
che forse c’era qualcosa sotto. Velocemente si mise a cavalcioni sull’inguine
di Thomas, lo prese per il colletto della camicia (lui si era cambiato, non
portava più il camice bianco che indossava quando l’aveva rapito) e lo tirò.
- Dimmi cosa c’è. –
- Ehi, scendi dal mio
… - non finì la frase che Harry gli fu addosso, soffiandogli nell’orecchio.
- Dimmelo. Dimmelo.
Dimmelo. –
- No. No. No. –
- Dimmelo dimmelodimmelo? –
- Cosa??? –
- Dimmelodimmelodimmelodimmelodimmelodimmelodiiiiimmeloooooo!
– ora le orecchie di Thomas erano bombardate dalla voce squillante di Harry, il
quale oltre a spaccargli i timpani, lo stava tempestando di colpi alle cosce sbattendovi
contro i suoi piedi.
Thomas cercò di
tapparsi le orecchie, ma Harry gli aveva bloccato anche le mani. Siccome non se
la sentiva di usare la sua forza, si limitò a girare la testa qua e là, mentre
Harry cambiava orecchio di volta in volta.
E così accadde ciò
che Thomas non voleva, almeno a livello conscio.
Mentre Thomas girava
la testa per evitare Harry, che nel frattempo si era fermato, le sue labbra si
posarono su quelle del ragazzo. Harry spalancò gli occhi per un istante, un
istante lunghissimo in cui Thomas sudò freddo… Poi Harry chiuse gli occhi,
portando lentamente entrambe le mani alle guance di Thomas, premendoselo contro
le labbra. Thomas inizialmente oppose resistenza, ma poco dopo chiuse gli occhi
anche lui e si lasciò baciare da Harry. Fu un bacio lungo e molto dolce, che
Thomas assaporò anche in ragione del fatto che Harry aveva un buon profumo,
molto simile (se non addirittura lo stesso) a quello che usava una ragazza che
gli era piaciuta tempo prima.
Quando si staccarono,
si guardarono entrambi negli occhi. Harry sorrideva, Thomas aveva la faccia
confusa.
- Thomas… - mormorò
Harry, accarezzandogli una guancia.
- Dimmi. –
- Mi… mi annoio, qui.
Perché non resti a farmi compagnia? –
Thomas ci pensò su,
guardando il soffitto e l’ambiente della stanza. Poi i suoi occhi si posarono
di nuovo su Harry. Harry lo fissò. Thomas chiuse gli occhi e protese nuovamente
le labbra.
Allora Harry sorrise
e lo baciò nuovamente sulle labbra, cingendogli il collo con le braccia, rannicchiato
su di lui come un gatto.
- Non… non vuoi che
ti procuri dei vestiti? – domandò ad un certo punto Thomas.
A quella domanda, Harry
fece un largo sorriso, prese la mano di Thomas e gliela guidò a sbottonargli la
camicia del pigiama…
- …Senza fretta. E
solo se sarai tu a togliermi di dosso questi. – disse Harry. Thomas sorrise e
iniziò a spogliarlo.
Il maniero sulla
sommità della collina sembrava una cattedrale. Un luogo di culto di chissà
quale perversa religione che sovrastava su tutta la città. Ciò che era più
inquietante di tutto era la sensazione di Louis di essere osservato. Sì, quell’abitazione
lo stava osservando, sapeva che era lì, che stava andando da lei, ma sapeva
anche che il ragazzo non sapeva bene cosa fare.
Louis si era
allontanato un bel po’ dalla locanda, lasciando Niall
dormiente. Tanto sapeva che non avrebbe più potuto aiutarlo. Non finché erano
confinati in quella città. Per un momento aveva anche pensato di riprendere l’auto
e scappare via, tornarsene a casa, ricominciare da capo. Lasciare che Niall se la sbrogliasse da solo contro quei demoni che
infestavano le sue fantasie idiote e farla finita anche con Harry. Tanto, aveva pensato Louis, non penso potrei fare nulla contro uno
scrittore pazzo che sta cercando di fottere il cervello a tutti i suoi fans.
Vada a fare in culo lui, i suoi lettori e tutto quanto sta loro intorno.
Pensieri pieni di rabbia mista a sconforto, che era palpabile nel cuore di
Louis, il quale era contento ma abbastanza deluso dall’ultima notte d’amore
(invece Harry non era affatto deluso in quel momento, mentre prendeva il pene
di Thomas nel suo corpo, beandosi perversamente del fatto che quell’attrezzo
fosse entrato, prima che nel suo corpo, nel corpo di qualche ragazza – senza
sapere che Thomas fosse vergine…). Si chiedeva se Niall
fosse in sé oppure no.
- Oh, vaffanculo.
Basta con queste masturbazioni mentali. – Alzò la testa, rivolgendosi alla
casa. – C’è un pezzo di merda che può darmi delle spiegazioni lassù, e porca
zozza, me le darà. –
Disse quelle parole
col tono di voce più forte che gli riusciva, più per farsi coraggio che per
farsi sentire. Mentre camminava, pensò a tutte le cose che gli avevano dato
rabbia nella vita: un parcheggio rubato al centro commerciale, pettegolezzi di
alcuni suoi amanti sulle sue prestazioni sessuali, suo padre e sua madre che
litigavano, e…
…Un rumore alle sue
spalle. Come un sibilo.
Louis si voltò, e in
quel momento desiderò di non averlo fatto. Louis durante l’infanzia aveva avuto
paura di poche cose e ben definite: dell’uomo nero nell’armadio, dei ponti
senza illuminazione sospesi sui corsi d’acqua e… dei serpenti.
In quell’istante,
proprio un grosso serpente (Oh cristo un
cobra!) era apparso dietro di lui. Louis si sentì gelare il sangue nelle
vene, quindi indietreggiò con le gambe che gli tremavano.
- N… no… Vai… vai
via! – gli intimò, ma il grosso cobra spalancò le fauci e gli mostrò la lingua
biforcuta.
Se non faccio qualcosa, questo stronzo mi mangerà
vivo! Pensò Louis, e
immediatamente scartò di lato facendo una giravolta. Il serpente scattò all’attacco,
ritrovandosi a mordere l’asfalto poco dopo che Louis era fuggito.
La paura che Louis
stava provando in quel momento, fece da carburante alle sue gambe mentre
scappava. La strada che portava alla collina era in salita, ma lui era stato un
bravo corridore durante l’infanzia, e anche adesso che aveva ventun anni, non
se la cavava male. Il cuore gli batteva forte nel petto, se lo sentiva dentro
le orecchie, nella testa che gli pulsava. Ma il suo istinto di conservazione
era più forte del cobra che gli strisciava dietro, cercando di morderlo. Più d’una
volta Louis dovette alzare il piede mentre correva, perché quel bastardo era
davvero veloce. Lesto come un serpente, appunto. Louis scartò a destra. Poi a
sinistra. Poi saltò in avanti! Mancava poco al maniero, davvero pochissimo. Se
ci fosse stato un telecronista sportivo, sicuramente avrebbe snocciolato tutta
la sua telecronaca.
Ecco a voi signore e signori Louis William Tomlinson, ventun anni, giovane di belle speranze, che
cerca di sfuggire ad un cobra gigante venuto da chissà dove. Alcuni dicono
dalla sua immaginazione, altri dicono dalla cattiva digestione. Ma com’è
possibile, se il ragazzo è a stomaco vuoto da almeno due giorni? Ah-ha-ah. Gente!
Questo ragazzo è formidabile! Scarta! Corre! Salta! Incredibile amici, ce la
farà? Non ce la farà??? Percorre mezzo metro fino in fondo al vialetto d’accesso
della casa, sale le scale, guadagna il patio eeeee….
…Una volta sul patio,
Louis si precipitò alla porta, allungò la mano e…
Sorpresa! La porta si
aprì da sola, e inciampando su un gradino, Louis cadde direttamente nell’abitazione,
scivolò sul tappeto dell’ingresso e rovinò comicamente su una consolle con
specchio, facendo cadere un vaso. Lo acchiappò con destrezza, evitando che s’infrangesse
sul pavimento, quindi tirò un sospiro di sollievo. Dietro di lui, la porta si
era già chiusa, e il serpente era scomparso.
- Fiu…
c’è mancato poco, cazzo. –
Ancora con la schiena
sul tappeto, si guardò intorno. La casa sembrava deserta, poco illuminata e
inquietante. Louis sentì un ticchettio in sottofondo, come di una macchina per
scrivere. Si drizzò a sedere, quindi si alzò in piedi e poggiò il vaso sulla
consolle. Il suono sembrava provenire dai piani alti…
Era fuggito dalla
locanda per non essere costretto a sentire il ticchettio della sveglia, e ora
ne sentiva un altro, ben più potente e più forte. Jackson è qui. Adesso dovrà darmi un po’ di spiegazioni.
Il suono era più
forte in prossimità di una porta in fondo al corridoio. Louis non aveva pensato
di prendere in prestito la pistola di Niall, quindi
aveva dovuto accontentarsi di un attizzatoio preso dal camino del salone di
quella casa. Alzò l’arma mentre si avvicinava alla porta, pronto a fare di
tutto per salvare la sua vita e quella di Harry. Allungò la mano sul pomo,
tenendolo fermo, indeciso se entrare oppure no. Coraggio, vecchio mio. Abbiamo fatto trenta, facciamo pure trentuno. Si
disse, e agguantò il pomolo facendolo scattare.
Quando entrò, Jackson
non batté ciglio. Continuava a battere i tasti su quella macchina per scrivere,
riversando su fogli giallognoli i suoi pensieri perversi. Louis andò verso di
lui con l’attizzatoio spianato, ma Jackson non alzò lo sguardo se non dopo che
ebbe tolto il foglio dal rullo e sistemato su un mazzo di fogli alla sua
destra. Lo guardò con espressione neutra all’inizio, poi le sue labbra si
piegarono in un sorriso.
- Buonasera, Louis. Ti
stavo aspettando. –
- Buonasera. Lei è
Jackson? – domandò Louis. Il tono della sua voce era tentennante, ma le sue
mani tenevano ben salda la presa sull’attizzatoio.
Senza smettere di
sorridere, Jackson disse – In persona. – poi, alzando un sopracciglio perplesso
– Non ti sembra un tantino scortese presentarsi ad una persona brandendo un
attizzatoio? –
- Non finché quella
persona tiene in ostaggio un ragazzo di diciott’anni. Dov’è Harry? – tagliò corto
Louis.
- Perché vuoi
saperlo? – Jackson continuava a sorridere, e a quel punto Louis fu preso in
contropiede.
- Io… perché… perché
voglio riportarlo a casa. –
Jackson aggrottò le
sopracciglia, quindi si mise a ridacchiare – Tu dici? Io invece dico che non
sai nemmeno tu perché sei qui, e nemmeno se vuoi salvare quel ragazzo. –
Questa volta Louis
non solo fu preso in contropiede, ma addirittura si sentì sgambettato da tanta
sicurezza. Abbassò un po’ il ferro, sospirando. – Dov’è? –
- E’ qui, insieme a
Thomas. E… - Jackson alzò gli occhi, in un’espressione di santità - …se proprio
vuoi saperlo, sta molto bene. – sogghignò, divertito da ciò che sapeva sui due
ragazzi.
Louis non capì, ma
rialzò l’arma. – Lasciaci andare. Tu vuoi Niall,
giusto? Bene, allora ti propongo un patto. Tu lasci tornare me ed Harry a casa
nostra, a New York, e io ti porto Niall. Siamo d’accordo?
– si pentì egli stesso di aver pronunciato quelle parole. Se Niall l’avesse sentito, sicuramente non ne sarebbe stato
troppo contento. E poi lui amava Niall, lo amava
troppo per lasciarlo nelle grinfie di quel bastardo. Come aveva fatto con Elsa,
così fece con lui: emise una fragorosa risata, divertito da quelle parole.
- Oh, figliolo,
figliolo… sei davvero molto divertente, lo sai? Non penso che faresti più di
mezzo metro con Harry accanto. Perché… - Jackson si avvicinò a Louis,
posandogli dolcemente una mano nivea sulla spalla - …Perché tu non lo ami. Tu
non lo ami più da quando hai visto Niall. –
- Questo non è vero! –
esclamò Louis, con una punta di rabbia nella sua voce. Si sottrasse al contatto
di Jackson, indietreggiando, e questi continuò a guardarlo.
- No? E allora com’è
che nelle tue fantasie ci siete soltanto tu e lui impegnati a… tu-sai-cosa? –
- Questi… questi sono
affari miei! Tu non hai il diritto di spiare in ciò che mi piace o non mi piace
fare, è chiaro? Te lo dirò una volta sola, poi voglio che sia chiaro: lascia
andare Harry e me! –
- Non lo vuoi
veramente. – disse Jackson. Con un abile trucco, era riuscito a passare alle
spalle di Louis, il quale saltò di paura nel sentirlo dietro.
- Tu non vuoi
veramente stare con Harry. Lo so bene. Tu brami Niall come lui potrebbe bramare
te, se mi ascolterai per qualche secondo. –
Jackson gli mise
nuovamente una mano sulla spalla, ma quando Louis provò a reagire, anziché
alzare l’attizzatoio, riuscì solo a mollare la presa, facendolo cadere sul
pavimento con un suono metallico.
Le labbra di Jackson
erano a pochi millimetri dal suo orecchio mentre gli parlava con quella voce
suadente – Guarda – gli sussurrò nell’orecchio, mentre lo specchio dietro la
sua scrivania diventava nero – Guarda bene cosa ti propongo, Louis … - sullo
specchio incominciarono a danzare immagini di Louis e Niall
felici, che si baciavano e si coccolavano… Louis sgranò gli occhi, nel
riconoscere alcune sue fantasie che aveva avuto appena aveva visto Niall. Ci fu poi una sequenza dove Louis faceva l’amore con
Niall, e per qualche strano motivo riuscì a sentire
il godimento che quell’immagine stava provando. Perché era lui stesso, erano i
suoi pensieri.
- …So bene che hai
immaginato queste cose mentre eri in solitudine, nel tuo letto… o nel tuo bagno…
Se entrerai nel mio club, mio caro, potrai averle. Tu e Niall.
Felici insieme. Che ne dici? –
Louis era ammutolito.
Quell’uomo era davvero il male fatto persona. L’unico pensiero che gli veniva
in mente in quel momento non era Niall, era solo una
domanda.
Perché?
Jackson sospirò. – Tu
vuoi sapere troppo, mio caro. La verità non è cosa che ti appartenga,
purtroppo. È una cosa che riguarda Niall, ma se
proprio ci tieni… entra a far parte della mia squadra. Harry e Thomas saranno
felici di rivederti. –
- Dagli retta, amico.
– Louis si girò. Era Thomas. Accanto a lui, c’era Harry.
- Harry… tesoro… -
mormorò Louis.
- Ciao, Louis – lo salutò
Harry – però non chiamarmi tesoro. Fra poco saremo fratelli. –
- Perché…? –
Harry guardò Thomas. Quindi
riportò lo sguardo su Louis.– Io e
Thomas… beh… abbiamo scoperto di avere qualche arretrato da smaltire. – disse,
e gli prese la mano. Lo abbracciò, e Thomas gli sorrise. Poco dopo, entrambi
sorrisero a Louis, il quale era sconvolto da tale notizia. Anche se Harry non
gli era mai piaciuto più di tanto come fidanzato, col tempo gli si era un po’ affezionato.
E vederselo portare via da un amico che per giunta un tempo si dichiarava
eterosessuale, era una batosta abbastanza pesante.
- Hai visto, Louis? –
Jackson gli mise un braccio intorno alle spalle – Pensi di avere altre
alternative? –
Louis sospirò. Quindi
chiuse gli occhi e pensò a Niall. Allora ti prego, fammi stare con lui. Con
lui e nessun altro.
Jackson fece un
sorrisetto compiaciuto – Sia fatta la mia volontà – disse, e si parò dinanzi a
Louis. Il suo volto diventò quello di un demone, baciò Louis sulla bocca e vi
riversò dentro un po’ del suo potere. Louis cadde all’indietro, e quando si
risvegliò, sentiva dentro di sé uno strano potere.
Oltre a ciò, si
sentiva bene. Tanto bene. Jackson ne fu compiaciuto.
- Fra poco arriverà Niall. E finalmente saremo liberi. – dichiarò Jackson, e
insieme a Harry e Thomas, si mise a ridere.
Nel buio della camera
alla locanda, Niall aprì gli occhi. Si sentiva
intontito come spesso accade dopo un lungo sonno. Effettivamente, non erano
state poche le ore in cui aveva dormito. Cercò di fare mente locale su dov’era
e perché.
Ricordava di aver
scoperto dove si nascondesse Jackson, poi era arrivato Louis e si era offerto
di accompagnarlo. Erano arrivati lì, a RirmorSadkners, e lui si era sentito preso da una strana
sensazione: come se fosse già stato lì, come se conoscesse tutto di quel posto,
e non solo. Ne fosse anche incantato. Aveva condotto Louis alla locanda, questo
lo ricordava bene… e poi…?
Qualcosa doveva
essere successo. Ricordava che Louis era sopra di lui, a fare quello che fanno
due ragazzi omosessuali che si piacciono:
(uno dei due è soggiogato)
l’amore
(sesso).
Niall spalancò gli occhi, avvertendo una sensazione
liquida in mezzo alle gambe. Si era bagnato, e qualcuno aveva bagnato lui.
- Ma… allora… non è
stato un sogno. – mormorò Niall, e accese la luce.
Accanto a lui, il letto era vuoto.
- Louis? – lo cercò
con lo sguardo nella stanza, senza trovarlo. Aprì la porta del bagno e accese
la luce.
Si avvicinò al
lavandino, aprì il rubinetto e si sciacquò il viso. Cinque sciacqui belli
vigorosi con acqua gelata, lo riportarono alla realtà. Con gli occhi chiusi,
arraffò l’asciugamano appeso al mobile accanto a lui e si asciugò il viso.
Quando si fu asciugato, lo specchio del bagno era diventato nero. Non
rifletteva più la sua immagine, ma si era tinto di uno stranissimo nero, che
sembrava muoversi. Niall fissò lo specchio ormai
divenuto nero, come ipnotizzato. Vide delle immagini che si stavano formando…
c’erano un gruppo di persone avanzavano. Le loro espressioni erano fameliche,
come belve pronte ad attaccare.
Ma chi volevano
attaccare?
Come in risposta alla
sua domanda, lo specchio mostrò un’inquadratura di Louis. Il ragazzo stava
indietreggiando con le mani protese, in un inutile tentativo di tenere i demoni
a bada.
- Louis!!! – esclamò,
le gambe molli che quasi lo tradirono. Uscì dal bagno, aprì la sua borsa e ne
estrasse la pistola. Poi si fiondò fuori dalla camera.
*****
Per qualche strana
ragione, sapeva dove si trovava Louis. Era nella piazza principale della città.
Corse in quella direzione, e infatti i demoni erano tutti là, sparsi a
perseguitare il povero Louis. Lo vide cercare di evitarli, spaventato più che
mai.
- Louis!!! – lo
chiamò Niall, correndo nella sua direzione. Un demone
cercò di fermarlo, mettendogli le mani addosso. Con una mossa lesta, Niall lo scansò, facendolo cadere a terra. Un altro cercò
di mordergli il collo, ma neanche questo tentativo andò a segno. A Niall parve che quei demoni stessero fingendo, non si
stessero impegnando abbastanza. Quando raggiunse Louis, questi si fermò a
guardarlo. E con lui si fermarono anche i demoni.
- Louis! Che cosa…? –
Stava per chiedergli Che cosa ti è saltato in mente di uscire da
solo, ma non riuscì a terminare la frase: Niall
sentì fischiare una mano artigliata sopra i suoi capelli. Si scansò, e quando
vide chi era stato, ebbe un capogiro. Harry era lì, chino sull’asfalto, che lo
guardava con un sogghigno malvagio. Anch’egli era stato preso dai demoni, e
insieme con lui stava arrivando Thomas a cercare di mettere Niall
fuori combattimento. Thomas ruggì in quel verso gutturale, da bestia, e spiccò
un balzo diretto verso Niall. Avvertito il pericolo, Niall scartò di lato, mandando Thomas ad aggrapparsi ad un
lampione.
Chhhh!!! Thomas soffiò come un gatto quando ha paura, solo
che la sua non era paura, pensò Niall, ma era una
reazione d’attacco. Il demone-Thomas stava per prepararne un altro.
Dimenticando ciò che
era stato Thomas, Niall gli puntò la pistola contro e
fece fuoco. Bang! L’arma provocò un
botto assordante nelle sue orecchie (Oh
che strano, al poligono di tiro insieme a tuo fratello usavi le cuffie
antirumore, ma ora ti tocca sentirmi, mio caro). Chiuse gli occhi e urlò,
sparando alla cieca. I suoi colpi abbatterono un demone, ne ferirono altri due
e infine uno ferì di striscio Thomas alla guancia. Thomas cadde a terra per la
seconda volta quella notte, ma stavolta Harry accorse in suo aiuto, cercando di
uccidere il cattivo Niall che aveva fatto male al suo
nuovo fidanzatino.
- Ti ammazzo!!! – la voce
di Harry era stridula, e in una certa misura inquietante, ma chissà perché, Niall non la sentiva sincera. Era come se Harry stesse recitando
un copione.
Evitando Harry con
uno scarto di lato, Niall acchiappò Louis per un
braccio (che si era accasciato ad un lampione) e lo tirò verso di sé.
- Andiamocene da qui,
e alla svelta! – esclamò Niall guardando Louis,
quindi lo tirò via e lo portò verso la locanda.
Qui, alla reception
non c’era ancora nessuno, ma una volta arrivati al corridoio delle scale, per
poco Niall non ebbe un infarto: una cosa piena di
tentacoli sbarrava loro la strada. Ne riconobbe il grembiule, era l’anziana
locandiera, trasformata in un mostro. Niall spianò la
pistola, sparò altri cinque colpi, mandando giù il mostro. Entrò nella stanza,
prese il suo borsone e corse via, verso l’auto. Louis sembrava catatonico, non
esprimeva alcuna emozione, si limitava soltanto a seguire Niall.
Arrivati all’auto,
trovarono tutti i demoni di prima ad aspettarli. Niall
si fece strada sparando altri colpi. Ad un certo punto la pistola si scaricò,
al che Niall cambiò velocemente caricatore e sparò
ancora, finché l’accesso all’auto non fu abbastanza agevole. S’infilò nella
vettura di Louis, sbattendolo dentro di peso. Entrò a sua volta al posto di
guida e accese il motore. Ingranò la retromarcia e partì in sgommata, talmente
in fretta che l’auto fece un balzo all’indietro.
Li vide tutti fuori
attraverso il parabrezza. L’intera città era popolata dai demoni delle storie
di Jackson. In quegli attimi concitati, l’unico pensiero di Niall
era andarsene velocemente da quel posto, e anche se aveva già ferito alcuni di
loro, mai si sarebbe sognato di investirli. Si morse il labbro inferiore,
quindi si voltò indietro e fece una lunghissima retromarcia, concludendo con
una brusca sterzata che portò il muso dell’auto al posto del retro. Ingranò la
prima e partì sgommando. I demoni erano ora soltanto un riflesso nello
specchietto retrovisore.
*****
Louis, che fino a
quel momento era rimasto zitto, ora stava canticchiando.
Come si chiama tutti lo san, è quel birbante di un
figliolo, si chiama Niall, questo lo so, ma che non
si può uscire, lui non lo sa…
Parole senza capo né coda, ma che incominciarono
a preoccupare Niall.
La stradina a due
corsie che portava fuori città, verso l’autostrada, era ancora immersa nel buio
della notte, e in più c’era tanta nebbia. Buon segno, pensò Niall,
accelerando ancora di più. Sul quadro degli strumenti, il tachimetro aveva
toccato le 90 miglia orarie.
- …e corre, corre,
sempre più forte, ma lui no, non lo sa, che non si può uscir da quaaa… - Louis canticchiò di nuovo, e questa volta si mise
a ridere.
- Piantala, Louis! –
lo ammonì Niall, mentre la riga di mezzeria
tratteggiata diventava insolitamente luminosa.
- Ma che…? – Niall fu investito da un fascio di luce, prima di essere
avvolto da altra nebbia e infine di rivedere i demoni di nuovo di fronte a sé,
attraverso il parabrezza.
- Oh no! Ho fatto il
giro??? – Sul sedile passeggero, Louis rideva.
Senza badare a lui, Niall fece di nuovo retromarcia e sterzò il volante, riportando
l’auto sulla via d’uscita.
- Calmati, Niall. Calmati. Allora, che strada hai preso? È quella
giusta? – in risposta alla sua domanda, vide il cartello State lasciando RirmorSadkners,
poi la strada fu nuovamente avvolta dalla nebbia.
- Ok, questa è la
strada giusta. Sei d’accordo, Louis? – gli lanciò una breve occhiata, e vide
che il ragazzo stava ridacchiando. Sembrava in preda ad euforia etilica. Louis
si rimise a guardare la strada. Di nuovo la linea di mezzeria tratteggiata che
si illuminava, poi un altro fascio di luce, e di nuovo…
- …Cosa??? –
…di nuovo i demoni
all’esterno. Era tornato al punto di partenza.
- Merda!!! – imprecò,
mentre faceva di nuovo retromarcia e si rimetteva in strada. Di nuovo la linea
di mezzeria che s’illuminava, solo che questa volta Louis era sparito dall’auto.
Non c’era più.
- Louis??? – lo cercò
con lo sguardo, ma non lo vide più. Era sparito, volatilizzato. Per quella sera
Louis aveva fatto il pieno di pazzia, si maledisse per aver tentato un’impresa
così ardua come quella di andare a parlare con Jackson, per non aver lasciato
che tutte le cose fossero rimaste com’erano. Sbatté la mano sul clacson, quando
fu investito da un altro fascio di luce e si ritrovò i demoni di nuovo sulla
strada.
Questa volta Niall restò a guardarli. Con le mani sul volante, guardò
tutti quei mostri che gli si paravano davanti. Notò un particolare che prima
non aveva notato: loro non lo attaccavano. Se ne stavano lì fermi a fare delle
pose teatrali per spaventarlo, ma non lo stavano attaccando. Senza staccare gli
occhi da loro, Niall mise la mano destra sul cambio e
ingranò la retromarcia. Lasciò delicatamente la frizione e l’auto indietreggiò
lentamente. Vide che i demoni si allontanavano dalla sua vista, e quando furono
abbastanza lontani, Niall pigiò il freno. Continuò a
guardarli ancora un secondo, poi…
- …Andate all’inferno!!!
– esclamò.
Ingranò velocemente
la prima marcia e schiacciò l’acceleratore. Il motore della Ford di Louis rombò
sommessamente, poi Niall mollò la frizione e l’auto
partì in sgommata, diretta verso la folla dei demoni. Con quella manovra, Niall investì parecchi di loro, che andarono a finire sul
parabrezza e sul tetto dell’auto. I più si scansarono velocemente, chi
aggrappandosi ai lampioni, chi buttandosi sui marciapiedi. Niall
stesso non sapeva cosa stava facendo, ma ormai non ne poteva più. Era esausto.
La visione di una persona sulla strada gli fece cambiare umore immediatamente.
- Louis!!! –
Il ragazzo che poco
fa era con lui nell’abitacolo ora era là, in piedi sulla carreggiata, un piede
da una parte della mezzeria e uno dall’altra. Le mani allargate a formare una
specie di “T”, come un toreador che sfida il toro. Niall
inchiodò bruscamente, ma data la velocità che aveva preso l’auto, sbandò
violentemente contro un muretto, e senza la cintura, fu proiettato contro il
parabrezza. Dal vano motore incominciò ad uscire fumo, mentre lo sportello
veniva aperto. Riuscì a scorgere Louis che lo tirava fuori prendendolo per le
braccia e che lo guardava sorridendo, poi per lui scese il buio.
Per un tempo che gli
parve lunghissimo, Louis credette di essere tornato indietro nel tempo. Per
meglio dire, non era più nella realtà che conosceva (ammesso che di realtà si
trattasse). Non era più a RirmorSadkners,
bensì a New York. L’atmosfera era carica di pioggia, così come lo erano i
marciapiedi. Nell’aria si sentiva chiaramente il profumo di terra bagnata che
caratterizzava quei giorni piovosi. Niall camminava a
testa bassa tra la folla che gli camminava incontro. Ad ogni passo riusciva a
vedere le sue scarpe che calcavano il marciapiede.
Basta, non ce la faccio più.
Mentre camminava, con
la testa zeppa di pensieri foschi, per poco non inciampò a causa di un ragazzo
che gli aveva quasi fatto lo sgambetto. – Sei cieco, cretino? – gli aveva detto
questi, affrettandosi a riprendere il passo e lasciando Niall
con un palmo di naso, con le mani affondate nelle tasche della sua felpa. Entrò
nel primo negozio a portata di mano, non sapeva nemmeno che cosa vendesse.
Sono tutti degli stronzi, là fuori. Io non ci
torno.
Il negozio risultò
essere una libreria. Alzò gli occhi, osservando come i libri erano ben composti
sugli scaffali bianchi, come la poca gente passeggiasse per quei corridoi senza
dire una parola, osservando i libri e creando nel contempo una parvenza di
mondo perfetto.
Si mise anche lui a
curiosare per gli scaffali, senza un’idea precisa. I libri esposti erano per lo
più biografie di insigni politici che avevano fatto la storia degli Stati
Uniti, poi c’erano libri della J. K. Rowling (da cui Niall
teneva volutamente le distanze), uno spazio interamente dedicato alla narrativa
horror di Stephen King, e poco più in là…
Uno spazio nuovo,
curato da un ragazzo dai tratti orientali. Louis guardò la targhetta col suo
nome: si chiamava Johnny.
In questo spazio,
Louis prese in mano un libro che lo attirò particolarmente.
E questo…? “Howard P. Jackson – Nel labirinto
della follia”?
Poche righe bastarono
per suscitare in lui una curiosità enorme. A chi gliel’avesse chiesto, Niall avrebbe risposto che non ricordava perché si era
sentito così attratto da quel libro, né cos’avesse trovato nella trama di tanto
interessante. Eppure aveva pensato…
…Sembra interessante. Lo prendo!
E se l’era messo in
tasca.
Da lì era cominciato
tutto quanto.
*****
Aveva aperto gli
occhi, e si era ritrovato su un divano spazioso, con sotto dei cuscini a
reggergli la testa. Poco lontano, una musica di sottofondo riempiva il silenzio
della sua stanza: poteva trattarsi di un valzer, o un’altra identica melodia.
- Ben svegliato,
figlio mio. –
Niall trasalì, nel vedere che non era solo in quella
stanza: Jackson era lì con lui, vestito di tutto punto, che lo osservava,
seduto su una poltrona. Teneva le braccia sui braccioli e le mani giunte, come
osservando una creatura rara.
- F… figlio… suo? Ma
… che cosa…? –
Alzando la mano,
Jackson lo fermò.
- Ti prego, non fare
domande di cui già conosci le risposte. Tu sai perché sei qui, solo che non
vuoi ammetterlo – fece una pausa, poi aggiunse – O più probabilmente, non te lo
ricordi. -
Niall si drizzò a sedere. Da sempre Jackson, nel modo
di scrivere che lui conosceva bene, gli dava l’impressione di un uomo molto
sicuro di sé, molto persuasivo. Ora ne stava avendo la prova tangibile.
- Di cosa sta
parlando? Io voglio solo riprendermi i miei amici, Louis e Harry. Ma a quanto
pare, ho miseramente fallito. –
- Oh no, no. Non hai
fallito, anzi sei stato davvero bravo ad arrivare fin qui sano e salvo,
nonostante il brutto incidente con l’auto. A proposito, mi dispiace ma non
credo che l’auto di Louis si potrà recuperare, così conciata… -
- Non cambi discorso,
Jackson – disse Niall, alzandosi in piedi. Si sentiva
parecchio debilitato e gli faceva male la clavicola. Si appoggiò ad un mobile
lì vicino, e subito alle spalle di Jackson vide la sua scrivania con la
macchina per scrivere e un mazzetto di fogli. Improvvisamente, ebbe una
sensazione di dejà vu.
Poi, senza che Niall gli chiedesse nulla, Jackson cominciò a parlare.
- …I grandi antichi, Niall. Ti dice niente questa parola? –
Niall stava per rispondere “no”, ma la sua bocca si
bloccò prima che potesse pronunciare alcunché. I Grandi Antichi. Quelle parole furono come una molla che caricò tutti
i meccanismi fermi da anni nel suo cervello. Come una chiave che mise in moto
il complesso motore del ricordo nella sua mente, riportandolo immediatamente
indietro nel tempo a quando aveva solo tredici anni. Chiuse gli occhi e si
rivide poco meno che adolescente, curvo su un manoscritto che cercava risposte
alle domande che i romanzi di Jackson gli avevano ingenerato nella mente:
esistevano o erano esistite entità superiori di stampo pagano, prima degli
uomini? Leggendo quei romanzi, Niall si era convinto
che ci fosse qualcuno, in un altro mondo, un mondo parallelo, che un giorno
sarebbe venuto e avrebbe dominato la terra. Aveva anche capito che i Grandi
Antichi non avrebbero mai potuto attraversare i varchi temporali che li
separavano dal mondo reale (dove peraltro essi erano considerati fantasie buone
per menti malate, come poteva esserlo Jackson) senza un tramite eletto. La
testa incominciò a girargli, mentre ricordava un’altra cosa: le sedute dalla
psicologa, tutti quegli psicofarmaci presi per cercare di sedare la sua sete di
conoscenza, il suo desiderio di conoscere i demoniaci padroni del mondo… e poi
Alvin, il suo fidanzato, che dopo un periodo passato insieme, lo lasciava
miseramente, mandando a monte un lavoro di riabilitazione interiore durato più
di un anno… un tempo che a Niall erano sembrati
secoli, paragonati allo sforzo che aveva dovuto compiere per cercare di
liberarsi della verità…
- La verità li renderà liberi. – citò
Jackson proprio nel bel mezzo della scaletta mentale di Niall.
Lo osservò con gli occhi sgranati e umidi di lacrime, per il ricordo appena
vissuto della sua tormentata adolescenza. Jackson si alzò e gli andò vicino,
quasi prossimo a toccarlo, ma non lo toccò. Si limitò a guardarlo.
- …per i più, i miei
libri non erano altro che fantastiche storie piene di sangue e morte, buone a
solleticare le loro fantasie perverse. Lettura superficiale, come la chiamo io.
Ma tu… - disse, posandogli entrambe le mani sulle spalle e piegando le sue
labbra in un ghigno - …Tu, figlio mio, sei riuscito a leggere oltre le righe. –
- Non devo essere
stato il solo, a quanto pare… - mormorò Niall,
avvertendo un disagio enorme, che traspariva dalla sua voce.
- Eh no, purtroppo.
Thomas ha capito tutto prima di te, e molto più velocemente. Anche DhaliaClaiborne e il professor
Bean avevano capito. Sarebbero stati pronti a venire da me, ma qualcuno li ha
fermati prima del tempo. –
- A venire da lei?!? –
sbottò Niall, sottraendosi al contatto con lo
scrittore – Thomas ha assassinato sua madre! Bean ha trifolato la clientela di
mezza libreria con un’ascia, e per poco non ammazzava anche me! Per non parlare
della Claiborne, che ha fatto fuori mezza redazione
della Pendragon Press… Sarebbe stato questo il modo
in cui volevano venire da lei? –
Ridacchiando, Jackson
fece un giro su sé stesso, andando verso la sua scrivania – Né Bean, né la Claiborne, né Thomas, e nessuno dei miei ragazzi – aveva un
bel fegato a chiamarli “ragazzi”, pensò Niall – ti avrebbero
torto un capello. Ti avrebbero solo portato qui, ma tu hai voluto fare di testa
tua, mi hai resistito più volte, finché non sei arrivato. –
- Vuole spiegarmi che
cosa ci faccio qui, allora? –
Jackson sospirò, fece
un gesto con la mano indicando a Niall di voltarsi.
Nel frattempo, nella stanza entrò Louis. Niall lo
guardò per un secondo, notando come il ragazzo avesse perso la brillantezza
negli occhi, la fluidità nei movimenti… e l’umanità nell’anima. Ai suoi occhi
appariva come uno zombie, uno dei tanti burattini di Jackson.
- Voltati, Niall – disse Jackson – e guarda. Guarda. –
Lentamente, Niall si voltò. Dietro di sé, nel muro si era aperto un
buco nero. Una specie di oblò sulla parete, dal quale non si vedeva altro che
buio. Le tenebre erano sovrane, laggiù. A Niall
vennero in mente le parole di Jackson.
Come angeli risaliranno dallo specchio delle
tenebre…
Mirror of Darkness.
RirmorSadkners.
- Mirror
of Darkness… - mormorò Niall,
guardando fisso nel buco. – L’avevo inventato io. – concluse, ricordando che
quella città l’aveva inventata lui in uno dei suoi racconti.
Dietro di lui,
Jackson porse il manoscritto a Louis, che lo prese in mano e lo sfogliò. Poi si
mise a leggere le ultime pagine ad alta voce.
…Niall guardò nel buco
nero, che aumentava di grandezza ogni secondo. In quel buio, egli riconobbe la salvezza
dell’umanità: occhi gialli apparvero nell’oscurità, e gemiti riempirono il
silenzio. Pochi attimi, soltanto pochi attimi, e i Nuovi Padroni avrebbero
invaso il mondo reale. I Grandi Antichi non sarebbero più stati la perversa
fantasia di pochi.
Niall indietreggiò, vedendo che gli occhi gialli
avanzavano lentamente. Si rivolse a Jackson. – Lei… Lei è pazzo… - mormorò.
Jackson si mise a
ridere – Solo grandi pazzi possono essere grandi geni. – sentenziò, quindi
Louis avanzò verso Niall e gli porse il manoscritto. Niall guardò prima lui, poi le pagine.
- Voglio che tu dai
alle stampe questo romanzo, Niall. Sarà il più grande
successo di Howard P. Jackson. Tutti ne parleranno, e non solo: il mondo sarà
un posto migliore. – disse, sogghignando.
- E lei crede che io…?
–
- Se non vuoi farlo
per lui… - disse Louis, avvicinandosi – Fallo per me. – e lo baciò sulla bocca.
Niall non si sottrasse, ma ad un iniziale reticenza,
chiuse gli occhi e baciò con dolcezza Louis sulle labbra, trasformando sempre
di più il suo bacio in un bacio appassionato, da amante.
Quando si staccarono,
Louis non aveva più il manoscritto. Ce l’aveva Niall.
Niall guardò negli occhi Louis, che sorrideva. Ma il
suo non era un sorriso umano. Era il sorriso di un pupazzetto animato da
malvagi intenti. Si chiese quanto del vero Louis ci fosse stato in quel bacio.
Non molto, forse, ma ciò gli permise senz’altro di apprezzarlo di più. Intanto,
alle spalle della scrivania di Jackson, si era aperto un altro buco. Questo
però non era scuro, sembrava più… una galleria, con una luce in fondo.
- …attraversa questo
passaggio e ritornerai nel tuo mondo. Torna a casa, rilassati e poi presenta
questo manoscritto a nome mio. D’accordo, Niall? –
disse Jackson, strizzando l’occhio al ragazzo.
- E se mi rifiutassi?
– domandò Louis.
- Ohohohoh.
Che domanda sciocca. Vai adesso, non perdere altro tempo. – lo incalzò Jackson,
mentre Niall si avviava.
Fece pochi passi all’interno
del tunnel, guardando di tanto in tanto indietro. Louis e Jackson erano ancora
fermi lì, come statue, a guardarlo. Qualcosa diceva a Niall
che se avesse cercato di tornare indietro, non ci sarebbe riuscito, perché una
barriera glielo avrebbe impedito. Difatti, all’ultimo sguardo alle sue spalle,
Louis e Jackson erano scomparsi.
Cristo… E adesso cosa faccio? Si domandò Niall, mentre
l’uscita dal tunnel era sempre più vicina.
Il varco dimensionale
si era chiuso all’improvviso, senza che Niall se ne
accorgesse, lasciandolo sull’autostrada in un giorno grigio: grossi nuvoloni
neri guardavano con malocchio dal cielo, gravidi di una pioggia che da un
momento all’altro sarebbe esplosa con tutta la sua violenza. Con il manoscritto
stretto al petto (non sapeva nemmeno lui perché ci tenesse a proteggerlo), Niall camminava piano, un passo dopo l’altro, alla ricerca
di un ricovero per la notte. Notte? Ma lo sapeva che ore erano? No, certo che
no. Il suo cellulare era scarico, non aveva incontrato nessuna auto in transito
da quando era uscito da RirmorSadkners
(Lo specchio delle tenebre)
e dunque aveva perso,
oltre alla strada di casa, anche la cognizione del tempo.
Mamma mi mangerà vivo quando torno a casa, pensò Niall con un
sospiro; poi abbassò gli occhi sul manoscritto. Coraggio, non preoccuparti. Quando questo libro sarà pubblicato, la
rabbia di tua madre sarà l’ultimo dei tuoi problemi, te lo garantisco. A
quelle parole, pronunciate dalla sua testa, Niall si
mise a ridere. Camminava e rideva, ad ogni passo uno sghignazzo, ogni
chilometro una risata fragorosa. Aveva sentito dire che a volte i pazzi
ridevano da soli.
Dunque cari studenti, facciamo un bel sillogismo:
se i pazzi ridono da soli, e NiallHoran ride da solo, allora NiallHoran è un pazzo! Ah AhAhAh! Che ridere, Prof!
Rise ancora più forte
a quell’eventualità. Se anche Jackson era un pazzo furioso ma gli era andata di
lusso fino ad ora (cioè non aveva trovato nessuno buono a piantargli una
pallottola in mezzo agli occhi al momento giusto, ovvero prima di concludere
quel romanzo), allora a lui poteva andare ancor meglio. Un tuono sovrastò le sue
risate. Niall alzò gli occhi, e vide dei fulmini
saettare in lontananza. Gocce di pioggia iniziarono a bagnargli il viso. Neanche
il tempo di alzare gli occhi, che subito l’acqua iniziò a cadere a scroscio,
costringendolo a cercarsi un riparo. Nel mentre che correva, pensò a proteggere
il manoscritto, mettendoselo sotto la giacca.
*****
La pioggia continuava
a cadere incessantemente da più di un’ora. Miracolosamente era riuscito a
trovare una casa abbandonata. Il portico era ancora solido, e abbastanza
integro da potergli offrire un riparo. Seduto su una vecchia sedia a dondolo,
osservava la strada per vedere se riusciva a far fermare qualcuno. Quel giorno
però sembrava non essere il suo giorno fortunato: da quando si era messo lì,
non aveva visto un’auto che fosse una. Forse i turisti non amavano visitare le
magnifiche terre dell’America nord-orientale? La sua gamba destra si muoveva
impaziente, andando quasi a ritmo con il sottofondo provocato dalla pioggia
battente, pensando che migliaia di fan del grande Jackson avrebbero voluto
trovarsi al suo posto, in quel momento: seduto su una sedia a dondolo, da solo,
con il sottofondo ideale (beh, non proprio così ideale)… e con il tanto atteso
ultimo manoscritto della pentalogia delle tenebre. Un’occasione troppo ghiotta
da lasciarsi sfuggire.
NiallHoran non era mai stato
un ragazzino curioso. Da bambino aveva avuto qualche domanda in più rispetto ai
suoi coetanei, ma si era sempre accontentato delle bugie bianche dei suoi
genitori, non era mai andato a cercare risposte più articolate. Se ciò che
aveva detto Jackson era vero, dunque che tutte le risposte erano in quel libro,
lui non avrebbe dovuto far altro che leggerlo, e gli si sarebbero aperte le
porte. Sicuro, era facile! Sarebbe bastato strappare la carta che lo avvolgeva,
togliere i due intrecci di spago e via, dal produttore al consumatore senza
passare dalla filiera editoriale. Chi gliel’avrebbe impedito? Jackson, forse?
Forse non sarà il massimo degli scrittori, però
una cosa è sicura: Jackson sa stimolare la curiosità anche dalla copertina.
Figurarsi un libro senza la copertina. Lo leggo o non lo leggo? Mmmh…!
Per dirla tutta, nei
suoi pensieri c’era anche il progetto di distruggerlo. Distruggere quel fiume
in piena di parole, quella bibbia dell’apocalisse per vedere se sarebbe
riuscito a scongiurarla. Lo tirò fuori un momento dalla giacca, per guardarlo
ancora un po’. Com’era ovvio, non si era macchiato né bruciato, né aveva
mostrato segni d’insofferenza al pensiero che Niall
aveva avuto su di lui, ovvero sé stesso che lo metteva su un barbecue, lo
cospargeva di benzina e gli dava fuoco.
Fece un sorrisetto
compiaciuto a quel pensiero, ma proprio quando si sentì ispirato per fare ciò
che aveva in mente, il libro iniziò a fumare.
Niall cercò di tirarlo fuori dalla giacca, ma era come…incastrato.
E scottava. Scottava sempre di più, fino a che non prese fuoco. Il manoscritto
avvampò come una torcia contro il petto di Niall, che
cacciò un urlo di terrore quando le fiamme iniziarono ad avvolgergli i vestiti
e la pelle. Era come se lui stesso fosse stato cosparso di benzina, data la
rapidità con cui le fiamme si propagarono sul suo corpo. saltò giù dal portico
come una torcia umana, cercando di spegnere le fiamme sotto la pioggia. Urlò e
si dimenò a destra e a sinistra, correndo in strada. Gli occhi gli esplosero fuori
dalle orbite per il calore. Cieco, si voltò al suono di una sirena in
lontananza: l’unico veicolo che era sopraggiunto da quelle parti, un TIR, lo
investì in pieno, spappolandolo sull’asfalto.
*****
Si svegliò di
soprassalto, respirando a fatica e sentendo ancora nelle narici l’odore del
fumo che usciva da quel manoscritto. Non era più sotto un portico di una casa
abbandonata, bensì sul sedile passeggero di una station wagon guidata da un
uomo in giacca e cravatta, che somigliava moltissimo a George Clooney.
- Ehi ragazzo – lo apostrofò
il guidatore – Tutto a posto? –
- I… io… - Niall si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. – S…
sì. Sto bene. –
- Dal colorito della
tua pelle non si direbbe. Sei pallido come un cencio – sentenziò l’uomo – ma
non preoccuparti. Siamo quasi arrivati a New York. –
- Di già? – Niall sbadigliò vistosamente – Ma… che ore sono? –
- Le sette del
mattino… di un piovoso venerdì, a quanto sembra. Le previsioni danno pioggia
per tutto il giorno. Bah, l’autunno… - disse “George”, e trangugiò un po’ del
suo caffè mentre guidava.
- Capperi! – esclamò Niall – devo aver dormito un bel po’, eh? –
- Scherzi? Hai ronfato
beatamente per tutto il viaggio. Finché non ti sei svegliato. –
Niall si vergognò un po’ di quella scoperta, ma d’altronde
non lo si sarebbe potuto biasimare: non era da tutti incontrare il proprio
pazzo scrittore preferito, e non era da tutti ricevere da lui un manoscritto da
dare alle stampe. A proposito… il manoscritto… dov’era?
- Signore? – domandò Niall.
- Sì? Che c’è? –
- Ha per caso visto
il mio manoscritto? – mentre domandava, si mise a cercarlo. Forse gli era
caduto in mezzo ai sedili.
L’uomo fece un’espressione
interrogativa - Di quale manoscritto stai parlando? Non ti ho visto con nessun
manoscritto, da che sei salito sulla mia auto. –
Niall alzò lo sguardo, incontrando il profilo serio dell’uomo.
– …Ne Ne è sicuro? –
- Sicuro come la terra
è rotonda, figliolo. Non avevi nulla con te oltre ai tuoi vestiti. –
Niall si rimise comodo sul sedile, valutando le
possibili ipotesi. Per la legge dei Grandi Numeri, era molto probabile che: A)
il libro si era volatilizzato da solo, lasciandolo lì come un frolloccone; B) il libro non era mai esistito, non erano
mai esistiti né Jackson né gli altri, quindi il mondo non correva alcun
pericolo; oppure, la più probabile C) Niall stava
diventando pazzo.
Sto diventando pazzo, ripeté nella sua mente, mentre l’auto imboccava
l’allacciamento autostradale di New York.
Quando tornò a casa, Niall pensò di aver sognato tutto. Corse nella sua stanza e
trovò tutto come aveva lasciato prima di indagare sui libri di Jackson. Questi
erano lì, sul solito scaffale dov’erano sempre stati, leggermente consunti dall’uso
ma non certo portatori di chissà quale fantomatica “parola di Dio” che portava
la gente alla pazzia. Su Facebook, Harry Styles era scomparso. Provò a chiamarlo al cellulare, ma il
numero risultava inesistente. Se il cellulare risultava inesistente, il numero
di casa era esistente, ma non corrispondeva a nessuna abitazione, bensì ad un
ufficio legale al ventottesimo piano di quel palazzo dove Harry aveva detto di
abitare insieme alla madre. Appena posato il cordless sulla base, si sentì preso
da un capogiro fortissimo, che per poco non lo fece cadere ginocchioni sul
pavimento. In suo aiuto accorse sua madre, che lo sorresse fino alle scale,
portandolo a letto.
*****
- Oh mio dio, Niall tesoro… Hai la febbre a quarantuno! – esclamò la
madre togliendogli il termometro dalla bocca.
Disteso in quel
letto, Niall si sentiva il cervello friggere, la
testa gli stava scoppiando e il corpo era quasi insensibile, ma conservava
ancora una flebile fiammella di lucidità che lo spinse a parlare con sua madre.
- Mamma… - gemette, con
le lacrime agli occhi per il dolore - …Ho… ho incontrato Jackson. –
Maura Gallagher mise
una mano sulla fronte di suo figlio: scottava.
- Vado a prenderti la
borsa del ghiaccio. Dobbiamo assolutamente far scendere la temperatura. –
- Mamma… ti prego,
ascoltami… - ora Niall stava quasi piangendo - …i
demoni… stanno arrivando… distruggeranno tutto, s’impadroniranno della realtà…
- uno spasmo lo interruppe, la testa gli faceva male come se gliela stessero
perforando con un trapano - … moriremo tutti, mamma… ti prego… fai … qualcosa…
- mormorò, guardando negli occhi la donna.
Maura incontrò lo
sguardo del figlio, che la guardava come un cucciolo smarrito e pauroso. Dagli
occhi di Niall iniziarono a sgorgare calde lacrime,
accompagnate da singhiozzi. Rimase zitta ad ascoltarlo ancora, quando fece una
specie di confessione.
- S… sono… sono stato
io. Ho … ho fatto prendere Louis Tomlinson e Harry Styles…. E … Thomas…Thomas! – esclamò,
come in preda al delirium tremens – …Thomas! Thomas
Bailey…! Ha fatto fuori sua
madre, poi è …. Si è unito a Jackson, perché Jackson vuole… vuole aprire la
strada ai dominatori… del mondo… vogliono… soggiogare la razza umana facendoli
impazzire… tutti…. Tutti moriranno…! –
Maura non credeva
alle proprie orecchie. Lentamente tolse la mano dalla fronte del figlio e si
chinò a baciarlo.
- Amore – gli disse –
Thomas Bailey è rinchiuso nell’ospedale psichiatrico di Silent
Hill. L’hanno ritrovato questa mattina presto. Andrà tutto bene, vedrai. Non c’è
niente di cui aver paura. Sei a casa tua, con la tua famiglia… -
- …G… Greg! D… dov’è
Greg??? – annaspò Niall.
- Tuo fratello è
ancora in guerra in Iraq, tesoro… non tornerà prima di un mese. –
- Oh mamma… mamma ti
prego, devi credermi. Qualcuno deve fermarli… bisogna… bisogna bloccare la
pubblicazione… di… di quel…. Libro… Ah… - annaspò ancora, sentendosi mancare il
fiato. A quel punto sua madre si alzò e corse giù in cucina a preparare una
borsa con del ghiaccio. La temperatura si stava alzando, bisognava
assolutamente fare qualcosa.
- No… mamma non
andare via… ti prego… -
- Vado a prepararti una
borsa del ghiaccio! Torno in un lampo!!! – gli disse dal fondo delle scale. Niall abbandonò la testa sui cuscini, lanciando un’occhiata
fuori dalla finestra: pioveva ancora a dirotto, con lampi e tuoni.
Questo è il giorno del giudizio, pensò Niall prima di
sprofondare lentamente in un sonno profondo.
La prima notte a casa
dopo l’avventura a RirmorSadkners
fu traumatica: dormì poco e male a causa della febbre che l’aveva colto, e
vedeva dappertutto solo ombre malvage e demoni che uscivano dalle tenebre. In
quelle poche ore, il suo letto era diventato il suo castello. Non ne era sceso
nemmeno per andare in bagno, e per difendersi aveva rispolverato la sua vecchia
mazza da baseball, che teneva accanto a sé, in caso di incursioni (era troppo sicuro che qualcuno sarebbe
venuto a fargli visita).
Difatti, una visita
la ricevette.
*****
Come molte persone
quando hanno la febbre, Niall si girava e rigirava
nel letto, senza riuscire a prendere sonno, vedendo cose che non potevano
esistere se non nei suoi deliri onirici. La pioggia che aveva iniziato a cadere
dal cielo dalla mattina presto, stava continuando a tormentare New York. Tutto
quel ticchettio incessante era un altro cattivo modo per disturbare il suo
sonno. Niall guardò l’orologio digitale sul comodino:
le quattro meno venti. La notte sarebbe stata ancora lunga, perciò cercò di
chiudere gli occhi e rilassarsi, nonostante la testa fosse sul punto di
esplodergli. Pensò a Greg, che se fosse stato lì, sicuramente l’avrebbe difeso
con una delle sue armi automatiche… per un attimo si chiese se aveva ancora a
disposizione quella certa chiave…
Con la febbre ancora
alta, il suo cervello gli regalava visioni pazzesche: più di una volta si girò
di scatto verso la porta credendo che si stesse aprendo, rivelando la figura di
un demone zannuto pronto a divorarlo. Cercò di tranquillizzarsi, ma fu tutto
inutile. La seconda grande visione che ebbe in quegli attimi fu di suo fratello
Greg che combatteva in Iraq. Li vedeva tutti là, con le loro divise mimetiche,
gli elmetti e i fucili automatici a combattere il nemico… nemico che nei sogni
di Niall non erano i terroristi islamici, bensì degli
altri demoni che avanzavano contro i soldati. Soldati tra i quali si riconobbe
anche egli stesso. Li vedeva in prima persona, i demoni impazziti… li vedeva… e
non sapeva cosa fare.
La terza visione fu
forse quella più terrificante.
Ormai rassegnato all’idea
che se avesse chiuso gli occhi avrebbe visto soltanto paura e morte, Niall scontò le ultime ore di notte che gli restavano con
gli occhi aperti. Se non mi addormento
non li vedrò, pensava e ripensava, tra un brivido di freddo e l’altro,
carezzando il manico della mazza da baseball e guardando la finestra.
Improvvisamente, la porta iniziò a scricchiolare, fino ad aprirsi. Niall impugnò istintivamente la mazza, senza però tirarla
fuori del tutto. Si sentiva parecchio debole, non era nemmeno sicuro di
riuscire a tenerla in mano. Ma doveva provarci.
- Vieni avanti,
Jackson – mormorò, sottovoce – che cosa stai aspettando? –
Anziché Jackson,
nella sua stanza entrò Louis. Niall sentì il sangue
fermarglisi nelle vene.
- L… Louis? Ma tu… Tu…
-
- Ciao Niall – lo salutò amichevolmente Louis chiudendosi la porta
alle spalle. Quel gesto non piacque per nulla a Niall,
che prese la mazza e la tirò fuori, pronto a scassare il cranio di Louis se si
fosse provato a fare scherzi.
- C…ciao… Ma… che
cosa vuoi? –
- Voglio solo cercare
di convincerti a passare da noi. –
Louis gli sorrise,
incominciando a sbottonarsi la camicia… Sebbene Louis fosse leggermente
attratto da lui, scosse la testa.
- No, stai sbagliando…
ho la febbre, non riuscire a fare sesso nemmeno se… -
- Ma io non voglio
fare sesso con te. – ribatté Louis, togliendosi la camicia e lasciandola cadere
ai suoi piedi.
Niall non capiva se era un sogno o la realtà, ma ebbe
abbastanza paura quando Louis gli si fiondò addosso e si tramutò in un demone.
La prima cosa che il demone-Louis fece fu di spezzare a metà la mazza da
baseball. Niall urlò come un pazzo, invocando mamma,
papà e persino suo fratello, ben sapendo che non era lì a casa… il demone-Louis
rise, quindi parlò con una voce cavernosa.
- So che anche tu lo
vuoi, Niall… Perciò non resistere. Lasciati andare. –
Le zanne del demone
gli lambivano il collo. Niall provò schifo e terrore
quando Louis gli leccò il collo con quella lingua da demone mentre con le mani
lo scopriva, abbassandogli i pantaloni e i boxer… ciò che doveva essere il
membro di Louis lambì la fessura di Niall, che per
tutta risposta, se la fece addosso dalla paura. Anche se spaventato, non si
risparmiò di rispondere al demone.
- …Quando all’inferno
si potrà sciare, allora io mi unirò a voi. – disse, e sputò in un occhio a
Louis.
Louis riprese le sue
sembianze umane, e si deterse lo sputo di Niall
ridacchiando. Poi lo guardò. Gli mise una mano sul collo e iniziò a stringere.
- Non sai quanto mi
eccita vederti così, Niall. Ti scoperei ancora una
volta se avessi tempo. – Poi si avvicinò al suo orecchio – So che ti è piaciuto
quella volta, non dire di no. Puoi riaverlo, ma solo se ti unisci a noi. –
- Mai! Mai! Mai!!! –
esclamò Niall, esasperato. Dai suoi occhi iniziarono
a sgorgare lacrime. Erano più di dispiacere per aver perso Louis che per altro.
Ora avrebbe desiderato soltanto morire, ma qualcosa gli diceva che il peggio
doveva ancora venire.
- Tanto non puoi più
fare nulla. Stiamo già arrivando. –
- Ho perso il
romanzo. Non è stato pubblicato. – mormorò Niall,
tossendo.
Per tutta risposta,
Louis buttò la testa all’indietro e si mise a ridere di gusto.
- Questo lo credi tu –
rispose.
- Cosa…? –
- Ti consiglio di
guardare la televisione domani, al risveglio. Avrai una bella sorpresa. –
concluse il demone-Louis, prima di allontanarsi dal letto di Niall e scomparire nelle tenebre. Rimasto solo, Niall si asciugò le lacrime, lottando contro sé stesso per
cercare di calmarsi… Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.
Troppo spesso, quando
si apprende la notizia di un omicidio, la prima reazione dell’opinione pubblica
in generale è la seguente:
Sembrava tanto una brava persona… chi se lo
sarebbe mai aspettato?
Ma ciò è solo un
incanto. Il gemito di dolore della signora corpulenta dopo che le si è rotto un
tacco proprio mentre scendeva le scale. Il versetto di stupore di un pettegolo curioso
che spia dal buco di una serratura chi sa godersi la vita meglio di lui, non
certo un’analisi ragionata del perché
il fatto è successo.
La storia criminale ha
documentato casi in cui la follia omicida che ha preso il sopravvento sulla
mente di una persona è stata scatenata dalle più svariate e soggettive
motivazioni personali: c’è stato chi ha sparato al suo cane durante la
proiezione di un film horror sui lupi mannari; chi ha assassinato il coniuge
perché fedifrago; chi ha compiuto una strage in un centro commerciale per
emulare l’eroe di un film d’azione, e tanti altri scenari. Casi, questi, in cui
c’è stato un protrarsi della situazione patologica nella mente dell’individuo,
a volte anche a sua insaputa, fino a che la patologia era sfociata nella
violenza. Un classico.
Nel caso di Niall James Horan (ma diciamo
come nella maggior parte dei casi di omicidi plurimi), la causa scatenante il
raptus non fu determinata da uno stillicidio d’acqua, ovvero la classica goccia
che fa traboccare il vaso, bensì da una convinzione.
La convinzione che da
lì a poco, non ci sarebbe stato più nulla da fare, e che quella era l’unica
soluzione possibile.
*****
Nonostante la febbre
e la debolezza, Niall era uscito di casa prendendo l’auto
di suo padre. Ai tentativi della madre di impedirglielo, lui si era ribellato,
spingendola via e mandandola a rovinare sulla credenza, causando la rottura di
un piatto e il rovesciamento della zuccheriera. Inerme, piangente e con un
polso fratturato, la madre era rimasta lì ad osservare suo figlio uscire con in
mano un arnese progettato per uccidere. I suoi urli coprivano a malapena il
parlato del televisore.
In the eyes of darkness, è il nuovo romanzo del celeberrimo scrittore
gotico contemporaneo Howard P. Jackson! L’ultimo capitolo della pentalogia da
oggi in libreria! Affrettatevi, sta andando a ruba!!!
E, subito dopo la
pubblicità
Continuano in tutta New York gli omicidi plurimi
aggravati. Sembra una specie di virus, che colpisce gli individui e li porta ad
una pazzia scatenante follia omicida. Consiglio di Stato oggi alla Casa Bianca:
sono stati interpellati alcuni esperti, ma ancora non se ne conoscono le cause…
*****
- Vede, signor Horan, io trovo quantomeno incredibile che lei venga qui a
supplicarmi di ritirare il libro dalle vendite. È appena uscito e già è un
successo editoriale migliore degli altri quattro predecessori… -
A quelle parole Niall si alzò dalla poltroncina di fronte alla scrivania e vi
sbatté vigorosamente e ripetutamente le mani, facendo ribaltare il cartellino
con il nome di Ronald Sunderland – Assistenza
alla clientela. L’uomo lo guardò stupito da dietro quegli occhialini da
vista, ma Niall non si scompose di un millimetro.
- Mi ascolti, caro il
mio signor Ronald-testa-di-cazzo-Sunderland.
Quel libro di merda è un ricettacolo di follia. Basta leggerlo e si impazzisce.
–
Sunderland, che di
pazzi in vita sua ne aveva visti molti, trovava il delirio di Niall piuttosto originale. Lentamente si allontanò con la
sedia dalla scrivania, e prese a giocherellare con la sua cravatta.
- Anche ammettendo
che abbia ragione, signor Horan, non vedo come potrei
aiutarla. Stiamo parlando di ritirare dalle stampe un libro la cui tiratura è
immensa, e sulla base di che cosa…? …di supposizioni campate per aria. Me lo
lasci dire, è proprio ridic… -
- Accenda la
televisione, razza di cretino! – esclamò Niall, aprendo
il braccio e indicando la finestra con l’indice ma senza staccargli gli occhi
di dosso – là fuori si stanno massacrando come pazzi, tutto per colpa di quel
libro che Voi avete pubblicato. –
- E che qualcuno ci
ha spedito, mi pare. – ribatté Sunderland accigliato. – E quel qualcuno, mi
risulta fosse stato proprio lei. –
A questo punto, Niall lo fissò incredulo. In quegli occhi azzurri
Sunderland lesse smarrimento e confusione. Un’altra riprova del fatto che il
ragazzo non stava affatto bene. Era pallido come un cencio, e gli occhi erano
iniettati di sangue. Senza dire altro, Sunderland mise la mano sulla cornetta
del suo telefono e fece per comporre un numero.
- No, aspetti – disse
Louis, ritornando a sedersi e mettendosi le mani nei capelli – Io.. io non
ricordo di aver spedito nessun romanzo. Non l’ho fatto. –
Sempre mantenendo la
calma, Sunderland gli rispose come un educatore risponde ad un bambino
ritardato – Signor Horan, il signor Jackson ci ha
avvertiti che lei ci avrebbe consegnato personalmente il manoscritto. È arrivato
qui un paio di giorni fa e ce l’ha consegnato. C’è ancora la sua firma sul
registro. Crede che ora sarebbe qui in questo ufficio a parlare con me se ciò
non fosse vero? –
Con le mani nei
capelli, Niall scosse la testa. Jackson gliel’aveva
fatta in barba. Incominciò a piangere sommessamente.
- Ero… ero a RirmorSadkners, due giorni fa.
Non ero a New York. – mormorò, sottovoce.
Per un momento,
Sunderland desistette dall’usare il telefono, ma fu tentato di riprenderlo
quando Niall rialzò lo sguardo e incontrò il suo
occhialuto interlocutore.
- Perché mi guarda
così?!? Crede che io sia pazzo??? È così??? – sbottò Niall
– Io non ero a New York due giorni fa, cazzo!!! – si alzò e buttò all’aria
tutte le carte che Sunderland aveva sulla scrivania. Questi si scansò, provando
ad invitarlo alla calma, ma Niall era già partito per
la tangente.
- Mi ascolti signor Horan! RirmorSadkners
non esiste! Lei è venuto qui ed ha consegnato questo manoscritto! –
- Puttanate!!! Puttanate!!!!!
Io non ero qui! Ero a RirmorSadkners!!!
– esclamò di nuovo, afferrando la lampada e scagliandogliela contro. Sunderland
si scansò.
- Sicurezza!!! Sicurezza!!!
– chiamò Sunderland, e prontamente due agenti della sicurezza fecero irruzione
nell’ufficio. Manganelli alla mano, i due gorilla acchiapparono Niall uno per braccio, e lo trascinarono fuori dall’ufficio.
*****
La pioggia aveva
ricominciato a cadere poco dopo che Niall era stato
accompagnato fuori dalla Pendragon Press. Di fronte
all’edificio aveva parcheggiato l’auto di suo padre, dalla quale adesso stava
osservando il traffico di gente che entrava nella libreria. In quel momento
quel posto sembrava sul punto di esplodere: c’era la fila fuori dalle porte a
doppio battente, e i pochi che uscivano dal negozio avevano già divorato quasi
la metà delle pagine. Niall strinse i pugni sul
volante, mentre la radio continuava a dare notizie che gli omicidi stavano
aumentando.
- Dove tutto è
cominciato – disse ad un certo punto, scuotendo la testa. Le gocce di pioggia
che cadevano sul parabrezza sembravano i suoi pensieri: confusi e disordinati,
ma uniti da un filo comune: quello di cercare di riparare al grave errore
commesso in passato.
Lanciò un’occhiata ai
sedili posteriori. Il fucile d’assalto Beretta AR 70/90 era stato un vecchio
amico di Greg per tutto il tempo in cui suo padre Bobby gli aveva insegnato a
sparare. Quando Niall era diventato più grandicello,
il fratellone l’aveva istruito all’uso delle armi ad un poligono di tiro. Potresti sempre averne bisogno, gli
aveva detto quel giorno, poi aveva aggiunto, guardandolo intensamente negli
occhi: ma non usare mai un’arma se non
sei obbligato. Niall era stato un bravo allievo,
per questo Greg gli aveva concesso un duplicato della chiave della
rastrelliera. Dopotutto, prima o poi avrebbe dovuto usarlo. Con attenzione
allungò la mano e prese lo sputafuoco sulle sue gambe, controllando che la
sicura fosse inserita e il caricatore ben agganciato. Da una borsa prese una
cartuccera con cintura incorporata, e v’infilò una revolver Smith & Wesson calibro 44. Il peso del fucile lo fece riflettere.
Stava per usare un’arma per la prima volta nella sua vita. Era giusto? Era sbagliato?
Non usare mai un’arma se non sei obbligato.
Non usare mai un’arma se non sei obbligato.
Non usare mai un’arma se non sei obbligato.
Greg continuava a
ripeterglielo, ma lui non riusciva a valutare. La risposta gli arrivò con una
ragazza che gli passò accanto all’auto con il libro di Jackson in mano. Se non
fosse stato per quel particolare, Niall non l’avrebbe
degnata neanche di uno sguardo. Eppure lo fece. Anzi, fu lei a guardare lui per
prima. Lo guardò e il suo volto si tramutò in quello di un demone. Niall strinse in pugno la pistola, aprì lo sportello e le
sparò, freddandola.
Aveva appena
iniziato.
*****
Lo sparo aveva
attirato l’attenzione di molti presenti sulla via, fermato alcune auto, ma non
aveva allertato alcun poliziotto. Nonostante ciò, Niall
ebbe il tempo di attraversare la strada e correre verso la libreria Pendragon imbracciando il fucile come un soldato. Nella
libreria, li vide chiaramente, c’erano tutti i demoni. Lo guardavano coi loro
sguardi malevoli, preparandosi alla carneficina. Fuori intanto la gente correva
spaventata da tutte le parti. Niall vide uno di
questi cominciare a venire avanti, quindi puntò il fucile e premette il
grilletto.
RATATATATATATATATATATATATATATATATAT!!!!!!!!
Il fucile sparò una raffica
assordante, talmente forte che Niall dovette
sorreggersi con un piede per non cadere all’indietro. Tenere il controllo dell’arma
era veramente difficile, ma lui se la cavò egregiamente. Urlava, mentre i
proiettili colpivano i demoni, facendoli perire come mosche. Dopo la prima
raffica, entrò nella libreria. Alcuni dei superstiti erano lì e cercarono di
braccarlo, ma lui premette nuovamente il grilletto e fece di nuovo fuoco, un’altra
raffica che illuminò l’ambiente e maciullò i libri in una festa di brandelli di
carta e cartone. La scarica colpì un ragazzo che stava scappando verso l’uscita
di sicurezza, facendolo cadere in ginocchio. Il suo sangue aveva colorato le
biografie di Michael Jackson con puntini di un rosso acceso. Una ragazza che si
era accucciata fu colpita alla testa, e pezzetti di materia grigia del suo
cervello erano andati a decorare l’intera sezione fantasy della Pendragon. Due commessi della libreria, nella speranza di
salvarsi dalla scarica, si erano abbracciati sotto il bancone, ma nemmeno quello
era bastato a proteggerli: furono ritrovati l’uno riverso sopra l’altro, ad
occhi aperti, con le bocche colorate di sangue.
Quando ebbe consumato
tre caricatori, Niall rimase senza munizioni. Gettò il
fucile in un angolo, fece per girarsi, ma una voce lo chiamò.
- Niall,
Niall, Niall. – era la voce
di Jackson. Si voltò.
Jackson era lì,
attorniato da Harry , Thomas e Louis, che avevano abbandonato la loro forma
umana per assumere le espressioni demoniache. Jackson stava applaudendo.
- Splendido,
splendido. – disse, sorridendo. – Questo sarà davvero il mio capolavoro. –
- Che modo stupido di
concludere un romanzo, Jackson. – commentò Niall.
- Credi che sia
finita qui? – lo apostrofò Jackson, divertito.
Niall tirò fuori la pistola dalla fondina, la puntò
contro i quattro presenti e sentenziò – Non lo credo. Ne sono sicuro. –
La sigaretta del
Dottor Kaufmann si era consumata quasi tutta, mentre lui ascoltava incredulo il
racconto che gli aveva fatto il paziente. Niall era
rimasto tutto il tempo nella sua posizione, cioè a gambe incrociate nell’angolo
della stanza, a guardare ogni tanto lui, ogni tanto il vuoto.
- …Così… Jackson
starebbe iniziando la sua conquista del mondo, ho capito bene? –
- No Michael –
rispose Niall scuotendo lentamente la testa – Jackson
si sta riprendendo il mondo. Ciò che era sempre stato dei demoni. Sta ripristinando
il mondo del caos, di prima dell’antichità. – il suo sguardo era perso nel
vuoto, ma poi si riebbe e lo riportò su quello di Kaufmann, che con la
sigaretta ancora tra le dita, lo osservava sconcertato.
*****
…Bisogna solo decidere con chi stare. Con Jackson…
O contro di lui. Ma non è una decisione facile, ci vuole una mente molto forte
e una personalità determinata. Bisogna stare attenti agli infettati. Sì, quelli
che io ho fatto fuori alla libreria Pendragon. E ai
demoni. Gli sgherri di Jackson. Sono dappertutto, ma possono essere freddati
con le armi da fuoco, almeno così ho potuto capire. Sta cominciando un’era
nuova, un’era dove il Padrone Jackson riporterà alla realtà ciò che prima era
dominio esclusivo del regno della fantasia. …Puoi vederlo anche tu là fuori,
Michael, che non sto scherzando.
Alle 23.30 di quella
sera, il dottor Kaufmann era ancora nel suo ufficio ad ascoltare e riascoltare
la lunga registrazione dell’intervista al suo nuovo paziente. Questo è suonato come un tamburo,
pensava ogni volta che il nastro finiva con le ultime parole, non sto scherzando. A parte lui e Thomas
Bailey, rinchiusi peraltro in due manicomi differenti – Niall
a Brookhaven e Thomas a Juniper
Hill – gli altri casi di omicidi rientravano tristemente nella normalità della
cronaca statunitense. Certo, i vaneggiamenti mistici erano all’ordine del
giorno, ma per quanto ne sapeva Michael Kaufmann, non aveva mai sentito un
vaneggiamento mistico anche solo paragonabile all’Apocalisse di Horan.
Mentre scriveva la
sua prima relazione sullo stato mentale del ragazzo, sbadigliò vistosamente. Guardò
l’orologio da polso. Le tre e trenta erano passate da un quarto d’ora. Si alzò
dalla scrivania e andò al mobile dei liquori, lo aprì e si versò due dita di
Jack Daniel’s.
Sopra il mobile c’era
uno specchio e il busto di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Sciacquandosi
la bocca con il whisky, Michael si guardò allo specchio, guardando anche il suo
mentore alla lontana.
- Se questi sono i
mostri con cui devo combattere io – mormorò Kaufmann – mi immagino solo con
cosa avrai dovuto combattere tu, caro Maestro. – disse, e ridacchiò
allegramente agitando il bicchiere per rimescolare ciò che rimaneva del whisky.
All’improvviso, vide
qualcosa nello specchio. Un’ombra, come una presenza nel suo ufficio. Ridacchiò
ancora un po’, salvo poi smetterla immediatamente, leggermente spaventato. Uno scricchiolio
attirò la sua attenzione. Era lo scricchiolio del parquet della sala d’attesa,
dove i suoi pazienti (molto abbienti) si riunivano prima delle sedute. Senza
perdere di vista la porta aperta sul corridoio principale, aprì lentamente il
cassetto della sua scrivania, estraendone altrettanto lentamente una rivoltella
calibro 38. Tolse la sicura e puntò la pistola alla porta aperta, sentendo lo
scricchiolio che continuava. Sul tavolo Kaufmann teneva una foto di lui, seduto
su una gradinata insieme a sua moglie e sua figlia. La guardò, e il suo
pensiero andò anche a loro, sole in casa mentre lui era ancora nel suo ufficio
a lavorare… Scacciò dalla testa quel pensiero, avvicinandosi lentamente alla
porta, sempre con la pistola spianata. Lentamente fece capolino sulla soglia,
cercando di scorgere se ci fosse qualcuno.
- Mani in alto! –
urlò, sicuro di sé. Ma il suo urlo fu sprecato. Nella sala d’aspetto non c’era
nessuno.
Eppure avrei giurato che…
Un sibilo alle sue
spalle gli raggelò il sangue nelle vene. Si voltò di scatto, vedendo dietro di
sé una specie di mostro grigio con zanne al posto dei denti, gli occhi
iniettati di sangue e artigli al posto delle mani. L’essere ringhiò,
avvicinandosi verso il dottore. Kaufmann camminò all’indietro, poi si ricordò
di essere armato e fece fuoco.
BANG! BANG!
Sparò due colpi in
rapida successione, ma che non bastarono a fermare la belva. Questa gli si
avventò addosso e cercò di morderlo al collo. Kaufmann urlò, imprecò, cercò di
sottrarsi all’aggressione. Sparò ancora una volta, prendendo di striscio la
testa del demone. Questi urlò in una specie di verso gutturale, quindi saltò
via dal corpo del dottore e si buttò verso la finestra, mandandola in frantumi.
Scosso e spaventato,
Kaufmann rimase lì a sedere sul parquet della sua sala d’attesa. Se ci fossero
stati i suoi pazienti, allora sì che sarebbe stato un momento di comicità, ma
in quel momento lui si era preso un attacco di fifa blu.
- Cazzo… - mormorò,
ansimando. – Niall… Niall
ha ragione. Bisogna fare qualcosa. –
Velocemente raccolse
le sue cose, la sua borsa ed il suo impermeabile (…e non dimenticarti la pistola, vecchio mio!) e corse via dallo
studio. A casa, a proteggere sua moglie e sua figlia.
*****
Alle 03.40, ovvero
dieci minuti dopo che Kaufmann, a qualche centinaio di chilometri di distanza
da Silent Hill era stato aggredito da un demone nel
suo studio, Niall aprì gli occhi, svegliato da urli
nel corridoio. Riconobbe tante voci. C’erano l’infermiera Lisa Garland che
urlava, insieme al capo servizio Henry Slowspeare
detto l’Irlandese per le sue origini
d’oltremanica. Slowspeare stava urlando comandi ai
suoi sottoposti, preoccupato da chissà quale pericolo. Chiamate la polizia! L’esercito! Will! Scendi in armeria a prendere dei
fucili, di corsa!!! E poi, pochi minuti dopo: Ma perché cazzo la polizia non arriva??? Cristo!
Poco dopo sentì la
Garland che parlava ad alta voce:
Henry, al secondo piano le celle si sono tutte
aperte!
E lui le rispondeva,
incazzato:
Maledizione! Sigillate il braccio, chiudete tutte
le uscite. Non fate scappare nessuno! Io chiamo la sicurezza!
Fuori dalla sua
cella, era il caos totale. Si rannicchiò ancora di più in sé stesso, timoroso
di ciò che stava accadendo e ciò che si era aspettato da quando era entrato lì
al BrookhavenMental
Hospital, ciò per cui stava sempre attento, sempre calmo e pronto all’evenienza.
Buttò un’occhiata alla porta della sua stanzetta imbottita. La sua era ancora
chiusa. Forse quell’imbecille di Slowspeare sarebbe
stato contento che almeno il braccio E era ancora sigillato. A proposito, era
già da un po’ che non sentiva più nessuno. Come mai?
La risposta gli
arrivò pochi minuti dopo. Doveva esserci Lisa Garland ancora nel reparto, lo
evinceva dal suo camminare frettoloso, da ragazza del Sud… Si alzò dal letto e
andò alla porta, guardando dalla finestrella con la grata. Lisa apparve pochi
istanti dopo, sanguinante e trafelata.
- Niall!
– esclamò – Qui fuori sta succedendo il finimondo! –
Lui restò calmo,
guardandola senza risponderle. Per un momento sembrava che si fossero invertiti
i ruoli: lui, il sano di mente, se ne stava nella cella. E lei, la pazza, era
fuori. Proprio lo scenario che Jackson aveva prima teorizzato, poi scritto… e
infine ricreato nella realtà. Le dispiaceva anche per lei, ma al momento non
poteva aiutarla. Almeno, non finché se ne stava rinchiuso in quella cella.
- Stai calmo e vedrai
che tutto si aggiusterà, okay? – lo rassicurò allontanandosi dalla porta.
Subito dopo fu sopraffatta da un altro paziente – un uomo di circa quarant’anni,
con barba e pigiama clinico – che l’acchiappò per i capelli e l’accoltellò in
mezzo ai seni. Prima un colpo, poi un altro, poi un altro ancora… Lisa strillò
sprizzando grandi quantità di sangue e cadendo ginocchioni sul linoleum, e a
quel punto Niall sembrò ritrovare la sua sanità
mentale.
- Lasciala!! Lasciala!!!
– urlò, sbattendo i pugni sulla porta. L’uomo che l’aveva accoltellata si girò
a guardarlo, rivelando con un sorriso due file di denti marroni e scomposti.
- E’ cominciata, NiallHoran. È cominciata l’apocalisse.
Jackson sta arrivando, e finalmente non saremo più noi i pazzi. – dichiarò, poi
si mise a ridere. Infine, prese per i capelli Lisa e le tagliò la gola.
- Noooooooo!!!
– Urlò Niall, continuando a sbattere i pugni sulla
porta. Poi l’uomo che l’aveva accoltellata le prese le chiavi e ne infilò una
nella serratura della porta di Niall.
- Fammi uscire di qui
e ti giuro che t’ammazzo, bastardo! Mi hai sentito?? Ti ammazzo!!! – urlò Niall, nero di rabbia. Tra tutti gli infermieri, Lisa
Garland era sempre stata buona con lui, non gli aveva mai fatto pesare la sua
condizione di internato, e vederla lì, sul linoleum verde a sprizzare le ultime
gocce di sangue del suo corpo, gli strinse il cuore. Convinto di non poter fare
nulla, si rimise sul letto. Per un po’ rimase con gli occhi umidi di lacrime a
guardare la parete imbottita, fino a che non si addormentò.
*****
Paradossalmente, i
sogni di Niall in quella stanza furono del tutto
tranquilli. Sognò una domenica di tanti anni prima, quando con la sua famiglia
era andato a visitare la città di Hollywood. Rivide sé stesso bambino,
percorrere Sunset Boulevard, in quella lunga e
caldissima estate. Erano i tempi in cui lui era ancora un moccioso sognatore, e
in cui Greg non si era ancora deciso ad arruolarsi per il bene della sua
nazione. Vedeva la scritta Hollywood sulla sommità della collina, e i tanti
teatri che popolavano la via. Quella era la fabbrica dei sogni, il mondo del
cinema, dove le fantasie degli uomini prendevano vita. Sognò suo padre Bobby
che scattava fotografie a tutto spiano, e sua madre Maura che teneva per mano i
suoi piccoli affinché non si perdessero in quella miriade di gente. Ad un certo
punto vedeva una locandina, con su scritto The
show must go on, lo spettacolo deve continuare, e mai frase si sarebbe resa
tanto adatta.
Si svegliò a
malincuore, ancora nella sua cella, ancora con la parete imbottita davanti agli
occhi. Quando si svegliò del tutto, si accorse che la notte era passata da un
pezzo, che dalla finestra della sua cella s’intravedeva un po’ di luce. Il sole
non splendeva, ma ugualmente era mattina. Mise i piedi giù dal letto e si
strofinò gli occhi. Il silenzio regnava sovrano, quella mattina.
Poco dopo si accorse
che la porta della sua cella era socchiusa. Fece un balzo e andò al pomello, lo
tirò e la porta si aprì. Guardò fuori, prima a destra e poi a sinistra nel
corridoio. Le celle dove erano rinchiusi i suoi compazienti, erano aperte. Lisa
era ancora lì, riversa a terra in un lago di sangue fuoriuscito dalla sua gola.
I lunghi capelli rossi si erano mescolati al suo liquido corporeo,
appiccicandosi al linoleum e impastandosi con esso. Niall
sospirò, quindi si allontanò dalla sua cella.
A piedi scalzi
percorse il corridoio, arrivando fino alla reception. Qui, gli uffici erano
tutti sottosopra, c’erano carte sparse dappertutto, un neon pendeva dal
soffitto con il suo cavo elettrico che ancora sfrigolava scintille. C’erano
raccoglitori di fatture e registri sparsi in ogni dove, cocci di vetri rotti e
cadaveri.
Cadaveri degli
infermieri, occasionalmente qualche paziente, e sangue. Sangue sulle pareti e
sul pavimento, persino sul soffitto. A parte questo, l’ospedale sembrava
deserto. Abbandonato come dopo un disastro nucleare.
Niall si mise le mani sulle braccia. Faceva freddo. I
suoi piedi erano diventati quasi ghiacciati, dal camminare sul pavimento
gelato. Doveva assolutamente trovare un paio di scarpe e poi vestirsi.
Girando un po’,
riuscì a trovare la lavanderia e il guardaroba. Qui c’erano ancora tante divise
pulite da infermiere, e scarpe bianche. Fortunatamente le divise da infermiere
scaldavano abbastanza. Erano di un tessuto particolare, in grado di adattare il
corpo di chi le indossava alla temperatura esterna: così, in caso di un’eventuale
fuga di un ospite, gli inservienti sarebbero potuti uscire senza doversi
infilare alcun soprabito. Il corridoio attiguo al guardaroba portava ai
sotterranei, dove c’era l’armeria. Immaginò che tutte le armi fossero state
portate via, ma valeva la pena dare un’occhiata.
I sotterranei erano
mezzi al buio. Eccezion fatta per qualche luce che lampeggiava, si poteva
vedere bene comunque. Qui, Niall vide tante porte. Le
targhette lo avrebbero aiutato. Una diceva ARCHIVIO, un’altra diceva MAGAZZINO
BENI, un’altra ancora SALA CALDAIE. Girò a sinistra nel corridoio, trovandosi
di fronte il gabbiotto dell’armeria. Non era certo un’armeria di dimensioni
enormi come quella di un distretto di polizia, ma sicuramente bastava a tenere
in sicurezza un posto come quello. Com’era prevedibile, quasi tutte le armi
erano state già utilizzate: la rastrelliera dei fucili era praticamente vuota,
così come quella delle pistole. Niall sospirò,
girando i tacchi per tornarsene da dov’era venuto, quando dietro la porta vide
qualcosa luccicare. Si fiondò immediatamente, raccogliendo l’ultima pistola
rimasta. Controllò se nel caricatore erano rimaste munizioni. C’erano. Quindi
la richiuse e se la mise in tasca. Per stare sicuro, prese un altro caricatore,
in caso avesse avuto di nuovo a che fare con qualche demone o qualche altro
infettato.
*****
Fuori, l’aria era
fredda, molto fredda. Ma la divisa continuava a tenerlo caldo. Nel parcheggio,
c’erano altri cadaveri. Tra questi, Niall riconobbe
il cadavere di Slowspeare, il quale giaceva con la
gola mezza asportata. Non era un patologo, ma Niall
avrebbe detto sicuramente che era morto per il morso letale di un demone. Il
cancello d’accesso era aperto, ma c’erano auto sparse ogni dove. Segno che chi
le aveva utilizzate aveva tentato di scappare ma era stato fermato prima dai
mostri.
- Jackson… maledetto
figlio di puttana. Ti fermerò. – mormorò Niall,
pensando che urgeva tornare immediatamente a New York. Se lì a Silent Hill, nel Maine, le cose stavano così, figuriamoci a
casa cos’era successo. Scelse un’auto lì vicino, che aveva ancora il motore
acceso. Tirò fuori il cadavere della donna alla guida e lo adagiò sull’asfalto,
quindi chiuse le portiere e partì alla volta di New York.
Provò ad accendere la
radio, ma tutte le stazioni erano diventate mute. Imprecò, pregando di trovarne
una che funzionasse e che desse notizie chiare.
La trovò.
La voce dello speaker
era sovraeccitata, ma carica di una tensione negativa nello spiegare gli
eventi.
- …non ci sono
sviluppi sui recenti fatti avvenuti tra questa notte e questa mattina. Sappiamo
solo che gli omicidi si sono triplicati. In più, delle creature di natura
misteriosa hanno fatto la loro comparsa. Delle specie di cani, o tigri, o che
so io. Con gli occhi iniettati di sangue, che hanno seminato orrore e morte
nelle ultime ore. L’esercito degli Stati Uniti d’America è in allarme, orde di
cittadini hanno creato dei comitati di difesa del territorio. Il Presidente ha
dichiarato lo stato di guerra questa mattina, una guerra non contro un altro
popolo del mondo, ma bensì contro qualcosa di sconosciuto e letale, che si è
insinuato da un giorno all’altro nelle nostre vite. Signore e signori, forse
questa è l’apocalisse. Sarebbe inutile se vi dicessi che va tutto bene, perché non va tutto bene. A tra poco, dopo il
bollettino d’informazione. –
E dopo lo speaker,
anziché la musica, passava un messaggio registrato con le misure precauzionali
per coloro che erano sopravvissuti.
- …Nell’avvicinarsi
ai limiti di una città in auto, si deve segnalare la propria presenza
utilizzando i proiettori abbaglianti per tre volte. Dopodiché bisogna scendere
dai veicoli e alzare le mani, affinché gli ufficiali preposti verifichino lo
stato di umanità o alienità. Rispondere sempre ai comandi delle forze dell’ordine.
Non lasciare una città se non si è assolutamente costretti. I bambini al di
sotto dei dieci anni devono girare con i propri genitori o con un ufficiale
dell’esercito. Si consiglia ai superstiti di raggiungere i centri di raccolta
più prossimi… - e altre indicazioni di sopravvivenza.
- E’ cominciata.
Nessuno potrà fare più nulla, NiallHoran. –
Con le mani sul
volante, Niall si girò. In auto con lui non c’era
nessuno, era la radio che parlava.
- …Messaggio per NiallHoran. Qui è il suo dolce Louis
che gli parla, e che vorrebbe tanto farlo suo in un letto. Per ora è costretto
ad aspettare, ma prima o poi ci riuscirà. Niall,
tesoruccio, torna a casa, ti stiamo aspettando. Mamma e papà sono così ansiooosi di
rivederti! –
- Oh merda! Mamma! Papà!
Che cosa gli avete fatto, bastardi!!! – esclamò Niall
contro la voce alla radio. La voce di Louis non rispose più, in compenso Niall accelerò.
Era cominciata. Era
cominciata. E bisognava fermarla.
… Gli OneDirection li ho conosciuti una sera, a casa di un mio
amico. Dovevamo andare in un locale, e durante i nostri incontri “di
preparazione” ci mettevamo un po’ su internet a guardare video, blog e
quant’altro…
… Quella sera lui stava ascoltando della
musica. Una canzone abbastanza orecchiabile, almeno secondo i miei
personalissimi gusti. “Cazzo che bella musica”, pensai io, prima ancora di
vedere chi la cantava: cinque ragazzetti molto carini. “Wow” – pensai allora,
vedendoli tutti e cinque in quel video, su una spiaggia, a cantare per una
ragazza insicura che si credeva un po’ bruttina (Whatmakesyou beautiful, NdA)… “Tu quale sceglieresti?” mi chiese il mio amico.
“Dimmi un po’ tu quale butteresti via!” gli risposi io.
Quello fu il mio primo incontro con loro, gli
1D.
Attraversavo un periodo un po’ magro: la mia
ultima fan-fiction (Nemmeno per noi è una passeggiata, NdA)
era andata un po’ maluccio. Nonostante le recensioni fossero molto gradite, mi
angustiava che fosse una sola persona a scriverle (cipri, la mia affezionatissima
lettrice. – Grazie ancora una volta amica mia per averla recensita tutta!!!),
ma mica perché io sia chissà che megalomane che vuole vedere recensioni a tutto
spiano comparirgli sulla pagina, no… ma perché così non capivo se stavo scrivendo
qualcosa di buono o meno. Delle due, l’altra. La fiction non era andata bene.
Lo ammetto, per un po’ di tempo ho marciato
troppo sulle storie originali, con personaggi creati da me. Se da un lato le
mie prime storie originali erano andate molto forte (“Semplicemente… Un bacio”,
“Un ragazzo per due”, Finalmente… Laureati!”, NdA),
da un altro, i personaggi erano in un certo senso “invecchiati”, se mi passate
il termine. Per quanto Andrea, Emanuele e Marco fossero stati degli splendidi
personaggi quando erano dei ragazzini, adesso che hanno dai 28 ai 31 anni, non
hanno più la stessa freschezza di quando nel 2005 si presentavano al mondo con
le loro storie di amori post-adolescenziali J , sia come
storie che come personaggi: in poche parole, non riuscivo più a trarre
ispirazione da loro.
Che fare, dunque? A prima vista può sembrare
una domanda sciocca ad uno scrittore, che per molti è una macchina che defeca
parole dopo un’abbondante scorpacciata di lettura, ma credetemi, è una domanda
impegnativa. Ogni scrittore ha bisogno della sua ispirazione J E io non riuscivo più a trovare la
mia.
Allora niente, cercavo ispirazione sul web e
per caso m’imbattei in un video degli OneDirection – Toh – pensai – Guarda un po’ chi si rivede! –
lo guardai e lo riguardai, sentendo che qualche macchinario nel mio cervellino
matto (XD) stava incominciando a muoversi…!
Terminate le ricerche biografiche, passai alle
ricerche fisionomiche e psicologiche. Guardai foto su foto di loro, studiai le
loro espressioni e mi chiesi che tipo di storia volevo scrivere su di loro.
Avrei semplicemente potuto scrivere una storia
d’amore, una classica LouisXNiall, o HarryXLouis, o LiamXZayn… ma
ragazzi, credetemi: sarebbe stato troppo ovvio J c’è già chi
scrive certe cose e io non volevo assolutamente seguire la massa. Due ragazzi
carini che s’innamorano e poi si mettono insieme è davvero troppo scontato. E
io, che per le cose scontate non sono fatto, ho cercato qualcosa di meglio.
Qualcosa di più.
E cosa c’è di più decontestualizzato, di più
incredibile, di più potente di cinque componenti di una boy-band che recitano
in una fan-fiction horror??? :D :D :D
Trovato il contesto, ho iniziato a pensare a
cosa avrebbero potuto fare i miei ragazzi, ovvero che ruolo assegnare a
ciascuno di loro.
Ho iniziato ad osservare le foto di Louis.
Le prime impressioni che ho avuto sulla sua probabile personalità erano: è il
classico playboy impenitente, che magari fa le corna al ragazzo che stravede
per lui. Però era soltanto quello, e non l’ho ritenuto adatto a ricoprire il
ruolo principale.
Harry mi ha
incuriosito, con il suo aspetto curato e i suoi vestiti sempre alla moda. Nella
sua espressione ho visto un ragazzo dolce e amorevole, anche un po’ effeminato.
Analogamente a Louis, non avrebbe potuto ricoprire il ruolo del protagonista,
perché non era abbastanza sfaccettato.
Invece quando mi sono soffermato su Niall,
ho visto tutto: Niall avrebbe potuto essere chiunque
nella mia storia. Poteva essere tranquillamente un Nerd, un playboy, un ragazzo
amorevole e docile, oppure uno spietato assassino, un pazzo, ecc. … “è lui, è
lui! È lui che voglio come protagonista!!!” esclamai.
Così, decisi i ruoli dei personaggi, ho
iniziato ad immaginare la trama. Mi sono ispirato ad un vecchio film di cui non
ricordo il titolo, dove uno scrittore pazzo scriveva libri che facevano
impazzire la gente. Da questa piccola idea è nata la fiction che avete appena
letto, “In the eyes of Darkness”
J
Spero soltanto che vi sia piaciuta.
Probabilmente ci sarà un sequel, ma ho bisogno di pensarci su. ;)
Infine, un GRAZIE a tutti coloro che mi hanno seguito fino qui!!!
Grazie a tutte coloro che hanno recensito, in particolare:
CIPRI, la quale vince il premio “Follower
d’oro” per aver sempre e costantemente recensito i miei lavori. J Grazie amica mia per
la tua smisurata gentilezza nel commentare ed apprezzare le storie ^^ Spero di
non deluderti mai!
ALWAYS_ATTRACT
THEDARKFLOWER
ELISA_B
GIOVIEAUG85
_WONDERWORLD_
E ultima, ma non per questo meno importante, la
giovane JONAS_ADDICTED, che con le sue recensioni scoppiettanti, a volte anche
irruente e cariche di un entusiasmo mai visto, mi ha spronato a continuare!!! Grazie anche a te, carissima :D
:D :D
(sottofondo:
Everything’s gonna be alright – babysitter Circus)
♫ ♪ ♫ So you
say everything’s going to be alright now But how do you really know? And I know everything’s going to be alright now, Cos that’s the seed I sow. I-oh. ♫
♪ ♫
*** Inquadratura di Louis che fa l’occhiolino alla
cinepresa ^_- ***
*** Niall alza la mano per dare
un 5 a Harry e poi lo abbraccia ***
*** Zayn e Liam
ballano il can-can insieme a Louis, ridendo ***
♫ ♪ ♫ And the universe told me that’s how I That’s I how I think I know. So you say everything’s going to be alright now And that’s how I know. ♫ ♪
♫
L’IDEA
Notrix: …L’idea per questa fan-fiction m’è venuta guardando il
loro video, “Whatmakesyou beautiful”… come ho già detto nell’altra intervista, ho
voluto decontestualizzarli al massimo, e così…
*** Spezzone di Notrix che scrive al portatile ed esamina le foto degli OneDirection ***
I PROTAGONISTI
(sottofondo: Boogie man, KC
and the sunshine band)
♫ ♪ ♫ I’m
your boogie man that’s what I am I’m here to do whatever I can Be it early mornin’ late
afternoon Or at midnight it’s never too soon ♫
♪ ♫
NiallHoran: …il mio provino è
durato tre minuti. Notrix mi guardava con gli occhi
spalancati, come fossi stato un’apparizione mistica. Poi ha detto “è lui! È lui
il protagonista!!!”, additandomi felice.
*** Notrix
sorride e Niall lo abbraccia ^___^ ***
*** spezzone di Niall sul set, che parla al ristorante insieme a Louis ***
Louis Tomlinson:
…E così Notrix crede che io sia un playboy, eh? Non è
veeero!
Harry Styles:
sì che è vero! Per fartelo tenere nei pantaloni non basterebbe il Bullock, l’antifurto
con le palle!
Louis Tomlinson:
però a te questa cosa non dispiace, nevvero?
*** Harry diventa rosso di
vergogna O//////////O e prende a picchiare Louis, che se la ride allegramente
X°°°°D ***
*** Spezzone di Notrix sulla cinepresa che gira le scene ***
*** Inquadratura del Ciak
retto da Zayn, dove c’è scritto “In the eyes of Darkness – Take 3 –
Colloquio di Louis e Niall” ***
♫ ♪ ♫ I’m
your boogie man that’s what I am I’m here to do whatever I can Be it early mornin’ late
afternoon ♫ ♪ ♫
Harry Styles:
…Dite la verità, vi sono piaciuto? ^_- femminucce, ma soprattutto… maschietti
:* …vi adoro! A parte, è stato un piacere recitare in questa fan-fiction, Notrix è geniale, oltre che un bel ragazzo… vorrei
segnalare che credo di essermi innamorato di lui durante le riprese… visto che
abbiamo avuto dei momenti d’intimità…… Non è vero, Notty
caro? ^_-
*** Notrix
viene inquadrato e scuote vistosamente la testa agitando l’indice a dire “non è
vero” XD ***
Harry Styles:
Si vergogna, ma in realtà gli piaccio moltissimo… ^_-
*** Notrixappare in
campo ***
Notrix: ...smentisco fermamente tutto quanto questo signorinello sta dicendo! Sono fidanzatissimo e soprattutto
fedelissimo! XD
Harry Styles:
eddai, dì la verità, se ti capitassi nel letto tu
cosa faresti?
Notrix: chiamerei la disinfestazione, all’urlo di “Aiuto aiuto, c’è un mostriciattolo con un nido di vespe al posto
della testa nel mio letto!!!” XD
*** Harry si alza e va via
piangendo ç_ç … ***
Notrix: oh caz…. Dai Harry scherzavo!!! Uffa…. Questa la tagliamo, eh? xD
Or at midnight it’s
never too soon To wanna please you to wanna please you To wanna do it all all for you I wanna be your be your
rubber ball I wanna be the one ya love most of all – oh yeah ♫ ♪
♫
Zayn Malik: …La nostra è stata una mera comparsata. Ma a
quanto pare, sembra che ci saremo nel sequel…
LiamPayne: *annuendo* …Troppi
personaggi in una storia devono essere ben controllati, e già Notrix fa fatica a controllare i nostri tre colleghi,
figuriamoci se avesse dovuto inserire anche noi!
*** Spezzone di Notrix che inquadra insieme Louis, Harry e Niall mentre discutono al tavolo del bar ***
*** spezzone di Harry che
naviga su Facebook ***
LE PAUSE
(sottofondo: What makes you
beautiful, One Direction)
♫ ♪ ♫ You're
insecure Don't know what for You're turning heads When you walk through the do-o-or♫ ♪ ♫
*** Spezzone di Niall che mangia un’insalatina ***
*** Louis guarda Niall che mangia l’insalata e addenta un tramezzino farcito
***
Louis: Ragazzi, a me piace
mangiare! Non ci posso fare niente. Volete un po’? *mostrandoiltramezzinoalla
camera. Niall ride e Harry pure xD*
*** inquadratura di Notrix che mangia del riso in bianco ***
Niall: Notty, ma perché mangi il
riso in bianco e non mangi con noi?
Notrix: beato te che non sei a dieta e puoi permetterti di fare
queste domande…
Harry: ma perché dieta? °_°
ma secondo me stai bene…
Louis: sì, stai benissimo!
Quasi quasi ti presentiamo a Nicholas Holt…
Niall: Ma chi, lo zombie di “WarmBodies”?
Louis: Lui! Sai
che mangiata si farebbe con tutta la ciccia che c’è qui! XD
*** Notrix
lancia la scodella d’alluminio a Louis, che si scansa e ride xD ***
♫ ♪ ♫ Don't
need make up To cover up Being the way that you are is en-o-ough Everyone else in the room can see it Everyone else but you♫ ♪ ♫
***
Harry sta giocando col suo iPhone a Angry Birds ***
***
Niall guarda nel vuoto, seduto su una scalinata,
ascoltando musica dal suo iPhone ***
***
Notrix guarda i piani di ripresa e discute con il
direttore della fotografia, HitoshiKinomiya ***
***
durante una pausa, gli OneDirection
tutti si esibiscono nella loro canzone ***
♫ ♪ ♫ Baby you
light up my world like nobody else The way that you flip your hair gets me
overwhelmed But when you smile at the ground it ain't hard to tell♫ ♪ ♫
***
Lisa Garland balla con Niall, il Dottor Kaufmann
applaude a ritmo con la musica ***
♫ ♪ ♫ You don't
know oh oh You don't know you're beautiful If only you saw what I can see♫ ♪ ♫
*** Notrix
balla insieme a Louis, cercando di seguire I suoi passi, ma non riuscendoci. Mentre
canta, Louis lo guida ridacchiando ***
Notrix: meglio se continuo a fare lo scrittore, va’… XD
Louis: …ma va là, sei stato
fenomenale!
Notrix: ma cosa? Ho sbagliatotuttiipassi!
Louis: Certo, però guarda
che risate hai regalato a tutti quanti!
***Tutta la troupe sta
ridendo dopo la performance di Notrix x°°°°D ***
Notrix: ….volete vedere la mia performance migliore? Vi
licenzio tutti e non vi pago nemmeno la liquidazione!!!!
♫ ♪ ♫ You'll understand why I
want you so desperately Right now I'm looking at you and I can't believe You don't know oh oh You don't know you're beautiful Oh oh That's what makes you beautiful! ♫
♪ ♫
LE AMMIRATRICI
Notrix: Fatemi una bella inquadratura delle ragazze, per favore….!
*** Notrix
spalanca le mani e la cinepresa inquadra, da sinistra verso destra, Cipri, Jonas_Addicted, Giovieaug85, AlwaysAttract,
elisa_b, TheDarkFlower, _Wonderworld_, e tutti gli altri che hanno commentato! ***
Notrix: Ragazzi, guardatele bene. Se solo osate farmi uno
sgarro, io vi butto in pasto a loro! XD Quindi…… rigate dritti!!!!
*** gli Onedirection ridono di gusto ***
Notrix: oh ma porca put…. Io li cazzio e questi ridono XD ma
che mondo è??? Ma vaff…!
GRAN FINALE!!!
GLI ERRORI SUL SET!
(sottofondo: Lonely Boy, The Black Keys)
*** Niall fa per partire in
sgommata, ma si sbaglia e il motore si spegne ***
♫ ♪
♫ ♫ ♪ ♫ Well I’m
so above you And it’s plain to see But I came to love you anyway So you tore my heart out And I don’t mind bleeding Any old time to keep me waiting Waiting, waiting ♫ ♪ ♫ ♫
♪ ♫
Louis: - Louis … Piacere
mio. *ridacchiando*
*Niall ridacchiainsieme a Louis XD*
Harry:
…ha dimenticato la battuta mi sa. XD
Niall: hahahahah!
XD
Louis: infatti…
suggeritoreee!!!
Niall: …ciao Ben! Come tivaoggi?
Ben:
….di merda, grazie. Mia moglie non me l’ha data e io devo stare qui a menarmelo
in mezzo a voi froci…
*Niall diventa rosso di vergogna, mentre tutta la troupe
ride*
*Louis
se la ghigna della grossa X°°°D*
Niall:
cazzo ti ridi tu! Guarda che rientri anche tu nella categoria!!! >///<
Louis:
no veramente rido per la faccia che hai fatto… da fotografarti!! X°°°D
*Louis
e Niall sono seduti al tavolo insieme. Si guardano
intensamente, poi Louis spalanca la bocca in una smorfia :O e Niall si mette a ridere x°°°D*
Niall: Whahahah! XD Quando fa quella faccia è troppo deficiente!
Louis:
XD :P
Notrix
(fuori campo): se non la piantate di fare gli idioti, vi butto fuori dal set a
calci nel culo!
Louis+Niall: okkkk!
Vaaabeneeee XD
♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫ Chorus: Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting I’m a lonely boy I’m a lonely boy Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting ♫
♪ ♫ ♫ ♪ ♫
Dr. Kaufmann: Buongiorno, sono
il dottor Kaufmann, psichiatra. È qui che tenete l’ultima rockstar?
*Lisa fa per pronunciare la
sua battuta, quando all’improvviso l’impalcatura della scenografia che regge il
gabbiotto le cade rovinosamente sulla testa*
Lisa: AAHIA!!! Ç_ç
Dr. Kaufmann: oddio. Lisa staibene?
Lisa: sì, sto bene…ma che
botta!
Notrix: Dottore, prego!
*Degli infermieri accorrono
a soccorrere Lisa*
♫ ♪
♫ ♫ ♪ ♫ Well your mama kept you but your daddy love
you And I should’ve done you just the same But I came to love you Any old time you keep me waiting Waiting,
waiting ♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫
*** accerchiato dai demoni, Niall fa per scappare via. Nel correre però inciampa e fa
un ruzzolone micidiale. Tutte le comparse che fanno i demoni si mettono a
ridere, mentre Niall bestemmia in tredici lingue e
quarantasei dialetti >___< ***
♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫ Chorus: Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting I’m a lonely boy I’m a lonely boy Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting ♫
♪ ♫ ♫ ♪ ♫
*** Mentre scende le scale insieme a Niall,
Johnny mette un piede in fallo e casca col sedere sugli scalini. Niall lo aiuta a rialzarsi ridendo ***
Niall: la rifacciamo questa? XD
Notrix: tu che dici, Niall? La lasciamo
così? È certo che dobbiamo rifarla! _-_
♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫ Oh,
oh-oh I got a love that keeps me waiting Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting I’m a lonely boy I’m a lonely boy Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting
♫ ♪ ♫ ♫ ♪ ♫
*** Durante le fotografie finali, gli OneDirection sono in piedi su un’impalcatura, mentre HitoshiKinomiya prepara la
macchina fotografica. Improvvisamente la struttura cede, facendoli cadere tutti
***